Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 15 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici è stata avviata a seguito delle norme (decreto legislativo n. 104 del 1996) emanate dal Governo su delega del Parlamento (legge n. 335 del 1995) e successivamente si è sviluppata con la legge n. 410 del 2001 che ha consentito il ricorso alle operazioni finanziarie di cartolarizzazione, effettuate tramite la società veicolo s.c.i.p. s.r.l. costituita dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze;
    dopo 17 anni sono risultate vendute 74.926 delle 90.392 unità immobiliari; ad oggi, risulta un portafoglio residuo complessivo di 15.466 unità immobiliari vincolate alla dismissione;
    è ormai innegabile che la situazione generale del Paese, dal punto di vista sociale ed economico, è molto difficile e la crisi mette in discussione la coesione sociale che interessa ormai larghi strati della popolazione;
    è improrogabile la necessità di trovare una soluzione alla problematica della casa degli inquilini degli enti previdenziali pubblici ed in particolare degli inquilini dei «cosiddetti» immobili di pregio, tra i quali anche pensionati e lavoratori dipendenti con reddito medio basso;
    occorre, pertanto, intervenire urgentemente per superare innanzitutto la situazione di stallo delle vendite, che permane dal 2009 per le unità immobiliari (prevalentemente residenziali), rimaste invendute dopo la chiusura delle fallimentari operazioni di cartolarizzazione e ritrasferite in proprietà agli enti previdenziali, comunque vincolate da molti anni dalla vigente legislazione alla dismissione con diritto di opzione all'acquisto riconosciuto agli inquilini;
    è evidente come la quasi totalità delle vendite che negli anni sono state realizzate dallo Stato e dagli enti previdenziali pubblici, sono state fatte agli stessi inquilini opzionari, ai quali è stato praticato il prezzo di mercato determinato, come per legge, dall'Agenzia del territorio ridotto del trenta per cento, così come stabilito in ordine a tutte le dismissioni immobiliari pubbliche (legge n. 622 del 1996) e ribadito anche nella legge n. 410 del 2001, oltre al cosiddetto sconto di blocco;
    non v’è dubbio che la gestione del suddetto portafoglio residuo dalle operazioni di cartolarizzazione, in massima parte costituita da unità residenziali, i cui inquilini pagano una «indennità di occupazione», rappresenti una «coda» di difficile gestione per gli enti, vincolati, da una parte, per legge alla dismissione degli immobili inseriti nei piani di alienazione, dall'altra, dal legislatore del 2009 a promuovere la definizione dei contenziosi privilegiando soluzioni transattive (articolo 43-bis, della legge n. 14 del 2009);
    la mancanza assoluta in questi ultimi quattro anni di iniziative autonome da parte degli enti – malgrado le varie iniziative parlamentari succedutesi, lascia supporre quante difficoltà trovino le amministrazioni nella prudente valutazione di circostanze per accordi transattivi, in grado di soddisfare l'interesse pubblico e la convenienza del privato;
    di qui la necessità di intervenire con una norma idonea a definire la massima parte delle vertenze in atto, ponendo fine ad annosi contenziosi dall'esito incerto, nella prospettiva dell'immediato bilanciamento d'interessi tra l'aspirazione dei conduttori ad acquistare finalmente la casa ed il conseguimento del risultato economico per la finanza pubblica;
    in questo quadro si rende necessaria ed opportuna una accelerazione sulle dismissioni immobiliari, a cominciare dagli immobili residenziali dell'Inps e dell'Inail. È necessario quindi affrontare tutte le criticità che sono emerse negli anni passati, che vanno affrontate e risolte tenendo anche conto delle legittime aspettative degli inquilini che, a distanza di 17 anni dall'avvio del processo di dismissioni, non sono stati ancora messi in condizione di poter acquistare la loro prima abitazione in cui vivono da decenni;
    occorre anche valutare con equità, quanto posto in evidenza, nel corso di questi ultimi anni, dal coordinamento nazionale degli inquilini dei «cosiddetti» immobili di pregio oggetto di cartolarizzazioni, a cui giudizio i precedenti Governi hanno fissato criteri del tutto sommari ed approssimativi nella individuazione degli immobili di pregio, con conseguente esclusione dell'abbattimento del 30 per cento del prezzo di offerta in opzione ai conduttori che li acquistano in forma individuale;
    la legge, infatti, impone la classificazione «di pregio» dell'immobile solo sulla base dell'ubicazione e non per le condizioni effettive dello stesso. Si tenga conto che molti di questi immobili, in realtà, sono in un avanzato stato di degrado;
    dal 2009 l'Inps non ha inviato più le offerte in opzione dopo oltre un decennio dalla data di determinazione dei prezzi di vendita stabilita, come per legge, dalla Agenzia del territorio ed è stato negato quindi agli inquilini il diritto di esercitare in tempi tollerabili l'opzione all'acquisto;
    non è stata sperimentata alcuna soluzione transattiva dopo l'entrata in vigore dell'articolo 43-bis della legge 27 febbraio 2009, n. 14;
    non risulterebbe applicata, da parte dell'Inps, la direttiva ministeriale del 10 febbraio 2011, indirizzata a tutti gli enti, con cui il Governo è intervenuto sul blocco delle vendite disponendo che occorre procedere alla dismissione favorendo soluzioni transattive che consentano di stipulare compravendite con un corrispettivo pari al valore dell'immobile, determinato a suo tempo dall'Agenzia del territorio, e un versamento di una quota parte di tale prezzo;
    non sono state definite le modalità di attuazione della norma che garantisce il rinnovo novennale dei contratti di locazione per gli inquilini ultrasessantacinquenni con basso reddito;
    numerosi sono stati gli atti presentati nella passate legislature, al fine di porre una soluzione al problema, per citarne alcuni: l'AC 5478 del 7 dicembre 2004 e l'AC 2063 del 13 dicembre 2006, nonché AS 1019 del 26 settembre 2006 e AS 1328 del 15 febbraio 2007, oppure con Soluzioni transattive del contenzioso, come suggeriva l'Ordine del giorno del Governo n. 9/1746 – bis/48 accolto in Parlamento in relazione alla legge finanziaria per il 2007, oltreché molteplici atti di sindacato ispettivo;
    si tratta di un problema di grande impatto sociale che necessità di una soluzione sostanziale, che risponde ad un bisogno abitativo diffuso nel nostro Paese, con la conseguenza di garantire la soluzione del gigantesco contenzioso instaurato presso i tribunali civili, i tribunali amministrativi regionali e il Consiglio di Stato da cittadini locatari di immobili residenziali inopportunamente classificati di pregio;
    in merito alla dismissione del patrimonio a reddito degli istituti previdenziali appare necessario intervenire, con celerità e chiarezza, anche relativamente alle caratteristiche del programma straordinario di dismissione del patrimonio strumentale dell'Inps che si appresta a varare a seguito dell'integrazione logistica in corso;
   in forza dell'articolo 21, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, con decorrenza 1o gennaio 2012, l'Inps succede all'Inpdap ed all'Enpals, in tutti i rapporti attivi e passivi a seguito della soppressione di tali enti, con l'attribuzione delle relative funzioni all'Inps;
    il presidente dell'Inps ha approvato i singoli piani operativi di razionalizzazione logistica delle direzioni regionali e provinciali dell'Inps con integrazione del patrimonio degli enti soppressi al patrimonio dell'Inps approvando i relativi finanziamenti, distinti per direzioni regionali, per permettere interventi di razionalizzazione nell'arco temporale 2011-2014, atti a favorire la dismissione degli immobili strumentali locati e la messa a disposizione alla locazione ovvero all'alienazione degli immobili strumentali di proprietà che risultino in eccesso rispetto alle esigenze organizzative dell'istituto integrato;
    le direttive del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in riferimento ai piani di investimento degli enti pubblici previdenziali e assistenziali vigilati, hanno individuato i seguenti obiettivi strategici:
     a) il raggiungimento dell'interesse pubblico;
     b) la riduzione complessiva dei costi di gestione;
     c) lo sviluppo di immobili gestiti da amministrazioni o enti pubblici;
    le iniziative di razionalizzazione logistica del patrimonio strumentale in corso, stanno rendendo disponibili immobili da destinare alla locazione o all'alienazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative nel più breve tempo possibile – in attesa di elementi informativi, relativamente alle caratteristiche del programma straordinario di dismissione degli immobili che si appresta a varare – al fine di chiarire il quadro normativo che regolerà il processo di locazione e/o alienazione del patrimonio immobiliare, compreso quello strumentale, degli enti previdenziali;
   ad intervenire affinché vengano adottate con chiarezza e celerità, in un tempo definito, tutte le procedure necessarie per l'inizio del nuovo processo di dismissione che tenga conto delle esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica;
   ad assumere iniziative per garantire, comunque, agli inquilini tutele e garanzie di controllo sui prezzi di vendita da parte degli enti o di eventuali società strumentali e sull'entità dei canoni di affitto in rinnovo di locazione, traendo prioritario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001 e dagli accordi sindacali in materia, in modo che i diritti in essi stabiliti siano effettivamente praticabili;
   ad attivarsi anche con una precisa iniziativa normativa per risolvere l'annosa vicenda del contenzioso giudiziario dei cosiddetti immobili di pregio;
   ad assumere nelle future iniziative normative obblighi a stipulare e rinnovare i contratti di locazione, anche tenendo in considerazione eventuali situazioni di difficoltà economica delle famiglie interessate;
   ad adottare iniziative per pervenire a criteri di definizione della natura di «pregio» degli immobili che tengano conto, non soltanto dell'ubicazione dei medesimi, ma anche delle effettive condizioni manutentive.
(1-00246) «Antimo Cesaro, Tinagli, Zanetti, D'Agostino, Sottanelli, Cimmino, Binetti, Rabino, Causin, Fitzgerald Nissoli, Monchiero, Schirò Planeta».


   La Camera,
   premesso che:
    il 31 ottobre 2013 è stato reso pubblico, su decisione dell'ufficio di presidenza della Camera dei deputati, il resoconto dell'audizione davanti alla Commissione bicamerale d'inchiesta sui rifiuti del pentito di camorra Carmine Schiavone del 7 ottobre 1997, concernente lo sversamento e l'interramento illegale di rifiuti di ogni genere, anche tossici e nocivi, non solo nel territorio campano e nel basso Lazio, ma anche nel Molise, nello specifico in tutto il territorio del Matese e nelle zone vicino Isernia;
    in particolare si apprende che la suddetta attività illegale si svolgeva al nord fino a Latina, mentre a est in tutta la zona del Matese, Isernia e le zone vicine; inoltre il pentito Schiavone parla di un sistema unico di smaltimento illegale di rifiuti tossici dalla Sicilia alla Campania. Anche per la Calabria e la Puglia ha denunciato lo stesso tipo di inquinamento e di infezione derivante dallo sversamento ed interramento di tonnellate di rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e dal Nord Italia;
    la portata devastante dal punto di vista ambientale e socio sanitario derivante dallo smaltimento illegale di rifiuti tossici e pericolosi sarebbe stata nota a partire dagli anni novanta, vale a dire da oltre venti anni, senza che alcuna iniziativa realmente efficace e sistemica, soprattutto di mappatura e di bonifica, fosse intrapresa;
    nello specifico, il business dello smaltimento illecito di rifiuti pericolosi in una terra come il Molise, a bassa densità abitativa e con un territorio prevalentemente collinare, pare abbia trovato sempre nuovi sbocchi;
    infatti è a partire dagli anni ottanta che la contrada di Fragnete, campagna alle porte di Isernia, è stata per lungo tempo inondata di fusti contenenti rifiuti tossici e sostanze radioattive, sversate nella zona chiamata Frusc’, un bellissimo tratto di bosco dove querce e tartufi abbondavano. Il meccanismo era semplice, ed è quello denunciato dal pentito Schiavone: nelle ore notturne gli scavatori preparavano le buche e i camion dei Casalesi le riempivano con i rifiuti tossici;
    le istituzioni isernine, anche a seguito delle proteste dei contadini, spostarono la discarica comunale dal bosco Frusc’ al Colle Santa Maria, sempre a Fragnete: di giorno arrivavano i rifiuti urbani prodotti dai cittadini di Isernia, di notte i carichi dei Casalesi;
    nelle ore diurne, invece, capitava spesso che i rifiuti venissero gettati su copertoni di gomma ardenti e, se c'era vento, il fumo nero e irrespirabile si propagava nelle zone circostanti, da Fornelli a Castelromano, da Ravasecca a Breccelle: Fragnete, terra di contadini, viveva in anteprima quello che sarebbe poi successo nella Terra dei Fuochi;
    già il rapporto Ecomafia 2005 affermava che: «Con l'esigenza di diversificare le destinazioni finali dei traffici illegali, i rifiuti speciali pericolosi sono finiti in regioni considerate immuni fino a qualche anno fa. E allora si è scoperto che i veleni sono stati scaricati anche nella verde Umbria e addirittura in Molise. Sono state coinvolte le province meno note agli onori delle cronache della criminalità ambientale tra cui Campobasso»;
    la stessa Direzione nazionale antimafia, nel 2008, definisce il Molise come «punto finale di arrivo per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, ove occultare discariche abusive con la compiacenza di alcuni proprietari corrotti»;
    è infatti del 2004 un'operazione della procura della Repubblica di Larino, chiamata «Operazione Mosca» sullo smaltimento illecito di rifiuti, nel Basso Molise, provenienti dal nord Italia e gestito dalla camorra, e che ha visto coinvolti diversi personaggi con arresti e fermi con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata all'illecita gestione e al traffico di rifiuti pericolosi. I rifiuti, complessivamente alcune migliaia di tonnellate, contenevano arsenico e solfuri, mercurio, cromo, rame, piombo e reflui ad alta tossicità;
    la Camera dei deputati il 5 novembre 2013 ha approvato alcune mozioni relative al fenomeno criminale dello sversamento ed interramento illecito dei rifiuti tossici e nocivi e al fenomeno dei roghi tossici nella cosiddetta «Terra dei fuochi» con particolare riferimento alle sole regioni Campania e Lazio; in tale sede il Governo si è impegnato, tra le altre cose, ad avviare un'indagine accurata sulla salubrità dei terreni, delle falde acquifere e dell'aria nelle aree più direttamente interessate dallo sversamento illegale di rifiuti tossici e attualmente note, anche al fine di prevenire allarmismi generalizzati che possono danneggiare il settore agroalimentare campano, che rappresenta uno dei pilastri dell'economia regionale; a fare la mappatura dei siti contaminati nel territorio delle regioni Lazio e Campania e a definire un piano di bonifiche nazionale, ai sensi dell'articolo 252, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; ad inasprire le pene per i reati ambientali, assimilandoli a quelli di stampo mafioso e/o terroristico; ad istituire quanto prima un tavolo interministeriale per assicurare – in tempi rapidi e certi – il rilancio dell'attività di bonifica dei suoli inquinati, ai fini del loro recupero e della loro riconversione;
    lo smaltimento illecito di rifiuti speciali in Molise è ormai, purtroppo, conclamato e in relazione alla sola «Operazione Mosca» del 2004 lo smaltimento illecito è stato di 120 tonnellate di rifiuti speciali di industrie metallurgiche e rifiuti ospedalieri provenienti dal nord Italia. In tale occasione quattro ettari di terreno a ridosso del litorale molisano sono stati coltivati con concime ricavato da questi rifiuti e il grano prodotto conteneva un'elevatissima concentrazione di cromo; è quindi di importanza fondamentale prevedere anche per la regione Molise l'applicazione delle misure di verifica di controllo e di bonifica previste per le regioni Campania e Lazio a seguito delle mozioni in commento approvate lo scorso 5 novembre,

impegna il Governo:

   ad avviare, anche per il Molise, un'indagine accurata sulla salubrità dei terreni, delle falde acquifere e dell'aria nelle aree più direttamente interessate dallo sversamento illegale di rifiuti tossici, e attualmente note, anche al fine di prevenire allarmismi generalizzati che possano danneggiare il settore agroalimentare molisano, avvalendosi delle competenti strutture sanitarie e di ricerca;
   ad assumere le iniziative di competenza necessarie a verificare l'esistenza di siti da bonificare con la conseguente mappatura dei siti contaminati nel territorio della regione Molise al fine del loro inserimento in un piano di bonifiche di interesse nazionale, per il loro recupero e la loro riconversione.
(1-00247) «Venittelli, Leva, Picierno, Famiglietti, Impegno, Lattuca, Stumpo, Amendola, Senaldi, Tartaglione».


   La Camera,
   premesso che:
    la tutela delle vittime di reato attiene alla sfera dei diritti fondamentali della persona e costituisce uno degli aspetti essenziali cui occorre avere riguardo sia nell'ambito del procedimento giudiziario, sia, soprattutto, nelle fasi preliminare e successiva ad esso;
    in questo senso, la normativa internazionale riconosce la necessità di rispondere alla globalità dei bisogni della vittima, dei suoi familiari e degli eventuali testimoni del reato, e sulla base di questi presupposti intende tutelarla sia in quanto persona, attraverso l'accoglienza, la tutela, l'informazione, la protezione e la possibilità di disporre di forme di mediazione con il reo, sia in quanto soggetto processuale, mediante l'accompagnamento nel processo penale ed il risarcimento;
    con riguardo a tutti questi aspetti nel nostro Paese si verificano, purtroppo, ancora molti ritardi, malfunzionamenti e inadempienze;
    con specifico riguardo alla fase risarcitoria, ad esempio, si può rilevare che, mentre le normative internazionali e comunitarie allargano la tutela a tutte le vittime di reati intenzionali violenti, quella italiana si occupa di predisporre fondi di risarcimento solo in favore di alcune categorie di vittime (essenzialmente vittime del terrorismo, della criminalità organizzata di richieste estorsive e di usura) limitando, quindi, la tutela alle mere fasi processuale e risarcitoria;
    giova ricordare, in proposito, che l'Italia risulta attualmente messa in mora a seguito del procedimento di infrazione promosso a suo carico da parte della Commissione europea (2011_4147) per la «cattiva applicazione» della direttiva 2004/80/CE, che prevede che «tutti gli Stati membri provvedano a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime», nel caso in cui il condannato non abbia i mezzi per farlo;
    la legislazione italiana sul tema, adottata, seppur con ritardo, con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, ha semplicemente esteso al soggetto «stabilmente residente in un altro Stato membro dell'Unione europea» e che risulti essere la «vittima di reato commesso nel territorio dello Stato» il riconoscimento dell'indennizzo statale già previsto in ambito nazionale per la medesima tipologia di reato, ma senza estendere tale misura ad altri reati intenzionali violenti, nonostante in Italia i reati più gravi ed efferati siano commessi da singoli ai danni delle categorie più deboli come donne e bambini;
    a ciò si aggiunga che l'Italia non ha firmato neanche la Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, firmata a Strasburgo il 24 novembre 1983 ed entrata in vigore il 1o febbraio 1998, che obbliga gli Stati contraenti a prevedere, nell'ambito delle legislazioni nazionali, un meccanismo di risarcimento per le vittime di infrazioni violente che hanno causato gravi lesioni corporali o il decesso;
    dopo decenni durante i quali l'attenzione era stata prevalentemente rivolta alla tutela dei diritti violati, negli ultimi anni si sono registrati un'attenzione ed un interesse crescente verso i bisogni delle vittime, e si è giunti a stabilire come diventi essenziale per la vittima l'essere riconosciuta in condizione di difficoltà anche da parte della collettività e delle istituzioni;
    nel nostro Paese, le attività di assistenza, aiuto, ascolto e sostegno psicologico sono perlopiù affidate a strutture di volontariato, e risultano frammentate sia sotto il profilo degli ambiti di intervento, sia sotto quello geografico, considerata diseguale distribuzione sul territorio delle pur numerose strutture dedicate, e che a fronte di aree geografiche capillarmente servite ve ne sono altre molto carenti;
    l'assenza di un coordinamento a livello regionale, o meglio ancora nazionale, costituisce un fattore che facilita tali disparità, finendo con l'enfatizzare gli svantaggi propri di alcuni contesti sociali, e, in egual misura, pesa lo scarso coordinamento tra pubblico e privato, tra terzo settore e volontariato;
    uno degli aspetti primari dell'assistenza alle vittime riguarda la questione degli operatori e della loro formazione, richiamata più volte anche dalla normativa europea, e che andrebbe implementata sia sotto il profilo delle conoscenze e delle competenze, sia sotto il profilo dell'empatia che deve caratterizzare l'operatore quando ascolta le vittime;
    altro tema di primaria importanza è certamente quello costituito dal sostegno finanziario che occorre dedicare e garantire alle politiche in favore delle tutela delle vittime, ai quali occorrerebbe destinare una quota annua certa di finanziamenti per assicurare la qualità dei servizi erogati, oltre a favorire la diffusione delle attività svolte nei centri su tutto il territorio, permettendo loro di operare all'interno di una sostanziale continuità;
    ulteriori problematiche riscontrabili nel nostro ordinamento attengono alla tutela in fase processuale non solo sotto il profilo risarcitorio ma anche sotto quello del pagamento delle spese processuali;
    si sono verificati, infatti, numerosi casi in cui i familiari delle vittime di reato si sono trovate a dover corrispondere allo Stato le spese giudiziali perché il condannato risultava nullatenente;
    il 25 ottobre 2012 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato la direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, e che sostituisce la precedente normativa in materia, contenuta nella decisione quadro 2001/220/GAI;
    la direttiva muove, tra le altre, dalla premessa che un reato non è solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime che, come tali, dovrebbero essere riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile e professionale, senza discriminazioni di sorta e si pone come obiettivo quello di «garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali»;
    altri aspetti della direttiva attengono alla necessità di limitare il rischio della cosiddetta vittimizzazione secondaria e ripetuta, alla particolare tutela della quale sono meritevoli le vittime minori, quelle affette da disabilità, le vittime di atti di terrorismo, e quelle della violenza di genere e della violenza nelle relazioni strette, nonché all'esigenza di prevedere, che tra queste, possano essere considerati anche i familiari delle vittime;
    altro aspetto al quale la direttiva dedica ben due articoli attiene alla tutela finanziaria delle vittime, disponendo in merito al «Diritto al patrocinio a spese dello Stato» e al «Diritto al rimborso delle spese»; 
    sull'onda emotiva dei numerosissimi casi di femminicidio verificatisi nel nostro Paese, negli ultimi mesi il Parlamento ha profuso particolare impegno rispetto a questo tema, provvedendo, tra l'altro, alla ratifica della convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul, l'11 maggio 2011, ed all'approvazione, con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», di un primo pacchetto di norme che ne recepiscono le indicazioni;
    in particolare, tuttavia, il decreto-legge n. 93 del 2013 è apparso fortemente sbilanciato sull'aspetto dell'inasprimento del sistema sanzionatorio, e, pur compiendo un primo piccolo passo nel senso della tutela delle vittime attraverso la previsione di un piano nazionale antiviolenza, dedica a questo tema un'attenzione ancora insufficiente;
    numerosi provvedimenti recanti norme a protezione e sostegno delle vittime di reati giacciono in Parlamento in attesa di essere esaminati, e altri, nelle precedenti legislature, non sono mai stati calendarizzati;
    la direttiva 2012/29/UE, il cui termine per il recepimento è fissato al 16 novembre 2015, è stata inserita nell'allegato B alla legge europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96, «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013») il Governo nell'emanazione del decreto dovrà attenersi ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234;
    ai sensi del testo della direttiva 29/2012/UE essa «stabilisce norme minime. Gli Stati membri possono ampliare i diritti da essa previsti al fine di assicurare un livello di protezione più elevato»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative di competenza per il tempestivo recepimento della direttiva europea di cui in premessa;
   a svolgere un ruolo di impulso e di coordinamento centrale delle strutture, pubbliche e private, deputate a svolgere funzioni di assistenza, sostegno e tutela delle vittime, al fine, da un lato di potenziare e rendere più omogenea la distribuzione sul territorio delle stesse, e, dall'altro, di operare nel senso della creazione di una rete tra pubblico e privato;
   a promuovere la collaborazione intersettoriale tra i diversi attori che, a vario titolo, si occupano di queste problematiche, quali le forze dell'ordine, la magistratura, i servizi sociali, le associazioni di volontariato sul territorio, gli operatori di victim support;
    con particolare riferimento alle strutture di assistenza: a promuovere iniziative volte a prevedere un ampliamento delle loro competenze, attraverso la migliore formazione degli operatori impiegati, grazie ad approfondimenti sulle materie sociologiche, psicopedagogiche, sulle scienze giuridiche, nell'ambito della criminologia e della vittimologia, nonché richiamando le funzioni ed il ruolo svolti dal servizio sociale territoriale e da quello sanitario;
   a fornire un adeguato e continuativo sostegno economico alle realtà che operano nel campo dell'assistenza e tutela delle vittime di reato;
   a prevedere adeguate forme di pubblicizzazione dei servizi offerti e delle strutture di accoglienza presenti sul territorio, nonché campagne di informazione e sensibilizzazione sul tema della violenza nelle sue diverse declinazioni;
   a elaborare modalità per la verifica e valutazione dell'impatto delle misure di assistenza e protezione delle vittime;
   con specifico riferimento alla fase processuale ad assumere iniziative volte a prevedere una disciplina risarcitoria da parte dello Stato, laddove l'autore dei reato sia tornato a delinquere perché rilasciato dal carcere a seguito di provvedimenti di clemenza alternativi alla detenzione adottati dallo stesso e a modificare la disciplina inerente al pagamento delle spese giudiziarie, affinché esse non possano più gravare proprio sulle vittime o sulle loro famiglie;
   a valutare, in accordo con le previsioni della direttiva, laddove prevede che gli Stati possano adottare norme di protezione più elevate, di assumere iniziative per riconoscere alle vittime e alle persone danneggiate dal reato una tutela di rango costituzionale, come già richiesto da alcune proposte parlamentari;
   a sottoscrivere la citata convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, affinché nel nostro ordinamento possano essere recepite le indicazioni ivi previste.
(1-00248) «Cirielli, Giorgia Meloni, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il 20 novembre 2013 ricorre la giornata internazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, in occasione della quale l'ANCI (Associazione nazionale comuni italiani) e l'UNICEF Italia celebreranno il 24o anniversario della «convenzione sui diritti dell'infanzia» del 1989, ratificata dall'Italia con la legge n. 176 del 1991;
    la convenzione aggrega differenti esperienze culturali e giuridiche, enunciando per la prima volta, i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutti i bambini e a tutte le bambine del mondo; essa prevede anche un meccanismo di controllo sull'operato degli Stati, che devono presentare a un Comitato indipendente un rapporto periodico sull'attuazione dei diritti dei bambini sul proprio territorio. Ad oggi sono ben 193 gli Stati parti della convenzione;
    il trattato di Lisbona ha inserito la promozione e la tutela dei diritti dei minori tra gli obiettivi dell'Unione europea (UE) che sono peraltro sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la quale invita le autorità pubbliche e le istituzioni private a rendere il rispetto dell'interesse superiore del minore un elemento fondamentale per la definizione e l'attuazione delle misure riguardanti i minori;
    nonostante la legislazione in materia di sostegno ai minori abbia fatto registrare in Italia notevoli progressi nel corso degli anni, tuttavia, i dati UNICEF denunciano una situazione allarmante con elevati tassi di povertà infantile;
    nello specifico, da quanto emerge dalla relazione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora, in Senato nel mese di giugno 2013, l'Italia occupa la 22a posizione su 29 Paesi per livello di benessere dei bambini. La classifica tiene conto dei Paesi più industrializzati;
    si è alla presenza di una vera e propria questione sociale, basti pensare agli ultimi dati Istat: in Italia vivono in situazione di povertà relativa 1.822.000 minorenni, pari al 17,6 per cento di tutti i bambini e gli adolescenti. Il 7 per cento dei minorenni vive in condizioni di povertà assoluta, pari a 723.000 persone di minore età, la quota e del 10,9 per cento nel Mezzogiorno, a fronte del 4,7 per cento nel Centro e nel Nord del Paese;
    i minori maggiormente a rischio di povertà ed esclusione sociale sono i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni con un tasso percentuale pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale. Al Sud la situazione risulta più grave, settanta su cento minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d'Italia rischiano di essere poveri. I bambini e gli adolescenti vivono nel 41,5 per cento dei casi in famiglie dove lavorano entrambi i genitori, mentre il 12 per cento vive con un solo genitore. Gli alunni di cittadinanza straniera iscritti nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado sono 710 mila (anno scolastico 2010/2011);
    per ciò che concerne il problema dell'alimentazione e dello sport preoccupa il fatto che, un bambino su quattro sia sovrappeso e che la stessa percentuale non pratichi alcuna attività fisica. Inoltre, dato altrettanto allarmante è che tra gli adolescenti risulti una quota consistente di fumatori (quasi 9 per cento) ed ex-fumatori (3,5 per cento) a cui bisogna aggiungere anche il 5 per cento dei giovani che ha un consumo di alcol rischioso per la salute;
    per quanto concerne il «consumo culturale», se è vero che i bambini e ragazzi leggono di più degli adulti (il 57 per cento dichiara di aver letto libri), è altrettanto vero che moltissimi giovani si dedicano prevalentemente all'uso del PC (62 per cento) e di internet (64 per cento);
    le iniziative a sostegno delle famiglie con minori e in condizioni di disagio, varate negli ultimi anni (assegni di sostegno per le famiglie numerose, deduzioni fiscali per famiglie povere anche con bambini), hanno avuto una portata molto limitata e di scarsa efficacia;
    l'assistenza ai minori in condizione di bisogno, oltre che avere una finalità di tutela, esplica una funzione di prevenzione del disagio sociale, favorendo la crescita del minore in ambiente familiare idoneo e favorevole al suo sviluppo psico-fisico;
    dai recenti dati resi noti dall'Eurostat si evidenzia che nell'Unione europea, il 27 per cento dei minori è a rischio di povertà o di esclusione sociale. Il rischio di povertà è superiore tra i minori che nel resto della popolazione e aumenta quando il livello di istruzione dei genitori è basso e quando almeno uno dei genitori è immigrato. In sintesi, più di un minore su quattro è esposto ad almeno uno dei seguenti fattori: rischio di povertà, grave deprivazione materiale, famiglia a bassissima intensità di lavoro;
    purtroppo, a fronte di tale situazione i servizi per l'infanzia, pubblici e privati, nelle comunità locali, nei quartieri, nei tribunali, non sempre sono in linea con i principi e gli standard indicati dalla convenzione dell'Onu sui diritti dell'infanzia;
    particolarmente problematici risultano il tasso di abbandono scolastico, la qualità e l'offerta di servizi per l'educazione e la cura della prima infanzia. Non tutti i bambini, infatti, dispongono di strumenti adeguati per esprimere le proprie potenzialità; particolarmente svantaggiati sono i bambini disagiati, inclusi quelli provenienti da un contesto migratorio e/o appartenenti a famiglie a basso reddito;
    il terzo piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva approvato con decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 2011, prevede quattro direttrici di azione: consolidare la rete integrata dei servizi e il contrasto all'esclusione sociale; rafforzare la tutela dei diritti; favorire la partecipazione per la costruzione di un patto intergenerazionale; promuovere l'interculturalità, collocando la normativa sull'infanzia e l'adolescenza all'interno della cornice internazionale del diritto;
    nel rapporto sugli esiti di monitoraggio del piano, l'Osservatorio nazionale infanzia e adolescenza ha sottolineato quale elemento di forte criticità la progressiva riduzione delle risorse statali e regionali disponibili per il sistema del welfare destinato ai minori;
    il rapporto dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), Marking progress against child labour (misurare i progressi della lotta al lavoro minorile), indica una riduzione di un terzo del lavoro minorile dal 2000, passando da 246 milioni a 168 milioni. Più della metà dei 168 milioni di bambine e bambini lavoratori nel mondo svolgono lavori pericolosi che hanno conseguenze dirette sulla loro salute, sicurezza e sviluppo morale;
    Save the Children, attraverso la campagna «Allarme infanzia», ha denunciato il gravissimo deficit di futuro delle giovani generazioni chiedendo, da parte di tutte le istituzioni un concreto finalizzato ad attivare interventi urgenti e strutturali in favore di minori e giovani, sempre più minacciati nel diritto ad una vita dignitosa;
    secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), circa 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini sotto i 18 anni sono stati vittime di episodi di violenza e sfruttamento sessuale nel 2002 (dato più recente). Circa il 20 per cento delle donne, e tra il 5 per cento e il 10 per cento degli uomini, hanno subito abusi sessuali da bambini;
    ogni anno centinaia di migliaia di donne e ragazze vengono comprate e vendute come prostitute o ridotte in schiavitù sessuale. Inoltre, ogni anno migliaia di ragazzi e di ragazze sono reclutati in forze armate governative e gruppi ribelli, venendo così esposti ad un elevato rischio di violenza sessuale, fisica, psicologica ed emotiva;
    quello dell'abuso è un problema reale con il quale decine di migliaia di bambini devono fare i conti quotidianamente e che evidenzia quanto sia necessario realizzare una mappatura organica sul maltrattamento sui bambini, fondamentale anche per individuare le misure più idonee, sia a livello politico che culturale, per contrastarlo,

impegna il Governo:

   ad avviare ogni iniziativa atta a contrastare i fenomeni d'emarginazione minorile e prevenzione del disagio provocato dalle difficoltà di un adeguato inserimento. scolastico e dall'isolamento in cui vivono molti bambini in zone bisognose del Paese, con l'obiettivo di migliorare la conoscenza, le capacità di comunicazione e la socializzazione dei minori;
   ad attuare piani di contrasto alle carenze educative, favorendo il consolidamento delle reti di associazioni di volontariato nell'ambito familiare e predisponendo, nelle scuole, attraverso il coinvolgimento di insegnanti e famiglie, per ogni minore interventi specifici di supporto educativo;
   a programmare ogni iniziativa utile a migliorare la qualità, l'equità e l'efficienza del sistema di istruzione destinato all'infanzia, al fine di stimolare l'inclusione e ridurre l'abbandono scolastico, garantendo a tutti i bambini pari opportunità e favorendo l'emersione delle eccellenze affinché il merito non sia mortificato dall'ineguaglianza delle condizioni sociali;
   a potenziare in tutto il territorio nazionale servizi di assistenza e consulenza psicologica a famiglie e singoli con interventi per il superamento di problematiche sociali (solitudine, emarginazione, problemi relazionali, di integrazione sociale);
   a prevedere nelle prossime iniziative normative misure a sostegno del welfare con un'analisi sistematica e ragionata delle risorse attivabili per la loro realizzazione, così come disposto nel terzo piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva;
   a predisporre politiche e programmi nazionali atti a garantire un contrasto effettivo al lavoro dei minori, nel rispetto delle convenzioni dell'ILO sul lavoro minorile;
   a vigilare affinché nel nuovo piano per l'utilizzo dei fondi europei si concentrino le risorse sullo sviluppo non solo delle infrastrutture fisiche, ma anche del «capitale umano», a partire dal potenziamento dei servizi alla prima infanzia;
   ad istituire un sistema di monitoraggio sul maltrattamento dei minori in grado di fornite dati omogenei, comparabili e distribuiti su scala nazionale, che possa costituire un contributo di riflessione da cui far scaturire nuove politiche attive di contrasto ad ogni forma di violenza sui minori in conformità con i principi della, convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché con la normativa dell'Unione europea e con le indicazioni del Consiglio d'Europa in materia;
   a predisporre ulteriori risorse (umane e strumentali) per il contrasto della pedofilia, della pedopornografia, e di ogni forma di abuso o violenza sessuale sui minori, anche attraverso più incisive azioni di monitoraggio dei contenuti in rete destinati ai minori;
   a predisporre ogni utile iniziativa e risorse economiche adeguate, per avvicinare i minori e le famiglie in condizioni di disagio e/o povertà alla fruizione culturale del patrimonio storico-artistico, rafforzando politiche e progetti culturali che vedano il minore protagonista.
(1-00249) «Antimo Cesaro, Tinagli, Binetti, Vezzali, Schirò Planeta, Sberna, Gigli, Molea, D'Agostino, Cimmino, Monchiero, Rabino, Andrea Romano, Sottanelli, Caruso».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 22 giugno 2013 nei pressi di Pisticci Scalo si sono sviluppati tre incendi a distanza di pochissimo tempio l'uno dall'altro ben tre incendi;
   il primo e più ampio nei pressi della strada statale n. 407 Basentana che ha creato qualche disagio anche alla circolazione, il secondo verso la zona di Pozzitello nei pressi di una vecchia galleria ferroviaria della tratta Calabro-Lucane e il terzo sempre zona Pozzitello nelle prossimità dei pozzi gas, entrambi a poca distanza dalla discarica della Recisa;
   già lo scorso anno il comprensorio di Pisticci è stato interessato da numerosi incendi di cui uno vastissimo del 26 agosto scorso;
   la stessa discarica fu interessata anni addietro da un vasto incendio che coprì la valle di una densissima nube;
   il territorio di Pisticci per la sua vastità e complessità è fortemente esposto al rischio incendi e preoccupa che siamo appena all'inizio della stagione estiva;
   non molti giorni prima la pineta di Policoro era stata colpita da un altro incendio con danni anche a strutture del litorale;
   occorre mettere in campo una forte sinergia per il controllo del territorio utilizzando al meglio le risorse dei corpi preposti e delle associazioni di volontariato;
   già nella scorsa legislatura l'interrogante aveva avanzato la richiesta per i territori fortemente esposti a rischio incendi di poter beneficiare di una deroga al patto di stabilità e di poter impiegare nell'azione di controllo prevenzione i lavoratori disoccupati sotto regime di mobilità in deroga –:
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per valutare la possibilità di concedere una deroga al patto di stabilità per azioni mirate di prevenzione e di controllo del territorio rispetto al rischio incendi nel corso della stagione estiva e se non intenda comunque rafforzare i presidi comprensoriali di Corpo forestale dello Stato e Vigili del fuoco in termini di mezzi e uomini.
(4-02545)


   BALDASSARRE, ARTINI, BONAFEDE, GAGNARLI e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2009, a Viareggio, si consumava una strage ferroviaria che rimarrà per sempre come una pagina nera della storia del nostro Paese;
   nell'incidente ferroviario persero la vita ben 32 persone a causa di una sequenza di esplosioni di gas gpl fuoriuscito da una cisterna trasportata da un convoglio deragliato alla stazione;
   dopo anni si è aperto in questi giorni il processo a Lucca nel quale vede coinvolti 33 imputati, tra i quali Mauro Moretti, attualmente amministratore delegato di Trenitalia;
   nell'udienza di apertura l'amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, non si è presentato;
   come si evince da un articolo pubblicato su il fatto quotidiano, in data 14 novembre 2013, lo Stato non si è costituito parte civile nel processo in corso per gli eventi suddetti, come anche annunciato dall'avvocato di Stato Gianni Cortigiani;
   nello stesso articolo si indica una dichiarazione del Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti, Erasmo D'Angelis, il quale invita Letta a «correggere l'errore»;
   nell'immediatezza dei fatti, la Presidenza del Consiglio, dichiarò che «sarebbe stata vicina ai familiari e sarebbe intervenuta nel processo per accertare la verità dei fatti» –:
   se trovino conferma i fatti e le dichiarazioni suddette;
   se il Presidente del Consiglio, per quanto di propria competenza, intenda come dichiarato stare vicino ai familiari delle vittime e intervenire nel processo per accertare la verità;
   se il Presidente del Consiglio intenda o meno assumere iniziative per la costituzione dello «Stato» come parte civile nel processo inaugurato a Lucca in questi giorni;
   se si ritenga opportuno e moralmente accettabile il mantenimento della carica di amministratore delegato di Trenitalia dell'imputato Mauro Moretti. (4-02553)


   NARDI e NICCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   al primo girono di udienza del processo per il disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009 la Presidenza del Consiglio si è ritirata dal costituirsi parte civile, fatto che ha indignato le famiglie delle vittime della strage;
   il ritiro è avvenuto in cambio del «sostanzioso» risarcimento offerto dalle assicurazioni delle Ferrovie e dalla multinazionale Gatx, proprietaria della cisterna che trasportava gpl e che si spezzò poco oltre la stazione di Viareggio causando una tragica sequenza di incendi ed esplosioni in cui morirono 32 persone;
   il sindaco di Viareggio, la provincia di Lucca e la regione Toscana sono invece rimasti accanto alle famiglie come si evince anche dall'articolo uscito il 14 novembre 2013 sul quotidiano La Repubblica «Viareggio, lo Stato non è parte civile l'ira dei parenti: ignora i nostri morti»;
   nel processo sono imputate di disastro ferroviario, incendio, lesioni, e omicidi colposi 33 persone, fra cui l'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti e nove società, fra cui ferrovie, che sono accusate di aver anteposto le ragioni del profitto a quelle della sicurezza;
   i testimoni previsti sono oltre 500, cosa che renderà lungo e laborioso il processo, annoverando fra gli altri Luca di Montezemolo e Diego Della Valle per il loro ruolo Italo e per i rapporti con Ferrovie –:
   se non ritenga di accogliere la richiesta dei familiari delle vittime della strage e delle autorità istituzionali locali quali il sindaco di Viareggio, la provincia di Lucca e la regione Toscana e assumere iniziative per la costituzione dello Stato come parte civile nel processo. (4-02554)


