Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 19 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese vivono circa 11 milioni di bambini e adolescenti, che costituiscono il 17 per cento della popolazione totale, e in base a recenti dati dell'Istat, 1.822.000 dei quali vivono in situazione di povertà relativa, mentre il sette per cento dei minori in Italia (oltre 700.000 bambini ed adolescenti) vive in condizioni di povertà assoluta, con maggiore incidenza nel Mezzogiorno (10,9 per cento) a fronte del 4,7 per cento del Centro e nel Nord del Paese;
    ancora più allarmanti appaiono i dati relativi al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni, che è pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale, vale a dire che su cento minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d'Italia, ben settanta rischiano di essere poveri;
    secondo i dati contenuti nella Relazione al Parlamento depositata lo scorso mese di maggio dal Garante per l'infanzia e l'adolescenza e relativa all'anno 2012, la comparazione con altri Stati industrializzati ci informa che nella classifica del benessere dei bambini l'Italia occupa il ventiduesimo posto su ventinove Paesi, collocandosi alle spalle di Spagna, Ungheria e Polonia, e risulta, inoltre, essere il paese con il tasso NEET (Not In Education, Employment or Training) più elevato tra tutti i Paesi industrializzati dopo la Spagna, posto che ben l'undici per cento dei nostri giovani tra i 15 e i 19 anni non sono iscritti a scuola, non lavorano e non frequentano corsi di formazione professionale;
    inoltre, gravissime sono le lacune che si riscontrano nel nostro Paese sia sotto il profilo dell'istruzione, che si sostanzia nelle altissime percentuali di abbandono scolastico, sia sotto il profilo del sistema di welfare, incapace di offrire una tutela e un sostegno adeguati alle famiglie con figli, e che si sostanzia nell'insufficienza delle misure a sostegno del reddito e, al contempo, nella carenza di strutture;
    la rete dei servizi per la prima infanzia è uno strumento essenziale per la promozione del benessere, per lo sviluppo dei bambini, per la conciliazione dei tempi di lavoro, nonché per il sostegno al ruolo educativo dei genitori;
    in questo ambito, un aspetto centrale è costituito dal numero esiguo di asili nido, al quali peraltro si accede in base a graduatorie spesso falsate, dalla mancata realizzazione, in Italia, di modelli di accoglimento alternativi quali ad esempio le tagesmutter, che, di fatto, in molti casi costituiscono un ostacolo insormontabile per coppie nelle quali entrambi i genitori sono lavoratori, nonché ovviamente per i nuclei familiari monogenitoriali;
    al riguardo, il rapporto sul piano straordinario europeo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, cui l'Italia ha aderito nel 2007, ha rilevato l'esigenza «che si consolidi da parte del Governo un intervento a sostegno dei servizi fondamentali e non solo per i bambini ma anche per lo sviluppo sociale ed economico del Paese»;
    il rapporto ha, infatti, messo in luce come, pur a fronte di un costante incremento dei posti negli asili nido, aumentati negli ultimi cinque anni di cinquantamila unità, la percentuale di copertura non arriva ancora neanche al venti per cento;
    questo a fronte di investimenti nello stesso quinquennio pari a un miliardo di euro dei quali, tuttavia, appena la metà sono stati utilizzati, spesso a causa di ritardi e complicazioni nel processo burocratico, che penalizza, ancora una volta, maggiormente le regioni del Sud;
    il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud del Paese, come già visto, è particolarmente forte con riferimento alle politiche per i minori, aggravata dalla frammentazione esistente a livello nazionale – tra Ministeri, commissioni, comitati ed osservatori – delle competenze istituzionali sull'infanzia e l'adolescenza;
    questa frammentazione, che il Rapporto di aggiornamento 2012-2013 stilato da Save the children, ha definito come «il default del sistema di welfare», determina che gli effetti degli interventi adottati non siano «in alcun caso riconducibili ad un sistema al politiche, ma la risultante di processi diversi, non interagenti (o male interagenti), di norme che variano senza un orizzonte comune e con tempistiche diverse, tali da rendere incoerenti o inefficaci e/o senza risorse i singoli passaggi»;
    una questione centrale nella programmazione di efficaci politiche per i minori consiste nell'individuazione, e nella garanzia stabile lungo un arco di tempo pluriennale, delle risorse finanziarie da destinare a tali politiche;
    al contrario, invece, il succedersi di diverse leggi in questa materia, ha causato un processo di progressiva erosione delle risorse destinate a finanziare le politiche per l'infanzia e l'adolescenza;
    in particolare, la legge n. 285 del 1997, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», aveva istituito il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, successivamente inglobato al settanta per cento da un unico Fondo Nazionale per le politiche sociali, introdotto dalla legge n. 328/2000 («Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali») dando luogo alla creazione di un unico fondo indistinto, senza vincoli di spesa, demandando alle regioni la programmazione e la pianificazione nell'ambito della loro esclusiva competenza, ed individuando nei livelli essenziali di assistenza la base comune delle prestazioni sociali per tutto il territorio nazionale;
    inoltre, con la creazione del Fondo per le politiche sociali, la cui determinazione è stata affidata alla legge finanziaria, è venuta meno la caratteristica della triennalità del finanziamento delle misure per l'infanzia;
    la complessa evoluzione nel corso del tempo dei finanziamenti destinati alle politiche sociali per l'infanzia e l'adolescenza ha determinato alcuni significativi mutamenti nell'attuazione delle stesse: da un lato, infatti, la mancata definizione dei livelli essenziali di assistenza da parte dello Stato con il concorso delle regioni ha determinato una prolungata lacuna normativa in questo campo, dall'altro l'annualità dei fondi via via destinati alle politiche per l'infanzia ne ha accorciato significativamente le prospettive di programmazione ed attuazione;
    attualmente, il Fondo per le politiche sociali è stato rifinanziato con trecento milioni di euro, dopo essere stato ridotto ad appena dieci milioni nel 2012, mentre il Fondo per le politiche della famiglia è diminuito da 186 milioni di euro stanziati nel 2009 agli scarsi venti milioni di euro assegnati nel 2013, mentre il Fondo per le politiche giovanili e passato da una dotazione di quasi ottanta milioni di euro nel 2009 ai 6,2 milioni stanziati per il 2013;
    l'ultimo Piano nazionale per l'infanzia, varato nel 2011 in base a quattro linee guida (consolidamento della rete integrata dei servizi e contrasto all'esclusione sociale; rafforzamento della tutela dei diritti; costruzione di un patto intergenerazionale dedicato al protagonismo dei bambini e dei ragazzi; promozione dell'integrazione delle persone immigrate) è rimasto sostanzialmente inattuato per mancanza di fondi;
    il percorso di valutazione dei Rapporti governativi sullo stato di attuazione della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (Convention on the rights of the child – CRC) e/o dei Protocolli opzionali svolto dal Comitato ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza termina con un documento con cui il Comitato ONU rende noto il proprio parere sullo stato di attuazione della CRC e/o del Protocolli Opzionali nel Paese esaminato, sottolineando i progressi compiuti ed evidenziando i punti critici, invitando il Governo ad intervenire laddove non vi sia congruità, anche attraverso la richiesta esplicita di modifiche legislative;
    nell'ultimo rapporto il Comitato ha rilevato, nei confronti dell'Italia, la mancata o insufficiente implementazione non solo degli aspetti di coordinamento e di assegnazione di risorse ma anche di quelli relativi alla non discriminazione, agli interessi dei minori, al diritto all'indennità, alle adozioni, e alla giustizia minorile;
    sotto il profilo del coordinamento, un primo passo è stato compiuto con la istituzione, nel 2011, della figura del garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, deputato anche a realizzare un coordinamento dell'attività dei garanti regionali già istituiti e operativi;
    lo stesso Comitato dell'ONU aveva, infatti, espresso preoccupazione anche per le disparità riscontrate a livello regionale nell'assegnazione e nella spesa dei fondi destinati ai minori, auspicando che lo Stato italiano assicuri stanziamenti di bilancio equi in tutte le 20 regioni, con particolare attenzione alla prima infanzia, al servizi sodali, all'istruzione ed ai programmi di integrazione per i figli del migranti, garantendo che «pur nell'attuale situazione finanziaria, tutti i servizi per i minori siano protetti dai tagli»;
    la mancanza di politiche efficaci a sostegno della famiglia e della natalità, sta determinando, in Italia, un costante calo delle nascite, privando il nostro Paese della risorsa più importante: i giovani;
    le difficoltà che le famiglie sono costrette ad affrontare, spesso lasciate sole dalle istituzioni, sta minando alla radice questo nucleo fondamentale della nostra società,

impegna il Governo:

   ad ideare e realizzare, dotandolo degli strumenti finanziari adeguati, un Piano a tutela delle famiglie e della natalità, che passi attraverso l'implementazione delle strutture sul territorio e attraverso misure economiche di sostegno al reddito, o di agevolazioni fiscali, in favore delle famiglie con figli a carico, in particolar modo delle famiglie numerose;
   ad operare nel senso di una ottimizzazione delle risorse e per il coordinamento del settore delle politiche in favore dell'infanzia e dell'adolescenza, recependo le proposte e le indicazioni formulate in merito dal garante;
   a promuovere il coordinamento degli indirizzi e dei programmi riguardanti i diritti dei minori tra tutti i Ministeri e le istituzioni interessate, garantendo che tutte le risorse umane, tecniche e finanziarie necessarie per implementare le politiche riguardanti i diritti dei minori siano complete, coerenti e uniformi a livello nazionale, regionale e locale;
   ad ideare, promuovere e rafforzare interventi volti al contrasto della pedofilia, della violenza sui minori, fisica e psicologica, nonché dello sfruttamento lavorativo e dell'accattonaggio;
   ad ideare iniziative e misure volte a combattere il fenomeno della dispersione scolastica, tenendo conto delle specificità territoriali e regionali;
   ad assumere iniziative per istituire un sistema di formazione regolare, obbligatorio e continuo sui diritti dei minori per tutte le figure professionali che lavorano con essi;
   ad assumere iniziative per introdurre il meccanismo del quoziente familiare e altre agevolazioni fiscali volte ad alleggerire il carico fiscale che grava sulle famiglie;
   ad assumere iniziative per ridurre l'imposta sul valore aggiunto sui prodotti per l'infanzia;
   a realizzare una politica di sostegno alla natalità, rimuovendo le cause economiche e sociali, che portano a rinunciare alla maternità, attraverso il rilancio dell'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro, il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, l'incentivazione dell'apertura degli asili nido sul posto di lavoro, condominiali e in case private secondo il modello delle tagesmutter, nonché adottando misure per sostenere l'accesso alle abitazioni;
   a garantire la protezione e la promozione uniformi ed efficienti dei diritti dei minori in tutte le regioni, anche attraverso l'assistenza e il coordinamento degli esistenti garanti regionali per i minori da parte del garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza.
(1-00253) «Giorgia Meloni, Rampelli, Taglialatela».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    l'8 novembre 2013 il ciclone Yolanda ha colpito 43 province nel sud delle Filippine, distruggendo villaggi e radendo al suolo intere città;
    dai dati raccolti finora risultano essere dodici milioni le persone colpite direttamente da tale evento, ed oltre un milione gli sfollati, di cui circa la metà attualmente raccolta in centri di accoglienza;
    al 14 novembre le cifre ufficiali di OCHA riportavano più di 4600 vittime, ma il numero continua a salire;
    scene di disperazione per la mancanza di cibo, acqua ed altri beni di prima necessità sono all'ordine del giorno;
    nonostante il grande impegno del Governo filippino e della comunità internazionale, a causa della scarsa presenza di risorse la situazione è ben lontana dall'essere risolta;
    la comunità filippina è ormai da decenni presente nelle città italiane, e ben integrata: si tratta di uomini e donne che lavorano alacremente, spesso in ruoli di supporto fondamentali per le famiglie italiane, i cui figli e le cui figlie frequentano le stesse scuole delle bambine e dei bambini italiani, e che spesso svolgono anche opera di volontariato nelle parrocchie o nelle associazioni;
    in questi giorni milioni di italiani e di italiane nel mondo esprimono, attraverso i mezzi più diversi, la loro ferma e sincera solidarietà nei confronti del disperato popolo filippino;
    anche la comunità filippina in Italia si è immediatamente attivata: in particolare, il «Filipino Women's Council», associazione di donne filippine che lavorano e vivono in Italia, fondata negli anni Novanta e con sede a Roma, solitamente impegnata nel sostegno psico-sociale delle persone della propria comunità, ha avviato una campagna di raccolta fondi con il sostegno tecnico di Defence for Children International da inviare nelle aree più colpite;
    questa campagna offre anche l'occasione per fare qualcosa di concreto a tutti gli italiani che desiderano esprimere la propria solidarietà con il popolo filippino;
    nel maggio 2013 l'Italia ha firmato con il Governo filippino un accordo per la conversione del debito a favore di azioni di cooperazione allo sviluppo;
    oggi il nostro Governo dispone dell'opportunità di dare un messaggio chiaro, concreto, univoco ed importante di speranza, solidarietà, fratellanza e di fiducia nelle istituzioni e nella loro presenza al popolo italiano, a quello filippino ed alla comunità internazionale;
    è necessaria un'azione umanitaria vera, concreta e civile,

impegna il Governo:

   a destinare integralmente i fondi allocati per l'accordo di conversione (circa tre milioni di euro) e già disponibili al supporto di azioni di emergenza e ricostruzione nelle zone colpite dal tifone, con particolare riguardo a donne e bambini;
   ad inserire una rappresentanza delle organizzazioni dei migranti filippini negli organismi di gestione del fondo di controvalore che dovrà gestire le risorse derivanti dalla conversione.
(7-00172) «Scotto».


   La XIV Commissione,
   premesso che:
    la legge di delegazione europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96), entrata in vigore il 4 settembre 2013, è stata approvata in via definitiva il 31 luglio 2013, a conclusione di un iter parlamentare particolarmente celere, in cui il disegno di legge presentato dal Governo è stato emendato dal solo Senato, senza alcuna modifica da parte della Camera dei deputati;
    l'impegno del Parlamento a concludere in tempi rapidi l'esame del provvedimento ha risposto all'esigenza di apprestare gli idonei meccanismi procedurali volti a consentire il recepimento nell'ordinamento nazionale di numerose direttive il cui termine di recepimento era già scaduto o era di prossima scadenza, anche a causa del ritardo accumulatosi nella scorsa legislatura per la mancata approvazione dei disegni di legge comunitaria per gli anni 2011 e 2012;
    la legge n. 234 del 24 dicembre 2012 introduce apposite disposizioni proprio al fine di evitare ritardi nel recepimento delle direttive;
    la legge di delegazione europea 2013 – la prima in assoluto – contiene le deleghe per la predisposizione di ben 43 decreti legislativi, 40 dei quali relativi al recepimento di direttive dell'Unione europea;
    il Governo non ha ancora presentato alle Camere diversi atti attuativi di tali deleghe, salvo eccezioni come, ad esempio, lo schema di decreto legislativo che riguarda i beneficiari di protezione internazionale;
    in assenza di provvedimenti attuativi, il conferimento delle deleghe per il recepimento delle direttive, operato dalla legge di delegazione europea per il 2013, non mette il Paese al riparo dall'avvio di nuove procedure di infrazione da parte della Commissione europea o dalla prosecuzione di quelle in corso, anche con il rischio di incorrere in futuro, in sanzioni da parte della Corte di giustizia;
    diverse disposizioni di delega sono finalizzate al recepimento di direttive il cui termine è già da tempo scaduto e rispetto alle quali si dovrebbe presumere che le competenti amministrazioni governative abbiano, per tempo, avviato il relativo lavoro istruttorio;
    ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 6 agosto 2013, n. 96, gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive elencate nell'allegato B della legge di delegazione europea, sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affinché su di essi sia espresso il parere dei competenti organi parlamentari,

impegna il Governo

a presentare tempestivamente alle Camere, per il prescritto parere parlamentare, gli schemi di decreto legislativo aventi ad oggetto il recepimento delle direttive contenute nell'allegato B della legge di delegazione europea 2013 per le quali è in scadenza il termine di esercizio della delega legislativa.
(7-00173) «Michele Bordo, Tancredi, Buttiglione, Mosca, Ricciatti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE e BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da notizie di stampa locale che nella notte di giovedì 14 novembre 2013 ad Arezzo, nella zona Colle del Pionta, è stato ucciso un clochard a colpi di pietra;
   dalle prime ricostruzioni, le autorità hanno dichiarato che la tragedia sarebbe avvenuta in un contesto di degrado sociale e solitudine;
   la lite che ha portato alla tragedia sarebbe scaturita dalla mancanza di un luogo dove passare la notte;
   i due fermati con l'accusa di omicidio avrebbero aggredito il clochard per accaparrarsi la tenda di fortuna dove dormiva lo stesso che, colpito più volte con una pietra, perdeva la vita;
   tutti gli Stati membri dell'Unione europea (UE) hanno ratificato i trattati internazionali e le convenzioni che riconoscono e proteggono esplicitamente il diritto all'abitazione: la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (articolo 25), il patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (articolo 11), la convenzione sui diritti dell'infanzia (articolo 27), la convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (articoli 14 e 15) e la carta sociale europea, nel testo riveduto (in specie articoli 16, 30 e 31), la convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e la più recente carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la cosiddetta Carta di Nizza), che ha acquisito piena efficacia con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona;
   la Cassazione ha stabilito che il «diritto all'abitazione» va annoverato fra i «beni primari collegati alla personalità» che meritano di essere annoverati tra i diritti fondamentali della persona e quindi tutelati dall'articolo 2 della Costituzione;
   a parere degli interroganti tali eventi sono sempre più numerosi e le istituzioni non devono e non possono più voltare le spalle a questa problematica che invece necessiterebbe di un urgente intervento volto a ridare dignità alle persone che si trovano in una situazione di esclusione sociale senza prospettive di reinserimento nel contesto lavorativo-sociale-economico –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Governo, per quanto di propria competenza, intenda intervenire in maniera rapida e con coraggio a salvaguardia di queste situazioni per evitare che tali eventi di degrado sociale vengano a ripetersi;
   se il Governo, per quanto di propria competenza, intenda affrontare l'emergenza abitativa che sta dilagando nel nostro Paese e che, affiancata alla grave crisi economico-lavorativa, sta sfociando in eventi analoghi al suddetto;
   quali urgenti e mirate misure il Governo, per quanto di propria competenza, intenda mettere in atto per arginare la situazione suddetta al fine di ristabilire le garanzie sancite dalla nostra Costituzione e i valori annoverati come diritti fondamentali della persona, quali il diritto all'abitazione. (4-02565)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da più di un anno i due fucilieri del reggimento «San Marco» della Marina militare italiana, ritenuti responsabili della morte di due pescatori indiani, sono in stato di fermo nello Stato del Kerala, in attesa che gli inquirenti chiariscano la loro posizione;
   l'incidente sarebbe avvenuto in acque internazionali e pertanto tale localizzazione avrebbe dovuto sin dal principio far venir meno la giurisdizione indiana a favore di quella italiana;
   com’è noto un accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica dell'India stabilisce, altresì, la possibilità per i detenuti condannati dell'uno o dell'altro Paese di scontare la pena nel proprio Paese d'origine, quindi, nel caso dei marò, l'Italia;
   nonostante quanto suddetto, il 18 gennaio 2013 la Corte suprema indiana, pur accertando che i fatti si erano effettivamente verificati al di fuori delle acque territoriali indiane, negava la giurisdizione dello Stato italiano e, senza adeguata motivazione, rivendicava l'esercizio dei diritti sovrani di giurisdizione dell'India, disponendo, inoltre, che il processo venisse affidato a un tribunale speciale da costituire a Nuova Delhi;
   la vicenda che ha creato una crisi diplomatica tra l'Italia e l'India, dopo l'immediata apertura di un'indagine per omicidio e il successivo arresto dei due sottufficiali di Marina, appare complessa e di difficile risoluzione nonostante, nel corso del discorso programmatico sul quale il Governo ha avuto la fiducia, il Presidente del Consiglio dei ministri, ha dichiarato che avrebbe lavorato a una soluzione positiva, della vicenda, aggiungendo inoltre che il rientro in patria dei fucilieri di Marina Latorre e Girone rappresenta un impegno del Governo;
   l'interrogante rileva inoltre come nel corso delle manifestazioni nazionali in occasione della giornata delle forze armate del 4 novembre 2013, non sembra vi siano state considerazioni rilevanti né tantomeno interventi significativi da parte dei responsabili del Governo, in merito alla vicenda dei due marò italiani, tuttora agli arresti in India;
   l'interrogante evidenzia altresì come anche gli organi d'informazione si siano allontanati da ogni aggiornamento o ragguaglio sullo stato dei due connazionali militari da ventuno mesi agli arresti in un Paese straniero, contro ogni regola del diritto nazionale e internazionale –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere per riportare nel nostro Paese i due fucilieri della Marina, in considerazione del lasso di tempo così evidente che è passato dal momento in cui è avvenuto l'incidente in acque internazionali, che ha determinato l'arresto dei nostri connazionali e a cui non sono seguiti interventi risolutivi, circostanza che risulta particolarmente grave, a causa della mancanza di informazioni che negli ultimi mesi si evidenzia da parte del Governo su una vicenda internazionale che desta sconcerto e preoccupazione.
(4-02574)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BIASOTTI e BERGAMINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2011 la società Ecomouv SAS – detenuta al 70 per cento da Autostrade per l'Italia e per il restante 30 per cento dalle aziende francesi Thales, Sncf, Sfr e Steria – ha sottoscritto con il Ministero francese dell'ecologia un contratto per la realizzazione e la gestione di un sistema di pedaggiamento satellitare obbligatorio per i mezzi pesanti superiori alle 3,5 tonnellate in transito su circa 15.000 chilometri della rete stradale nazionale. Il contratto, sottoscritto a seguito dell'aggiudicazione di una gara su bando europeo indetta dallo stesso Ministero dell'ecologia nel maggio del 2009, ha una durata di circa tredici anni per un investimento che attualmente si attesta su 650 milioni di euro;
   la gara è stata oggetto di una vertenza giudiziaria iniziata a gennaio 2011, quando il gruppo Ecomouv si è aggiudicato il contratto. I concorrenti, infatti, hanno fatto ricorso, ma il Consiglio di stato francese lo ha respinto avviando così la definizione dei dettagli tecnico-finanziari del contratto;
   nelle ultime settimane la cosiddetta ecotassa è stata oggetto di violente proteste portate avanti dal movimento dei «berretti rossi» bretoni, tanto che il governo francese ha deciso di sospenderne l'applicazione;
   il 5 novembre 2013, il Ministro dell'economia francese Pierre Moscovici si è dichiarato «stupefatto» che un contratto per la costruzione e gestione del sistema di pedaggiamento «sia stato attribuito ad una società straniera», ossia alla società Ecomouv, controllata da Autostrade per l'Italia, ed ha messo in dubbio l'opportunità di affidare la gestione dell'ecotassa ad un'impresa italiana e la capacità del consorzio di adempiere agli obblighi contrattuali;
   stupisce che un esponente di spicco del Governo francese utilizzi questi argomenti, peraltro su un progetto che vede una partnership di così alto livello tecnologico tra Autostrade per l'Italia e importanti imprese francesi, ed gli interroganti ritengono che la posizione del Ministro potrebbe essere tesa a coprire l'imbarazzo del Governo per le proteste relative all'ecotassa, scaricando le tensioni politiche interne su un'azienda privata che ha vinto una regolare gara ed ha già effettuato importanti investimenti –:
   quali tempestive iniziative intenda adottare al fine di far rispettare il contratto di assegnazione della commessa, aggiudicato da Autostrade per l'Italia a seguito di una regolare gara di appalto su bando europeo promosso dal Governo francese. (5-01502)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la situazione dei servizi consolari per la comunità italiana a Bedford presenta delle gravi criticità che attentano al buon nome delle nostre istituzioni;
   dopo la manifestazione organizzata a Bedford il 9 settembre 2012 e le molte proteste sui giornali inglesi e italiani, nonché l'interrogazione parlamentare 4-17559 del 12 settembre 2012 (anche con la firma dell'interrogante), si aprì, finalmente, una seria trattativa tra il comitato di protesta per i servizi consolari, e le autorità diplomatiche consolari (ambasciata e consolato generale di Londra) per cercare di risolvere il problema. Delle iniziative del comitato di protesta, per un senso di rispetto e trasparenza, furono informate anche le autorità istituzionali e politiche locali;
   successivamente, il 20 settembre 2012, il comitato fu ricevuto in ambasciata ricevendo precise raccomandazioni per la riapertura di un servizio consolare a Bedford un giorno alla settimana, in particolare, per venire incontro alle esigenze di migliaia di nostri cittadini anziani a cui era praticamente impossibile lo spostamento al consolato generale di Londra;
   tale servizio, a costo zero, poiché gli uffici furono messi a disposizione, gratuitamente, nei locali della missione cattolica italiana, e l'impiegato a contratto risultava residente a Bedford, si è rivelato di estrema utilità per poco meno di un anno. All'incirca 150 nostri connazionali si sono recati ogni settimana, nel giorno fissato, per usufruire dei servizi consolari;
   in seguito, e senza un chiaro preavviso, nel mese di agosto l'ufficio venne chiuso per ferie;
   la mancata e puntuale informazione provocò degli indubbi contrattempi per i connazionali provenienti da lontano, inconsapevoli della chiusura;
   dopo di che, a metà settembre dell'anno in corso, comparve un piccolo trafiletto sul sito del consolato di Londra con l'annuncio che il servizio in questione da settimanale diveniva mensile. Si può immaginare la forte protesta della comunità italiana;
   nel frattempo il previsto consolato onorario, della cui istituzione le associazioni facenti parte del comitato di protesta si sono dette contrarie, ancora non ha aperto gli uffici. Non si tratta della figura del console onorario in sé (che può andare anche bene) ma della impossibilità, per un console onorario, ufficiale in servizio gratuito, di rispondere alle esigenze di oltre 30 mila cittadini. Tale servizio veniva svolto in passato da tre impiegati di alta professionalità e a tempo pieno;
   le soluzioni attuate sono prive a giudizio dell'interrogante di quella attenzione che le istituzioni debbono alla comunità italiana;
   olretutto, l'accentramento del servizio a Londra ha provocato ulteriori e gravi difficoltà per l'evidente aumento della richiesta negli uffici consolari della capitale –:
   quali iniziative il Ministro intenda attuare con l'obiettivo di addivenire ad una soluzione positiva che consenta di sopperire alle attuali difficoltà, con l'immediato ripristino del passato servizio settimanale e una soluzione, per il futuro, più aderente alle aspettative della comunità italiana di Bedford. (4-02570)

AFFARI EUROPEI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XIV Commissione:


   PRATAVIERA. — Al Ministro per gli affari europei. – Per sapere – premesso che:
   l'Europa, basata sui principi della libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali, attraverso l'abolizione delle frontiere fisiche e doganali e sull'impulso delle politiche di concorrenza, avrebbe dovuto generare vantaggi ai cittadini e ai consumatori;
   l'Europa deve essere in grado di offrire un ambiente che ampli e sostenga la capacità di azione della politica nazionale e non uno spazio delimitato da vincoli, regole e procedure che finiscono per limitare l'azione di tutti: famiglie, cittadini, piccole, medie e grandi imprese;
   l'Europa, e la politica europea, non devono essere la bussola d'azione del Governo, ma deve essere esso stesso, definendo la posizione italiana in sede europea, a tracciare le linee di azione dell'Europa approntando politiche tese a promuovere prosperità, benessere e coesione sociale;
   le modalità per sfruttare concretamente le opportunità che dovrebbero venire dall'appartenenza all'Unione europea dovranno essere i principali argomenti da trattare in vista del prossimo semestre di presidenza italiana;
   il semestre italiano di presidenza rappresenta una grande opportunità per il Paese. Si deve sfruttare questa occasione per dettare l'agenda politica dell'Europa, perché la prossima occasione, a causa dell'allargamento dell'Unione attualmente a 28 Paesi, porterà la prossima opportunità fra 14 anni e non ci si può permettere di aspettare tanto per cercare di uscire dalla crisi che porta le aziende e i cittadini a fuggire dal nostro Paese;
   pur essendo uno dei fondatori, il nostro Paese sembra arrancare dietro gli altri grandi stati membri da molti punti di vista. Per quel che riguarda la competitività, l'Italia si colloca tra i Paesi a medio-bassa competitività al pari di Cipro, Malta, Portogallo, Slovenia e Grecia, mentre la Germania viene considerata un Paese ad alta competitività e addirittura Francia e Spagna sono considerati Paesi a competitività superiore alla media europea. Aumentare la competitività delle piccole e medie imprese crea una potenziale opportunità di sviluppo futuro;
   il fenomeno della delocalizzazione produttiva, da parte delle imprese operanti sul nostro territorio, verso Paesi dove il costo del lavoro è più basso è un tema di primaria importanza che mette a rischio la tenuta competitiva del sistema produttivo;
   la volontà del Governo deve essere quella di continuare a credere nella propria capacità produttiva e nella propria cultura imprenditoriale, ridimensionando quella tendenza alla delocalizzazione che impoverisce il territorio;
   la grave situazione delle piccole e medie imprese, in particolare del nord-est, che continuano ad essere colpite dal fenomeno della delocalizzazione anche in paesi europei confinanti come Slovenia, Serbia e Croazia deve essere una priorità. Si devono trovare strumenti idonei che impediscano la delocalizzazione produttiva nei Paesi dell'Unione europea o che si apprestano ad entrare nell'Unione, in quanto si tratterebbe di comportamenti che distorcono la concorrenza e vietati dalla normativa europea in vigore;
   si deve trovare una soluzione per far sì che si tutelino le aziende e soprattutto per scongiurare il rischio che queste, guardando solo al profitto, possano vedere nella delocalizzazione verso altri Paesi, in particolare dell'Est, la soluzione di tutti i loro problemi;
   è necessario che la competitività, e il futuro della nostra industria siano al centro dell'azione di Governo ponendo questi temi al primo posto nell'agenda politica dell'Unione europea –:
   quali iniziative – con particolare riferimento alla competitività del sistema produttivo – il Governo abbia assunto e intenda assumere in esito al Consiglio europeo degli scorsi 24 e 25 ottobre e in previsione della definizione delle priorità del prossimo semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea.
(5-01503)


