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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 21 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII e la IX Commissione,
   premesso che:
    da tre decenni le amministrazioni locali e ampie rappresentanze economiche e sociali del vasto comprensorio, che include il distretto industriale ceramico di valenza europea e mondiale nelle province di Modena e Reggio Emilia, sostengono la necessità di un raccordo autostradale, che colleghi il centro dell'area, all'altezza della strada statale 467 «Pedemontana», con le autostrade A1 e A22, nel quadro di una più ampia organizzazione infrastrutturale del territorio, nel tempo in parte attuata;
    l'area interessata è oggi collegata con due linee ferroviarie minori e con due superstrade a scorrimento veloce: la strada statale n. 467 «Pedemontana» e la Modena-Sassuolo urbana, che attraverso la tangenziale della città connette alla rete autostradale;
    il progetto dell'opera, individuata come «bretella di Campogalliano-Sassuolo», è stato preceduto nel 1987 da un attento studio di fattibilità condotto dall'Amministrazione provinciale di Modena, sul cui territorio si sviluppa la prevista infrastruttura, evidenziandone gli impatti ambientali e la possibile realizzazione;
    l'opera è stata oggetto di intesa generale tra Stato e regione Emilia-Romagna e inserita tra le infrastrutture strategiche di interesse nazionale e regionale nel 2003;
    la progettazione dell'opera è stata completata da tempo e dal 2004 sono state avanzate proposte per realizzare l'infrastruttura, inserita nel programma triennale dell'ANAS 2002-2004, senza esiti, facendo ricorso, parziale o totale, a fonti di finanziamento private, da reperirsi con gli strumenti della finanza a progetto;
    il Cipe, nella riunione del 27 marzo 2008, ha approvato il progetto definitivo della bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo e il relativo finanziamento, confermato nella seduta del 22 luglio 2010;
    a seguito della revisione del progetto il costo totale dell'opera è passato dai 285 milioni di Euro stimati nel 2005 ai circa 506 milioni del progetto definitivo, a fronte di una disponibilità finanziaria stabilita dal CIPE che limita a 234.6 milioni di euro la quota pubblica, erogabile nella forma del credito d'imposta;
    la realizzazione dell'opera, in project financing, è stata recentemente affidata alla società di concessione autostradale Autobrennero;
    il progetto della bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo insiste su un'area ad alto rischio idrogeologico, ovvero per 16 chilometri sul conoide del fiume Secchia nei pressi del fiume, intercettando, come lamenta Legambiente Modena, aree di importante valore ambientale e paesaggistico, come l'oasi del Colambrone e aree del parco regionale del fiume Secchia nel frattempo costituito;
    il contenimento degli impatti ambientali delle opere infrastrutturali è interesse generale delle comunità, ed è responsabilità delle istituzioni nazionali e locali e delle autorità di governo realizzare i progetti effettivamente indispensabili;
    l'assetto infrastrutturale dell'area, integrato con il nuovo scalo merci intermodale ferroviario nei pressi di Marzaglia, nel frattempo pianificato, progettato e in fase avanzata di completamento e che richiede l'urgente ed efficiente collegamento con la rete stradale e autostradale, modifica il quadro da cui ha preso origine il progetto della «bretella»;
    le dinamiche economiche e sociali dell'area, che sta rimontando la crisi economica, sono in profonda evoluzione e cambiano le esigenze di trasporto delle merci e i flussi, anche condizionati dalla crisi e dalla riorganizzazione della produzione;
    fermo restando l'obiettivo di completare l'opera, l'importo ammissibile deliberato dal Cipe è sufficiente ad assicurare la realizzazione del suo primo stralcio funzionale, indispensabile per collegare, attraverso le opere accessorie inserite nel progetto approvato e parte degli accordi sull'alta velocità ferroviaria, l'autostrada A22 Modena-Brennero e il nuovo scalo intermodale ferroviario di Marzaglia, che de facto potrebbe migliorare i collegamenti senza ulteriori interventi, anche tenuto conto delle disponibilità finanziarie, dei costi complessivi delle opere e delle forme di remunerazione degli investimenti del concessionario;
    l'opera in oggetto consente, pur con una modesta riduzione dei tempi di percorrenza, una più agevole canalizzazione del trasporto pesante su gomma verso le autostrade e soprattutto, con il suo primo tratto da Campogalliano, verso lo scalo merci ferroviario, che costituisce un significativo contributo al trasferimento del trasporto merci sulla modalità su ferrovia in luogo di quella su gomma;
    passare «dalla gomma al ferro» è obiettivo strategico delle amministrazioni locali interessate e della regione Emilia-Romagna, tenuto conto che il Ministero dell'ambiente nel febbraio 2013 quantifica i costi ambientali a carico della collettività generati dal trasporto su gomma in 5,79 miliardi di euro all'anno i quali, se trasferiti su ferrovia, produrrebbero un risparmio di circa 3,3 miliardi di euro, pari al 57 per cento sul totale,

impegnano il Governo:

   ad assicurare gli iter di affidamento dell'opera al fine di garantire: a) il collegamento con il nuovo scalo merci intermodale di Marzaglia, infrastruttura strategica per le politiche del trasporto su ferro della regione Emilia-Romagna; b) il collegamento con Sassuolo capitale mondiale della ceramica ed infrastruttura utile a rilanciare l'economia di un territorio tuttora punto di forza delle politiche dell’export nel nostro Paese;
   a contenere gli impatti ambientali generali e specifici dell'opera, realizzando i tracciati necessari ad assicurare la piena intermodalità dei trasporti dell'area e aggiornando gli elementi relativi alla fattibilità dell'intero progetto, come previsto dalla pianificazione locale vigente, riaffermando l'impegno verso l'ulteriore potenziamento dei collegamenti ferroviari, per persone e merci, dell'area;
   ad assicurare le coperture finanziarie già deliberate dal Cipe, al fine di procedere quanto prima, nell'ottica del contenimento della spesa pubblica e nei limiti delle effettive disponibilità.
(7-00180) «Bratti, Tullo, Baruffi, Richetti, Incerti, Marchi, Ghizzoni, Carlo Galli, Borghi, Patriarca, Giuditta Pini, Gandolfi, Iori».


   Le Commissioni IX e XI,
   premesso che:
    sebbene il trasporto aereo abbia un ruolo fondamentale per il rilancio dell'Italia sul fronte del mercato turistico e dei trasporti globali, Alitalia risulta essere, ad oggi, una compagnia aerea sull'orlo del fallimento a causa della mala gestione, che negli ultimi 10 anni è costata ai contribuenti circa 5 miliardi e 187 milioni di euro e ha determinato la perdita di migliaia di posti di lavoro attraverso operazioni che, invece, di risollevare le sorti della compagnia, ad avviso dei firmatari del presente atto, hanno, esclusivamente, permesso ad una nota cordata di imprenditori di trarre profitto;
    per un'analisi dell'attuale situazione di Alitalia, è necessario ripercorrere le vicende storiche partendo dall'anno 2008, tempo in cui si è paventata la possibilità di un'acquisizione della società da parte di Air France-KLM che, anche nell'attuale crisi della compagnia, si era proposta come un potenziale compratore;
    nel marzo 2008, Alitalia accettava l'offerta vincolante di Air France-KLM, che prevedeva un'offerta pubblica di scambio sul 100 per cento delle azioni di Alitalia con una permuta di 160 azioni Alitalia per ogni azione Air France-KLM e un'offerta pubblica di acquisto sul 100 per cento delle obbligazioni convertibili Alitalia, per un valore dell'operazione di circa 1,7 miliardi di euro;
    la trattativa con Air France è poi naufragata poiché costituiva motivo di scontro durante le elezioni politiche del 2008, in quanto, il capo della coalizione della Casa delle libertà, Silvio Berlusconi, affermando di volere garantire l’«italianità» della Compagnia aerea, vinte le elezioni, chiedeva e otteneva dal dimissionario Governo Prodi un prestito di 300 milioni di euro ad Alitalia, attuato con decreto-legge 23 aprile 2008, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2008, n. 111, da restituirsi entro il 31 dicembre dello stesso anno;
    tale prestito non solo non è stato mai restituito ma, per di più, era esplicitamente subordinato alla vendita di Alitalia, e non ad altre manovre quali la cessione di un ramo d'azienda o dei beni produttivi dell'azienda, come poi in concreto è avvenuto;
    il Governo successivo ha affidato a Corrado Passera di Intesa San Paolo il ruolo di advisor per arrivare a una celere privatizzazione della compagnia di bandiera ed è in tale contesto che è nato il cosiddetto «piano Fenice», che ha comportato la divisione dell'Alitalia in due società, una new company in cui fare confluire tutti i beni produttivi dell'azienda (i marchi, gli slot e gli aerei), e una seconda società, la bad company, cui sarebbero rimasti tutti i debiti e che sarebbe andata in amministrazione straordinaria;
    in base a tale piano i lavoratori non sono stati inseriti nella «nuova compagnia» insieme ai beni produttivi, difatti, la new company ha provveduto alla stipula di nuovi contratti di lavoro, selezionando il personale e procedendo all'esclusione di molti lavoratori;
    si è trattato, dunque, di un'atipica cessione di ramo di azienda che ha visto la cessione solo dei beni produttivi di reddito, a giudizio dei firmatari del presente atto in violazione dei principi del diritto del lavoro e, in particolare, di quanto previsto all'articolo 2112 del codice civile che stabilisce: «in caso di trasferimento di azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano»;
    pur di permettere tale anomala operazione, per superare il dettato codicistico è stato emesso il decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, che non solo rende possibile tale operazione ma, all'articolo 3 garantisce, altresì, l'impunità per ogni atto compiuto dagli amministratori in danno alla società: di fatto un esonero di responsabilità per gli artefici della svendita, secondo i firmatari del presente atto in contrapposizione ai più elementari principi di diritto;
    in seguito all'entrata in vigore del predetto decreto, il consiglio di amministrazione di Alitalia ha ammesso lo stato di insolvenza e ha chiesto l'amministrazione straordinaria, concessa appena il giorno successivo dal tribunale, nominando un commissario straordinario, Augusto Fantozzi;
    il 26 agosto 2008, nasceva su iniziativa di Intesa San Paolo, la CAI srl – Compagnia aerea italiana, trasformata poi in spa, col proposito di rilevare il marchio e le attività della vecchia Alitalia e di Air One;
    la CAI spa, presieduta dall'imprenditore Roberto Colaninno, vedeva un assetto sociale con alcuni noti imprenditori operanti nel settore delle commesse e degli appalti pubblici (tra questi lo stesso Colaninno, tramite IMMSI, Tronchetti Provera, Intesa Sanpaolo, il gruppo Benetton tramite Atlantia, il gruppo Marcegaglia, il gruppo Aponte, Bellavista Caltagirone, tramite Acqua Marcia, il gruppo Riva, il gruppo Fratini tramite Fingen, Equinox, Clessidra, il gruppo Toto e il gruppo Fossati tramite Findim, il gruppo Gavio tramite Argo; Davide Maccagnani tramite Maccae, il gruppo Ligresti tramite Fondiaria SAI);
    nel gennaio 2009, entra tra gli azionisti Air France-KLM, acquistando una quota azionaria del 25 per cento, pagando una quota di 322 milioni di euro;
    la quota acquisita da Air France era superiore a quella di ogni altro azionista in contrasto con l'accordo quadro del 14 settembre 2008 tra Governo, CAI e sindacati, che prevedeva che il socio estero partecipasse al capitale «con una quota di minoranza e in ogni caso non superiore a quella massima riservata agli attuali soci»;
    ebbene, l'avventura della cordata d'imprenditori, che si proposero come i «salvatori» della compagnia aerea di bandiera, i cosiddetti «capitani coraggiosi», iniziata nel 2008 sotto il Governo Berlusconi, ha avuto un decorso tristemente noto, poiché dopo avere sborsato circa 100 milioni di euro per comprare degli asset produttivi, probabilmente stimati in difetto poiché valevano circa dieci volte tanto, l'ex compagnia di bandiera ha «tirato avanti» in assenza di un piano industriale per trovarsi cinque anni dopo nuovamente sull'orlo del fallimento;  
    in pratica, dal 2008 ad oggi, vi è stato un esborso di denaro pubblico calcolato tra sei e otto miliardi di euro, considerati anche gli interventi a tutela dell'occupazione, nonché la trasformazione della compagnia di bandiera in un piccolo vettore regionale di fatto, con costi da compagnia tradizionale ma con poche linee di lungo raggio;
    la situazione attuale è quella che vede Alitalia perdere circa 630.000 euro al giorno e si deve rifinanziare per non fallire, sicché, dopo quattro anni, la cordata di imprenditori non solo non ha aiutato a trovare una soluzione alla crisi della compagnia, ma, anche a causa delle vicende giudiziarie di alcuni degli stessi, ha determinato una completa paralisi della compagnia, che non ha sviluppato piani industriali credibili;
    l'11 ottobre 2013 il consiglio di amministrazione di Alitalia ha votato all'unanimità l'aumento di capitale per consentire alla compagnia aerea di sopravvivere;  
    all'operazione, che porterà nelle casse della compagnia un totale di 500 milioni di euro, dovrebbe intervenire Poste Italiane entrando nel capitale della società con 75 milioni di euro, mentre, è dell'11 novembre 2013 la notizia che Air France non parteciperà all'aumento di capitale;
    deve ancora essere definito il piano attraverso il quale verrà effettuata una ricapitalizzazione, dalle ultime notizie apparse sui giornali, il progetto di rilancio della compagnia, su cui sta lavorando l'amministratore delegato Gabriele Del Torchio, si propone l'obiettivo di ottenere risparmi per 250 milioni di euro da realizzare, tra l'altro, attraverso pesanti tagli del personale;
    lo stesso Ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato ha affermato che il nuovo piano di Alitalia comporterà «grossi problemi» legati ai tagli dei posti di lavoro che potrebbero riguardare addirittura 4.000 lavoratori circa;
    si è, dunque, in attesa di conoscere i termini del definitivo piano per risollevare le sorti della compagnia, con un unico dato che appare certo, ossia che il piano comporterà gravosi tagli del personale e delle retribuzioni;
    gli ultimi anni di gestione della compagnia hanno dimostrato che non è con i tagli del personale che può essere superata la perdurante crisi di Alitalia, ma con un piano che consenta alla stessa di essere produttiva considerando che una società che perde un miliardo di euro l'anno e che è riuscita a raddoppiare le perdite nel primo semestre 2013 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, è un'impresa che non crea reddito;
    occorre pertanto elaborare in tempi rapidi un piano che tenga conto del riequilibrio dei conti e dei ricavi e che al tempo stesso preveda le misure necessarie per garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali e dei redditi dei lavoratori;
    nell'elaborazione del nuovo piano per salvare la compagnia, non è possibile prescindere da una seria riflessione sulle vicende di Alitalia degli ultimi anni onde evitare che ancora una volta, per «risollevare» apparentemente le sorti della società, la politica del Paese metta in atto una serie di manovre affaristiche caratterizzate da quello che ai firmatari del presente atto appare un «malsano» intreccio tra finanza, imprenditoria e politica, a discapito dei lavoratori della compagnia stessa nonché dei contribuenti,

impegnano il Governo:

   a promuovere immediatamente un tavolo di confronto a livello governativo sulla questione Alitalia con le parti sociali rendendo tempestiva informazione alle competenti Commissioni parlamentari;
   ad adottare azioni finalizzate ad una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali, al fine di individuare un piano di intervento per il rilancio delle attività che consenta di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali e i redditi dei lavoratori, promuovendo in tempi rapidi audizioni con esperti del settore che contribuiscano allo studio di concrete soluzioni per attuare un rilancio aziendale della società in oggetto;
   ad assumere iniziative – di tipo normativo – volte all'abrogazione dell'articolo 3 del decreto-legge n. 134 del 2008 promosso dal Governo Berlusconi che, a tutt'oggi, prevede l'esonero da responsabilità degli amministratori, dei componenti del collegio sindacale, dei dirigente preposti alla redazione dei documenti contabili societari per i fatti da loro commessi.
(7-00181) «Rizzetto, Catalano, Ciprini, Tripiedi, Baldassarre, Bechis, Rostellato, Cominardi».


   La X Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 3 della legge 6 agosto 2013, n. 97, legge europea 2013, consentirà alle guide turistiche di altri Stati membri di effettuare visite guidate in tutta Italia, senza accertarne le competenze e senza verificarne l'effettiva professione, mentre il diritto europeo non lo impone;
    in particolare, il comma 1 dell'articolo 3, che prescrive la creazione di una guida turistica abilitata per l'intero territorio nazionale, con un unico esame, non sembra essere applicabile perché è impossibile acquisire una conoscenza approfondita, interdisciplinare, nonché logistica dell'intero e consistente patrimonio storico, culturale e ambientale italiano, del quale si deve avere conoscenza diretta;
    il patrimonio italiano è immenso e ampiamente differenziato perché lascito di popolazioni con storia, cultura e tradizioni evolutesi e stratificatesi nei secoli in modo differente;
    la previgente normativa consentiva l'approfondimento della conoscenza del patrimonio e l'acquisizione delle competenze necessarie per l'esercizio della professione in ambiti territoriali limitati ma non impediva la graduale acquisizione di altre conoscenze e ulteriori competenze relative a un ampliamento dell'area di esercizio tramite l'estensione territoriale dell'abilitazione;
    il comma 2 dell'articolo 3 sottopone, inoltre, indebitamente le guide turistiche italiane alla cosiddetta direttiva servizi 2006/123/CE, citata dalla Commissione europea a motivazione dell'avviso di procedura Caso EU Pilot 4277/12/MARK;
    tale scelta non è condivisibile posto che l'attività di guida turistica è un'attività professionale e quindi le guide turistiche ricadono sotto la disciplina della direttiva 2005/36/CE sulle qualifiche professionali che è in fase di revisione;
    sottoporre le guide turistiche italiane alla direttiva servizi finisce con il consentire lo svolgimento dell'attività di guida turistica alle guide provenienti da altri Stati membri, in regime di libera prestazione dei servizi, senza la necessaria abilitazione;
    inoltre, da tempo, non si rilasciano più «autorizzazioni» per l'esercizio della professione di guida turistica, bensì tessere professionali, il testo dell'articolo 3 sembra essere ripreso da una norma abrogata per gli innumerevoli equivoci che aveva creato sull'applicazione della disposizione europea riguardante la libera prestazione di servizi, favorendo l'abusivismo internazionale;
    il considerando (31) della direttiva 2006/123/CE, che trova applicazione nell'articolo 3 della stessa direttiva, specifica che essa non pregiudica la precedente direttiva 2005/36/CE, perché: «riguarda questioni diverse da quelle delle qualifiche professionali, quali l'assicurazione di responsabilità professionale, le comunicazioni commerciali, le attività multidisciplinari e la semplificazione amministrativa» e per quanto concerne la prestazione di servizi transfrontalieri a titolo temporaneo, questa non incide su nessuna delle misure applicabili a norma della direttiva 2005/36/CE nello Stato membro in cui viene fornito il servizio;
    l'articolo 5 della direttiva 2005/36/CE, al paragrafo 3, precisa che il professionista, in caso di prestazione temporanea ed occasionale in altro Stato membro, è soggetto alle norme professionali dello Stato ospitante relative alla qualifica e ad altro, infatti l'articolo 57 del Trattato Istitutivo dell'Unione europea (Capo III, Servizi) ha stabilito che «il prestatore può, per l'esecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nel paese ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte del paese stesso ai propri cittadini», e non impone il contrario, come si sta facendo con l'articolo 3 della legge 6 agosto 2013, n. 97;
    la stessa Commissione europea, poiché in Europa vige il principio di sussidiarietà in merito alle professioni e ai beni culturali, nella risposta all'interrogazione parlamentare E-3013/00, con riferimento alla professione di guida turistica, ha ricordato che «gli Stati membri hanno facoltà di determinare le norme per l'accesso e l'esercizio della professione all'interno del loro territorio»;
    inoltre, nel commento della Commissione europea del 19 ottobre 2007 (petizione 0086/2007), si afferma, proprio riguardo all'esercizio della professione di guida turistica limitato al solo ambito regionale, che: «Ogni Stato membro resta libero di disciplinare questa professione e di stabilire il tipo e il livello di qualifiche necessarie per esercitarla. Pertanto, uno Stato membro ha anche la discrezione di decidere se disciplinare l'accesso alla professione e l'esercizio della stessa a livello nazionale, ovvero delegare le competenze in ambito legislativo ed esecutivo a livello inferiore dell'amministrazione territoriale, come ha fatto l'Italia»;
    la Commissione ha concluso che per quanto riguarda la citata petizione «non si ravvisa alcuna violazione del diritto dell'Unione europea»;
    il richiamato articolo 3 della legge 6 agosto 2013, n. 97, consente agli accompagnatori provenienti da altri Paesi membri, ingaggiati da tour operator stranieri, di sostituirsi alle guide e agli accompagnatori abilitati in Italia nell'esercizio di entrambe le professioni, lasciando senza lavoro 40.000 professionisti, con gravi conseguenze per le loro famiglie;
    serve pertanto un approccio equilibrato alle ragioni della concorrenza tale da consentire una piena valorizzazione della straordinaria ricchezza e unicità del patrimonio italiano di beni artistici, monumentali e culturali;
    la sentenza della Corte di giustizia europea del 1991 ha stabilito che la corretta illustrazione del patrimonio culturale è parte integrante della sua tutela, la stessa direttiva 2006/123/CE permette deroghe all'esercizio di un'attività su tutto il territorio nazionale per «motivi imperativi di interesse generale» ed include tra questi la tutela del patrimonio culturale;
    a causa dell'infinita ricchezza dei beni culturali del nostro Paese, le leggi italiane hanno stabilito che le abilitazioni all'esercizio della professione di guida sono provinciali o regionali, non esiste dunque un'abilitazione nazionale che sia possibile estendere alle guide e tanto meno agli accompagnatori degli Stati membri;
    l'Italia non può permettersi di distruggere per il presente e per il futuro le opportunità di lavoro per i giovani e meno giovani nel campo dell'illustrazione del patrimonio culturale nazionale e deve, anzi, rivendicare in Europa la «specificità culturale italiana»;
    l'articolo 3 della legge 6 agosto 2013, n. 97, inoltre, crea confusione sulle norme da applicare non essendo chiarito che validità avranno le attuali 20.000 abilitazioni di guida provinciali o regionali, le leggi regionali in vigore, quali sono i titoli di studio di accesso alla professione, quale è la formazione necessaria per esercitare la professione di guida su tutto il territorio nazionale, quale tipo di esami di abilitazione occorre superare, e altro;
    il Governo, in sede di approvazione della legge 6 agosto 2013, n. 97 ha accolto l'ordine del giorno n. 9/1327/23 impegnandosi a una revisione organica e complessiva della disciplina relativa all'esercizio della professione di guida turistica, assicurando la valorizzazione e la tutela del patrimonio storico e artistico nazionale, nonché la tutela del turista e del fruitore dei beni culturali, e riconoscendo, anche sulla base della direttiva europea qualifiche in fase di modificazione, la specifica e peculiare professionalità delle guide italiane,

impegna il Governo

a promuovere, con urgenza, una revisione organica e complessiva della disciplina relativa all'esercizio della professione di guida turistica, in conformità agli indirizzi di cui all'ordine del giorno n. 9/1327/23.
(7-00182) «Petitti, Taranto, Benamati, Basso, Bini, Del Basso De Caro, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Mariano, Montroni, Nardella, Portas, Senaldi».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di castagne (Castanea sativa Miller), primo esportatore per valore degli scambi e secondo per quantità scambiate, dopo la Cina;
    il castagno svolge da sempre un ruolo preminente tra le formazioni forestali italiane, non soltanto per la produzione delle castagne ma anche per l'elevata produttività, la qualità e la varietà degli assortimenti legnosi. Nei 10,5 milioni di ettari occupati da boschi, la frazione investita a castagno rappresenta oltre il 7 per cento di quella forestale, per un totale di circa 780.000 ettari;
    le regioni maggiormente investite a castagno sono il Piemonte, la Toscana e la Liguria che detengono oltre il 50 per cento del patrimonio nazionale, mentre con la Lombardia, la Calabria, la Campania, l'Emilia Romagna ed il Lazio che hanno un patrimonio superiore a 30.000, si giunge al 90 per cento;
    i castagneti rappresentano inoltre un elemento paesaggistico e naturalistico caratterizzante delle stazioni di alta-collina e/o media montagna, ubicandosi nella zona media dei versanti, nella fascia altitudinale compresa tra i 501-1000 metri sul livello del mare e più in dettaglio tra 601-900 metri sul livello del mare, dove sono ospitati rispettivamente il 66,56 per cento e 43,43 per cento;
    il castagno europeo (Castanea sativa Miller) presente in Italia e nel resto d'Europa produce frutti eduli con caratteristiche organolettiche differenti spesso superiori rispetto alle specie asiatiche (Castanea crenata Siebold e Zucc. – castagno giapponese, Castanea mollissima Blume – castagno cinese, e loro ibridi);
    la produzione italiana si aggira tra le 50 mila e le 70 mila tonnellate con una quota sulla produzione mondiale che è passata dall'11 per cento al 4 per cento a causa dell'aumento della produzione cinese;
    l'Italia rimane il principale produttore europeo con il 30 per cento della produzione, seguita da Turchia e Portogallo con rispettivamente il 29 per cento e il 15 per cento e da Grecia, Francia e Spagna con percentuali tra il 5, per cento e il 9 per cento;
    il numero delle aziende agricole e della superficie investita a castagneto da frutto dal 1970 al 2007 mostrano una drastica diminuzione, riducendosi rispettivamente del 75 per cento e del 62 per cento, e tra il 2000 e il 2003 si assiste ad un fenomeno di ristrutturazione dei castagneti coltivati che porta ad una ulteriore riduzione del 50 per cento del numero delle aziende e del 30 per cento delle superfici, con un numero di castanicoltori nel 2007, pari a 34 mila unità;
    le aziende castanicole sono di piccola-media dimensione, con l'80 per cento ed il 40 per cento della superficie ricompresa nella classe di SAU 0-5 ettari, mentre la superficie media investita a castagneto da frutto è di circa 1 ettaro;
    le castagne sono uno dei prodotti di qualità certificata, con 17 prodotti fra DOP e IGP, che sommati ai 101 prodotti tradizionali raggruppano ben 118 prodotti di qualità a base di castagne;
    le cause della crisi che investe il settore castanicolo sono da ricercare, oltre che nel fenomeno di interdipendenza economica che va sotto il nome di «globalizzazione», nella massiccia infestazione delle superfici investite da parte del cinipide del castagno (Dryocosmus kuriphilus Yatsumatsu), un imenottero particolarmente dannoso, originario della Cina ma ormai ampiamente diffuso in Giappone, Corea, Nepal e Stati Uniti; nonostante alcune misure di eradicazione e contenimento, l'insetto si sta diffondendo anche in tutta Europa;
    la presenza dell'insetto è stata registrata per la prima volta in Italia, nel 2002 in provincia di Cuneo sebbene la sua introduzione sia avvenuta probabilmente alla fine degli anni ’90. Nel 2004 è stato segnalato nella provincia di Viterbo. L'introduzione è avvenuta a seguito dell'importazione di materiale vegetativo (marze) non adeguatamente certificato dal punto di vista fitosanitario, posto che l'insetto, prima della ripresa vegetativa, si trova all'interno delle gemme, ed è pertanto difficoltoso rilevarne la presenza;
    gli attacchi di questo temibile fitofago, che colpisce sia il castagno europeo, selvatico o innestato, sia gli ibridi euro-giapponesi, determinano danni molto gravi, con perdite rilevanti non solo per quanto riguarda la produzione dei frutti, ma anche con riferimento agli accrescimenti legnosi, a seguito del forte depauperamento delle strutture vegetative della pianta;
    la pianta infestata dal cinipide è sottoposta inoltre ad un notevole stress ed è pertanto soggetta all'attacco di altre malattie endemiche e non, come il mal dell'inchiostro e il cancro corticale, aggravando ulteriormente il quadro fitosanitario generale;
    secondo le stime delle associazioni di categoria riportate anche sulla stampa locale delle provincie interessate, nell'annata 2013 a seguito dell'infestazione, si sono avute perdite di produzione di castagne dell'ordine del 90-100 per cento, perdite localizzate soprattutto nei territori del Centro-sud,

impegna il Governo:

   a promuovere su tutto il territorio nazionale l'unica forma di lotta efficace al cinipide, quella biologica, attraverso l'introduzione del parassitoide Torymus sinensis Kamijo, come riportato nel piano castanicolo nazionale approvato dalla Conferenza Stato regioni nella seduta del 18 novembre 2010;
   a vietare nelle aree di infestazione i metodi di lotta tradizionale per almeno un quinquennio, come definito anche dal decreto legislativo 14 agosto 2012 n. 150;
   a individuare, anche in collaborazione con gli enti di ricerca universitari e privati di comprovata esperienza, adeguate procedure di verifica e quantificazione dei danni;
   a predisporre, di intesa con le regioni interessate, un protocollo operativo che delinei le modalità di gestione ed indichi misure e pratiche di recupero dai castagneti danneggiati al fine di contenere l'infestazione;
   a promuovere, nelle opportune sedi comunitarie e previa verifica delle misure adottate da altri Stati membri, tutte le iniziative affinché siano accordate, in considerazione delle esigenze della castanicoltura italiana le eventuali necessarie deroghe al quadro normativo comunitario;
   a intraprendere ogni utile iniziativa volta a migliorare la qualità del materiale vivaistico, con l'obiettivo di minimizzare i rischi di diffusione di organismi nocivi, di mettere a punto un protocollo nazionale di certificazione del materiale vivaistico di castagno e conseguentemente di elaborare protocolli di produzione vivaistica che garantiscano la tracciabilità nei diversi passaggi di filiera, prevedendo adeguate sanzioni;
   a mettere a punto un metodo per la valutazione del danno commerciale causato dall'infestazione del cinipide, in termini di perdita di produzione;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per prevedere misure di sostegno al reddito per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali conduttori di castagneti, iscritti nel registro delle imprese di cui all'articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, che svolgono questa attività in modo prevalente ai sensi del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 e che attuino le misure di lotta biologica.
(7-00177) «Massimiliano Bernini, Parentela, Benedetti, Gallinella, Gagnarli, L'Abbate, Lupo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nel Salento, in particolare nella zona di Gallipoli, si sta propagando un preoccupante fenomeno denominato «Complesso del disseccamento rapido dell'olivo» (CDRO) una minaccia ecologica che ha recentemente suscitato grandi preoccupazioni tra gli addetti ai lavori e i semplici ammiratori di queste piante secolari;
    si tratta di una malattia che si manifesta con il disseccamento della chioma a zone, estendendosi via via a tutto l'albero e terminando con la morte della pianta;
    sull'effettività della natura e del livello di potenziale diffusione di tale malattia non si hanno ancora dati oggettivi ripetibili e scientificamente provati ma dalle prime verifiche sembra di poter presumere che si possa trattare di una piaga assai seria e insidiosa;
    invero, si riscontra che la moria degli ulivi è cominciata quasi silenziosa nel Salento leccese, nell'area intorno a Gallipoli, circa due anni fa. I primi focolai, di modesta estensione, erano stati scambiati per attacchi di una malattia localmente endemica, nota come «lebbra delle olive», causata da un fungo. Il CDRO è invece esploso improvvisamente negli ultimi mesi, interessando, al momento, un'area di circa 80 chilometri quadrati;
    i ricercatori fitopatologi dell'università e del CNR di Bari stanno svolgendo delle indagini sulla causa della malattia, da quanto riportano dalla pubblicistica specializzata (http://www.nationaleeographic.it), i ricercatori in questione, in particolare il capo del laboratorio che si sta occupando della natura della malattia, avrebbero dichiarato che sembrerebbe verosimile che quanto sta accadendo possa essere il risultato dell'azione di tre diversi attori: il lepidottero Zeuzera pyrina (rodilegno giallo), le cui larve scavano delle gallerie nel tronco e nei rami dell'olivo che facilitano l'ingresso del secondo attore, un complesso di funghi microscopici del genere Phaeoacremonium. Il terzo attore è il batterio Xylella fastidiosa;
    la sintomatologia e la rapidità della diffusione della malattia avevano portato i predetti ricercatori a ritenere probabile il coinvolgimento del batterio Xilella fastidiosa e di fatto le analisi molecolari effettuate avevano confermato tale presunzione. La presenza del batterio nei tessuti fogliari degli olivi malati è stata successivamente confermata da osservazioni al microscopio elettronico che lo hanno identificato nei vasi legnosi;
    di certo, al momento non è possibile fornire rapporti inconfutabili al riguardo e appare necessario effettuare ulteriori e più ampie analisi;
    sulla specifica azione del batterio Xilella fastidiosa sono state incentrate le maggiori attenzioni degli organi regionali e nazionali competenti in materia di sicurezza sanitaria ed ambientale anche al fine di prevenire possibili stati epidemici difficilmente gestibili con il rischio di compromettere la sopravvivenza degli uliveti interessati;
    il servizio fitosanitario della regione Puglia ha segnalato, a partire dall'inizio del mese di ottobre 2013, al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali la presenza di un focolaio del batterio patogeno;
    il batterio è portato da alcuni insetti, i cicadellidi, tra cui una piccola cicala, i quali diffondono a breve e medio raggio lo stesso batterio. La diffusione su lunghe distanze è da correlarsi ad attività umane come il commercio di materiale di moltiplicazione infetto. La presenza del batterio impedisce l'idratazione della pianta, provocando dapprima il disseccamento della chioma, poi l'imbrunimento del legno fino alla morte della pianta;
    il fitopatogeno è un batterio inserito nella lista comunitaria degli organismi nocivi da quarantena, mai precedentemente riscontrato in Europa. In America, areale di origine del batterio, è causa di numerose patologie a carico di molteplici colture vegetali e con conseguenze economiche rilevanti;
    il servizio fitosanitario della regione Puglia ha avviato le necessarie indagini in collaborazione con gli esperti di patologia vegetale dell'università di Bari e dell'istituto di virologia vegetale del CNR di Bari;
    si stima che circa 600 mila alberi di ulivo potrebbero dover essere sradicati e che in caso di malattia conclamata, i danni potrebbero ammontare a decine di milioni di euro; la sola buona notizia, ad ogni modo, è che non ci sarebbero conseguenze sulle olive e sull'olio d'annata perché il batterio è un patogeno del legno;
    in Puglia ci sono oltre sessanta milioni di piante di ulivo e l'intero Mezzogiorno d'Italia è l'area europea dove maggiore è la densità degli ulivi;
    riscontri del sintomo di bruscatura delle foglie si hanno, a nord della provincia di Lecce, in altre piante di ulivi di alcuni territori delle provincie di Bari e Foggia e, a Sud, nel litorale jonico del Nord della Calabria;
    considerata la grave minaccia per le produzioni agricole pugliesi nonché per l'intero territorio nazionale, la questione è stata immediatamente affrontata dal comitato fitosanitario nazionale il quale, in data 22 ottobre 2013, ha definito le misure fitosanitarie da adottare in via prioritaria per evitare la diffusione;
    la giunta regionale ha vietato la movimentazione a qualsiasi titolo delle piante e del materiale di propagazione sensibile al patogeno, contrastando l'estensione della malattia ad altri territori attraverso l'attività vivaistica e ha disciplinato le misure di monitoraggio e di eradicazione della batteriosi nelle aree contaminate;
    il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha stanziato per le prime emergenze nella provincia di Lecce e in aree limitrofe la somma di euro 200 mila per garantire sul territorio una task force di 25 tecnici per l'attività urgente di campionamento;
    la regione Puglia coopererà alla copertura delle analisi per un costo stimato di euro 300.000;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha portato all'attenzione delle istituzioni europee la problematica affinché possa essere adottata ogni utile misura di intervento in linea con le disposizioni comunitarie in materia fitosanitaria e per concordare le modalità di accesso al cofinanziamento dell'Unione europea per la lotta agli organismi nocivi ai vegetali;
    in casi analoghi, come quello occorso in Portogallo con la propagazione del bursaphelenchus xylophilus (Steiner et Buhrer) Nickle et al.(nematode del pino), la Commissione europea, con la decisione 2006/923/CE, ha approvato un programma di misure per l'estirpazione dell'agente patogeno, accordando un contributo finanziario che ha coperto fino al 75 per cento delle spese rimborsabili;
    il 5 novembre 2013 con il direttore della direzione generale per la salute e i consumatori della Commissione europea è stato definito un primo programma di intervento per il quale l'Unione europea potrebbe accordare un cofinanziamento al 50 per cento dei costi che, in caso di effettiva presenza della malattia, dovranno essere sostenuti dall'Italia per il monitoraggio e l'eradicazione della batteriosi;
    resta il fatto che il batterio in questione rientra tra le fattispecie delle fitopatie o infestazioni parassitarie, causate alle produzioni vegetali da organismi nocivi per i quali non esistono efficaci metodi di lotta e per cui, in caso di sua attività, si deve ricorrere all'abbattimento ed eventuale distruzione delle piante colpite. In tali circostanze gli agricoltori devono sottostare agli obblighi di quarantena, ossia ad un isolamento forzato delle coltivazioni colpite al fine di limitare la diffusione dello stato pericoloso;
    come sopra riportato, ancora non sono chiari l'origine e la natura del fenomeno in questione e, se si trattasse del batterio della Xylella fastidiosa, non è noto come esso possa esser entrato nelle coltivazioni olivicole pugliesi. In tal caso, non si potrebbe scartare anche l'ipotesi di introduzione tramite innesti o piantumazione di nuove piante o talee di olivo importate. In tal caso andrebbe ad ogni modo effettuata una Campagna di indagini e di rintracciabilità volta ad accertare la possibile provenienza e l'eventuale livello di distribuzione effettuata;
    nelle circostanze attuali non si è ancora in grado di poter esprimere giudizi definitivi e ripetibili sulla causa effettiva della moria degli olivi salentini, pur potendo presumere che il maggior indiziato sia effettivamente il batterio Xylella fastidiosa, ma l'allarme dev'essere alto e le misure di prevenzione devono ad ogni ad ogni modo essere adottate,

impegna il Governo:

   ad adottare, in collaborazione con le regioni, segnatamente la regione Puglia e le altre regioni a vocazione olivicola, nonché con i servizi fitosanitari interessati e gli enti di ricerca competenti in materia, ogni più utile ed urgente iniziativa volta a fare chiarezza sul fenomeno del disseccamento rapido e della moria degli olivi, attualmente presente nel territorio del Salento ed in altre aree olivicole pugliesi;
   a provvedere affinché siano urgentemente attivate e sostenute politiche di controllo alle frontiere ed interventi di profilassi, nonché azioni di monitoraggio e di rintracciabilità volte sia ad accertare l'eventuale avvenuta introduzione dall'estero del batterio Xylella fastidiosa e sia ad impedirne, in caso di verifica positiva, il rischio di veicolazione;
   a prevedere azioni e misure preventive e di sostegno per gli agricoltori e le aziende olivicole pugliesi interessate, facendo fronte ai possibili danni al tessuto economico regionale statuendo in caso le indagini scientifiche in corso accertassero la presenza e l'attività del parassita Xylella fastidiosa, e statuendo conseguentemente l'obbligo dell'attuazione delle prescrizioni di prevenzione e lotta obbligatoria con relativa estirpazione e distruzione degli alberi malati;
   a verificare la possibilità che l'Unione europea intervenga finanziariamente, se del caso coprendo oltre il 50 per cento delle spese sostenute nell'ambito del programma d'intervento che sarà concordato, affinché siano attivati appositi studi e ricerche sulle cause della malattia che sta colpendo gli olivi del Salento e siano definite le modalità di risarcimento volte a compensare, almeno parzialmente, il danno patito dai singoli produttori a fronte di un interesse collettivo di prevenzione e tutela.
(7-00178) «Oliverio, Mongiello, Terrosi, Tentori, Valiante, Cenni, Pelillo, Venittelli, Scalfarotto, Cova, Bellanova, Losacco, Ventricelli, Capone».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il castagno assume una notevole rilevanza economica e sociale in molte aree interne collinari e montane del nostro Paese, ivi svolgendo un ruolo fondamentale non solo per la produzione dei frutti, alcuni tutelati con il riconoscimento della denominazione d'origine, e del legname, ma anche per la funzione di presidio del territorio e di salvaguardia dell'assetto ambientale e idrogeologico;
    la castanicoltura è, infatti, fondamentale nel contribuire alla formazione del reddito di tante imprese agricole di collina e di montagna, le quali sarebbero, in mancanza di tale fonte, costrette a chiudere ed abbandonare i territori, bisognosi, invece, di un presidio umano costante che possa scongiurare fenomeni, purtroppo assai frequenti, di dissesto idrogeologico, di incendi, nonché di modifica delle caratteristiche proprie del paesaggio italiano;
    la tradizione legata alla coltivazione della castagna rischia oggi di essere messa a repentaglio dalla diffusione di un insetto parassita, il «cinipide galligeno del castagno» (Dryocosmus kuriphilus), originario dei Paesi dell'Oriente (Cina), che attacca le piante, riducendo drasticamente, quantitativamente e qualitativamente la produzione dei frutti e pregiudicando la stessa sopravvivenza degli alberi;
   è prevalentemente riconosciuto che il metodo di lotta più efficace e ad ogni modo maggiormente compatibile con gli equilibri ambientali e naturali dei territori castanicoli consiste nell'immissione di un altro parassita orientale antagonista e specie-specifico, il «Torymus sinensis», capace di rendere non infestanti le larve di Cinipide;
    tale metodo di contrasto non è in grado di produrre risultati efficaci immediati, occorrendo, pertanto, predisporre misure di sostegno per i produttori;
    l'Italia è il terzo produttore mondiale di castagne, dopo la Cina e la Corea, con una superficie di coltivazione pari al 7,5 per cento delle superfici boscate, ovvero 780.000 ettari, di cui 55.908 ettari da frutto condotte da 34.160 imprese, e con una produzione dai 50 ai 70 milioni di chilogrammi di castagne, così distribuito: il 46 per cento in Campania (di cui circa il 60 per cento nella provincia di Avellino), il 18 per cento in Calabria, il 16 per cento nel Lazio, il 7,7 per cento in Toscana, il 5 per cento in Piemonte mentre quantità più ridotte si registrano in Toscana, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna;
    la produzione castanicola italiana, in termini di quota sulla produzione mondiale, è, tuttavia, passata dall'11 per cento al 4 per cento a causa dell'aumento della produzione cinese;
    tale andamento si riverbera negativamente anche sulla capacità di competere delle aziende e diventa una concausa della drastica riduzione sia del numero delle imprese agricole, sia della superficie investita. In circa 30 anni, le aziende si sono ridotte del 75 per cento e la superficie investita in castagneto da frutto del 62 per cento;
    in particolare, tra il 2000 e il 2003 vi è stata una drastica ristrutturazione dei castagneti coltivati, che ha portato alla riduzione del 50 per cento del numero delle aziende e del 30 per cento delle superfici;
    già nella XVI legislatura il settore castanicolo, ed in particolare, lo stato di crisi che già caratterizzava il comparto, ha costituito oggetto di specifiche risoluzioni approvate dal Parlamento: il riferimento è, in particolare, alla risoluzione n. 7-00153, approvata il 27 luglio 2011 dalla 9a Commissione del Senato della Repubblica ed alla risoluzione n. 8-00128, approvata il 22 giugno 2011, dalla XIII Commissione della Camera dei deputati;
    la diffusione del cinipide galligeno del castagno (Drycosmus kuriphilus) ha determinato una sensibile riduzione della produzione nazionale delle castagne ed una conseguente riduzione del gettito fiscale per via della perdita di fatturato da parte delle imprese di produzione e di quelle di esportazione;
    nella regione Piemonte sono stati ottenuti ottimi risultati nella difesa della specie arborea con l'adozione di misure di contrasto alla diffusione del cinipide del castagno basate sull'impiego del predetto insetto antagonista Torymus sinensis;
    nelle aree naturali protette, in particolare nei parchi nazionali e regionali, l'utilizzo dell'insetto antagonista Torymus sinensis desta talune problematiche in ragione dei vincoli imposti dalla vigente normativa ambientale;
    risulta estremamente rilevante che il problema venga affrontato definendo una strategia di intervento comune, in modo che non vengano adottati in maniera estemporanea metodi di lotta inefficaci, con l'utilizzo di prodotti fitosanitari impropri per combattere il fenomeno, con il rischio di provocare danni irreparabili agli equilibri biologici ed entomologici delle aree boscate;
    occorre intensificare le attività ispettive delle autorità preposte ai controlli bloccando la commercializzazione di castagne presentate in maniera non veritiera al consumatore come rientranti nella tipologia della castagna italiana, considerato che l'attuale momento di crisi della castanicoltura italiana ha indotto un aumento delle importazioni della castagna da Paesi dell'Oriente ed un conseguente crescente fenomeno legato alla contraffazione del prodotto;
    è necessario assicurare specifiche e commisurate risorse finanziarie nazionali a sostegno della lotta biologica al cinipide galligeno e per risarcire i gravi danni subiti dagli agricoltori;
    risulta estremamente importante che il Governo si adoperi in sede europea per inserire il castagno tra le superfici a frutta a guscio oggetto di specifico finanziamento europeo,

impegna il Governo:

   a definire, d'accordo con le regioni, le linee d'azione perché possa essere debellato l'insetto parassita, il «cinipide galligeno del castagno» (Dryocosmus kuriphilus) colpevole di aver pregiudicato la produzione italiana di castagne, facendo sì che tali linee d'azione prevedano:
    a) l'utilizzo delle metodologie applicabili, dando preferenza a metodi di lotta che hanno dato prova di efficacia e che non sono risultati invasivi sull'ecosistema, come è il caso dell'utilizzo dell'insetto antagonista Torymus sinesi, già sperimentato nella regione Piemonte, concordando, al tempo stesso, un divieto in ordine all'attivazione di metodologie estemporanee, non sperimentate, inefficaci e dannose per l'ambiente e l'ecosistema in cui vivono le piante di castagno;
    b) le risorse necessarie per la predisposizione di campagne si sensibilizzazione per gli agricoltori, per l'attivazione di interventi di lotta biologica al cinipide del castagno (Dryocosmus cirphilus), attraverso l'allevamento dell'insetto Torymus sinensis, antagonista naturale del Cinipide del castagno;
   a valutare la necessità di assumere iniziative per modificare la normativa vigente affinché sia permesso anche nelle aree naturali protette l'utilizzo dell'insetto antagonista Torymus sinensis e ad adottare le occorrenti iniziative amministrative affinché il settore castanicolo sia nuovamente inserito tra le superfici monitorate dall'Istat;
   a far sì che nella fase di definizione delle scelte nazionali di applicazione della nuova politica agricola comunitaria, relativamente alle misure del primo e del secondo pilastro (aiuti diretti ed aiuti accoppiati), sia riservata una adeguata attenzione ai produttori di castagne, il cui reddito è messo in forte pericolo dal cinipide del castagno (Dryocosmus coriphilus);
   ad adoperarsi in sede europea per inserire il castagno tra le superfici a frutta a guscio oggetto di specifico finanziamento europeo;
   a provvedere affinché sia intensificata, al fine di contrastare le contraffazioni e le frodi, l'attività di controllo dell'origine delle castagne immesse in commercio, vista la notevole contrazione della produzione nazionale e la forte crescita delle importazioni da cui ne deriva il fondato rischio di ritrovare in commercio prodotto indicato come di origine nazionale mentre in realtà si potrebbe trattare di specie estere.
(7-00179) «Oliverio, Mongiello, Antezza, Terrosi, Cenni, Tentori, Valiante, Covello, Dallai».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   nonostante l'allarme lanciato dalla protezione civile nazionale, resta da verificare l'efficacia della diramazione della comunicazione, il passaggio del ciclone «Cleopatra» sulla Sardegna ha generato un'alluvione che ha duramente colpito la popolazione, il territorio e l'economia dell'isola; in poche ore sono caduti 460 millimetri di pioggia (e in alcune aree oltre 600), contro la media annuale italiana di circa 900 millimetri; secondo i metereologi si è trattato di un fenomeno possibile, ma inusuale, generato da una bolla di aria fredda artica, che si è caricata di umidità grazie ad un forte vento di scirocco (che ha raggiunto anche i 100 chilometri orari) e alle acque calde del Mediterraneo; i tecnici hanno confermato che si è trattato di una «piena millenaria», di un evento oltre che improvviso, dalla portata straordinaria;
   il ciclone ha investito inizialmente tutto l'est dell'isola in particolare il cono Olbia-Torpè proseguendo verso la Gallura, l'Ogliastra, l'Oristanese il Nuorese, e il Medio Campidano; nella mattinata del 18 novembre 2013 la zona più colpita è stata il Campidano, nella seconda parte della giornata invece è toccato a Oristano, Nuoro e alla Gallura; colpito anche il Sulcis;
   quanto alle vittime accertate la zona più colpita è quella attorno a Olbia, dove si contano 13 morti. In particolare, ad Arzachena ha perso la vita un'intera famiglia brasiliana; due morti si registrano in provincia di Nuoro; a Dorgali, un agente della Polstrada, impegnato assieme ad altri tre colleghi nel trasporto di un ferito, è deceduto quando l'auto su cui viaggiavano è precipitata da un ponte; un morto si registra anche in provincia di Oristano;
   tra i principali corsi d'acqua esondati il Flumendosa, il Cedrino, il Rio Manno, il rio Mogoro oltre a numerosi torrenti a Terralba e Uras. A rischio esondazione la diga sul Rio Posada. Sono crollati numerosi ponti stradali, altri sono stati sommersi; centinaia le auto trascinate via da fiumi e torrenti straripati per cui è ancora difficile fare una stima di morti e dispersi;
   decine i comuni gravemente colpiti dall'alluvione, con particolare riferimento alla provincia della Gallura, di Nuoro, dell'Ogliastra, del Medio Campidano, di Cagliari, con ripercussioni in tutto il territorio sardo;
   quanto alle strade: chiusa la strada statale (SS) 196 (Villasor-Guspini); impraticabile e anche la strada statale 293 di Giba nel tratto compreso fra i chilometri 17-29, sempre nel Medio Campidano critica la situazione tra Nuoro e Orosei, sulla strada statale 129 (Trasversale sarda) dove è crollato un ponte; chiusa anche la strada statale 389 Nuoro-Lanusei dal chilometro 27 al chilometro 40, in provincia dell'Ogliastra. La strada statale 131 (Carlo Felice) è stata chiusa al traffico in entrambe le direzioni a causa di allagamenti. Altri allagamenti con conseguente blocco della circolazione in entrambi i sensi di marcia si registrano sulla strada statale 198. La strada statale 125 (Orientale sarda) è stata chiusa per allagamenti, ivi compreso il tunnel nell'abitato di Olbia; lo stesso per la strada statale 127 (Settentrionale sarda) dove è anche crollato un ponte; sulla strada statale 387 «del Gerrei» è stato istituito un senso unico alternato a causa di una frana. Diversi ponti sono crollati sulla strada Nuoro-Oliena, mentre sulla Nuoro-Orgosolo è crollato il ponte presso la diga di Cumbidanovu in costruzione, nel territorio di Orgosolo;
   disagi si registrano anche sulle reti ferroviarie dell'isola;
   imponenti tratti di rete ferroviaria sono stati divelti e cancellati dalla furia dell'acqua. Risultano inagibili gran parte delle ferrovie dell'isola; i treni si sono fermati sulla tratta Decimomannu-Iglesias, tra le stazioni di Decimo e Siliqua, a causa dell'allagamento dei binari. La circolazione ferroviaria è rimasta bloccata fra le stazioni di San Gavino e Marrubiu, sulla linea Cagliari-Oristano. Dalle 14.10 del 18 novembre i treni non viaggiano neanche sulla Chilivani-Porto Torres, nel Sassarese, a causa della caduta dei cavi sui binari;
   la violenta ondata di maltempo che ha investito la Sardegna ha creato notevoli problemi anche nei collegamenti aerei e marittimi;
   la società che gestisce il servizio idrico integrato in Sardegna ABBANOA ha fatto presente che il problema di smaltimento delle acque reflue è strutturale e riguarda seimila chilometri di rete fognaria su un totale di settemila: nei decenni scorsi infatti non sono state costruite le reti delle acque bianche (piovane) separate da quelle nere, cioè dai reflui fognari; ogni anno questa commistione provoca ingenti costi e danni, con una media annuale di 600 impianti di sollevamento del sistema fognario che vanno in sovraccarico;
   i vigili del fuoco hanno immediatamente messo in campo 350 uomini che lavorano in doppio turno e sono previste quattro sezioni operative di rinforzo dalla penisola; i vigili del fuoco nel corso della giornata del 18 novembre e della nottata successiva hanno compiuto oltre 600 interventi, mentre altre centinaia di interventi sono in corso; cinquecento sono gli uomini dell'Enel in campo fra tecnici, operai, incaricati del centro operativo, responsabili, operatori delle segnalazioni guasti e personale delle imprese esterne, che stanno riparando i guasti dovuti al maltempo;
   l'Esercito, su richiesta delle prefetture competenti, ha messo in campo uomini e mezzi per concorrere alle operazioni di soccorso in Sardegna. Già dall'alba alcuni nuclei di militari (circa 85) e mezzi speciali per la ricerca di eventuali dispersi sono stati schierati nella zona di Olbia e in mattinata è entrato in azione anche un plotone speciale del genio con macchine movimento terra e mezzi speciali per l'aspirazione delle acque; la brigata Sassari ha pronti all'impiego oltre 400 soldati in caso di ulteriori richieste di cooperazione; un elicottero dell'aeronautica è decollato dallo scalo militare di Decimomannu e dopo aver imbarcato personale del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (CNSAS) nella piazzola dell'ospedale di Nuoro per trasferirla sul luogo dell'emergenza ha iniziato le operazioni di ricerca aerea segnalando gli alluvionati, avvistati dall'alto, alle squadre di soccorso a terra;
   l'intensa ondata di maltempo che si è abbattuta sulla Sardegna centrale non ha risparmiato le imprese agricole, sommerse dagli allagamenti e da torrenti trasformati in fiumi. Le situazioni più critiche le abbiamo nel nuorese con particolari problemi a Oliena ed Orgosolo e nell'alta Ogliastra come a Villagrande Strisaili, con allagamenti e strade rurali spazzate via dai torrenti in piena. Centinaia gli animali morti;
   le organizzazioni agricole hanno rilevato che in Sardegna ben 306 comuni, pari all'81 per cento del totale, hanno porzioni del proprio territorio ad elevato rischio idrogeologico per frane ed alluvioni; più in generale in Italia sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, pari all'82 per cento del totale; quanto alla popolazione sono 6.153.860 gli abitanti esposti alle alluvioni, mentre la popolazione esposta a fenomeni franosi ammonta a 987.650 abitanti (annuario ISPRA); negli ultimi 50 anni le alluvioni hanno travolto circa 1.500 centri urbani provocando 4.200 morti e quasi mezzo milione di sfollati, provocando danni per un costo stimato da Cresme e Ance, per il periodo 1944/2012, in oltre 240 miliardi di euro;
   il 3 ottobre 2013 la Commissione ambiente e territorio della Camera dei deputati all'unanimità ha approvato la risoluzione 7-00111, nella quale si chiede lo stanziamento di almeno 500 milioni l'anno per la difesa del suolo, prevedendo altresì che le somme suddette siano escluse dai limiti imposti dal patto di stabilità, sia delle regioni che degli enti locali;
   nella giornata del 19 novembre il Consiglio dei ministri ha deciso lo stanziamento immediato di soli 20 milioni di euro per l'emergenza –:
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno dichiarare una giornata di lutto nazionale in segno di rispetto per le vittime della catastrofe naturale che ha colpito la Sardegna nella giornata del 18 novembre 2013;
   se, ove si consideri che la tragedia che ha colpito la Sardegna abbia avuto sostanzialmente lo stesso impatto di un terremoto di forte intensità, non ritengano opportuno assumere iniziative per incrementare a 100 milioni di euro la somma da destinare agli interventi di emergenza, prevedendo un provvedimento a regime di almeno un miliardo di euro;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per incrementare le risorse contro il dissesto idrogeologico sino a 500 milioni di euro in ragione d'anno per la realizzazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i soggetti istituzionali territorialmente preposti, di un piano organico con obiettivi a breve e medio termine per la difesa del suolo nel nostro Paese, come previsto dalla risoluzione 7-00111 illustrata in premessa, prevedendo altresì che le somme suddette siano escluse dai limiti imposti dal patto di stabilità, sia delle regioni che degli enti locali;
   se non ritengano necessario prevedere con un'apposita iniziativa normativa urgente lo stanziamento di risorse adeguate, dalle prime stime non inferiore al miliardo di euro, per una rapida e urgente azione di risarcimento, risanamento e ricostruzione delle aree devastate dall'evento;
   se non ritengano di dover individuare procedure accelerate e urgenti attribuendo il capo ai sindaci poteri emergenziali come il commissariamento o eventualmente il subcommissariamento ed affidando al presidente della regione Sardegna l'incarico di commissario governativo per l'emergenza e la ricostruzione;
   se non ritengano di dover adottare urgenti provvedimenti, per garantire in Sardegna il pieno utilizzo permanente dei vigili del fuoco discontinui, considerate le carenze gravissime negli organici e l'impossibilità di utilizzare apporti da altre regioni in tempi sufficienti per garantire un adeguato quanto tempestivo intervento, valutando di implementare il servizio di emergenza soccorso insulare.
(2-00315) «Pili, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e MONGIELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli eccezionali eventi meteorici che in questi giorni stanno flagellando i territori insulari della Regione Sardegna e quelli costieri ed interni del litorale dello Jonio hanno prodotto effetti drammatici anche in Calabria;
   tra la notte e le prime ore del 19 novembre 2013, un violento nubifragio si è abbattuto nelle zone della costa Jonica ed in particolare nel catanzarese e soprattutto nel crotonese, provocando allagamenti, interruzioni, frane di strade e riversamenti di fango. In molti comuni le scuole sono rimaste chiuse. Nella provincia di Crotone e Catanzaro sono state numerosissime le richieste di soccorso giunte ai vigili del fuoco che con abnegazione sono riusciti a portare i primi e necessari aiuti;
   particolarmente colpita è stata l'area della provincia di Crotone in cui si sono contati centinaia di casi di allagamento con danni alle abitazioni, agli esercizi commerciali, agli allevamenti zootecnici, alle imbarcazioni della pesca e alle colture agricole le cui produzioni sono andate quasi tutte distrutte. Nei comuni di Cotronei, Cirò Marina, Melissa, Strongoli, Petilia Policastro e Mesoraca i sindaci hanno disposto la chiusura delle scuole. Anche la viabilità è stata messa pesantemente in crisi provocando problemi al traffico, soprattutto in alcuni tratti della strada statale 106 dove le carreggiate sono state invase da fango e da detriti tanto che le squadre dell'Anas hanno dovuto lavorare per intere giornate per liberarle, seppure in parte;
   nella giornata del 20 novembre 2013, l'amministrazione provinciale di Crotone ha provveduto alla richiesta al Governo della dichiarazione dello stato d'emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 per gli eventi metereologici che hanno interessato il territorio provinciale di Crotone;
   in tale richiesta sono stati rappresentati gli ingenti danni alle infrastrutture viarie, alle attività produttive ed al comparto agricolo con conseguente domanda di risorse finanziarie statali non essendo stato possibile fronteggiare con risorse ordinarie, che peraltro da troppo tempo non vengono trasferite, gli enormi danneggiamenti provocati dalle esondazioni, dagli allagamenti e dagli smottamenti;
   la fragilità del territorio della regione Calabria ed, in particolare, della provincia di Crotone rispetto al rischio naturale è una condizione nota alle istituzioni governative ed è un problema di particolare rilevanza;
   al riguardo, va ricordato che al fine di realizzare una programmazione coordinata sull'intero territorio nazionale, sono stati sottoscritti con le regioni gli accordi di programma e i relativi atti integrativi, ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009, che hanno finanziato i piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico. I suddetti accordi individuano e finanziano interventi urgenti per la messa in sicurezza della popolazione e del territorio individuati dalle regioni e sottoposti alla valutazione della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, coinvolgendo le autorità di bacino ed il dipartimento della protezione civile;
   tali interventi sono volti prioritariamente alla salvaguardia della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, prevalentemente mediante la realizzazione di nuove opere nonché con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria;
   in merito al riconoscimento dello stato di emergenza, pur avendo già rappresentato che ne ricorre la sussistenza dei presupposti, la richiesta potrà essere sottoposta all'attenzione del Consiglio dei ministri solo dopo che il dipartimento della protezione civile avrà acquisito il dossier tecnico da cui risulti una prima stima economica dei danni e delle opere necessarie per la messa in sicurezza del territorio, in ottemperanza alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 ottobre 2012 recante indirizzi per lo svolgimento delle attività propedeutiche alle deliberazioni del Consiglio dei Ministri da adottare ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e per la predisposizione delle ordinanze di cui al medesimo articolo 5, comma 2, alla luce del decreto-legge 15 maggio 2012 n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012 n. 100;
   appare necessario definire e concludere con la massima urgenza l’iter amministrativo statale finalizzato all'adozione della delibera dello stato d'emergenza per la provincia di Crotone da parte del Consiglio dei ministri, così come è avvenuto per la Sardegna –:
   se non intendano attivarsi con la massima sollecitudine affinchè possa essere deliberato lo stato di emergenza per il territorio della provincia di Crotone colpita dalle eccezionali avversità del 19 novembre 2013, in tale ambito individuando le risorse finanziarie destinate ai primi interventi infrastrutturali di emergenza nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi ed indispensabili fabbisogni;
   se nell'ambito degli accordi di programma e i relativi atti integrativi, ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009, che hanno finanziato i piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico, siano previsti, ed in caso affermativo quale sia il relativo stato dei fatti, finanziamenti per interventi di messa in sicurezza in favore del territorio della provincia di Crotone;
   se si intenda dichiarare lo stato di crisi per calamità naturali al fine di affrontare la situazione emergenziale che vive il comparto agricolo, anche a seguito della distruzione di tutte le produzioni olivicole, agrumicole ed orticole e sostenere adeguatamente il reddito degli agricoltori che hanno subito ingenti danni. (5-01540)