   CASTELLI, CASO e SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ultimo bollettino statistico della Banca d'Italia il debito pubblico ad agosto 2013 ammontava a oltre 2.060 miliardi di euro. L'intera cittadinanza conosce le implicazioni di questo pesante fardello per il Paese. Un debito pubblico così esorbitante si auto-alimenta per via dell'elevatissimo costo associato alla spesa per interessi ed ha sinora richiesto diverse manovre finanziarie funzionali a ridurre la posizione debitoria dello Stato. Queste manovre, unitamente ad altre condizioni congiunturali, si sono tradotte e tuttora si traducono in richieste di forti sacrifici alla popolazione italiana che ne è stata e ne è gravata in cambio della speranza, si auspica ben riposta, che esse si rivelino realmente utili all'obiettivo di accrescere la sostenibilità del debito pubblico e a mitigare il costo del servizio del debito così da consentire quanto prima un recupero della competitività del Paese;
   tanto premesso ed alla luce di informazioni assunte nell'ultimo anno, si considera non marginale la problematica delle posizioni in strumenti finanziari derivati della Repubblica italiana (da questa stipulate, per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze, con una pluralità di istituti bancari);
   su di esse vige la più assoluta riservatezza dei dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze. È noto, infetti, che le posizioni in derivati non compaiono nel bilancio dello Stato e non vengono considerate ai fini del computo del dato sull'indebitamento pubblico. Purtuttavia, nel corso dell'ultimo anno si sono verificati importanti episodi che hanno dimostrato come alcune di queste posizioni abbiano generato cospicue emorragie per i conti pubblici;
   il riferimento è all'estinzione anticipata di posizioni in derivati con la banca americana Morgan Stanley avvenuta all'inizio di quest'anno ad un costo, per il Paese, di 2,567 miliardi di euro. Ad oggi, nonostante le numerose interpellanze anche da parte di onorevoli colleghi, ben poco si sa di questa vicenda. Dalla stampa (non da chiarimenti del Ministero dell'economia e delle finanze) si è appreso che queste posizioni risalissero alla metà degli anni Novanta e che si trattasse di due cosiddetti interest rate swaps e due swaptions;
   nel concreto si sa solo che sono derivati legati all'andamento dei tassi di interesse, ma nulla è dato ai sapere sulle loro effettive caratteristiche ed, in particolare, quando e a quali condizioni avrebbero dovuto comportare introiti o invece uscite per le casse dello Stato;
   l'unico altro elemento che sembrerebbe acquisito è che l'estinzione anticipata sarebbe stata attivata dalla Morgan Stanley, appellandosi a specifica clausola contrattuale, allo scopo di ridurre la propria esposizione al rischio-Italia nell'ambito di tali posizioni in derivati, esposizione che si era via via accresciuta nel semestre precedente a causa del peggioramento del merito creditizio della Repubblica italiana;
   col decreto «salva-Italia» del dicembre 2011 (la quarta manovra dello scorso anno) erano state create nel bilancio pubblico disponibilità per circa 30 miliardi di euro; sorge legittima la preoccupazione su come vengano impiegate le entrate delle manovre finanziarie e, nello specifico, se e di quanto queste vengano «bruciate» da una gestione dei derivati a dir poco disinvolta da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
   facendo qualche calcolo, i derivati con Morgan Stanley sono costati al Paese circa il 10 per cento della manovra di fine 2011. Detto in altro modo, a causa dei derivati il 10 per cento della manovra salva-Italia dello scorso anno potrebbe essere stato sottratto all'obiettivo di migliorare la sostenibilità del debito pubblico;
   è evidente la gravità del problema di cui si tratta. La vicenda dei derivati con Morgan Stanley insegna che gli effetti di posizioni «azzardate» in derivati possono rivelarsi un amplificatore dell'entità stessa del debito pubblico perché generano obbligazioni di pagamento ulteriori rispetto alle stime ufficiali dell'indebitamento dello Stato;
   rispondendo ad un'interpellanza urgente alla Camera dei deputati il 15 marzo 2012 il Sottosegretario all'istruzione, Marco Rossi Doria, ha dichiarato che a quella data il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammontava a circa 160 miliardi di euro (quasi il 10 per cento del debito pubblico), senza contare i derivati posseduti dagli enti locali, e che il caso Morgan Stanley rappresenterebbe un unicum poiché nessuno dei derivati ancora in essere conterrebbe clausole di estinzione anticipata attivabili dall'istituto bancario con cui sono stati stipulati;
   dichiarazioni poco esaurienti e poco rassicuranti se si aggiunge che a giugno 2013 La Repubblica a firma Andrea Greco e il Financial Times hanno rendicontato di una relazione del Ministero dell'economia e delle finanze inviata alla Corte dei conti dalla quale si evince che proprio su derivati lo Stato avrebbe una perdita potenziale di circa 8 miliardi di euro e cioè circa il 75 per cento dell'attuale controvalore della legge di stabilità;
   tra l'altro rilasciando la propria relazione sui conti dello Stato nel febbraio per il 2012, Salvatore Nottola, procuratore generale della Corte dei conti, ha osservato che «il danno fatto al reddito dello Stato costituito dagli esiti negativi dei contratti derivati è particolarmente critico e delicato». Né può essere ritenuto un chiarimento l'affermazione del Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni che all'indomani di queste notizie stampa ha definito il tutto come «un grande malinteso», argomentando però attraverso una tesi che confonde il tema delle perdite potenziali riportate sulla stampa con quello di perdite effettive nei conti dello Stato, aspetto che nessuno aveva evidenziato;
   inoltre in questo contesto di opacità si apprende da notizie stampa dello scorso mese come sempre nel collegato alla legge di stabilità vi siano disposizioni che inserendo il double way credit support annex per i derivati stipulati dallo Stato espongono potenzialmente lo stesso a rinegoziazioni che potrebbero comportare rilevanti impegni di liquidità pari anche alle perdite potenziali in essere;
   si tratta infetti, dell'obbligo di garantire i pagamenti derivanti da contratti derivati o pronti contro termine attraverso somme liquide sia da parte dello Stato che della Banca;
   per chiarezza gli Stati più «autorevoli» dal punto di vista finanziario (e fino a questa norma anche l'Italia ne faceva parte) operano in regime di one way credit support annex cioè solo la banca è tenuta a garantire lo Stato con somme liquide o titoli per immunizzarlo dal proprio rischio di controparte (cioè di non far fronte agli impegni di pagamento), ma lo Stato non è obbligato a farlo verso la banca;
   nonostante quello che afferma la relazione illustrativa, sono pochi gli Stati che lo hanno adottato. Per uno Stato da un punto di vista del prestigio, si tratta di un segnale sfavorevole perché vuol dire che il rischio di credito percepito della «controparte governo» non è più tollerabile da parte delle banche che entrano nella transazione (cosiddetta deal). Infatti, in questa prospettiva, si consideri che nell'Eurozona solo Portogallo ed Irlanda hanno «dovuto» accettare il double way CSA nel 2010 e nel 2011, e non a caso subito dopo sono esplose con violenza le crisi sul debito con crescita esponenziale dello spread;
   a fronte delle garanzie concesse alla banca che sottoscrive il deal con la Repubblica, per il Tesoro si pongono in essere dei rischi di liquidità immediati ed evidenti. Volendo fare un esempio delle conseguenze dell'applicazione di queste disposizioni si consideri uno dei derivati sottoscritti in passato dalla Repubblica, che al momento – a causa della riduzione permanente del livello dei tassi di interesse – si trovano inevitabilmente in perdita per lo Stato (cosiddetta posizione di mark-to-market negativo). Allo stato attuale è sostanzialmente corretto considerare queste perdite come solo potenziali, dato che gli effetti si realizzerebbero eventualmente solo a scadenza e nulla cambia nelle posizioni di liquidità dello Stato, eccetto per i pagamenti periodici negativi connessi al contratto, comunque di importo limitato. Se uno di questi contratti venisse rinegoziato con adozione della clausola double way CSA, per quanto risulta agli interroganti, la Repubblica dovrebbe depositare in conti separati presso una banca depositaria estera la liquidità esatta necessaria a coprire il mark-to-market negativo dei derivati, con impegni immediati ingentissimi;
   inoltre, nel caso ci fosse un evento di default della Repubblica, le banche controparti si rivarrebbero immediatamente su questi depositi, realizzando de facto una sostanziale clausola di prelazione rispetto ad un semplice investitore in BTP, che al momento sono prevalentemente nazionali (oltre il 60 per cento) del debito è nelle mani di soggetti nazionali). Quindi la Repubblica rischierebbe dunque di porsi nella condizione tipica che oggi sta mettendo in difficoltà banca MPS nei confronti di Nomura e Deutsche Bank, dove oltre 5 miliardi di liquidità sono impegnati per garantire i contratti-capestro Alexandria e Santorini Si tratterebbe di liquidità che sarebbe sottratta ai naturali impieghi della finanza pubblica, con tutte le conseguenze del caso;
   la relazione cita tra i Paesi che hanno adottato il double way CSA la Svezia e gli altri Paesi fuori dall'Eurozona, ma il paragone è improprio visto che queste nazioni adottano il double way CSA da un decennio e con diverse clausole di restrizione. Ad esempio, la Svezia posta collaterale ma questo viene effettivamente scambiato e messo a disposizione della controparte solo se il rischio di credito svedese supera delle soglie molto elevate. Peraltro, in molti di questi accordi si menziona espressamente che la presenza del double way CSA comporta necessariamente condizioni finanziarie più vantaggiose. Ad esempio, per l'Italia tale clausola potrebbe essere abbinata a condizioni finanziarie tipiche dello Stato più «virtuoso» in Europa e, cioè, la Germania. Ma anche di questo aspetto condizionale non vi sono indicazioni precise;
   la bozza della manovra asserisce invece che «in tal modo, l'attività in derivati della Repubblica viene ad essere immunizzata dal rischio di controparte». L'affermazione è fuorviante, visto che questo è sempre stato vero. Infatti, come già detto, un Governo «autorevole» (ad esempio, come la Germania) stipula un repo one way CSA cioè la banca posta collaterale al Governo tedesco per immunizzarlo dal rischio di controparte, ma il Governo non è obbligato a farlo verso la banca;
   si consideri peraltro che la prassi seguita da Portogallo ed Irlanda prevede che nei depositi di garanzia vengano conferiti in maggioranza titoli di stato dello stesso Paese. La pratica appare paradossale poiché non è possibile garantire attraverso propri titoli un deal dal rischio di controparte (se lo Stato fallisce il collaterale perde automaticamente valore). Tuttavia, poiché almeno la disponibilità del collaterale limita i costi di funding delle banche controparti tale prassi è attualmente accettata;
   per quanto riguarda l'Italia, invece si dubita pure che si possano utilizzare BTP, in quanto nella bozza di documento si fa esplicito riferimento a «somme liquide», da intendersi presumibilmente come cash o titoli di alta qualità molto costosi come i bund, ad esempio;
   in definitiva l'adozione del double way CSA espone la Repubblica a diversi nuovi rischi senza alcuna contropartita da parte delle banche;
   in caso di ristrutturazione di derivati già esistenti, seppure si possa considerare possibile che le controparti possano applicare uno sconto per via della garanzia prestata, difficilmente questa riduzione di costi riporterà il derivato in mark-to-market positivo. Di conseguenza, scatterebbero obblighi immediati di versamento di ingenti somme di liquidità da parte del Tesoro italiano con conseguenze per la gestione di tesoreria non completamente prevedibili;
   infine, questa disposizione potrebbe avere degli effetti negativi anche sull'operatività del sistema bancario nazionale sul mercato repo (pronti contro termine). Oggi infatti il sistema bancario nazionale si finanzia su questo mercato per oltre 140 miliardi di euro usando come garanzia (collaterale) i BTP; ma se i BTP non sono più ammissibile come garanzia per le operazioni dello Stato allora perché le banche estere li dovrebbero accettare dalle banche italiane; dato il legame sempre più stretto tra rischio-Italia e rischio-banche italiane, è ragionevole ipotizzare che le controparti estere delle banche nazionali nelle operazioni di repo esigano che le garanzie siano prestate sotto forma di BUND o cash e non di BTP con evidenti aggravamenti della gestione finanziaria del sistema bancario italiano;
   una simile disciplina andrebbe valutata attentamente e comunque non andrebbe inserita nella normativa di gestione finanziaria del debito pubblico – peraltro presentandola come una «norma tecnica» – se non dopo che sia stata compiuta un'attenta due diligence dei risultati finanziari potenziali dei derivati in essere. Si segnala anche che ad oggi nell'area euro solo Irlanda e Portogallo hanno adottata tale disciplina nei termini in cui si intenderebbe applicarla in Italia;
   non meno preoccupante la questione delle operazioni in derivati stipulati da enti locali. Infatti alle disposizioni in materia di derivati stipulati degli enti locali contenuti nell'articolo 62 della legge n. 112 del 2008, che indicano il divieto sostanziale di operatività in derivati, si sostituisce un divieto formale caratterizzato da una serie di manleve;
   queste manleve in mancanza di presidi di trasparenza informativa quali gli scenari probabilistici (che illustrano con quante probabilità ed in che misura una qualsiasi operazione in derivati va ad insistere sulle finanze dell'ente locale) rischiano di rendere ancora più problematica la gestione finanziaria degli enti locali e di determinare indebiti arricchimenti per le banche prevalentemente estere;
   esaminando infatti la bozza del provvedimento si nota che i derivati non sono vietati in assoluto in quanto si possono stipulare nuovi contratti di finanziamento che includono un cap cioè un tetto massimo ai pagamenti a tasso variabile. Non viene però affrontato il problema relativo alla capacità dell'ente di comprendere le condizioni di effettiva equità del contratto con cap rispetto all'alternativa naturale senza cap;
   le disposizioni inoltre, rendono possibile l'estinzione anticipata totale dei contratti e la cancellazione dai contratti esistenti della clausola di estinzione anticipata tramite regolamento per cassa del relativo saldo; in entrambi i casi non viene però affrontato il tema dei presidi informativi in grado di verificare la corretta quantificazione dell'importo da liquidare;
   viene anche stabilito che è possibile ristrutturare il derivato (trasformandolo in un interest rate swap) modificandone la passività finanziaria di riferimento e mantenendo le finalità di copertura del contratto;
   ancora una volta restano nel decreto prive di risposta alcune domande, in particolare non si comprende sulla base di quali informazioni l'ente locale possa capire se la ristrutturazione è migliorativa o meno e come l'ente possa capire se tale finalità di copertura viene mantenuta o meno nel nuovo contratto;
   a questo si aggiunge che l'ipotesi di intervento del legislatore – dando per scontato la finalità di copertura – sembra ignorare che gran parte dei contratti derivati in essere non erano realmente di copertura, come i numerosi contenziosi in essere stanno a significare;
   è inoltre possibile, sulla base della bozza, cancellare dai contratti esistenti le componenti derivative diverse dai cap tramite regolamento per cassa del relativo saldo. Anche in questo caso non viene però affrontato il tema dei presidi informativi in grado di verificare la corretta quantificazione dell'importo da liquidare;
   è infine previsto che l'ente locale alla sottoscrizione del contratto dichiari per iscritto di aver preso conoscenza di rischi e caratteristiche del nuovo contratto e di quello con cui esso viene modificato. Vengono quindi inserite per legge quelle dichiarazioni prive di sostanza analoghe a quelle che gli investitori firmano in banca quando sottoscrivono investimenti e finanziamenti e contro le quali la giurisprudenza anche di Cassazione si è più volte pronunciata nell'assunto che un soggetto non può capire cosa sottoscrive se non si stabilisce quali informazioni gli devono essere fornite per acquisire la conoscenza di rischi e delle caratteristiche del prodotto finanziario;
   queste disposizioni sono tanto più critiche se si considera che di recente la corte d'appello civile di Milano ha sancito, facendo tesoro anche delle risultanze di alcuni contenziosi penali tra cui quello dei derivati stipulati dal comune di Milano e della migliore dottrina (Maffeis, Girino e altri), che un contratto derivato è nullo allorquando non vengano ivi illustrati gli scenari probabilistici, i costi ed il suo valore equo (queste ultime due grandezze calcolate in base alla relazione biunivoca con gli scenari probabilistici);
   il legislatore avrebbe dovuto pertanto fare leva su questa giurisprudenza ed affrontare il problema dello stato dell'arte dei derivati tossici nelle finanze locali. In particolare, le norme avrebbero dovuto prevedere i citati presidi informativi trasformando la giurisprudenza in legge in modo di rendere trasparenti i rischi dei contratti derivati e supportare concretamente gli enti locali nelle attività di rinegoziazione;
   alternativamente, invece che disciplinare manleve senza informazioni adeguate, il Governo e segnatamente il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbero potuto emanare il regolamento previsto dalla legge del 2008 e fermo in consultazione dal 2009 (che contiene scenari probabilistici, costi e valore equo) e attribuire attraverso un decreto un ruolo di vigilanza su queste operazioni alle funzioni di analisi quantitativa della CONSOB in quanto Autorità di controllo sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti delle banche nei confronti investitori e quindi anche degli enti locali;
   i derivati conclusi dal Ministero dell'economia e delle finanze sono avvolti dalla più profonda opacità e che gli effetti di posizioni «azzardate» in derivati possono rivelarsi un amplificatore dell'entità stessa del debito pubblico (perché generano obbligazioni di pagamento ulteriori rispetto alle stime ufficiali dell'indebitamento dello Stato) e questo intervento normativo determina solo un ulteriore pericolo per le già precarie finanze locali in quanto riapre l'operatività in alcuni derivati per gli enti locali e consente rinegoziazioni senza alcuna trasparenza sui rischi ed i costi di tali operazioni (i.e. scenari probabilistici, costi e valore equo) e non dà supporto alle recenti citate pronunce giurisprudenziali anzi le isola e le indebolisce in sede di contenzioso – in quando non menziona l'esigenza di qualificare l'alea del contratto derivato in termini di probabilità quale elemento costituivo del contratto lasciando la validità dello stesso aduna sottoscrizione squisitamente formale di averne compreso i rischi –:
   quanti siano i derivati stipulati dalla Repubblica italiana per la copertura del debito ed ancora in essere e quali siano le caratteristiche tecniche, le controparti e il valore nominale di ciascuno di essi;
   se oltre, ai derivati stipulati per la copertura del debito, siano attualmente aperte altre posizioni in derivati (non di copertura) e, in caso affermativo, per ciascuno di questi;
   se sia confermato quanto dichiarato dal Sottosegretario all'istruzione, Marco Rossi Doria, circa l'inesistenza di contratti derivati la cui chiusura possa avvenire anticipatamente e su iniziativa dell'istituto bancario con cui gli stessi sono stati conclusi;
   quale sia il valore di mercato corrente di ciascuno dei derivati (di copertura e non) attualmente in essere e il valore di mercato netto complessivo di tali derivati, in modo da chiarire se vi siano o meno perdite potenziali anche se su alcuni derivati per 8 miliardi di euro;
   quali soluzioni tecniche abbia definito il Ministero per gestire il rischio di questi contratti;
   laddove i valori di mercato citati siano stati elaborati dal Ministero, se lo stesso si sia avvalso di consulenze esterne con indicazione delle persone fisiche e/o giuridiche che hanno fornito tali consulenze;
   laddove i valori di mercato citati siano stati elaborati dagli istituti bancari con cui ciascun derivato è stato stipulato, se il Ministero abbia provveduto a verificare la correttezza di tali valori e, in caso affermativo, se nell'espletamento di tal verifiche il Ministero si sia avvalso di consulenze esterne con indicazione delle persone fisiche e/o giuridiche che hanno fornito tali consulenze;
   in mancanza delle verifiche sui punti precedenti, quali siano le analisi tecniche a supporto della modifica inserita nel collegato alla finanziaria che introdurrebbe nella gestione del debito pubblico ed in particolare dei rischi dei derivati la regola del double way credit support annex;
   considerate le riconosciute competenze a livello nazionale ed internazionale dell'unità di analisi quantitativa della Consob nella materia della finanza derivativa, se le valutazioni di cui ai punti precedenti siano sottoposte ad una due diligence da parte di questa unità. (4-02555)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   GRANDE. —Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Iran, a seguito delle controversie relative al programma nucleare, è da tempo sottoposto a pesantissime sanzioni, pur rappresentando uno dei principali produttori mondiali di petrolio e gas;
   si tratta di sanzioni che, allo stato dell'arte, incidono assai pesantemente sulla stabilità economica di un Paese che – come noto – si regge per l'80 per cento sulle esportazioni di idrocarburi e che per puro paradosso puniscono pure quei partner commerciali (anche di vecchia data, proprio come l'Italia) che dipendono, in parte più o meno significativa, dagli approvvigionamenti energetici. In particolare, in base agli ultimi dati ISTAT disponibili, nei primi sette mesi del 2012, le importazioni dell'Iran dall'Italia hanno registrato una diminuzione del 19,83 per cento rispetto l'analogo periodo del 2011, per un valore di 835,42 milioni di euro. Le esportazioni iraniane hanno anche esse mostrato una diminuzione del 30 per cento, per un valore di 2,19 miliardi di euro: dati allarmanti per la zoppicante economia italiana che aveva pur tuttavia registrato, di converso, il triplicarsi dell'interscambio da 2 a 7 miliardi di euro nel periodo 1999-2011, cioè negli anni che hanno preceduto il divieto dell'Unione europea che ha di fatto determinato il blocco di tutti i trasferimenti tra banche europee e società iraniane e il congelamento degli asset di 34 aziende legate alla Repubblica islamica; va considerato che la dimensione del mercato iraniano e la configurazione del tessuto industriale presentano un elevato potenziale di crescita in grado di assorbire settori importanti dell'offerta italiana, soprattutto in presenza di una popolazione giovanile di età inferiore a 18 anni pari al 50% del totale (fonte Italian Embassy in Teheran); va tenuto conto dello stato asfittico in cui versa l'economia italiana –:
   alla luce degli eventi di questi giorni (colloqui 5+1 a Ginevra) e dovendo partire dall'assunto che si possano raggiungere dei risultati politicamente soddisfacenti, quali siano le linee strategiche che il nostro Paese intende porre in essere al fine del recupero, in tempi auspicabilmente brevi, delle quote commerciali italiane con l'Iran; in particolare, volendo partire dalla necessità di dover allentare la morsa – oggettivamente troppo stretta – delle sanzioni, se sia possibile predisporre autonome ed incisive azioni, sia pure in un quadro prudenziale che il Ministro ha recentemente indicato nei confronti delle aperture della nuova dirigenza politica iraniana, di sostegno alle nostre aziende che necessitano in ogni caso di un concreto stimulus politico da parte del nostro Governo, considerato che, diversamente, con l'indebolimento della proposta italiana in un mercato per il quale è da prevedersi una grande espansione e verso cui l'Italia è sempre stata un valido ed apprezzato interlocutore, presto il nostro Paese si ritroverà a parlare di un'ulteriore, grande «occasione persa», vedendosi costretto a registrare l'ennesimo penoso regresso. (4-02547)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 26 maggio 2013 nel pomeriggio si è sviluppato un vasto incendio nella pineta di Policoro con gravi danni al patrimonio ambientale e allo stabilimento balneare «Sporting Beach»;
   le fiamme si sono sviluppate rapidamente anche per la presenza del forte vento che soffiava;
   nell'azione di spegnimento sono state impegnate fino a sera squadre dei vigili del fuoco di Policoro, Matera e Tinchi di Pisticci nonché i volontari dei vigili del fuoco di Montalbano Jonico ed un canadair;
   non sono state ancora appurate le cause dell'incendio e purtroppo non è la prima volta che la pineta è stata teatro di incendi;
   la scorsa stagione estiva è stata per la provincia di Matera una stagione nera dal punto di vista degli incendi con le fiamme che hanno distrutto migliaia di ettari di vegetazione e solo per citarne alcuni ricordo gli incendi che hanno colpito i territori di Pisticci, Salandra, Montalbano jonico, Pomarico;
   questo episodio di Policoro preoccupa perché potrebbe annunciare un'altra stagione critica –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per rafforzare l'azione di prevenzione e cura del patrimonio boschivo nell'ambito della pineta di Policoro e più in generale lungo tutta la fascia jonica metapontina coinvolgendo tutte le amministrazioni interessate e nel contempo potenziando le dotazioni organiche e di mezzi del Corpo dei vigili del fuoco della provincia di Matera. (4-02544)


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da numerosi articoli sulla stampa nazionale, internazionale e sui media della rete dopo esattamente 11 anni dal gravissimo incidente della petroliera aframax Prestige occorso a largo della coste galiziane non è stato paradossalmente possibile individuare alcun responsabile per il naufragio;
   era il 13 novembre 2002 quando la petroliera Prestige della società greca Universe Maritime Ltd affondò al largo della costa della Galizia, in Spagna. Quel giorno finirono in mare 77 mila tonnellate di greggio, causando il più grave disastro ambientale d'Europa. Oltre 2.000 spiagge invase dalla marea nera, specie rarissime di uccelli con le piume impastate di petrolio, intere coltivazioni di mitili distrutte, danni ambientali per miliardi di euro – ancora riscontrabili;
   come riporta il Corriere della Sera, in un articolo del 13 novembre 2013, al termine del processo, i tre principali imputati: il comandante, l'armatore e la Marina mercantile spagnola sono stato assolti da tutte le accuse legate al disastro ambientale eccetto che per il comandante per disobbedienza grave per aver ritardato le operazioni di soccorso;
   l'incidente che mandò a picco la supernave fu causato semplicemente da un «cattivo stato di manutenzione e conservazione». Ma nessuno può sapere con certezza, «quale avrebbe dovuto essere la risposta appropriata nella situazione di emergenza creata dalla grave avaria del Prestige», ha detto il giudice Juan Luis Pia, leggendo la sentenza nell'aula del tribunale della Coruna. Assolvendo dunque il capitano Apostolos Mangouras, il capo macchinista Nikolaos Argyropoulos e l'ex direttore generale della Marina mercantile José Luis Lopez-Sors dall'accusa di crimini contro l'ambiente, «danni alle aree naturali protette» e «danni causati dal naufragio»;
   grave è stata anche l'inadeguatezza della gestione dell'emergenza da parte delle autorità iberiche: avendo fatto peraltro allontanare lo scafo della Prestige già compromesso dall'incidente;
   resta ancora senza risposte anche il problema del risarcimento del danno ambientale. In questa circostanza è stato dimostrato dalla consuetudine che eventuali risarcimenti escludono rigidamente qualsiasi tipo di danno ambientale;
   anche il nostro Paese, nel 1991, ha pagato il prezzo di gravissimi danni ambientali a causa del naufragio dell'enorme petroliera Haven a largo della coste liguri di Arenzano. Anche in questo caso gli armatori della petroliera risarcirono una cifra irrisoria per la bonifica ambientale, cinquanta volte inferiore rispetto a quanto la Esso sborsò al Governo americano per il disastro della petroliera Exxon Valdez –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interroganti affinché per il trasporto in mare di sostanze pericolose nelle acque dell'Unione europea sia previsto con chiarezza dal diritto del mare il risarcimento del danno ambientale magari novellando quanto ora regolato dagli Stati;
   se non si intenda altresì assumere iniziative per ampliare la platea dei responsabili in caso di naufragio e danno alla flora e alla fauna marine comprendendo anche i proprietari del carico della stessa nave, obbligando così i grandi noleggiatori ad individuare i vettori non più in base ai costi di noleggio, ma piuttosto in base all'affidabilità e alla sicurezza che questi sono in grado di offrire, posto che una soluzione di questo tipo potrebbe contrastare in parte il meccanismo del noleggio delle «carrette del mare», cambiando l'attitudine degli armatori di servirsi di navi vecchie e logore, loro stesse capacità, e farli optare per navi più affidabili e sicure. (4-02550)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, RIZZETTO e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati riportati dal documento statistico «Il diporto nautico in Italia 2012» redatto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono 104.738 le unità da diporto nautico iscritte nei registri degli uffici marittimi periferici e della motorizzazione civile – escluse le barche a vela sotto i 10 metri e quelle a motore sotto i 7 metri considerati natanti, che costituiscono però la maggioranza – per complessivi 148.684 posti barca;
   la nautica e il diportistico, in generale, rappresentano un settore fondamentale per l'economia nazionale – vista la conformazione peninsulare dell'Italia e la presenza di grandi e piccole isole parti del territorio nazionale – anche se ampiamente e colpevolmente sottostimato;
   malgrado il diffuso disinteresse, esistono realtà e buone pratiche riconosciute a livello internazionale, come nel caso degli 11 porti turistici del Friuli Venezia Giulia premiati quest'anno dalla Fondazione per l'educazione ambientale (FEE – Federation for Environmental Education), in quanto giudicati tra i migliori per limpidezza delle acque e servizi offerti ai diportisti;
   proprio la regione Friuli Venezia Giulia ha già modificato la legge regionale sul turismo introducendo la categoria dei «marina resort», definiti come strutture ricettive all'aria aperta che, grazie a una serie di servizi offerti, possono attrarre e gestire in modo completamente innovativo gli ormeggi legati al turismo da diporto;
   l'associazione di categoria UCINA (Unione nazionale dei cantieri e delle industrie nautiche) ha messo a nudo la grave crisi in cui versa oggi il comparto con la diffusione, nel febbraio 2013, dei dati relativi al 2012: una perdita per l'indotto di 950 milioni di euro; il calo del 49 per cento come contributo al prodotto interno lordo, del 45 per cento come fatturato, del 43 per cento sull'occupazione, del 26 per cento per gli ormeggi, del 33 per cento del traffico in transito, del 39 per cento per i ricavi da ormeggi, del 30 per cento per le spese riferite alle imbarcazioni e del 60 per cento per le spese del diportista sul territorio;
   queste criticità sono state accentuate dalle disposizioni adottate con poca lungimiranza dal precedente governo, guidato da Mario Monti, relative all'introduzione di una «tassa sullo stazionamento» per le barche che chiunque, italiano o straniero che fosse, doveva corrispondere fermandosi all'ormeggio di un porto;
   la conseguenza immediata del preannuncio a dicembre 2011 di questa tassa è stata la fuga in massa dei diportisti, soprattutto stranieri, che hanno deciso di trasferire le loro barche in Croazia, in Francia, in Spagna, a Malta e in altri Paesi del Mediterraneo che prevedono una tassazione inferiore;
   successivamente, ma solo dopo 5 mesi di fuga dai «marina», il governo tecnico è corso ai ripari trasformando la «tassa sullo stazionamento» in «tassa di proprietà», ma a fine 2012 i risultati sono stati estremamente negativi: l'introito previsto a favore dello Stato con la nuova tassazione doveva essere di oltre 150 milioni di euro ma si è fermato a soli 24 milioni;
   con il «decreto del fare» (n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013) il nuovo Governo è intervenuto e con l'articolo 23 si è disposta la riduzione della tassa di possesso sulle imbarcazioni e il rimborso delle somme versate in eccedenza;
   queste misure non sono a giudizio degli interroganti assolutamente sufficienti per il rilancio della nautica da diporto e solo l'entrata della Croazia nell'Unione europea ha determinato un rientro parziale delle unità natanti –:
   quali iniziative saranno adottate per il rilancio della nautica da diporto nazionale e della relativa filiera, in modo da garantire la promozione unitaria del settore nautico-turistico in ambito nazionale ed internazionale;
   se si intenda sostenere la nautica introducendo una classificazione delle strutture che tenga conto della diffusione di best practice finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico, alla riduzione degli sprechi d'acqua e alla raccolta differenziata dei rifiuti (inclusi olio esausto e batterie), e che offrano ulteriori prestazioni in grado di determinare ricadute positive sulla filiera – legate per esempio a velerie, rimessaggi e assistenza tecnica – in modo da fornire alla clientela un servizio più completo ed ecosostenibile. (4-02551)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO, ARTINI, ALBERTI, PAOLO BERNINI, CORDA, FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 ottobre 2013 la procura militare della Repubblica di Verona ha inviato una circolare a tutti i comandanti dei reparti ricadenti nella propria giurisdizione territoriale intitolata «Procedimenti penali davanti all'Autorità giudiziaria militare – Direttive e linee guida per i comandanti di corpo e per la polizia giudiziaria»;
   il documento, firmato dal procuratore militare Enrico Buttitta e da tutti i sostituti, elenca una serie di fattispecie di casi in riferimento ai quali i comandanti di corpo o gli ufficiali di polizia giudiziaria devono fare una segnalazione di notizia di reato alla procura;
   tra le notizie di reato da segnalare, oltre a quegli episodi che appaiano prima facie come veri e propri reati militari, la procura militare veronese inserisce una serie di altre notitiae criminis che sembrano voler far ricadere sotto la competenza penale determinati episodi o comportamenti a prescindere dalla loro effettiva configurabilità come reati. Secondo il procuratore veronese spetta alla procura decidere cosa sia o non sia reato, eliminando quel pur necessario vaglio da parte dei comandanti o degli agenti di PG nella valutazione della rilevanza penale di un comportamento;
   in tal modo, ad esempio, dovrà essere segnalata ogni «assenza dal servizio, ancorché giustificata da certificazioni mediche, della durata superiore ai trenta giorni», ogni incidente stradale che coinvolga veicoli militari in ipotetica relazione al reato di danneggiamento colposo di cose mobili militari, tutti gli episodi di offesa all'integrità fisica e morale di un altro militare, anche nei casi in cui il codice preveda la procedibilità solo a richiesta del Comandante di Corpo, anche se i fatti sono stati commessi fuori da luoghi militari e anche se non siano connessi al servizio;
   particolarmente preoccupante appare l'indicazione di segnalare alla procura anche le assenze per malattia di durata superiore ai trenta giorni, a prescindere dalla sussistenza di qualsiasi altro elemento che faccia sospettare un illecito, con ciò criminalizzando l'esercizio del diritto alla salute del cittadino-militare;
   su questo punto si è anche espresso il COIR palidoro dei carabinieri che parla in una sua delibera di «umiliazione dei militari che potrebbero venire segnalati in modo generalizzato alla procura e che si sentiranno di fatto indagati fino a prova contraria» e mette in relazione la circolare del procuratore veronese con un ordine del giorno presentato al Senato, e accettato dal Governo, per la soppressione dei tribunali militari di Verona e Napoli e delle procure relative;
   nella circolare infine viene richiamata una fattispecie di reato militare di fatto divenuta desueta da molti anni in quanto si intrecciava con analoghi reati previsti dal codice penale ordinario, il peculato e collusione del militare della Guardia di finanza previsti dall'articolo 3 della legge 1383 del 1941;
   da molti anni l'eventuale concussione o corruzione del militare della Guardia di finanza è sempre stata giudicata dalla magistratura ordinaria, sulla base del fatto che la pena per questo reato ordinario è superiore a quella prevista dalla legge del 1941 citata;
   secondo la procura militare di Verona, in conseguenza della cosiddetta legge Severino del 2012 in alcuni casi le pene per la concussione potrebbero essere inferiori a quelle previste dalla legge 1383 e per questo motivo, ogniqualvolta un finanziere fosse indagato per concussione, corruzione o induzione deve essere segnalati anche alla procura militare ai fini dell'attribuzione della competenza in alternativa alla giustizia ordinaria –:
   di quali elementi disponga il Governo e se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative ispettive in relazione a quanto descritto in premessa. (4-02546)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti (di seguito CDP) è una società per azioni a controllo pubblico che agisce al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione: il Ministero dell'economia e delle finanze detiene l'80,1 per cento del capitale, il 18,4 per cento è posseduto da un gruppo di Fondazioni di origine bancaria, il restante 1,5 per cento in azioni proprie;
   la CDP gestisce una parte consistente del risparmio nazionale, il risparmio postale (buoni fruttiferi e libretti), che rappresenta la sua principale fonte di raccolta; inoltre, è azionista di riferimento del Fondo strategico italiano (FSI), di ENI spa, TERNA spa e SNAM spa, possiede il 100 per cento di SACE spa, il 76 per cento di SIMEST spa, il 100 per cento di FINTECNA spa;
   secondo l'articolo 15 dello Statuto il Consiglio di amministrazione è composto da nove membri, i quali durano in carica per un periodo non superiore a tre esercizi e sono rieleggibili;
   l'articolo 5, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, nel disciplinare la trasformazione di Cassa depositi e prestiti in società per azioni, al comma 10 dispone che per l'amministrazione della gestione separata, il consiglio di amministrazione è integrato dai membri, con funzioni di amministratore, indicati alle lettere c), d) ed f) del primo comma dell'articolo 7 della legge 13 maggio 1983, n. 197;
   in particolare, l'articolo 7, comma 1, lettera f) della citata legge n. 197 del 1983, dispone che i rappresentanti delle autonomie locali nel Consiglio di amministrazione siano tre esperti in materie finanziarie, scelti da terne presentate dalla Conferenza dei presidenti delle giunte regionali, dall'Unione delle province italiane (UPI), dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e nominati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze in rappresentanza, rispettivamente, delle regioni delle province e dei comuni;
   il consiglio di amministrazione attualmente in carica risulta composto per la parte governativa esclusivamente da dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze;
   la composizione dell'attuale consiglio di amministrazione, internamente frutto della designazione del Governo, eccezion fatta per i rappresentanti delle fondazioni bancarie, rischia di mettere in discussione anche la stessa natura giuridica della Cassa depositi e prestiti inquadrata oggi al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione, qualificazione questa che deve essere preservata per evitare che operazioni finanziarie, anche di un certo valore specifico, vengano riclassificate e imputate dentro i saldi di finanza pubblica –:
   quali azioni e con quale tempistica il Governo intenda assumere per integrare il Consiglio di amministrazione con i rappresentanti degli enti territoriali;
   se il Governo intenda attivarsi per dare alla Cassa depositi e prestiti un consiglio di amministrazione rappresentativo e qualificato tale da scongiurare il rischio che la Cassa depositi e prestiti possa essere qualificata come ente pubblico con la conseguente riclassificazione di tutte le operazioni da essa compiute dalla Cassa depositi e prestiti con lo Stato a cominciare dagli acquisti di Sace spa e Fintecna spa.
(2-00303) «Rughetti, Parrini, Fanucci, Morani, Martelli, Coscia, Ginefra, Palese, Rostan, Simoni, Valiante, Rigoni, Gentiloni Silveri, Bobba, Giachetti, Bonifazi, Bressa, Paola Bragantini, Marantelli, Marchetti, Boccia, Giacomelli, Giovanna Sanna, Morassut, Iori, Fedi, Ghizzoni, Fabbri, Marrocu, Nicoletti, Montroni, Pierdomenico Martino, Taranto, Guidesi, Andrea Romano, Marcon, Bazoli, Bonaccorsi, Marco Di Stefano, Fiano, Giorgis, Picierno, Ribaudo».

