Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 25 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica che l'Italia, come le altre economie europee, sta attraversando manifesta i propri effetti negativi in particolare modo nei confronti delle categorie più deboli, alle quali è stato chiesto un enorme sacrificio per il bene dell'Italia, a suono di inasprimenti fiscali (iva, accise sulla benzina ed altro) e dell'applicazione di nuove imposte, tra cui anche quella sul bene primario di ogni famiglia, cioè la prima casa di abitazione;
    in tale contesto spicca la questione delle cosiddette «pensioni d'oro», ovvero quelle pensioni il cui elevato importo, a detta dello stesso Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nel corso della discussione in Aula di un question-time presentato sul tema dal gruppo di Fratelli d'Italia, «appare stridente nell'attuale contesto socio-economico e di sacrifici imposti alla generalità della popolazione. È peraltro evidente che non è tanto l'elevato importo a destare l'attenzione, quanto i meccanismi che ad esso hanno dato luogo, in quanto soltanto in minima parte connessi ai contributi effettivamente versati dal lavoratore, e per la maggior parte legati alla peculiarità del sistema»;
    i meccanismi cui il Ministro del lavoro e delle politiche sociali fa riferimento attengono al cosiddetto metodo retributivo di calcolo dei trattamenti pensionistici, cioè alle disposizioni di legge, in vigore fino alla riforma pensionistica del 1995, che prevedevano che l'importo da corrispondere a titolo di pensione non fosse determinato in base ai contributi versati dal lavoratore nell'arco della sua vita professionale, bensì sulla base degli ultimi stipendi percepiti;
    nonostante le numerose critiche levatesi in merito a tali pensioni nel corso degli ultimi anni, sia da alcune forze politiche, sia da parte di autorevoli commentatori sui mezzi d'informazione, sia, non ultimo, da parte dell'opinione pubblica, esse vengono generalmente considerate come diritti acquisiti e, quindi, di fatto, immodificabili, perché frutto di norme legittime che hanno operato nel tempo;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, invece, le pensioni d'oro non possono essere considerate altro che il prodotto di una grave ingiustizia sociale, che agisce in danno soprattutto dei giovani, i quali rischiano di non arrivare mai a percepire una propria pensione e che, ad oggi, versano i propri contributi sociali per sostenere la spesa di un sistema pensionistico volto a mantenere anacronistici privilegi;
    nel nostro Paese vivono oltre 16,5 milioni di pensionati, con una spesa complessiva di 270,5 miliardi annui, oltre dodici dei quali vanno a beneficio di una platea di poco meno di 190.000 soggetti;
    tra questi ve ne sono quasi trecento che percepiscono una pensione superiore a cinquanta volte il minimo, vale a dire che incassano oltre 24 mila euro al mese, e questo, nella stragrande maggioranza dei casi, senza alcuna corrispondenza con i contributi versati;
    con la sentenza del 6 giugno 2013, n. 116, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del contributo di solidarietà, introdotto nell'estate 2011 dal Governo Berlusconi e poi confermato dal Governo Monti, a carico delle pensioni pubbliche e private superiori ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l'anno, dalle quali si tratteneva una somma pari a, rispettivamente, il cinque, il dieci e il quindici per cento;
    nell'introduzione di un contributo di solidarietà a danno degli importi pensionistici più elevati la Corte costituzionale ha ravvisato la violazione sia del principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3 della Costituzione, sia dell'articolo 53 della Carta costituzionale, relativo alla proporzionalità e progressività delle imposte, rilevando che «a fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici: il contributo di solidarietà si applica su soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per tutti gli altri cittadini la misura è ai redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con un'aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la deducibilità dal reddito»;
    di tutt'altro avviso era, invece, l'Avvocatura dello Stato, che ha dichiarato che «l'intervento censurato appare pienamente rispettoso dei criteri di capacità contributiva e di progressività»;
    a seguito della sentenza della Corte costituzionale, non solo il contributo straordinario di solidarietà è stato disapplicato, ma tutte le somme non erogate sulla base delle disposizioni che lo avevano istituito sono state restituite, vanificando del tutto qualunque beneficio per le casse dello Stato, che, al contrario, ha dovuto reperire, con la legge di stabilità attualmente in discussione al Senato, ben ottanta milioni di euro per i rimborsi, aggiungendo al danno anche la beffa;
    in un'intervista a Il Corriere della Sera del 25 maggio 2013, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con riferimento all'ipotesi di un taglio delle pensioni più elevate, ha dichiarato che «non si vede perché nel momento in cui si chiedono sacrifici a tutti qualcuno debba essere escluso»;
    nel disegno di legge di stabilità 2014, il contributo di solidarietà a carico degli importi pensionistici più elevati è stato reintrodotto, ma con le medesime modalità di quello giudicato incostituzionale e ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo senza tenere in alcun conto le osservazioni espresse in merito dalla Corte costituzionale, che aveva auspicato che un eventuale prelievo di tipo straordinario fosse disposto a carico non solo dei pensionati ma anche dei lavoratori attivi, ed è perciò con grande probabilità destinato nuovamente a cadere sotto la scure della massima Corte;
    la stessa Corte costituzionale, peraltro, ha adottato una prassi, dai firmatari del presente atto di indirizzo già stigmatizzata in un appello al Presidente della Repubblica, in base alla quale si indica alla carica di presidente il membro più anziano della stessa, il quale, inevitabilmente, cessa dalla carica prima della scadenza del triennio previsto dal dettato costituzionale per sopraggiunti limiti di età, dando spazio al successore anagraficamente più prossimo;
    ne consegue che in molti casi la presidenza è assunta per pochissimi mesi, forse nemmeno necessari per istruire ed organizzare il lavoro connesso alla funzione, e che, salvo rarissime eccezioni, tutti i giudici della Corte costituzionale cessano il loro incarico con la carica di presidente e il conseguente beneficio di ottenere un trattamento pensionistico ed un'indennità maggiorate rispetto al diritto acquisito sino all'assunzione della carica presidenziale;
    attualmente, presso la XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati, sono in corso di esame tre proposte di legge recanti misure per incidere sui trattamenti pensionistici particolarmente elevati,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a prevedere la fissazione di un tetto, pari a dieci volte il trattamento minimo Inps, ai trattamenti pensionistici erogati anche solo in parte in base al metodo retributivo, e il ricalcolo – e la successiva erogazione – degli stessi trattamenti, per la parte eccedente il tetto, secondo il metodo contributivo, di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, al fine di rendere trasparente e lineare la corrispettività tra retribuzione percepita, contribuzione versata e trattamento corrisposto, nel rispetto dei principi di solidarietà sociale, nonché al fine di realizzare un riequilibrio in favore delle generazioni più svantaggiate nel segno di un indispensabile principio di equità generazionale.
(1-00255) «Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il tema della riduzione dei trattamenti pensionistici di importo elevato – le cosiddette «pensioni d'oro» – continua a richiamare una forte attenzione degli organi di informazione e dell'opinione pubblica, stimolando un ampio dibattito sui principi di equità e giustizia nell'erogazione di prestazioni previdenziali, anche in chiave intergenerazionale e di sostenibilità complessiva del sistema pensionistico;
    per quanto riguarda, in particolare, il tema dei trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte costituzionale ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla «cristallizzazione» normativa – riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali – purché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente;
    quanto al contributo di solidarietà sulle pensioni di importo elevato, la Corte costituzionale si è a più riprese pronunciata inquadrandolo nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge – soggetto per tale ragione al principio di uguaglianza e ai criteri di progressività – da ultimo con la sentenza n. 116 del 2013, con cui ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il quale introduceva un contributo di perequazione, a decorrere dal 1o agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie;
    attualmente presso la XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati è in corso l'esame parlamentare di più proposte di legge abbinate in materia di interventi sui trattamenti pensionistici di importo elevato mentre, sul medesimo argomento, è appena intervenuto anche il disegno di legge di stabilità 2014 (attualmente all'esame del Senato);
    sul tema delle «pensioni d'oro» molti politici stanno alimentando un dibattito propagandistico e privo di una qualsivoglia analisi di quale sia la situazione attuale del sistema pensionistico italiano e cosa sia necessario fare per affermare realmente e concretamente principi di equità e giustizia;
    è necessario partire dalla recente «riforma Fornero» che ha determinato molti guasti e tanti altri ne creerà se non verrà prontamente e strutturalmente riformata a sua volta. Ci sono almeno 390 mila lavoratori cosiddetti esodati ridotti sul lastrico; mancano del tutto meccanismi di solidarietà interni al sistema che sarebbero, invece, necessari soprattutto per i lavoratori giovani, quelli atipici e per le donne che hanno subito la violenza di un innalzamento di 5 anni dell'età pensionabile, misura derivante da un'idea negativa della parità senza riconoscimento alcuno del valore sociale ed economico dei lavori di cura; si è previsto un significativo innalzamento dell'età pensionabile per tutti, creando un sistema rigido che non consente un'uscita flessibile dal mondo del lavoro;
    la «riforma Fornero» contenuta nel decreto-legge cosiddetto «Salva Italia» era accompagnata da una relazione tecnica che indicava risparmi per 22 miliardi di euro circa nel periodo 2012/2021, ma il rapporto dell'area attuariale dell'Inps del giugno 2013 ha indicato risparmi addirittura superiori a 90 miliardi di euro nello stesso periodo;
    il sistema previdenziale è stato utilizzato come bancomat da parte dello Stato e i risparmi non sono stati utilizzati per migliorare la condizione della vastissima platea di pensionati italiani che percepisce pensioni di importi bassi o bassissimi, al di sotto della soglia della povertà;
    è una storia triste che si ripete, peraltro: si deve constatare come tutti gli ingentissimi risparmi successivamente conseguiti con le varie riforme pensionistiche fatte negli ultimi anni sono stati assegnati o alla riduzione del deficit oppure ad esigenze considerate «più importanti». Un caso eclatante è accaduto con i risparmi generati dall'aumento dell'età di pensionamento delle donne che, a norma dell'articolo 22-ter del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 209, dovevano essere destinati a «politiche sociali e familiari»: sono invece finiti nel calderone della finanza pubblica, a finanziare tutt'altro;
    occorre, quindi, cambiare l'inutile «riforma Fornero» e ricordare le importantissime riforme pensionistiche che sono state fatte nei decenni passati e che hanno drasticamente ridotto sia gli andamenti futuri che quelli correnti della spesa. In termini nominali, la spesa pensionistica sta aumentando di anno in anno poco più dell'inflazione e molto meno che negli altri Paesi: fra il 2003 e il 2010, secondo i dati Eurostat, è aumentata in media del 3,8 per cento l'anno in Italia, contro il 6,8 per cento del Regno Unito, il 4,3 per cento della Svezia, il 4,9 per cento della Francia, l'8,1 per cento della Spagna e il 5,5 per cento della Danimarca (fa eccezione la Germania, con un aumento annuo dell'1,4 per cento);
    secondo i più recenti dati Eurostat, relativi al 2010, l'Italia spende per le pensioni il 16 per cento del prodotto interno lordo, contro il 13,2 per cento dell'Europa a 15 e il 13 per cento dell'Europa a 27. Va, tuttavia, considerato che il dato del 16 per cento riferito all'Italia è falsato e la percentuale è decisamente più bassa in quanto:
     a) nel calcolo della spesa previdenziale italiana, ma non in quella degli altri paesi, figura il trattamento di fine rapporto che viceversa rappresenta una parte differita della retribuzione;
     b) si ha una percentuale di ultra sessantacinquenni più elevata degli altri Paesi, il che inevitabilmente determina la presenza di un numero maggiore di pensionati;
     c) si tratta di spesa al lordo delle trattenute fiscali: le pensioni italiane sono invece assoggettate all'imposta sul reddito, a differenza di altri Paesi dove sono praticamente esenti (si veda la Germania);
     d) non si è considerata la spesa per sgravi fiscali alla previdenza privata, particolarmente elevata nei Paesi anglosassoni;
    in rapporto al prodotto interno lordo, a legislazione vigente, la spesa pensionistica è destinata a contrarsi significativamente a partire dal 2014, come si può constatare dalla nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza presentato dal Governo nel mese di settembre 2013. Come per tutti i rapporti al prodotto interno lordo, poi, il rapporto fra spesa pensionistica e prodotto interno lordo risente della contrazione del denominatore, ovvero della crisi economica. Se il prodotto interno lordo non si fosse contratto per la recessione, la spesa pensionistica sarebbe almeno di 1 punto di prodotto interno lordo inferiore. A differenza di quanto si poteva scrivere una decina di anni fa, la spesa pensionistica italiana appare elevata soprattutto perché l'economia non cresce, non perché si è troppo generosi;
    il quadro illustrato denuncia quanto il dibattito sulle cosiddette «pensioni d'oro», così come affrontato, risulti superficiale. Il disegno di legge di stabilità 2014 prevede la sospensione della indicizzazione delle pensioni superiori a 3 mila euro, vale a dire un taglio a una parte delle pensioni in essere. Da più parti si parla e si propone di ridurre le pensioni erogate superiori a un certo limite, considerate in ogni caso pensioni d'oro. La proposta è basata su una confusione evidente tra alto rendimento (dei contributi versati) e alto livello della pensione. Spesso i due aspetti sono disgiunti;
    i sistemi retributivi e contributivi sono due sistemi a ripartizione. Nel sistema retributivo l'obiettivo non è quello di assicurare un uguale tasso di rendimento a tutti i lavoratori, ma di stabilire una relazione tra prima pensione e ultime retribuzioni. Il sistema permette trasferimenti di risorse a fini equitativi. Chi beneficia di questi trasferimenti avrà un rendimento più alto rispetto a chi cede parte delle risorse. Se la media del sistema ha un rendimento dei contributi effettivamente versati pari al tasso di crescita del prodotto interno lordo (o meglio della massa salariale), il sistema è in equilibrio (a parte eventuali fluttuazioni demografiche);
    il nuovo sistema pensionistico contributivo introdotto nel 1995 si basa su un principio di equità attuariale, per cui dovrebbe tendere a erogare prestazioni in linea con i contributi versati. Il fatto, però, è che dietro questa apparenza si nascondono dettagli di non poco conto, anche a prescindere dalla salvaguardia dei diritti acquisiti che, peraltro, in ambito pensionistico, dove i soggetti interessati sono avanti negli anni, richiede necessariamente una particolare attenzione;
    innanzitutto, non è vero che un sistema retributivo, come quello adottato fino al 1995, sia necessariamente più generoso del sistema contributivo: a seconda dei parametri utilizzati, i due sistemi possono produrre risultati equivalenti, mentre, se il sistema retributivo tende a premiare le carriere dinamiche, il sistema contributivo tende a premiare le carriere piatte. Non ci si avvede che è falso che il sistema contributivo restituisce pensioni corrispondenti ai contributi versati: è facile mostrare che, quando si considerano anche le prestazioni assistenziali, il sistema contributivo penalizza soprattutto i più poveri che, malgrado gli anni e decenni di contributi, rischiano di maturare pensioni di poco superiori all'assegno sociale, ovvero di maturare rendimenti addirittura negativi sui propri contributi, con un sostanziale incentivo ad entrare o a rimanere nell'economia sommersa (si veda, ad esempio, Marano, Mazzaferro e Morciano, Rivista degli economisti, 2012, 71);
    secondo gli economisti Paladini e Vincenzo Visco, l'elemento che ha il maggior peso nella differenza tra il sistema retributivo e quello contributivo è costituito dagli anni di vita attesa, cioè dall'età del pensionamento. Questo elemento conta di più della velocità di progressione della retribuzione. A questo proposito non va dimenticato che in molti casi la scelta del pensionamento non è stata spontanea, ma necessitata: infatti, una significativa fetta delle ristrutturazioni industriali sono state fatte nei decenni passati usando il sistema pensionistico a volte con misure ad hoc (prepensionamenti). Operai, impiegati, ma anche dirigenti sono stati messi in pensione che lo volessero o meno;
    l'idea di fissare un limite inferiore (sia esso 3.000 euro o più al mese) e di applicare un taglio solo alle pensioni che superano la soglia è errore logico che diventa un vizio giuridico. Lo stesso vale per il blocco dell'indicizzazione al di sopra di un dato livello;
    va evidenziato che da un prelievo forzoso sulle pensioni elevate non possono derivare grandi risorse; il contributo di solidarietà inserito nel disegno di legge di stabilità 2014 (articolo 12, comma 4), che prevede un contributo del 5 per cento sulle pensioni superiori a 150 mila euro annue, del 10 per cento sulla parte eccedente i 200 mila euro e del 15 per cento sulla parte eccedente i 250 mila euro, avrebbe effetti netti, secondo la relazione tecnica, risibili, pari a 12 milioni l'anno; anche ammettendo soluzioni più radicali, quali quelle ipotizzate da Boeri e Nannicini sul sito lavoce.info, si arriverebbe a un gettito di 800-900 milioni di euro, quasi dimezzato, tuttavia, da quella che sembrerebbe la mancata considerazione da parte degli economisti della lavoce.info della perdita di gettito fiscale associata alla connessa riduzione degli imponibili Irpef;
    con tali risorse non si risolve il problema, né in parte, né in tutto, di innalzare gli importi pensionistici delle pensioni al minimo, considerato che l'idea del contributo di solidarietà è quella di ridistribuirlo all'interno del sistema previdenziale a fini solidaristici;
    quanto all'equità della misura, sembra prevalere un populismo mischiato a falso egualitarismo: coloro che hanno conseguito pensioni elevate – salvo eccezioni rare e davvero scandalose – sono in prevalenza persone che hanno ricevuto redditi molto elevati nel corso della loro vita lavorativa e contribuito conseguentemente, in accordo con regole che già prevedevano forme di solidarietà. Se si ritiene che sia ingiusto che esistano persone molto più ricche di altre, lo strumento a disposizione del pubblico è semplicemente la variazione delle aliquote fiscali: si proponga un aumento dell'aliquota sull'ultimo scaglione di reddito, senza discriminare fra ricchi pensionati e altri precettori di reddito, nel solco dei principi giuridici fissati dalla giurisprudenza costituzionale;
    il riconoscimento di un doveroso contributo di solidarietà ai pensionati più poveri ricade tra le misure assistenziali che devono essere finanziate dalla fiscalità generale e da tutti i cittadini a secondo della loro capacità contributiva;
    dagli anni Ottanta ad oggi, mentre si sono ridimensionati servizi e spese sociali che andavano a beneficio delle fasce deboli della popolazione, in materia di entrate il prelievo fiscale si è spostato dai redditi più alti verso quelli medio bassi, al punto che il rapporto tra aliquote sui redditi minimi ed aliquote sui redditi massimi è passato da 1 a 7 ad 1 a 2;
    in questo periodo, l'aliquota sulle fasce medio basse è salita dal 10 per cento al 23 per cento, mentre per quelli alti è scesa dal 72 per cento al 43 per cento. La progressività del prelievo fiscale è stata, quindi, fortemente ridimensionata e questo è accaduto proprio nell'imposizione diretta che rappresenta il principale strumento per correlare le imposte ai redditi;
    tutti i redditi sopra i 75 mila euro annui lordo sono tassati con un aliquota pari al 43 per cento che rimane tale anche per redditi di molto superiori, facendo venire meno il criterio di progressività del sistema tributario di cui all'articolo 53 della Costituzione;
    con l'innalzamento dell'aliquota sui redditi più alti, applicando il criterio della progressività, si realizzerebbe davvero una maggiore equità del sistema – andando a colpire anche le vere «pensioni d'oro» – e si darebbe corpo e consistenza ai principi di equità e giustizia;
    con il gettito derivante dall'innalzamento dell'aliquota sui redditi più alti si possono aumentare in misura permanente gli importi delle pensioni per tutti i pensionati più poveri, così incrementando i consumi ed alleviando la situazione difficile di molte persone e famiglie;
    inoltre, in via temporanea, si può intervenire proponendo l'erogazione di una sorta di quattordicesima per i pensionati a più basso reddito. In tal senso, i parlamentari del gruppo Sinistra Ecologia Libertà hanno presentato emendamenti sia al decreto-legge n. 102 del 2013 sull'imu (A.C. 1544), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2013, che al disegno di legge di stabilità 2014 volti a riconoscere un bonus, oscillante tra i 250 ed i 450 euro, a 2,5-3 milioni di pensionati a basso reddito, impegnando risorse per circa un miliardo derivanti da risparmi conseguiti sulle auto blu e dalla modifica della cosiddetta Robin tax e della deducibilità degli interessi passivi per le banche;
    analoga misura era presente all'articolo 5 del decreto-legge n. 81 del 2007 (Governo Prodi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 127 del 2007, che istituì una sorta di quattordicesima per i pensionati a basso reddito, l'erogazione, cioè, di un bonus per quei pensionati che avevano un reddito inferiore a 8.504 euro all'anno (655 euro al mese per 13 mensilità) e almeno 64 anni di età. La norma riguardava circa 3 milioni di persone. L'importo medio previsto fu di 301 euro per una somma totale pari a 926 milioni di euro,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione di iniziative per l'introduzione di ulteriori aliquote impositive progressive, in attuazione dell'articolo 53 della Costituzione, che si applichino ai redditi sopra i 75 mila euro annui lordi, tra cui anche le cosiddette «pensioni d'oro»;
   ad assumere le opportune iniziative, anche normative, al fine di corrispondere, a favore dei soggetti con età pari o superiore a sessantacinque anni e che siano titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, gestite da enti pubblici di previdenza obbligatoria, a condizione che il soggetto non possieda un reddito complessivo individuale relativo all'anno stesso superiore a una volta e mezzo il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, in sede di erogazione della tredicesima mensilità, una somma aggiuntiva almeno pari a 500 euro.
(1-00256) «Di Salvo, Migliore, Paglia, Airaudo, Ragosta, Placido, Lavagno, Aiello, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    i dati Inps relativi al 2012 rilevano che in Italia ci sono un numero di pensioni superiori a 10 volte il minimo, pari a 154.739 euro, per un importo complessivo lordo annuo di 12.753.078.053 euro a carico del sistema pensionistico italiano;
    le «pensioni d'oro» sono figlie del vecchio sistema pensionistico retributivo, che ha generato uno scollamento tra contributi versati e trattamenti pensionistici erogati, dal momento che il calcolo è stato in passato effettuato solo sulle retribuzioni degli ultimi anni di vita lavorativa;
    la riforma Dini (legge n. 335 del 1995) con l'introduzione del sistema contributivo ha attenuato questo problema. L'applicazione graduale del metodo contributivo ha favorito il superamento progressivo delle disparità di trattamento legate ai regimi speciali di pensione provenienti dalla tradizione categoriale italiana, stabilendo l'uniformità delle prestazioni in rapporto ai contributi versati, ma non ha risolto la questione dell'equità dei trattamenti erogati con il vecchio sistema, soprattutto rispetto a quelli erogati sulla base del nuovo sistema basato sulle effettive contribuzioni versate;
    la crisi economica e occupazionale ha acuito non soltanto le tensioni sulla finanza pubblica, ma anche la percezione dell'insostenibilità e dell'ingiustizia di divari così ampi tra i trattamenti previdenziali del nostro Paese;
    il perdurare della crisi ha reso necessario il ricorso al contributo di solidarietà, prelievo previsto dall'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che disponeva che, a decorrere dal 1o agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici, corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi risultassero complessivamente superiori a 90 mila euro lordi annui, fossero assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5 per cento della parte eccedente l'importo fino a 150 mila euro; pari al 10 per cento per la parte eccedente 150 mila euro; e al 15 per cento per la parte eccedente 200 mila euro;
    con la sentenza n. 116 del 2013, la Consulta ha tuttavia stabilito che la legge n. 111 del 2011 viola il principio di eguaglianza dell'articolo 53 della Costituzione, in quanto il taglio viene imposto nei confronti dei soli pensionati, una categoria definita nella sentenza «colpita in misura maggiore rispetto ai titolari di altri redditi e, più specificamente, di redditi da lavoro dipendente». Secondo la Corte Costituzionale, un «contributo di solidarietà» va applicato in maniera equa tra tutti i contribuenti. Il prelievo, ha spiegato la Consulta, ha natura tributaria e deve, per questo, essere commisurato alla «capacità contributiva» dei cittadini, i quali, come stabilisce l'articolo 3 della Carta costituzionale, sono «eguali davanti alla legge»;
    a seguito della predetta sentenza n. 116 del 2013 della Corte costituzionale, si è reso necessario procedere al rimborso delle trattenute effettuate sulle pensioni di importo superiore a 90 mila euro, che graverà sulle casse dello Stato per 80 milioni di euro nel biennio 2014/2015, anche se l'Inps in assenza di copertura finanziaria si è riservato le modalità di restituzione delle trattenute operate dal 1o agosto 2011 fino al 31 dicembre 2012;
    numerose sono le perplessità suscitate dalla citata sentenza n. 116 del 2013 della Corte Costituzionale, anche perché si riferisce a un settore che ha subito provvedimenti restrittivi a carico dei trattamenti medio-bassi. Vi sono nel sistema previdenziale forme di oggettivo privilegio che non sono più sostenibili sul piano economico, né difendibili su quello etico. Ad alimentare le perplessità è l'esistenza di sentenze precedenti che avevano ritenuto legittimi i contributi di solidarietà a carico delle pensioni di importo più elevato, purché si trattasse di una misura improntata a ragionevolezza e disposta per un tempo limitato e previsto;
    con la sentenza n. 173 del 1986 e le sentenze n. 501 del 1988 e n. 96 del 1991, la Corte costituzionale ha inoltre ribadito la natura mutualistica e solidaristica del sistema previdenziale, sostenendo che «il contributo non va a vantaggio del singolo che li versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicché i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi», fermo restando il principio della proporzionalità tra contributi versati e prestazioni previdenziali ricevute;
    per quanto riguarda l'annosa questione dei «diritti acquisiti», e alla possibilità di intervenire sulle pensioni attraverso trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, con le sentenze n. 349 del 1985, n. 173 del 1986, n. 822 del 1988, n. 211 del 1997 e n. 416 del 1999, la Corte costituzionale ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla cristallizzazione normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali, perché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente;
    la Corte costituzionale, inoltre, con ordinanza n. 22 del 2003, osserva che «il contributo di solidarietà, non potendo essere configurato come un contributo previdenziale in senso tecnico (sentenza n. 421 del 1995), va inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all'articolo 23 della Costituzione, costituendo una prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori (sentenza n. 178 del 2000), con la conseguenza che l'invocato parametro di cui all'articolo 53 Cost. deve ritenersi inconferente, siccome riguardante la materia della imposizione tributaria in senso stretto»;
    alla luce delle sopra citate sentenze della Corte costituzionale e del perdurare della crisi economica ed occupazionale del nostro Paese, che rendono necessari interventi di risparmio sulle fasce più deboli, non appare sostenibile né giustificato il permanere, senza decurtazione alcuna, di trattamenti pensionistici che superano di dieci, venti o anche cinquanta volte il trattamento minimo, quando una parte di tale divario non è legato ai contributi effettivamente versati durante la vita lavorativa dei beneficiari;
    vi è l'esigenza di rivedere l'istituto dei diritti acquisiti, non solo in relazione all'orientamento espresso dalla Corte costituzionale nelle sentenze sopra citate, ma soprattutto in relazione al particolare momento storico in cui ci si trova. I diritti sociali vanno acquisiti in relazione alle mutate condizioni economico-sociali. Occorre impiegare le risorse disponibili secondo una logica chiara, che stabilisca una gerarchia dei diritti acquisiti da tutelare, bilanciando l'effettività di tutela con i principi di gradualità e di criterio di compatibilità economica, secondo quanto sancito dal dettato Costituzionale (articoli 2 e 53);
    si rende, quindi, indispensabile individuare la parte delle rendite previdenziali privilegiate che non corrisponde a contribuzione effettivamente versata, per assoggettarla a un contributo di solidarietà a vantaggio delle posizioni previdenziali più deboli o di altre prestazioni a favore delle fasce più deboli e maggiormente colpite dalla crisi economica. Tutto ciò in linea con quanto dettato dalla Costituzione in attuazione dei principi solidaristici sanciti dall'aricolo 2 della Costituzione stessa,