   TANCREDI e ALLI. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia assumerà nel secondo semestre di Presidenza del 2014 la Presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea;
   la Presidenza costituisce un passaggio cruciale per il prestigio dell'Italia e, soprattutto, per il contributo che essa potrà dare all'avanzamento concreto del processo di integrazione, superando l'attuale crisi di fiducia delle opinioni pubbliche nazionali nella costruzione europea;
   a questo scopo occorre che la Presidenza italiana contribuisca a rafforzare la capacità dell'Unione di offrire risposte adeguate e strutturali a fronte di questioni quali la crisi economica, i flussi migratori, il cambiamento climatico – la cui complessità rende insufficiente l'azione dei soli Stati membri e postula l'intervento europeo;
   l'intervento più urgente in questa direzione consiste nel completamento dell'unione economica, a partire dalla realizzazione dell'unione bancaria in tutti i suoi pilastri, in modo da spezzare il circolo vizioso tra crisi del debito sovrano e crisi bancarie e riattivare in canali di finanziamento al sistema produttivo;
   appare altresì necessario individuare tra gli obiettivi prioritari del semestre di presidenza l'attuazione delle altre misure previste tabella di marcia per un'autentica unione economica e monetaria, con particolare riferimento ai meccanismi per la mutualizzazione del debito sovrano e alla creazione di una capacità di bilancio autonoma dell'eurozona;
   il completamento dell'integrazione economica, mediante, in particolare, la costituzione di un governo europeo dell'economia è un passaggio propedeutico all'avvio di un processo di integrazione in senso politico e federale;
   a fronte della contrarietà manifestata dà alcuni Stati membri alla rapida attuazione delle misure sopra richiamate, occorre pertanto che l'Italia predisponga, in vista del semestre, un'adeguata strategia negoziale che consenta, al di là delle affermazioni di principio, passi concreti verso la realizzazione di un'autentica unione economica e monetaria –:
   quali iniziative il Governo abbia assunto o intenda assumere e quali criteri intenda seguire per la identificazione delle priorità politiche del semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, con particolare riferimento al completamento della tabella di marcia per la realizzazione di un'autentica Unione economica e monetaria e all'avvio di un processo di integrazione in senso politico e federale. (5-01504)


   CARINELLI, COLONNESE, LUIGI DI MAIO, FICO, NESCI, PINNA, SPESSOTTO e VIGNAROLI. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 9 del disegno di legge di stabilità 1120 A.S. è previsto che al fine di assicurare il tempestivo adempimento degli indifferibili impegni connessi con l'organizzazione e lo svolgimento del Semestre europeo luglio-dicembre 2014 della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea è prevista un'autorizzazione alle spese di euro 56.000.000 per l'anno 2014 e di euro 2.000.000 per l'anno 2015;
   l'impegno di tali somme non è peraltro suffragato dall'indicazione delle modalità di spesa e del tipo di iniziative che andranno ad essere sostenute economicamente durante il suddetto semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea;
   maggiore chiarezza e trasparenza avrebbe imposto di precisare la programmazione e l'attuazione delle iniziative che accompagneranno il semestre europeo della Presidenza italiana al fine di comunicare il tipo di utilizzo delle spese impegnate per tale evento;
   infatti, allo stato non è dato sapere la ragione per la quale è stato previsto tale specifico impegno di 56.000.000 di euro per il 2014 e 2.000.000 di euro per il 2015; la cui ultima somma, tra l'altro, non è dato comprendere perché sia stata inserita tenuto conto che il semestre europeo di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea avrà inizio il 1o luglio 2014 e terminerà al 31 dicembre 2014 –:
   quale sia la programmazione e quali iniziative saranno realizzate, durante il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, con il suddetto impegno di 56.000.000 di euro per il 2014 e 2.000.000 di euro per il 2015 e quali siano le relative modalità di spesa, da rendere note al Parlamento anche fornendo la relativa documentazione.
(5-01505)


   GALGANO, BUTTIGLIONE e SCHIRÒ. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Camera ha approvato il 31 luglio 2013, in esito all'esame della relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2011, la risoluzione 6-00024 che poneva in evidenza, tra le altre cose, la difficoltà del nostro Paese a valutare adeguatamente l'impatto potenziale delle iniziative regolative europee e definire in modo precoce una posizione negoziale nel processo decisionale europeo;
   al fine di assicurare che il Parlamento sia pienamente coinvolto nella valutazione d'impatto e nella formazione della posizione italiana, la risoluzione ha impegnato il Governo a dare un puntuale e sistematico adempimento degli obblighi di informazione qualificata nei confronti delle Camere previsti della legge n. 234 del 2012;
   la XIV Commissione politiche dell'Unione europea della Camera ha avviato, inoltre, nel mese di luglio 2013 l'esame congiunto della relazione programmatica del Governo sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2013 e degli strumenti di programmazione politica e legislativa dell'Unione per il medesimo anno;
   l'esame dei documenti sopra indicati, sebbene non si sia concluso in ragione della programmazione dei lavori parlamentari, ha costituito l'occasione per discutere, anche attraverso le audizioni svolte presso la XIV Commissione, sia delle priorità dell'azione italiana a livello europeo sia degli strumenti per rendere più efficace la partecipazione del nostro Paesi ai processi decisionali europei;
   in particolare, l'esame della relazione programmatica del Governo ha confermato la necessità di una più accurata e sistematica valutazione dell'impatto delle iniziative proposte dalle istituzioni dell'Unione europea sull'ordinamento e sul sistema produttivo nazionale di cui le Camere dovrebbero essere informate dal Governo ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 234 del 2012;
   queste esigenza si sono manifestate con particolare intensità ed urgenza in relazione alla possibile adesione dell'Italia ai due pilastri del sistema di tutela brevettuale unitaria in corso di definizione a livello europeo;
   sia la disciplina per la registrazione di un brevetto unico europeo sia il sistema di tutela giurisdizionale unitaria relativo al medesimo brevetto presentano un rilevante impatto sul sistema produttivo e sull'ordinamento italiano la cui quantificazione deve essere propedeutica ad ogni decisioni al riguardo;
   a questo scopo la XIV Commissione ha chiesto al Governo la predisposizione di un'apposita relazione tecnica che quantificasse i costi e i benefici dell'adesione ai due pilastri del sistema di brevettazione unica. La relazione non è stata tuttavia trasmessa sinora –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare una sistematica valutazione dell'impatto delle iniziative regolative europee sull'ordinamento e sul sistema produttivo italiano, con particolare riferimento alla creazione di un sistema di tutela brevettuale unitaria.
(5-01506)


   MOSCA, VACCARO, AMATO, BATTAGLIA, BERLINGHIERI, BONOMO, CASELLATO, CRIMÌ, CULOTTA, GIANNI FARINA, GIACHETTI, GIULIETTI, GOZI, GREGORI, GIUSEPPE GUERINI, IACONO, MANFREDI, PASTORINO, MOSCATT e VENTRICELLI. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   il semestre di presidenza italiano dell'Unione europea, previsto a partire dal 1o luglio 2014, rappresenterà una tappa importante tanto per il nostro Paese quanto per l'Europa; un'opportunità per risalire dal rango di Paese periferico a quello di Paese fondatore dell'Unione europea, per rinnovare l'impegno europeista, rilanciare il ruolo dell'Italia quale protagonista dell'Unione e riaffermare l'idea di un'Europa in grado di conseguire l'unione politica, nell'ambiziosa prospettiva degli Stati Uniti d'Europa, per tornare ad essere un attore decisivo nello scenario internazionale;
   l'Italia quale attore protagonista del processo di integrazione europea sarà chiamata a scelte importanti. A tal fine, occorre che il nostro Paese arrivi all'appuntamento con le carte in regola sia dal punto di vista del rispetto delle politiche di rigore del bilancio, sia per quanto attiene al processo di adeguamento dell'ordinamento interno a quello europeo, disinnescando il numero ancora alto di procedure di infrazione a carico del nostro Paese, per mancato recepimento e violazione di norme europee – nonostante il netto miglioramento raggiunto con l'approvazione nel luglio 2013 delle due leggi, «europea» e di «delegazione europea» 2013, e l'imminente presentazione al Parlamento delle cosiddette «leggi europee-bis»;
   il recupero della credibilità italiana in sede europea, di cui si stanno vedendo i primi frutti, è condizione imprescindibile per acquisire maggiore forza e determinazione nel rilanciare l'idea di un'Europa sociale, orientata allo sviluppo e alla crescita inclusiva e sostenibile, insieme alla promozione di un vero e proprio «compact per la crescita e il lavoro», di cui la strategia per favorire la ricerca e l'occupazione giovanile ne costituisce il momento fondante;
   con riferimento ai dati di febbraio 2013, in Italia il tasso di disoccupazione giovanile si attesta al 37,8 per cento (ISTAT – 2 aprile 2013). Il tasso di inattività è pari al 36,1 per cento, di cui 26 per cento maschile e 46,1 per cento femminile; i giovani NEET (giovani da 15 a 29 anni che non lavorano e non studiano) sono in forte aumento da alcuni anni (20,5 per cento nel 2009; 22,1 per cento nel 2010 e 22,7 per cento nel 2011 e la quota è più elevata tra le donne, con il 24,4 per cento rispetto al 18,2 per cento degli uomini);
   gli strumenti predisposti in ambito europeo per rilanciare la ricerca e l'innovazione (Horizon 2020, al quale dovrebbe far seguito una vera e propria Maastricht della ricerca, con destinazione di maggiori finanziamenti europei) e contrastare l'alto tasso di disoccupazione in tutta Europa (Youth Guarantee), incentrati sui progetti di garanzia per i giovani e su forme di partenariati fra soggetti interessati, insieme al pieno utilizzo di risorse del fondo sociale europeo e delle politiche di coesione (l'accordo generale sul quadro finanziario pluriennale europeo a tale scopo ha destinato circa sei miliardi) rappresentano un primo passo importante ma non ancora sufficiente dal punto di vista dell'impegno finanziario e della tempistica idonea a liberare con celerità le risorse necessarie;
   per recepire la strategia europea – con particolare riferimento alla raccomandazione del Consiglio e della Commissione europea dell'aprile 2013, e alla comunicazione della Commissione COM(2013) 447 final del 19 giugno 2013, di cui la Youth Guarantee rappresenta la proposta più importante – occorre che piani interni di programmazione e implementazione affrontino alcuni nodi cruciali del sistema italiano, tra cui rileva la riforma dei centri per l'impiego –:
   quali iniziative il Governo intenda promuovere, in vista del semestre italiano di presidenza europeo, per rafforzare le politiche economiche di rilancio degli investimenti, di riattivazione della crescita, dell'innovazione, della ricerca e soprattutto dell'occupazione giovanile, per sostenere politiche sociali e di contrasto di vecchie e nuove povertà, in Italia e in ambito europeo, e quali ulteriori misure intenda mettere in campo per ridurre al minimo il numero di procedere di infrazione, tra cui rilevano quelle in materia ambientale, ancora pendenti a carico del nostro Paese. (5-01507)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazioni a risposta immediata:


   INVERNIZZI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nel quadro della straordinaria situazione di crisi economico-finanziaria, con il fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari per il raggiungimento del pareggio di bilancio, in un'azione complessiva di riduzione degli apparati amministrativi quali fonte di spesa pubblica, i Governi che si sono succeduti dalla XVI legislatura ad oggi hanno messo in atto, in modo, ad avviso degli interroganti, estemporaneo, confuso irrazionale e, soprattutto, di dubbia legittimità costituzionale, interventi legislativi mirati alla soppressione delle province;
   questo modo di agire ha creato una situazione paradossale, basti pensare che ad oggi in ben tre disegni di legge del Governo, di cui uno costituzionale, all'esame del Parlamento, si affronta il tema della soppressione delle province;
   la soppressione delle province, non accompagnata da una riforma costituzionale capace di riorganizzarne in modo organico competenze e funzioni, potrebbe causare anche danni irreparabili per il bene comune del Paese. Si immagini, ad esempio, a cosa potrebbe accadere in riferimento all'organizzazione dell'Expo 2015, che vede l'attuale provincia di Milano coinvolta a pieno titolo nella complessa organizzazione dell'evento;
   è stato dimostrato, inoltre, in modo inconfutabile come la soppressione delle province non comporterebbe per la spesa pubblica risparmi degni di nota;
   una soppressione delle province sic et simpliciter potrebbe paralizzare l'esercizio delle funzioni cosiddette di «area vasta», le quali rimarrebbero sospese fra il livello regionale e quello comunale;
   al fine di adempiere ad una riforma capace, da un lato, di razionalizzare la spesa pubblica e, dall'altro lato, di non paralizzare il Paese, è necessario attribuire alla responsabilità delle singole regioni il compito di disciplinare le modalità di esercizio delle funzioni di area vasta, tenendo conto dei connotati particolari del proprio territorio. Ad esempio, potranno essere considerati indici quali l'assetto istituzionale (numero dei comuni), la densità di popolazione, gli aspetti morfologici e fattori socio-economici;
   le riforme costituzionali in materia dovranno riguardare anche la semplificazione complessiva dell'amministrazione locale, regionale e statale, imponendo a tutti gli enti territoriali di sopprimere enti, agenzie ed organismi, comunque denominati, e proibendo di istituirne di nuovi al fine di svolgere funzioni di governo di area vasta;
   sul tema della soppressione delle province, la posizione dei partiti che sostengono l'attuale Governo non è affatto chiara. In data 6 novembre 2013, il presidente dell'Anci Piero Fassino, nonché esponente di spicco del Partito democratico, nel corso di un'audizione informale, presso la I Commissione della Camera dei deputati, durante l’iter d'esame dell'atto Camera n. 1542 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), ha dichiarato, senza del resto essere smentito dal Governo né dal suo stesso partito, che nessuno vuole sopprimere le province. È ovvio, quindi, che ad avviso degli interroganti anche questo Esecutivo sta lavorando in modo equivoco, da un lato, propagandando una linea dura di abolizione dell'ente locale territoriale e, dall'altro lato, intervenendo solo con modifiche formali e non sostanziali;
   in data 18 novembre 2013, in un convegno tenutosi a Roma, organizzato dal Financial Times, il Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato che prima dell'estate 2014 saranno approvate definitivamente le riforme costituzionali –:
   se il Governo non ritenga opportuno affrontare in modo razionale la riorganizzazione degli enti locali territoriali, inserendo il tema nelle già programmate riforme costituzionali, affidando direttamente alle competenze regionali la riorganizzazione di nuove forme associative per l'esercizio delle funzioni di governo di area vasta, nonché la relativa soppressione di tutti gli enti intermedi. (3-00461)


   FOSSATI, COCCIA, CAPOZZOLO, TULLO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la gravissima vicenda svoltasi allo stadio di Salerno – dove la partita di calcio di Lega pro fra Salernitana e Nocerina è stata interrotta perché alcuni giocatori sono usciti dal campo per falso infortunio, fino a far mancare il numero minimo regolamentare di presenze sul campo – ripropone in maniera drammatica il tema della regolarità e della credibilità dello sport più popolare nel nostro Paese;
   i giocatori della squadra avrebbero ricevuto pressioni e minacce da tifosi della propria squadra se la partita si fosse svolta;
   il motivo che ha prodotto l'intimidazione sarebbe stato la decisione dell'Osservatorio del Ministero dell'interno, in base alla quale il prefetto aveva vietato la trasferta dei tifosi della Nocerina a Salerno per motivi di ordine pubblico;
   tale decisione, evidentemente inefficace, aveva prodotto un diffuso malcontento;
   questo episodio rappresenta l'ultimo esempio di interventi intimidatori di alcune tifoserie teso a condizionare svolgimento e risultati delle partite;
   vi sono prove sempre più precise dell'inquinamento di società calcistiche e tifoserie da parte della criminalità organizzata, che trova nelle serie minori del calcio il terreno per riciclare denaro sporco e costruire consenso sociale;
   l'eco che l'episodio ha avuto sulla stampa nazionale e internazionale è stata di grande portata, mostrando un'immagine mortificante per il nostro calcio e per il nostro Paese;
   le strategie di contrasto all'illegalità nel calcio e, in generale, negli sport che muovono importanti fatturati e audience televisiva, hanno sostanzialmente finora fallito negli obiettivi attesi;
   restrizioni e divieti, impiego massiccio delle forze dell'ordine non hanno impedito che si riproponessero scontri e devastazioni attorno e dentro gli stadi e che si diffondessero l'intolleranza e il razzismo;
   altri Paesi europei, come la Germania, hanno scelto la strada della prevenzione attraverso il coinvolgimento trasparente ed organizzato dei supporter nell'attività della società sportiva e lo sviluppo di iniziative di interesse sociale sul territorio, ottenendo risultati brillanti, testimoniati dal ritorno degli spettatori negli stadi con presenze superiori del 50 per cento rispetto alla media italiana;
   gli stadi italiani continuano ad essere vuoti e il calcio talvolta viene sequestrato dalla criminalità organizzata e dai tifosi violenti. Crescono le frodi sportive, le partite truccate;
   anche di fronte alla gravità di episodi come quello di Salerno, dal mondo sportivo e pure dalle istituzioni locali continuano ad arrivare reazioni timide e, a volte, ambigue, tendendo a giustificare come isolati e sporadici gli episodi di violenza e sopraffazione –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di garantire, oltre alla sicurezza di atleti e spettatori, la dignità e la regolarità di un fenomeno come quello dello sport di alto livello e, in particolare, del calcio, che rappresenta un valore economico e sociale di assoluta rilevanza per il Paese.
(3-00462)


   CORSARO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 42 del 2009, di attuazione del federalismo fiscale, ha introdotto il principio del costo standard della spesa effettuata nelle amministrazioni periferiche dello Stato, che contribuirà a determinare, per ciascun ente, il fabbisogno ufficiale e, quindi, l'eventuale trasferimento perequativo cui avrà diritto in caso di insufficiente capacità fiscale;
   il settore nel quale più urgente appare la definizione e l'adozione dei costi standard è certamente quello della sanità, che rappresenta la voce di gran lunga più importante della spesa regionale e, al contempo, quella su cui più pregnante è il vincolo di assicurare i livelli essenziali di assistenza in tutto il Paese;
   allo stato attuale, infatti, si registrano differenze incredibili per l'acquisto degli stessi strumenti nell'ambito di diverse regioni, con costi che inevitabilmente si riversano sui cittadini;
   la definizione dei costi standard nella sanità, tuttavia, ha subito gravissimi ritardi e continua da anni ad essere oggetto di commissioni di studio copiosamente finanziate, senza essere addivenuta ad alcun risultato concreto;
   a fronte di queste incomprensibili lungaggini sempre più regioni si trovano costrette ad affrontare situazioni di criticità finanziarie, a causa proprio degli elevati costi dei servizi e delle prestazioni sanitarie –:
   a che punto sia la definizione dei costi standard con riferimento al comparto sanitario e se non ritenga di provvedere con urgenza alle opportune iniziative di sua competenza per velocizzarne l'adozione nella spesa per gli acquisti.
(3-00463)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   in un lungo reportage, il settimanale L'Espresso riporta lo studio realizzato dal comando della «Us Navy» di Napoli, sull'inquinamento nelle province di Napoli e Caserta;
   un lavoro di indagine costato 30 milioni di dollari per capire quanto fosse pericoloso vivere in Campania per i militari americani e le loro famiglie;
   dal 2009 al 2011 è stata scandagliata un'area di oltre mille chilometri quadrati, analizzando aria, acqua, terreno di 543 case e dieci basi statunitensi alla ricerca di 214 sostanze nocive. I risultati sono stati definiti «inediti e sconvolgenti»;
   secondo gli americani, in tutta la regione si dovrebbe usare acqua minerale «per bere, cucinare, fare il ghiaccio e anche lavarsi i denti». Le conclusioni sono state rese note da diversi mesi, ma sostanzialmente ignorate dalle autorità italiane;
   gli esperti americani hanno individuato luoghi con «rischi inaccettabili per la salute» disseminati ovunque nelle due province, persino nel centro di Napoli. Per tali motivi scrivono che è impossibile indicare zone sicure dove risiedere: i pericoli sono dappertutto. Nelle due province non si deve abitare al piano terra, dove penetrano i veleni che evaporano dal terreno, e vanno evitate cantine o garage sotterranei;
   nello studio americano, vengono individuate tre «zone rosse» intorno a Casal di Principe, Villa Literno, Marcianise, Casoria e Arzano dove in pratica vietano di prendere casa: i rubinetti pescano da pozzi contaminati da composti cancerogeni e dal suolo escono gas micidiali mentre la concentrazione di discariche tossiche è troppo alta. Nei grandi complessi statunitensi di Capodichino e di Gricignano d'Aversa le minacce per la salute sono considerate «accettabili» solo «perché il personale vi resta in media per 2,2 anni e comunque per meno di sei anni»: una scadenza che non va superata. Dallo scorso giugno i contratti per tutti gli altri centri residenziali in Campania sono stati disdetti;
   riguardo all'inquinamento idrico e delle falde, risulta che il 92 per cento dei pozzi privati che riforniscono le case costituiscono «un rischio inaccettabile per la salute». Negli acquedotti uscirebbe acqua pericolosa dal 57 per cento dei rubinetti esaminati nel centro di Napoli, e dal 16 per cento a Bagnoli. Il motivo di tale inquinamento risiederebbe nel fatto che l'acqua dei pozzi clandestini riesce a entrare nelle condotte urbane, soprattutto in provincia. In oltre la metà dei pozzi, gli esperti trovano una sostanza usata come solvente industriale – il Pce o tetracloroetene – considerato a rischio cancro. La diossina invece è concentrata nel territorio tra Casal di Principe e Villa Literno, ma pur essendo alta non costituisce una minaccia;
   nello studio degli esperti USA, si fa anche riferimento all'uranio. Gli esami lo individuano in quantità alte ma sotto la soglia di pericolo nel 31 per cento delle case servite da acquedotti (ben 131 su 458). Quando si va ad analizzare i pozzi, il mistero aumenta: è rilevante nell'88 per cento dei casi, mentre nel 5 per cento il livello diventa «inaccettabile». Ossia in un pozzo su venti si riscontra una quantità di uranio che mette a rischio la salute;
   vengono quindi estesi i riscontri ai vapori di gas tossici individuati nel terreno e alla situazione dell'aria, dove sono state scoperte sostanze cancerogene bandite da decenni;
   il comune di Napoli ha quindi risposto al suddetto studio americano dichiarando che l'acqua erogata in città «risulta controllata e potabile, i dati delle analisi sono pubblici e consultabili sul sito dell'azienda Abc». Anche la regione difende la qualità dei prodotti locali e si dice pronta ad azioni legali a tutela «dei cittadini, dei produttori e delle istituzioni» –:
   se non si intenda acquisire immediatamente la relazione di progetto completa, contenente i dettagli dei campionamenti georeferenziati e dei relativi protocolli analitici;
   se si ritenga indispensabile istituire una «task, force» di ricercatori multidisciplinare, al fine di avviare una seria e approfondita analisi critica dei dati disponibili, funzionale per la predisposizione di un piano di interventi e/o mitigazione dei rischi ambientali e sanitari, e per la bonifica di tutti i fattori di rischio riscontrati dalle ricerche dell'Us Navy;
   se non si reputi necessario assumere iniziative per provvedere nei limiti di competenza ad un campionamento delle acque destinate al consumo umano, non riferito ai normali parametri di potabilità, ma ricercando le sostanze denunciate nello studio americano esposto in premessa.
(2-00305) «Migliore, Scotto, Ferrara, Giancarlo Giordano, Ragosta, Zan, Pellegrino, Zaratti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   i Parchi nazionali, le Riserve dello Stato e le Aree marine protette sono un importante patrimonio per l'Italia, che rimane il Paese europeo più ricco di biodiversità con 57.468 specie animali (8,6 per cento endemiche) 12.000 specie floristiche (13.5 per cento endemiche). Purtroppo però molto di questo patrimonio è oggi seriamente minacciato: attualmente sono a rischio il 68 per cento dei vertebrati terrestri, il 66 per cento degli uccelli, il 64 per cento dei mammiferi e l'88 per cento dei pesci di acqua dolce;
   il taglio dei finanziamenti alla spesa pubblica ha sino ad oggi seriamente coinvolto i Parchi nazionali e le aree marine protette con una riduzione significativa degli investimenti per la conservazione e valorizzazione della biodiversità;
   non sono mai stati declinati gli obiettivi di conservazione della biodiversità che le singole aree protette intendono perseguire, condizione pregiudiziale per avviare autentiche e concrete politiche di sistema; gli impegni a livello internazionale ed europeo per la conservazione della biodiversità richiedono uno sforzo straordinario per promuovere e sostenere adeguate politiche nazionali per le aree naturali protette terrestri e marine, per una gestione sostenibile della fauna selvatica e delle altre risorse naturali, per una pianificazione territoriale che privilegi le azioni di connessione tra ecosistemi alle numerose e prevalenti attività di frammentazione;
   la Convenzione internazionale sulla biodiversità (CBD) ha evidenziato il valore fondamentale della conservazione e della razionale gestione del capitale naturale, come base essenziale delle nostre economie, ed ha per questo impegnato i Governi ad attuare politiche proattive in difesa della biodiversità richiamando il pieno e responsabile coinvolgimento di tutti gli attori sociali ed economici interessati;
   la CBD, ratificata nel 1994 dal Parlamento italiano, impegna il nostro Paese ad assumere tutte le iniziative possibili per arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020, elaborando strategie, piani o programmi nazionali per garantire la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica ed integrarla nelle politiche settoriali o plurisettoriali pertinenti;
   nell'ottobre 2010 la Conferenza Stato-regioni ha adottato la Strategia nazionale per la biodiversità ma ancora oggi l'Italia deve assumere impegni e realizzare le azioni necessarie per contribuire al raggiungimento degli obiettivi 2020 stabiliti dalla Strategia europea per la conservazione della biodiversità; nel nostro Paese la gestione ed attuazione delle misure di conservazione dei siti Natura 2000 avvengono essenzialmente attraverso atti burocratici formali piuttosto che azioni e progetti concreti sul territorio in grado di cogliere anche le opportunità di sviluppo economico ed occupazionale che una corretta valorizzazione del nostro patrimonio naturale sarebbe in grado di offrire, le conseguenze di queste mancate politiche di sistema portano a far prevalere gli interessi speculativi rispetto alla tutela dell'ambiente e della biodiversità come nel recente caso, autorizzato dal comune di Piaggine (SA), dell'abbattimento di circa 1500 piante di faggio, in gran parte di alto fusto, alcune di dimensioni monumentali in una delle aree forestali meglio conservate dell'intero Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, che fa parte della Rete «Natura 2000» ed è ricompresa nel SIC «Monte Cervati, Centaurino e Montagne di Laurino» IT8050024;
   quanto accaduto nel Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni e ad avviso degli interroganti il risultato sintomatico dell'insipienza burocratica dimostrata dal livello amministrativo comunale, regionale e del Parco che, unita alla necessità di far cassa da parte dei comuni, ha consentito, attraverso una rete di interessi e complicità con le aziende forestali locali, lo sfruttamento indiscriminato della produzione legnosa del bosco del Parco nazionale anziché conservarne e migliorarne la biodiversità;
   secondo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in Italia ci sono 820.000 ettari di boschi e foreste preservate che assorbono ogni anno una quantità di gas serra stimata in 145 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti;
   facendo un calcolo a partire dalle indicazioni del Teeb (The economics of ecosystems and biodiversity), solo dal punto di vista della riduzione delle emissioni a effetto serra, i boschi e le foreste italiane valgono quasi 600 milioni di dollari, pari a 447 milioni di euro –:
   se il Ministro, anche in relazione alla prossima Conferenza nazionale «La Natura dell'Italia. Biodiversità e aree protette: la green economy per il rilancio del Paese», non ritenga che la strada maestra della green economy sia dare finalmente valore al capitale naturale con gli straordinari servizi che gli ecosistemi ci offrono gratuitamente, tutti i giorni, e, a tal fine, se non reputi utile costituire uno specifico «Fondo per la Biodiversità» attraverso meccanismi collegati alla fiscalità ordinaria dello Stato ed alla possibilità d'introdurre strumenti per il pagamento dei servizi degli ecosistemi;
   se non sia opportuno fare riferimento agli obiettivi della Strategia nazionale biodiversità nei processi di programmazione economica nei diversi settori, con particolare riferimento alla programmazione dei fondi europei e delle risorse nazionali destinate allo sviluppo dei territori;
   se non ritenga necessario approvare al più presto adeguati provvedimenti per garantire, da parte delle autorità competenti, una efficace valutazione degli studi d'incidenza delle opere e dei progetti proposti nelle aree dei siti Natura 2000 o in grado di determinare possibili minacce alla biodiversità.
(2-00306) «Pellegrino, Zan, Zaratti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   lo scorso 9 novembre 2013, anche a seguito delle proteste e delle pubbliche denunce di cittadini e delle associazioni ambientaliste locali, il Corpo forestale dello Stato dell'ufficio di coordinamento di Vallo della Lucania ha posto sotto sequestro, in località Temponi e piano degli Zingari del comune di Piaggine (SA), un'area boscata di circa 110 ettari – nella quale si stava realizzando un taglio boschivo in carenza di autorizzazioni – ed il materiale legnoso già tagliato e giacente a terra nell'area di cantiere per un totale di circa 1.000 quintali. Sono stati inoltre denunciati, all'Autorità giudiziaria, i titolari delle due ditte boschive, che eseguivano i tagli, per i reati di taglio boschivo non autorizzato, danneggiamento e deturpamento di bellezze naturali di una zona di alto pregio ambientale;
   in tale area forestale, il Corpo forestale dello Stato aveva infatti verificato che, su terreno di proprietà comunale, era in corso il taglio di utilizzazione di un bosco governato ad alto fusto di specie faggio;
   grazie alle indagini condotte, alle acquisizioni documentali esperite ed alle verifiche sul campo, il Corpo forestale dello Stato ha accertato che le attività di taglio ed utilizzazione boschiva venivano eseguite in carenza delle necessarie autorizzazioni mentre, ove le autorizzazioni sono state rilasciate, le medesime attività risultano in contrasto con la vocazione cui le aree in questione sono destinate;
   i tagli sinora effettuati hanno arrecato seri danni all'habitat forestale tutelato ed alla biodiversità, con l'abbattimento di circa 1200 - 1500 piante di faggio, in gran parte di alto fusto, alcune di dimensioni monumentali con tronchi di diametro anche superiore ad 1 metro;
   i tagli sono stati effettuati persino sul ciglio di doline ed inghiottitoi carsici con conseguente grave danno anche paesaggistico e con modalità distruttive quali apertura di piste di esbosco con mezzi cingolati che hanno gravemente danneggiato il soprasuolo della faggeta;
   l'area ove è avvenuta la devastazione ambientale si trova nel cuore del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, a circa 1400 metri di altitudine nella suggestiva cornice del Monte Cervati dove il faggio trova il proprio habitat ideale;
   il taglio boschivo ha interessato 5 particelle boschive (49, 51, 55, 57, 58) del previgente «Piano di assestamento forestale» ed è stato autorizzato dal comune con propria delibera n. 43 del 14 giugno 2012;
   detti tagli boschivi ricadono in Zona B1 di «Riserva generale orientata» secondo la zonizzazione definita dal «Piano del Parco», in vigore dal 14 giugno 2010;
   il bosco oggetto del danneggiamento fa parte della Rete «Natura 2000», istituita in attuazione della direttiva europea 92/43/CE, poiché ricade nell'ampia ZPS «Monte Cervati e dintorni» IT8050046;
   detta area è anche ricompresa nel SIC «Monte Cervati, Centaurino e Montagne di Laurino» IT8050024, costituendo una delle aree forestali meglio conservate dell'intero Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, posta ai piedi del versante settentrionale del Monte Cervati (m. 1899 sul livello del mare);
   nel bosco è accertata la nidificazione del picchio nero, dryocopus martius, specie a rischio di estinzione elencata nell'Allegato I alla direttiva europea «Uccelli selvatici» 2009/147/CE, oggetto pertanto della speciale disciplina di tutela prevista dall'articolo 4 della direttiva in parola «mediante misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat»;
   le località Temponi e Piano degli Zingari sul Monte Cervati, rientrano in quelle aree denominate Riserva Generale Orientata nelle quali il piano di gestione dell'ente parco prevede per i boschi di alto fusto, solo tagli per prevalenti fini protettivi e non mai tagli con finalità produttiva ed economica come accertato nella circostanza –:
   quali siano, alla luce di quanto esposto in premessa, gli intendimenti del Ministro per preservare e difendere il patrimonio boschivo del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni;
   a parte la benemerita azione posta in atto dal locale ufficio del Corpo forestale dello Stato, quale sia stata, e quale sia l'attività di controllo da parte degli uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   quale sia stata l'azione di verifica e salvaguardia dei boschi da parte degli uffici del suddetto parco nazionale;
   quali azioni si intenda intraprendere affinché venga rispettata la vocazione e la destinazione naturale delle aree inserite e tutelate nei parchi nazionali;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, si intendano adottare nei confronti di quanti hanno consentito lo scempio sopra illustrato, con interventi che mettono a rischio o, ancor peggio come nel caso in esame, distruggono aree di alto valore ambientale in palese contrasto con gli strumenti di tutela, pianificazione e gestione del territorio ma autorizzati dalla locale amministrazione comunale e con, addirittura, il nulla osta degli uffici della Regione e dell'Ente Parco.
(2-00307) «Pellegrino, Zan, Zaratti, Migliore, Giancarlo Giordano, Ferrara, Ragosta, Scotto».