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   CAUSIN, ZANETTI e CAPUA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo «stop» del Governo alle grandi navi nel porto di Venezia rischia di avere pesanti ripercussioni non solo sull'economia lagunare ma anche sugli altri scali adriatici e italiani;
   la decisione presa dal Governo di far passare le navi attraverso il Canale Contorta – S.Angelo previo dragaggio del fondale, oltre al divieto del passaggio dei traghetti da gennaio che già ridurrà i transiti nel Bacino di San Marco e nel Canale della Giudecca, prevede la riduzione fino al 20 per cento, rispetto al 2012 del numero di navi di oltre 40 mila tonnellate di stazza, e da novembre 2014 il totale divieto alle navi superiori a 96 mila tonnellate;
   ciò potrebbe comportare per il 2014 una perdita di 48 approdi, corrispondenti a 323.107 passeggeri quindi –19 per cento rispetto alle previsioni di traffico del 2014 e dal 2015 una perdita di 174 approdi corrispondenti a 1.037.397 passeggeri, quindi –60 per cento rispetto alle previsioni per il 2014;
   il capoluogo veneto è il principale porto crociere dell'Adriatico con oltre il 35 per cento dei passeggeri e il 91,3 per cento del mercato della regione Veneto è costituito da navi sopra le 40 mila tonnellate;
   in conseguenza della decisione del Governo, Venezia perderà la leadership nel Mediterraneo con un impatto economico e occupazionale molto forte;
   occorre sottolineare che a rimetterci sarà tutta l'industria crocieristica nazionale; infatti, i passeggeri potranno calare in Italia del 18 – 20 per cento perdendo circa 2 milioni di crocieristi e le compagnie americane ad esempio non potendo fare scalo a Venezia si rivolgeranno a Paesi come la Spagna (Barcellona) o la Grecia –:
   se non ritenga opportuno la convocazione di un tavolo tecnico i rappresentati delle categorie interessate al fine di un confronto approfondito sulle decisioni prese durante la riunione del 5 novembre 2013 e in vista dell'ordinanza che la capitaneria di porto dovrà presentare per la messa in opera di quanto stabilito dal Governo. (3-00453)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PICIERNO. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo 2012, la regione Campania e la provincia di Caserta, in attesa della dichiarazione di fallimento dell'ACMS, già informalmente anticipata dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, invitano, il consorzio casertano mobilità, il consorzio COTRAC, il consorzio COSAT, il consorzio CIAV, l'AIR spa, il CTP spa, il CSTP, l'EAVBUS e CLP a manifestare la propria di disponibilità a subentrare ad ACMS Spa fino al 31 dicembre 2012;
   il 22 marzo 2012 il tribunale di Santa Maria Capua Vetere decreta il fallimento dell'ACMS Spa, già sottoposta ad amministrazione straordinaria ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, con conseguente ed immediata interruzione del servizio;
   il 26 marzo 2012 presso la prefettura di Caserta si svolge, alla presenza del prefetto, dottoressa Pagano, dell'assessore Vetrella, del presidente della Provincia di Caserta Zinzi, dell'Assessore Ferraro per il comune di Caserta, del curatore fallimentare dottor Sandulli, del questore di Caserta e delle organizzazioni sindacali di categoria, un primo incontro per individuare tutte le soluzioni necessarie alla ripresa del servizio. In tale sede, il curatore fallimentare comunica che avrebbe chiesto al presidente della sezione fallimentare ed al giudice delegato, una verifica dei presupposti per l'autorizzazione all'esercizio transitorio in regime di economicità per il periodo strettamente necessario all'individuazione del nuovo soggetto gestore;
   il 30 marzo 2012 presso l'A.G.C. 14 della regione Campania, a firma dell'assessore Vetrella, viene stilato apposito verbale in cui si stabilisce che il nuovo gestore dovrà assumere tutti i lavoratori ex ACMS spa, in numero di 458, e di procedere all'individuazione di un unico soggetto imprenditoriale a cui affidare i tre contratti di servizio ex ACMS (regione, provincia, comune);
   il 5 aprile 2012 nella sede della Giunta regionale della Campania, alla presenza delle organizzazioni sindacali, dell'assessore Nappi, dell'assessore Vetrella e del presidente Zinzi, e dei rappresentanti delle uniche società che hanno manifestato interesse a subentrare all'ACMS, ovvero CLP e Consorzio casertana mobilità, attraverso apposito verbale, si stabilisce che dovrà essere assunto tutto il personale ex ACMS con garanzia del trattamento giuridico ed economico in godimento, con particolare riferimento all'anzianità ed al parametro acquisito, contratto di solidarietà per il personale non immediatamente collocabile in servizio, licenziamento e collocazione in mobilità di tutto il personale ex ACMS per favorire la sostenibilità economica delle assunzioni attraverso le economie derivanti da tale processo, utilizzo degli strumenti previsti dal Fondo Regionale Trasporti;
   in data 11 aprile 2012, con decreto dirigenziale n.50 dell'AGC 14, avviene l'aggiudicazione dei servizi ex ACMS alla CLP spa fino al 31 dicembre 2012, a seguito di un verbale di gara datato 6 aprile 2012; In data 12 aprile 2012 viene sottoscritto tra organizzazioni sindacali e CLP spa un verbale di riunione in cui CLP si impegna al pieno rispetto del verbale del 5 aprile 2012;
   il 23 aprile 2012 il presidente Zinzi formalizza alla regione Campania il proprio dissenso circa l'attribuzione diretta da parte della regione anche delle linee di trasporto di competenza provinciale, il cui contratto andava sottoscritto con l'Ente casertano;
   il 1o giugno 2012, riprende il servizio, interrotto dal 22 marzo 2012;
   il 29 luglio 2013, a conclusione della gara di affidamento dei servizi EAVBUS, società partecipata regionale, con la tecnica del «rilancio in presenza», viene ufficializzata l'informativa ostativa antimafia nei confronti di CLP spa;
   ad oggi, la Cip continua ad assurgere al servizio trasporto urbano in provincia di Caserta, nonostante le fosse stato impedito di esercitare lo stesso servizio nella provincia di Napoli, a seguito dell'interdittiva antimafia ostativa della prefettura di Napoli. In merito, la CGIL Campania e la CGIL Caserta hanno inviato una lettera al Ministro dell'interno e al prefetto di Caserta, Carmela Pagano, per rilevare tale assurda contraddizione;
   CLP, oltre a svolgere i servizi ex ACMS, ossequia vari contratti di servizio per i comuni vesuviani, alcune linee regionali ed extraregionali come la Napoli-Foggia –:
   se e quali iniziative intenda assumere per verificare i fatti in premessa e porre fine a tale assurda contraddizione, nella consapevolezza che in una regione e in una provincia tanto esposte agli interessi della criminalità organizzata, qualunque omissione nell'applicazione della legge da parte dei soggetti istituzionali vanifica il lavoro svolto di tanti operatori istituzionali e cittadini comuni per la legalità e la lotta a tutte le mafie. (5-01480)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CULOTTA e RIBAUDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la circolare ministeriale prot. n. AOODGPER 5607 del 5 giugno 2013 nel paragrafo relativo alla terziarizzazione dei servizi testualmente recita:
    «con il Regolamento approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 Luglio 2008 al direttore regionale è stata ricondotta la competenza in merito alla gestione e, quindi, all'utilizzo sul territorio del personale impiegato nelle ditte d'appalto che forniscono i servizi esternalizzati di pulizia e/o vigilanza degli alunni e delle istituzioni scolastiche. L'affidamento dei servizi a personale esterno all'amministrazione è caratterizzato dalla formulazione, da parte del Direttore regionale, di un piano finalizzato ad ottimizzare l'impiego del personale che svolge in tutto o in parte la funzione di collaboratore scolastico. La disposizione prevede il coinvolgimento dei Rappresentanti degli enti e dei consorzi di impresa affinché le risorse disponibili siano utilizzate con criteri ispirati alla massima razionalità di impiego e, quindi, evitare che il medesimo personale sia assegnato e ripartito nelle sedi in misura carente ovvero eccedente rispetto alle reali esigenze delle istituzioni scolastiche. Sono, poi, confermate le previgenti disposizioni in merito alle modalità di accantonamento dei posti necessari per la compensazione dei costi contrattuali. Resta, altresì, confermata la clausola della salvaguardia della titolarità del personale di ruolo eventualmente in soprannumero, a seguito dell'ottimizzazione. In proposito al fine di evitare aggravi di spesa, conseguenti all'attivazione di tale clausola, è prevista la compensazione dei posti da accantonare tra le istituzioni scolastiche che si avvalgono della medesima tipologia contrattuale. Al fine della compensazione è necessario rendere indisponibile, a livello provinciale, un numero di posti non inferiore a quello accantonato nell'anno scolastico 2012/2013»;
   l'ambito territoriale di Palermo ha confermato l'accantonamento dello scorso anno 2012/2013 anche per il corrente anno 2013/2014 per n. 411 posti di collaboratore scolastico;
   nel caso specifico 12 lavoratori ex Lsu Ata assegnati alle pulizie dell'istituto comprensivo Giuseppe Oddo di Caltavuturo, al rientro dai tre mesi di cassa integrazione estiva trovano l'amara sorpresa di non potere riprendere a lavorare normalmente nella sede di destinazione (istituto comprensivo G. Oddo di Caltavuturo-Scillato e Sclafani Bagni), senza alcuna ragione né preavviso;
   i 12 lavoratori di Caltavuturo, provenienti dal bacino dei lavoratori precari ex articolo 23, in forza al comune di Caltavuturo sin dal 1989, dal 2001 sono stati avviati alla stabilizzazione con una convenzione/accordo quadro tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il provveditorato agli studi di Palermo, tramite l'assunzione nelle cooperative vincitrici degli appalti di pulizie nelle scuole. La cooperativa in questione è la Derichebourg Multiservizi s.p.a. con sede a Napoli;
   in data 2 settembre 2013 risulta prorogato il contratto della Derichebourg Multiservizi s.p.a. per la gestione dei servizi per il nuovo anno scolastico;
   il dirigente scolastico, del suddetto istituto, ricevuta la comunicazione della ditta della ripresa dell'attività dei 12 lavoratori, rispondeva che gli stessi non sarebbero stati ammessi nei locali dell'istituzione essendo l'organico già al completo;
   l'anomalia riguarda il fatto che tutti gli altri istituti comprensivi del territorio, colleghi dei lavoratori di Caltavuturo, sono rientrati normalmente a lavoro alla riapertura delle scuole senza alcun problema;
   certamente si tratta di una anomalia o un errore burocratico che compromette il diritto al lavoro di 12 persone –:
   chiarire in modo urgente la situazione dei lavoratori dell'istituto comprensivo di Caltavuturo e di rimuovere gli ostacoli che hanno determinato la perdita del loro diritto verificando eventuali responsabilità. (5-01479)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda oggi denominata DDway srl opera nel campo della realizzazione ed installazione di soluzioni software progettate su misura per il mercato finanziario della pubblica amministrazione e delle aziende private;
   essa nasce dall'acquisizione di CSC Italia srl – una delle due filiali italiane di Computer Sciences Corporation – da parte di Dedagroup società per azioni e si prefiggeva l'obiettivo di essere una nuova realtà competitiva nel panorama italiano dell’information and communication technology; infatti la società CSC Italia srl, con quasi 1.000 dipendenti in Italia e oltre 70 milioni di euro di ricavi, in data 30.11.2012, veniva ceduta alla società Dedagroup Spa e cambiava la denominazione sociale da CSC Italia srl in DDway srl, facente parte del gruppo Dedagroup ICT Network, gruppo che opera nel mercato italiano dell'ICT;
   la nuova società DDway srl conta(va) a dicembre del 2012 ricavi per 60 milioni di euro e circa 970 dipendenti;
   l'acquisizione della società veniva effettuata con la finalità di rilanciare l'azienda tant’è che veniva annunciato un piano industriale per porre le basi di questo rilancio;
   in realtà nel febbraio del 2013 viene annunciato il ricorso a 9 settimane di cassa integrazione guadagni ordinaria in attesa del piano industriale e successivamente nel maggio del 2013 veniva aperta la procedura di licenziamento collettivo per esuberi per 294 lavoratori; tuttavia con l'accordo del 24 luglio 2013 si perveniva ad una soluzione condivisa prevedendo il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale della durata di 12 mesi a decorrere dal 1o agosto 2013 per circa 280 unità lavorative a livello nazionale nonché incentivi all'esodo;
   le figure professionali più colpite sarebbero proprio quelle maggiormente produttive, con quasi la metà dei «programmatori» ed un 25 per cento degli analisti programmatori, superati solo da lavoratori «simil call-center» ed help desk, quasi azzerati. Tra gli esuberi ci sarebbero anche molti amministratori di sistema o di database;
   il sospetto è che l'acquisizione del novembre 2012 non sia stata finalizzata al rilancio produttivo bensì al ridimensionamento a tutto vantaggio dell'azienda che sta assottigliando la propria forza lavoro –:
   quali concrete iniziative intenda assumere il Ministro, per quanto di competenza, al fine di favorire la creazione di un piano alternativo agli ammortizzatori sociali tuttora in essere ovvero per salvaguardare i livelli occupazionali e per verificare le concrete intenzioni sottese al piano industriale e/o di risanamento attuato dall'azienda e l'impatto sul futuro di tutti i 970 lavoratori della DDway, scongiurando l'ipotesi di una drastica e definitiva riduzione occupazionale e verificando la sussistenza di possibili misure per la formazione professionale e la riqualificazione del personale anche con una ricollocazione all'interno di altre società del gruppo Dedagroup Spa. (5-01481)

Interrogazione a risposta scritta:


   COCCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Marcello Vulpis ha lavorato in maniera stabile e continuativa per il quotidiano Italia Oggi e Italia Oggi 7 dal 1992 al febbraio 2013 curando le pagine inerenti il marketing sportivo ed economia dello sport;
   il dottor Vulpis ha svolto negli anni anche l'attività di inviato sia in Italia che all'estero per conto del suddetto quotidiano;
   in tal senso, in qualità di giornalista professionista, ha regolarmente pubblicato numerosissimi articoli;
   tuttavia, tale rapporto di lavoro non veniva regolarizzato da Italia Oggi nonostante una continuità di oltre vent'anni e deve intendersi senza dubbio di natura subordinata ricorrendone tutti i presupposti e gli indici rilevatori;
   l'azienda, nonostante il proficuo rapporto di lavoro che si è articolato per lunghi anni, ha ritenuto opportuno non avvalersi più della collaborazione del dottor Vulpis dal febbraio 2013 in occasione della sua candidatura alle elezioni politiche;
   l'azienda sostiene, infatti, che sia prassi delle testate giornalistiche che non intendano schierarsi politicamente, interrompere i rapporti con i giornalisti candidati politici;
   tuttavia, il rapporto in questione deve intendersi tutt'ora in essere in assenza di un formale atto di recesso da parte di Italia Oggi;
   in tal senso, è evidente il mancato riconoscimento da parte dell'azienda della natura subordinata del rapporto di lavoro in essere dal 1992 con tutto ciò che ne consegue –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non si intendano promuovere verifiche volte ad accertare l'eventuale sussistenza di condotte discriminatorie in contrasto con le norme vigenti che regolano il rapporto di lavoro. (4-02552)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sfida dell'innovazione tecnologica rappresenta una delle più importanti scommesse di sostenibilità del nostro sistema sanitario e rende indispensabile un'attività di misurazione e di Health technology assessment (HTA) che invece ancora non decolla nel nostro Paese;
   in particolare, la rapidità dell'innovazione tecnologica comporta oggi la sempre più rapida obsolescenza delle apparecchiature diagnostiche e terapeutiche, che vengono continuamente sostituite da soluzioni di sempre maggiore avanguardia, in grado di garantire miglior sicurezza e appropriatezza diagnostica e terapeutica;
   la rapidità dell'innovazione tecnologica comporta significative ricadute anche in tema di protezione medico-legale delle attività sanitarie in quanto indirizza tutte le attività di elezione sul paziente verso le strutture a maggior grado di innovazione tecnologica, a supporto delle risorse e delle attività umane;
   l'attuale situazione di grave contesto economico recessivo in cui versa il nostro Paese rischia di impattare in modo assolutamente negativo con le problematiche dell'innovazione tecnologica e, in particolare, con quelle legate all'adeguamento o alla sostituzione delle macchine ad elevato grado di tecnologia che sono ormai parte insostituibile delle attività dei centri si eccellenza, ma anche di tutte le strutture che comunque prestano attività diagnostica e terapeutica al paziente;
   il contesto recessivo italiano induce inoltre a ritenere che gli indicatori relativi al grado di invecchiamento del parco delle apparecchiature ad alta tecnologia disponibili presso le strutture pubbliche sanitarie italiane possano certificare una riduzione del grado di adeguatezza nel corso degli ultimi anni;
   allo stesso modo, è possibile ritenere che gli indicatori relativi alla capacità del sistema di accogliere nuovi elementi di Health technology assessment siano assai più torpidi di quelli del recente passato;
   molte attività diagnostiche e terapeutiche, prestate al paziente attraverso l'utilizzo di apparecchiature ad alta tecnologia, potrebbero probabilmente beneficiare di un miglior rapporto costi/benefici qualora rese attraverso procedure di fornitura in service –:
   se siano disponibili valutazioni relative agli indicatori di confronto tra il 2007 e il 2012 sullo stato di invecchiamento del parco macchine ad alta tecnologia delle strutture sanitarie pubbliche italiane;
   se siano disponibili valutazioni relative agli indicatori di confronto tra il 2007 e il 2012, relativi alla velocità di introduzione delle nuove tecnologie all'interno delle strutture pubbliche italiane;
   se risulti quali siano le strutture preposte e quali siano i metodi e i criteri di valutazione e misurazione HTA attualmente operativi nelle varie regioni italiane e come avvenga l'attività di coordinamento e verifica in materia di HTA da parte del Ministero;
   se esista uno studio sugli eventuali vantaggi economici e di complessiva sostenibilità del sistema che si potrebbero ottenere attraverso il ricorso alle procedure di fornitura in Service per molte attività diagnostiche e terapeutiche rese al paziente attraverso l'utilizzo di apparecchiature ad alta tecnologia;
   se il Ministero ritenga – ed eventualmente in quale misura – di promuovere l'utilizzo di procedure in Service per la fornitura di servizi resi attraverso l'utilizzo delle apparecchiature diagnostiche e terapeutiche ad alta tecnologia, che consentano il mantenimento di livelli di innovazione sempre elevati, con un minore impatto economico sul sistema. (4-02549)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fin dallo scorso mese di aprile un comitato di cittadini ed utenti del servizio Poste italiane di Ruvo di Puglia (Bari), ha denunciato alle autorità cittadine e provinciali la grave difficoltà logistica in cui tale servizio viene erogato, a causa dell'angustia dei locali in cui è situato l'ufficio postale;
   la limitatezza dello spazio è tale da rendere inevitabile il formarsi di lunghe file di utenti al di fuori degli ambienti in cui è allocato l'ufficio, sito in via Cesare Battisti, portando come conseguenza lo straripamento del pubblico – tra cui molti anziani, bambini, donne anche in gravidanza – sulla strada, con effetti negativi sul traffico e sulla incolumità stessa degli utenti;
   non è, peraltro, raro che tali file generino attese di ore, con gravissimo pregiudizio nei confronti del pubblico ma anche degli stessi impiegati, costretti a svolgere la loro attività lavorativa in ambienti malsani –:
   come il Ministro intenda porre riparo a questo disservizio postale che colpisce una città di 27.000 abitanti, creando disagi nella popolazione. (4-02548)


   PICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comparto dei beni strumentali rappresenta un settore strategico dell'industria italiana e sta alla base dello sviluppo industriale;
   tale comparto in questi ultimi anni ha subito una netta contrazione produttiva soprattutto per quanto riguarda il mercato interno;
   la produzione italiana di macchine utensili per la lavorazione dei metalli ad esempio, si è in pochi anni dimezzata e si sostiene solo parzialmente per l’export che assorbe circa l'80 per cento della produzione;
   al mercato interno è riservato solo il 20 per cento della produzione nazionale di macchine utensili e dei beni strumentali in genere, e questo fatto determina un impoverimento tecnologico del parco macchine con una riduzione della qualità dei prodotti e della capacità produttiva e una conseguente perdita di competitività internazionale;
   la Commissione europea ha pubblicato il 25 settembre 2013 un documento di analisi della competitività dell'industria dei 28 Paesi dell'Unione europea (Memo 13/816) e in esso si segnala che «Italy is experiencing a real de-industrialisation»;
   alla luce di queste considerazioni è diventato urgente sostenere, e facilitare nel sistema industriale italiano l'installazione di macchinari ed attrezzature in grado di innovare e potenziare tecnologicamente la capacità produttiva e in tal senso deve vedersi con favore la cosiddetta Nuova Sabatini di cui all'articolo 2, capo 1, titolo 1 del decreto-legge n. 69 del 2013 – Disposizioni urgenti per il rilancio economico;
   per altro l'applicazione della «Nuova Sabatini», in una situazione così precaria e recessiva come l'attuale, avrà inizio solo a partire dal 1o gennaio 2014 e i suoi attesi benefici si faranno sentire concretamente in tempi lunghi successivi comunque alle procedure di acquisto, installazione e messa in produzione dei macchinari;
   per altro l'attesa dell'applicazione della «Nuova Sabatini» sta generando, come ovvio, una ulteriore contrazione degli investimenti in beni strumentali e quindi si assiste al paradosso che in questa fase la legge n. 98 del 2013 determina un effetto diametralmente opposto al rilancio economico delle piccole e medie imprese che si prefigge di conseguire;
   inoltre l'approntamento del decreto attuativo di cui all'articolo 2 della legge n. 98 sta procedendo a rilento e al momento i contenuti non sono ancora noti da parte delle imprese e degli operatori;
   aggiungasi che si devono anche stipulare da parte di Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'economia e delle finanze, ABI e Cassa depositi e prestiti – pto. 7, articolo 2 – le convenzioni con le banche definendo condizioni e criteri, contratti tipo, attività di controllo e monitoraggio;
   ci si sarebbe dunque aspettato una tempistica più stringente per consentire alle imprese e agli operatori di conoscere nel dettaglio le modalità e le condizioni e dar corso alla preparazione dei necessari accordi, anche perché nella fattispecie è stata ampiamente sperimentata negli anni la procedura della legge Sabatini del 1965 –:
   quando sarà emanato il decreto attuativo della norma di cui all'articolo 2 – «Nuova Sabatini» – del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto in questa fase d'attesa delle procedure per ovviare alla ulteriore riduzione degli ordinativi d'acquisto e installazione di beni strumentali;
   se siano state completate le convenzioni come previsto al punto 7 dell'articolo 2, e in caso negativo, quando sia previsto il completamento. (4-02556)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  Interpellanza Melilla Gianni n. 2-00114, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 giugno 2013, è da intendersi sottoscritta anche dal deputato Matarrelli che ne diventa il primo firmatario.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Morani e altri n. 3-00447, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Rughetti, Fontanelli, De Micheli, Giacomelli.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Burtone n. 3-00087 del 29 maggio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02544;
   interrogazione a risposta orale Burtone n. 3-00150 del 26 giugno 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02545;

ERRATA CORRIGE

  Nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2013, alla pagina 2888, seconda colonna, dalla trentaseiesima alla trentasettesima riga, deve leggersi: «interrogazione a risposta scritta Lombardi n. 4-01052 del 27 giugno 2013» e non «interrogazione a risposta scritta Lombardi n. 4-00152 del 27 giugno 2013», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AIRAUDO, DI SALVO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il mercato dell'acciaio in Europa vive una lunga crisi dovuta alla riduzione dei consumi, a fronte di una sovraccapacità produttiva: i quattro principali produttori di acciaio in Europa producono 4,5 milioni di tonnellate, mentre i consumi europei, ad oggi, si attestano su 3,2 milioni di tonnellate di LAF;
   la sovraccapacità del mercato europeo è aggravata dall'aumento delle importazioni extra-Unione-europea, che ad oggi è di circa 700 mila tonnellate;
   altri fattori che incidono negativamente sono l'oscillazione dei costi delle materie prime, la sovraccapacità asiatica, i bassi consumi degli utilizzatori finali e, infine, il cambio euro-dollaro, che spinge i gruppi europei a praticare politiche di prezzi a ribasso;
   l'indice di produzione dell'acciaio in Europa, prima di questa grande crisi, era a livelli molto più alti degli attuali, pur dimostrando di essere tornato ad aumentare;
   Inoxum, la divisione «acciaio inossidabile» della tedesca ThyssenKrupp Inoxum, che produce e distribuisce prodotti di acciaio inossidabile e ad alta lega, detiene in Europa una quota di mercato del 37,7 per cento, di cui la TK-AST di Terni produce il 3,4 per cento; mentre in Italia la quota di mercato è del 40,7 per cento di cui il 33,7 per cento è prodotto all'AST di Terni;
   a fronte di una capacità produttiva del sito TKL-AST di Terni, anche a seguito degli investimenti effettuati, di 1,5 milioni di tonnellate, nell'anno 2011/2012 sono state prodotto 1265 mila tonnellate e nel 2010/2011 1005 tonnellate, pari al 9 per cento in meno dell'anno 2009/2010;
   a fronte di tale situazione produttiva, il gruppo AST di Terni ha chiuso l'anno scorso con una perdita di circa 100 milioni di euro, salita quest'anno a 110 milioni di euro;
   del gruppo AST fanno parte anche le società controllate Titania, Società delle Fucina, Tubificio, Aspasiel, Terninox;
   tutto il gruppo AST, ad esclusione delle società controllate sopra elencate, è dal giugno 2008 in regime di cassa integrazione. AST ha usufruito di tutte le settimane della cassa integrazione guadagni ordinaria ed anche dell'anno di cassa integrazione guadagni straordinaria legata a crisi di mercato. Ad oggi AST ha a disposizione circa 13 settimane di cassa integrazione guadagni ordinaria. La cassa integrazione guadagni sia ordinaria che straordinaria ha consentito di gestire il calo di ordini legato alla crisi che in questi anni, ed ancora oggi, è stato articolato sia per reparti che per impianti in modo differente;
   il gruppo AST oggi occupa 2862 lavoratori, di cui 2322 unità in AST, 211 unità in S.d.F.,156 unità in Tubificio, 63 unità in Aspasiel, 110 unità in Terninox;
   l'attività dell'AST ternana è strategica per l'Italia: oltre a costituire la fonte principale per l'economia del territorio (20 per cento del prodotto interno lordo umbro) è, nel sistema siderurgico nazionale, il gruppo che conserva il primato nella produzione di acciai speciali che sono insostituibili per il sistema italiano; l'Italia da sola, nonostante la crisi, oggi consuma circa 900 mila tonnellate di acciaio inox;
   nel 2012 la tedesca ThyssenKrupp ha raggiunto un accordo di massima per la cessione ai finlandesi del colosso Outokumpu della controllata Inoxum (creata appositamente per l'operazione di scorporo dell'inossidabile e di cui fa parte la Acciai Speciali Terni) a un prezzo di 2,7 miliardi di euro, con la ThyssenKrupp che manterrebbe una quota di minoranza del 29,9 per cento;
   la considerazione positiva è che Ast finisce nelle mani di un gruppo industriale leader nel mondo e non in quelle di un fondo americano, come poteva accadere, la cui vocazione era ovviamente prettamente finanziaria;
   con l'acquisto di Inoxum, Outokumpu diventa il nuovo numero uno mondiale dell'inossidabile con un fatturato annuale di circa dieci miliardi di euro e una quota che gira intorno al 50 per cento del mercato europeo;
   l'originale piano industriale della fusione Inoxum-Outokumpu prevedeva che il gruppo avrebbe avuto due grandi centri fusori uno in Finlandia (Tornio) e l'altro in Italia (Terni) che dovranno produrre circa 3 milioni di tonnellate e alimenteranno tutti gli impianti a freddo in Europa. Dopo l'avvenuta fusione sarebbero state verificate le relative quote di mercato e la relativa rete commerciale ivi compreso i centri servizio;
   le prospettive sul sito di Terni erano interessanti, ma il piano industriale originario è stato modificato (il nuovo non si conosce) dopo che Outokumpu per ottenere il parere favorevole all'operazione industriale da parte della commissione Antitrust ha previsto la messa in vendita del sito di Terni, che rimarrebbe fuori dal progetto di fusione iniziale Inoxum-Outokumpu;
   infatti, il 1° ottobre 2012 il gruppo ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni ha annunciato l'intenzione, da parte delle società Outokumpu e Inoxum, di cedere l'intero asset del sito di Terni come soluzione finale in risposta alle richieste pressanti e vincolanti della Commissione Antitrust dell'Unione europea per veder superata la posizione di dominanza scaturita dal nuovo assetto societario determinatosi dopo l'acquisto di Outokumpu dell'intero settore inox detenuto da ThyssenKmpp attraverso Inoxum;
   dopo il pronunciamento dell'Antitrust, avvenuto il 7 novembre 2012, sono iniziati i 6 mesi entro i quali la nuova società Outokumpu avrebbe dovuto vendere l'impianto di Terni;
   le segreterie provinciali e le rappresentanze sindacali unitarie del gruppo AST si sono espresse in maniera ferma su quanto sta avvenendo, dichiarando inaccettabile che le multinazionali interessate hanno escluso i sindacati territoriali e nazionali dalle decisioni e discussioni in materia di progetti, strategie e decisioni, coinvolgendo nella discussione dell'accordo preliminare solo il sindacato tedesco della Ig Metal;
   le organizzazioni sindacali sono molto preoccupate per il nuovo e mutato scenario di prospettive e assetti industriali che si sta delineando ritenendolo peggiorativo rispetto a quanto presentato in precedenza per l'intero asset di Terni. A prescindere da qualsiasi assetto societario presente e futuro, per mantenere e accrescere la competitività del sito di Terni, richiedono che vengano mantenuti gli impegni assunti a partire dall'accordo del 2005 in materia di energia, infrastrutture, viabilità;
   le organizzazioni sindacali si oppongono alla cessione degli asset del sito di Terni verso fondi speculativi, richiedendo in maniera irrinunciabile il confronto, al tavolo ministeriale, con la società cedente per sancire, non solo i criteri di vendita, ma che il progetto di cessione sia vincolato al mantenimento occupazionale, delle capacità impiantistiche del sito, degli accordi di miglior favore e della trasformazione dei contratti di lavoro non a tempo indeterminato; invece, al medesimo tavolo governativo, con la società acquirente intendono condividere il nuovo piano industriale perché venga mantenuta la strategicità del sito di Terni e la sua competitività e siano indicate chiaramente le risorse, i modi e i tempi per diventare, con sicurezza, il quarto competitor europeo, come richiesto dalla Commissione Antitrust, comprensiva dell’asset del sito di Terni;
   infine, le organizzazioni sindacali richiedono che nell'arco temporale occorrente alla definizione della cessione e dell'acquisizione, i piani operativi e i volumi produttivi previsti per Terni siano mantenuti, così come devono essere assolutamente e irrinunciabilmente mantenuti tutti gli impianti collocati nel sito di Terni senza procedere a smantellamenti o trasferimenti che possano indebolire il concetto industriale attuale e impedirne, di fatto, la vendita annunciata;
   in un recente comunicato stampa pubblicato dall'Ansa, Outokumpu affermava, con riguardo agli impianti ternani che «le offerte che abbiamo ricevuto finora non sono accettabili: stiamo lavorando con la Commissione Ue per una soluzione che rispetti sia gli interessi di Outokumpu sia le richieste dell'Antitrust di Bruxelles»;
   il termine ultimo per finalizzare la vendita degli impianti umbri, inizialmente previsto per inizio maggio 2013, è stato esteso e la Outokumpu precisa di aver concordato con Bruxelles e con le parti coinvolte nel processo di non rendere noto alcun dettaglio del percorso. L'ambiguità da parte di Outokumpu penalizza le acciaierie di Terni;
   intanto nell'attesa che la vicenda della cessione trovi un epilogo, lo stabilimento ternano nei fatti non rifornisce più i semilavorati agli stabilimenti in Cina, Messico e Stati Uniti con una diminuzione di circa il 20 per cento dei volumi, mettendo a rischio il ruolo di perno che il polo temano riveste nel sistema industriale nazionale;
   per consentire al sito di rimanere competitivo e produrre utili è indispensabile mantenere immutato il rapporto tra le capacità di acciaio fuso (1.500.000 tonnellate) e le capacità di acciaio spedito (600.000 tonnellate minimo) –:
   quali iniziative concrete il Governo abbia intenzione di approntare, anche nei confronti delle istituzioni dell'Unione europea coinvolte nella cessione del polo sidenergico di Terni, per impedire che la situazione rimanga in un limbo particolarmente pericoloso che potrebbe creare danni industriali, occupazionali e sociali irreversibili. (4-00640)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico segue le vicende della «Acciai Speciali Terni – AST», da ben prima che questo importante stabilimento italiano fosse acquisito da Thyssen Krupp e, in più occasioni, é stato determinante nell'evitare che le difficoltà si trasformassero in crisi irreversibili.
  Un momento molto critico é stato senza dubbio anche quello che ha coinvolto AST nel processo di dismissione della produzione di acciai speciali (raggruppata nella subholding «Inoxium») messo in atto nel 2010 da Thyssen Krupp.
  Come noto, l'acquisizione assai onerosa di «Inoxium» ha visto prevalere «Outokumpu», ovvero la principale concorrente europea della casa tedesca.
  Con questa acquisizione, «Outokumpu» si é trovata in posizione dominante sul mercato europeo (oltre 50 per cento), ma non su quello mondiale, dove occupa una quota attorno al 20 per cento.
  La posizione dominante di Outokumpu ha indotto la Commissione Europea alla concorrenza a richiedere alla casa finlandese la cessione di alcuni asset, fra i quali il più importante é senza dubbio AST. La procedura di cessione é stata avviata a novembre 2012 e, a partire da quella data, è stato prescritto ad «Outokumpu» di portarla a compimento entro i successivi 6 mesi.
  Molte sono state le manifestazioni di interesse, ma poche società hanno formulato, al momento opportuno, una offerta vincolante. Fra queste va citata certamente «Aperam» che, in accordo con due importanti gruppi siderurgici italiani (Marcegaglia ed Arvedi), ha formulato una offerta economica corredata da un piano industriale.
  «Aperam», controllata da componenti della famiglia indiana Mittal, è anche un'impresa industriale che detiene, prima della acquisizione di AST, una quota attorno al 15 per cento del mercato europeo dell'acciaio inossidabile: tale quota, sommata alla capacità produttiva della nuova acquisizione, la porterebbe verso un market share di circa il 25 per cento.
  Outokumpu ha però valutato non adeguate (principalmente per ragioni strettamente economiche) le offerte ricevute e, mentre continua a confrontarsi con più soggetti, ivi compresi anche i fondi di investimento, ha richiesto continui spostamenti del termine iniziale di 6 mesi entro il quale concludere la cessione. Si é così creata una situazione assai critica dal momento che AST si trova continuamente in uno stato di incertezza nell'ambito di un mercato già di per se difficile e non bastano, a questo proposito, le continue rassicurazioni della proprietà finlandese sul rispetto degli obblighi imposti dalla Commissione europea a garantire sostegno finanziario e a non interferire sulla azione commerciale della azienda ternana.
  È evidente che AST é nella pratica impossibilità di svolgere adeguate e autonome iniziative per fare investimenti, acquisire nuove quote di mercato e adeguare la propria struttura organizzativa.
  Per queste ragioni il Governo italiano é più volte intervenuto in tutte le sedi ed ai diversi livelli della Unione europea con una costante azione finalizzata a sollecitare la conclusione di una operazione che sta creando molti problemi ad una parte molto importante della nostra siderurgia. In questo contesto il Governo, come richiamano gli interroganti, ha ricordato nelle forme adeguate la necessità non solo che la vendita sia effettuata senza ulteriore indugio, ma ha indicato l'auspicio che avvenga in favore di una realtà industriale, possibilmente europea, che possa favorire una operazione di consolidamento della nostra industria siderurgica, già esposta alla competizione molto aggressiva dei produttori asiatici.
  Nei recentissimi incontri con i vertici della Comunità europea, il nostro Presidente del Consiglio ed il Ministro dello sviluppo economico sono tornati a richiamare la necessità che Outokumpu concluda la vendita ed espliciti le ragioni dei continui rinvii; il Presidente della Commissione europea ha confermato l'impegno a favorire una rapida soluzione.
  È evidente che in mancanza di fatti concludenti, il Governo italiano solleverà la questione in modo sempre più energico, dal momento che il nostro Paese non può permettere che AST, una impresa di grande valore economico e strategico, sia logorata da un comportamento non accettabile e determinato da scelte che hanno fin qui coinvolto aziende di altri Paesi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   ARLOTTI e PETITTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Rimini, in ragione della peculiare vocazione turistica è meta privilegiata di turisti italiani tanto da far registrare nel corso dell'ultima stagione estiva la presenza di oltre 16.000.000 di turisti;
   è evidente che l'afflusso di turisti si collega direttamente anche alla dinamica delittuale su base provinciale;
   considerevole è, infatti, l'aumento dei reati riconducibili alla criminalità diffusa che destano un particolare allarme sociale, quali scippi, borseggi, rapine, furti negli appartamenti, furti di automobili, spaccio di sostanze stupefacenti, reati connessi allo sfruttamento della prostituzione e altro;
   si verifica, inoltre, un sensibile incremento del fenomeno dell'abusivismo commerciale, anche per il consistente numero di cittadini extracomunitari provenienti da altre regioni, che si riversano sulla costa riminese attratti dalle possibilità di guadagno connesse ai flussi turistici;
   a questo vi è da aggiungere anche la forte intensificazione del traffico veicolare, con conseguente aumento della esigenza di prevenzione della guida in stato di ebbrezza e di altri pericolose condotte di guida, specie nelle ore notturne alla luce della ingente presenza di locali e discoteche;
   sempre in relazione all'ordine pubblico la Riviera nel periodo estivo è luogo di feste, concerti e manifestazioni varie tra cui, a titolo di mero esempio, si ricorda l'annuale edizione del meeting per l'amicizia fra i popoli cui intervengono, oltre al Presidente del Consiglio dei ministri, personalità istituzionali, di governo anche estero, del mondo politico, culturale, ecclesiastico e sportivo, oppure l'evento denominato «Notte rosa», ribattezzato il «Capodanno dell'estate italiana» (che anche nella passata edizione ha richiamato oltre due milioni di persone); infine, tra le gare di auto e moto, il mondiale superbike (mese di giugno) e l'annuale edizione del Gran premio motociclistico di San Marino e delle riviera di Rimini, prova che fa parte del Motomondiale e che da circa vent'anni si disputa nel mese di settembre presso il Misano World Circuit di Misiano Adriatico (Rimini), la Fiera internazionale di «wellness»;
   in relazione a quanto sopra esposto, è del tutto evidente l'impegno a cui sono chiamate le forze di polizia, al fine di mantenere una adeguata capacità di controllo del territorio in questa provincia;
   prefettura e questura hanno già evidenziato presso il Ministero la necessità di potenziare le dotazioni organiche e di mezzi a disposizione per la provincia di Rimini: si tratterebbe di provvedere attraverso aggregazioni stagionali di personale con la destinazione di automezzi e dotazioni strumentali aggiuntive al fine di predisporre gli opportuni servizi di controllo del territorio, nonché di istituire, come di consueto, i posti estivi della polizia di Stato in Riccione e Bellaria-Igea Marina ed il posto estivo della specialità polizia ferroviaria in Riccione –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere al fine di potenziare gli organici delle forze di polizia operanti in provincia di Rimini, mediante aggregazione per il periodo 1° luglio - 15 settembre 2013, e, conseguentemente, di potenziare i mezzi a loro disposizione.
(4-00136)

  Risposta. — Nella provincia di Rimini gli uffici e reparti della polizia di Stato sono dotati di una forza effettiva di 390 unità appartenenti ai ruoli della polizia di Stato, nonché 22 appartenenti ai ruoli tecnici della polizia di Stato. Concorrono al dispositivo di controllo del territorio anche 459 militari dell'Arma dei carabinieri e 306 militari della guardia di finanza.
  Nonostante la generale carenza di risorse umane, nel quadro della normativa volta al potenziamento dei servizi di vigilanza estiva per il corrente anno, è stato previsto l'invio di 240 unità – di cui 109 appartenenti alla polizia di stato, 86 dell'Arma dei carabinieri e 45 della guardia di finanza – nonché l'istituzione dei posti stagionali della polizia di Stato di Bellaria-Igea Marina e Riccione, ai quali sono preposti quattro dipendenti del ruolo ispettori della questura di Rimini con incarico di responsabili e vice responsabili.
  Inoltre, al pari degli anni precedenti, il Dipartimento della pubblica sicurezza ha stabilito le aliquote di personale utilizzabili per l'assolvimento dei compiti di vigilanza estiva per il periodo 8 luglio – 24 agosto 2013, sulla base di turnazioni di 16 giorni, nella misura di 30 unità per turno.
  Per la durata dell'estate sono state messe a disposizione della polizia di Stato di Riccione e Bellaria-Igea Marina 8 unità per turno per soddisfare le esigenze dei posti stagionali.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo, Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il territorio dell'Anglona (ampia zona del nord Sardegna, in provincia di Sassari) vive da tempo una situazione di estrema crisi, causata anche dalla carenza di infrastrutture in grado di connettere in tempi rapidi i paesi dell'area al capoluogo e alle località turistiche del territorio;
   il comune di Nulvi è uno dei più colpiti dal problema in quanto le vie di comunicazione e trasporto sono assolutamente inefficienti non consentendo una normale mobilità che si ripercuote in maniera pesante sulle diverse aziende del territorio (la mancanza di infrastrutture adeguate ha ripercussioni gravi anche su sanità e diritto allo studio, l'ospedale più vicino è quello di Sassari e stessa cosa vale per le scuole superiori);
   la popolazione del territorio attende da più di vent'anni il completamento del secondo lotto della «Strada dell'Anglona» una nuova e decisiva arteria che, collegando Sassari alla porzione nord-ovest della Gallura, affrancherebbe Nulvi, ma anche buona parte dell'Anglona, da un inadeguato sistema di strade che la discrimina e che concorre, con grave danno, ad impedire uno sviluppo concreto dell'area;
   anche la Strada di Santa Giusta, che congiunge Nulvi alla Chiaramonti-Ploaghe ed alla strada di scorrimento veloce Tempio-Sassari, e la Nulvi-Sennori, versano in grave stato di degrado, completando il quadro più generale di una vera e propria questione viabilità in Anglona;
   i lavori relativi al secondo lotto della strada dell'Anglona erano ripresi nei primi mesi del 2012 grazie alle forti pressioni della popolazione nulvese che stanca della situazione aveva costretto la provincia di Sassari ad attivarsi per gli appalti;
   la soprintendenza per i beni architettonici ha chiesto una variazione sul progetto del terzo lotto della strada dell'Anglona (circonvallazione Nulvi) poiché la zona è interessata da un villaggio nuragico. La circonvallazione collega la fine del secondo lotto con la strada per Tergu, ed eviterebbe il transito all'interno di Nulvi, riducendo i tempi di collegamento con il 4° lotto (Sedini-Valledoria);
   il quotidiano sardo La Nuova Sardegna riporta, il 2 luglio 2013, la notizia dell'allungamento dei tempi per la conclusione dei lavori relativi al secondo lotto della strada dell'Anglona spiegando che «a seguito di una perizia suppletiva e di variante elaborata dal Settore Viabilità della Provincia di Sassari per i lavori di costruzione del tratto Osilo-Nulvi della nuova strada sono stati prorogati i termini della consegna dei lavori, pertanto con apposito atto deliberativo della giunta si procederà alla successiva riapprovazione del progetto definitivo esecutivo. La perizia ha infatti evidenziato che durante l'esecuzione dei lavori si sono manifestate una serie di problematiche legate al degrado subito a causa degli eventi naturali che si sono manifestati nel periodo di interruzione dei lavori. C’è stata inoltre la necessità di venire incontro alle richieste avanzate da numerosi frontisti e quella di adeguare le opere di smaltimento e drenaggio delle acque alle nuove problematiche di carattere idrogeologico. Si è reso inoltre necessario aggiornare il piano parcellare di esproprio riferendosi non più al valore agricolo medio dei terreni ma a quello di mercato. Nel riappalto dei lavori non si è considerato che gli appoggi strutturali dei viadotti non ricomprendevano anche quelli del viadotto n. 2, rendendo conseguentemente necessario aumentare l'importo dei lavori a base d'asta. La perizia suppletiva ha comportato un aumento entro i limiti del 10 per cento dell'importo originario di contratto, pari a 711.355,23 euro» –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, siano a conoscenza della situazione descritta e se intendano intervenire salvaguardando i siti di interesse archeologico ma senza che sia compromesso il completamento dell'arteria stradale in modo che possano essere fornite risposte certe alla popolazione dei luoghi interessati. (4-01333)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante chiede chiarimenti in ordine al protrarsi dei tempi per la conclusione dei lavori relativi al secondo lotto della strada dell'Anglona (SS) ed alla necessità di intervenire salvaguardando i beni di interesse archeologico presenti su quel territorio, si comunica quanto segue.
  Il territorio comunale di Nulvi non risulta mai essere stato dichiarato di interesse paesaggistico.
  Sull'area indicata nell'interrogazione parlamentare, la competente Soprintendenza per i beni archeologici aveva avviato una verifica di interesse culturale, ai sensi dell'articolo 12 del codice dei beni culturali e del paesaggio ed aveva svolto indagini ricognitive per verificare la reale estensione del villaggio intorno al nuraghe Monte Acciso Fiore.
  A seguito di tali indagini archeologiche è stato possibile accertare l'effettiva estensione dell'area archeologica e, tenuto conto che la strada interessava il limite del villaggio, era stata chiesta una rimodulazione del tracciato, con minime variazioni.
  Tenuto conto degli accertamenti archeologici eseguiti, veniva presentato da parte della provincia di Sassari un nuovo progetto di intervento, approvato dalla suddetta soprintendenza con nota n. 10351 del 18 ottobre 2012. Presso tale ufficio è consultabile tutta la documentazione che riguarda gli elaborati delle indagini preventive di interesse archeologico eseguite.
  Per quanto, dunque, attiene alle competenze di questa amministrazione tutte le procedure sono state concluse nei tempi previsti dalla normativa vigente.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   BIONDELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, così come sostituito dall'articolo 1, comma 301, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), ha previsto – al comma 1 – l'istituzione dall'anno 2013 del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario;
   il comma 6 del predetto articolo 16-bis prevede che per l'anno 2013 è ripartito a titolo di anticipazione il 60 per cento dello stanziamento del fondo di cui al comma 1;
   diversi organi di stampa (tra gli altri: La Stampa.it – Torino del 27 marzo 2013) riporta la notizia che da giugno ci saranno «...un autobus in meno su due, un treno in meno ogni tre. Salvo miracoli, ovvero un'integrazione delle risorse da parte del Governo...»;
   la regione Piemonte ha dichiarato che mancano 120 milioni di euro per garantire la copertura del fabbisogno del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, per l'anno 2013 a cui si aggiungono i 340 milioni di euro di debiti pregressi della regione nei confronti delle aziende del settore;
   pertanto, risultano a rischio sia il mantenimento di alcune tratte ferroviarie che oggi garantiscono i collegamenti soprattutto dalle valli verso i capoluoghi (ad esempio: Varallo-Novara, Biella-Milano, Cuneo-Ventimiglia e altro) sia la garanzia del trasporto su gomma oggi utilizzato da migliaia di studenti che si recano a scuola;
   la gravità della situazione è stata, ed è, oggetto di interventi da parte dei consiglieri regionali del Piemonte, sia di minoranza sia di maggioranza, senza che la giunta Cota intervenga in maniera chiara, puntuale e precisa per risolvere il problema ma solo addossando le colpe a soggetti esterni all'amministrazione regionale –:
   a che punto sia l’iter per il riparto dell'anticipazione dello stanziamento del fondo per il trasporto pubblico locale e quali siano le iniziative di propria competenza che il Ministero intende adottare per promuovere il trasporto pubblico locale, compreso quello ferroviario. (4-00119)