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli eccezionali eventi meteorici che in questi giorni stanno colpendo i territori insulari della regione Sardegna e quelli costieri ed interni del litorale Jonico hanno prodotto effetti drammatici anche in Calabria;
   tra la notte e le prime ore del 19 novembre 2013, un violento nubifragio si è abbattuto nelle zone della costa Jonica e in particolare nel catanzarese e in particolare tra i territori dei comuni di Taverna, Sorbo San Basile, Albi, Fossato Serralta, Pentone, Magisano, Zagarise, Soveria Simeri, Simeri Cricchi, Sellia Marina, Sellia, provocando allagamenti, interruzioni, frane di strade e riversamenti di fango. In molti comuni le scuole sono rimaste chiuse. Gli acquedotti e la rete idrica hanno subito danni strutturali, facendo perdere in alcuni casi la potabilità delle acque;
   particolarmente colpita è stata l'area della Presila Catanzarese, dove rimane chiusa per ingenti danni la strada provinciale SP 25 che collega il capoluogo di regione ai centri montani e pedemontani. L'onda di piena del fiume Alli, in particolare, ha cancellato centinaia di metri della predetta arteria stradale, rendendo impossibile in transito all'unica strada di collegamento veloce di quei territori alla città di Catanzaro. I disagi per l'economia dell'area presilana saranno ingenti e aumenteranno nel tempo a causa del persistente allungamento del tratto che poggerà totalmente sulla strada statale 179, una strada che non garantisce assolutamente visto l'aumento del traffico veicolare, una viabilità accettabile e tempi di collegamento celeri che possano garantire anche il fronteggiare situazioni di emergenze in fatto di salute ed approvvigionamento economico di beni materiali. Da una stima delle perdite si parla di diversi milioni di euro che rapportati ad un'economia fragile e con poca vocazionalità rappresenterebbero un collasso per le popolazioni dell'intera area;
   nella giornata del 19 novembre 2013, l'amministrazione provinciale di Catanzaro ha già provveduto alla richiesta al Governo della dichiarazione dello stato calamità per gli eventi che hanno interessato il territorio provinciale di Catanzaro;
   la necessità d'intervento non deve limitarsi a porre rimedio alla situazione di crisi, ma ad azioni incisive d'intervento idraulico sul bacino idrografico del fiume Alli, al fine di risolvere una situazione che rappresenta perenne motivo di spesa vista l'attuazione di interventi tamponanti e mai risolutivi;
   in tale richiesta sono stati rappresentati gli ingenti danni alle infrastrutture viarie, alle attività produttive e al comparto agricolo con conseguente domanda di risorse finanziarie statali non essendo stato possibile fronteggiare con risorse ordinarie, che peraltro da troppo tempo non vengono trasferite, gli enormi danneggiamenti provocati dalle esondazioni, dagli allagamenti e dagli smottamenti;
   la fragilità del territorio della regione Calabria e del Catanzarese in particolare, è una condizione nota alle istituzioni governative ed è un problema di particolare rilevanza;
   al riguardo, va ricordato che al fine di realizzare una programmazione coordinata sull'intero territorio nazionale, sono stati sottoscritti con le regioni gli accordi di programma e i relativi atti integrativi, ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 191 del 2009, che hanno finanziato i piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico. I suddetti accordi individuano e finanziano interventi urgenti per la messa in sicurezza della popolazione e del territorio individuati dalle regioni e sottoposti alla valutazione della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, coinvolgendo le autorità di bacino ed il dipartimento della protezione civile;
   tali interventi sono volti prioritariamente alla salvaguardia della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, prevalentemente mediante la realizzazione di nuove opere nonché con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria;
   in merito al riconoscimento dello stato di emergenza, pur avendo già rappresentato che ne ricorre la sussistenza dei presupposti, la richiesta potrà essere sottoposta all'attenzione del Consiglio dei ministri solo dopo che il dipartimento della protezione civile avrà acquisito il dossier tecnico da cui risulti una prima stima economica dei danni e delle opere necessarie per la messa in sicurezza del territorio, in ottemperanza alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 ottobre 2012 recante indirizzi per lo svolgimento delle attività propedeutiche alle deliberazioni del Consiglio dei ministri da adottare ai sensi dell'articolo 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e per la predisposizione delle ordinanze di cui al medesimo articolo 5 alla luce di quanto disposto dal decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012 n. 100;
   appare necessario definire e concludere con la massima urgenza l’iter amministrativo statale finalizzato all'adozione della delibera dello stato d'emergenza per la provincia di Catanzaro e della presila catanzarese da parte del Consiglio dei ministri, così come è avvenuto per la Sardegna –:
   se non intendano attivarsi con la massima sollecitudine affinché possa essere deliberato lo stato di emergenza per il territorio della presila Catanzarese colpita dalle eccezionali avversità del 19 novembre 2013, in tale ambito individuando le risorse finanziarie destinate ai primi interventi infrastrutturali di emergenza nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi ed indispensabili fabbisogni;
   se nell'ambito degli accordi di programma e i relativi atti integrativi, che hanno finanziato ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009 piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico, siano previsti, ed in caso affermativo quale sia il relativo stato dei fatti, finanziamenti per interventi di messa in sicurezza in favore del territorio della provincia di Catanzaro. (5-01541)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nelle aree minerari del Sulcis Iglesiente Guspinese è stata organizzata  una vera e propria scalata alle bonifiche minerarie della Sardegna costruita sulle ceneri delle società che si sono succedute nelle miniere di oro di Furtei su scala internazionale;
   tale scalata secondo i report finanziari interni ed esterni delle società attori di questa scalata sarebbe stata pianificata grazie a «forti» rapporti con le istituzioni sarde;
   si tratta secondo l'interrogante di un vero e proprio assalto messo a punto nel dicembre del 2009 in ogni dettaglio con tanto di comunicazioni formali alla borsa dei metalli di Londra attraverso le trimestrali della neonata King Rose Mining, gestita dagli stessi che inquinarono Furtei e dintorni;
   il verbale della trimestrale trasmessa alla Borsa di Londra contiene la sostanziale comunicazione ai mercati internazionali dei forti rapporti con le istituzioni sarde che avrebbe consentito lo sfruttamento di tutte le aree minerarie della Sardegna;
   la formula richiamata è stata sottoscritta da Mr. J. Morris, prima direttore della società che ha determinato con la propria attività l'inquinamento di Furtei e poi, candidato a gestire, d'intesa di fatto con la regione Sardegna, la separazione dei metalli pesanti dalle discariche delle aree minerarie della Sardegna;
   si tratta di un piano giocato nelle borse internazionali dei metalli, nonostante la presenza degli australiani fosse stata notata e segnalata negli anni scorsi senza che nessuno comprendesse sino in fondo il piano sardo-australiano-canadese;
   a monte di questo piano vi è il disastro di Furtei con un lago di cianuro, arsenico e veleni di ogni genere, montagne sventrate, fallimenti e fughe;
   a guidare quell'operazione c’è stato Mr. Morris, che aveva sostanzialmente guidato la miniera di Furtei poi miseramente fallita lasciando devastazione e inquinamento;
   la Regione viene chiamata a pagare i danni ambientali;
   otto mesi dopo quel fallimento, però, sempre la regione Sarda mette in campo nuove relazioni con gli stessi soggetti del fallimento;
   negli uffici della regione e dell'Igea ricompare, dopo il fallimento, lo stesso Mr Morris: direttore della King Rose Mining;
   obiettivo della nuova operazione è quello di sfruttare le discariche minerarie a cielo aperto della Sardegna, partendo dal Sulcis, per estrarre tutti i metalli presenti in quegli accumuli di sterili, dal piombo allo zinco, dall'oro all'argento;
   nella trimestrale del dicembre 2009 della King Roses Mining, chiarisce il progetto e l'obiettivo;
   la comunicazione formale alla Borsa è firmata da Mr. Morris, lo stesso che guidava la miniera di Furtei: «Gli amministratori di King Rose Mining sono lieti di annunciare che l'azienda inizierà il lavoro di prefattibilità su un potenziale molto grande di sterili. Un progetto di ritrattamento di uno dei più grandi quartieri minerari in Europa. King Rose ha raggiunto in linea di principio un accordo con il governo regionale di Sardegna, Italia, per iniziare il lavoro su più depositi di sterili zinco piombo contenente un obiettivo tra 70-90.000.000 di tonnellate di materiale accumulato da oltre 200 anni di attività mineraria»;
   appare sorprendente che, nonostante fosse già intervenuto il fallimento della Sardinia Gold Mining del marzo 2009, la regione Sardegna attraverso proprie agenzie e collegate, appena otto mesi dopo, abbia consentito una comunicazione di questo tenore ai mercati internazionali;
   risulta incomprensibile che a fare tale comunicazione sia stato lo stesso manager implicato nella gestione fallimentare della miniera di Furtei e praticamente lo stesso che ha gestito l'ennesimo sbarco in terra sarda alla ricerca di piombo e zinco soprattutto;
   risulta sospetto il fatto che, nonostante la regione stesse stanziando denari per la bonifiche del misfatto di Furtei, nel contempo stipulasse di fatto un'intesa con lo stesso Mr. Morris già noto negli uffici regionali per la gestione della fallimentare miniera di Furtei;
   a spiegare il motivo di tale possibile contatto e relazione sono le dichiarazione sempre riportate nei report internazionali della nuova società: «King Rose lavorerà a stretto contatto con l'agenzia del governo sardo, IGEA SpA (Interventi Geo Ambientali-Geo Intervento Ambiente), l'organizzazione responsabile della gestione e la riabilitazione dei siti minerari chiusi su Sardegna. King Rose ha personale senior che ha esperienza nella gestione in Sardegna e che ha una forte rete di contatti governativi e societari»;
   risulta grave, inspiegabile, e indefinita la definizione utilizzata in un documento ufficiale per definire «una forte rete di contatti governativi e societari»;
   il fallimento della Società Sardinia Gold Mining Spa, è stato dichiarato in data 5 marzo 2009, la comunicazione alla Borsa di Londra per l'avvio dei progetti con la regione Sardegna nelle aree minerarie dismesse è del 16 dicembre 2009;
   resta sconosciuta la procedura con la quale la società australiana abbia potuto operare sulle bonifiche del Sulcis e soprattutto con chi intratteneva rapporti «forti» con la regione Sardegna tanto da dichiararli in pubblico mercato internazionale;
   tale progetto si configura secondo l'interrogante come un'operazione internazionale speculativa senza precedenti, giocata su relazioni e accordi che dovrebbero indurre il Ministero degli affari esteri e non solo ad approfondire come sia stato possibile che società estere potessero operare con tanta disinvoltura in Italia tanto da presentare, attraverso gli stessi personaggi di similari società già fallimentari, progetti talmente rilevanti tanto da ipotizzare utili per miliardi di euro –:
   se il Governo non intenda far intervenire immediatamente la protezione civile nazionale sul sito di Furtei, privo di qualsiasi guardiania e concreta messa in sicurezza considerato che il sottoscritto ha avuto accesso decine di volte in quest'ultima settimana nel lago di cianuro nelle campagne tra Furtei e Guasila senza che nessuno contestasse l'ingresso o lo impedisse;
   se non intenda il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare verificare il totale abbandono del sito, il mancato avvio di qualsiasi tipo di seria bonifica del sito stesso, il pericolo imminente di tracimazioni legate al periodo invernale prossimo e attivare una verifica puntuale e una piena assunzione di responsabilità delle istituzioni;
   se non intenda verificare il rispetto delle normative nazionali considerato che già nel 2002 e 2003 l'interrogante in qualità di presidente della regione dispose il piano delle bonifiche e la mappa dei rischi includendo proprio il sito di Furtei tra quelli potenzialmente inquinati a rischio di incidente rilevante classificato come attività a rischio di incidente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 8 del decreto legislativo n. 334 del 1999. (5-01547)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOFALO, PARENTELA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, D'AMBROSIO, TERZONI e BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   tre noti esponenti dell'associazione Libera – Raffaele Sardo attualmente redattore de «La Repubblica», Renato Franco Natale ex sindaco e commissario cittadino di Casal di Principe PD, Mauro Baldascino responsabile provinciale sui beni confiscati – sono stati soci dell'avvocato Cipriano Chianese nella società Publimedia 96 srl, società operante nel ramo dell'editoria e che in particolare pubblicava il quotidiano «Lo Spettro», nonostante il Chianese sia stato coinvolto in numerose inchieste giudiziarie relative al fenomeno delle cosiddette «ecomafie» fin dal 1993; egli sarebbe entrato a far parte, senza obiezioni, della suddetta compagine sociale in anni successivi a questo suo primo coinvolgimento giudiziario;
   della stessa Publimedia 96 srl hanno fatto parte anche numerose altre persone o società come, ad esempio, il Consorzio Impre. Co., oggetto di un'inchiesta giudiziaria, procedimento penale n. 14097/06 per i reati di cui all'articolo 256 del decreto-legislativo n. 152 del 2006;
   faceva parte di Publimedia 96 srl anche il noto editore casertano Pasquale Piccirillo, referente di televisioni e quotidiani locali coinvolto in diverse indagini giudiziarie di rilevante gravità. Tale editore prima della chiusura definitiva della suddetta Publimedia 96 srl provvedeva a vendere allo stesso signor Raffaele Sardo le sue quote societarie, pur essendo la medesima società già posta in scioglimento e liquidazione –:
   se i suddetti signori Raffaele Sardo, Renato Franco Natale e Mauro Baldascino siano membri di istituzioni e/o commissioni ministeriali che studiano fenomeni di criminalità organizzata e/o qualsiasi altro tipo di fenomeno criminoso, in provincia di Caserta o comunque in altre province italiane e, se ciò fosse riscontrato, quali siano le iniziative di competenza che si intendono adottare. (4-02615)


   BUONANNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere:
   se non si ritenga opportuno valutare iniziative per pervenire all'abbattimento di tutte le abitazioni situate alle pendici del Vesuvio in zone vietate o altamente pericolose in caso di eruzione dello stesso;
   se sia stato aggiornato il piano di evacuazione relativo al rischio di eruzione vulcanica. (4-02622)


   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2013, accogliendo un ricorso presentato dalle associazioni «Studi Giuridici sull'Immigrazione» ed «Avvocati per Niente Onlus» per conto di quattro giovani stranieri, il tribunale di Milano, sezione lavoro, ha ordinato alla Presidenza del Consiglio di riaprire il «Bando per la selezione di 8.146 volontari da avviare al servizio nell'anno 2013 nei progetti di servizio civile in Italia e all'estero», pubblicato il 4 ottobre 2013;
   l'ordine è stato disposto in ragione del presunto carattere discriminatorio del bando, aperto ai soli cittadini italiani, a dispetto del fatto che sulla base dell'articolo 2 della Costituzione dovrebbe essere permesso anche allo straniero residente in Italia «di concorrere al progresso materiale e spirituale della società e all'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale attraverso la sua partecipazione al servizio civile nazionale»;
   nella predetta sentenza è altresì presente un'interpretazione innovativa del concetto giuridico di cittadinanza, che permetterebbe di identificare come cittadino anche «il soggetto che appartiene stabilmente e regolarmente alla comunità italiana»;
   la ragione per la quale i bandi per l'ammissione al servizio civile sono ristretti ai cittadini è l'equiparazione dell'istituto del servizio civile volontario a quello del servizio militare volontario;
   l'accoglimento della nuova accezione del concetto di cittadinanza adombrato nella sentenza del tribunale di Milano, sezione lavoro, del 19 novembre 2013, comporterebbe, di necessità, l'immediata apertura agli stranieri soggiornanti nel territorio nazionale anche del reclutamento nelle Forze armate e di polizia, oltreché l'allargamento in loro favore della platea delle persone titolari dell'elettorato attivo e passivo, non solo amministrativo ma politico;
   è evidentemente in gioco, secondo gli interroganti, un'interpretazione della Costituzione rispetto alla quale sarebbe opportuno un pronunciamento della Corte costituzionale –:
   se il Governo intenda o meno ottemperare all'ingiunzione del tribunale di Milano generalizzata nelle premesse, preveda o meno di darvi applicazione fino alle logiche conseguenze, o se invece intenda considerare l'opportunità di resistervi, utilizzando all'uopo gli strumenti posti a disposizione dall'ordinamento, fino al punto di determinare un intervento dirimente della Corte costituzionale.
(4-02630)


   GALATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella data del 19 novembre 2013 un violento nubifragio ha interessato vaste zone territoriali della regione Calabria, manifestandosi con particolare intensità nelle provincie di Catanzaro (in particolare nella zona del basso Jonio), Vibo Valentia e Crotone;
    tra le varie conseguenze naturali provocate dal nubifragio e dall'eccezionale intensità delle precipitazioni registrate in Calabria, si segnalano in articolare l'esondazione i fiumi e torrenti, tra i quali l'Uria in provincia di Catanzaro, il Neto in provincia di Crotone ed il torrente Ancinale, in provincia di Vibo Valentia, che hanno a loro volta determinato situazioni di isolamento a causa dell'interruzione di strade e vie di comunicazione — invase da detriti e fango o interessate da frane — e reso necessaria, in alcuni casi, l'evacuazione di centinaia di cittadini residenti in zone considerate ad alto rischio;
   secondo i primi rilievi e quantificazioni e sulla base degli esiti delle verifiche e ricognizioni immediatamente effettuate dalle autorità della protezione civile competenti (peraltro ancora in corso di accertamento) sul territorio si registrerebbero danni ambientali, strutturali ed infrastrutturali per un ammontare complessivamente stimato in decine di milioni di euro;
   la condizione attuale dei territori interessati, risultante dalla manifestazione dello straordinario fenomeno meteorologico registrato (evento che allo stato attuale peraltro non può dirsi ancora definitivamente rientrato), presenta i caratteri del disastro ed è potenzialmente idonea a configurarsi quale ulteriore elemento di resistenza ed impedimento rispetto ai processi dello sviluppo economico locale in atto, già di difficile attuazione in un territorio caratterizzato da elevati livelli di complessità a causa dei molteplici e peculiari fattori di criticità, i quali contrastano costantemente gli ingenti sforzi intesi al rilancio di questa regione;
   l'amministrazione territoriale competente, preso atto degli ingenti danni ambientali e sul piano delle infrastrutture, oltre che dell'industria, commercio, artigianato ed agricoltura, ha annunciato l'avvio della procedura per la richiesta di riconoscimento dello stato di calamità, ai sensi della legislazione vigente –:
   se il Governo abbia preso atto delle emergenze determinatesi in Calabria segnalate dall'interrogante ed, in caso affermativo, quali siano le iniziative di competenza che ha intrapreso o intenda intraprendere per ripristinare la situazione su livelli di normalità;
   quali siano le strategie in atto o le iniziative che il Governo intenda intraprendere per fronteggiare il generale problema del diffuso ed elevato rischio meteo-idrogeologico ed idraulico che interessa non soltanto la regione Calabria ma l'intero Paese. (4-02634)


   LACQUANITI, FERRARA, MATARRELLI, AIRAUDO, DI SALVO, RICCIATTI, SCOTTO e PELLEGRINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 19 novembre 2013, secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale e locale, con l'avvenuta rottura al tavolo istituito presso il Ministero dello sviluppo economico tra Indesit Company e sindacati salterebbe il programma di contratti di solidarietà, prepensionamenti e graduali rientri che avrebbe dovuto alleggerire l'impatto del piano di riassetto in Italia del citato gruppo industriale di Fabriano;
   detta azienda, a seguito del mancato accordo, ha annunciato di essere costretta ad avviare la procedura di mobilità per più di 1.400 dipendenti;
   tale trattativa è saltata dopo cinque mesi di confronto ed una ultima faticosa riunione durata oltre quindici ore presso il Ministero dello sviluppo economico;
   l'accordo, tuttavia, non è stato raggiunto ed ad un certo punto i sindacati si sono opposti alla proposta di intesa formulata dall'azienda Indesit, che ha definitivamente rilevato di non avere più margini di trattativa per poter andare avanti;
   sul punto è intervenuto il Sottosegretario al Ministro dello sviluppo economico Claudio De Vincenti che ha dichiarato: «a nostro giudizio continuano ad esistere le basi per arrivare all'intesa. Ci auguriamo che le organizzazioni sindacali riconsiderino la situazione e tornino a sedersi di nuovo al tavolo». Il Governo ha, poi, evidenziato alla stampa nazionale i molti passi avanti fatti in avanti negli ultimi mesi al tavolo della vertenza, riconoscendo gli impegni dell'azienda a rafforzare il radicamento italiano della produzione e a chiarire la missione produttiva di ognuno degli stabilimenti coinvolti;
   secondo l'organizzazione sindacale della FIOM, la trattativa in corso al Ministero dello sviluppo economico è stata interrotta a seguito della decisione dell'azienda di respingere la proposta avanzata unitariamente dal coordinamento sindacale che, valutando le proposte dell'azienda stessa non sufficienti a garantire il futuro di tutti gli stabilimenti e la salvaguardia dell'occupazione, aveva suggerito un aggiornamento della trattativa per permettere al sindacato di svolgere le assemblee in tutti gli stabilimenti del Gruppo e chiedere ai lavoratori un mandato a concludere sulla base di una posizione unitaria;
   l'azienda Indesit, tuttavia, secondo quanto rilevato dalla FIOM, ha ritenuto non praticabile questo percorso democratico ed ha annunciato l'apertura unilaterale della procedura di mobilità, rinunciando a un confronto che avrebbe permesso l'avvio di una fase conclusiva del negoziato, sciogliendo i nodi ancora presenti nel rapporto con i lavoratori. Inoltre l'azienda, nonostante le richieste sindacali, non ha chiarito quali sono le scelte che la famiglia Merloni, azionista di riferimento, sta facendo e che prevedono l'entrata di altri soggetti nell'assetto societario;
   sempre secondo la FIOM, da oggi, in tutti gli stabilimenti del Gruppo Indesit si svolgeranno le assemblee per spiegare ai lavoratori che, attraverso la proposta presentata al tavolo del Ministero dello sviluppo economico, Indesit da un lato si prepara a cedere il controllo del gruppo o a definire alleanze con altri grandi gruppi del settore, e dall'altra conferma il trasferimento delle produzioni, riducendo l'occupazione e senza garantire il futuro degli stabilimenti né a Caserta né a Fabriano;
   a seguito della citata interruzione delle trattative, per quanto risulta agli interroganti, l'azienda Indesit ha deciso di dare inizio alle procedure di mobilità per più di 1.400 lavoratori e ciò potrebbe comportare la chiusura dello stabilimento Indesit di Fabriano e Caserta, nonché il ridimensionamento di quelli di Comunanza (Ascoli Piceno) –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione per affrontare una vertenza sindacale emblematica della grave situazione di crisi che interessa un grande gruppo industriale come Indesit e tutto il settore dell'elettrodomestico, a partire da altri gruppi come Elettrolux, al fine di rilanciare e salvaguardare concretamente un settore strategico del manifatturiero;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per far sì che l'azienda Indesit privilegi il confronto con le organizzazioni sindacali, rinunciando al perseguimento di una strategia di intervento che, di fatto, si concretizza nell'adozione di atti unilaterali che ricorrono all'avvio della procedura di mobilità di centinaia di lavoratori;
   quali provvedimenti intenda intraprendere il Governo al fine di tutelare i lavoratori a rischio, anche attivando un tavolo di confronto che coinvolga pienamente i rappresentanti dei lavoratori, la dirigenza aziendale e i Ministeri competenti, che individui ogni possibile soluzione volta ad evitare ripercussioni negative sugli attuali livelli occupazionali e, in particolare e quali misure il Governo intenda porre in essere per incentivare misure di sostegno a favore del mantenimento sul territorio italiano di realtà industriali lavorative nazionali quali Indesit ed Electrolux. (4-02637)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le retribuzioni del personale a contratto locale, impiegato dal Ministero degli affari esteri presso la rete diplomatico-consolare italiana in Marocco, sono soggette alla legislazione italiana ed a norme previste dalle convenzioni bilaterali in vigore tra Italia e Marocco;
   il personale a contratto locale impiegato presso ambasciata, consolato e istituto italiano di cultura, pertanto, è sottoposto al regime fiscale previsto dalla convenzione in vigore con il Marocco ed alla ritenuta fiscale operata alla fonte secondo le percentuali previste dalla normativa in vigore;
   l'articolo 19 della convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno del Marocco per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, firmata a Rabat il 7 giugno 1972 con protocollo aggiuntivo firmato il 28 maggio 1979, e resa esecutiva in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 504, prevede che:
  «1. Le remunerazioni pagate da uno Stato contraente, da una sua suddivisione amministrativa, da un suo ente locale o da una persona giuridica di diritto pubblico, ad una persona fisica residente dell'altro Stato contraente in corrispettivo di servizi resi, sono imponibili nel primo Stato. Tali remunerazioni sono esonerate da imposizione nell'altro Stato quando il beneficiario possieda la nazionalità del primo Stato, senza contemporaneamente possedere la nazionalità dell'altro Stato»;
   l'articolo 21 della convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno del Marocco per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, firmata a Rabat il 7 giugno 1972 con protocollo aggiuntivo firmato il 28 maggio 1979, e resa esecutiva in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 504, prevede che:
  «1. Nel caso dei residenti nel Marocco, la doppia imposizione viene eliminata nel modo seguente:
    a) allorché un residente del Marocco ritrae redditi, diversi da quelli considerati negli articoli 10, 11 e 12, che sono imponibili in Italia in conformità delle disposizioni della presente Convenzione, il Marocco esenta dall'imposizione detti redditi, ma può, per calcolare le sue imposte sugli altri redditi di detto residente, applicare l'aliquota d'imposta che sarebbe stata applicata se i redditi in questione non fossero stati esentati»;
   al personale a contratto in servizio in Marocco si applicano quindi le norme dell'accordo Italia-Marocco per evitare le doppie imposizioni fiscali;
   esiste quindi un obbligo da parte della amministrazione degli affari esteri nella applicazione puntuale di tali norme;
   le autorità fiscali del Marocco avrebbero chiesto agli interessati a quanto risulta all'interrogante, con varie modalità, di pagare quanto dovuto sulle retribuzioni e risultano imminenti azioni esecutive nei confronti dei dipendenti, ai quali sarebbero stati congelati i conti correnti bancari personali;
   il Ministero degli affari esteri, quale datore di lavoro, assolve il compito e la responsabilità di sostituto d'imposta, dovendo operare, in forza di disposizione normative, le ritenute previste per legge;
   il dipartimento delle finanze del Marocco avrebbe, a quanto risulta all'interrogante, avviato una serie di accertamenti fiscali a cui hanno fatto seguito ingiunzioni di pagamento nei confronti del personale a contratto –:
   quali urgenti misure si intendano adottare per garantire che non vi siano indebiti prelievi fiscali a danno dei lavoratori a contratto presso la rete diplomatico-consolare e degli istituti italiani di cultura in Marocco;
   se non si ritenga indispensabile acquisire informazioni su accordi, procedure e specifiche regolamentazioni in vigore tra Marocco e rappresentanze diplomatico-consolari di altri Paesi dell'Unione europea;
   se non si ritenga indispensabile verificare la precisa e puntuale applicazione delle norme anche in relazione alle ritenute fiscali già versate all'erario italiano;
   quali iniziative si adotteranno per garantire in futuro la piena applicazione delle norme della convenzione fiscale in vigore tra Italia e Marocco garantendo i diritti del personale a contratto anche nei confronti delle autorità locali. (4-02633)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   si moltiplicano in Turchia le pressioni dirette ad alterare lo status del monumento nazionale di Santa Sofia, ad Istanbul, basilica eretta in epoca bizantina e poi convertita al culto islamico in seguito alla caduta di Costantinopoli in mani ottomane, prima che sotto Kemal Ataturk ne venisse decisa la sconsacrazione al fine di permetterne il restauro ed il recupero dei mosaici e rappresentazioni sacre cancellate in omaggio all'iconoclastia islamica;
   proprio in ragione dell'iconoclastia islamica esiste il fondato motivo di ritenere che l'eventuale ritorno di Santa Sofia alla condizione di moschea implicherebbe la copertura di mosaici e testimonianze di incalcolabile valore artistico, alcune delle quali appena riportate alla luce, infliggendo un danno al patrimonio artistico mondiale immenso, tale da far impallidire il barbarico bombardamento dei Buddha di Bamiyhan, occorso ad opera dei Talebani in Afghanistan;
   il medesimo rischio incombe su altri monumenti nazionali turchi di origine cristiano-bizantina, primo fra tutti l'ex Chiesa di San Salvatore in Chora, di cui va prevenuto il possibile scempio;
   Santa Sofia è parte della World Heritage proprio in ragione della sua immensa importanza artistica;
   secondo fonti di stampa, l'attuale Governo turco, diretto dal Premier Recep Tayyip Erdogan, leader del partito di ispirazione islamica AKP, sarebbe incline a cedere alle pressioni, in vista di prossimi importanti appuntamenti elettorali –:
   quali iniziative il Governo italiano intenda assumere per quanto di propria competenza per tutelare l'attuale status del monumento di Santa Sofia ad Istanbul e se in particolare non consideri opportuno assumere iniziative a tal fine nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unesco e dell'Unione europea, eventualmente chiedendo l'inserimento della questione nel pacchetto negoziale che concerne l'ingresso della Turchia nell'Europa comunitaria. (4-02642)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta scritta:


   DI GIOIA e MONGIELLO. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda del prolungamento della pista dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia che sembrava ormai, dopo tanti anni di attesa, giunta finalmente ad una possibile conclusione si sarebbe nuovamente arenata;
   da notizie di stampa, ciò sarebbe dovuto a problemi riguardanti l'interpretazione dei regolamenti comunitari in materia di libera concorrenza, con il rischio che vadano perduti i 14 milioni di euro degli ex Fondi FAS, previsti per tali lavori;
   tutto ciò sembrerebbe essersi determinato dopo un'informativa avviata da Bruxelles sui lavori previsti per i quattro aeroporti della Puglia che si è conclusa positivamente, per il nostro Paese già nell'estate del 2012 così come affermato dalla stessa delegazione permanente italiana presso il Parlamento europeo;
   qualora fosse vera questa ipotesi, tutto ciò sarebbe ancora più incomprensibile visto che, almeno sino ad ora, non vi è stata apertura, da parte dell'Unione europea, di una qualsivoglia procedura d'infrazione nei confronti dello Stato italiano per gli interventi infrastrutturali negli aeroporti di Bari, Brindisi e Foggia ed avendo, la stessa Commissione europea, autorizzato, sin dal 2007, gli interventi in questione;
   il blocco dei lavori rischia, di fatto, di bloccare un progetto fondamentale per il territorio interessato che aspetta l'inizio dei lavori sin da quando la Puglia ha ottenuto 80 milioni di euro, da Bruxelles, per riqualificare i suoi scali aeroportuali;
   quanto sta accadendo, se non risolto immediatamente, rischia di far naufragare, per l'ennesima volta, le speranze di un territorio che prova con tenacia, nonostante le ben note difficoltà economiche e strutturali, ad emergere rilanciando il settore turistico e produttivo locale –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito a quanto sopra esposto, con particolare riguardo alla compatibilità del progetto con la normativa europea, e quali iniziative si intendano assumere per quanto di competenza e in concorso con la regione Puglia, affinché Aeroporti di Puglia riapra, con la dovuta urgenza, il bando per l'espletamento della gara per il prolungamento della pista dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia e si concluda la realizzazione di un'opera infrastrutturale strategica per l'intero territorio. (4-02616)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dal comunicato riportato dallo stesso sito internet del Dipartimento per gli affari regionali con la sentenza n. 254 del 31 ottobre 2013 della Corte Costituzionale, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 64, commi 1 e 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;
   tali disposizioni prevedevamo l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, del «Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva», con una dotazione finanziaria di 23 milioni di euro per l'anno 2012, da corrispondere in base a criteri individuati con decreto di natura non regolamentare del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il CONI e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Detto decreto è stato emanato in data 25 febbraio 2013;
   l'Ufficio dello sport, sul suo sito internet, ha reso noto che le istanze pervenute riguardo il Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva, ai sensi del decreto interministeriale 25 febbraio 2013, sono state oltre 10.000 e che, in ragione dell'elevato numero di istanze pervenute e della complessità delle operazioni pre-istruttorie e istruttorie, il termine per l'elaborazione da parte del Nucleo di valutazione della graduatoria di merito delle domande dovrà essere rinviato;
   secondo la Corte la previsione di finanziamenti a destinazione vincolata può divenire strumento indiretto di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti locali, nonché fonte di sovrapposizione fra politiche e indirizzi del governo centrale e locale;
   nelle more della citata pronuncia della Corte Costituzionale, l'articolo 9, comma 21 del disegno di legge di stabilità 2014 ha proposto il rifinanziamento di detto Fondo per 10 milioni di euro per l'anno 2014, 15 milioni di euro per l'anno 2015 e 20 milioni di euro per l'anno 2016;
   l'importanza della misura censurata dalla Corte, su ricorso avanzato dalla regione Veneto, è dimostrata dall'alto numero di domande presentate, frutto dell'interessamento di tante amministrazioni locali, federazioni sportive, associazioni e società sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, associazioni e fondazioni che svolgono attività di promozione sportiva senza fini di lucro. Peraltro, le risorse economiche destinate per tali finalità rappresentano l'asse finanziario più significativo del Piano nazionale per la promozione dell'attività sportiva, del 29 ottobre 2012 –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di porre rimedio alla situazione sommariamente sopra richiamata, garantendo procedure che, nel rispetto delle competenze regionali, assicurino una sollecita risposta alle tante domande di accesso alle risorse stanziate per il 2012 e a quelle ancora più numerose domande che si potrebbero generare in base agli stanziamenti previsti nel disegno di legge di stabilità. (5-01545)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANFREDI, RUSSO, ROSTAN, BRATTI, TIDEI, GADDA, PAOLUCCI, SALVATORE PICCOLO, TARTAGLIONE, VACCARO, IMPEGNO e AMENDOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il settimanale L'Espresso, sul numero uscito in edicola il 15 novembre 2013, ha pubblicato un'inchiesta dal titolo «Bevi Napoli e poi muori» in cui vengono esposti una serie di dati allarmanti in merito alla presunta contaminazione dell'acqua, del suolo e dell'aria in alcune aree delle province di Napoli e Caserta;
   i dati riportati nell'articolo sono tratti da un dossier realizzato dalla Us Navy tra il 2009 e il 2011, periodo in cui l'esercito degli Stati Uniti ha esaminato una porzione di territorio pari a mille chilometri quadrati per verificare la presenza di 214 sostanze nocive nelle acque, nei terreni e nell'aria;
   le analisi sono state effettuate seguendo gli standard ambientali statunitensi, che differiscono in parte da quelli di norma seguiti dalle competenti autorità locali, e i risultati indicano che, in alcune aree, i rischi per la salute dei residenti sarebbero addirittura «inaccettabili»;
   nell'inchiesta giornalistica si afferma che la Us Navy ha trasmesso il dossier sia all'Ispra che alla regione Campania, che non avrebbero però assunto alcuna iniziativa;
   le province di Napoli e Caserta sono già coinvolte nell'emergenza della «terra dei fuochi», con centinaia di siti contaminati da sversamenti illeciti e roghi tossici;
   l'inchiesta del settimanale, corredata da un titolo fortemente allarmistico, solleva in ogni caso nuovi dubbi sulla salubrità dell'acqua, del terreno e dell'aria in diverse aree delle due province –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati raccolti dalla Us Navy tra il 2009 e il 2011, e se intenda assumere le iniziative di competenza, di concerto con la regione Campania, per le necessarie e urgenti verifiche ambientali e per le eventuali opere di bonifica nelle aree indicate dal dossier statunitense. (5-01533)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   MAGORNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nel 2000, la regione Calabria ha indetto un bando di gara per l'affidamento in concessione dei «Lavori di ristrutturazione e completamento del molo ricovero natanti da diporto del comune di Diamante (CS) e della sua successiva gestione»;
   nell'ambito del procedimento previsto dal bando di gara e dalla normativa vigente, la regione Calabria ha convocato una conferenza di servizi per l'acquisizione dei pareri necessari all'esecuzione dei lavori sopra descritti;
   dopo una prima riunione della conferenza di servizi svoltasi il 14 giugno 2002 e un successivo incontro tenutosi il 12 settembre 2002, è emerso che, tra le amministrazioni convocate e presenti, solo la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per la Calabria aveva espresso parere negativo alla realizzazione del progetto;
   pertanto, l'amministrazione regionale, in data 12 settembre 2002, ha concluso la conferenza di servizi e ha investito la Presidenza del Consiglio dei ministri, in base al dettato dell'articolo 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990;
   considerato che i pareri favorevoli per la realizzazione dell'opera erano in maggioranza, prima di sottoporre la questione all'attenzione del Consiglio dei ministri, si è ritenuto opportuno indire, in data 29 maggio 2003, una conferenza di servizi presso il dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   in tale sede, al fine di ottimizzare il percorso progettuale inerente la realizzazione del porto, le amministrazioni interessate hanno individuato e concordato linee di intervento atte a conciliare le esigenze funzionali con quelle paesaggistiche e ambientali;
   di conseguenza, la regione Calabria ha ritirato la richiesta di decisione del Consiglio dei ministri e, nel 2004, il progetto di che trattasi, modificato e integrato, ha ricevuto il parere favorevole della consulta tecnica regionale;
   ma, solo nel 2009, dopo un lungo e articolato iter amministrativo e burocratico, è stato possibile procedere all'approvazione del progetto esecutivo e all'aggiudicazione definitiva dei lavori e della successiva gestione dell'opera, in favore dell'ATI ICAD s.r.L – Diamante BLU s.r.l.;
   i lavori, iniziati nel 2010, sono stati più volte sospesi dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria per il rinvenimento di reperti archeologici nello specchio d'acqua dell'area portuale;
   successivamente al recupero e alla rimozione del materiale archeologico, i lavori sono ripresi, ma per un breve periodo, in quanto sono stati nuovamente interrotti, in attesa dell'approvazione di una variante migliorativa delle opere in concessione;
   allo stato attuale, i lavori sono ancora fermi e il comune di Diamante sta aspettando il decreto di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), relativamente al progetto di variante;
   in ogni incontro o tavolo tecnico tenuto, la regione Calabria, lo stesso assessore regionale ai Lavori Pubblici e l'ATI ICAD s.r.l. – Diamante BLU s.r.l., hanno reiteratamente assicurato che l'iter amministrativo e burocratico non presentava alcuna irregolarità e che i lavori sarebbero iniziati a breve;
   infine, in data 26 ottobre 2013, si è appreso dagli organi di stampa che, a seguito dell'interrogazione sullo stato di attuazione dei lavori del porto di Diamante, presentata in consiglio regionale dal consigliere Mimmo Talarico, l'Assessore ai Lavori Pubblici, Giuseppe Gentile, aveva dichiarato di essere stato tratto in inganno sui tempi di ripresa dei lavori, evidenziando che la causa del rallentamento dell'iter riguardante l'opera, sarebbe da imputare al mancato rilascio di alcune autorizzazioni e, in particolare, della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.);
   Diamante è una rinomata località turistica in provincia di Cosenza, sita sulla costa tirrenica della Calabria e la realizzazione del porto è fondamentale per i cittadini e per lo svolgimento delle loro attività lavorative e/o per diporto;
   tale infrastruttura, strategica e moderna per l'economia del territorio, rappresenta un importante volano per il decollo definitivo della città, per creare nuove opportunità di lavoro, dirette e indirette, per le attuali e le future generazioni;
   gli operatori del settore, che vedono a rischio il proprio avvenire, hanno bisogno di risposte veritiere, rassicuranti e risolutive su una questione che dura ormai da 14 anni e sulla quale gravano ritardi non più tollerabili –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se il fermo dei lavori di ristrutturazione e completamento del molo ricovero natanti da diporto del comune di Diamante dipenda da esigenze di tutela archeologica e paesaggistica o da altre cause.
(3-00468)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 26 luglio 2013 si è riunita a Santo Stefano di Sessanio (L'Aquila) la Commissione interregionale del turismo della Conferenza delle regioni italiane per presentare al Ministro interrogato una serie di misure a sostegno delle imprese di settore;
   tra le iniziative che sono state oggetto di discussione figurano quelle relative al potenziamento del «turismo congressuale» (meetings, incentives, conferences, and exhibitions – MICE), ampiamente sottostimato nel nostro Paese, oggi noto come industria degli eventi a riprova del notevole peso economico costituito da questo settore;
   in base al protocollo d'intesa sottoscritto a L'Aquila le regioni, l'ENIT-Agenzia nazionale del turismo e Federcongressi&eventi-Federazione delle associazioni della meeting & incentive industry si sono impegnate a raccordarsi e a concordare, nell'ambito delle rispettive pianificazioni, modalità e interventi per operare in modo coordinato e sinergico. Nello specifico s'intendono ottimizzare le iniziative comuni, armonizzando la promozione e la commercializzazione dell'offerta congressuale di qualità, definendo inoltre un programma coordinato di attività;
   a seguito dell'accordo, l'industria degli eventi è quindi pienamente rientrata tra le priorità del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e per la sua programmazione sono state calendarizzate una seriali riunioni tra i rappresentanti dell'ENIT-Agenzia nazionale del turismo, di Federcongressi&eventi e delle regioni;
   nel corso dell'ultimo incontro del 25 ottobre 2013 svolto presso la sede ENIT di Roma, il coordinamento delle regioni ha riferito l'approvazione, da parte di queste ultime, dell'ultima versione del «documento programmatico sul rilancio della meeting industry italiana» preparato da Federcongressi&eventi che prevede, tra l'altro, il rilancio dell'osservatorio congressuale, oltre alla formazione e alla revisione dei criteri di qualificazione delle strutture congressuali;
   il documento, inoltre, evidenzia l'annoso problema della carenza di promozione e commercializzazione dell'offerta di questo settore a livello nazionale, sottolineando anche il livello inadeguato di partecipazione dell'ENIT alla Imex America (America's Worldwide exibition for incentive travel, meetings & events) tenutasi a metà ottobre 2013 Las Vegas (USA);
   secondo Federcongressi&eventi è necessario affiancare all'ENIT — che gestisce e promuove la «destinazione Paese» — un nuovo organismo in grado di commercializzare l'offerta MICE italiana;
   durante la giornata di chiusura dell’Italian Politicians Forum tenutosi a Firenze il 13 novembre 2013, il presidente Federcongressi&eventi Mario Buscema ha dichiarato che «nel 2012 l'Italia si è posizionata al quinto posto nel ranking dei dieci maggiori Paesi europei per eventi internazionali ospitati, dopo la Germania con il 66 per cento in più di eventi rispetto all'Italia, la Spagna, la Gran Bretagna e la Francia. È evidente dunque che la destinazione Italia ha bisogno di uno scatto di orgoglio e di efficienza, perché la “bellezza” del nostro Paese non è più sufficiente per attrarre gli operatori stranieri» –:
   se il Ministro interrogato intenda favorire i lavori del tavolo di coordinamento per avviare al più presto le politiche programmatiche necessarie al rilancio del settore industriale degli eventi;
   quali siano le misure fino ad ora adottate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a sostegno della filiera di riferimento;
   se s'intendano assumere iniziative per istituire un nuovo organismo in grado di commercializzare l'offerta MICE italiana. (5-01542)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni vi è tra i campioni del ciclismo italiani e stranieri, l'usanza di donare propri cimeli al Santuario del Ghisallo: tra questi vi sono ad esempio le biciclette usate da Bartali, Coppi e Merckx nelle loro vittorie al Tour de France, la bici speciale usata da Moser per il record dell'ora e diverse maglie rosa, gialle e iridate;
   negli anni novanta questi cimeli erano ormai tanto numerosi da non trovare più posto nella piccola chiesetta: è stato perciò ideato il progetto di un museo del ciclismo, da erigere a fianco del santuario. A presiedere il comitato per la realizzazione del museo è stato chiamato Fiorenzo Magni;
   il museo è stato inaugurato il 14 ottobre 2006, in occasione del giro di Lombardia 2006, con una cerimonia alla quale hanno partecipato diversi campioni del presente e del passato;
   il museo si sviluppa su tre piani e comprende anche una raccolta multimediale di materiale sul ciclismo. I cimeli più importanti continuano comunque ad essere esposti nella chiesa del santuario;
   all'interno del Museo è esposta la più grande collezione di maglie rosa al mondo; grazie al progetto Giro for Ghisallo le maglie rosa originali, dagli anni ‘30 ad oggi, recuperate e che si possono ammirare all'interno della sala principale sono più di 50;
   nel piazzale del santuario c’è la statua di due grandi ciclisti, Coppi e Bartali; nel 2011 vi è stato posto anche il busto di Binda;
   la struttura rischia di non riaprire il prossimo mese di marzo a causa della mancanza di fondi;
   sarebbe necessario invece assicurare il mantenimento del museo in vista di Expo 2015;
   sono circa 28 mila i visitatori che annualmente visitano questo sito ed è importante che lo stesso abbia tutta la visibilità che merita, legata anche a un discorso di promozione globale delle peculiarità del territorio –:
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza per reperire le risorse economiche necessarie ad assicurare la continuazione dell'attività del museo, anche in vista di Expo 2015;
   se si intenda promuovere una collaborazione tra istituzioni, federazione ciclistica, società professionistiche legate al ciclismo e appassionati di mountain bike o attraverso iniziative che valorizzino lo sport e la cultura, coinvolgendo anche le scuole, oppure inserendo il museo in alcuni percorsi turistici. (4-02627)


   LACQUANITI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   per valorizzare l'immagine di Brescia come città d'arte, effettivamente meta negli ultimi quindici anni d'importantissime mostre d'arte, oltre che luogo che conserva importanti vestigia antiche, romane e medievali, le amministrazioni bresciane che si sono succedute hanno messo mano a interventi di restyling, di cui di gran lunga il più importante è stato la riqualificazione di piazza Vittoria, adesso sede pure di una stazione della nuova metropolitana inaugurata da pochi mesi;
   la bresciana piazza Vittoria è uno dei più importanti esempi di architettura razionalista del ventennio fascista, progettata da Marcello Piacentini. Negli scorsi decenni sono intervenuti vari rimaneggiamenti che ne hanno abbruttito il contesto. Il restyling che appariva necessario, è ormai al termine, e da alcuni mesi al centro di un acceso dibattito della cittadinanza e delle forze politiche sono il restauro e la prevista ricollocazione di una statua monumentale che, originariamente tesa a simbolo del fascismo, denominata appunto «L'era fascista», quindi soprannominata dal popolo come «il Bigio», era collocata su un lato della piazza; oggetto di due attentati nell'immediato dopoguerra che la danneggiarono, venne quindi rimossa;
   si rileva che la rimozione della statua, a pochi mesi dalla fine del conflitto mondiale, si sia collocata nelle azioni di ribellione al regime fascista a Brescia;
   la ricollocazione oggi rischia di essere intesa come una vera e propria provocazione, a pochi metri, come sarà, da piazza della Loggia, luogo della strage neofascista del 1974, e simbolo tragico, che essa ha assunto, nella lotta all'antifascismo;
   nonostante l'opposizione di personalità dell'antifascismo bresciano, dell'A.N.P.I. e in generale dei partiti e movimenti della sinistra, il restauro de «L'era fascista» sta per essere ultimato e la Soprintendenza non vuole recedere dalla progettata ricollocazione nella piazza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga che la collocazione della statua «L'era fascista» sia da ripensare alla luce dell'opportunità di non offendere il suolo di piazza della Loggia, sacro ai bresciani, all'antifascismo e alle libertà democratiche, prevedendone semmai ed eventualmente una differente collocazione, in sede museale, lontano da Brescia, dove essa non possa più assurgere a simbolo politico. (4-02631)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta orale:


   PANNARALE. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la spesa certificata presentata il 31 ottobre 2013 dall'Italia a Bruxelles, nell'attuazione dei programmi finanziati dai fondi comunitari, ha raggiunto il 47,5 per cento della dotazione totale superando di 4 punti il target nazionale;
   rispetto ai dati del 31 maggio scorso, si nota un miglioramento che, per quanto non particolarmente significativo, è in linea con la serie storica della spesa certificata dall'Italia alla Commissione Europea;
   permangono importanti differenze tra il Nord e il Sud del Paese, ma anche all'interno delle due grandi aree: le Regioni più sviluppate raggiungono il 57,1 per cento della spesa certificata, mentre le regioni meno sviluppate si fermano al 43,1 per cento;
   analizzando nel dettaglio i 52 programmi, l'ammontare delle spese certificate ha superato il target in 41 casi, è rimasto entro la soglia di tolleranza in 4 casi, non ha raggiunto il livello minimo in 7 casi: i due programmi interregionali «Attrattori ed Energie», i programmi regionali del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, FESR, delle regioni Lazio, Piemonte, Sardegna e Umbria e i programmi regionali del Fondo Sociale/Europeo, FSE, della Val d'Aosta;
   la regione Puglia, come tutte le regioni d'Italia interessate, aveva un obiettivo di spesa dei fondi comunitari a valere sui Programmi operativi FESR e FSE con scadenza 31 ottobre 2013;
   la Regione Puglia ha raggiunto e superato i target di spesa dei Programmi/Operativi FESR e FSE previsti per il 31 ottobre 2013;
   per quanto riguarda il Programma Operativo FESR Puglia 2007/2014, il target di spesa pubblica cumulata da raggiungere ad ottobre, pari ad euro 1.920.217.523, è stato raggiunto e superato di oltre 359 milioni di euro, ossia del 19 per cento;
   l'avanzamento finanziario del Programma Operativo FESR si attesta oggi su una percentuale di spesa pari al 51 per cento del totale della dotazione (di euro 4.492.319.002), a fronte del 42 per cento registrato a dicembre 2012 e del 46 per cento di maggio. La regione Puglia il 30 ottobre 2013 ha infatti certificato alla Commissione europea, per il Programma operativo FESR Puglia 2007/2013, spese pubbliche per euro 2.279.224.858 (di cui euro 1.328.788.092 di quota comunitaria);
   la spesa aggiuntiva del FESR certificata rispetto a dicembre 2012 (quando il totale pubblico cumulato ammontava a circa 1.876 milioni di euro) è stata di oltre 403 milioni di euro, mentre rispetto a maggio 2013 l'incremento della spesa è stato di 218 milioni di euro. In termini di sola quota comunitaria, le spese certificate nel corso del 2013 ammontano a 235 milioni di euro, con un incremento di oltre 127 milioni di euro rispetto all'ultima certificazione di maggio 2013;
   per quanto riguarda invece il fondo sociale europeo, il target di spesa da raggiungere al 31 ottobre, pari ad euro 337.824.268,24, è stato raggiunto e superato di oltre 1,15 milioni di euro, ossia del 3 per cento;
   l'avanzamento finanziario del Programma operativo si attesta oggi su una percentuale di spesa pari al 53 per cento del totale della dotazione comunitaria (di euro 639.600.000,00), a fronte del 41,74 per cento registrato a dicembre 2012 e del 46,20 per cento di maggio. La regione Puglia il 30 ottobre 2013 ha dunque certificato alla Commissione europea per il programma operativo FSE Puglia 2007/2013 spese pubbliche cumulate per euro 617.480.581,28 (di cui euro 338.981.223,70 di quota comunitaria);
   la spesa aggiuntiva certificata rispetto a dicembre 2012 (quando il totale pubblico cumulato ammontava a circa 433 milioni di euro) è stata di oltre 187 milioni di euro (+ 30,30%), mentre rispetto a maggio 2013, l'incremento della spesa è stato di 131 milioni ai euro (+ 21,23 per cento). In termini di sola quota comunitaria, le spese certificate nel corso del 2013 ammontano a circa 89 milioni di euro, con un incremento di oltre 43 milioni di euro (+ 12,72 per cento) rispetto all'ultima certificazione di maggio scorso, mentre rispetto a dicembre 2012, la sola quota comunitaria è aumenta di circa 71 milioni di euro (+21 per cento);
   dal punto di vista della capacità di spesa e della qualità della spesa esistono delle differenze tra le varie regioni e realtà per i risultati raggiunti sul territorio –:
   se ritenga che ogni regione debba essere valutata singolarmente, per gli obiettivi che raggiunge e per la qualità degli interventi;
   se giudichi necessario aiutare quelle regioni che, come la regione Puglia, sono capaci di spendere e di investire ulteriormente se solo non ci fossero i vincoli del «patto di stabilità»;
   se intenda prendere in considerazione la possibilità di destinare alle Regioni «meritevoli» quelle quote del «patto di stabilità» che oggi appartengono alle Regioni che non hanno raggiunto i target previsti, valutando ogni euro non speso come un'enorme opportunità per mettere in cantiere importanti iniziative anticicliche per i territori;
   se sulla futura programmazione dei Fondi comunitari 2014/2020 si terrà conto dei risultati ottenuti dalle singole regioni nella programmazione che si sta per concludere, al fine di una migliore ed equilibrata suddivisione delle risorse economiche. (3-00466)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIUDITTA PINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'impiego delle Forze armate nelle missioni di pace fuori area prevede anche una costante presenza nei teatri operativi di ufficiali medici, sino al grado di tenente colonnello;
   non è noto il numero degli ufficiali medici che hanno finora partecipato alle missioni internazionali ripartiti per Forza armata di appartenenza ne quante volte ciascuno di loro sia stato impiegato fuori area ne quanti sono quelli che non sono mai stati impiegati –:
   quali criteri siano stati adottati per individuare di volta in volta gli ufficiali medici da inviare fuori area;
   se i criteri adottati tengano conto della facoltà, riconosciuta ai medici militari di esercitare la propria professione sia nell'ambito del servizio sanitario nazionale sia privatamente. (5-01543)


   DURANTI, PIRAS, PANNARALE, ZAN e MELILLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Alenia Aermacchi, l'azienda aeronautica del gruppo Finmeccanica è pronta ad annunciare che l'Aeronautica militare italiana sarà il cliente di lancio della variante gunship (cannoniera volante) dell'aereo da trasporto militare C27J Sparta;
   si tratta della versione armata del velivolo definito «multimissione» MC-27J dotato di un cannone da 30 millimetri ATK GAU-23. La notizia è stata diffusa da Il Sole 24 Ore in una corrispondenza di Gianni Dragoni dal Salone Aerospaziale di Dubai;
   l'Aeronautica militare italiana modificherà in MC-27J tre dei suoi 12 Spartan Partner del programma la società statunitense ATK che ha già testato nel giugno 2013 in Florida l'integrazione del GAU-23 sul cargo tattico italiano che interessa anche al Comando forze speciali statunitense;
   il valore del contratto di modifica dei tre C-27J della 46a Aerobrigata di Pisa in MC-27J è tenuto riservato dai militari, ma ammonterebbe a circa 100 milioni di euro. Il contratto che garantisce all'Aeronautica il possesso della sua prima «cannoniera volante» dovrebbe favorire l'esportazione dell'MC-27J presso Paesi che già utilizzano il cargo Spartan e nuovi clienti;
   a conferma dell'intesa Alenia Aermacchi ha reso noto che Alenia Aermacchi e l'Aeronautica Militare hanno firmato oggi al Dubai Airshow 2013 un accordo che prevede lo sviluppo, sperimentazione, certificazione, industrializzazione e supporto logistico di un velivolo per il supporto delle missioni del Comando Operativo Forze Speciali (COFS) denominato MC-27J Praetorian;
   il progetto «Praetorian», prevede due fasi distinte: la prima, dedicata allo sviluppo di un prototipo da parte di Alenia Aermacchi che sarà consegnato all'Aeronautica militare il 31 marzo 2014 e testato in scenario operativo nel primo semestre del 2014; la seconda, relativa all'industrializzazione della configurazione «Praetorian» e al relativo supporto logistico;
   l'aeronautica militare prevede la trasformazione, da completarsi entro il 2016, di 3 C-27J attualmente in servizio, completi di sistemi di missione, apparati C3IISR e sistemi di supporto/ingaggio al fuoco pallettizzati e 3 velivoli predisposti ad accogliere gli stessi sistemi;
   il Pretorian sarà sviluppato da Alenia Aermacchi con la collaborazione dell'azienda americana ATK per la realizzazione dei sistemi di missione e di supporto aria-suolo e della Selex ES, azienda di Finmeccanica, per gli apparati di comunicazione e data link. L'MC-27J è un moderno sistema di difesa, basato sul C-27J – il più avanzato bimotore da trasporto tattico disponibile sul mercato – che, grazie alle sue prestazioni ineguagliate e alla sua capacità di imbarcare pallet standard NATO, offre con modalità roll-on/roll-off una gamma di soluzioni che permettono di coniugare l'efficacia del compimento di missioni tattiche e strategiche e di rispondere a requisiti operativi particolarmente stringenti quali quelli del Comando Operativo Forze Speciali (COFS)» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   in base a quali autorizzazioni normative il Ministero della difesa abbia operato gli acquisti di cui in premessa;
   se non ritenga necessario fornire ogni elemento utile su decisioni così rilevanti.
(5-01544)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO, ALBERTI, ARTINI, PAOLO BERNINI, CORDA, FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da un avviso pubblicato dall’Aviation Information Publication dell'Ente nazionale per l'assistenza al volo (Enav) si apprende delle esercitazioni nucleari che si stanno svolgendo sul territorio e nei cieli italiani;
   dal 22 ottobre 2013 alla fine del mese ad Aviano e Ghedi piloti e tecnici delle aeronautiche italiana e di alcuni Paesi Nato si addestrano per prepararsi all'evenienza di una guerra nucleare;
   Steadfast Noon (letteralmente «mezzogiorno risoluto»): è un'esercitazione di cosiddetto cross-servicing, serve cioè a verificare l'interoperabilità dei mezzi e delle procedure dei reparti aerei dotati di capacità nucleare. Le regole per la manipolazione e la gestione delle armi nucleari sono ovviamente rigorosissime e trattandosi di asset strategici che fanno ultimamente capo agli statunitensi sono sottoposte a continue verifiche sul campo;
   il gruppo del M5S della Camera dei deputati è ancora in attesa della risposta ad una articolata interrogazione – la n. 4-01188 – nella quale si chiedono lumi sulla presenza ad Aviano di una cinquantina di bombe nucleari del tipo B61-4 in caverne blindate sotterranee WS3 poste in corrispondenza dei ricoveri degli aerei che le dovrebbero usare;
   quelle di Aviano sarebbero destinate ai caccia statunitensi del 31st Fighter Wing di stanza nella base. Altre bombe sarebbero a Ghedi, in provincia di Brescia, per l'uso da parte dei Tornado italiani del 6o Stormo. Pare tuttavia – sono informazioni di stampa perché dal Governo italiano il Parlamento della Repubblica non ha ancora saputo niente – che attualmente non vi siano fisicamente ordigni in permanenza nei vault corazzati di questo aeroporto che sarebbero invece conservati per ragioni di sicurezza ad Aviano, anche se sulla base bresciana c’è comunque il personale statunitense del 704th Munss (Munitions Support Squadron) che ha la responsabilità di custodirle e di consegnarle ai piloti italiani in caso di impiego;
   la Steadfast Noon è una esercitazione che viene effettuata a rotazione nei Paesi europei che ospitano armi nucleari. L'anno scorso si erano effettuate in Germania (aeroporto di Buchel), l'anno prima a Volkel, in Olanda. E nel 2010 di nuovo ad Aviano. Alle esercitazioni partecipano anche militari turchi, ma non si ha notizia di Steadfast Noon svolte sul loro territorio in anni recenti (nella base turca di Incirkl si troverebbero bombe nucleari). Tuttavia, aerei turchi partecipano all'esercitazione nucleare di questi giorni, come dimostrano le foto pubblicate sul forum italy-spotterdtolit.forumfree.it;
   insieme alla Steadfast Noon 2013 si svolge anche un'altra esercitazione denominata Cold Igloo. Probabilmente più importante della prima. In questo caso si tratta infatti di una cosiddetta Tac-Eval, valutazione tattica della Nato. Serve a «dare i voti» ai reparti coinvolti, accertarsi se siano o meno idonei a svolgere la missione affidata loro, in questo caso a colpire con bombe nucleari obiettivi nemici;
   le basi coinvolte da queste esercitazioni sono Aviano, Ghedi e Piacenza, gli spazi aerei percorsi dai caccia sono soprattutto quelli della costa adriatica (lo scorso gennaio un F-16 statunitense partito da Aviano precipitò al largo di Rimini) e dell'Italia centrale. Superare la Tac-Eval serve per confermare o meno ai reparti l'abilitazione all'uso delle bombe nucleari;
   delle due, la Cold Igloo dunque è quasi certamente l'attività più significativa dal punto di vista politico-militare perché mira a verificare la capacità delle unità aeree coinvolte a condurre con successo la missione assegnata. Tale esercitazione conferma la permanenza dello strike nucleare tattico quale tuttora vigente e attualissima opzione militare che la Nato intende mantenere e sviluppare. Che sta anzi potenziando e ammodernando visto l'annunciato arrivo – anche qui senza alcuna comunicazione al Parlamento italiano – delle nuove bombe B61-12 la versione migliorata e potenziata di quelle attualmente in servizio, grazie a un programma di ammodernamento del valore di oltre 10 miliardi di dollari autorizzato dal Presidente Obama. Bombe che, secondo gli esperti, sarebbero state studiate per gli F-35. Anche quelli italiani –:
   se le informazioni riportate in premessa corrispondano al vero e quali siano le ragioni per le quali non sia stato ancora adeguatamente informato il Parlamento;
   come il Governo ritenga compatibile la partecipazione dell'Italia al Trattato di non proliferazione nucleare, con lo stoccaggio di bombe atomiche sul proprio territorio e la messa a disposizione del territorio e dello spazio aereo nazionale per esercitazioni studiate volutamente per portare un attacco nucleare ad una non definita potenza ostile;
   se non reputi necessario rendere edotto il Parlamento sulla presenza in Italia di armamento atomico e quali velivoli – per esempio gli F35 – sarebbero in grado di utilizzarle. (4-02619)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCHI, ARLOTTI e RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, prevede che, a decorrere dall'anno 2013, una quota pari all'80 per cento dei trasferimenti erariali a favore delle regioni, ad eccezione di quelli destinati al finanziamento del servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze, nonché al trasporto pubblico locale, sia erogata alle regioni stesse, a condizione che queste ultime abbiano proceduto alla riduzione dei costi della politica nei termini previsti dal suddetto articolo 2;
   numerosi capitoli di bilancio, relativi a trasferimenti di somme alle regioni — tra i quali il capitolo 2864 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, concernente i rimborsi degli oneri sostenuti per assicurare la vendita di carburanti a prezzo ridotto nelle zone di confine, e il capitolo 1299 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca relativo al sostegno alle scuole paritarie — prevedono, in attuazione delle richiamate disposizioni di cui al decreto-legge n. 174 del 2012, specifici accantonamenti di risorse da utilizzare subordinatamente al verificarsi della citata riduzione dei costi della politica;
   specifici accantonamenti sono, inoltre, previsti per i trasferimenti alle regioni in relazione al passaggio dei comuni della Valmarecchia (Casteldelci, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria, Maiolo e Talamello) dalla regione Marche alla regione Emilia Romagna verificatosi in conseguenza del loro trasferimento dalla provincia di Pesaro e Urbino alla provincia di Rimini;
   in considerazione dell'imminente conclusione dell'esercizio finanziario 2013, potrebbe determinarsi l'impossibilità per le regioni di utilizzare le somme iscritte sui suddetti capitoli qualora non si procedesse al loro tempestivo disaccantonamento –:
   se il Ministero dell'economia e delle finanze abbia ricevuto comunicazione da parte delle regioni interessate concernenti gli effettivi risparmi ottenuti dalla riduzione dei costi della politica, ai sensi dell'articolo 2 del suddetto decreto-legge n. 174 del 2012, e se intenda attivare tempestivamente le procedure volte a disaccantonare le somme iscritte nei capitoli di bilancio relativi ai trasferimenti erariali destinati alle regioni medesime. (5-01534)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUONANNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere:
   cosa intende fare in merito al fatto che la Chiesa non paga l'IMU sugli immobili di sua proprietà ovviamente con l'eccezione degli edifici esclusivamente volti all'attività di culto come chiese, oratori e altro;
   quante risorse lo Stato ricaverebbe e quali benefici avrebbero i comuni dove sono situati tali edifici. (4-02625)