impegna il Governo:

   a procedere alle operazioni di calcolo e di stima necessarie per individuare la parte delle rendite previdenziali privilegiate che non corrisponde a contribuzione effettivamente versata;
   ad assumere un'iniziativa per disporre in via sperimentale e transitoria l'applicazione a tutte le pensioni superiori all'importo di 60.000 euro annui di un meccanismo caratterizzato da una trattenuta alla fonte, con aliquote progressive per scaglioni, sul differenziale esistente tra l'ammontare della pensione liquidata e l'ammontare della pensione che sarebbe invece liquidata ove la sua quantificazione avesse luogo per intero con il metodo contributivo;
   a destinare il gettito derivante da tali trattenute al finanziamento di misure volte a rafforzare il sostegno alle fasce più deboli e maggiormente colpite dalla crisi, anche attraverso un rafforzamento di servizi di assistenza (servizi per la cura dell'infanzia e di assistenza agli anziani e ai disabili) che il peso della crisi ha reso sempre più inaccessibili per molte famiglie.
(1-00257) «Tinagli, Zanetti, Mazziotti Di Celso, Antimo Cesaro, Andrea Romano, Cimmino, Causin, D'Agostino, Molea, Librandi, Sottanelli, Vecchio, Catania, Vitelli, Capua».


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dagli anni ’90 il sistema pensionistico italiano è stato interessato da una serie di interventi, volti a garantirne l'equilibrio e la sostenibilità di lungo periodo, quali: il decreto legislativo n. 503 del 1992 (cosiddetta riforma Amato), inteso a stabilizzare il rapporto tra la spesa previdenziale e il prodotto interno lordo, con l'incremento dell'età pensionabile (65 anni per gli uomini, 60 per le donne, con una contribuzione minima di 20 anni) e l'introduzione di forme di previdenza complementare e integrativa; la legge n. 335 del 1995 (cosiddetta riforma Dini), che ha segnato il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo – applicato ai soggetti che avessero iniziato a lavorare dal 1o gennaio 1996, mantenendo, invece, il sistema retributivo per coloro che avessero maturato al 31 dicembre 1995 almeno 18 anni di lavoro – e introdotto il sistema misto, per coloro che avessero maturato, alla medesima data, meno di 18 anni di lavoro; la legge n. 449 del 1997 (cosiddetta riforma Prodi), che innalzava i requisiti d'età per l'accesso alla pensione di anzianità e con la quale venivano equiparate le aliquote contributive dei fondi speciali di previdenza ed eliminate alcune condizioni riconosciute ai lavoratori durante il periodo di transizione al sistema contributivo; la legge n. 243 del 2004 (cosiddetta riforma Maroni), che ha elevato l'età anagrafica per il pensionamento di anzianità (60 anni per tutti a decorre dal 2008, fermo restando il requisito contributivo 35 anni) e ha disposto la riduzione da 4 a 2 delle cosiddette finestre di uscita; la legge n. 247 del 2007 (cosiddetta riforma Damiano), che ha disposto una modifica dei requisiti per il pensionamento di anzianità (strutturandolo in maniera più graduale), con ciò introducendo, dal 1o luglio 2009, il «sistema delle quote», ulteriormente rivisto con i successivi decreti legge nn. 98 del 2011 e 138 del 2011; da ultimo, l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetta manovra Fornero), che segna il passaggio al sistema contributivo pro rata per tutti dal 1o gennaio 2012, innalza ulteriormente il livello minimo di età pensionabile (portandola, a regime, a 66 anni) e abolisce il previgente sistema delle quote per il pensionamento anticipato, con un considerevole aumento dei requisiti contributivi (42 anni per gli uomini e 41 anni per le donne) e l'introduzione di penalizzazioni economiche per chi comunque accede alla pensione prima dei 62 anni;
    pur avendo reso il sistema previdenziale italiano uno dei più rigorosi nel panorama europeo ed internazionale, la successione in poco più di venti anni di otto interventi di riforma è sintomatica dell'assenza di un chiaro disegno organico;
    il sistema previdenziale deve essere costantemente monitorato, per garantirne la sostenibilità e, soprattutto, per assicurare ai giovani un ammontare della pensione che consenta loro una vecchiaia dignitosa, mettendolo, al contempo, al riparo dal rischio che ne siano utilizzate le risorse verso esigenze di cassa o di copertura del debito pubblico;
    la legge di riforma n. 247 del 2007, l'unica ad aver trovato consenso dopo un lungo confronto con le parti sociali, aveva posto le basi per affrontare organicamente le criticità del sistema pensionistico, sia rispetto alla sostenibilità finanziaria, sia per approntare idonee misure in grado di garantire alle nuove generazioni un tasso di sostituzione non inferiore al 60 per cento dell'ultima retribuzione, a tal fine tenendo conto:
     a) delle dinamiche delle grandezze macroeconomiche, demografiche e migratorie che incidono sulla determinazione dei coefficienti medesimi;
     b) dell'incidenza dei percorsi lavorativi, anche allo scopo di verificare l'adeguatezza degli attuali meccanismi di tutela delle pensioni più basse e di proporre meccanismi di solidarietà e garanzia per tutti i percorsi lavorativi, nonché di proporre politiche attive che possano favorire il raggiungimento di un tasso di sostituzione al netto della fiscalità non inferiore al 60 per cento, con riferimento all'aliquota prevista per i lavoratori dipendenti;
     c) del rapporto intercorrente tra l'età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività;
    tali aspetti sono stati del tutto elusi proprio dall'ultimo intervento legislativo del 2011, che ha irrigidito irragionevolmente il sistema e prodotto il grave, e ancora irrisolto, fenomeno dei cosiddetti esodati, peraltro durante la più grave crisi economico-finanziaria dal dopoguerra, con tassi di disoccupazione crescenti e drammatici, specie per la componente giovanile e femminile, con punte di vera e propria emergenza sociale in alcune aree del Mezzogiorno;
    da qualche tempo si è tornati a discutere, non sempre in modo appropriato, della questione delle cosiddette «pensioni d'oro»; in particolare, l'articolo 12, comma 4, dell'atto Senato n. 1120 (disegno di legge di stabilità per il 2014), ripropone un contributo di solidarietà, per il periodo 2014-2016, sui trattamenti pensionistici obbligatori nella misura del 5 per cento per le fasce di importo superiori a 150.000 euro lordi annui e fino a 200.000 euro, del 10 per cento per le fasce superiori a 200.000 euro e fino a 250.000 euro e del 15 per cento per le fasce superiori a 250.000 euro. Le somme derivanti dalle trattenute restano acquisite dalla gestione previdenziale che eroga il trattamento;
    al riguardo, va ricordato come in materia di trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte costituzionale abbia escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla «cristallizzazione» normativa – riconoscendo, quindi, al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali – purché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente;
    in tale ottica, sono state considerate costituzionalmente plausibili misure di solidarietà interna al sistema previdenziale, con contributi a carico dei più fortunati e a favore dei lavoratori e dei pensionati più deboli (ordinanza n. 22 del 2003, confermata dall'ordinanza n. 160 del 2007);
    al contrario, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2013, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011, il quale introduceva un contributo di perequazione, a decorrere dal 1o agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, pari al 5 per cento per gli importi da 90.000 a 150.000 euro lordi annui, del 10 per cento per la parte eccedente i 150.000 euro e del 15 per cento per la parte eccedente i 200.000 euro, configurando tale contributo come misura di natura tributaria e, quindi, da commisurare alla capacità contributiva ai sensi dell'articolo 53 della Costituzione, in violazione del principio di uguaglianza e dei criteri di progressività, dando vita ad un trattamento discriminatorio, trattandosi «di un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. L'intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi»;
    nel rispetto di tali principi, vanno individuati gli strumenti più efficaci per assicurare maggiore equità al sistema previdenziale, con particolare riferimento al fenomeno delle «pensioni d'oro», termine troppo spesso applicato a situazioni reddituali non certo di particolare «privilegio» economico, e tenendo conto del fatto che la maggioranza degli assegni pensionistici, oltre il 91 per cento, è al di sotto della soglia delle cinque volte il trattamento minimo, mentre solo l'1,13 per cento del totale dei trattamenti corrisposti è superiore a 10 volte il trattamento minimo;
    sebbene possa essere auspicabile un contributo di solidarietà sui redditi più elevati, indipendentemente dalla tipologia, se ci si deve ancora una volta riferire alle pensioni, vanno presi in considerazione quei redditi da pensione superiori oltre un certo numero di volte al trattamento minimo; va, tuttavia, evitata ogni forma di surrettizio «scontro generazionale», come se tutte le pensioni calcolate con il sistema retributivo fossero un costo generale per la collettività e, al tempo stesso, va recuperato lo spirito della legge n. 247 del 2007, anche attraverso misure che consentano di recuperare la solidarietà fra le generazioni e permettano di realizzare una redistri- buzione della ricchezza e la garanzia di prestazioni pensionistiche dignitose alle future generazioni,

impegna il Governo:

   a favorire l'adozione di misure che, nel rispetto dei principi indicati dalla Corte costituzionale, creino le condizioni per realizzare forme di solidarietà ed equità previdenziale attraverso l'istituzione di appositi fondi all'interno dei diversi enti previdenziali, alimentati con contributi di importo crescente al crescere del trattamento pensionistico, applicati su quelli di importo superiore a dodici volte il trattamento minimo, da destinare a interventi in favore dei pensionati e dei lavoratori più deboli e per contribuire alla realizzazione di un sistema di prestazioni pensionistiche dignitose per le future generazioni;
   a valutare l'assunzione di iniziative volte a modificare i criteri di calcolo dei coefficienti di trasformazione di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, nel rispetto degli andamenti e degli equilibri della spesa pensionistica di lungo periodo e nel rispetto delle procedure europee, che tengano conto:
    a) delle dinamiche delle grandezze macroeconomiche, demografiche e migratorie che incidono sulla determinazione dei coefficienti medesimi;
    b) dell'incidenza dei percorsi lavorativi, anche al fine di verificare l'adeguatezza degli attuali meccanismi di tutela delle pensioni più basse e di proporre meccanismi di solidarietà e garanzia per tutti i percorsi lavorativi, nonché di proporre politiche attive che possano favorire il raggiungimento di un tasso di sostituzione al netto della fiscalità non inferiore al 60 per cento, con riferimento all'aliquota prevista per i lavoratori dipendenti;
    c) del rapporto intercorrente tra l'età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per aumentare la misura della «quattordicesima» prevista dal Governo Prodi per le pensioni basse, al fine di compensare la perdita del potere d'acquisto delle pensioni, che si è particolarmente aggravata in questi anni di crisi economica.
(1-00258) «Gnecchi, Damiano, Marchi, Albanella, Baruffi, Bellanova, Boccuzzi, Casellato, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Madia, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Simoni, Zappulla».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'attuale contesto di crisi economica che colpisce il Paese, che porta il legislatore ad adottare misure di contenimento della spesa fortemente penalizzanti per i cittadini, la questione delle cosiddette «pensioni d'oro» è argomento di acceso dibattito tra gli organi di informazione, le forze politiche e l'opinione pubblica, in relazione al rispetto dei principi di equità e giustizia sociale, del patto intergenerazionale e della sostenibilità del nostro sistema previdenziale;
    da un'inchiesta condotta dal quotidiano Libero e pubblicata sulla prima pagina dell'edizione del 12 novembre 2013 emerge che una pensione su due è «regalata», nel senso che solo il 54 per cento dei trattamenti corrisposti è coperto dai contributi effettivamente versati;
    urge, pertanto, un intervento normativo teso a contenere i trattamenti previdenziali di importo elevato, prevedendo che, laddove questi siano calcolati con il metodo retributivo, i relativi importi non debbano superare un limite prefissato e garantendo, invece, i trattamenti pensionistici calcolati esclusivamente con il metodo contributivo;
    un intervento in un'ottica di solidarietà era stato attuato con il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, che, all'articolo 18, comma 22-bis, aveva previsto in via provvisoria dal 1o agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014 un contributo di perequazione pari, rispettivamente, al 5 per cento della parte eccedente l'importo fino a 90.000 euro, al 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e al 15 per cento per la parte eccedente 200.000;
    la Corte costituzionale, però, con la sentenza n. 116 del 2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del predetto comma 22-bis, rilevando che il prelievo straordinario su tali pensioni costituiva un intervento impositivo «irragionevole e discriminatorio», realizzato ai danni di una sola categoria di cittadini, i pensionati, e che si poneva in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, rispettivamente sul principio di uguaglianza e sulla capacità contributiva come fondamento del prelievo tributario;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, le motivazioni addotte dalla Corte costituzionale sono capziose e discutibili, ritenendo invero che si rispetti il dettame costituzionale e si risponda ad un'esigenza di giustizia ed eguaglianza dei cittadini intervenendo laddove si annidano privilegi;
    le pensioni di importo elevato erogate con il calcolo retributivo, infatti, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo rappresentano già in sé una violazione dei principi costituzionali di parità ed eguaglianza, in quanto non sono frutto di accantonamenti «personali», secondo la ratio per cui un pensionato percepisce quanto versato nell'arco della vita lavorativa, bensì vengono pagate dai versamenti dei lavoratori attivi e rappresentano un trattamento di miglior favore rispetto alle generazioni successive, che, a seguito delle riforme pensionistiche, possono accedere alla pensione solo con il calcolo contributivo;
    il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha recentemente definito questi trattamenti «quelle pensioni il cui elevato importo appare stridente nell'attuale contesto socio-economico e di sacrifici imposti alla generalità della popolazione»;
    eppure il disegno di legge di stabilità attualmente all'esame dell'altro ramo del Parlamento reca all'articolo 12, comma 4, un intervento sul tema in questione valutato dai firmatari del presente atto di indirizzo insufficiente rispetto alla reale possibilità di incidere stabilmente sui privilegi esistenti,

impegna il Governo:

   ad intervenire sui trattamenti pensionistici di importo elevato, assumendo iniziative per prevedere che le pensioni ed i vitalizi erogati da gestioni previdenziali pubbliche in base al metodo retributivo non possano superare un limite prefissato, pari, ad esempio, a cinquemila euro netti mensili;
   ad assumere iniziative per prevedere una soglia prestabilita di ammontare pensionistico, pari, ad esempio, ad ottomila euro netti mensili, anche nel caso di cumulo di più trattamenti pensionistici corrisposti da gestioni previdenziali pubbliche in base al metodo retributivo;
   ad utilizzare gli eventuali risparmi derivanti dagli interventi sulle pensioni di importo elevato in favore dello sblocco delle indicizzazioni delle pensioni e della salvaguardia dei lavoratori esodati dalle disposizioni in materia pensionistica, di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, e successive integrazioni e modificazioni.
(1-00259) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    la questione delle cosiddette «pensioni d'oro» deve inquadrarsi nel contesto complessivo del sistema previdenziale e delle criticità che si pongono in relazione ad esso;
    la più recente riforma del sistema previdenziale ha determinato, in un contesto regolatorio già ritenuto sostenibile dal punto di vista finanziario, un immediato innalzamento dell'età di pensione senza disporre una fase transitoria e, non a caso, senza uguali in Europa;
    in un mercato del lavoro contratto dalla crisi e dalla nuova regolazione si è prodotta l'insostenibile condizione di molte lavoratrici e di molti lavoratori che in buona fede – sulla base della regolazione vigente – hanno accettato accordi collettivi o individuali di conclusione precoce del rapporto di lavoro, spesso accompagnata da versamenti volontari;
    la vita lavorativa si è positivamente allungata sulla base delle nuove regole previdenziali, ma l'inclusione di molte persone adulte nel mercato del lavoro rimane difficile in relazione alla crisi, alla debolezza dei servizi di formazione e ricollocamento e alle dinamiche retributive influenzate prevalentemente dall'età, con la conseguenza per cui si determina il brusco impoverimento di persone senza lavoro, senza pensione e senza sussidio;
    nuove diseguaglianze si sono aggiunte a quelle preesistenti anche nell'ambito della stessa generazione, sia dal punto di vista del calcolo della prestazione che da quello dell'età di pensione;
    in questo contesto, si sono determinate molte disparità ed incongruenze di trattamento pensionistico tra le pensioni più basse e quelle più alte, dove in molti hanno goduto di prestazioni più favorevoli per metodo di calcolo, per età di accesso o per appartenenza a fondi speciali,

impegna il Governo:

   a considerare in questo contesto, senza sollecitare conflitti tra generazioni che hanno vissuto condizioni complessivamente diverse e senza produrre radicali cambiamenti nelle legittime aspettative indotte dalle regole del passato, modalità di concorso solidale agli obiettivi di cui sopra da parte dei percettori di prestazioni più favorevoli o per metodo di calcolo o per età di accesso alle prestazioni stesse, con particolare attenzione a quelle provenienti da fondi speciali che hanno goduto di un rapporto particolarmente conveniente con le contribuzioni versate;
   a presentare quanto prima al Parlamento un progetto organico di completamento della riforma previdenziale in funzione della migliore conciliazione tra i criteri della sostenibilità finanziaria e quelli della sostenibilità sociale, introducendo flessibilità nel sistema previdenziale, proteggendo il reddito dei cosiddetti «esodati» sulla base di parametri certi e consentendo l'accumulo in unico conto di tutte le contribuzioni reali e figurative della previdenza, secondo regole semplici ed omogenee.
(1-00260) «Pizzolante, Costa, Bosco, Dorina Bianchi».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    il 18 novembre 2013, la regione Sardegna è stata investita dal ciclone Cleopatra che ha attraversato il Mediterraneo. Il bilancio tragico è stato di 16 morti e decine di feriti, di oltre duemila persone sfollate e di danni gravissimi ad abitazioni, edifici pubblici, aziende e reti infrastrutturali;
    le zone più colpite sono state Olbia e altri comuni della Gallura, il Nuorese e le Baronie nella costa orientale, l'Orista- nese e il Medio Campidano: in queste zone sono moltissime le strade interrotte e le scuole chiuse, oltre a tanti impianti di depurazione danneggiati con il rischio immediato di inquinamento e non potabilizzazione delle acque;
    la furia di questo ciclone è stata di dimensioni epocali per la Sardegna, tanto che in alcune località dell'isola in 24 ore si sono cumulati dai 250 ai 480 millimetri di pioggia, l'equivalente di circa sei mesi di precipitazioni;
    la violenza dell'acqua ha provocato danni particolarmente gravi laddove vi è stato un intervento dissennato sul territorio, che ha portato a restringere o intombare numerosi corsi d'acqua, a scelte urbanistiche che hanno consentito e tollerato l'edificazione sui letto di fiumi e torrenti e su terreni adiacenti, nonché l'utilizzo di scantinati e locali interrati come vani abitativi, il tutto in dispregio delle basilari regole di rispetto dell'assetto idrogeologico dei territori e facendo prevalere sull'interesse pubblico l'ingordigia e l'egoismo irresponsabile di pochi;
    i sistemi di allerta meteo diramati dalla protezione civile il giorno precedente all'evento alluvionale a tutti i sindaci della Sardegna non si sono dimostrati sufficientemente chiari sulla eccezionalità dell'evento e sull'eventuale necessità ed urgenza di provvedere all'evacuazione dalle abitazioni, tuttavia l'intervento di soccorso delle forze dell'ordine e dei volontari, coordinato dalla protezione civile, è stato immediato in tutti i territori colpiti,

impegna il Governo:

   a valutare l'urgenza dello stanziamento di ulteriori risorse da destinare in particolare agli interventi più urgenti di messa in sicurezza del territorio, di ripristino della viabilità e ricostruzione di ponti crollati, di ripristino dei depuratori e potabilizzatori, e per il ristoro delle tantissime aziende agricole, artigianali e commerciali messe in ginocchio dall'alluvione, mettendo in atto una stima dei danni in tempi brevi e procedimento rapidi di indennizzo;
    ad assumere iniziative per rafforzare l'azione di competenza dello Stato e di coordinamento delle regioni in materia di tutela e pianificazione idrogeologica e paesaggistica e di consumo del territorio, al fine di impedire ulteriori scelte in danno dell'ambiente e dell'interesse pubblico;
    a promuovere anche in Sardegna l'avvio in tempi brevi del centro funzionale decentrato di coordinamento delle emergenze e dei soccorsi, ancora non funzionante così come in altre cinque regioni;
    a valutare una modifica del sistema di segnalazione di allerta diramati dalla protezione civile nazionale, integrandoli o sostituendoli con quelli elaborati dalla struttura decentrata;
    a dare priorità assoluta agli interventi di messa in sicurezza dei territori interessati da dissesto idrogeologico, a partire dalle aree che presentano maggiori criticità, destinando a questo fine adeguate risorse, come richiesto dalla VIII Commissione della Camera in occasione dell'approvazione, nella seduta del 3 ottobre 2013, della risoluzione n. 8-00016.
(7-00184) «Giovanna Sanna».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nella giornata del 18 novembre 2013 l'approfondimento di un vasto vortice sul Mediterraneo occidentale ha convogliato un intenso flusso di correnti dai quadranti meridionali, molto umide e fortemente instabili, sulla Sardegna, ove venti di scirocco ad intensità di burrasca nei bassi strati hanno determinato una tipica situazione di forte instabilità in posizione quasi stazionaria, responsabile dell'innesco di strutture temporalesche con accentuate caratteristiche sia di intensità che di persistenza dei fenomeni, oltre che di diffusione dei medesimi, dando luogo al ripetersi, sulle stesse località, per più ore consecutive, di piogge torrenziali capaci di cumulare al suolo, nella loro persistenza, ingenti quantitativi d'acqua;
    la zona dell'isola interessata dalle cumulate più elevate ha riguardato lungo gran parte della fascia orientale della regione, specie lungo l'orografia dell'immediato entroterra, a ridosso della quale le intense correnti sciroccali hanno convogliato un persistente afflusso di aria caldo-umida, fornendo uno spiccato contributo all'alimentazione ed alla rigenerazione delle strutture temporalesche;
    i valori massimi di precipitazione registrati sui settori orientali della regione sono associabili a tempi di ritorno plurisecolari. L'eccezionalità del fenomeno è confermata dal fatto che in un arco temporale di circa 12 ore sono state registrate, per la prima volta in tale area, cumulate di precipitazioni superiori a 450 millimetri, in quanto dalla serie storica delle precipitazioni si evidenzia che i valori medi annui si attestano attorno ai 1.000 millimetri. I suddetti apporti pluviometrici, pertanto, sono stati tali da giustificare la diffusa crisi del sistema idrografico sia primario che secondario, provocando esondazioni diffuse causate da sormonti e da rotture di argini;
    il fenomeno ciclonico depressivo si è spostato lentamente dalla Sardegna alle regioni centro meridionali della penisola, colpendo con particolare vigore le aree costiere ed interne tirreniche ed in maniera più estesa la regione Calabria dove la provincia di Crotone e quella di Catanzaro hanno accusato ingenti danni;
    gli eventi meteorici eccezionali che hanno interessato la Sardegna hanno assunto il carattere di calamità naturale tali da giustificare la diffusa crisi del sistema idrografico sia primario e sia secondario, provocando numerose esondazioni causate sia da sormonti e sia da rotte arginali. I livelli idrometrici massimi registrati durante l'evento di piena evidenziano come il fenomeno abbia interessato i principali bacini idrografici delle regione in questione;
    le precipitazioni copiose hanno aggravato in maniera significativa il già delicato e precario equilibrio idrogeologico del territorio, contribuendo ad acuire il rischio di dissesto idrogeologico di aree anche in precedenza classificate ad alto rischio e per le quali sono stati programmati interventi di messa in sicurezza, purtroppo mai avviati per l'annosa mancanza di risorse finanziarie adeguate;
   le precipitazioni alluvionali hanno arrecato danni irreparabili alle strutture civili, a quelle produttive ed alle infrastrutture viarie e di comunicazione;
    in tale contesto particolarmente colpito è stato anche il comparto agricolo. Secondo le maggiori organizzazioni agricole l'entità dei danni all'agricoltura è stimata intorno ad alcune centinaia di milioni di euro;
    da un monitoraggio della Coldiretti sugli effetti del ciclone Cleopatra in Sardegna si ricava che sia oltre un miliardo il conto dei danni e delle perdite provocato dagli eventi estremi all'agricoltura italiana nel corso 2013. La situazione – sottolineano le organizzazioni agricole – è drammatica nelle campagne con mucche e pecore disperse, coltivazioni distrutte, strade e ponti danneggiati che impediscono di raggiungere tutte le aziende agricole. Si è di fronte ai drammatici effetti dei cambiamenti climatici che si sono manifestati quest'anno con il moltiplicarsi di eventi estremi, sfasamenti stagionali e precipitazioni brevi, ma intense e il repentino passaggio dal sereno al maltempo con vere e proprie bombe d'acqua che il terreno non riesce ad assorbire;
    le predette organizzazioni agricole hanno manifestato la necessità di intervenire sulle opere infrastrutturali per la raccolta e la regimazione delle acque in una situazione in cui nell'82 per cento dei comuni italiani sono presenti aree a rischio idrogeologico per frane e/o alluvioni. La dimensione del rischio è ovunque preoccupante, con una superficie delle aree ad alta criticità geologica che si estende per 29.517 chilometri quadrati pari al 9,8 per cento del territorio nazionale con il risultato che in Italia quindi, oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni. A questa situazione non è certamente estraneo il fatto che un modello di sviluppo sbagliato ha tagliato del 15 per cento le campagne e fatto perdere negli ultimi venti anni 2,15 milioni di ettari di terra coltivata. Ogni giorno viene sottratta terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari) che vengono abbandonati o occupati dal cemento;
    purtroppo, a livello generale e su scala nazionale, mancano misure ad hoc per aiutare il comparto primario duramente colpito dall'alluvione. Come sopra descritto, dalle rilevazioni effettuate dalle organizzazioni agricole sul territorio, la situazione del comparto agricolo e zootecnico, inclusa l'acquacoltura, appare di particolare gravità essendo stato danneggiato, in determinati territori, anche il patrimonio di scorta, oltre il settore dell'agroindustria e dell'industria alimentare;
    per l'attuazione dei primi interventi in Sardegna, nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi e indispensabili fabbisogni, il Governo ha stanziato 20 milioni di euro. Per l'attuazione degli interventi da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza, si provvederà con ordinanze emanate dal capo dipartimento della protezione civile, acquisita l'intesa della regione interessata;
    si deve tuttavia far presente che per provvedere al ristoro dei danni subiti dagli agricoltori e dalle imprese del comparto primario in caso di eventi eccezionali, attualmente non vi sono alternative all'unico strumento normativo esistente che è il fondo di solidarietà nazionale a sostegno delle imprese agricole danneggiate da calamità naturali e da eventi climatici avversi, di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 102 del 2004. Purtuttavia, bisogna fare presente che gli interventi compensativi previsti dal fondo di solidarietà nazionale a sostegno delle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per quelle avversità e colture danneggiate che non sono comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative (peraltro, agevolate per l'esistenza di un contributo statale fino all'80 per cento della spesa premi sostenuta), mentre per le colture, strutture e avversità non assicurabili al mercato agevolato possono essere concessi contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria, prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo nonché una proroga delle rate relative alle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso;
    per l'attivazione delle misure di ristoro previste dal predetto fondo di solidarietà nazionale, ad ogni modo, è necessario che le regioni interessate ne facciano formale richiesta al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e solo dopo che sia pervenuta, da parte delle regioni, specifica richiesta nei termini soprarichiamati, il Ministero provvede all'istruttoria di competenza e, riscontrati i requisiti di legge, adotta i provvedimenti necessari per l'attivazione degli interventi compensativi del medesimo fondo di solidarietà nazionale;
    bisogna altresì segnalare che le risorse messe a disposizione del predetto fondo di solidarietà negli ultimi anni non sono sufficienti per fronteggiare in maniera adeguata i danni causati dagli eventi atmosferici eccezionali e che le relative somme, inoltre, sono comprese ai fini del calcolo del patto di stabilità interno delle regioni e province autonome, e ciò determina ulteriori ritardi nella erogazione degli aiuti ai beneficiari;
    è pertanto necessario provvedere in maniera specifica ed urgente, se del caso tramite un provvedimento straordinario, per assegnare risorse adeguate al fine di consentire un immediato sostegno alle imprese agricole danneggiate dai recenti eventi alluvionali, anche ad integrazione degli interventi previsti a legislazione vigente a valere sul Fondo di solidarietà nazionale,

impegna il Governo:

   a verificare la necessità di adottare le occorrenti iniziative, ove necessario anche di natura straordinaria ed urgente, volte ad assegnare adeguate e sufficienti risorse finalizzate a consentire nell'immediato il necessario sostegno finanziario alle imprese agricole danneggiate dai recenti eventi alluvionali e per assicurare loro una rapida fuoriuscita dall'emergenza;
   ad intraprendere iniziative normative volte a stanziare congrue risorse per finanziare gli interventi attivabili nell'ambito dell'applicazione del fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto legislativo n. 102 del 2004 e contestualmente ad attivare anche ulteriori operazioni di lunga durata tese a rafforzare la sicurezza attiva e passiva del territorio rurale e la produttività delle strutture agricole, soprattutto al fine di garantire il reddito degli agricoltori e favorire la ripresa economica e produttiva delle imprese danneggiate dai predetti eventi atmosferici eccezionali;
   ad attivare specifiche azioni, in accordo con le regioni e con gli enti territoriali competenti in materie ambientali, idrauliche e di bonifica, volte a prevenire l'ampliarsi di danni in caso di eventi calamitosi, a volte inevitabili, attraverso la messa in sicurezza del territorio rurale a rischio idrogeologico, permettendo all'agricoltura di tornare a svolgere la secolare funzione di presidio del territorio, impedendo la sottrazione di superfici fertili alla coltivazione agronomica, in quanto questa è tra le uniche attività economiche in grado di garantire sviluppo e di tutelare il territorio.
(7-00183) «Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cenni, Cova, Covello, Dal Moro, Ferrari, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ZANETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   un recente rapporto dell'ente «Government at glance», basato sull'osservazione degli apparati pubblici di 34 Paesi aderenti all'OCSE, ha evidenziato come i senior manager pubblici italiani guadagnano in media il triplo dei loro corrispondenti negli altri Paesi;
   all'atto dell'ottenimento della sua prima fiducia, il Governo ha assunto l'impegno, poi onorato, di abolire lo stipendio dei Ministri per quei membri del Governo che godevano già delle indennità da parlamentari –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, e con quali tempi, per ridurre in modo sensibile i trattamenti economici di cui godono i manager pubblici e i dirigenti pubblici di prima fascia e se intenda quanto prima prevedere l'incumulabilità del trattamento economico previsto per i componenti del Governo anche con qualsivoglia altro stipendio, compenso o indennità derivante da incarichi pubblici, nonché con qualsivoglia tipo di trattamento pensionistico. (3-00469)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI, DAGA, SEGONI, DE ROSA e TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che il comando della Us Navy (Marina militare statunitense) di Napoli ha effettuato un approfondito studio sull'inquinamento nelle province di Napoli e Caserta. Il lavoro costato 30 milioni di dollari ha prodotto risultati definiti «inediti e sconvolgenti» in termini di sicurezza dei cittadini e dell'ambiente;
   secondo gli esperti statunitensi il livello di inquinamento delle falde acquifere sarebbe tale da sconsigliarne l'utilizzo alle proprie truppe invitando invece ad usare acqua minerale «per bere, cucinare, fare il ghiaccio e anche lavarsi i denti»;
   gli esami sono stati effettuati su acqua, aria e terreno in un'area di mille chilometri quadrati, con riferimento a 543 case e dieci basi statunitensi. Si parla di rischi per la salute legati soprattutto all'acqua, in tre «zone rosse» intorno a Casal di Principe, Villa Literno, (il territorio dominato dal clan camorristico dei Casalesi) Marcianise, Casoria e Arzano, dove i rubinetti pescherebbero da pozzi contaminati. Presenterebbe forti criticità anche il 57 per cento degli acquedotti esaminati nel centro di Napoli e il 16 per cento nel quartiere Bagnoli, non a causa delle sorgenti ma delle cattive condizioni delle tubature;
   in realtà il report, di oltre tremila pagine, è stato inviato ai Ministeri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla protezione civile e i suoi contenuti illustrati nel corso di una «open house» nella base di Capodichino già nel corso del 2009, ma i suoi contenuti non sono stati resi pubblici;
   ora la documentazione è reperibile anche online ed è stata prodotta dalla Naval Support Activity Naples nel giugno 2010: uno «screening» dal punto di vista biologico delle terre comprese tra i Campi Flegrei e il Casertano, quelle in cui da anni gli americani risiedono, per comprendere i potenziali rischi della salute derivanti dall’«inquinamento storico della regione Campania». Rispetto a un primo documento già prodotto nel 2008, in questo più recente c’è un «focus» su ben 9 aree distinte – tracciate da Capodichino a Casal di Principe – in cui sono comprese 117 residenze Usa in Campania;
   dalla stampa si acquisiscono i seguenti dati:
    a) il suolo. Dopo un'accurata analisi dei gas nel suolo – in cui sono stati riscontrate sostanze come benzene, cloroformio, etilbenzene – si passa allo studio delle acque. Nei campioni d'acqua di tutte le 9 aree – spiega il documento – sono state riscontrate quantità di arsenico, tetracloretano, nitrati. Le indagini sono state effettuate da Tetra Tech, leader nei servizi di consulenza ambientale e di analisi sulla contaminazione delle acque;
    b) l'arsenico. Il livello di contaminazione più alto di arsenico, ad esempio, è stato rilevato nelle aree 1 e 5, ovvero quella intorno al sito di Carney Park (Quarto) e a quello di Lago Patria;
    c) gli acquedotti. Tutto nasce da una lunga e accurata analisi degli acquedotti: ne sono stati analizzati 14 lungo l'intera regione Campania (fatti selezionare dalla protezione civile e dal personale dei laboratori Arin). Per quanto riguarda l'acqua non trattata e non filtrata all'interno degli acquedotti, la concentrazione di arsenico riscontrata in 9 delle 14 condutture «si è rivelata superiore al livello massimo di contaminazione». In due distinti casi è stata riscontrata nell'acqua la presenza di batteri coliformi fecali; in quattro casi sono stati trovati coliformi totali. «D'accordo con le leggi italiane – scrivono gli americani nel loro documento – quest'acqua dovrebbe essere sottoposta a trattamento dalle autorità competenti prima dell'uso;
    d) coliformi fecali. Un trattamento quantomai necessario visto che biologicamente i coliformi fecali raggiungono le acque superficiali soprattutto attraverso gli scarichi fognari e le acque di dilavamento di terreni destinati all'allevamento di animali e, attraverso il ciclo dell'acqua, possono raggiungere anche le falde acquifere. Tra essi c’è l'ormai celebre «escherichia coli», responsabile, ad esempio, di dissenteria quando ci si reca in viaggio in Paesi in via di sviluppo. Nelle acque destinate al consumo umano, nelle acque di piscina o balneabili, è prescritta l'assenza obbligatoria di «escherichia coli»;
    e) tetracloretano. Secondo il report americano, le zone in cui l'acqua è più contaminata (qui si parla di tetracloretano) sono quelle di Casal di Principe e di Villa Literno. Il tetracloretano è un liquido incolore di odore soffocante, bolle a 146o C. Nonostante la tossicità relativamente elevata, è largamente impiegato come solvente industriale e nella preparazione di vernici e lacche, pellicole fotografiche e insetticidi;
    il comune di Napoli e la regione Campania sembrerebbero disconoscere la validità dei dati forniti dal rapporto della US Navy e garantire sul livello di potabilità dell'acqua;
   sarebbe opportuno intervenire con un'opera di generale bonifica dei territori interessati per la salvaguardia delle popolazioni, dell'ambiente e per sostenere l'importante filiera ortofrutticola campana che rischia di subire un colpo mortale dalle notizie sopradette –:
   perché le autorità italiane alle quali era giunta la documentazione sopradescritta non abbiano ritenuto opportuno pubblicarne il contenuto ed informare la cittadinanza in modo dettagliato e puntuale;
   quali iniziative si intendano assumere per garantire il livello necessario di informazione e sicurezza nelle aree interessate dallo studio;
   se non ritengano opportuno promuovere un'indagine conoscitiva, anche a mezzo di rilievi da parte dell'Istituto superiore di sanità, al fine di accertare il livello di potabilità dell'acqua nelle aree interessate. (4-02664)


   FAENZI e PARISI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso mese di ottobre e nelle passate settimane del corrente mese, il maltempo ha colpito numerose regioni d'Italia, tra cui nuovamente la Toscana, già tristemente nota alle cronache nazionali nel novembre 2012, a causa di un evento alluvionale, la cui intensità eccezionale, ha provocato numerose vittime, oltre che ingenti danni alle attività commerciali e agricole e a diverse infrastrutture sia pubbliche che private;
   l'ultima perturbazione atmosferica in ordine di tempo, che ha provocato esondazioni, in particolare nei comuni di Volterra, del torrente Cecina e a Molino d'Era, seguiti da crolli di viadotti e smottamenti sulle strade di collegamento, causati dall'intensità della pioggia che in alcuni casi ha raggiunto circa 130 mm in appena un'ora, ha coinvolto le province di Pisa, Livorno e Siena, con danni stimati in circa 300 milioni di euro;
   le ripercussioni negative e penalizzanti per l'intera economia territoriale del senese, per l'ambiente ed il paesaggio di un'area ad alta attrattività turistica e agrituristica, si stanno attualmente manifestando in maniera grave, sia attraverso il disagio delle comunità locali nell'avviare ogni sforzo ed impegno per ripristinare le condizioni di normalità, che dalle difficoltà che gli enti locali e le imprese dei territori coinvolti dall'alluvione riscontrano, considerato tra l'altro le imminenti scadenze fiscali e contributive e più in generale, i numerosi adempimenti finanziari vincolati a rispettare;
   i comuni della provincia di Siena coinvolti, che risultano essere complessivamente diciannove tra i quali San Gimignano, Sinalunga e Buonconvento, evidenziano in particolare pesanti difficoltà nel rispettare i vincoli di bilancio e garantire i servizi essenziali per i cittadini residenti nelle aree alluvionate, molti dei quali peraltro rimasti attualmente senza abitazione a causa dei rilevanti danni subiti dall'acqua;
   gli interroganti evidenziano inoltre, che intere frazioni del suddetto comune di Buonconvento, nella valle dell'Ombrone, alla foce del fiume Arbia, nonché importanti strutture alberghiere agrituristiche e aziende vinicole che producono il Brunello, in prossimità del comune di Murlo, hanno subito gravissimi danni alla viabilità, i cui percorsi risultano peraltro essere difficilmente percorribili anche dai mezzi di soccorso attrezzati allo scopo, ai viadotti e alle attività imprenditoriali in particolare quelle agricole;
   gli effetti derivanti dalla perturbazione atmosferica come in precedenza riportato, che hanno determinato gravi ed ingenti danni all'economia regionale toscana ed in particolare a quella della provincia di Siena, con pesanti disagi alle comunità locali, richiedono a giudizio degli interroganti, interventi agevolativi non soltanto di carattere finanziario e fiscale nei riguardi della collettività toscana coinvolta dall'evento alluvionale, ma anche una urgente pianificazione di misure per la messa in sicurezza del territorio attraverso un piano di interventi di manutenzione straordinaria degli alvei e azioni di mitigazione del rischio idraulico;
   lo stato di calamità naturale richiesto dalla regione Toscana, ad oggi non ancora deliberato dal Consiglio dei ministri, conseguente all'evento alluvionale che ha causato, ingenti danni alle attività produttive delle aree interessate, appare a giudizio degli interroganti, urgente e necessario, nonostante la normativa che regola gli interventi di emergenza della protezione civile italiana escluda l'intervento dello Stato nelle misure da finanziare per i danni subiti da fabbricati;
   ciononostante a parere degli interroganti, in considerazione delle decisioni adottate lo scorso 21 novembre dal Consiglio dei ministri, a favore della regione autonoma della Sardegna, colpita anch'essa da un'eccezionale ondata di maltempo, che hanno disposto interventi in deroga, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, occorre al contempo, intervenire attraverso la deliberazione dello stato di emergenza nei riguardi della regione Toscana, con misure affini e similari in analogia con quelle attribuite alla regione autonoma, in precedenza riportato –:
   quali orientamenti intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se in considerazione della situazione di estrema difficoltà causata dell'eccezionale ondata di maltempo avvenuta nel mese di ottobre e di novembre del presente anno, nella regione Toscana ed in particolare nella provincia di Siena, i cui estesi fenomeni alluvionali, hanno provocato danneggiamenti alle opere di difesa idraulica, alle infrastrutture stradali e ferroviarie, alla rete dei servizi essenziali, nonché agli edifici pubblici e privati ed alle attività economiche e produttive, non intendano deliberare lo stato di calamità naturale così come disposto per la regione autonoma sarda;
   quali iniziative in caso negativo intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di sostenere gli enti locali e le comunità toscane coinvolte dal recente fenomeno alluvionale, considerato che l'esondazione dei torrenti ha provocato l'allagamento di centri abitati, l'interruzione di collegamenti viari, determinando, quindi, forti disagi e situazioni di grave pericolo per la popolazione interessata, oltre che alle strutture produttive;
   se non convengano che, in considerazione delle criticità derivanti dall'alluvione che ha interessato i comuni della provincia della Toscana, occorrano iniziative normative volte a prevedere l'esclusione dai finanziamenti pluriennali e delle risorse provenienti dallo Stato, destinate ad interventi di prevenzione, manutenzione del territorio e contrasto al dissesto idrogeologico, dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno, nei riguardi degli enti locali interessati dal medesimo evento atmosferico riportato nella premessa;
   se non ritengano di considerare l'opportunità di assumere iniziative per un differimento dei termini degli adempimenti fiscali e contributivi al 30 giugno 2014, nei riguardi delle attività imprenditoriali situate all'interno delle aree interessate dall'alluvione che ha interessato la Toscana, nello spazio temporale di ottobre e del mese presente di novembre, al fine di fronteggiare una serie di difficoltà economiche derivanti sia dagli effetti provocati dall'evento climatico che dalla crisi economica che persiste nel Paese in tutte le diverse forme di gravità. (4-02668)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO e FAVA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 24 giugno 2013 la Kessnet, il Parlamento israeliano, ha approvato il Piano Prawer-Begin, l'applicazione del quale comporterà la distruzione di oltre 35 villaggi non riconosciuti in Al-Naqab (Negev), con le conseguenti espulsioni forzate e segregazioni di oltre quarantamila beduini palestinesi;
   secondo alcuni analisti ed associazioni pacifiste, il piano Prawer rischia di rivelarsi la più grande operazione di land grab messa in atto da Israele dal 1948 ad oggi;
   la Comunità internazionale ha ripetutamente richiamato Israele affinché sospenda l'attuazione del piano Prawer, sulla base della sua natura discriminatoria e delle gravi violazioni che comporterebbe nei confronti dei diritti dei beduini palestinesi del Negev;
   il Parlamento europeo ha anche approvato nel 2012 una risoluzione nella quale richiama Israele ad interrompere il piano Prawer e la congiunta politica di evacuazione ed esproprio;
   continua, contemporaneamente, la costruzione di nuovi insediamenti di coloni israeliani nei territori della Cisgiordania;
   il 2 dicembre 2013 si terrà il quarto vertice bilaterale italo-israeliano –:
   se il Ministro non ritenga di dover porre in maniera forte il tema del processo di pace, partendo dallo sforzo del Segretario di Stato statunitense John Kerry, e di un impegno della Comunità europea in questa direzione;
   se il Ministro intenda sollevare le questioni rappresentate nel presente atto nel prossimo vertice italo-israeliano del 2 dicembre 2013, e quale tipo di azioni intenda esercitare nei confronti del Governo israeliano per ripristinare la legalità e consentire condizioni di vita pacifiche e dignitose per le popolazioni;
   se il Ministro intenda rappresentare al Governo d'Israele il tema dell'applicazione della direttiva europea che rende incandidabile per i finanziamenti europei ogni entità israeliana situata al di là dei confini delineati nel 1967 che eserciti un'attività in una colonia in Cisgiordania o nella zona est di Gerusalemme;
   se, considerate le numerose violazioni della legalità internazionale da parte del Governo d'Israele, non si ravvisi il caso di rivedere le politiche di cooperazione militare con Israele;
   se, alla luce del codice di condotta europeo e della legge italiana n. 185 del 2000, che proibiscono ogni commercio di materiale militare con autorità che «ricorrono alla repressione interna, compiono aggressioni internazionali o contribuiscono all'instabilità regionale», non si ritenga opportuno interrompere il crescente flusso commerciale di sistemi d'arma con Israele. (5-01551)