Interrogazione a risposta orale:


   FAUTTILLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane le dichiarazioni del pentito di camorra, Carmine Schiavone, concernenti lo sversamento e l'interramento illegale di rifiuti di ogni genere, anche tossici e nocivi, addirittura radioattivi, nel territorio del basso Lazio, hanno suscitato timore e sconcerto nelle popolazioni locali;
   in particolare, lo Schiavone racconta del sistema illecito dei rifiuti tossici, destinati all'interramento illegale nelle campagne;
   tali rivelazioni fanno riflettere sulla grave situazione in cui versa il territorio laziale soprattutto sulle gravi conseguenze che tutto questo avrà per la salute dei cittadini –:
   se non ritenga il Ministro opportuno e necessario disporre, mediante le istituzioni preposte sia regionali che nazionali indagini tecniche al fine di verificare l'eventuale illecita presenza di rifiuti tossico-nocivi sull'intero territorio del Lazio meridionale, avviare concretamente un piano nazionale per le bonifiche dei siti interessati e intervenire, altresì, presso il Governo affinché il territorio del Lazio meridionale venga dichiarato ai fini ambientali sito di interesse nazionale. (3-00455)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il polo petrolchimico siracusano sorge in un'area compresa nel territorio dei comuni di Melilli, Priolo Gargallo, Augusta e Siracusa, e riveste grande importanza economica per la provincia di Siracusa oltre che per l'economia siciliana;
   gli studi sulla mortalità dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) tra la popolazione residente nei comuni dell'area Augusta-Priolo, hanno riscontrato eccessi di mortalità tra gli uomini per cause tumorali pari al 10 per cento in più rispetto alla media regionale. Sempre l'OMS, in una recente relazione, indica che «Il petrolchimico di Priolo è stato un fallimento sia dal punto di vista occupazionale che per l'ambiente, il cui degrado ha portato ad avere sul territorio un numero di decessi per l'insieme di tutti i tumori che è significativamente superiore a quello atteso, in particolare fra gli uomini»;
   lo studio fa rilevare, inoltre, che la riqualificazione dovrebbe cominciare dalla riduzione della pressione ambientale. L'indagine dell'OMS ha riguardato anche le dinamiche socio-economico e demografiche, lo stato di vivibilità dei luoghi e la distribuzione delle patologie correlate all'esposizione occupazionale ed ha determinato che «Il modello di industrializzazione che ha interessato il territorio analizzato ha prodotto effetti contrastanti e non stabili o non sostenibili»;
   le prescrizioni imposte dall'accordo di programma siglato nel 2008 tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Commissario delegato per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque della regione Siciliana, regione Siciliana, provincia di Siracusa, comune di Siracusa, comune di Priolo Gargallo, comune di Augusta, comune di Melilli, autorità portuale di Augusta e consorzio della provincia di Siracusa per la zona sud dell'area di sviluppo industriale della Sicilia Orientale, non sono state attuate e gli stessi accordi di programma firmati nel 2005 e 2009 restano solo sulla carta come anche gli stanziamenti;
   è un dato di fatto l'enorme disagio e il grave rischio procurato nel territorio dall'inquinamento dell'aria, delle falde acquifere e delle aree coltivabili nelle zone circostanti il polo petrolchimico di Priolo, più volte poste all'attenzione della procura competente;
   decine di migliaia di persone, che vivono nelle aree antistanti il polo petrolchimico siracusano, subiscono il disagio delle maleodoranti esalazioni provenienti dalla zona industriale, che hanno un impatto immediato nella sempre peggiore qualità della vita dei cittadini –:
   se non intendano adottare interventi immediati al fine di garantire la piena attuazione delle suddette prescrizioni per la riqualificazione del territorio;
   quali azioni si intendano avviare al fine di garantire l'ambiente e il diritto alla salute dei cittadini, anche attraverso idonee ed efficaci attività di monitoraggio sanitario e ambientale. (4-02564)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:


   CIMMINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   quest'anno è la prima volta che le Terme di Castellammare di Stabia non hanno aperto al pubblico. Inaugurate nel 1836 su progetto del 1827 dell'architetto Catello Troiano, le Terme hanno avuto un costante sviluppo fino agli inizi del 900 con importanti interventi dell'architetto Filosa (padiglione Moresco) e dell'ingegner Cosenza (vasca di erogazione in ferro);
   le Terme godono di un patrimonio di ben 28 sorgenti di acque, dalla bicarbonato calcica, alla solforosa, alle medio minerali. Nel 1964 è stata inaugurata la nuova sede che non aveva fin qui mai chiuso neanche nei terribili mesi del terremoto del 1980. L'ampia superficie di circa centomila metri quadrati è divisa tra curatissimi giardini e padiglioni per la somministrazione delle acque oltre a strutture sanitarie di primo livello;
   le Terme oltre a centro di cure sono state un polo turistico e culturale con esposizioni, mostre, conferenze, concerti. Le Terme sono vicinissime a Pompei, Oplonti, Positano, Amalfi. Oggi Castellammare è dotata anche di un porto turistico tra i più grandi ed attrezzati d'Italia;
   le terme occupano 100 lavoratori fissi e 100 stagionali. Il bilancia presenta un passivo di 9 milioni. Ma con un accorto e ponderato piano di rilancio la ripresa, anche sotto il profilo economico, è possibile; se fosse arrivata anche una minima parta dei fondi stanziati per la crisi dell'area stabiese (fondi del Ministero dello sviluppo economico) si sarebbe potuta evitare la mancata apertura per la stagione 2012; si tratta di un primario, quanto unico, patrimonio culturale e turistico –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per la realizzazione di un piano per mettere a sistema, valorizzandolo sinergicamente, un intero territorio che in pochi chilometri quadrati racchiude Ercolano, l'antica Oplonti, Pompei, Castellammare con le Terme ed il nuovo porto turistico, assegnando alle terme un ruolo primario nei progetti per il rilancio del turismo in Italia ed in Campania in particolare. (5-01489)


   LACQUANITI, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI e COSTANTINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   gli scavi archeologici di Stabia hanno restituito i resti dell'antica città di Stabiae, nell'area dell'odierna Castellammare di Stabia, presso la collina di Varano, oltre a un insieme di costruzioni che facevano parte del suo ager;
   differentemente dagli scavi di Pompei e di Ercolano, quelli di Stabiae sono di dimensioni più ridotte e offrono la possibilità di osservare un diverso aspetto dello stile di vita degli antichi romani: mentre infatti le prime due località erano delle città, Stabiae era in epoca romana un luogo di villeggiatura, in cui furono costruite numerose ville residenziali finemente decorate e abbellite con suppellettili di inestimabile valore;
   attualmente, solo una piccola parte dell'antica città è stata riportata alla luce;
   negli ultimi anni il circolo Legambiente Woodwardia di Castellammare di Stabia ha in primavera organizzato una serie di guide gratuite agli scavi di Stabiae, con risultati superiori di oltre il 30 per cento rispetto alla media mensile registrata negli anni precedenti dalla soprintendenza, come riportato da «La nuova ecologia» del giugno 2013 nell'articolo «Volontari d'arte»;
   il 19 giugno 2013 il quotidiano «Metropolis» ha pubblicato un articolo su tale iniziativa, spiegando che durante le visite guidate è stato consegnato ai turisti un questionario preparato da Legambiente, i cui risultati sono stati già pubblicati;
   il sito di Stabiae si è guadagnato il terzo posto per numero di visite tra gli scavi vesuviani, dietro a Pompei ed Ercolano, con numeri comunque bassi rispetto alle enormi potenzialità del sito;
   dai dati raccolti da Legambiente risulta che l'area archeologica di Castellammare, così vicina a quelle ben più note di Ercolano e Pompei, è praticamente sconosciuta ai flussi turistici di massa, e che giudizi pesantemente negativi sono stati espressi relativamente ai servizi di accoglienza e pulizia del sito, oltre che all'accessibilità (la segnaletica stradale non è chiara nell'indirizzare i turisti al sito, e la meta non è servita dal servizio di trasporto pubblico), come riportato dal suddetto articolo di «Metropolis»;
   ad avviso dei firmatari del presente atto di sindacato ispettivo, come da più parti sollevato, Stabiae dovrebbe essere inserito nella lista siti protetti dall'UNESCO di Pompei, Ercolano e Oplontis –.
   quali iniziative il Governo intenda assumere alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione per favorire la valorizzazione turistica dell'antica Stabiae e se non sia opportuno pubblicizzare in maniera più efficace i beni culturali stabiesi, potenziali baricentro di un comprensorio turistico-culturale di rilevanza europea, con il sistema Pompei-Vesuvio da un lato e quello Sorrento-Capri-Positano dall'altro, elemento di cerniera tra il golfo di Napoli e quello di Salerno e punto di rilancio occupazionale ed economico per Castellammare di Stabia e le aree limitrofe. (5-01490)


   BENAMATI, TARANTO e PETITTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   oggi, è davvero pressoché unanime il convincimento che l'attivazione del circuito virtuoso tra valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese e qualificazione della sua offerta turistica costituisca una leva di straordinaria efficacia ai fini del rafforzamento dei processi di crescita e della costruzione di occupazione qualificata;
   tale richiamata opportunità appare particolarmente interessante per il Mezzogiorno del nostro Paese, area territoriale ove – come il Ministro Bray ha avuto modo di segnalare anche nel contesto di una recente intervista – insiste circa il 48 per cento del patrimonio culturale italiano, che genera tuttavia soltanto 28 milioni di euro a fronte dei 113 milioni di euro annui derivanti, a livello nazionale, dal flusso di visite;
   al riguardo, meritano altresì di essere ricordate le analisi Svimez sulle potenzialità dell'industria culturale nel Mezzogiorno, ove investimenti integrati in cultura ed innovazione, sostenuti dalla mobilitazione di risorse nazionali e comunitarie, potrebbero consentire la formazione di circa 250 mila posti di lavoro in più, di cui 100 mila per giovani laureati;
   in questo contesto, si conferma, allora, determinante la capacità di mettere a frutto le risorse dei fondi strutturali europei, tenendo tra l'altro presente che il quadro della programmazione per il ciclo 2014-2020, in corso di definizione, intende reagire a storici problemi di frammentazione degli interventi, puntando su scala macro-regionale al sostegno di filiere produttive di qualità anche nel caso del turismo, peraltro potendosi anche avvalere del decollo operativo dell'Agenzia nazionale per la coesione territoriale –:
   quali iniziative il Ministro abbia intrapreso e voglia ulteriormente sviluppare per far sì che le risorse dei fondi strutturali europei – sia in riferimento alle ancora ingenti disponibilità del ciclo 2007-2013, sia in riferimento al ciclo 2014-2020 – trovino proprio nel circuito virtuoso tra valorizzazione del patrimonio culturale e qualificazione dell'offerta turistica del Mezzogiorno eccellenti prospettive di investimento a vantaggio di crescita ed occupazione. (5-01491)


   ALLASIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il contributo del turismo al prodotto interno lordo dell'Italia ammonta ad oltre 130 miliardi di euro (circa il 9 per cento della produzione nazionale); le persone impiegate nel settore sono circa 2,2, milioni (un lavoratore su dieci);
   il settore è in difficoltà; la contrazione dei consumi, scaturita dalla crisi in atto nel Paese, ha infatti avuto negative ripercussioni anche sull'industria turistica. Per la stagione 2013, si stimano perdite per 2,7 miliardi di euro di fatturato, mentre le notizie più allarmanti riguardano l'occupazione stagionale, per cui si prevede un calo di 250-300 mila unità;
   nella scorsa legislatura sono state emanate alcune disposizioni per aumentare la competitività del turismo al fine di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale. In particolare, il piano strategico di sviluppo del turismo in Italia, adottato ai sensi dell'articolo 34-quinquies, del decreto-legge n. 179 del 2012, ha messo in risalto come l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo nazionale ed internazionale, ma stenta a tenere il passo della crescita e tende a perdere quote di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei;
   la realizzazione di Expo 2015 rappresenta dunque una grande opportunità per lo sviluppo del turismo in Italia;
   lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri ha sottolineato l'importanza dell'evento come possibilità di ripresa della nostra economia e ne ha ribadito l'assoluta priorità per il Paese;
   occorre attivare tutte le occorrenti misure per potenziare e sfruttare al meglio tutte le opportunità che offrirà al tessuto sociale e imprenditoriale l'incremento del turismo legato all'evento Expo 2015;
   molti Paesi che hanno aderito ad Expò 2015 da tempo stanno promuovendo, a livello nazionale ed internazionale, pacchetti turistici per attrarre sui loro territori i flussi di visitatori che arriveranno per l'evento, aumentando così il livello della competizione nel settore;
   è indispensabile costruire strutture ricettive e puntare sulle eccellenze, per far si che la Lombardia e le regioni limitrofe possano esprimere al meglio il proprio potenziale e diventare uno stimolo per attrarre i visitatori che arriveranno a Milano per l'Expo;
   nei sei mesi di esposizione si attendono 20 milioni di visitatori di cui 30 per cento stranieri e 130 Paesi partecipanti per un investimento previsto per l'area espositiva di 1,7 miliardi di euro –:
   quali iniziative, per quanto di sua competenza anche di carattere normativo, il Ministro intenda adottare, in coordinamento con i piani di sviluppo turistico-ricettivi regionali, per incentivare la costituzione di strutture ricettive collegate alla realizzazione dell'Evento di Expo 2015, anche attraverso sgravi fiscali che possano attirare nuovi investimenti imprenditoriali per il settore ricettivo-alberghiero. (5-01492)


   MUCCI, PRODANI, FANTINATI, DA VILLA, DELLA VALLE, PETRAROLI, CRIPPA e VALLASCAS. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia annovera sul suo territorio quarantanove luoghi che fanno parte dell'Unesco World Heritage, lista in cui il Belpaese detiene il primato assoluto di presenza, con il 5 per cento sul totale mondiale, oltre ai quattro associati alla categoria dei beni «immateriali». Un grande patrimonio collocato sul territorio di 302 comuni: quasi tutte le grandi aree urbane da Roma a Genova, Venezia, Firenze, Torino, Milano e Napoli; molte città di medie dimensioni, da Pisa a Siena a Verona a Ferrara e Mantova; poi, un gran numero di piccoli comuni collocati in contesti di grande pregio artistico o naturalistico, come la Costiera Amalfitana, la Val d'Orcia e le Cinque Terre;
   il fatto di rientrare nel novero dei luoghi più significativi dell'umanità ha un ovvio effetto positivo sul prestigio e sulla notorietà internazionale di ambiti territoriali che, in molti casi, sarebbero altrimenti relativamente poco visibili nonché sull'aumento dei flussi turistici;
   nei territori menzionati vi sono circa 23.000 strutture ricettive e circa 710.000 posti letto, pari al 15 per cento del totale dell'offerta esistente in Italia;
   l'Istituto nazionale di ricerche turistiche ha cercato di verificare in concreto l'impatto sulla domanda turistica determinato dal fatto di essere un «sito Unesco» e i dati elaborati confermano che nei siti Unesco le performance sono generalmente migliori. Sia nel 2011 che nel 2012 e nei primi sei mesi di quest'anno, il tasso di occupazione delle camere è stato sempre nettamente maggiore rispetto a quello delle altre mete di viaggio, con poche eccezioni, in tutti i mesi dell'anno; le differenze (nell'ordine del +15-20 per cento) si manifestano nei mesi prima e dopo l'estate. La comparazione dell'andamento delle vendite delle camere da gennaio 2011 a giugno 2013 nei «siti Unesco» e in quelle nelle altre destinazioni conferma che questi ultimi riescono a destagionalizzare in maniera rilevante la domanda, con presenze proporzionalmente numerose anche in autunno e primavera. Nei «siti Unesco», inoltre, oltre il 71 per cento delle strutture ricettive prevede il booking on-line, contro il 64 per cento di quelle collocate nelle destinazioni «normali». Si evidenzia, dunque, una maggiore diffusione delle tecnologie e migliori competenze di gestione avanzata delle relazioni con i clienti;
   a fronte di questi dati positivi, non sembra però corrispondere un vantaggio anche per quanto riguarda la spesa dei turisti. La differenza della spesa media sul territorio è di meno del 5 per cento (pari ad appena 3 euro in valore assoluto); ancora minore, nel caso della spesa per alloggi. Più significativa è la maggior spesa per il viaggio, a testimonianza che il differenziale di attrattività dei «siti Unesco» risulta forte nel caso della domanda internazionale;
   nonostante i Siti Unesco italiani attirino flussi di turismo, anche stranieri, superiori alla media, non si registrano entrate rispondenti alle attese –:
   quali interventi intenda adottare affinché il riconoscimento di «patrimonio dell'umanità non sia sfruttato solo in termini di mera comunicazione di uno stato in essere ma venga considerato un volano per tutto il turismo nazionale, tutelato e gestito attraverso la delineazione di strategie di marketing e di digitalizzazione dell'offerta che facilitino i turisti nella programmazione del proprio viaggio e li invoglino alla visita del nostro paese con l'obiettivo di aumentare la spesa dei turisti nei siti di maggior prestigio, attuando in particolare un'azione sinergica e una gestione condivisa tra governo, parlamento, istituzioni locali e imprese affinché si abbia uno sviluppo organico dell'offerta territoriale.
(5-01493)


   ABRIGNANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 16 ottobre 2013 il Ministro Massimo Bray, in audizione presso la Commissione attività produttive della Camera sulle linee programmatiche del suo Dicastero in materia di turismo, ha sottolineato l'esigenza di un rinnovamento e di una reingegnerizzazione del portale Italia.it con il potenziamento dei servizi erogati, al fine di incrementare il bacino di utenza turistica, in cooperazione con i Governi regionali e le amministrazioni locali;
   nella sua relazione il Ministro non ha fatto alcun riferimento alla prossima edizione della Conferenza nazionale del turismo che, disciplinata dall'articolo 56 del Codice del turismo (decreto legislativo n. 79 del 2011), con cadenza almeno biennale deve esprimere gli orientamenti per la definizione e gli aggiornamenti del documento contenente le linee guida del Piano strategico nazionale del turismo;
   l'ultima edizione della Conferenza nazionale del turismo si è tenuta nel 2008;
   nello scorso mese di gennaio 2013 è stato presentato dal Governo Monti il Piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia –:
   se siano stati individuati i soggetti e quantificate le risorse necessarie alla reingegnerizzazione del portale Italia.it, con conseguente indicazione dei tempi di realizzazione, se e quando sia prevista la prossima Conferenza nazionale sul turismo e se sia stata data attuazione alle indicazioni del Piano strategico nazionale del turismo elaborato dal precedente Governo. (5-01494)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAROCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   risulta che si stia approntando un progetto di riorganizzazione del Ministero, in base al quale gli archivi di Stato, esistenti in ogni capoluogo di provincia, saranno divisi in due categorie: archivi nazionali, nel quale troveranno posto gli archivi considerati più importanti e archivi provinciali, retti da un funzionario, che dipenderanno dalle Soprintendenze archivistiche;
   nel web è sorta una petizione che numerosi studiosi, non solo italiani, hanno firmato con la richiesta del mantenimento dell'archivio di Stato di Genova al rango di archivio nazionale;
   da tale petizione si evince, infatti, che l'elenco degli archivi nazionali presente nel progetto di riforma è composto da nove istituti situati nelle seguenti città: Venezia, Firenze, Torino, Milano, Roma, Napoli, Palermo, Bologna, Bari;
   se così fosse, si ritiene che non sarebbero tenute in debito le ragioni per le quali a Genova deve essere mantenuto l'archivio nazionale: Genova, capoluogo di regione e città metropolitana, è da sempre sede dirigenziale, e subirebbe da questo progetto di riforma un radicale declassamento;
   è necessario sottolineare che se la discriminante del declassamento fosse la consistenza della documentazione conservata, Genova, in base alle statistiche ufficiali del Ministero, è pari e in alcuni casi supera quella di alcuni archivi inclusi nell'elenco. La stessa considerazione vale se si applica il criterio del numero di presenze di utenti nella sala di studio. Se si vuole elevare al rango di archivi nazionali gli istituti delle città capitali degli Stati preunitari, vale la pena rammentare che Genova è stata capitale ininterrottamente per sette secoli, dalla fine del secolo XI al 1805, più a lungo di circa la metà delle città incluse nell'elenco. Se, infine, ci si vuole basare sull'importanza del patrimonio documentario conservato e sulla sua notorietà a livello nazionale e internazionale sarà bene ricordare che l'archivio di Stato di Genova custodisce il più antico e vasto archivio notarile del mondo, con il più antico registro che ci sia pervenuto, risalente al 1154 –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere al riordino degli archivi di Stato e se, in tal caso, non ritenga ineludibile intervenire per impedire che l'archivio di Stato di Genova venga declassato.
(5-01488)

Interrogazioni a risposta scritta:


   IMPEGNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione italiana tutela il patrimonio storico ed artistico della nazione (articolo 9);
   nel 1995 il Governo italiano ha chiesto all'UNESCO, attraverso il Comitato degli Stati membri della Convenzione del patrimonio dell'umanità, l'inserimento del centro storico della città di Napoli nella lista dei monumenti protetti;
   contestualmente il Governo Italiano si è impegnato a proteggere e valorizzare detto centro storico; nella proposta di iscrizione ha affermato che le autorità preposte alla gestione e valorizzazione del sito sono il Ministero per i beni e le attività culturali, la sovrintendenza ai beni archeologici, la sovrintendenza ai beni architettonici, la sovrintendenza ai beni storici ed artistici, il museo di Capodimonte, il consiglio regionale della Campania, il consiglio provinciale di Napoli ed il consiglio della città di Napoli;
   la domanda è stata accettata ed il sito è stato iscritto (al numero 726) nella lista del Patrimonio dell'umanità dei monumenti protetti «per le sue eccezionali qualità di conservazione delle culture, emerse nel corso dei secoli in Europa ed in particolare nel bacino del Mediterraneo»;
   sul sito UNESCO sono annotati i rilievi negativi concernenti il sito: (a) mancanza di una costante manutenzione del tessuto urbano; (b) debolezze nel coordinamento del complessivo processo di salvaguardia e di sviluppo;
   molte associazioni di cittadini sono interessate alla valorizzazione del Centro storico di Napoli. Nel maggio 2007 hanno organizzato un Convegno all'Istituto italiano studi filosofici, al quale hanno partecipato autorità dell'UNESCO, dell'ICOMOS (International council on monuments and sites) e dell'ICCROM (International centre for the study of preservation and restoration of cultural property). I partecipanti a questo Convegno hanno stilato una Carta di impegni concernenti la protezione e valorizzazione del centro storico UNESCO di Napoli. Questa carta ha avuto l'approvazione di tutti gli oratori e dei partecipanti al Convegno; che hanno anche chiesto di essere consultati, secondo i dettami della Convenzione di Aarhus e della Carta di Aalborg;
   nel marzo 2008 l'istituto nazionale di architettura ha inviato all'UNESCO un documento, controfirmato da eminenti personalità della cultura italiana, nel quale era denunziata la grave situazione del centro storico di Napoli;
   nel dicembre 2008 l'UNESCO ha inviato a Napoli una missione di ispezione, i cui risultati sono stati portati alla riunione del comitato degli Stati membri della Convenzione del patrimonio. Questo comitato ha richiesto all'Italia di fornire, entro il febbraio 2011, informazioni dettagliate concernenti l'implementazione delle raccomandazioni contenute nel rapporto di missione (documento 33 COM 7B.110). Il Governo italiano ha risposto in maniera insoddisfacente; per questa ragione il Comitato degli Stati membri della Convenzione del Patrimonio ha, discusso nuovamente il problema e ha di nuovo sollecitato il Governo italiano a tenere conto delle raccomandazioni contenute nel rapporto di missione (documento 35 COM 7B.97);
   nel febbraio 2012 il vice direttore generale per la cultura dell'UNESCO ha inviato una lettera al sindaco di Napoli con la quale sollecita il comune a procedere alla valorizzazione del centro storico;
   la parte di centro storico della città di Napoli iscritta nella lista del Patrimonio dell'Umanità e ampia (720 ettari) e quindi la sua valorizzazione inciderebbe in modo positivo sul resto della città;
   i cittadini e le associazioni richiedono azioni volte a ripristinare il decoro del centro storico, e cioè chiedono molti piccoli interventi, poco costosi; invece le autorità locali hanno promesso ai componenti della missione UNESCO del 2008 una serie di rilevanti interventi di restauro, per una spesa totale di 280 milioni di euro; questa promessa (che è a verbale del rapporto di missione) non ha avuto seguito;
   il piano di gestione del centro storico prevede la figura del «Conservatore», un'autorità che sovrintende a tutti i problemi riguardanti il centro storico; tuttavia il conservatore non è stato nominato, il personale addetto al centro storico è stato drasticamente ridotto, il dipartimento di urbanistica è stato chiuso, la società che contribuiva al risanamento edilizio è stata chiusa –:
   come intenda procedere affinché l'Italia mantenga gli impegni presi nel 1995 e provveda a rispondere in maniera soddisfacente alle richieste contenute nel rapporto di missione del 2008, fatte proprie dal Comitato degli Stati membri della Convenzione del patrimonio dell'UNESCO. (4-02571)


   CRIPPA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella frazione collinare di Dumera, presso il comune di Oggebbio (Verbano-Cusio-Ossola), si sta ultimando la costruzione di un'antenna per telefonia mobile dell'altezza di 30 metri;
   il sito individuato per la realizzazione dell'antenna, in riva al lago Maggiore, insiste in un comparto di grande pregio e rilevanza ambientale;
   per questo motivo la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Novara, Alessandria e Verbano-Cusio-Ossola, ai sensi dell'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni è stata chiamata ad esprimere il proprio parere vincolante sulla realizzazione dell'opera;
   il comune di Oggebbio quindi, con nota prot. n. 5519 del 5 ottobre 2012 ha trasmesso alla Soprintendenza il progetto e le relative fotosimulazioni che evidenziavano, da più punti di presa, la ridotta percepibilità dell'impianto in questione. Nello specifico, le fotosimulazioni escludevano punti di presa dalla frazione Dumera;
   a seguito della valutazione sia del progetto che delle simulazioni la Soprintendenza, con nota prot. n. 13810 del 29 ottobre 2012, ha espresso il proprio parere positivo. Conseguentemente, il comune di Oggebbio ha rilasciato l'autorizzazione per l'inizio dei lavori;
   la costruzione dell'infrastruttura è stata duramente osteggiata da numerose segnalazioni da parte del Comitato Alto Verbano, di numerosi abitanti della frazione Dumera e dell'Associazione Italia Nostra che evidenziavano invece un forte impatto paesaggistico della prevista antenna;
   il comune di Oggebbio ha emesso la delibera G.C. 99/2013 del 27 agosto 2013 in cui il comune dichiara «si ritiene doveroso invitare la Società (Ericsson) a trovare un altro sito in cui installare l'antenna in oggetto»;
   la soprintendenza, con nota prot. n. 11119 del 30 agosto 2013 ha richiesto al comune di Oggebbio la verifica della documentazione progettuale prodotta. In risposta l'amministrazione locale, con relazione comunicazione trasmessa con prot. 5319 del 30 settembre 2013, ha integrato la documentazione con, tra l'altro, nuove fotosimulazioni che evidenziavano un ben maggiore impatto dell'antenna;
   il 7 ottobre 2013, il comune di Oggebbio ha comunicato a mezzo stampa di aver individuato, insieme alla società esecutrice Ericsson, una nuova locazione per l'impianto al fine di ridurre l'impatto sul territorio; la società Ericsson ha emesso un suo documento in cui certifica la validità tecnica del sito del comune, mentre dichiara non idoneo il sito proposto dal comitato Alto Verbano;
   in seguito a tale nota, lo stesso comune, in data 6 novembre 2013 con un nuovo comunicato stampa ha modificato il proprio orientamento informando che la delocalizzazione non avrebbe avuto luogo e che si sarebbe invece dato corso al progetto approvato con prot. n. 6303 del 15 novembre 2012;
   per tali ragioni, la Soprintendenza con comunicazione in data 11 novembre 2013 ha aperto un procedimento di riesame della documentazione e, conseguentemente, per l'eventuale annullamento in autotutela del parere positivo rilasciato ai sensi dell'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni in merito alla installazione dell'impianto di telefonia mobile;
   vista la decisione della Soprintendenza di avviare la procedura di revisione della sua decisione, il Comitato Alto Verbano ha mandato tramite il suo avvocato una lettera di diffida al comune chiedendo di chiudere il cantiere in attesa del nuovo pronunciamento della Soprintendenza, ma il comune di Oggebbio non ha ritenuto nemmeno di rispondere a tale richiesta e di conseguenza non ha fermato il cantiere –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   se non si ritenga opportuno approfondire la questione nel merito al fine di rivedere il parere emesso come conseguenza di una parziale trasmissione della documentazione di simulazione fotografica, al fine di tutelare la valorizzazione di un patrimonio storico culturale straordinario e far sì che l'opera sia dislocata in un sito alternativo come indicato in precedenza dal comune di Oggebbio.
(4-02580)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazioni a risposta immediata:


   GALLINELLA, CARINELLI, LUPO, COLONNESE, BENEDETTI, NESCI, GAGNARLI, PINNA, L'ABBATE, SPESSOTTO, MASSIMILIANO BERNINI, VIGNAROLI, PARENTELA, FICO e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la politica di coesione svolge un ruolo determinante nella promozione economica e sociale del territorio unionale, con l'obiettivo di ridurre gli squilibri macroeconomici delle diverse regioni e di perseguire una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva;
   al fine di ottimizzare l'efficacia degli interventi strutturali, il pacchetto legislativo di riforma degli strumenti della politica di coesione per il periodo 2014-2020, presentato dalla Commissione europea ed attualmente all'esame delle istituzioni competenti, ricomprendendo in un unico quadro strategico tutti i fondi strutturali, stabilisce disposizioni comuni al fondo europeo di sviluppo regionale, al fondo sociale europeo, al fondo di coesione, al fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e al fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca;
   con riferimento al nostro Paese, le criticità connesse all'utilizzazione dei fondi evidenziano una debolezza di sistema che va dalle difficoltà dei ministeri e delle regioni a programmare e gestire gli interventi, all'incapacità dei beneficiari di progettare ed accedere ai finanziamenti, passando per le note vicende di clientelismo territoriale con una frequente distribuzione di risorse «a pioggia», che, lungi dal conseguire un ottimale rapporto costi-benefici, risponde unicamente a logiche contingenti che vanificano qualsiasi obiettivo di sviluppo;
   in considerazione delle numerose problematiche che attengono alla gestione dei fondi in oggetto, che per l'Italia si traducono in un inutilizzo di risorse per circa 15 miliardi di euro da spendere entro il 2015, la riforma messa a punto dall'Esecutivo comunitario si basa su un'impostazione maggiormente orientata al risultato e alla valutazione, articolata in base ad un sistema, che, se da un lato privilegia una governance multilivello in un'ottica di maggior coinvolgimento e partecipazione, dall'altro introduce una politica di trasferimenti condizionati che rischia di complicare ulteriormente il quadro generale;
   sebbene l'introduzione di meccanismi finalizzati al miglioramento della qualità della spesa sia ritenuta assolutamente necessaria, il sistema delle prescrizioni delineato dalle proposte di riforma appare estremamente rigido e merita di essere analizzato con attenzione per evitare che le condizionalità si trasformino in ulteriori vincoli nella realizzazione dei progetti da parte dei potenziali beneficiari;
   in particolare, la condizionalità macroeconomica, totalmente inadeguata in un contesto di programmazione regionalizzata, legando l'erogazione dei contributi comunitari al rispetto dei parametri imposti dal coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, penalizza oltremodo le regioni, autorità di gestione dei programmi, per una responsabilità imputabile esclusivamente al Governo centrale che non abbia rispettato le regole in materia di deficit;
   la prevista riserva di performance, inoltre, prescrivendo l'accantonamento obbligatorio del 5 per cento della dotazione di ciascun fondo in una riserva da ripartire una volta conseguiti determinati obiettivi, potrebbe sacrificare la qualità degli interventi progettuali a vantaggio della necessità di evitare la perdita di risorse, con la definizione da parte delle regioni di traguardi piuttosto mediocri ma facilmente raggiungibili e senza alcun meccanismo premiante per le realtà più virtuose; non è chiaro, poi, se, a seguito dell'eventuale non assegnazione della riserva, la quota accantonata rimanga all'interno dello Stato membro o debba essere riassegnata al bilancio comunitario;
   nell'applicazione del regolamento sul quadro strategico comune desta particolare attenzione, come in verità in molti altri casi di applicazione della normativa comunitaria, l'esercizio della delega da parte della Commissione europea, posto che l'atto delegato, ancorché esercitato nel rispetto dei limiti previsti dall'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, può rappresentare, di fatto, una delega in bianco per l'Esecutivo comunitario, autorizzato a legiferare su questioni che, ancorché non riferiti ad elementi essenziali di un atto legislativo, dovrebbero poter essere modificate soltanto mediante procedura legislativa ordinaria –:
   quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di garantire ai beneficiari l'erogazione dei contributi per la realizzazione dei progetti finanziati, nel caso in cui vengano sospesi i pagamenti relativi ai programmi interessati, in applicazione dell'articolo 21, paragrafo 5, della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, recante disposizioni comuni sul fondo europeo di sviluppo regionale, sul fondo sociale europeo, sul fondo di coesione, sul fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul fondo europeo di sviluppo regionale, sul fondo sociale europeo e sul fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio - 2011/0276(COD), e se l'accantonamento a valere sulla riserva di efficacia ed efficienza, di cui all'articolo 18 della citata proposta di regolamento, sia destinato a restare nelle disponibilità dello Stato membro eventualmente inadempiente. (3-00456)


   SCHIRÒ, BUTTIGLIONE e GALGANO. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   martedì 19 novembre 2013 si è votato a Strasburgo il bilancio pluriennale 2014-2020 che mette a disposizione dell'Italia, in termini di fondi strutturali, una dote di circa 31,8 miliardi di euro, cui si sommerà una quota di cofinanziamento nazionale pari a 24 miliardi di euro;
   tuttavia, si deve rilevare che, a pochi mesi dalla chiusura del ciclo 2007-2013 della programmazione dei fondi europei, l'Italia ha speso circa il 40 per cento delle risorse programmate, che ammontano oggi, a seguito delle ultime riprogrammazioni, a 49,5 miliardi di euro, compreso il relativo cofinanziamento nazionale;
   poiché per la realizzazione dei programmi europei vengono concessi due anni di tempo dalla fine del ciclo di programmazione, entro la fine del 2015 l'Italia dovrà spendere tutte le risorse non ancora utilizzate: più o meno 1 miliardo di euro al mese per ventisei mesi, da certificare a Bruxelles;
   mentre in Spagna ed in Germania esistono da tempo agenzie impegnate ad evitare ritardi nell'utilizzo dei fondi strutturali, in Italia la neonata Agenzia per la coesione territoriale, istituita per monitorare i programmi operativi e per assistere le amministrazioni centrali e regionali che gestiscono fondi europei, è ancora in attesa di una sua piena definizione normativa, compresa l'approvazione del suo statuto;
   vi è il fondato rischio che, con questo ritmo di spesa, il nostro Paese possa perdere una buona parte dei fondi dell'Unione europea a sua disposizione;
   l'impiego di fondi per la realizzazione di politiche per la coesione è, nell'attuale contesto economico, fondamentale per il rilancio del sistema produttivo italiano, l'incremento dell'occupazione e la tenuta sociale nel nostro Paese, in tutte le sue regioni –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per uscire da questa impasse che rischia di danneggiare fortemente il nostro Paese in generale, soprattutto, quelle regioni che potrebbero avere da questi fondi le risorse necessarie per effettuare investimenti e produrre nuova occupazione. (3-00457)


   PANNARALE, RICCIATTI e MIGLIORE. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, prevede la «Accelerazione nell'utilizzazione dei fondi strutturali»;
   l'articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, prevede «Misure per la velocizzazione delle procedure in materia di riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali e di rimodulazione del piano di azione coesione»;
   i commi 1 e 2 dell'articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, disciplinano la disponibilità di spesa delle risorse derivanti dalla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali 2007/2013 e le misure atte ad accelerare le procedure per la riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali europei e per la rimodulazione del piano d'azione coesione, al fine di rendere disponibili risorse necessarie per il finanziamento degli interventi a favore dell'occupazione giovanile e dell'inclusione sociale nel Mezzogiorno, disposti, rispettivamente, dall'articolo 1, comma 12, lettera a), e dall'articolo 3, commi 1 e 2, del decreto;
   l'operatività della riprogrammazione del piano d'azione coesione è operata dal gruppo d'azione coesione (di cui al decreto del Ministro per la coesione territoriale del 1o agosto 2012, ai sensi del punto 3 della delibera Cipe del 3 agosto 2012, n. 96), che provvede a determinare, anche sulla base degli esiti del monitoraggio sull'attuazione delle misure di spesa dei fondi strutturali, le occorrenti rimodulazioni delle risorse destinate alle misure del piano d'azione coesione. Dall'ammontare della rimodulazione si tiene conto nel riparto delle risorse da assegnare a valere sui fondi strutturali per il periodo di programmazione 2014-2020;
   l'operatività delle misure strutturali incentivanti decorre soltanto dalla data di perfezionamento dei rispettivi atti di riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, che le amministrazioni titolari dei programmi operativi interessati (programma operativo nazionale e programmi operativi interregionali) dovevano avviare entro il 28 luglio 2013 le procedure necessarie atte a modificare i pertinenti programmi, sulla base della vigente normativa europea;
   le amministrazioni centrali e regionali hanno incontrato rilevanti difficoltà nell'utilizzare le risorse comunitarie secondo la tempistica definita dalle norme comunitarie e, specificatamente, la regola europea dell'N+2 prevede che per ogni annualità delle risorse impegnate per ciascun fondo sul bilancio comunitario (fondo sociale europeo, fondo europeo di sviluppo regionale, e programma operativo), la quota che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione europea, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell'impegno di bilancio, viene disimpegnata automaticamente. Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale;
   il Ministro interrogato, nel corso dell'audizione del 12 giugno 2013 tenutasi presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei deputati, ha posto in rilievo il rischio di disimpegno di un'elevata percentuale dei fondi assegnati, sottolineando la necessità di un'ulteriore azione di riprogrammazione delle risorse a rischio, volta a concentrare i fondi resi disponibili su poche misure con effetto anticiclico: lotta alla disoccupazione giovanile e al progressivo impoverimento delle famiglie, soprattutto al Sud, e sostegno al sistema delle imprese attraverso la promozione degli investimenti in grado di stimolare le economie locali;
   il Ministro interrogato, sempre nel corso dell'audizione, ha fornito informazioni circa l'area ad alto rischio disimpegno riguardante, soprattutto, alcuni programmi nazionali e programmi regionali dell'obiettivo convergenza. Secondo una prima stima effettuata dal Ministero, il rischio disimpegno delle risorse comunitarie, per i programmi dell'obiettivo convergenza afferenti al fondo europeo di sviluppo regionale, sarebbe di almeno 3,6 miliardi di euro e riguarderebbe i programmi operativi regionali Campania, Calabria, Sicilia e i programmi operativi nazionali «reti e mobilità», «energie rinnovabili», «attrattori culturali» e «sicurezza», mentre le risorse a rischio per i programmi afferenti al fondo sociale europeo sarebbe di 0,5 miliardi di euro complessivi;
   con un comunicato stampa del 4 novembre 2013, il Ministro interrogato ha affermato che la spesa certificata presentata il 31 ottobre 2013 dall'Italia a Bruxelles, nell'attuazione dei fondi comunitari, ha raggiunto il 47,5 per cento per cento della dotazione totale, superando di 4 punti il target nazionale, pari a 22,693 miliardi di euro;
   sulla base dei dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale rapporti con l'Unione europea, Igrue, aggiornati al 24 ottobre 2013, le risorse ancora da spendere entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti), come riprogrammate a seguito dei 3 aggiornamenti del piano di azione coesione, ammontano a circa 26,9 miliardi di euro –:
   quali iniziative urgenti e misure con effetto anticiclico il Governo intenda assumere al fine di evitare la perdita di una così consistente quota di risorse comunitarie, al fine di scongiurare il disimpegno dell'ingente somma ancora non spesa, anche con riferimento all'impegno preso durante l'audizione del 12 giugno 2013 per la lotta alla disoccupazione giovanile e al progressivo impoverimento delle famiglie, soprattutto al Sud Italia, e per il sostegno al sistema delle imprese attraverso la promozione degli investimenti in grado di stimolare le economie locali. (3-00458)


   PISICCHIO. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   le regioni del Mezzogiorno soffrono più delle altre la crisi economica per cause storiche e politiche che sarebbe troppo lungo e complesso enumerare in questo momento, ma che certamente hanno costituito un limite al pieno sviluppo del Sud Italia;
   la riduzione del divario Nord-Sud è un impegno strategico del Governo per il rilancio dell'economia nazionale nel suo complesso;
   i dati dicono che nel ciclo di programmazione dell'erogazione di fondi europei 2007-2013 l'Italia non è riuscita a spendere neanche la metà dei 100 miliardi di euro resi disponibili dall'Unione europea ed una cifra analoga sarà disponibile, secondo la bozza dell'accordo di partnerariato, sulla programmazione dei fondi strutturali dal 2014 al 2020;
   in questo quadro è evidente che riuscire a spendere la messe di risorse europee consentirebbe di avviare un percorso virtuoso per il risanamento economico, sociale e culturale dell'intera penisola. L'istituzione dell'Agenzia per la coesione territoriale rappresenta un primo importante passo in questa direzione, ma non si comprende ancora quali possano essere le misure specifiche per la riattivazione dei crediti d'imposta per gli investimenti produttivi e per la riattivazione di quelli relativi all'occupazione stabile. Investire almeno 2 miliardi di euro su questi capitoli determinerebbe, secondo la Ragioneria dello Stato, un incremento del 4 per cento degli investimenti nel Mezzogiorno, dando lavoro a non meno di 200.000 giovani –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per rendere possibile l'incentivazione dell'utilizzo dei fondi dell'Unione europea, anche attraverso un più efficace intervento da parte del Governo.
(3-00459)


   BRUNETTA e POLIDORI.— Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana, la Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo ha dato il via libera all'accordo con il Consiglio sulla riforma della politica di coesione, raggiungendo un'intesa relativa al nodo della «macrocondizionalità» nelle nuove regole per i fondi strutturali europei 2014-2020;
   si tratta di un passaggio cruciale per avviare i nuovi e sopra indicati principi, per la programmazione dei prossimi sette anni, che destineranno 325 miliardi di euro ai fondi strutturali, 30 dei quali nei confronti dell'Italia;
   la condizionalità macroeconomica nell'erogazione dei fondi strutturali 2014-2020, fortemente voluta dalla Germania, prevede, tuttavia, che l'Esecutivo comunitario possa sospendere i pagamenti dei fondi per quegli Stati che in presenza di squilibri macroeconomici o di deficit eccessivi che non adottano provvedimenti di riequilibrio, nonché il mancato rispetto del fiscal compact, i cui effetti di tali meccanismi rischiano di essere eccessivamente punitivi nei confronti dei Paesi più deboli, proprio mentre diventano sempre più evidenti le conseguenze drammatiche dell'eccessivo rigore sulla crescita –:
   se intenda confermare quanto esposto in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative nell'ambito delle sue competenze intenda intraprendere in sede comunitaria, al fine di rivedere i dispositivi delle nuove regole dei fondi di coesione per gli anni 2014-2020, le cui risorse europee condizionate da un'eccessiva disciplina rischiano di provocare per il nostro Paese e le regioni gravi danni economici e finanziari, in particolare nei confronti delle imprese destinatarie finali degli aiuti. (3-00460)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 9 novembre 2013 sul sito internet del Ministero dell'economia e delle finanze è stato pubblicato il rapporto sull'aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia inviato il 23 ottobre 2013, in osservanza a quanto disposto dal comma 10 dell'articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (legge finanziaria 2006);
   la suindicata disposizione prevede infatti che: «con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l'assetto proprietario della Banca d'Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici»;
   il medesimo documento predisposto con l'ausilio di un comitato di esperti è stato reso noto a seguito di diverse sollecitazioni da parte dell'interpellante, il quale ha in diverse occasioni inoltrato l'invito, a fornire delucidazioni, sui metodi di calcolo alla base della rivalutazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici;
   l'urgenza e la necessità di acquisire tali importanti indicazioni di politica economica e monetaria, erano dettate sia dall'esigenza di valutare, considerata l'attuale fase di congiuntura economica, in tempi rapidi, i criteri e le modalità utilizzate dal predetto comitato, che dalla consistenza dell'effettivo valore delle quote necessarie dal gettito atteso che poteva essere utilizzato per finanziare alcune delle modifiche alla legge di stabilità per il 2014;
   l'interpellante rileva, che a tutt'oggi il capitale della Banca d'Italia ammonta all'anacronistica cifra di 156 mila euro, a fronte di riserve iscritte a bilancio, per il 2012, di 22,6 miliardi di euro, a differenza degli utili netti riportati nello stesso esercizio che invece ammontano a 2,5 miliardi;
   l'evidente discordanza nei dati contabili ha portato fin dalla primavera di quest'anno ad ipotizzare, sulla base dei normali parametri di borsa (price earning e valore di libro), in una chiave assolutamente prudenziale, un valore effettivo del suddetto capitale pari a circa 25 miliardi di euro, ipotizzando un moltiplicatore degli utili di gran lunga inferiore rispetto ai possibili valori di mercato;
   ristabilire le giuste proporzioni non comporterebbe, a giudizio dell'interpellante, soltanto un immediato vantaggio per le finanze pubbliche, dovuto al pagamento, da parte degli azionisti privati, delle imposte per la rivalutazione dei cespiti delle quote di capitale in loro possesso, tassabili al 16 per cento, ma determinerebbe anche un corrispondente aumento del loro patrimonio netto;
   tale operazione risulta, a giudizio dell'interpellante, ulteriormente necessaria, in considerazione del fabbisogno di capitale richiesto, ai fini di una patrimonializzazione delle banche italiane in vista di Basilea III e degli stress-test che, sotto l'egida del single supervisory mechanism saranno avviati nel corso del 2014;
   se la rivalutazione dei cespiti delle quote di capitale fosse stata compiuta nei tempi originariamente proposti (prima dell'estate 2013) ne sarebbe derivata un'attenuazione del credit crunch, con immediato beneficio per le famiglie e le imprese, grazie all'allentamento di quella morsa finanziaria che ha contribuito, non poco, a peggiorare la performance dell'economia italiana rispetto al resto dell'Eurozona;
   le entrate aggiuntive al bilancio dello Stato, grazie alla rivalutazione dei partecipanti al capitale la Banca d'Italia, avrebbe poi consentito di migliorare l'azione a favore di famiglie e imprese, a partire dalla eliminazione della seconda rata dell'Imu;
   nel mese di settembre 2013 è stato nominato dalla Banca d'Italia un comitato di esperti per definire l'effettivo valore del proprio capitale e, quindi, poter procedere al relativo aumento destinato a scattare, almeno in termini di competenza economica, nel 2014;
   gli effetti derivanti dalla suddetta disposizione introdurranno, a giudizio dell'interpellante, ulteriori ritardi e complicazioni per la gestione della finanza pubblica, in considerazione delle evidenti carenze di adeguate risorse necessarie ad affrontare gli impegni assunti dal Presidente del Consiglio dei ministri, nel corso della presentazione alle Camere del programma di Governo;
   secondo quanto risulta da organi di informazione il suddetto comitato ha terminato i suoi lavori e prodotto un report che sarebbe stato consegnato al Ministro interpellato;
   nel documento conclusivo le ipotesi di rivalutazione indicate dal comitato dei saggi sono ben inferiori alle cifre sopra richiamate, e risentono di un metodo di calcolo quanto mai discutibile –:
   per quale ragione, nel valutare i profili complessivi del problema, si sia tenuto solo conto degli aspetti contabili in senso stretto, costruiti su sottostanti ipotesi estremamente restrittive e senza considerazione alcuna circa i restanti profili – patrimonializzazione del sistema bancario, maggiori entrate per l'erario e altro – che solo una visione più complessiva, pur nel rispetto dello statuto della Banca d'Italia, avrebbe consentito.
(2-00308) «Brunetta».