  Risposta. — L'Interrogante in esame pone all'attenzione del Governo le problematiche connesse al trasporto pubblico locale con particolare riferimento alla regione Piemonte.
  Occorre preliminarmente far presente che il trasporto pubblico locale costituisce una delle priorità del Governo considerato che la collettività, soprattutto in momenti di crisi come questo, avverte sempre più la necessità di poter usufruire di mezzi pubblici di trasporto.
  In Italia, il comparto del trasporto pubblico locale conta approssimativamente 1.150 aziende pubbliche e private (delle quali circa il 26 per cento svolge servizio urbano, circa il 55 per cento solo servizio extraurbano e circa il 19 per cento entrambi i tipi di servizio); la media annuale dei passeggeri trasportati é stimata in circa 7 miliardi.
  I compiti istituzionali (di amministrazione e programmazione) in materia di trasporto pubblico locale e di servizi ferroviari regionali sono stati attribuiti, come è noto, alle regioni dal decreto legislativo n. 422 del 1997, ancor prima, quindi, della riforma del Titolo V della Costituzione, in base alla quale la materia del trasporto pubblico locale rientra nell'ambito delle competenze residuali delle regioni, di cui al quarto comma dell'articolo della 117 Costituzione.
  Storicamente il settore ha un costo annuale per la finanza pubblica di circa 7,2 miliardi di euro di cui circa 6,4 miliardi di euro relativi ai servizi di trasporto pubblico locale e ferroviari eserciti nelle regioni a Statuto ordinario.
  In merito alla programmazione dei servizi da parte delle regioni, si ricorda che con l'emanazione del citato decreto legislativo n. 422 del 1997 il settore è stato oggetto di una riforma che, ad oggi, purtroppo, non ha ancora prodotto gli effetti previsti, in quanto, le regioni, che avrebbero dovuto individuare, secondo criteri di efficienza e razionalità, i cosiddetti «servizi minimi» da garantire alla stregua di quelli essenziali, si sono limitati, per lo più, alla conservazione dei servizi storici e conseguentemente della spesa storica indicizzata, senza procedere all'adeguamento dinamico, sia quantitativo che modale, dell'offerta di servizi al mutare della domanda conseguente all'evolversi socio economico del Paese. Si fa riferimento, ad esempio alle numerose linee ferroviarie nate agli inizi del secolo scorso, in assenza di una rete viaria e di trasporto automobilistico, che continuano ad essere in esercizio a fronte di una domanda ormai limitata, che non giustifica più il costo pubblico di una modalità ferroviaria. Tale mancato adeguamento ha distratto le poche risorse finanziarie disponibili, dai servizi che, proprio in funzione dell'evoluzione economico sociale del paese, andavano incrementati qualitativamente e quantitativamente (ad esempio i servizi per pendolari in prossimità dei medi e grandi centri urbani).
  Per ovviare a tale anomalia, nell'ambito del più complessivo processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, è stato avviato un percorso normativo finalizzato all'efficientamento e alla razionalizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale che ha portato al varo della disciplina volta al riordino del settore inserita all'interno della legge di stabilità per l'anno 2013.
  L'articolo 1, comma 301, della legge 28 dicembre 2012 n. 228, che sostituisce l'articolo 16-bis del decreto legge n. 95 del 2012, ha previsto, a decorrere dal 2013, l'istituzione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario.
  Lo stanziamento di tale Fondo, per l'anno 2013, ammonta a 4.929 milioni di euro, corrispondente a circa il 75 per cento delle risorse pubbliche di parte corrente destinate al settore.
  La norma in argomento ha lo scopo di incentivare le regioni a riprogrammare i servizi secondo criteri oggettivi ed uniformi a livello nazionale, di efficientamento e razionalizzazione, criteri questi definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013, emanato ai sensi del comma 3 del citato articolo 16-bis, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2013.
  Entro quattro mesi dalla data di emanazione di tale decreto le regioni procedono alla corretta riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale e ferroviari regionali, mentre, entro 180 giorni dalla predetta data, rendono operativa la riprogrammazione in parola.
  Nelle more dell'attuazione delle procedure descritte è stato comunque previsto il riparto tra le regioni dell'acconto pari al 60 per cento del predetto Fondo di cui al già citato articolo 16-bis.
  Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dal canto suo, avrà cura di verificare gli effetti prodotti dalla corretta programmazione, avvalendosi anche dell'Osservatorio sulle politiche del trasporto pubblico locale di cui alla legge n. 244 del 2007, attivato solo nel 2011 a causa della carenza di risorse necessarie per il suo funzionamento.
  In particolare l'Osservatorio si doterà di una banca dati informatica che acquisirà per via telematica direttamente dalle aziende, dalle regioni e dagli enti locali dati certificati, economici e trasportistici del settore.
  In definitiva, le regioni in attuazione della normativa vigente, sono incentivate a riprogrammare i propri servizi secondo criteri di efficienza e razionalità.
  La corretta riprogrammazione risolverà, almeno parzialmente, la lamentata carenza, di risorse di parte corrente, in quanto le «sacche» di inefficienza dovrebbero essere eliminate o quanto meno ridotte, consentendo l'ottimale utilizzo delle risorse finanziarie disponibili.
  Inoltre, la riprogrammazione in argomento consentirà finalmente di procedere in modo corretto alla liberalizzazione del settore, mediante procedure ad evidenza pubblica, evitando l'affidamento di servizi ormai non più adeguati all'attuale domanda di trasporto.
  Nell'ambito del processo di razionalizzazione e di efficientamento del settore potrebbe ravvisarsi la necessità di consentire alle regioni, ove necessario, di ripianare i disavanzi sino ad oggi prodotti da una programmazione statica e non più rispondente alle moderne esigenze di mobilità e di garantire un flusso di finanziamenti diretto ad investimenti nel settore coerenti con i criteri, uniformi a livello nazionale, di efficientamento e razionalizzazione che le regioni adotteranno dal 2013 per la programmazione dei servizi.
  Tali necessità sono già state in parte risolte ricorrendo alle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui al decreto legislativo n. 88 del 2011.
  È opportuno ricordare che per quanto riguarda la regione Piemonte, l'articolo 11, commi 6 e 7, del decreto-legge n. 35 del 2012, e relativa legge di conversione, relativo ai servizi di trasporto pubblico locale e ferroviari regionali ha previsto che la regione stessa possa utilizzare le risorse di detto Fondo per regolare i debiti nei confronti di alcune aziende del settore.
  E in effetti, ai sensi della citata normativa, la regione Piemonte, su sua richiesta, ha potuto rimodulare il proprio programma attuativo regionale fondo sviluppo e coesione – par fsc 2007/2013 – per 150 milioni di euro, al fine di far fronte a debiti pregressi a carico del bilancio regionale inerenti ai servizi di trasporto pubblico locale su gomma e di trasporto ferroviario regionale.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in una lettera indirizzata all'interrogante, il signor Vito Antonio Sigrisi, sovraintendente presso l'aeroporto Valerio Catullo di Verona, servizi di vigilanza, ha illustrato i disagi che sta subendo a causa delle vicende giudiziarie che lo vedono coinvolto come testimone nel procedimento ex articoli 43 e 44 del decreto legislativo n. 286 del 1998, discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, promosso dal signor Sukhdev Singh;
   stando a quanto riportato dagli organi di stampa, il 7 ottobre 2008 all'aeroporto Catullo di Verona, al signor Sukhdev Singh cittadino di religione sikh, nella fase dei rituali controlli di sicurezza per l'accesso alla zona sterile dell'aeroporto, è stato chiesto dai pubblici ufficiali della ronda dei servizi di vigilanza, di togliersi il copricapo (turbante) al fine di poter accertare che non celasse oggetti pericolosi per l'incolumità dei passeggeri. Il signor Sukhdev Singh, opponendo rifiuto alla richiesta avanzata dagli ufficiali di pubblica sicurezza, ha generato in sostanza una volontaria rinuncia al volo;
   il personale aeroportuale dei servizi di vigilanza ha agito seguendo le normali procedure codificate dal programma nazionale di sicurezza, al fine proprio di garantire la sicurezza del volo e dei passeggeri trasportati;
   il sikhismo, un movimento religioso nato agli inizi del XVI secolo nel Punjab, prevede nei suoi precetti religiosi alcuni irrinunciabili simboli di fede esteriori come il turbante, il piccolo pugnale rituale, il pettine e il bracciale di acciaio;
   l'espressione degli appartenenti alla religione sikh che si manifesta nel precetto di indossare determinati indumenti causa spesso problemi, a quanto consta all'interrogante, sotto il profilo della compatibilità con le norme dell'ordinamento giuridico;
   la libertà religiosa, di credenza e di coscienza è un diritto inviolabile consolidato nella cultura del popolo italiano e riconosciuto in modo inequivocabile dal combinato disposto degli articoli 3, 8, 19 e 20 della Costituzione;
   l'ordinamento giuridico interno è sottoposto, inoltre, al rispetto dei vincoli posti dalla legislazione sovranazionale europea, dovendosi confrontare in particolare con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che forniscono ulteriori elementi in materia di diritti fondamentali della persona ed eventuali restrizioni. In tal senso, la libertà di vestire può riferirsi a due diritti garantiti dagli strumenti internazionali: il diritto al rispetto della vita privata e la libertà di espressione religiosa, definita molto accuratamente in sede internazionale come la libertà di manifestare la propria religione, individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, le pratiche e l'osservanza dei riti. Tale forma di libertà è quindi molto forte e non sembra poter essere derogata da norme eccessivamente restrittive. Le persone che indossano indumenti possono trovarsi in due diversi ambiti, afferenti rispettivamente alla sfera della vita privata o alla dimensione pubblica;
   l'area degli imperativi di sicurezza pubblica si realizza quando una persona lascia la sua vita privata ed instaura dei rapporti giuridici con terzi o con l'autorità pubblica o con soggetti privati;
   il commissario europeo Antonio Vitorino, in data 25 ottobre 2002, ha fatto notare che, nel fissare direttive specifiche nell'uso di accessori d'abbigliamento, quali i turbanti portati dai Sikh, «gli Stati membri devono trovare un giusto equilibrio tra le legittime esigenze in materia di ordine pubblico e pubblica sicurezza ed il diritto di libertà religiosa» dal momento che «tale diritto è sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), ratificata da tutti gli Stati membri» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per far sì che il rispetto della libertà di espressione religiosa si concili con l'esigenza della garanzia dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini. (4-00459)

  Risposta. — Il Ministero dell'interno dedica particolare attenzione al tema del pluralismo religioso garantendo e tutelando, nel pieno rispetto dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione, da un lato l'esercizio della libertà di culto – articolo n. 19 Cost. – e dall'altro l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini.
  A tali principi si ispirano anche le disposizioni relative ai controlli nelle zone aeroportuali, contenute nel Programma nazionale di sicurezza.
  L'episodio cui fa riferimento l'interrogante è avvento in data 7 ottobre 2008 presso l'aeroporto di Verona dove lo straniero Singh Sukhdav, accompagnato dalla consorte e dai figli, si presentava ai controlli di sicurezza preliminari all'imbarco del volo diretto a Francoforte.
  Il signor Singh, che nella circostanza indossava un turbante tipico della religione sikh, sottoposto alle verifiche di sicurezza personali e sui bagagli, si rifiutava di far controllare alle guardie giurate in servizio al varco anche il copricapo.
  Per meglio garantire la privacy dello straniero, gli addetti alla sicurezza invitavano il medesimo a recarsi in un locale chiuso, utilizzato per effettuare in riservatezza più approfonditi controlli, ma ricevevano un ulteriore rifiuto, successivamente confermato anche alla presenza del responsabile della compagnia aerea.
  Il signor Singh unitamente alla sua famiglia rinunciava ad effettuare il viaggio.
  Nel caso di specie, non è stata in alcun modo osteggiata la libertà religiosa. Lo stesso tribunale di Mantova ha rigettato il ricorso presentato dal signor Singh, non ravvisando al riguardo alcuna condotta di natura discriminatoria.
  Si precisa, inoltre, che non si registrano casi particolari di discriminazione o restrizione nei confronti di comunità sikh e che allo stesso tempo questa amministrazione assicura la massima disponibilità affinchè la predetta comunità possa inserirsi, nel pieno rispetto delle norme, nel nostro tessuto sociale.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è in fase di studio da parte della regione Piemonte un nuovo Collegamento autostradale A4 (Santhià) – Biella – A26 (Ghemme), costruzione finanziata in parte con fondi pubblici e in parte privati con modalità project-financing;
   dalle varie associazioni presenti sul territorio state espresse delle notevoli perplessità sul progetto, tra cui:
    a) il percorso autostradale attraversa in parte e/o delimita l'area denominata Baraggione (popolarmente conosciuta come Baraggia) un ambiente unico a livello europeo tutelato con l'istituzione di un sito di interesse comunitario e di un parco il cui danno alla biodiversità previsto sarà compensato solo in parte dalle mitigazioni proposte;
    b) la costruzione di un nuovo tratto autostradale comporta la trasformazione di territorio attualmente destinato a uso agricolo (334 ettari), con un impatto significativo sul settore e sulla tutela dei suoli, come riportato dal progetto stesso;
    c) la realizzazione dell'opera comporterà severi disagi per la popolazione residente (rumori, polveri, traffico camion, e altro) sia in fase di costruzione che in fase funzionale;
    d) l'impatto dell'opera sul paesaggio sarà particolarmente importante, poiché gran parte del percorso verrà realizzato in rilevato;
    e) il ricorso al project-financing per il reperimento di parte dei fondi necessari alla costruzione dell'opera comporta la previsione di una percorrenza a pedaggio su strade attualmente a libera percorrenza (superstrada);
   si tenga presente che lo studio sui dati di traffico relativi al Biellese è datato 2002 e già in quella fase la valutazione conclusiva era poco favorevole all'opera. Il progetto, aggiornato al dicembre 2010, riporta dei dati di traffico relativi al 2007 valutando un incremento costante del traffico fino al 2030; ma i dati statistici delle autostrade limitrofe, tramite l'AISCAT (Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori), danno invece una progressiva riduzione del traffico che nel 2012 è stata valutata in un 7.2 per cento arrivando a un progressivo 10,2 per cento nell'aprile 2013. La SATAP invece al 31 dicembre 2012 sul tratto Torino-Milano ha rilevato una riduzione del 5,93 per cento e dell'8,47 per cento sul tratto Torino-Piacenza e anche qui le stime si aggirano intorno al 10 per cento per il primo trimestre 2013;
   a quanto risulta, i dati rilevati dalle varie società autostradali limitrofe sono in totale contrasto con le previsioni utilizzate per motivare l'opera, ma è importante evidenziare che tale decremento di traffico fosse già presente nel bilancio SATAP al 31 dicembre 2011 con un –0.7 per cento e 1,25;
   la zona di Carisio ed il relativo casello autostradale sulla A4 sta diventando un importante centro per la logistica; tale nodo non sarà direttamente raggiungibile da Biella con la nuova autostrada;
   è previsto che la nuova autostrada incorpori un tratto della superstrada SR 142 attualmente percorribile senza pedaggio; il nuovo tratto a pagamento comporterà un aggravio diretto e ingiustificato ai tanti pendolari biellesi incrementando la congestione del traffico locale nel tratto Masserano – Cossato – Vigliano;
   la regione Piemonte (che finanzia in parte l'opera) ha seri problemi di bilancio così come lo Stato, altro finanziatore;
   la regione Piemonte con delibera di giunta N. 25-5760 ha emesso disposizioni urgenti per il rientro in materia di trasporto pubblico locale riguardanti il periodo 2013-2015 che comporteranno soppressione di corse e riduzioni di servizio;
   il collegamento ferroviario diretto Biella – Milano sta per essere soppresso come numerose altre linee;
   stanno progressivamente aumentando le problematiche di manutenzione dei tratti stradali esistenti e le società autostradali richiedono continue concessioni per l'aumento dei pedaggi per contrastare il progressivo calo dei passaggi –:
   se non si ritenga opportuno rivedere e aggiornare lo studio del traffico reale e previsto nella zona per dare motivazione sul perché, nonostante i dati di traffico fossero insufficienti sin dall'inizio, si è proseguito nell'opera suddetta;
   se non ritenga opportuno revocare eventuali finanziamenti statali per la Pedemontana biellese, ed eventualmente trasferire i finanziamenti su opere infrastrutturali alternative o potenziare quelle già esistenti. (4-01796)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame, gli Interroganti segnalano preliminarmente diverse criticità di carattere ambientale e paesaggistiche, in relazione alla realizzazione dell'opera denominata Pedemontana Piemontese.
  Al riguardo, si informa che il progetto è stato a suo tempo sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale e localizzazione dell'opera (prevista per le infrastrutture strategiche, ai sensi dell'articolo 165 decreto legislativo n. 163 del 2006) ai fini dell'approvazione del progetto preliminare da parte del Cipe.
  In fase istruttoria il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Piemonte hanno richiesto sostanziali integrazioni ambientali al progetto preliminare presentato dal promotore.
  In data 12 ottobre 2011 la giunta regionale della regione Piemonte ha espresso il proprio parere favorevole per la compatibilità ambientale e le valutazioni di competenza regionale sul progetto preliminare in oggetto.
  Occorre evidenziare che la nuova commissione VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nominata nel luglio 2011 a seguito della scadenza dei termini della precedente, ha riesaminato integralmente il progetto, provvedendo ad una nuova analisi puntuale e specifica su tutti gli aspetti ambientali, anche su quelli ritenuti superati dalla precedente commissione VIA. Successivamente, in data 20 luglio 2011, il Ministero per i beni e le attività culturali ha espresso il proprio parere tecnico favorevole.
  Il 12 ottobre 2011, la giunta regionale della regione Piemonte ha espresso di nuovo il proprio parere favorevole per la compatibilità ambientale e le valutazioni di competenza regionale sul progetto preliminare in oggetto.
  A seguito delle prescrizioni contenute nel parere del 16 dicembre 2011 della commissione tecnica di VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (quantificabili in circa euro 20 milioni) il quadro economico dell'intervento è stato aggiornato in euro 654,5 milioni, di cui euro 501,3 milioni per lavori e di euro 153,2 milioni per somme a disposizione.
  È di tutta evidenza, dunque, l'attenzione ambientale posta sul progetto, sui cui la quasi totalità degli enti locali interessati ha espresso parere favorevole.
  Con particolare riferimento al parco della Baraggia si evidenzia che è stata adottata una livelletta in trincea, al fine di mitigare l'impatto dell'opera sul territorio di pregio, interessato, peraltro, dall'infrastruttura solamente per l'1,8 per cento della sua estensione.
  Quanto ai disagi per la popolazione residente, si fa presente che le scelte progettuali effettuate e condivise con la conferenza dei servizi hanno permesso di minimizzare l'impatto sulle componenti ambientali e sulla popolazione nelle fasi di cantiere e di esercizio. Sono state altresì individuate opportune azioni mitigative e compensative da attuare in entrambe le fasi di progetto. Il rispetto della normativa in campo ambientale e l'efficacia delle azioni mitigative verranno verificati nell'ambito del piano di monitoraggio ambientale e dell'osservatorio ambientale.
  In ordine, poi, alla presenza di rilevati, si comunica che, rispetto al progetto presentato in gara, in quello revisionato è stata operata una diminuzione dei tratti in rilevato e un aumento di quelli in trincea. La presenza di vincoli idrogeologici e normativi ha impedito ulteriori riduzioni.
  Per quanto riguarda il pedaggiamento su strade attualmente libere, si fa presente che l'inserimento della tratta attualmente a libera percorrenza all'interno del nuovo sistema autostradale avverrà soltanto dopo l'adeguamento ai relativi standard di sicurezza del tratto in questione, considerate le attuali caratteristiche a detto collegamento in termini di sezione geometrica (due corsie per senso di marcia con spartitraffico centrale) e di volumi di traffico presenti. Verranno infatti realizzate nuove piazzole di sosta, in entrambe le carreggiate, ad una interdistanza di circa un km e la tratta sarà inserita in termini gestionali all'interno dei piani di manutenzione dell'intera autostrada. L'inserimento del pedaggio sarà comunque graduale e avverrà concordando con il territorio le formule più adeguate: è stata infatti inserita una viabilità complanare tra l'attuale sede della SR142 e l'abitato di Cossato, al fine di permettere a tutti i veicoli il transito per Vigliano e Biella senza entrare in autostrada.
  Inoltre, circa i rilievi sui dati di traffico, si comunica che gli studi di traffico vengono realizzati valutando una molteplicità di informazioni, rilevate sul campo e stimate statisticamente, che sono rese omogenee e compatibili tra loro attraverso procedure matematiche di attualizzazione. Per questa ragione lo studio di Satap presenta basi dati provenienti da vari soggetti e datate a differenti anni, ma poi attualizzate all'anno 2008: si evidenzia al riguardo che la gara per la concessione è stata bandita, svolta e provvisoriamente aggiudicata nel 2009.
  Senza sottacere, tra l'altro, che l'attuale crisi economica ha contribuito, senza dubbio, all'utilizzo di altre modalità di trasporto in luogo della mobilità privata. Inoltre, la Pedemontana Piemontese è un tratto strategico di completamento di un sistema Pedemontano che attraversa tutto il nord Italia (si collega, tramite un tratto di A26 alla Pedemontana Lombardo-Veneta) proprio nell'ottica di elevare il livello di competitività di aree che sono state sempre penalizzate dalla congestione dell'asse autostradale Torino-Venezia.
  L'Europa ha ripreso a crescere e si sta riallineando con le previsioni dell'unione europea verso il 2050: è quindi indispensabile agganciare il trend positivo costruendo i supporti alle relazioni che vanno verso l'est ed i nuovi ingressi in unione europea, mantenendo l'aggancio con il nord Europa, completando ed interconnettendo le reti di tutte le modalità di trasporto.
  Si fa presente, inoltre, che nel corso del 2012 è stata, altresì, disposta l'assegnazione delle somme relative al finanziamento pubblico: quanto alla Regione Piemonte euro 120 milioni mentre, per la quota di competenza dello Stato, euro 80 milioni (articolo 1, comma 212, legge n. 228 del 2012).
  Il Piano economico finanziario (PEF) è stato aggiornato a seguito della variazione del quadro economico, dell'applicazione della normativa sulla defiscalizzazione, cui la Pedemontana può accedere, e delle mutate condizioni finanziarie e di traffico.
  Da ultimo occorre evidenziare che l'istruttoria relativa all'intervento è stata già inoltrata al Cipe nel mese di marzo 2013; tuttavia, a seguito della pubblicazione della delibera Cipe n. 1/2013 intervenuta in data 4 settembre 2013 (direttiva in materia di attuazione delle misure di compensazione fiscale previste dall'articolo 18 della legge 183/2011) è in corso di aggiornamento da parte del soggetto aggiudicatore lo schema di convenzione.
  Pertanto, allo stato, la struttura tecnica di missione di questo Dicastero è in attesa di ricevere lo schema di convenzione aggiornato per la relativa ulteriore istruttoria, che comprenderà anche l'acquisizione del parere del Nars, prima di sottoporre al Cipe in via definitiva l'approvazione del progetto preliminare.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CARUSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2199, comma 4, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che riproduce l'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, abrogata dallo stesso codice, dispone che i concorrenti per il ruolo degli agenti e assistenti della polizia di Stato, giudicati idonei e utilmente collocati nelle graduatorie di merito, vengono suddivisi in due cosiddette aliquote: una parte, corrispondente al 55 per cento, è immessa direttamente nelle carriere iniziali; la restante, pari al 45 per cento, viene immessa nelle carriere iniziali, dopo avere prestato servizio nelle forze armate in qualità di volontario in ferma prefissata quadriennale;
   il comma 6 dispone, in particolare, che i criteri e le modalità per l'ammissione dei concorrenti alla ferma prefissata quadriennale, la relativa ripartizione tra le singole forze armate e le modalità di incorporazione sono stabiliti con decreto del Ministro della difesa, sulla base delle esigenze numeriche e funzionali delle forze armate, rimandando, di fatto, tali dinamiche di ammissione alle disponibilità dell'amministrazione e, quindi, ad un principio di discrezionalità amministrativa;
   malgrado la sussistenza di una seconda aliquota in tutti i concorsi, a partire dal 2006 sono stati comunque banditi nuovi concorsi che hanno determinato l'incremento delle unità di personale rientranti nella cosiddetta seconda aliquota: dal 2006 al 2011 sono stati banditi 4 concorsi per una domanda di reclutamento pari a 6.814 unità di personale;
   nonostante le evidenti e più volte ribadite esigenze di incremento delle risorse umane e strumentali in capo al Ministero dell'interno, paradossalmente, al momento, risultano inoperativi circa 1.700 vincitori di concorso, collocati nella cosiddetta seconda aliquota e non più transitati dall'esercito alla polizia di Stato, sebbene titolari di una priorità di inserimento;
   il Ministro pro tempore rispondendo all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea presso la Camera del 26 settembre 2012, ha precisato che: «L'assunzione nel ruolo della polizia di Stato, una volta terminato il periodo di ferma, deve comunque essere valutata alla luce dei ridimensionamenti imposti dalla spending review, che incidono anche sul sistema delle dinamiche del turnover per il personale delle Forze di polizia. La quota dei volontari che non potrà essere subito assunta sarà, comunque, immessa in servizio con il venir meno delle limitazioni imposte dal turnover»;
   nell'ambito della discussione parlamentare relativa alla legge di stabilità per l'anno 2013, è stata superata una parte delle criticità relativa alla configurazione del turnover nel comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco, così come delineato dalla spending review del luglio 2012: nello specifico, con i commi aggiuntivi all'articolo 1 (commi 89 e 90), i Ministeri interessati «sulla base di metodologie per la quantificazione dei relativi fabbisogni (...) procedono alla rimodulazione e alla riprogrammazione delle dotazioni dei programmi di spesa» finalizzate anche «ad assunzioni a tempo indeterminato» sulla base di procedure concorsuali già avviate;
   il 28 novembre 2012, in quella circostanza il Ministro pro tempore rispondendo ad un'altra interrogazione a risposta immediata (3-02626) presentata dal firmatario del presente atto evidenziò che «viene ad ampliarsi, secondo l'auspicio dell'interrogante, anche la possibilità di attingere risorse da coloro i quali hanno terminato il servizio nelle Forze armate in qualità di volontari in ferma permanente quadriennale»;
   in data 26 marzo 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un bando per «Concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 964 allievi agenti, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale» che, indicendo un nuovo concorso, con conseguente e notevole dispendio di risorse, vanifica la prospettiva di immissione nelle carriere iniziali dei giovani vincitori di concorso, oltre a contraddire quanto previsto dalla normativa e dalle disposizioni previste dai concorsi a cui i giovani hanno preso parte;
   in una prospettiva di reale razionalizzazione, inoltre, per far fronte al fabbisogno di personale, le amministrazioni competenti dovrebbero utilizzare le graduatorie ancora vigenti dei concorsi pubblici già espletati a decorrere dal 2006 per il reclutamento di personale a tempo indeterminato, e non limitarsi ai concorsi già avviati, ricorrendo a tali graduatorie quando si tratta di procedere all'assunzione di profili corrispondenti o analoghi a quelli previsti nei bandi dei concorsi ai quali si riferiscono le graduatorie medesime –:
   quali siano le ragioni che hanno condotto ad indire un nuovo e dispendioso concorso e quali iniziative si intendano intraprendere al fine di far fronte agli impegni già contratti dal Governo pro tempore nella XVI legislatura nei confronti dei giovani, già vincitori di concorsi per i ruoli della polizia di Stato ma rientranti nelle seconde aliquote. (4-00793)

  Risposta. — La disciplina dell'assunzione di personale nel ruolo degli agenti ed assistenti della polizia di Stato è regolata dal codice dell'ordinamento militare che prevede l'osservanza di procedure e modalità operative cui l'amministrazione della pubblica sicurezza è tenuta a conformarsi.
  La normativa in vigore stabilisce che, fino al 31 dicembre 2020, come per le altre forze di polizia ad ordinamento civile e militare, i posti messi annualmente a concorso per il reclutamento del personale nella carriera iniziale della polizia di Stato vengano determinati sulla base di una «programmazione quinquennale scorrevole».
  Questi programmi, annualmente predisposti da ciascuna delle amministrazioni interessate, sono comunicati entro il 30 settembre di ogni anno al Ministero della difesa. I posti sono riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale.
  Solo il 55 per cento dei concorrenti giudicati idonei dopo almeno un anno di servizio svolto presso le Forze armate ed utilmente collocati nelle graduatorie, viene immesso direttamente nelle carriere iniziali delle Forze di polizia. Il restante 45 per cento può essere invece immesso in ruolo solo dopo aver prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontario in ferma permanente quadriennale.
  L'amministrazione della pubblica sicurezza, pertanto, è obbligata al rispetto del procedimento concorsuale previsto dalla normativa di settore che consente l'immissione nel ruolo iniziale della polizia di Stato solo dopo lo svolgimento dei quattro anni di ferma.
  D'altra parte, bisogna anche tener conto che la stessa disciplina normativa richiede che venga effettuata con periodicità l'attività concorsuale, bandendo nuove procedure selettive anche per far fronte alle esigenze di personale delle strutture militari.
  Relativamente alle assunzioni nelle Forze di polizia e disciplina del turn over, la legge di stabilità per il 2013 ha previsto uno stanziamento di 70 milioni di euro per il 2013 e di 120 milioni di euro a decorrere dal 2014, fondi che permetteranno alle amministrazioni interessate di avere un margine più agevole di manovra nelle facoltà assunzionali, anche relativamente ai volontari in forma prefissata.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il concordato preventivo con continuità aziendale ex articolo 161 e 186-bis della legge fallimentare, così come introdotto dall'articolo 33, comma 1, lettera b) della legge 7 agosto 2012, n. 134, (decreto sviluppo), consente all'azienda in difficoltà di poter continuare a svolgere in via ordinaria la propria attività di impresa;
   l'articolo 168 della legge fallimentare prevede che, dalla data di pubblicazione dell'istanza di concordato preventivo nel registro delle imprese è fatto divieto alla istante di pagare crediti anteriori alla domanda di pagamento, ivi compresi quelli contributivi, mentre, al contrario, i debiti contributivi maturati successivamente alla presentazione del ricorso per concordato, trattandosi di concordato in continuità, potranno essere adempiuti ex articolo 184 della legge fallimentare;
   il decreto-legge n. 83 del 2012 (decreto sviluppo) in vigore dal 26 giugno 2012 ha introdotto importanti modifiche alla procedura del concordato preventivo. Questo, per facilitare la gestione della crisi aziendale;
   grazie a tale decreto oggi è possibile depositare una semplice richiesta di accedere alla procedura di concordato preventivo che consente: la prosecuzione dell'attività aziendale, la cessione dell'azienda in esercizio, oppure il conferimento della stessa in una o più società, anche appena costituite, una moratoria fino ad un anno dalla omologazione, per il pagamento dei privilegiati, pegno o ipoteca e altre agevolazioni;
   per i crediti vantati dall'INPS prima della presentazione dell'istanza di concordato preventivo ricorre l'ipotesi di sospensione dei pagamenti a seguito delle disposizioni legislative di cui all'articolo 5, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale 24 ottobre 2007, con conseguente rilascio di Durc regolare, e ciò in quanto un eventuale pagamento da parte dell'operatore economico comporterebbe una violazione dell'articolo 168 della legge fallimentare;
   per le stesse ragioni, non è neppure possibile applicare la previsione di trattenimento delle somme da parte delle pubbliche amministrazioni interessate di quanto spettante ai creditori previdenziali di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, in quanto ciò darebbe luogo ad un pagamento di debiti maturati in data anteriore alla presentazione dell'istanza di concordato con violazione dell'articolo 168 della legge fallimentare –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per risolvere le problematiche citate in premessa. (4-00014)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali iniziative si intendano adottare in merito al rilascio del Documento unico di regolarità contributiva in presenza di crediti vantati dall'Inps prima dell'istanza di concordato preventivo da parte dell'azienda, si rappresenta quanto segue.
  La questione prospettata dall'interrogante è stata di recente affrontata da questo Ministero con l'interpello n. 41/2012, che ha dettato precise indicazioni in materia di rilascio del Durc nel caso in cui la verifica di regolarità interessi le imprese ammesse alla procedura di concordato preventivo in continuità.
  A seguito del suddetto interpello, l'Inps ha provveduto ad emanare proprie indicazioni con messaggio n. 004925 del 21 marzo 2013.
  Dall'analisi della disciplina afferente all'istituto del concordato preventivo con continuazione dell'attività aziendale di cui agli articoli 161 e seguenti, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) come modificati dall'articolo 33, comma 1, lettera
h), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, emerge che la procedura concorsuale in esame risulta finalizzata da un lato, al risanamento di imprese che versano in uno stato di crisi «non strutturale» e, dall'altro, presupponendo la continuazione dell'attività aziendale, si incentra su di un piano – validato da un professionista ed omologato dal competente Tribunale – mediante il quale l'azienda «si accorda» con i creditori riguardo alle tempistiche e alle modalità di pagamento dei debiti sorti precedentemente alla presentazione della domanda di concordato.
  L'articolo 186-
bis della legge fallimentare dispone che il piano concordatario può prevedere una moratoria fino ad un anno dall'omologazione del tribunale per il pagamento dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, tra i quali sono ricompresi i contributi previdenziali e assistenziali. Si prevede inoltre che:
   i contratti in corso di esecuzione alla data del deposito del ricorso, tra i quali anche quelli stipulati con le pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura;
   l'ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione dei contratti pubblici sottoscritti nella misura in cui il professionista designato ne abbia attestato la conformità al piano, unitamente alla ragionevole capacità di adempimento dell'azienda debitrice.

  L'ammissione alla suddetta procedura comporta pertanto, per la compagine aziendale interessata, la sospensione ex lege delle situazioni debitorie sorte antecedentemente al deposito della relativa domanda e la conseguente preclusione delle azioni esecutive dei creditori.
  Alla luce della disciplina descritta, la fattispecie prospettata dall'interrogante dovrebbe rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 5 del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 laddove sono elencati i requisiti utili ai fini del rilascio del Durc, ovvero delle condizioni in presenza delle quali l'Istituto previdenziale attesta la corretezza nei pagamenti e negli adempimenti contributivi. Il comma 2, lettera
b), del suddetto articolo dispone infatti che «la regolarità contributiva sussiste in caso di sospensioni dei pagamenti a seguito di disposizioni legislative».
  In effetti la
ratio della procedura concorsuale, finalizzata a garantire la prosecuzione dell'attività aziendale e alla salvaguardia dei livelli occupazionali, sarebbe disattesa qualora si riconoscesse un'incidenza negativa alle situazioni debitorie sorte antecedentemente all'apertura della procedura stessa, poiché l'impresa sottoposta a concordato non avrebbe la possibilità di ottenere un Durc se non alla chiusura del piano di risanamento, con conseguente ed inevitabile pregiudizio per il superamento della crisi.
  Da quanto sopra esposto emerge che per l'azienda ammessa al concordato preventivo
ex articolo 186-bis, sia possibile ottenere il rilascio di un Durc qualora ricorrano le condizioni di cui all'articolo 5 del decreto ministeriale sopra menzionato, cioè nell'ipotesi in cui il piano, omologato dal tribunale, contempli l'integrale assolvimento dei debiti previdenziali e assistenziali contratti prima dell'attivazione della procedura concorsuale. Va tuttavia precisato che in tal caso la sospensione dei pagamenti che non osta al rilascio del Durc deve necessariamente riferirsi a quelle obbligazioni che sono state prese in considerazione o comunque rientrano nell'ambito del concordato.
  Gli enti previdenziali potranno attestare inoltre la regolarità contributiva solo qualora lo specifico piano di risanamento preveda la cosiddetta moratoria di cui all'articolo 186-
bis, comma 2, lettera c) della legge fallimentare ed esclusivamente per un periodo non superiore ad un anno dalla data dell'omologazione. Trascorso detto periodo, infatti, la sospensione cessa di avere effetto e l'impresa, in mancanza di soddisfazione dei crediti assicurativi, deve essere «attestata» come irregolare.
  Con riferimento sia alla necessaria ricorrenza dell'omologazione che alla previsione della moratoria, la disciplina di cui all'articolo 5, comma 2, lettera
b) del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 non trova applicazione nell'intervallo di tempo intercorrente tra la pubblicazione del ricorso al registro delle imprese e l'emanazione del decreto di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Opera Nazionale dei Vigili del Fuoco ha subito dal 2008 ad oggi una graduale e progressiva riduzione delle entrate, condizione che ha determinato l'impossibilità di rinnovare, dal mese di marzo scorso, la polizza sanitaria stipulata in favore dei dipendenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   tale condizione di tagli nel bilancio dell'ONA, introdotta dalla legge finanziaria 2008, non ha colpito gli sprechi ma, al contrario, ha danneggiato i vigili del fuoco che sono spesso vittime di gravi infortuni sul lavoro a fronte della particolare attività lavorativa che svolgono su tutto il territorio nazionale h24, 365 giorni l'anno;
   così è accaduto recentemente ad un vigile del fuoco del comando di Torino, vittima di un infortunio sul lavoro, coinvolto in una forte esplosione di polveri di alluminio mentre era intento a spegnere un incendio. Il risultato è stato quello di una grave ustione di 3° grado alla mano, all'avambraccio e al viso. Questo lavoratore si è dovuto pagare le cure mediche necessarie pur essendo in infortunio per fatti inerenti il servizio;
   a giudizio dell'odierno interrogante e della Confsal vigili del fuoco è inammissibile per un lavoratore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco subire un grave infortunio nell'adempimento del proprio dovere ed essere abbandonato a sé stesso anticipando soldi di tasca propria per le cure mediche poiché per mancanza di risorse la polizza sanitaria non può essere rinnovata;
   gli eventi alluvionali che annualmente investono la nostra penisola, il cui dissesto idrogeologico è sotto gli occhi di tutti, necessiterebbero la presenza all'interno delle squadre d'intervento dei vigili del fuoco di un geologo. Professionista che possiede quel ricco bagaglio di informazioni, legate alla conoscenza delle dinamiche dei terreni, necessarie a poter assumere, con efficienza e prontezza, difficili decisioni operative;
   altra problematica legata alla tutela giuridica, assicurativa e sanitaria dei lavoratori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è quella della mancata attivazione della procedura di gara europea per l'affidamento dei servizi assicurativi per la copertura dei rischi e tutela legale, inerenti alle responsabilità connesse allo svolgimento delle attività istituzionali del personale del Corpo;
   procedura già attivata dalla Polizia di Stato, come da nota circolare n. 557/RS/01/123/6692 del 3 luglio 2013, che ha costretto la Confsal vigili del fuoco a richiedere a più riprese ai vertici istituzionali e politici del Ministero dell'interno che analoga iniziativa venga attuata anche per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   infatti l'ennesimo episodio occorso il mese scorso al comando di Napoli, dove un vigile del fuoco è stato raggiunto da un avviso di garanzia per omicidio colposo, rinnova la necessità improrogabile di attuare la copertura assicurativa e la tutela legale del personale dei vigili del fuoco durante lo svolgimento dell'attività di soccorso e nella conduzione dei mezzi di servizio ai quali nonostante la delicata attività che svolgono non viene assicurata la copertura legale sebbene adempiano al proprio dovere e chiamati a rispondere in prima persona per fatti inerenti il servizio senza quelle tutele legali necessarie per il lavoro specifico che svolgono dovendosi tutelare autonomamente e anticipando risorse di tasca propria;
   a giudizio dell'interrogante e della Confsal vigili del fuoco occorrerebbe attivarsi con ogni sollecitudine ad individuare le soluzione che i casi richiedono assicurando al personale vigili del fuoco la necessaria copertura assicurativa comprensiva della tutela legale per fatti inerenti alle responsabilità connesse allo svolgimento delle attività istituzionali –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-01379)