Interrogazione a risposta scritta:


   CHIMIENTI, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SPADONI, TACCONI, SIBILIA, PAOLO BERNINI, ALBERTI, DI BATTISTA, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 21 febbraio 2012 le tre cantanti russe del gruppo punk «Pussy Riot», Yekaterina Samutsevich, Maria Alyokhina e Nadezhda Tolokonnikova, hanno improvvisato sul sagrato della cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca una performance musicale intitolata «Oh Madonna, liberaci da Putin» per protestare contro il regime del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin;
   un mese dopo la performance le tre ragazze sono state arrestate e accusate del reato di «teppismo e vilipendio dei luoghi sacri»;
   il 17 agosto 2012, al termine del processo, le tre ragazze sono state dichiarate da un tribunale di Mosca colpevoli di «vandalismo per motivi di odio religioso» e condannate a due anni di carcere senza condizionale;
   due di loro, Nadezhda «Nadya» Tolokonnikova e Maria «Masha» Alekhina, stanno scontando le condanne a due anni di reclusione in colonie penali, mentre la condanna di Ekaterina Samutsevich, che dal 10 ottobre si trova in libertà vigilata, è stata sospesa in appello;
   il caso delle Pussy Riot ha scatenato un coro unanime di reazioni internazionali e da molti è stato interpretato come l'ennesimo esempio di violazione di diritti fondamentali quali la libertà di informazione, di dissenso e di parola, da parte del Governo russo;
   il 24 luglio 2013 un tribunale russo ha respinto l'appello di Maria Alekhina, 25 anni, madre di un bambino piccolo, contro la decisione della corte di grado inferiore di negarle la scarcerazione prima del termine fissato dalla condanna;
   nel mese di agosto 2013 Nadezhda Tolokonnikova, che scontava la sua pena nella colonia penale n. 14 del paese di Parts, è stata trasferita nel campo di lavoro di Nizhnii Novgorod e in una lettera aperta diffusa il 23 settembre ha denunciato il trattamento disumano inflittole nel campo di lavoro, reso ancora più insostenibile a seguito della denuncia da parte del suo legale alla procura generale contro le condizioni di vita nella colonia, dichiarando quanto segue: «Il tenente-colonnello Kuprianov, vicedirettore del campo, ha immediatamente introdotto condizioni insostenibili nel campo: perquisizioni a ripetizione, rapporti su tutte le persone in relazione con me, confisca dei vestiti caldi e minaccia di confiscare pure le calzature calde. Al lavoro si sono vendicati dandomi lavori di cucito particolarmente complessi, aumentando le quote di produzione e provocando imperfezioni artificiali. La capa della brigata vicina alla mia, braccio destro del tenente-colonnello Kuprianov, spingeva apertamente le detenute a strappare la produzione sotto la mia responsabilità nel laboratorio, affinché fossi spedita in cella per “degrado di beni pubblici”. La stessa ha ordinato a delle detenute della sua unità di provocarmi a una rissa (...)»;
   nella stessa lettera aperta, Nadezhda Tolokonnikova ha reso noto di aver intrapreso uno sciopero della fame in segno di protesta per il trattamento ricevuto nella colonia penale, tra cui l'obbligo di lavori forzati in «un modo che ricorda la schiavitù» e le minacce di morte ricevute da un dirigente del campo di lavoro e da altre detenute;
   il 2 ottobre 2013 Amnesty International ha lanciato un appello al procuratore generale, chiedendo che Maria Alekhina e Nadezhda Tolokonnikova vengano rilasciate immediatamente e senza condizioni, con la garanzia che durante la loro permanenza in carcere non vengano maltrattate dal personale carcerario o dai detenuti, che siano loro assicurati regolari contatti con le loro famiglie e i legali, e che le autorità russe si adoperino per rispettare e sostenere il diritto alla libertà di espressione nella Federazione russa, rimediando immediatamente al trattamento ingiusto nei confronti di queste giovani donne;
   dopo il ricovero ospedaliero subìto a seguito della prima settimana di sciopero, Nadezhda è tornata in carcere il 18 ottobre, iniziando un secondo sciopero della fame, e successivamente, il 21 ottobre, è stata trasferita in un altro carcere, rimasto sconosciuto anche ai famigliari fino al 12 novembre;
   il 13 novembre 2013 l'amministrazione penitenziaria russa ha confermato che Nadia Tolokonnikova si trova «in quarantena in un carcere del territorio di Krasnoyarsk, nel nord della Siberia» e il responsabile della Ong per i diritti umani della Russia, Vladimir Lukin, ha dichiarato all'agenzia Interfax che «al momento la donna si trova in infermeria nel penitenziario del territorio di Krasnoyarsk. Non appena la quarantena sarà terminata, i legali e i familiari di Nadia Tolokonnikova saranno informati, nel giro di due o tre giorni, su dove si trova», spiegando infine di «aver dovuto chiedere notizie sulla Tolokonnikova alla sede centrale del Servizio penitenziario russo, dato che l'ufficio di Krasnoyarsk continuava a smentire che la donna si trovasse in un carcere della zona» –:
   se non ritenga necessario accertarsi delle condizioni detentive di Nadezhda Tolokonnikova e dei motivi che l'hanno costretta in quarantena;
   se non intenda manifestare pubblicamente e nelle sedi opportune il proprio dissenso nei confronti del trattamento riservato alle prigioniere;
   se non ritenga opportuno esercitare iniziative affinché la Corte europea dei diritti umani intervenga in favore di queste donne, definite «prigioniere di coscienza»;
   se non intenda adoperarsi, per quanto di sua competenza, per la scarcerazione delle due ragazze. (4-02671)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante sono giunte da parte della cittadinanza una serie di preoccupanti segnalazioni riguardanti il terreno circostante la Masseria Castello nel comune di Pomigliano d'Arco;
   alcuni cittadini, infatti, riferiscono come in tempi non sospetti, ovvero tra il 1984 e il 1990, vi fosse in quella zona un continuo andirivieni di camion che scaricavano non meglio precisati materiali. Nelle ore successive ai segnalati sversamenti rimaneva – sempre secondo le citate segnalazioni – un odore pessimo nell'aria che causava diversi disturbi alla popolazione come, per esempio, emicranie e nausea molto forti, intenso bruciore alle vie respiratorie, arrossamento degli occhi;
   tutto ciò è attualmente difficilmente verificabile dai cittadini comuni dal momento che tutto il terreno sarebbe stato ben ricoperto e si renderebbe pertanto necessario l'intervento di personale specializzato anche al fine di evitare che persone non adeguatamente preparate sul trattamento di un certo tipo di materiali entrino eventualmente a contatto con sostanze tossiche;
   tale terreno, sul quale peraltro sorge lo scheletro edilizio della Masseria Castello, sarebbe stato confiscato al clan dei Foria nel 2000 e da allora, nonostante sia stato affidato al comune di Pomigliano d'Arco, versa in uno stato di totale abbandono. Da fonti di stampa (ovvero l'inchiesta giornalistica di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti dal titolo «Mutui e danneggiamenti ecco il “piano casa” dei boss» pubblicata sul sito web di Repubblica lo scorso 22 marzo 2012), l'interrogante apprende che vi sarebbe un progetto di realizzazione di un centro giovanile già finanziato con 3 milioni e 364 mila euro del P.O.N. (programma operativo nazionale) sicurezza bloccato per un'ipoteca da 10 mila euro;
   essendosi verificato in zona un aumento delle patologie tiroidee che vedono tra i fattori eziologici anche l'esposizione prolungata a fonti radioattive, si sospetta che la zona in questione potrebbe essere soggetta al suddetto inquinamento –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di ulteriori dettagli circa la vicenda citata in premessa;
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, di disporre l'intervento del nucleo operativo ecologico dei carabinieri (N.O.E.), affinché vengano effettuati gli opportuni sondaggi nel terreno per verificare le preoccupanti segnalazioni citate in premessa. (4-02659)


   GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, GALLINELLA, LUPO, BALDASSARRE e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Società GMP Bioenergy ha presentato al comune di Caprese Michelangelo (Arezzo) un progetto di costruzione di una centrale elettrica da poco meno di 1 megawatt alimentata a cippato di legna, gemella di un'altra centrale, molto discussa, già realizzata dalla stessa società nel comune limitrofo di Chitignano;
   il progetto è stato autorizzato il 7 giugno 2013, senza che l'amministrazione comunale abbia ritenuto opportuno informare la popolazione sul nuovo insediamento industriale, né tanto meno chiedere un parere alla cittadinanza prima che la procedura autorizzativa si perfezionasse;
   nel nostro Paese vi è una prassi consolidata a non sottoporre l’iter autorizzativo di questi progetti ad una attenta valutazione di impatto ambientale, così come stabilito dalla direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati);
   dalla citata direttiva dell'Unione europea discende un preciso obbligo gravante su tutti gli Stati membri di assoggettare a valutazione di impatto ambientale non solo i progetti indicati nell'allegato I, ma anche i progetti descritti nell'allegato II, qualora si ritenga possano comportare un impatto ambientale importante all'esito della procedura di screening. Tale screening deve considerare non solo la dimensione, ma anche altre caratteristiche dei progetti: «il cumulo con altri progetti, l'utilizzazione di risorse naturali, la produzione di rifiuti, l'inquinamento ed i disturbi ambientali da essi prodotti, la loro localizzazione e il loro impatto potenziale con riferimento, tra l'altro, all'area geografica e alla densità della popolazione interessata»;
   in Toscana, oltretutto, vige ancora il vecchio piano di indirizzo energetico (PIER) adottato nel 2008, in quanto la fase di consultazioni per la definizione del nuovo piano ambientale ed energetico (PAER) è cominciata ad ottobre 2012 e non è ancora terminata; il nuovo PAER conterrà anche il piano regionale per le aree protette e sarà finalmente possibile determinare le zone adeguate e quelle interdette dalla realizzazione di impianti di energie rinnovabili; fino ad allora, tuttavia, in Toscana si potranno autorizzare centrali anche in zone poco consone, ad esempio molto vicine a zone abitate;
   le centrali a biomasse – come si legge nella relazione del professor Valeri – chimico ambientale, già direttore del servizio di chimica ambientale, Istituto nazionale ricerca sul cancro – stanno peggiorando la qualità dell'aria dei territori che le ospitano, con l'immissione in atmosfera di importanti quantità di ossidi d'azoto (NOx fino a 30 tonnellate/anno per impianti da 1 megawatt di biomasse legnose), ossidi di zolfo (SOx), polveri sottili e ultrasottili, idrocarburi policiclici aromatici, diossine, violando palesemente le disposizioni della direttiva 96/62 CE e del decreto legislativo n. 155 del 2012 che tra le loro finalità prevedono di «mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona e migliorarla negli altri casi»;
   la giurisprudenza costituzionale – come riportato dalla mozione n.1/00096 depositata il 13 giugno 2013 da deputati del gruppo parlamentare M5S appartenenti alla Commissione ambiente – nel corso degli anni ha evidenziato la supremazia della conservazione dell'ambiente rispetto alla produzione di energia, sebbene prodotta da fonti rinnovabili;
   l'organizzazione mondiale della sanità afferma che le polveri sottili nell'aria sono pericolose anche a concentrazioni inferiori agli attuali limiti; uno studio dell'organizzazione mondiale della sanità pubblicato il 31 gennaio 2013, evidenzia che «L'esposizione a lungo termine al articolato fine (PM2,5) può provocare arteriosclerosi, disturbi alla nascita e malattie respiratorie tra i bambini»; inoltre, il progetto Review of evidence on health aspects of air pollution (Revihapp) suggerisce anche un eventuale legame con lo sviluppo neurologico, la funzione cognitiva ed i diabeti e conferma i collegamenti causali tra il particolato PM2,5 ed i decessi dovuti a malattie cardiovascolari e respiratorie;
   il commissario europeo all'ambiente, Janez Potocnik, che ha commissionato i suddetti studi all'organizzazione mondiale della sanità, ha sottolineato che è in corso un riesame 2013 della politica dell'Unione europea sulla qualità dell'aria, che deve fondarsi su dati scientifici più recenti che approfondiscano i legami tra l'inquinamento atmosferico e la salute umana;
   tra le centrali a biomasse, quelle a combustibile legnoso – prosegue il professor Valeri nella sua relazione – comportano anch'esse un considerevole impatto ambientale e sanitario, perché il cippato di legno è un combustibile povero, a basso potere calorifico, che essendo solido brucia male, perciò – a parità di energia prodotta – libera in atmosfera una quantità di inquinanti (NOx, CO, PM10, PM2,5) superiori rispetto ad un combustibile gassoso, ad esempio il metano;
   in data 14 dicembre 2012 la regione Toscana, l'Uncem Toscana, l'Anci, i sindacati e diverse altre associazioni di categoria, hanno sottoscritto un protocollo di intesa per l'attivazione della filiera bosco-legno-energia con il quale si vuole promuovere la predisposizione e l'attuazione di un programma di realizzazione, nel territorio toscano, entro il 31 dicembre 2015, di una rete di piccoli impianti di produzione di energia elettrica e termica, della potenza complessiva di 70 megawatt elettrici, alimentati da biomassa legnosa prodotta da filiera corta, nell'ottica di assicurare anche la tutela dell'ambiente, nel rispetto della determinazione delle aree non idonee e promuovendo l'impiego di impianti a cogenerazione;
   dai dati in possesso degli interroganti e dalle informazioni pubblicate dal Comitato ambiente e salute di Caprese Michelangelo (Arezzo), si evince che la centrale non potrebbe rispettare la filiera corta, dato che per funzionare avrebbe bisogno ogni giorno di 40-50 tonnellate di cippato di legna vergine, un fabbisogno in termini di quantità e tipologia che non potrebbe mai essere soddisfatto localmente; non assicurerebbe la tutela ambientale, anzi comprometterebbe seriamente la qualità dell'aria quindi della vita dei cittadini di un paese che trae dal turismo gran parte delle proprie fortune; la centrale non è posizionata in un sito del tutto idoneo a questo tipo di attività, visto che è molto vicino al centro abitato; per approvvigionare la centrale del cippato necessario, si provocherebbe anche un aumento del traffico veicolare e di conseguenza del livello di inquinamento;
   anche l'Arpat ha espresso ufficialmente perplessità per l'impatto sull'atmosfera della centrale di Caprese Michelangelo, che determinerà delle emissioni tali da non potergli affiancare nessun'altra attività artigianale-industriale, pena il superamento dei limiti di legge per ossido di azoto e polveri sottili;
   a seguito di un incontro pubblico svoltosi venerdì 15 novembre 2013 a Lama di Caprese e promosso dal locale «Comitato ambiente e salute» e delle ripetute sollecitazioni sul tema, anche il sindaco del comune di Caprese Michelangelo ha preso atto di questa contrarietà assoluta ed ha dichiarato che si adopererà perché questo impianto non venga realizzato –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente di quanto esposto in premessa e se intenda assumere iniziative, anche normative, affinché le autorizzazioni degli impianti di questa tipologia siano precedute da una fase di screening (preliminare alla VIA), come previsto dalla direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE, indipendentemente dalle dimensioni, in considerazione del «cumulo con altri progetti, l'utilizzazione di risorse naturali, la produzione di rifiuti, l'inquinamento ed i disturbi ambientali da essi prodotti, la loro localizzazione ed il loro impatto potenziale con riferimento, tra l'altro, all'area geografica e alla densità della popolazione interessata», posto che in alcune regioni, tra cui la Toscana, non è ancora pronto il nuovo PAER che determinerà le zone adeguate e quelle interdette dalla realizzazione di impianti di energie rinnovabili;
   cosa intendano fare i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, in merito a quella che ormai appare agli interroganti una evidente violazione della direttiva 96/62 CE e del decreto legislativo n. 155 del 2012 da parte di queste tipologie di centrali, alla luce dei recenti studi dell'organizzazione mondiale della sanità sul rapporto tra inquinamento atmosferico e salute umana che hanno indotto il commissario europeo all'ambiente ad un riesame della politica dell'Unione europea sulla qualità dell'aria. (4-02661)


   RABINO e MONCHIERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli effetti del ciclone Cleopatra sul territorio sardo sono stati devastanti provocando la morte di 16 persone e disastri per centinaia di milioni di euro, ed è ancora indefinita l'esatta stima dei danni a persone e cose;
   in Italia vi sono 6.633 comuni con territorio composto da aree ad elevato rischio di frana o alluvione e ben 5 milioni di cittadini che vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico;
   come dimostrato dal disegno di legge che Mario Catania, come Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore del Governo Monti, aveva elaborato per arrestare la cementificazione dei terreni agricoli e che è stato ripresentato dallo stesso onorevole Catania in Parlamento nelle scorse settimane, ogni giorno in Italia il cemento divora 100 ettari di superficie agricola, indebolendo il territorio ed esponendolo a questo tipo di incidenti, e l'edilizia e l'infrastrutturazione non sono indirizzate, come dovrebbero, verso il riuso di aree già cementificare;
   appaiono alquanto inadeguate le iniziative attuali contro il dissesto idrogeologico per le quali si prevedono appena 30 milioni di euro per il 2014 che risultano certamente insufficienti, specie se confrontati con gli stanziamenti che ciclicamente vengono liberati a fronte delle emergenze –:
   se abbia già ottenuto dall'Unione europea l'autorizzazione a sottrarre ai vincoli del patto di stabilità interna i fondi destinati agli investimenti in opere di riassetto idrogeologico. (4-02663)


   BARBANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la centrale del Mercure è entrata in funzione negli anni sessanta, predisposta originariamente per il funzionamento a olio combustibile denso e lignite, e si trova nel territorio del comune di Laino Borgo (CS). Era composta da due sezioni di cui la n. 1 si poneva in stato di arresto in data 1o maggio 1997 mentre la n. 2 si disattivava e dichiarava dimessa dal primo ottobre 1993;
   nel 2001 la società Enel spa aveva inoltrato la richiesta per la riattivazione della citata centrale ma il lungo ed articolato iter amministrativo, si era sostanzialmente concluso quando il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4400/12, aveva stabilito che il procedimento di autorizzazione all'esercizio della medesima centrale dovesse necessariamente ripartire da capo posto che non era possibile approvare il progetto originario per dare vita a un'iniziativa obsoleta, considerata l'evoluzione della tecnologia disponibile ed essendo mutato il quadro della normativa ambientale;
   il 19 novembre 2012 la regione Calabria — dipartimento n. 5/attività produttive — settore politiche energetiche, non tenendo conto di quanto sancito dalla citata sentenza 04400/2012 del Consiglio di Stato e, pertanto in sostanziale violazione del giudicato ha autorizzato la riattivazione della sezione 2 della centrale, senza però porre in essere alcuna delle procedure previste dalla vigente normativa e contro il parere dell'ente parco nazionale del Pollino, ente gestore del territorio su cui sorge la centrale; tale centrale dovrebbe funzionare a biomasse;
   avverso tale delibera, istituzioni locali — comuni di Viggianello (Potenza) e Rotonda (Potenza) — e Associazioni ambientaliste nazionali — Italia Nostra, Forum Ambientalista, WWF — hanno fatto ricorso al tribunale amministrativo regionale (TAR) di Catanzaro — competente per territorio —, il quale, nell'udienza del 15 novembre 2013, ha deciso un rinvio della trattazione del ricorso;
   il lungo e articolato procedimento autorizzatorio è costellato di anomalie ed irregolarità: si possono ricordare, in particolare, la mancanza di un provvedimento formale che concluda la procedura di autorizzazione integrata ambientale e di valutazione di impatto ambientale, il fatto che nonostante la conferenza di servizi che avrebbe dovuto autorizzare il progetto non avesse infatti raggiunto un accordo, proprio in considerazione del parere negativo dell'ente parco del Pollino, non si è attivato la procedura di cui all'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990, la mancata acquisizione, prescritta dalla normativa applicabile alla fattispecie, dei pareri da parte dei competenti organi delle regioni confinanti (nella specie, la regione Basilicata) rispetto ai quali il progetto può avere impatto ed il fatto che il provvedimento del 19 novembre 2012 si basa su una valutazione di incidenza (rilasciata con DDG n. 536 l'8 febbraio 2007) valida per 5 anni e pertanto scaduta all'atto di emanazione del provvedimento del 19 novembre 2012;
   la centrale si trovava e si trova all'interno nella zona 2 del perimetro del parco nazionale del Pollino individuato dalla Comunità europea con codice IBA195 (important bird area), e ricompreso nell'Elenco ufficiale delle aree protette del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (codice Parco Nazionale EUP0008), nonché all'interno della Zona di protezione speciale «Pollino Orsomarso» IT9310303, e comunque limitrofo alla riserva naturale EUAP0055 «Riserva naturale Valle del Fiume Lao», al sito SIC IT9310025 «Valle del Fiume Lao», alla Zona di protezione speciale IT9310026 «Valle del Fiume Lao», all'IBA144 «Alto Ionio Cosentino»;
   la centrale ricade pertanto in un sito che può considerarsi tra i più tutelati del mondo. La fauna ivi residente – peraltro particolarmente protetta nelle sue diverse componenti – consta di ben 17 specie di uccelli in allegato I della direttiva 79/409/CEE, 3 in allegato II della medesima direttiva, 2 mammiferi in allegato B e D della direttiva 92/43/CEE (ovvero, prioritari per l'Unione europea), 3 specie di anfibi in allegato B e D (ugualmente prioritari), invertebrati; inoltre vi sono piante, e molte altre specie sia vegetali che animali da tutelare, che vanno a formare «11 unità ambientali zoologiche»;
   nelle zone limitrofe alla centrale esistono, poi, colture a marchio DOP: nei comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, infatti, si coltivano due prodotti pregiati che hanno ottenuto con decreto del 2 aprile del 2008 la protezione transitoria grazie alla quale i produttori possono utilizzare in ambito nazionale la denominazione DOP e precisamente: la melanzana rossa e i fagioli bianchi;
   altra criticità è rappresentata dalla mancanza o dall'estrema limitatezza di informazioni in merito al reperimento della biomasse necessarie al funzionamento della centrale e sulle conseguenze che comporterebbe approvvigionare una centrale di tale portata;
   con specifico riferimento a quest'ultimo aspetto occorre rappresentare che l'acquisizione di combustibile derivato da biomasse da legname, raccolto localmente, porterebbe – infatti – ad un forte depauperamento degli ambienti boschivi. L'utilizzo di «legname da cippare» è stimato prudenzialmente (da parte Enel) in 380.000 tonnellate/anno e non è dato capire come e per quanto si intenda prelevare «legname da cippare», come questo riguardi l'IBA dentro la quale si troverebbe ad operare la centrale e quanto e come questo incida su tutte le specie animali, vegetali e sugli habitat protetti (oltre 15 solo nello ZPS Pollino Orsomarso);
   una quantità di legname così rilevante non può provenire dal solo Parco del Pollino e questo porrebbe ulteriori problemi di carattere ambientale in quanto andrebbero stimati gli impatti generati da un reperimento che vada anche oltre i confini della Calabria e della Basilicata e, quindi, gli effetti che si determinerebbero a causa del necessario traffico di rumorosi mezzi pesanti adibiti al trasporto della materia prima in un sistema viario precario oltre al rischio che nel parco del Pollino possano essere introdotte specie non autoctone, nell'ipotesi che il legname venga importato da Paesi lontani in cui esiste una differente fauna residente nei tronchi degli alberi;
   quanto detto basta peraltro ad evidenziare la natura antieconomica di una centrale di tali dimensioni alimentata a biomassa e a comprendere come inserire una centrale nel Parco del Pollino rappresenta, ad avviso dell'interrogante, una scelta scellerata il cui unico motivo di giustificazione, anche economica, è rappresentato dall'ottenimento, da parte dell'Enel, degli incentivi statali (cosiddetto CIP6) e dei certificati verdi, vantaggi senza i quali una centrale di tale portata non avrebbe senso in quanto il recupero della biomassa sarebbe talmente dispendioso che sarebbe stata l'Enel stessa a bocciare il progetto;
   alla luce dell'articolo 6, ultimo comma, della direttiva 92/43/CEE «Habitat» (e del relativo decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 di attuazione), che stabilisce:
    1. Per le zone speciali di conservazione, gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie che implicano all'occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e delle specie di cui all'allegato II presenti nei siti;
    2. Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva;
    3. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica;
    4. (...) Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell'uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico» si può dire – con assoluta certezza – che nell'autorizzazione alla riattivazione della centrale del Mercure non sussiste nessuna delle suddette ragioni né risulta richiesto il previo parere della Commissione europea e, pertanto sussiste il concreto rischio che l'Italia si esponga all'ennesima procedura di infrazione nel settore ambientale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   quali iniziative intendano adottare per evitare che gli elementi di contrasto con il quadro normativo comunitario possano determinare l'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia, con il rischio di dover sostenere i costi delle relative sanzioni pecuniarie;
   quali provvedimenti intenda adottare il Ministro dell'ambiente al fine di proteggere il prezioso e delicatissimo ambiente del parco nazionale del Pollino, il cui straordinario ecosistema rischierebbe di essere gravemente compromesso dalla riattivazione della centrale;
   se non ritengano necessario ed urgente promuovere, per quanto di competenza, l'avvio delle iniziative necessarie per tutelare il diritto alla salute e la tranquillità delle popolazioni della valle del Mercure, attraverso interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'area interessata dalla centrale del Mercure, in cui è stata segnalata la presenza di un materiale molto pericoloso come l'amianto.
(4-02672)


   PLACIDO e AIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da oltre 10 anni è in corso una vertenza che vede contrapposte le popolazioni della Valle del Mercure con i loro rappresentanti istituzionali, primi tra tutti i sindaci di Viggianello (PZ) e Rotonda (PZ), e le associazioni e comitati ambientalisti con loro, contro il progetto di riattivazione, attraverso la riconversione a biomasse, di uno dei due gruppi della centrale termoelettrica Enel della Valle del Mercure (sita nel territorio del comune di Laino Borgo (CS), all'interno di un'area doppiamente protetta a livello nazionale e comunitario (parco nazionale del Pollino e zona di protezione speciale – ZPS – Pollino e Orsomarso – IT 9310903);
   a difesa delle comunità locali si è schierato anche la, Comunità del parco – organo collegiale di governo del territorio che comprende i presidenti delle regioni di Calabria e Basilicata, delle province e delle comunità montane nei cui territori sono ricomprese le aree del parco, e, infine, ma certo non da ultimi, i sindaci dei 56 comuni del parco – nonché il consiglio direttivo del parco stesso;
   tra gli atti formali adottati, tuttora pienamente vigenti, figurano atti deliberativi, in cui si chiede addirittura lo smantellamento della centrale del Mercure, per la sua assoluta incompatibilità con l'ambiente protetto del parco del Pollino e gli interessi e i diritti delle popolazioni che vi abitano;
   il piano del parco, adottato dall'ente ne ribadisce la inconciliabilità con l'area protetta del parco stesso;
   le azioni legali, complessivamente ed autonomamente intraprese contro il progetto dell'Enel, hanno infine condotto alla sentenza 04400/2012 del Consiglio di Stato – depositata il 1o agosto 2012 – che, in pratica, lo «boccia» definitivamente;
   la regione Calabria – dipartimento n. 5/attività produttive – settore politiche energetiche, con decreto n. 16459 del 19 novembre 2012 ha disatteso tale sentenza, autorizzando la riattivazione della sezione 2 della centrale, attraverso l'utilizzo di atti nulli;
   avverso tale provvedimento sono state immediatamente varate ulteriori iniziative legali presso il tribunale amministrativo (TAR) di Catanzaro, competente per territorio, iniziative fortemente sostenute dalle popolazioni della Valle del Mercure e non solo;
   nel periodo intercorso tra la prima e la seconda udienza – quest'ultima tenutasi il 21 giugno 2013 – l'Enel, in evidente difficoltà per l'andamento complessivo della vicenda, ha concordato con il presidente dell'ente parco una moratoria del procedimento amministrativo, pur essi in evidente contrasto con gli obblighi imposti dalla sentenza del Consiglio di Stato;
   i sindaci di Viggianello e Rotonda e le Associazioni proponenti ricorso hanno invece rifiutato ogni richiesta di rinvio che, forte del supporto del presidente del parco, veniva tuttavia accordata, fissando al 15 novembre la nuova data del dibattimento;
   tale esito, mentre è perfettamente in linea con i desiderata e gli interessi dell'Enel, appare essere, invece, secondo gli interroganti, in palese contrasto con quelli del territorio e delle popolazioni residenti;
   nell'imminenza della nuova scadenza dibattimentale, prevista presso il TAR di Catanzaro per il 15 novembre vi è stata l'ennesima, imponente manifestazione popolare che ha visto, ancora una volta, migliaia di persone affollarsi dinanzi ai cancelli della centrale del Mercure per chiederne l'immediata cessazione di ogni attività;
   due giorni dopo i sindaci di Viggianello e Rotonda, previo avviso, si sono recati presso la sede dell'ente parco per conferire con il presidente dello stesso e chiedere garanzie sulla volontà dell'ente di non avallare nuovamente manovre dilatorie, o peggio, messe in atto dall'Enel;
   nessuno dei massimi dirigenti dell'ente parco – presidente vicepresidente e direttore – era presente e tale grave assenza si è protratta anche per tutta la giornata successiva, lasciando immaginare una modalità di governo dell'ente parco e del territorio allo stesso affidato inadeguata e del tutto insoddisfacente;
   tale atteggiamento ha provocato nei cittadini, accorsi numerosi, sconcerto e rabbia e ha spinto la popolazione alla immediata creazione di un presidio permanente, diurno e notturno – ancora in atto –, all'interno dell'edificio dell'ente parco, nella forma dell'assemblea permanente;
   solo dopo due giorni di attesa si addiveniva all'incontro tra i sindaci di Viaggianello e Rotonda e i rappresentanti di associazioni e cittadini con il presidente del parco, in un clima di estrema tensione sociale che ha richiamato una massiccia presenza delle forze dell'ordine;
   l'incontro si è rivelato assolutamente deludente per l'atteggiamento di assoluta chiusura del presidente dell'ente parco che, lungi dal dare le richieste assicurazioni, informava i presenti che una richiesta di rinvio dell'udienza del TAR del 15 novembre era stata già presentata, richiesta comprensiva dell'avallo dell'ente parco;
   il fatto ha ulteriormente accentuato i sentimenti di sconcerto, frustrazione e indignazione tra la gente accorsa che, già fortemente critica nei confronti della politica di governo del territorio del Parco del Pollino, giudicata assai negativamente sotto tutti gli aspetti, si è sentita sottoposta all'ennesimo scippo dei propri diritti;
   ciò ha determinato momenti di estrema tensione che hanno costretto il presidente ad abbandonare l'edificio da una uscita secondaria, scortato dalle forze dell'ordine e il direttore a subire una vivace contestazione da parte dei presenti;
   ancora una volta dunque, il presidente dell'ente parco nazionale del Pollino ha agito a giudizio degli interroganti in maniera autoritaria ed autoreferenziale, assumendo iniziative e prendendo decisioni per le quali non aveva delega alcuna – come ad esempio la richiesta, concordata con Enel spa, di rinvio della udienza del 15 novembre 2013 – ed anzi sempre ad avviso degli interroganti in palese e stridente contrasto con il mandato ricevuto dagli organi di governo dell'ente a cui, per altro in diverse occasioni pubbliche lo stesso presidente aveva affermato di fare riferimento e di voler doverosamente attenersi –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro intenda adottare per:
    a) ripristinare una linea di condotta da parte dei massimi dirigenti – e in primo luogo del presidente – dell'ente parco nazionale del Pollino, improntata al pieno rispetto della legalità e dei diritti delle popolazioni che abitano e vivono sul territorio del parco;
    b) far sì che a prevalere siano appunto gli interessi legittimi ed i diritti delle popolazioni e non quelli di gruppi industriali i cui progetti cozzano, con ogni evidenza, con i principi del diritto e con la naturale vocazione di un'area protetta quale quella del parco nazionale del Pollino;
    c) far valere, con l'urgenza che la situazione richiede, la vigilanza sulle aree protette assegnata al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche attraverso azioni incisive e non più procrastinabili che portino, considerata l'attività secondo gli interroganti del tutto insufficiente e inadeguata al ruolo degli attuali massimi dirigenti dell'ente parco – presidente e direttore – alla loro rimozione e immediata sostituzione, prima che l'azione degli stessi dia luogo oltre che a ulteriori danni per il territorio, anche a problemi d'ordine pubblico. (4-02673)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano «Il Messaggero» del 21 novembre 2013 ha riportato (unico quotidiano ad aver dato risalto ad una notizia di questa portata) la notizia che la tempesta che in questi giorni ha colpito la Capitale avrebbe allagato la teca dell'Ara Pacis, arrivando a bagnare lo stesso monumento, sul quale sono dovuti intervenire di corsa restauratori e manutentori;
   mentre si celebra il bimillenario di Augusto, il monumento simbolo della sua politica e della sua vita subisce l'oltraggio dell'esposizione all'acqua piovana e alle intemperie; mai era accaduta una cosa simile negli oltre settanta anni di esposizione al pubblico dopo il suo ritrovamento negli anni trenta;
   la vituperata teca di Morpurgo, che ha protetto l'opera per oltre sessant'anni, dal 1938 e al 1999, non aveva mai ceduto ad un acquazzone, ma è stata demolita, su iniziativa del sindaco Rutelli, per far posto a quella modernista di Meier, inaugurata nel 2006 dopo sette anni di lavori;
   per giustificare la crociata contro la teca di Morpurgo, Rutelli fece produrre dalla Soprintendenza comunale relazioni e pareri che descrivevano lo stato di pericolo che correva il prezioso monumento, a causa della asserita inadeguatezza della copertura a protezione dell'antico altare;
   a fronte della tesi, sostenuta per la sua realizzazione, che la nuova teca di Meier avrebbe invece garantito piena protezione é lunga vita all'Ara Pacis, si è scoperto, invece, che basta un acquazzone per provocare danni, a corollario dei quali si sta assistendo, in questi giorni, all'imputazione reciproca delle responsabilità tra l'amministrazione comunale e gli architetti dello studio Meier, impegnati a giustificarsi spiegando che la colpa sarebbe della mancata manutenzione da parte del comune;
   sarebbe opportuno approfondire le ragioni che portarono a demolire la teca di Morpurgo, mettendo in pericolo un prezioso reperto della Roma antica, per realizzarne una nuova, costata milioni di euro, che non solo non protegge il monumento ma anzi lo espone a danneggiamenti ormai accertati –:
   se sia informato delle notizie riportate, e se sia in grado di fornire informazioni precise sulle condizioni dell'Ara Pacis, prezioso monumento di proprietà dello Stato. (4-02665)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Invimit, la società di gestione del risparmio posseduta dal Ministero dell'economia e delle finanza, potrebbe arrivare a gestire entro il 2017 immobili per un valore di circa 6 miliardi di euro;
   nonostante la consistente gestione di immobili pubblici, pare che la Invimit ha affittato una sede da circa 400 metri quadri a Roma nei pressi di Fontana di Trevi da un ente previdenziale con un canone di locazione attorno ai 5 mila euro mensili;
   tale comportamento, da parte della responsabile di un ente creato per reperire fondi applicando la spending rewiew nell'ambito delle dismissioni degli immobili pubblici, non pare all'interrogante essere in linea con i principi di economicità e di buon senso, dato che certamente nel novero degli immobili pubblici sarebbe stato possibile reperirne uno da utilizzare quale sede –:
   quali iniziative abbia posto in essere in relazione a tale comportamento da parte della responsabile della Invimit.
(4-02656)


   ROSATO, BLAZINA e COPPOLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'interrogazione n. 4-01437 del 24 luglio, l'interrogante ha posto ai Ministri in indirizzo un quesito circa la corretta applicazione di un articolo di legge previsto dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
   l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, infatti, impone nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni e che abbiano conseguito, nel 2011, un fatturato per il 90 per cento per prestazioni di servizi a favore di pubbliche amministrazioni, alternativamente, o lo scioglimento entro il 31 dicembre 2013 oppure l'alienazione delle partecipazioni detenute dalla pubblica amministrazione;
   escluse dall'applicazione di questa norma, ai sensi del comma 3, sono tutte le società che, nonostante abbiano le caratteristiche appena evidenziate, svolgano servizi di interesse generale; il comma 11 del medesimo articolo prevede, limitatamente alle società del comma 1, che a correre dal 1o gennaio 2013, il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti non possa superare quello ordinariamente spettante per l'anno 2011;
   Insiel spa, è una società a capitale pubblico che opera per conto della regione Friuli Venezia Giulia e, ai sensi dell'articolo 1 dello statuto, svolge lavori nei settori relativi «allo sviluppo e alla gestione delle infrastrutture di telecomunicazioni e del sistema informativo integrato regionale, nonché delle reti trasmissive che costituiscono servizi di interesse generale». È quindi esclusa dall'applicazione del comma 1 dell'articolo sopra citato;
   la Corte dei conti del Friuli Venezia Giulia, interpellata dalla regione circa l'applicabilità del comma 11 dell'articolo 4, il comportamento da assumere riguardo a CCNL e contrattazione di II livello, e il comportamento da assumere riguardo ai lavoratori assunti dopo il 2011, il 25 settembre 2013 ha deliberato la piena applicabilità a Insiel spa del comma 11 perché società strumentale ma non erogante servizi di interesse generale;
   il consiglio di amministrazione di Insiel spa, ha quindi, in data 18 novembre 2013, deliberato l'applicazione del suddetto comma a partire da novembre e il conseguente recupero, con la mensilità di dicembre, di tutte le somme erogate dal 1o gennaio 2013. Una quantificazione approssimativa indica una riduzione delle competenze stipendiali di circa 120 euro netti al mese e il trattenimento dell'intera tredicesima mensilità;
   a tale proposito si tiene a precisare quanto segue: l'applicazione del comma 11 rischia di trasformarsi in un pericoloso precedente in quanto al personale della società Insiel spa viene applicato non il contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) della pubblica amministrazione, bensì il contratto collettivo nazionale del lavoro del settore dei metalmeccanici. Questo contratto collettivo nazionale del lavoro contiene elementi di sfavore rispetto a quello del comparto orario di lavoro, al godimento delle ferie e dei permessi; quindi non si comprende come con legge si possa equiparare – peraltro per una limitata categoria di lavoratori – il contratto di lavoro privato a quello pubblico solo nelle parti che prevedono un trattamento in peius;
   l'applicazione del comma 11, inoltre, introduce una deroga ad un principio intangibile che è quello del rispetto dei diritti acquisiti attraverso la contrattazione collettiva e viola, anche, il principio dell'autonomia contrattuale delle società di diritto privato;
   peraltro, è controversa l'applicabilità del comma 11 alle società escluse dal comma 1: in una delibera della Corte dei conti della Puglia la norma è stata considerata da non applicarsi alle società escluse dal comma 1, in quanto il comma 11 è destinata «solo al personale dipendente delle società strumentali (non esercenti servizi di interesse generale) controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni». Del medesimo parere un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 aprile 2013 secondo il quale il comma 11 trova applicazione esclusivamente nei riguardi delle società previste dal comma 1, fatta eccezione per le società escluse dall'ambito applicativo, ai sensi del comma 3;
   il comma 11, poi, per come è formulato è di dubbia applicazione nei confronti dei lavoratori che nel 2012 hanno avuto un passaggio di categoria perché adibiti a mansioni superiori, il rischio è che nonostante continuino a svolgere mansioni di livello superiore, percepiscano una retribuzione non adeguata alla categoria, in forza del dettato normativo che riporta il trattamento economico individuale a quello percepito nel 2011: una simile interpretazione violerebbe il principio di parità di trattamento, in quanto si avrebbero lavoratori adibiti alle medesime mansioni che percepiscono due trattamenti economici di importo differente;
   a parere degli interroganti, infine, lo sviluppo delle reti di telecomunicazione e la diffusione delle tecnologie o l'informatizzazione nella pubblica amministrazione rappresentano servizi di interesse generale, limitatamente alle «aree bianche» così come definite nella comunicazione della Commissione europea «Orientamenti comunitari relativi all'applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga» –:
   se sia intenzione del Governo emanare una circolare esplicativa che, in coerenza con gli indirizzi interpretativi indicati in premessa, tuteli i dipendenti e la società da applicazioni arbitrarie e non coerenti della normativa in oggetto, e che riconoscano l'utilità dell'interesse generale per le attività di sviluppo delle reti di telecomunicazione e la diffusione delle tecnologie o l'informatizzazione nella Pubblica amministrazione nelle cosiddette «aree bianche»;
   quali provvedimenti il Governo intenda adottare a tutela dei dipendenti da applicazioni retroattive di norme di legge e, quindi, da prelievi economici sulle retribuzioni e indennità nei prossimi mesi. (4-02662)


   ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la vendita di tabacchi lavorati è effettuata a mezzo di rivendite ordinarie, straordinarie e patentini, come si evince anche dall'articolo 1 del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 21 febbraio 2013, n. 38;
   le rivendite ordinarie sono istituite nei luoghi individuati in funzione dell'interesse del servizio tenendo conto degli sviluppi abitativi e commerciali, mentre le rivendite straordinarie sono quelle ospitate in luoghi ad alta frequentazione (stazioni ferroviarie e metropolitane, aeroporti, centri commerciali e sale Bingo). Infine, i patentini costituiscono una espansione di una preesistente struttura di vendita e possono essere istituiti presso pubblici esercizi dotati di licenza per la somministrazione di cibi e bevande, nonché di alberghi e stabilimenti balneari;
   i patentini vengono rilasciati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli accertate il sussistere di alcune prescrizioni di legge e ha validità biennale;
   già con la circolare n. 375 del 1o agosto 2005, l'amministrazione ha precisato che il rinnovo di dette autorizzazioni non può avvenire per coloro che prelevino annualmente una quantità di tabacchi per un valore lordo inferiore al 15 per cento di quello complessivo dei generi esitati dalla rivendita;
   ora, l'articolo 9 del citato decreto ministeriale 21 febbraio 2013, n. 38, concernente il rinnovo, alla scadenza del biennio di validità, del patentino, inserisce un secondo parametro necessario all'ottenimento del rinnovo: «a condizione che il soggetto titolare del patentino abbia effettuato un prelievo di generi di monopolio per un valore complessivo medio annuo pari o superiore a» una somma che viene modulata in base alla popolazione del comune interessato dalla domanda di rinnovo;
   in particolare, si osserva che lo scaglione indicata dalla lettera d) ripropone una classe di comuni particolarmente ampia, tale da ricomprendere tutte le città con popolazione compresa tra 100.001 e 1.000.000 di abitanti;
   è evidente, a parere dell'interrogante, che una siffatta classe di comuni non prende in considerazione le diverse esigenze e caratteristiche delle diverse città: per fare l'esempio di due comuni, entrambi rientranti in questa classe ma con diverse caratteristiche, stando alla lettera d) del decreto il parametro è il medesimo sia nel comune di Udine (poco più di 100.000 abitanti) che per il comune di Napoli (poco meno del milione di abitanti);
   l'importo indicato per questa classe di comuni (pari a 57.000 euro), peraltro, non considera le diverse peculiarità che si possono registrare in alcune aree del Paese, quali: il collocamento geografico della città rispetto ad altri centri abitati di grandi dimensioni, la densità della popolazione, la vicinanza geografica con città di Nazioni confinanti;
   nello specifico, vi sono molte città che soffrono — nel settore dei tabacchi — una spietata concorrenza da parte dei rivenditori stranieri che, usufruendo di una diversa e meno gravosa tassazione sui beni, posso offrire prezzi molto vantaggiosi a danno dei rivenditori italiani e dell'Erario che, dalla minor vendita di tabacchi lavorati, ricava una minor entrata;
   in queste aree di confine (dove si collocano anche comuni rientranti nella lettera d) del citato decreto), appare difficile, se non impossibile, il raggiungimento dell'importo indicato, anche in considerazione del previsto 20 per cento di margine disciplinato nel comma 5 del medesimo articolo 9;
   in presenza di esercizi pubblici dotati di patentino che prelevano un valore annuo di tabacchi non inferiore al 15 per cento sarebbe grave non venisse rinnovata l'autorizzazione, in ragione del mancato raggiungimento della nuova soglia prevista dal decreto: perché si impedirebbe la prosecuzione di una attività che si è dimostrata rispondere ad una effettiva necessità nell'interesse del servizio;
   nel segnalare il caso di specie, preme all'interrogante sottolineare — in ogni caso — che in una nota del 21 giugno 2013 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, è stata ribadita la «più volte espressa» «contrarietà alle forme di programmazione strutturale dell'offerta che stabiliscono limitazioni quantitative degli operatori dei mercati» in quanto «gli elementi di rigidità derivanti dall'ammissione a operare di un numero di soggetti inferiore a quello che determinerebbe il mercato, infatti, non risultano, di regola, necessari e proporzionati al perseguimento di obiettivi di interesse generale»;
   infine, la regola «in forza della quale i titolari di patentini sono tenuti ad acquistare i tabacchi per la rivendita esclusivamente dai rivenditori ordinari è una disposizione particolarmente restrittiva in quanto idonea ad incidere negativamente sugli utili generati dai titolari dei patentini» –:
   alla luce della nota dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, quali iniziative intende il Governo assumere al fine di evitare di incidere negativamente sugli utili generati dai titolari dei patentini;
   nel caso specifico dell'articolo 9, comma 4, lettera d), del decreto ministeriale citato in premessa, se il Ministro intende rimodulare gli scaglioni al fine di meglio interpretare le diverse esigenze e caratteristiche tipiche dei comuni con popolazione tra i 100.001 e 1.000.000 di abitanti che sono evidentemente diverse;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di tutelare i rivenditori italiane nelle aree di confine, valutando la possibilità di circoscrivere l'applicazione di diversi criteri e importi, riconosciuta la particolarità di quelle aree. (4-02667)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   COCCIA, RACITI, PARIS e BOSSA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27 della Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità;
   la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha inflitto all'Italia una condanna stabilendo che il nostro Paese viola sistematicamente i diritti dei detenuti;
   questa, come è stato sostenuto ai più alti livelli istituzionali rappresenta una mortificante conferma della incapacità dello Stato di garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena;
   l'Italia era stata già condannata quattro volte a causa delle cattive condizioni di detenzione accusata per aver violato l'articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani che sancisce che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e, secondo la Corte, il nostro Paese è venuto meno ai suoi obblighi per inerzia e mancanza di diligenza;
   tra le richieste europee inviate all'Italia vi è anche quella di dotarsi di un sistema di ricorso interno che dia modo ai detenuti di rivolgersi ai tribunali italiani per denunciare le proprie condizioni di vita nelle prigioni e avere un risarcimento per la violazione dei loro diritti. Le carceri italiane, infatti, non rispettano alcuno dei parametri previsti dalla Corte costituzionale italiana, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea;
   gli istituti di pena, inoltre, mostrano preoccupanti e inaccettabili carenze dal punto di vista strutturale: mancanza di spazi vitali, fatiscenza degli edifici, inammissibili condizioni igenico-sanitarie;
   il Parlamento europeo, già nel 2011, con la risoluzione 15 dicembre, n. 2897 sollecitò gli Stati membri ad adottare urgenti misure per garantire il rispetto e la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, in particolare i diritti delle persone vulnerabili;
   tra le priorità indicate si segnala, in particolare, quella di garantire che siano rispettati i diritti fondamentali dei detenuti, compreso il diritto a non subire trattamenti inumani o degradanti;
   in tale sconfortante quadro il diritto alla salute delle persone detenute rischia fortemente vuoti di tutela;
   molti, infatti, sono i casi di persone ristrette in carcere che versano in condizioni di salute estremamente gravi;
   nel IX rapporto di Antigone sulla condizione di detenzione nelle carceri viene ampiamente e dettagliatamente descritta la situazione di sofferenza in cui vivono i reclusi;
   in particolare, vi sono alcuni casi che meriterebbero il massimo dell'attenzione;
   si segnalano i casi di Vito Manciaracina, 78 anni, condannato in via definitiva all'ergastolo, detenuto presso il centro clinico del carcere di Bari è affetto da paralisi degli arti inferiori, epilessia e demenza senile;
   sul sito www.repubblica.it, in data 10 aprile 2012, è stata riportata la notizia riguardante le sue drammatiche condizioni di salute; secondo Alberto Custodero, autore dell'articolo, si tratta del «carcerato in peggiori condizioni di salute di cui si abbia notizia in Italia»;
   ad evidenziare le disumane condizioni di detenzione di Manciaracina, si legge nell'articolo, è «una consulenza medico legale, al di sopra di ogni sospetto in quanto disposta dal tribunale di Sorveglianza di Bari. Tuttavia, nonostante quella perizia descriva un quadro clinico drammatico, i magistrati continuano a trattenerlo in cella, negandogli, inspiegabilmente, i domiciliari. E lasciandolo, di fatto, in uno stato di detenzione ai limiti della dignità umana: immobilizzato a letto con il pannolone, in stato confusionale, in preda a crisi epilettiche, in condizioni igieniche precarie»;
   il 7 novembre 2013, la procura della Repubblica ha chiesto il rigetto dell'istanza di sospensione della pena o di trasferimento in un'idonea struttura sanitaria;
   Brian Gaetano Bottigliero, 25 anni, condannato in primo grado a nove anni di reclusione, detenuto nel carcere romano di Regina Coeli soffre di un'insufficienza renale cronica;
   in due anni di detenzione il peso del condannato è sceso dagli 83 ai 63 chili;
   in attesa di un trapianto di rene, è sottoposto a dialisi tre volte alla settimana;
   le richieste di termine o quantomeno di attenuazione delle misure cautelari, sono state rigettate dal magistrato competente perché sussisterebbe a suo carico un «pericolo di fuga»;
   Vincenzo Di Sarno, 35 anni, condannato in via definitiva, detenuto nel carcere napoletano di Poggioreale è affetto da un tumore al midollo spinale. Gli è stata rigettata l'istanza di scarcerazione per incompatibilità con lo stato detentivo;
   inoltre, l'8 novembre 2013, è morto nel carcere di Poggioreale il detenuto Federico Perna di 34 anni. Era recluso nonostante avesse bisogno di un trapianto di fegato e le sue condizioni di salute fossero state dichiarate incompatibili con la vita carceraria;
   su tale vicenda è stata aperta un'inchiesta con l'ipotesi di omicidio colposo;
   negli ultimi mesi e deceduto nel carcere di Regina Coeli Danilo Orlandi, di 31 anni, i risultati dell'autopsia sul suo corpo indicano come causa della morte sia stata una polmonite non diagnosticata che sarebbe stata curata con una semplice aspirina, mentre gli esami tossicologici avrebbero evidenziato una presenza non spiegata di benzodiazepine;
   questi sopradescritti rappresentano solo alcuni dei gravissimi episodi che si verificano nelle carceri in cui si manifesta una stridente e crudele incompatibilità tra condizione patologica e reclusione in cella;
   essi, indicano, altresì secondo gli interroganti una grave disparità di trattamento tra detenuti, alla luce degli ultimi fatti di cronaca che hanno coinvolto il Ministro interrogato in merito al caso della scarcerazione di Giulia Ligresti;
   tali fatti, inoltre descrivono la drammatica situazione dell'assistenza sanitaria in carcere –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa e in particolare, delle condizioni sanitarie riservate ai detenuti di cui in premessa;
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di garantire ai detenuti in questione il fondamentale diritto alla salute. (4-02666)


   SILVIA GIORDANO, SIBILIA, TOFALO, COLONNESE, GRILLO, LOREFICE, BARONI e DI VITA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'8 novembre moriva, per «collasso cardiocircolatorio», Federico Perna a soli 34 anni. Era detenuto nel carcere di Poggioreale;
   Federico Perna non avrebbe dovuto essere lì; necessitava di un trapianto di fegato e, quindi, il trasferimento dal carcere di Secondigliano avrebbe dovuto avere come destinazione una struttura sanitaria;
   alla madre avrebbe detto, pochi giorni prima, che «perdeva sangue dalla bocca quando tossiva». I dirigenti sanitari delle carceri in cui era stato detenuto avevano già stilato rapporti clinici in cui dichiaravano la sua incompatibilità con la detenzione;
   i familiari, avrebbero appreso della morte dalla lettera di un compagno di cella, dichiarando di non aver ancora ottenuto risposte certe a riguardo: c’è chi dice che sia morto in ambulanza, chi dice nell'infermeria del carcere, chi, invece, sosterrebbe che sia deceduto in ospedale;
   con la morte di Federico Perna sale a 139 il numero dei detenuti che hanno perso la vita da inizio anno. Su queste tragedie l'informazione da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è inesistente, nonostante quanto previsto dalla circolare G-DAP-0397498-2011 «Sala Situazioni. Modello Organizzativo e nomina Responsabile», datata 18 ottobre 2011, che all'articolo 5, comma 6, prevede «Per garantire una trasparente e corretta informazione dei fenomeni inseriti nell'applicativo degli eventi critici le principali notizie d'interesse saranno, inoltre trasmesse al Direttore dell'Ufficio Stampa e Relazioni esterne per le attività di informazione e comunicazione agli organi di stampa e la eventuale diffusione mediante i canali di comunicazione di cui dispone il DAP (rivista istituzionale, newsletter siti istituzionali)» –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative normative per attivare protocolli più chiari affinché i referti dei dirigenti sanitari che operano nelle strutture carcerarie sulle condizioni di salute risultino strumenti efficaci ed obblighino all'immediato trasferimento dei detenuti nelle strutture ospedaliere, ove se ne ravvisino le necessità;
   se si intendano adottare le misure necessarie affinché i responsabili delle carceri italiane rispettino pienamente la citata circolare e affinché siano garantiti i diritti dei familiari dei detenuti ad una corretta e repentina informazione rispetto a quanto accade ai detenuti stessi all'interno dei penitenziari. (4-02669)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   DAGA, SEGONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa e dalle dichiarazioni dell'assessore all'urbanistica Di Genesio Pagliuca Ezio si apprende che, nel comune di Fiumicino in provincia di Roma, in data 14 novembre 2013, la società Aeroporti di Roma spa ha eseguito il taglio di un filare di tamerici e tentato di effettuare il taglio di un filare di alberi adibiti a frangivento, situato non nell'area di sedime aeroportuale, ma in un'area privata all'interno della riserva naturale statale del litorale romano, istituita con decreto del 29 marzo 1996;
   nello specifico, quattro operai della società di Fiumicino, provvisti di seghe elettriche, accompagnati da un capo della sicurezza aeroportuale hanno effettuato il taglio del filare di tamerici, mentre il taglio completo del frangivento non è stato portato a termine grazie all'immediato intervento di alcuni operatori del WWF che opera nella vicina oasi di Macchia Grande di Maccarese, allertati da una famiglia di agricoltori di zona;
   sul posto sono giunte anche due pattuglie della polizia dell'aeroporto;
   si ricorda che l'articolo 7 del decreto istitutivo della riserva sopra citato, dispone il divieto assoluto del taglio degli alberi all'interno di tale area;
   gli esemplari di alberi in questione hanno un'età di oltre 50 anni e con la loro folta chioma hanno il particolare pregio di ridurre l'impatto del vento, proteggendo le coltivazioni limitrofe;
   episodi analoghi, nella medesima zona, sempre ad opera di AdR, si sono verificati nell'aprile del 2011, anno in cui furono tagliati centinaia di alberi creando gravi danni ambientali all'ecosistema circostante;
   si ricorda che nelle prescrizioni contenute nel decreto interministeriale relativo al «Progetto di completamento di Fiumicino Sud» è previsto che a fronte del taglio di un albero si dovrà provvedere alla piantumazione di almeno dieci nuovi esemplari –:
   se i Ministri siano a conoscenza di quanto è accaduto e quali iniziative intendano intraprendere per evitare episodi come quello segnalato;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano adottare nei confronti della società che ha commissionato il taglio degli alberi. (4-02651)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA e CAON. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli amministratori locali dei comuni si stanno muovendo in quadro normativo estremamente variabile ed incerto, soprattutto con riferimento al gettito della imposta municipale propria, e tale situazione ha portato al differimento del termine per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013;
   il predetto termine, secondo il testo unico degli enti locali, è di norma fissato al 31 dicembre dell'anno precedente l'esercizio finanziario, ed è stato differito per il 2013 una prima volta al 30 giugno e, successivamente, al 30 settembre;
   il decreto-legge n. 102 del 2013 ha recato una ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute fissandolo alla data del 30 novembre 2013 e l'ulteriore proroga deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull'entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative apportate in corso d'anno nella materia;
   il decreto-legge n. 54 del 2013 ha sospeso – per l'anno 2013 – il versamento della prima rata dell'IMU, in scadenza il 16 giugno, per determinate categorie immobiliari;
   la compensazione disposta copre solo parzialmente le risorse incassate dai comuni per il gettito IMU complessivo incassato nel 2012 che, ad aliquota standard del 4 per mille, ammontava per il comparto a circa 3,8 miliardi di euro, e, mentre vi sono comuni che hanno già approvato il bilancio di previsione ed impegnato, quando non spese, le risorse iscritte in funzione del gettito IMU previsto ad inizio anno e ci sono anche comuni che devono ancora predisporre i bilanci preventivi non avendo ad oggi conoscenza precisa delle risorse che saranno loro a disposizione come ristoro per il mancato incasso dell'imposta municipale propria;
   il totale delle risorse di riferimento per il comune di Tombolo (Padova) denominate «gettito IMU standard – Quota comunale 2012», secondo il Ministero ammontava a 1.881.683 euro, mentre dai dati estrapolati dalla rendicontazione finale di Tombolo calcolati estrapolando i valori, così come risultanti all'Agenzia delle entrate, ad aliquota base, tale valore ammontava a 1.769.389 euro e su questa errata previsione, e conseguenti errati trasferimenti all'ente locale, il comune di Tombolo ha presentato ricorso amministrativo, tuttora giacente, presso il TAR del Veneto;
   il gettito IMU 2013 ad aliquota base è stato stimato dal dipartimento delle finanze per il comune di Tombolo in 2.228.138,57 euro, sebbene dalla banca dati del medesimo comune il gettito standard IMU 2013 risulti pari a 1.933.013 euro;
   la quota da trattenere per alimentare il Fondo di solidarietà comunale 2013 a carico dell'ente è stata quantificata in 685.053,78 euro dal dipartimento delle finanze prendendo a riferimento il citato valore di 2.228.138,57 euro, invece del corretto e documentabile valore comunale di 1.933.013 euro;
   la quota da trattenere al comune (30,75 per cento del gettito standard IMU, quota comunale 2013) quindi sarebbe dovuta ammontare a 594.401,50 euro, così che il gettito IMU netto stimato 2013 sarebbe dovuto risultare di 1.338.611,25 euro in luogo dei previsti 1.543.084,79 euro;
   l'errore di stima delle previsioni IMU a gettito standard ha quindi generato un ammontare finale spettante al comune di Tombolo completamente errato a valere sul fondo di solidarietà comunale 2013 pari ad euro 537.573,33;
   i comuni possono modificare le aliquote di imposta, in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge e comunque entro il termine massimo del 30 novembre, ma, alla luce delle evidenti difficoltà di redigere i bilanci previsionali, peraltro resa più complessa dal fatto che a fronte della vigente normativa sugli immobili D il cui gettito da quest'anno sarà interamente riversato nelle casse dell'erario, è presumibile supporre come numerosi enti locali saranno costretti ad aumentare le aliquote su tutti gli altri immobili al fine di compensare il gettito oggi mancante dalle disposizioni dello Stato centrale, determinando così un aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini –:
   se non ritenga opportuno, alla luce dell'incertezza relativamente alle risorse economiche a disposizione dell'ente e della imminente scadenza del 30 novembre, specificare su quali criteri sia avvenuta la quantificazione del fondo di solidarietà comunale 2013 per il comune di Tombolo e verificare altresì se dette risorse spettanti al comune siano state correttamente quantificate, anche in ragione di quanto accertato dall'ente locale, attraverso la banca dati dell'Agenzia delle entrate del gettito incassato dall'IMU, nonché da quanto incassato dal medesimo ente locale nel 2010 con l'ICI, come risultante dal rendiconto del medesimo ente. (4-02650)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi un uomo di nazionalità tunisina è stato arrestato a Mestre per due rapine nei confronti di un suo connazionale;
   secondo quanto risulta dalle indagini, l'uomo insieme ad alcuni complici avrebbe rapinato, tra agosto e settembre 2013, il connazionale facendolo poi finire in ospedale a causa delle ferite ad un braccio;
   dopo alcuni giorni dall'aggressione, la vittima pare sia stata ricontattata dai connazionali che, promettendogli la restituzione del maltolto, lo hanno convinto a ripresentarsi ad un nuovo appuntamento, dove nuovamente è stato rapinato;
   successivamente l'uomo, riconosciuti due dei suoi rapinatori, li ha denunciati alle forze dell'ordine, che facilmente hanno proceduto all'individuazione del tunisino, per i suoi già noti precedenti penali, è al suo arresto;
   tra i numerosi precedenti penali per spaccio di droga e rapina, risulta anche che il tunisino arrestato sia stato tra coloro che hanno organizzato e fomentato i disordini e appiccato l'incendio al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca nei mesi scorsi;
   nei giorni si è svolta una manifestazione a Gradisca, organizzata dalla Lega Nord, proprio davanti alla struttura distrutta dai clandestini in attesa di espulsione, per protestare non solo contro la ventilata chiusura del centro ma anche per denunciare i gravissimi episodi di devastazione e vandalismo, chiedendo l'immediata espulsione degli autori anziché il loro trasferimento e pernottamento in altra struttura;
   da quanto si apprende dalla notizia di cronaca riportata in premessa, sembrerebbe che gli autori non solo siano ancora clandestinamente sul territorio nazionale, ma altresì liberi di delinquere nelle nostre città;
   si tratta della totale resa dello Stato perché consente e tollera che soggetti entrati clandestinamente nel territorio italiano continuino a non rispettare le leggi e a delinquere non solo all'interno delle strutture di accoglienza ma, fatto ancora più grave, al di fuori, mettendo a serio rischio la sicurezza dei cittadini –:
   se i Ministri siano a conoscenza di quanto sopra, quali siano le effettive iniziative di competenza adottate nei confronti degli autori degli atti vandalici che hanno distrutto quasi totalmente il Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca, quanti siano i clandestini prima accolti nel centro ad oggi rimpatriati, quali precedenti penali avessero i clandestini che hanno devastato il centro e a quanti sia stato dato il foglio di via lasciandoli, di fatto, circolare liberamente sul territorio nazionale, quali siano i motivi per i quali il tunisino arrestato non è stato ancora rimpatriato e i motivi per i quali lo stesso abbia potuto continuare indisturbato a commettere altri reati. (4-02652)


