Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 27 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 18 novembre 2013 una violenta alluvione si è abbattuta sulla Sardegna; precipitazioni a carattere torrenziale» molto intense e persistenti hanno investito la parte orientale dell'isola, e, in particolare, le province di Olbia-Tempio e Nuoro e, in rapida successione, le province di Oristano, Cagliari, Medio Campidano e Ogliastra; 60 i comuni colpiti, 11 in Gallura, la zona più colpita, 16 nel Nuorese, 10 nell'Oristanese, 8 nel Cagliaritano, 8 nel Medio Campidano, 7 in Ogliastra; il numero potrebbe aumentare con il bilancio definitivo degli ingenti danni; nell'arco di circa 12 ore sono state registrate, per la prima volta in Sardegna, precipitazioni superiori a 450 millimetri (il valore medio annuo è pari a circa 1.000 millimetri); l'evento alluvionale – eccezionale per intensità – ha provocato esondazioni diffuse, allagamenti, rottura di argini e il collasso del sistema idrogeologico e idraulico; ondate di piena hanno travolto i bacini idrografici del Flumendosa, del Fluminimanno, del Cedrino e di Posada;
    16 le vittime accertate, di cui 4 bambini; due i dispersi, 871 le persone evacuate; particolarmente colpita la provincia di Olbia-Tempio, che conta 13 vittime; gravissime le conseguenze sulle abitazioni, sulle colture agricole, sugli allevamenti, ingenti i danni alle attività produttive, alle strutture ricettive e agli esercizi commerciali, alle infrastrutture e ai servizi; critica la situazione della rete elettrica, con il distacco di oltre 10.000 utenze; per allagamenti, frane e cedimenti la viabilità è interrotta in molti punti; disagi anche nella circolazione ferroviaria, per l'interruzione di alcune tratte;
    particolarmente gravi i danni al settore zootecnico e agricolo: greggi, mandrie e allevamenti sono stati travolti dall'acqua, con la perdita di centinaia di capi, devastati ovili e stalle, magazzini, cantine, serre, fabbricati rurali per la lavorazione dei prodotti, impianti di irrigazione; distrutti produzioni orticole e seminativi, vigneti, frutteti, oliveti, risaie, scorte di foraggio, cereali, raccolti stoccati nei magazzini; in zone molto estese la violenza dell'acqua ha provocato il dilavamento dei terreni portando via lo strato di terreno più fertile e compromettendo l'attività agricola anche per gli anni a venire; la perdita delle scorte di foraggio e i pascoli allagati rendono impossibile nutrire anche i capi superstiti;
    in Italia – segnala Legambiente – nell'82 per cento dei comuni – 6.633 in valore assoluto – sono presenti zone a elevato rischio idrogeologico; in questi comuni vivono 5,8 milioni di italiani (il 9,6 per cento della popolazione nazionale) e in essi vi è un patrimonio storico e culturale inestimabile, sono localizzati 1,2 milioni di edifici, decine di migliaia di industrie, produzioni agricole selezionate e allevamenti, come in Sardegna, di particolare pregio;
    secondo le stime di Cresme e Ance, che hanno elaborato i dati della Protezione civile e del CNR, negli ultimi cinquanta anni tra il 1944 e il 2012 frane, terremoti e alluvioni hanno provocato danni per oltre 240 miliardi di euro, mentre si calcola che 1 euro speso in prevenzione determina un risparmio anche di 100 euro in riparazione dei danni;
    nel mese di giugno 2013 la Camera dei deputati ha approvato, con il parere favorevole del Governo, le mozioni nn. 1-00017 Speranza, Brunetta, Matarrese ed altri, 1-00112 Zan ed altri, 1-00114 Segoni ed altri, 1-00117 Grimoldi ed altri e 1-00124 Giorgia Meloni e Rampelli e, il 3 ottobre, l'VIII commissione ha approvato la risoluzione n. 8-00016, Realacci ed altri, in ricordo della tragedia del Vajont; questi atti di indirizzo e, in particolare, quest'ultimo, hanno riproposto con forza i temi della manutenzione del territorio, della pianificazione territoriale come strumento di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico, delle politiche di sostegno alla residenza nelle comunità montane e rurali come elemento fondamentale dell'azione di contrasto dei fenomeni di abbandono e di degrado del territorio, dell'ammodernamento della legislazione in materia di difesa del suolo e del riordino del relativo sistema di competenze e di responsabilità, impegnando, fra l'altro, il Governo, a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, e a privilegiare la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
    il Governo è stato impegnato, tra l'altro: ad adottare iniziative normative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE; ad incentivare e sostenere i piccoli agricoltori e gli allevatori nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottare pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo, in modo da riconoscere e valorizzare la funzione di manutenzione svolta dagli agricoltori e dagli allevatori nei poderi e il loro ruolo di «sentinelle e custodi del territorio; ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da contenere nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto; ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di IVA agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e la conservazione e la manutenzione dei reticoli idraulici, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di bilancio;
    gli eventi climatici estremi – prima considerati eccezionali, e ora ricorrenti – rendono necessario stanziare ed erogare nell'immediato congrue risorse per gli interventi necessari alla messa in sicurezza del territorio nazionale, con priorità per le regioni e le zone così gravemente colpite;
    è urgente che il Governo – in particolare il dipartimento della protezione civile ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – e la regione Sardegna, d'intesa con gli enti locali e le associazioni imprenditoriali, affrontino la situazione nel suo complesso, individuando i siti a rischio dissesto idrogeologico e le azioni necessarie per mettere in sicurezza le aree residenziali, le aziende agricole e gli allevamenti, le stalle, gli ovili, le cantine, i magazzini, le serre; le fabbriche, i servizi essenziali, i centri sanitari e le scuole; gli esercizi commerciali e le attività ricettive; le infrastrutture e le reti; la viabilità e i collegamenti, anche poderali, e di servizio ai centri turistici; le reti ferroviarie,

impegna il Governo:

   a disporre, in tempi rapidi, mediante le amministrazioni territoriali competenti, e d'intesa con le associazioni imprenditoriali, la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo della Sardegna, in relazione al danno effettivamente subito, anche in misura sufficiente a coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili danneggiati, sia abitativi, sia destinati ad uso agricolo, zootecnico, produttivo, che degli impianti, che per la ricostituzione e il riacquisto delle scorte vive e morte, fino alla misura massima del 100 per cento del costo ammesso e riconosciuto, in particolare quando i danni subiti siano stati di entità tale da condizionare la piena e immediata ripresa dell'attività agricola, di allevamento, di impresa, turistico-ricettiva o commerciale;
   per quanto riguarda le attività produttive, ad assumere iniziative per prevedere che i soggetti destinatari dei contributi siano i titolari di reddito di impresa, nonché i titolari di reddito di lavoro autonomo e gli esercenti attività commerciali, agricole e di allevamento, per i danni subiti agli immobili, agli impianti, alle scorte vive e morte, ai magazzini, alle stalle e ai recinti, alle serre e agli impianti irrigui, e per la sospensione dell'esercizio delle attività in conseguenza degli eventi alluvionali di novembre 2013, sulla base di una perizia asseverata che attesti, oltre ai danni accertati agli immobili, alle scorte, agli impianti, ai magazzini, anche l'entità della riduzione del reddito conseguente alla sospensione dell'attività;
   ad assumere iniziative per sospendere i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria per tali soggetti;
   ad assumere iniziative affinché il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
   a promuovere, anche mediante protocollo d'intesa con l'Associazione bancaria italiana, la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da effettuare dopo la sospensione dei termini;
   ad adottare iniziative per attribuire anche alle imprese, agricole, zootecniche, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 18 novembre 2013, nei territori della Sardegna colpiti dagli eventi alluvionali, che non beneficiano dei contributi ai fini del risarcimento del danno, ma che possano dimostrare di aver subito un danno economico indiretto (quale diminuzione del volume d'affari, ricorso a strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori per fronteggiare il calo di attività, caduta della domanda conseguente agli eventi alluvionali) un contributo pari al costo sostenuto per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione di beni d'impresa o di lavoro autonomo o per la riduzione, documentata, dell'attività produttiva, agricola, di allevamento, di fornitura, di servizio o commerciale;
   per incentivare iniziative di difesa del suolo e di contrasto all'erosione e all'impermeabilizzazione del suolo da parte di cittadini, di imprenditori, di agricoltori ed allevatori, ad assumere iniziative per attribuire a singoli cittadini, a imprese, anche agricole, zootecniche, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 18 novembre 2013, nei territori della Sardegna colpiti dagli eventi alluvionali, sia contributi ai fini del risarcimento del danno – diretto o indiretto – sia contributi pari al costo sostenuto per interventi di riduzione del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio in cui sono residenti o è localizzata l'attività;
   ad avviare, in tempi rapidi, con priorità per le zone alluvionate dell'isola e per l'intero territorio nazionale, un piano ambientale per gli investimenti necessari al riassetto idraulico e idrogeologico e alla prevenzione di eventi alluvionali, integralmente finanziato con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
   a negoziare con l'Unione europea un allentamento del patto di stabilità anche per comuni e regioni, in modo che gli enti locali e territoriali possano realizzare gli interventi progettati – anche di prevenzione – con risorse proprie, disponibili ma bloccate da vincoli di bilancio;
   a disporre l'utilizzo di una quota rilevante dei fondi strutturali per il 2014 anche per programmi ambientali per la messa in sicurezza delle aree a rischio, disponendo l'immediata riprogrammazione delle risorse non spese del quadro comunitario di sostegno 2007-2013 per destinarle – con priorità – alla messa in sicurezza e alla difesa del suolo delle aree alluvionate;
   a realizzare un monitoraggio costante per evitare insediamenti, residenziali e produttivi, in tutte le zone ad alto rischio idraulico;
   a ridurre progressivamente il consumo e l'impermeabilizzazione del suolo, fino ad azzerarlo;
   a stanziare risorse per il riassetto idraulico, per le casse di espansione, per l'innalzamento delle dighe e il rafforzamento degli argini, per la manutenzione della rete idraulica, per il drenaggio efficiente di fiumi, fossi e canali;
   ad assumere iniziative volte a garantire congrue risorse per il fondo Protezione civile per alluvioni di cui all'articolo 1, comma 290 della legge n. 228 del 2012;
   ad adottare un provvedimento ad hoc per istituire un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, per far fronte alle somme urgenze provocate dal dissesto idrogeologico del territorio con indennizzi immediati per i danni emergenti;
   a garantire i collegamenti tra i territori anche in situazioni di emergenza, con l'avvio di interventi urgenti di protezione delle pendici, delle opere idrauliche e delle barriere danneggiate dalle alluvioni;
   ad assumere iniziative per l'immediata apertura di cantieri in tutta l'isola per interventi di manutenzione del territorio e di prevenzione e contrasto al dissesto idrogeologico;
   per favorire la ripresa economica e l'occupazione in tutta la Sardegna, ad avviare iniziative, per quanto di competenza, di formazione tecnica e professionale, di concerto e con la collaborazione delle associazioni imprenditoriali ed artigiane, di disoccupati e inoccupati anche beneficiari di cassa integrazione o di altre forme di sostegno al reddito, per l'immediato impiego di tali soggetti in iniziative ed interventi sul territorio per la difesa del suolo, per opere di ingegneria idraulica e di consolidamento e ripristino delle reti di servizi e della mobilità;
   ad attivare un centro funzionale decentrato di protezione civile in Sardegna, nell'ambito del sistema nazionale, e un efficiente sistema di allerta per le calamità naturali e per gli incendi.
(1-00262) «Scanu, Cicu, Vargiu, Migliore, Costa, Capelli, Di Gioia, Rosato, Pes, Marrocu, Cani, Giovanna Sanna, Mura, Vella, Francesco Sanna, Marco Meloni, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    il giorno 18 novembre 2013 il ciclone «Cleopatra» ha inferto alla Regione Sardegna ingenti danni e devastazioni causando la morte di 16 persone, il ferimento di una quantità impressionante di uomini e registrando circa 2.700 sfollati;
    quasi 500 chilometri di viabilità provinciale sono stati coinvolti in crolli, frane, ostruzioni e allagamenti, la rete idrica ed elettrica è stata danneggiata e il sistema fognario è stato intasato a causa dell'ingorgo di raccolta delle acque;
    l'eccezionalità dell'evento naturale non può mettere in secondo piano l'evidente aggressione al territorio di cui è stata oggetto la Sardegna, come il resto del territori italiano, negli ultimi decenni;
    l'effetto congiunto di un'incontrollata espansione edilizia, di una progressiva impermeabilizzazione del suolo, di piani regolatori, varianti urbanistiche a piani di fabbricazione spesso privi dei necessari requisiti di corretto equilibrio territoriale, delle devastanti scelte di sanatorie edilizie che hanno legittimato costruzioni e manufatti in zone a rischio, unite alla scarsa cultura della prevenzione e della messa in sicurezza del suolo, hanno determinato le premesse per catastrofi come quella avvenuta in Sardegna nei giorni scorsi;
    l'espansione urbanistica di Olbia è stata inarrestabile e solo nel decennio 1997-2007, secondo il Sole 24 Ore, sono sorti «dal nulla» ventitré quartieri e diciassette piani di risanamento, con evidente scarsa attenzione ai potenziali rischi che ne sarebbero derivati;
    i dati sul rischio idrogeologico nel nostro Paese sono allarmanti e da soli sarebbero sufficienti a determinare un'inversione di rotta delle scelta strategiche che riguardano il territorio; il nostro Paese ha bisogno di investire risorse prevalentemente sulla prevenzione del rischio idrogeologico e sulla messa in sicurezza del territorio, utilizzando a tal fine i faraonici investimenti destinati a grandi opere che portano nuovo cemento e scegliendo, finalmente, di indicare come obiettivo quello di fermare il consumo di suolo;
    proprio nella giornata di oggi, il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, durante l'audizione in commissione ambiente della Camera dai deputati ha dichiarato che «La politica deve agire e mettere a disposizione risorse per il dissesto idrogeologico. Non servono le chiacchiere ma i fatti»;
    allo stato attuale le risorse per la difesa del suolo sono ridotte al lumicino e, al termine di una parabola discendente iniziata a seguito della tragedia del Sarno, quando si era deciso – e anche in quel caso fu necessario il sacrificio di decine di vite umane per rendersi conto della gravità dal problema – di investire, finalmente, nella prevenzione; purtroppo però negli ultimi anni si è registrata una progressiva quanto inesorabile riduzione delle disponibilità e la legge di bilancio per il 2014 fotografa lo stanziamento di appena 30 milioni per interventi per la tutela del rischio idrogeologico e relative misure di salvaguardia, a cui si aggiungeranno le risorse che il disegno di legge di stabilità intende sbloccare;
    la regione Sardegna, con la Delibera n. 48/1 del 2013 ha avanzato alla Presidenza del Consiglio dei ministri la richiesta di dichiarare lo stato di emergenza, di provvedere all'attivazione del Fondo europeo di solidarietà e ha stanziato euro 5.000.000, a valere sul bilancio regionale, per un primo intervento di ripristino delle infrastrutture pubbliche danneggiate;
   il giorno 21 novembre 2013, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992 n. 225 e ha stanziato 20 milioni di euro da impiegare per «l'immediato intervento che consiste nelle attività di salvataggio, assistenza alle popolazioni e ripristino della viabilità»;
    a seguito di suddetto stanziamento il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, avrebbe dichiarato che «i 20 milioni di euro stanziati, ai quali si aggiungono i 5 sbloccati dalla regione Sardegna, serviranno appena per riaffacciarsi fuori dall'emergenza per la ricostruzione saranno necessarie ben altre risorse»;
    secondo quanto appreso dalla stampa il sottosegretario alle Infrastrutture, Erasmo De Angelis, si sarebbe dichiarato critico verso l'operato del ministero del Tesoro affermando che la legge di Stabilità dispone lo stanziamento di «solo 30 milioni per la riduzione del dissesto idrogeologico»;
    il Regolamento (CE) n. 2012/2002 del Consiglio dell'11 novembre 2002, ha istituito il Fondo di solidarietà dell'Unione europea (FSUE) allo scopo di far fronte alle grandi catastrofi naturali e offrire un aiuto finanziario agli Stati colpiti;
    il Fondo può intervenire principalmente qualora, su richiesta di uno Stato membro, si verifichi, sul territorio di tale Stato, una catastrofe naturale grave, con serie ripercussioni sulle condizioni di vita dei cittadini, sull'ambiente naturale o sull'economia di una o più regioni o di uno o più Stati;
    gli interventi urgenti ammessi al fondo sono i seguenti:
   a) ripristino immediato delle infrastrutture e delle attrezzature nei settori dell'elettricità della condutture idriche e fognarie, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell'istruzione;
   b) realizzazione di misure provvisorie di alloggio e organizzazione dei servizi di soccorso destinati a soddisfare le necessità immediate della popolazione;
   c) messa in sicurezza immediata delle infrastrutture di prevenzione e misure di protezione immediata del patrimonio culturale;
   d) ripulitura immediata della zone danneggiate, comprese le zone naturali;
   e) attivazione dei Fondo di solidarietà europeo di cui sopra spetta al Governo nazionale, che deve richiedere le sovvenzioni entro dieci settimane dall'evento calamitoso;
    la domanda d'intervento deve essere presentata dallo Stato alla Commissione entro 10 settimane e partire dal primo danno subito e deve contenere informazioni relative ai danni totali provocati dalla catastrofe e al suo impatto sulla popolazione e sull'economia in questione, la stima dei costi relativi alla messa in sicurezza, ripristino e ripulitura delle zone interessate dal disastro, la presenza di eventuali altre fonti di finanziamento europee, nazionali o internazionali;
    il commissario europeo all'Industria, Antonio Tajani, avrebbe affermato che «la Commissione europea è pronta da subito a collaborare con Ugo Cappellacci e la Regione Sardegna per attivare gli aiuti europei dopo l'alluvione che ha colpito l'isola» –:

impegna il Governo:

   a stimare con esattezza l'ammontare dei danni e a provvedere allo stanziamento di adeguate risorse finanziarie ai fine di garantire il superamento della situazione emergenziale;
   ad attivarsi immediatamente per accedere ai finanziamenti del fondo di solidarietà per le grandi calamità dell'Unione europea (FSUE), evitando di fare scadere i termini presso la Commissione europea, al fine di richiedere una contribuzione straordinaria per affrontare i terribili danni prodotti dall'alluvione che ha colpito la regione Sardegna;
   ad assumere urgenti iniziative finalizzate allo stanziamento delle risorse necessarie per affrontare l'emergenza alluvionale che ha colpito le province di Olbia-Tempio e Nuoro, evitando di aggravare la già pesante situazione di carico fiscale dei cittadini, nonché per realizzare il ripristino infrastrutturale ed idrogeologico delle aree danneggiate;
   ad assumere iniziative finalizzate ad escludere dal patto di stabilità interno relativo agli anni 2014 e 2015 le risorse provenienti dallo Stato e le relative spese di parte corrente e in conto capitale sostenute dalle province e dai comuni nonché le risorse proprie di tali enti impiegate per far fronte all'emergenza alluvionale e alle conseguenti opere di ripristino;
   ad adottare iniziative per provvedere al fermo della riscossione o quanto meno delle azioni coattive di Equitalia nelle zone colpite dal nubifragio per gli anni 2014 e 2015;
   ad adottare iniziative per sospendere i termini di pagamento e gli adempimenti tributari in scadenza tra il 18 novembre 2013 e il 30 giugno 2014 per i contribuenti residenti nelle aree gravemente colpite, nonché la sospensione del pagamento delle rate di adempimenti contrattuali, compresi mutui e prestiti, per l'anno 2014;
   ad adottare iniziative per concedere indennizzi alle attività produttive danneggiate dagli eventi calamitosi, per il ripristino delle scorte andate distrutte o per il ristoro di danni derivanti dalla perdita di beni mobili strumentali all'esercizio delle attività;
   a prevedere, nell'utilizzo delle risorse che verranno individuate, meccanismi che favoriscano la delocalizzazione in aree sicure degli edifici costruiti nelle zone colpite dall'alluvione ed evidentemente a rischio idrogeologico;
   a predisporre un programma di prevenzione ambientale di medio e lungo termine per rendere il territorio nazionale idoneo a fronteggiare in futuro situazioni di maltempo anche di forte entità e ad avviare un serio programma nazionale di ripristino e messa in sicurezza del territorio.
(1-00263) «Nicola Bianchi, Corda, Pinna, D'Ambrosio, Vallascas, Segoni, Terzoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione di crisi economica e sociale fotografata da numerosi indicatori e dossier statistici descrive un quadro europeo e nazionale contrassegnato da rischi sociali in costante aumento, da sistemi sociali indeboliti e da individui e famiglie sempre più in difficoltà, anche a causa dell'assenza di politiche concrete e strutturate, capaci di mettere in campo un efficace sistema di protezione sociale;
    gli ultimi rilevamenti forniti da Eurostat indicano come il 24,2 per cento della popolazione europea sia a rischio di povertà ed esclusione sociale, fotografando un dato sensibilmente più alto per l'Italia, ove la percentuale di persone a rischio di povertà arriva a toccare il 28,2 per cento;
    i dati ISTAT del 2012 confermano un quadro allarmante in cui 9 milioni e 563.000 persone, pari al 15,8 per cento della popolazione italiana, versano in condizione di povertà relativa, mentre 4 milioni e 814.000 persone, pari al 7,9 per cento della popolazione, si trovano in condizioni di povertà assoluta. Il numero di famiglie in tale, drammatica, situazione sono aumentate, rispetto al 2011 del 33 per cento. Si tratta dell'incremento percentuale più rilevante degli ultimi dieci anni. Sempre stando ai dati del 2012, ben 8,6 milioni di individui fanno parte di nuclei familiari gravemente deprivati, ovvero, famiglie che presentano quattro o più segnali di deprivazione su un elenco di nove, comprendenti, tra l'altro: l'impossibilità di sostenere spese impreviste; il non potersi permettere una settimana di ferie l'anno, lontano da casa; avere debiti arretrati per il pagamento di mutui, canoni di locazione, bollette; il non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni; non poter riscaldare adeguatamente la propria abitazione; non potersi permettere essenziali elettrodomestici di uso comune; non potersi permettere un'automobile;
    l'incremento vertiginoso degli indicatori sulla povertà assoluta – 2 milioni di persone in più a rischio negli ultimi 5 anni – e di quelli sulla povertà relativa, trovano riscontro nell'aumento dell'indebitamento medio delle famiglie italiane, passato nell'arco temporale 2003-2011, secondo i dati della Banca d'Italia, dal 30,8 per cento al 53,2 per cento del reddito disponibile lordo. Le famiglie si indebitano sempre di più, basti pensare che nei soli primi mesi del 2012 le famiglie indebitate sono passate dal 2,3 per cento al 6,5 per cento e che, secondo l'indagine di Confcommercio e Censis, Outlook Italia 2013, 4,2 milioni di famiglie (il 17 per cento del totale) non riescono a coprire tutte le spese mensili;
    la preoccupante situazione, inesorabilmente delineata dai dati sopracitati, descrive un Paese in cui è diventato estremamente difficile, oramai, soddisfare anche quei bisogni essenziali legati al rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, tra cui il diritto all'abitazione, riconosciuto come rientrante a pieno titolo nel novero di tali diritti in diverse pronunce della Corte Costituzionale, della Cassazione e della Corte Europea dei diritti dell'Uomo;
    la questione abitativa, aggravata dal costante aumento del numero di famiglie ed individui che, a causa della perdita del lavoro e della drastica contrazione del reddito, scendono al di sotto della soglia di povertà, sta assumendo i caratteri di una vera e propria emergenza nazionale. Si stimano in oltre 430.000 le famiglie in difficoltà per il costo dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state ben 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi 4 anni) di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole arrivano a superare il 90 per cento e riguardano spesso anche le locazioni di alloggi popolari;
    da quanto si desume dai dati menzionati, sempre più persone – in una composizione sociale mutata comprendente interi nuclei familiari e tutti quei soggetti che rientrano nella definizione di «nuove povertà» – hanno perso, o rischiano seriamente di perdere, la propria abitazione, incrementando il già considerevole e drammatico numero di utenti bisognosi di accoglienza;
    secondo un'indagine realizzata dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fio.PSD), nel 2012 si stimavano in oltre 50.000 le persone senza fissa dimora, con la concreta possibilità che il numero reale si potesse attestare anche nel doppio, rasentando quasi lo 0,2 per cento della popolazione italiana. Le grandi città rispecchiano compiutamente tale tragico contesto: nella città di Milano si contavano oltre 4.000 adulti privi di una casa, nella città di Torino circa 1.300 persone si sono rivolte alle Case di prima accoglienza notturna gestite dal Comune e 1.500 persone hanno usufruito di interventi e prestazioni presso l'ambulatorio sociosanitario per persone senza fissa dimora. A Napoli, Bologna e Firenze è stata calcolata la presenza stabile di almeno 2.000 homeless, mentre nella Capitale vivrebbero circa 8.000 persone senza fissa dimora, di cui ben 5.500 in strada e 2.500 ospitati nei centri di accoglienza notturni del Comune e delle associazioni di volontariato;
   i dati citati delineano chiaramente l'estensione e la rilevanza di una situazione di disagio sociale crescente che ha portato l’European Committee of Social Right a denunciare la violazione, da parte del nostro Paese, dell'articolo 31, comma 2, della Carta sociale europea, il quale prevede l'impegno, per le fazioni contraenti, di garantire l'effettivo esercizio del diritto all'abitazione prevedendo misure destinate a prevenire e ridurre lo status di «senza tetto», in vista di una graduale eliminazione;
   il numero considerevole e in costante aumento delle persone che nel nostro Paese subiscono una lesione del fondamentale diritto ad una vita dignitosa, in quanto privi di una abitazione o di un alloggio, viene messo a dura prova specialmente nei mesi invernali, particolarmente pericolosi per l'incolumità degli homeless;
   a fronteggiare l'emergenza nei mesi invernali sono soprattutto i privati, le associazioni di volontariato ed i comuni. È stato calcolato come oltre 727 tra enti ed organizzazioni no profit si attivino in Italia per erogare servizi ai senza fissa dimora, fornendo un alloggio notturno, accoglienza diurna ed assistenza focalizzata sui bisogni primari delle persone (cibo, vestiario, igiene personale). Il censimento realizzato dalla Caritas nell'ambito del Rapporto 2012 sulla povertà e l'esclusione sociale in Italia ha permesso di rilevare ben 414 attività di tipo residenziale a favore dei senza dimora, promosse per lo più dalle Caritas diocesane (31,5 per cento), dalle parrocchie (14,8 per cento) e da altre realtà civili (16,1 per cento). La gestione di tali attività vede invece protagoniste un numero più diversificato di realtà, ecclesiali e non: le associazioni di volontariato (21,4 per cento), le parrocchie (14,5 per cento), le Caritas diocesane (13 per cento) e le cooperative sociali (10,7 per cento). Le attività e i servizi in questione si affiancano a quelli attuati dai singoli comuni, che annualmente predispongono «piani antifreddo», mettendo a disposizione luoghi coperti dove passare la notte e posti di accoglienza. Queste iniziative di carattere temporaneo, sebbene si siano dimostrate assolutamente necessarie a tamponare la situazione emergenziale, non sono tuttavia sufficienti ad accogliere e a porre al riparo tutte le migliaia di persone bisognose di assistenza;
    nel quadro delle politiche sociali, in Italia, il tema delle persone senza dimora e del grave disagio abitativo è sempre stato ai margini, in posizione analoga allo spazio occupato da queste persone e dai servizi che se ne occupano all'interno del contesto sociale. Questa dimensione di marginalità e separazione, sia nel quadro sociale, sia in quello politico e legislativo ha impedito, da sempre, lo sviluppo di azioni programmatiche e di interventi che possono essere qualificati come «buone prassi» diffuse a livello nazionale;
    l'assenza di politiche nazionali strutturate e concrete per affrontare il problema di chi rimane senza fissa dimora sul territorio italiano sta lasciando sempre più in balia dell'emergenza i Comuni. Sono i territori locali a offrire soluzioni alle forme di disagio più estremo, trovandosi questi ultimi soli ad affrontare problematiche che inevitabilmente rischiano di superare la scala di intervento dei servizi comunali;
    ciò ha determinato una delega esclusiva degli interventi di contrasto al grave disagio abitativo e a favore delle persone senza fissa dimora alle organizzazioni del privato sociale ed al volontariato, denotando un progressivo e costante disimpegno dello Stato su un tema di tale rilevanza sociale. L'onere del sostegno alle fasce di popolazione più deboli e a maggior rischio di marginalità non può continuare ad essere demandato unicamente alle organizzazioni sopra citate;
    dai dati sopra evidenziati risulta chiaro come le città e i suoi cittadini in difficoltà necessitino, per i mesi invernali, particolarmente pericolosi per la salute delle persone senza una dimora stabile, adeguati interventi salvavita. Questi ultimi vanno però orientati al progressivo superamento della logica emergenziale, strutturandosi in politiche stabili, in grado, a diversi livelli, di programmare e implementare azioni organiche capaci di incidere sulle condizioni di vita delle persone senza dimora, di prevenire l'allargamento del fenomeno e di aumentare la resilienza del corpo sociale, coinvolgendo ampi strati della cittadinanza, valorizzando la solidarietà orizzontale attraverso l'apporto del privato sociale, delle associazioni, delle parrocchie, delle famiglie;
    tutto ciò non può prescindere dalla attuazione di nuove politiche di welfare che si fondino sulla presa in carico delle persone bisognose, accompagnando le persone in difficoltà in percorsi di inserimento lavorativo e di inclusione sociale;
    sebbene siano auspicabili nuove politiche sociali, capaci di non limitarsi a prevedere esclusivamente trasferimenti monetari verso le persone maggiormente in difficoltà, in un Paese fortemente diseguale come il nostro – secondo nei livelli di disparità nella distribuzione dei redditi solo al Regno Unito nell'Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei Paesi Ocse – appare necessario prevedere nei prossimi provvedimenti di natura finanziaria stanziamenti adeguati finalizzati a garantire un alloggio a tutte quelle persone che ne sono prive, specialmente nei mesi invernali,

impegna il Governo:

   a intervenire assumendo iniziative normative per sospendere gli sfratti per finita locazione e in particolare quelli per morosità incolpevole, per un arco temporale sufficiente ad adottare provvedimenti organici in materia di diritto all'abitare;
   a promuovere mediante l'emanazione di apposite linee guida, azioni di sensibilizzazione presso le prefetture nonché iniziative anche normative per la sospensione nel periodo invernale degli sgomberi e degli sfratti per finita locazione e per morosità, a danno di nuclei familiari in condizione di oggettiva debolezza sociale;
   a prevedere, con apposito provvedimento, un piano nazionale per la messa in atto di interventi di alloggiamento a favore di persone senza fissa dimora che preveda chiaramente che, in ogni contesto territoriale nel quale siano presenti delle persone senza dimora, sia affrontato e programmato un intervento a favore di queste persone che comprenda servizi di accoglienza di primo livello, a bassa soglia di accesso, e servizi alloggiativi di secondo livello, capaci di dare risposte che possano trasformarsi in interventi stabili e duraturi nel tempo;
   a finanziare in maniera congrua il piano nazionale di cui sopra, valutando la possibilità di istituire un fondo ad hoc che garantisca una programmazione continua degli interventi per contrastare la marginalità e a favore delle persone senza dimora;
   per realizzare le finalità del piano nazionale sopra citato, ad avviare una ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico sfitto, con particolare attenzione agli edifici non utilizzati del demanio militare, verificandone le condizioni e la possibilità di destinarlo all'accoglienza delle persone senza fissa dimora e al sostegno dell'emergenza abitativa, promuovendo a tal fine appositi accordi con le regioni e gli enti locali;
   all'interno del piano nazionale di cui sopra, prevedere l'incremento delle risorse destinate alle prefetture per fronteggiare l'emergenza freddo, stabilendo la possibilità di utilizzare queste ultime per il potenziamento dei piani antifreddo dei comuni e a sostegno dell'azione di tutti quegli enti e associazioni che offrono prestazioni necessarie alla sopravvivenza fisica delle persone senza fissa dimora o che hanno temporaneamente perso la propria abitazione;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, diretti a delineare, assieme agli interventi di accoglienza descritti, appositi percorsi di reinserimento sociale, definendo in questo modo la possibilità di accesso per la persona senza dimora a forme di sostegno per l'inclusione attiva e per il riscatto sociale;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative normative dirette a sospendere il pagamento della tassa sui rifiuti e sui servizi indivisibili per le famiglie in condizioni di oggettiva difficoltà economica, quando colpite da uno sfratto per morosità incolpevole;
   ad attuare provvedimenti ed iniziative capaci di aumentare la resilienza del corpo sociale, prevedendo azioni idonee a favorire il coordinamento tra enti, associazioni, parrocchie e tutte quelle realtà che mettono a disposizione spazi, operatori e servizi a favore delle persone prive di una abitazione;
   ad avviare campagne di comunicazione sociale sul tema, volte a sensibilizzare la popolazione sulle problematiche dell'emergenza abitativa e a stimolarne la partecipazione attiva e la solidarietà orizzontale.
(1-00264) «Piazzoni, Migliore, Lavagno, Aiello, Nicchi, Airaudo, Costantino».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    il 31 dicembre 2012 è stata approvata la legge n. 244 per il conferimento di una delega al Governo per il complessivo riordino dello strumento militare che prevede significative implicazioni sia sulla I dotazione strumentale che su quella organica del personale militare e civile preposto al medesimo settore;
    a seguito di tale legge delega sono stati trasmessi al Parlamento in data 2 ottobre 2013 gli schemi di decreto legislativo A.G. 32 recante disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale e organizzativo delle Forze armate e A.G. 33 recante disposizioni in materia di personale militare e civile del Ministero della difesa, nonché misure per la funzionalità della (medesima amministrazione, con data 1o dicembre come termine per l'espletamento del parere;
    lo  schema di decreto legislativo n. 32, sottoposto a parere, secondo i firmatari del presente atto delinea un marcato verticismo dell'ordinamento militare comprimendo notevolmente la linea di comando sul Capo di Stato Maggiore della difesa, in pregiudizio sia delle attribuzioni proprie dei Capi di Stato maggiore di forza armata che del segretario generale della difesa, ampliando di molto sue competenze rispetto a quanto previsto dal codice dell'ordinamento militare e dalla legge 25 del 1997;
   a seguito degli interventi si prevede un riequilibrio della spesa con una previsione del 50 per cento per il settore del personale, il 25 per cento per il settore dell'esercizio e il 25 per cento per il settore dell'investimento. Tale proporzione viene definita «ottimale», ma in realtà ci sono degli ulteriori fattori che andrebbero presi in considerazione;
   primo fra tutti va rivelato che il comparto difesa ha avviato numerosi investimenti per acquistare nuovi armamenti. Le risorse per tali investimenti provengono da altri dicasteri, come ad esempio il Ministero dello sviluppo economico a cui sono capitolate, ad esempio, le spese per le fregate Freem (5,6 miliardi di euro), i blindati Freccia (1,5 miliardi), jet d'addestramento Aermacchi M-346 (220 milioni per la prima tranche), il kit «soldato futuro» (880 milioni), gli elicotteri NH-90 (3.895 milioni) e gli elicotteri Agusta AVV-101 (740 milioni). Queste sono soltanto alcune delle più significative spese per armamenti e sistemi d'arma «in quota» al Ministero dello sviluppo economico. Anche il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca contribuisce per altri investimenti;
   questi nuovi armamenti presuppongono oltre l'acquisto, la loro manutenzione funzionale e allora viene da chiedersi in base a quali valutazioni si procede al taglio di un terzo del personale civile addetto a tale ruolo e alla dismissione dei siti, degli impianti e degli arsenali a tale scopo preposti;
   anche se lo scopo principale del contenimento della spesa della difesa potrebbe essere condivisibile, ne deriva, dai decreti, un aumento della parte destinata agli armamenti e un abbattimento di quella del personale;
   nello specifico si prevede che entro il 2024 il «taglio» di 33.000 militari e circa 10.000 tra il personale civile a cui si aggiungono gli ulteriori tagli già previsti da precedenti provvedimenti e ancora in fase di attuazione. Su tali tagli si sono espresse rilevanti perplessità delle organizzazioni sindacali e degli altri soggetti sentiti durante le audizioni collegate ai provvedimenti;
   in Francia, a fronte di 235.230 militari ci sono 69.990 civili con un rapporto di 1 civile ogni 3,36 militari (fonte: «Les Chiffres Clés de la Défense, édition 2011»). in Gran Bretagna, a fianco di 175.940 soldati lavorano 70.940 impiegati, cioè 1 ogni 2,48 (fonte «UK Armed Forces Quarterly Manning Report – 1o January 2012» e «Quarterly Civilian Personnel Report – 1o April 2012»). Da noi, per 182.336 militari (fonte Conto annuale del Tesoro 2010) al 31 luglio 2012, 29.646 civili cioè il rapporto è di 6,15 soldati ogni impiegato o operaio civile. Con l'attuazione della legge n. 244 del 2012 arriveremmo al rapporto di 1 civile ogni 7,5 militari e tale proporzione metterebbe irrimediabilmente a rischio il processo di «civilizzazione» del Ministero della difesa;
   i provvedimenti di revisione, accorpamento e soppressione delle strutture militari coinvolgeranno decine di territori, i quali hanno manifestato profondo disagio per gli effetti economici e sociali che ne deriverebbero in mancanza di adeguate iniziative di compensazione del danno arrecato;
   il Governo nel corso della seduta della Commissione difesa della Camera del 30 maggio 2013, in risposta all'interrogazione a risposta immediata 5-00205 prevedeva in merito ai decreti discendenti dalla legge delega in oggetto di «consentire al Parlamento, attraverso un confronto aperto, partecipativo e scevro da posizioni pregiudiziali, di poter esercitare la sua funzione di indirizzo e di controllo e di poter apportare ogni misura correttiva necessaria,

impegna il Governo

a assumere un'iniziativa normativa urgente per prorogare la scadenza dei termini della legge delega n. 244 del 2012, per consentire al Parlamento di esercitare a pieno la sua funzione di indirizzo e controllo su provvedimenti complessi e ad alto impatto economico e sociale come gli schemi, di decreti legislativi in questione.
(7-00190) «Duranti, Piras».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il territorio della regione Calabria è stato interessato nel corso degli ultimi giorni da intense ed abbondanti precipitazioni atmosferiche che hanno causato esondazioni, smottamenti, frane e allagamenti con ingenti danni alla popolazione, alle infrastrutture e alle aziende;
    a seguito delle suddette avversità atmosferiche si registrano situazioni particolarmente critiche per il comparto primario, le cui aziende vanno incontro a drastiche riduzioni delle rese, come denunciato dalle autorità locali e segnatamente dalla amministrazione provinciale di Catanzaro che sta procedendo alla delimitazione dei territori agricoli più colpiti e alla successiva ricognizione dei danni;
    la giunta regionale ha già avviato le procedure per la richiesta dello stato di emergenza e di calamità naturale con deliberazione n. 417 del 20 novembre 2013;
    sebbene sia necessario ricorrere maggiormente a strumenti di intervento adeguati a fronteggiare le frequenti calamità naturali, quali le assicurazioni agevolate, è tuttavia urgente al momento, in considerazione della gravità del fenomeno poter ricorrere al Fondo di solidarietà nazionale, al fine di garantire la conservazione del patrimonio produttivo agricolo e promuoverne urgentemente il ripristino,

impegna il Governo

a riconoscere il carattere di eccezionalità agli eventi calamitosi riportati in premessa per effetto dei danni alle strutture aziendali e alle infrastrutture connesse all'attività agricola nei territori agricoli della regione Calabria come individuati dalle competenti autorità locali al fine di autorizzare l'applicazione degli interventi compensativi di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102.
(7-00188) «Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Nesci».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    tra gli interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, come modificato dal decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ricomprende i finanziamenti erogati da ISMEA a valere sul Fondo credito di cui alla decisione della Commissione europea C (2011) 2929 del 13 maggio 2011 e successive modificazioni ed integrazioni;
    il Fondo opera in collaborazione con il sistema bancario e rilascia finanziamenti in parte a carico del fondo stesso, con l'applicazione di un tasso di interesse ridotto o a tasso zero, e in parte a carico dell'istituto di credito intermediario, sulla cui quota è applicato un tasso di interesse di mercato;
    con decisione C (2011) 2929, la Commissione europea, in ottemperanza alla disposizione di cui all'articolo 108 del TFUE in materia di aiuti di Stato, ha approvato il metodo di calcolo dell'aiuto erogato sotto forma di mutuo agevolato, precisando, al punto 47 della stessa, che il metodo oggetto della decisione può essere utilizzato anche nel quadro dei Programmi di sviluppo rurale una volta predisposte le modifiche alle corrispondenti misure dei programmi di sviluppo rurale, al fine di rendere tale metodo compatibile anche con gli articoli 49 e 50, 51 e 52 del regolamento (CE) n. 1974/2006 relativo al Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (FEARS);
    il Fondo costituisce un importante strumento finanziario a disposizione delle amministrazioni regionali, titolari dei programmi di sviluppo rurale, e consente di migliorare le prestazioni degli stessi in termini di rapidità e qualità della spesa, favorendo un più facile accesso al credito delle imprese beneficiarie degli aiuti;
    tra i vantaggi proposti dal Fondo si segnala la natura rotativa per la quale le risorse rientranti per effetto dell'estinzione dei mutui tornano nelle disponibilità delle amministrazioni che potranno utilizzarle anche oltre la scadenza dei programmi;
    nonostante la decisione della Commissione europea risalga al mese di maggio del 2011, ad oggi non risultano ultimate le procedure atte a consentire l'implementazione del Fondo in parola,

impegna il Governo

a disporre urgentemente, anche in considerazione dell'avvio della prossima programmazione 2014-2020 del Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale, le procedure necessarie ad implementare il Fondo crediti nazionale per le imprese agricole al fine di aumentare la dotazione delle risorse complessivamente disponibili per il credito all'agricoltura e di facilitarne l'accesso attraverso la riduzione del costo dell'indebitamento.
(7-00189) «L'Abbate, Gallinella, Gagnarli, Parentela, Lupo, Massimiliano Bernini, Benedetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA e NESCI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della regione Calabria è stato interessato nel corso degli ultimi giorni da intense ed abbondanti precipitazioni atmosferiche che hanno causato esondazioni, smottamenti, frane e allagamenti con ingenti danni alla popolazione, alle infrastrutture e alle aziende;
   tale evento meteorologico ha infierito sui danni già provocati da eventi simili avvenuti negli anni precedenti in cui i cittadini non hanno ottenuto alcun aiuto di carattere economico per ripristinare le proprie abitazioni e/o piccole aziende;
   la città più colpita risulta essere Catanzaro, dove l'acqua ha travolto gran parte dei quartieri provocando gravissimi danni a fabbricati, abitazioni private, cantine, piccoli esercizi commerciali e terreni agricoli, nonché al patrimonio pubblico ed alla viabilità pubblica e privata;
   le violenti piogge hanno provocato la rottura di diverse condotte adduttrici di acqua, il che ha portato circa 70.000 cittadini catanzaresi a subire la mancanza di acqua potabile per quasi una settimana;
   i danni nel comune di Catanzaro, quantificabili approssimativamente in diversi milioni di euro, non sono stati ancora adeguatamente stimati;
   la giunta comunale di Catanzaro ha richiesto la dichiarazione di stato di calamità naturale con deliberazione n. 569 del 19 novembre 2013;
   nella Provincia di Catanzaro i danni sono stati stimati in circa 28.000.000 euro;
   l'amministrazione provinciale di Catanzaro, con deliberazione n. 238 del 20 novembre 2013 del commissario straordinario, ha chiesto la dichiarazione dello stato di calamità naturale;
   la giunta della regione Calabria ha richiesto, con deliberazione n. 417 del 20 novembre 2013 la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e per quanto in suo potere, non ritenga opportuno intraprendere le misure per attivare con urgenza le dovute misure di sostegno alla popolazione colpita dal tragico evento meteorologico;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per concedere la sospensione degli oneri tributari e contributivi verso coloro che hanno subito danni sostanziali causati dall'alluvione. (4-02687)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MIGLIORE, DURANTI, PIRAS e SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in Afghanistan sono impiegati 24 militari per servizio scorte ai diplomatici in missione nel Paese;
   16 di questi sono impiegati a Kabul per servizi di protezione e scorta all'ambasciatore italiano, mentre altri 8 svolgono servizi di protezione e scorta a Herat all'Alto rappresentate della NATO per la regione ovest dell'Afghanistan;
   gli 8 militari in servizio a Herat sono tutti alle dipendenze del Ministero degli affari esteri;
   dei 16 militari in servizio a Kabul, 8 risultano essere alle dipendenze del Ministero degli affari esteri, mentre altri 8 risultano essere amministrativamente dipendenti da ITALFOR, anche se lavorano anch'essi, di fatto per il Ministero degli affari esteri;
   i 24 militari impiegati nei servizi di protezione e scorta svolgono le medesime funzioni e compiti. Eppure, relativamente ai militari impiegati a Kabul, si registrano delle incongrue differenze di trattamento per via della dipendenza amministrativa a differenti strutture: ITALFOR e il Ministero degli affari esteri;
   tali differenze di trattamento comprendono sia diversificate paghe che diversificati trattamenti come ad esempio l'accesso alla mensa ISAF, che non è prevista per i dipendenti del Ministero degli affari esteri, che godono invece di una «meal card» per l'acquisto del cibo;
   a parere degli interroganti questa diversificazione di trattamento appare totalmente ingiustificata e priva di alcun senso logico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intendano adottare per porre fine a questa ingiustificata differenza di trattamento e se non intendano porre tutti i militari alle dipendenze del Ministero degli affari esteri. (4-02691)


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda legata all'espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua è una delle pagine più oscure della nostra storia più recente;
   la ricostruzione fornita dal Ministero dell'interno ha sempre lasciato più d'una perplessità, risultando lacunosa e poco credibile;
   un'inchiesta della redazione del programma televisivo «Report», trasmessa su Rai3 il 25 novembre 2013, ha portato alla luce ulteriori dettagli del tutto incompatibili con la versione ufficiale portata dal Ministro Alfano alle Camere;
   secondo quanto riportato dall'inchiesta in questione, il Governo kazako avrebbe chiesto all'Eni di stare alle costole di Mukhtar Ablyazov, marito di Alma Shalabayeva e dissidente kazako perseguitato dal regime dittatoriale guidato da Nazarbayev;
   Ablyazov era sospettato di essere in Italia, nella villetta di Casalpalocco dove dal 2012 risiedevano, con regolare permesso di soggiorno, la moglie Alma e la figlia Alua;
   l'Eni avrebbe confermato la presenza a Roma di Ablyazov, passando la notizia ai servizi italiani, che avrebbero a loro volta avvisato il dissidente kazako per permettergli la fuga in Inghilterra, dove gode di diritto d'asilo;
   questa scelta dei servizi italiani sarebbe stata dettata dall'essere, l'eventuale cattura di Ablyazov su suolo italiano, eccessivamente sensibile politicamente;
   sempre nella ricostruzione di «Report» si dice che tali eventi avrebbero insospettito l'ambasciata kazaka, che avrebbe di conseguenza preteso dall'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni di risolvere la faccenda;
   a quel punto Scaroni avrebbe contattato Valentino Valentini, l'uomo che tiene i contatti di Berlusconi con la Russia ed il mondo ex sovietico, attivandolo per informare il Viminale;
   da ciò sarebbe scaturito il tristemente famoso blitz che portò alla cattura di Alma Shalabayeva e della piccola Alua;
   una fonte di «Report» che ha preferito rimanere anonima, dirigente del mondo Eni, ha riferito che l'Eni non poteva dire di no alle incessanti pressioni kazake, e che pur avendo scelto di tenere nascosta la fuga di Ablyazov, il sacrificio di Alma ed Alua, catturate e deportate illegittimamente, era necessario al fine di accontentare il regime di Nazarbayev consegnandogli due pedine da utilizzare nella grande caccia al dissidente Ablyazov;
   l'Eni ha un'importante partecipazione nel giacimento petrolifero kazako di Kashagan, il più grande mai scoperto negli ultimi trent'anni, e questo sarebbe il motivo che, secondo «Report», avrebbe permesso ai kazaki di ricattare l'azienda;
   nell'inchiesta trasmessa lunedì s’è parlato anche di Unicredit: l'istituto comprò alcuni anni fa una banca kazaka, l'Atf;
   qualche mese fa l'Atf è stata venduta, a prezzo di gran lunga inferiore rispetto al suo valore iniziale, a un giovane uomo del Paese ex sovietico;
   ciò risulta certamente sospetto, e la ricostruzione di «Report» ipotizza che l'acquisto di Atf sia servita a ripianare le penali di Eni, che non era riuscita a rispettare la tabella di marcia sui lavori a Kashagan;
   l'ex capo di gabinetto del Ministro Alfano, Giuseppe Procaccini, intervistato nell'occasione da Paolo Mondani, ha affermato che il Ministro dell'interno sapeva tutto, nonostante tuttora dichiari di non essere mai stato informato;
   «consulente» del Presidente Nazarbayev risulta essere Silvio Berlusconi, ed un incontro tra i due è avvenuto in Sardegna nel luglio di quest'anno;
   aver espulso Alma Shalabayeva e sua figlia Alua per poi essere costretti, il 12 luglio 2013, a ritirare rocambolescamente quell'espulsione, dichiarandola illegittima, ha esposto il nostro Paese a una delle peggiori figure diplomatiche della sua storia;
   attualmente Alma Shalabayeva è agli arresti domiciliari in Kazakistan, un Paese che tutte le organizzazioni in difesa dei diritti umani del mondo definiscono una dittatura di fatto;
   i fatti narrati sono stati riportati su diversi organi di stampa: citiamo ad esempio l'articolo pubblicato da «Il Corriere della Sera» il 26 novembre dal titolo «Le pressioni dell'Eni sui servizi italiani per il caso Ablyazov», l'articolo dal titolo «Caso Shalabayeva: la spy story dell'anno», pubblicato dall'edizione online del quotidiano «Il Corriere della Sera» il 25 novembre e l'articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano «Europa» sempre il 25 novembre dal titolo «Gabanelli riapre il caso Shalabayeva. O è solo una guerra Report-Eni ?» –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, siano in grado di confermare o smentire la ricostruzione fatta da «Report»;
   quali misure siano state prese e quali azioni si intenda intraprendere per verificare in tempi rapidi le nuove informazioni venute alla luce grazie all'inchiesta in questione;
   quali misure intendano prendere per accertare eventuali responsabilità di chi fa parte dei servizi italiani o del Ministero dell'interno;
   se non ritengano opportuno intervenire dal punto di vista diplomatico per garantire il rispetto dei diritti di Alma Shalabayeva e permetterle di rientrare in Italia con la figlia Alua. (4-02708)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   grotte e cavità naturali costituiscono un patrimonio naturale di estrema importanza che va tutelato con determinazione;
   in Friuli Venezia Giulia secondo il catasto regionale delle grotte – istituito nel 1966 e oggi gestito in convenzione dalla Federazione speleologica regionale – sono presenti circa 7.500 cavità sotterranee, 25 delle quali assoggettate a tutela paesaggistica in virtù delle eccezionali caratteristiche di interesse geologico, preistorico e storico;
   dal 1990 il Gruppo grotte del Club alpinistico triestino (CAT) ha avviato una campagna d'informazione sulle grotte inquinate, ostruite e distrutte di cui ha regolarmente aggiornato l'elenco, inviato successivamente al catasto competente;
   secondo i dati raccolti dal CAT, nel 2000 erano ben 383 le cavità sotterranee che presentavano situazioni di degrado di vario tipo, ridotte oggi a 359 (sul versante del Carso triestino) grazie a vari interventi volontari delle associazioni speleologiche locali;
   i 359 ipogei naturali versano in uno stato di degrado allarmante: 52 risultano inquinati, 54 presentano rifiuti, 236 sono ostruiti e 17 addirittura distrutti. Inoltre nella provincia di Gorizia sono presenti 18 grotte ampiamente compromesse (3 inquinate, 4 con abbandono di rifiuti, 9 ostruite e 2 distrutte);
   l'elenco stilato dal CAT non comprende le innumerevoli cavità artificiali del territorio che presentano, in buona parte, l'abbandono di rifiuti anche all'interno del perimetro urbano di Trieste;
   sono necessari interventi urgenti e sistematici per il recupero di queste grotte ampiamente compromesse dall'incuria e da comportamenti irresponsabili che ne hanno minato lo stato naturale;
   all'interrogante non risultano azioni di monitoraggio sia nazionale che regionale – da parte dell'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) e delle aziende sanitarie locali – per gli ipogei naturali maggiormente inquinati. Inoltre la regione Friuli Venezia Giulia, in assenza di un piano paesaggistico, ha finanziato azioni di bonifica in maniera sporadica, senza vincolo di destinazione;
   la direttiva 92/43/CEE «Habitat» – recepita dal regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modifiche – ha istituito la rete ecologica «Natura 2000» dell'Unione europea per la conservazione della biodiversità;
   questa rete è costituita da siti di interesse comunitario (SIC) – individuati dai singoli Stati membri e successivamente designati come zone speciali di conservazione (ZSC) – e comprende anche le zone di protezione speciale (ZPS) istituite ai sensi della direttiva 2009/147/CE «Uccelli» sulla conservazione dei volatili selvatici, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 157 del 1992 sulle norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   l'allegato A della direttiva include grotte, cavità naturali e ghiaioni tra i tipi di habitat di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di aree speciali;
   per le zone speciali di conservazione gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie, finalizzate a preservarle dal degrado, potendo ricorrere anche a cofinanziamenti comunitari –:
   se il Ministro interrogato, in necessario raccordo con gli enti locali, intenda assumere iniziative per avviare il monitoraggio delle grotte inquinate, per favorirne la bonifica, tenendo presente che trattandosi per lo più di terreno carsico dovrebbero essere controllate con particolare attenzione quelle contenenti combustibili;
   se siano già stati richiesti, o se s'intendano richiedere, cofinanziamenti all'Unione europea ai sensi della direttiva 92/43/CEE per la tutela delle zone speciali di conservazione costituite da habitat rocciosi e grotte. (4-02693)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il fiume Clitunno è il maggior corso d'acqua, di portata regolare, della Valle Sud dell'Umbria, dal comune di Campello fino a Bevagna, attraversa la regione per circa 16 chilometri;
   nel 2009, l'ARPA Umbria ha svolto un'indagine sull'inquinamento del fiume e dei suoi sedimenti i cui risultati si sono rivelati molto importanti poiché hanno dimostrato, attraverso l'assenza sul fondale di particolari organismi, l'alto livello di inquinamento del bacino idrico;
   tra le azioni proposte per il miglioramento della qualità ambientale del fiume è stata riscontrata la necessità di intervenire nei punti critici, asportando i depositi di sedimenti fini dal letto fluviale, mediante opportune tecniche ingegneristiche: «tale necessità nasce dal fatto che i depositi sono caratterizzati da un'ecotossicità diffusa delle acque interstiziali (oltre il 60 per cento dei campioni esaminati) e da un impatto visivo/olfattivo decisamente sgradevole»;
   nel rapporto dell'ARPA si legge, inoltre, che la rimozione dei sedimenti fini deve essere necessariamente abbinata ad un piano di riutilizzo o smaltimento del materiale estratto dall'alveo... la destinazione del materiale rimosso dall'alveo, se spostato all'interno delle acque superficiali, è subordinata a quanto espressamente indicato nella Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo del 19 novembre 2008, articolo 2, comma 3 («se è provato che i sedimenti non sono pericolosi»);
   per il progetto di bonifica e riqualificazione ambientale del reticolo idrografico del fiume Clitunno – aggravata moltissimo con l'esplosione del 2006 avvenuta nella raffineria Umbria Olii s.p.a. – sono stati stanziati nel 2012 dalla regione Umbria 2 milioni di euro;
   il progetto di bonifica prevede una serie di attività e oltre alla valorizzazione idraulica ed eco-ambientale del fiume, c’è anche la manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché l'esecuzione di interventi di miglioramento delle acque, di miglioramento degli elementi eco-naturalistici e della fruibilità da parte della collettività per attività ludico-sportive e socio ricreative;
   nel 2013 sono stati avviati i primi lavori di bonifica sul letto del Clitunno, in particolare per l'attività di dragaggio e il relativo riversamento di fanghi e rifiuti sulle sponde dello stesso fiume;
   ad oggi gli argini del fiume – nei pressi dei quali passa anche una pista ciclabile – risultano maleodoranti e pieni di rifiuti di qualsiasi genere, dimensione e natura, e non è chiaro, agli occhi degli interroganti, se la presenza di tali rifiuti sul terreno adiacente il corso d'acqua sia compatibile con la salubrità dell'ambiente circostante, nonché del terreno e delle stesse acque e che sia cioè accertata la loro «non pericolosità» secondo quanto previsto dalla direttiva suddetta;
   lungo il corso del Clitunno insistono, inoltre, numerose aziende agricole, le quali usufruiscono pressoché totalmente delle acque del fiume per alimentarsi;
   non è chiaro, agli occhi degli interroganti, se siano stati fatti degli studi atti – tale decisione sulla pericolosità è stata demandata ad un «tavolo tecnico con altri soggetti interessati» – a provare che il numeroso materiale presente lungo gli argini del fiume non siano pericolosi e che non ci sia il rischio che materiale pericoloso possa infiltrarsi nel terreno o tornare a contaminare le stesse acque del fiume e di conseguenza anche i prodotti agricoli coltivati nella zona;
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti e se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, valutare l'opportunità di monitorare, anche per il tramite dell'autorità di bacino e del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, la situazione ambientale del fiume Clitunno e il livello di inquinamento determinato dai rifiuti di cui in premessa ai fini della tutela dell'ambiente e del paesaggio del Clitunno, nonché dei prodotti agroalimentari coltivati lungo il suo corso.
(4-02702)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 1° febbraio 2008 si è tenuta in Puglia, precisamente a Taranto, una seduta della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse”, per fare luce sulle situazioni positive e sulle criticità connesse alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti in Puglia e per accertare eventuali infiltrazioni criminali. Alla seduta hanno partecipato, oltre ai presidenti e ai tecnici delle province di Taranto, Lecce e Brindisi, anche il procuratore del distretto antimafia di Lecce, Cataldo Motta, accompagnato dal sostituto procuratore, Valeria Mignone;
   l'intervento del procuratore Motta, in particolare, fa riferimento alla presenza di fenomeni criminosi a caratterizzazione mafiosa nella zona del Salento. Il dottor Motta cita i pentiti Silvano Galati e Vito Di Emidio, quali informatori delle attività illecite di smaltimento di rifiuti tossici e pericolosi, che hanno interessato, secondo le dichiarazioni dei pentiti e secondo quanto riferito dal procuratore, i territori di Taurisano, Supersano, Ruffano e Casarano. Nello specifico, il dottor Motta riferisce alla Commissione che «In questa indagine sono state svolte investigazioni anche sul territorio con il sistema della differenza termica, cioè il sistema MIVIS (Multispectral infrared visible imaging spectrometer). Si trattava anche in questo caso di rifiuti speciali, perché alcune aziende lavoravano metalli per i calzaturifici e altre operavano comunque sempre nel settore calzaturiero, quindi si trattava di rifiuti pericolosi», come si evince a pagina 42 del resoconto stenografico;
   a quanto risulta dagli atti e dal resoconto della stessa Commissione, il procuratore Motta avrebbe fornito al presidente della Commissione, copie dei risultati derivanti dalle indagini effettuate tramite il sistema MIVIS su citato, indicando le aree di maggiore criticità dal punto di vista ambientale;
   il 22 novembre 2013 sono state rese note le documentazioni delle indagini, effettuate nel 2004, che hanno evidenziato, di fatto, differenze termiche fra i terreni delle zone citate. Tuttavia, a quanto si apprende, le indagini del 2004 facevano parte di una semplice ricognizione e non di un'operazione sistemica che facesse luce sulle motivazioni delle differenze termiche e sugli agenti che le causavano. Al momento non risultano, infatti, ulteriori atti investigativi, come ad esempio scavi, che appurassero la natura degli inquinanti, come non risulta alcuna opera di messa in sicurezza ed eventuale bonifica dei territori coinvolti. Va considerato che la zona in questione è densa di colture e che l'agricoltura ha quindi una dimensione importante nell'economia locale –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione e se abbiano informazioni precise riguardo ai luoghi interessati dallo smaltimento illecito di rifiuti speciali e/o pericolosi;
   se risulta se siano stati effettuati degli scavi nelle zone in cui si è apprezzata una differenza termica o per quale motivo si sia deciso di non intervenire con apposite verifiche. (4-02703)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 novembre 2013 sulla testata giornalistica «Messaggero Veneto», si è appresa la denuncia di una cittadina che, a Buttrio (UD) percorrendo via Sottomonte in autovettura, ha avvistato sul manto stradale un cinghiale ferito, probabilmente urtato in precedenza da un autoveicolo;
   la stessa si è attivata per soccorrere l'animale contattando il numero verde del Corpo forestale, che ha indicato poi nel Corpo di vigilanza della provincia, l'autorità competente ad intervenire;
   tuttavia, la signora contattando il Corpo di vigilanza della provincia ha verificato che lo stesso dopo le ore 19,00 non è disponibile, né viene in qualche modo reso noto come un utente della strada debba agire qualora ci si imbatta in un animale ferito;
   la legge 11 febbraio 1992, n. 157 ha statuito che la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato e che la regione è competente ad emanare norme relative alla gestione e tutela della stessa;
   la medesima legge ha ripartito le competenze in materia, attribuendo alle regioni funzioni di coordinamento, programmazione, controllo e sostitutive, nonché conferendo alle province funzioni amministrative anche in materia di protezione della fauna;
   le province, territorialmente competenti, in attuazione della legge n. 142 dell'8 giugno 1990, esercitano funzioni di gestione, istituendo appositi uffici ed articolandosi anche con strutture tecnico-faunistiche e, qualora vi siano casi di inadempienze e gravi violazioni di leggi, regolamenti e direttive regionali, al termine di novanta giorni dal sollecito, la regione è specificatamente deputata a sostituirsi alle province per l'adozione degli atti di competenza;
   in generale, la responsabilità relativa alla gestione degli animali appartenenti alla fauna selvatica è delegata alle province e, laddove l'animale si trovi all'interno di area protetta, degli enti gestori della riserva o del parco, salvo i poteri sostitutivi della regione in caso di inadempienze;
   l'ente responsabile della gestione degli animali di fauna selvatica deve prevedere i mezzi idonei affinché vengano soccorsi animali coinvolti in sinistri stradali o che comunque vengano avvistati già feriti sul manto stradale;
   inoltre, la pubblica amministrazione deve adeguatamente informare gli utenti della strada sulle idonee procedure da espletare nel caso in cui si imbattano, sulla strada di percorrenza, in un animale della fauna selvatica ferito e/o qualora si verifichi un sinistro a causa della presenza dell'animale;
   è, dunque, allarmante apprendere che il Corpo di vigilanza della provincia di Udine non era disponibile ad intervenire per soccorrere un animale ferito in strada, a tutela di quest'ultimo e degli utenti, che avrebbero potuto rischiare un sinistro stradale a causa della presenza dell'animale sulla strada di percorrenza;
   a prescindere dall'ente responsabile, è altresì grave che i cittadini non vengano adeguatamente informati dalla pubblica amministrazione sulle procedure da espletare e le autorità responsabili a cui rivolgersi in tali casi –:
   se il Ministro adotterà idonee iniziative di competenza affinché siano definite le opportune misure a tutela degli animali di fauna selvatica e degli utenti della strada, anche predisponendo un piano informativo per i cittadini in modo che siano a conoscenza delle autorità a cui rivolgersi e delle procedure da svolgere nel caso verifichino la presenza di un animale della fauna selvatica sul manto stradale;
   se intenda predisporre, per quanto di competenza, delle iniziative affinché, siano tutelati gli animali (della fauna selvatica e non) che coinvolti in dei sinistri stradali vengano avvistati feriti sul manto stradale, ciò sia a tutela degli animali stessi che degli utenti della strada. (4-02710)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VII Commissione:


   GALAN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il problema della qualificazione dei restauratori si riverbera, come noto, da troppi anni sulla qualità del restauro italiano, incidendo negativamente sul profilo professionale degli operatori del settore;
   il protrarsi di questa condizione d'incertezza penalizza in particolare coloro che, pur avendo maturato i requisiti per la qualificazione già nel 2001 (in armonia con l'articolo 182 del Nuovo codice dei ceni culturali), non hanno visto realizzarsi un'aspettativa legittimamente conseguita con un percorso in cui si è spesso consumata un'intera vita professionale, dall'esordio del periodo formativo di studio fino all'esperienza lavorativa maturata sul campo con un'attività che costituisce il tessuto stesso delle imprese specialistiche che operano ad altissimo livello, ma purtroppo in modo misconosciuto;
   la controversa emanazione del nuovo articolo n. 182 (legge n. 7 del 14 gennaio 2013), ha avuto, soprattutto, l'effetto di aggravare uno scenario problematico, compromettendo ulteriormente il diritto al riconoscimento della qualifica professionale, anziché dirimerlo, dal momento che si rende complessa l'individuazione di parametri certi di applicazione nelle linee guida, che dovrebbero individuare detti parametri, per avviare rapidamente la procedura si selezione;
   il perdurare di questo stato critico è aggravato dall'entrata in vigore già dal 2009 della norma a regime che disciplina il conseguimento del titolo di laurea quinquennale, o in alternativa il diploma presso le accademie e gli Istituti accreditati;
   se da un lato il nuovo articolo 182 ha scardinato l'impianto del vecchio articolato, proprio mentre giungeva nella fase di avvio della procedura di selezione, dall'altro palesa numerose incongruenze. Il disegno di legge presentato dall'interrogante in qualità di Ministro, nel 2011, mirava, infatti, a superare la procedura di selezione avviata nel 2009 per la quale erano già state presentate oltre 15.000 domande;
   tale articolo 182 dimostra di non essere in grado, a meno di non inserire opportuni correttivi, di garantire aderenza al profilo caratterizzante la professione di cui al decreto ministeriale n. 86 del 2009, soprattutto per il mancato recepimento nella legge di un requisito fondamentale come quello della responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento. Il pericolo insito in questa situazione è che si possa cogliere l'occasione per una semplificazione dei problemi che mira ad una deleteria sanatoria;
   il testo della circolare n. 53 del 2009, emanato in occasione del bando poi sospeso, infatti, in modo appropriato e dettagliato tutti gli adempimenti necessari da espletare in caso di candidatura e soprattutto il tipo di documentazione che intende validarsi, soffermando l'attenzione sulla necessità di accertare in modo inequivocabile il ruolo di responsabilità diretta che il candidato ha ricoperto nell'ambito dei lavori e la dimostrazione del requisito della gestione tecnica dell'intervento, consentendo che tale accertamento fosse dimostrabile unicamente mediante documenti siglati dall'autorità preposta alla tutela –:
   se si intenda procedere alla messa a regime della norma transitoria, proponendo di attenersi a quanto stabilito dalla circolare n. 53 del 2009 e se vi sia intenzione a valutare l'opportunità di costituire un tavolo tecnico che preveda la partecipazione di associazioni di restauratori, rappresentative a livello nazionale delle professioni regolamentate o non regolamentate in possesso dei requisiti indicati agli articoli 1 e 2 del decreto ministeriale 28 aprile 2008 ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo 9 novembre 2007 n. 206 e successive modificazioni e integrazioni, al quale affidare il compito di procedere alla definizione degli orientamenti e dei contenuti delle linee guida applicative dell'articolo 182 e successive modificazioni e integrazioni.
(5-01585)


   COSCIA e FIANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   mercoledì scorso, 16 ottobre 2013, è stato solennemente celebrato il settantesimo anniversario della razzia del ghetto di Roma, a seguito della quale furono deportati 1.024 ebrei, 16 soli dei quali fecero ritorno dai campi;
   in quella occasione è stato ancora una volta riaffermato con forza l'impegno di tutte le istituzioni a tenere viva la memoria di quanto accaduto e a contrastare l'insorgenza di nuovi fenomeni di antisemitismo e di razzismo;
   quasi contestualmente, la fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea CDEC onlus, che è indubbiamente il più importante ente culturale operante nel settore della documentazione storica relativa alla Shoah in Italia e della lotta all'antisemitismo, ha ricevuto la notizia di un'ulteriore decurtazione del contributo ad essa spettante a norma della legge 15 ottobre 2009, n. 155;
   il CDEC è uno dei pochi enti culturali nazionali «di eccellenza» con sede a Milano; la sua attività ha ricevuto ampio riconoscimento internazionale; il sito istituzionale, molto curato e ricco di documentazione (www.cdec.it), ha un ampio numero di visitatori;
   i suoi fini istituzionali consistono (articoli 2 e 3 dello statuto) nel promuovere lo studio delle vicende, della cultura e della realtà degli ebrei, con particolare riferimento all'Italia ed all'età contemporanea, assicurando la raccolta di ogni relativa documentazione nei propri Archivi e nella propria Biblioteca. Tramite la sua attività la Fondazione intende contrastare ogni forma di razzismo e antisemitismo, anche al fine di promuovere la tutela dei diritti civili al riguardo. La Fondazione conserva nel tempo, tramite le sue strutture e la sua attività, la memoria della persecuzione antiebraica fascista e nazista. A tal fine la Fondazione conduce e promuove studi, ricerche ed iniziative relativi all'ebraismo, in particolare italiano, la sua storia e cultura, l'antisemitismo e il razzismo, secondo i criteri del rigore del metodo e nell'indipendenza della ricerca e mantiene una importante biblioteca specializzata, l'archivio di preziosa documentazione storica e la raccolta documentaria sull'antisemitismo. Lo statuto del CDEC delinea pertanto un ruolo culturale e sociale di ordine generale, relativamente alla vita e alla cultura della minoranza ebraica in Italia, alla memoria e alla conoscenza della Shoah, alla documentazione dell'antisemitismo odierno, all'azione divulgativa e didattica su detti temi;
   per questi motivi la legge n. 155 del 2009 ha riconosciuto un contributo speciale, e aggiuntivo rispetto ad altri sostegni specifici di amministrazioni ed enti pubblici (compreso lo stesso Ministero dei beni e delle attività cultura) e privati;
   tale contributo, pari a 300,000 euro, è stato decurtato nel corso degli anni, nell'ambito delle iniziative messe in atto per la riduzione della spesa pubblica: nel 2012 è stato di 250.000 euro; per il 2013 è pari a 183.000 euro, a fronte di un bilancio che assomma a circa 600.000 euro annui, derivanti, oltre che dal contributo statale, da finanziamenti provenienti da soggetti pubblici e privati, anche dall'estero;
   l'ulteriore taglio del 30 per cento mette in grave pericolo la prosecuzione delle attività della Fondazione –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire al CDEC, a partire dal 2014, il contributo tuttora formalmente riconosciuto per legge. (5-01586)


   SANTERINI, MATARRESE e ZANETTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 31 del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei beni culturali e ambientali) prevede che in caso di restauro e di altri interventi conservativi autorizzati su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore del bene, il Soprintendente si pronuncia, a richiesta dell'interessato, sull'ammissibilità dell'intervento ai contributi statali previsti e certifica eventualmente il carattere necessario dell'intervento stesso ai fini della concessione delle agevolazioni tributarie previste dalla legge;
   l'ammissione dell'intervento autorizzato ai contributi statali previsti dal citato decreto legislativo è disposta dagli organi del Ministero in base all'ammontare delle risorse disponibili, determinate annualmente con decreto ministeriale, adottato di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze;
   il successivo articolo 36 del Codice dei beni culturali e ambientali prevede anche la possibilità che il Ministero eroghi acconti sulla base degli stati di avanzamento dei lavori regolarmente certificati e a meno che la proprietà non abbia già ricevuto acconti durante l'esecuzione stessa dei lavori;
   attualmente sono numerose le richieste inevase di erogazione sia dei contributi che degli anticipi dei medesimi agli interessati che hanno spesso affrontato spese considerevoli per restaurare o conservare il bene culturale –:
   a quanto ammontino le somme ancora in attesa di erogazione per interventi conservativi, degli eventuali acconti relativi e per quali singoli anni. (5-01587)


   SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, BATTELLI, DI BENEDETTO, BRESCIA, D'UVA, MARZANA e VACCA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 11, comma 3 dei decreto-legge, 8 agosto 2013, n. 91, convertito con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, è prevista la nomina di un commissario straordinario del Governo per sovrintendere ai piani di risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche che versino nelle condizioni previste dal comma 1 dello stesso articolo, ovvero non possano far fronte al debiti certi ed esigibili da parte di terzi, ovvero che siano state in regime di amministrazione straordinaria negli ultimi due anni, ma non abbiano ancora completato la ricapitalizzazione;
   i piani di risanamento di cui all'articolo 11, comma 1 del decreto-legge n. 91 del 2013, presentano condizioni inderogabili che gravano pesantemente sulle spalle dei lavoratori del settore, tra cui la cessazione dei contratti integrativi in vigore, assieme a rigidissime norme finanziarie, come il raggiungimento dell'attivo patrimoniale ed almeno del pareggio di bilancio entro tre anni;
   risulta quindi delicatissimo il ruolo del commissario, che secondo quanto previsto dal decreto «Valore cultura», potrà chiedere le modifiche ai piani di risanamento e di adottare tutti gli atti in via sostitutiva per assicurare la coerenza delle azioni con il piano di risanamento approvato;
   il già citato comma 3 dell'articolo 11 del decreto legge n. 91 del 2013, dispone che il commissario straordinario del Governo debba avere «comprovata esperienza di risanamento nel settore artistico-culturale»;
   a giudizio degli interroganti, sarebbe auspicabile, inoltre, che il commissario straordinario, al fine di adempiere adeguatamente a tale compito, abbia maturato esperienze nel settore lirico-sinfonico, in modo da conoscerne le specificità ed essere in grado di individuare le peculiarità degli enti lirici;
   in data 22 novembre 2013, con un comunicato stampa sulla pagina del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, si annunciava la nomina di Pier Francesco Pinelli quale «Commissario straordinario del Governo per il risanamento delle gestioni e il rilancio delle attività delle Fondazioni lirico-sinfoniche»;
   l'ingegner Pinelli è ingegnere idraulico, attualmente presidente della TotalErg SpA; inoltre, dal suo curriculum vitae emerge che, precedentemente, egli ha ricoperto unicamente incarichi presso aziende del settore petrolifero ed energetico –:
   quali siano le comprovate competenze ed esperienze che hanno portato il Ministro interrogato, d'intesa con il Ministro Saccomanni, a nominare l'ingegner Pinelli come commissario straordinario del Governo per sovrintendere ai piani di risanamento delle Fondazioni lirico-sinfoniche. (5-01588)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il settore cinematografico e i linguaggi audiovisivi rappresentano uno dei punti qualificanti e più importanti del panorama culturale italiano, in cui sono impegnati centinaia di migliaia di professionisti, maestranze e volontari. In questo panorama hanno un ruolo determinante le Associazioni Nazionali di Cultura Cinematografica, così come definite dall'articolo 44 della legge 4 novembre 1965, n. 1213 e dagli articoli 18 e 19 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28;
   attualmente nel nostro Paese sono riconosciute nove Associazioni nazionali di cultura cinematografica (ANCCI Associazione nazionale circoli cinematografici italiani fondata nel 1973, CGS Cinecircoli giovanili socioculturali fondata nel 1967, CINIT Cineforum italiano fondata nel 1967, CSC Centro studi cinematografici fondata nel 1948, FEDIC Federazione italiana dei cineclub fondata nel 1949, FIC Federazione italiana cineforum fondata nel 1956, FICC Federazione italiana dei circoli del cinema fondata nel 1947, UCCA Unione circoli cinematografici Arci fondata nel 1967, UICC Unione italiana dei circoli del cinema fondata nel 1951). Queste svolgono un ruolo fondamentale e insopprimibile nella diffusione della cultura cinematografica in Italia e all'estero, perché contano su una rete di circa 1.000 circoli locali, presenti su tutto il territorio nazionale, i circoli del cinema, tramite i quali, per legge, le Associazioni nazionali, svolgono «attività di cultura cinematografica attraverso proiezioni, dibattiti, conferenze, corsi e pubblicazioni» e alle quali, sempre per legge «viene concesso un contributo annuo, commisurato alla struttura organizzativa dell'associazione, nonché all'attività svolta dalla stessa nell'anno precedente»;
   il settore promozione cinema dal 2008 ad oggi è stato oggetto di tagli continui e progressivi, anche in anni, come il 2011, in cui il Fondo unico per lo spettacolo non è stato, di fatto, tagliato. E all'interno del settore promozione cinema, a pagare maggiore dazio sono state certamente le Associazioni nazionali di cultura cinematografica. Osservando l'andamento dei finanziamenti negli ultimi anni, infatti, si apprezza che nel 2008 lo stanziamento ministeriale per le Associazioni nazionali ammontava complessivamente a un milione e 250 mila euro per l'insieme dei 9 soggetti nazionali riconosciuti, grazie ad un aumento del Fus da parte del Governo allora in carica. Nei 2009, lo stanziamento è stato ridotto ad un milione complessivo, nel 2011 a 700.000,00 euro, e infine nell'anno 2013 si è arrivati ad un contributo di 600.000 euro complessivi;
   nel breve volgere di quattro anni, le Associazioni nazionali di cultura cinematografica hanno subito un taglio del 40 per cento rispetto a quanto previsto dalla Commissione ministeriale nel 2008;
   il settore, cinematografico, come un pò tutto il settore della cultura e dei beni architettonici e museali nel nostro Paese, vive una situazione molto difficile. Si consideri, ad esempio, il ritmo con cui assistiamo quotidianamente alla chiusura di sale cinematografiche nelle città, o alla difficoltà di alcune produzioni di qualità di varcare la soglia che consentirebbe la fruizione e la visione ad un pubblico più vasto e variegato. Le Associazioni nazionali del cinema, in molti casi e in molte parti del territorio italiano, riescono a colmare queste enormi lacune e garantiscono un servizio utile alla promozione dei linguaggi audiovisivi e alla formazione del pubblico –:
   se il Ministro intenda integrare il finanziamento alle Associazioni nazionali di cultura cinematografica, riportandolo ai livelli del 2008 e ripristinare i finanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo sottratti negli ultimi cinque anni. (5-01589)


   DI LELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i Campi Flegrei, insieme unico ed inscindibile di geologia, storia, natura, archeologia, architettura e letteratura sono uno dei più straordinari territori d'Europa;
   sono molteplici le emergenze archeologiche nell'area flegrea, e in particolare riguardano il Castello di Baia, le Terme monumentali, la Grotta di Cocceio al lago d'Averno, l'Anfiteatro, il Tempio di Serapide, lo Stadio di Antonino Pio e la Necropoli di San Vito a Pozzuoli: un decalogo di strutture che da anni sono destinate al completo abbandono, al degrado e all'incuria, trasformate abusivamente in discariche;
   a causa del degrado provocato da un'edilizia abusiva particolarmente diffusa, i Campi Flegrei non sono entrati a far parte del patrimonio Unesco, malgrado i numerosi tentativi portati avanti anche dal Ministero per i beni e le attività culturali;
   i costanti tagli ai finanziamenti statali hanno contribuito in larga parte al repentino peggioramento dell'area Flegrea, che sembra oggi interessare gran parte del patrimonio artistico-culturale da cui le regioni del mezzogiorno potrebbero trarre beneficio così da poterne fare un valido volano per il rilancio del territorio;
   la scarsità di fondi, inoltre, costringe le aree archeologiche dei Campi Flegrei a rimanere chiuse al pubblico data la mancanza di personale, la poca sicurezza all'interno delle strutture, la mancanza delle infrastrutture necessarie per le visite dei turisti, come ad esempio una cabina elettrica per la visita notturna della Torre a Tenaglia del Castello di Baia, rimasta non finanziata per l'inerzia della commissione mista Stato-regione;
   in particolare e con riferimento all'anfiteatro Flavio la direzione regionale per i beni archeologici del Ministero ha partecipato, nel marzo scorso, ad un bando della regione per l'asse 1.9 con la richiesta di 2 milioni e mezzo per gli interventi di ristrutturazione dello stesso sottolineando, nella documentazione allegata, tutte le criticità del sito; progetto che all'epoca fu bocciato dalla commissione regionale che orientò i finanziamenti su progetti di altri richiedenti;
   la regione Campania negli anni 2000/2006 ha finanziato con i fondi del Programma operativo regionale (POR), il Progetto integrato territoriale (PIT) per un ammontare di circa 150 milioni di euro, dedicato esclusivamente ai Campi Flegrei, con l'intento non solo di restaurarne i grandi monumenti archeologici emergenti, ma anche monumenti da sempre in vista ma mai oggetto di valorizzazione e nuovi scavi;
   l'Accordo di programma quadro (APQ) sottoscritto dal Ministero per i beni e le attività culturali e dalla regione Campania durante l'amministrazione del Ministro Melandri, che prevedeva forme di gestione innovative anche con la partecipazione di privati che sostituissero la fatale insufficienza da parte del Ministero per i beni e le attività culturali è rimasto bloccato durante i Ministeri Urbani e Rutelli e per buona parte del Ministro Bondi;
   con il Ministro Galan si è rimessa all'opera una commissione mista, presieduta da ultimo dal direttore regionale G. Angelini, che tuttavia non ha concluso i suoi lavori; i lavori, come da accordi, avrebbero dovuto proseguire nell'anno successivo sotto la direzione di un funzionario regionale che, l'amministrazione del governatore Caldoro non ha mai provveduto a nominare;
   molti degli interventi del PIT inerenti i Campi Flegrei avrebbero dovuto comunque concretizzarsi, dato che non si era riusciti a portare a termine con i primi finanziamenti gli interventi previsti inizialmente, anche in conseguenza dei ricorsi tra Imprese che, numerosissimi si sono susseguiti all'epoca delle precedenti Soprintendenze;
   l'attuale amministrazione regionale, con la ripresa degli interventi del POR, non ha stanziato alcuna somma per i Campi Flegrei, dichiarando che i suddetti siti hanno già in passato ricevuto ingenti finanziamenti;
   la colpa della devastazione e dell'abbandono in cui versano oggi questi siti archeologici e naturali non è attribuibile solo ad una inadeguata gestione dei fondi e delle risorse attribuite al mantenimento degli stessi ma anche e soprattutto, ad una scarsa e quasi inesistente supervisione da parte degli organi locali e regionali –:
   quali iniziative il Governo ritiene assumere per tutelare questo straordinario patrimonio con risorse proprie e/o attraverso l'erogazione di finanziamenti di Fondi europei finalizzati all'avvio e alla realizzazione, in collaborazione con la regione Campania di un grande progetto «Campi Flegrei» da destinare alla riorganizzazione infrastrutturale del tessuto ambientale, al restauro dei beni architettonici e archeologici dei siti del progetto, al fine di rivitalizzare i settori turistico, culturale e ambientale con ricadute benefiche sulle attività imprenditoriali e occupazionali in un territorio a naturale vocazione paesaggistica e che vanta un patrimonio unico da tutelare. (5-01590)


   BUONANNO e MOLTENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni vi è tra i campioni del ciclismo italiani e stranieri, l'usanza di donare propri cimeli al Santuario del Ghisallo: tra questi vi sono ad esempio le biciclette usate da Bartali, Coppi e Merckx nelle loro vittorie al Tour de France, la bici speciale usata da Moser per il record dell'ora e diverse maglie rosa, gialle e iridate;
   negli anni novanta questi cimeli erano ormai tanto numerosi da non trovare più posto nella piccola chiesetta: è stato perciò ideato il progetto di un Museo del ciclismo, da erigere a fianco del santuario. A presiedere il comitato per la realizzazione del museo è stato chiamato Fiorenzo Magni;
   il museo è stato inaugurato il 14 ottobre 2006, in occasione del Giro di Lombardia 2006, con una cerimonia alla quale hanno partecipato diversi campioni del presente e del passato;
   il museo si sviluppa su tre piani e comprende anche una raccolta multimediale di materiale sul ciclismo. I cimeli più importanti continuano comunque ad essere esposti nella chiesa del santuario;
   all'interno del Museo è esposta la più grande collezione di Maglie Rosa al mondo, grazie al progetto Giro for Ghisallo le maglie rosa originali, dagli anni 30’ ad oggi, recuperate e che si possono ammirare all'interno della sala principale sono più di 50;
   nel piazzale del santuario c’è la statua di due grandi ciclisti, Coppi e Bartali; nel 2011 vi è stato posto anche il busto di Binda;
   la struttura rischia di non riaprire il prossimo mese di marzo a causa della mancanza di fondi;
   sarebbe necessario invece assicurare il mantenimento del museo in vista di Expo 2015;
   sono circa 28 mila i visitatori che annualmente visitano questo sito ed è importante che lo stesso abbia tutta la visibilità che merita, legata anche a un discorso di promozione globale delle peculiarità del territorio –:
   se il Ministro interrogato intenda reperire le risorse economiche necessarie ad assicurare la continuazione dell'attività del museo, anche promuovendo una collaborazione tra istituzioni, federazione ciclistica, società professionistiche legate al ciclismo e appassionati di mountain bike o attraverso iniziative che valorizzino lo sport e la cultura, coinvolgendo anche le scuole, oppure inserendo il museo in alcuni percorsi turistici. (5-01591)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE, BECHIS, PRODANI, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo a firma di Tomaso Montanari, pubblicato sul Il Fatto Quotidiano, in data 16 novembre 2013, numerosi siti culturali e artistici si sono ormai trasformati in una macchina di speculazione da parte di società private che attraverso conoscenze e «amicizie» riescono ad avere in gestione gli stessi e guadagnare cifre enormi senza permettere un adeguato ritorno alla collettività;
   nell'articolo suddetto si elencano vari casi con relative criticità come per esempio San Francesco di Arezzo (con gli affreschi di Piero della Francesca), definito ormai «museo» ed affidato alla gestione da parte della società Munus, presieduta da Alberto Zamorani, personaggio noto alle cronache per l'arresto durante «Mani Pulite»;
   a parere dell'interrogante è del tutto inconcepibile una tale gestione del patrimonio artistico culturale, che determina una serie di costi e limitazioni all'accesso a tali luoghi, appartenenti al patrimonio artistico del Paese, per i quali i cittadini stessi concorrono alle spese di mantenimento attraverso il pagamento delle tasse;
   il 31 gennaio 2012 la Conferenza episcopale ha diramato una nota da cui si evince che «secondo la tradizione italiana, è garantito a tutti l'accesso gratuito alle chiese aperte al culto, perché ne risalti la primaria e costitutiva destinazione alla preghiera liturgica e individuale», aggiungendo poi «l'adozione di un biglietto d'ingresso a pagamento è ammissibile soltanto per la visita turistica di parti del complesso (cripta, tesoro, battistero autonomo, campanile, chiostro, singola cappella e altro), chiaramente distinte dall'edificio principale della chiesa, che deve rimanere a disposizione per la preghiera»; purtroppo la suddetta nota appare del tutto disattesa in moltissimi casi;
   in data 18 novembre 2013, durante la trasmissione Report, è stato trasmesso un servizio dal quale si evince le numerose opacità nella gestione dei beni culturali e nella gestione dei siti museali;
   da tale servizio si può facilmente dedurre alcuni legami che interessano le aziende private che gestiscono i beni culturali e artistici con il mondo della politica, con collegamenti che riguardano svariate società tra le quali appaiono degne di nota: «Civita» con collegamenti a Gianni Letta ed «Electa» con collegamenti a Silvio Berlusconi oltre alla citata Munus e al suo Presidente Mario Zamorani;
   il 18 novembre 2013 apparso sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) il seguente comunicato: «Nuove linee guida per affidamento in concessione servizi di accoglienza. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo comunica che sono state consegnate le nuove linee guida per l'affidamento in concessione dei servizi di accoglienza del pubblico negli istituti e nei luoghi della cultura statali»; dal comunicato non si comprende se per la sua stesura siano state convocate tutte le categorie interessate alla gestione e alla fruizione dei siti culturali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato possa fornire elementi al fine di chiarire gli eventi suddetti, riportati da Il Fatto Quotidiano e dalla trasmissione Report nonché in merito alla pubblicazione di un breve comunicato sulla consegna delle nuove linee guida inviate agli uffici competenti per approfondimenti, proprio la sera stessa in cui veniva trasmesso il servizio su Report e quali iniziative eventualmente intenda intraprendere;
   se il Ministro interrogato intenda fornire elementi sullo svolgimento dei tavoli per la stesura delle nuove linee guida e specificare i soggetti che sono stati coinvolti, nel caso, agli stessi lavori preparatori. (5-01594)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS, L'ABBATE, MANNINO, PARENTELA, D'INCÀ, TOFALO, BRESCIA e SCAGLIUSI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le coste della Puglia nel versante ionico sono caratterizzate da torri costiere del Regno di Napoli edificate prevalentemente tra il XV ed il XVI secolo per fronteggiare corsari turchi e barbareschi che per secoli costituirono una grave minaccia per la navigazione e per le popolazioni costiere;
   tali torri, dall'architettura riconducibile a note tipologie standardizzate, costituivano un sistema unico di avvistamento realizzato al fine di intercettare con il maggiore anticipo possibile l'avvicinarsi alle coste dell'isola di navi corsare e consentire così alle popolazioni locali di mettersi in salvo;
   le torri costiere in questione sono testimonianza di un passato cruento che ha comunque legato le storie dell'umanità dei vari avventori del Mar Mediterraneo per cui le singole torri e l'intero sistema di torri lungo la costa, costituiscono un simbolo di identità dei luoghi, un enorme ma sottovalutato giacimento scientifico e culturale ed una inespressa potenzialità anche in funzione di economie turistiche;
   molte di queste torri, siano esse di proprietà pubblica o privata, versano in stato di allarmante degrado strutturale ed incuria producendo un'incalcolabile danno per l'identità locale, per la storia e la cultura della intera umanità oltre che un effettivo danno economico in termini di mancate opportunità di promozione del territorio e costituisce addirittura pericolo per la pubblica incolumità a causa dei repentini crolli di parti di esse;
   l'articolo 9 della Costituzione italiana prevede che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»;
   la Convenzione europea sul paesaggio 20 ottobre 2000 è stata ratificata dall'Italia con la legge n. 14 del 9 gennaio 2006;
   la legge n. 137 del 2002 reca «Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici»;
   l'articolo 20 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137», stabilisce che «I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione»;
   l'articolo 18 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sancisce che «La vigilanza sui beni culturali compete al Ministero. La vigilanza sulle cose indicate all'articolo 12, comma 1, di appartenenza statale, da chiunque siano tenute in uso o in consegna, è esercitata direttamente dal Ministero. Per l'esercizio dei poteri di vigilanza sulle cose indicate all'articolo 12, comma 1, appartenenti alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, il Ministero procede anche mediante forme di intesa e di coordinamento con le regioni»;
   l'articolo 19 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recita che «I soprintendenti possono procedere in ogni tempo, con preavviso non inferiore a cinque giorni, fatti salvi i casi di estrema urgenza, ad ispezioni volte ad accertare l'esistenza e lo stato di conservazione e di custodia dei beni culturali»;
   l'articolo 29 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, decreta che «La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro. Per prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto. Per manutenzione si intende il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'identità del bene e delle sue parti»;
   l'articolo 3 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 sancisce che “La tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione”» –:
   se il Ministro sia al corrente dell'esistenza di un censimento ufficiale ed aggiornato di tutte le torri costiere della Puglia comprensivo di informazioni circa la loro proprietà ed il loro stato di conservazione;
   se il Ministro abbia accertato ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, se in Puglia si sia proceduto per le torri costiere ad una verifica degli usi in cui ogni singolo manufatto è adibito e se questi siano effettivamente compatibili con il carattere storico artistico che le connota;
   se si sia adempiuto da parte del Ministero, ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad esercitate le competenze, dirette o indirette, ed i poteri di vigilanza e di ispezione sui beni culturali al fine di evitare che le torri in questione subiscano danni o degradi di qualsiasi tipo ed in che forma;
   se il Ministro abbia verificato se si sia proceduto, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad ispezioni atte a verificare la conformità delle torri affidate a privati o di proprietà di privati in merito a progetti di restauro o ristrutturazione eventualmente autorizzati dalle competenti soprintendenze;
   se il Ministro abbia verificato ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che sia stata attuata una attività di controllo delle condizioni del bene culturale «Torri Costiere ioniche» tale da assicurarne «una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro» e quindi se sia stata effettuata una graduatoria di interventi urgenti adeguatamente programmati da mettere in cantiere al fine di impedire che le torri, siano esse di proprietà pubblica o privata, dato il pessimo stato di conservazione, possano sparire completamente e per quali motivi non si sia proceduto alla messa in opera di questi interventi di messa in sicurezza e di salvaguardia, azioni queste assolutamente necessarie e propedeutiche al definitivo restauro obbligatorio ai sensi del sopracitato articolo;
   se il Ministro, in relazione agli innumerevoli crolli che interessano le torri costiere di cui le cronache giornalistiche locali danno periodicamente notizia, si sia proceduto o si stia procedendo all'accertamento, per quanto di competenza, di eventuali responsabilità in merito alla mancata pianificazione e programmazione ed effettuazione di interventi urgenti finalizzati alla salvaguardia dei manufatti di cui in questione;
   se per le torri integre, siano esse di proprietà pubblica o privata, siano note le effettive destinazioni d'uso e se esse siano coerenti e rispettose dello status di bene di valenza storica, architettonica e culturale;
   se in ossequio all'articolo 3 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137», si sia proceduto in maniera esaustiva ad un completo riconoscimento delle torri classificabili come manufatti appartenenti al patrimonio culturale con conseguente sottoposizione a specifico vincolo di tutela atto a garantire protezione e conservazione ove ne siano di non catalogate e quindi non assoggettate ad efficaci strumenti di tutela;
   se in virtù dell'articolo 3, del sopracitato decreto legislativo 12 gennaio 2004, n. 42, e specificatamente con riferimento alle finalità in esso indicate si sia provveduto, per quanto di competenza, ed in che percentuale sul complesso delle circa 90 torri costiere pugliesi, siano esse di proprietà pubblica che privata, a promuovere la pubblica fruizione delle stesse e se siano in atto progetti di fruizione delle stesse coerenti con lo status di risorsa culturale che più conviene a tali manufatti e in che quantità;
   se in merito alle torri private si sia accertato il rispetto dei valori paesaggistici che queste emergenze intrinsecamente possiedono e quindi se almeno si siano rispettati i diritti dei cittadini di contemplazione degli stessi;
   se siano note le motivazioni per le quali non si sia ancora proceduto, ove già possibile, alla strutturazione di progetti di fruizione ed informazione o meglio di un progetto complessivo volto alla salvaguardia e alla valorizzazione di queste singolari emergenze architettoniche mediante una loro ri-funzionalizzazione di tipo culturale anche in chiave museografica;
   se siano noti quanti e quali progetti di recupero e restauro delle torri costiere della Puglia sono stati alla data odierna esitati e quanti siano ad oggi in fase di valutazione;
   se siano note quante e quali torri costiere della Puglia siano già state oggetto di recupero e restauro finanziato con fondi dell'Unione europea;
   se siano note per quali progetti di restauro e recupero delle torri costiere della Puglia si sia chiesto un finanziamento europeo. (4-02689)