  Risposta. — L'Opera nazionale di assistenza per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (Ona), provvede, in conformità alle previsioni statutarie, all'assistenza morale, culturale e materiale degli appartenenti al Corpo stesso, nonché dei loro familiari e orfani.
  Per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali l'ente si avvale dei mezzi finanziari indicati nell'articolo 5 dello Statuto, ma di fatto l'unica significativa forma di contribuzione per l'ente è quella relativa ai proventi dei servizi resi a pagamento dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In particolare, fino all'anno 2007, l'Ona ha ricevuto il 20 per cento dei suddetti proventi, i quali – mediante procedura di riassegnazione in bilancio – sono confluiti nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'interno per poi essere trasferiti al bilancio dell'Opera.
  Successivamente, la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) ha introdotto il divieto di iscrivere stanziamenti negli stati di previsione dei ministeri.
  A partire dal 2008, pertanto, l'Opera viene finanziata mediante un trasferimento di risorse proveniente da un fondo istituito
ad hoc nel bilancio del Ministero dell'interno e ha subito una graduale e progressiva riduzione delle entrate assegnate dal bilancio pubblico.
  L'entità del finanziamento annuale, attribuito al Dipartimento dei vigili del fuoco, a seguito di una prima ripartizione, ha comportato il mancato rinnovo della polizza sanitaria stipulata dall'Ona.
  L'ammontare degli stanziamenti disposti a favore dell'ente a seguito dei trasferimenti di risorse dal bilancio di questo ministero non è predeterminato, ma viene stabilito ogni anno con decreto ministeriale, secondo le finalità previste dalla legge. La predetta procedura, pertanto, in assenza a monte di una preventiva, certa ed idonea copertura finanziaria, non consente all'Ona di assumere impegni di spesa pluriennali.
  Al riguardo sono state proposte apposite modifiche normative dell'attuale disciplina del finanziamento delle attività socio-assistenziali in favore del personale dei vigili del fuoco, che, fino ad oggi, non hanno trovato accoglienza in sede legislativa.
  Attualmente, in favore di tale personale permane comunque in vigore un variegato sistema di misure di sostegno e di tutela di particolare rilevanza, atto a garantire interventi di natura previdenziale-privilegiata e assistenziali, nonché di natura indennitario-risarcitoria (limitatamente ai feriti o ai caduti riconosciuti vittime del dovere, del servizio, della criminalità e del terrorismo) assai favorevoli. Ricorrendone i requisiti di legge, inoltre, a dette misure si aggiungono i benefici assunzionali.
  Tale complesso di misure di sostegno e di tutela, rispetto agli istituti riconosciuti agli assicurati Inail, è da ritenersi complessivamente più favorevole per gli stessi destinatari, pur non mancando talune lacune quali, ad esempio, il riconoscimento del danno biologico previsto dalla disciplina dell'Inail.
  Per quanto concerne il rimborso delle spese, ai sensi della normativa vigente, sono a carico del Ministero dell'interno le spese di cura, di degenza e per eventuali protesi, escluse quelle sostenute per cure balnotermali, idroponiche e inalatorie, solo per la parte eccedente a quella che compete al Servizio sanitario nazionale, a condizione che sia riconosciuta all'interessato l'infermità o la lesione dipendente da causa di servizio.
  In caso di prestazioni effettuate presso strutture sanitarie private non convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, ovvero presso sanitari operanti a titolo privato in strutture sanitarie pubbliche (con conseguente pagamento per intero della prestazione sanitaria erogata), è possibile concedere il rimborso, soltanto previa autorizzazione della competente Azienda sanitaria locale.
  Per quanto concerne, infine, la problematica della tutela assicurativa sul fronte legale dei componenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, si evidenzia che, attualmente, il Ministero dell'interno assume la veste di contraente delle polizze per responsabilità civile terzi e tutela legale del personale dirigente, in applicazione di una specifica previsione pattizia operante limitatamente agli stessi e risalente al periodo di contrattualizzazione dei relativi rapporti di lavoro.
  È certamente auspicabile il superamento della vigente disciplina al fine di estendere l'ambito soggettivo di applicazione delle polizze fino a ricomprendervi tutti i componenti del Corpo nazionale. Detto intervento, tuttavia, a seguito della natura pubblica del rapporto di lavoro, potrebbe trovare realizzazione esclusivamente attraverso lo strumento normativo.
  Il reperimento di soluzioni assicurative idonee, a fronte della specificità delle attribuzioni proprie del Corpo nazionale – connotate da un elevato grado di operatività e di rischio – non potrebbe prescindere da una adeguata determinazione del premio annuo
pro capite destinato alle garanzie di cui trattasi, in ordine al quale andrebbero ovviamente individuati i necessari mezzi di copertura finanziaria, attualmente non rinvenibili nell'ambito delle ordinarie disponibilità del bilancio del Ministero dell'interno.
  Per quanto attiene, invece, l'ambito oggettivo delle tutele in esame, si ritiene opportuno evidenziare che la copertura che l'amministrazione può garantire, con onere a carico del bilancio dello Stato, concerne esclusivamente la responsabilità civile per perdite pecuniarie, lesioni personali e danneggiamenti involontariamente cagionati a terzi, con colpa non grave, nonché la tutela legale preordinata a garantire il rischio dell'assistenza giudiziale e stragiudiziale che si renda necessaria a garanzia dei diritti degli assicurati.
  È esclusa la copertura dei rischi che siano conseguenza di comportamenti posti in essere con colpa grave nonché dei rischi connessi ad eventuali profili di responsabilità amministrativo-contabile per la causazione di danni erariali alla propria o ad altra amministrazione, in quanto siffatte forme di tutela, qualora sostenute con onere a carico dello Stato anziché dei diretti interessati, si porrebbero in contrasto con i principi fondamentali del sistema di responsabilità dei pubblici dipendenti.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CHAOUKI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero per i beni e le attività culturali ha recentemente provveduto a stanziare una prima tranche di fondi destinati al restauro della reggia di Caserta, nella misura di 9,3 milioni di euro dei 22 previsti, come si evince dall'articolo apparso sul quotidiano Repubblica e datato 11 giugno 2013, quasi interamente ricavati da fondi dell'Unione Europea facenti parte del Programma operativo interregionale attrattori culturali 2007-2013, e che i lavori di restauro inizieranno tra fine estate ed inizio autunno 2013, così come previsto in attuazione della legge del 20 febbraio 2006 n. 77. Il Ministero ha altresì reso noto di essersi impegnato a favore della Reggia con risorse ordinarie proveniente dal proprio bilancio pari a 2,6 milioni di euro;
   come noto, la reggia di Caserta è un monumento di straordinario valore artistico, architettonico e culturale, inserito dal 1997 nell'elenco dei siti italiani iscritti nella lista del patrimonio mondiale UNESCO. Il sito merita dunque la massima attenzione e valorizzazione, costituendo un notevole polo culturale capace di attrarre migliaia di visitatori da tutto il mondo ogni anno con indubbi benefici per tutto il tessuto economico dell'area interessata;
   in tempi recenti, tuttavia, la situazione del complesso monumentale della reggia è decisamente peggiorata: dallo scorso settembre, a causa della scarsa manutenzione del monumento, le facciate principali della struttura sono state interessate dal crollo di parte dei cornicioni e conseguentemente le aree interessate dal rischio di caduta di materiali sono state transennate per ovvi motivi di sicurezza;
   da notizie riportate da Repubblica in un articolo del 19 giugno 2013, l'interrogante è a conoscenza della convocazione di un tavolo tecnico presso la sede della provincia di Caserta, al quale pare abbiano partecipato, oltre al presidente della provincia di Caserta, Domenico Zinzi, il presidente del Consorzio «La Venaria Reale» di Torino, Fabrizio Del Noce, il sindaco di Caserta, Pio Del Gaudio, la Soprintendente per i beni architettonici, paesaggistici, storico-artistici delle Province di Caserta e Benevento, Paola Raffaella David, il presidente di Confindustria Caserta, Luciano Morelli e il presidente della camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura della provincia di Caserta, Tommaso De Simone;
   tema del tavolo tecnico – sempre secondo il già citato articolo – pare sia stato la valutazione di un nuovo modello di gestione del palazzo vanvitelliano, con la creazione di una soprintendenza speciale organizzata come una società privata, sul modello della Reggia di Venaria (gestita da un consorzio), con consiglio di amministrazione formato da soggetti pubblici e privati e soprattutto munita di autonomia finanziari;
   lo stesso Ministro, in occasione del question time del 19 giugno 2013, nel rispondere alle interrogazioni degli onorevoli Antimo Cesaro e Marcello Taglialatela sul tema, riferiva di una proposta riguardante una eventuale aggregazione della reggia alla soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico e per il polo museale della città di Napoli, ente con autonomia finanziaria capace di mantenere gli introiti –:
   se sia stato individuato, in merito al piano di gestione per i siti UNESCO, l'ente promotore di tale piano e a che punto sia la sua redazione;
   con quale criterio verrà individuato l'ente cui verrà affidata la gestione alla luce dei criteri previsti nelle linee guida per i piani di gestione dei beni culturali iscritti alla lista UNESCO redatte nel 2004, ricordando che ente proprietario del complesso monumentale è il demanio e non il Mibac;
   quali siano gli interventi da realizzare in base all'importo erogato per i restauri del monumento, le tempistiche degli interventi e quali saranno le imprese preposte alle operazioni di restauro. (4-01044)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante chiede informazioni in ordine al piano di gestione del sito Unesco della Reggia di Caserta e agli interventi da realizzare sulla base delle risorse economiche rese disponibili, si rappresenta quanto segue.
  Il piano di gestione del sito Unesco della «Reggia di Caserta con il parco ed il giardino inglese, l'acquedotto carolino e l'insediamento di S. Leucio», previsto dalla legge 20 febbraio 2006, n. 77, rappresenta lo strumento unitario nel quale convergono le iniziative finalizzate alla tutela, conservazione e valorizzazione dei beni compresi nel sito. Il piano è stato redatto – su delega della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania – dalla soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storico, artistici ed etnoantropologici per le province di Caserta e Benevento, in qualità di soggetto referente, e concordato con i soggetti attuatori (mediante incontri e riunioni) e trasmesso ai competenti uffici centrali di questo Ministero in data 2 maggio 2013 con nota n. 8963.
  Il piano ha lo scopo di prefigurare e realizzare un modello di
governance, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di tutela, conservazione e valorizzazione del sito stesso e del suo territorio di riferimento, coordinando le logiche settoriali dei diversi soggetti attuatori (istituzioni centrali, locali e stakeholders). Il piano individua obiettivi strategici, condivisi con i soggetti attuatori presenti nel territorio (decisori delle politiche settoriali, tecnici, associazioni), da raggiungere mediante azioni concordate, formalizzate in accordi di programma, protocolli di intesa o altri documenti stipulati nel quadro della normativa vigente (piani territoriali paesistici, regimi di tutela della buffer zone).
  Le azioni individuate sono relative ai diversi settori nei quali il piano è articolato. Si tratta cioè del «piano della conoscenza» (per la redazione del quale ci si è avvalsi della consulenza della facoltà di architettura della Seconda università degli studi di Napoli), del «piano della protezione e della conservazione», del «piano della valorizzazione», del «piano della comunicazione e della promozione» e del «piano dello sviluppo economico».
  Nell'ambito degli strumenti attuativi da elaborare per il raggiungimento degli obiettivi del piano, è stato già formalizzato il primo protocollo d'intesa condiviso e firmato dai comuni afferenti al sito e dalle due province di Caserta e Benevento (a eccezione del comune di Caserta) che lo hanno inserito, per le parti di loro competenza, in documenti programmatici ufficiali (delibere di giunta, eccetera).
  Si fa presente che l'ente a cui è affidata la gestione del sito Unesco – appartenente al demanio storico-artistico e in consegna Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (a eccezione del complesso di San Leucio, di proprietà del comune di Caserta) – è la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storico, artistici ed etnoantropologici per le province di Caserta e Avellino, la quale, in qualità di capofila del «comitato di pilotaggio» (costituito dai soggetti attuatori del piano stesso) e delegata dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, ha redatto materialmente il piano e curato incontri e riunioni con i soggetti attuatori, finalizzate alla sua elaborazione.
  Gli interventi da realizzare per il restauro delle facciate del Palazzo reale sono relativi, in sintesi, alla messa in sicurezza degli apparati decorativi lapidei, alle imperniazioni (secondo le metodologie specialistiche del restauro), alla pulitura e protezione delle superfici (lapidee e laterizie), alla revisione degli infissi, alla revisione degli impianti antifulmine, al restauro delle balaustre lapidee del coronamento e alla revisione dei manti di copertura del cornicione sommitale.
  Il primo stralcio degli interventi per un importo di 9.300.000,00 euro riguarderà la facciata sud, la facciata ovest (lato Aeronautica), parte della facciata est (lato Flora) e parte delle facciate del cortile n. 1. Si sta procedendo alla scelta del contraente e risulta essere già stata spedita la richiesta di pubblicazione del bando di gara.
  Il recente decreto legge «valore cultura» 8 agosto 2013, n. 91, convertito dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, è, infine, intervenuto per adottare interventi urgenti per la riqualificazione e la valorizzazione della Reggia di Caserta. Al fine di renderle più funzionali, il decreto ha riconfigurato alcune strutture periferiche del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, istituendo la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale delle città di Napoli e della Reggia di Caserta.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   preoccupazione desta la delicata situazione in cui versano i vincitori del concorso per n. 964 allievi agenti della polizia di Stato, destinata ad accrescere la problematica dell'emergente precarizzazione del personale delle forze armate;
   si tratta, in particolare, di 1700 giovani che, pur vincitori di suddetto concorso pubblico, per il fatto di appartenere alle «seconde aliquote», si trovano a svolgere servizio «in prestito» nelle forze armate come volontari in ferma prefissata quadriennale (VFP4), prima di poter essere effettivamente assunti alle dipendenze del Ministero dell'interno;
   ai sensi dell'articolo 16, comma 4, della legge n. 226 del 2004, cosiddetta legge Martino, infatti: «dei concorrenti giudicati idonei e utilmente collocati nelle graduatorie di cui al comma 3: a) una parte è immessa direttamente nelle carriere iniziali di cui al comma 1, [...] b) la restante parte viene immessa nelle carriere iniziali di cui al comma 1 dopo avere prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontario in ferma, prefissata quadriennale, [...]»;
   secondo il disposto del citato articolo 16, pertanto, la graduatoria dei vincitori di concorso per l'accesso alle carriere iniziali della polizia di Stato viene suddivisa in due aliquote: la prima (55 per cento per il ruolo degli agenti e assistenti della polizia di Stato) viene avviata immediatamente al corso per allievo agente di polizia, la seconda (45 per cento per il ruolo degli agenti e assistenti della polizia di Stato) viene inviata «in prestito» nelle forze armate per quattro anni e se al termine di tale periodo di ferma avrà mantenuto i requisiti psicofisici verrà stabilizzata e assunta presso la polizia di Stato;
   numerose sono le discrasie e disfunzioni che, già da tempo, questa legge comporta per la polizia di Stato e, soprattutto, per i giovani che malauguratamente ricadono nella seconda aliquota;
   a differenza dei colleghi appartenenti alla prima aliquota, già poliziotti, infatti, i ragazzi appartenenti alla seconda aliquota, benché vincitori dello stesso concorso, subiscono un trattamento differente;
   tale anomala situazione, tra l'altro, crea uno stato di precarietà, posto il rischio alquanto elevato di poter perdere l'idoneità psico-fisica, soprattutto a seguito delle numerose missioni all'estero in teatri di guerra ove questi giovani vengono spesso impiegati;
   come se ciò non bastasse, l'approvazione del cosiddetto decreto-legge di spending review (decreto-legge n. 95 del 2012), ha avuto gravi riverberi sui reclutamenti delle forze armate in conseguenza della riduzione dei relativi organici, e sulle assunzioni delle forze di polizia per effetto delle riduzioni del turn over, ancorché quest'ultime mitigate dalla successiva legge di stabilità per l'anno 2013;
   nonostante l'esistenza e la validità delle graduatorie di concorsi già espletati, le pubbliche amministrazioni del comparto continuano peraltro a bandire nuovi concorsi, con evidenti elevati oneri finanziari per l'amministrazione interessata;
   più razionale, oltre che conforme alle legittime aspettative di quanti sono già risultati idonei nell'ambito di una precedente selezione, sarebbe il preventivo esaurimento delle graduatorie formatesi alla conclusione delle passate procedure concorsuali;
   l'assunzione di tali giovani VFP4 darebbe, in questo momento, un forte segnale di presenza dello Stato e gioverebbe alla ormai gravosa carenza di organico denunciata da tempo dalla stessa amministrazione della pubblica sicurezza –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuto che la previsione di una doppia aliquota rappresenti una palese disparità di trattamento, quali iniziative intendano assumere per tutelare la posizione dei ragazzi vincitori di concorso pubblico appartenenti alle seconde aliquote. (4-01144)

  Risposta. — La disciplina dell'assunzione di personale nel ruolo degli agenti ed assistenti della polizia di Stato è regolata dal Codice dell'ordinamento militare che prevede l'osservanza di procedure e modalità operative cui l'amministrazione della pubblica sicurezza è tenuta a conformarsi.
  La normativa in vigore stabilisce che, fino al 31 dicembre 2020, come per le altre forze di polizia ad ordinamento civile e militare, i posti messi annualmente a concorso per il reclutamento del personale nella carriera iniziale della polizia di Stato vengano determinati sulla base di una «programmazione quinquennale scorrevole».
  Questi programmi, annualmente predisposti da ciascuna delle amministrazioni interessate, sono comunicati entro il 30 settembre di ogni anno al Ministero della difesa. I posti sono riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale.
  Solo il 55 per cento dei concorrenti giudicati idonei dopo almeno un anno di servizio svolto presso le Forze armate ed utilmente collocati nelle graduatorie, viene immesso direttamente nelle carriere iniziali delle forze di polizia. Il restante 45 per cento può essere invece immesso in ruolo solo dopo aver prestato servizio nelle forze armate in qualità di volontario in ferma permanente quadriennale.
  L'amministrazione della pubblica sicurezza, pertanto, è obbligata al rispetto del procedimento concorsuale previsto dalla normativa di settore che consente l'immissione nel ruolo iniziale della polizia di Stato solo dopo lo svolgimento dei quattro anni di ferma.
  D'altra parte, bisogna anche tener conto che la stessa disciplina normativa richiede che venga effettuata con periodicità l'attività concorsuale, bandendo nuove procedure selettive anche per far fronte alle esigenze di personale delle strutture militari.
  Relativamente alle assunzioni nelle forze di polizia e disciplina del
turn over, la Legge di stabilità per il 2013 ha previsto uno stanziamento di 70 milioni di euro per il 2013 e di 120 milioni di euro a decorrere dal 2014, fondi che permetteranno alle amministrazioni interessate di avere un margine più agevole di manovra nelle facoltà assunzionali, anche relativamente ai volontari in forma prefissata.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COSCIA e MADIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 3, della legge n. 68 del 1999 stabilisce che per i partiti politici, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni che, senza scopo di lucro, operano nel campo della solidarietà sociale, dell'assistenza e della riabilitazione, la quota di riserva si computa esclusivamente con riferimento al personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative e l'obbligo di cui al comma 1 insorge solo in caso di nuova assunzione;
   l'articolo 2, comma 5, del regolamento di esecuzione decreto del Presidente della Repubblica n. 333 del 2000 stabilisce che il personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative di cui all'articolo 3, comma 3, della legge n. 68 del 1999, è individuato in base alle norme contrattuali e regolamentari applicate dagli organismi stessi;
   l'articolo 2, comma 6, del regolamento di esecuzione decreto del Presidente della Repubblica n. 333 del 2000 prevede che anche per gli enti e le associazioni di arte e cultura e per gli istituti scolastici religiosi, che operano senza scopo di lucro, soggetti ad obblighi di assunzione, la quota riservata si calcola sul personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative, successivamente alla verifica di possibilità di collocamento mirato di cui all'articolo 2 della legge n. 68 del 1999;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con circolare n. 31 dell'8 agosto 2008 ha riconosciuto che «tali regole (per il calcolo della quota di riserva n.d.r.), invero, si discostano dal modello stabilito per la generalità dei datori di lavoro pubblici e privati, giacché un automatismo applicativo della disciplina del collocamento obbligatorio in questi peculiari ambiti potrebbe risultare penalizzante»;
   con circolare ministeriale n. 31 del 18 marzo 2003 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – dipartimento dei servizi nel territorio – direzione generale per l'organizzazione dei servizi nel territorio – area della parità scolastica – ha riaffermato che «le scuole paritarie» sono assimilate alle istituzioni scolastiche statali e ha precisato che «per i soggetti gestori di scuole paritarie, che operano senza fini di lucro, la quota di riserva di cui alla legge 68/99 si computa esclusivamente con riferimento al personale tecnico esecutivo e svolgente funzioni amministrative con conseguente esclusione del corpo docente»;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è l'organo che sovrintende a tutte le istituzioni scolastiche ed è competente ad emettere le direttive per le medesime istituzioni scolastiche;
   nel nostro ordinamento vige il principio della parità scolastica –:
   quale sia il criterio di computo della quota di riserva applicabile a un datore di lavoro quale una fondazione senza scopo di lucro che persegue finalità di promozione culturale ed educativa, scolastica e formativa con obiettivi di efficacia ed efficienza, riconosciuta scuola paritaria;
   se il datore di lavoro, nel determinare la quota di riserva, sia tenuto ad applicare il criterio di computo generale oppure se tale datore di lavoro rientri nel campo di applicazione dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 68 del 1999 per cui la quota di riserva per l'inserimento e l'integrazione dei soggetti di cui all'articolo 1 della legge n. 68 del 1999 si calcola, dopo la verifica della possibilità di collocamento mirato di cui all'articolo 2 della legge citata, esclusivamente sul personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative. (4-00745)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, concernente i criteri di computo della quota di riserva delle assunzioni delle persone disabili, si rappresenta quanto segue.
  La legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili) ha la finalità di promuovere l'inserimento e l'integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato.
  L'articolo 3 della suddetta legge prevede che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili in misure percentuali che variano a seconda del numero dei dipendenti (7 per cento dei lavoratori occupati se occupano più di 50 dipendenti, due lavoratori se occupano da 36 a 50 dipendenti e un lavoratore se occupano da 15 a 35 dipendenti).
  Il comma 3 del medesimo articolo specifica altresì che per i partiti politici, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni che, senza scopo di lucro, operano nel campo della solidarietà sociale, dell'assistenza e della riabilitazione, la quota di riserva si computa esclusivamente con riferimento al personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative e l'obbligo di tenere alle proprie dipendenze lavoratori disabili insorge solo in caso di nuova assunzione.
  L'articolo 2, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 2000, n. 333 (regolamento di esecuzione della legge 12 marzo 1999, n. 68, recante norme per il diritto al lavoro dei disabili) prevede inoltre che per gli enti e le associazioni di arte e cultura e per gli istituti scolastici religiosi, che operano senza scopo di lucro, soggetti agli obblighi di assunzione, la quota di riserva si calcola, successivamente alla verifica di possibilità di collocamento mirato di cui all'articolo 2 della legge n. 68 del 1999, sul personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative, individuato secondo quanto previsto dal comma 5 dello stesso articolo. Tale comma precisa che il personale tecnico esecutivo e svolgente funzioni amministrative di cui all'articolo 3, comma 3, della legge n. 68 del 1999, è individuato in base alle norme contrattuali e regolamentari applicate dagli organismi di cui al già citato comma 3.
  Con l'interpello dell'8 agosto 2008, n. 31, questo Ministero ha chiarito che «laddove le norme della contrattazione collettiva o quelle desumibili dai regolamenti degli organismi in questione non consentano una puntuale individuazione del personale rientrante nella quota di riserva, si ritiene che da detta quota debbano considerarsi esclusi unicamente quei soggetti i quali svolgono un'attività che, in senso stretto, costituisce diretta ed immediata espressione delle finalità proprie dell'organismo che viene in considerazione. [...] Trattandosi, nel caso di specie, di una istituzione scolastica religiosa, appare dunque corretto il computo, ai fini del collocamento obbligatorio, del personale docente, con esclusione di quanti esercitano le funzioni di culto costituenti diretta ed immediata espressione delle finalità proprie dell'istituto religioso».
  La circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 18 marzo 2003, n. 31, stabiliva che «per i soggetti gestori di scuole paritarie, che operano senza fini di lucro, la quota di riserva di cui alla legge n. 68 del 1999 si computa esclusivamente con riferimento al personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative».
  Tuttavia, il medesimo Dicastero, con nota del 4 febbraio 2013, ha chiarito che la circolare ministeriale n. 31 del 18 marzo 2003 non trova più applicazione, in quanto, dopo l'entrata in vigore della legge 3 febbraio 2006, n. 27 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui), la materia del riconoscimento della parità scolastica è stata disciplinata dal decreto ministeriale n. 267 del 29 novembre 2007 (regolamento recante Disciplina delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento, ai sensi dell'articolo 1-
bis, comma 2, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27) e dal successivo decreto ministeriale n. 83 del 10 ottobre 2008 (Linee guida di attuazione del decreto 29 novembre 2007, n. 267 «Disciplina delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento»), i quali non contengono riferimenti alla legge n. 68 del 1999.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMaria Cecilia Guerra.


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CRISTIAN IANNUZZI, CATALANO, LIUZZI, L'ABBATE, D'INCÀ, DALL'OSSO, GRILLO, DA VILLA, COMINARDI e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che il giorno 8 luglio 2013, in seguito ad un blackout nella raffineria ENI di Taranto, dovuto presumibilmente alle avverse condizioni metereologiche, un grosso quantitativo di idrocarburi si è riversato nel Mar Grande attraverso il canale A dell'Eni;
   contestualmente dalle torce della raffineria si sono sviluppate imponenti fiammate che hanno prodotto grandi scie di fumo nero visibili a chilometri di distanza dagli impianti e che hanno reso l'aria della zona antistante la raffineria e del vicino quartiere Tamburi irrespirabile;
   sempre da fonti stampa si è appreso che non sarebbero attive le centraline perimetrali (previste dall'Aia) dell'Eni e che quelle esistenti non sarebbero collegate telematicamente con l'Arpa, rendendo quindi impossibile controllare in tempo reale i valori registrati dalle centraline Eni e stabilire un contatto diretto tra Eni ed Arpa;
   appare inaccettabile il fatto che le centraline di monitoraggio e controllo siano gestite e monitorate dall'azienda controllata senza un immediato riscontro dell'Arpa;
   oltre alla nube di fumo che ha avvolto la città di Taranto in data 8 luglio 2013, anche il giorno seguente l'accaduto, ovvero il 9 luglio, un insopportabile fetore ha pervaso la città –:
   quali siano le cause di suddetto incidente e se siano imputabili a fattori esterni o a negligenze interne all'azienda;
   se i Ministri siano nelle condizioni di escludere danni alla salute dei cittadini e dei lavoratori di Taranto e all'ambiente derivanti dall'incidente di cui sopra;
   come, ove venissero accertate responsabilità imputabili all'azienda, i Ministri interrogati intendano intervenire al fine di garantire che l'Eni si adoperi per evitare in futuro il ripetersi di analoghi incidenti e per sanare i danni provocati in data 8 luglio 2013;
   se risulti che l'Eni stia rispettando quanto contenuto nell'AIA. (4-01347)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame presentato dal deputato De Lorenzis ed altri, riguardante il possibile inquinamento ambientale prodotto dal riversamento in mare di un grosso quantitativo di idrocarburi a seguito di un blackout originatosi presso la raffineria Eni di Taranto in data 8 luglio 2013, si rappresenta quanto segue.
  In merito alla valutazione relativa all'incidente occorso il giorno 8 luglio 2013 presso la raffineria Eni di Taranto, il Comitato tecnico regionale Puglia, quale autorità competente ai fini dell'attuazione delle disposizioni previste dalla direttiva Seveso II, ha richiesto al gestore Eni un rapporto dettagliato contenente la descrizione degli eventi, l'analisi dei fatti, l'esposizione delle cause, la caratterizzazione e la quantificazione delle sostanze coinvolte, le conclusioni tratte dall'analisi, le azioni correttive che si intendono implementare ed i relativi tempi di attuazione. Al termine delle valutazioni in corso si procederà all'adozione delle misure di prevenzione necessarie, anche tramite eventuali prescrizioni dirette al gestore dello stabilimento.
  Occorre sottolineare che, sulla base delle informazioni disponibili, al momento non sono previsti effetti a medio-lungo termine dell'evento in oggetto.
  Inoltre, risulta che tale evento sia stato cagionato da condizioni meteorologiche eccezionali che hanno colpito l'area industriale di Taranto e Statte causando, tra l'altro, l'arresto di una centrale termoelettrica che ha determinato un'improvvisa interruzione dell'alimentazione elettrica degli stabilimenti con modalità e tempi mai considerati in via previsionale.
  Tale evento ha, altresì, determinato lo sversamento di circa 100 litri di acqua inquinata da prodotti petroliferi, poi recuperata nel giro di alcune ore attraverso sistemi di pompaggio ed avviata a trattamento. Inoltre, per garantire condizioni di sicurezza all'impianto, ai lavoratori ed alla popolazione è stata resa necessaria l'attivazione delle torce di emergenza della raffineria.
  Il Ministero dello sviluppo economico, con nota dell'8 agosto 2013, nel delineare la descritta analisi dell'evento, ha riconosciuto che le procedure già definite per gestire la messa fuori servizio di emergenza della centrale termoelettrica, nel caso specifico non si sono rivelate adeguate, e si è conseguentemente attivato per mettere in atto specifiche azioni volte a tutelare in futuro l'alimentazione elettrica degli impianti essenziali alla sicurezza nel sito industriale di Taranto. È opportuno sottolineare che tali azioni non coinvolgono esclusivamente la raffineria, ma anche altre reti ed impianti.
  Si fa presente, inoltre, che la raffineria è in possesso di un'autorizzazione a norma della direttiva 2008/01/CE e che detta autorizzazione è liberamente consultabile sul sito di questo Ministero (aia.minambiente.it).
  In merito ai controlli relativi alla conformità dell'autorizzazione
Integrated pollution prevention and control (Ippc), di cui alla richiesta dell'interrogante, si comunica che detti controlli sono stati effettuati in prima istanza nel 2010 e, da tale data sino ad oggi hanno posto in evidenza alcune difformità rispetto alle condizioni dettate nell'autorizzazione integrata ambientale. Tali incongruenze sono state segnalate all'autorità giudiziaria per esperire i relativi controlli penali.
  L'autorità di controllo, nel caso in cui il gestore non abbia autonomamente assunto misure sufficienti a garantire il superamento di tali difformità, ha proposto l'adozione di specifici strumenti, la cui azionabilità è stata prescritta con apposite diffide e verificata in sede di ulteriori controlli.
  I rapporti annuali relativi alle verifiche effettuate dall'autorità di controllo (Ispra), nonché i relativi verbali sono anch'essi, mediante apposita richiesta, liberamente consultabili
on-line, sul sito internet di codesto Ministero (aia.minambiente.it).
  Ad ogni modo, è opportuno sottolineare che le difformità finora rilevate non sembrano attinenti e collegabili all'evento occorso in data 8 luglio 2013.
  L'ultimo controllo in sito sull'impianto è stato effettuato nel corso di una ispezione condotta nel periodo dal 19 al 21 marzo 2013.
  La proposta dell'autorità di controllo di adottare specifiche misure è stata formulata in data 8 agosto 2013.
  In tale comunicazione si lamenta, in particolare modo, il mancato riscontro del gestore alle richieste di informazioni dettagliate e riguardanti:
   lo stato di applicazione di migliori tecniche disponibili implementate successivamente al rilascio dell'autorizzazione;
   l'elenco dei trasformatori detenuti;
   il bilancio idrico per il mese di febbraio 2013;
   la gestione delle acque meteoriche stoccate in un cassone e le manutenzioni alla rete fognaria;
   una tabella di sintesi degli eventi incidentali occorsi;
   informazioni relative al blocco occorso in data 8 luglio 2013, a causa di eventi meteorici eccezionali, con attivazione dei sistemi di torcia e rilascio in mare di prodotti petroliferi.

  A seguito di tale comunicazione, con note del 2, 8 e 14 agosto 2013 il gestore ha fornito le informazioni richieste. La verifica sulla completezza delle risposte fornite e l'analisi dei relativi contenuti è ancora in corso.
  Anche in merito alla presunta violazione della autorizzazione Ippc, inerente i forti odori di gas si sottolinea che la relativa valutazione è tuttora in corso da parte dell'autorità di controllo.
  Sembra, tuttavia, verosimile che tali odori siano strettamente connessi all'evento accidentale (interruzione dell'alimentazione elettrica dovuta ad eventi meteorici eccezionali) che ha reso necessario attivare improvvisamente alcuni impianti di sicurezza (le torce di stabilimento) in condizioni di emergenza, e che, pertanto, non si possa configurare alcuna violazione dell'autorizzazione Ippc.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   DEL BASSO DE CARO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 27 luglio 2005, n. 154 (cosiddetta legge Meduri), nell'istituire la carriera dirigenziale penitenziaria, ha previsto un procedimento negoziale per determinarne gli aspetti giuridici ed economici (articolo 1, comma 1, lett. d));
   il decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, contenente norme di attuazione della legge sopra citata, ha specificato i contenuti di tale procedimento collegandolo a fondamentali istituti giuridici relativi all'organizzazione amministrativa (articolo 15 «Trattamento economico» e articolo 20 e seguenti «Procedimento negoziale»);
   il decreto ministeriale 27 settembre 2007 ha conseguentemente individuato i posti funzioni dirigenziali (ex articolo 9 del decreto legislativo n. 63 del 2006) modulandoli e differenziandoli nelle responsabilità ma, paradossalmente, mantenendo, di fatto, una identica retribuzione base per tutti i dirigenti, vista l'assenza del procedimento negoziale a ciò deputato;
   a distanza di più di otto anni non è neppure iniziato il procedimento negoziale indicato dalla normativa;
   il limbo amministrativo in cui il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è costretto ad operare reca gravi disservizi a tutto il complesso penitenziario già sottoposto a dura prova per la nota situazione di emergenza relativa al sovraffollamento –:
   se il Governo intenda procedere all'attivazione dell’iter per la stipula del primo accordo negoziale di categoria, unico strumento in grado di restituire certezza giuridica ai dipendenti posti a capo delle strutture penitenziarie e, per ovvia conseguenza, a tutto il sistema detentivo. (4-01613)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede di sapere se per il personale della carriera dirigenziale penitenziaria il Governo intenda procedere all'attivazione del relativo procedimento negoziale previsto per la disciplina di alcune materie riguardanti il rapporto di impiego.
  Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
  Com’è noto, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito nella legge n. 122 del 2010, ai fini di contenimento della spesa pubblica, ha introdotto alcune misure quale, tra le altre, il blocco della contrattazione collettiva e delle procedure negoziali per il personale delle amministrazioni pubbliche.
  In tale contesto di blocco della contrattazione collettiva e delle procedure negoziali, l'articolo 8, comma 11-
bis del citato decreto-legge n. 78 del 2010 ha istituito, in funzione perequativa rispetto al blocco degli aumenti stipendiali nel settore pubblico previsti dall'articolo 9, commi 1 e 21, un apposito fondo destinato al personale dei comparti sicurezza-difesa e vigili del fuoco pari ad euro 80 milioni per ciascuno degli anni 2011 e 2012. Con il successivo decreto-legge n. 27 del 2011, il predetto fondo è stato incrementato di 115 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013.
  In attuazione di tali disposizioni, è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 ottobre 2011 con il quale le citate risorse sono state ripartite tra i ministeri interessati per l'intero triennio 2011-2013. I predetti benefici sono stati attribuiti anche al personale della carriera dirigenziale penitenziaria, pur se non formalmente riconducibile al comparto sicurezza-difesa, in virtù della disposizione transitoria di cui all'articolo 27 del decreto legislativo n. 63 del 2006; tale disposizione stabilisce che, nelle more del procedimento negoziale per la definizione degli aspetti giuridici ed economici a seguito della ripubblicizzazione del rapporto di lavoro, al medesimo personale viene applicato il trattamento economico già acquisito, ovvero quello spettante al personale della Polizia di Stato.
  Dopo tre anni di blocco della contrattazione collettiva e delle procedure negoziali, con il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, emanato in attuazione della previsione di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 del 2011, si interviene con disposizioni di carattere generale riferite anche a tutte le categorie ad ordinamento pubblicistico, ivi compresi i dirigenti penitenziari; in particolare, si prevede la possibilità di avviare le procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica.
  Solo a seguito dell'entrata in vigore del predetto decreto del Presidente della Repubblica – in corso di pubblicazione – potrà essere attivata la specifica procedura negoziale per il personale in questione.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   DI LELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la regione Campania ed il Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno cofinanziato tra il 2008 ed il 2010 due interventi per la riqualificazione delle competenze dei disoccupati di lunga durata denominati Bros e Isola;
   le due iniziative hanno riguardato un bacino di utenza derivante da un percorso che ha visto protagoniste le istituzioni locali nella gestione della fase di transizione dai vecchi uffici di collocamento alla nuova normativa che ha disciplinato l'iscrizione ai nuovi servizi per l'impiego ed ha riguardato migliaia di persone dell'area metropolitana di Napoli;
   tale programma ha visto la partecipazione delle istituzioni sia sul piano locale, regione, comune e provincia, che nazionale, con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   circa 4000 disoccupati hanno partecipato a selezioni per percorsi formativi, preceduti da un primo periodo di «orientamento» di 78 ore (con una spesa di 9 milioni di euro) ed una seconda fase di generica formazione (400 ore finanziate con i fondi POR 2000-2006), finalizzati a sostenere l'inserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro, promossi e finanziati dal Governo (22 milioni di euro), dalla regione Campania (8 milioni di euro) oltre che dalla provincia e dal comune di Napoli;
   al termine di tali programmi denominati I.S.O.L.A., gli aderenti al programma hanno potuto prendere parte a «stage» presso aziende locali che purtroppo però non hanno dato vita che a esperienze lavorative di assoluta genericità;
   molte di queste attività sono state indirizzate alla acquisizione di competenze nel settore ambientale, che però vista la crisi attraversata dalla Regione Campania in ordine al grave problema dei rifiuti e della devastazione del territorio, il movimento dei disoccupati ha rivendicato un radicale cambio di rotta nella gestione della quarta fase del programma;
   in seguito a diverse fasi di confronto, il movimento dei precari ha ottenuto una ulteriore fase di incentivo al reddito e formazione finanziata con altri 30 milioni di euro e ha rivendicato e ottenuto la riconversione dell'intero progetto in direzione della qualificazione nel settore ambientale di tutti i soggetti interessati, attraverso work experience effettuate in collaborazione con imprese realmente operanti nel settore ambientale, anche al fine di prevedere una concreta stabilizzazione lavorativa per tutta la platea di persone coinvolte, cui hanno fatto seguito formali riconoscimenti in fase di trattative con impegni per un reale sbocco occupazionale;
   le varie convenzioni e delibere stipulate tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la regione Campania, la provincia e il, comune di Napoli impegnavano queste stesse istituzioni a realizzare azioni dirette all'avviamento al lavoro degli ex corsisti Isola e formalizzavano la trasformazione di costoro in una platea di assegnatari di un budget individuale per il reinserimento occupazionale e sociale previsto da quelle stesse convenzioni (progetto Bros);
   a tal fine venivano stanziati 20 milioni di euro: 10 milioni finanziati dal Governo ed altri 10 stanziati dalla regione. La totale assenza di progetti ha significato il lento esaurimento di gran parte dei fondi (12,5 milioni) trasformati in sostegno al reddito per gli ex corsisti e per il rilascio del libretto formativo;
   con l'avvicendamento politico del 2010 della giunta Caldoro, la regione ha firmato con il Governo Berlusconi un'altra convenzione con cui, oltre a riconoscere la platea dei lavoratori Bros ed il loro percorso formativo, ha stanziato ulteriori fondi per coprire un periodo di sostegno al reddito, come misura per contenere il disagio sociale, impegnandosi a dare corso all'intesa interistituzionale siglata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel mese di luglio del 2009 dal Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali pro tempore, Senatore Pasquale Viespoli e dall'assessore regionale al lavoro della Campania, onorevole Corrado Gabriele;
   in conseguenza di questa decisione, la giunta regionale della Campania su proposta dell'assessore regionale al lavoro Severino Nappi, con proprio atto deliberativo ha inserito nel piano regionale straordinario per il lavoro tale misura destinata ai cosiddetti precari BROS con un importo di 10 milioni di euro;
   secondo quanto affermato in diversi tavoli di confronto dall'assessore regionale Nappi per la platea dei precari Bros la soluzione occupazionale doveva essere ricercata nelle misure previste dal bando «Più sviluppo più lavoro» (con uno stanziamento di 24 milioni di euro) ed in particolare della linea di intervento 1, esplicitamente dedicata a questo bacino in quanto riconosciuto dalle convenzioni del 26 giugno 2006 e del 14 aprile 2008 (tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regione Campania, provincia e comune di Napoli) ai sensi della deliberazione della giunta regionale n. 342 del 29 febbraio 2008;
   a distanza di circa 3 anni dal varo del piano straordinario per il lavoro, nessun passo concreto in avanti è stato maturato per gli aderenti alla platea di precari Bros;
   il comune di Napoli e la provincia di Napoli, a seguito di confronto e con l'avallo della stessa regione, hanno elaborato linee di intervento per avviare progetti occupazionali per i lavoratori Bros;
   il comune di Napoli ha approvato, con delibera n. 385 del 20 maggio 2013, le linee guida per l'introduzione negli appalti di lavori e di servizi di una clausola sociale a favore dell'occupazione di persone con particolari difficoltà di inserimento lavorativo, cui potrebbero essere opportunamente destinate le risorse residue dell'intesa interistituzionale non ancora spese;
    su tale strategia si è positivamente espresso lo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali in diverse occasioni di confronto dichiarando in tal senso l'effettiva disponibilità è sbloccare fondi finalizzati all'occupabilità dei Bros pari a circa 7,5 milioni di euro non ancora trasferiti alla regione Campania;
   la soluzione obbligata sarebbe, a detta dei rappresentanti istituzionali di comune di Napoli e provincia di Napoli, quella di trasferire i fondi per i lavoratori Bros dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali direttamente a comune e provincia di Napoli, enti proponenti dei progetti e già firmatari della suddetta intesa –:
   se il Governo non intenda procedere alla riconvocazione di un tavolo interistituzionale che includa regione Campania, provincia e comune di Napoli, al fine di individuare una soluzione positiva alla vertenza anche attraverso una diversa allocazione delle risorse residuali;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per varare ulteriori misure straordinarie per la promozione dell'occupazione di fasce svantaggiate del mercato del lavoro nell'area metropolitana di Napoli, anche attraverso interventi di sostegno al reddito legati a particolari periodi di stagnazione occupazionale. (4-00794)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione meglio in oggetto specificata, con cui si chiede quali iniziative si intendano adottare per individuare una soluzione positiva alla vertenza dei cosiddetti lavoratori precari Bros, si rappresenta quanto segue.
  In data 15 luglio 2009 questo Ministero ha sottoscritto con la regione Campania, la provincia ed comune di Napoli una convenzione ai sensi dell'articolo 78, comma 2, lettera d) della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001) che prevede la possibilità di impiego, da parte delle regioni, delle risorse del fondo per l'occupazione destinate alle attività socialmente utili e non impegnate per il pagamento di assegni, per misure aggiuntive di stabilizzazione e di politica attiva del lavoro e per il sostegno delle situazioni di maggiore difficoltà.
  Tale convenzione prevedeva, oltre al finanziamento di euro 8.000.000,00 a carico della regione Campania fondi POR FSE 2007-2013, anche il cofinanziamento, a carico del fondo sociale per occupazione e formazione (FSOF) per complessivi euro 10.000.000,00 delle azioni dirette all'inserimento occupazionale dei disoccupati, inoccupati ed in generale di soggetti in condizione di svantaggio occupazionale nel territorio campano da realizzare nell'ambito del progetto B.R.O.S. Budget individuali per il Reinserimento Occupazionale e Sociale.
  In particolare, la convenzione amministrativa del 2 novembre 2009, registrata dalla Corte dei conti il 19 gennaio 2010, sottoscritta tra la direzione generale per le politiche attive e passive del lavoro di questo Ministero ed il competente ufficio della regione Campania per l'attuazione della convenzione del 15 luglio 2009, aveva previsto che da parte ministeriale il trasferimento delle risorse alla regione Campania avvenisse in «quattro tranches. La prima quale anticipo, le tre successive sulla base dell'attivazione delle opportunità di lavoro». Inoltre, era previsto che la regione medesima, tra l'altro avrebbe dovuto «fornire al Ministero del lavoro-Direzione generale ammortizzatori sociali (ora direzione generale per le politiche attive e passive del lavoro) una relazione periodica a supporto dei trasferimenti sul raggiungimento degli scopi prefissi».
  Nel 2010, sulla base delle disposizioni appena citate, si è provveduto all'erogazione della prima tranche del finanziamento a carico del FSOF a titolo di anticipo – con provvedimento del 15 marzo 2010 – per l'importo di euro 2.500.000,00.
  Dal dicembre 2010 è stato chiesto alla regione Campania di relazionare in ordine all'utilizzo delle risorse trasferite e, a fronte del persistente inadempimento, a luglio del 2012 si è formalizzata la richiesta di restituzione di quelle risorse.
  Successivamente, poiché anche tale richiesta è rimasta priva di riscontro, si è provveduto alla compensazione dell'anticipo erogato con quanto dovuto ad altro titolo alla medesima regione e, a seguito delle problematiche evidenziatesi, non è stato impegnato l'importo residuo del finanziamento pari a euro 7.500.000,00.
  In considerazione di quanto sopra esposto, di recente la regione Campania è stata invitata a manifestare il proprio orientamento circa la persistenza dei presupposti per la concreta attuazione del progetto B.R.O.S. anche al fine di evitare il reiterarsi di disordini connessi a tale situazione di incertezza. Infatti, in più occasioni i soggetti coinvolti nel suddetto progetto hanno manifestato sia presso la competente direzione generale di questo Ministero che presso la direzione territoriale del lavoro di Napoli dai cui responsabili sono state ricevute loro delegazioni.
  Per completezza di informazioni si rappresenta altresì che in data 21 dicembre 2012 è stata acquisita presso gli uffici dalla Questura di Napoli (DIGOS) – per incarico della Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli – varia documentazione concernente il progetto B.R.O.S.
  Quanto alle ulteriori misure straordinarie per la promozione dell'occupazione di fasce svantaggiate del mercato del lavoro nell'area metropolitana di Napoli e, più in generale, nel mezzogiorno del Paese, si rappresenta infine che il decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 (Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti) ha previsto, oltre ad una serie di incentivi per nuove assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori giovani, il finanziamento di interventi nei territori del Mezzogiorno, per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, per la promozione di progetti relativi all'infrastrutturazione sociale e alla valorizzazione di beni pubblici, e per borse di tirocinio formativo a favore di giovani residenti e/o domiciliati nel Mezzogiorno di età compresa tra 18 e 29 anni (articolo 3, comma 1).
  Nel suddetto provvedimento sono contenute disposizioni (articolo 2, commi da 1 a 8) in materia di apprendistato professionalizzante e tirocini formativi e di orientamento volte a fronteggiare l'attuale situazione di crisi occupazionale. Per quanto concerne l'apprendistato, saranno adottate linee guida per l'apprendistato professionalizzante, mentre per i tirocini formativi e di orientamento si provvederà all'erogazione, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, di una indennità di partecipazione. È stato inoltre previsto che i datori di lavoro con sedi in più regioni possano fare riferimento alla sola normativa della Regione dove è ubicata la sede legale. È stato istituito altresì il «fondo mille giovani per la cultura», limitato all'anno finanziario 2014, con una dotazione pari ad 1 milione di euro, destinato alla promozione di tirocini formativi e di orientamento nei settori delle attività e dei servizi per la cultura, rivolti a soggetti fino a 29 anni di età. La definizione dei criteri e delle modalità di accesso a tale Fondo è rimessa ad un decreto interministeriale. È stato esteso al 15 maggio 2015 il periodo di utilizzo del credito d'imposta per nuove assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno introdotto dall'articolo 2 del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 10. Il credito è quindi utilizzabile secondo il regime della compensazione entro il 15 maggio 2015, anziché entro il periodo di due anni dalla data di assunzione.
  Sono state previste infine (articolo 4, commi 1 e 2) misure dirette ad accelerare le procedure per la riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali europei 2007-2013 e per la rimodulazione del piano di azione coesione, al fine di rendere disponibili le risorse necessarie per il finanziamento degli interventi a favore dell'occupazione giovanile e dell'inclusione sociale nel Mezzogiorno per un importo complessivo pari a 995 milioni di euro negli anni 2013-2016. L'operatività delle suddette misure incentivanti decorre soltanto dalla data di perfezionamento dei rispettivi atti di riprogrammazione e il gruppo di Azione appositamente costituito deve provvedere alla verifica periodica dello stato di avanzamento dei singoli interventi e alle conseguenti eventuali rimodulazioni del Piano di azione coesione.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCarlo Dell'Aringa.