   MANNINO, SARTI, BUSINAROLO, TERZONI, PARENTELA, LOREFICE, DE LORENZIS e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso e considerato che:
   da notizie di stampa si è appreso che il Sottosegretario all'economia con delega al demanio Pier Paolo Baretta ha messo a punto, e condiviso con le diverse associazioni che rappresentano i titolari delle concessioni balneari, una proposta di riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime che consentisse di eludere gli obblighi derivanti dall'applicazione della direttiva servizi attraverso la sdemanializzazione e la successiva alienazione della parte della spiaggia occupata dagli stabilimenti con diritto di prelazione riconosciuto agli attuali concessionari;
   in relazione a ciò con interpellanza urgente n. 2-00262 a prima firma dell'interrogante, il Movimento 5 stelle ha chiesto al Governo se l'ipotesi richiamata nel punto precedente – che era circolata sulla stampa in seguito agli incontri svolti tra il Sottosegretario Baretta, le associazioni dei balneari ed esponenti politici dei partiti di maggioranza – non esponesse l'Italia alla riapertura di una procedura di infrazione da parte delle autorità comunitarie;
   il Vice-ministro all'economia Stefano Fassina – rispondendo alla citata interpellanza nella seduta della Camera del 25 ottobre 2013 – ha detto che le ipotesi normative circolate sulla stampa, non rappresentano la posizione del Governo e «sono impraticabili in quanto in contraddizione con la disciplina comunitaria»;
   in merito alla stessa questione, nel sito internet del settimanale L'Espresso, il 22 ottobre, è stato pubblicato un articolo, a firma di Gianfranco Turano, intitolato «Così svendiamo le nostre spiagge» nel quale si afferma che l'ipotesi circolata in merito alla «sdemanializzazione», e alla successiva alienazione, della parte della spiaggia occupata dagli stabilimenti a beneficio degli attuali concessionari «è tramontata per palese impercorribilità giuridica»;
   nello stesso articolo si da, però, conto del fatto che il Governo è alla ricerca di una soluzione che consenta di mettere al riparo, nel modo efficace e tecnicamente fattibile gli attuali concessionari dagli effetti della piena applicazione delle disposizioni della direttiva servizi che – come è noto – obbligano gli Stati membri ad applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali con garanzie di imparzialità e di trasparenza, nel caso in cui il numero delle concessioni assegnabili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali;
   nell'articolo pubblicato si riporta, infatti, il contenuto di un documento dell'Agenzia del demanio – trasmesso al Ministero dell'economia e finanze il 9 ottobre 2013 – nel quale viene prospettata la possibilità che le risorse rivenienti dalla riscossione dei canoni per le concessioni demaniali vengano assegnate alle regioni, e non più allo Stato, e che a fronte di ciò si provveda alla decurtazione dei trasferimenti statali a beneficio delle regioni, per un importo equivalente;
   nello stesso documento, così come riportato nell'articolo, viene affrontata anche la questione spinosa delle modalità di gestione delle procedure di gara che – una volta accertata l'impercorribilità giuridica» di soluzioni che consentano di sottrarsi a questo obbligo – dovranno essere svolte per la selezione dei soggetti ai quali assegnare le concessioni demaniali;
   secondo quanto riportato nell'articolo, nel documento riservato dell'Agenzia del demanio si propone di scegliere il concessionario utilizzando il criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa da valutarsi «sulla base di un piano economico-finanziario di copertura degli investimenti», ed inserendo tra i criteri per la valutazione comparativa delle offerte quello della «professionalità acquisita dall'offerente nell'esercizio di concessioni di beni demaniali marittimi per finalità turistico-ricreative e la professionalità acquisita relativamente all'area alla quale si riferisce la procedura», che dovrebbe «pesare» il 40 per cento ai fini dell'attribuzione del punteggio alle diverse offerte –:
   se corrisponda al vero che l'Agenzia del demanio, il 9 ottobre 2013, abbia trasmesso al Ministero dell'economia e delle finanze un documento riservato in merito alle problematiche connesse all'assegnazione delle concessioni balneari;
   se corrisponda al vero la ricostruzione del documento riservato dell'Agenzia del demanio riportata nell'articolo pubblicato dal settimanale L'Espresso;
   quali siano le valutazioni che il Ministero ha formulato in merito alle proposte contenute nel documento dell'Agenzia del demanio, con specifico riferimento alle indicazioni relative alle modalità di gestione delle procedure di gara per l'assegnazione delle concessioni demaniali;
   se non ritenga che la sola introduzione, come criterio di valutazione delle offerte per l'assegnazione della concessione di un'area demaniale, della «professionalità acquisita» relativamente alla stessa area non sia una forma surrettizia di riproporre il cosiddetto «diritto di insistenza» all'origine della procedura di infrazione n. 2008/4908. (4-02645)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   i giudici di pace hanno assunto un molo rilevante nell'amministrazione della giustizia, con circa 2 milioni di procedimenti trattati in un anno;
   si tratta di un giudice costituzionalmente previsto, con competenze nelle materie civile, penale ed è da considerarsi sicuramente il giudice più vicino al cittadino;
   l'amministrazione della giustizia non può oramai prescindere dal contributo dei giudici di pace, che amministrano giustizia in tempi molto contenuti – in media la durata di un giudizio è inferiore ad un anno, un quarto del tempo necessario per celebrare un processo dinanzi ad un tribunale; la percentuale di impugnazione delle sentenze si attesta intorno al 3 per cento;
   l'Associazione nazionale giudici di pace ha denunciato il rischio di paralisi degli uffici giudiziari, atteso che, dal gennaio 2014 i magistrati in servizio dovranno progressivamente in breve tempo lasciare l'incarico per scadenza del mandato;
   i giudici di pace sono in stato di agitazione e chiedono l'adozione di un provvedimento che assicuri una maggiore continuità della funzione, attraverso la rinnovabilità dell'incarico, come è accaduto nel 2005 per i magistrati tributari e nel 2010 per i magistrati onorari minorili. Per quest'ultimi è stata prevista una stabilizzazione tout court, che presenta diversi aspetti positivi: garantire piena autonomia ed indipendenza ai giudici; impedire la dispersione di professionalità acquisite in circa un ventennio di attività; consentire un risparmio di spesa per lo Stato, in quanto un turn over di tutti i magistrati in servizio costerebbe al Paese molti milioni di euro per l'espletamento dei concorsi e la formazione dei nuovi assunti;
   i giudici di pace lamentano, inoltre, il mancato riconoscimento di qualsivoglia tutela previdenziale ed assistenziale, costituzionalmente prevista per tutti i lavoratori; l'attuale status giuridico-economico dei magistrati di pace sembra essere in contrasto con la Carta costituzionale, le direttive comunitarie in materia di trattamenti riservati ai giudici onorari, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la Carta di Strasburgo e con la raccomandazione del 17 novembre 2010 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa CM/Rec (2010)12 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di superare la condizione di precarietà che notevoli sofferenze procura ai giudici di pace e che soprattutto ne mina l'autonomia e l'indipendenza.
(2-00314) «Tartaglione, Bargero, Impegno, Venittelli, Carrescia, Lodolini, Amoddio, Campana, Scalfarotto, Biondelli, Censore, Capone, Magorno, Palma, Manfredi, Valiante, D'Incecco, Salvatore Piccolo, Rocchi, Morani, Valeria Valente, Vazio, Cimbro, Del Basso De Caro, Marzano, Di Lello, Moscatt, Pastorino, Preziosi, Gullo, Tino Iannuzzi, Moretti, Bruno, Verini, Pisicchio, Mattiello, Leva, Bonavitacola, Roberta Agostini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI, NESCI, DIENI, BARBANTI, PARENTELA, AGOSTINELLI, BONAFEDE, MICILLO, TURCO, SARTI, COLLETTI e BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   agli interroganti risultano i fatti esposti;
   nei 13 istituti penitenziari presenti nella regione Calabria, a fronte di una capienza regolamentare di 2.481 posti, sono rinchiusi 2.684 detenuti dei quali 345 sono stranieri; tra di essi 1.330 sono imputati (739 in attesa di primo giudizio, 296 appellanti, 208 ricorrenti e 87 misto) mentre i condannati definitivi sono 1.353;
   i detenuti usciti dagli istituti penitenziari ex legge n. 199 del 2010, dall'entrata in vigore fino al 30 settembre 2013, risultano essere solo 344, dei quali 13 donne e 40 stranieri;
   il sovraffollamento carcerario riguarda tutti gli istituti della Calabria, in cui si registrano condizioni di forte disagio, a motivo dell'insufficienza degli spazi, che determinano pesanti costrizioni per i detenuti, che perciò non possono avere una quotidianità rispettosa della dignità umana;
   secondo fonti giornalistiche, a Vibo Valentia ci sono 335 detenuti per 274 posti, 221 gli imputati e 114 i condannati;
   a Castrovillari i detenuti presenti sono 270 per 146 posti, dei quali 103 imputati e 167 condannati;
   a Cosenza ci sono 324 detenuti per 209 posti, 150 sono imputati e 174 condannati;
   a Lamezia Terme vi sono, addirittura, 83 detenuti per una capienza di 30 posti, con 48 imputati e 35 condannati;
   a Locri ci sono 148 detenuti per 83 posti, 96 imputati e 52 condannati;
   a Palmi i detenuti presenti sono 254, per una capienza di 140 posti, di cui 208 gli imputati e 46 i condannati;
   a Paola ci sono 247 detenuti per 161 posti, 65 sono gli imputati e 182 i condannati;
   a Reggio Calabria ci sono 276 detenuti per 149 posti, 212 sono gli imputati e 64 i condannati;
   a Rossano ci sono 348 detenuti per 233 posti disponibili, 66 imputati e 282 condannati;
   uno dei più colpiti è la Casa circondariale di Catanzaro Siano «Ugo Caridi» dove, a fronte di una capienza regolamentare di 354 posti, vi sono ristretti 590 detenuti, 330 dei quali appartenenti al circuito dell'Alta Sicurezza (AS1, AS2, AS3) perché imputati e/o condannati per gravi fatti di terrorismo e criminalità organizzata;
   risulta che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia abbia provveduto ad incrementare la capienza regolamentare dei posti della predetta casa circondariale da 354 a 617, senza che siano intervenuti mutamenti strutturali di rilievo (il nuovo Padiglione non era funzionante prima così come non lo è oggi), non si comprende pertanto il motivo giustificante l'incremento apportato; del caso si sono interessati sia i radicali calabresi che il Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe), denunciandone la situazione;
   risulta inoltre che i posti disponibili complessivamente negli istituti della Calabria siano 1.789 e non, come indicato dal dipartimento, 2.481, cosa che porta la percentuale di sovraffollamento al 161,37 per cento, attestato che il valore nazionale è del 140 per cento;
   il suddetto penitenziario si estende per circa 5.000 metri quadrati e sorge nel circondario cittadino, collocato in una conca che amplia gli effetti delle condizioni climatiche, in special modo nella stagione estiva, quando il caldo diventa asfissiante; edificato negli anni 80 ed inaugurato nel 1993 è collocabile nel novero delle «carceri d'oro» e presenta tutte le criticità strutturali già riscontrate in altre strutture carcerarie simili;
   il personale della polizia penitenziaria si troverebbe fortemente carente, così come risulta deficitario anche il personale dell'area amministrativa e contabile e sanitaria; risultano altresì insufficienti anche gli automezzi in dotazione al locale nucleo traduzioni e piantonamenti;
   gli uffici destinati alle varie attività istituzionali e gestionali (matricola, ufficio comando, e altro) sono allocati in spazi originariamente destinati alla detenzione, tant’è che le porte di tali uffici non sono altro che i cancelli «blindati», con tanto di spioncino; l'ufficio «smistamento posta» dei detenuti è destinato (impropriamente) anche ad archivio cartaceo;
   tutti i cortili destinati ai «passeggi» dei detenuti presentano condizioni di assoluta insalubrità, anche per il personale addetto alla vigilanza, poiché sono esposti alle intemperie, senza alcun riparo da vento e freddo e sembra che i liquami fognari, anziché defluire nei condotti preposti, spesso fuoriescano proprio in tali cortili, in particolar modo in quelli destinati ai detenuti ad alta sicurezza;
   vi risultano numerose colonie di topi e di ratti, la cui presenza viene segnalata sia dalla popolazione detenuta che dai sindacati della polizia penitenziaria, con il rischio costante che possano diffondersi malattie infettive, anche di grave pericolosità; recentemente, la popolazione detenuta, appartenente al circuito della media sicurezza, ha organizzato una manifestazione di protesta pacifica (dal 20 settembre 2013 al 1o ottobre 2013), consistita nel rifiuto del vitto ministeriale ed astenendosi anche dall'acquisto di generi alimentari e di conforto presso il sopravvitto interno, per chiedere una ispezione da parte dell'autorità sanitaria competente all'interno dell'istituto e specialmente nei locali adibiti alla preparazione del vitto;
   in tutte le sezioni detentive le poche ed insufficienti docce, destinate ai detenuti, si presentano indecorose, prive dei minimi requisiti di igiene e salubrità ed in qualche caso persino non funzionanti; le docce, ancora oggi, avvengono in locali esterni alle camere di detenzione, nonostante il decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 all'articolo 134 disponeva che: «entro 5 anni dalla data di entrata in vigore del presente Regolamento, negli istituti in cui i servizi igienici non sono collocati in un vano annesso alla camera, si provvederà attraverso ristrutturazioni ad adeguarli»; risulta inoltre, su segnalazione degli stessi detenuti, che per poter effettuare la doccia si dovrebbe rinunciare alle ore d'aria a disposizione, atteso che le stesse coinciderebbero;
   nelle scale di accesso ai piani detentivi risultano usurate le guaine antiscivolo e, in alcuni casi, risultano rotti anche i gradini rendendo, di conseguenza, pericoloso il transito per i detenuti e per gli operatori del carcere;
   le camere detentive destinate ad ospitare normalmente un detenuto sono sistematicamente occupate, per 20 ore al giorno, da 3 reclusi; la presenza dei letti a castello non permette a queste persone quel minimo di movimenti indispensabili ed agli agenti di polizia penitenziaria di effettuare i normali controlli;
   recentemente, la direzione dell'istituto ha provveduto a far applicare a tutte le finestre delle celle delle schermature metalliche a maglie strette che impediscono di fare entrare all'interno delle stesse aria e luce naturale; tali schermature metalliche risultano essere vietate dall'articolo 6, comma 2, del Regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario (decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000);
   la popolazione detenuta lamenta principalmente: il vitto di scarsa qualità, la mancanza di un'area verde dove poter effettuare i colloqui con i bambini (specie con quelli di età inferiore ai 10 anni), l'impossibilità – per chi proviene da altre regioni e non riceve visite settimanali – di poter usufruire di servizi come la lavanderia, dovendo, il rigetto ripetuto delle richieste di trasferimento in Istituti più vicini alle famiglie, o dove sia possibile svolgere corsi di studio, l'insufficienza dell'assistenza medico/sanitaria prestata nei loro confronti, la limitazione dell'utilizzo di personal computer nelle celle, la mancata concessione di qualunque genere di permesso da parte del magistrato di sorveglianza e l'impossibilità di avere colloqui con lo stesso nell'istituto, l'eccessiva umidità dei reparti e delle camere detentive a causa della continua infiltrazione di acqua piovana, l'assenza di psicologi ed educatori;
   presso la casa circondariale di Catanzaro esiste, da molto tempo, un padiglione destinato a centro diagnostico terapeutico, ancorché si tratti di locali assolutamente adeguati, perfettamente realizzati ed arredati, con presenza di ampi spazi ben distribuiti, dotati perfino di piscina per la riabilitazione e, soprattutto, di numerose e preziose attrezzature, allo stato odierno risulta chiuso ed inutilizzato; nello scorso mese di luglio è stato sottoscritto, in prefettura a Reggio Calabria, un protocollo di intesa tra la regione Calabria, rappresentata dal governatore Giuseppe Scopelliti, ed il Ministero della giustizia, rappresentato dal Ministro Annamaria Cancellieri, per l'apertura ed il funzionamento del centro diagnostico terapeutico, pare senza la dovuta considerazione che, se non verrà incrementata la pianta organica della polizia penitenziaria, questo non si potrà fare;
   il sovraffollamento carcerario interessa particolarmente anche la casa circondariale di Paola (Cosenza) ove, a fronte di una capienza regolamentare di 161 posti, sono ospitati ben 300 detenuti, tutti appartenenti al circuito della Media Sicurezza, molti dei quali condannati in via definitiva anche a lunghe pene detentive;
   in detto Istituto è completamente assente qualsivoglia attività trattamentale, sia per gli imputati che per i condannati, poiché la biblioteca, con annessa sala lettura, il teatro, la palestra, le salette interne ai reparti per la socialità, sono chiuse e non funzionanti; solo nel mese di maggio è stato aperto, dopo tanti anni di chiusura, il campo sportivo a cui i detenuti possono accedere una volta alla settimana per Sezione; gli spazi destinati alla ricreazione all'aperto sono angusti e privi di aria in quanto chiusi tra più fabbricati adiacenti; l'unica forma di lavoro presente all'interno della casa circondariale di Paola, purtroppo insufficiente, è quella alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria stessa (scopini, portavitto, spesini, lavoranti mof e altro);
   risulta esistente una lavanderia ma non è data la possibilità alla popolazione detenuta di usufruirne, e tantomeno esiste una convenzione con una ditta esterna che garantisca ai detenuti, come previsto dalle norme penitenziarie vigenti, di poter far lavare gli indumenti personali, con grave disagio, particolarmente per coloro che non hanno la possibilità di effettuare i previsti colloqui familiari;
   i colloqui con i familiari, i cui tempi di attesa, secondo quanto riferito agli interroganti, sono particolarmente lunghi, si svolgono in sale che, oltre ad essere fatiscenti ed in condizioni indecorose, non sono conformi alle prescrizioni dettate dall'articolo 37, comma 5, del regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario (decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000), poiché vi è presente un muro divisorio in cemento armato e piccoli sedili in cemento; tale situazione appare gravemente lesiva dei legittimi diritti dei detenuti che non possono mantenere rapporti umani con le proprie famiglie e, soprattutto, con i bambini in tenera età; inoltre, nelle diverse salette destinate ai colloqui con gli avvocati le condizioni di manutenzione sono pessime, con finestre rotte e conseguenti infiltrazioni in caso di precipitazioni atmosferiche;
   anche in questo istituto le celle, alcune sfornite addirittura di un pavimento decoroso, sarebbero destinate originariamente ad accogliere un solo detenuto, mentre invece sono occupate da due persone, per ben 20 ore al giorno, in violazione di quanto disposto dalle norme vigenti; la condizione dei materassini di gommapiuma su cui sono costretti a dormire i detenuti risulta essere pessima;
   in molti casi nella stessa cella sono reclusi detenuti che scontano una condanna definitiva e detenuti in attesa di giudizio, senza che sia assicurata la separazione dei condannati dagli imputati, non pare esservi celle riservate ad ospitare detenuti non fumatori, in ogni piano detentivo (corridoio attiguo ai reparti) esistono delle postazioni telefoniche che però non garantiscono ai detenuti di poter svolgere le loro telefonate, con i familiari o i difensori, in modo riservato;
   vi è una illecita attività di controllo notturno effettuata dal personale di polizia penitenziaria che è costretto ad accendere la luce interna alle celle, provocando inevitabilmente il risveglio dei detenuti, e ciò a conseguenza della inadeguatezza dell'impianto di illuminazione; il fatto è stato segnalato, con apposito reclamo, da parte della popolazione detenuta, in data 21 aprile 2013, al magistrato di sorveglianza di Cosenza e accolto con decreto n. 2502/2013 del 24 giugno 2013; con il citato decreto il giudice di sorveglianza ordinava alla direzione dell'istituto di far effettuare i controlli nelle camere detentive da parte degli agenti mediante l'utilizzo di luci a batteria di intensità attenuata, in attesa che venisse sistemato l'impianto di illuminazione notturna; pare che la citata disposizione del Magistrato di Sorveglianza, allo stato, sia rimasta inevasa;
   detti istituti penitenziari, sia quello di Catanzaro Siano che quello di Paola, sono sprovvisti di regolamento interno, da approvarsi da parte del Ministro della giustizia con decreto ai sensi dell'articolo 16, comma 3, dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975); tale fatto risulta essere già stata segnalata dai detenuti ai rispettivi uffici di sorveglianza ed anche al provveditorato regionale di Catanzaro ed al dipartimento centrale dell'amministrazione penitenziaria;
   particolarmente disagiata in detti istituti è la condizione dei detenuti stranieri: non esistono mediatori culturali, non vengono concessi sussidi agli indigenti, non vengono accordati colloqui telefonici sulle utenze mobili a coloro i quali non hanno utenze fisse, nonostante le disposizioni favorevoli del Ministero della giustizia – dipartimento dell'amministrazione penitenziaria; molti di questi detenuti stranieri non conoscerebbero nemmeno la loro posizione processuale, in considerazione delle oggettive difficoltà linguistiche; diversi detenuti stranieri avrebbero inoltrato ai competenti magistrati di sorveglianza di Catanzaro e Cosenza delle istanze tendenti ad ottenere l'espulsione come misura alternativa alla detenzione, dovendo espiare una pena residua non superiore a due anni, così come prevede l'articolo 16, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998, modificato dall'articolo 15 della legge n. 189 del 2002; a tali istanze non sarebbe stata fornita alcuna risposta;
   si evidenzia una criticità nella effettiva funzione svolta dai magistrati di sorveglianza, così come segnalato di detenuti, che parrebbe non riuscire nell'applicazione piena e puntuale dei compiti che la legge penitenziaria gli affida;
   sembra, infine, che ancora oggi non sia stata data esecuzione alle recenti direttive sulla «sorveglianza dinamica», emanate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in seguito alla nota sentenza Torreggiani emessa dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo di Strasburgo contro l'Italia per il trattamento ai detenuti appartenenti al circuito della media sicurezza –:
   se e quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti rappresentati nel presente atto di sindacato ispettivo e se questi corrispondano al vero;
   quali siano i dati aggiornati del sovraffollamento degli istituti penitenziari della Calabria, facendo riferimento alla capienza regolamentare di ciascun istituto ed alle singole posizioni giuridiche dei detenuti (in attesa di giudizio, appellanti, ricorrenti, definitivi);
   quanti siano ad oggi i detenuti tossicodipendenti presenti all'interno degli istituti calabresi e quanti quelli affetti da gravi disturbi mentali o altre gravi patologie di fatto incompatibili con lo stato di detenzione intramuraria;
   se sia noto quanti siano i detenuti che hanno usufruito della cosiddetta legge «Svuota Carceri», varata nel 2010, e successive modifiche ed integrazioni, sino alla data odierna e quante siano le istanze in tal senso giacenti presso gli uffici di sorveglianza competenti ed allo stato non ancora evase, e a cosa sia dovuto l'eventuale ritardo nel disbrigo degli atti;
   se sia noto quanti siano ad oggi i detenuti stranieri che abbiano formulato agli uffici di sorveglianza competenti istanza di espulsione dal territorio dello Stato come misura alternativa alla detenzione e quanti di questi siano stati effettivamente espulsi ed a quanti di loro sia stata invece negata la richiesta e per quali motivi;
   quale sia la cifra destinata ogni anno, negli ultimi 5 anni, alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture penitenziarie calabresi;
   quando sarà attivato il centro diagnostico terapeutico annesso alla casa circondariale di Catanzaro Siano e se lo stesso potrà essere effettivamente utilizzato senza l'incremento del personale di polizia Penitenziaria in forza all'istituto;
   per quale ragione recentemente si sia deciso di installare nella suddetta casa circondariale le vietate schermature metalliche a maglie strette davanti alle sbarre delle finestre delle celle, impedendo in tal modo sia l'ingresso della luce che dell'aria naturale con evidenti danni per i detenuti;
   per quale motivo, nella casa circondariale di Paola, la biblioteca con annessa sala lettura, il teatro, la palestra, le salette interne ai reparti per la socialità, siano chiuse e non funzionanti;
   se il Governo non ritenga di dover disporre con urgenza, presso la casa circondariale di Paola, il completo rifacimento delle sale destinate ai colloqui, e se non ritenga di dover intervenire per assicurare la mediazione culturale per i detenuti stranieri;
   quali istituti penitenziari della Calabria hanno attivato, ed in che modo, per i detenuti appartenenti al circuito della media sicurezza, la «sorveglianza dinamica», in ossequio alle direttive impartite dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed alla luce della nota sentenza Torreggiani emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo contro l'Italia;
   se vengano effettuate le visite negli istituti penitenziari della Calabria da parte delle competenti autorità sanitarie locali e, in caso affermativo, a quando risalgano e cosa sia emerso nelle loro relazioni in merito alle condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza, con particolare riguardo alla casa circondariale di Catanzaro Siano e di Paola;
   con quale frequenza i magistrati di sorveglianza visitano i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, in applicazione di quanto stabilito dall'articolo 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, e ciò riferito a ciascun istituto penitenziario della Calabria ed in particolare a quello di Catanzaro Siano e Paola;
   quale sia l'organico ed il carico di lavoro degli uffici di sorveglianza di Catanzaro e Cosenza e quali siano le ragioni di quella che agli interroganti risulta essere una inadeguata e carente attività, in virtù dei compiti specifici che la legge penitenziaria attribuisce ai suddetti uffici giudiziari;
   se siano giunte al Governo, ed in particolare ai Ministri interrogati, delle segnalazioni – sia da parte dei direttori delle carceri che dei Magistrati di Sorveglianza – in merito alle condizioni in cui versano gli istituti di pena della Calabria palesemente non rispettose della legge ed alla cronica carenza del personale della polizia penitenziaria in servizio presso dette strutture;
   quanti detenuti, ristretti negli istituti di pena della Calabria, abbiano presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
   se i Ministri interrogati ritengano o meno che negli istituti penitenziari della Calabria, ed in particolare nella casa circondariale di Catanzaro Siano e di Paola, vi siano state, o vi siano in corso, violazioni nei confronti dei diritti legittimi dei cittadini detenuti in contrasto con quanto previsto dagli articoli 27 e 32 della Costituzione repubblicana;
   se non ritengano doveroso ed opportuno disporre con urgenza delle mirate visite ispettive presso le case circondariali calabresi al fin di avere un quadro più chiaro possibile della situazione esistente, ed intervenire in maniera appropriata tenendo in considerazione quanto segnalato con il presente atto ispettivo parlamentare. (5-01535)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da quasi due anni, a seguito del trasferimento del giudice titolare, avvenuto nel marzo 2012, il posto di giudice del lavoro presso il tribunale di Pistoia risulta vacante;
   in questo lasso di tempo, il presidente del tribunale, di concerto con il presidente della corte di appello di Firenze, ha chiesto ed ottenuto la destinazione dei giudici del lavoro di Pisa e di Lucca che, si sono avvicendati garantendo un'udienza a cadenza settimanale, mentre il presidente del tribunale si sta «accollando» in prima persona tutti i procedimenti per decreto ingiuntivo;
   tutto ciò è avvenuto fino al 31 agosto 2013, mentre dal 1o settembre 2013 il posto non è stato assegnato ad alcun magistrato né in modo temporaneo né, tantomeno, definitivo;
   essendo stato bandito il concorso interno alla magistratura soltanto qualche settimana fa, la presumibile attesa per l'effettiva copertura del posto vacante sarà di oltre un anno, che si andrebbe a sommare ai due già trascorsi;
   d'altro canto, come era facilmente prevedibile, le cause attualmente pendenti (compresi gli a.t.p. in materia previdenziale ma esclusi i procedimenti monitori) sono in aumento costante e addirittura esponenziale, essendo passate da 1070 (al 31 marzo 12) a 1450 (al 20 settembre 2013);
   a ciò deve aggiungersi che dallo scorso settembre 2013 in poi nemmeno le cause aventi ad oggetto i licenziamenti illegittimi ed assistiti da tutela reale sono state oppure verranno trattate;
   in considerazione della materia e della delicatezza delle cause che riguardano questo ambito, quello giuslavoristico, l'attuale assenza di qualsivoglia soluzione se non il temporaneo affidamento ai giudici onorari di tribunale (GOT), spesso sprovvisti di alcuna esperienza in materia, di alcune sporadiche udienze, appare del tutto inadeguata ed insufficiente;
   il consiglio dell'ordine di Pistoia a nome di tutti i propri iscritti, con il sostegno dei sindacati dei lavoratori e delle associazioni datoriali, si è rivolto più volte al Csm e, in assenza di risposte al problema posto, sta richiedendo al presidente della corte di appello di Firenze di destinare un giudice del lavoro di altro tribunale del distretto a Pistoia, garantendo in questo modo, almeno una udienza a settimana finché non interverrà la copertura definitiva del posto –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra descritta, situazione la quale, oltre ad avere come prima e più grave conseguenza quella di creare un profondo disagio ai cittadini cui sono negate risposte alla richiesta di giustizia avanzata per problematiche inerenti ai diritti primari ed essenziali, quali quelli legati al lavoro, sta cominciando a generare una spirale di incertezza anche da un punto di vista economico e finanziario alle aziende (ormai poche) del territorio;
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, ritenga di dover assumere al fine di individuare una soluzione adeguata per coprire in modo efficace il posto vacante di giudice del lavoro presso il tribunale di Pistoia. (4-02618)


   ROSATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il sovraffollamento delle carceri italiane è un problema, molto grave e sentito dal Parlamento, al quale va data una immediata risposta anche attraverso maggiori risorse da destinarsi in parte al personale della Polizia penitenziaria per nuove assunzioni;
   il blocco del turn over, che ha prodotto evidenti gravi difficoltà in tutte le pubbliche amministrazioni ed in particolare nel settore della difesa e del soccorso pubblico, infatti, non ha risparmiato il corpo della Polizia Penitenziaria impegnata nelle carceri;
   con altri atti di sindacato ispettivo l'interrogante ed altri colleghi hanno evidenziato la vigenza di graduatorie di concorsi pubblici banditi in questi anni, per le quali si registrano candidati vincitori e candidati idonei che, a causa dell'intervenuto blocco del turn over, ancora attendono di essere chiamati in servizio dalle rispettive amministrazioni;
   anche l'amministrazione della Polizia penitenziaria ha bandito di recente dei concorsi per l'accesso ai ruoli di agenti nonché di ispettori, le cui graduatorie risultano oggi ancora vigenti;
   si ricorda, a titolo esemplificativo, che nel dicembre 2012 sono stati banditi gli ultimi concorsi per allievi agenti di Polizia penitenziaria sia nel ruolo maschile che femminile;
   da alcune notizie riportate anche da siti web, sarebbe prossima la pubblicazione in Gazzetta ufficiale di un bando di concorso per 260 allievi agenti di Polizia penitenziaria di cui 208 nel ruolo maschile e 52 in quello femminile;
   si segnala che a parere dell'interrogante questa possibilità contrasterebbe con l'articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, che prevede la validità delle graduatorie vigenti al 31 dicembre 2016 e il loro scorrimento;
   l'interrogante ribadisce la necessità che si rispettino le norme varate dal Parlamento e dal Governo, che hanno dato certezze e hanno cercato di tutelare i diritti acquisiti da vincitori ed idonei di concorsi regolarmente banditi;
   si ricorda, infine, che la norma citata era volta anche a conseguire risparmi di spesa, atteso che l'avvio di nuove procedure concorsuali è motivo di nuovi oneri a carico dei bilanci degli enti e delle amministrazioni –:
   se il Ministro confermi o smentisca le informazioni circa la prossima pubblicazione in Gazzetta ufficiale di un bando di concorso per 260 allievi agenti di polizia penitenziaria di cui 208 nel ruolo maschile e 52 in quello femminile;
   se il Ministro condivida che l'avvio di una nuova procedura concorsuale, nonostante vi siano già graduatorie vigenti, sia in contrasto con la previsione normativa richiamata in premessa (articolo 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101);
   quali misure intende adottare il Ministro per tutelare i vincitori ed idonei delle graduatorie attualmente vigenti, e per impedire che l'amministrazione della polizia penitenziaria ponga in essere attività amministrative in difformità da una norma di legge. (4-02620)


   BIONDELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tutti conoscono la situazione delle carceri nel nostro Paese: da troppi anni in esse si vivono gravi problematiche, prima fra tutte quella del sovraffollamento, che determina condizioni di vita disagiate e spesso ai limiti della sopportazione umana;
   dopo Serbia e Grecia, è l'Italia il Paese del Consiglio d'Europa con il maggior sovraffollamento nelle carceri, dove per ogni 100 posti ci sono 147 detenuti ed è anche al terzo posto per numero assoluto di detenuti in attesa di giudizio, dopo Ucraina e Turchia;
   il problema del sovraffollamento dei penitenziari italiani tocca tutta la popolazione carceraria: 64.323 i detenuti reclusi (compresi nel totale dei detenuti anche quelli in semilibertà) nei 205 istituti di pena italiani, a fronte di una capienza regolamentare di 47.668 posti, poco meno di un terzo, ossia 22.770 sono i detenuti non italiani (che rappresentano il 35,1 per cento della popolazione carceraria). Minima è la componente femminile, il 4,3 per cento del totale dei detenuti ovvero 2.821 donne (di cui 1.102 straniere). Al 30 giugno 2013, sono 52 i bambini sotto i 3 anni che vivono in carcere con le madri (51 detenute);
   al problema del sovraffollamento carcerario è strettamente collegato quello della cronica carenza di personale e di conseguenza della negazione di fatto di alcuni diritti fondamentali dei detenuti, primo tra tutti quello sancito dall'articolo 27 della nostra Costituzione che prevede la rieducazione del condannato;
   secondo la stesso dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla data del 30 settembre 2012 la carenza di personale riguardava il personale dirigenziale (previste 534 unità in forza 416), i funzionari con professionalità giuridico-pedagogica (previsti 1.376 in forza 1.002) i funzionari con professionalità in ambito del servizio sociale (previsti 1.630 unità in forza 1.058) ed infine il personale di polizia penitenziaria (previsti 41.281 unità in forza 37.590);
   come si evince da questi dati, la carenza di dirigenti è pari al 22,1 per cento non a caso molti istituti non hanno proprio il direttore, quella degli ex educatori, oggi funzionari giuridico-pedagogici, è pari al 27,2 per cento, quella di assistenti sociali addirittura del 35,1 per cento, mentre la carenza del personale di polizia penitenziaria, da tempo segnalata come uno degli elementi di maggior criticità del nostro sistema penitenziario, è pari all'8,9 per cento;
   al decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63 Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della legge 27 luglio 2005, n. 154 che sancisce i diritti della dirigenza penitenziaria, doveva poi seguire la stipula de primo contratto di categoria;
   tale stipula non è mai avvenuta e, per effetto di questa omissione i dirigenti penitenziari restano ancora privati di quei riconoscimenti economici che gli competono e, al di fuori della dirigenza generale, si trovano appiattiti su un unico livello retributivo, quello di base, poiché non si è dato corso al riconoscimento degli incarichi superiori e non è stata definita la parte variabile della retribuzione in relazione agli incarichi attribuiti ed ai risultati raggiunti. Altro effetto di questa omissione è che i dirigenti penitenziari sono del tutto privi di uno status –:
   quali misure urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di rendere effettivo il diritto sancito dall'articolo 27 della nostra Costituzione predisponendo un numero adeguato di personale in particolar modo di quello dirigenziale, di quello giuridico pedagogico e sociale;
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare per addivenire in tempi rapidi alla stipula del primo contratto di categoria della dirigenza penitenziaria.
(4-02643)


   ZARATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che Brian Gaetano Bottigliero è detenuto presso il carcere di Regina Coeli da più di due anni in attesa del giudizio d'appello e che lo stesso è stato condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per rissa con un ferito grave;
   nel febbraio 2013 viene diagnosticata a Bottigliero, che ha 24 anni, una «insufficienza renale cronica» dopo che aver ripetutamente denunciato dolori e malesseri, e dopo aver perso, nel corso della detenzione un quarto del suo peso;
   attualmente Bottigliero è in attesa di un trapianto di rene; nel frattempo è sottoposto a dialisi 3 volte alla settimana, mediante trasferimento in una struttura privata di cura;
   la richiesta di termine, o quantomeno di un'attenuazione delle misure cautelari a suo carico, necessaria a garantirgli le migliori condizioni di assistenza sanitaria, è stata rigettata dal magistrato competente perché sussisterebbe a suo carico un «pericolo di fuga» e «reiterazione del reato»;
   la tutela del diritto fondamentale alla migliore assistenza sanitaria dovrebbe avere un carattere preminente –:
   se queste informazioni rispondano al vero;
   se risulti se a Bottigliero siano state e siano garantite le migliori condizioni di assistenza sanitaria compatibili con lo stato di detenzione;
   se risulti al Ministro come sia stato circostanziato il «pericolo di fuga» e la «reiterazione del reato» a carico del giovane. (4-02646)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 30 ottobre 2012 il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale ha diramato un avviso pubblico per la promozione ed il sostegno di azioni volte al rafforzamento della coesione sociale ed economica dei territori delle regioni obiettivo convergenza, tesi al potenziamento degli interventi diretti ai giovani e finalizzate all'inclusione sociale ed alla crescita personale, «Giovani per il sociale», cui è seguita, in data 7 novembre 2012, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che prescriveva il termine per la consegna delle proposte progettuali entro i 60 giorni successivi alla pubblicazione. Tale termine è stato successivamente prorogato fino al 31 gennaio 2013;
   in data 28 febbraio 2013 il medesimo dipartimento ha diramato una prima selezione contenente l'elenco delle proposte non ammissibili, escluse dall'accesso al bando;
   ad oggi non risulta ancora pubblicata la graduatoria dei progetti ammessi e che hanno ottenuto il finanziamento –:
   quali siano le ragioni della mancata pubblicazione della graduatoria e se non intenda intervenire al fine di accelerare la valutazione in atto utile a portare alla pubblicazione della graduatoria in tempi brevi. (4-02636)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   situazione del personale della polizia di Stato, composto da circa 94 mila unità, vede la presenza di circa 65 mila tra agenti ed assistenti, ed il resto suddiviso tra ispettori e sovrintendenti e il ruolo dei funzionari direttivi (capo della polizia compreso);
   come si potrà ben evidenziare, la stragrande maggioranza del personale rientra nella categoria della «truppa» a voler usare un termine mutuato dalle caserme. In questo momento vi sono, però, tuttora vigenti ed utilizzabili ben due graduatorie definitive ed una terza in via di pubblicazione per Vice sovrintendenti in cui rientrerebbero circa 8 mila poliziotti al netto di doppie/triple idoneità e fisiologiche rinunce;
   il decreto legge n. 227 del 2012 ha autorizzato l'amministrazione ad attivare procedure e modalità concorsuali semplificate per la copertura dei posti relativi a detta qualifica e a detta delle maggiori organizzazioni sindacali fra le quali gli «Autonomi di Polizia» e del «comitato tutti sovrintendenti», l'unico ostacolo allo scorrimento era rappresentato da una speciale disciplina normativa (decreto legislativo n. 53 del 2001) che imponeva concorsi a cadenza annuale. Ma oggi alla luce del nuovo decreto questo vincolo non si pone più, ragion per cui non esiste più alcun motivo ostativo allo scorrimento delle graduatorie;
   nel caso in cui l'amministrazione volesse procedere ugualmente a bandire il concorso questa sarebbe soggetta ad uno stringente obbligo di motivazione derivante dalle nuove recenti dottrine che pongono dei nuovi principi giuridici di massima stabiliti in via definitiva dall'adunanza plenaria (Consiglio Stato sentenza 28 luglio 2011, n. 14);
   pur apprezzando il fatto che l'amministrazione dell'interno abbia riconosciuto una grave situazione dovuta ad uno squilibrio di organico pauroso di 8.000 unità nel ruolo dei sovrintendenti, classificandola come non più prorogabile e che questa si stia impegnando a fondo per risolverla, non vuol dire che le soluzioni proposte siano le migliori applicabili sia in termini di tempi per la loro realizzazione che per il punto di vista del costo da sostenere a carico del bilancio dello Stato;
   l'idea di recuperare con concorsi plurimi semplificati i 18 concorsi mancanti, oltre ad essere una scelta eticamente scorretta che promuoverebbe dei dipendenti sulla base di regole diverse da quelle prestabilite e condivise da tutti, darebbe il via a modalità concorsuali che non garantirebbero un'adeguata trasparenza ed imparzialità;
   stante la volontà di coprire i posti vacanti e risolvere la questione attraverso «procedure di emergenza» di carattere «straordinario» previsti dal decreto in questione si è certi che l'amministrazione dell'interno converrà che il principio dell'efficienza amministrativa della pubblica amministrazione implica il raggiungimento degli obiettivi con il minor impiego di tempo e il minor impiego di risorse, attraverso scelte responsabili e lungimiranti finalizzate al solo e unico dallo scopo di perseguire l'interesse pubblico generale;
   a giudizio dell'interrogante, la soluzione di procedere all'indizione di nuovi concorsi senza dare luogo prima ad un semplice e coerente scorrimento delle graduatorie, appare essere una soluzione irresponsabile e inopportuna, prima ancora che giuridicamente illegittima alla luce della nuova dottrina giuridica sopra specificata;
   in presenza di circa 8.000 idonei, con anzianità media di 18 anni di servizio, che potrebbero essere avviati facilmente e senza alcun ulteriore aggravio economico al corso di formazione, per essere impiegati su strada in pochi mesi, continuare a percorrere la strada dei concorsi cosiddetti «semplificati», con i tempi e i rischi che questi potrebbero comportare, si palesa come una scelta miope e senza senso;
   appare a dir poco discutibile ritenere che 8.000 idonei, frutto di leggi, regole e criteri preesistenti condivisi da tutti, per i quali sono già stati spesi milioni di euro, poliziotti inseriti in graduatorie ufficiali le quali producono effetti giuridici tutelati da norme di rango legislativo a portata generale, possano venire sacrificati per dare spazio ad ulteriori concorsi che produrrebbero altrettanti poliziotti idonei con un grado di preparazione inferiore oltretutto sulla base di regole non altrettanto condivise e accettate da tutti;
   questo non potrebbe che generare solo iniquità, malcontento e demotivazione tra il personale. Questi «pseudo-concorsi» non servirebbero a produrre elementi professionalmente più preparati, visto che verrebbe abolita completamente la prova d'esame scritta;
   una corretta ed equa valutazione del «merito» e della «preparazione professionale», infatti, presuppone il contemperamento di due elementi fondamentali inscindibili essendo un risultato che scaturisce da un giudizio ponderato ed equilibrato basato certamente sull'anzianità, sull'esperienza operativa e sui titoli di servizio ottenuti ma anche e soprattutto sulle conoscenze teorico-giuridiche del dipendente. Sono fattori ineludibili che vivono in simbiosi e che non possono fare a meno l'uno dell'altro;
   togliendo uno di questi due elementi verrebbe a mancare un dato oggettivo essenziale per una corretta e meritocratica valutazione professionale del dipendente;
   queste maxi-procedure concorsuali comporterebbero tra l'altro un abissale allungamento dei tempi, visto l'immenso e difficilissimo lavoro di selezione di titoli che dovrebbe realizzarsi a priori, attraverso un preventivo conteggio dei titoli per 65.000 operatori di polizia, aggiornando anno per anno dal 2004 fino al 2012 i titoli di ognuno di questi. Un lavoro immane che nella migliore delle ipotesi avrebbe termine non prima di 5 anni e con esiti incerti, con tempi di attuazione biblici per una grave emergenza come questa, che dovrebbe essere sanata entro l'anno 2013 e al massimo entro il 2014;
   la modalità dei concorsi «per soli titoli» ridurrebbe di fatto drasticamente il campo della trasparenza, con il rischio di dare origine a clientelismi di ogni sorta e a contenziosi di ogni genere;
   il «sacrificio» di questi idonei non servirebbe nemmeno a produrre personale più giovane e motivato visto che i concorsi per titoli avvantaggerebbero inesorabilmente il personale più anziano che è anche il meno motivato e il meno produttivo in termini di presenze e di disponibilità, con il risultato che queste elefantiache procedure concorsuali non garantiranno nel tempo adeguati livelli di efficienza con un conseguente assottigliamento di servizi essenziali per il cittadino, il tutto a danno dell'amministrazione e, soprattutto, della collettività;
   l'interrogante ritiene che questo giudizio sia equidistante dagli interessi di parte, un giudizio formatosi su elementi oggettivi di fatto e di diritto. Un giudizio basato sulla logica e sulla razionalità che nasce dal senso di responsabilità e dalla conoscenza approfondita delle problematiche;
   se lo scorrimento fosse stato un provvedimento giuridicamente scorretto, dispendioso come inopportuno o insensato, non lo si sarebbe mai proposto anche in presenza di interessi legittimi;
   lo «scorrimento delle graduatorie» è la procedura più economica e più rapida. Il provvedimento obbiettivamente più opportuno e risolutivo, il più economico per eccellenza, che ogni pubblica amministrazione è solita adottare in via discrezionale quando pienamente e abbondantemente giustificata, tanto più che oggi c’è un decreto-legge che permette di coprire i posti attraverso procedure semplificate;
   lo scorrimento delle graduatorie è un istituto giuridico riconosciuto da tutti gli ordinamenti dello Stato e non esiste alcuna ragione valida perché non possa essere riconosciuto anche in questo caso –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-02617)


   BUONANNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere: quali azioni abbia intrapreso il Ministro interrogato per la fuga da Roma degli 89 eritrei che ivi soggiornavano con il beneplacito del sindaco stesso, 89 clandestini fuggiti tutti insieme e che ora vagavano per il nostro territorio.
(4-02623)


   TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ordinamento degli enti locali è disciplinato dal Testo unico degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, e dai singoli statuti comunali;
   sia il Testo unico degli enti locali che i singoli statuti comunali al loro interno prevedono norme in materia di diritti dei consiglieri di minoranza e doveri dell'amministrazione comunale;
   da notizie in possesso dell'interrogante sembrerebbe che il sindaco e la giunta del comune di Terricciola, in provincia di Pisa, dal suo insediamento, nel giugno del 2009, fino all'ottobre del 2013, in più occasioni non avrebbero tutelato i diritti delle minoranze, e non avrebbero rispettato quanto previsto dal testo unico sugli enti locali, agli articoli 42, 43, commi 1 e 3, e 44, e dallo stesso statuto comunale, agli articoli 22, 23, 24, 25 e, in particolare, all'articolo 25, comma 6;
   nello specifico, l'amministrazione comunale avrebbe omesso di fornire risposta a due interrogazioni e due mozioni presentate da consiglieri di minoranza, non avrebbe, nel periodo tra aprile ed ottobre 2013 proceduto alla convocazione del consiglio comunale;
   inoltre, non sarebbero stati né approvato il regolamento di funzionamento del consiglio comunale né sarebbe stata convocata la commissione per la revisione dello statuto (malgrado lo statuto comunale sia superato dalle nuove disposizione legislative);
   della vicenda sono stati informati più volte (da ultimo in data 10 ottobre 2013) sia il prefetto di Pisa che il Ministro dell'interno, ma non sono mai state assunte iniziative –:
   per quale motivo il prefetto non abbia provveduto a dare riscontri alla lettera inviata il 10 ottobre 2013. (4-02632)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 settembre 2007 il Ministero dell'interno ha indetto un concorso per titoli ed esami, finalizzato all'assunzione a tempo determinato di 650 addetti agli uffici delle questure e allo sportello unico per l'immigrazione presso le prefetture;
   tale contratto aveva durata di 36 mesi, che, secondo la legge allora vigente e poi abrogata, avrebbero dovuto essere propedeutici alla definitiva stabilizzazione;
   a seguito del concorso, ai 650 vincitori fu proposto un contratto di 24 mesi, prorogabile per altri 12, per ragioni di mancanza di copertura finanziaria;
   tale proroga fu effettivamente concessa con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, la n. 3828 del 27 novembre 2009, che contestualmente autorizzava a utilizzare, per un periodo non superiore a 6 mesi, contratti con agenzie di lavoro interinale per ulteriori 300 unità;
   da allora, in deroga alle previsioni del decreto-legge n. 368 del 2001, sono state autorizzate proroghe di 12 o 6 mesi, che hanno portato la durata effettiva dei contratti a 6 anni, ben oltre il massimo di 36 mesi previsto prima della dovuta estensione a tempo indeterminato;
   da numerosi rapporti delle amministrazioni interessate, la presenza di tale personale presso gli sportelli unici per l'immigrazione delle prefetture e gli uffici immigrazione delle questure risulta indispensabile per il corretto espletamento delle correlate funzioni;
   il personale di cui si parla é stato coinvolto in questi 6 anni in percorsi di formazione e messo in condizione di accesso a informazioni riservate alle forze di polizia;
   esistono notizie della volontà del Ministero dell'interno di bandire un concorso per la copertura a tempo indeterminato delle posizioni attualmente occupate da personale già vincitore di regolare concorso nel 2007, la cui mancata stabilizzazione fu appunto dovuta ad una modifica della norma in essere al momento della loro assunzione, e da allora prorogato senza soluzione di continuità –:
   se i fatti esposti in premessa trovino conferma;
   se il Governo ritenga utile rischiare di perdere le professionalità acquisite negli anni, anche per effetto di investimenti fatti dalle pubbliche amministrazioni coinvolte;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alle necessità di personale per il corretto svolgimento delle funzioni di cui in premessa;
   in che modo il Governo intenda operare per garantire la continuità di prestazione da parte del personale attualmente impiegato, per non violare il suo diritto a non essere sottoposto per due volte a concorso pubblico per la medesima mansione, dopo aver abbondantemente superato i 36 mesi posti dalla legge a limite massimo prima dell'assunzione a tempo indeterminato;
   se non ritenga che, in presenza di tali condizioni, eventuali perdite del posto di lavoro a seguito di un nuovo concorso esporrebbero lo Stato al rischio di ricorsi, dato che la continua proroga delle norme vigenti necessiterebbe di fatto di ulteriore deroga all'obbligo di assunzione degli addetti impiegati. (4-02635)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 46 del 18 ottobre 2013 il comune di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, ha inoltrato al Ministero dell'interno domanda di partecipazione al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, costituito dalla rete degli enti locali che, per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo;
   molte delle organizzazioni inserite nella richiesta formulata dal comune a quanto consta all'interrogante non avrebbero sede legale o strutture nel territorio di Castellammare di Stabia, pur essendo nel terzo settore la territorialità un elemento indispensabile e di garanzia;
   la quasi totalità delle realtà del terzo settore coinvolte non sembrano avere i requisiti di affidabilità ed esperienza pluriennale nel campo dell'immigrazione previsti dal bando;
   in particolare, la cooperativa Santa Croce, che ha sede nell'istituto scolastico Santa Croce, risulta legata a Francesco Paolo Di Martino, conduttore del fitto e titolare della scuola paritaria;
   lo stesso Di Martino è stato coinvolto nello scandalo «Sistri» sulla tracciabilità dei rifiuti, ed è stato indagato dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli per reati come truffa ed emissione di false fatturazioni;
   alcune delle associazioni partner del progetto, quali ad esempio «La Casa della Pace e della Nonviolenza» e la «Vesuvio Free Minds», non sembrerebbero svolgere attualmente attività sul territorio di Castellammare di Stabia;
   la necessaria quota di compartecipazione del comune di Castellammare di Stabia, per il triennio oggetto del bando, a giudizio degli interroganti, non sembra nella delibera citata trovare adeguata copertura, in quanto non si rileva su quale capitolo del bilancio 2014, 2015 e 2016 venga imputata la relativa spesa –:
   se, alla luce dei fatti esposti in premessa, non si ritenga opportuno un esame attento della documentazione inviata, così da superare la poca trasparenza dell'atto in questione e verificarne i necessari requisiti. (4-02638)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 15 ottobre 2013, n. 120, ha istituito un fondo di 190 milioni di euro per il 2013 per «far fronte alle problematiche derivanti dall'eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale». Di questo Fondo, eccetto che sia gestito dal Ministero dell'interno, non si sa nulla: a chi andranno i soldi, per quali attività, con quali obiettivi. Dei 190 milioni ben 95 costituiranno oneri per il personale: considerando che il decreto è del 15 ottobre parrebbe che in 2 mesi e mezzo verrà spesa una simile cifra per pagare non si sa quale personale, con quale inquadramento, e per fare cosa;
   la copertura dei 190 milioni è ottenuta in parte anche attingendo al fondo unificato per le vittime di reati mafiosi, di fenomeni estorsivi e dell'usura, che è a sua volta alimentato con un prelievo erariale su tutte le assicurazioni (incendi, auto, responsabilità civile) stipulati in Italia, pagato cioè da tutti i cittadini in virtù del nobile fine cui dovrebbe essere dedicato;
   in un momento di crisi economica come quello che sta vivendo il nostro Paese, il fenomeno dell'usura cresce in modo esponenziale, stando ai dati del Ministero dell'interno dal 2010 al 2012 sono 245 mila i commercianti coinvolti in rapporti usurai e 600 mila le posizioni debitorie;
   in un articolo pubblicato sul «Il Sole 24 Ore» del 18 ottobre 2013, le Associazioni antiusura criticano il taglio al fondo antiusura definendolo una scelta poco rassicurante sul fronte della sicurezza sociale;
   in un altro articolo pubblicato sempre sul «Il Sole 24 Ore» in data 14 novembre si illustra il contenuto della conferenza stampa di presentazione della relazione annuale sulla lotta al racket e usura. Nell'incontro presieduto dal prefetto Betty Belgiorno e dallo stesso Ministro sono stati rappresentati i dati relativi al fenomeno dell'usura dai quali è emerso che negli ultimi anni si è registrata una crescita allarmante. In ultima analisi il prefetto si è soffermata ad analizzare un altro aspetto che merita di essere adeguatamente approfondito, se da un lato infatti le risorse del Fondo antiusura sono cospicue, dall'altro lato non si riesce a dare il giusto ristoro alle vittime a causa di una non meglio specificata lentezza burocratica e una cronica lentezza dei procedimenti giudiziari –:
   se il Ministro intenda definire in modo chiaro le motivazioni alla base dell'inadeguato utilizzo delle risorse del fondo antiusura per il contrasto di questo aberrante fenomeno. (4-02644)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 novembre 2013, intorno alle ore 19, a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, due persone sono stati raggiunte da alcuni colpi di pistola;
   il tutto è avvenuto in via Pietro Carrese, una zona centrale della cittadina vesuviana, a pochi passi da un supermercato particolarmente frequentato;
   le due persone aggredite sono Luigi Belviso, di 49 anni, e suo figlio Francesco Belviso, di 20 anni;
   il primo è morto immediatamente, colpito al cuore da un proiettile, mentre il secondo è stato sottoposto a intervento chirurgico per un proiettile che lo ha ferito al fianco sinistro ed è uscito dal gluteo;
   i due sono parenti di un pentito di camorra un tempo affiliato al clan D'Alessandro, Salvatore Belviso, che partecipò all'omicidio del consigliere comunale del PD Tommasino;
   dopo alcune ore un uomo si è costituito in commissariato ed ha spiegato che non si sarebbe trattato di un agguato di camorra, ma di una lite per un debito non pagato sfociata nella sparatoria;
   in particolare, la lite sarebbe scaturita da un lavoro di badante che la moglie della vittima aveva effettuato per la famiglia dell'assassino, il quale non avrebbe però corrisposto alla donna il compenso pattuito;
   da ciò sarebbe partita una lite verbale che da via Leopardi è proseguita fino all'angolo tra via Virgilio e via Carrese, zona dove abitavano sia la vittima che l'omicida;
   è a questo punto che il litigio sarebbe sfociato nell'aggressione mortale, con l'esplosione di alcuni colpi di pistola calibro 7,65;
   sul selciato gli investigatori hanno rinvenuto tre bossoli e due ogive;
   la zona in questione è particolarmente frequentata, e al momento della sparatoria molte persone affollavano via Carrese e le strade limitrofe;
   ciò le ha messe in una condizione di estremo pericolo, dato che proiettili vaganti avrebbero potuto ferire mortalmente i passanti;
   questo evento è avvenuto esattamente un mese dopo la brutale aggressione nella villa comunale di Castellammare di Stabia da parte di teppisti ai danni di due venditori ambulanti cingalesi e di un giovane ventenne che era intervenuto per difenderli;
   sarebbe opportuno verificare con estrema attenzione la ricostruzione dei fatti narrata dall'uomo che si è costituito, giacché le vendette trasversali sui parenti dei pentiti sono state, nella storia delle organizzazioni criminali, particolarmente frequenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, alla luce dei diversi episodi di violenza verificatisi negli ultimi tempi a Castellammare di Stabia, non si ritenga opportuno prevedere più efficaci e continui controlli sul territorio. (4-02647)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, ROCCHI, CAROCCI, MALPEZZI, NARDUOLO, RAMPI e MANZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, recante revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei a norma dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha previsto, nei licei linguistici — dall'anno scolastico 2012-2013 nelle classi III e dall'anno corrente anche nella Classi IV — l'insegnamento, in lingua straniera, di una disciplina non linguistica (CLIL) compresa nell'area delle attività e degli insegnamenti obbligatori;
   nella fase di prima applicazione della metodologia CLIL, sono emerse diverse criticità, che attengono sia alle specifiche modalità didattiche dell'insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica, sia agli obiettivi formativi, ben diversi dall'insegnamento tradizionale:
    a) carenza di docenti in possesso delle necessarie competenze linguistiche certificate e metodologiche, con conseguente ricorso a conversatori madrelingua o a personale esterno che svolge attività di compresenza: tali soluzioni, assunte per consentire lo svolgimento di insegnamenti curriculari che dovrebbero invece essere garantite dal personale in organico, sono peraltro affrontante attingendo ai fondi propri della scuola, in gran parte provenienti dal contributo volontario delle famiglie. A tale proposito, sarebbe preferibile valutare il coinvolgimento dei docenti di lingua, sia nell'ipotesi di una loro interazione didattica con i docenti del progetto CLIL, sia per intraprendere la loro formazione disciplinare su aree di competenza coerenti con i loro pregressi percorsi formativi;
    b) assenza di un riconoscimento economico dei docenti coinvolti, nonostante l'indubbio aggravio di lavoro;
    c) insufficienti iniziative di formazione dei docenti di discipline non linguistiche, mentre le reti regionali promosse dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la formazione CLIL non risultano del tutto operative. Alcune scuole hanno attivato altre reti, locali e focalizzate su particolari necessità, ma si tratta per lo più di iniziative autonome che comunque soffrono della mancanza di risorse economiche. Non si può peraltro non sottolineare che un insegnamento impartito in lingua straniera richiede una formazione prolungata e specifica, necessaria a conseguire la certificazione delle competenze linguistiche dell'insegnante pari al livello C1: a tale proposito, è acclarata la consapevolezza — anche in ambienti ministeriali — che per realizzare tale obiettivo di competenza linguistica dei docenti occorrerebbe almeno una decina d'anni. A tale proposito, non pare congrua la proposta di abbassare ad un livello B2 le competenze richieste ai docenti, per il fatto che tale livello corrisponde a quello che gli stessi studenti raggiungono a conclusione dell'istruzione secondaria e che risulta essere inadeguato per impartire l'insegnamento di una disciplina curriculare non linguistica;
    d) rimodulazione della programmazione didattica, con inevitabile riduzione dei contenuti delle discipline curricolari, spesso di indirizzo;
    e) incertezza nei criteri di valutazione, che oscilla tra l'accertamento delle competenze linguistiche e quelle disciplinari;
    f) indeterminatezza relativa allo svolgimento degli esami di Stato per le discipline individuate dalle singole scuole con modalità CLIL, in particolare rispetto alla valutazione, ai contenuti e all'individuazione dei commissari d'esame;
    g) assenza di sussidi didattici specifici, sia su supporto cartaceo sia digitale e scarsa diffusione di adeguata strumentazione informatica nelle scuole a supporto del metodo CLIL;
   le criticità succintamente esposte denunciano una concreta difficoltà, che in diversi istituti è diventata una oggettiva impraticabilità, dell'insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica (CLIL) compresa nell'area delle attività e degli insegnamenti obbligatori;
   tale constatazione dovrebbe sollecitare — a parere degli interroganti — un generale ed accurato approfondimento sugli obiettivi formativi del progetto CLIL — in stretta relazione alla necessità del potenziamento linguistico nella scuola italiana — e una valutazione accurata della sua praticabilità in assenza di risorse umane e finanziarie non dedicate: molte esperienze in essere, anche per le ragioni precedentemente descritte, dimostrano che le competenze linguistiche degli studenti non segnano apprezzabili miglioramenti a fronte del rischio di una diminuzione dei contenuti disciplinari;
   l'insegnamento con metodologia CLIL dal prossimo anno scolastico coinvolgerà, inoltre, le classi quinte di tutti gli indirizzi liceali e degli istituti tecnici (prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 2010 in lingua inglese): pertanto, le difficoltà riscontrate nei licei linguistici interesseranno inevitabilmente detti percorsi scolastici, con progressione esponenziale delle criticità già emerse –:
   al fine di dare certezze alle scuole e a garantire agli studenti un percorso formativo di qualità, quali iniziative il Ministro interrogato intenda avviare per far fronte ai problemi rappresentati in premessa circa l'insegnamento, in lingua straniera, di una disciplina non linguistica (CLIL) e che attengono al personale coinvolto, alla didattica da utilizzare, all'apprendimento e alla valutazione dei saperi e delle competenze acquisite dagli studenti;
   quali siano le misure in atto previste per la formazione dei docenti e a quanto ammontino le risorse effettivamente disponibili;
   se il Ministro interrogato non ritenga altresì necessario ed urgente avviare un approfondimento sugli obiettivi formativi del progetto CLIL, tenuto conto della necessità di agire concretamente per il generale obiettivo di potenziare l'insegnamento e l'apprendimento linguistico nella scuola italiana. (5-01536)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUONANNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere: se non ritenga utile che nelle scuole italiane si ritorni ad avere il grembiule sia per i maschi che per le femmine fino alla fine della 3a media in modo tale che non ci sia la «corsa al vestito più bello o attraente» a discapito di chi non può permetterselo. (4-02624)


   BATTAGLIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è apparsa su diversi organi di informazione sia locali che nazionali la notizia concernente la vicenda di un ragazzo affetto da sindrome di Down di Gioiosa Jonica che avendo compiuto 18 anni non può per legge iscriversi al liceo scientifico;
   la normativa in vigore non consente ad un disabile che abbia compiuto la maggiore età di frequentare la scuola con un insegnante di sostegno;
   una norma di cui la famiglia non era a conoscenza e che impedisce al ragazzo di poter frequentare il liceo scientifico «Mazzone» di Gioiosa Jonica;
   non è la prima volta che in Italia si verifica una circostanza del genere;
   la scuola è per questi ragazzi un momento fondamentale di socializzazione imprescindibile per la propria integrazione nel contesto sociale della sua comunità –:
   se il Ministro intenda prendere in esame tale situazione e se non intenda altresì assumere iniziative dirette a modificare la normativa in vigore eliminando il vincolo dei 18 anni per l'iscrizione scolastica di ragazzi disabili. (4-02648)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   BIFFONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda casa editrice Bonechi Srl di Firenze ha manifestato nel corso degli ultimi tempi difficoltà economiche che hanno portato alla necessità di ricorrere alla cassa integrazione;
   la ditta in questione ha fatto richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria ai sensi della legge n. 62 del 2001 con raccomandata inviata in data 31 luglio 2013 al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e in particolare alla direzione generale per le politiche attive e passive del lavoro, già direzione generale degli ammortizzatori sociali, divisione IV;
   la citata richiesta risulta inoltrata per la durata di un anno (eventualmente prorogabile per un anno e per un massimo di due anni) e interessa diciannove dipendenti e sono previsti tre pensionamenti e sei mobilità;
   al momento nessuna risposta giunta relativamente a tale richiesta, né è stato indicato il referente di tale procedimento;
   tale procrastinarsi dei tempi risulta preoccupante per la condizione aziendale –:
   se la pratica relativa alla azienda in questione risulti già aperta e in tal caso chi sia il referente presso il Ministero;
   in caso di risposta negativa, se non si intenda procedere tempestivamente all'avvio del procedimento e quali siano i motivi per cui tale pratica non risulta ancora aperta. (3-00467)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENITTELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la filiera avicola e bieticolo-saccarifera molisana, punto di forza dell'economia regionale, sta attraversando un'acuta fase di difficoltà che ha comportato drammatiche conseguenze per le centinaia di lavoratori avventizi impiegati presso le maggiori aziende regionali di trasformazione agroalimentare;
   come sottolineato dal vice presidente della giunta regionale, Michele Petraroia — in una nota indirizzata al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e ad altri attori istituzionali — per tali soggetti l'attuale sfavorevole congiuntura presenta un duplice aspetto negativo, stante la diminuzione delle giornate lavorative e l'impossibilità di accedere alle forme di ammortizzatori sociali previste per altre categorie di lavoratori;
   particolarmente rilevante, ai fini della gravità della situazione, è lo stato di crisi in cui versa la più importante filiera avicola meridionale, la Gam-Solagrital, presso la quale erano impiegati circa 400 lavoratori avventizi;
   a tal proposito, nell'ambito della vertenza che ha per oggetto la suddetta azienda, in data 16 maggio 2013, è stato stipulato, alla presenza del dirigente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un verbale di riunione presso il Ministero dello sviluppo economico in cui si assumevano impegni finalizzati alla tutela del reddito degli avventizi della filiera avicola molisana;
   tale procedimento è stato condiviso dalle parti sociali ed assunto in sede di commissione regionale tripartita all'unanimità il 5 luglio 2013 con trasmissione al Governo, il 24 luglio 2013, del deliberato;
   la tutela di tali lavoratori è, infatti, un dovere inderogabile per i soggetti istituzionali e sociali del territorio; nell'attuale contesto storico, contrassegnato da una congiuntura economica che sta relegando fasce sempre più ampie di popolazione ai margini della società, devono essere approntate tutte le misure necessarie a garantire la sussistenza economica di centinaia di famiglie;
   l'interrogante ritiene non procrastinabile un intervento finalizzato alla salvaguardia del reddito degli avventizi, una delle categorie di lavoratori maggiormente colpita dalla recessione degli ultimi anni, per i quali non sono neanche previste le forme di supporto economico garantite dagli ammortizzatori sociali –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare allo scopo di tutelare i lavoratori avventizi dalla crisi che si è abbattuta sulla filiera avicola e bieticolo-saccarifera, anche mediante la previsione di un'estensione ai medesimi soggetti di forme di ammortizzatori sociali, dalle quali, finora, sono stati esclusi. (5-01538)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e MONGIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Cirò è una delle denominazioni più prestigiose e rinomate della vitivinicoltura calabrese; un vero e proprio simbolo di pregio delle produzioni agricole ed agro- alimentari locali: un esempio di forte relazione tra il territorio – la Contea del vino Cirò – e il vino che segna la peculiarità ed il valore delle produzioni. Tanto che Cirò e vino è divenuto un binomio inscindibile;
   il presidente della Coldiretti Calabria Pietro Molinaro ha aperto una querelle sulla vicenda del vino Cirò imbottigliato fuori regione e ha scritto una lettera all'assessore regionale all'agricoltura Michele Trematerra e al direttore generale del dipartimento professor Giuseppe Zimbalatti affinché, in virtù del ruolo che viene esercitato, la regione si faccia promotrice di una iniziativa volta a sgombrare dubbi e perplessità e a verificare il «manuale dei controlli» predisposto dall'ente di certificazione designato dal Consorzio di tutela e valorizzazione del vino DOC Cirò e Melissa;
   le norme comunitarie e nazionali in materia di tutela delle denominazioni geografiche dei vini, soprattutto in ragioni di regole di mercato, non escludono a priori che un vino, seppur a denominazione protetta e con un disciplinare che lega la produzione ad un determinato territorio, possa essere imbottigliato fuori dai confini regionali. È, infatti, possibile, per esempio, trovare nei supermercati «vino Cirò» imbottigliato in Veneto e a prezzo particolarmente basso;
   in materia di tutela delle denominazione di origine dei vini trovano applicazione le seguenti discipline comunitarie: il regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, così come modificato con il regolamento (CE) n. 491/2009 del Consiglio, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli, nel cui ambito è stato inserito regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo (OCM vino), il regolamento (CE) n. 607/09 della Commissione, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli. A livello nazionale la regolamentazione di base che disciplina il settore è il decreto legislativo 8 aprile 2010, n. 61 che verte sulla «tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini»;
   con riferimento alla possibilità di imbottigliare i vini tutelati ai sensi delle denominazioni di origine in quanto designati da luoghi particolari che conferiscono loro determinate qualità e reputazioni, si fa presente che la predetta regolamentazione comunitaria, in particolare il regolamento (CE) n. 607/2009, nelle proprie premesse dedica una speciale attenzione alla questione ed al considerando n. 5, specifica: «La restrizione obbligatoria ad una data zona geografica delle operazioni di imballaggio dei prodotti vitivinicoli a denominazione di origine o a indicazione geografica o delle operazioni connesse alla presentazione del prodotto costituisce una restrizione alla libera circolazione delle merci e alla libera prestazione di servizi. Alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, simili restrizioni possono essere imposte solo se sono necessarie, proporzionate e atte a salvaguardare la reputazione della denominazione di origine o dell'indicazione geografica. È necessario che ogni restrizione sia adeguatamente giustificata sotto il profilo della libera circolazione delle merci e della libera prestazione dei servizi». Conseguentemente, l'articolo 8 del medesimo regolamento (CE) n. 607/09, dispone che «Qualora il disciplinare di produzione preveda l'obbligo di effettuare il condizionamento all'interno della zona geografica delimitata o in una zona situata nelle immediate vicinanze della zona delimitata, in conformità a una delle condizioni di cui all'articolo 35, paragrafo 2, lettera h), del regolamento (CE) n. 479/2008, è fornita una motivazione di tale obbligo per il prodotto di cui trattasi.»;
   riguardo alla norma legislativa italiana di rango principale, l'articolo 10 del decreto legislativo n. 61 del 2010, al comma 2, lettera d), prevede, ma solo come possibilità, che nei disciplinari di produzione dei vini designati dalle denominazione di origine possono essere stabiliti ulteriori elementi, tra cui l'imbottigliamento in zona delimitata;
   la questione sull'obbligo di effettuare l'imbottigliamento dei vini a denominazione geografica tutelata in seno all'areale di produzione delimitante il loro luogo di origine, è stata posta con estremo vigore, per la prima volta nel nostro Paese, nel 2000 quando con decreto dirigenziale del mese di aprile 1999, a seguito di pronunciamenti contrari del tribunale amministrativo del Lazio sull'obbligo di imbottigliamento del vino Frascati DOC nell'area di origine, disposto con decreto dirigenziale 28 ottobre 1996, si dovette eliminare tale obbligo con forte risentimento dei produttori e del loro consorzio di tutela che invece rivendicavano come l'imbottigliamento in zona rappresentasse uno degli strumenti strategici per sostenere la valorizzazione della loro denominazione di origine Frascati;
   successivamente, la Corte di giustizia europea, il 16 maggio 2000, con la propria sentenza sulla causa C-388/95 Rioja 2, ha rigettato un ricorso promosso da vari stati contro la Spagna (la quale si difendeva con il sostegno del Portogallo e dell'Italia), che aveva imposto con decreto l'obbligo dell'imbottigliamento in zona del vino Doc Rioja. La Corte, al contrario dei ricorrenti, ha sancito la legittimità di imbottigliare un vino doc nella stessa zona di produzione in quanto ciò «deriva dalla necessità di garantire ai consumatori la certezza che i controlli siano effettuati in maniera sistematica, univoca ed efficace, ritenendosi che tale certezza possa essere assicurata solo in quanto i controlli predetti avvengano nell'ambito della zona di produzione»;
   anche a seguito delle novità positive introdotte datale sentenza, con decreto ministeriale 31 luglio 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 193 del 21 agosto 2003), recante «Modalità e requisiti per la delimitazione della zona di imbottigliamento nei disciplinari di produzione dei vini D.O.C. e D.O.C.G.», il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha reso esplicita la facoltà di prevedere, nei disciplinari di produzione dei relativi vini recanti denominazioni di origine tutelate, che la zona di imbottigliamento possa essere coincidente con quelle di produzione delle uve o di vinificazione delle stesse, a condizione che detti soggetti dimostrino una rappresentatività percentuale della produzione dei vigneti interessati alla denominazione di origine per almeno il 66 per cento. Il Ministero, in tale sede, si è mosso nell'intento di sottolineare e di ribadire come l'imbottigliamento dei vini D.O.C. e D.O.C.G. costituisca un'operazione rilevante al fine della valorizzazione degli stessi vini ottenuti nelle corrispondenti aree di produzione e di vinificazione delle uve, contribuendo alla ridistribuzione del reddito nell'area vocata interessata, nonché come i produttori viticoli rappresentino la categoria che all'interno della filiera assume un peso fondamentale, in quanto è essenzialmente la loro attività che conferisce al prodotto le caratteristiche peculiari che consentono l'ottenimento della denominazione di origine. Pertanto, in tali circostanze, diventa cruciale la rilevanza che assume la fase di imbottigliamento nell'assicurare vantaggi economici a tutti i componenti della filiera della denominazione d'origine;
   con il decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 1969 e successive modificazioni, è stata riconosciuta la denominazione di origine controllata dei vini Cirò ed è stato approvato il relativo disciplinare di produzione;
   nel 2009 è stata avanzata, da parte del Consorzio per la tutela Cirò e Melissa un'istanza intesa ad ottenere la modifica della denominazione di origine controllata dei vini Cirò. Il parere favorevole del Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini sulla citata domanda e la proposta di modifica del relativo disciplinare di produzione, erano stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 187 del 12 agosto 2010. Il disciplinare risultante dalle valutazioni del predetto Comitato nazionale, prevedeva all'articolo 5, comma 2, che «la vinificazione, l'affinamento e l'imbottigliamento dei vini “Cirò” “classico”, “classico superiore” e “classico superiore riserva” devono avvenire “all'interno della zona delimitata all'articolo 3 lettera B”, prevedendo, tale articolo 3, lettera B, che «le uve destinate alla produzione dei vini “Cirò” nelle tipologie “classico”, “classico superiore” e “classico superiore riserva” devono essere prodotte nella zona di produzione che comprende l'intero territorio dei comuni di Cirò e Cirò Marina. Pertanto, si era deciso che l'imbottigliamento in questione avvenisse unicamente nella medesima area di produzione delle uve destinate al vino Cirò DOC»;
   purtroppo, nonostante il parere positivo con relativa proposta di disciplinare espressi dal Comitato nazionale di cui sopra e pur in presenza delle sopra richiamate evidenze che testimoniano come l'imbottigliamento effettuato nella medesima area in cui si verifica la produzione dei vini recanti denominazioni geografiche protette, assuma una rilevanza strategica, economica e di ritorno di immagine oltre che di reddito per il territorio, ma anche di garanzia per il consumatore, nella versione definitiva del disciplinare adottato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, come emanato ai sensi del decreto 9 dicembre 2010 relativo alla «Modifica del disciplinare di produzione della denominazione di origine controllata Cirò», il predetto comma 2 dell'articolo 5 è stato espunto;
   in effetti, nelle premesse di tale decreto è riportata, tra l'altro, la seguente direttiva: «Considerato che è pervenuta, nei termini e nei modi previsti, istanza da parte del Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione dei vini a DOC Cirò e Melissa, in merito alla citata proposta di disciplinare, intesa ad ottenere l'eliminazione dell'imbottigliamento in zona per le tipologie classico, classico superiore e classico superiore riserva di cui all'articolo 5, comma 2»;
   l'attuale versione del disciplinare di produzione del vino a denominazione di origine controllata «cirò» non prevede restrizioni in ordine al luogo di imbottigliamento del vino stesso;
   dai dati forniti dall'organismo di controllo Valoritalia, nel triennio 2011-giugno 2013 sono stati imbottigliati al di fuori della zona di produzione, secondo i dati, 13.167 ettolitri di vino Cirò doc, che rappresenta il 16 per cento del totale del Cirò, che è pari a 82.033 ettolitri;
   vi è il diffuso timore che imbottigliare e confezionare il vino Cirò fuori dall'areale di produzione delle uve destinate alla medesima Doc Cirò, potrebbe compromettere le qualità organolettiche del prodotto, oltre che snaturare il legame con il territorio di produzione, ledendo, altresì, gli interessi della zona in termini sociali ed economici;
   anche le organizzazioni professionali agricole, in particolare il presidente regionale della Coldiretti Calabria, Pietro Molinaro, hanno manifestato contrarietà a questa procedura auspicando che tutti i livelli istituzionali, dalla regione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, intervengano, quanto meno al fine di imporre procedure rigide di controllo affinché il vino imbottigliato come Cirò fuori dai confini regionali sia effettivamente quello prodotto in Calabria, senza variazioni o addirittura sofisticazioni;
   non si conosce, infatti, quale disciplina di controllo sia stata prevista per accertare che il vino Cirò che si imbottiglia in altre regioni provenga da uve prodotte nella zona di produzione del Cirò. Una mancanza di chiarezza può arrecare un danno di immagine per molti produttori e trasformatori del cirotano, che in questi anni hanno raggiunto significativi traguardi in tema di qualità del prodotto e di difesa e valorizzazione della DOC Cirò;
   in effetti, «nel manuale di controllo approvato dal Ministero – secondo l'assessore regionale – è previsto che le aziende imbottigliatrici fuori zona di produzione, al pari delle aziende esistenti all'interno della zona di produzione, sono tenute a comunicare tutte le movimentazioni riguardanti il prodotto Cirò e sono naturalmente sottoposte a controllo ispettivo secondo quanto previsto dal piano dei controlli alle schede 3 imbottigliatori (Controlli giacenze ed etichettatura) e 4 imbottigliatori (controllo giacenze, etichettatura e analisi chimico-fisica ed organolettica)»;
   il vino Doc Cirò rappresenta un fattore determinante per le centinaia di occupati del settore rurale, si tratta di un prodotto di grande importanza che dalla coltivazione dei vigneti alla trasformazione, all'imbottigliamento, fino alla distribuzione determina un notevole indotto economico;
   i viticoltori, gli imprenditori agricoli, insieme alle loro più attive organizzazioni agricole come la Coldiretti regionale della Calabria, soprattutto in questi ultimi anni con grandi sacrifici e grandi investimenti, sono impegnati nella quotidiana sfida che il mercato propone per mantenere le quote di mercato che porta ad aumentare il livello di qualità del vino Cirò doc e che porta anche, con soddisfazione degli operatori, a conquistare nuovi mercati, soprattutto all'estero;
   al fine di assicurare effettive tutele al consumatore e di proteggere l'economia del territorio cirotano e della Calabria più in generale, nonché per assicurare redditività per le aziende del settore vitivinicolo regionale, bisognerebbe ricondurre anche le operazioni di imbottigliamento del vino Cirò nelle medesima zone di produzione delle uve destinate alla DOC Cirò;
   il Consorzio per la tutela e la valorizzazione dei vini a DOC Cirò e Melissa dovrebbe attivare, unitamente alla regione e con il sostegno e la positiva predisposizione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, tutte le iniziative e le attività di controllo per la preservazione, la valorizzazione e la tutela del marchio Cirò –:
   quali siano i motivi che hanno portato ad eliminare, nella stesura definitiva del nuovo disciplinare di produzione del vino a denominazione di origine Cirò di cui al decreto ministeriale 9 dicembre 2010, la previsione, inizialmente prevista, secondo cui il luogo di imbottigliamento del medesimo vino Cirò doc fosse coincidente con quello di produzione delle uve o di vinificazione delle stesse uve;
   quali iniziative di competenza intenda assumere, nell'ambito del perseguimento della condivisibile politica della qualità delle produzioni agricole, affinché si possa definitivamente prevedere che anche l'imbottigliamento, oltre che la vinificazione e l'affinamento, del vino Cirò doc («classico», «classico superiore» e «classico superiore riserva») debba avvenire all'interno delle nella zona di produzione delle relative uve e che comprende l'intero territorio dei comuni di Cirò e Cirò Marina;
   nelle more che il predetto obbligo di imbottigliamento all'interno dell'area delimitante la doc Cirò sia conseguito, quali ulteriori iniziative intenda assumere per verificare che il vino imbottigliato fuori regione provenga nella totalità dalla zona di produzione certificata nonché per conoscere la provenienza, in termine di azienda produttrice, del vino imbottigliato fuori dal territorio di produzione, ciò al fine di garantire ai consumatori la certezza che i controlli sull'imbottigliamento del vino Cirò doc, effettuato fuori dall'areale di produzione della stessa doc, siano espletati in maniera sistematica, univoca ed efficace. (5-01539)


   TARICCO, COVA, CARRA, LUCIANO AGOSTINI, ZANIN e RUBINATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sembra aprirsi un nuovo capitolo sulla vicenda delle quote latte dopo che il giudice per le indagini preliminari di Roma ha chiesto alla procura di valutare l'apertura di una nuova inchiesta a carico dei funzionari dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), ipotizzando a loro carico il reato di falso in atto pubblico in relazione alla gestione delle quote latte;
   il sospetto adombrato dal giudice è che i dati su cui si sono basati da quasi vent'anni i calcoli per stabilire la produzione di latte in Italia e, di conseguenza, le multe irrogate a chi superava la produzione consentita, siano stati falsati mediante l'utilizzo di un algoritmo che i funzionari dell'Agea avrebbero «modificato» per coprire i propri errori nel calcolo dei capi potenzialmente da latte. Se ciò fosse vero, come è evidente, si tratterebbe di un errore di grandi dimensioni, in quanto metterebbe in discussione almeno il 20 per cento del parco bovino da latte italiano, circa 300 mila capi in più;
   in particolare, sempre secondo le tesi del giudice, si sostiene che l'algoritmo usato inizialmente prendesse in considerazione l'età dell'animale tra i 24 e i 120 mesi, mentre successivamente il meccanismo sia stato modificato portando il limite massimo da 120 a 999 mesi, con vacche che potevano quindi «vantare» sulla carta fino a 82 anni di età. Come riportato dalla stampa, ciò avvenne secondo il Gip di Roma, «per espressa richiesta dei funzionari di Agea, con l'evidente fine di giustificare il dato in eccesso che aveva determinato le sanzioni»;
   tutto avrebbe inizio nel 2010 dalle due relazioni generate dalla differenza di opinioni tra gli allora Ministro Zaia e Ministro Galan. La decisione di istituire la commissione dei carabinieri dei Nac guidata dal colonnello Vincenzo Alonzi, parrebbe essere stata motivata da una discordanza di vedute all'interno della prima commissione istituita – ai tempi del Ministro Zaia – su richiesta dello stesso ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   la commissione dei Nac istituita dal ministro Zaia con decreto ministeriale il 25 giugno 2009 fece emergere quattro casi di anomalie, tra cui anche quella legata all'età delle vacche. I carabinieri del nucleo hanno a suo tempo portato avanti le quattro operazioni relative alle autorizzazioni sanitarie, agli identificativi fiscali, al tenore di grasso e alle rese anomale. I numeri emersi in tutti i quattro casi non risultarono essere coerenti;
   la relazione giunse all'allora nuovo Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Giancarlo Galan che ne commissionò un'altra ad Agea e al dipartimento competente all'interno del Ministero. La nuova relazione non evidenzio alcuna anomalia;
   in un documento datato 30 giugno 2010, il Ministro Galan scriveva alle organizzazioni agricole e cooperative, alle regioni e a Federalimentare, che «a seguito della trasmissione del documento di approfondimento del Comando dei carabinieri dei Nac, l'amministrazione ha svolto una puntuale valutazione delle problematiche prospettate nel documento stesso». E nonostante le valutazioni svolte dal nucleo di Alonzi, per Zaia, contengano «utili e importanti indicazioni sul quadro applicativo della regolamentazione Ue sulle quote latte», le indicazioni svolte dall'amministrazione avevano portato a altre conclusioni. «Hanno consentito di concludere che, allo stato – scriveva il Ministro – nessun elemento oggettivo induce a ritenere che si sia verificata, nel quadro dell'applicazione del regime delle quote, una errata quantificazione della produzione nazionale o una errata distribuzione del prelievo gravante sui produttori»;
   il dipartimento delle politiche europee ed internazionali del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali precisava già all'epoca che la relazione di approfondimento del Nucleo «non risulta fondata su riscontri acquisiti in via investigativa nel corso dell'attività svolta in merito»; in particolare secondo il dipartimento del ministero «risulta evidente che un calcolo della produzione aziendale e nazionale sulla base dei dati Aia non è oggettivamente attendibile». Inoltre secondo la relazione ministeriale, anche i dati del Sian e dell'Agea – fonti anch'essi della prima relazione dei Nac – risultavano inattendibili. In quanto l'affidabilità di tali dati, si leggeva nella relazione, «fin dall'inizio dell'applicazione della normativa sulle quote latte in Italia ha rappresentato uno dei punti più controversi ed è stato spesso evocata per contestare le imputazioni del prelievo supplementare». Tanto da istituire dal 1997 al 1999 diverse commissioni straordinarie deputate a verificare la validità dei dati. Risulta, continua la relazione ministeriale, che «per ogni campagna devono essere controllati un numero di produttori che effettuano consegne ad acquirenti che rappresentino almeno il 40 per cento della produzione»;
   secondo il lavoro svolto dal ministero nel periodo guidato dal Ministro Galan – sulla base della relazione dei Nac – «allo stato nessun elemento oggettivo può supportare l'ipotesi di un fenomeno di sovradimensionamento della produzione dichiarata rispetto a quella reale, allo stato si ritiene di poter concludere che gli elementi esaminati non confortano tale ipotesi». Quindi, concludeva il rapporto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali chiesto dal Ministro Galan, «nessun elemento oggettivo contenuto nella relazione (dei Nac ndr) può supportare, allo stato, l'ipotesi che negli scorsi anni si sia verificata, nel quadro dell'applicazione del regime delle quote latte, un'errata quantificazione della produzione nazionale». Punto di vista condivisa anche dalla relazione dell'Agea che aveva già all'epoca fatto «un approfondimento puntale e dettagliato» andando a confrontare tutti dati in possesso. Facendo i raffronti sulle banche non erano emersi elementi tali da mettere in discussione i pagamenti delle multe degli anni scorsi;
   la riapertura dell'inchiesta riporta quindi la questione delle quote latte al centro della scena politica e istituzionale rendendo decisivo accertare la veridicità della tesi addotta. È assolutamente necessario dire una parola certa sulla vicenda quote. In gioco c’è stato e c’è il destino di migliaia di stalle, a cominciare da quelle che hanno comprato e affittato quote, oppure pagato le multe. Senza contare chi ha dovuto chiudere l'attività perché impossibilitato ad investire per rimanere nelle quote;
   alla luce delle considerazioni sopra esposte se risultassero confermati i reati ipotizzati dal Gip di Roma le conseguenze sarebbero disastrose tanto per la zootecnia italiana quanto per le istituzioni poiché verrebbero meno tutti i presupposti giuridici e legali che hanno indirizzato le azioni degli ultimi venti anni in materia di quote latte; se venisse confermato il reato di falso in atto pubblico a carico dei funzionari di Agea non solo sarebbero illegittime le multe comminate a chi ha superato la quota ma si dovrebbe aprire una attenta riflessione sui danni provocati alle istituzioni italiane, allo sviluppo economico e commerciale della zootecnia italiana, ivi compreso l'aspetto legato alla minore occupazione generata a causa della compressione dei livelli produttivi;
   in tale situazione, qualora fossero attendibili le tesi del GIP, si ribalterebbero dieci anni di attività delle istituzioni italiane e in primo luogo del dicastero agricolo in materia di quote latte, risulta essere assolutamente necessario fare chiarezza su questa vicenda per non rischiare di pregiudicare la credibilità dello Stato di diritto dell'Italia e di penalizzare coloro che a tale Stato si sono affidati –:
   quali siano i dati certi e veritieri in relazione alla produzione di latte a livello nazionale per quanto attiene ai periodi di produzione indicati nell'inchiesta del Gip di Roma e quale sia la posizione del Ministro a riguardo. (5-01546)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2013 il Governo della Gran Bretagna ha introdotto un codice semaforico, da apporre sulle etichette dei cibi a cura delle catene di vendita, che dovrebbe indicare – attraverso la scala dei colori verde, arancione e rosso – i prodotti alimentari sani, intermedi e meno sani;
   questo sistema, introdotto per contrastare e prevenire il fenomeno dell'obesità che sta cominciando a rappresentare una emergenza per la Gran Bretagna, è però costruito in modo tale che, nella realtà, molti prodotti di eccellenza del made in Italy agroalimentare si sono visti assegnato il colore rosso in base alla loro composizione su criteri esclusivamente quantitativi e non qualitativi;
   il caso più grave è quello relativo all'olio extravergine di oliva, prodotto di punta dell'industria agroalimentare della Puglia e di altre regioni italiane, che insieme ad altri prodotti tipici della dieta mediterranea si è visto assegnato il colore rosso, con ciò subendo gravissimi danni in un mercato che finora è il quarto in assoluto a livello mondiale per l'agroalimentare italiano di qualità –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda assumere iniziative, in ambito comunitario e nelle relazioni bilaterali con la Gran Bretagna, in merito a quanto esposto in premessa e a tutela dei prodotti agroalimentari nazionali che sono tra le eccellenze italiane sui mercati di tutto il mondo. (4-02613)