   PANNARALE, FRATOIANNI, DURANTI, MATARRELLI e SANNICANDRO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il bosco di ulivi della «Sarparea», sito a S. Isidoro, frazione di Nardò (Lecce), costituisce l'ultimo lembo dell'antica foresta oritana di olivi selvatici innestati e curati per secoli, nonché uno degli esempi più belli e caratteristici di paesaggio mediterraneo conservatosi nella sua armonicità;
   nei 25 chilometri di litoranea che dalla località di Torre Lapillo porta a S. Isidoro, in un'area già oggetto di una intensa e non sempre legittima attività edilizia, la Sarparea costituisce l'unica oasi sfuggita finora alla cementificazione. Prezioso ornamento di una antica masseria oggi abbandonata – la Sarparea de’ Pandi dominante semidiruta su un piccolo poggio – l'uliveto è costeggiato da muretti a secco e caratterizzato da labirinti di alberi vetusti, grotte con sorgenti d'acqua dolce, antiche fornaci per la cottura della calce, tratti di stradine selciate;
   il Piano urbanistico generale del comune di Nardò, approvato nel 2002, contemplava la lottizzazione di quasi tutta l'area a nord della frazione di Sant'Isidoro, zona su cui insistono gli interessi edilizi della «Oasi Sarparea s.r.l.», soggetto rappresentato da immobiliaristi inglesi;
   dopo un iniziale progetto presentato dalla suddetta società, che prevedeva un intervento drastico sugli ulivi dell'area, ne è stato elaborato un secondo, apparentemente volto alla conservazione dell'uliveto, ma orientato a una insidiosa disseminazione di fabbricati;
   il progetto, infatti, prevedendo la realizzazione di un villaggio turistico e di un porto turistico da 624 posti barca, non va in direzione della conservazione dell'uliveto;
   il comune di Nardò, con deliberazione del consiglio comunale n. 106 del 21 dicembre 2009, ha adottato il piano di lottizzazione;
   con la delibera della giunta regionale n. 3001 del 27 dicembre 2012, la regione Puglia esprimeva parere negativo al piano di lottizzazione del comparto 65 in Nardò, località Sant'Isidoro;
   nel provvedimento regionale si evidenzia, infatti, come il progettato intervento prevedesse «la realizzazione di volumi edilizi e opere annesse su aree che (...) risultano insistere in un contesto rurale di alta valenza paesaggistica connotato dalla consistente presenza di alberature di ulivo significative per dimensione e testimonianza storica (...). Pur non prevedendone l'espianto [argomento di punta usato dai costruttori in difesa del progetto] (...) queste sono dislocate secondo un assetto posto in continuità naturalistico-ambientale con le aree rurali adiacenti costituendo, nell'insieme, un ambito significativo da un punto di vista identitario e paesaggistico. Inoltre, l'intervento appare impattante rispetto al contesto di riferimento (...) introducendo un diverso uso del suolo e una eccessiva pressione antropica che contrastano fortemente con la natura rurale dei luoghi, interferendo negativamente con la percezione d'insieme del paesaggio costiero e del paesaggio agrario (...), modificando l'assetto idrogeomorfologico d'insieme, ed essendo la tipologia stessa dell'intervento particolarmente impattante e fondamentalmente incompatibile con la natura stessa dei luoghi e con gli obiettivi di salvaguardia dell'assetto attuale, di per sé già altamente qualificato»;
   anche la sovrintendenza beni architettonici e paesaggistici, con parere BAP 4149 del 5 marzo 2010, aveva espresso parere contrario al progetto;
   il TAR di Lecce, cui la Sarparea srl aveva fatto ricorso contro la decisione della regione Puglia, con sentenza n. 2241/2013 rr. 525/2013, nelle scorse settimane ha dato ragione ai costruttori ritenendo che il progetto non entri in conflitto con le norme di tutela del territorio e sostenendo il basso impatto ambientale del progetto edilizio –:
   quali iniziative urgenti intenda porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, per tutelare uno dei territori più pregiati e ancora intatti del Salento, e interessati dagli interventi edilizi di cui in premessa, anche alla luce della preminente salvaguardia del paesaggio e nello specifico di quello legato agli ulivi secolari. (4-02705)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 novembre 2013 ha chiuso i battenti il Museo torinese dedicato alla memoria di Pietro Micca, del quale è parte integrante la galleria ove, nel corso dell'assedio francese del 1706, ebbe luogo il sacrificio del patriota piemontese;
   la chiusura è stata determinata dalle infiltrazioni provenienti da una tubatura pertinente al circolo ufficiali delle Forze Armate, ospitato nel medesimo sito, e dalla circostanza che il Museo disponga di un unico bagno riservato tanto ai visitatori quanto al personale addetto alla sua gestione e manutenzione;
   la perdita idrica risulta inoltre in grado di compromettere la conservazione del sito;
   urgerebbero conseguentemente interventi da parte dell'amministrazione della difesa, sia per tamponare la falla al sistema idrico che per dotare di servizi igienici supplementari il museo di Pietro Micca –:
   quali misure il Governo intenda assumere per ripristinare al più presto la fruibilità del museo torinese di Pietro Micca, finanziando le opere necessarie alla sua messa in sicurezza o, in subordine, considerandone la cessione ad altra amministrazione centrale o locale in grado di farlo. (4-02685)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOBBA e ANZALDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il secondo Paese al mondo per diffusione del gioco d'azzardo con un giro d'affari complessivo attualmente stimato tra i 94 e i 98 miliardi di euro annui, mentre nel 1990, a due anni dal passaggio della gestione delle lotterie all'Aams, il giro d'affari si attestava complessivamente sui 5,1 miliardi di euro annui;
   si prevede che, nel 2015, stando così le cose, la raccolta del comparto potrebbe essere compresa tra i 100 e i 140 miliardi di euro;
   a fronte di questo progressivo incremento, tra il 2011 e il 2012, stando agli ultimi dati ufficiali a disposizione, lo Stato ha incassato all'incirca il 10 per cento in meno rispetto all'anno precedente;
   tra il 1999 e il 2009, i giochi hanno fatto incassare in media all'erario il 4 per cento sul totale delle imposte indirette e, in termini assoluti, hanno contribuito alle casse statali con una media di 9,2 miliardi di euro all'anno. (cfr Simone Sarti e Moris Triventi, «Il gioco d'azzardo. L'iniquità di una «tassa volontaria», La voce.info);
   la raccolta derivante dai giochi è composta da diverse voci: a) la quota dovuta all'erario; b) i costi di concessione; c) i costi di distribuzione; d) la quota dovuta all'ex Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (Amministrazione a autonoma dei Monopoli di Stato, (Aams dal 1o dicembre 2012 incorporata nell'Agenzia delle dogane, che ha assunto la nuova denominazione di Agenzia delle dogane e dei monopoli); e) il cosiddetto «pay out», ovvero la parte che torna ai giocatori in forma di vincite;
   il pay out o percentuale di redistribuzione è la quota che, per legge, ogni gioco d'azzardo legalizzato deve redistribuire in forma di vincita ai giocatori che puntano i loro denari, immettendoli nel circuito (il cosiddetto pay in), sperando di avere un ritorno (attraverso il pay out);
   il punto di riferimento per rilevare l'incidenza della tassazione è la raccolta netta, non il giro d'affari complessivo, in base al quale nel 2000, su 14 miliardi di euro lo Stato ha ottenuto 4,2 miliardi netti, mentre nel 2011, con 80 miliardi di giro d'affari, la raccolta netta è stata di 18,4 miliardi di euro, di cui 8,7 arrivati all'erario. In dieci anni, gli italiani hanno moltiplicato per sei il volume di soldi spesi in azzardo, ma l'incasso netto per l'Erario è soltanto raddoppiato, in quanto sui giochi dell'azzardo legale più diffusi il prelievo erariale è inferiore rispetto ai giochi più noti, ma oramai meno «amati» dai giocatori;
   da un'indagine condotta dal movimento No Slot, risulta che circa l'86 per cento delle piccole vincite resta comunque nel circuito, attraverso il cosiddetto «rigiocato»: una percentuale di pay out che, per quanto riguarda le slot machines da bar (le new slot o Awp) è stabilita nella misura del 75 per cento su una base di 140 mila partite, mentre per le videolotteries (o VLT, le slot machine presenti nelle sale gioco) è dell'85 per cento minimo, calcolato però su 80 milioni di partite;
   l'articolo 39 del decreto-legge n. 269 del 2003, al comma 13, stabilisce che agli apparecchi e congegni indicati all'articolo 110, comma 6, del TULPS, newslot e, ora, videolottery si applichi un prelievo erariale unico dovuto dal soggetto al quale l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) ha rilasciato il nulla osta. Successivamente l'articolo 30-bis del decreto-legge n. 185 del 2008 ha stabilito che con decorrenza dal 1° gennaio 2009, il prelievo erariale unico sia determinato applicando, in capo ai singoli soggetti passivi d'imposta, determinate aliquote per scaglioni riferiti alla raccolta delle somme giocate, varianti dal 12,6 all'8 per cento;
   giochi come le Vlt, le Videolottery, ossia le slot machine specificamente installate nelle sale gioco, introdotte in Italia nei 2009, sono in grande crescita, ma godono di una tassazione vantaggiosissima per concessionari e esercenti, mentre le new slot (le slot machine da bar, per capirci, tassate al 12,70 per cento) sono il maggiore contribuente con circa 1,7 miliardi, ma sono in caduta libera, rispetto alle «Vlt», che riscuotono più attenzione da parte dei «giocatori» e sono meno tassate. Lotto e le varie lotterie portano circa 650 milioni al fisco. Il Bingo porta 100 milioni e ancora meno le scommesse sportive, ferme a circa 80 milioni;
   partendo dalle slot machine (new slot), attestato che, per legge, il 75 per cento delle somme raccolte deve essere restituito come vincita (il payout), resta un 25 per cento, di cui il 12,60 per cento costituisce il versamento PREU da parte del concessionario. Lo 0,8 per cento viene versato al Concessionario per l'AAMS, e una cifra pattuita tra Concessionario ed esercente pari allo 0,8 per cento viene versato al Concessionario medesimo come compenso. La differenza tra il 25 per cento restante e il 14,20 per cento versato (pari al 10,80 per cento) viene ripartito al 50 per cento tra l'esercente e il gestore (5,40 per cento a testa):
   nel 2012 degli oltre 8 miliardi di euro incassati dall'erario dal settore dell'azzardo, 3,6 miliardi sono stati raccolti dalle slot machine da bar (in percentuale: il 42 per cento). Nel frattempo, però, in mancanza di dati ufficiali, ma riferendosi a quanto dichiarato dalle associazioni di categoria, la raccolta di somme giocate per quanto riguarda questi 10 mesi del 2013 avrebbe subito una caduta del 7,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012;
   il prelievo fiscale sugli apparecchi denominati Vlt è del 5 per cento sull'ammontare delle somme giocate, mentre è prevista un'addizionale del 6 per cento sulla parte della vincita che eccede i 500 euro. Per le new slot (quella da bar) il prelievo fiscale è invece del 12,50 per cento sul giocato. Per non parlare dell'azzardo on line che, per alcune tipologie di gioco a scommessa, è dello 0,6 per cento, mentre sul cosiddetto cash game del poker ha un'aliquota del 20 per cento;
   a parere degli interroganti, un approccio sistematico ai problemi del settore non può prescindere da un'analisi di dettaglio delle specifiche tassazioni che vengono applicate ai singoli giochi, ai ricavi erariali ed agli introiti che ne derivano, con l'obiettivo di capire quali siano gli interventi di politica fiscale che possano garantire almeno il mantenimento di tale gettito fiscale, limitando al contempo quanto più è possibile i danni derivanti dal gioco d'azzardo ed il pericolo di un massiccio ritorno all'illegalità che ha caratterizzato questo settore fino ai primi anni del 2000;
   da tale analisi, estremamente complessa, vista anche la normativa piuttosto copiosa e frammentaria, emergono alcuni dati contraddittori a parere degli interroganti;
   se infatti ad un gioco a basso «tasso d'azzardo» come il bingo che richiede importanti investimenti, svolto in luoghi facilmente controllabili e in grado di garantire interessanti livelli di occupazione, viene imposta una tassazione dell'11 per cento, non risulta facile comprendere come mai ai giochi on line fortemente aggressivi ed utilizzabili da casa 24 ore su 24, che non creano occupazione e non consentono controlli efficaci per scongiurare la loro fruizione da parte dei minori, venga applicata una tassazione di solo il 3 per cento;
   se corrisponde al vero che dal SuperEnalotto, l'Erario incassa il 44,7 per cento delle entrate relative al settore giochi, mentre da casinò on line e poker cash incassa solo lo 0,6 per cento, Il payout, ossia la quota-vincita dei giocatori, in questo secondo caso è molto alto, ma è bilanciato da probabilità di vittoria molto, molto basse;
   sempre a parere degli interroganti, ugualmente contradditorio appare che l'aggio riconosciuto alla Lottomatica (ora Gtech), in qualità di concessionario del gioco del lotto risulta pari – in media – al 5,68 per cento, mentre alla Sisal, concessionario del Superenalotto, gioco affine quello del lotto, viene riconosciuto un aggio del 4,11 per cento medio –:
   quali iniziative concrete si intendano porre in essere per razionalizzare la tassazione del settore del gioco legale, incentivare i giochi che garantiscano occupazione e maggiori possibilità di effettuare controlli efficaci;
   come mai non vi sia una tassazione omogenea applicata ai diversi giochi e in particolare per ciò che attiene alle videolottery e se non si ritenga doveroso assumere iniziative per omogeneizzare le aliquote;
   se non si ritenga urgente recuperare quanto prima il gettito fiscale attraverso iniziative dirette all'allineamento degli aggi applicati a giochi affini, con particolare riferimento agli aggi applicati al gioco del Lotto ed a quello del Superenalotto;
   se non si intenda opportuno porre in essere quanto prima ogni iniziativa utile ad evitare il ritorno al gioco illegale, pericolo tutt'altro che remoto stanti i dati che emergono dagli studi specializzati. (5-01569)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO, DE LORENZIS, L'ABBATE, SCAGLIUSI, CARIELLO, BRESCIA e BALDASSARRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri del 26 giugno 2012 aveva esaminato il testo dell'Accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale sottoscritto in data 13 marzo 2012 dall'Italia e dall'isola di Jersey, ubicata nel canale della Manica, nota piazza offshore a tassazione agevolata;
   l'accordo, non ancora in vigore, rappresenterebbe un significativo passo verso una maggiore trasparenza fiscale nei rapporti tra i due Paesi, utile ed opportuna anche nella problematica che riguarda i fondi trasferiti in quel Paese relativi all'Ilva spa, poiché pare che i Riva lì possiedano una holding che detiene una significativa quota della predetta società;
   la magistratura italiana sta cercando di reperire risorse economiche per consentire l'effettuazione del piano degli interventi per il risanamento degli impianti dell'Ilva spa;
   ulteriori ritardi aggraverebbero le già «accertate violazioni delle prescrizioni in materia di tutela ambientale e sanitaria» attribuibili all'Ilva spa –:
   se e quando si intenda rendere operativo l'accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale sottoscritto in data 13 marzo 2012 dall'Italia e dall'isola di Jersey. (4-02692)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   per effetto della riforma della geografia giudiziaria di cui al decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 dal 13 settembre i tribunali di Cantù, Erba e Menaggio sono stati soppressi e accorpati a quello di Como;
   a seguito di tale accorpamento il tribunale di Como ha registrato numerosi e gravi problemi dovuti alla inadeguatezza e penuria degli spazi disponibili all'interno del palazzo di giustizia e all'eccessivo carico di lavoro, poiché alle già circa cinquemila cause civili che tratta ogni anno, si sono aggiunti anche gli oltre mille fascicoli provenienti dai sopra indicati tribunali soppressi;
   in aggiunta ai problemi sopra evidenziati, come si apprende anche da recenti articoli apparsi sui quotidiani locali, la situazione del tribunale di Como è peggiorata e ormai al collasso altresì per la carenza di personale amministrativo;
   pare sia stata recentemente stipulata una convenzione tra provincia di Como, tribunale e procura per «l'utilizzo di lavoratori in mobilità iscritti nelle relative liste della provincia di Como da parte degli uffici giudiziari» per sopperire alla carenza di personale amministrativo del palazzo di giustizia comasco che, già precedentemente all'accorpamento, era sottodimensionato del 30 per cento;
   ancora prima, il tribunale di Como e la procura della Repubblica, con due note rispettivamente dell'8 e 4 ottobre, avevano denunciato la «grave carenza di personale amministrativo ed ausiliario di supporto alla normale operatività delle strutture giudiziarie» e l’«impossibilità degli uffici giudiziari stessi di avere le sostituzioni del personale da parte del ministero competente» nonché «di poter finanziare i costi relativi all'inserimento di personale in mobilità»;
   sarebbe almeno 28 le unità richieste per far fronte alle carenze di organico del settore amministrativo, di cui 16 unità per il tribunale e 12 per la procura della Repubblica;
   i problemi gravissimi sopra evidenziati, oltre a comportare gravi disagi per gli operatori, soprattutto impediscono ai cittadini il legittimo diritto di cui all'articolo 111 della Costituzione di un regolare e giusto processo –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione gravissima in cui versa il tribunale e la procura della Repubblica di Como, quali iniziative intenda adottare per consentire il regolare svolgimento dell'attività giudiziaria del palazzo di giustizia comasco e la piena e regolare funzionalità dei relativi uffici giudiziari. (5-01582)


   DANIELE FARINA, AIRAUDO, SANNICANDRO e LAVAGNO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 10 e l'11 novembre 2013, un detenuto algerino di 25 anni, Abddul Mourat, si è tolto la vita nel carcere delle Vallette a Torino, impiccandosi con un lenzuolo appeso ad una grata della cella;
   questi, condannato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, sarebbe stato rimesso in libertà nel giugno 2014;
   dall'inizio del 2013 sarebbero 43 le persone che si sono suicidate in carcere, senza contare i tentativi non riusciti, né gli atti di autolesionismo;
   tale evento critico non può che essere ricondotto alle drammatiche condizioni in cui versano le carceri del nostro Paese, tra le quali, oltre ad una pesante situazione di sovraffollamento (circa 21.000 presenze in più rispetto alla capienza regolamentare), va senza dubbio annoverato l'esiguo numero di educatori, degli psicologi, nonché delle altre figure necessarie alla rieducazione e all'effettivo reinserimento del detenuto;
   gli stessi agenti della polizia penitenziaria, pure in una condizione di sotto organico, avrebbero difficoltà nello svolgere al meglio il proprio lavoro –:
   se il Ministro non ritenga di promuovere, quali iniziative ormai improcrastinabili, l'istituzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti, rispetto al quale sono state già depositate diverse proposte di legge in Parlamento, e la revisione delle piante organiche degli operatori in carcere, al fine di garantire concreta attuazione a quanto previsto dall'articolo 27 della Costituzione in tema di finalità rieducativa della pena. (5-01583)


   MICILLO, TURCO, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, FERRARESI, BONAFEDE, SARTI e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 8 novembre è morto Federico Perna, di anni 34 di Latina, detenuto presso il carcere di Poggioreale (Napoli) – padiglione «Avellino» – dove divideva la cella n. 6 con altri 10 detenuti;
   sul giornale on line www.fanpage.it è presente una intervista alla madre di Federico dalla quale è possibile evincere diversi punti assolutamente da chiarire;
   verbali clinici sia di una struttura ospedaliera di Viterbo che del centro clinico del carcere di Secondigliano documentano che lo stato di salute di Federico era incompatibile con la detenzione in carcere; egli, infatti, era affetto da epatite C e da cirrosi epatica tali da richiedere il trapianto del fegato e aveva, inoltre, problemi di tossicodipendenza; sebbene tale stato richiedesse il ricovero in una struttura protetta non risulta che alcuna cartella clinica sia stata invece mai emessa dalla struttura medica di Poggioreale;
   ufficialmente Federico è morto per «arresto cardiocircolatorio» ma ancora risulta sconosciuto il luogo esatto della morte, la madre, Nobila Scafuro, riferisce: «Prima mi hanno detto che era morto in carcere, poi in ambulanza perché non c'era il defibrillatore, poi ancora mi hanno detto che è morto prima di essere caricato sull'autoambulanza. All'inizio non riuscivo a capire nemmeno in quale obitorio fosse»;
   l'avvocato che assiste la signora Scafuro sottolinea che: «l'aspetto più grave emerso dall'esame autoptico è l'abbandono e la trascuratezza nelle quali è stato lasciato il detenuto, trascuratezza che ha portato al decesso. Per trascuratezza si intende, oltre al pregnante significato del termine, anche e soprattutto la non curanza delle evidenti patologie che il malato presentava, con assoluta mancanza di qualsiasi cura lo stesso necessitasse il problema più grande è l'abbandono di una persona che, come tante altre, è affidata alle cure dello Stato e rappresenta l'aspetto disumano della vicenda»;
   con Federico, sale a 139 il bilancio delle vittime in cella dall'inizio di quest'anno;
   l'ipotesi di omicidio colposo è stata posta a fondamento dell'autopsia, svoltasi il 14 novembre e dalla dottoressa Maria Grazia Viglialoro, medico legale e perito di parte, è stata avanzata la tesi delle percosse;
   la dottoressa ha, infatti, evidenziato che l'autopsia, normalmente prevista entro 48 ore dalla morte, è stata invece eseguita a distanza di 6 giorni, ritardo che potrebbe essere stato giustificato dalla necessità di voler nascondere numerose ecchimosi sul corpo di Federico –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti, se risulti perché il detenuto Perna non sia stato trasferito in una struttura ospedaliera così come suggerito dai documenti medici di cui sopra e se non ritenga di disporre una immediata indagine interna affinché siano eventualmente adottati gli opportuni provvedimenti sanzionatori di competenza. (5-01584)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 14 ottobre 2013, nel corso della presentazione del circuito regionale dei penitenziari sardi, è stata annunciata la chiusura della casa circondariale di Iglesias;
   la decisione non è stata concordata, né discussa in precedenza, con le organizzazioni sindacali, né con le istituzioni locali;
   si ha difficoltà a capire quali criteri muovano l'amministrazione penitenziaria, considerato che restano aperte strutture decisamente meno a norma e fatiscenti;
   la casa circondariale di Iglesias ospita detenuti protetti, che scontano la pena in condizioni di assoluta vivibilità, nel rispetto del dettato costituzionale, contrariamente a quanto avviene nella gran parte degli istituti del Paese;
   la stessa amministrazione penitenziaria ha speso oltre un milione di euro per locali e infrastrutture collegate alla casa circondariale, per poi deciderne la dismissione;
   in un momento di grave crisi nel Paese, la Sardegna ed in particolare il Sulcis iglesiente, pagherebbero l'ennesimo pesante dazio, con la chiusura di una struttura che genera indotto –:
   quali siano stati i criteri utilizzati dall'amministrazione penitenziaria nello stabilire quali strutture debbano chiudere e quali restare aperte;
   se non ritenga che, considerate le favorevoli condizioni di vita dei detenuti a Iglesias, non si debba prendere quello come modello e potenziare anche nelle altre piccole strutture penitenziarie le attività di recupero e le opportunità lavorative;
   se non si ritenga necessario sentire, prima di assumere la decisione definitiva, le istituzioni locali e le organizzazioni sindacali. (5-01570)


   ZANIN, BAZOLI e BLAZINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale carcere di Pordenone è allocato presso lo storico, castello di Pordenone, un sito di rilevanza storica del tutto inadatto a svolgere tale funzione, sia per l'esiguità degli spazi che per la vetustà dei suoi impianti;
   tale struttura presenta da molti anni un livello di sovraffollamento costante;
   la comunità provinciale pordenonese nelle sue forme civili, politiche e istituzionali ha da molti anni sottolineato la necessità di realizzare una nuova struttura, conforme alle esigenze e agli indirizzi più volte sottolineati anche dalla Corte di giustizia europea;
   sono ormai avviate le procedure per la realizzazione di un nuovo carcere nel territorio provinciale, da realizzare a San Vito al Tagliamento, con l'impiego e la valorizzazione del sito della locale caserma dismessa;
   finalmente, con la realizzazione della nuova struttura, diventa ragionevole la totale dismissione dell'attuale carcere;
   la struttura del vecchio castello, sito nel pieno centro storico di Pordenone, può proficuamente essere rimesso nelle disponibilità diretta della comunità pordenonese, che giustamente rivendica la struttura in quanto intimamente legata alla città ed alla sua storia, tanto che non pare pensabile, al fine di garantire l'attribuzione di funzioni coerenti con il disegno di conservazione storica del sito e di riappropriazione e fruizione/valorizzazione dello stesso da parte della comunità cittadina, una sua collocazione diversa dall'appartenenza al patrimonio comunale, anche a compensazione della perdita conseguente allo spostamento del carcere in altra sede al di fuori del territorio comunale –:
   se sia stata già ipotizzata o determinata la destinazione del vecchio carcere a seguito della costruzione del nuovo e in che tempi si intenda procedere eventualmente alla scelta di destinazione;
   se non sia logico in tal senso che la destinazione coincida con la «restituzione» a titolo gratuito dello spazio dell'antico castello direttamente alla città di Pordenone. (5-01573)

Interrogazione a risposta scritta:


   VERINI, LEVA, VAZIO, MORETTI, MORANI, MATTIELLO, AMODDIO, MARZANO, MAGORNO, TARTAGLIONE e SCALFAROTTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni rappresentative della categoria dei giudici di pace hanno proclamato uno sciopero nazionale, che si concluderà il prossimo 6 dicembre 2013;
   i giudici di pace, in prossimità della scadenza del mandato, che avverrà nei prossimi mesi, di tutti i giudici di pace in servizio, e in concomitanza, con l'entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria, che prevede l'eliminazione di numerosi uffici, segnalano che, senza una previsione riguardante la continuità e alla permanenza dei giudici di pace, la funzionalità e 1'efficienza degli uffici che a loro fanno capo sono a serio rischio di paralisi;
   allo stato, nonostante 2 milioni di procedimenti l'anno, che coprono circa il 60 per cento dell'attività di primo grado in materia civile, i giudici di pace contraggono con lo Stato contratti a termine che possono essere rinnovati solo per tre volte, contratti privi, tra l'altro, di qualunque forma di tutela previdenziale –:
   se il Ministro non ritenga necessario, anche al fine di concorrere alla soluzione dei gravissimi ritardi che affliggono il sistema giustizia, individuare delle soluzioni adeguate e il più possibile definitive all'annoso problema dell'inquadramento dei giudici di pace e della continuità del servizio dei loro uffici sul territorio, anche alla luce dell'ampliamento delle loro competenze e dell'avvenuta revisione delle circoscrizioni giudiziarie;
   se siano allo studio del Governo, ed eventualmente quali siano, tempestive ed efficaci misure riguardanti la situazione dei giudici di pace, atte ad assicurare l'efficienza complessiva del sistema, anche in conformità alle indicazioni provenienti dalle più alte istituzioni europee (Corte europea dei diritti dell'uomo e Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa) che tengano conto delle proposte provenienti dall'ANCI, e che siano utili a garantire presidi di giustizia di prossimità sul territorio, al fine di scongiurare quella che si annuncia essere una vera e propria paralisi del servizio giustizia, con conseguente grave pregiudizio dei diritti dei cittadini. (4-02686)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   MATARRESE, D'AGOSTINO e GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale «17» (Foggia- L'Aquila) risulta una delle strade più trafficate della zona nord della regione Puglia in quanto rappresenta l'arteria di collegamento principale con la regione Molise;
   da quanto si evince dagli articoli di stampa, sembrerebbe che il tratto di strada indicato sia in stato di degrado in quanto, ormai da tempo, non è interessato da alcun intervento manutentivo da parte della società ANAS che ha la competenza a gestirlo;
   sono molti gli articoli di stampa che raccolgono le numerose proteste dei cittadini che pare abbiano denunciato più volte agli organi competenti, senza avere alcun significativo riscontro, la problematica correlata allo stato di dissesto della strada e dalle situazioni di pericolo derivanti;
   da quanto si evince dagli organi di stampa, sembrerebbe che sia gli utenti della strada statale 17 sia i rappresentanti degli enti locali pugliesi abbiano presentato formali istanze alla società ANAS che pare non abbia mai riscontrato dette segnalazioni;
   in particolare, il tratto di strada cui si fa riferimento sembrerebbe essere completamente abbandonato, senza manutenzione ordinaria e straordinaria e, di conseguenza, il manto stradale risulterebbe, attualmente, caratterizzato da pericolose buche, smottamenti ed avvallamenti. Le istanze presentate all'ANAS hanno inteso rappresentare anche la necessità impellente di un completo ripristino della segnaletica orizzontale e verticale che, in alcuni tratti, sembrerebbe non essere più idonea perché in gran parte rimossa;
   la necessità di manutenzione urgente si ravvisa soprattutto nel tratto di strada che attraversa il comune di Volturino. Nel periodo invernale, infatti, le continue nevicate e la costante presenza di banchi di nebbia aumentano notevolmente la percentuale di rischio di incidenti per chi percorre questo tratto di strada;
   la principale preoccupazione dei cittadini e dei rappresentanti degli enti locali è rappresentata dal quotidiano e concreto rischio di incidenti al quale vanno incontro gli utenti della strada statale 17 –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative intenda adottare affinché sia prontamente programmato ed eseguito il ripristino delle condizioni di funzionalità e di sicurezza della strada statale 17, soprattutto in considerazione dell'urgente necessità di procedere al rifacimento del manto stradale e della segnaletica verticale ed orizzontale, e affinché il tratto di strada indicato sia oggetto di manutenzione ordinaria programmata e periodica in modo che non costituisca più un pericolo per gli automobilisti che lo percorrono quotidianamente. (5-01596)