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ordinamento italiano la previsione di centri per l'identificazione e l'espulsione degli immigrati risale alla seconda metà degli anni novanta. I centri per l'identificazione e l'espulsione sono stati giudicati una vera anomalia giuridica e amministrativa da vasti settori della società civile e del mondo giudiziario che hanno contestato nel corso degli anni la grave inadeguatezza dei centri nel tutelare la dignità e i diritti fondamentali della persona;
   istituiti dalla legge Turco-Napolitano (legge n. 40 del 1998) e previsti dall'articolo 14 del testo unico sull'immigrazione (testo unico n. 286 del 1998), come modificato dall'articolo 13 della legge Bossi-Fini, i «CIE» (ex CPT) vanno considerati a tutti gli effetti delle carceri, dove vengono trattenuti extracomunitari in attesa di identificazione e della successiva espulsione. Tra questi oltre il 90 per cento sono soggetti condannati in via definitiva che dopo aver espiato la propria pena nelle carceri italiane vengono poi trasferiti nei centri per l'identificazione e l'espulsione in attesa di espulsione;
   tale è la situazione emersa dalle ispezioni condotte dai nostri deputati in alcuni dei centri per l'identificazione e l'espulsione presenti sul territorio nazionale, nonché dai dati diffusi dal Ministero degli interni;
   già nel 2007 il Ministro dell'interno pro tempore, Giuliano Amato e il Ministro della giustizia pro tempore, Clemente Mastella, firmarono una direttiva interministeriale che permetteva l'identificazione già in carcere dei detenuti extracomunitari da espellere, rendendo in tal modo più efficiente il sistema dei rimpatri, attraverso una più stretta collaborazione tra le autorità carcerarie e le forze di polizia e consentendo l'espletamento di tutte le pratiche necessarie all'identificazione durante la permanenza in carcere dei cittadini extracomunitari;
   tale procedura permetterebbe alla questura competente di avviare l'identificazione immediatamente dopo l'emanazione del provvedimento di custodia cautelare o della definitiva sentenza di condanna con ciò rendendo più celere l'acquisizione da parte della stessa questura del provvedimento di espulsione, del documento valido per l'espatrio e l'individuazione del vettore per la partenza e, infine, attraverso uno stretto coordinamento tra orario di scarcerazione e partenza, favorire l'espulsione immediata;
   questo renderebbe più efficiente il sistema attuale delle espulsioni, che si è dimostrato essere, almeno a partire dall'anno 2003, molto poco efficace proprio per la difficoltà a identificare i soggetti da allontanare e affievolirebbe le criticità emerse in questi anni in relazione al trattenimento nei centri per l'identificazione e l'espulsione dei soggetti in via di espulsione;
   tale modalità comporterebbe anche un significativo risparmio per le casse erariali –:
   per quale ragione sia continuamente disattesa la sopraccitata direttiva interministeriale che eviterebbe tempi lunghi con identificazione degli immigrati durante la carcerazione detentiva e favorirebbe una riduzione dei centri per l'identificazione e l'espulsione presenti sul nostro territorio nazionale;
   quali iniziative intendano assumere per dare concrete risposte a tale fenomeno. (4-01080)

  Risposta. — In conformità alla direttiva interministeriale emanata nel 2007 dai ministri pro tempore dell'interno e della giustizia, l'identificazione degli stranieri detenuti è avviata dal momento del loro ingresso in carcere, con l'invio dei cartellini fotodattiloscopici alla competente rappresentanza diplomatica. Tuttavia, l'invio dei cartellini non è sempre sufficiente, poiché numerosi paesi terzi non hanno un efficiente casellario centrale d'identità e, comunque, emettono i documenti di espatrio soltanto dopo aver intervistato i connazionali, adempimento che non intendono effettuare nelle carceri. Inoltre, il repentino trasferimento di detenuti da un istituto penitenziario all'altro, per esigenze dell'amministrazione carceraria, incide sulla linearità della procedura identificativa avviata durante la detenzione. Proprio al fine di limitare le criticità che potrebbero derivare da tali trasferimenti, è stato attivato un sistema per tracciare l'iter dell'identificazione del detenuto straniero.
  Il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione è necessario affinché le rappresentanze diplomatiche dei Paesi terzi effettuino il riconoscimento dei loro connazionali privi di documenti e forniscano i documenti per il rimpatrio. Peraltro, l'efficacia della misura è dimostrata dal fatto che nel 2011 e nel 2012 la percentuale di stranieri allontanati dall'Italia dopo il collocamento nei centri è stata elevata (50,54 per cento nel 2011 e 50,16 per cento nel 2012), mentre è stata modesta quella delle persone dimesse da tali centri, perché non identificate (9,3 per cento nel 2011 e 5,2 per cento nel 2012). Anche nel 2013, secondo i dati aggiornati al 24 luglio 2013, la percentuale degli allontanati continua a essere elevata (48 per cento) mentre è esigua quella degli stranieri dimessi dai centri poiché non identificati (5,64 per cento).
  All'ingresso nel centro, lo straniero è tenuto a compilare un modulo con il quale viene informato che il periodo di trattenimento verrà ridotto al tempo strettamente necessario, qualora egli collabori alla propria identificazione (ad esempio, producendo originale o copia del passaporto, oppure un altro documento identificativo corredato di fotografia). Infatti, se la persona trattenuta collabora, la presenza nel Cie è generalmente di breve durata: in questo caso il questore esegue l'espulsione anche prima della scadenza del termine stabilito nel decreto di trattenimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice competente.
  Il trattenimento prosegue oltre il sesto mese, e fino alla durata massima di diciotto mesi, soltanto qualora – nonostante ogni ragionevole sforzo – non sia stato possibile effettuare l'allontanamento a causa della mancata cooperazione dello straniero, oppure nel caso di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione da parte del paese d'origine o di destinazione.
  In ogni caso, l'identificazione nei Cie si svolge sempre nel pieno rispetto dei diritti e della dignità degli stranieri. Peraltro, da quest'anno, una commissione mista svolge puntuali verifiche in tutti i centri governativi per l'immigrazione – compresi quindi Cie, Cara e Cda – proprio per valutare gli standard di accoglienza. Tale commissione è composta da funzionari delle prefetture e delle questure territorialmente competenti, insieme a rappresentanti delle organizzazioni umanitarie, quali Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, Croce rossa italiana, Organizzazione internazionale delle migrazioni.
  Più in generale, le criticità recentemente riscontrate nella gestione dei Cie hanno rivelato l'esigenza di rivedere alcune modalità del loro funzionamento, al fine di assicurare migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza, sia per gli ospiti che per gli operatori. Sotto il profilo amministrativo, compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico, affinché i centri per l'immigrazione siano gestiti con la massima trasparenza ed efficienza, nel pieno rispetto delle condizioni igienico-sanitarie. Ulteriori iniziative – come il rafforzamento dell'attività di identificazione espletata già in carcere nei confronti dei cittadini stranieri che giungono nei Cie dopo un periodo di detenzione – sono valutate con le altre amministrazioni coinvolte.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LUIGI DI MAIO, DI BENEDETTO, D'UVA, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la chiesa dell'Immacolata Concezione sita nel comune di Prata Principato Ultra (Av) rappresenta uno degli edifici sacri più significativi dell'Irpinia per il suo straordinario contesto urbanistico-ambientale e per la notevole stratificazione architettonica medievale, rinascimentale e barocca;
   le sollecitazioni sismiche del 1980/81 avevano determinato un preoccupante quadro fessurativo con lesioni importanti in corrispondenza della facciata e del campanile e dissesti nell'abside, nella cupola e nei vani adiacenti la navata. Le murature perimetrali subirono il distacco totale o parziale in alcune parti, specie negli ancoraggi e nelle congiunture, mentre le strutture orizzontali (capriate lignee e coperture) furono sottoposte a una forte sconnessione del manto di tegole e al dissesto dell'orditura con crolli e conseguenti danni all'incannucciata e alla controsoffittatura decorata;
   i previsti interventi di somma urgenza per la messa in sicurezza dell'edificio, finanziati dalla Soprintendenza di Avellino e Salerno a partire dal 1984-85, non furono realizzati e ciò ha finito per pregiudicare lo stato di conservazione e l'integrità del monumento;
   la mancata realizzazione delle opere di consolidamento e restauro ha condannato l'edificio di culto e il suo ricco patrimonio d'arte all'incuria e a uno stato di vergognosa fatiscenza che persiste ormai da oltre trent'anni;
   negli ultimi mesi sono stati registrati nuovi e pericolosi fenomeni di degrado che stanno accelerando il totale disfacimento delle strutture e la perdita definitiva del bene;
   le abbondanti precipitazioni meteoriche del mese di gennaio 2013 hanno provocato, infatti, il crollo completo del tetto della sagrestia e un notevole peggioramento delle condizioni del controsoffitto dipinto della navata, già interessato da parziali crolli e dissesti della copertura. La grande tela settecentesca si presenta imbarcata, strappata in più punti, penzolante per il peso e la caduta di travi, pietre e calcinacci e intrisa d'acqua con gravissime ripercussioni per la conservazione della pellicola pittorica;
   a causa dell'azione distruttiva degli agenti atmosferici, la decorazione pittorica murale è interessata da efflorescenze saline, muffe, attacchi massicci di licheni e vegetazione infestante, mentre l'apparato in stucco sta riportando danni sia a livello strutturale che superficiale come dimostrano i distacchi, gli spanciamenti, la decoesione degli impasti;
   anche l'arredo ligneo settecentesco, costituito dagli stalli dei confratelli, porte, mobilio, organo e pulpito, già parzialmente distrutto dai materiali di crollo e dall'attacco degli insetti xilofagi indotto dalle pessime condizioni ambientali, si presenta gonfio d'acqua, corroso, disgregato;
   il settecentesco pavimento in cotto e maiolica collocato sopra le volte di copertura delle due cripte sottostanti mostra, a causa dei crolli, dissesti dovuti alla precarietà statica e notevoli danni causati dall'umidità con fenomeni di decoesione della superficie dipinta, lesioni e frammentazioni;
   solo grazie agli abitanti del centro storico è stato possibile mettere in salvo i marmi scolpiti e intarsiati del XVIII secolo dell'altare maggiore e alcune sculture lignee attribuite a Giuseppe Picano, mentre altri pregevoli manufatti di arte applicata restano ancora in sito per le difficoltà legate alla loro movimentazione;
   lo stato di collasso del monumento è stato più volte segnalato ai funzionari architetti e agli storici dell'arte del Ministero competenti per territorio: in tempi recenti appelli sono stati rivolti dalle pagine di quotidiani locali ai Soprintendenti, Gennaro Miccio e Maura Picciau, ma, a quanto consta agli interroganti, nessun provvedimento è stato finora adottato mortificando il ruolo, l'immagine, la missione del dicastero indirizzata alla tutela, alla valorizzazione e alla fruizione del patrimonio culturale nazionale –:
   se risultino agli atti le cause che hanno determinato in passato l'inspiegabile distrazione delle risorse impegnate per gli interventi d'emergenza su altri capitoli di spesa;
   quali lavori di somma urgenza saranno avviati per la messa in sicurezza dell'edificio monumentale indispensabili per evitare nuovi e devastanti effetti alle strutture della chiesa e del campanile;
   quali strategie di intervento saranno intraprese per l'eliminazione dello stato di pericolo degli affreschi della facciata, della navata e della sagrestia, della tela del controsoffitto, dell'arredo ligneo e marmoreo, del partito di stucchi;
   quali strumenti e risorse ordinarie e straordinarie si intendano attivare per il miglioramento sismico delle strutture murarie e delle capriate settecentesche nonché per il restauro completo del rilevante edificio e del suo corredo storico-artistico. (4-01018)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante segnala lo stato di degrado della chiesa in oggetto indicata e chiede quali iniziative si intenda adottare per il recupero dell'edificio, si comunica quanto segue.
  La chiesa dell'immacolata Concezione non è mai stata oggetto di esplicito provvedimento di riconoscimento di interesse culturale, né su di essa è mai stata effettuata la verifica della sussistenza dell'interesse culturale, ai sensi dell'articolo 12 del codice dei beni culturali e del paesaggio. Essa va inserita nell'ambito della definizione di bene culturale, di cui all'articolo 10, comma 1.
  I beni di proprietà della chiesa in oggetto sono stati trasferiti, in data 10 dicembre 1997, dalla Curia Vescovile di Avellino all'Ente Parrocchia S. Giacomo Apostolo.
  Dalla documentazione in possesso della competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Salerno ed Avellino è emerso un progetto di ripristino della chiesa, pervenuto al predetto ufficio in data 21 ottobre 1997, presentato dal comune di Prata Principato Ultra. A tale progetto conseguì il parere favorevole della citata soprintendenza, espresso in data 9 gennaio 1998 con nota n. 595.
  Un ulteriore progetto definitivo per l'intervento di restauro conservativo e consolidamento statico, presentato dal parroco della chiesa in data 13 settembre 2005, risulta anch'esso approvato dalla competente soprintendenza in data 4 ottobre 2005 con nota n. 31999.
  Per quanto attiene all'affermazione contenuta nell'interrogazione circa «l'inspiegabile distrazione delle risorse impegnate per gli interventi d'emergenza su altri capitoli di spesa», si rappresenta che, agli atti dei competenti uffici, non risultano impegni economici assunti in passato e, poi, utilizzati diversamente o per altri scopi. Gli unici atti reperiti sono i succitati progetti, presentati dal comune di Prata Principato Ultra nel 1997 e dal parroco nel 2005, entrambi approvati dalla competente soprintendenza e, presumibilmente, non finanziati né dall'amministrazione comunale, né dalle autorità ecclesiastiche.
  Appare ancora utile precisare che la chiesa in argomento si trova in una parte del centro storico, quasi del tutto abbandonato e, attualmente, non è adibita a funzioni di culto, successivamente all'evento sismico del 1980.
  Si rappresenta, infine, che l'intervento di restauro necessario comporterebbe un impegno economico elevato, non fronteggiabile con somme destinate ad interventi di somma urgenza, alla luce delle risorse economiche attualmente disponibili in tale capitolo di spesa.
  In ogni caso, si assicura che i competenti uffici periferici del Ministero si sono già attivati per sollecitare gli enti proprietari del bene a intervenire per l'adempimento degli obblighi di conservazione sugli stessi imposti dall'ordinamento.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Nola (Napoli), in località Saccaccio, a ridosso della necropoli occidentale dell'antica città romana, è ubicata una grande villa residenziale di epoca imperiale, individuata alla fine degli anni ’70 nel corso dei lavori realizzati dalla Cassa per il Mezzogiorno per la posa in opera di un collettore fognario;
   i successivi scavi archeologici misero in luce un grandioso complesso edilizio, costituito da oltre 35 ambienti e caratterizzato dalla sovrapposizione di varie fasi costruttive sviluppate lungo un arco cronologico piuttosto ampio, che va dal II secolo a.C. al VI secolo d.C.;
   per la complessità architettonica e la ricchezza degli elementi decorativi, la struttura di via Saccaccio a Nola fu considerata uno degli esempi più significativi di dimora aristocratica e di rappresentanza rispetto ad altri coevi della Campania romana;
   oggi, purtroppo, l'area archeologica di proprietà statale versa in condizioni di desolazione e abbandono totale;
   le scarpate laterali in tufo, innalzate nel 1987 per contenere i terreni agricoli circostanti allo scopo di evitare dilavamenti del terreno, si presentano intrise d'acqua con parti corrose, frantumate, sconnesse e lesionate: ampie zone delle pareti si mostrano erose e instabili a causa del pessimo drenaggio delle acque ruscellanti che stanno creando sovrapressioni idrostatiche e smottamenti;
   le recinzioni e le staccionate grecali in legno naturale a protezione dei precari percorsi di visita, posti da circa vent'anni su malfermi e provvisori tavolati di legno, risultano ammalorate, marcite, danneggiate e ricoperte di guano di volatili con conseguenti problemi igienico-sanitari;
   le inadeguate tettoie protettive, installate sulle strutture archeologiche nei primi anni Ottanta del Novecento, si mostrano deteriorate e con diffusi problemi d'infiltrazione: gli elementi metallici tubolari manifestano estesi fenomeni di ossidazione, il sistema di canalizzazione e smaltimento delle acque meteoriche è quasi completamente scomparso, le lamiere zincate di copertura, ormai prive di efficacia conservativa e di funzionalità museografica, sono corrose, divelte e costituiscono un gravissimo problema per i resti archeologici e per la pubblica e privata incolumità;
   la mancanza poi di un sistema di drenaggio e regimentazione delle acque di superficie ha accelerato i processi di deterioramento delle murature e degli apparati decorativi della villa romana;
   le murature in opus reticulatum, a causa della manutenzione inesistente, della forte umidità ascendente e delle infiltrazioni meteoriche, evidenziano una polverizzazione e una perdita di coesione delle malte con conseguenti distacchi e cedimenti di materiali lapidei;
   gli antichi intonaci appaiono decoesi, fratturati e distaccati mentre la decorazione dipinta sulle pareti esterne e interne del grande ambiente centrale è attaccata da muffe e licheni e, in alcuni casi, è quasi completamente dilavata e scomparsa;
   in condizioni di avanzato degrado sono anche i pavimenti musivi con motivi a squame, a rombi e a scacchi in tessere bianche/nere o bianche/rosse che, a causa degli agenti atmosferici e della microcapillarità di risalita veicolata dall'acqua, rivelano in superficie disgregazioni, scollamenti, distacchi, gonfiamenti, lacune, depositi superficiali coerenti e cristallizzazioni di solfati e cloruri;
   solo grazie all'intervento delle associazioni culturali locali è stato possibile effettuare, diversi anni fa, la ripulitura dal fango e dai detriti, lo sfalcio di erbacce e sterpaglie infestanti alte un metro che in breve tempo sono ricresciute in modo aggressivo;
   mentre questa importantissima area archeologica statale versa in condizioni di incuria e abbandono per la mancanza di risorse e personale, a quanto consta all'interrogante, la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei spende la considerevole cifra di euro 873.498,50 per la realizzazione di un inaccessibile centro visite con laboratori didattici a corollario di un parco con ricostruzioni virtuali posto sulla collina Montesano nel comune di San Paolo Belsito (Napoli) –:
   se non ritenga indispensabile chiarire sui motivi che hanno prodotto un tale degrado, intervenendo con opportune iniziative al fine di accertare eventuali responsabilità e inadempienze degli uffici della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei;
   quali misure immediate il Ministero intenda assumere per salvaguardare l'intera area archeologica di via Saccaccio a Nola (Napoli);
   quali misure si intendano predisporre per consentire la valorizzazione e la pubblica fruizione del sito archeologico;
   quali provvedimenti amministrativi siano stati messi in campo per assicurare la piena salvaguardia della villa romana dalle inondazioni, dagli incendi, dal degrado ambientale e dall'abusivismo che continua ad assediare il complesso storico-archeologico nel silenzio e nell'inerzia delle istituzioni preposte alla tutela.
(4-01735)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante chiede di conoscere quali siano le ragioni del degrado dell'area archeologica di via Saccoccia, sita nel comune di Nola (NA), e quali misure questo Ministero intenda adottare per consentirne la salvaguardia e la valorizzazione, si comunica quanto segue.
  All'interno della città di Nola, sul lato occidentale della città antica, si estendono una serie di vasti complessi archeologici di epoca compresa tra il II sec. a.C. ed il V sec. d.C., identificabili non in ville, come sostenuto nell'interrogazione, ma in una serie di quartieri residenziali della città antica.
  Tali strutture vennero in luce alla fine degli anni ’70 dello scorso secolo nel corso dei lavori realizzati dalla Cassa del Mezzogiorno per la posa di un collettore fognario. Successivamente l'area fu acquisita al demanio pubblico e oggetto di vari interventi, compresa la realizzazione di tettoie e l'esecuzione di interventi di restauro.
  Si concorda con l'interrogante sullo stato di conservazione delle vecchie coperture, facendo presente che non è stato possibile, in tempi recenti, effettuare interventi di restauro nel complesso per la carenza di fondi nel bilancio e che il sito è oggetto di periodici interventi di pulizia e diserbo a cura della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei e non di associazioni culturali locali come rappresentato nell'atto cui si risponde.
  Inoltre, la citata Soprintendenza, negli anni passati, ha provveduto ad acquisire un'ulteriore area in via Saccaccio, limitrofa a detto complesso archeologico, dove sono venuti in luce ulteriori strutture di un quartiere abitativo, con il recupero di importanti reperti scultorei e musivi. Al riguardo, lo scorso anno è stato imposto il vincolo di interesse archeologico su un intero isolato, sempre di Via Saccaccio, dove sono presenti ulteriori importanti reperti archeologici.
  Il complesso di Via Saccaccio, in ogni caso, insieme a quello di Via Polveriera e dell'Anfiteatro, sono oggetto di visite da parte di studiosi e visitatori, che ne fanno richiesta.
  Non si possono, invece, condividere le critiche mosse nell'interrogazione in relazione all'intervento, tuttora in corso, nel comune di San Paolo Belsito, in località La Vigna e non Montesano. La collina della Vigna è un sito di eccezionale interesse archeologico in quanto è sempre stato occupato fin dalla più remota antichità da siti dell'età del bronzo (sulla collina vennero in luce i più antichi scheletri finora rinvenuti in Campania di due fuggitivi, un uomo ed una donna, morti a causa dell'eruzione del Vesuvio, detta delle Pomici di Avellino) e, successivamente, da un santuario di età ellenistica che ancora oggi restituisce splendidi esemplari di decorazioni architettoniche in terracotta e da una villa romana con un notevole sistema idraulico che trafora tutta la collina e che, attualmente, si sta riportando in luce.
  Si fa presente, inoltre, che l'intero sito di San Paolo Belsito, dove si sta realizzando il parco archeologico, è stato acquisito dalla regione Campania e che i fondi attualmente utilizzati fanno parte di un progetto finanziato dalla Comunità europea. Non si comprende per quale motivo la realizzazione di un parco archeologico a San Paolo Belsito, che permetterà una maggiore comprensione della storia del territorio consentendo una sempre maggiore fruizione turistica e culturale, possa essere messo in competizione con il complesso di via Saccaccio che, in ogni caso, è da anni fruibile al pubblico.
  Per quanto riguarda, infine, la richiesta avanzata in merito ai provvedimenti da adottare per la salvaguardia del sito «da inondazioni, incendi, degrado ambientale ed abusivismo edilizio» si fa presente che tali provvedimenti a tutela del territorio sono di competenza per lo più della amministrazione regionale e di quella comunale.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   DI VITA, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE, MANTERO, BRESCIA, SIMONE VALENTE, VACCA, NESCI, COLONNESE, CARINELLI, SPESSOTTO, VIGNAROLI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, LOMBARDI, DI BENEDETTO, CASTELLI, D'INCÀ, CARIELLO, CASO, MICILLO, CHIMIENTI, BATTELLI, LUIGI GALLO, D'UVA e SORIAL. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato genitori giovani disabili psichici ha promosso il 3 luglio 2013 una manifestazione in piazza Montecitorio per difendere la legge n. 68 del 1999 e il diritto al lavoro delle persone disabili che dalla citata legge è sancito;
   oggetto della protesta è la possibilità di sospensione degli obblighi di assunzione per le pubbliche amministrazioni previsti dalla legge; la richiesta di sospensione è stata rivolta dall'Inps al dipartimento della funzione pubblica, che il 22 maggio ha risposto con nota n. 23580 nella quale si affermava che l'obbligo di coprire le quote di riserva per le categorie protette, con l'eccezione della disciplina relativa ai centralinisti non vedenti, è sospeso fintanto che le amministrazioni pubbliche non abbiano posti disponibili nella dotazione organica e, a fortiori ratione, laddove presentino posizioni soprannumerari;
   secondo la nota del dipartimento della funzione pubblica non solo è possibile sospendere le assunzioni obbligatorie, ma addirittura è vietato effettuarne, qualora si sia in presenza di soprannumerarietà, eventuali assunzioni, anche di categorie protette;
   la nota del dipartimento della funzione pubblica, afferma che nuove assunzioni, oltre a violare il principio generale del divieto di assumere, in presenza di posti disponibili nella dotazione organica, andrebbero ad alimentare la soprannumerarietà o le eccedenze, producendo, a fronte dell'occupazione di una categoria protetta, il rischio della perdita del posto di lavoro del personale già di ruolo che si determinerebbe quale possibile conseguenza della dichiarazione di esubero e di messa in disponibilità;
   il Comitato genitori giovani disabili psichici ha denunciato la gravità delle conseguenze di quanto previsto nel parere, che prescinde anche dalla copertura delle quote di legge;
   la sospensione dell'obbligo di copertura delle quote, stando a quanto affermato dal Comitato dei giovani disabili psichici, prevista dal dipartimento della funzione pubblica non tiene in alcun conto l'attuale contesto segnato da una crisi economica, che già di per sé rappresenta ulteriore elemento di marginalità per cittadini che versano in una condizione di difficoltà;
   proprio tenendo conto del contesto economico e sociale ma anche della ricaduta pesante nei confronti di cittadini che in particolare hanno il diritto costituzionale al lavoro del quale la legge n. 68 del 1999 si fa interprete è necessario rivedere la sospensione dell'obbligo che viene avallata dalla nota del dipartimento della funzione pubblica n. 23580 del 22 maggio 2013 –:
   se non ritengano necessario ed urgente procedere al ritiro della nota del dipartimento della funzione pubblica n. 23580 del 22 maggio 2013;
   quali siano i motivi che hanno portato a redigere la nota del dipartimento della funzione pubblica n. 23580 che con tutta evidenza contrasta con quanto stabilito dalla legge n. 68 del 1999 in materia di assunzione di soggetti appartenenti a categorie protette;
   quale sia lo stato di attuazione della legge n. 68 del 1999, quali siano i dati aggiornati relativi alle assunzioni di soggetti appartenenti a categorie protette a livello nazionale suddivisi a livello regionale e comunale, indicando quante assunzioni si riferiscano a pubbliche amministrazioni e quante a datori di lavoro privati;
   se non ritengano che, a fronte di un intervento di carattere burocratico con la redazione di una nota riguardante l'assunzione di soggetti appartenenti a categorie protette, non sarebbe stata auspicabile la convocazione delle associazioni di categorie protette al fine di informarle e affrontare la questione in maniera corretta, invece di procedere con atti burocratici che incidono sulla vita di migliaia di persone disabili e sul loro diritto al lavoro. (4-01150)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto con cui l'interrogante chiede, anzitutto, di riconsiderare la sospensione dell'obbligo di copertura delle quote di riserva per le categorie protette, disciplinato dalla legge 12 marzo 1999, n. 68.
  Chiede, inoltre, di conoscere quali siano i dati aggiornati relativi alle assunzioni di soggetti appartenenti a categorie protette a livello nazionale, regionale e comunale, suddivise tra pubbliche amministrazioni e datori di lavoro privati.
  In considerazione del fatto che la materia, oggetto della presente interrogazione è analoga a quella dell'interrogazione 5-00398 dell'onorevole Gribaudo, si riporta la risposta fornita dal Governo l'11 luglio 2013, presso la Commissione XI della Camera dei deputati.
  In merito al primo quesito l'interrogante fa riferimento ad un parere espresso dal Dipartimento della funzione pubblica a seguito di una richiesta formulata dall'Inps con nota del 16 aprile scorso.
  In particolare, in tale nota, l'Ente evidenziava che i tagli alla dotazione organica dell'Istituto, operati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 gennaio 2013, adottato in attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetto «spending review»), hanno determinato una situazione di eccedenza del personale pari a circa 3.300 unità.
  In relazione al predetto personale in posizione di soprannumero, il percorso normativo delineato dal citato articolo 2 dispone per i dipendenti dell'INPS l'avvio, suddiviso in varie fasi, delle procedure di cui all'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. La prima fase di tale procedura prevede, come noto, l'assorbimento, entro il 31 dicembre 2014. delle eccedenze mediante i pensionamenti ordinari e i cosiddetti «prepensionamenti». Questi ultimi consistono nel collocamento a riposo dei lavoratori che risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi secondo l'ordinamento previgente al decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, con possibile maturazione dei requisiti fino al 31 dicembre 2014 ed eventuale slittamento della liquidazione del trattamento di fine rapporto al momento di maturazione del requisito pensionistico secondo la normativa vigente. Per coloro che non posseggono i requisiti per il «prepensionamento» si avvia, invece – operando con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e previo esame con le organizzazioni sindacali da concludersi entro trenta giorni – un percorso di mobilità guidata, intesa alla loro ricollocazione presso gli uffici di altre amministrazioni.
  Qualora la ricollocazione non risulti possibile – sempre previo esame, che deve comunque concludersi entro trenta giorni, con le organizzazioni sindacali – si procede con l'utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale del personale non dirigenziale in proporzione alle eccedenze e con graduale riassorbimento all'atto delle cessazioni a qualunque titolo.
  Nel caso in cui le procedure di cui sopra non consentano l'assorbimento delle eccedenze, si procede, in ultimo, alla dichiarazione di esubero con il collocamento in disponibilità, per un massimo di 24 mesi con trattamento economico pari all'80 per cento di quello fondamentale; in caso di mancata ricollocazione, mediante mobilità si procede, infine, al licenziamento.
  Ciò premesso, l'accertata situazione di criticità legata ad un elevato numero di eccedenze, ha indotto l'Inps a chiedere al dipartimento della funzione pubblica un parere sulla legittima sospensione, per l'anno 2013, delle assunzioni delle categorie protette, al fine di evitare l'incremento delle eccedenze di personale.
  In relazione a tale richiesta, la nota del dipartimento, chiariva che «le assunzioni nelle amministrazioni pubbliche sono consentite solo in presenza di posti disponibili nella dotazione organica, fatte salve specifiche deroghe espressamente previste dalla legge che, tuttavia, non si riscontrano nella legge 12 marzo 1999, n. 68» recante Norme per il diritto al lavoro dei disabili.
  Al riguardo, si evidenzia che, laddove le amministrazioni non abbiano posizioni soprannumerarie e presentino disponibilità di posti nella dotazione organica, la normativa di riferimento consente, comunque, la possibilità di effettuare assunzioni a copertura della quota d'obbligo anche in presenza di un regime limitativo delle assunzioni o di divieto di assumere.
  Viceversa, in assenza di posti vacanti in dotazione organica non si riscontrano, nella normativa in materia, spazi che possano consentire assunzioni in soprannumero; l'unica eccezione è contemplata dall'articolo 4, comma 4, della legge 29 marzo 1985, n. 113 con riguardo al collocamento al lavoro dei centralinisti non vedenti; tale disposizione stabilisce che in caso di completezza del ruolo organico dei datori di lavoro pubblici i centralinisti non vedenti sono inquadrati in soprannumero fino al verificarsi della prima vacanza».
  Si tratta, chiaramente, di norma speciale non suscettibile di interpretazione analogica, quindi, un'analoga previsione anche per le restanti categorie protette potrebbe scaturire esclusivamente da un intervento del legislatore in tal senso.
  In ordine, infine, al secondo quesito, relativo al prospetto informativo che i datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti ad inviare agli uffici competenti, contenente il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, compresi quelli computabili nella quota di riserva, si precisa che la materia ricade nella competenza primaria del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Tanto rilevato, il Governo è consapevole della condizione di effettivo disagio che, a causa dell'aggravato blocco per le pubbliche amministrazioni, incontrano i soggetti che avrebbero legittime aspettative di tutela ai sensi della legge n. 68 del 1999.
  In tal senso si riserva di lavorare alla possibile individuazione di una soluzione che superi gli ostacoli normativi esistenti, sollecitando altresì i gruppi parlamentari a promuovere propri interventi di carattere legislativo, diretti ad affrontare efficacemente la problematica.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   FARAONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con bando del 24 novembre 2011 è stato indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 2800 Allievi Agenti della Polizia di Stato riservato, ai sensi dell'articolo 2199, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale. Di questi, 2654 candidati nominati Allievi Agenti della Polizia di Stato ed ammessi direttamente alla frequenza del prescritto corso di formazione e 146 candidati nominati Allievi Agenti della Polizia di Stato ed ammessi alla frequenza del prescritto corso di formazione dopo aver prestato servizio nelle Forze Armate in qualità di volontari in ferma prefissata quadriennale;
   con la pubblicazione della graduatoria avvenuta con avviso su GURI n. 87 del 6 dicembre 2012, si è già proceduto alla chiamata dei vincitori, mentre, per effetto di un centinaio di rinunce, si è proceduto al suo scorrimento chiamando chi si è trovato utilmente collocato fin quasi alla posizione numero 3000;
   la suddetta graduatoria è ancora valida tanto che le procedure di utilizzazione sono tutt'ora in svolgimento, non è quindi esaurita e può ben essere utilizzata per effettuare nuove assunzioni connesse alle esigenze della polizia di Stato o agli altri Corpi, con ciò, fra l'altro, senza dover sostenere ulteriori costi aggiuntivi per l'attivazione di un altro analogo iter concorsuale;
   al fine proprio di utilizzare la suddetta graduatoria, di recente è stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2013 con il quale si autorizzano ad assumere, i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le ulteriori unità di personale scaturenti dalle proprie necessità di carenza d'organico;
   nel contempo, nella GURI – 4° Serie speciale – «Concorsi ed esami» del 26 marzo 2013 è stato pubblicato il concorso pubblico per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 964 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 1, decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, a volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale in rafferma annuale, i quali se in servizio abbiano svolto alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno, cioè ad identico personale riservista di quello già utilmente collocato in graduatoria;
   gli idonei utilmente collocati nella graduatoria de qua sono circa 800 e quindi potrebbero ben essere assunti, possedendo essi i requisiti di merito a seguito del superamento della prova concorsuale e della idoneità conseguita;
    l'attingimento alla graduatoria predetta, come per altro è stato fatto a seguito dello scorrimento per rinuncia, garantirebbe l'immediata presa in servizio del personale necessario e consentirebbe, alla pubblica amministrazione di non dover sostenere ulteriori spese per le nuove procedure concorsuali che, specie in questi tempi di spending review, è auspicabile che avvenga;
   semmai, si potrebbe limitare il nuovo bando ai soli posti residui necessitanti alla polizia di Stato una volta attinto dalla graduatoria vigente;
   non operare nel senso di questa funzionale razionalità sembra illogico e incomprensibile, oltre che gravoso –:
   se non ritenga utile e opportuno, con l'urgenza del caso, che ci si avvalga della graduatoria, tuttora valida, per l'assunzione degli ulteriori 964 allievi agenti della polizia di Stato anziché procedere con un sovrapposto, analogo bando pubblico, nella fattispecie riservato allo stesso identico personale;
   se, di conseguenza, non ritenga, nell'interesse della stessa polizia di Stato, assumere iniziative per ritirare il bando di concorso, per titoli ed esami, pubblicato nella GURI – 4° Serie speciale – «Concorsi ed esami» del 26 marzo 2013, per il reclutamento di n. 964 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 1, decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, o, al limite, riformarlo, destinando al nuovo bando i posti residui necessitanti alle esigenze dell'amministrazione a seguito della completa utilizzazione della graduatoria del precedente bando di concorso pubblico qui richiamato. (4-00772)