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende la notizia che i rappresentanti delle associazioni agricole, Coldiretti, Cia e Confagricoltura della provincia di Arezzo si sono dimessi dagli Ambiti territoriali di caccia per protestare circa i danni causati dagli animali selvatici, in particolare dai cinghiali;
   il cinghiale sia per le sue caratteristiche fisiche, in media arrivano a pesare anche oltre 100 chilogrammi, che per la loro natura aggressiva questi animali mettono a rischio oltre l'incolumità delle popolazioni residenti nella zona, anche le colture agricole;
   rispetto al totale dei danni all'agricoltura causati da fauna selvatica, la percentuale ascrivibile al cinghiale è preponderante;
   è crescente tra gli agricoltori, che operano in provincia di Arezzo ed in particolare nella Valle del Casentino, la preoccupazione di subire sempre maggiori danni alle coltivazioni a causa della presenza, sempre più crescente, dei cinghiali che nel corso degli anni sono arrivati ad una popolazione di oltre 300 mila capi presenti sul territorio toscano;
   lo scorso anno in provincia di Arezzo sono stati abbattuti circa 15 mila ungulati, numero che, secondo le organizzazioni agricole è insufficiente rispetto al numero dei capi presenti;
   la popolazione degli ungulati e, fra questi, soprattutto quella dei cinghiali, va limitata in quanto non sono più sostenibili, per il mondo agricolo, i continui costi derivanti dai danni subiti, tenendo presente che ogni giorno i cinghiali e gli altri ungulati creano danni alle colture agricole toscane per oltre 10 mila euro;
   è necessario trovare soluzioni efficaci e rapide al fine di evitare che tante aziende agricole danneggiate, in particolare della Valle del Casentino, cessino la loro attività –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative al fine di consentire una regolamentazione sulla caccia al cinghiale permanente e programmata, verso quelle aree più colpite dai danni, nell'ottica di una generale riduzione della popolazione di cinghiali presenti sul territorio, in particolare toscano. (4-02628)


   COVA, MONGIELLO, VENITTELLI, TENTORI, LUCIANO AGOSTINI, ZANIN, CARRA, TERROSI e RUBINATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con l'ordinanza del 13 novembre 2013, il GIP dottoressa Giulia Proto ha restituito gli atti al pubblico ministero per una eventuale nuova iscrizione a carico di AGEA per il reato di cui articolo 479 c.p. – reato di falso in atto pubblico – in relazione alla gestione delle quote latte;
   al riguardo, il tenente colonnello Marco Paolo Mantile ha affermato che «non vi è piena coerenza tra i dati delle banche dati ufficiali né possibilità di completo raffronto dei dati di ciascuna di esse; la mancanza di un dato identificativo coerente ed univoco per tutte le aziende in produzione (...) favorisce fenomeni fraudolenti o elusivi ed ostacola la possibilità di investigazione per prevenire e reprimere eventuali comportamenti illeciti; sono emerse situazioni di anomalia ed incongruenza nei confronti realizzati tra le diverse banche dati, tali da suggerire adeguati approfondimenti; pur con le difficoltà segnalate, ne discende un quadro di significativa incoerenza dei dati, in particolare con riferimento alla produzione nazionale, sia consegnata che rettificata (TMGP); raffrontando il numero capi nelle diverse banche dati con la media produttiva provinciale AIA, pur aumentata del 10% in via prudenziale, risulta una differenza produttiva media, rispetto alla produzione totale italiana dichiarata nei modelli L1, talmente significativa da mettere in discussione lo stesso splafonamento dello Stato italiano e quindi lo stesso prelievo supplementare imputato ai produttori a partire dal 1995/1996 fino al 2008/2009» –:
   se il Ministero abbia verificato che nella campagna lattiero casearia 2011-2012 e 2012-2013 esista corrispondenza tra i capi bovini presenti nella banca dati nazionale (BDN) con età tra 29 mesi e 120 mesi di vita, i dati presenti nel sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) e la produzione latte rapportata alla media AIA con i modelli L1 di ogni singola azienda lattiero casearia;
   se, in via cautelare, per evitare ulteriori danni agli allevatori italiani di bovine da latte, sia opportuno assumere iniziative normative per bloccare ogni emissione di cartelle esattoriali per il pagamento delle «multe per le quote latte» fino ad accertamento certo delle reali produzioni italiane;
   se i sistemi della banca dati nazionale e sistema informativo agricolo nazionale presentino adeguate misure di tracciabilità degli accessi e delle operazioni effettuate (logging) e se il codice sorgente di tale banche dati sia certificato. (4-02639)


   MANNINO, TERZONI, LOREFICE, DE LORENZIS e ZOLEZZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che nel comune di Pietraperzia in provincia di Enna, l'amministrazione comunale ha provveduto al taglio di due filari di pino italico (pinus piena) collocati lungo il viale Unità d'Italia (ex Viale dei Pini) e le sue traverse;
   i 51 esemplari di pino, che sono stati tagliati all'inizio del mese di settembre, avevano un'età di circa 40 anni e un'altezza di circa 15 metri con una chioma ad ombrello che ombreggiava il viale con evidenti benefici ai fini dell'attenuazione del soleggiamento e di ossigenazione di quella parte della città di Pietraperzia;
   nella determinazione n. 17 del 22 aprile 20,13 del Responsabile del settore tecnico lavori pubblici urbanistica e assetto del territorio del comune di Pietraperzia avente ad oggetto l'affidamento dei lavori di abbattimento alberi di pino dislocati lungo il viale Unità d'Italia e via A. Vitale, non viene menzionato il parere del Corpo forestale dello Stato;
   in data 16 febbraio 2013 è entrata in vigore la legge 14 gennaio 2013, n. 10 recante Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani;
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10 contiene, all'articolo 7 Disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale che contengono una definizione normativa di «albero monumentale» ovvero elencano le tipologie di alberi e di filari ed alberature che, agli effetti della stessa legge 10 e di ogni altra normativa in vigore, devono essere considerati come tali, tra le quali sono compresi i filari e le alberature di pregio inserite nei centri urbani;
   lo stesso articolo 7 della legge 10/2013 prevede che, al fine di fornire ai comuni le indicazioni per la predisposizione e l'aggiornamento di un censimento degli alberi monumentali, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali – di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali ed il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e sentita la Conferenza unificata – adotti, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, un decreto con il quale devono essere stabiliti i principi e i criteri direttivi per la compilazione del predetto censimento degli alberi monumentali, e deve essere istituito l'elenco degli alberi monumentali d'Italia alla cui gestione provvede il Corpo forestale dello Stato;
   con la piena entrata in vigore delle disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale, di cui all'articolo 7, ciascun comune dovrà compilare e mantenere aggiornato un censimento degli alberi monumentali che verranno aggregati dalla stessa regione in appositi elenchi e successivamente verranno trasmessi al Corpo forestale dello Stato;
   il termine di 6 mesi a decorrere dall'entrata in vigore della legge n. 10 del 2013, stabilito dal citato articolo 7 risulta essere trascorso, ma il decreto interministeriale, con il quale si sarebbe dovuto stabilire le direttive ai comuni per la predisposizione del censimento degli alberi monumentali, non risulta essere stato adottato;
   l'articolo 7 della legge n. 10 del 2013 introduce anche uno specifico regime sanzionatorio per l'abbattimento o il danneggiamento di alberi monumentali – con una sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 100.000 – che non trova applicazione soltanto rispetto agli abbattimenti di alberi monumentali, autorizzati dal comune, per casi motivati e improcrastinabili, ma comunque previa acquisizione del parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato;
   l'approssimarsi del termine a partire dal quale i comuni saranno tenuti ad applicare un sistema normativo per la tutela e la salvaguardia degli alberi – che risulta essere più stringente di quello attualmente vigente – può indurre gli stessi comuni ad accelerare l'adozione di provvedimenti che prevedano il taglio di alberi monumentali, di filari ed alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale, così come è stato fatto dall'amministrazione comunale di Pietraperzia nella provincia di Enna –:
   se siano a conoscenza di quanto è accaduto nel comune di Pietraperzia e se i responsabili del taglio dell'alberatura lungo il Viale Unità d'Italia autorizzato dal comune, ma in difetto del parere vincolante e obbligatorio del Corpo forestale siano punibili, salvo che il fatto non costituisca reato, con la sanzione amministrativa prevista dall'articolo 7 comma 4 della legge 10/2013;
   quali misure intendano adottare – nelle more dell'adozione del citato articolo 7 della legge 10/2013 e della piena attuazione della stessa legge – per fronteggiare episodi, come quello registratosi nel comune di Pietraperzia, nei quali si proceda al taglio di alberi e alberature monumentali e/o di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale;
   quale sia lo stato di avanzamento delle procedure preordinate all'adozione del decreto, di cui all'articolo 7 della legge n. 10 del 2013, con le direttive per la predisposizione, da parte dei comuni, del censimento degli alberi monumentali, e all'istituzione l'elenco degli alberi monumentali d'Italia, di cui allo stesso articolo 7;
   quali siano i tempi prevedibili entro i quali ritengano possibile giungere all'adozione del decreto di cui all'articolo 7 della legge 10/2013 e dunque alla piena attuazione delle disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale, contenute nella stessa legge 10/2013. (4-02640)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NICCHI, PIAZZONI e AIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   durante la seduta della Camera dei deputati n. 31, svoltasi il giorno 11 giugno 2013 sono state discusse ed approvate diverse mozioni che affrontavano la questione dello stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, norma fondamentale in materia di interruzione volontaria di gravidanza;
   gli atti parlamentari menzionati ponevano l'accento sulla drammaticità dello stato di applicazione della legge in questione, dovuta anche all'elevata percentuale di obiettori di coscienza — ben il 69,3 per cento — tra i medici ginecologi del servizio sanitario e al regime di attuazione mediante ricovero dell'interruzione di gravidanza farmacologica individuato dal Consiglio superiore di sanità;
   a seguito della discussione in Aula venivano approvate dal Parlamento le mozioni n. 1-00045, 1-00074, 1-00078, 1-00079, 1-00082, 1-00087, le quali tutte impegnavano il Governo a garantire su tutto il territorio nazionale la piena applicazione della legge n. 194 del 1978, nel pieno riconoscimento, della libera scelta e del diritto alla salute delle donne e nel rispetto altresì del diritto all'obiezione di coscienza garantito dalla legge stessa;
   nello specifico, con l'approvazione della mozione Migliore ed altri, n. 1-00045, il Governo assumeva l'impegno ad attivarsi per assicurare il reale ed efficiente espletamento, da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica; ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica venga garantita come opzione a tutte le donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, siano libere di poter scegliere; a promuovere il monitoraggio specifico regionale dell'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, anche praticata in day hospital, ad assumere iniziative per costituire un tavolo tecnico di monitoraggio con gli assessori regionali per verificare la piena e corretta attuazione della legge n. 194 del 1978, con particolare riferimento agli articoli 5, 7 e 9, al fine di evitare ogni forma di discriminazione fra operatori sanitari, obiettori e non obiettori; ad assumere iniziative per mettere in condizione gli ordini provinciali dei medici chirurghi e degli odontoiatri di monitorare l'applicazione della legge n. 194 del 1978, anche in riferimento agli articoli 5, 7, e 9; ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori familiari, quale servizio fondamentale nell'attivare la rete di sostegno per la procreazione responsabile, nonché strutture assistenziali per l'attivazione del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza nel rispetto delle scelte e della salute delle donne; ad assumere iniziative affinché le competenti federazioni nazionali degli ordini professionali del personale sanitario si adoperino per garantire uniformità sul territorio nazionale in ordine agli indirizzi deontologici relativi all'esercizio dell'obiezione di coscienza;
   essendo trascorsi quasi 5 mesi dall'approvazione delle mozioni citate, non risultano agli interroganti iniziative concrete volte all'attuazione ed al rispetto degli impegni assunti dal Governo –:
   quale sia lo stato di attuazione relativo agli impegni presi dal Governo nel mese di giugno 2013, in merito alla rispettosa applicazione sul territorio nazionale della legge n. 194 del 1978 e quali iniziative intenda intraprendere per rispettare gli impegni assunti. (5-01537)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDI. — Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per i dipendenti della rete diplomatico-consolare nel mondo, in servizio all'estero presso sedi extra dell'Unione europea, il Ministero degli affari esteri non garantisce la copertura sanitaria indiretta dal 1o gennaio 2013;
   analogamente, la copertura sanitaria non viene garantita per i cittadini italiani iscritti all'A.I.R.E., trasferitisi nei medesimi Paesi in forza di un contratto di lavoro stipulato con un datore di lavoro italiano;
   numerosi dipendenti in servizio presso sedi extra dell'Unione europea, assoggettati al regime sanitario oltre che fiscale italiano, hanno avanzato richieste di rimborso di spese medico-sanitarie, le quali sono tuttora pendenti presso il ministero della salute, in attesa di una definizione sulle modalità di rimborso;
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013) a decorrere dal 1o gennaio 2013 trasferisce alle regioni e alle provincie autonome di Trento e Bolzano le competenze in materia di assistenza sanitaria indiretta di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1980, n. 618;
   la medesima norma prevede che al trasferimento delle funzioni di cui al comma suddetto, si provveda con apposite norme di attuazione in conformità ai rispettivi statuti di autonomia;
   le modalità applicative dei commi da 82 a 84 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012, con le relative procedure contabili, dovevano essere disciplinate da un regolamento da emanare entro il 30 aprile 2013, su proposta del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;
   il regolamento non è stato tuttora emanato e quindi la competenza attualmente è in capo agli Uffici ministeriali;
   i lavoratori interessati subiscono un pregiudizio economico, un danno alla loro salute nonché la violazione del principio fondamentale, riconosciuto dalla Carta costituzionale, del diritto alla salute –:
   quali urgenti ed immediate iniziative si intendano adottare per assicurare la rapida emanazione del regolamento applicativo delle norme introdotte dall'articolo 1, commi 82, 83 e 84, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;
   quali iniziative immediate si intendano adottare per assicurare adeguata copertura sanitaria a tutto il personale interessato, con decorrenza 1o gennaio 2013, tenuto conto che le coperture sanitarie sono già esistenti e che gli adempimenti connessi all'assistenza sanitaria in forma indiretta, di cui all'articolo 3, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 618 del 1980, sono garantiti dal Ministero della salute secondo le procedure previste dall'articolo 7 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica e gli oneri derivanti sono imputabili al capitolo di bilancio 4391 del Ministero della salute;
   quali immediate soluzioni si intendano adottare per assicurare il rimborso delle spese sanitarie sostenute a decorrere dal 1o gennaio 2013. (4-02614)


   BUONANNO. — Al Ministro della salute. — Per sapere: cosa intenda fare in merito all'uso delle staminali per cercare di aiutare tutti coloro che hanno gravi problemi di salute e dei loro genitori che al momento si trovano nell'assoluta impossibilità di poter tentare questa nuova cura perché vietata. (4-02626)


   ZOLEZZI, CECCONI, GRILLO, DI VITA, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, BARONI, MANTERO, LOREFICE, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, TERZONI, SEGONI, TOFALO, COLONNESE, DI BENEDETTO e CRIPPA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo studio «Sentieri» condotto dall'Istituto superiore di sanità (ISS) ha consentito l'analisi della mortalità per 63 cause ascrivibili alla compromissione ambientale nelle aree inquinate del territorio italiano definite «Siti di interesse nazionale» (SIN) ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo 2006, n.152 «Norme in materia ambientale» che comprendono circa il 10 per cento della popolazione italiana in 44 siti, nei periodi 1995-2002 ed estensione al periodo 2003-2009;
   i dati relativi al periodo 2003-2009 non sono emersi, ad eccezione di dati ambientali frammentari ed associati ad altri studi;
   risulta per esempio che alcuni dati relativi alla realtà di Taranto e di Mantova (per quest'ultima realtà riferiti alla mortalità infantile) hanno confermato importanti criticità in merito all'incremento dei tassi di mortalità nelle aree siti di interesse nazionale rispetto alle aree del territorio nazionale non siti di interesse nazionale;
   le aree inquinate corrispondenti ai siti di interesse nazionale mantengono livelli di inquinamento decisamente importanti con processi di bonifica lenti e parziali con conseguente rischio di ulteriore aggravamento della situazione (ad esempio contaminazione di falde acquifere e corsi d'acqua);
   l'opinione pubblica e la comunità scientifica stanno seguendo con apprensione e attenzione la pubblicazione centellinata dei dati;
   la raccolta dei dati e lo stesso studio «Sentieri» è stato probabilmente indebolito negli ultimi anni contro ogni ragionevole motivo –:
   se i Ministri interrogati intendano pubblicare al più presto i dati dell'estensione dello studio «Sentieri»;
   se e come intendano proseguire ed implementare il monitoraggio epidemiologico delle aree del territorio nazionale inquinate e in particolare quelle rientranti nei siti di interesse nazionale (SIN).
(4-02641)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli esuberi annunciati dalla multinazionale americana Micron, leader mondiale nel settore della microelettronica, hanno messo in stato di forte agitazione i lavoratori dei siti di Agrate Brianza, Catania e Napoli;
   la multinazionale americana occupa in Italia 1.650 dipendenti;
   da tempo è in corso un processo che vede passaggi di consegne verso le sedi statunitensi e la sostanziale diminuzione degli incarichi presso i siti italiani;
   i vertici aziendali in Italia non hanno ancora reso nota la strategia che la multinazionale intende adottare con riferimento ai siti italiani, denunciando essi stessi l'estromissione dai passaggi decisionali dell'azienda statunitense;
   il settore della microelettronica è strategico per il Paese; pertanto le eventuali strategie di ridimensionamento della Micron in Italia avrebbero un forte impatto sull'economia, con particolare riferimento ai territori locali che verrebbero privati di un importante bacino di ricchezza e di occupazione;
   non possono essere sempre i lavoratori a pagare il prezzo della crisi che ha colpito il sistema imprenditoriale del Paese –:
   se il Ministro non ritenga opportuno adoperarsi per favorire una concertazione con la dirigenza americana della Micron, al fine di apprendere quali siano le strategie di sviluppo che l'azienda intenda perseguire in Italia e quali soluzioni siano maggiormente praticabili per salvaguardare l'importante realtà industriale ed occupazionale dei siti italiani. (4-02621)


   L'ABBATE, CRIPPA, VALLASCAS, GAGNARLI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, LUPO, SCAGLIUSI, BRESCIA, CARIELLO, PARENTELA, DE LORENZIS, D'AMBROSIO e BALDASSARRE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Puglia è dotata di uno strumento programmatico denominato PEAR (piano energetico ambientale regionale) adottato con delibera G.R. n. 827 dell'8 giugno 2007 e poi aggiornato con delibera G.R. n. 602 del 28 marzo 2012, che contiene indirizzi e obiettivi strategici in campo energetico in un orizzonte temporale di dieci anni. Il PEAR concorre pertanto a costituire il quadro di riferimento per i soggetti pubblici e privati che, in tale campo, assumono iniziative nel territorio della regione Puglia;
   il PAN (piano di azione nazionale), previsto dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili fornisce indicazioni dettagliate sulle azioni da porre in atto per il raggiungimento, entro il 2020, dell'obiettivo vincolante per l'Italia di coprire con energia prodotta da fonti rinnovabili il 17 per cento dei consumi lordi nazionali;
   in data 16 dicembre 2011, la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione relativa alla «Tabella di marcia per l'energia 2050», la cosiddetta «roadmap 2050», con la quale ha fissato l'obiettivo della riduzione delle emissioni di carbonio dell'80 per cento da raggiungere, appunto, entro il 2050;
   la SEN (strategia energetica nazionale), datata marzo 2013, prevede «il mantenimento di un ruolo chiave del gas nella transizione energetica, nonostante una riduzione del suo peso percentuale e in valore assoluto nell'orizzonte dello scenario. Come evidenziato anche nella Roadmap europea 2050, la sostituzione in Europa del carbone e dell'olio con il gas naturale nel breve e nel medio termine darà un contributo essenziale alla riduzione delle emissioni»;
   in data 9 marzo 2009 la società Enel Produzione spa ha presentato al Ministero dello sviluppo economico – dipartimento per l'energia istanza ai sensi dell'articolo 1, comma 26, della legge n. 239 del 2004 per l'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio di un collegamento (merchant-line) in corrente continua tra l'Italia e l'Albania da 500 kV ovvero tra impianti rispettivamente di 1 e 500 megawatt nei paesi di Casamassima (Bari) e Porto Romano (provincia di Durres - Albania), dove Enel possiede un impianto a carbone in funzione dal prossimo anno. Istanza accolta dal Ministero che ha emanato il decreto interministeriale n. 239/EL-155/192/2013 del 19 settembre 2013;
   la lunghezza complessiva del tracciato marino è di circa 197 chilometri di cui 27, in acque italiane sino all'approdo sulle coste del comune di Polignano a Mare (Bari) in località S. Vito, in un'area densamente antropizzata tra Cala Ponte e Porto Cavallo, che interesserà aree attualmente destinate alle attrezzature funzionali e ricettive turistiche, ai sensi dell'articolo 53 del piano regolatore e, successivamente, zone destinate ad uso agricolo. Il tratto terminale di 300 metri nel comune di Polignano in contrada Grottole interesserà un territorio classificato come Va (zone a vincolo archeologico) e Vm (aree di rispetto di beni storico-culturali), per i quali il piano regolatore generale statuisce la inedificabilità. I suddetti cavi saranno posati in una trincea larga circa 0,7 metri e ricavata su percorso stradale che interesserà, per circa 31 chilometri, i comuni di Polignano a Mare, Conversano, Mola di Bari, Turi e Casamassima, con una profondità di circa 1,5 metri. Il tratto terminale, seppur lungo la strada provinciale, per circa 5 chilometri giunge in prossimità di un'ampia zona di interesse archeologico in località Purgatorio, nei pressi della Lama Giotta, su cui insiste un vincolo idrogeologico;
   la centrale Enel di Porto Romano è costituita da unità della capacità di 800 megawatt ciascuna: il 60 per cento della produzione sarà esportato in Italia (7,8 TWh) mentre il restante 40 per cento sarà destinato al mercato albanese, sebbene attualmente l'Albania produca energia al 99 per cento da fonte idrica (energia prodotta 5,15 GWh e potenza installata idrica 1,86 GW). L'investimento per la costruzione del cavidotto è pari a 2,2 miliardi di euro;
   la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, nota anche come «direttiva Vas», estende l'obbligo di valutazione ambientale ai processi di pianificazione e programmazione. La valutazione di impatto ambientale agisce necessariamente a un livello del processo decisionale che risente di decisioni già prese in ambito pianificatorio e programmatorio; la direttiva Vas è volta a intervenire all'origine di tali decisioni, con l'obiettivo di «garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di piani e programmi [...] che possono avere effetti significativi sull'ambiente» (articolo 1);
   in applicazione dell'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, convertito dalla legge n. 17 del 2007, a partire dal 31 luglio 2007 è entrata in vigore la Parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006, avente ad oggetto le «Procedure per la valutazione ambientale strategica (Vas), per la valutazione d'impatto ambientale (Via) e per l'autorizzazione ambientale integrata (Ippc)». Con decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2007 di riordino del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata istituita la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale cui sono assegnate le competenze in materia di valutazione ambientale strategica e di valutazione di impatto ambientale, anche per le opere strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001. La Commissione, infatti, accorpa la Commissione per la valutazione d'impatto ambientale, istituita ai sensi dell'articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni, e la Commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale, istituita ai sensi dell'articolo 184, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Tra le funzioni della Commissione figurano «le attività tecnico-istruttorie per la valutazione ambientale strategica dei piani e programmi la cui approvazione compete ad organi dello Stato, in attuazione di quanto previsto dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.06.2001, ed esprime il proprio parere motivato per il successivo inoltro al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che adotta il conseguente provvedimento»;
   nel decreto Mise-Matt a quanto consta agli interroganti è assente qualsiasi riferimento alla procedura di Vas (valutazione ambientale strategica) applicata al piano di sviluppo della rete di trasmissione (previsto dal terzo pacchetto energia composto da due direttive e tre regolamenti). Il terzo pacchetto energia introduce il piano di sviluppo decennale di rete che deve essere redatto sulla base dei piani di sviluppo nazionali e in conformità con gli scenari elaborati da ENTSO-E (European Network of Transmission System Operators Electricity). Oltre alla stretta correlazione con i piani nazionali, il piano europeo si propone uno sviluppo coerente con i piani di investimento regionali. Tutto questo è coerente con la strategia europea comune di passaggio verso una low carbon economy;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988 regolamenta la redazione dei Sia (studio impatto ambientale) e le leggi regionali lo replicano nella sostanza. Nel Sia prodotto per l'elettrodotto Albania-Italia a giudizio degli interroganti è disatteso l'articolo 5 «Quadro di riferimento ambientale», comma 3, lettera a) «Stima qualitativamente e quantitativamente gli impatti indotti dall'opera sul sistema ambientale, nonché le interazioni degli impatti con le diverse componenti ed i fattori ambientali, anche in relazione ai rapporti esistenti tra essi». Inoltre, come da «Allegato I – Componenti e Fattori Ambientali», «Lo studio d'impatto ambientale di un'opera con riferimento al quadro ambientale dovrà considerare le componenti naturalistiche ed antropiche interessate, le interazioni tra queste ed il sistema ambientale preso nella sua globalità», mancano le componenti ed i fattori ambientali «f) salute pubblica: come individui e comunità», «h) radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: considerati in rapporto all'ambiente sia naturale che umano» con «la descrizione dei livelli medi e massimi di radiazioni presenti nell'ambiente interessato, per cause naturali ed antropiche, prima dell'intervento» e «la definizione e caratterizzazione delle sorgenti e dei livelli di emissioni di radiazioni prevedibili in conseguenza dell'intervento»;
   sia la VIA (valutazione d'impatto ambientale) sia il decreto attuativo del Ministero dello sviluppo economico autorizzano un impianto relativo ad un progetto di potenza pari a 500 megawatt mentre già adesso, in fase documentale, è prevista una successiva «Fase II» per arrivare a complessivi 1.000 megawatt –:
   se i Ministri interrogati intendano far in modo che vengano completate le procedure e le analisi, soprattutto dal punto di vista elettromagnetico, come riportato in premessa, a maggior ragione in vista di una «Fase II» che porterà l'elettrodotto a 1.000 megawatt;
   se i Ministri interrogati ritengano utilmente strategico il progetto in questione, soprattutto in relazione ai dubbi emersi sul rispetto delle direttive nazionali ed europee, e come questo debba poi interfacciarsi con la rete di distribuzione attualmente esistente, dato che la regione Puglia dispone già di una sovrapproduzione di energia da fonti rinnovabili che risulta sprecata a causa di mancanza di accumulatori efficaci e di una rete sottostante non efficiente;
   se i Ministri interrogati ritengano che l'approvvigionamento da centrale a carbone non metta in difficoltà il rispetto dei parametri normativi europei di riduzione dell'emissione di CO2. (4-02629)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Catalano e altri n. 7-00170, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mucci.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Oliverio e Magorno n. 5-00548, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Coscia.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Sorial e altri n. 1-00194, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 settembre 2013: è stata ritirata la firma del deputato Ruocco.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Battaglia n. 3-00346 del 25 settembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02648.
   interrogazione a risposta in Commissione Basilio e altri n. 5-01289 del 24 ottobre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02619.