   LACQUANITI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 157 del 1992 in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio prevede, tra l'altro, che l'attività di controllo e di vigilanza sul territorio relativamente all'applicazione della medesima legge n. 157 del 1992, possa essere affidata anche alle guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 773/1931;
   con la sentenza n. 6454 della Corte di cassazione penale, sezione III, 21 febbraio 2006, la medesima Corte ha confermato che le guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria in quanto: a) la legge n. 157 del 1992 attribuisce espressamente (articolo 27) ad esse un compito di vigilanza venatoria sulla applicazione della legge, compreso l'articolo 30 relativo alle sanzioni penali; b) l'articolo 28 della suddetta legge, nel definire poteri e compiti degli addetti alla vigilanza venatoria ricomprende sia il potere ispettivo, sia il potere di controllo della fauna abbattuta o catturata (articolo 28, §1) e il potere di accertamento (redazione del verbale) (articolo 28, §5); c) nel contenuto degli articoli 55 e 57 codice di procedura penale «il prendere notizia dei reati» è collegato logicamente in via funzionale al dovere di «impedire che vengano portati a ulteriori conseguenze», e ciò sembra valere anche per le guardie venatorie, naturalmente solo nei limiti del servizio cui sono destinate;
   la sentenza n. 28727 del 2011 della Corte di cassazione, che riguardo al sequestro di animali esotici operato dalla polizia zoofila della LIDIA (Lega italiana diritti degli animali), ha sottolineato che la LIDIA è associazione di volontariato riconosciuta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, «dalla qualità di guardia giurata, discende la legittimazione ad esercitare attività di polizia giudiziaria così come affermato anche dalla 4o sezione del Consiglio di Stato con decisione del 24 ottobre 1997, n. 1233»;
   detta sentenza n. 28727, conferma che – al pari delle guardie volontarie venatorie – anche le guardie zoofile sono legittimate a esercitare attività di polizia giudiziaria. Ricordiamo in proposito che l'articolo 6 comma 2, della legge 21 luglio 2004 n. 189, recita: che «la vigilanza nel rispetto della predetta legge delle altre norme relative alla protezione degli animali (e dunque in ipotesi degli animali oggetto di attività venatoria come la fauna selvatica n.d.r.) è affidata “anche” con riferimento agli animali da affezioni, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina ai sensi degli articoli 55-57 codice di procedura penale, alle guardia particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute»;
   in contrasto con le suddette sentenze, il 25 settembre 2013 il Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ufficio per gli affari della polizia amministrativa e sociale, ha inviato un parere alla prefettura di Brescia, con la quale si esprime un parere circa «l'esclusione del riconoscimento delle qualifiche pubblicistiche di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria nei confronti delle guardie venatorie volontarie»;
   detto orientamento del Ministero dell'interno, comporta inevitabilmente un forte indebolimento dell'importante attività che la legge n. 157 del 1992 assegna alle guardie volontarie delle associazioni di protezione ambientale e alle guardie zoofile volontarie, togliendo loro, di fatto, lo status di agenti di polizia giudiziaria –:
   se, anche sulla base di quanto esposto in premessa, non si intenda rivedere l'orientamento indicato in premessa al fine di garantire lo status di agenti di polizia giudiziaria alle guardie venatorie volontarie e alle guardie zoofile, anche al fine di rafforzare l'importante e spesso decisivo ruolo che le suddette guardie volontarie svolgono sul territorio nel contrasto all'illegalità ambito venatorio, e per garantire loro una maggiore tutela. (4-02660)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 23 ottobre 2013, un ragazzo stava effettuando delle riprese video tra via Condotti e l'area in prossimità di palazzo Montecitorio;
   la persona in questione usa fare informazione tramite un blog sul quale pubblica articoli e video di natura politica e di costume;
   a detta del blogger nella mattina del 23 ottobre 2013, mentre era impegnato in alcune riprese video nei pressi di via Condotti è stato bloccato da personale della polizia di Stato che lo avrebbe portato presso il commissariato Trevi Campo Marzio, nel quale e stato identificato e obbligato a cancellare le immagini sin lì registrate; cosa che lui dichiara di aver fatto senza opporre la minima resistenza;
   rilasciato dal commissariato, il blogger si è recato nuovamente nei pressi del Parlamento – anche perché era a conoscenza di una serie di incontri di livello internazionale che si stavano tenendo a palazzo Chigi – e qui, mentre riprendeva delle scene è stato nuovamente fermato da personale della polizia di Stato (in divisa e in borghese) e portato nuovamente nei locali del commissariato di Campo Marzio. Il ragazzo non ha opposto naturalmente alcuna resistenza, ma nonostante questo è stato portato anche presso la polizia scientifica ove è rimasto circa 3 ore per essere fotografato e segnalato; il blogger ha dichiarato di essere stato finalmente rilasciato solo dopo ulteriori accertamenti;
   il blogger, visibilmente shockato dal trattamento ricevuto – ad avviso degli interroganti senza giusta causa – ha esposto denuncia;
   non appare accettabile che accadano fatti come quelli sopraesposti e ci si chiede come sia mai possibile che ad oggi accadano cose del genere;
   se la ricostruzione dei fatti narrata dal blogger fosse corretta, ci si troverebbe di fronte ad un comportamento intimidatorio molto grave da parte delle forze dell'ordine e che potrebbe configurare un vero e proprio abuso di potere;
   l'interrogante non conosce le opinioni del blogger e questa interrogazione ha l'obiettivo di intervenire in difesa di una informazione libera ed indipendente, prescindendo dalle idee di cui sia portatrice; fatti come questi dovrebbero essere prontamente stigmatizzati con forza e chiarezza da tutte le forze politiche e sociali in difesa della libertà di espressione e di cronaca;
   ancora una volta si vuole citare il celebre adagio di Voltaire «Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente»;
   in un'epoca come la nostra, segnata da una potente e visibile guerra sull'informazione, la figura del blogger indipendente potrebbe rappresentare un possibile futuro per una concreta ed efficace informazione libera ed indipendente;
   appare preoccupante uno Stato democratico in cui i cittadini abbiano paura di informare, anche perché il più grande antidoto contro la paura è proprio la conoscenza e non c’è conoscenza senza libera informazione –:
   se il Ministro non ritenga opportuno fare chiarezza su quanto accaduto a questo ragazzo che per nessuna colpa ha dovuto subire comunque degli atti così invasivi della libertà personale, senza aver espresso alcuna forma di resistenza ed avendo fatto tutto quello che il personale delle forze dell'ordine ha chiesto lui di fare;
   in base a quale norma si sia pretesa la cancellazione delle immagini registrate e quali presupposti di pubblica sicurezza abbiano potuto giustificare una misura restrittiva della libertà personale dell'individuo. (4-02670)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel suo discorso per la fiducia al Governo il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha dichiarato il proprio impegno a lavorare per la diffusione della pratica sportiva e per valorizzare lo sport diffondendo tale pratica fin dalle scuole elementari e medie;
   nella recente intervista concessa al quotidiano La Gazzetta dello Sport il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dichiarato «... Sono molto attenta allo sport nella scuola, vorrei più strutture, tempi maggiori per l'attività motoria. So quanto sia prezioso educare il bambino alla pratica sportiva per creare un'abitudine ad uno stile di vita sano e corretto»;
   la scuola rappresenta, per la gran parte degli studenti e le loro famiglie, l'unica possibilità dove poter svolgere un'attività motoria e sportiva in maniera continuativa e qualificata;
   l'attività motoria e sportiva è oramai riconosciuta in tutti gli ambiti scientifici nazionali (piano sanitario nazionale e piano nazionale della prevenzione) e internazionali (Unione europea e Organizzazione mondiale della sanità) quale strumento di prevenzione e spesso di «terapia» in ambito sanitario e di promozione della salute;
   sarebbe grave che, a circa due mesi dall'inizio dell'anno scolastico, le scuole ancora non hanno indicazioni sulle risorse e sulle modalità per organizzare l'attività sportiva scolastica di istituto dato che solitamente tale attività viene programmata a settembre, inserita nel piano dell'offerta formativa e inizia con il mese di ottobre;
   la mancanza di certezze sulle risorse e modalità organizzative blocca di fatto l'attività perché i dirigenti scolastici non ne autorizzano l'avvio;
   di conseguenza, occorre ricordare che le fasi competitive dei giochi sportivi studenteschi hanno significato solo se fase finale di una attività di base aperta a tutti gli studenti e continuativa per tutto l'anno scolastico;
   il protrarsi di questa situazione potrebbe comportare il blocco di tutte le attività sportive della scuola italiana –:
   se il Ministro intenda rendere disponibili le risorse e quando e se ritenga di intraprendere iniziative volte a evitare il ripetersi dello stallo del passato anno scolastico e quali azioni stia programmando. (5-01549)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 novembre 2013, in un incontro con i sindacati di categoria, Slc Cgil, Fistel CISL, Uilcom Uil, Sky Italia ha annunciato la volontà di trasferire gran parte delle attività dell'area di broadcasting (radiodiffusione circolare) dalla sede di Roma a quella di Milano;
   tale operazione di riorganizzazione, che segue ad un medesimo processo organizzativo che, recentemente, ha interessato l'area vendite, comporterebbe l'esubero di 42 lavoratori della sede di Roma;
   l'operazione desta serie preoccupazioni per le implicazioni drammatiche che questa riorganizzazione potrebbe avere sulla vita dei lavoratori coinvolti, dei quali non si conoscono ancora le sorti; a quanto è dato sapere, alcuni di loro subiranno il trasferimento nella sede di Milano;
   il numero dei lavoratori in esubero – dichiarano le organizzazioni sindacali – impatterebbe sul personale di Roma drasticamente, costituendo il 15 per cento delle risorse totali presenti nella sede; si tratterebbe, dunque, di un'ulteriore perdita di posti di lavoro, che colpisce un territorio già ampiamente provato come quello romano;
   inoltre, si tratta dell'ennesima operazione di riorganizzazione che mette in discussione la tutela e la stabilità occupazionale, che avviene in assenza di un serio tavolo di confronto complessivo sugli assetti organizzativi futuri dell'azienda;
   ai timori sulle sorti dei lavoratori dell'area di broadcasting di Roma, di cui alcuni con famiglie a carico monoreddito, si uniscono quelli legati al servizio di customer care, presente soprattutto a Sestu (Sardegna), che affronta una riorganizzazione che continua a perdere traffico telefonico a favore di outsurcer, anche collocati all'estero;
   Sky Italia, infatti, ha da tempo delocalizzato le proprie attività attraverso i grandi call center in Albania, Croazia e Romania che assorbono gran parte delle attività di contatto telefonico della clientela, con non pochi problemi nella qualità del servizio e conseguenti ricadute negative nel processo produttivo sui lavoratori Italiani di Sky;
   i progetti riorganizzativi di Sky Italia vengono adottati in assenza di un serio piano industriale e gravano, in particolare, sui lavoratori con risparmi relativi, in un'azienda che continua, nonostante la crisi generale, ad avere comunque un bilancio positivo;
   i sindacati, Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil, hanno espresso la loro contrarietà all'azienda rispetto ad ulteriori processi riorganizzativi che mettano in discussione posti di lavoro ed il futuro di un qualsiasi sito aziendale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del piano di riorganizzazione dell'area di broadcasting adottato da Sky Italia che comporta l'esubero di 42 lavoratori della sede di Roma;
   quali iniziative intenda, urgentemente, adottare il Ministro per tutelare i lavoratori di Sky Italia coinvolti dall'attuale processo riorganizzativo nella sede di Roma e, dunque, favorire una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali, al fine di individuare un piano industriale che preservando la produttività dell'azienda, consenta di tutelare i lavoratori e salvaguardare gli attuali livelli occupazionali;
   quali iniziative intenda promuovere affinché le politiche riorganizzative di Sky, che hanno comportato anche una delocalizzazione delle attività all'estero, non mettano a rischio le posizioni dei lavoratori italiani. (5-01548)


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo del 2012, come riportato dal quotidiano la Repubblica, Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, dichiarò che la sua azienda non reclamava sussidi o favori, dal Governo, ma chiedeva solo di poter operare nella cornice di un Paese competitivo. Il manager avvalorò le sue parole con una stima della posizione di Fiat all'Inps con riferimento agli ammortizzatori sociali. I contributi versati dal gruppo per la Cig e la Cigs, la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, erano superiori al ricorso che il Lingotto vi faceva. La prima azienda manifatturiera d'Italia non stava assorbendo risorse pubbliche, al contrario ne versava;
   da allora quell'equazione sulla Cig si è rovesciata. A ben vedere, questo è solo un tassello dello stesso fenomeno che ha visto le vendite di Fiat ridursi del 7,3 per cento in un mercato europeo in crescita in ottobre del 4,6 per cento sul mese prima, mentre in Italia si registra ancora un calo del 5,6 per cento. È in questo quadro che oggi Fiat chiede all'Inps più risorse di quante non ne versi sotto forma di contributi. La cassa integrazione del Lingotto continua in parte perché, con un mercato in caduta in Italia, Marchionne resta riluttante a investire nel vecchio continente benché i suoi concorrenti continuino a farlo;
   gli analisti di Kepler Cheuvreux stimano che per ogni auto venduta in Europa, dove l'Italia rappresenta il 45 per cento del fatturato, Fiat abbia perso più di mille euro nell'autunno 2012 e 258 euro nell'estate 2013. Queste perdite in Europa ora sono in calo, ma lo sono grazie a un contenimento dei costi nel quale la cassa integrazione ha un ruolo;
   il ricorso alla Cig sembra un tassello della strategia del gruppo FIAT che va oltre il crollo stesso di domanda nel Paese. L'anno scorso per esempio il gruppo Fiat ha venduto in Italia 415 mila auto, il 46 per cento meno rispetto al 2007. Ma ne ha prodotte ancora di meno, solo 394 mila. Significa che persino l'unico grande costruttore italiano di auto è un importatore netto dei suoi stessi prodotti nel proprio Paese di origine;
   di contro in tutti gli stabilimenti FIAT in Italia si è fatto ricorso alla Cig nel corso del 2013. L'obiettivo sembra chiaro: evitare traumi in Italia mentre Marchionne persegue l'integrazione con Chrysler. Gli equilibri della compagnia saranno spostati: già oggi l'Europa pesa per appena il 20 per cento dei ricavi di Fiat spa (modelli di lusso esclusi) e quest'anno ha bruciato cassa per 420 milioni di euro in soli nove mesi. Il Nord America e l'America Latina invece rappresentano circa il 70 per cento di tutte le attività in utile. Sono queste forze a dettare il baricentro;
   ciò pone a Marchionne un problema sull'Italia. Negli ultimi anni, dice lui stesso, «ci siamo rifiutati di fare investimenti in Europa perché non si recupera neanche il costo del capitale e non vedo niente che mi dia ottimismo per il 2013 e 2014». Marchionne non nega di avere capacità in eccesso, ma aggiunge: «Non chiuderemo gli impianti per non facilitare il dominio tedesco in Europa». La scelta è dunque automatica: produzione limitata in Italia a piccole auto per un mercato debole e di modelli che il manager definisce «esclusivi», dunque non su vasta scala;
   Fiat non comunica l'età media degli addetti nei vari impianti italiani, ma, poiché le assunzioni sono ferme da anni, è inevitabile che sia elevata. Continuare la Cig significa per il Lingotto avviare una riduzione degli effettivi grazie all'attrito dei pensionamenti;
   non si può imporre a nessuna impresa, aiutata o no, di lavorare in un luogo che non considera competitivo. Ma così le risorse pubbliche italiane trovano un ruolo nella strategia internazionale di Fiat: stavolta, a differenza dagli anni ‘70, non per attrarre produzioni nel Paese, ma per arrivare a chiudere gli impianti e a creare disoccupazione;
   in questo stato di cose è impossibile rimanere con le mani in mano senza elaborare una strategia che blocchi il piano del gruppo FIAT e tuteli l'industria italiana e i posti di lavoro che da essa dipendono. Occorre opporsi ad una idea liberista ingiusta che ha ad avviso dell'interrogante fatto carta straccia dell'articolo 41 della Costituzione, laddove prevede che l'attività di impresa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale;
   è inoltre necessario che l'INPS venga obbligata a diffondere i dati in materia di Cig con riferimento alla FIAT e ad ogni azienda che vi fa ricorso, opponendosi fermamente a una idea del tutto avulsa dal dettato legislativo, secondo cui la loro non diffusione è necessaria per tutelare la privacy. Si tratta secondo l'interrogante di un errore giuridico e di un improprio impedimento a che vi sia un controllo diffuso del modo in cui il denaro, in parte proveniente dalla fiscalità pubblica, viene speso. Occorre che lo stesso obbligo sia posto a carico delle aziende per le stesse ragioni –:
   quali iniziative intenda intraprendere, anche normative, per impedire che il ricorso alla Cig possa nascondere il piano delle imprese di portare alla chiusura dell'azienda, anziché consentire una ripresa delle attività produttive anche attraverso l'elaborazione di piani industriali o conversioni produttive;
   se non intenda dare precise disposizioni all'INPS perché vengano diffusi mensilmente, anche attraverso il sito dell'ente, i dati relativi alla Cig goduta da ogni impresa. (5-01553)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono giunte alcune segnalazioni all'interrogante circa l'aggravarsi di una pluralità di problematiche concernenti, in particolare, difficoltà economiche e logistiche cui sarebbero sottoposti i disabili gravi;
   in tali segnalazioni viene richiesto l'adeguamento economico delle relative indennità, la gratuità del materiale protesico, l'eliminazione delle barriere architettoniche ai fini del trasporto aereo nonché l'attribuzione di un indennizzo per i danneggiati da vaccini sperimentali antipolio negli anni 1958 e 1959;
   una di tali segnalazioni è stata anche oggetto di una petizione presentata, ai sensi dell'articolo 50 della Costituzione, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica dal cittadino Alessandro Crescenzi. Presso questo ramo del Parlamento tale petizione è stata annunciata nella seduta del 23 ottobre 2013 ed assegnata con il numero 533 alla XII Commissione (Affari sociali) –:
   se il Governo non ritenga doveroso assumere le iniziative di competenza al fine di risolvere le problematiche indicate nella premessa, riconoscendo – compatibilmente con la situazione economica e finanziaria – un adeguamento delle relative indennità, la gratuità del materiale protesico e un indennizzo per i danneggiati da vaccini sperimentali antipolio negli anni 1958 e 1959, nonché finanziando un piano organico finalizzato all'eliminazione delle barriere architettoniche di mezzi di trasporto ed edifici pubblici. (4-02657)


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 101 del 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013 prevede per le province la possibilità di prorogare fino al 31 dicembre 2014 i contratti di lavoro a tempo determinato per le strette necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi e nel rispetto dei vincoli finanziari, del patto di stabilità interno e della vigente normativa di contenimento della spesa complessiva di personale; inoltre, per rimediare alla sostanziale ed evidente iniquità operata nei confronti dei precari provinciali, prevede che il personale non dirigenziale delle province, in possesso dei requisiti, possa partecipare ad una procedura selettiva di stabilizzazione indetta da un'amministrazione avente sede nel territorio provinciale;
   il divieto di assumere a tempo indeterminato imposto alle province e già previsto nella spending review del 2012, viene confermato all'articolo 4, comma 9, del medesimo decreto-legge n. 101 del 2013;
   per quanto riguarda le procedure di stabilizzazione, sebbene il quadro normativo relativo al processo di riordino delle province non sia ancora chiaro e definito è invece già di tutta evidenza che i precari delle province saranno, per ora, i primi a subirne le conseguenze, restando privi, dopo anni di servizio e professionalità acquisita, della possibilità di essere stabilizzati come ad esempio sta accadendo alla provincia di Torino dove 24 precari rischiano di non essere prorogati dal 31 dicembre 2013;
   diverse province non intendono rinnovare i contratti a termine in quanto dichiarano di rischiare lo sfondamento del patto di stabilità interno;
   nella legge n. 125 del 2013 si prevedono atti concreti volti comunque a prorogare la posizione dei lavoratori precari che rischiano di essere le prime vittime dell'eliminazione o dello svuotamento delle province, lavoratori che sono indispensabili a erogare molti servizi ai cittadini –:
   se non intendano assumere iniziative normative, per quanto di competenza, affinché venga consentita una deroga al patto di stabilità interno e ai vincoli sulla spesa per il personale al fine di permettere comunque le proroghe dei contratti in scadenza, e una deroga al divieto di assunzioni in modo da dare la possibilità anche ai lavoratori precari delle province italiane di essere stabilizzati. (4-02658)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO e PALAZZOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 2 del 10 gennaio 2006, recante: «Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa», all'articolo 4, comma 4-bis, prevede che: «... Al fine di migliorare l'efficienza del sistema per l'identificazione e la registrazione degli animali e la tracciabilità dei prodotti alimentari, il Ministero della salute ed il Ministero delle politiche agricole e forestali, ferme restando le attribuzioni e i compiti già svolti dal Centro Servizio Nazionale dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise, si avvalgono della società consortile “Consorzio anagrafi animali” quale ente strumentale di assistenza tecnica al sistema nazionale delle anagrafi animali e della tracciabilità degli alimenti, anche ai fini della promozione internazionale del sistema Italia di tracciabilità degli alimenti e degli animali. I Ministeri suddetti assegnano direttamente alla società consortile “Consorzio anagrafi animali”, con provvedimento amministrativo, funzioni, servizi e risorse relativi a tali compiti...»;
   l'articolo 4, comma 4-ter, del succitato decreto afferma che: «... la società consortile “Consorzio anagrafi animali” assicura, nello svolgimento della funzione di cui al comma 4-bis e sulla base di un programma annuale formulato conformemente alle indicazioni dei Ministeri competenti, il coordinamento degli interventi necessari a dare piena attuazione agli adempimenti connessi. Per la promozione di attività riconducibili a quanto previsto dal comma 4-bis, anche altre amministrazioni ed enti dello Stato possono avvalersi della società consortile “Consorzio anagrafi animali”, d'intesa con il Ministero della salute ed il Ministero delle politiche agricole e forestali. Quale contributo agli oneri di funzionamento ed ai costi generali di struttura della predetta società consortile, per lo svolgimento della funzione di ente strumentale di assistenza tecnica, l'AGEA assegna alla società medesima un contributo a decorrere dall'anno 2006 di un milione di euro. Al relativo onere si provvede mediante riduzione di un milione di euro, a decorrere dall'anno 2006, dell'autorizzazione di spesa di cui al decreto legislativo 27 maggio 1999, n. 165, come determinata dalla tabella C della legge 23 dicembre 2005, n. 266...»;
   l'ente, unico nel panorama italiano, era stato istituito per creare un soggetto che fosse trasversale e strumentale alle attività dei dicasteri di riferimento nelle materie d'interesse comune. In particolare, i compiti assegnati riguardavano l'assistenza tecnica nell'implementazione dei sistemi d'identificazione e controllo degli animali d'interesse zootecnico e lo sviluppo e messa in opera di sistemi di tracciabilità oggettiva degli alimenti, oltreché la promozione del «sistema Italia» su tali materie;
   il decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 ha disposto con l'articolo 14, comma 1, che: «... la società consortile “Consorzio anagrafi animali” di cui ai commi 4-bis e 4-ter dell'articolo 4 del decreto-legge del 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, è soppressa e posta in liquidazione a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Le funzioni già svolte dalla società consortile “Consorzio anagrafi animali” sono trasferite, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministri della salute e dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e al Ministero della salute secondo le rispettive competenze. Alle predette funzioni i citati Ministeri provvedono nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli stanziamenti di bilancio previsti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'articolo 4, comma 4-ter, del decreto-legge del 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, riaffluiscono al bilancio dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, AGEA, anche mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato e successiva riassegnazione alla spesa...»;
   tra il 2006 e il 2012, la regione Puglia è stata il maggiore partner istituzionale, che in collaborazione con il «Consorzio anagrafi animali», Co.an.an., ha costituito un vero e proprio laboratorio nazionale sulla tracciabilità nel quale si sono sperimentate soluzioni adottate su larga scala che, ad esempio, come avvenuto per l'etichettatura del pescato, hanno spesso anticipato la normativa comunitaria in materia;
   a tutt'oggi, ossia a distanza di un anno, i Ministri competenti non hanno emanato il decreto attuativo – entro il termine previsto di trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione – con cui disporre il trasferimento delle funzioni del Co.an.an.;
   ad ora, per le risorse umane della citata società consortile, tutte assunte a tempo indeterminato, non è stata prevista alcuna stabilizzazione creando una situazione di palese disparità di trattamento rispetto ad analoghe situazioni verificatesi nella pubblica amministrazione e nel parastato –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere al fine del trasferimento e della ricollocazione delle risorse umane del soppresso «Consorzio anagrafi animali», ed inoltre, quali iniziative si intendano porre in essere affinché non venga disperso il patrimonio normativo, di conoscenza e sperimentazione del consorzio. (3-00470)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO e FIORIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni il comparto dell'ippica, e l'intera filiera ad esso collegata, sta attraversando una crisi senza precedenti, ormai divenuta strutturale, il cui declino – che si è accentuato a partire dal 2005 – sta determinando pesanti conseguenze economiche e sociali;
   la situazione si è ulteriormente aggravata a causa del mancato versamento da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali delle spettanze dovute agli attori della filiera ippica, relative ai premi 2012, che non sono più state corrisposte dal mese di agosto 2012; mentre i premi 2013 sono stati corrisposti alla quasi totalità degli aventi diritto fino al mese di giugno 2013;
   a partire dal gennaio del 2013, in attesa di una soluzione legislativa che prevedesse l'istituzione di un nuovo organo di controllo e di governance, le funzioni e le risorse finanziarie prima spettanti alla soppressa agenzia per lo sviluppo del settore ippico, sono state trasferite al Ministero delle politiche agricole e forestali, compresi i contributi assistenziali da versare alla Cassa nazionale assistenza e previdenza per allenatori e guidatori trotto, e allenatori e fantini galoppo;
   fondata nel 1968, questa cassa ha lo scopo di assistere i professionisti ippici durante e al termine della propria attività, sia dando supporto nel caso di incidenti dovuti alla pericolosità della professione svolta, sia facendo fronte alla precarie condizioni economiche in cui si venivano e si vengono a trovare allenatori, guidatori e fantini, al termine della loro carriera professionale;
   la Cassa viene finanziata in parte con contributi diretti dei soci; per una parte maggioritaria, dalle quote provenienti dalle multe erogate dagli organi di disciplina a carico dei professionisti ippici; e infine con una contribuzione annuale disposta dall'ente competente (ora il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) e prelevata dai fondi destinati alle categorie ippiche;
   secondo quanto denunciato dagli operatori del settore, e già oggetto di diversi atti di sindacato ispettivo, l'80 per cento delle sanzioni disciplinari 2010-2012 trotto e 2012 galoppo, nonché quelle del 2013, non sarebbero ancora state trasferite, né sarebbero stati pagati i crediti fino al 2009, che ammonterebbero secondo quanto anche stabilito da provvedimento immediatamente esecutivo del tribunale di Roma, alla somma di 1.592.418,02 euro con scadenza 25 giugno 2013;
   attualmente la Cassa conta 420 iscritti e assiste 267 persone, di cui 103 ultraottantenni e 16 ultranovantenni, che da dicembre 2012 non percepiscono più il loro sussidio, pari in media a circa 500 euro lordi mensili, e 300 euro lordi per i superstiti. Causa mancanza fondi dovuta alla minor contribuzione corrisposta a partire dal 2007 da ex UNIRE ex ASSI, i sussidi 2012 sono necessariamente stati ridotti a 410 euro lordi e a 246 euro –:
   per quali motivi non si sia ancora provveduto al trasferimento degli importi, già incassati, derivanti dalle sanzioni disciplinari a favore della Cassa, né al pagamento dei crediti esigibili fino all'anno 2009, nonché se e quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare per far fronte alla situazione di grave emergenza in cui versano gli assistiti della Cassa a causa del mancato versamento di quanto dovuto per parte ministeriale.
(5-01550)