  Risposta. — La disciplina dell'assunzione di personale nel ruolo degli agenti ed assistenti della polizia di Stato è regolata dal Codice dell'ordinamento militare che prevede l'osservanza di procedure e modalità operative cui l'amministrazione della pubblica sicurezza è tenuta a conformarsi.
  La normativa in vigore stabilisce che, fino al 31 dicembre 2020, come per le altre Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, i posti messi annualmente a concorso per il reclutamento del personale nella carriera iniziale della Polizia di Stato vengano determinati sulla base di una «programmazione quinquennale scorrevole».
  Questi programmi, annualmente predisposti da ciascuna delle amministrazioni interessate, sono comunicati entro il 30 settembre di ogni anno al Ministero della difesa. I posti sono riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale.
  Solo il 55 per cento dei concorrenti giudicati idonei dopo almeno un anno di servizio svolto presso le Forze armate ed utilmente collocati nelle graduatorie, viene immesso direttamente nelle carriere iniziali delle Forze di polizia. Il restante 45 per cento può essere invece immesso in ruolo solo dopo aver prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontario in ferma permanente quadriennale.
  L'amministrazione della pubblica sicurezza, pertanto, è obbligata al rispetto del procedimento concorsuale previsto dalla normativa di settore che consente l'immissione nel ruolo iniziale della polizia di Stato solo dopo lo svolgimento dei quattro anni di ferma.
  D'altra parte, bisogna anche tener conto che la stessa disciplina normativa richiede che venga effettuata con periodicità l'attività concorsuale, bandendo nuove procedure selettive anche per far fronte alle esigenze di personale delle strutture militari.
  Relativamente alle assunzioni nelle forze di polizia e disciplina del turn over, la legge di stabilità per il 2013 ha previsto uno stanziamento di 70 milioni di euro per il 2013 e di 120 milioni di euro a decorrere dal 2014, fondi che permetteranno alle amministrazioni interessate di avere un margine più agevole di manovra nelle facoltà assunzionali, anche relativamente ai volontari in forma prefissata.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   sono state deliberate altre tredici chiusure di sedi consolari italiane all'estero. Non è noto come si possa definire tale intervento e d'altronde non c’è sorpresa eccessiva visti gli antefatti dell'ultimo decennio;
   continua lo smantellamento ad avviso dell'interrogante scriteriato della rete consolare senza che gli organismi elettivi dell'emigrazione vengano debitamente e preventivamente consultati come da legge istitutiva del Consiglio generale degli italiani all'estero;
   all'assemblea ordinaria del Parlamentino dell'emigrazione del giugno 2013 nessuno osò ipotizzare una simile decisione di piena estate;
   il Ministro degli affari esteri Bonino portò il saluto al Consiglio di cui è presidente, e affrontò il tema delle istituzioni italiane nel mondo ipotizzando un complessivo riordino della presenza istituzionale repubblicana all'estero;
   riordinare, ridisegnare, rivedere, aggiornare, ammodernare, i verbi della speranza per milioni di nostri cittadini che vivono il mondo portando ovunque il loro sapere e la loro professionalità;
   tra loro gli emigrati di un sessantennio di storia dell'emigrazione italiana del dopoguerra di cui l'Italia ha perso, spesso e ignobilmente, le tracce e le migliaia di nuovi arrivati che hanno alzato lo sguardo oltre le Alpi e il Mediterraneo per costruire altrove il loro avvenire;
   più che un riordino l'interrogante rileva solo uno smantellamento perseguito negli anni senza che fosse possibile analizzare e discutere assieme provvedimenti e prospettive con i rappresentanti della collettività italiana;
   la preannunciata chiusura delle sedi consolari di Neuchatel, Sion e Wettingen, nella Confederazione Elvetica, senza alcun serio correttivo, non è che l'ultimo atto di una politica miope. Fu preceduto dallo smantellamento delle sedi di Losanna e Coira nei Grigioni, attuato dal Governo Berlusconi;
   Losanna, capitale olimpica, massimo centro economico e commerciale dell'area francofona della Confederazione arricchita dalla presenza di oltre centomila cittadini italiani, fu privata, con una decisione dell'allora Sottosegretario Mantica, della sede consolare. E il tutto fu trasferito alla sede decentrata di Ginevra fra lo sconcerto del mondo italiano e delle autorità e istituzioni locali;
   le responsabilità più complessive di una scelta sciagurata, non sono mai state chiarite; così come la chiusura di Coira, capitale dei Grigioni, perla del turismo internazionale, di interesse di tanti nostri cittadini;
   riordinare, ridisegnare è l'opposto di smantellare, è necessario riaprire le sedi di Losanna e Coira indebitamente chiuse;
   sarebbe un atto di forte impatto negli interessi della Nazione e dei suoi cittadini;
   sanerebbe i guasti di una decisione irresponsabile del passato, creerebbe il clima di fiducia indispensabile per un civile rapporto tra lo Stato e i suoi cittadini, giustificando, oltretutto, anche le dolorose e preannunciate chiusure;
   così si può affermare per Tolosa, la città europea che guarda alle stelle con tanti nostri ricercatori impegnati a realizzare il protagonismo europeo nel campo dell'aeronautica e dello spazio;
   o Mons, in quella terra belga ove l'emigrazione italiana ha vissuto l'epopea più drammatica e funesta;
   è necessario che si sospenda ogni decisione, e si riapra il confronto con i rappresentanti della collettività italiana e con i suoi eletti nel Parlamento Repubblicano;
   sarebbe il segnale di un nuovo rapporto, di un clima positivo, di una Italia, finalmente, vicina ai suoi cittadini in Europa e nel mondo –:
   se intenda riconsiderare le decisioni assunte e se intenda procedere alla riapertura delle sedi consolari secondo quanto auspicato in premessa. (4-01489)

  Risposta. — Come ho avuto modo di esporre più diffusamente nel corso delle mie recenti audizioni dinnanzi alle Commissioni affari esteri della Camera e del Senato, la riorganizzazione della rete diplomatico-consolare italiana non è un'opzione, ma una necessità dettata da esigenze geopolitiche, economiche e legate al processo di «spending review».
  In prima istanza, la riorganizzazione della rete è un obbligo di legge. La legge finanziaria 2007 impone al Ministero degli affari esteri di avviare la «ristrutturazione della rete diplomatica, consolare e degli istituti di cultura in considerazione del mutato contesto geopolitico, soprattutto in Europa». Successivamente, la legge n. 148 del 14 settembre 2011 sulla stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo ha stabilito che la «riorganizzazione della rete diplomatico-consolare» rientra tra le misure essenziali per la «revisione integrale della spesa pubblica», riconducendo quindi tale esercizio nel più ampio contesto della cosiddetta «spending review». Il decreto-legge n. 95 del 2012 (la nuova legge di «spending review»), ha inoltre rafforzato l'obbligo per la Farnesina di riorganizzare la propria rete, imponendo un impegno più rapido sotto questo profilo. In tale contesto, quindi, nell'annunciare misure di riorganizzazione della rete, il Governo opera in maniera coerente a preesistenti obblighi di legge e alle decisioni sospese nel 2011.
  Le attuali esigenze geopolitiche spingono nella stessa direzione. La rete diplomatica italiana è una delle più estese al mondo ed ha effettivamente bisogno di una riorganizzazione per meglio rispondere alle sfide di oggi. Tale necessità, peraltro, è avvertita anche dai partner europei del nostro Paese, che già da diversi anni sono impegnati – anche più intensamente di noi — in analoghi processi di riorientamento delle loro risorse verso i mercati emergenti, dove gli investimenti per una politica estera per la crescita non possono più essere rinviati.
  Le proposte di riorganizzazione della rete diplomatico-consolare, elaborate dal Ministero degli affari esteri nell'autunno del 2011, furono già presentate al comitato di presidenza del Consiglio generale degli italiani all'estero nelle sedute del 22 e 23 novembre 2011 e successivamente illustrate alle organizzazioni sindacali il 23 novembre 2011. In occasione della sua audizione programmatica innanzi alle Commissioni esteri in seduta congiunta di Camera e Senato il 7 maggio 20163, il Ministro degli affari esteri Emma Bonino ebbe modo di soffermarsi sul «riorientamento» della rete.
  In questo contesto, i tagli resi necessari dal contenimento della spesa pubblica saranno applicati con criterio: l'obiettivo è dotare il nostro Paese di uno strumento diplomatico che, a risorse vigenti, dia un contributo determinante all'essenziale politica della crescita, a cui siamo impegnati come Governo.
  Sul fronte dei servizi alle collettività italiane — questione che è già stata oggetto di un dialogo approfondito con il Parlamento e per il Ministero degli affari esteri comunque prioritaria – programmiamo l'attivazione in loco di agili strutture sostitutive (sportelli consolari, consolati onorari, missioni periodiche), che andranno modulate di caso in caso a seconda della composizione della collettività, del suo grado di integrazione e della distanza dalla sede principale. Si provvederà inoltre al potenziamento delle Sedi riceventi sia in termini di risorse umane che di tecnologia informatica, proprio per continuare a garantire i servizi alle nostre comunità. Non saranno trascurate peraltro le opportunità che potranno derivare, nel prossimo futuro, dalle sinergie con il servizio europeo per l'azione esterna e con la sua rete di delegazioni nel mondo.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Farnesina ha deciso la chiusura di 14 sedi consolari nel mondo secondo un calendario che prevede la chiusura di Sion, Neuchâtel, Wettingen, Tolosa, Alessandria, Scutari e Spalato il 30 novembre 2013 Timisoara, Newark, Adelaide e Brisbane il 28 febbraio 2014, Capodistria e Amsterdam il 30 giugno 2014;
   le comunità italiane nel mondo, i Comitati degli italiani all'estero (Comites), i rappresentanti al Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE), i rappresentanti di Associazioni nazionali e regionali e tutte le istanze rappresentative della comunità italiana stanno unanimemente protestando contro tale scelta del Governo;
   i Governi statali e i Parlamenti federali degli Stati d'Australia hanno espresso legittime preoccupazioni per la paventata chiusura di Adelaide e Brisbane chiedendo di modificare tale decisione;
   i cittadini italiani che usufruiscono delle attività consolari chiedono rapporti forti con le istituzioni italiane e rivendicano il diritto di avere servizi efficienti dalla pubblica amministrazione del nostro Paese, come tutti gli altri cittadini residenti in Italia;
   i continui tagli e le riduzioni di bilancio si sommano ai problemi organizzativi di una rete consolare che necessita invece di attenzione e interventi adeguati poiché rappresenta oggi un essenziale elemento di collegamento con le comunità italiane e un sostegno insostituibile del sistema Italia nel mondo;
   le conclusioni della commissione di approfondimento delle modalità di applicazione della spending review era arrivata a diverse conclusioni, indicando linee alternative d'intervento rispetto all'eliminazione di terminali della struttura amministrativa, al fine di conservare il livello quantitativo e qualitativo dei servizi;
   i rapporti bilaterali tra l'Italia e i vari Stati d'Australia, i progetti regionali, la partecipazione australiana a importanti manifestazioni fieristiche nazionali e regionali il livello dell'interscambio tra i due Paesi, si fondano su una reciprocità di impegni che la chiusura dei consolati di Adelaide e Brisbane rimette in discussione;
   il Governo italiano si era impegnato a discutere con le Commissioni esteri di Camera e Senato un nuovo piano di riorganizzazione della rete consolare nel mondo e invece ha adottato decisioni non tenendo conto degli impegni assunti –:
   quali urgenti misure intenda adottare per dare piena attuazione alle proposte emerse dal lavoro svolto sulla spending review dall'apposito comitato ministeriale poiché la mancata attuazione di quel piano ha mantenuto sostanzialmente invariati i costi amministrativi del Ministero degli affari esteri;
   in che modo si intendano garantire i servizi ai cittadini italiani residenti nelle circoscrizioni consolari oggetto di chiusura, con quali strumenti e risorse si intenda continuare a garantire servizi alle imprese a tutti i cittadini italiani, non solo a chi dimora all'estero da molti anni, inclusa la nuova e originale presenza italiana all'estero, fatta di ricercatori, nuovi migranti, giovani italiani in cerca di realizzazione professionale e umana;
   quali urgenti investimenti si intendano effettuare per rendere operativo nel mondo il sistema informatico SECOLI, ancora in fase sperimentale, quali iniziative si intendano adottare per non disperdere le esperienze maturate dal personale assunto localmente, garantendo in ogni caso l'eventuale assegnazione ad altre sedi, in che modo e con quali costi, infine, s'intenda potenziare le sedi riceventi, già sovraccariche di lavoro, tutte con organici inferiori al minimo necessario, tenendo conto anche delle problematiche legate ad alcune aree del mondo non particolarmente ambite dal personale di ruolo.
(4-01579)

  Risposta. — Come ho avuto modo di esporre più diffusamente nel corso delle mie recenti audizioni dinnanzi alle Commissioni affari esteri della Camera e del Senato, la riorganizzazione della rete diplomatico-consolare italiana non è un'opzione, ma una necessità dettata da esigenze geopolitiche, economiche e legate al processo di «spending review».
  In prima istanza, la riorganizzazione della rete è un obbligo di legge. La legge finanziaria 2007 impone al Ministero degli affari esteri di avviare la «ristrutturazione della rete diplomatica, consolare e degli istituti di cultura in considerazione del mutato contesto geopolitico, soprattutto in Europa». Successivamente, la legge n. 148 del 14 settembre 2011 sulla stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo ha stabilito che la «riorganizzazione della rete diplomatico-consolare» rientra tra le misure essenziali per la «revisione integrale della spesa pubblica», riconducendo quindi tale esercizio nel più ampio contesto della cosiddetta «
spending review». Il decreto-legge n. 95 del 2012 (la nuova legge di «spending review»), ha inoltre rafforzato l'obbligo per la Farnesina di riorganizzare la propria rete, imponendo un impegno più rapido sotto questo profilo. In tale contesto, quindi, nell'annunciare misure di riorganizzazione della rete, il Governo opera in maniera coerente a preesistenti obblighi di legge e alle decisioni sospese nel 2011.
  Le attuali esigenze geopolitiche spingono nella stessa direzione. La rete diplomatica italiana è una delle più estese al mondo ed ha effettivamente bisogno di una riorganizzazione per meglio rispondere alle sfide di oggi. Tale necessità, peraltro, è avvertita anche dai
partner europei del nostro Paese, che già da diversi anni sono impegnati – anche più intensamente di noi – in analoghi processi di riorientamento delle loro risorse verso i mercati emergenti, dove gli investimenti per una politica estera per la crescita non possono più essere rinviati.
  Le proposte di riorganizzazione della rete diplomatico-consolare, elaborate dal Ministero degli affari esteri nell'autunno del 2011, furono già presentate al comitato di presidenza del Consiglio generale degli italiani all'estero nelle sedute del 22 e 23 novembre 2011 e successivamente illustrate alle organizzazioni sindacali il 23 novembre 2011. In occasione della sua audizione programmatica innanzi alle Commissioni esteri in seduta congiunta di Camera e Senato il 7 maggio 2013, il Ministro degli affari esteri Emma Bonino ebbe modo di soffermarsi sul «riorientamento» della rete.
  In questo contesto, i tagli resi necessari dal contenimento della spesa pubblica saranno applicati con criterio: l'obiettivo è dotare il nostro Paese di uno strumento diplomatico che, a risorse vigenti, dia un contributo determinante all'essenziale politica della crescita, a cui siamo impegnati come Governo.
  Sul fronte dei servizi alle collettività italiane – questione che è già stata oggetto di un dialogo approfondito con il Parlamento e per il Ministero degli affari esteri comunque prioritaria – programmiamo l'attivazione
in loco di agili strutture sostitutive (sportelli consolari, consolati onorari, missioni periodiche), che andranno modulate di caso in caso a seconda della composizione della collettività, del suo grado di integrazione e della distanza dalla sede principale. Si provvederà inoltre al potenziamento delle sedi riceventi sia in termini di risorse umane che di tecnologia informatica, proprio per continuare a garantire i servizi alle nostre comunità. Non saranno trascurate peraltro le opportunità che potranno derivare, nel prossimo futuro, dalle sinergie con il servizio europeo per l'azione esterna e con la sua rete di delegazioni nel mondo.
  Per quanto concerne infine il quesito sollevato dall'interrogante sull'operatività del sistema informatico Secoli, vorrei ricordare che tale piattaforma è già operativa in Belgio (Bruxelles e Charleroi), con buoni risultati. Essa sarà poi estesa progressivamente alla rete in aderenza al percorso di riorientamento.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   FEDRIGA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   attualmente il carcere di Pordenone è ospitato nel vecchio Castello, un maniero risalente al 1270 e dunque non in grado ormai di contenere il gran numero dei detenuti ivi presenti, oltre la soglia della sua capienza regolamentare;
   il grave disagio dovuto al sovraffollamento è stato segnalato più volte anche dagli agenti penitenziari che vi lavorano all'interno;
   per affrontare il problema del sovraffollamento carcerario nel 2010 venne redatto un piano carceri che prevedeva lo stanziamento di 675 milioni di euro, e che, successivamente al taglio delle risorse, nella nuova riformulazione era stato comunque ricompreso il nuovo carcere di Pordenone;
   nel frattempo, pare che le risorse del piano carceri siano state utilizzate per altri interventi e che oggi siano rimasti solo 67 milioni spendibili, ma già destinati ad altri interventi, tra i quali non è invece più ricompreso il nuovo carcere di Pordenone;
   infatti dalla relazione sullo stato di attuazione del programma di edilizia penitenziaria indirizzato al Ministro di giustizia il 13 maggio 2013 risulta che non vi siano più risorse economiche sufficienti e che dovranno essere riviste le emergenze e le priorità degli interventi, poiché vi si legge: «Preme evidenziare che tenuto conto delle mutate esigenze dell'amministrazione penitenziaria è prevedibile una rimodulazione dei previsti interventi inseriti nel piano carceri con riferimento alla originaria previsione di nuovi istituti localizzati a Torino, Camerino e Pordenone»;
   secondo gli ultimi dati pubblicati sul sito del Ministero della giustizia, al 31 maggio 2013 la capienza regolamentare dei 5 istituti presenti in Friuli Venezia Giulia è pari a 548 posti e che se, dal totale dei detenuti ivi presenti (808), vengono sottratti quelli stranieri (435), che costituiscono più del 50 per cento, si ottiene un numero di detenuti (373), ben al di sotto della capienza regolamentare (548);
   è noto il costo dei detenuti nelle nostre strutture carcerarie e l'urgenza di risolvere il problema del sovraffollamento carcerario nei nostri istituti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra e se, considerata la carenza di risorse disponibili, abbia, dunque, intenzione di avviare degli accordi bilaterali con i Paesi di origine dei detenuti stranieri ivi reclusi, al fine di far scontare a questi ultimi la pena detentiva nella loro madrepatria. (4-00686)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame facendo preliminarmente presente che la realizzazione di un nuovo penitenziario nella città di Pordenone era già stata prevista nell'ambito del primo elenco di interventi previsti dal Piano carceri approvato il 24 giugno 2010 ed era stata mantenuta anche nella successiva rimodulazione del Piano del 31 gennaio 2012.
  Peraltro, con la recente rimodulazione del Piano, approvata il 18 luglio 2013, è stata decisa la rilocalizzazione della struttura di Pordenone a San Vito al Tagliamento poiché l'amministrazione comunale ha manifestato la disponibilità a concedere gratuitamente l'immobile dismesso della ex caserma «F.lli Dall'Armi». Questo ministero ha ritenuto la fattibilità di un intervento volto a ricavare dai locali già adibiti ad uso militare 300 posti detentivi – a fronte dei 53 posti regolamentari attualmente disponibili presso il carcere di Pordenone – con tempi ridotti di esecuzione delle opere e contenimento della spesa rispetto alle originarie previsioni. Il progetto di trasformazione della caserma è stato approvato nell'ambito della conferenza di servizi che si è tenuta il 22 luglio 2013.
  Per quanto riguarda la specifica questione delle misure volte a far sì che i detenuti stranieri scontino la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza, osservo che l'Italia è, sin dal 1989, Stato-parte della convenzione del Consiglio d'Europa sul trasferimento dei detenuti, stipulata il 21 marzo 1983.
  Detta convenzione è attualmente in vigore nei rapporti tra l'Italia e 63 Stati esteri.
  Inoltre, l'Italia, in quanto stato membro dell'Unione europea, ha attuato, con il decreto legislativo n. 161 del 2010, la decisione quadro del Consiglio n. 2008/909/GAI del 27 novembre 2008, che istituisce una procedura per il riconoscimento delle sentenze penali e l'esecuzione delle pene detentive nei paesi dell'Unione europea allo scopo di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate. Tale strumento prevede la possibilità di richiedere ed ottenere – in determinati casi anche senza il consenso del detenuto – il trasferimento in un altro Stato membro della persona condannata ai fini di eseguire la pena.
  Infine, ad oggi sono altresì in vigore accordi bilaterali tra l'Italia e Cuba, Hong Kong, India, Perù e Thailandia. Con l'Albania, è stato stipulato nel 2002 un accordo bilaterale aggiuntivo alla citata Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983. Sono stati inoltre di recente conclusi a livello tecnico – ma non sono ancora in vigore – altri trattati bilaterali con Kenya, Marocco e Kazakistan.
  Ritengo che da questi dati generali emerga con evidenza l'impegno dell'Italia per la cooperazione giudiziaria anche sul versante dell'esecuzione penale. È comunque mio fermo intendimento aggredire il problema del sovraffollamento carcerario non tralasciando alcuna soluzione. Il Ministero della giustizia non mancherà pertanto di profondere ogni sforzo, sia per rivedere i contenuti degli accordi vigenti al fine di accelerare i tempi di trasferimento dei detenuti stranieri, sia per stipulare nuovi accordi con i restanti Paesi di provenienza di aliquote significative di detenuti stranieri.

Il Ministro della giustiziaAnna Maria Cancellieri.


   FERRARESI, DELL'ORCO, SPADONI, MUCCI, SARTI e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il terremoto che ha colpito l'Emilia-Romagna il 20 e 29 maggio 2012 ha messo in evidenza la fragilità sismica di un vasto territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo;
   con ordinanza n. 35 (modalità di applicazione dell'articolo 3, comma 10, del decreto-legge n. 74 del 2012) il commissario straordinario per il terremoto ha adottato una mappatura dettagliata, delle zone colpite dal sisma in cui è stato analizzato lo scuotimento e l'accelerazione spettrale elastica;
   con tale ordinanza si stabilisce che «le fattispecie che non hanno superato tale accelerazione spettrale dovranno essere sottoposte a valutazione di sicurezza così da determinare se il livello di sicurezza dell'edificio produttivo risulti inferiore o meno al 60 per cento della sicurezza richiesta ad un edificio nuovo e se per questi siano necessari interventi di miglioramento sismico secondo le tempistiche previste dalla legge»;
   la società ARC (autostrada regionale cispadana) ha sviluppato dal 2008 un progetto per costruire l'autostrada regionale cispadana che prevede 67 chilometri di autostrada tra il casello Reggiolo-Rolo dell'A22 e il casello di Ferrara Sud sull'A13;
   il tracciato dell'autostrada regionale cispadana percorrerà in modo trasversale, con direzione ovest-est, il quadrante nord-orientale della pianura emiliana, attraversando le province di Reggio Emilia, Modena e Ferrara;
   sono tredici i comuni interessati dall'asse autostradale: Reggiolo e Rolo in provincia di Reggio Emilia; Novi, Concordia, San Possidonio, Mirandola, Medolla, San Felice sul Panaro e Finale Emilia in provincia di Modena; Cento, Sant'Agostino, Poggio Renatico e Ferrara in provincia di Ferrara;
   altri sette sono i comuni interessati dalla viabilità complementare: Parma, Torrile, Sorbolo, Mezzani in provincia di Parma; Luzzara, Brescello in provincia di Reggio Emilia; Bondeno in provincia di Ferrara;
   la struttura commissariale ha nominato un gruppo di esperti (con ordinanza n. 58 del 17 ottobre 2012, integrata con ordinanza n. 62 del 25 ottobre 2012) di consolidata esperienza e accertata competenza, con la funzione di supporto tecnico-scientifico;
   è stato prodotto un documento che riporta una dettagliata mappatura in riferimento ai criteri operativi sulle modalità di applicazione dell'articolo 3 comma 10, del decreto-legge n. 74 del 2012; al documento è inoltre allegata una cartografia indicativa delle aree in cui è stato raggiunto e superato uno scuotimento del 70 per cento dell'accelerazione spettrale elastica, tale cartografia tiene conto delle classi d'uso definite al paragrafo 2.4.2 delle NTC 2008 (decreto ministeriale 14 gennaio 2008 – norme tecniche per le costruzioni) e riporta i limiti di possibile esclusione per le costruzioni di classe d'uso I, II e III;
   tutti i territori attraversati dall'autostrada regionale cispadana, ricompresi tra i comuni di Reggiolo e Bondeno rientrano in tali aree;
   le opere strutturali, ed in particolare le opere viarie in presenza di azioni sismiche, con riferimento alle conseguenze di una interruzione di operatività o di un eventuale collasso rientrano nelle classe d'uso:
    II – costruzioni il cui uso preveda normali affollamenti, senza contenuti pericolosi per l'ambiente e senza funzioni pubbliche e sociali essenziali, ponti, opere infrastrutturali, reti viarie non ricadenti in classe d'uso III o in classe d'uso IV, reti ferroviarie la cui interruzione non provochi situazioni di emergenza;
    III – costruzioni il cui uso preveda affollamenti significativi, reti viarie extraurbane non ricadenti in classe d'uso IV, ponti e reti ferroviarie la cui interruzione provochi situazioni di emergenza;
   si ritiene che l'autostrada regionale cispadana, in base al decreto ministeriale 5 novembre 2001, n. 6792 «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade», sia da considerarsi una autostrada appartenente alla categoria A-rete primaria (di transito, scorrimento), rientrando quindi nella classe d'uso:
    IV – costruzioni con funzioni pubbliche o strategiche importanti, anche con riferimento alla gestione della protezione civile in caso di calamità, reti viarie di tipo A o B e di tipo C quando appartenenti ad itinerari di collegamento tra capoluoghi di provincia non altresì serviti da strade di tipo A o B, ponti e reti ferroviarie di importanza critica per il mantenimento delle vie di comunicazione, particolarmente dopo un evento sismico;
   in data 3 ottobre 2012 è stata presentata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dal concessionario l'istanza per la realizzazione dell'opera in oggetto per l'attivazione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) –:
   se il progetto per l'autostrada regionale cispadana sia già stato sottoposto alla valutazione di sicurezza e quali siano i risultati; in caso contrario, quando sia prevista tale valutazione;
   se i Ministri interrogati non ritengano che la tipologia dell'autostrada sia da considerarsi in classe d'uso IV e conseguentemente giudicata nella procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) e che l'ufficio di valutazione di impatto ambientale debba procedere ad una nuova valutazione in conseguenza della sopra citata ordinanza per quanto concerne l'autostrada regionale cispadana;
   se il Governo non ritenga di dover valutare l'opportunità di realizzare un nuovo asse viario autostradale, con conseguente nuovo consumo di territorio e dispendio di risorse pubbliche, mentre sarebbe auspicabile una diversa impostazione delle scelte infrastrutturali, che tenga conto dell'esigenza di ridurre lo squilibrio della modalità di trasporto, al momento troppo sbilanciato a favore del trasporto su gomma. (4-00444)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, riguardante l'opportunità di sottoporre a nuova valutazione di impatto ambientale il progetto della società Arc per la costruzione dell'autostrada regionale Cispadana, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, occorre evidenziare che l'infrastruttura riveste un rilevante interesse strategico nazionale, in quanto opera strettamente interconnessa con la rete autostradale nazionale e prevista anche fra le priorità di cui all'articolo 2 della nuova intesa generale quadro, sottoscritta con il Governo nell'aprile del corrente anno.
  A livello programmatico il progetto della Cispadana trova specifica collocazione nelle politiche regionali di settore (piano regionale integrato dei trasporti del 1986, PRIT del 1998) e nelle strategie promosse a livello europeo ed internazionale (TEN, la rete transeuropa dei trasporti) finalizzate al miglioramento dell'efficienza trasportistica integrata e della mobilità di persone e merci.
  Relativamente ai quesiti posti, interpellato il concessionario che in virtù della convenzione in essere provvede alla progettazione dell'opera in oggetto, oltre che alla futura realizzazione e gestione della stessa, si evidenzia quanto segue.
  L'ordinanza del Presidente della giunta della regione Emilia-Romagna n. 35 del 20 marzo 2013, recante «Modalità di applicazione dell'articolo 3 comma 10 della legge 122 di conversione del decreto-legge n. 74 del 2012», si applica unicamente per le verifiche di sicurezza sugli edifici esistenti delle attività produttive ricadenti sui territori colpiti dal sisma, al fine della loro certificazione di agibilità sismica. Pertanto non può applicarsi alle opere di nuova realizzazione per le quali, conformemente alla normativa nazionale vigente (NTC 2008), deve essere verificata la piena resistenza alle azioni (pari al 100 per cento) previste dalla normativa e non solo ad un'azione ridotta al 60 per cento come previsto nei casi regolati all'articolo 3 comma 10 della legge n. 122 del 1o agosto 2012.
  Si evidenzia che nel progetto definitivo presentato dal concessionario A.R.C. SpA sono state verificate tutte le strutture adottando le azioni stabilite dalla norma per ciascuna tipologia di manufatto necessarie a garantire la sicurezza strutturale, tenendo ovviamente conto degli effetti amplificativi del moto sismico riscontrabili puntualmente per lo specifico suolo di fondazione.
  Per i rilevati stradali, e in particolar modo per quelli di altezza maggiore, sono state effettuate le verifiche di stabilità anche in condizioni di azioni orizzontali indotte dal sisma sul corpo del rilevato.
  A supporto della progettazione geotecnica e strutturale è stata effettuata una copiosa campagna di indagine in sito con prove penetrometriche statiche e dinamiche,
cross hole, CPT con cono sismico, e di laboratorio, sia statiche che dinamiche, al fine di valutare la variazione delle caratteristiche meccaniche dei terreni sottoposti ad azioni cicliche (come nel caso di un evento sismico). I risultati di dette indagini sono opportunamente documentati negli elaborati progettuali predisposti dal concessionario A.R.C. Spa. Le indagini condotte hanno consentito di individuare la stratigrafia in sito dei terreni interessati dalle opere in progetto e per ciascun sito di indagine le relative caratteristiche geotecniche e sismiche, in modo tale da poter determinare la risposta sismica locale dello specifico terreno interessato dalle opere di progetto.
  La valutazione della vulnerabilità dei terreni a fenomeni di liquefazione è parte integrante delle verifiche geotecniche sviluppate nel progetto definitivo dell'autostrada regionale Cispadana. Nei pochi casi in cui le analisi hanno evidenziato la possibilità di fenomeni di liquefazione dei terreni, si è proceduto alla determinazione dei cedimenti attesi, riscontrando valori del tutto compatibili con il rilevato autostradale senza inficiare la funzionalità dell'opera.
  Per quanto riguarda la progettazione strutturale si evidenzia che le reti viarie di tipo A vengono considerate costruzioni con funzioni pubbliche di tipo strategico, anche con riferimento alla gestione della protezione civile e per questo classificate dalle NTC 2008 di classe d'uso IV, tenendo conto di una vita nominale delle opere di 100 anni. Ciò significa che per queste tipologie di opere viene richiesto un livello di sicurezza molto superiore rispetto a quello richiesto per le opere comuni.
  Pertanto con riferimento al quesito relativo alla classe d'uso con conseguente nuovo avvio della procedura di Via si evidenzia che essendo l'opera già prevista in classe d'uso IV la nuova valutazione richiesta non appare necessaria.
  L'accelerazione rilevata in occasione degli ultimi eventi sismici, con valori massimi di circa 0.35g, è paragonabile all'accelerazione di progetto considerata nelle verifiche di sicurezza, pari ad esempio a circa 0.37g per i terreni dell'area ferrarese. Pertanto, tutte le opere progettate avrebbero, in caso di eventi della stessa importanza, un comportamento adeguato a resistere alle sollecitazioni indotte senza che venga compromessa la funzionalità dell'infrastruttura autostradale. Lo stesso approccio è stato adottato per tutte le strutture interferenti con l'autostrada, cavalcavia e sottopassi, il cui danneggiamento potrebbe compromettere la percorribilità dell'infrastruttura.
  Sono stati adottati per tutti i ponti appoggi sismici per gli impalcati in grado di dissipare gli effetti indotti dalle azioni sismiche; sono state adottate soluzioni tecniche all'avanguardia per questa tipologia di opere.
  In merito alla valutazione complessiva degli effetti dell'esistenza dell'opera autostradale nell'ambito di un'emergenza post sisma, non solo l'autostrada non rischia di risultare un ostacolo alla mobilità di emergenza, ma in caso di eventi sismici della stessa importanza di quelli manifestatisi, presentando un livello di sicurezza superiore alle altre opere infrastrutturali locali, risulterebbe una via preferenziale e strategica per garantire l'arrivo dei soccorsi.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   GAGNARLI, GALLINELLA, TOFALO, PARENTELA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, PETRAROLI e LUPO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la tutela del benessere di tutti gli animali ed il rispetto dei loro diritti sono valori fondamentali che caratterizzano la civiltà di un Paese;
   l'organizzazione mondiale della sanità ha definito il concetto di «benessere degli animali» come «... lo stato di completa sanità fisica e mentale che consente all'animale di stare in armonia con il suo ambiente»;
   nel 1965, il Brambell Report elencava, con particolare riferimento agli animali allevati, le cosiddette «cinque libertà» necessarie per evitare disturbi al «benessere» tra cui la libertà di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche normali, fornendo spazio sufficiente, locali appropriati e la compagnia di altri soggetti della stessa specie;
   in Italia circa l'80 per cento delle galline vive ancora in gabbie di batteria;
   la Commissione europea in data 25 aprile 2013 ha deferito l'Italia alla Corte di Giustizia dell'Unione europea per non avere attuato correttamente la direttiva 1999/74/CE che imponeva l'obbligo di modifica delle gabbie dove invece vengono tuttora costrette le galline ovaiole;
   la direttiva 1999/74/CE prevedeva che, a decorrere dal primo gennaio 2012, tutte le galline ovaiole fossero tenute a terra o nelle cosiddette «gabbie modificate» fornite di 750 centimetri quadrati di spazio, di un nido, lettiere, posatoi e dispositivi per accorciare le unghie, consentendo così alle galline di soddisfare i loro bisogni biologici e comportamentali. Un sistema alternativo che, seppur minimo, migliorerebbe le condizioni di detenzione attuali degli allevamenti intensivi di galline ovaiole;
   l'Italia era già stata richiamata il 26 gennaio 2012, quando la Commissione aveva inviato una lettera di costituzione in mora con la quale si chiedeva alla Grecia ed all'Italia, assieme ad altri 11 Stati membri dell'Unione europea, di adempiere alla nuova normativa europea, ed a ciò ha fatto seguito un parere motivato del 21 giugno 2012. La Commissione europea chiedeva una piena ottemperanza da parte di tutti gli Stati membri per evitare distorsioni del mercato ed una concorrenza sleale, in quanto gli stati membri che ancora consentivano l'uso di gabbie non modificate mettevano in situazione di svantaggio le aziende che avevano investito per conformarsi alle nuove misure;
   in Italia la maggior parte degli allevatori ha ritenuto più conveniente non adeguare gli impianti, rischiando al massimo il pagamento di una somma modesta, piuttosto che investire in gabbie conformi nonostante avessero avuto 12 anni di tempo per adeguarsi alla citata direttiva europea –:
   quale sia il numero degli allevamenti ancora fuori norma ed il numero complessivo di animali allevati in condizioni illegali;
   quali provvedimenti, anche sanzionatori, siano stati adottati dalle autorità competenti e quali iniziative si intendano adottare per favorire l'adeguamento agli standard europei degli allevamenti che ancora non abbiano provveduto ad uniformarsi;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per garantire che l'etichettatura delle uova poste in commercio, attraverso la menzione del «codice 3», indichi esclusivamente le uova prodotte da galline tenute in «gabbie modificate» ovvero conformi alle direttive europee;
   quale argomentazioni lo Stato italiano intenda porre a base della propria difesa nei confronti del procedimento giurisdizionale dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea. (4-00344)

  Risposta. — In merito alle problematiche delineate nell'interrogazione parlamentare in esame, si assicura che l'attenzione del Ministero della salute nei riguardi degli allevamenti di galline ovaiole è stata continua e decisa.
  In particolare, nel corso degli ultimi tre anni sono state emanate diverse note indirizzate alle regioni e province autonome, nonché alle associazioni di categoria al fine di arginare e eliminare le gabbie non modificate dagli allevamenti del nostro Paese.
  Nel corso dell'anno 2012, i servizi veterinari delle ASL, seguendo le indicazioni impartite da questo Ministero, hanno effettuato due cicli ispettivi, il primo eseguito dal 1o gennaio al 29 febbraio, il secondo dal 1o luglio al 10 novembre, a seguito dei quali, come definito in una nota del Ministero della salute, «il veterinario ufficiale notifica che si provvederà, ai sensi dell'articolo 54 del Regolamento 882/2004/CE, alla sospensione dell'attività di allevamento nei capannoni trovati non conformi; sospensione che sarà effettuata a fine ciclo produttivo e comunque non oltre il 30 giugno 2013 e sino all'adeguamento».
  Pertanto, allo stato attuale, tutti gli allevamenti utilizzanti gabbie non modificate, hanno subito la suddetta sospensione e le uova prodotte dalle aziende coinvolte non possono essere messe in commercio e, quindi, etichettate.
  Tutte le note prodotte da questo Ministero sull'argomento sono state messe a disposizione della Corte di giustizia dell'Unione europea, come difesa nei confronti del procedimento giurisdizionale della procedura d'infrazione.
  Infatti, come ricordato dal Dicastero delle politiche agricole, alimentari e forestali, la Commissione europea, dopo aver aperto la procedura di infrazione 2011/2231 nei confronti del nostro Paese per la non corretta applicazione della direttiva 1999/74/CE (recepita con decreto legislativo n. 267/2003), il 22 giugno 2012 ha invitato l'Italia ad adottare le misure necessarie per adeguarsi alle norme di protezione previste dalla direttiva in questione.
  In esito alla procedura di infrazione citata, la legge concernente l'adempimento degli obblighi derivanti dalla appartenenza dell'Italia all'Unione europea (legge europea 2013), ha previsto una specifica disposizione volta a disciplinare le sanzioni relative alla materia della protezione delle galline ovaiole e alla registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento.
  Per quanto concerne la commercializzazione delle uova destinate al consumo umano, lo stesso Dicastero ricorda che tale attività deve avvenire secondo le disposizioni impartite con il decreto ministeriale 11 dicembre 2009 (emanato in attuazione dei regolamenti (CE) n. 1234/2007 e n. 589/2008), in base al quale tutte le operazioni devono svolgersi nel rispetto della direttiva 1999/74/CE.
  Gli operatori che eludono le disposizioni indicate dalla normativa sulla commercializzazione delle uova, incorrono nelle norme sanzionatorie previste dalla legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008).

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   GAGNARLI, GALLINELLA, PAOLO BERNINI, BUSTO, DAGA, CRISTIAN IANNUZZI, LIUZZI, DELL'ORCO, SIBILIA, SCAGLIUSI, ZOLEZZI, DE ROSA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, AGOSTINELLI, CORDA, RIZZO, FRUSONE, ARTINI, ALBERTI e BASILIO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come previsto dalla direttiva 2008/120/CE sulla protezione dei suini è fatto divieto in tutti gli Stati membri dell'Unione europea di allevare le scrofe in gabbie di gestazione, ad eccezione delle prime quattro settimane di gravidanza e della settimana prima del parto;
   la citata direttiva è stata recepita in Italia dal decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 122, recante «Attuazione della direttiva 2008/120/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini»; il provvedimento è entrato in vigore il 3 agosto 2011 e dal 1° gennaio 2013 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative dovevano essere già state applicate a tutte le aziende che si occupano dell'allevamento e dell'ingrasso dei suini;
   le gabbie di gestazione sono vietate in Svezia già dal 1994 e nel Regno Unito dal 1999 e undici Stati membri (Austria, Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Romania, Slovacchia, Svezia e Regno Unito) hanno confermato di essere pienamente conformi dal 1° gennaio 2013 alla disposizione dell'articolo 3, paragrafi 4 e 9, della direttiva 2008/120/CE;
   queste gabbie restringono il movimento delle scrofe, che riescono soltanto ad alzarsi e sdraiarsi per l'esiguo spazio a disposizione, e sono tenute in ambienti spogli senza alcuna possibilità di grufolare ed esplorare liberamente, di rotolarsi, di usare la lettiera per riscaldarsi, di praticare i movimenti tipici che precedono il parto; si tratta di una impossibilità che genera negli animali malessere e frustrazione e che provoca atteggiamenti di aggressività come, ad esempio, mordere le gabbie, atteggiamenti che delineano mancato adattamento a spazi inadeguati;
   la Commissione europea ha recentemente inviato nei confronti di 9 Paesi (Belgio, Cipro, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Polonia e Portogallo) una lettera con la quale si contestano lacune nell'implementazione della citata direttiva 2008/120/CE manifestando l'intenzione di «..avviare delle procedure di infrazione contro gli Stati membri che non applicano la direttiva 2008/120/CE che stabilisce norme minime per la protezione dei suini»;
   in Italia si stima che circa la metà degli allevamenti non abbia ancora provveduto a mettersi in regola, nonostante il formale recepimento della direttiva 2008/120/CE con decreto legislativo 7 luglio, n. 122, lamentando costi eccessivi per l'adeguamento delle strutture –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per garantire la piena e concreta applicazione della direttiva 2008/120/CE;
   quali siano stati i risultati delle ispezioni che fino ad oggi il Ministero della salute, nell'ambito della propria competenza, ha disposto nei confronti degli allevamenti di suini per accertare l'osservanza delle disposizioni del decreto legislativo 7 luglio, n. 122, anche alla luce delle comunicazioni che il Ministero dovrà fornire alla Commissione riguardo gli esiti delle citate ispezioni ai sensi del comma 3 dell'articolo 6 del decreto di recepimento della direttiva 2008/120/CE. (4-00450)

  Risposta. — In merito all'applicazione, negli allevamenti italiani di suini da riproduzione, dei criteri strutturali degli allevamenti suinicoli previsti dalla direttiva del Consiglio 2008/120/CE, si segnala che il Ministero della salute ha richiesto ai servizi veterinari regionali, in due occasioni, di far svolgere ai veterinari ufficiali delle Aziende sanitarie locali una ricognizione direttamente negli allevamenti, per rilevare la situazione effettiva delle singole strutture proprio rispetto ai criteri di benessere sanciti dalla direttiva.
  Si è trattato, in particolare, di verificare l'adeguamento degli allevamenti di suini da riproduzione al principio del «
group housing», cioè dell'allevamento in gruppo delle scrofe e non più in gabbia (ad eccezione del periodo corrispondente ad una parte della gestazione e al parto), anche perché la Commissione europea, di concerto con gli Stati membri, ha inteso procedere solo su questo aspetto rispetto a tutti gli altri parametri di benessere contenuti nella direttiva.
  Tali ricognizioni, che hanno interessato l'intero territorio nazionale, sono state realizzate sia per acquisire informazioni sulla situazione a livello nazionale antecedente all'entrata in vigore della direttiva, sia per soddisfare le richieste della Commissione, che ha utilizzato i dati per le sue valutazioni sulle eventuali procedure di infrazione da attivare a carico degli Stati membri.
  Il primo giro ispettivo ha permesso di raccogliere i dati fino al 30 giugno 2011 e l'analisi dei medesimi ha mostrato i seguenti risultati:
   il 56,89 per cento degli allevamenti con 10-99 scrofe rispettava i criteri della direttiva 2008/120/CE per quanto attiene al «
group housing»;
   il 49,22 per cento degli allevamenti con 100-249 scrofe rispettava i criteri della direttiva 2008/120/CE per quanto attiene al «
group housing»;
   il 41,08 per cento degli allevamenti con 250-749 scrofe rispettava i criteri della direttiva 2008/120/CE per quanto attiene al «
group housing»;
   il 41,86 per cento degli allevamenti con 750 e più scrofe rispettava i criteri della direttiva 2008/120/CE per quanto attiene al «
group housing»;
   globalmente il livello di «
compliance» alla direttiva per il «group housing» degli allevamenti da riproduzione di suini, in Italia, corrispondeva fino al 30 giugno 2011 al 51,51 per cento.