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ripartizione modale del traffico merci nel nostro Paese è sbilanciato per l'86,3 per cento su strada, il 9,1 per cento su ferrovia, il 4,5 per cento su gasdotti e lo 0,1 su vie navigabili; tale sbilanciamento ha ripercussioni negative sull'ambiente, aggravando i problemi di inquinamento atmosferico da polveri sottili cui è soggetta soprattutto la pianura padana, anche a causa della particolare conformazione geomorfologica del territorio;
   le nuove linee di sviluppo dei trasporti, sia a livello europeo sia a livello nazionale, puntano sulla razionalizzazione modale dei traffici quale azione essenziale per garantire sia l'efficacia dei sistemi della mobilità di persone e cose sia il rispetto dell'ambiente e della sicurezza;
   le idrovie offrono attualmente una riserva di capacità notevolissima a condizione di essere integrata in un sistema di trasporto combinato, proponendo vantaggi in tema di sicurezza e di rispetto dell'ambiente: si stima che i costi esterni (che conglobano quelli relativi a inquinamento – acqueo aereo del suolo acustico – a consumo di territorio a incidenti) relativi alla navigazione interna siano per tkm di merce trasportata 1/18 di quelli della strada;
   in effetti il costo del trasporto su idrovia, per alcune merci adatte ad essere avviate per idrovia, è, per tkm di merce movimentata, sensibilmente minore a quelli su ferrovia e soprattutto su strada; rispetto a quest'ultima esso può esser ritenuto, in Italia, del 20-30 per cento inferiore;
   in attuazione del piano generale dei trasporti la legge 380 del 1990 ha previsto la realizzazione del sistema idroviario padano veneto. La stessa legge ha definito il sistema idroviario padano veneto di preminente interesse nazionale e ne ha attribuito la realizzazione alla competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; inoltre, la legge ha definito procedure particolari per la formazione del piano di attuazione e per la progettazione degli interventi, prevedendo la partecipazione delle regioni. Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ha conferito alle regioni Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto la gestione del sistema idroviario;
   con due leggi del 1998, la n. 194 e la n. 413, la legge n. 388 del 2000 (finanziaria 2001) e la legge n. 350 del 2003 (finanziaria 2004) sono stati stanziati circa 600 milioni di euro (al lordo degli interessi per i mutui) per il potenziamento e l'adeguamento alla classe Va CEMT della rete idroviaria esistente;
   le idrovie del sistema idroviario padano veneto oggi in esercizio per il traffico di merci e per navigazione turistica sono le seguenti:
    Po da Pavia a mare (esiste un traffico regolare di merci solo nel tratto a valle di Cremona, svolgendosi tra Pavia, Piacenza e Cremona, come sul Ticino, solo movimenti locali di inerti e limitata navigazione turistica a causa della limitazione imposta alla navigazione dai bassi pescaggi e dalla non funzionalità della conca di Isola Serafini – PC, per l'abbassamento dell'alveo del fiume):
     Cremona – Volta Grimana 245 chilometri;
     fiume Mincio da Mantova al Po 21 chilometri;
     canale Po – Brondolo (dal Po a Chioggia) 19 chilometri;
     Idrovia Litoranea Veneta: da Portegrandi a foce Isonzo 127 chilometri (solo navigazione da diporto);
     canale Milano – Cremona, da Cremona a Pizzighettone 14 chilometri;
     Idrovia Ferrarese (da Pontelagoscuro a Portogaribaldi) 70 chilometri;
     idrovia Fissero – Tartaro – Canal Bianco – Po di Levante 135 chilometri (da Mantova – al mare);
   tutte queste idrovie citate richiedono interventi più o meno importanti di sistemazione e adeguamento;
   alle idrovie indicate nel tracciato del sistema idroviario padano veneto vanno aggiunti i canali della laguna Veneta e cioè quelli che collegano i porti di Venezia e Chioggia a Brondolo;
   nonostante l'incremento del traffico merci sul sistema idroviario, il traffico per navigazione interna rappresenta comunque una percentuale molto bassa del movimento merci nazionale e ciò a causa delle opere infrastrutturali necessarie per lo sviluppo del settore;
   una delle idrovie importantissime per lo sviluppo del traffico merci e del trasferimento su altri modi di trasporto del traffico stradale è il canale Milano – Cremona;
   l'A.I.Po stima tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro l'investimento per il completamento degli interventi del sistema idroviario padano veneto, ma la sistemazione delle idrovie esistenti e la realizzazione di alcuni tratti indispensabili per la funzionalità dell'intero sistema richiede un impegno finanziario molto inferiore;
   una delle idrovie importantissime per lo sviluppo del traffico merci e del trasferimento su altri modi di trasporto del traffico stradale è il canale Milano – Cremona;
   il collegamento idroviario con Milano, aperto alle moderne navi da carico fluviali, è uno degli obiettivi più antichi e ambiziosi della navigazione interna. Il Consorzio preposto alla costruzione del canale Milano Cremona Po, costituito nel 1941 è stato sciolto il 31 dicembre 2000. Sinora è stato costruito solo un tratto di canale che arriva a Pizzighettone (CR), lungo circa 13 chilometri, con caratteristiche adatte alle navi della V classe CEMT. Su questo tratto è attivo il porto pubblico di Cremona e alcune banchine private di aziende site in fregio all'idrovia;
   ultimamente, l'intervento relativo all'hub interportuale sistema idroviario padano-veneto è stato inserito nel 10° allegato infrastrutture al documento di economia e finanza; esiste uno studio di fattibilità e il soggetto competente è individuato nell'Agenzia interregionale per il fiume Po – A.I.Po –:
   se il Ministro non ritenga improrogabili, per il contenimento del traffico su strada e l'eliminazione o il decremento degli impatti ambientali che esso comporta per la pianura padana, la realizzazione degli interventi di sistemazione del sistema idroviario padano-veneto, ed in particolare del canale Milano-Cremona, e se intende adoperarsi, per quanto di competenza, per l'individuazione delle risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione di tale sistema. (5-01597)


   ZAN, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo progetto autostradale ad elevato impatto ambientale Orte-Cesena-Mestre è stato inserito dal Governo Monti fra le opere prioritarie da realizzare in project financing con gli incentivi fiscali previsti dalla legge n. 183 del 2011. Tutto questo emerge dalle linee guida all'allegato infrastrutture 2013-2015;
   il progetto prevede la realizzazione dell'autostrada Orte-Cesena-Mestre mediante il ricorso alla finanza di progetto con i privati;
   l'autostrada attraverserà cinque regioni (Lazio, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Veneto), 11 province e 48 comuni; il tracciato prevede solo in parte la riqualificazione della E-45, si sviluppa in parallelo alla strada statale 309 Romea e ha numeri da brivido: 396 chilometri di lunghezza, 139 chilometri di ponti e viadotti, 64 chilometri di gallerie, 20 cavalcavia, 226 sottovia, 83 svincoli;
   questa nuova autostrada:
    a) provoca gravi danni ambientali a carico di importanti zone di interesse storico, paesistico, ambientale (esempio Parco del delta del Po, valli di Comacchio e Mezzano, laguna sud, riviera del Brenta, parco delle Foresti Casentinesi, valli dell'Appennino centrale);
    b) comporta un elevato consumo di suolo, per la maggior parte libero, e il frazionamento di numerosi fondi agricoli;
    c) favorisce la cementificazione delle aree libere attraversate o adiacenti agli svincoli;
    d) privilegia ancora una volta il trasporto su gomma a scapito di quello ferroviario e marittimo, più sostenibili;
   inoltre, i flussi di traffico attuali e futuri che interessano la strada statale 309 Romea e la E-45 non giustificano in alcun modo la costruzione di un'altra autostrada che diventerebbe di fatto un doppione della A-1 e della A-14/A-13;
   l'opera comporta un'enorme spesa di denaro pubblico: con 10 miliardi di euro (di cui 1,4 miliardi pubblici e 8,6 miliardi anticipati dai privati) l'autostrada Orte-Mestre è l'opera in assoluto più costosa. Meno della metà dei fondi destinati alla Mestre-Orte sarebbero sufficienti per sanare il dissesto idrogeologico dell'intero Paese;
   in realtà esistono alternative credibili, meno costose, meno impattanti e facilmente realizzabili, come:
    la messa in sicurezza della SS 309 Romea, una delle strade più pericolose d'Italia. Il rifacimento del manto stradale, la predisposizione di corsie di emergenza, di piazzole di sosta, il miglioramento della segnaletica, la eliminazione degli incroci a raso, sono interventi possibili in 2-3 anni e con spese molto contenute;
    la messa in sicurezza della E-45: anche questa arteria, vecchia e pericolosa, e perennemente cantierizzata, richiede interventi definitivi di riqualificazione, senza la sua trasformazione in autostrada. Il progetto di ANAS prevede per questo tratto delle varianti estremamente impattanti, soprattutto in corrispondenza del nodo di Perugia; inoltre, il potenziamento di questa arteria costituirà un potente attrattore di traffico con gravi ripercussioni ambientali per le valli dell'Appennino centrale;
    il potenziamento del trasporto ferroviario: la ferrovia costituisce una valida alternativa alla gomma, sia per il trasporto delle merci che dei passeggeri. In alcuni casi, gli stessi enti che promuovono la Orte-Mestre, finanziano allo stesso tempo progetti per lo sviluppo o il potenziamento di tratte ferroviarie lungo la medesima direttrice (esempio collegamento Venezia-Chioggia, riapertura della linea Civitavecchia-Orte) –:
   se il Ministro non ritenga di dover ripensare il progetto di cui in premessa al fine di individuare soluzioni alternative più efficaci e sostenibili alla luce delle mutate condizioni di priorità della viabilità e della improrogabile salvaguardia ambientale. (5-01598)


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è in fase di approvazione il progetto per la realizzazione della E78 Fano-Grosseto che attraverserà tre regioni: Marche, Umbria e Toscana. Il tratto marchigiano è ad oggi sotto la lente di ingrandimento di numerose associazioni e movimenti allarmati dall'ipotesi che la strada possa venire realizzata lungo il corso del fiume Metauro andando a deturpare una valle ricca di storia e ritratta in numerosi affreschi di importanti artisti del ’400 tra i quali Piero della Francesca;
   questo progetto redatto dalla ditta Strabag risulta essere completamente differente rispetto a quello già proposto nei primi anni del 2000 dall'Anas. Quest'ultimo prevedeva l'uso di numerosi trafori che nella nuova riproposizione vengono invece sostituiti da viadotti altamente impattanti;
   il nuovo progetto sembra porterà a un risparmio di circa 1 miliardo di euro, passando da un impegno di 4 miliardi a circa 3 miliardi di euro con effettivo risparmio nel tratto marchigiano stimato sui 100 milioni di euro, ma naturalmente nel bilancio non rientra l'impatto ambientale e paesaggistico che l'opera apporterà sul territorio e sulle attività legate al turismo e ad oggi non è dato sapere se esiste o meno una stima dei traffici, un bilancio costo-benefici, o qualsiasi altro studio in grado di affermare e dimostrare la reale utilità dell'opera;
   negli ultimi giorni, sulla spinta del lavoro profuso dai comitati locali, si susseguono prese di posizione più o meno ufficiali degli amministratori, sindaci e consiglieri provinciali, che chiedono che venga ripreso in considerazione il vecchio tracciato. Oltretutto del nuovo tracciato non è stata ancora diffuso nessun progetto nonostante si sa che gli uffici comunali hanno avuto modo di visionare alcuni documenti tra i quali la planimetria con il tracciato proposto dalla Strabag;
   la strada realizzata con il sistema del project financing, secondo il piano economico diffuso, si sosterrà per circa il 40 per cento attraverso il pagamento del pedaggio, ulteriore motivo di preoccupazione per i residenti dei comuni interessati dall'opera –:
   alla luce di quanto esposto in premessa e delle numerose criticità evidenziate, se non si ritenga di dover rivedere il progetto, tenendo conto dell'effettiva domanda di mobilità sulla tratta interessata.
(5-01599)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURA, MARROCU, GIOVANNA SANNA e CANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 26 novembre 2013, è stato nominato il commissario dell'autorità portuale di Cagliari, nella persona del dottor Piergiorgio Massidda;
   la nomina del commissario è avvenuta dopo che il Consiglio di Stato, con sentenza N. 04768/2013, ha pronunciato l'illegittimità dell'atto di designazione, da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del dottor Piergiorgio Massidda a presidente dell'autorità portuale per carenza di competenze. In quanto lo stesso non risultava «in possesso della massima e comprovata qualificazione» in base alla normativa prevista dalla legge n. 84 del 1994;
   la funzione commissariale vicaria quella presidenziale e comporta identiche competenze e responsabilità –:
   quali siano i motivi che hanno indotto il Ministro a procedere alla nomina a commissario dell'autorità portuale di Cagliari dello stesso soggetto che, sulla base di una sentenza esecutiva, è stato dichiarato decaduto per carenza di competenze;
   perché il Ministro non abbia ritenuto di affidare la funzione commissariale a un tecnico del Ministero o ad altri esperti provenienti dalle capitanerie, o comunque a soggetti dotati della necessaria competenza;
   se il Ministro si sia avveduto che, persistendo nella imposizione alla guida dell'Autorità portuale di Cagliari di soggetti privi dei necessari requisiti di legge, è stato sostanzialmente disatteso ed eluso quanto previsto in una sentenza esecutiva, ponendo in essere un atto, che gli interroganti giudicano arbitrario e di surrettizio aggiramento di un provvedimento di un giudice;
   se il Ministro non ritenga, in base a quanto previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 04768 del 26 settembre 2013, di agire in autotutela e revocare la nomina del commissario dell'autorità portuale di Cagliari, nominato, secondo gli interroganti non legittimamente. (5-01576)


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 18 novembre 2013 Poste italiane ha annunciato l'avvio della procedura di mobilità obbligata per una serie di lavoratori che operano in Veneto: secondo quanto comunicato dall'azienda, si tratterebbe di dieci lavoratori che risultano afferenti alla sede di Rovigo e di altrettanti afferenti a quella di Venezia, soggetti che dovranno, a quanto pare, essere «dirottati» nelle prossime settimane verso altre province del Veneto;
   nonostante i lavoratori e, con loro, le sigle sindacali che li rappresentano, abbiano già contestualmente evidenziato come non vi siano al momento degli esuberi che interessino le attività di recapito e nonostante i medesimi soggetti abbiano richiesto, altresì, di poter azzerare eventuali esuberi ricorrendo ad una progressiva «sportellizzazione» delle unità coinvolte, anche al fine di riuscire a coprire le attuali carenze in organico presso gli sportelli di uffici postali presenti in aree particolari per estensione territoriale e densità abitativa (per esempio nell'area deltizia della provincia di Rovigo), la posizione precedentemente dichiarata dall'azienda sembra essere irremovibile e l'unica concessione fin qui avanzata è stata quella in base alla quale si è scelto di prorogare i trasferimenti annunciati alla data del 1o febbraio 2014;
   quanto sopra riportato, e relativo alle realtà territoriali del Veneto qui richiamate, sembra tuttavia discostarsi da quanto recentemente accaduto in realtà come la Lombardia, regione in cui Poste italiane, nonostante la presenza di esuberi, ha effettuato diverse «sportellizzazioni», o come il Friuli-Venezia Giulia, regione in cui l'azienda ha ritenuto di coprire gli esuberi con la medesima modalità, come tra l'altro sarebbe previsto anche dall'accordo del 28 febbraio 2013. Diversamente non si comprende la ratio della proposta di Poste italiane in Veneto, se non come intervento – di fatto – «penalizzante» nei confronti dei lavoratori e del servizio nelle province succitate;
   la situazione sembra assumere contorni ancora più preoccupanti se si considera, per esempio, quanto si evince dalla realtà territoriale di Venezia, dove in data 22 novembre 2013 l'azienda ha provveduto a comunicare l'assunzione di dieci persone a tempo determinato, destinate proprio alle attività di recapito, nonostante gli esuberi di cui sopra –:
   in quale modo il Ministero e il Governo intendano porsi relativamente al metodo di gestione degli esuberi da parte di Poste Italiane, atteso che la realtà più penalizzata appare essere attualmente quella della provincia di Rovigo, sia per quanto riguarda la situazione dei lavoratori che per le ripercussioni prevedibili sulla qualità del servizio ai cittadini.
(5-01577)


   MARIANI e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i disagi con i quali sono costretti a convivere quotidianamente i cittadini che utilizzano la tratta ferroviaria Pisa-Lucca-Aulla perdurano da molti anni (a questo proposito possiamo documentare le ultime interrogazioni che risalgono almeno al 2010) e sono stati documentati negli ultimi giorni anche dalle foto scattate dagli utenti nelle carrozze dei treni; esse costituiscono un ormai corposo cahier de doléances dei pendolari della Garfagnana e sono state pubblicate su vari siti e sulle maggiori testate locali e nazionali;
   ai tanti pendolari che usano ogni giorno il treno per andare a lavorare e a studiare, pagando biglietti e abbonamenti sempre più cari, deve essere garantito un servizio efficiente e dignitoso, che senz'altro non può prevedere che si debba usare l'ombrello nei vagoni per ripararsi dall'acqua che filtra all'interno dei treni;
   l'odissea quotidiana fatta di ritardi cronici, di soppressioni di corse e di disagi di ogni genere mortifica un territorio e i suoi cittadini, orgogliosi di viverci ma anche consapevoli della necessità di una presenza forte delle istituzioni pubbliche a loro tutela;
   la linea ferroviaria Pisa-Lucca-Aulla riveste un'importanza fondamentale per la mobilità del territorio, che presenta invece ancora alcune carenze nella viabilità stradale dovute soprattutto all'orografia e al notevole traffico di mezzi pesanti, ed è per questo utilizzata da migliaia di persone: pendolari, lavoratori, studenti delle scuole superiori, studenti universitari, persone che debbono effettuare visite mediche presso gli ospedali di Lucca e Pisa nonché da coloro che si devono recare presso i vari uffici pubblici siti nel capoluogo di provincia;
   il livello del materiale rotabile è decisamente inadeguato come ampiamente documentato e gli utenti lamentano lo stato complessivo di degrado e il cattivo funzionamento di gran parte dei servizi igienici, del riscaldamento, dell'aria condizionata, e attualmente anche la presenza di infiltrazioni d'acqua nelle carrozze;
   i ritardi dei treni sono spesso superiori ai trenta minuti e non è infrequente che superino l'ora di tempo, comportando la soppressione della corsa;
   non più tardi di qualche settimana fa il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di fronte ai rappresentanti istituzionali della Toscana, annunciava che il Governo, nel rinnovare il mandato per il prossimo triennio ai vertici del gruppo Ferrovie, ha indicato come primo obiettivo quello di riqualificare il trasporto ferroviario locale ormai trascurato da anni;
   occorre ricordare, come confermato dalla relazione della Corte dei conti, che lo Stato italiano ha trasferito dal 2006 al 2012 a Ferrovie dello Stato 34,58 miliardi di euro, impiegati prevalentemente per investimenti sulla rete e per coprire gli interventi del «contratto di programma» che regola il rapporto tra RFI e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che riguarda la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete ed interventi di messa in sicurezza;
   a queste risorse vanno aggiunte quelle che garantiscono la copertura dei contratti di servizio, ovvero quelli stipulati tra le amministrazioni regionali e Trenitalia, la società del gruppo FS che si occupa del materiale rotabile: secondo i calcoli di Legambiente, che ogni anno pubblica il rapporto «Pendolaria», si tratta di 11,07 miliardi di euro tra il 2008 e il 2012, sommando le spese dello Stato e quelle delle amministrazioni regionali;
   sommando i contributi per investimenti ai corrispettivi garantiti dal pubblico per coprire i contratti di servizio, lo Stato ha quindi stanziato negli ultimi anni complessivamente 45 miliardi di euro a fronte del discutibile comportamento di un'azienda che sostiene di fare scelte vincolate alla domanda di mercato e che nel 2012 ha effettuato uno sconto sul costo dei biglietti dell'Alta Velocità variabile tra il 15 e il 30 per cento ed ha contestualmente aumentato mediamente il costo dei biglietti sui treni regionali del 10 per cento, senza minimamente migliorare la qualità del servizio;
   i tre milioni di pendolari italiani rappresentano una percentuale molto elevata dei cittadini che usufruiscono dei servizi di trasporto ferroviario pubblico locale e il potenziamento e miglioramento del servizio potrebbe far aumentare il loro numero a vantaggio della qualità ambientale, del risparmio per le famiglie e dell'efficienza logistica;
   rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-00276 dell'onorevole Dallai, durante la seduta di giovedì 21 novembre scorso, il rappresentante del Ministero ha annunciato l'avvio di un tavolo di confronto con le singole regioni interessate e Trenitalia, nell'ambito del quale approfondire, dal punto di vista tecnico, le possibili ipotesi di mantenimento dei servizi, della loro ottimizzazione, in relazione alle possibili integrazioni con i servizi regionali già esistenti, come anche con quelli in autonomia commerciale svolti da Trenitalia –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere, riunendo l'annunciato tavolo di confronto con le regioni e Trenitalia, per individuare, nelle more del riparto tra le regioni delle risorse un elenco di priorità nel rinnovo o nell'adeguamento del materiale rotabile secondo standard di qualità compatibili con un servizio pubblico a cui accedono quotidianamente milioni di cittadini;
   se non ritenga di valutare l'opportunità di una revisione del contratto nazionale di servizio con Trenitalia, per vincolare la società al rispetto di stringenti criteri di efficienza, puntualità e qualità nel trasporto ferroviario locale, regionale e interregionale che ha subito, negli ultimi anni, un progressivo ed inequivocabile ridimensionamento a favore dell'alta velocità. (5-01581)


   BRAGA e MAURO GUERRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   TILO SA (treni regionali Ticino Lombardia) è una società nata nel dicembre del 2004 da una joint Venture fra FFS (Ferrovie federali svizzere) e Trenitalia allo scopo di migliorare e coordinare il trasporto ferroviario fra il Ticino la Lombardia, e di sviluppare il mercato transfrontaliera tra Svizzera e Italia, la cui principale strategia aziendale risiede nel continuo miglioramento della qualità dei servizi proposti a tutti i livelli (offerta di trasporto, puntualità, pulizia, informazione alla clientela, sicurezza);
   il 29 gennaio 2008 è stata sottoscritta un'Intesa tra regione Lombardia della Repubblica italiana e la Repubblica e Canton Ticino della Confederazione svizzera con l'obiettivo di sviluppare la collaborazione nei settori del commercio, del turismo, dell'energia, dei trasporti, della formazione, della cultura, della tutela del territorio, dei servizi di pubblica utilità, della salute e delle scienze mediche;
   quale primo seguito concreto dell'Intesa, regione Lombardia ha proceduto, sempre in data 29 gennaio 2008, alla formalizzazione dell'Accordo operativo in materia di trasporto ferroviario tra regione Lombardia della Repubblica italiana e la Repubblica e il Cantone Ticino della Confederazione elvetica, finalizzato alla condivisione di strategie e azioni per la definizione di un'unica e coordinata offerta transfrontaliera nella Regio Insubrica, condotta sui poli di Milano, Como, Chiasso, Mendrisio, Lugano, Varese e Bellinzona;
   sulla base di tale Accordo operativo regione Lombardia e Canton Ticino hanno inteso sviluppare la collaborazione nel settore dei trasporti impegnandosi ad attivare iniziative congiunte per promuovere la realizzazione di interventi di comune interesse, considerando prioritari progetti specifici nei rispettivi ambiti di intervento:
    a) servizio ferroviario regionale/metropolitana suburbana:
     a) metropolitana suburbana di Como (linea S10 Canton Ticino + S11 Lombardia);
     b) nuova linea Varese-Lugano: servizio Como-Varese e Lugano-Malpensa;
     c) integrazione tariffaria;
     d) coordinamento e miglioramento dell'offerta sulla linea Bellinzona-Luino-Gallarate.
    b) servizi ferroviari a lunga percorrenza:
     a) coordinamento dei servizi a lunga percorrenza sull'asse del Gottardo: frequenze ogni ora sulla relazione Bellinzona-Milano;
   in riferimento alla metropolitana suburbana di Como (linea S10 Canton Ticino e S11 Lombardia) le parti hanno concordato di predisporre un piano d'offerta che prevedesse il prolungamento della linea S10 Biasca Bellinzona-Chiasso fino alla stazione italiana di Albate-Camerlata, passando per Como San Giovanni. È stabilito che tale linea S10 debba avere una frequenza di 30 minuti e che gli orari sulla tratta italiana verranno concordati con i treni della linea S11 (Milano Garibaldi-Albate-Como-Chiasso), secondo un corridoio di frequenze intercalate tra Chiasso e Albate e con uno schema coerente con la programmazione del Servizio Ferroviario Lombardo. È stato inoltre deciso di definire le seguenti modalità di realizzazione:
    a) prolungamento linea S10 da Chiasso a Como-Albate: a carico del Cantone Ticino;
    b) cadenzamento e regolarizzazione delle frequenze della linea S11 Milano Garibaldi-Como-Chiasso: a carico di regione Lombardia;
    c) realizzazione delle condizioni di attestamento dei treni ad Albate (binario e sottopassi): coordinamento e concertazione con RFI a cura di regione Lombardia (predisposizione e firma di un Protocollo con gli enti preposti agli interventi);
    d) realizzazione dell'accessibilità e dell'area di interscambio nella stazione di Albate: coordinamento e concertazione con Provincia e Comune di Como a cura di regione Lombardia (predisposizione e firma di un Protocollo con gli enti preposti agli interventi);
   l'accordo tra regione Lombardia e gli enti preposti alla realizzazione del nodo di interscambio di Albate prevedeva altresì il miglioramento delle funzionalità di interscambio tra mezzo pubblico e mezzo privato presso la stazione di Albate-Camerlata FS, rendendo utile l'utilizzo della stazione per l'accesso alla Convalle dai Comuni posti a sud di Como e per gli spostamenti transfrontalieri diretti in Svizzera;
   in data 1o ottobre 2008, regione Lombardia ha approvato l'Accordo di finanziamento sottoscritto tra regione Lombardia, Repubblica italiana e Cantone Ticino, Trenitalia s.p.a. e Ferrovie Federali Svizzere necessario al potenziamento del servizio ferroviario sulla tratta Chiasso-Como-Albate-Camerlata che verrà effettuato, in ciascun Paese, dalle imprese nazionali di trasporto ferroviario. Secondo tale Accordo il Canton Ticino si è impegnato a finanziare integralmente i servizi effettuati da Trenitalia sulla tratta da Chiasso a Como-Albate-Camerlata con treni bicorrente Flirt previo inserimento degli stessi, da parte di regione Lombardia, nel nuovo contratto di servizio con Trenitalia, ritenendo che tale assunzione di costo potesse rispondere ad una importante e rilevante domanda di utenza;
   a fine agosto 2013 il Consiglio di Stato svizzero ha deciso di interrompere il finanziamento del servizio ferroviario regionale Chiasso-Como-Albate-Camerlata a partire dall'entrata in vigore dell'orario invernale. In corrispondenza quindi del cambio d'orario previsto per il prossimo 15 dicembre 2013 la linea S10 Tilo non effettuerà più il tratto da Albate-Camerlata a Chiasso, limitandosi a percorre il solo territorio svizzero fino alla prevista stazione di Chiasso;
   le ragioni addotte dal Consiglio di Stato tali da motivare la scelta di sospendere il finanziamento del servizio ferroviario regionale S10 cancellando le due fermate italiane addizionali di Como e Albate-Camerlata sono da riferire al carico ad oggi esiguo degli utenti utilizzatori del Tilo. Secondo i conteggi forniti dalle Ferrovie Federali Svizzere le persone interessate dal servizio sarebbero pari a una media di circa 300 persone al giorno; un carico ritenuto modesto dallo stesso Consiglio di Stato tale da non poter più giustificarne l'importante impegno finanziario;
   nel corso di una recente seduta in Commissione speciale Lombardia-Svizzera, l'assessore alle Infrastrutture e alla mobilità lombarda Del Tenno, confermando la sospensione da parte del Consiglio di Stato del finanziamento del servizio ferroviario regionale Chiasso-Como- Albate-Camerlata, ha altresì ribadito l'impossibilità di regione Lombardia di intervenire sul collegamento mettendo a disposizione risorse finanziarie adeguate per ristabilirne l'offerta;
   tra i motivi decisivi della sospensione del servizio ferroviario sulla tratta Chiasso-Como-Albate-Camerlata, vi sarebbe tuttavia il mancato rispetto, a fronte della totale copertura dei costi del servizio da parte del Canton Ticino, degli impegni assunti da regione Lombardia nell'Accordo operativo relativi, in particolare, alla realizzazione del nodo di interscambio di Albate e al miglioramento delle funzionalità di scambio tra mezzo pubblico e mezzo privato che avrebbero dovuto prevedere la sistemazione della stazione, del servizio della biglietteria oggi inesistente, dei binari, dei sottopassi, l'ampliamento dell'area di parcheggio attualmente inadeguata, sporca di rifiuti, mal curata e soprattutto insufficiente ad accogliere gli utenti. Inefficienze e manchevolezze che hanno di fatto disincentivato i lavoratori e gli studenti frontalieri ad usufruire di tale servizio ferroviario riducendone anche le reali potenzialità;
   la sospensione della linea SIO Tilo Chiasso-Como-Albate-Camerlata provocherà enormi disagi con pesanti ricadute in termini di qualità e quantità del servizio ferroviario offerto alle centinaia di lavoratori frontalieri che quotidianamente si recano in Svizzera per lavoro e di studenti italiani, in aumento negli ultimi anni, iscritti alle università svizzere costretti ad utilizzare altre soluzioni per raggiungere le destinazioni svizzere. Ciò comporterebbe anche una sconfitta del nostro Paese nel campo della collaborazione transfrontaliera in materia di trasporto ferroviario, un insuccesso dovuto principalmente all'inadeguatezza da parte di regione Lombardia a far fronte ai propri impegni e di valutare le potenzialità e l'utilità che, in termini di flussi, la realizzazione di un nodo di interscambio ad Albate-Camerlata potrebbe avere sul territorio e sul rilancio dei collegamenti locali, nazionali e internazionali;
   nell'ottica del rilancio del servizio ferroviario transfrontaliero la linea S10 risulterebbe particolarmente importante in vista della realizzazione della «Fermata ferroviaria di interscambio di Camerlata in Comune di Como», il progetto di unificazione di Ferrovie Nord e Rete/Ferroviaria italiana presso la stazione di Como-Camerlata (Linea Ferrovie Nord) che consentirebbe agli utenti di spostarsi da una linea all'altra attraverso un ponte pedonale di collegamento tra il ramo delle Ferrovie Nord e la nuova fermata di Trenitialia, in sostituzione della stazione di Albate-Camerlata (Linea Rfi) che verrà smantellata. Tale progetto prevede anche la realizzazione di un parcheggio d'interscambio ferro-gomma da circa 250 posti e della stazione per gli autobus con accesso dal collegamento stradale in costruzione tra lo svincolo Acquanera del primo lotto della tangenziale di Como (opera inserita nel progetto del sistema viabilistico pedemontano lombardo) e la strada provinciale 36 Canturina;
   il progetto della «Fermata ferroviaria di interscambio di Camerlata in Comune di Como» consentirebbe la sinergia tra le direttrici ferroviarie Milano-Saronno- Como Lago, Milano-Monza-Como San Giovanni-Chiasso-Lugano, Como San Giovanni-Molteno-Lecco, permettendo inoltre la realizzazione di un servizio di «metropolitana suburbana» per la città di Como e tutta l'area compresa tra Chiasso e Grandate e Cantù;
   lo scorso giugno 2013, le Ferrovie Federali Svizzere (FFS), d'intesa con il gruppo Rete ferroviaria italiana (Rfi) hanno comunicato in un documento il programma di revisione completa, anche se ancora in via di definizione, della linea Eurocity Milano-Zurigo dal quale è prevista, a partire «dal 15 giugno 2014», un anno prima dell'Expo 2015, «l'entrata in servizio di un nuovo concetto per i treni internazionali della linea del Gottardo» che di fatto entrerà in conflitto con il traffico regionale Chiasso-Como-Milano della linea S11. Per questo motivo alcuni Eurocity transiteranno dalla galleria di Monte Olimpino 2 non servendo più la stazione di Como San Giovanni. Lo scalo comasco corre quindi il rischio di essere servito da 2 soli Eurocity contro i 14 collegamenti presenti oggi, perdendo circa l'86 per cento del volume di traffico a favore, presumibilmente, della stazione di Chiasso destinata a trasformarsi nel vero capolinea internazionale della linea del Gottardo;
   nonostante il gruppo Rete ferroviaria italiana si sia limitato a sottolineare che «la stazione di Como San Giovanni resta internazionale», precisando che tuttavia occorrerà aspettare giugno del 2014, e a informare di un piano di investimenti per complessivi 4 milioni di euro (uno previsto per il 2013 e 3 garantiti entro il 2015), di cui ad oggi, a dispetto delle diverse sollecitazioni del comune di Como, non si sa più nulla, è di tutta evidenza il declassamento sostanziale della principale stazione lariana che verrebbe sostanzialmente tagliata fuori dai maggiori collegamenti internazionali lungo l'asse Nord-Sud d'Europa con conseguenze negative e pesantissime in termini di qualità e quantità del servizio ferroviario offerto soprattutto nei riguardi dei flussi di persone, viaggiatori pendolari e turisti da e verso l'Europa, costretti a subire disagi rilevanti; per il ruolo e la capacità attrattiva, reale e potenziale, che la città di Como e il territorio comasco è in grado di esprimere dal punto di vista turistico, anche in vista della Manifestazione universale di Expo 2015 –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attuare, nell'ambito delle proprie competenze, anche in considerazione dei futuri sviluppi strategici inerenti i collegamenti ferroviari transfrontalieri;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire agli utenti del trasporto ferroviario collegamenti e servizi adeguati per qualità, velocità e frequenza in una logica di sistema integrato tra corse regionali, nazionali, transfrontaliere e internazionali, anche in considerazione della vocazione turistica e produttiva della città di Como e del ruolo internazionale che sino ad oggi ha avuto la stazione di Como San Giovanni soprattutto alla luce del tentativo in atto da parte delle Ferrovie Federali Svizzere e di Rete Ferroviaria italiana di revisione completa della linea Eurocity Milano-Zurigo che comporterebbe un vero e proprio declassamento sostanziale della principale stazione lariana. (5-01592)