Interrogazione a risposta orale:


   TABACCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 novembre 2013 le agenzie di stampa hanno riportato una dichiarazione del vice ministro dell'economia e delle finanze Stefano Fassina secondo il quale il Governo si sarebbe impegnato «ad assumere l'orientamento del Senato» e a discuterne «nel quadro della legge di Stabilità» in merito all'introduzione di una nuova soglia flessibile per l'obbligo di Offerta pubblica di acquisto (Opa), in aggiunta all'attuale del 30 per cento prevista dal testo unico della finanza, soglia che scatterebbe per impulso della Consob in caso di controllo societario di fatto;
   in precedenza sullo stesso tema si era già espresso in termini analoghi il sottosegretario all'economia e finanze Pierpaolo Baretta, annunciando un «provvedimento in tempi brevissimi»;
   la modifica dell'attuale normativa in materia è stata proposta ed elaborata da due autorevoli esponenti del Senato della Repubblica, quali il presidente della commissione industria, commercio e turismo Massimo Mucchetti ed il presidente della Commissione lavori pubblici e comunicazioni Altero Matteoli, ed è stata approvata dal Senato con una mozione a larga maggioranza con parere favorevole del Governo in data 17 ottobre 2013;
   sulla questione la Camera dei deputati non ha avuto occasione di pronunciarsi; a parere dell'interrogante sarebbe invece auspicabile che qualsiasi ulteriore iniziativa fosse assunta sulla base di un orientamento espresso da entrambi i rami del Parlamento;
   l'urgenza di introdurre nel nostro ordinamento una simile modifica al regime dell'Offerta pubblica di acquisto, secondo quanto riportato da numerosi articoli di stampa nelle ultime settimane appare chiaramente dettata dalla volontà di ostacolare l'acquisizione del controllo di Telecom Italia, attraverso la finanziaria Telco, da parte della società di telecomunicazioni spagnola Telefonica;
   tale operazione aggiungerebbe un altro capitolo all'infelice libro della cosiddetta «difesa dell'italianità», che negli ultimi anni dal caso Alitalia nel 2008 alle scalate bancarie del 2004-2005, alla prova dei fatti non ha certo giovato all'immagine della credibilità del sistema economico e finanziario del nostro Paese all'estero;
   la Spagna, Paese membro dell'Unione europea, non ha opposto analoghe barriere quando Enel ha acquisito il controllo della società energetica Endesa;
   l'attuale Governo, in linea con il precedente, appare giustamente e particolarmente sensibile al tema dell'attrazione di investimenti esteri nel nostro Paese e, pertanto, una modifica della disciplina dell'Offerta pubblica di acquisto con risvolti chiaramente protezionisti, contraddirebbe le buone intenzioni manifestate in primis in ogni sede dal presidente del Consiglio in occasione delle sue frequenti visite istituzionali in Europa e nel mondo con grave nocumento per la credibilità del Paese –:
   quale sia la posizione ufficiale del Ministero interrogato, e dell'intero Governo, in merito all'introduzione di una nuova soglia flessibile che renda obbligatoria l'Offerta pubblica di acquisto in caso di controllo societario di fatto e se risponda al vero che il Governo intenda intervenire tramite un'iniziativa normativa urgente. (3-00464)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:


   QUARANTA, PELLEGRINO, MELILLA, DURANTI, PANNARALE, MATARRELLI, PALAZZOTTO, ZARATTI, SANNICANDRO, DI SALVO, FAVA, NARDI, PIAZZONI, NICCHI, COSTANTINO, LACQUANITI, LAVAGNO e RICCIATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Trenitalia ha deciso, dallo scorso settembre 2011, di sopprimere i treni notturni diretti nord-sud, patrimonio storico della comunità nazionale, provocando così la perdita del posto di lavoro di tutti gli 800 addetti a questo servizio;
   questa decisione, che privilegia l'alta velocità ed i treni a maggior costo per l'utenza, costituisce una inaccettabile riduzione del servizio pubblico, in un settore in cui la domanda da parte dell'utenza non è mai diminuita, costringendo gli utenti e le loro famiglie a dover sostenere maggiori e gravose spese per effettuare diversi cambi di treno, a prezzi di biglietto sempre più elevati, e a orari di più difficile gestione;
   in particolare, per la comunità del Monfalconese (Gorizia) dove la presenza di emigranti di provenienza dal Sud di Italia è prevalente, questa decisione costituisce un'offesa e un danno alle tante famiglie di lavoratori e studenti di origine di altre zone d'Italia, e a tutti coloro che per ragioni anche familiari, o di semplice vacanza, sono soliti viaggiare da un capo all'altro della penisola;
   ridurre le linee ferroviarie significa limitare il diritto di scelta dei cittadini alle forme di mobilità, incentivando un uso ancora più smodato del mezzo privato, o assoggettando di fatto le persone a ricorrere alle compagnie aeree che spesso praticano già costi elevati e che potrebbero aumentarli in assenza di concorrenza con il servizio treni notte;
   Trenitalia, per quanto risulta agli interroganti, non ha neppure previsto di migliorare le linee ferroviarie che collegano comunque i capo luoghi di provincia del Friuli Venezia Giulia, con Venezia Mestre e da lì con il resto d'Italia;
   la Costituzione italiana, così come le altre Costituzioni degli Stati di democrazia liberale, garantisce la libertà di circolazione (si veda l'articolo 16 della Costituzione, secondo cui: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvi gli obblighi di legge»);
   l'Unione europea è nata intorno ad alcuni grandi principi ed obiettivi, fra i quali va evidenziato, nell'ottica della costruzione di un mercato concorrenziale delle merci e delle prestazioni lavorative, il principio della libertà circolazione di merci e persone nel territorio degli Stati membri. Nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ora incorporati nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, la libertà di circolazione è garantita all'articolo II-105 (che recita: «Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La libertà di circolazione e soggiorno può essere accordata, conformemente al Trattato che istituisce la Comunità europea, ai cittadini dei Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro») –:
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per sostenere il ripristino dei treni notte, anche d'intesa con i sindaci delle città interessate al percorso dei medesimi treni, tra cui quelli di Trieste (Udine che converge su Cervignano, Pordenone su Venezia e Gorizia su Monfalcone), Venezia, Bari, Lecce, Palermo, Reggio Calabria, e Catania e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di consentire il perseguimento di tale obiettivo coinvolgendo, anche attraverso un tavolo di confronto con Trenitalia, le regioni interessate dal percorso dei suddetti treni notte, tra cui la regione Friuli Venezia Giulia, la regione Veneto, la regione Puglia e la regione Sicilia.
(5-01495)


   CAPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i pendolari che utilizzano quotidianamente il treno come mezzo di trasporto sulla tratta Brescia-Milano subiscono con troppa frequenza e da troppo tempo disagi a causa della soppressione dei treni, dei ritardi, delle pessime condizioni igieniche, del congelamento degli scambi nei mesi invernali e dei guasti agli impianti di riscaldamento delle carrozze vecchie e usurate;
   la tratta in questione è una delle più trafficate d'Italia ed è inaccettabile che i passeggeri debbano viaggiare regolarmente in vagoni sovraffollati, privi di servizi per i diversamente abili, ai quali, di fatto, non è garantito il diritto alla mobilità;
   il treno «regionale» delle 6,56 che parte da Brescia per Milano è in condizioni igieniche indecenti a causa della sosta notturna alla stazione di Brescia dove viene utilizzato come dormitorio da vagabondi e senzatetto;
   nonostante il servizio offerto agli utenti non migliori e i disagi si protraggano ormai da anni, le tariffe ferroviarie in Lombardia hanno subito un aumento straordinario del 10 per cento senza alcun incremento del servizio e della sua qualità, con l'introduzione di nuovi titoli che non portano alcun vantaggio ad una grossa fetta di pendolari che ogni giorno si recano nel capoluogo lombardo a lavorare o studiare;
   ad oggi, i viaggiatori lombardi pagano con biglietti e abbonamenti quasi il 40 per cento dei ricavi della società ferroviaria italiana e pretendono che agli aumenti dei biglietti corrisponda un miglioramento delle condizioni di viaggio, nuovi investimenti sul materiale rotabile, per la manutenzioni e la pulizia;
   l'Expo 2015 comporterà un aumento dei viaggiatori nelle tratte verso Milano –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda mettere in atto al fine di migliorare il servizio ferroviario nella tratta Brescia-Milano rispondendo alle esigenze dei numerosi pendolari che quotidianamente affollano la tratta, anche considerando la possibilità di affidare la gestione finanziaria, specie delle linee Trenord, interamente alla regione Lombardia al fine di rendere più efficiente ed efficace il servizio, individuando conseguentemente adeguate forme di copertura finanziaria.
(5-01496)


   ROTTA, LOTTI e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sul tema della sicurezza stradale si sono avuti numerosi interventi normativi negli ultimi anni, in coerenza con le indicazioni dell'Unione europea che inseriscono, con il piano d'azione stradale del 2010 e il libro bianco sui trasporti del 2011, tra gli obiettivi principali dell'Unione europea il dimezzamento del numero delle vittime degli incidenti entro il 2020;
   nel corso della XVI Legislatura è invece intervenuta, con la legge n. 120 del 2010 un'ampia riforma del codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992). Le principali modifiche hanno riguardato l'equipaggiamento e la sicurezza dei veicoli e della circolazione stradale e la modifica dell'apparato sanzionatorio. Tra queste si evidenziano: la modifica alle sanzioni per guida sotto l'influenza dell'alcool e di sostanze stupefacenti e l'introduzione del principio «chi guida non beve» che vale per i giovani di età compresa fra 18 e 21 anni, per i conducenti nei primi tre anni dal conseguimento della patente, nonché per chi esercita professionalmente l'attività di trasporto di persone o di cose: questi soggetti per non incorrere in alcuna sanzione dovranno comunque avere un tasso alcolemico pari a zero;
   ulteriori interventi legislativi hanno poi contribuito alla ridefinizione del quadro sanzionatorio correlato ai comportamenti più pericolosi dei conducenti. In particolare: il decreto-legge n. 92 del 2008 ha aggravato le pene per il delitto di omicidio colposo commesso in violazione delle norme sulla circolazione stradale, soprattutto se commesso da un soggetto in stato di ebbrezza alcolica o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti; la legge n. 94 del 2009 in materia di sicurezza pubblica, ha previsto l'aggravante della guida notturna per i reati di guida sotto l'influenza di alcool e di guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti ed ha esteso il periodo di revoca della patente per guida in stato di ebbrezza o alterazione per sostanze psicotrope;
   si continuano comunque a registrare episodi tragici come quello accaduto a Veronella (Verona) nella notte tra il 9 e il 10 novembre 2013, in cui quattro ragazzi tra i 17 e i 20 giovani, Enrico Boseggia, 20 anni, Nico Bottegal, 18, Anna Koudiakov, 18 e Michel Casarotto, 17, hanno perso la vita, uccisi dall'impatto della loro auto con quella guidata da un 31 enne, Roberto Tardivello Rizzi, che guidava ubriaco;
   in giurisprudenza permangono orientamenti difformi in ordine alla qualificazione dell'omicidio commesso in conseguenza dell'abuso di alcool o dell'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope ed in particolare se lo stesso debba essere qualificato come colposo ovvero caratterizzato da dolo eventuale o diretto;
   la recente giurisprudenza penale (Cassazione Penale, Sez. I, n. 23588/12 e Cassazione Penale, Sez. I, n. 10411/11) ha messo in proposito in evidenza che il dolo eventuale è caratterizzato dal fatto che chi agisce non ha il proposito di cagionare l'evento delittuoso, ma si rappresenta anche la semplice possibilità che esso si verifichi e ne accetta il rischio; quando invece l'ulteriore accadimento si presenta all'agente come probabile, non si può ritenere che egli, agendo, si sia limitato ad accettare il rischio dell'evento, bensì che, accettando l'evento, lo abbia voluto, sicché in tale ipotesi l'elemento psicologico si configura nella forma del dolo diretto e non in quella di dolo eventuale –:
   se, alla luce del monitoraggio dello stato di attuazione e degli effetti delle disposizioni introdotte tra il 2008 e il 2010, nonché degli orientamenti della giurisprudenza, si intendano assumere ulteriori iniziative volte a garantire una riduzione dell'incidentalità dovuta ad abuso di alcool o all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope. (5-01497)


   CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, CATALANO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Azienda tramvie ed autobus (ATAC) è una società per azioni di proprietà del comune di Roma, azionista unico. Concessionaria del trasporto pubblico romano, ogni giorno garantisce mediamente circa 4 milioni di spostamenti nella Capitale;
   pur avendo di fatto il monopolio della mobilità pubblica capitolina, l'ATAC ha un debito di un miliardo e 600 milioni di euro (bilancio ATAC 2012). Solo negli ultimi tre anni l'azienda ha registrato perdite pari a circa 650 milioni di euro. Questo enorme deficit è imputabile ad una gestione assolutamente dissennata dell'azienda da parte delle amministrazioni susseguitesi in questi anni. Gestione che ha raggiunto il suo apice sotto l'amministrazione Alemanno con lo scandalo cosiddetto di «parentopoli», dove l'organico aziendale è stato a dismisura gonfiato di quasi un migliaio di nuovi quadri amministrativi e dirigenziali attraverso assunzioni per chiamata diretta dimostratesi tutte legate ad esponenti del mondo politico del centro destra locale. Altri scandali hanno riguardato in questi anni i superstipendi e le liquidazioni d'oro dei manager (80 dirigenti) che hanno causato il pesante indebitamento dell'azienda;
   da tempo l'ATAC spa registra percentuali considerevoli di evasione tariffaria che secondo stime della stessa società ammonterebbero al 30/40 per cento circa dell'intero fatturato. Questo fenomeno è legato sia alla disorganizzazione aziendale, che a monte di un numero di quadri amministrativi e manager sovradimensionato impegna per le verifiche sui mezzi appena 70 unità di personale in una città come Roma che ha migliaia di corse quotidiane, che all'inadeguatezza e scarsa qualità dell'offerta, uomini in strada insufficienti e mezzi di trasporto obsoleti, che riduce la domanda di trasporto pubblico ad appena il 28 per cento degli spostamenti complessivi a fronte di una media europea superiore al 50 per cento;
   il 7 novembre 2013 il quotidiano la Repubblica ha diffuso la notizia di un'inchiesta giudiziaria relativa all'esistenza di un sistema interno di doppia contabilità volta a coprire l'immissione, nel circuito delle rivendite, di biglietti clonati che avrebbero, secondo stime dello stesso quotidiano, sottratto alla contabilità dell'azienda circa 70 milioni di euro annui. La portata del fenomeno è ulteriormente aggravata dall'ipotesi che questo sistema fosse noto da almeno un decennio e avesse goduto di una sorta di protezione «politica» in quanto volto al finanziamento illecito dei partiti che nell'ultimo quindicennio hanno governato l'amministrazione capitolina. Ipotesi queste, oggetto di riscontri da parte degli inquirenti, che se fossero confermate rappresenterebbero un vero e proprio sodalizio politico criminale bipartisan che non ha precedenti nella storia repubblicana;
   la relazione della Commissione d'inchiesta interna all'azienda istituita con provvedimento n. 0123987 del 4 agosto 2010, le cui risultanze hanno dato avvio all'indagine della Guardia di finanza e la denuncia alla procura della Repubblica di Roma, mette in luce chiaramente che il management dell'ATAC avesse da tempo evidenze inoppugnabili dell'esistenza della truffa dei «falsi biglietti» e che tuttavia decise di nascondere le prove alla magistratura inquirente, al consiglio di amministrazione dell'azienda e al suo unico azionista, il comune di Roma;
   dalla suddetta relazione, infatti, si evidenzia che già nel 2006 si erano registrati livelli insostenibili «di contraffazione di titoli di viaggio e di frode in genere» e che tale situazione continuava imperturbabile ai giorni nostri. Inoltre erano state individuate le cause all'origine delle criticità del sistema di sicurezza della bigliettazione elettronica e le iniziative necessarie da intraprendere per porvi rimedio. Precisamente la relazione evidenzia che «i...fattori combinati della possibilità di “modificare/alleggerire” il livello di controllo in ingresso ai tornelli dei biglietti ed il non automatico blocco del “vidimato non venduto” rappresentano una potenziale falla al sistema. Tale combinazione di fattori è resa ancora più critica dal fatto che tali processi insistono all'interno della medesima struttura organizzativa, non permettendo in questo modo alcun sistema terzo di controlli a sostanziale assenza di “segregazione di responsabilità”. Infatti i livelli di protezione/selezione in ingresso dei biglietti e la ricongiunzione amministrativa “vidimato/venduto” sono in capo ai medesimi soggetti: questa modalità di gestione della bigliettazione attraverso l'esistente sistema di black list non automatizzata che prevede l'inserimento manuale dei biglietti a cui deve essere negato l'accesso non permette di evitare l'esistenza di una bigliettazione parallela almeno fino a quando questa non viene scoperta». Ed è quello che è successo all'ATAC;
   l'intera vicenda è oggetto di indagine della magistratura che ha aperto ben due filoni di inchiesta, sui ticket falsi e sul blackout del software generatori. Quanto accaduto per la sua portata e gravità investe non solo le istituzioni locali ma anche il Governo e il Parlamento per il duplice motivo che l'ATAC, come in genere tutto il trasporto pubblico locale (TPL), è stato oggetto in questi anni di cospicui finanziamenti pubblici nazionali e regionali e per la possibilità che tale fenomeno non sia circoscritto o circoscrivibile alla realtà romana ma, viceversa, come modalità di finanziamento illecito della politica, sia esteso in altre parti d'Italia;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, all'articolo 16-bis, comma 1, successivamente sostituito dall'articolo 1, comma 301, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha istituito, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato, agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, al fine di assegnare contributi statali destinati a investimenti o a servizi in materia di trasporto pubblico locale e ferrovie regionali con l'obiettivo di indirizzare le regioni verso comportamenti sempre più performanti sotto il profilo dell'efficienza quali:
    a) un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico;
    b) il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;
    c) la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata;
    d) la definizione di livelli occupazionali appropriati;
    e) la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica;
   il 26 giugno 2013 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 148 il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013, di cui al comma 3 dell'articolo 16-bis del decreto di cui sopra, recante i criteri di efficientamento e razionalizzazione del settore, nonché le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse di cui al predetto Fondo;
   il comma 5 dell'articolo 16-bis di cui sopra dispone che con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare, sentita la Conferenza unificata, entro il 30 giugno di ciascun anno, sono ripartite le risorse del Fondo di cui sopra e che per l'anno 2013 il riparto delle risorse è effettuato sulla base dei criteri e delle modalità previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 3, previa adozione del piano di riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale e di trasporto ferroviario regionale da parte delle regioni a statuto ordinario;
   risulta agli interroganti essere stato già erogato alle regioni, per il 2013, un acconto pari al 60 per cento delle risorse stanziate in predetto fondo, senza che vi sia stata da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una puntuale verifica degli effetti dell'efficientamento e della razionalizzazione della riprogrammazione dei servizi, così come previsto dal comma 5 dell'articolo 16-bis;
   agli interroganti non risulta, infatti, pervenuto da parte della regione Lazio il piano di riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale e di trasporto ferroviario regionale;
   alla Camera dei deputati è in discussione il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 120 del 2013 recante «Misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica nonché in materia di immigrazione» in cui all'articolo 2, comma 6, si prevede che a decorrere dal 2013 alle regioni che presentano, in ciascuno degli anni dell'ultimo biennio di esecuzione del Piano di rientro, un disavanzo sanitario, decrescente e inferiore al gettito derivante dalla massimizzazione delle aliquote Irpef ed Irap, è consentita la destinazione del relativo gettito a finalità extrasanitarie e quindi anche al trasporto pubblico locale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente intervenire per rivedere, alla luce dei recenti fatti sopra esposti, i criteri contenuti nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013 e inserire, tra i requisiti per l'assegnazione di contributi statali al trasporto pubblico locale idonei criteri di trasparenza aziendale e di aumento dei livelli di sicurezza del sistema di bigliettazione elettronica volti ad impedire il ripetersi di fenomeni criminosi volti a distrarre ingenti risorse pubbliche a danno del nostro trasporto pubblico locale, nonché rispettare i criteri già stabiliti al fine di evitare di erogare ulteriori stanziamenti in assenza dei Piani di cui sopra. (5-01498)


   BERGAMINI e BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   per mitigare le conseguenze di gravi incidenti stradali nella Unione europea la Commissione europea ha adottato il 13 giugno 2013 due proposte volte a garantire che, entro ottobre 2015, le auto siano in grado di chiamare automaticamente i servizi di emergenza in caso di incidente grave;
   al fine di istituire e realizzare tale sistema, la Commissione propone due strumenti normativi: un regolamento sulle specifiche di omologazione per la diffusione del sistema eCall (che modifica la connessa direttiva 2007/46/CE), rendendo il veicolo idoneo per il sistema, ed una decisione sull'introduzione della chiamata di emergenza (eCall) interoperabile per rendere le infrastrutture pubbliche idonee ad interagire col sistema eCall;
   una volta che Consiglio e Parlamento europeo avranno approvato le proposte formulate il 13 giugno, la Commissione intende fare in modo che il servizio eCall sia pienamente operativo in tutta l'unione europea (nonché Islanda, Norvegia e Svizzera) entro il 2015;
   i sistemi eCall raccolgono dati sull'incidente (detti «MDS», minimum data set) e creano un collegamento telefonico con centrali operative pubbliche o private cui inviano anche il MDS. Esistono due diverse modalità per l'implementazione del servizio di eCall a bordo dei veicoli; il cosiddetto «eCall 112», grazie al quale, in caso di incidente, il MDS e la chiamata vengono indirizzate alle autorità di pubblica sicurezza (detti «PSAP», Public safety answering point) ed il cosiddetto «TPS eCall» che, in caso di incidente, invia MDS e chiamata a centrali operative private che valutano l'entità e la tipologia di incidente e smistano la chiamata all'autorità (polizia, ambulanza, e altro) o al servizio più opportuno (Carro attrezzi, e altro);
   nelle proposte finora adottate dalla Commissione europea non è previsto il TPS eCall come alternativa all’eCall 112;
   il sistema eCall 112 ha il vantaggio di creare un collegamento diretto tra il veicolo incidentato e le autorità di pubblica sicurezza, ma alla prova dei fatti ha dimostrato di comportare svantaggi quali: circa 70 per cento di chiamate «false» (dati dichiarati da Bosch e Autorità francesi); sovraccarico dei centralini delle autorità di pubblica sicurezza per incidenti che non avrebbero necessitato dell'intervento di dette autorità; necessità di dotare tutti i centralini delle autorità di pubblica sicurezza della strumentazione necessaria a leggere il MDS inviato dai veicoli e necessità della presenza di personale multilingua presso i centralini dell'autorità di pubblica sicurezza;
   in Italia emergerebbe poi l'ulteriore difficoltà legata al fatto che l’eCall 112 invia la chiamata alla numerazione 112 che nel nostro Paese corrisponde al numero d'emergenza dei Carabinieri, che non hanno competenza specifica sulla sicurezza stradale e non possono intervenire su incidenti avvenuti lungo la rete autostradale che è di competenza dell'apposito corpo della Polizia di Stato;
   il sistema TPS eCall è invece già sperimentato ed operativo da circa dieci anni ed è oggi quello adottato dalla quasi totalità delle case automobilistiche europee così come da compagnie assicurative e di servizi –:
   se non ritenga di dover avviare un tavolo di confronto con le autorità ed i principali operatori del settore in Italia, quali la polizia di Stato, le case automobilistiche, l'Automobile club d'Italia, produttori di tecnologia e fornitori di servizi eCall per verificare quanto sia realistica la possibilità che nel nostro Paese possa trovare implementazione la tecnologia eCall 112, stimare i costi che essa comporterebbe e assumere le opportune iniziative per rappresentare in sede di Unione europea la posizione italiana rispetto alle tematiche sopra esposte.
(5-01499)

Interrogazione a risposta scritta:


   BONAFEDE, SEGONI e ARTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il settore valutazione di impatto ambientale/valutazione ambientale strategica della direzione tecnica ARPAT (azienda regionale per la protezione ambientale della Toscana) ha recentemente elaborato una nota, riferita alla valutazione dei dati e dei report di monitoraggio idrogeologico trasmessi da Italferr relativi al periodo 1/1/2012 – 31/3/2013 ed inerente all'attività dei cantieri per il nodo ferroviario alta velocità di Firenze;
   la citata nota denuncia una condizione particolarmente allarmante sotto il profilo della sostenibilità idreogeologica dei cantieri certificando che, pur in presenza di lavori sostanzialmente fermi e con le sole poche opere realizzate, non si riesca a ripristinare a valle il livello della falda acquifera precedente allo scavo del tunnel, registrando in particolare che tale falda si sia alzata risentendo dell'effetto barriera dei diaframmi, che i pozzi non funzionano sufficientemente e che la stessa acqua di falda risulta contaminata;
   nello specifico, ARPAT valuta che «Sulla base delle elaborazioni, si evincono alcuni dati anomali, in taluni casi localizzati e quindi presumibilmente riconducibili ad attività di cantiere» come, ad esempio, «un aumento di torbidità che appare decisamente localizzato nelle vicinanze del cantiere passante AV» o altresì, che «per quanto riguarda i livelli piezometrici, presso la zona di Campo di Marte (area del cantiere) si conferma un sostanziale aumento del dislivello piezometrico fra monte e valle dell'opera» ed ancora, «per quanto riguarda l'area della stazione, viene evidenziata la difficoltà dell'attuale sistema di continuità della falda a raggiungere una effettiva mitigazione dell'effetto barriera dovuto alla realizzazione dei diaframmi della nuova stazione AV.»;
   secondo uno studio della facoltà di architettura dell'università di Firenze, le anomalie oggi riscontrate da ARPAT connesse alla falda acquifera che incrocia i lavori per lo scavo del tunnel in questione, ove l'opera venisse condotta sino al suo compimento, potrebbero configurare un rischio strutturale per la città dalle incalcolabili conseguenze sulla stabilità di interi quartieri ed isolati, per via di un possibile sprofondamento del terreno ed un generalizzato innalzamento del rischio sismico;
   a fronte delle riportate valutazioni formulate, la stessa ARPAT segnala all'Osservatorio ambientale del nodo alta velocità di Firenze di procedere celermente al nuovo dimensionamento della batteria di pompe di presa e resa facenti parti del sistema di continuità, nonché di operare una complessiva rivalutazione dei sistemi di continuità della falda;
   i lavori per il passante Tav, oltre ad aver subito un innalzamento incontrollato dei costi di realizzazione dell'opera passando dai 685 milioni di euro nel 2007 agli oltre 1,7 miliardi di euro attualmente stimati, presentano, a monte, gravi carenze autorizzative legate al progetto, come la mancanza totale di valutazione di impatto ambientale per la nuova stazione alta velocità o l'assenza di nulla osta paesaggistico ed, a valle, numerose problematicità che si assommano agli allarmanti esiti dei rilevamenti idrogeologici conseguenti allo scavo del tunnel ricordati in premessa, come ad esempio, la questione delle terre di scavo prodotte dalla fresa, le quali per essere dichiarate «non rifiuti» dovrebbero per legge essere sottoposte ad analisi specifiche e aggiornate le quali tuttavia non risultano previste nei lavori in questione;
   gli stessi lavori, sotto il profilo politico-amministrativo sono stati nel mese di settembre 2013, oggetto di un vasto scandalo dai risvolti giudiziari che ha visto coinvolti nelle indagini, ben trentuno soggetti fra i quali la presidente di Italferr ed ex presidente della regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, posta ai domiciliari con altri cinque accusati di associazione a delinquere finalizzata a corruzione e abuso d'ufficio: il geologo siciliano già dirigente Ds poi Pd a Palermo Gualtiero (detto Walter) Bellomo, membro della commissione Via (valutazione impatto ambientale) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; Furio Saraceno, presidente di Nodavia; Valerio Lombardi, ingegnere di Italferr; Alessandro Coletta, consulente, ex membro dell'Autorità per la di vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture Aristodemo Busillo, della società Seli di Roma che gestisce la grande fresa sotterranea per realizzare il tunnel Tav a Firenze e che venne posta sotto sequestro dalla magistratura. Gli indagati, secondo il gip di Firenze, «grazie al ruolo» di presidente di Italferr e «alle entrature politiche» di Maria Rita Lorenzetti perseguivano «obiettivi precisi di comune interesse che diventano per ciò stesso le finalità dell'organizzazione criminale», come in occasione delle pressioni volte ad ottenere un decreto che mutasse la qualifica giuridica delle terre di scavo da rifiuti, da smaltire in discariche apposite, a «sottoprodotti» da poter trattare come normali inerti; oppure per conseguire un'autorizzazione paesaggistica dell'opera, in scadenza, oltreché «ottenere il massimo riconoscimento possibile delle riserve contrattuali poste dagli appaltatori per una maggiorazione delle spettanze per centinaia di milioni» –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle allarmanti considerazioni formulate dall'ARPAT della regione Toscana riferite alla valutazione dei dati e dei report di monitoraggio idrogeologico – relativi al periodo 1o gennaio 2012 – 31 marzo 2013 – inerenti all'attività dei cantieri per il nodo ferroviario alta velocità di Firenze e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   quali opportune misure intenda adottare volte al tempestivo e duraturo ripristino della sicurezza strutturale dell'area della città di Firenze interessata dai lavori per il tunnel del sottoattraversamento ferroviario dell'alta velocità;
   se, alla luce di quanto premesso, non ritienga di dover abbandonare il progetto del sottoattraversamento ferroviario dell'alta velocità della città di Firenze, dirottando altresì le risorse destinate a tale opera allo sviluppo del trasporto regionale e dell'intero nodo fiorentino di superficie.
(4-02578)

INTEGRAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per l'integrazione, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la denuncia di don Mussie Zerai, il sacerdote eritreo presidente e fondatore dell'Agenzia umanitaria Habesshia per la cooperazione allo sviluppo che, dalle pagine del Secolo XIX e da quelle del sito della sua associazione, ha richiamato l'attenzione sul fatto che circa dieci giorni dopo la morte dei 365 migranti nella tragedia di Lampedusa, non appena l'attenzione mediatica iniziava a calare, Zemede Tekle, il diplomatico che a Roma rappresenta il Governo eritreo, ovvero il regime dittatoriale di Isaias Afewerki, si sarebbe recato a Lampedusa per portare, in via ufficiale, il sostegno e la solidarietà ai sopravvissuti, ma in realtà con ben altri intenti;
   al suo seguito si sarebbe presentata Aster Tesfamariam, quale responsabile della comunità eritrea in Europa, nota invece per essere una collaboratrice dell'ambasciatore, nonché Tedros Goytom, responsabile giovanile del partito al potere;
   come anche riportato dal giornalista Corrado Giustiniani nelle pagine del suo blog su l'Espresso, sembrerebbe che l'ambasciatore e i suoi accompagnatori/collaboratori, dietro l'apparente testimonianza di solidarietà, abbiano invece cercato di raccogliere e schedare i nomi dei sopravvissuti e avrebbero cercato di sapere dagli stessi i nomi dei defunti per comunicarli al regime di Isaias Afewerki;
   in Eritrea, come noto, vige un regime politico che limita ogni libertà, totalitario, sanguinario, che avrebbe fatto guadagnare al Paese il non raccomandabile titolo di «Nord Corea africana»;
   i sopravvissuti alla drammatica vicenda di Lampedusa, esasperati dal regime sanguinario di Afewerki, tanto da aver affrontato un viaggio verso l'ignoto proprio per sfuggire allo stesso, e ancora traumatizzati per la tragedia di inizio ottobre nella quale hanno perso fratelli, sorelle, figlie e genitori, hanno comprensibilmente rifiutato qualsiasi incontro con il diplomatico;
   mentre l'ambasciatore di Asmara, Tekle, girava indisturbato con il suo gruppo per Lampedusa a schedare i sopravvissuti, la ministra Kyenge avrebbe ricevuto, forse per un errore, in buona fede, i rappresentanti della comunità eritrea capeggiati dal Signor Deres Araya, residente da molti anni in Italia, che proprio don Mussie Zerai descrive quale «il vero sostenitore e finanziatore del regime eritreo che è il più sanguinario e totalitario dell'Africa dei nostri tempi» –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interpellato sui fatti riferiti in premessa;
   se si intendano adottare misure e, in caso affermativo, di quale genere e in quali tempi, per verificare se l'ambasciatore Tekle e il suo seguito abbiano schedato i fuggitivi eritrei che, in quanto richiedenti asilo politico in Europa, non possono che essere visti dal regime di Aferweki come ribelli, con tutte le intuibili conseguenze circa l'incolumità dei familiari rimasti nel territorio eritreo.
(2-00311) «Migliore, Costantino, Pilozzi, Fratoianni, Palazzotto».