   FAENZI e PARISI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Coldiretti Toscana, sulla base dei dati Sgfa-Ismea, relativi ai finanziamenti concessi dalle banche alle imprese agricole, evidenzia una situazione difficile e penalizzante in ordine ad una persistente stretta creditizia, la cui erogazione tra il 2006 e il 2012, risulta essere diminuita con una tendenza media del 16 per cento per ogni tipologia di breve, medio e lungo periodo, con preoccupanti picchi pari al 21 per cento nell'ultimo anno;
   i dati previsionali, rileva il rapporto della principale organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale, evidenziano tra l'altro un peggioramento se si raffrontano gli anni 2010 e 2012, nei quali il credito concesso alle aziende del comparto, è quasi dimezzato (-47 per cento);
   il quadro preoccupante che emerge dal medesimo documento della Coldiretti Toscana, risulta inoltre essere perfettamente in linea con lo scenario globale che ha interessato in maniera trasversale tutti i settori, sebbene nel Nord Italia, le erogazioni bancarie per il settore primario, nello stesso periodo, abbiano complessivamente registrato una crescita;
   ulteriori profili di criticità che emergono dal suindicato rapporto agricolo, derivanti dagli effetti della contrazione del credito alle imprese agricole, si concretizzano nell'impossibilità di procedere negli investimenti per innovare, potenziare e migliorare la struttura aziendale e «aggredire» i mercati sempre più al di fuori dei confini nazionali, nonostante il settore riesca a svolgere una funzione anticiclica e a garantire un'assoluta controtendenza rispetto all'andamento generale, della produttività e della occupazione, come dimostrano i dati sull'esportazioni pari a +7,1 per cento, rispetto allo scorso anno;
   la mancanza di risorse finanziarie adeguate, continua la Coldiretti Toscana, rallenta se non addirittura penalizza il processo di ammodernamento in corso nelle campagne toscane, in cui le imprese agricole stanno effettuando una profonda rivoluzione sia nell'approccio dei mercati, che nell'organizzazione della struttura di lavoro;
   le forti contrazioni del credito, riporta nelle conclusioni la medesima organizzazione agricola, hanno interessato tutte le tipologie di finanziamento: -22 per cento per il medio termine negli ultimi 6 anni e -11 per cento per il lungo termine;
   il quadro in precedenza evidenziato, a giudizio degli interroganti, desta indubbia perplessità, se si considera in particolare, come le condizioni di difficoltà per l'accesso al credito agrario, che coinvolgono anche numerose regioni italiane, oltre alla Toscana dimostrano, come tale fattore sfavorevole, divenuto ormai strutturale, sia fra i maggiori elementi negativi e penalizzanti nei riguardi di un comparto fondamentale per la crescita del prodotto interno lordo;
   gli interroganti rilevano inoltre, come l'agroalimentare italiano e più specificatamente la qualità dei risultati prodotti nella regione Toscana, che rappresentano un simbolo del made in Italy, riconosciuto ed apprezzato a livello mondiale, necessita politiche di finanza e di accesso al credito agrario maggiormente incisive in particolare nell'attuale fase economica, caratterizzata da una persistente crisi generale ed amplificata dalla scarsa disponibilità di liquidità degli agricoltori;
   a giudizio degli interroganti, urgono iniziative volte a favorire l'agricoltura italiana attraverso un impegno più deciso rispetto a quello che si è fatto in questo primo scorcio di legislatura, mirate a superare quelle barriere economiche nei confronti del settore agricolo, che allontanano i giovani dal comparto i quali considerano poco attrattivo il mercato;
   a parere degli interroganti, inoltre, l'accesso al credito si pone come un tema di grande rilievo ed assume massima priorità nell'ambito del settore agricolo e agroalimentare, i cui effetti sono in grado di ripercuotersi sfavorevolmente anche con riferimento ad un ricambio generazionale e alle start-up –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, al fine di facilitare gli strumenti finanziari proposti attraverso la convenzione stipulata da Sgfa/Ismea e sviluppare forme migliori per l'accesso al credito;
   se non convenga che il fondo credito indicato dall'articolo 64 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, previsto in attuazione della decisione della Commissione europea C(2011)2929 che ne ha autorizzato l'attivazione, abbia dimostrato un'azione di non adeguato funzionamento nell'erogazione dei finanziamenti alle imprese agricole che avviene attraverso il ricorso alle banche;
   quali iniziative di conseguenza intenda intraprendere per migliorare l'efficacia del suddetto strumento finanziario e più in generale, se non intenda avviare interventi specifici attraverso un coinvolgimento dell'Associazione bancaria italiana e delle principali organizzazioni agricole nazionali, al fine di facilitare l'accesso al credito da parte delle imprese della Toscana e nel complesso delle altre regioni del Paese. (5-01552)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da un dossier sull'industria della carne suina tedesca pubblicato nel mese di novembre dal settimanale Der Spiegel e riportato tradotto dal magazine «Internazionale» dell'8 novembre 2013 si evince come il predetto comparto in Germania sia di importanza vitale per il settore agroalimentare teutonico. Dietro a questo sistema però, descrive l'articolo, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento innaturalmente intensive con un uno sproporzionato ricorso agli antibiotici;
   è ampiamente riconosciuto che l'uso indiscriminato di antibiotici ai mangimi dei suini, ed anche di altre specie animali, favorisce una condivisione di geni nei microrganismi dell'apparato gastrointestinale di questi animali che tende a diffondere la resistenza agli antibiotici. Resistenza di facile e pericolosa trasmissione all'uomo, anche negli usi domestici;
   secondo gli ultimi dati di AssoCarni l'Italia importa dall'Unione europea circa 1.700.000 tonnellate di carne, di cui circa 600.000 tonnellate di carne suina dalla Germania;
   in Italia – secondo il rapporto «Il Mercato dei Suini» di Ersaf Lombardia – al 2012 risultano essere allevati circa 9 milioni di suini. Circa l'80 per cento dei capi nazionali sono cresciuti e macellati in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. La Lombardia è la regione leader –:
   quali iniziative urgenti vogliano mettere in campo i Ministri interrogati al fine di rafforzare i controlli sulla carne di qualsiasi specie importata in Italia e se non sia opportuno rendere più facilmente comprensibile al consumatore finale la provenienza e la tecnica di allevamento della carne e dei suoi lavorati;
   se non sia opportuno altresì, anche a livello comunitario, migliorare le procedure di attivazione dell'allerta sanitaria coinvolgendo anche gli operatori finali;
   se non sia poi utile identificare le specie animali a rischio sanitario e darne comunicazione (virus, diossina, agenti patogeni). (4-02654)


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il cinghiale è un animale selvatico che risulta essere presente in moltissime regioni in particolare nelle zone montane del Veneto, Lombardia, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. È una specie che in molti casi risulta particolarmente pericolosa sia per le aree rurali, creando ingenti danni alle colture, che per la popolazione residente. Risultano sempre più frequenti, infatti, gli avvistamenti di questi animali a ridosso dei centri abitati;
   durante gli spostamenti invernali, per la ricerca di cibo e data la loro proliferazione, dimensione e aggressività, i cinghiali stanno diventando pericolosi anche per la sicurezza stradale mettendo a repentaglio l'incolumità degli automobilisti, soprattutto nelle strade di montagna in cui spesso si verificano incidenti a causa dell'attraversamento improvviso di questi animali in mezzo ad una strada trafficata;
   i cinghiali sono anche un pericolo sanitario in quanto tra le malattie di cui i cinghiali selvatici potrebbero essere portatori c’è la classica peste suina. Per l'uomo, inoltre, esiste il pericolo di contrarre la leptospirosi;
   da notizie apparse sugli organi di stampa si apprende che nel comune di Verona sono stati avvistati cinghiali selvatici a ridosso del centro abitato. Questo ha portato il sindaco ad emettere un'ordinanza urgente che permette la cattura e/o abbattimento di questa specie, potenzialmente pericolosa, che sconfinando dai suoi territori arriva fino al territorio comunale;
   sembra, infatti, che alcuni esemplari presenti nella zona pedemontana veronese siano emigrati a sud, arrivando fino in pianura;
   nelle aree protette la vigente normativa impedisce la cattura, l'uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali all'interno dei parchi rimettendo ai loro regolamenti la disciplina di eventuali prelievi faunistici e abbattimenti selettivi. È opportuno, a parere dell'interrogante, superare questo ostacolo prevedendo l'abbattimento dei cinghiali anche in queste aree protette al fine di arginare i danni causati sia alle colture presenti all'interno dei parchi stessi che alle abitazioni dei residenti nelle zone limitrofe;
   attualmente il cinghiale è una specie abbondante in tutta la Lessinia ed è la principale causa dei danni alle colture agricole, ai prati e ai pascoli. Gli imprenditori agricoli veneti sono esasperati e le condizioni in montagna stanno diventando allarmanti. Cacciatori ed autorità sanitarie sono preoccupati per la presenza di questi animali, proliferati negli ultimi anni in Lessinia e sulle colline che circondano Verona. Avere queste specie che circolano libere per le campagne venete è tutt'altro che gradevole perché, se si sentono minacciate, possono arrivare ad attaccare l'uomo e gli altri animali;
   tutto ciò ci deve portare ad una profonda riflessione sulla presenza dei cinghiali e degli ungulati in genere e sulla loro compatibilità con l'equilibrio del territorio veneto, in quanto il problema ha assunto un carattere di urgenza anche per quanto riguarda la sicurezza;
   risultano necessari, a parere dell'interrogante, interventi normativi a livello nazionale per risolvere le problematiche legate al numero sempre più crescente di cinghiali che, a causa dei loro ripetuti spostamenti nelle zone abitate e nelle aree urbane ad alta densità di popolazione, destano preoccupazione tra la cittadinanza;
   i danni causati alle colture agricole da tali specie, che spesso hanno il proprio habitat confinante con le aree rurali, necessitano di misure urgenti che vadano a contrastare il fenomeno fornendo, alle regioni e province, strumenti efficaci e concreti –:
   quali iniziative si intendano adottare al fine di modificare la normativa vigente per consentire a regioni e province una regolamentazione sulla caccia al cinghiale che sia permanente e programmata soprattutto verso quelle aree gravate dalla presenza massiccia di questi animali nonché quali modifiche che consentano l'abbattimento dei cinghiali anche nell'ambito delle aree protette, territori ora preclusi all'esercizio dell'attività venatoria, al fine di tutelare sia le aziende agricole che la popolazione residente su tutto il territorio veneto. (4-02655)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   TERZONI, TONINELLI, MANNINO, CATALANO, BALDASSARRE, DE LORENZIS, TOFALO, DAGA, LOREFICE, D'INCÀ e DE ROSA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», ha imposto anche agli amministratori locali determinati adempimenti volti alla più totale trasparenza sulla loro persona e sulla loro attività. È fatto l'obbligo, infatti, alla pubbliche amministrazioni di pubblicare, inter alia, le dichiarazioni «concernenti i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri» ex articolo 2, primo comma, n. 1, della legge n. 441 del 1982 presentata dai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale;
   dal testo della norma non si evince espressamente se in tale dichiarazione debbono essere inclusi anche tutti i beni immobili e mobili (registrati) posseduti dagli interessati e dai parenti entro il 2o grado, fuori dal territorio nazionale;
   è necessario consentire che ogni interessato, nel produrre quanto richiesto, possa attenersi ad indicazioni univoche, non soggette a personali interpretazioni e soprattutto allo scopo di assolvere alla massima trasparenza degli amministratori locali dinanzi alle istituzioni e ai loro cittadini –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative volte a chiarire espressamente ed in maniera univoca se gli amministratori locali di cui in premessa debbano riportare nella loro dichiarazione ex articolo 14, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, anche i beni immobili e mobili registrati detenuti all'estero. (4-02653)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   BINETTI, CESA e BUTTIGLIONE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia che una gran quantità di latte tossico e cancerogeno, contaminato da una micidiale muffa del mais, la aflatossina, particolarmente pericolosa per i bambini, veniva prodotta in Friuli per essere distribuita in gran parte del Paese;
   nell'ambito dell'operazione i circa 300 carabinieri del NAS e dei comandi provinciali, hanno eseguito – in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Toscana, Umbria, Campania e Puglia – 86 perquisizioni locali e personali;
   le indagini – avviate nel maggio 2012 – hanno consentito di accertare che il presidente, due dipendenti di un consorzio di allevatori della provincia di Udine ed una consulente esterna ritiravano latte dagli imprenditori agricoli associati (di cui alcuni certificati per la produzione di formaggio «Montasio DOP»), lo miscelavano e lo destinavano alla preparazione dell'alimento tutelato, violando così il disciplinare che garantisce al consumatore le caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche del prodotto;
   è inoltre emerso che 17 allevatori (denunciati a piede libero) ed i responsabili del consorzio, nonostante fossero a conoscenza della contaminazione da aflatossine (sostanze notevolmente cancerogene) di diverse partite di latte, le diluivano con prodotto non contaminato rendendolo idoneo ai controlli analitici effettuati dagli acquirenti. Tale illecito veniva favorito dalla complicità di un laboratorio di analisi della provincia di Udine (2 responsabili sono tra le persone tratte in arresto) che, quando dalle analisi eseguite per conto del consorzio emergeva la presenza di tossine in quantità superiore a quella consentita, alterava i referti ed il latte risultava sempre e comunque idoneo per la commercializzazione –:
   quali iniziative si ritenga opportuno assumere al fine di verificare con esattezza in quali zone e in quali modi il latte contaminato è stato distribuito e in che quantità è stato consumato;
   quali indagini mediche si intendano proporre per coloro che hanno consumato il prodotto incriminato per valutare l'impatto che ha avuto sulla loro salute e se ci sono sintomi di compromissione;
   quali misure si intendano intraprendere per tutelare la salute dei consumatori anche attraverso controlli più tempestivi e rigorosi della qualità dei prodotti messi in commercio. (4-02649)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAROCCI, TULLO, BASSO, GIACOBBE e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del passaggio della televisione dall'analogico al digitale terrestre, attuato alla fine del 2011, la regione Liguria ha svolto un'intensa attività di coordinamento e facilitazione al fine di garantire un'adeguata copertura del segnale televisivo per il servizio pubblico nazionale e locale sull'intero territorio regionale;
   una particolare attenzione è stata rivolta al superamento delle criticità connesse alla difficile orografia della Liguria per il concreto rischio che molte località, specie quelle più decentrate, venissero private della possibilità di ricevere il segnale del digitale;
   a tal fine, la regione Liguria ha censito gli impianti in collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico, sostenuto economicamente i comuni per l'adeguamento dei ripetitori, supportato le emittenti televisive locali e semplificato l’iter burocratico per le autorizzazioni;
   ciononostante, a distanza di due anni dallo switch off, la situazione ligure continua a presentare criticità dovute all'assenza totale o parziale della ricezione dei canali RAI in disparate aree del territorio regionale, soprattutto dell'entroterra;
   a tale proposito, si rammentano le numerose segnalazioni di comuni che denunciano casi di mancato ricevimento del segnale televisivo RAI che impedisce agli utenti di accedere all'intero pacchetto dei programmi del servizio pubblico;
   il gettito relativo alla tassa sul possesso dell'apparecchio televisivo confluisce nelle casse della RAI e dà diritto agli utenti di usufruire del servizio pubblico nella sua interezza –:
   se non ritenga opportuno disporre l'effettuazione di una ricognizione riferita a tutti i comuni liguri allo scopo di tracciare una mappatura, la più precisa possibile, circa l'attuale livello di copertura del segnale televisivo RAI in ambito regionale;
   sollecitare l'attivazione di un tavolo di lavoro a livello nazionale che nel breve periodo predisponga, con la collaborazione di RAI e Ministero dello sviluppo economico, un piano finalizzato all'individuazione di soluzioni tecniche in grado di garantire parità di diritti all'informazione televisiva pubblica per tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di residenza.
(5-01554)


   BORGHI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 maggio 2004 a Torino è stato sottoscritto tra la regione Piemonte, la provincia del Verbano Cusio Ossola, la provincia di Novara, la comunità montana Valle Ossola, la comunità montana Monte Rosa, la comunità montana Strona e Basso Toce, la comunità Montana Cusio Mottarone, la comunità montana dei Due Laghi, i comuni di Ameno, Anzola d'Ossola, Armeno, Bolzano Novarese, Borgomanero, Briga Novarese, Casale Corte Cerro, Colazza, Gozzano, Gravellona Toce, Invorio, Mergozzo, Miasino, Omegna, Omavasso, Pettenasco, Pieve Vergonte, Premosello Chiovenda, Vogogna, il GRTN SpA (ora TERNA) e TERNASpA il «Protocollo di intesa razionalizzazione della rete di trasmissione nazionale a 132 kV della Val d'Ossola Sud»;
   in data 10 settembre 2007 è stata formulata l'Intesa Stato – regione da parte della regione Piemonte tramite una delibera di giunta regionale (n. 29-6829);
   in data 21 dicembre 2007 il Ministero dello sviluppo economico, con decreto n. 237/EL-39/44/2007, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 4 del 24 gennaio 2008, ha autorizzato in via definitiva la costruzione e l'esercizio delle opere elettriche dell'intervento denominato «Razionalizzazione della rete di trasmissione nazionale a 132 kV della Val d'Ossola Sud», con dichiarazione di pubblica utilità delle opere;
   il progetto, così come autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico prevede per gli elettrodotti 132 kV nel tratto di attraversamento della frazione di Agrano (comune di Omegna) il passaggio da linea area a linea in cavo interrato;
   TERNA per decreto ministeriale 21 dicembre 2007 e per delibera di giunta regionale 28 dicembre 2006 n. 56-5004 ha due obblighi precisi:
    a) interrare per circa 550 metri i cavi dell'elettrodotto nella frazione di Agrano (comune di Omegna);
    b) realizzare progetto ed opere di urbanizzazione a favore del comune di Omegna nella frazione di Agrano a compensazione di un impatto ambientale riconosciuto dalla regione e dal Ministero come assolutamente necessario per il comune di Omegna (pagina 11 delibera di giunta regionale, 28 dicembre 2006 n. 56/5004);
   il punto 1 imponeva pertanto che Tema dovesse realizzare rapidamente l'interramento dei cavi come indicato espressamente nel Decreto che peraltro prevedeva, in quanto opere di pubblica utilità nazionale, che per dette opere Tema avesse titolo per fare espropri o imporre servitù e quanto servisse alla realizzazione di detta opera;
   ad oggi, le opere di interramento dei cavi in località Agrano risultano essere incompiute;
   Terna, nonostante le numerose sollecitazioni avute dall'amministrazione comunale di Omegna e dai residenti della frazione di Agrano, sarebbe inadempiente rispetto i precisi obblighi derivanti dal sopracitato decreto ministeriale 21 dicembre 2007 n. 237/EL-39/44/2007, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 4 del 24 gennaio 2008;
   la mancata realizzazione di tali opere, unitamente al potenziamento della rete avvenuto con la posa di nuovi cavi sulla linea, comporta la profonda preoccupazione per la salute dei residenti di Agrano –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di intervenire nei confronti di Terna affinchè velocizzi le procedure e proceda nel più breve tempo possibile alle opere di interramento dei cavi per garantire il rispetto degli impegni presi da Terna nei confronti del Ministero e al fine di garantire il necessario diritto alla salute dei residenti della frazione di Agrano.
(5-01555)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Sorial e altri n. 1-00194, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesci.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in commissione Mucci n. 5-01472 del 14 novembre 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Binetti e altri n. 3-00140 del 25 giugno 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02649.