   BARGERO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Piemonte la condizione del trasporto pubblico locale e del trasporto ferroviario regionale, è connotata, ormai da lungo tempo, da un progressivo depauperamento, in termini sia quantitativi che qualitativi, dei servizi destinati ai pendolari, soprattutto studenti e lavoratori che quotidianamente utilizzano i mezzi pubblici;
   la soppressione indiscriminata di corse e intere linee degli ultimi anni e il degrado e l'obsolescenza del materiale rotabile ancora in uso sono il chiaro segnale della grave e profonda crisi in cui versa l'intero settore dei trasporti nella regione;
   con il nuovo orario invernale comunicato da Trenitalia vi saranno nuove soppressioni, tra cui quella del treno regionale n. 23631 «Asti-Voghera» delle 5.25, con fermate intermedie in provincia di Alessandria nei comuni di Felizzano e Solero, che non sono servite negli stessi orari da autobus, utilizzato da molti pendolari diretti a Milano –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di rafforzare il trasporto pubblico locale così da evitare il perpetuarsi di una situazione di progressivo ed inaccettabile depauperamento del servizio ferroviario. (5-01595)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si sta costruendo, con un finanziamento CIPE, la nuova stazione ferroviaria di Castel di Sangro (AQ) che unificherà le 2 attuali stazioni di RFI e Sangritana;
   al fine di evitare che questa stazione sia un esempio di irrazionalità e spreco di risorse finanziarie pubbliche è necessario rivedere la scelta negativa di RFI di chiudere la relazione ferroviaria tra Sulmona e Carpinone che passa appunto da Castel di Sangro e nel contempo ripristinare la relazione tra Lanciano e Castel di Sangro gestita dalla Sangritana e sospesa da 10 anni;
   la scelta di RFI di insistere sulla chiusura della ferrovia Sulmona-Castel di Sangro-Carpinone priverebbe l'Abruzzo interno montano di un mezzo fondamentale di mobilità che collega due regioni, l'Abruzzo e il Molise, attraversando un territorio ad alta vocazione turistica, sede del più importante bacino sciistico dell'Appennino (altopiano 5 miglie Roccaraso Rivisindoli) e di 2 parchi nazionali e di varie riserve naturali regionali e statali;
   mentre la Sangritana ha chiarito che entro 2 anni saranno ultimati i lavori sulla linea Lanciano-Castel di Sangro e il collegamento tra le province di Chieti e L'Aquila tornerà in funzione, da parte di RFI e Trenitalia non si danno segnali positivi per il ripristino della Sulmona-Carpinone;
   anche in considerazione della costruzione della nuova stazione di Castel di Sangro si rende necessario un ripensamento di RFI e Trenitalia che salvi la «transiberiana d'Italia», come viene chiamata la linea Sulmona-Carpinone che si svolge in gran parte ad alta quota e con un innevamento nel periodo invernale –:
   se non intenda intervenire per salvare la relazione Sulmona-Carpinone, rilanciare il nodo ferroviario di Castel di Sangro, favorire una collaborazione tra Trenitalia, RFI e Sangritana e rendere così produttivo l'investimento di 10 milioni di euro per la costruzione della nuova stazione di Castel di Sangro. (4-02690)


   DI GIOIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 17 dell'Appennino abruzzese e Apulo Sannitico, è un'arteria fondamentale di collegamento tra la città di Foggia e l'Aquila, passando attraverso il Molise;
   la strada statale n. 17 rappresenta una delle strade statali più lunghe d'Italia ed è uno snodo fondamentale anche dal punto di vista turistico oltre che, ovviamente, per le popolazioni locali;
   da parte di molti cittadini, nel tratto soprattutto che va da Foggia a Campobasso, passando attraverso la città di Lucera, vi sono state ripetute denuncie sullo stato di abbandono di questa arteria da parte dell'ANAS che non effettua la necessaria manutenzione ordinaria e, ancor meno, quella straordinaria;
   conseguentemente la statale presenta, in questo tratto, numerose e pericolose buche e, spesso, vi sono le tracce evidenti provocate dagli smottamenti in un territorio interessato da un forte dissesto idrogeologico;
   a tutto ciò si aggiunge un'assenza preoccupante di segnaletica stradale sia orizzontale che verticale o la mancanza di qualsiasi illuminazione in gallerie come quella del «Passo del Lupo», sita in località Volturara Appula;
   l'ANAS, seppure sollecitata dalle amministrazioni locali, non ha sinora effettuato nessun intervento di messa in sicurezza dell'arteria in oggetto, con il risultato che gli incidenti sono in crescita esponenziale senza che questo determini nessun tipo di intervento;
   quanto accade, purtroppo, non fa che confermare la colpevole leggerezza con cui viene prevista la manutenzione ordinaria e straordinaria di molte strade del Mezzogiorno che, oltre a dover subire una mancanza cronica di infrastrutture, deve fare i conti, troppo spesso, con lo stato di abbandono in cui vengono lasciate quelle esistenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione di grave degrado e abbandono in cui è lasciata la strada statale n. 17;
   se non reputi opportuno intervenire con estrema urgenza, visto anche gli enormi rischi che corrono gli automobilisti che utilizzano questa statale nel tratto evidenziato, e con la dovuta fermezza, presso l'ANAS, affinché sia ripristinato lo stato di sicurezza della strada statale 17 e sia realizzata la necessaria manutenzione sia ordinaria che straordinaria. (4-02696)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   FAUTTILLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni si deve registrare un crescente numero di attentati ed intimidazioni ai danni di attività commerciali ed imprenditoriali nonché nei confronti di esponenti politici;
   nel mese di agosto 2013 sono state danneggiate due automobili di proprietà dell'assessore alle finanze Antonio Chiusolo e di suo cognato, coordinatore del gruppo di Latina dell'associazione Libera contro le mafie;
   questi atti, probabilmente di natura intimidatoria ai danni di amministratori e funzionari di Aprilia, sono stati preceduti da altri incendi dolosi come quello della vettura del direttore generale della Multiservizi nel settembre del 2011 e gli spari al bar del consigliere Nardin nel novembre del 2012;
   più recentemente si deve registrare l'aggressione al consigliere comunale di Aprilia, delegato allo sport, Pasquale Di Maio –:
   se non ritenga che i fatti su esposti non rappresentino il segnale di una attività di penetrazione di organizzazioni mafiose nel territorio di Aprilia e quali iniziative intenda adottare in merito. (3-00484)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHAOUKI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 22 novembre 2013, il sito on line del quotidiano La Repubblica, sezione di Roma, pubblica un articolo intitolato «Pestaggi e raid squadristi, è il “Bangla tour”. Così l'ultradestra va a caccia di immigrati», firmato da Federica Angeli e Giuseppe Scarpa. I due giornalisti tracciano un quadro inquietante dell'estrema destra romana, che, coinvolgendo numerosi adolescenti – nell'articolo si parla di centinaia di proseliti – andrebbe a caccia di immigrati, soprattutto bengalesi, al grido di «Camerata della destra romana, azione!»;
   secondo quanto riportato dagli articoli di stampa, le spedizioni partirebbero dalle sedi di Forza Nuova, una delle quali si trova in via Lidia 52-54, e prenderebbero di mira, nello specifico, immigrati che si trovano nei quartieri romani di Torpignattara, Casilino, Prenestino, Acqua Bullicante, luoghi dove la comunità del Bangladesh ha la sua più alta concentrazione. Individuata la vittima, gli adolescenti procederebbero al pestaggio, che acquisirebbe nella loro forma mentis un valore «terapeutico» e «ideologico», e contribuirebbe a scaricare «i nervi e la tensione». Secondo quanto riportato dalle notizie a mezzo stampa, la scelta cadrebbe sui membri di questa specifica comunità perché raramente le vittime sporgono denuncia;
   il 18 maggio 2013 un sedicenne e un diciannovenne, in via Oddi, avrebbero massacrato di botte un minore bengalese, insultandolo per il colore della pelle e mandandolo in ospedale con il labbro e il sopracciglio spaccati. I due – come si apprende da Repubblica – sono stati incastrati da una testimone affacciata dal balcone della propria casa e dallo smarrimento del cellulare di uno dei due. «Noi siamo camerata e combattiamo l'immigrazione clandestina». Con queste parole si sarebbero giustificati i due, interrogati dalla Polizia a seguito del cosiddetto «Bangla Tour»;
   «Una sorta di iniziazione per essere accettato nel gruppo» così lo definisce Massimo Scaringella, legale del sedicenne che, a proposito del suo assistito, ha dichiarato: «Dietro queste spedizioni punitive a mio avviso c’è un vero e proprio indottrinamento. Il mio assistito rispondeva alle mie domande come un invasato. Picchiare i bengalesi per lui non era solo un modo per divertirsi [...], ma era una vera e propria crociata, una battaglia che doveva combattere a tutti i costi. Qualcuno, più grande di lui, lo aveva attirato a frequentare la sede di Forza Nuova [...] Ma su di lui, sono certo, c’è stato un vero e proprio lavaggio del cervello. Ritengo sia una vittima inconsapevole di un sistema che tende comunque ad approfittarsi dei più deboli»;
   questa forma di violenza di matrice razzista e politica, che vede coinvolti come aggressori giovani ragazzi, preoccupa sia per le modalità che per l'ideologia che l'alimenta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati, e se e quali provvedimenti di competenza abbia preso o intenda prendere per contrastare quanto prima il degenerare di queste azioni squadriste ai danni dei bengalesi e delle altre minoranze etniche. (5-01575)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BECHIS e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 novembre 2013 si è abbattuto sulla regione Sardegna un uragano denominato Cleopatra che ha riversato sull'isola, a detta del capo della Protezione civile Franco Gabrielli, l'equivalente di 6 mesi di pioggia in sole 24 ore;
   l'alto numero delle vittime provocate dall'alluvione ha spinto il Presidente del Consiglio dei ministri a definire tale catastrofe naturale «tragedia nazionale» ed il Consiglio dei ministri a dichiarare lo stato d'emergenza;
   l'articolo 9 del decreto legislativo n. 139 del 2006 prevede come prima possibilità d'impiego dei volontari del corpo nazionale dei vigili del fuoco in caso di calamità e catastrofi naturali;
   risulta agli interroganti, a seguito di segnalazioni dal territorio, che nelle zone colpite dall'uragano per soccorrere le molte persone trovatesi in difficoltà e per fronteggiare nelle primissime ore i danni ingentissimi provocati dell'eccezionale evento atmosferico i comandi provinciali dei vigili del fuoco non si siano avvalsi dei volontari neppure per operazioni quali lo spalamento del fango e dei detriti, ma abbiano richiesto l'intervento di effettivi dei vigili del fuoco da altre regioni;
   l'impiego di volontari discontinui avrebbe potuto rendere più celeri e offrire immediate risorse alle operazioni di primo soccorso, essendo questi già presenti sul posto, oltre che formati a svolgere le operazioni necessarie in caso di catastrofi naturali e sia profondi conoscitori dei luoghi colpiti dall'alluvione, in particolare alla luce del fatto che a causa delle avverse condizioni meteorologiche, a quanto risulta agli interroganti, non tutti i contingenti di vigili del fuoco richiamati da altre regioni sarebbero riusciti a raggiungere prontamente le zone sottoposte alla grave emergenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della suesposta situazione e per quali motivi l'amministrazione abbia ritenuto di non avvalersi dei vigili del fuoco volontari discontinui nelle prime operazioni effettuate in stato di emergenza.
(4-02688)


   LIUZZI, PARENTELA, D'INCÀ, TOFALO, SPESSOTTO, LOMBARDI, TERZONI, SILVIA GIORDANO, BARONI, DE LORENZIS, COZZOLINO, MANNINO e CRISTIAN IANNUZZI. —Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'8 novembre 2013 su il Fatto Quotidiano è stato pubblicato un articolo contenente la denuncia del sindacato italiano lavoratori polizia sull'utilizzo informale di agenti e mezzi della Digos per lo spostamento dello staff del Ministro della salute Beatrice Lorenzin avvenuto il 6 novembre 2013;
   nella data succitata, il Ministro Beatrice Lorenzin si è presentata in visita istituzionale presso l'ospedale di San Carlo di Potenza e per altri appuntamenti elettorali in vista delle elezioni regionali del 17 e del 18 novembre 2013 in Basilicata;
   in base a quanto si apprende dall'articolo online, la denuncia del sindacato nasce da un'ordinanza ad hoc, annullata solo dopo la denuncia del Silp, emanata dalla questura di Potenza che prevedeva l'impiego per sei ore di un agente della Digos come autista e di un'auto della polizia per accompagnare i collaboratori del Ministro dal loro arrivo alla stazione di Salerno e per l'intera permanenza a Potenza, fino al loro trasferimento a Matera per un incontro elettorale;
   Francesco Mobilio (segretario provinciale del Silp) ha dichiarato alla stampa che con l'ordinanza «c’è stata una violazione palese dei regolamenti delle funzioni e delle norme contrattuali che equiparano i poliziotti al ruolo di tassisti»;
   tuttavia – si legge nell'articolo – una volta terminata la visita presso l'ospedale San Carlo di Potenza, una persona dell’entourage del Ministro della salute, in via informale è stata accompagnata a Matera da due agenti della Digos con un mezzo della polizia;
   a detta del sindacato Silp, in riferimento all'ordinanza, ciò che era stato annullato formalmente in mattinata, è stato ripristinato informalmente la sera con una semplice comunicazione verbale;
   la replica del Ministro è stata affidata al suo portavoce che ha dichiarato a mezzo stampa: «da parte nostra non c’è stata alcuna richiesta di servizio taxi e la denuncia del sindacato l'abbiamo appresa con stupore. E per questo motivo abbiamo chiesto chiarimenti alla Prefettura perché pensiamo di aver seguito la prassi» – continua il portavoce – «C’è inoltre una nota che il Questore ha inviato ai quotidiani locali per chiarire la regolarità della procedura». Il portavoce del Ministro della salute ha anche dichiarato che «le visite del Governo seppur fossero da considerarsi semplici “manifestazioni elettorali”, impongono alle Autorità provinciali [...] un protocollo istituzionale [...] anche per lo staff governativo»;
   il questore Romolo Panico ha dichiarato a mezzo stampa che «Era mio dovere scortare lo staff del Ministro con tutto il riguardo. Siamo tenuti a osservare delle norme [...] Ammetto di non ricordare quali siano ma fanno tutti così e se sbaglio io vuol dire che sbagliano tutti»;
   a detta dell'interrogante, in un momento così delicato per il nostro Paese e in un'ottica di spending review non si vorrebbe che ci fosse uno sperpero di risorse pubbliche, solo per compiacere alte cariche dello Stato –:
   se i fatti sopra citati trovino riscontro;
   se, in base ai fatti denunciati dal Silp, sia possibile verificare che non vi sia stata una violazione dei regolamenti delle funzioni e delle norme contrattuali del protocollo istituzionale inerente allo spostamento dello staff del Ministro Beatrice Lorenzin;
   se il «Ministro della salute non intenda investire le proprie risorse economiche private per lo spostamento del suo staff per le attività connesse alle manifestazioni elettorali e non Ministeriali.
(4-02707)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 20 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104 «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca», convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2013, n. 128 (in G.U. 11 novembre 2013, n. 264) ha abrogato l'articolo 4 del decreto legislativo 14 gennaio 2008, n. 21, e ha previsto che «L'articolo 4 del citato decreto legislativo non è applicato alle procedure relative agli esami di ammissione ai corsi universitari già indette e non ancora concluse alla data di entrata in vigore del presente decreto»;
   la legge ha anche stabilito che i partecipanti agli esami di ammissione per l'anno accademico 2013/2014 ai corsi universitari di medicina e chirurgia, odontoiatria, medicina veterinaria nonché a quelli finalizzati alla formazione di architetto, che avrebbero avuto diritto al punteggio relativo alla valutazione del percorso scolastico ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera b), del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 12 giugno 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1o luglio 2013, e che, in assenza delle disposizioni di cui al comma 1 del presente articolo, si sarebbero potuti iscrivere ai suddetti corsi in quanto sarebbero stati collocati in graduatoria entro il numero massimo di posti disponibili fissato dai relativi decreti ministeriali di programmazione, sono ammessi nel medesimo anno accademico 2013/2014 a iscriversi in sovrannumero, secondo il punteggio complessivo ottenuto e l'ordine di preferenza delle sedi indicate al momento dell'iscrizione al test d'accesso, nella sede alla quale avrebbero potuto iscriversi in base alla graduatoria di diritto che sarebbe conseguita all'applicazione del suddetto decreto, in assenza di rinunce e scorrimenti di graduatoria. I suddetti partecipanti possono altresì scegliere di iscriversi in sovrannumero, nell'anno accademico 2014/2015, al primo o al secondo anno del corso di studi prescelto, secondo le previsioni del periodo precedente. Ove i suddetti partecipanti scelgano di iscriversi in sovrannumero nell'anno accademico 2014/2015, l'ammissione al primo o al secondo anno di corso è effettuata con il riconoscimento, da parte degli atenei, dei crediti già acquisiti nell'anno accademico 2013/2014 in insegnamenti previsti anche nel predetto corso di studi»;
   in particolare, recita la legge che «Coloro che nell'anno accademico 2013/2014 si sono iscritti ai corsi di cui al comma 1-bis in una sede diversa da quella alla quale avrebbero avuto diritto ad iscriversi ai sensi del medesimo comma 1-bis possono trasferirsi nella suddetta sede nell'anno accademico 2014/2015, con il riconoscimento, da parte degli atenei, dei crediti già acquisiti nell'anno accademico 2013/2014 in insegnamenti previsti anche nel predetto corso di studi»;
   a fronte di queste norme, dispone il citato articolo 20 che «Ai fini dei commi 1-bis e 1-ter, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al termine delle immatricolazioni dell'anno accademico 2013/2014 relative alla graduatoria del 30 settembre 2013, riapre la procedura per l'inserimento del voto di maturità da parte di tutti i candidati che hanno ottenuto almeno 20 punti nel test d'accesso e che non abbiano provveduto al predetto inserimento entro i termini previsti dal citato decreto ministeriale 12 giugno 2013. Le università sedi di corsi di laurea in professioni sanitarie e scienze della formazione primaria ammettono a iscriversi in sovrannumero nell'anno accademico 2013/2014 o nell'anno accademico 2014/2015, in analogia a quanto previsto dai commi 1-bis e 1-ter, i partecipanti agli esami di ammissione per l'anno accademico 2013/2014 che, in assenza delle disposizioni di cui al comma 1 del presente articolo e secondo quanto previsto dall'articolo 10, comma 3, lettera b), del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 12 giugno 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n 152 del 1o luglio 2013, e dall'articolo 1, comma 6, lettera b), del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 615 del 15 luglio 2013, come recepiti dai rispettivi bandi, si sarebbero potuti iscrivere ai suddetti corsi in quanto collocati in graduatoria entro il numero massimo di posti disponibili»;
   ciò nonostante ad oggi nessuno studente che ha acquisito il diritto all'iscrizione ai sensi dell'articolo 20 citato ha potuto effettuare l'iscrizione al corso universitario al quale avrebbe accesso, in quanto manca una qualsivoglia disposizione da parte del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca alle università;
   ciò crea evidenti problemi a tanti studenti meritevoli che tardando l'iscrizione non possono frequentare i corsi di studi con grave nocumento alla loro preparazione e formazione;
   la situazione attuale di sostanziale non applicazione della norma sta vanificando, a giudizio dell'interrogante, gli effetti della volontà espressa dal Parlamento ad ampia maggioranza –:
   quali siano i motivi del ritardo e da quando sarà possibile agli studenti che hanno acquisito il diritto all'ammissione ai corsi universitari ad accesso limitato ai sensi del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, poter effettuare la relativa immatricolazione.
(4-02694)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre del 2011, l'INAIL decise di dedicare alla ricostruzione dell'Aquila una parte dei suoi risparmi. L'INAIL è una delle strutture della pubblica amministrazione che chiude i suoi conti in attivo: i contributi incassati superano le indennità erogate e il surplus è girato per legge al Tesoro che lo usa per tenere in equilibrio i conti pubblici. Dopo il terremoto dell'Aquila, però, si decise di fare un'eccezione e riservare una parte di quei soldi alla ricostruzione;
   si era previsto che gli interventi dell'INAIL potessero avvenire solo nella cosiddetta forma indiretta: vale a dire con un lungo procedimento che comincia con il bando, prosegue con le manifestazioni d'interesse, per poi passare alla valutazione dei progetti da parte di un advisor e chiudere con l'analisi di compatibilità fatta dai Ministeri vigilanti;
   sono passati 1.700 giorni dal terremoto dell'Aquila e a tutt'oggi non è stato utilizzato nemmeno un euro di quel tesoretto da 2 miliardi messo a disposizione dall'istituto per ridare vita alla città;
   Giuseppe Lucibello, direttore generale dell'Istituto per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, conferma che il fondo stanziato doveva essere utilizzato per cinque obiettivi: recuperare il centro storico, rimettere a posto le strutture sanitarie, creare un nuovo campus universitario, oltre che per interventi mirati sui beni culturali e sul tessuto urbano;
   quei soldi però sono finiti in un labirinto burocratico: dagli investimenti indiretti si è passati a quelli diretti, con la Presidenza del Consiglio e la protezione civile a seguire l’iter dei progetti che dovevano essere presentati sul territorio. Ma nemmeno un anno fa la protezione civile è stata completamente ridisegnata, con la riforma voluta dal Governo Monti, e di quella funzione di fatto si sono perse le tracce;
   il direttore generale denuncia inoltre che mentre mancano i soldi per la ricostruzione, in cassaforte restano due miliardi inutilizzati e alla fine dell'anno 500 milioni andranno in perenzione, dunque saranno persi definitivamente –:
   se non intenda intervenire d'urgenza affinché i fondi dell'INAIL stanziati per la ricostruzione siano effettivamente utilizzati ed evitare il rischio che il fondo vada in perenzione. (3-00483)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


   GIGLI, BINETTI e SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati dell'Istat le famiglie che versavano in una condizione di povertà assoluta erano un milione e 725 mila (il 6,8 per cento delle famiglie residenti) per un totale di oltre 4,8 milioni di persone (l'8 per cento della popolazione), di questi poco più di 2,3 milioni erano residenti al Sud;
   è di recente diffusione il documento relativo all’«Alleanza contro la povertà in Italia», redatto da un gruppo molto significativo di organizzazioni quali importanti associazioni cattoliche, Confcooperative, confederazioni sindacali, ANCI e conferenza delle regioni;
   nel documento è stata proposta l'adozione di iniziative urgenti per contrastare la crescita della povertà assoluta, che interessa l'8 per cento dell'intera popolazione nazionale, facendo rilevare il rischio particolarmente elevato di incorrere nella povertà assoluta che grava a carico delle famiglie numerose;
   il documento della «Alleanza contro la povertà in Italia» propone l'aiuto ai poveri come uno strumento per favorire la ripresa economica del Paese. Numerose sono le analogie dell'iniziativa con le misure contenute nella proposta elaborata da un gruppo di lavoro insediato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, presieduto dal viceministro Guerra, volte all'introduzione di una nuova misura di contrasto alla povertà, il SIA (sostegno all'inclusione attiva);
   negli studi che hanno accompagnato l'elaborazione del documento: «Alleanza contro la povertà in Italia», è stato calcolato un fabbisogno per l'iniziativa pari a circa 900 milioni di euro per il 2014;
   in data 20 novembre 2013, è stata depositata a firma Gian Luigi Gigli ed altri la mozione n. 1-00254 in cui si impegna il Governo, tra le altre cose, sin dalle prossime iniziative normative ad assicurare il finanziamento del piano nazionale contro la povertà e a promuovere adeguate iniziative condivise ed efficaci contro la povertà assoluta nel nostro Paese –:
   quali urgenti iniziative condivise ed efficaci intenda porre in essere contro la povertà assoluta nel nostro Paese, favorendo il pieno coinvolgimento delle organizzazioni sociali e del terzo settore con le istituzioni interessate, sia nella programmazione che nella progettazione e gestione degli interventi relativi e quali risorse ritenga opportuno individuare, adeguate a contrastare la povertà assoluta attraverso il finanziamento dei fondi destinati alla spesa sociale da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali. (5-01578)


   DI VITA, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il primo programma d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, in attuazione della legislazione nazionale e internazionale, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, della legge 3 marzo 2009, n. 18, è stato approvato in sessione plenaria dall'osservatorio nazionale sui a condizione delle persone con disabilità;
   il programma d'azione biennale rappresenta un significativo risultato nel quadro della elaborazione di politiche a favore delle persone con disabilità;
   il decreto interministeriale n. 176 del 2010, prevede che il testo approvato dall'osservatorio deve essere adottato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la Conferenza unificata;
   il programma d'azione, di durata biennale, individua le aree prioritarie verso cui indirizzare azioni, programmi e interventi per la promozione e la tutela dei diritti delle persone con disabilità, al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 e della convenzione ONU ratificata dall'Italia nel 2009;
   a fronte di un programma d'azione complessivo e articolato, le persone disabili e il Parlamento hanno il diritto di conoscere quali sono, in particolare, le azioni che il Governo intenda porre in essere, in coerenza con quanto previsto nel citato programma, indicando contestualmente le priorità e le risorse disponibili in modo da passare dalla stesura del programma alla sua attuazione;
   ad oggi non risulta, agli interroganti, alcun atto o relazione, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che porti a conoscenza delle competenti commissioni parlamentari le azioni che si intendono avviare, ne su quali finanziamenti si intenda basare l'applicazione di quanto previsto dal primo programma d'azione biennale sulla disabilità, tenuto conto che in sede di legge di stabilità non sembrano previsti finanziamenti finalizzati alla sua attuazione;
   le persone con disabilità sono 2 milioni 600 mila di cui l'80 per cento hanno un'età superiore a 65 anni;
   circa il 10 per cento delle famiglie ha almeno un componente con problemi di disabilità e, oltre un terzo di queste famiglie è composto da persone disabili che vivono sole. Quasi l'80 per cento delle famiglie con persone disabili non risulta assistita dai servizi pubblici a domicilio ed oltre il 70 per cento non si avvale di alcuna assistenza, né pubblica né a pagamento, soprattutto nel Sud –:
   tenuto conto dei vasti e articolati impegni, previsti dal programma d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, quali azioni e programmi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intenda avviare prioritariamente, indicando le risorse disponibili a tal fine. (5-01579)


   PIAZZONI, NICCHI e AIELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione di crisi economica e sociale fotografata dai dati ISTAT del 2012 conferma un quadro allarmante in cui 9 milioni e 563.000 persone, pari al 15,8 per cento della popolazione italiana, versano in condizione di povertà relativa, mentre 4 milioni e 814.000 persone, pari al 7,9 per cento della popolazione, si trovano in condizioni di povertà assoluta;
   i dati sopracitati descrivono un Paese in cui è diventato estremamente difficile, oramai, soddisfare anche quei bisogni essenziali legati al rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, tra cui il diritto all'abitazione;
   sempre più persone infatti, in una composizione sociale mutata comprendente interi nuclei familiari e tutti quei soggetti che rientrano nella definizione di «nuove povertà», hanno perso o rischiano seriamente di perdere la propria abitazione, basti pensare alle quasi 70.000 sentenze di sfratto emesse nel 2012, l'87 per cento delle quali per morosità incolpevole;
   ciò ha contribuito a incrementare il già considerevole e drammatico numero di utenti bisognosi di accoglienza. Secondo un'indagine realizzata dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fio.PSD), nel 2012 si stimavano in oltre 50.000 le persone senza fissa dimora, con la concreta possibilità che il numero reale si potesse attestare anche nel doppio;
   a fronteggiare l'emergenza, specialmente nei mesi invernali, sono soprattutto i privati, le associazioni di volontariato ed i comuni. È stato calcolato come oltre 727 tra enti ed organizzazioni no profit si attivino in Italia per erogare servizi ai senza fissa dimora, fornendo un alloggio notturno, accoglienza diurna ed assistenza focalizzata sui bisogni primari delle persone;
   nel quadro delle politiche sociali, in Italia, il tema delle persone senza dimora e del grave disagio abitativo è sempre stato ai margini, in posizione analoga allo spazio occupato da queste persone e dai servizi che se ne occupano all'interno del contesto sociale;
   l'assenza di politiche nazionali strutturate e concrete per affrontare il problema di chi rimane senza una dimora sul territorio italiano sta lasciando sempre più in balia dell'emergenza i comuni, trovandosi questi ultimi soli ad affrontare problematiche che rischiano di superare la loro capacità di intervento;
   appare evidente come l'onere del sostegno alle fasce di popolazione più deboli e a maggior rischio di marginalità non può continuare ad essere demandato unicamente alle realtà locali e alle organizzazioni sopracitate, essendo necessario un rinnovato impegno in materia da parte dello Stato –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative a favore delle persone senza fissa dimora o colpite dall'emergenza abitativa stanziando risorse adeguate a mettere in atto servizi di alloggiamento, anche mediante l'utilizzo del patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato, e capaci di prospettare soluzioni strutturali. (5-01580)

Interrogazione a risposta scritta:


   RABINO e MONCHIERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 30 marzo 1992, n. 257, articolo 13, comma 8, veniva statuito che per i lavoratori esposti ad amianto per un periodo superiore ai dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria gestita dall'INAIL, venisse moltiplicato per il coefficiente 1,5 ai fini del calcolo della misura della prestazione pensionistica e della maturazione del diritto d'accesso alla medesima;
   con la legge finanziaria dello Stato, 24 dicembre 2003, n. 350, articolo 133, comma 3, i suddetti benefici sono stati estesi ai lavoratori dell'ex Acna di Cengio (SV), indipendentemente dagli anni di esposizione alle sostanze nocive alla salute;
   con la riforma della legge sull'amianto (legge n. 326 del 2003), il coefficiente è stato ridotto da 1,50 a 1,25, stabilendo altresì che esso si sarebbe applicato solo ai fini del computo del quantum pensionistico ma non per la maturazione dell'anzianità contributiva;
   con una lettera del 21 ottobre 2005, il direttore per le politiche previdenziali pro tempore del Ministero della salute impartiva, invece, all'INPS direttive nel senso di riconoscere ai lavoratori in questione la rivalutazione mediante applicazione del coefficiente di 1,50;
   una sentenza del giudice del lavoro presso il tribunale di Mondovì (CN) dichiarava il diritto dei ricorrenti, lavoratori delle ditte esterne che avevano prestato servizio nello stabilimento Acna, alla rivalutazione dell'anzianità mediante applicazione del coefficiente di 1,50 (sentenza confermata dalla Corte d'appello di Torino e conforme all'orientamento seguito anche dal tribunale di Savona e dalla Corte d'appello di Genova) e a partire dall'aprile 2011, la Corte d'appello di Torino ha mutato orientamento, sostenendo il diritto al beneficio ma con il coefficiente ridotto all'1,25;
   molti lavoratori, basandosi sull'orientamento invalso fino al 2011 (coefficiente all'1,5 e applicazione ai fini della maturazione del diritto d'accesso alla pensione) hanno accettato situazioni di mobilità volontaria o stanno versandosi, con sacrifici facilmente immaginabili, la contribuzione inerente agli anni mancanti, mentre l'intervento legislativo del 2003 e il recente pronunciamento dei giudici di Torino hanno creato un'ulteriore situazione di «esodati» –:
   se intenda valutare l'opportunità di assumere le iniziative di competenza, se del caso anche mediante una circolare o altro atto interpretativo, al fine di riconoscere ai lavoratori dell'Acna di Cengio (SV) l'applicazione del coefficiente di 1,5 sia per la definizione della misura della prestazione pensionistica che per il calcolo degli anni necessari all'acquisizione del diritto alla pensione, così com'era disposto in precedenza dalla legge finanziaria 24 dicembre 2003, n. 350. (4-02697)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAON e GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   risulta agli interroganti che con una delibera del commissario straordinario di AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) sia riconosciuto un premio di 517.077,19 euro per il conseguimento degli obiettivi per l'anno 2012 a tre dirigenti di prima fascia. La retribuzione di risultato è corrisposta a seguito della verifica e della valutazione dei risultati conseguiti in coerenza con gli obiettivi annuali stabiliti così come previsto dal vigente CCNL di riferimento;
   risulta, inoltre, che con una determina del direttore generale di AGEA, che ha approvato la determinazione del Fondo per il finanziamento delle retribuzioni di posizione e di risultato dei dirigenti di prima fascia dell'AGEA per l'anno 2012 (quantificandolo in 517.077,19 euro), tra le figure che percepiranno il «premio» risulta essere presente anche il direttore generale stesso che ha approvato il fondo;
   con il comma 9, dell'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 cosiddetto «spending review», si prevedeva che la dotazione organica di AGEA, attualmente esistente, venisse ridotta del 50 per cento per il personale dirigenziale di prima fascia e del 10 per cento per il personale dirigenziale di seconda fascia e conseguentemente AGEA avrebbe dovuto adeguare il proprio assetto organizzativo;
   i dirigenti di AGEA, in base alla disposizione sopra menzionata (entrata in vigore il 21 agosto 2012), a partire da novembre 2012 sarebbero dovuti quindi diminuire a due unità. Agli interroganti non risulta che sia stata prevista alcuna riduzione della pianta organica;
   il comma 13 dell'articolo 2 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, in controtendenza a quanto previsto nella spending review, prevede l'assunzione di 3 unità dirigenziali presso AGEA nel contesto dell'attuale dotazione organica anche attingendo all'ultima graduatoria concorsuale approvata. Durante l'esame del decreto-legge, è stato accolto un ordine del giorno a firma degli interroganti (9/1682-A/33) con il quale si impegnava il Governo a valutare l'opportunità di non procedere, in un prossimo provvedimento, all'assunzione di ulteriore personale nell'organico di AGEA tenendo in considerazione l'attuale riforma degli enti vigilati;
   si ravvede la necessità che l'AGEA debba essere soppressa e messa in liquidazione istituendo al suo posto Agenzie interregionali che conoscono meglio le realtà territoriali e le aziende che vi operano. Questa risulterebbe la migliore soluzione per difendere le nostre produzioni ed eccellenze nell'ottica della tutela del territorio, per salvaguardare l'imprenditoria del settore primario e per riconoscere le specificità di produzioni agricole e zootecniche di ogni singola regione, perché, nei fatti, AGEA non è di alcuna utilità né all'agricoltura né agli agricoltori –:
   se quanto sopra esposto in premessa corrisponda al vero e, se sì, quali siano le motivazioni che hanno portato il Ministro ad avallare una disposizione che permette di attribuire un rilevante «premio» ai dirigenti AGEA, che risulta essere stridente sia con le norme in tema di spending review che con i sacrifici che vengono imposti ai cittadini e alle imprese, in particolare agricole;
   se non ritenga doveroso dare seguito alle finalità dell'ordine del giorno accolto durante l'esame del decreto-legge n. 101 del 2013 prevedendo, provvedimenti che definiscano definitivamente uno snellimento strutturale di AGEA o addirittura che ne prevedano la sua soppressione e sostituzione. (5-01593)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell'export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il Made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del Made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   se intenda assumere iniziative nei confronti dei soggetti deputati al controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del Made in Italy. (4-02698)


   BOCCADUTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare Made in Italy rappresenta più del 17 per cento del PIL e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di il Made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7° posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
   i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   le regioni maggiormente vocate per l'allevamento di suini sono Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, ma anche Calabria, Umbria e Sardegna;
   rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate in Italia, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
   dai medesimi dati emerge che i principali Paesi fornitori di carne suina in Italia sono la Germania, l'Olanda, la Francia, la Spagna e la Danimarca;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6° censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è di 1,56 euro al chilogrammo;
   i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è stato di 1,4 euro al chilogrammi;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standard di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni per quanto di competenza il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo Regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199). (4-02700)


   BOCCADUTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'articolo 26, paragrafo 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di promuovere il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carni suine. (4-02704)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCUVERA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, su «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» all'articolo 7, comma 6, precisa che, in riferimento alle categorie protette, «la disposizione del presente comma deroga ai divieti di nuove assunzioni previsti dalla legislazione vigente, anche nel caso in cui l'amministrazione interessata sia in situazione di soprannumerarietà»;
   le province di Parma e Ferrara hanno inoltrato alla Corte dei conti richiesta di parere ai sensi della vigenza del divieto, posto a carico delle province, di assumere personale a tempo indeterminato, anche con riferimento ai lavoratori delle categorie protette, nelle more dell'attuazione delle disposizioni legislative di riduzione e razionalizzazione di detti enti locali;
   la sezione per le autonomie della Corte dei conti, pronunciandosi in data 14 ottobre 2013, sulle questioni di massima succitate, poste dalla sezione regionale di controllo per l'Emilia Romagna, ha deliberato che il divieto posto a carico delle province di assumere a tempo indeterminato è tuttora in vigore e comprende anche le categorie aventi diritto al collocamento obbligatorio (preannunciando che il successivo parere si baserà su tale assunto) –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per dare piena attuazione ed effettività alla normativa in vigore in materia di assunzione delle persone disabili. (5-01574)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è in diffusione presso i Ministeri dell'istruzione e della salute d'Europa, un documento dell'Organizzazione mondiale della sanità, contenente gli standard per l'educazione sessuale in Europa. Si tratta di un documento secondo l'interrogante indistinguibile da un manuale di corruzione dei minori, nonostante il lessico voglia apparire scientificamente fondato e ispirato alla ideologia di genere, mentre contraddice principi elementari di opportunità e di prudenza nella formazione dei minori in questo delicato campo;
   attraverso la guida standard di educazione sessuale in Europa, l'organizzazione cerca di definire infatti principi e contenuti di base che gli Stati devono sviluppare per educare i bambini europei alla sessualità e all'affettività, secondo i pregiudizi e i precetti dell'ideologia di genere e nella convinzione che i bambini diventino sessualmente attivi sempre più precocemente;
   si tratta di un documento di enorme influenza, diretto ai Ministri della salute e dell'istruzione in Europa, un documento che, tuttavia, a giudizio dell'interrogante, non prende in considerazione i genitori come responsabili per l'educazione dei propri i figli e contraddice profondamente i modelli educativi tipici della cultura occidentale, che hanno sempre avuto nella famiglia il punto di riferimento stabile per la formazione dei minori;
   il documento dell'Organizzazione mondiale della sanità, nelle premesse, chiarisce che il compito di condurre i bambini e i ragazzi alla scoperta delle loro facoltà sessuali ricade prima di tutto sulla scuola, sugli psicologi, psicoterapeuti e sessuologi e non sui genitori che spesso «non sono all'altezza del compito» e poi questi spesso «si imbarazzano ad affrontare l'argomento»;
   le linee guida proseguono stabilendo che l'educazione sessuale deve iniziare sin dai primissimi giorni di vita e deve perciò essere inserita come materia obbligatoria nelle scuole primarie e secondarie. Nella parte finale del documento, attraverso uno schema diviso per fasce di età, si indicano le informazioni da fornire ai giovanissimi educandi e le capacità che questi devono sviluppare;
   a parere dell'interrogante è sottinteso nel documento il principio per il quale i genitori sono una «fonte informale» di educazione, rispetto allo Stato come «fonte formale», «scientifica» e veritativa. I genitori appaiono esautorati proprio in uno di quei campi in cui il far famiglia ha la sua dimensione più profonda sul piano affettivo e su quello etico. Inoltre, il principio per cui l'educazione affettiva e sessuale dei bambini deve essere pianificata in funzione di una «sensibilità di genere», introduce sul piano delle scelte educative qualcosa che va ben oltre il naturale rispetto dovuto a persone di sesso diverso e che dovrebbe garantire accettazione e accoglienza reciproca con un deciso rifiuto di ogni forma di violenza, soprattutto nei confronti delle donne;
   all'interrogante non è ben chiaro per quale motivo vige il principio per il quale gli insegnamenti dell'Organizzazione mondiale della sanità siano «scientifici» e «neutrali» mentre quelli dei genitori vadano adeguatamente filtrati –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per dare una valutazione adeguata ad un documento che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità andrebbe diffuso su tutto il piano nazionale e se non ritenga opportuno assumere iniziative per rivederne principi e contenuti, che non sono affatto universalmente riconosciuti; premessa stessa del documento che non considera la famiglia e i genitori come fonte di educazione primaria, limitando un diritto naturale che per altro è garantito anche a livello costituzionale. (5-01571)


   MIOTTO. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia oltre 94mila persone sono sieropositive ed hanno ricevuto una diagnosi (ISS). A queste vanno aggiunte migliaia di persone inconsapevoli: la stima va dal 13 al 40 per cento;
   si tratta di un dato in linea con altri Paesi, anche se in Italia la percentuale è fra le più alte tra i Paesi dell'Europa occidentale;
   secondo un allarme lanciato dalla Lega italiana per la lotta contro l'aids e da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, che hanno esaminato gli atti deliberativi regionali per la linea progettuale 3, denominata «diagnosi di infezione da HIV» di 10 regioni italiane, una quota di risorse del Fondo sanitario nazionale, ammontante a 15 milioni di euro e destinato a 16 progetti regionali di diagnosi della HIV, non sarebbe stata impiegata secondo le finalità del progetto di Piano;
   sedici erano le regioni che avevano la possibilità di presentare progetti sulla diagnosi di infezione da HIV: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto;
   nello specifico dei progetti presentati, 3 regioni indicano attività di carattere formativo al personale sanitario già coperte annualmente con 18 milioni di euro del fondo della legge n. 135 del 1990; 1 regione include nei costi il computo economico di esami che sono lo standard nella cura dell'HIV e quindi garantiti dai LEA; 1 regione include più azioni realizzate con altri finanziamenti precedentemente ricevuti; 4 progetti (Veneto, Toscana, Marche e Puglia) su 10 propongono attività non riconducibili agli obiettivi indicati nel documento licenziato dal CIPE e quindi non congrue; 1 regione, la Liguria, propone una attività basata su una strategia di offerta del test HIV considerata non costo efficace e non socialmente accettabile sia dalla comunità scientifica nazionale che internazionale;
   secondo le due organizzazioni, globalmente la totalità dei 10 progetti analizzati ha almeno un indice di non congruità, ma 8 progetti su 10 contengono almeno 2 indici di non congruità e 2 progetti su 10 hanno 5 elementi di non congruità;
   i progetti erano stati finanziati con l'accordo Stato regioni del 22 novembre 2012 che vincolava quote del fondo sanitario nazionale a molteplici obiettivi di piano sanitario nazionale e secondo le due organizzazioni citate, dall'analisi delle diverse delibere e dei progetti, sarebbe emerso che vi sarebbe stato un utilizzo non corretto da parte delle regioni dei fondi assegnati. Infatti, sempre secondo le due organizzazioni, diverse regioni hanno inserito costi per attività ordinarie, per esempio esami clinici già coperti da spesa corrente, già finanziate, e progetti con obiettivi non congrui, per esempio attività di formazione, anche questi già finanziati;
   sulla base di queste considerazioni la Lila e Cittadinanzattiva hanno indirizzato una lettera aperta al Presidente del Consiglio, al Ministro della salute, alla Corte dei Conti e altri referenti istituzionali, perché sia avviata ogni doverosa verifica in merito all'utilizzo dei 15 milioni di euro –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopradescritta e quali iniziative urgenti, nei limiti delle competenze statali in materia sanitaria, intenda adottare al fine di fare piena chiarezza sull'utilizzo dei fondi assegnati alle regioni secondo l'accordo del 22 novembre 2012. (5-01572)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   in Italia, gli allevamenti di suini – presenti, prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna – sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia nel 2012 ha importato dalla Germania il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Ministro non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (4-02699)


   LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il latte materno non è da considerarsi come un semplice alimento, ma come un sistema biologico. Infatti è utilizzato come presidio terapeutico in numerose patologie pediatriche, come: AIDS; cerebropatie con malnutrizione; disordini metabolici congeniti; grave malnutrizione associata a malattie cardiache congenite, o ad altre malformazioni; insufficienza renale cronica; grave immaturità; malattie gastrointestinali; pseudo-ostruzione intestinale cronica; gravi intolleranze alimentari; diarrea intrattabile;
   nonostante le proprietà terapeutiche e nutritive un numero sempre crescente di neonati viene allattato con latte artificiale perdendo così il potere antinfettivo (presenza di lattobacilli, componenti del sistema immunitario; lattoferrina, transferrina, etc.) e preventivo di allergie alimentari gravi;
   le banche del latte materno sono punti di raccolta del latte donato da madri diverse e distribuito gratuitamente, dopo opportuno trattamento, ai piccoli pazienti che ne hanno bisogno;
   la filosofia che guida questi centri è quella di creare una rete di sostegno, sia aziendale che regionale, che cerca di soddisfare, in primo luogo, i bisogni nutrizionali e terapeutici dei neonati e dei bambini più «fragili» quali: prematuri, con cardiopatie congenite, con gravi intolleranze alimentari, con malattie dell'apparato gastro-enterico, con difetti congeniti del metabolismo, con immunodeficienze, eccetera;
   molti bambini diventeranno così «fratelli di latte», proprio come quando esistevano ancora le «balie», mamme che donavano il loro preziosissimo latte materno a molti bambini;
   tutte le mamme in buona salute e con un corretto stile di vita, che allattano da meno di sei mesi e che producono una quantità di latte superiore alle proprie necessità, possono divenire donatrici sottoponendosi ad un semplice screening che consiste nella valutazione della storia clinica e nell'esecuzione di esami sierologici;
   le attività della banca del latte materno riguardano:
    raccolta, trattamento, conservazione del latte delle madri dei bambini ricoverati presso la neonatologia, i quali, temporaneamente, non possono essere nutriti direttamente al seno;
    raccolta, controllo, trattamento, conservazione di latte umano donato; distribuzione gratuita ai pazienti critici per i quali venga fatta motivata richiesta medica;
    seguono le raccomandazione di autorevoli associazioni scientifiche internazionali, e le direttive della CEE sull'igiene degli alimenti in modo da fornire un prodotto che possieda requisiti di sicurezza e di integrità maggiore possibile delle componenti biologicamente attive;
    la qualità del prodotto è garantita dall'accurata esecuzione di procedure consolidate, relative allo screening delle donatrici, alle modalità di raccolta e conservazione del latte, ai controlli fisici e batteriologici, alla pastorizzazione, alla documentazione degli atti medico-amministrativi;
   in tal senso il garante della privacy ha dato parere favorevole sullo schema di linee di indirizzo nazionale per l'organizzazione e la gestione delle banche dati del latte umano, donato nell'ambito della protezione, promozione e sostegno dell'allattamento al seno, tale provvedimento, sottoposto all'autorità dal Ministero della salute, è volto a definire criteri uniformi per la costituzione ed organizzazione del servizio di raccolta, stoccaggio, controllo e distribuzione del latte, e fissa i requisiti essenziali e gli indicatori di qualità ed efficienza degli stessi –:
   quali iniziative il Ministero interrogato abbia intenzione di assumere al fine di favorire la promozione e la capillare diffusione, sul territorio nazionale, delle banche del latte materno. (4-02701)


   DI VITA, DALL'OSSO, BARONI, BONAFEDE, SILVIA GIORDANO, CECCONI, MARZANA, CHIMIENTI e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 novembre 2013 è stata depositata dal primo firmatario del presente atto, l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-00139 rivolta al Ministero della salute, avente ad oggetto la corretta applicazione della procedura d'indennizzo ex legge 210 del 1992 (in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni e trasfusioni di sangue);
   in data 7 novembre 2013, nonostante la delicatissima questione sollevata da tale interrogazione, il Sottosegretario di Stato alla salute, Paolo Fadda, in parte della sua risposta, in modo ritenuto pressoché apodittico dall'interrogante, affermava che: «[...] gli Uffici i competenti del Ministero della Salute, appena acquisito il citato parere del Consiglio di Stato hanno da quel momento, modificato l'espletamento dei criteri di valutazione delle istanze adeguando gli stessi alle nuove indicazioni del Consiglio di Stato. Decidendo nel contempo di non dover rivedere anche i provvedimenti di rigetto assunti precedentemente a tale parere»;
   proprio con particolare riferimento a quest'ultima ultima parte dell'affermazione, il Sottosegretario ometteva di indicare in modo chiaro e univoco le specifiche basi giuridiche a fondamento e sostegno della decisione del Ministero di «non rivedere anche i provvedimenti di rigetto assunti precedentemente» al parere del Consiglio di Stato del 28 settembre 2011;
   la linea scelta dal Ministero è ad avviso degli interroganti censurabile in ordine all'evidente disparità di trattamento che deriverà da questo approccio; è evidente infatti che proprio quei soggetti da cui è scaturita la pronuncia del Consiglio di Stato non vedranno soddisfatte le proprie legittime istanze;
   se così stanno le cose, è difficile non pensare che la linea scelta dal Ministero non segua mere logiche di risparmio economico, secondo gli interroganti violando apertamente elementari esigenze di giustizia ed equità –:
   se il Ministro interrogato non intenda fornire un'analisi dettagliata di tali «criteri di valutazione delle istanze», menzionati nella risposta all'interrogazione n. 5-00139, di cui alla premessa;
   se intenda chiarire in che termini i competenti uffici del Ministero della salute abbiano «modificato l'espletamento dei criteri di valutazione delle istanze» ex legge n. 210 del 1992, in seguito al parere del Consiglio di Stato del 28 settembre 2011;
   se il Ministro interrogato non intenda chiarire le ragioni per cui, in riferimento alla procedura di cui all'articolo 5 della legge n. 210 del 1992 sia stato categoricamente deciso di non rivedere i provvedimenti di rigetto assunti precedentemente al parere del Consiglio di Stato del 28 settembre 2011, ma solo quelli successivi;
   in particolare, sulla base di quali elementi o principi giuridici sia stata fondata la decisione di considerare rivedibili i soli provvedimenti di rigetto successivi al parere del Consiglio di Stato;
   se non ritenga discriminatorio assumere tale posizione, considerato il fatto che la stessa pronuncia del Consiglio di Stato del 28 settembre 2011 abbia trovato origine causale proprio a seguito del significativo contenzioso, amministrativo e ordinario, instaurato precedentemente allo stesso parere del Consiglio di Stato.
(4-02706)


   RICCIATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla versione digitale del settimanale L'Espresso del 14 novembre 2013, si da rilievo del fatto che presso il consultorio di Jesi (AN) era presente del materiale informativo gravemente lesivo della dignità e della libertà di scelta delle donne, in merito all'interruzione di gravidanza;
   in particolare, tale materiale consisteva in volantini che riportavano la storia di una giovane donna americana irrimediabilmente provata psicologicamente dal suo aborto, e dove venivano evidenziati particolari raccapriccianti della sua esperienza («vedevo il barattolo riempirsi del mio bambino fatto a pezzi». «Ricordo di aver guardato il barattolo e di averlo visto riempirsi di pelle, sangue e tessuto del mio bambino»);
   il settimanale citato dà conto, inoltre, di come su una bacheca all'interno del consultorio era affisso materiale fotografico che illustrava gli stadi di evoluzione del feto. Tale materiale evidenziava la circostanza che dopo tre mesi dal concepimento, il feto fosse già un essere vivente «compiuto», colpevolizzando, di conseguenza, la scelta delle utenti del consultorio di interrompere la gravidanza;
   il materiale di comunicazione citato era esposto a cura del Cav-Centro di aiuto alla vita locale, in base ad un accordo stipulato con l'azienda sanitaria unica regionale delle Marche;
   dopo le segnalazioni della stampa e le proteste di una associazione a difesa dell'applicazione della legge n. 194 del 1978, il materiale comunicativo citato veniva rimosso;
   Il Corriere Adriatico del 19 novembre 2013 riporta, inoltre, le parole del direttore del consultorio di Jesi, il dottor Picchietti, il quale spiega come nei casi in cui l'utente che si rivolge alle psicologhe del consultorio, manifesta incertezza o palesa la difficoltà economica a portare avanti la gravidanza, è lo stesso consultorio a mettere l'utente in contatto con il Cav, per poter beneficiare di aiuti economici –:
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza, anche normative, volte a specificare i limiti della presenza e delle prerogative di enti o associazioni presenti presso i consultori o dei quali i consultori si avvalgono, in modo che la loro attività sia compatibile con le finalità previste dalla legge n. 194 del 1978.
(4-02709)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO, BALDASSARRE, CIPRINI, ROSTELLATO, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 23 novembre 2013 la testata giornalistica Messaggero Veneto ha pubblicato un articolo sull'indagine svolta dall'Associazione artigiani e piccole imprese Mestre Cgia dalla quale emerge la grave perdita di posti di lavoro che hanno registrato le piccole imprese del Friuli Venezia Giulia nell'ultimo decennio;
   stando ai dati resi noti dalla Cgia di Mestre, tra il 2001 e il 2011 le piccole imprese del Friuli Venezia Giulia hanno perso complessivamente 13.382 posti di lavoro, con un saldo negativo pari al –5,4 per cento, che appare in tutta la sua gravità se paragonato alla variazione percentuale nazionale (+4,3 per cento) e a quella del Triveneto (+0,6 per cento), appena in positivo, non già per le performance di Veneto (+1,1 per cento) e Trentino (+12,4 per cento), ma per effetto del risultato negativo registrato dal Friuli Venezia Giulia, all'ultimo posto tra le regioni d'Italia;
   tale dato appare ancora più allarmante considerando che nel resto d'Italia quasi tutte le regioni hanno registrato l'incremento del numero di posti di lavoro nelle piccole realtà produttive, a riguardo, il 64,3 per cento degli oltre 711.000 nuovi posti di lavoro, tra il 2001 e il 2011, sono provenienti dalle piccole imprese, che rappresentano il 99,5 per cento del totale delle aziende italiane;
   sui motivi per i quali la positiva dinamica in termini occupazionali non abbia investito il Friuli Venezia Giulia si sono espresse le associazioni di categoria, in particolare, la direttrice di Confapi afferma che la grave perdita di posti di lavoro che ha colpito il Friuli Venezia Giulia dipende dal massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali (incompatibili con nuove assunzioni), dall'intenso fenomeno della delocalizzazione e dalla cessazione di attività in settori come legno-arredo e industria delle costruzioni;
   per il presidente di Confartigianato Friuli Venezia Giulia, la gravosa perdita dell'occupazione dipende dalla sfiducia degli imprenditori che adottano manovre aziendali, che per prevenire epiloghi ancora più negativi, conducono al «sacrificio» di posti di lavoro –:
   quali azioni intendano intraprendere i Ministri al fine fronteggiare la grave crisi occupazionale che ha colpito le piccole imprese del Friuli Venezia Giulia e tutelare i posti di lavoro di una regione di confine che è svantaggiata, soprattutto, dalla delocalizzazione nei territori adiacenti;
   se i Ministri intendano promuovere iniziative economico-finanziarie ad hoc per le imprese che, come il Friuli Venezia Giulia, operano in territorio di confine, individuando un piano di rilancio volto a salvaguardare i livelli occupazionali preservando la produttività. (4-02695)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Giancarlo Giorgetti e altri n. 1-00201, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Misiani, Lorenzo Guerini, Causi.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Oliverio e altri n. 7-00183, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Censore.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta D'Ambrosio n. 4-02595, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: De Lorenzis, Di Benedetto, L'Abbate, Scagliusi, Cariello, Bressa.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fiano e altri n. 5-01550, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fanucci.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Dell'Orco e altri n. 3-00479, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Silvia Giordano.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Rampelli n. 3-00482, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Maietta.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Scanu n. 1-00262, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 126 del 27 novembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il 18 novembre una violenta alluvione si è abbattuta sulla Sardegna; precipitazioni a carattere torrenziale, molto intense e persistenti hanno investito la parte orientale dell'isola, e, in particolare, le province di Olbia-Tempio e Nuoro e, in rapida successione, le province di Oristano, Cagliari, Medio Campidano e Ogliastra; 60 i comuni colpiti – 11 in Gallura, la zona più colpita, 16 nel Nuorese, 10 nell'Oristanese, 8 nel Cagliaritano, 8 nel Medio Campidano, 7 in Ogliastra è, il numero potrebbe aumentare con il bilancio definitivo degli ingenti danni; nell'arco di circa 12 ore sono state registrate, per la prima volta in Sardegna, precipitazioni superiori a 450 millimetri (il valore medio annuo è pari a circa 1.000 millimetri); l'evento alluvionale è eccezionale per intensità è ha provocato esondazioni diffuse, allagamenti, rottura di argini e il collasso del sistema idrogeologico e idraulico; ondate di piena hanno travolto i bacini idrografici del Flumendosa, del Fluminimanno, del Cedrino e di Posada;
    16 le vittime accertate, di cui 4 bambini; due i dispersi, 871 le persone evacuate; particolarmente colpita la provincia di Olbia-Tempio, che conta 13 vittime; gravissime le conseguenze sulle abitazioni, sulle colture agricole, sugli allevamenti, ingenti i danni alle attività produttive, alle strutture ricettive e agli esercizi commerciali, alle infrastrutture e ai servizi; critica la situazione della rete elettrica, con il distacco di oltre 10.000 utenze; per allagamenti, frane e cedimenti la viabilità è interrotta in molti punti; disagi anche nella circolazione ferroviaria, per l'interruzione di alcune tratte;
    particolarmente gravi i danni al settore zootecnico e agricolo: greggi, mandrie e allevamenti sono stati travolti dall'acqua, con la perdita di centinaia di capi, devastati ovili e stalle, magazzini, cantine, serre, fabbricati rurali per a lavorazione dei prodotti, impianti di irrigazione; distrutte produzioni orticole e seminativi, vigneti, frutteti, oliveti, risaie, scorte di foraggio, cereali, raccolti stoccati nei magazzini; in zone molto estese la violenza dell'acqua ha provocato il dilavamento dei terreni portando via lo strato di terreno più fertile e compromettendo l'attività agricola anche per gli anni a venire; la perdita delle scorte di foraggio e i pascoli allagati rende impossibile nutrire anche i capi superstiti;
   in Italia – segnala Legambiente – nell'82 per cento dei comuni – 6.633 in valore assoluto – sono presenti zone a elevato rischio idrogeologico; in questi comuni vivono 5,8 milioni di italiani (il 9,6 per cento della popolazione nazionale) e in essi vi è un patrimonio storico e culturale inestimabile, sono localizzati 1,2 milioni di edifici, decine di migliaia di industrie, produzioni agricole selezionate e allevamenti, come in Sardegna, di particolare pregio;
    secondo le stime di Cresme e Ance, che hanno elaborato i dati della Protezione Civile e del CNR, negli ultimi cinquanta anni –, tra il 1944 e il 2012 – frane, terremoti e alluvioni hanno provocato danni per oltre 240 miliardi di euro, mentre si calcola che i euro speso in prevenzione determina un risparmio anche di 100 euro in riparazione dei danni;
    nel mese di giugno la Camera dei Deputati ha approvato, con il parere favorevole del Governo, le mozioni nn. 1-00017 Speranza, Brunetta, Matarrese ed altri, 1-00112 Zan ed altri, 1-00114 Segoni ed altri, 1-00117 Grimoldi ed altri e 1-00124 Giorgia Meloni e Rampelli e, il 3 ottobre, l'VIII commissione ha approvato di recente la risoluzione n. 8-00016, Realacci ed altri, in ricordo della tragedia del Vajont; questi atti di indirizzo e, in particolare, quest'ultimo, hanno riproposto con forza i temi della manutenzione del territorio, della pianificazione territoriale come strumento di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico, delle politiche di sostegno alla residenza nelle comunità montane e rurali come elemento fondamentale dell'azione di contrasto dei fenomeni di abbandono e di degrado del territorio, dell'ammodernamento della legislazione in materia di difesa del suolo e del riordino del relativo sistema di competenze e di responsabilità, impegnando, fra l'altro, il Governo, a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, o a privilegiare la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
    il Governo è stato impegnato, tra l'altro, ad adottare iniziative normative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
    ad incentivare e sostenere i piccoli agricoltori e gli allevatori nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottare pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo, in modo da riconoscere e valorizzare la funzione di manutenzione svolta dagli agricoltori e dagli allevatori nei poderi e il loro ruolo di «sentinelle e custodi del territorio»;
    ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da contenere nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto;
    ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di VA agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, dello infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e la conservazione e la manutenzione dei reticoli idraulici, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di bilancio;
    gli eventi climatici estremi – prima considerati eccezionali, e ora ricorrenti – rendono necessario stanziare ed erogare nell'immediato congrue risorse per gli interventi necessari alla messa in sicurezza del territorio nazionale, con priorità per le regioni e le zone così gravemente colpite;
    è urgente che il Governo – in particolare il Dipartimento della Protezione Civile ed il Ministero dell'Ambiente – e la Regione Sardegna, d'intesa con gli enti locali e le associazioni imprenditoriali, affrontino la situazione nel suo complesso, individuando i siti a rischio dissesto idrogeologico e le azioni necessarie per mettere in sicurezza le aree residenziali, le aziende agricole e gli allevamenti, le stalle, gli ovili, le cantine, i magazzini le serre; le fabbriche, i servizi essenziali, i centri sanitari e le scuole; gli esercizi commerciali e le attività ricettive; le infrastrutture e le reti; la viabilità e i collegamenti, anche poderali, e di servizio ai centri turistici; le reti ferroviarie,

impegna il Governo:

   a disporre, in tempi rapidi, mediante le amministrazioni territoriali competenti, e d'intesa con le Associazioni imprenditoriali, la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo della Sardegna, in relazione al danno effettivamente subito, anche in misura sufficiente a coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili danneggiati, sia abitativi, sia destinati ad uso agricolo, zootecnico, produttivo, che degli impianti, che per la ricostituzione e il riacquisto delle scorte vive e morte, fino alla misura massima del 100 per cento del costo ammesso e riconosciuto, in particolare quando i danni subìti siano stati di entità tale da condizionare la piena e immediata ripresa dell'attività agricola, di allevamento, di impresa, turistico-ricettiva o commerciale;
   per quanto riguarda le attività produttive, a prevedere che i soggetti destinatari dei contributi siano i titolari di reddito di impresa, nonché i titolari di reddito di lavoro autonomo e gli esercenti attività commerciali, agricole e di allevamento, per i danni subiti agli immobili, agli impianti, alle scorte vive e morte, ai magazzini, alle stalle e ai recinti, alle serre e agli impianti irrigui, e per la sospensione dell'esercizio delle attività in conseguenza degli eventi alluvionali di novembre 2013, sulla base di una perizia asseverata che attesti, oltre ai danni accertati agli immobili, alle scorte, agli impianti, ai magazzini, anche l'entità della riduzione del reddito conseguente alla sospensione dell'attività;
   ad assumere iniziative per sospendere i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria per tali soggetti;
   ad assumere iniziative affinché il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
   a promuovere, anche mediante protocollo d'intesa con l'Associazione Bancaria Italiana, la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da effettuare dopo la sospensione dei termini;
   ad assumere iniziative per attribuire anche alle imprese, agricole, zootecniche, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 18 novembre 2013, nei territori della Sardegna colpiti dagli eventi alluvionali, che non beneficiano dei contributi ai fini del risarcimento del danno, ma che possano dimostrare di aver subito un danno economico indiretto (quale diminuzione del volume d'affari, ricorso a strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori per fronteggiare il calo di attività, caduta della domanda conseguente agli eventi alluvionali) un contributo pari al costo sostenuto per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione di beni d'impresa o di lavoro autonomo o per la riduzione, documentata, dell'attività produttiva, agricola, di allevamento, di fornitura, di servizio o commerciale;
   per incentivare iniziative di difesa del suolo e di contrasto all'erosione e all'impermeabilizzazione del suolo da parte di cittadini, di imprenditori, di agricoltori ed allevatori, ad assumere iniziative per attribuire a singoli cittadini, a imprese, anche agricole, zootecniche, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 18 novembre 2013, nei territori della Sardegna colpiti dagli eventi alluvionali, sia contributi ai fini del risarcimento del danno – diretto o indiretto – sia contributi pari al costo sostenuto per interventi di riduzione del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio in cui sono residenti o è localizzata l'attività;
   ad avviare, in tempi rapidi, con priorità per le zone alluvionate dell'isola e per l'intero territorio nazionale, un piano ambientale per gli investimenti necessari al riassetto idraulico e idrogeologico e alla prevenzione di eventi alluvionali, integralmente finanziato con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
   a valutare la possibilità di negoziare con l'Unione europea la sospensione del patto di stabilità per le opere di ricostruzione ed un significativo allentamento per le opere di prevenzione;
   a prevedere le necessarie misure di snellimento per le procedure burocratiche per le opere di ricostruzione, nonché per quelle di mitigazione e prevenzione del rischio idrogeologico;
   a disporre l'utilizzo di una quota rilevante dei fondi strutturali per il 2014 anche per programmi ambientali per la messa in sicurezza delle aree a rischio, disponendo l'immediata riprogrammazione delle risorse non spese del Quadro Comunitario di Sostegno 2007-2013 per destinarle – con priorità – alla messa in sicurezza e alla difesa del suolo delle aree alluvionate;
   a realizzare un monitoraggio costante per evitare insediamenti, residenziali e produttivi, in tutte le zone ad alto rischio idraulico;
   a ridurre progressivamente il consumo e l'impermeabilizzazione del suolo, fino ad azzerarlo;
   a stanziare risorse per il riassetto idraulico, per le casse di espansione, per l'innalzamento delle dighe e il rafforzamento degli argini, per la manutenzione della rete idraulica, per il drenaggio efficiente di fiumi, fossi e canali;
   ad assumere iniziative volte a garantire congrue risorse per il Fondo Protezione civile per alluvioni di cui alla legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 290;
   ad adottare un provvedimento ad hoc per istituire un fondo compartecipato dallo stato, dalle regioni e dagli enti locali, per far fronte alle somme urgenze provocate dal dissesto idrogeologico del territorio con indennizzi immediati per i danni emergenti;
   a garantire i collegamenti tra i territori anche in situazioni di emergenza, con l'avvio di interventi urgenti di protezione delle pendici delle opere idrauliche e delle barriere danneggiate dalle alluvioni;
   ad assumere iniziative per disporre l'immediata apertura di cantieri in tutta l'isola per interventi di manutenzione del territorio e di prevenzione e contrasto al dissesto idrogeologico;
   per favorire la ripresa economica e l'occupazione in tutta la Sardegna, ad avviare iniziative per quanto di competenza di formazione tecnica e professionale, di concerto e con la collaborazione delle Associazioni imprenditoriali ed artigiane, di disoccupati e inoccupati – anche beneficiari di cassa integrazione o di altre forme di sostegno al reddito, per l'immediato impiego di tali soggetti in iniziative ed interventi sul territorio per la difesa del suolo, per opere di ingegneria idraulica e di consolidamento e ripristino delle reti di servizi e della mobilità;
   ad attivare un Centro funzionale decentrato di Protezione Civile in Sardegna, nell'ambito del sistema nazionale, e un efficiente sistema di allerta per le calamità naturali e per gli incendi, nonché a valutare un rafforzamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco attraverso una dotazione straordinaria di dieci sezioni operative.
(1-00262)
(Nuova formulazione) «Scanu, Cicu, Vargiu, Migliore, Costa, Grimoldi, Giorgia Meloni, Capelli, Di Gioia, Cani, Marrocu, Marco Meloni, Mura, Pes, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Rosato, Dorina Bianchi, Totaro, Nastri, Rampelli, Cirielli, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Bonafede n. 2-00316, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 125 del 26 novembre 2013.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il settore valutazione di impatto ambientale/valutazione ambientale strategica della direzione tecnica ARPAT (azienda regionale per la protezione ambientale della Toscana) ha recentemente elaborato una nota, riferita alla valutazione dei dati e dei report di monitoraggio idrogeologico trasmessi da Italferr relativi al periodo 1o gennaio 2012 – 31 marzo 2013 ed inerente all'attività dei cantieri per il nodo ferroviario alta velocità di Firenze;
   la citata nota denuncia una condizione particolarmente allarmante sotto il profilo della sostenibilità idrogeologica dei cantieri certificando che, pur in presenza di lavori sostanzialmente fermi e con le sole poche opere realizzate, non si riesca a ripristinare a valle il livello della falda acquifera precedente alla realizzazione dell'imbocco Sud del tunnel e del camerone della stazione AV, registrando in particolare che tale falda si sia alzata risentendo dell'effetto barriera dei diaframmi, che i pozzi non funzionano sufficientemente e che la stessa acqua di falda risulta contaminata;
   nello specifico, ARPAT valuta che «Sulla base delle elaborazioni, si evincono alcuni dati anomali, in taluni casi localizzati e quindi presumibilmente riconducibili ad attività di cantiere» come, ad esempio, «un aumento di torbidità che appare decisamente localizzato nelle vicinanze del cantiere passante AV» o altresì, che «per quanto riguarda i livelli piezometrici, presso la zona di Campo di Marte (area del cantiere) si conferma un sostanziale aumento del dislivello piezometrico fra monte e valle dell'opera» ed ancora, «per quanto riguarda l'area della stazione, viene evidenziata la difficoltà dell'attuale sistema di continuità della falda a raggiungere una effettiva mitigazione dell'effetto barriera dovuto alla realizzazione dei diaframmi della nuova stazione AV»;
   secondo uno studio della facoltà di architettura dell'università di Firenze, considerate le anomalie oggi riscontrate da ARPAT connesse alla falda acquifera che incrocia i lavori per lo scavo del tunnel in questione, ove venisse mantenuta a lungo questa situazione, la variazione della quota della falda provocherebbe il cedimento degli edifici di valle e la riduzione della sicurezza degli edifici di monte per la diminuzione della portanza delle loro fondazioni;
   a fronte delle riportate valutazioni formulate, la stessa ARPAT segnala all'Osservatorio ambientale del nodo alta velocità di Firenze di procedere celermente al nuovo dimensionamento della batteria di pompe di presa e resa facenti parti del sistema di continuità, nonché di operare una complessiva rivalutazione dei sistemi di continuità della falda;
   i lavori per il passante Tav, oltre ad aver subito un innalzamento incontrollato dei costi di realizzazione dell'opera passando dai 685 milioni di euro nel 2007 agli oltre 17 miliardi di euro attualmente stimati, presentano, a monte, gravi carenze autorizzative legate al progetto, come la mancanza totale di valutazione di impatto ambientale per la nuova stazione alta velocità o l'assenza di nulla osta paesaggistico ed, a valle, numerose problematicità che si assommano agli allarmanti esiti dei rilevamenti idrogeologici conseguenti allo scavo del tunnel ricordati in premessa, come ad esempio, la questione delle terre di scavo prodotte dalla fresa, le quali per essere dichiarate «non rifiuti» dovrebbero per legge essere sottoposte ad analisi specifiche e aggiornate le quali tuttavia non risultano previste nei lavori in questione;
   gli stessi lavori, sotto il profilo politico-amministrativo sono stati nel mese di settembre 2013, oggetto di un vasto scandalo dai risvolti giudiziari che ha visto coinvolti nelle indagini, ben trentuno soggetti fra i quali la presidente di Italferr od ex presidente della regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, posta ai domiciliari con altri cinque accusati di associazione a delinquere finalizzata a corruzione e abuso d'ufficio; il geologo siciliano già dirigente Ds poi Pd a Palermo Gualtiero (detto Walter) Bellomo, membro della commissione Via (valutazione impatto ambientale) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; Furio Saraceno, presidente di Nodavia; Valerio Lombardi, ingegnere di Italferr; Alessandro Coletta, consulente, ex membro dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture Aristodemo Busillo, della società Seli di Roma che gestisce la grande Fresa sotterranea per realizzare il tunnel Tav a Firenze e che venne posta sotto sequestro dalla magistratura. Gli indagati, secondo il gip di Firenze, «grazie al ruolo» di presidente di Italferr e «alle entrature politiche» di Maria Rita Lorenzetti perseguivano «obiettivi precisi di comune interesse che diventano per ciò stesso le finalità dell'organizzazione criminale», come in occasione delle pressioni volte ad ottenere un decreto che mutasse la qualifica giuridica delle terre di scavo da rifiuti, da smaltire in discariche apposite, a «sottoprodotti» da poter trattare come normali inerti; oppure per conseguire un'autorizzazione paesaggistica dell'opera, in scadenza, oltreché «ottenere il massimo riconoscimento possibile delle riserve contrattuali poste dagli appaltatori per una maggiorazione delle spettanze per centinaia di milioni» –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle allarmanti considerazioni formulate dall'ARPAT della regione Toscana riferite alla valutazione dei dati e dei report di monitoraggio idrogeologico – relativi al periodo 1o gennaio 2012-31 marzo 2013 – inerenti all'attività dei cantieri per il nodo ferroviario alta velocità di Firenze e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   quali opportune misure intenda adottare volte al tempestivo e duraturo ripristino della sicurezza strutturale dell'area della Città di Firenze interessata dai lavori per il tunnel del sottoattraversamento ferroviario dell'alta velocità;
   se, alla luce di quanto premesso, non ritenga di dover abbandonare il progetto del sottoattraversamento ferroviario dell'alta velocità della città di Firenze, dirottando altresì le risorse destinate a tale opera allo sviluppo del trasporto regionale e dell'intero nodo fiorentino di superficie.
(2-00316)
«Bonafede, Segoni, Artini, Nuti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta D'Ambrosio n. 4-02595, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 122 del 20 novembre 2013.

   D'AMBROSIO, DE LORENZIS, DI BENEDETTO L'ABBATE, SCAGLIUSI, CARIELLO e BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Barletta è sita la zona archeologica di Canne della Battaglia comprensiva dell'area collinare nota come «Monte di Canne» e delle aree dei cosiddetti «Sepolcreti Annibalici» in contrada Fontanella e Pezza La Forbice;
   la sopracitata area collinare, corrispondente in catasto alla part. 2354 del Fg. 43 è stata acquisita dal comune di Barletta con delibera comunale del 26 giugno 1937, in rapporto col grande interesse suscitato nella comunità cittadina dagli esiti degli scavi condotti dall'allora direttore del museo di Bari, professor Michele Gervasio, negli anni 1936-1938;
   nel corso dei suddetti scavi si misero in evidenza strutture murarie pertinenti all'impianto urbanistico della cittadella romano-medievale, nonché edifici e sepolcreti dell'abitato da uno e delle fasi di occupazione medievale;
   nel 1952 con fondi della Cassa per il Mezzogiorno si avviò, la costruzione dell'Antiquarium sito ai piedi della collina e che lo stesso fu inaugurato nel 1958 a cura della soprintendenza delle antichità della Puglia e del Materano;
   a seguito dell'ampliamento delle aree di scavo ed in rapporto con la progettazione del parco archeologico di Canne vennero acquisite dal comune di Barletta nel 1959 le particelle 285-286-287-288-289-290-291-293-274-272 del Fg. 43, mentre entrarono a far parte del demanio pubblico del demanio dello Stato le particelle 506-615 e 732 del Fg. 43;
   la gestione dei servizi del parco archeologico si è avvalsa dal 1958 di personale e mezzi della soprintendenza delle antichità della Puglia e del Materano e dell'attuale ufficio periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, soprintendenza archeologica della Puglia;
   la necessità evidenziatasi nel tempo di acquisire ulteriori spazi coperti ha portato nel 1974 alla chiusura dell'Antiquarium, per lavori di consolidamento e adeguamento alle norme di sicurezza;
   l'amministrazione comunale ha successivamente acquisito l'area archeologica di Canne Antenisi, provvedendo alla recinzione della stessa e ad opere di manutenzione e che le relative particelle 15-801-802 del Fg. 44, appaiono distinte dal parco archeologico di Canne, pur rientrando nello stesso progetto di valorizzazione;
   gli interessi congiunti per la valorizzazione della zona archeologica di Canne hanno indirizzato risorse e iniziative della soprintendenza archeologica della Puglia e dell'amministrazione comunale di Barletta nell'attivazione di fondi per il miglioramento della struttura e valorizzazione delle caratteristiche culturali e turistiche del parco;
   la «gestione mista» del parco da parte del comune di Barletta e della sopraintendenza archeologica della Puglia ha impedito, almeno sino al 1999, la riscossione del biglietto d'ingresso nonché l'individuazione degli spazi per la creazione di servizi aggiuntivi e la gestione degli stessi;
   la riapertura dell'Antiquarium è stata consentita dall'accessibilità a finanziamenti straordinari delle leggi n. 449 del 1997 e n. 143 del 1992;
   il 27 febbraio 1999 viene siglato un protocollo d'intesa tra il comune di Barletta e il Ministero per i beni e le attività culturali per la gestione del parco archeologico ambientale di Canne della Battaglia;
   nell'anno 2009, la legge regionale n. 44, provvede all'allargamento della perimetrazione del parco dell'Ofanto (istituito precedentemente con legge regionale n. 37 del 2007);
   nell'anno 2001 la gestione del parco archeologico e dell'Antiquarium viene affidata mediante gara d'appalto a NOVAMUSA PUGLIA società consortile a responsabilità limitata, appalto scaduto nel primo semestre 2010;
   ottobre 2006, il comune di Barletta si aggiudica un finanziamento, pari a 750 mila euro, previsto nel Por Puglia 2000-2006. Il bando prevede che il comune affidi i lavori entro il 31 dicembre 2010;
   il 3 febbraio 2011 il comune di Barletta affida i «Lavori di riqualificazione dei sistemi di fruizione del Parco archeologico di Canne della Battaglia: completamento, sistemazione e valorizzazione dell'Antiquarium», per un importo di 376.20542 euro all'impresa edile Dicorato Giuseppe; il contratto è perfezionato il 7 giugno 2011;
   per superamento dei termini di affidamento appalto dei lavori, da parte del comune di Barletta, il finanziamento previsto nel Por Puglia 2000-2006, viene revocato;
   nel novembre 2011, il comune di Barletta rescinde il contratto con l'impresa edile Dicorato Giuseppe a cui aveva appaltato i «Lavori di riqualificazione dei sistemi di fruizione del Parco archeologico di Canne della Battaglia: completamento, sistemazione e valorizzazione dell'Antiquarium» e, come previsto in un articolo del contratto fra il comune e la ditta, il primo paga a quest'ultima una sorta di penale pari a 25.768 euro;
   il 28 novembre 2011, la regione Puglia approva la legge regionale n. 31 per la «Valorizzazione e divulgazione dei luoghi e della storia relativi alla Battaglia di Canne», entrata in vigore con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 188 del 2 dicembre;
   al momento si evidenzia una cattiva o pressoché assente manutenzione, scarsa valorizzazione del sito, mancanza di finanziamenti che garantiscano quanto meno la tutela di ciò che finora è venuto alla luce;
   è evidente l'importanza storico-archeologica e turistica del Parco Archeologico di Canne e vi è la possibilità della creazione di un itinerario storico-archeologico nel territorio di Barletta;
   appare necessario rivedere il protocollo d'intesa stipulato fra comune di Barletta e soprintendenza archeologica della Puglia in data 27 febbraio 1999 per definire correttamente le norme in termini di collaborazione tra pubblico e privato per l'uso del parco archeologico di Canne, nonché per garantire la gestione e la valorizzazione del parco archeologico ambientale ed aree limitrofe a diretta cura comunale;
   è inoltre necessario adeguare la struttura agli standard internazionali per la fruizione dei beni di interesse archeologico, con la creazione di servizi per la produzione e la vendita di cataloghi e materiali informativi nonché di servizi di caffetteria e ristorazione;
   occorre promuovere in tempi brevi i sopraccitati servizi aggiuntivi, rispondendo alle attese del pubblico e garantendo operazioni di immagine in un'area sprovvista di punti di ristoro;
   sono infine evidenti le necessità di conservazione, manutenzione periodica e catalogazione ad uso scientifico e divulgativo del materiale archeologico di scavo proveniente dal sottosuolo di Canne della Battaglia –:
   se si intenda sottrarre, per quanto di competenza, il parco archeologico di Canne della Battaglia e l'annesso Antiquarium all'attuale stato di degrado ed incuria e quali interventi si intendano mettere in campo per la sua tutela e la sua valorizzazione. (4-02595)

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo ulteriormente riformulato della mozione Scanu n. 1-00262, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 126 del 27 novembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il 18 novembre una violenta alluvione si è abbattuta sulla Sardegna; precipitazioni a carattere torrenziale, molto intense e persistenti hanno investito la parte orientate dell'isola, e, in particolare, le province di Olbia-Tempio e Nuoro e, in rapida successione, le province di Oristano, Cagliari, Medio Campidano e Ogliastra; 60 i comuni colpiti – 11 in Gallura, la zona più colpita, 16 nel Nuorese, 10 nell'Oristanese, 8 nel Cagliaritano, 8 nel Medio Campidano, 7 in Ogliastra – il numero potrebbe aumentare con il bilancio definitivo degli ingenti danni; nell'arco di circa 12 ore sono state registrate, per la prima volta in Sardegna, precipitazioni superiori a 450 millimetri (il valore medio annuo è pari a circa 1.000 millimetri); l'evento alluvionale – eccezionale per intensità – ha provocato esondazioni diffuse, allagamenti, rottura di argini e il collasso del sistema idrogeologico e idraulico; ondate di piena hanno travolto i bacini idrografici del Flumendosa, del Fluminimanno, del Cedrino e di Posada;
    16 le vittime accertate, di cui 4 bambini; due i dispersi, 871 le persone evacuate; particolarmente colpita la provincia di Olbia-Tempio, che conta 13 vittime; gravissime le conseguenze sulle abitazioni, sulle colture agricole, sugli allevamenti, ingenti i danni alle attività produttive, alle strutture ricettive e agli esercizi commerciali, alle infrastrutture e ai servizi; critica la situazione della rete elettrica, con il distacco di oltre 10.000 utenze; per allagamenti, frane e cedimenti la viabilità è interrotta in molti punti; disagi, anche nella circolazione ferroviaria, per l'interruzione di alcune tratte;
    particolarmente gravi i danni al settore zootecnico e agricolo: greggi, mandrie e allevamenti sono stati travolti dall'acqua, con la perdita di centinaia di capi, devastati ovili e stalle, magazzini, cantine, serre, fabbricati rurali per la lavorazione dei prodotti, impianti di irrigazione; distrutte produzioni orticole e seminativi, vigneti, frutteti, oliveti, risaie, scorte di foraggio, cereali, raccolti stoccati nei magazzini; in zone molto estese la violenza dell'acqua ha provocato il dilavamento dei terreni portando via lo strato di terreno più fertile e compromettendo l'attività agricola anche per gli anni a venire; la perdita delle scorte di foraggio e i pascoli allagati rende impossibile nutrire anche i capi superstiti;
    in Italia – segnala Legambiente – nell'82 per cento dei comuni – 6.633 in valore assoluto – sono presenti zone a elevato rischio idrogeologico; in questi comuni vivono 5,8 milioni di italiani (il 9,6 per cento della popolazione nazionale) e in essi vi è un patrimonio storico e culturale inestimabile, sono localizzati 1,2 milioni di edifici, decine di migliaia di industrie, produzioni agricole selezionate e allevamenti, come in Sardegna, di particolare pregio;
    secondo le stime di Cresme e Ance, che hanno elaborato i dati della Protezione Civile e del CNR, negli ultimi cinquanta anni – tra il 1944 e il 2012 – frane, terremoti e alluvioni hanno provocato danni per oltre 240 miliardi di euro, mentre si calcola che 1 euro speso in prevenzione determina un risparmio anche di 100 euro in riparazione dei danni;
    nel mese di giugno la Camera dei deputati ha approvato, con il parere favorevole del Governo, le mozioni nn. 1-00017 Speranza, Brunetta, Matarrese ed altri, 1-00112 Zan ed altri, 1-00114 Segoni ed altri, 1-00117 Grimoldi ed altri e 1-00124 Giorgia Meloni e Rampelli e, il 3 ottobre, l'VIII Commissione ha approvato di recente la risoluzione n. 8-00016, Realacci ed altri, in ricordo della tragedia del Vajont; questi atti di indirizzo e, in particolare, quest'ultimo, hanno riproposto con forza i temi della manutenzione del territorio, della pianificazione territoriale come strumento di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico, delle politiche di sostegno alla residenza nelle comunità montane e rurali come elemento fondamentale dell'azione di contrasto dei fenomeni di abbandono e di degrado del territorio, dell'ammodernamento della legislazione in materia di difesa del suolo e del riordino del relativo sistema di competenze e di responsabilità, impegnando, fra l'altro, il Governo, a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, e a privilegiare la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
    proprio nella giornata di oggi il Capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, durante l'audizione in Commissione Ambiente, ha dichiarato che: «La politica deve agire e mettere a disposizione risorse per prevenire il dissesto idro-geologico. Non servono le chiacchere ma i fatti»;
    il Governo è stato impegnato, tra l'altro, ad adottare iniziative normative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
    ad incentivare e sostenere i piccoli agricoltori e gli allevatori nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottare pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo, in modo da riconoscere e valorizzare la funzione di manutenzione svolta dagli agricoltori e dagli allevatori nei poderi e il loro ruolo di «sentinelle e custodi del territorio»;
    ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da contenere nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto;
    ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di IVA agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e la conservazione e la manutenzione dei reticoli idraulici, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di bilancio;
    gli eventi climatici estremi – prima considerati eccezionali, e ora ricorrenti – rendono necessario stanziare ed erogare nell'immediato congrue risorse per gli interventi necessari alla messa in sicurezza del territorio nazionale, con priorità per le regioni e le zone così gravemente colpite;
    è urgente che il Governo – in particolare il Dipartimento della Protezione Civile ed il Ministero dell'ambiente – e la regione Sardegna, d'intesa con gli enti locali e le associazioni imprenditoriali, affrontino la situazione nel suo complesso, individuando i siti a rischio dissesto idrogeologico e le azioni necessarie per mettere in sicurezza le aree residenziali, le aziende agricole e gli allevamenti, le stalle, gli ovili, le cantine, i magazzini, le serre; le fabbriche, i servizi essenziali, i centri sanitari e le scuole; gli esercizi commerciali e le attività ricettive; le infrastrutture e le reti; la viabilità e i collegamenti, anche poderali, e di servizio ai centri turistici; le reti ferroviarie,

impegna il Governo, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica,

   a disporre, in tempi rapidi, mediante le amministrazioni territoriali competenti, e d'intesa con le Associazioni imprenditoriali, la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo della Sardegna, in relazione al danno effettivamente subito, anche in misura sufficiente a coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili danneggiati, sia abitativi, sia destinati ad uso agricolo, zootecnico, produttivo, che degli impianti, che per la ricostituzione e il riacquisto delle scorte vive e morte, fino alla misura massima del 100 per cento del costo ammesso e riconosciuto, in particolare quando i danni subiti siano stati di entità tale da condizionare la piena e immediata ripresa dell'attività agricola, di allevamento, di impresa, turistico-ricettiva o commerciale;
   per quanto riguarda le attività produttive, a prevedere che i soggetti destinatari dei contributi siano i titolari di reddito di impresa, nonché i titolari di reddito di lavoro autonomo e gli esercenti attività commerciali, agricole e di allevamento, per i danni subiti agli immobili, agli impianti, alle scorte vive e morte, ai magazzini, alle stalle e ai recinti, alle serre e agli impianti irrigui, e per la sospensione dell'esercizio delle attività in conseguenza degli eventi alluvionali di novembre 2013, sulla base di una perizia asseverata che attesti, oltre ai danni accertati agli immobili, alle scorte, agli impianti, ai magazzini, anche l'entità della riduzione del reddito conseguente alla sospensione dell'attività;
   ad assumere iniziative per sospendere i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria per tali soggetti;
   ad assumere iniziative affinché il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
   a promuovere, anche mediante protocollo d'intesa con l'Associazione Bancaria Italiana, la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da effettuare dopo la sospensione dei termini;
   ad assumere iniziative per attribuire anche alle imprese, agricole, zootecniche, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 18 novembre 2013, nei territori della Sardegna colpiti dagli eventi alluvionali, che non beneficiano dei contributi ai fini del risarcimento del danno, ma che possano dimostrare di aver subito un danno economico indiretto (quale diminuzione del volume d'affari, ricorso a strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori per fronteggiare il calo di attività, caduta della domanda conseguente agli eventi alluvionali) un contributo pari al costo sostenuto per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione di beni d'impresa o di lavoro autonomo o per la riduzione, documentata, dell'attività produttiva, agricola, di allevamento, di fornitura, di servizio o commerciale;
   per incentivare iniziative di difesa del suolo e di contrasto all'erosione e all'impermeabilizzazione del suolo da parte di cittadini, di imprenditori, di agricoltori ed allevatori, ad assumere iniziative per attribuire a singoli cittadini, a imprese, anche agricole, zootecniche, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 18 novembre 2013, nei territori della Sardegna colpiti dagli eventi alluvionali, sia contributi ai fini del risarcimento del danno – diretto o indiretto – sia contributi pari al costo sostenuto per interventi di riduzione del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio in cui sono residenti o è localizzata l'attività;
   ad avviare, in tempi rapidi, con priorità per le zone alluvionate dell'isola e per l'intero territorio nazionale, un piano ambientale per gli investimenti necessari al riassetto idraulico e idrogeologico e alla prevenzione di eventi alluvionali integralmente finanziato con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del Patto di stabilità interno;
   a valutare la possibilità di negoziare con l'Unione europea la sospensione del patto di stabilità per le opere di ricostruzione ed un significativo allentamento per le opere di prevenzione;
   a prevedere le necessarie misure di snellimento per le procedure burocratiche per le opere di ricostruzione, nonché per quelle di mitigazione e prevenzione del rischio idrogeologico;
   a disporre l'utilizzo di una quota rilevante dei fondi strutturali per il 2014 anche per programmi ambientali per la messa in sicurezza delle aree a rischio, disponendo l'immediata riprogrammazione delle risorse non spese del Quadro Comunitario di Sostegno 2007-2013 per destinarle – con priorità – alla messa in sicurezza e alla difesa del suolo delle aree alluvionate;
   a realizzare un monitoraggio costante per evitare insediamenti, residenziali e produttivi, in tutte le zone ad alto rischio idraulico;
   a ridurre progressivamente il consumo e l'impermeabilizzazione del suolo, fino ad azzerarlo;
   a stanziare risorse per il riassetto idraulico, per le casse di espansione, per l'innalzamento delle dighe e il rafforzamento degli argini, per la manutenzione della rete idraulica, per il drenaggio efficiente di fiumi, fossi e canali;
   ad assumere iniziative volte a garantire congrue risorse per il Fondo Protezione civile per alluvioni di cui alla legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 290;
   a valutare l'opportunità di adottare un provvedimento ad hoc per istituire un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, per far fronte alle somme urgenze provocate dal dissesto idrogeologico del territorio con indennizzi immediati per i danni emergenti;
   a garantire i collegamenti tra i territori anche in situazioni di emergenza, con l'avvio di interventi urgenti di protezione delle pendici, delle opere idrauliche e delle barriere danneggiate dalle alluvioni;
   ad assumere iniziative per disporre l'immediata apertura di cantieri in tutta l'isola per interventi di manutenzione del territorio e di prevenzione e contrasto al dissesto idrogeologico;
   per favorire la ripresa economica e l'occupazione in tutta la Sardegna, ad avviare iniziative per quanto di competenza, di formazione tecnica e professionale, di concerto e con la collaborazione delle Associazioni imprenditoriali ed artigiane, di disoccupati e inoccupati anche beneficiari di cassa integrazione o di altre forme di sostegno al reddito, per l'immediato impiego di tali soggetti in iniziative ed interventi sul territorio per la difesa del suolo, per opere di ingegneria idraulica e di consolidamento e ripristino delle reti di servizi e della mobilità;
   ad attivare, nel rispetto del sistema di allertamento nazionale disegnato con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, un Centro funzionale decentrato di Protezione civile in Sardegna, nell'ambito del sistema nazionale, e un efficiente sistema di allerta per le calamità naturali e per gli incendi, nonché a valutare un rafforzamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco attraverso una dotazione straordinaria di dieci sezioni operative;
   ad attivarsi immediatamente per accedere ai finanziamenti del Fondo di solidarietà per le grandi calamità dell'Unione europea (FSUE), evitando di fare scadere i termini presso la Commissione europea, al fine di richiedere una contribuzione straordinaria per affrontare i terribili danni prodotti dall'alluvione che ha colpito la regione Sardegna;
   a provvedere al fermo della riscossione o quanto meno delle azioni coattive di Equitalia nelle zone colpite dal nubifragio per gli anni 2014 e 2015;
   ad adottare iniziative per sospendere i termini di pagamento e gli adempimenti tributari in scadenza tra il 18 novembre 2013 e il 30 giugno 2014 per i contribuenti residenti nelle aree gravemente colpite, nonché la sospensione del pagamento delle rate di adempimenti contrattuali, compresi mutui e prestiti, per l'anno 2014;
   a prevedere, nell'utilizzo delle risorse che verranno individuate, meccanismi che favoriscano la delocalizzazione in aree sicure degli edifici in regola con le norme urbanistiche costruiti nelle zone colpite dall'alluvione ed evidentemente a rischio idrogeologico;
   a predisporre un programma di prevenzione ambientale di medio e lungo termine per rendere il territorio nazionale idoneo a fronteggiare in futuro situazioni di maltempo anche di forte entità e ad avviare un serio programma nazionale di ripristino e messa in sicurezza del territorio e meccanismi di incentivazione per la redazione, validazione e divulgazione dei piani di emergenza comunale.
(1-00262)
(Ulteriore nuova formulazione) «Scanu, Nicola Bianchi, Cicu, Vargiu, Migliore, Costa, Grimoldi, Giorgia Meloni, Capelli, Di Gioia, Cani, Marrocu, Marco Meloni, Mura, Pes, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Rosato, Vella, Dorina Bianchi, Totaro, Nastri, Rampelli, Cirielli, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Cera, Corda, Pinna, D'Ambrosio, Vallascas, Segoni, Terzoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Zolezzi, Rossi».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Molteni n. 4-02430 del 7 novembre 2013;
   interrogazione a risposta orale Zanetti n. 3-00454 del 18 novembre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Molteni n. 4-02627 del 21 novembre 2013.