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto la riduzione delle risorse destinate ai comuni per un importo pari a 2 miliardi e 250 milioni di euro per l'anno 2013;
   la situazione della finanza pubblica locale risulta estremamente complessa, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione dei trasferimenti erariali, sia per il fatto che le amministrazioni locali, proprio per sopperire a tali deficit, in numerosi casi potrebbero essere costrette a rivedere in aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU;
   la difficoltà attuale degli enti locali è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente variabile ed incerto, soprattutto con riferimento al gettito della imposta municipale propria, e questo ha portato al differimento del termine per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013;
   il decreto-legge n. 102 del 2013 reca una ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute, del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2013 degli enti locali, fissandolo alla data del 30 novembre 2013, facendo così coincidere tale adempimento con l'approvazione dell'assestamento di bilancio, e l'ulteriore proroga deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull'entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative apportate in corso d'anno nella materia;
   il decreto-legge n. 54 del 2013 ha sospeso – per l'anno 2013 – il versamento della prima rata dell'IMU per determinate categorie immobiliari e, secondo quanto previsto dal decreto-legge stesso, tale sospensione opera nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni princìpi;
   la compensazione disposta copre solo parzialmente le risorse incassate dai comuni per il gettito IMU complessivo incassato nel 2012 che, ad aliquota standard del 4 per mille, ammontava per il comparto a circa 3,8 miliardi di euro e, mentre i comuni che hanno già approvato il bilancio di previsione hanno già impegnate, quando non spese, le risorse iscritte in funzione del gettito IMU previsto ad inizio anno, i comuni che devono ancora predisporre i bilanci preventivi non hanno ad oggi conoscenza precisa delle risorse che saranno loro a disposizione come ristoro per il mancato incasso dell'imposta municipale propria;  questo potrebbe comportare gravi situazioni di squilibrio economico finanziario nel caso in cui il rimborso non fosse in linea con le previsioni attese;
   l'articolo 1, comma 380, lettera b) della legge 24 dicembre 2012, n. 228, prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, del fondo di solidarietà comunale il quale è alimentato con una quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, definita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-città ed autonomie locali;
   il citato articolo 1, comma 380, lettera b) della legge n. 228 del 2012, che dispone che con il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti i criteri di formazione e di riparto del fondo di solidarietà comunale, tenendo anche conto per i singoli comuni degli effetti finanziari derivanti dalle disposizioni di cui alle lettere a) ed f) del medesimo comma 380, della definizione dei costi e dei fabbisogni standard, della dimensione demografica e territoriale, della dimensione del gettito dell'imposta municipale propria ad aliquota base di spettanza comunale, della diversa incidenza delle risorse soppresse di cui alla lettera e) sulle risorse complessive per l'anno 2012, delle riduzioni di cui al comma 6 dell'articolo 16 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dell'esigenza di limitare le variazioni, in aumento ed in diminuzione, delle risorse disponibili ad aliquota base, attraverso l'introduzione di un'appropriata clausola di salvaguardia;
   sono state recentemente comunicate ai comuni le risorse a valere sul fondo sperimentale comunale 2013, determinate sui criteri sopra descritti, e in numerosi enti tali risorse ammontano a zero;
   in numerosi casi, tuttavia, gli enti locali, soprattutto in Veneto, stando a tali quantificazioni, si ritrovano nella paradossale situazione di dover restituire allo Stato risorse, così che, di fatto, il valore del FSC 2013 loro spettante risulta oggi negativo;
   l'articolo 2-bis del decreto-legge n. 102 del 2013 stabilisce come, nelle more di una riforma complessiva della tassazione immobiliare, con riferimento alla seconda rata dell'anno 2013 dell'IMU, i comuni possano equiparare all'abitazione principale le abitazioni non di lusso concesse in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, e a ciascun comune spetta la definizione di criteri e modalità per l'applicazione dell'agevolazione, anche con riferimento al limite dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al quale subordinare la fruizione del beneficio;
   il comma 2 del provvedimento stabilisce anche il ristoro a favore dei comuni del minor gettito derivante dalla disposizione, nella misura massima di 18,5 milioni di euro per l'anno 2013 e la copertura necessaria è rinvenuta nella riduzione lineare delle dotazioni finanziarie di ciascun Ministero;
   i comuni possono modificare le aliquote di imposta, in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge e comunque entro il termine massimo del 30 novembre, ma, alla luce delle evidenti difficoltà di redigere i bilanci previsionali, peraltro resa più complessa dal fatto che a fronte della vigente normativa sugli immobili D il cui gettito da quest'anno sarà interamente riversato nelle casse dell'erario, è presumibile supporre come numerosi enti locali saranno costretti ad aumentare le aliquote su tutto gli altri immobili al fine di compensare il gettito oggi mancante a seguito delle disposizioni dello Stato centrale, determinando così un aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini –:
   se non ritenga opportuno, alla luce dell'incertezza relativamente alle risorse economiche a disposizione dell'ente e della imminente scadenza del 30 novembre, precisare chiaramente quando verranno comunicate agli enti locali le risorse a valere per l'esercizio 2013 per la compensazione della prevista soppressione della seconda rata IMU sulla abitazione principale;
   se si intendano rivedere le metodologie e i criteri con i quali sono state definite le risorse del fondo di solidarietà comunale 2013, in particolar modo verificando i casi di quei comuni che oggi sono nella situazione di restituire parte delle risorse allo Stato;
   se si intendano adottare iniziative normative per garantire il ristoro a favore di quei comuni che hanno equiparato, per il 2013, le abitazioni principali non di lusso concesse in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, precisando altresì i criteri e le modalità con i quali si provvederà al riparto di tali risorse.
(2-00310) «Giancarlo Giorgetti, Busin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE, ARTINI, BONAFEDE, GAGNARLI e SEGONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un comunicato della segreteria provinciale del Co.I.S.P. di Arezzo, la stazione di polizia di Poppi (AR), risulta in condizioni preoccupanti e inaccettabili per la sicurezza degli agenti di polizia e per lo svolgimento del servizio stesso;
   il decreto legislativo n. 626 del 1994 e il decreto legislativo n. 81 del 2008, definiscono gli obblighi cui deve ottemperare il datore di lavoro al fine di garantire un'adeguata sicurezza e salute sui luoghi di lavoro;
   il 17 ottobre 2013 è stata effettuata una visita ispettiva dal sopracitato organismo al fine di verificare le condizioni della struttura ed eventuali carenze sul piano della sicurezza dei lavoratori, rilevando:
    presenza di schedari e faldoni posizionati ad altezze tali da renderne pericoloso il loro utilizzo;
    interruttori di accensione della luce posizionati dietro armadi e dietro porte;
    interruttori mancanti e non funzionanti con fili elettrici che fuoriescono pericolosamente dal muro;
    mancanza di lampade di emergenza;
    mancanza di aperture anti-panico;
    presenza di materiale infiammabile, posto all'interno del locale del garage, attiguo a taniche di idrocarburi;
    locale adibito a spogliatoio femminile privo di porte;
    problemi di riscaldamento e costi elevati dello stesso dovuti alla presenza di un'unica caldaia che opera sia per alloggi di servizio, sia per altre stanze ad uso del personale maschile;
   a parere degli interroganti i luoghi di lavoro dovrebbero essere adeguati e rispettosi delle norme di sicurezza al fine di garantire un corretto svolgimento del lavoro da parte degli agenti di polizia;
   la situazione suddetta non è certamente un caso isolato ma rispecchia la situazione di molti altri distaccamenti di polizia sparsi sul territorio italiano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle motivazioni di tale stato di degrado della struttura stessa e se possa fornire ulteriori chiarimenti specifici in relazione ad eventuali responsabilità da parte della dirigenza provinciale;
   quali urgenti e mirate misure il Ministro intende mettere in atto per arginare la situazione suddetta e tutte le situazioni analoghe, al fine di garantire la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e la facilitazione del corretto svolgimento del lavoro da parte dei soggetti che usufruiscono delle strutture interessate. (5-01487)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il mercato della prostituzione risulta essere in costante e diffusa crescita. Il web si afferma come uno degli strumenti principali di vetrina dell'offerta di questo tipo di mercato;
   un recente studio del dipartimento di scienze giuridiche dell'università di Trento stima il giro d'affari della prostituzione attraverso i mezzi informatici in una cifra superiore al miliardo di euro, circa un quinto dell'intero valore del mercato della prostituzione;
   secondo tale studio la stima minima parla in tutto di 130mila clienti italiani che si rivolgono alle 9750 prostitute che si pubblicizzano online e consumano in media 390mila prestazioni sessuali al mese;
   la promozione di tale mercato coinvolge i social network, ma si concentra principalmente su siti dedicati ed indicizzati. Spesso gli intestatari di tali siti risultano essere cittadini stranieri in forma di prestanome. La difficoltà nel rintracciare i reali amministratori, oltre a creare notevoli problemi nell'accertare responsabilità legati a favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione, porta ad un'elusione fiscale stimata in 50 milioni di euro all'anno;
   i recenti fatti di cronaca ed il loro clamore, hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale quanto il fenomeno sia radicato e diffuso –:
   quali azioni intenda adottare per contrastare il fenomeno della prostituzione, in particolare con iniziative volte a regolamentare il fenomeno dei siti web della tipologia sopradescritta, con specifico riferimento alla loro diffusione, alla loro accessibilità e al fenomeno di elusione fiscale ad essi correlato. (4-02562)


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nonostante l'articolo 8 del decreto-legge 101 del 2013 convertito dalla legge 125 del 2013 abbia previsto un incremento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco al fine di garantire gli standard operativi e i livelli di efficienza ed efficacia incrementando l'organico di 1.000 unità, la funzionalità del predetto Corpo permane;
   per la copertura dei posti portati in aumento nella qualifica di vigile del fuoco è stata autorizzata l'assunzione di un corrispondente numero di unità mediante il ricorso in parti uguali alle graduatorie di cui all'articolo 4-ter del decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 131, approvate dal 1° gennaio 2008, attingendo a tali graduatorie fino al loro esaurimento prima di procedere all'indizione di un nuovo concorso;
   l'articolo 66, comma 9-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», in materia di turn over prevedeva che: «A decorrere dall'anno 2010 i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco possono procedere, secondo le modalità di cui al comma 10, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente»;
   tale disposizione, per esigenze di contenimento della spesa pubblica, è stata modificata dal decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», cosiddetta spending review, che, all'articolo 14, comma 2, ha limitato ai soli anni 2010 e 2011, per i corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la possibilità di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente e stabilito, invece, che la predetta facoltà assunzionale è fissata nella misura del 20 per cento per il triennio 2012-2014, del 50 per cento nell'anno 2015 e del 100 per cento solo a decorrere dall'anno 2016;
   con la modifica all'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2008, introdotta dalla cosiddetta spending review, si riduce il turn over, per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dall'attuale percentuale del 100 per cento al 20 per cento nel triennio 2012-2014 e al 50 per cento nell'anno 2015, ripristinandolo completamente solo a decorrere dall'anno 2016;
   questo rischia di compromettere seriamente la funzionalità delle strutture dedicate alla tutela all'incolumità dei cittadini;
   la contrazione del turn over comporterà la necessità di ridimensionare le dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, incidendo sull'efficienza delle strutture operative direttamente destinate alla tutela dell'ambiente e della salute, al soccorso e alla salvaguardia delle vite umane;
   se, da un lato, quindi, è necessario concorrere al risanamento della finanza pubblica attraverso una radicale revisione della spesa generale ai fini di aumentarne l'efficacia e l'efficienza, dall'altro lato, questa esigenza va contemperata con il rispetto di principi costituzionalmente riconosciuti e con la garanzia della funzionalità di strumenti a difesa della sicurezza, dell'ordine pubblico e dell'incolumità dei cittadini, onde evitare che i costi della possibile riduzione della qualità del vivere civile e dell'immaginabile rischio del diffondersi della criminalità, comune e organizzata, non siano più elevati di quanto lo siano i risparmi quantificati con la riduzione del turn over –:
   quali iniziative, anche di natura normativa, il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere affinché si possa addivenire ad un giusto contemperamento tra le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica e di funzionalità delle strutture impiegate nella tutela dell'incolumità pubblica, promuovendo specifiche modifiche alle disposizioni che stabiliscono la drastica contrazione del turn over per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e prevedendo il ripristino immediato del turn over al 100 per cento rispettando le legittime aspettative di chi ha investito tempo e risorse nella formazione ai fini di servire il proprio Stato. (4-02566)


   PIRAS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno, ai sensi dell'articolo 11 della legge 13 maggio 1961, n. 469, ha il potere di stabilire con decreto il numero, le sedi e le circoscrizioni territoriali dei distaccamenti e dei posti di vigilanza dei vigili del fuoco;
   il Ministero dell'interno anima le proprie scelte in relazione alle esigenze delle zone interessate, tenuto conto dello sviluppo industriale, della distanza da altre sedi dei servizi antincendi, della natura dei luoghi e degli interventi effettuati nel corso dell'ultimo quinquennio;
   sulla base di tali valutazioni il Ministero con decreto n. 294/87635 del 3 febbraio 2006 istituiva il distaccamento misto dei vigili del fuoco di Bono, dipendente dal comando provinciale di Sassari;
   a quanto consta all'interrogante, ad oggi al decreto non è stata data attuazione;
   la proposta di istituire il distaccamento misto dei vigili del fuoco di Bono è stata avanzata dal comando provinciale di Sassari, competente per territorio;
   il comando provinciale, data la competenza territoriale, è anche il destinatario dell'ordine di istituzione, unitamente al comando regionale;
   i comandi, per quanto consta all'interrogante non hanno il diritto/potere di disattendere gli ordini provenienti dal Ministero dell'interno;
   ad oggi non si è data attuazione al decreto n. 294 del 2006 istitutivo del distaccamento misto dei vigili del fuoco di Bono;
   ciò arreca un danno elevato a tutto il territorio il quale, come ben noto, nella stagione degli incendi è interessato da situazioni di emergenza di difficile gestione, posto che la sede provinciale dei vigili del fuoco più vicina si trova ad Ozieri, ossia a circa 30 chilometri di distanza;
   aggiungasi che la realizzazione del distaccamento di Bono, data la particolare conformazione del territorio, nonché l'elevato numero di incendi, risponderebbe anche alle esigenze di sicurezza di tutta la popolazione goceanina;
   inoltre, moltissimi cittadini sardi, impiegati nel Corpo dei vigili del fuoco, prestano servizio fuori dalla Sardegna e un'occasione del genere, anche attraverso lo strumento della mobilità, potrebbe consentire ad alcuni di essi di rientrare nella loro terra e servire il loro territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fatto che le disposizioni previste dal decreto n. 294/87635 del 3 febbraio 2006 sono state, per quanto risulta all'interrogante, ad oggi disattese;
   quali siano le motivazioni per le quali ad oggi non si è provveduto all'attuazione del decreto istitutivo del distaccamento misto di Bono;
   quali siano le tempistiche per dare immediata attuazione al suddetto decreto.
(4-02568)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in atto a Lipomo, comune della cintura comasca, una significativa offensiva della criminalità, che si sta concretizzando soprattutto nell'intensificazione dei furti compiuti negli appartamenti;
   secondo la stampa locale, nell'arco di una sola notte recente sarebbero state messe a segno ben dieci effrazioni, dato il cui significato può esser meglio compreso se si tien conto che Lipomo ha meno di seimila abitanti. È stata violata anche l'abitazione di un assessore;
   stando alle medesime fonti della stampa locale, i furti nelle case lipomesi sarebbero stati non meno di un'ottantina negli ultimi due mesi;
   il degrado della sicurezza a Lipomo è motivo di crescente allarme sociale, al punto che per fronteggiare l'emergenza i giovani lipomesi si sono organizzati autonomamente, dando vita ad una forma di perlustrazione mobile delle zone più bersagliate dai furti notturni;
   la circostanza è stata tuttavia stigmatizzata dal prefetto di Como, che ha creduto di riconoscervi gli estremi di un comportamento non conforme alla legge, chiedendo contestualmente ai cittadini lipomesi di aver fiducia nel rafforzamento dei presidi delle forze dell'ordine e di limitarsi a segnalare i comportamenti sospetti;
   il medesimo prefetto, tuttavia, ha riconosciuto che «l'incremento seriale di furti non fa dormire nessuno sereno» –:
   quali siano le ragioni per le quali un monitoraggio attivo, mobile ma circoscritto, e non armato da parte di giovani cittadini, laddove si limiti a segnalare alle forze dell'ordine comportamenti sospetti, sarebbe illegale, mentre l'osservazione di chi resta alla finestra non lo sarebbe; di quale consistenza organica sarebbero i rinforzi assegnati ai presidi delle forze dell'ordine di Lipomo ed, infine, se non si ritenga opportuno, a fronte della loro palese insufficienza, di procedere al loro ulteriore incremento. (4-02572)


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconosce anche ai fini della tutela economica, pensionistica e previdenziale «la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti»;
   la predetta disposizione fornisce una cornice di riferimento per l'intero quadro normativo riguardante le Forze armate, le Forze di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ma è, altresì, norma programmatica, in quanto prevede, altresì, che (comma 2 del predetto articolo 19) la disciplina attuativa del predetto principio di specificità «è definita con successivi provvedimenti legislativi»;
   il concetto di specificità, sopra enucleato, del comparto sicurezza-difesa e del comparto dei vigili del fuoco e del soccorso pubblico mira proprio a rappresentare la condizione peculiare del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è assoggettato ad un complesso di limitazioni e obblighi del tutto peculiari, nonché ad una condizione di impiego altamente usurante che presuppone il costante possesso di particolare idoneità psicofisica e il mantenimento di standard di efficienza operativa periodicamente verificati e testati, con controlli medici, prove fisiche, severe attività addestrative;
   le statistiche rivelano che ogni anno centinaia di militari/agenti/vigili perdono, in conseguenza del servizio e per diretto effetto di attività operative ed addestrative, i requisiti di idoneità al servizio, con conseguente cessazione dal servizio attivo, o addirittura pagano con la vita l'adempimento del proprio dovere;
   a distanza di ben tre anni dall'entrata in vigore del richiamato provvedimento di legge, non è stata programmata alcuna attività di propedeutico confronto con le organizzazioni sindacali volta a soddisfare l'ormai improcrastinabile necessità di dare attuazione alla specificità, cominciando dalla ridefinizione delle carriere dei vigili del fuoco per poi affrontare le numerose altre tematiche quali la previdenza complementare, l'armonizzazione del sistema previdenziale e di quello retributivo alle forze armate ed alle forze di polizia, la mancanza di una assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere, alla luce dei fatti esposti in premessa, per dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 riconoscendo attraverso la specificità la peculiare condizione del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei vigili del fuoco.
(4-02576)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il dramma ambientale che vive la Campania è ormai chiaro e sotto gli occhi di tutti;
   in un documento del 6 ottobre 2010 della Defence logistics agency è riportato un capitolato d'appalto per la gestione, il caricamento, lo scarico, la rimozione, il trasporto, lo stoccaggio e lo smaltimento delle sostanze pericolose delle installazioni Usa in Italia;
   le città coinvolte sono Aviano, Livorno, Sigonella, Vicenza e Napoli, ovvero le sedi delle principali basi;
   nell'allegato al bando c’è il dettaglio delle sostanze prodotte da smaltire: più di dieci tonnellate di batterie esauste di ogni tipo, centinaia di chili di acidi inorganici, ammoniaca, agenti decontaminati, solventi (quasi due tonnellate all'anno solo dalle basi di Sigonella e Napoli), idrocarburi aromatici (benzene e xilene), metalli pesanti come il cromo esavalente, il cromo, il mercurio e il piombo, il Pcb, pesticidi ed erbicidi, lubrificanti, oli esausti ed altri veleni;
   il documento in questione specifica nei dettagli come dovranno essere smaltite le scorie pericolose: trattamento, incenerimento e discariche;
   tutte le sostanze in questione vengono smaltite in Italia;
   è vietato smaltire i rifiuti nelle stesse basi, ma, nel caso di controversie di qualsivoglia tipo, a decidere non possono essere i tribunali italiani, bensì un apposito foro statunitense;
   ciò riporta alla mente il caso della nave «Lynx», che nel febbraio 1986 partì dal porto di Marina di Carrara con un carico di migliaia di fusti tossici diretti in Venezuela;
   dopo un anno e mezzo, difatti, quei rifiuti tornarono in Italia con la nave Zanoobia, sbarcata a Genova;
   nella perizia effettuata all'arrivo risultano anche residui di rifiuti partiti dalle basi militari americane, che hanno utilizzato gli stessi canali delle aziende chimiche italiane dell'epoca, finendo sulle colline di una spiaggia venezuelana, abbandonati e non controllati;
   negli anni successivi il Governo italiano ha chiamato in causa i produttori e il trasportatore dei fusti, chiedendo i danni derivati da quel traffico di veleni;
   tutti i soggetti coinvolti sono finiti davanti al tribunale civile, ad eccezione degli statunitensi;
   dopo la convenzione di Basilea sul traffico transfrontaliero dei rifiuti le cose sono parzialmente cambiate, poiché ora la gestione delle scorie pericolose delle basi USA viene affidata a società che lavorano soprattutto con gli impianti italiani ed europei;
   una delle società in questione è, ad esempio, la bresciana Ecoservizi, che secondo fonti autorevoli consultate dal quotidiano Il Manifesto ha avuto in gestione lo smaltimento dei rifiuti pericolosi della base Camp Darby, tra Livorno e Pisa, quando era ancora controllata da uomini della Compagnia delle opere, braccio economico di Comunione e liberazione;
   tale società si avvaleva di diverse discariche per rifiuti pericolosi a Brescia, una delle quali è stata chiusa nel 2000 perché ad alto rischio ed attualmente in attesa di bonifica;
   mentre il dipartimento di Stato per la difesa spende trenta milioni di dollari in studi pensati per tutelare la salute dei militari e delle loro famiglie in servizio a Napoli, molto più difficile è rintracciare informazioni sulla filiera di smaltimento delle scorie prodotte dalle basi americane, nonostante si tratti di materie estremamente pericolose, che richiederebbero la massima trasparenza, a partire dai nomi dei contractor;
   anche l'informazione sull'impatto ambientale della presenza militare statunitense e Nato nel nostro Paese dovrebbe essere trasparente;
   nel Rapporto sullo stato dell'ambiente del comune di Pisa del 2006, Camp Darby appare diverse volte nell'elenco dei siti da bonificare, con segnalazioni di perdite di idrocarburi e problemi alla piattaforma per lo stoccaggio dei rifiuti pericolosi;
   tali fatti sono narrati nell'articolo pubblicato dal quotidiano Il Manifesto in data 16 novembre 2013 dal titolo «Quanto inquinano gli americani» –:
   se i Ministri, per quanto di competenza, siano a conoscenza dei fatti narrati;
   quali azioni si intendano intraprendere per verificare l'impatto ambientale della presenza militare statunitense e Nato nel nostro Paese. (4-02577)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'8 novembre 2013 il Consiglio dei ministri ha cominciato l'esame collegato alla legge di stabilità, che delega il Governo ad adottare, entro 9 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, «uno o più decreti legislativi al fine di provvedere al riassetto ed alla codificazione delle disposizioni vigenti in materia di istruzione, università e ricerca»;
   in particolare, per il settore istruzione, le materie oggetto di tale «riassetto» dovrebbero essere il reclutamento del personale, gli organi collegiali, lo stato giuridico e il trattamento economico del personale della scuola;
   per quanto attiene al reclutamento del personale scolastico, sembra che sia nell'intenzione del Ministro avviarne una riforma organica «anche attraverso il ricorso al corso-concorso per l'accesso all'insegnamento presso le istituzioni scolastiche»; espressione che, tra l'altro, lascia pensare alla volontà di introdurre la cosiddetta «chiamata diretta» degli insegnanti da parte del dirigente scolastico; una via già tentata e non riuscita durante la scorsa legislatura nella regione Lombardia e contro cui si è scagliato unanime il dissenso del mondo della scuola, consapevole del rischio per il sistema di istruzione pubblico, di non essere più in grado di garantire il rispetto del principio del merito nella scelta degli insegnanti, e di vedere sacrificate anche le logiche del clientelismo locale;
   per quanto riguarda la riforma degli organi collegiali, nella bozza del disegno di legge in questione, si parla di «mantenimento delle sole funzioni consultive» ed è quindi evidente la volontà di una modifica sostanziale all'attuale normativa con la definitiva rinuncia al principio democratico della collegialità che, a partire dall'istituzione degli organi collegiali della scuola (decreto del Presidente della Repubblica n. 416 del 31 maggio 1974), è stato posto a fondamento irrinunciabile per il buon funzionamento delle nostre istituzioni scolastiche e con il sacrificio definitivo del principio della libertà di insegnamento, garantito dalla Costituzione, ed esercitato in particolare nell'ambito del collegio dei docenti, attraverso la definizione degli obiettivi e delle scelte didattico-educative della scuola;
   per quanto riguarda la riforma dello stato giuridico dei docenti si vorrebbe intervenire nella «precisa definizione dei rapporti tra le diverse fonti di disciplina pubblicistica e negoziale»; ciò permetterebbe ad avviso degli interpellanti con un'operazione di dubbia legittimità al Governo-legislatore, che è anche, in questo caso, il datore di lavoro, di intervenire, senza alcuna mediazione, sul contratto di lavoro dei propri dipendenti;
   inoltre, la delega vorrebbe intervenire per semplificare una serie di procedimenti in materia finanziaria, di bilancio e controlli, valutazione, organizzazione delle università, contributi universitari, reclutamento dei docenti e ricerca universitaria; per il settore della ricerca, le materie interessate dalla semplificazione dovrebbero essere: il finanziamento, il personale degli enti, la durata del programma nazionale della ricerca e la gestione delle risorse finanziarie;
   appare quindi subito evidente che gli argomenti oggetto di questo disegno di legge sono particolarmente delicati e di interesse collettivo ad avviso degli interpellanti è pertanto necessario che attorno ad essi venga attivato un costruttivo dibattito fuori e dentro le istituzioni, evitando a tutti i costi intraprendere strade come quelle del trasferimento alla sede legislativa che, pur del tutto legittime sul piano regolamentare, di fatto rendono meno accessibile l'argomento all'attenzione dell'opinione pubblica;
   il sistema di istruzione italiano ha bisogno di essere adeguatamente rifinanziato per allineare gli investimenti a quelli degli altri Paesi dell'OCSE prima di qualsiasi altra illusoria riforma a costo zero come quelle degli ultimi Governi (confrontare le riforme Gelmini della scuola primaria – decreto-legge n.  137 del 1o settembre 2008 – della scuola secondaria di secondo grado – decreto del Presidente della Repubblica n. 88 n. 89 del 2009) che hanno avuto il deprecabile effetto, non solo di sottrarre alla scuola più di 130 mila unità negli organici del personale, ma anche di depotenziare e dequalificare l'intero sistema di istruzione italiano e di farlo piombare in coda alle classifiche internazionali;
   è del 18 novembre 2013 la notizia che, con una nota sintetica, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha fatto sapere che il testo del disegno di legge delega circolata negli ultimi giorni e a cui si fa riferimento è da ritenersi «del tutto superato» –:
   quali siano i motivi che hanno spinto il Ministro interpellato ad affidare ad un disegno di legge delega, peraltro collegato alla legge di stabilità e pertanto caratterizzato da specifici vincoli procedurali durante il dibattito parlamentare, tradendo in tal modo ad avviso degli interpellanti in maniera definitiva le aspettative che il mondo della scuola aveva riposto in questo nuovo Governo e nella sua volontà dichiarata di operare una netta inversione di tendenza rispetto ai precedenti in materia di politica scolastica;
   se il Ministro interpellato non ritenga opportuno precisare quali siano le modifiche che intende apportare, tali da far ritenere «del tutto superata» la bozza di legge delega che è circolata presso gli organi di stampa in questi giorni.
(2-00312) «Luigi Gallo, Brescia, Simone Valente, Vacca, Di Benedetto, Marzana, D'Uva, Battelli, Chimienti, Rostellato, Tripiedi, Cominardi, Bechis, Rizzetto, Cecconi, Di Vita, Baroni, Dall'Osso, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Dadone, Nuti, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Toninelli, Cozzolino, D'Ambrosio, Mucci, Di Battista».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 15 marzo 2010, articolo 7, è stato istituito il liceo musicale e coreutico, indirizzato all'apprendimento tecnico-pratico della musica e della danza e allo studio del loro ruolo nella storia e nella cultura;
   precedentemente, erano sorte sul territorio nazionale, previa autorizzazione del Ministero, diverse sperimentazioni di licei musicali con il coinvolgimento diretto dei locali conservatori (come nel caso di Parma, Milano, Trento). Successivamente, sono state istituite altre sperimentazioni in seno ai tradizionali indirizzi liceali, grazie all'inserimento di specifiche discipline musicali nel quadro orario. Questi indirizzi sperimentali sono stati istituzionalizzati come licei ad ordinamento dal citato decreto del Presidente della Repubblica n. 89;
   nel primo anno di attivazione dei licei musicali, anno scolastico 2010/11, ne sono stati attivati 37, prevalentemente connessi alle sperimentazioni in corso. Relativamente agli organici, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha comunicato che, in attesa di classi di concorso specifiche, si sarebbero utilizzati i docenti abilitati delle graduatorie delle classi di concorso 77/A, 31/A e 32/A, sulla base dei criteri del regolamento delle supplenze, mentre per i licei musicali derivanti dalle sperimentazioni in atto si sarebbe prioritariamente utilizzato il personale già in servizio;
   negli anni scolastici successivi la diffusione dei licei musicali sul territorio nazionale si è estesa arrivando per l'anno in corso ad 89, di cui 15 nuove attivazioni;
   a fronte di un'offerta formativa in crescita, l'assetto strutturale e organizzativo dei licei musicali presenta ancora criticità, soprattutto a causa della mancata emanazione della nuova disciplina sulle classi di concorso e dell'assenza di organici dedicati a tale indirizzo liceale;
   pertanto, fonte di incertezza e contenzioso sono state le disposizioni ministeriali per l'assegnazione degli incarichi nei licei musicali, con particolare riferimento alla normativa sulle utilizzazioni e sulle assegnazioni provvisorie del personale docente educativo;
   a tale proposito, per l'anno scolastico 2013/2014, l'ipotesi di CCNI del 15 maggio 2013, a tutt'oggi in fase di definizione, genera dubbi interpretativi tra le disposizioni dell'articolo 6-bis e l'articolo 2 (utilizzazione docenti titolari sui posti di sostegno) e all'interno del medesimo articolo 6-bis (ad esempio, in riferimento alla utilizzazione dei docenti titolari delle classi di concorso A031, A032 e A077, alla classe A031 che nel frattempo è scomparsa dai piani di studio disposte dai commi, all'accantonamento dei posti per i docenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e nelle graduatorie di istituto delle classi di concorso A077, A031 e A032, alla conferma dei docenti già utilizzati presso i licei musicali nei tre anni scolastici precedenti e al divieto di domanda su più province);
   in tale incertezza interpretativa e con forte ritardo rispetto all'inizio della scuola — con inevitabile riverbero sulla qualità dell'insegnamento — si sono svolte le delicate operazioni di assegnazione delle utilizzazioni negli uffici scolastici regionali e nelle segreterie dei licei musicali per l'anno scolastico in corso, che hanno portato ad intraprendere procedure e ad assumere decisioni diverse da regione a regione (ad esempio, Lombardia ed Emilia Romagna) e da provincia a provincia (come Parma e Modena) –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga di fornire chiarimenti sui dubbi interpretativi emersi dalle disposizioni relative alle utilizzazioni del personale nei licei musicali e coreutici;
   se non ritenga di assumere iniziative volte a rivedere i criteri di utilizzazione del personale nei licei musicali e coreutici, affinché il prossimo anno scolastico possa iniziare in quel contesto di certezza giuridica necessario a garantire la qualità dell'insegnamento. (5-01486)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli istituti paritari sono all'incirca 13.500 suddivisi fra i vari ordini e gradi (infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado);
   è noto che tali istituti – che godono della parità riconosciuta con legge n. 62 del 2000 – beneficiano di finanziamenti o contributi da parte dello Stato a patto che dimostrino e mantengano determinati requisiti fra i quali l'applicazione per i docenti che vi insegnano di un contratto collettivo nazionale di lavoro del settore e la sussistenza in capo ai docenti del titolo di abilitazione all'insegnamento;
   gli istituti paritari o non statali rilasciano titoli e diplomi giuridicamente equiparati a quelli rilasciati dalla scuola statale purché siano coerenti con la domanda formativa delle famiglie e siano caratterizzati da requisiti di qualità ed efficacia;
   tuttavia come è emerso nel recente passato e da alcune inchieste, alcuni istituti privati e paritari sono risultati veri e propri «fabbriche di diplomi», dove sembra sufficiente pagare alcune migliaia di euro per ottenere un titolo di studio;
   da una ricerca dell'Istat «Misura dell'occupazione non regolare», nel 2008 i dipendenti irregolari nel settore privato dell'istruzione erano 17.200 mentre nel 2009 si è passati a 19.000 (+10,5 per cento in un anno). Inoltre una ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulle dotazioni tecnologiche ha fatto emergere un sensibile «ritardo» delle scuole private e paritarie nella dotazione di laboratori tecnologici e multimediali rispetto alle dotazioni delle scuole statali;
   nello studio «Education at a glance 2011» dell'OCSE si rileva che, nonostante alcune realtà, di eccellenza, in Italia le performance tra studenti quindicenni frequentanti scuole private e scuole pubbliche è nettamente a favore dei secondi. Sempre secondo l'OCSE il clima disciplinare nelle scuole private è peggiore di quelle pubbliche (dati 2009);
   da una indagine dell'ufficio scolastico regionale della Lombardia è emerso che nelle 2.491 scuole paritarie lombarde, 3.864 insegnanti su 21.526 risultano privi dell'abilitazione necessaria ad insegnare. Infine il personale docente è spesso assunto con forme contrattuali atipiche cioè contratti a progetto ovvero a programma;
   in tali realtà si è utilizzato un gran numero di docenti precari che, pur di accumulare il punteggio necessario a mantenere una migliore posizione nelle graduatorie della scuola statale, accettano il compromesso di insegnare presso tali istituti privati con compensi irrisori, svilendo del tutto il proprio ruolo di insegnante;
   è evidente come tale situazione rappresenti una grave lesione per i diritti degli insegnanti e al tempo stesso la negazione del principio costituzionale che riconosce il diritto allo studio di ogni, cittadino, garantendo l'accesso a strutture idonee e di eccellenza per la propria formazione ed istruzione –:
   se il Ministro conosca i dati del numero degli insegnanti impiegati nelle scuole paritarie o private provvisti di idonea abilitazione all'insegnamento prevista dalla legge;
   quali misure, provvedimenti o verifiche il Ministro interrogato intenda intraprendere per intensificare i controlli in ordine all'applicazione dei contratti di assunzione degli insegnanti nelle scuole paritarie e private e per evitare abusi relativamente all'impiego di docenti con retribuzione risibili o sprovvisti di idonea abilitazione all'insegnamento;
   quali misure intenda adottare in tema di vigilanza sulle istituzioni scolastiche paritarie utili ad accertare il permanere delle condizioni richieste dalla legge per il riconoscimento della parità scolastica. (5-01500)


   CIPRINI, GALLINELLA, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nelle graduatorie docenti di ogni ordine e grado, sia di istituto che ad esaurimento, la legge prevede la possibilità per il docente di inserire il conseguimento di titoli culturali ai quali corrisponde l'assegnazione di un determinato punteggio. È noto che il conseguimento di tali titoli culturali consente al docente di migliorare la propria posizione nelle suddette graduatorie al fine di ottenere un punteggio più alto e dunque la possibilità di ricevere un incarico per supplenze «brevi o saltuarie» od anche annuali;
   anche nei concorsi a cattedre, in particolare nell'ultimo bandito, questi titoli vengono conteggiati e rendono possibile la «scalata» da parte dei docenti nella graduatoria di merito finale: di fatto accade che il docente che ha accumulato più titoli ha maggiori possibilità di mantenere una posizione «alta» rispetto ad altri docenti che, paradossalmente, hanno conseguito votazioni migliori nelle prove concorsuali ma che sono privi di tali titoli culturali;
   titoli culturali valutabili nelle graduatorie docenti sono il dottorato di ricerca (punti 12), il diploma di specializzazione pluriennale (anche solo biennale, 6 punti), diploma di perfezionamento e/o master universitario di primo e secondo livello di durata annuale, corrispondenti a 1.500 ore e 60 crediti, con esame finale, coerenti con gli insegnamenti, ai quali si riferisce la graduatoria o eventualmente di natura trasversale purché attinente alla didattica (punti 3), corso universitario di perfezionamento di durata almeno annuale coerente con gli insegnamenti cui si riferisce la graduatoria o eventualmente di natura trasversale purché attinente alla didattica (punti 1);
   mentre ai dottorati di ricerca si accede tramite il superamento di un concorso pubblico, bandito e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, e dunque previa pubblica valutazione delle conoscenze e competenze dei candidati, ciò non accade invece per la maggior parte dei corsi di perfezionamento e master ai quali si accede semplicemente previo pagamento della tassa d'iscrizione e delle rette previste per la frequenza e il conseguimento del titolo;
   non solo gli atenei pubblici hanno la possibilità di organizzare ed concedere tali titoli culturali bensì anche gli atenei «telematici» privati (ma equiparati) ed altri enti (istituti, enti privati associazioni volte alla formazione degli insegnanti) comunque accreditati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (direttiva n. 90/2003); ciò di fatto ha indotto la classe docente – segnata da una grave condizione di precarietà cronica – a prendere parte a quella che in ambito scolastico viene definita come una vera e propria «raccolta punti» utile a migliorare la propria posizione nelle graduatorie delle scuole statali. Il costo di tali corsi e/o master è pari a 500, 800 o 1.200 euro annui richiesti generalmente da tali soggetti privati e/o università telematiche che erogano i titoli;
   è facilmente immaginabile che non tutti i docenti hanno le possibilità economiche per poter sostenere il costo di tali corsi, e conseguire il titolo culturale offerto da tali soggetti accreditati e/o università telematiche;
   la maggior parte dei corsi proposti non richiedono una frequenza obbligatoria in presenza ma solo online (tramite accesso da un computer e lasciando scorrere delle video-lezioni, senza alcuna interazione valutabile) e prevedono al loro termine, quale «esame finale», un semplice test a «crocette» e/o un elaborato di poche pagine;
   accade che il requisito della «durata annuale» del corso, richiesto dalle tabelle di valutazione delle graduatorie docenti, spesso viene interpretato con una certa elasticità: l'immatricolazione al corso può avvenire anche fine ottobre ed il corso può concludersi con un esame anche già ad aprile;
   è noto come non accada mai che ad uno di questi corsi o master il candidato venga bocciato. È facile comprendere come ne sia derivato un vero e proprio «business dei titoli»: università telematiche e soggetti accreditati propongono annualmente la propria offerta formativa pensata con l'unica finalità di far acquisire/comprare punteggio certamente non attraverso criteri di merito e di eccellenza;
   il fenomeno è talmente diffuso che basta guardare qualsiasi sito internet che si occupa di scuola per vedere la pubblicità di tali corsi e/o master online offerti da soggetti il cui unico fine è rappresentato dal vendere tali corsi a scapito della classe docente e del criterio del merito che dovrebbe presiedere l'inserimento e l'aggiornamento di tali titoli nelle graduatorie;
   recentemente sarebbe emerso il fenomeno, in vista del prossimo aggiornamento delle graduatorie del 2014, dell'organizzazione di «corsi di specializzazione biennale» da parti di soggetti che consentirebbero il conseguimento del titolo culturale con l'attribuzione del valore di punti 6;
   in realtà la proliferazione di tali corsi, lungi dal potenziare la preparazione della classe docente, rappresenta un vulnus alla qualità del sistema nazionale d'istruzione, dequalifica la professione docente, favorisce – di fatto – non il merito bensì coloro che possono permettersi in termini economici il costo per il conseguimento di tali titoli –:
   se il Ministro sia a conoscenza della suddetta situazione;
   quali misure o provvedimenti il Ministro intenda intraprendere per intensificare i controlli, la vigilanza e il monitoraggio in ordine alle modalità di immatricolazione e allo svolgimento dei corsi e/o master organizzati da soggetti, cosiddetti accreditati, nonché in ordine al rispetto del livello di preparazione e competenza del personale utilizzato dai suddetti soggetti che hanno il compito di organizzare i corsi e verificare i test finali dei corsi e master, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente e in particolare dalla direttiva ministeriale n. 90 del 2003 in tema di accreditamento di soggetti per la formazione del personale della scuola;
   quali misure intenda adottare – anche di tipo regolamentare/normativo – per «ridurre» il peso di tali titoli culturali nelle graduatorie dei docenti ed evitare la proliferazioni di tali titoli rilasciati da enti accreditati e valorizzare il merito e la qualità del sistema nazionale d'istruzione con la promozione della effettiva preparazione dei docenti. (5-01501)

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 12 novembre 2013 è stata presentata la bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sul «Regolamento concernente la riorganizzazione del MIUR-Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca», che prevede, oltre all'articolazione degli uffici centrali, anche il taglio di quattro uffici scolastici regionali, tra cui quello del Friuli Venezia Giulia;
   sulla proposta di cancellazione dell'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia, come previsto nella bozza del decreto che riorganizza il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tagliando quattro strutture scolastiche (oltre al Friuli Venezia Giulia, Umbria, Molise e Basilicata), ha espresso commenti fortemente contrari il presidente della provincia di Udine, considerando tale decisione come un vero e proprio affronto alla specialità e alla storia del Friuli Venezia Giulia;
   appare all'interrogante sconsiderato il fatto che il Ministro abbia deciso di sopprimere il suddetto ufficio scolastico regionale per accorparlo con una regione, come il Veneto, che presenta una diversa organizzazione scolastica rispetto al Friuli Venezia Giulia che ha oltre 144 mila studenti, di cui 64 mila 500 circa solo nella provincia di Udine, numericamente la più consistente, e un totale di scuole pari a oltre 1.470 sparse sul territorio regionale;
   una simile decisione priva la regione Friuli Venezia Giulia della propria specifica ricchezza fondata sulla presenza delle «minoranze» e, infatti, l'ipotesi di accorpamento metterebbe in crisi il multilinguismo, la multietnicità e la competenza diretta sul tema dell'istruzione;
   questo taglio non produrrebbe un risparmio della spesa statale, finendo per generare maggiori costi. Inoltre, l'accorpamento ipotizzato, sarebbe in netto contrasto con la specificità del sistema scolastico del Friuli Venezia Giulia, comprendente scuole con insegnamento in lingua slovena, una scuola bilingue e numerosi istituti con corsi plurilingue, in relazione alle tre lingue minoritarie presenti nel territorio, riconosciute e tutelate dalla legge n. 482 del 1999;
   inoltre, la previsione del passaggio alla regione delle competenze in materia scolastica è stata già formulata e quindi l'autonomia amministrativa e funzionale dell'ufficio scolastico regionale, per il Friuli Venezia Giulia, rappresenta un presupposto imprescindibile per tale trasferimento;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non dovrebbe schiacciare la specificità del Friuli Venezia Giulia attraverso un accorpamento che alla fine non genera risparmi, ma anzi crea problemi funzionali e di fatto omologa tutti; questa ipotesi incide su una delle funzionalità principali della regione, e, oltretutto, si espone al grave rischio di ricorso innanzi alla Consulta –:
   quale sia stata la ratio che ha portato alla scelta di unificare il territorio del Friuli con quello veneto, prevedendo l'unificazione degli uffici scolastici regionali;
   se il Ministro intenda ritornare sulle proprie decisioni e mettere fine a questo progetto che contrasterebbe fortemente con i principi di tutela delle specificità della regione Friuli Venezia Giulia.
(4-02573)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, BECHIS, BALDASSARRE, CHIMIENTI, COMINARDI, RIZZETTO e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'inps presenta disservizi analoghi a quelli dell'Inail: il click day del 1o ottobre per il «bonus under 30» per molti consulenti del lavoro si è rivelato un'altra lotta contro il malfunzionamento dei sistemi della pubblica amministrazione;
   si tratta di matricole di aziende rifiutate, comunicazioni di irregolarità nella applicazione informatica, criticità nella compilazione on line della modulistica;
   dopo poche ore dalla attivazione della procedura, infatti, l'Ancl ha ricevuto questa pioggia di segnalazioni di disservizi da tutto il territorio nazionale;
   in particolare il software predisposto dall'Inps non è esente da critiche tanto che il 63 per cento degli intervistati ha riscontrato problematiche nei primi 60 minuti di inoltro delle candidature, un problema, quello dei click day, che si ripresenta ogni qualvolta le parti siano l'Inps e l'Inail, nonostante le strutture si giudichino pronte a ricevere connessioni multiple;
   «per il sindacato dei consulenti del lavoro — afferma Francesco Longobardi, presidente nazionale Ancl — questo è il pietoso risultato dell'ennesima innovazione della Pubblica amministrazione calata dall'alto, senza che vi sia stato prima un confronto e una sperimentazione con le categorie, consulenti del lavoro in primis, che utilizzano i servizi»;
   nel nostro Paese non si può non tenere conto che la banda larga in molte zone è un sogno o funziona a singhiozzo. Realtà che non può essere sottovalutata se si decide di applicare la regola della priorità nella presentazione. Non dare a tutti le stesse potenzialità di successo potrebbe significare una grave violazione della concorrenza tra imprese, oltre che avere profili di rilievo costituzionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della su esposta situazione e delle criticità ad essa connesse;
   quali siano le motivazioni di tale scelta, e se alla data attuale si stia provvedendo a realizzare strumenti più idonei e più accessibili ai vari operatori.
(5-01485)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSTELLATO, BECHIS, BALDASSARRE, CHIMIENTI, COMINARDI, RIZZETTO e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un'azienda su quattro ha richiesto l'utilizzo del bonus assunzioni per assumere una unità lavorativa. È questo, in sintesi, il dato che emerge dal sondaggio della Fondazione studi sulla platea dei consulenti del lavoro che, da Nord a Sud, si sono cimentati con l'applicazione del bonus assunzioni valuto dal nuovo «decreto lavoro» di agosto 2013. Un'indagine, quella della Fondazione, che ha cercato di comprendere quale fosse stato l’appeal del bonus nei confronti delle imprese e quali i risultati dell'attuale situazione del lavoro nella marea delle piccole imprese che costituiscono, ad oggi, il 90 per cento del tessuto produttivo italiano. Se il 73 per cento degli intervistati ha riferito che le imprese che assistono non hanno sfruttato il bonus occupazione, gli stessi garantiscono che un aumento del limite di età, dai 29 previsti ai 35 ipotizzati, sarebbe stato più incisivo;
   la maggior parte delle imprese che hanno «snobbato» l'agevolazione risiedono al Sud laddove la convenienza del bonus è di gran lunga inferiore ad altri incentivi (si pensi alla legge n. 407 del 1990 che dura trentasei mesi a fronte dei dodici/diciotto del bonus Giovannini), che tra l'altro non richiedono nemmeno l'incremento occupazionale quale condizione principale per fruire dell'incentivo;
   su tali condizioni, infatti, il 96 per cento degli intervistati ha ritenuto l'incremento un freno al desiderio delle imprese di porre in essere nuove assunzioni così come quasi l'80 per cento delle aziende ricorre oggi all'applicazione di forme flessibili di lavoro, con il tempo determinato che la fa da padrone seguito dal lavoro accessorio e dai tirocini;
   in alcune regioni il budget per le assunzioni ha ancora risorse; difficilmente nell'immediato futuro ci sarà la ressa per richiederlo, visto che le imprese gradirebbero una riduzione del cuneo fiscale e contributivo anziché incentivi a termine. Infatti, è noto a chi segue da vicino le aziende che il problema attuale non è come assumere con incentivi ma tornare a produrre e a creare sviluppo. In assenza di nuovo lavoro, risulta infatti assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuovi assunzioni –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza della su esposta situazione, e delle criticità ad essa connesse;
   quale sia il numero esatto di assunzioni avvenute dal 1o ottobre ad oggi, suddivise per tipologia contrattuale;
   se il dato emerso si discosti in maniera evidente dal trend assunzionale verificatosi nei mesi precedenti, in termini numerici e percentuali;
   se si intenda assumere iniziative per rimodulare le agevolazioni in questione visti gli scarsi risultati. (4-02563)


   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua nel corso di un'audizione alla Commissione bicamerale di controllo degli enti previdenziali, ha dichiarato che il disavanzo patrimoniale ed economico dell'Inps «può dare segnali di non totale tranquillità», richiamando tra l'altro un documento inviato ai Ministri interrogati, nel quale si evidenziano una serie di rilevanti problemi di bilancio;
   il responsabile dell'istituto nazionale di previdenza sociale ha inoltre sostenuto che l'accorpamento con Inpdap ed Enpals «ha creato uno squilibrio di bilancio», in considerazione del fatto che la perdita dell'Inps è imputabile essenzialmente «al deficit ex Inpdap e alla forte contrazione dei contributi per blocco del turnover del pubblico impiego, nonché al continuo aumento delle uscite per prestazioni istituzionali»;
   il presidente dell'Inps, nella stessa sede istituzionale, ha conseguentemente rilevato la necessità di rivedere le norme che hanno regolato l'accorpamento dell'Inps con Inpdap, sostenendo altresì la necessità di abbandonare la cosiddetta pratica delle anticipazioni, «di trasferimenti statali non completamente rispondenti ai fabbisogni» e ripristinare una copertura strutturale da parte dello Stato, per il pagamento delle pensioni pubbliche, aggiungendo inoltre che, senza questo intervento normativo si potrebbero «innescare rischi di sotto finanziamento dei disavanzi previdenziali e di progressivo aggravamento delle passività»;
   nel corso della conclusione del suo intervento Mastrapasqua, ha infine dichiarato che «sarebbe auspicabile che fosse approfondita e valutata nelle sedi competenti l'opportunità di eventuali interventi normativi, tesi a garantire l'efficiente ed efficace implementazione della più grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico»;
   le dichiarazioni del presidente dell'Inps Mastrapasqua hanno destato a seguito delle asserzioni da lui sostenute, prevedibili preoccupazioni da parte delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori, a cui si aggiungono anche quelle dell'interrogante, nonostante le rapide smentite da parte dei Ministri interrogati, considerata l'attuale situazione economica e sociale di estrema gravità, poiché ove fossero confermate rischierebbero di alimentare ulteriori tensioni e difficoltà sociali nel Paese;
   l'unificazione degli istituti previdenziali decisa dal governo Monti, a giudizio dell'interrogante, dimostra che i versamenti da parte del pubblico sono molto parziali, e ciò non può essere un alibi per immaginare una insicurezza del sistema previdenziale;
   a giudizio dell'interrogante, le discutibili quanto insufficienti rassicurazioni dei Ministri interrogati, secondo cui si tratterebbe di un problema tecnico a cui sta lavorando la ragioneria generale dello Stato e che pertanto non c’è nessun motivo di allarme, né tantomeno squilibrio di bilancio, nell'accorpamento tra Indap ed Enpals, non sembrano confortanti se si valuta l'importanza dell'argomento;
   l'interrogante rileva, inoltre, come occorrano precisi ed urgenti chiarimenti su una materia così rilevante e delicata quale la solidità contabile e la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale nazionale, in una fase difficile e complessa dal punto di vista sociale, ed economico che il Paese attraversa, probabilmente la più difficile del dopoguerra, le cui smentite da parte dello stesso presidente dell'Inps risultano pertanto secondo l'interrogante carenti ed incomplete –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intendano confermare quanto dichiarato dal presidente dell'Inps Mastrapasqua nel corso dell'audizione presso la Commissione bicamerale di controllo degli enti previdenziali, con riferimento ai rilievi critici da lui sostenuti e alle difficoltà che il sistema previdenziale nazionale sta affrontando;
   quali siano nello specifico gli aspetti tecnici che il Governo sta valutando, d'intesa con la ragioneria generale dello Stato, per ripristinare le condizioni di normalità per la solidità e la tenuta del sistema di previdenza nazionale gestito dall'istituto pubblico;
   se sussistano infine nel breve periodo pericoli per la tenuta dei conti pubblici connessi alla stabilità della previdenza nazionale, le cui ripercussioni negative e penalizzanti, nel caso fossero confermati eventuali segnali di emergenza, potrebbero determinare seri ed evidenti problemi di natura sociale ed economica a livello nazionale. (4-02569)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di agosto i 120 operai della Martelli Lavorazioni Tessili di Ancarano (TE) non ricevono le indennità del contratto di solidarietà in scadenza il 30 Novembre 2013;
   nei giorni scorsi c’è stata forte mobilitazione dei lavoratori dell'azienda ed è stata indetta una giornata di sciopero con un presidio di fronte alla Martelli, allo scopo di sollecitare l'azienda ad anticipare le indennità relative al contratto di solidarietà;
   a seguito dell'incontro i vertici aziendali hanno dichiarato di non avere la liquidità necessaria per anticiparla e che sarebbero disposti a prorogare il contratto di solidarietà solo per una parte dei dipendenti;
   all'inizio di ottobre 2013, infatti, è stata avviata dalla Martelli la procedura di mobilità per 85 lavoratori;
   in una nota i sindacati hanno sollecitato i vertici aziendali a riportare all'azienda di Ancarano le commesse che oggi vengono lavorate in altri stabilimenti della stessa società, per rendere così possibile la sottoscrizione e la gestione di un contratto di solidarietà, che permetterebbe il mantenimento dei livelli occupazionali attuali –:
   se non intenda promuovere una iniziativa con l'azienda, i sindacati e gli enti locali al fin di sottoscrivere un contratto di solidarietà per la salvaguardia dei livelli occupazionali. (4-02575)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   le società di mutuo soccorso, istituite mediante la legge 15 aprile 1886 n. 3818, hanno svolto da sempre un importante ruolo di coesione sociale e di tutela delle fasce meno abbienti in settori di primaria importanza, quali lavoro e sanità mediante il nobile principio della mutualità volontaria. Il progressivo miglioramento del livello di scolarizzazione e del servizio sanitario pubblico ha spinto le suddette società ad una rivisitazione delle loro attività istituzionali verso fini culturali, educativi e formativi. A distanza di oltre un secolo dalla loro costituzione, le società di mutuo soccorso, grazie soprattutto ai contributi ed al lavoro gratuito di alcune generazioni di soci, hanno potuto conseguire una maggiore autonomia economico finanziaria attraverso la costituzione di un patrimonio immobiliare di tutto rispetto;
   l'articolo 23 del decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 17 dicembre 2012, ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese incide pesantemente sulla disciplina relativa alle società di mutuo soccorso di cui alla legge 15 aprile 1886, n. 3818, prevedendo tra l'altro l'obbligo di iscrizione presso il registro delle imprese secondo criteri e modalità stabilite con un decreto del Ministro dello sviluppo economico;
   il citato articolo 23 prevede, a carico delle società di mutuo soccorso, obblighi che risultavano essere in contrasto con la loro autonomia privata sancita dalla legge, nonché la soppressione di segni distintivi importanti e dell'identità delle stesse società di mutuo soccorso alle quali è fatto obbligo di iscriversi al registro delle imprese, laddove imprese non sono; infatti la normativa appare alquanto incongruente, perché da una parte costituiva obbligo per le società di mutuo soccorso di iscriversi al registro delle imprese, dall'altra vietava espressamente alle stesse società di svolgere attività d'impresa;
   più in particolare le norme emanate in attuazione delle suddette linee di politica economica impongono alle società di mutuo soccorso, entro e non oltre il 19 novembre 2013, di:
    a) adottare esclusivamente nel proprio statuto, quale oggetto sociale, una o più attività previste dal nuovo articolo 1 della legge 3818 del 1886 così come modificato del decreto-legge 179 del 2012;
    b) iscriversi presso apposita sezione del registro delle imprese mediante il deposito del proprio statuto ed atto costitutivo conformi ai nuovi dettami;
    c) divieto di svolgere qualunque attività d'impresa;
    d) devolvere il proprio patrimonio in caso di liquidazione o di perdita della natura di società di mutuo soccorso;
   sono numerose le società di mutuo soccorso, i cui statuti non rispondono ai dettami delle nuove disposizioni normative, che hanno difficoltà ad adeguare in tempi brevi i propri statuti a causa del gran numero di soci e degli elevati quorum deliberativi necessari a recepire le suddette disposizioni;
   a seguito dell'approvazione del decreto-legge n. 179 del 2012 in tutto il Paese si è determinato un clima di sfiducia e d'incertezza e una grave situazione di disagio per le oltre 1100 società di mutuo soccorso ancora operanti nel nostro Paese, le quali, anche a seguito dell'esclusione dal tavolo della riforma dei Coordinamenti regionali che le rappresentavano, il 17 novembre 2012 hanno dato vita all'AISMS (Associazione italiana delle società di mutuo soccorso);
   il nuovo soggetto giuridico di rappresentanza, dopo essersi attivato per portare a conoscenza di tutti gli organismi istituzionali interessati i motivi di doglianza delle oltre 100 società a essa aderenti (numero in continua crescita), e dopo aver inviato al Consiglio dei ministri una richiesta di rinvio di 24 mesi della data prevista per l'iscrizione delle società al registro delle imprese (19 novembre 2013), si è visto costretto a rivolgersi all'autorità giudiziaria per richiedere che siano dichiarate non applicabili le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 3818 riformata, considerato che sarebbero costituzionalmente illegittime;
   le società di mutuo soccorso non intendono sottrarsi ad una regolamentazione normativa, purché sia adeguata alla loro specifica realtà, nella convinzione che le stesse società, se adeguatamente disciplinate e supportate, possano diventare parte integrante del welfare nazionale –:
   se il Ministro non ritenga necessario valutare, al fine di tutelare i diritti inviolabili sanciti dalla nostra Costituzione, di assumere iniziative normative per la concessione di una proroga biennale alle società di mutuo soccorso per l'adozione delle nuove disposizioni previste dall'articolo 23 del decreto-legge n. 179 del 2012;
   se il Ministro non ritenga necessario chiarire, anche a mezzo di iniziativa normativa, le conseguenze derivanti dalla mancata adozione nei termini di legge delle disposizioni previste dalla nuova formulazione degli articoli 1 e 2 della legge 15 aprile 1886 n. 3818;
   se il Ministro non ritenga necessario chiarire, anche a mezzo di iniziativa normativa, quale sia l'ambito di applicazione del divieto di svolgimento di qualunque attività d'impresa di cui all'articolo 2, comma 2 della legge 15 aprile 1886 n. 3818, precisando se, così come previsto per gli enti associativi senza fini di lucro, sia consentito lo svolgimento, in via del tutto sussidiaria ed accessoria rispetto alle finalità istituzionali, di attività diverse da quelle previste dall'articolo 2195 del codice civile effettuate nei confronti dei soci ed in conformità alle finalità istituzionali dell'ente, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione;
   se non ritenga necessario chiarire, in questa fase transitoria, quale sia l'organo competente ad effettuare il controllo di legalità degli statuti eventualmente depositati senza l'intervento notarile, in quanto ritenuti conformi ai dettami di legge da parte degli organi direttivi delle società stesse ossia se tale competenza aspetti al registro delle imprese all'atto della ricezione della documentazione ovvero ai revisori Ministeriali o delle associazioni maggiormente rappresentative in sede di primo controllo.
(2-00309) «Giancarlo Giorgetti, Rondini, Busin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.134 recante misure urgenti per là crescita del Paese, ha previsto alcune modifiche alla disciplina delle attività di ricerca, di prospezione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, le cui norme sono prevalentemente volte a fissare un'unica fascia di rispetto per lo svolgimento di tali attività in mare;
   il comma 1 del suesposto articolo, in particolare, sostituisce l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell'ambiente) che disciplina le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
   la principale modifica prevista dal nuovo testo del predetto comma 17 consiste, nella fissazione di «un'unica, per olio e per gas, e più rigida fascia di rispetto, fino alle 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione»;
   la predetta disposizione intervenendo in deroga al limite delle suesposte 12 miglia, consente nella sostanza di intervenire nelle attività di trivellazioni vicino alle coste, per la ricerca di idrocarburi, attraverso le esplorazioni off-shore del sottosuolo marino, nel caso di richieste e di concessioni avanzate prima del giugno del 2010;
   a giudizio dell'interrogante, quanto suesposto appare oltre che preoccupante in considerazione di possibili e irreparabili rischi derivanti alle coste e all'intero ecosistema marino, anche dannoso dal punto di vista economico se si valuta, che l'applicazione della suddetta norma, potrebbe causare gravi danni per le popolazioni costiere, nonché per settori economici importanti del nostro Paese, come quelli del turismo e della pesca, che vivono delle risorse marine;
   il Mediterraneo, com’è noto rappresenta un mare che da tempo soffre di una cronica contaminazione da idrocarburi causata in primo luogo dalla frequenze dei transiti di petroliere e altri trasporti secondo recenti studi, si calcola che circa il 20 per cento del trasporto del petrolio mondiale attraversa i mari dell'Italia e che il Mediterraneo, in particolare, presenti elevate quantità di concentrazioni tra le più alte del mondo, circa il 38 mg al metro quadrato;
   in aggiunta a quanto predetto, si uniscono le immissioni da fonti terrestri, in aumento a causa dell'incremento della popolazione insediata lungo le coste;
   a parere dell'interrogante inoltre, in considerazione di quanto suesposto, il mare Mediterraneo non deve essere esposto all'aumento dei rischi di inquinamento a causa dello sviluppo di pericolosi ed inopportuni progetti di perforazione off-shore;
   i rischi di trivellazioni petrolifere vicino le coste sono pertanto, a giudizio dell'interpellante, inaccettabili per l'ambiente ma anche per l'economia e il benessere di quelle comunità come quelle siciliane, la cui area geografica è caratterizzata da lunghi tratti di mare le cui coste, in particolare quelle meridionali, non sono tra l'altro adeguatamente protette;
   i permessi di ricerca di idrocarburi già concessi nell'area del canale di Sicilia attualmente risultano essere 11, mentre le nuove richieste in via di valutazione sono 18; le aree di maggior interesse per le compagnie petrolifere, si evidenziano più specificatamente, al largo delle isole Egadi, dove si sono già fatte trivellazioni per la ricerca del petrolio e 5 invece sono le istanze effettuate per avviare una ricerca al largo della costa tra Marsala e Mazara del Vallo;
   un'altra area a rischio ambientale, secondo quanto risulta, si riscontra a sud della costa siciliana tra Sciacca e Gela, nella cui area oltre a 2 permessi di trivellazione già concessi, ci sono 5 nuove richieste di ricerca, sviluppo e coltivazione di giacimenti da accertare;
   le richieste complessivamente avanzate per la coltivazione, ovvero l'estrazione di idrocarburi in aree del canale di Sicilia, dove la fase di ricerca è già stata conclusa, sono complessivamente 3, per una superficie totale pari a circa 450 chilometri;
   quanto suesposto, a giudizio dell'interrogante, desta inevitabili dubbi e perplessità sull'efficacia delle norme previste dall'articolo 35 decreto-legge n. 83 del 2012 convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, come precedentemente riportato, che detta disposizioni in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi, se si considera in aggiunta a quanto già esposto che le conseguenze di tale norma, secondo quanto sostengono alcune associazioni ambientaliste, potrebbero aggiungere ulteriori 70 trivelle a quelle già attive nel nostro Paese;
   l'interrogante segnala inoltre come il vulcano sottomarino Empedocle, a circa 40 chilometri al largo di Capo Bianco in Sicilia, nelle vicinanze di quella che fu l'isola di Ferdinandea, situata a circa 6 metri dalla superficie marina tra Sciacca e l'isola di Pantelleria, costituisce una zona che presenta diverse criticità geo-marine;
   l'avvio di trivellazioni in acque profonde, conseguentemente, può determinare in prossimità del suddetto vulcano, la cui area marina, rappresenta fra l'altro una zona di pesca e di riproduzione di numerose specie ittiche di importanza commerciale, gravi ed irreparabili danni all'ambiente e allenterò eco-sistema marino;
   eventuali insediamenti di piattaforme petrolifere in prossimità della costa ed anche dalla zona archeologica di Selinunte, nonché vicino alla costa prospiciente alla medesima area di mare interessata da notevoli attività turistiche con investimenti cospicui privati e pubblici, tra cui il «Golf Resort Verdura» del gruppo Rocco Forte a Sciacca, possono determinare gravi danni siccome precedentemente esposto, dal punto di vista ambientale, che in particolare sotto il profilo economico e degli investimenti già effettuati nell'area stessa;
   risulta inoltre scarsamente congruo, a giudizio dell'interrogante, l'innalzamento di tre punti percentuali delle royalty che i titolari delle concessioni di coltivazione in mare devono corrispondere annualmente allo Stato, (elevando l'aliquota dal 7 al 10 per cento per il gas e dal 4 al 7 per cento per l'olio) come previsto dal suddetto articolo 35 del medesimo decreto-legge, se si considera che nel resto del mondo le aliquote oscillano tra il 20 e l'80 per cento del valore del prodotto estratto, come il regime di esenzioni e di concessioni per le coltivazioni nei riguardi delle imprese petrolifere, giudicato irrisorio;
   l'interrogante evidenzia come risulti contraddittoria e paradossale l'introduzione della suddetta disposizione in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi, con quanto previsto dal Governo Berlusconi che, con il decreto legislativo n. 128 del 2010, a seguito del disastro ambientale avvenuto nel Golfo del Messico, aveva posto limitazioni alle perforazioni off-shore nei mari italiani, di fronte all'evidente rischio che tali attività rappresentano;
   il predetto decreto legislativo indica, infatti, divieto in aree marine e costiere protette, nella fascia di 12 miglia al largo dei confini delle stesse, e nella zona di mare posta entro 5 miglia dalle linee di base delle acque territoriali;
   il rischio di ulteriori trivellazioni nel nostro Paese ed in particolare nei riguardi dei mari siciliani, a giudizio dell'interrogante, giova in definitiva in maniera esclusiva alle industrie petrolifere, in considerazione che l'aumento del prezzo del petrolio rende conveniente l'estrazione, a differenza che per lo Stato, il cui regime fiscale applicato nei loro confronti risulta essere irrisorio;
   non si comprendono le ragioni di tale iniziativa normativa considerato che i progetti di perforazione rischiano di minacciare un patrimonio ambientale e culturale inestimabile rappresentato dalla biodiversità del canale di Sicilia e delle rispettive coste, nonché l'intera economia delle comunità locali interessate –:
   di quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione di quanto esposto in premessa, con particolare riferimento alle disposizioni contenute dall'articolo 35 indicato nella premessa, che consentono, in deroga al limite delle 12 miglia, di procedere con le trivellazioni anche vicino alle coste nel caso di richieste avanzate dalle imprese di ricerca, coltivazione e sviluppo di idrocarburi, prima del 2010, possano sussistere rischi potenziali in un'area di mare ecologicamente assai pregiata quale quella del Mediterraneo e più specificatamente nelle aree costiere siciliane esposte in premessa. (4-02567)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2013 il Ministero dello sviluppo economico ha accordato alle compagnie Gas Plus Italiana, Medoilgas e Petrorep Italia il permesso di ricercare idrocarburi liquidi e gassosi in un'area vasta 83,19 chilometri quadrati, suddivisa tra i comuni di Bellante, Campli, Controguerra, Corropoli, Mosciano Sant'Angelo, Nereto, Sant'Omero, Torano Nuovo, Tortoreto e Spinetoli;
   la Gas Plus Italiana potrà così dare avvio al programma di ricerca denominato convenzionalmente «Colle dei Nidi» che, superata una fase iniziale potrà comportare la programmazione di un rilievo sismico e la perforazione di un pozzo esplorativo della profondità di circa 3.500 metri;
   all'indomani del rilascio del permesso i sindaci dei comuni interessati dal perimetro del progetto (Campli, Controguerra, Nereto, Corropoli, Torano, Sant'Omero, Mosciano, Tortoreto in Abruzzo e Spinetoli nelle Marche) hanno fatto ricorso al Tar esprimendo la loro netta contrarietà al programma di ricerca perché a loro avviso comprometterebbe il turismo e la vocazione del territorio alla green economy dato che la ricerca interesserebbe persino aree naturali protette;
   i legittimi dubbi sul progetto sono confermati dal fatto che l'indagine, come stabilito dalle norme europee, non è stata sottoposta ad assoggettabilità da parte del comitato Via (valutazione impatto ambientale) al fine di verificare se la ricerca degli idrocarburi fosse compatibile con le attività che insistono sul territorio provinciale –:
   se il Ministro dello sviluppo economico non intenda verificare, ai fini della concessione dell'eventuale autorizzazione, il rigoroso rispetto delle normative di protezione ambientale e, in particolare, che sia stata posta in essere la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale nel procedimento autorizzativo scongiurando il rischio di un enorme danno ambientale nell'area interessata dal progetto. (4-02579)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Faraone n. 4-02391, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tentori.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Garavini n. 4-02559, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 120 del 18 novembre 2013.

   GARAVINI e LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 marzo 2001, n. 152 recante «Nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale», agli articoli 7 e 8, riconosce ai patronati l'attività di informazione e di assistenza a favore di cittadini italiani e stranieri, anche se residenti all'estero, per le materie riguardanti l'emigrazione e l'immigrazione;
   la stessa legge n. 152 del 2001, all'articolo 11, prevede che «gli istituti di patronato e di assistenza sociale possono svolgere, sulla base di apposite convenzioni con il MAE, attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari italiane all'estero» e che tali attività debbono svilupparsi secondo le indicazioni vincolanti degli uffici consolari ed essere erogate agli utenti a titolo assolutamente gratuito;
   gli uffici consolari, a causa delle note carenze di risorse e personale, si trovano in comprovate difficoltà nell'erogazione dei servizi e, quindi, nella necessità di ricorrere a soluzioni alternative;
   nel corso della XV legislatura si è svolto tra i rappresentanti dei patronati e quelli del Ministero degli affari esteri, un lungo e proficuo lavoro di messa a punto di uno schema di convenzione-quadro che, una volta sottoscritta dalle parti, sarebbe dovuto servire da riferimento per le convenzioni da stipulare tra gli uffici consolari e i patronati operanti in loco;
   in detto schema di convenzione erano previste tutte le condizioni operative, di indirizzo e di controllo da parte dei consolati, nonché le garanzie di autonomia e gratuità per gli utenti;
   nella scorsa legislatura, rispettivamente in data 30 giugno 2008, 30 giugno 2009 e 14 febbraio 2012, sono state presentate tre interrogazioni per conoscere i precisi orientamenti del Ministero degli affari esteri in relazione alla facoltà di stipulare una convenzione con i patronati, la cui conclusione si era inspiegabilmente arenata. A tali interrogazioni fu data risposta, a giudizio delle interroganti, in maniera non lineare, ovvero: nel novembre 2008 il Sottosegretario pro tempore Alfredo Mantica affermava che «Il Ministero degli esteri sta studiando come meglio attuare quanto previsto come possibile dall'articolo 11 della legge 152 del 2001»; nel luglio 2010 lo stesso Sottosegretario Mantica citava una serie di «problematiche» insorte, che «hanno ostacolato il raggiungimento di un'intesa» le quali dovevano essere «valutate ulteriormente», fra le quali «l'affidamento a strutture esterne di attività tipicamente consolari, i vincoli di bilancio che impedirebbero di incrementare i contributi erogati a favore dei patronati per le nuove attività, nonché le questioni giuridiche connesse alla gestione dei dati ed alla tutela della privacy»; nell'aprile 2012, infine, dalla risposta fornita dal Ministro degli affari esteri pro tempore non risultavano nuovi elementi sullo stato delle trattative fra Ministro degli affari esteri e patronati; in questa stessa risposta il Ministro degli affari esteri pro tempore faceva riferimento alla legge n. 152 del 2001, sottolineando che i patronati possono fornire, previa stipula di apposite convenzioni con il Ministero degli affari esteri, servizi non demandati per legge all'esclusiva competenza delle autorità diplomatiche e consolari italiane –:
   quali servizi fra quelli forniti dalle autorità diplomatiche e consolari italiane siano da intendersi come non demandati per legge all'esclusiva competenza delle predette autorità se, nel quadro della predisposizione di un migliore servizio da offrire sia ai cittadini emigrati che agli stranieri interessati a venire nel nostro Paese e con l'intento di sostenere l'attività degli uffici consolari, oberati da incombenze non sempre compatibili con gli attuali livelli di personale, non ritenga di favorire la conclusione dell'accordo con i patronati assumendo ogni iniziativa utile a perfezionare la stipula della convenzione-quadro, ferma inspiegabilmente ormai da diversi anni. (4-02559)

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Scuvera n. 1-00108, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 36 del 19 giugno 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese le bambine, i bambini e gli adolescenti sono 10 milioni e 837 mila e rappresentano il 17 per cento della popolazione;
    l'Italia è agli ultimi posti in Europa negli indicatori principali relativi al benessere e ai diritti dell'infanzia;
    la povertà minorile non è solo un fenomeno inaccettabile dal punto di vista etico e della violazione dei diritti, ma anche una pesante ipoteca sul destino di centinaia di migliaia di bambini e bambine, nonché sul futuro dell'intero Paese;
    la critica situazione economica che sta attraversando il Paese viene pagata duramente dalle nuove generazioni e rischia di creare nei prossimi anni drammatiche ripercussioni sociali;
    l'Italia ha, tra i Paesi Ocse, un tasso molto elevato di povertà relativa fra i bambini: infatti il 15 per cento vive in famiglie con redditi inferiori alla media nazionale. In Italia sono oltre 2 milioni le persone di minore età che vivono in famiglie povere (nel 2011 erano 1 milione e 822 mila);
    in termini di povertà assoluta si è passati da 653.000 nel 2010 a 723.000 nel 2011, ad oltre 1 milione nel 2012 di minori che versano in tale condizione, soprattutto al Sud, dove si registrano i dati più elevati;
    diversi problemi rilevanti derivano da questa situazione: oltre ai rischi per la salute fisica connessi alla malnutrizione/denutrizione, anche problematiche correlate all'abbandono scolastico – in Italia il tasso di abbandono scolastico è superiore alla media europea, posto che quasi un giovane su cinque (18,2 per cento) nella fascia d'età 18-24 anni è fermo alla licenza media e non svolge altri percorsi di formazione professionale – e a diverse forme di dipendenze e devianza sociale;
    le conseguenze della povertà infantile connesse alla scarsa scolarità si traducono poi in scarso sviluppo delle conoscenze e, quindi, in bassa produttività, bassa occupazionalità; e, di conseguenza, maggiori costi sociali e una maggiore domanda di servizi di welfare, con evidenti ricadute sulla spesa pubblica;
    non è, a tal proposito, trascurabile la cosiddetta povertà educativa, che colpisce anche i minori non statisticamente in povertà economica, che consiste in una sempre più limitata accessibilità alle opportunità educative, culturali e sportive. Con riferimento alle competenze e agli stimoli culturali, si è calcolato che negli ultimi 12 mesi il 39,5 per cento dei minori non ha mai letto un libro, il 33,3 per cento non ha mai usato un computer, il 35,6 per cento non si è mai connesso ad internet, il 19,8 per cento non è mai andato a vedere un film; il 26,2 per cento non pratica mai sport;
    come emerso da una recente ricerca di Save the children Italia e dell'Associazione B. Trentin, supervisionata da un comitato scientifico interistituzionale, i minori di 16 anni che lavorano oggi in Italia sono stimati in circa 260.000 e, complessivamente, per 100 ragazzi di 14-15 anni, quasi il 22 per cento riferisce di aver avuto un'esperienza di lavoro, soprattutto solo dopo i 13 anni. Sono, invece, 30.000 i 14-15enni a rischio di sfruttamento che fanno un lavoro pericoloso per la loro salute, sicurezza o integrità morale, lavorando di notte o in modo continuativo;
    è necessario evidenziare anche la situazione dei minori stranieri, bambini e bambine nati e cresciuti in Italia, italiani di fatto, ma privi di cittadinanza, nonché la questione dei minori stranieri non accompagnati, che al 31 dicembre 2012 risultavano essere 7.575. Save the children evidenzia come ancora oggi troppo spesso i diritti essenziali dei minori stranieri non accompagnati non vengano rispettati: dal diritto al riconoscimento della minore età a quello ad un'accoglienza decorosa, dal diritto alla nomina di un tutore alla possibilità di essere ascoltati nelle scelte che li riguardano;
    la situazione, che continua a peggiorare con l'aggravarsi della crisi economica, deriva anche da politiche socio-educative carenti e frammentarie, ben lontane da quelle degli altri Paesi europei;
    in Italia negli ultimi anni c’è stata una costante riduzione dei finanziamenti destinati a famiglie, infanzia e maternità; il fondo nazionale delle politiche sociali è passato da 1 miliardo di euro nel 2007 a 45 milioni di euro nel 2013;
    sono stati pesantemente ridotti i fondi per i servizi educativi e scolastici e depauperati i bilanci degli enti locali, rendendo insostenibili molte reti di welfare inclusivo, anche nelle realtà in cui esiste una forte tradizione culturale di sostegno sociale e comunitario;
    complessivamente, nello studio Unicef che ha esaminato le condizioni di vita dei bambini dei 29 Paesi dalle economie più avanzate, l'Italia si trova al 22o posto; nello specifico, l'Italia è nelle retrovie, in particolare per quanto riguarda l'istruzione (al 25o posto), al 22o per la partecipazione a forme di istruzione superiore, al 24o per i risultati scolastici conseguiti e, viceversa, al secondo posto per i neet (giovani che non studiano e non lavorano);
    la Commissione europea, nella sua raccomandazione «Investire sui bambini: rompere il ciclo vizioso di svantaggio», sollecita gli Stati membri a metter al centro della loro agenda il tema dell'infanzia e degli investimenti necessari per combattere la povertà dei bambini per garantire a tutti di crescere uguali;
    nella raccomandazione la Commissione europea ricorda, inoltre, che la riduzione della povertà e dell'esclusione sociale è uno degli obiettivi della Strategia Europa 2010; la prevenzione e la lotta alla povertà minorile devono, dunque essere tra gli obiettivi prioritari dei Governi degli Stati membri; sempre nella raccomandazione la Commissione europea sprona gli Stati a fare uso di alcuni strumenti in favore dei minori svantaggiati che già esistono, come il fondo di aiuti europei agli indigenti – creato nel 2012 al fine di rafforzare l'inclusione sociale e combattere la povertà nell'Unione europea a sostegno dei programmi nazionali che prestano un'assistenza non finanziaria alle persone indigenti per ridurre la deprivazione alimentare e la deprivazione materiale grave – il programma di distribuzione di frutta e latte nelle scuole, attivo dal 2009, il fondo sociale europeo e il fondo per lo sviluppo regionale;
    la povertà è strettamente legata anche al fenomeno della dispersione scolastica, limita le opportunità educative e di crescita, aggrava i già pesanti divari territoriali che affliggono il Paese;
    la povertà infantile è acuita dalla diminuzione nell'accesso alle cure mediche e alla prevenzione sanitaria, che sono drasticamente crollate di fronte ad una mancanza di mezzi economici delle famiglie;
    è peggiorata, inoltre, la qualità dell'alimentazione di bambini e bambine ed adolescenti;
    un dato ancora più drammatico è l'allontanamento dei minorenni dal nucleo familiare per questioni di indigenza della famiglia di origine, che arriva sino alla perdita della capacità genitoriale;
    particolare rilievo rivestono le povertà immateriali, tra cui la situazione dei figli coinvolti nelle separazioni genitoriali altamente conflittuali, spesso vittime innocenti dei rancori di coppia,

impegna il Governo:

   a dotarsi di una strategia nazionale che preveda una pluralità di misure per contrastare le diverse manifestazioni della povertà che agisca su diverse dimensioni, anche sfruttando a pieno gli strumenti finanziari che l'Unione europea mette a disposizione;
   ad elaborare un apposito piano di contrasto alla povertà minorile e giovanile, finalizzato anche a combattere la dispersione scolastica e a favorire l'inclusione lavorativa dei giovani che escono dalle comunità di tipo familiare, reperendo le necessarie risorse e considerando lo stanziamento delle medesime non una spesa che crea debito, ma un investimento sul capitale umano, per il progresso anche economico del Paese;
   ad assumere iniziative per evitare che finanziamenti e obiettivi concordati con le regioni e gli enti locali vengano disattesi;
   ad assumere iniziative per rifinanziare in modo adeguato la legge n. 285 del 1997, «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza»;
   a prevedere misure urgenti ed interventi di sostegno per consentire ai minori di essere educati nell'ambito della propria famiglia, anche dando immediata attuazione, attraverso i previsti decreti legislativi, alla legge 10 dicembre 2012, n. 219;
   a prevedere iniziative urgenti atte a specificare che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia;
   a favorire il consolidamento delle reti di associazioni di volontariato nell'ambito familiare che sviluppino legami solidali tra famiglie e tra le generazioni nella direzione del welfare solidale e relazionale, fondato su un mix di risorse economiche e relazionali;
   a mettere a sistema tutte le sperimentazioni positive e le buone pratiche già esistenti in Italia.
(1-00108)
(Ulteriore nuova formulazione) «Scuvera, lori, Zampa, Capone, Roberta Agostini, Albanella, Argentin, Basso, Bazoli, Beni, Biondelli, Boschi, Cardinale, Carnevali, Carocci, Carra, Casati, Cenni, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Coscia, D'Incecco, Marco Di Maio, Ermini, Fabbri, Fossati, Gadda, Gandolfi, Gasparini, Giorgis, Giulietti, Gnecchi, Gozi, Gregori, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Guerra, Iacono, Incerti, La Marca, Laforgia, Lattuca, Lenzi, Maestri, Malpezzi, Manzi, Marantelli, Marzano, Mongiello, Morani, Moretti, Moscatt, Mura, Narduolo, Nicoletti, Patriarca, Porta, Rostan, Sbrollini, Tidei, Tullo, Velo, Zappulla, Zardini, Capodicasa, Crivellari, Rubinato, Rocchi, Rigoni, Mogherini, Cani, Culotta, Marchi, Amoddio, Simoni, Quartapelle Procopio, Blazina, Rosato, Antezza, Fontanelli, Petrenga, Giammanco».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in Commissione Scuvera n. 7-00080 del 2 agosto 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-00330 del 24 settembre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Bergamini n. 5-01240 del 17 ottobre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Costantino n. 4-02403 del 5 novembre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Caparini n. 5-01430 del 12 novembre 2013.

Ritiro di firme da mozioni.

  Mozione Sorial e altri n. 1-00194, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 settembre 2013: sono state ritirate le firme dei deputati: Cariello, Pisano, Currò, Barbanti.

  Mozione Brambilla e altri n. 1-00244, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2013: è stata ritirata la firma del deputato: Tagliatatela.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Carocci 4-00881 del 17 giugno 2013 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-01488;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-01406 del 24 luglio 2013 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-01500;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-01799 dell'11 settembre 2013 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-01501.
   interrogazione a risposta in commissione Piras n. 5-01412 dell'8 novembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02568;

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in commissione Duranti e Piras n. 5-01418 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 115 dell'11 novembre 2013. Alla pagina 6694, prima colonna, alla riga quarantunesima, deve leggersi: «17 settembre 2012 tale società, tramite suoi» e non «17 settembre tale società, tramite suoi», come stampato.