  Il secondo giro ispettivo ha raccolto i dati fino al 31 agosto 2012 e l'analisi degli stessi ha prodotto i seguenti risultati:
   il numero di aziende nella classe 10-99 scrofe è aumentato di 231 unità e il grado di «
compliance» è passato dal 56,89 per cento al 79,46 per cento. Questo dato è risultato in netta controtendenza con quanto registrato negli altri Stati membri dell'Unione europea dove, in questa classe di numerosità degli allevamenti (10-99 scrofe), si è registrata la minore percentuale di allineamento ai criteri della direttiva;
   il numero di aziende nella classe 100-249 scrofe è diminuito di 14 unità e il grado di «
compliance» è passato dal 49,22 per cento al 52,10 per cento;
   il numero di aziende nella classe 250-749 scrofe è diminuito di 45 unità e il grado di «
compliance» è passato dal 41,08 per cento al 45,7 per cento;
   il numero di aziende nella classe 750 e più scrofe è diminuito di 44 unità e il grado di «
compliance» è passato dal 41,86 per cento al 47,95 per cento;
   globalmente il livello di «
compliance» è incrementato dal 51,51 per cento al 68,51 per cento;
   i dati di stima, richiesti espressamente dalla Commissione dell'Unione europea su quella che avrebbe potuto essere la situazione del «
group housing» in Italia alla fine dell'anno 2012 hanno mostrato che il livello di «compliance» sarebbe risultato pari al 91,56 per cento.

  Sulla base di queste rilevazioni, il 23 novembre 2012, in risposta alla prima richiesta di informazioni della Commissione europea, il Ministero della salute ha richiesto alla Commissione di non attivare nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione per mancata attuazione della direttiva 2008/120/CE inerente le norme minime sulla protezione dei suini.
  Tale richiesta è stata accolta dalla Commissione anche se, ad oggi, è aperto un negoziato con la direzione generale per la salute e la politica dei consumatori della stessa Commissione europea, in forma di scambio di note e di informazioni, in relazione al fatto che la Commissione richiede l'allineamento «rapido» delle sia pur residue strutture ancora non a norma per ciò che concerne il «
group housing».
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   GIACHETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul sito internet http://www.autistici.org/macerie/?p=29568 viene riportato un episodio risalente allo scorso venerdì avvenuto nel Centro di identificazione ed espulsione di Trapani Milo, in cui un recluso sarebbe stato brutalmente picchiato da alcuni poliziotti di guardia;
   dopo una visita medica — nella quale si sarebbero giudicati non gravi gli effetti del pestaggio — il direttore del centro, stando alle testimonianze, avrebbe tentato di placare gli animi invitando alla pazienza i reclusi i quali, per tutta risposta, avrebbero iniziato una serie di forme di protesta (dal digiuno alla salita sui tetti del Centro di identificazione ed espulsione) contro simili trattamenti;
   a giudizio dell'interrogante le fotografie del volto dell'uomo e l'episodio in questione meritano un chiarimento urgente –:
   se corrisponda al vero quanto riportato nel succitato articolo e, in caso affermativo, quali iniziative si intendano assumere perché sia garantita, nel rispetto dei dritti fondamentali dell'individuo, l'assoluta incolumità di quanti permangono nei centri di identificazione e di espulsione, affinché episodi di tale gravità non abbiano più a ripetersi. (4-00519)

  Risposta. — L'episodio a cui si fa riferimento nel testo dell'interrogazione ha coinvolto il cittadino tunisino Fathi Derbeci, che si trovava nel Centro di identificazione ed espulsione di Trapani Milo in quanto destinatario di un provvedimento di espulsione.
  Il 17 maggio 2013, nel corso di una visita odontoiatrica a cui era stato sottoposto presso l'ospedale locale, l'interessato ha manifestato comportamenti violenti, sia nei confronti degli operatori di polizia che del personale sanitario, fino a sferrare pugni contro i mobili che arredavano la stanza del medico.
  Tale atteggiamento aggressivo ha indotto il personale di polizia a riaccompagnarlo nel Cie, tramite l'ambulanza messa a disposizione dal gestore del centro. Durante il trasferimento, il cittadino tunisino ha colpito con un calcio l'autista del mezzo di soccorso; perciò, per prevenire ulteriori incidenti, gli agenti hanno ritenuto opportuno trasportarlo sull'autovettura di servizio.
  Nel corso del trasferimento verso il centro, Fathi Derbeci ha colpito uno degli agenti con una testata e con calci alle gambe; inoltre, una volta giunto a destinazione, ha aggredito ancora uno degli operatori. L'agente di polizia è stato medicato per ematoma, escoriazioni allo zigomo e trauma al fianco, ed è stato giudicato guaribile in cinque giorni, mentre lo straniero ha rifiutato le cure del personale sanitario.
  In relazione a tale episodio il cittadino tunisino – che aveva già manifestato comportamenti violenti in occasione di un altro accompagnamento presso il locale nosocomio, il 7 maggio 2013 – è stato denunciato per i reati di minaccia a pubblico ufficiale, lesioni personali e danneggiamento aggravato. Ai fini di una precisa ricostruzione dei fatti, le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza installato presso il Cie sono state inviate all'autorità giudiziaria, che ha aperto un'indagine.
  Nelle giornate successive, alcuni migranti hanno messo in atto uno sciopero della fame, per protestare contro la lunghezza dei tempi di trattenimento. Inoltre, il 1o giugno 2013 hanno attuato una violenta rivolta, nel corso della quale alcuni di essi, incluso lo stesso Derbeci, si sono allontanati dalla struttura, facendo perdere le proprie tracce.
  Al di là delle particolari condizioni del centro di Trapani Milo, le criticità recentemente riscontrate nella gestione dei Cie mostrano chiaramente che sussiste l'esigenza di rivedere alcune modalità del loro funzionamento, al fine di assicurare migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza, sia per gli ospiti che per gli operatori.
  Sotto il profilo amministrativo, compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico, affinché i centri per l'immigrazione siano gestiti con la massima trasparenza ed efficienza, nel pieno rispetto delle condizioni igienico-sanitarie. Ulteriori iniziative – come il rafforzamento dell'attività di identificazione espletata già in carcere, nei confronti dei cittadini stranieri che giungono nei Cie dopo un periodo di detenzione – potranno essere attentamente valutate con le altre amministrazioni coinvolte. Eventuali percorsi normativi, invece, dovranno essere necessariamente approfonditi in sede parlamentare.
  Tutti gli interventi saranno comunque indirizzati a garantire che l'accoglienza e l'identificazione avvengano sempre nel pieno rispetto dei diritti e della dignità dei cittadini stranieri che entrano nel nostro Paese.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   GIULIETTI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, sono state emanate precise disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, con conseguente decadenza dagli incarichi ricoperti;
   la norma non prevedendo espressamente un regime transitorio di entrata in vigore delle disposizioni ivi previste, sembra incidere di fatto su situazioni consolidatesi nel pieno rispetto del quadro legislativo allora vigente, prima dell'entrata in vigore del decreto medesimo, con gravi conseguenze sui delicati equilibri degli organi elettivi dei comuni;
   la CIVIT, con le delibere n. 46, 47 e 48 del 27 giugno 2013, ha formalizzato il proprio orientamento sulle questioni applicative sollevate dal decreto legislativo n. 39 del 2013, ivi compreso il regime transitorio, ritenendo che le nuove ipotesi di incompatibilità disciplinate dalla norma trovino applicazione anche agli incarichi in essere alla data di entrata in vigore dal decreto e dunque affidati sotto l'egida del previdente regime –:
   se, in assenza della previsione del regime transitorio, le incompatibilità previste dal decreto legislativo n. 39 del 2013 operino sin da subito anche per le situazioni esistenti alla data di entrata in vigore della legge, oppure si applichino soltanto alle cariche ed agli incarichi sorti a partire dalla entrata in vigore della norma, in ossequio al principio generale del nostro ordinamento per cui tempus regit actum;
   se, più in particolare, dalla tesi dell'applicabilità della legge alle situazioni in essere prima dell'entrata in vigore della legge, possa discendere la conseguenza di non tenere conto che i rapporti giuridici coinvolti sono scaturiti da atti adottati di regola all'esito di un procedimento o, comunque, di una procedura di natura privatistica, i quali hanno acquisito efficacia sotto il vigore della precedente disciplina, considerato che, in proposito, la giurisprudenza amministrativa in più occasioni ha richiamato l'applicazione del principio tempus regit actum quale criterio su cui si conforma l'azione dell'amministrazione, lo svolgimento dei procedimenti e l'adozione dei provvedimenti conclusivi (Cons. Stato, n. 1511/2013, Cons. Stato 1458/2009, Cons. Stato, sezione V 495/2006);
   se non si finirebbe per attribuire alla norma un valore retroattivo non espressamente previsto che si porrebbe, tra l'altro, in netto contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, quali innanzitutto il diritto, costituzionalmente garantito, di accesso alle cariche elettive in condizioni di parità (basti pensare, a titolo meramente esemplificativo, al caso di un sindaco eletto nelle elezioni amministrative del 2009, che incorra in una situazione di incompatibilità e rassegni le proprie dimissioni: ciò comporterebbe, a termini dell'articolo 53 del decreto legislativo n. 267 del 2000, lo scioglimento del consiglio comunale e la contestuale nomina di un commissario;
   se quanto esposto al punto precedente non configurerebbe, di fatto, una forma surrettizia di limitazione dell'elettorato passivo che si porrebbe in netto contrasto con il dettato costituzionale e con l'orientamento giurisprudenziale corrente, secondo il quale le norme sopravvenute riguardanti i diritti soggettivi afferenti i titolari di cariche pubbliche elettive trovano applicazione alla scadenza del mandato elettivo considerato che:
    a) quello dell'elettorato passivo costituisce un diritto «riconducibile nell'ambito dei diritti inviolabili di cui all'articolo 2 della Costituzione» (sentenza n. 571/1989);
    b) a norma dell'articolo 51 della Costituzione «l'eleggibilità è la regola, l'ineleggibilità l'eccezione» (cfr. sentenze nn. 46/1969, 235/1988, 510/1989);
    c) le cause di ineleggibilità, derogando al principio costituzionale della generalità del diritto elettorale passivo, sono di stretta interpretazione e devono comunque rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire la soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse cui sono ordinate. (4-01247)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame con cui vengono richiesti chiarimenti in merito all'applicabilità temporale delle disposizioni, contenute nel decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in materia di incompatibilità e inconferibilità delle nomine dirigenziali all'interno delle pubbliche amministrazioni.
  In via preliminare, si fa presente che il sistema, disegnato dal decreto legislativo n. 39 del 2013, è volto a prevenire fenomeni di corruttela e di conflitto di interesse, impedendo a chi ricopre incarichi amministrativi di vertice e incarichi dirigenziali – che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione che conferisce l'incarico – l'assunzione o il mantenimento, nel corso dell'incarico, di incarichi in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione di appartenenza.
  Nel merito, si segnala che sulla questione è intervenuto il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito, con modificazione, nella legge 9 agosto 2013, n. 98.
  L'articolo 29-
bis del citato decreto, recante disposizioni transitorie in materia di incompatibilità, stabilisce in particolare che «le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 3, primo periodo, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, non si applicano alle cariche elettive di natura monocratica relative ad organi di governo di enti pubblici territoriali con popolazione tra 5.000 e 20.000 abitanti, le cui elezioni sono state svolte prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto».
  Nel merito, l'articolo 13, comma 3, primo periodo, del decreto-legge n. 138/2011 prevede che «le cariche di deputato e di senatore, nonché le cariche di governo di cui all'articolo 1, comma 2, della citata legge n. 215 del 2004 (vale a dire il Presidente del Consiglio, i Ministri e Vice Ministri, i sottosegretari di Stato e commissari straordinari del Governo) sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti...».
  L'articolo 29-
ter del citato decreto, recante disposizioni transitorie in materia di incompatibilità, stabilisce in particolare che «In sede di prima applicazione, con riguardo ai casi previsti dalle disposizioni di cui ai capi V e VI del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, gli incarichi conferiti e i contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo in conformità alla normativa vigente prima della stessa data, non hanno effetto come causa di incompatibilità fino alla scadenza già stabilita per i medesimi incarichi e contratti».
  Per quanto riguarda, pertanto, il momento dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, va osservato che il regime delle nuove incompatibilità può trovare applicazione esclusivamente a partire dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 39 del 2013 (4 maggio 2013).

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel nord la maggior parte dei vigili del fuoco sono volontari;
   difatti, molti distaccamenti dei vigili del fuoco in questa parte del Paese garantiscono il servizio di emergenza grazie ai vigili del fuoco volontari;
   i vigili del fuoco volontari vengono formati attraverso dei corsi della durata di 120 ore;
   la carenza di tali corsi compromette l'attività dei distaccamenti, che rischiano quindi di chiudere in mancanza di vigili del fuoco volontari formati;
   l'eventuale problema dei costi di questi corsi di preparazione può essere risolto attraverso l'organizzazione dei corsi direttamente presso i distaccamenti volontari, attraverso idonea garanzia e responsabilità del comandante dei vigili del fuoco volontari di ciascun distaccamento e successivo esame presso il comando provinciale –:
   se il Ministro non ritenga opportuno salvaguardare i distaccamenti dei vigili del fuoco volontari attraverso la promozione dei corsi formativi di 120 ore rivolti ai vigili del fuoco volontari. (4-00716)

  Risposta. — Fin dalla sua istituzione, nel 1941, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è composto sia da personale permanente che volontario. A differenza di quello permanente, il personale volontario non è vincolato da un rapporto di impiego con l'amministrazione ed è chiamato a svolgere i propri compiti temporaneamente, secondo quanto indicato dal Capo II del decreto legislativo n. 139 del 2006.
  La diversità delle tradizioni locali ha determinato una diffusione disomogenea dei distaccamenti volontari dei vigili del fuoco sul territorio; in base a una recente ricognizione, infatti, nelle regioni del nord se ne contano 233 – con un'elevata concentrazione nelle province di Torino, Belluno e Cuneo – e dunque oltre il 70 per cento rispetto al totale dei 326 presenti sull'intero territorio nazionale. Nel corso del 2012, i 233 distaccamenti volontari hanno effettuato, in autonomia o con il supporto delle squadre permanenti, oltre 35 mila interventi, pari a circa l'11 per cento del totale degli interventi svolti dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco nelle regioni in esame.
  La disciplina delle procedure per il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è attualmente regolamentata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004. In particolare, l'articolo 2 prevede l'istituzione di un unico elenco del personale volontario (vigili volontari discontinui e vigili volontari utilizzati presso i distaccamenti volontari) presso ciascun comando provinciale, mentre l'articolo 18 definisce le modalità del loro impiego.
  Risulta evidente, pertanto, l'imprescindibile esigenza di assicurare l'operatività dei distaccamenti volontari esistenti, favorendo anche lo sviluppo di nuove sedi, specie in quegli ambiti territoriali caratterizzati da particolari situazioni orografiche, dove, altrimenti, sarebbe difficilmente possibile garantire il soccorso tecnico urgente alla popolazione entro tempi accettabili.
  Al fine di una corretta pianificazione territoriale dei nuovi reclutamenti del personale volontario, la legge n. 183 del 2011 ha previsto, tra l'altro, l'emanazione di un piano programmatico con cadenza triennale, che stabilisce il contingente massimo dei nuovi reclutamenti a domanda per ciascun comando provinciale dei vigili del fuoco.
  Sulla base delle criticità emerse nelle diverse realtà territoriali, il Ministero dell'interno ha provveduto a comunicare le prime indicazioni in materia, per rispondere alle esigenze operative dei distaccamenti volontari presenti sul territorio provinciale.
  Entro tale quadro, i comandanti provinciali e direttori regionali dei vigili del fuoco avviano i processi di formazione e, dove necessario, di reclutamento del personale volontario al fine di garantire l'operatività dei distaccamenti volontari.
  I vigili volontari a domanda devono superare un corso di formazione iniziale a carattere teorico-pratico della durata di 120 ore. Tali corsi sono tenuti da formatori e istruttori che fanno parte del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; inoltre si svolgono nei comandi provinciali di appartenenza durante l'orario di lavoro e pertanto, senza alcun onere per l'Amministrazione (articolo 28 decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004). L'utilizzo di istruttori professionali abilitati in servizio permanente risulta preferibile anche al fine di garantire uniformità negli interventi formativi e standard qualitativi equivalenti su tutto il territorio nazionale.
  Infine, per rendere maggiormente fruibile e attuabile l'attività di formazione del personale volontario, è allo studio l'ipotesi di istruire gli aspiranti vigili volontari anche attraverso la formazione a distanza. In questo modo, le conoscenze teoriche verrebbero acquisite dagli aspiranti tramite postazioni internet private, in orari completamente discrezionali e commisurati alle esigenze lavorative individuali. La preparazione dei singoli potrebbe essere valutata attraverso verifiche periodiche intermedie e valutazioni finali: in tal modo, al personale istruttore professionale sarebbe demandata l'organizzazione diretta dei soli corsi di formazione pratica.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le acciaierie di Terni sono una risorsa importante per il Nord e per l'Umbria, contribuendo da sole a circa il 20 per cento del prodotto interno lordo regionale;
   circa un anno fa sono state cedute dalla TK Tyssen Krupp Acciai speciali Terni al gruppo finlandese Outokumpu, che si è impegnato a rilanciarne l'operatività;
   l'annuncio da parte del gruppo finlandese di voler mettere sul mercato il sito industriale di Terni per ottenere il via libera da parte dell’Antitrust europeo all'acquisizione della Inoxum, ha messo in stato di forte agitazione le organizzazioni sindacali e i lavoratori dell'acciaieria di Terni che vedono a rischio il posto di lavoro;
   la cessione dell'ATS, che oltre ad essere il fiore all'occhiello dell'Umbria è anche un sito strategico per l'economia italiana, appare molto probabile in quanto rappresenta, secondo l'azienda, l'unica soluzione ad evitare la concentrazione del mercato di acciaio inossidabile, la quale rappresenta per l'Unione europea un ostacolo alla libera concorrenza;
   le organizzazioni sindacali esprimono forte preoccupazione sulle decisioni relative al nuovo progetto di sviluppo delle acciaierie di Terni, ritenendole dannose per i lavoratori, peraltro esclusi da qualsiasi conoscenza e decisione, e peggiorative del quadro industriale di riferimento;
   il pericolo reale è che il sito AST di Terni potrebbe essere svenduto a qualche fondo di investimento cinese o americano, che, non avendo alcun interesse ad investire in questa importante realtà produttiva, a sua volta potrebbe smembrarlo e cederlo al miglior offerente –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e quali iniziative intenda adottare nell'immediato per salvaguardare l'operatività della storica industria umbra dell'acciaio e i livelli occupazionali. (4-00816)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico segue le vicende della «Acciai Speciali Terni – AST», da ben prima che questo importante stabilimento italiano fosse acquisito da Thyssen Krupp e, in più occasioni, è stato determinante nell'evitare che le difficoltà si trasformassero in crisi irreversibili.
  Un momento molto critico è stato senza dubbio anche quello che ha coinvolto AST nel processo di dismissione della produzione di acciai speciali (raggruppata nella subholding «Inoxium») messo in atto nel 2010 da Thyssen Krupp.
  Come noto, l'acquisizione assai onerosa di «Inoxium» ha visto prevalere «Outokumpu», ovvero la principale concorrente europea della casa tedesca.
  Con questa acquisizione, «Outokumpu» si è trovata in posizione dominante sul mercato europeo (oltre 50 per cento), ma non su quello mondiale, dove occupa una quota attorno al 20 per cento)
  La posizione dominante di Outokumpu ha indotto la Commissione europea alla concorrenza a richiedere alla casa finlandese la cessione di alcuni asset, fra i quali il più importante è senza dubbio AST. La procedura di cessione è stata avviata a novembre 2012 e, a partire da quella data, è stato prescritto ad «Outokumpu» di portarla a compimento entro i successivi 6 mesi.
  Molte sono state le manifestazioni di interesse, ma poche società hanno formulato, al momento opportuno, una offerta vincolante. Fra queste va citata certamente «Aperam» che, in accordo con due importanti gruppi siderurgici italiani (Marcegaglia ed Arvedi), ha formulato una offerta economica corredata da un piano industriale.
  «Aperam», controllata da componenti della famiglia indiana Mittal, è anche un'impresa industriale che detiene, prima della acquisizione di AST, una quota attorno al 15 per cento del mercato europeo dell'acciaio inossidabile: tale quota, sommata alla capacità produttiva della nuova acquisizione, la porterebbe verso un market share di circa il 25 per cento.
  Outokumpu ha però valutato non adeguate (principalmente per ragioni strettamente economiche) le offerte ricevute e, mentre continua a confrontarsi con più soggetti, ivi compresi anche i fondi di investimento, ha richiesto continui spostamenti del termine iniziale di 6 mesi entro il quale concludere la cessione. Si è così creata una situazione assai critica dal momento che AST si trova continuamente in uno stato di incertezza nell'ambito di un mercato già di per sé difficile e non bastano, a questo proposito, le continue rassicurazioni della proprietà finlandese sul rispetto degli obblighi imposti dalla Commissione europea a garantire sostegno finanziario e a non interferire sulla azione commerciale della azienda ternana.
  È evidente che AST è nella pratica impossibilità di svolgere adeguate e autonome iniziative per fare investimenti, acquisire nuove quote di mercato e adeguare la propria struttura organizzativa.
  Per queste ragioni il Governo italiano è più volte intervenuto in tutte le sedi ed ai diversi livelli della Unione europea con una costante azione finalizzata a sollecitare la conclusione di una operazione che sta creando molti problemi ad una parte molto importante della nostra siderurgia. In questo contesto il Governo, come richiama l'interrogante, ha ricordato nelle forme adeguate la necessità non solo che la vendita sia effettuata senza ulteriore indugio, ma ha indicato l'auspicio che avvenga in favore di una realtà industriale, possibilmente europea, che possa favorire una operazione di consolidamento della nostra industria siderurgica, già esposta alla competizione molto aggressiva dei produttori asiatici.
  Nei recentissimi incontri con i vertici della Comunità europea, il nostro Presidente del Consiglio ed il Ministro dello sviluppo economico sono tornati a richiamare la necessità che Outokumpu concluda la vendita ed espliciti le ragioni dei continui rinvii; il Presidente della Commissione europea ha confermato l'impegno a favorire una rapida soluzione.
  È evidente che in mancanza di fatti concludenti, il Governo italiano solleverà la questione in modo sempre più energico, dal momento che il nostro Paese non può permettere che AST, una impresa di grande valore economico e strategico, sia logorata da un comportamento non accettabile e determinato da scelte che hanno fin qui coinvolto aziende di altri Paesi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   GUIDESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che 
   il progetto di «Variante di Casalpusterlengo ed eliminazione del passaggio a livello sulla SP ex SS 234», sulla SS 9-via Emilia, è di competenza di ANAS spa ed è finalizzato ad alleggerire l'attraversamento del traffico dall'abitato di Casalpusterlengo;
   attualmente, infatti, il centro urbano di Casalpusterlengo è attraversato da circa 20 mila veicoli di cui il 15 per cento è costituito da mezzi pesanti, con evidenti ripercussioni negative sulla qualità dell'aria e sul clima acustico dell'area;
   la nuova strada, in variante alla strada statale 9 «Via Emilia», ha una sezione a doppia carreggiata con due corsie per senso di marcia; il tracciato parte dal cavalcavia sulla ferrovia Milano – Bologna, a nord della frazione Zorlesco, corre ad ovest dell'abitato di Casalpusterlengo scavalcando la ferrovia Pavia-Cremona e si conclude a nord di Codogno, dove si connette al tratto già riqualificato in direzione Piacenza;
   la lunghezza complessiva è di 9,9 chilometri, oltre ad una bretella di 1,4 chilometri di collegamento all'attuale sede della strada statale 9;
   il progetto della Variante di Casalpusterlengo è stato dichiarato compatibile dal punto di vista ambientale, con prescrizioni, con il decreto di compatibilità ambientale del 20 giugno 2003 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali;
   il progetto è stato adeguato alle prescrizioni e sottoposto alla Commissione Tecnica VIA/VAS si è espressa con i Pareri n. 441 del 16 aprile 2010 e n. 513 del 5 agosto 2010;
   a seguito della Conferenza dei Servizi del 28 aprile 2010 sono state introdotte variazioni progettuali sottoposte a verifica di assoggettabilità; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,e del mare, con atto n. 26438 del 31 ottobre 2012, ha determinato la non assoggettabilità delle modifiche progettuali alla procedura di VIA;
   infatti le modifiche progettuali sono state valutate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come «miglioramento complessivo» poiché «non comportano impatti significativi e negativi rispetto al precedente progetto ma, anzi, ne costituiscono una razionale ottimizzazione»;
   l'opera è inserita, per un importo di 85.280.413, nel contratto di programma fondi ordinari appaltabilità 2007-2011 di ANAS S.p.A. – Appaltabilità 2008;
   l'opera risulta prioritaria nel quadro programmatorio regionale per le opere di competenza statale;
   la competenza per la progettazione è stata assunta dalla provincia di Lodi e dal Comune di Casalpusterlengo sulla base di apposita convenzione stipulata con ANAS in data 4 novembre 2009;
   l'opera verrà realizzata sulla base del progetto definitivo da sottoporre ad appalto integrato ai sensi del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   allo stato attuale, il quadro economico prevede un importo complessivo dell'opera pari a 126.000.000 euro; tale importo deve essere sottoposto ad aggiornamento essendo riferito al prezziario ANAS 2010;
   gli elaborati progettuali sono attualmente in stato di adeguamento agli esiti dell'istruttoria che ANAS ha formulato nel gennaio 2012, nelle more di finanziamento della campagna geognostica integrativa;
   una volta adeguato il progetto dovrà essere sottoposto a conferenza di servizi presso il provveditorato interregionale alle opere pubbliche della regione Lombardia e della regione Liguria e, successivamente, dovrà essere approvato e finanziato da ANAS S.p.A.;
   contestualmente alla conferenza dei servizi definitiva dovrà essere acquisita la verifica di ottemperanza del progetto al decreto Via del 2003 e successive modificazioni;
   pertanto l'iter progettuale si presenta completo nelle sue parti, soprattutto l'opera è stata valutata positivamente dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, tuttavia non sussistono ancora certezze sull'inserimento della medesima opera tra i progetti finanziabili nella programmazione dell'ANAS –:
   se il progetto della «Variante di Casalpusterlengo ed eliminazione del passaggio a livello sulla SP ex SS 234», sulla strada statale 9-via Emilia, sia stato inserito nella programmazione dell'ANAS, tra i progetti finanziabili, e quali tempi si prevedono per l'inizio dei lavori e la realizzazione dell'opera. (4-01239)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il 4 novembre 2009 la provincia di Lodi, il comune di Casalpusterlengo e la società Anas hanno sottoscritto una convenzione nella quale è contenuto l'impegno di redigere il progetto definitivo per l'appalto integrato della variante di Casalpusterlengo, lungo la strada statale 9 «Via Emilia».
  L'intervento, inserito nel piano degli investimenti Anas 2007-2011 «fondi ordinari», ha un costo presunto di circa 126 milioni di euro, come evidenziato anche dall'onorevole interrogante, tuttavia, ad oggi non risulta disponibile alcuna copertura finanziaria.
  Le procedure di gara per l'appalto integrato – affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dei lavori – potranno, quindi, essere avviate dall'Anas solo quando verrà ultimata la revisione del progetto definitivo da parte della provincia e del comune, sarà completato l’iter autorizzativo del progetto con la conferenza dei servizi e verranno stanziati i finanziamenti necessari.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   LACQUANITI, PELLEGRINO, DI SALVO, ZAN, ZARATTI, MELILLA e NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   tra i Siti da bonificare di interesse nazionale, sono incluse le aree del comune di Brescia che sono state interessate da contaminazione diffusa da policlorobifenili (PCB), PCDD-PCDF, arsenico e mercurio, derivanti, principalmente, dalle attività pregresse dello stabilimento chimico Caffaro spa, che hanno prodotto un disastro ambientale;
   fino al 1984 l'azienda Caffaro di Brescia è stata impegnata nella produzione di policlorobifenili (PCB) avviata negli anni ’30, su concessione della multinazionale Monsanto, titolare del brevetto;
   la produzione bresciana di policlorobifenili ha raggiunto livelli considerevoli proprio a ridosso degli anni ’80;
   dagli anni ’70 viene riconosciuta la pericolosità dei PCB, vengono riconosciute le loro potenzialità tossiche e la loro capacità di attecchire sul DNA umano; più in particolare l'esposizione ai PCB al di sopra dei limiti evidenziati dalla ricerca medico-scientifica e definiti dal legislatore, ha effetti patogeni di vario tipo: alterazioni al funzionamento di fegato e pancreas, alterazioni a carico del sistema immunitario, fino al loro grave e riconosciuto effetto cancerogeno (IARC 2013);
   nel 1979 il Congresso degli Stati Uniti ne vieta la produzione sul proprio territorio e la multinazionale Monsanto cessa definitivamente la produzione;
   in Italia nel 1982 con il decreto del Presidente della Repubblica n. 915, nel 1988 con il decreto del Presidente della Repubblica n. 261 e nel 1992 con il decreto legislativo n. 22 vengono posti limiti sempre più restrittivi all'uso dei policlorobifenili;
   il decreto legislativo n. 209 del 1999 recepisce la direttiva 96/59 della Comunità europea che regola lo smaltimento di policlorobifenili e definisce i controlli a carico degli impianti di smaltimento;
   negli ultimi 15 anni ripetute inchieste giornalistiche e pubblicazioni a carattere divulgativo mettono in luce le esposizioni prolungate cui sono stati sottoposti nel tempo i lavoratori della Caffaro di Brescia impiegati nella produzione dei PCB, senza che fossero a conoscenza della loro estrema pericolosità;
   le ricerche mettono in luce anche come alla Caffaro di Brescia fossero assenti le procedure minimali di protezione nei processi d'immagazzinamento con sversamenti incontrollati e prolungati sul suolo dello stabilimento; il terreno sarebbe stato sottoposto a sversamenti per svariati decenni, per cui è ragionevole ritenere che anche attraverso tale via le sostanze inquinanti abbiano raggiunto la falda; inoltre, le acque di scarico dello stabilimento, cariche di PCB e di altre sostanze tossiche, essendo recapitate direttamente nelle acque superficiali delle rogge, sono state per decenni utilizzate per l'irrigazione dei campi a valle della Caffaro e quindi penetrate nella catena alimentare umana;
   le ricerche effettuate dall'ARPA di Brescia su mandato del Comune di Brescia denunciano come i valori d'inquinamento ambientale nei terreni siano superiori anche di 5000 volte quelli normali fissati dal decreto ministeriale n. 471 del 1999 (livelli per le aree residenziali pari a 0,001 mg/kg, successivamente modificato in 0,060 mg/kg); altre ricerche effettuate dall'ASL di Brescia riportano nei cittadini residenti presso i terreni interessati, valori anche 10/20 volte maggiori quelli normali di assorbimento a carico dell'organismo umano; in particolare emerge che l'assorbimento avviene soprattutto a mezzo dell'assunzione di alimenti di origine vegetale ed animale, prodotti nel tempo nell'area interessata dalla produzione della Caffaro e nelle immediate vicinanze;
   Legambiente e il Comitato contro la Caffaro presentano nel 2001 un esposto alla Magistratura; successivamente viene presentata denuncia di disastro ambientale alla Procura della Repubblica di Brescia;
   nell'area interessata dalla produzione della Caffaro di Brescia, dichiarata fra il 2002 e il 2003 «sito di interesse nazionale Brescia Caffaro» e assunta in gestione diretta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini della bonifica, viene imposto a partire dal 2001, con successive ordinanze contingibili ed urgenti dell'allora sindaco di Brescia, Paolo Corsini, tra gli altri, il divieto di coltivazione e produzione di alimenti destinati a uomini e animali; ulteriori ordinanze dell'Amministrazione mirano a bloccare la catena alimentare, anche con l'abbattimento di capi di bestiame; vengono inoltre rivolte ripetute comunicazioni alla popolazione interessata, per illustrare le precauzioni sanitarie da seguire;
   l'amministrazione comunale di Brescia, che dal 2000 ha aperto un procedimento amministrativo verso la società Caffaro e nel corso degli anni ha resistito con successo a numerosi ricorsi al TAR da parte di Caffaro avverso ordini del Comune di varia natura, sempre rivolti a contrastare il pesante inquinamento riscontrato, incarica un legale di seguire l'evolversi delle indagini preliminari avviate dall'autorità giudiziaria per costituirsi parte civile; dopo alterne vicende il pubblico ministero Albritti al termine delle indagini, nel 2007, riconosciuto che lo sversamento del PCB nei terreni e nelle rogge, da cui sarebbe derivato l'inquinamento ambientale, si è interrotto con la fine della produzione nel 1984, chiede che la procedura sia archiviata perché i fatti risultano ormai prescritti; il GIP Carlo Bianchetti respinge la richiesta ed esorta il pubblico ministero a continuare le indagini; tuttavia l'istanza di archiviazione viene accolta nel 2010 dal giudice per le indagini preliminari Ceravone che scrive nel disposto della sentenza: «Quasi tutti i fattori inquinanti erano correlabili a produzioni da tempo dismesse, per il Pcb dal 1984, per il mercurio dal 1997, mentre l'impiego di Tetracloruro di carbonio era cessato nel 2003: è dunque arduo ipotizzare a carico dei legali rappresentanti della società succedutisi condotte penalmente rilevanti, di colpa specifica o generica, e quand'anche dovesse diversamente opinarsi il reato di disastro colposo sarebbe ormai prescritto»;
   la magistratura riconosce altresì che il comune di Brescia, stante l'amministrazione Corsini, non appena ha avuto notizia dei fatti, ha correttamente attivato, per quanto era di sua spettanza, la procedura volta a dare avvio alla bonifica, e messo in atto tramite ordinanze tutte le azioni atte a tutelare la cittadinanza –:
   se in ragione dell'estrema gravità dei fatti e dei tempi prolungati di esposizione ai fattori inquinanti e patogeni da parte di esseri umani e terreni, e al di là dell'esito delle indagini che non ha potuto riconoscere responsabilità di natura penale, non si ritenga di adottare tutte le iniziative volte a fronteggiare la gravissima criticità sanitaria e ambientale delle aree esposte in premessa;
   se conseguentemente non si reputi improcrastinabile attivare tutte le necessarie risorse finanziarie al fine di avviare rapidamente la bonifica dei terreni e della falda idrica che da troppo tempo attende di essere realizzata, con gravissimi rischi per la salute pubblica e per l'ambiente;
   se non si intenda avviare una seria indagine, volta a valutare con certezza le conseguenze sanitarie e ambientali a cui è stata soggetta nel tempo la popolazione, e i rischi attuali a cui è ancora sottoposta, anche attraverso l'attivazione di adeguati e capillari controlli sanitari sulla popolazione interessata, e un serio monitoraggio ambientale delle aree interessate;
   se non si ritenga necessario attivarsi affinché tutti i dati sanitari e ambientali che sono e saranno in possesso dei soggetti istituzionali siano resi pubblici e disponibili per i cittadini. (4-00366)

  Risposta. — Com’è noto agli interroganti, i siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) sono così riconosciuti in funzione delle caratteristiche del sito, degli inquinanti e della loro pericolosità, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali.
  Allo stato, in Italia, essi sono 39, così ridotti a seguito della derubricazione di 18 di essi, dai 57 che erano, a siti di interesse regionale con il decreto ministeriale, Ambiente dell'11 gennaio 2013).
  In particolare, il sito denominato «Brescia-Caffaro (aree industriali e relative discariche da bonificare)» è stato aggiunto, con altri, all'elenco dei SIN già istituiti, con l'articolo 14 della legge n. 179 del 2002.
  Detto sito include le aree del comune di Brescia che sono interessate da contaminazione diffusa da PCB, PCDD-PCDF, arsenico e mercurio, derivanti, principalmente, dalle attività pregresse dello stabilimento chimico «Caffaro S.p.A.», ubicato nello stesso comune, attivo dall'inizio del 1900 nella produzione di vari composti derivati dal cloro, tra cui i policlorobifenili (PCB) dal 1930 al 1984.
  Il perimetro del SIN include, altresì, tre discariche ubicate nei comuni di Castegnato e di Passirano, che sono state utilizzate in passato per lo smaltimento di scarti di produzione da parte della stessa società Caffaro.
  Con riferimento alle principali criticità ambientali, nel sito in argomento si riscontra una contaminazione elevata e diffusa da PCB, PCDD-PCDFD e mercurio soprattutto nei terreni superficiali, ma anche nelle acque di falda e nelle acque superficiali (sistema delle rogge) nonché nei sedimenti delle rogge medesime. In particolare, la matrice suolo risulta interessata anche da contaminazione diffusa da metalli quali arsenico, antimonio, mercurio, nichel, piombo e alluminio, da IPA, alifatici clorurati cancerogeni, clorobenzeni e fitofarmaci. Nelle acque di falda si sono riscontrati, inoltre, molteplici superamenti dei limiti vigenti relativi a metalli, MTBE, solventi clorati, IPA, clorobenzeni, fitofarmaci e idrocarburi totali.
  I policlorobifenili (PBC), in particolare, sono composti industriali largamente impiegati in passato quali liquidi dielettrici in trasformatori e condensatori e in altri settori produttivi. I PCB se esposti a temperature di 600-650°C possono formare derivati altamente tossici quali le policlorodibenzodiossine (PCDD) e i policlorodibenzofurani (PCDF), più comunemente indicati come «diossine». Tutti questi composti sono estremamente resistenti alla degradazione chimica e biologica e pertanto persistono nell'ambiente, entrando in diversi comparti, trasportati per grandi distanza dalle correnti atmosferiche e, in misura minore, dai fiumi e dalle acque superficiali. Essi tendono ad accumularsi lungo la catena alimentare e si depositano nel tessuto adiposo essendo composti lipofili.
  Nel complesso i PCB sono composti ritenuti ad elevata tossicità, simili alle diossine per alcuni di essi, e sono stati classificati come «probabili cancerogeni» per l'uomo. In alcuni studi è stato evidenziato un effetto di questo sostanze sul sistema endocrino («interferenti endocrini»), anche a dosaggi moderatamente elevati.
  Già nel corso degli anni ’90 erano stati effettuati ripetuti campionamenti nei terreni interessati, i cui risultati davano valori di PCB totali nei limiti delle disposizioni regionali allora vigenti (12,5 mg/kg) ma che, a seguito della fissazione con decreto ministeriale Ambiente n. 471 del 1999 dei valori limite per area residenziale (0,001 mg/kg, successivamente modificati in 0,060 mg/kg) erano risultati essere fino a 5.000 volte superiori.
  A seguito della denuncia per disastro ambientale presentata nel 2001 alla procura della Repubblica di Brescia il caso assunse rilevanza nazionale. Sulla base delle pertinenti rilevazioni il sito venne, quindi, incluso nell'elenco dei SIN.
  Con decreto del febbraio 2003, questo Ministero provvedeva a definire una triplice e distinta perimetrazione del sito, che si sviluppa prevalentemente a sud dello stabilimento «Caffaro», seguendo il sistema delle rogge, e comprende, in particolare:
   per la matrice suolo, (circa 270 ettari) l'area che include anche lo stabilimento della Caffaro s.r.l., le varie discariche circostanti nel comune di Castegnato e Valiosa in comune di Passirano nonché le aree ex Comparto Milano, Bruschi & Muller, ex CamPetroli, ex Pietra e Spedali Riuniti di Brescia;
   per il comparto acque sotterranee, un'area più vasta (circa 2.100 ettari) delimitata sulla base delle evidenze analitiche già disponibili di contaminazione della falda;
   il sistema delle rogge a sud delle aree di cui sopra.
  Dal 2009, viene tenuta costantemente sotto controllo da parte di ARPA Lombardia – dipartimento di Brescia, la situazione di inquinamento da cromo totale e da cromo VI della falda perimetrata, e, più avanti, anche l'ASL di Brescia ha dato corso ad un costante monitoraggio della qualità delle acque prelevate dai pozzi della rete acquedottistica pubblica, per garantire la salvaguardia della salute pubblica.
  Per quanto attiene più specificatamente ai quesiti posti dagli interpellanti, corre l'obbligo di riferire, innanzitutto, quanto fatto conoscere dal Ministero della salute in ordine agli aspetti più riconducibili alla propria competenza.
  Appare opportuno premettere, al riguardo, che il predetto Dicastero nell'ambito della gestione dei SIN e delle relative problematiche, partecipa alle conferenze di servizio nell'ambito delle quali definire e approvare i pertinenti progetti di bonifica delle aree interessate. In particolare, la fase istruttoria e valutativa più propriamente tecnica viene seguita dall'Istituto superiore di sanità (ISS).
  Per quanto sopra, di seguito si riferisce quanto in concreto posto in essere dal predetto Dicastero, così come dallo stesso sottolineato:
   stipula convenzione con il comune di Brescia per l'effettuazione dell'analisi di rischio sanitaria finalizzata a individuare le concentrazioni di inquinanti nel suolo che non arrecassero rischi per la popolazione; sulla base di detta analisi di rischio, il comune ha programmato la messa in sicurezza dei giardini delle case del quartiere I Maggio, ubicato proprio a ridosso della Caffaro e fortemente inquinato;
   partecipazione al tavolo tecnico istituito dalla ASL di Brescia con tutti gli enti territoriali e le università coinvolti nella problematica, al fine di coordinare tutti gli studi e di valutare collegialmente gli esiti degli stessi e programmarne di nuovi, ove necessario;
   valutazione del rischio, in collaborazione con la ASL di Brescia, per le aree agricole a ridosso dello stabilimento Caffaro, individuando quali coltivazioni possono essere mantenute, dove e con quali modalità;
   insieme all'Istituto Mario Negri è stato effettuato uno studio sulla qualità dell'aria-ambiente nella città di Brescia per la valutazione della presenza nel particolato fine di PCB, Diossine e Furani; lo studio ha messo in evidenza in alcune aree cittadine la presenza di tali sostanze nel particolato atmosferico;
   in collaborazione con la ASL di Brescia è stato realizzato uno studio di Bio-Monitoraggio umano, con analisi di campioni di sangue, che hanno evidenziato la presenza in alcuni individui (più anziani e che si erano nutriti dei prodotti di orti domestici) di alte concentrazioni di PCB, per fortuna appartenenti alle classi di tossicità più basse;
   partecipazione e/o promozione di studi a carattere epidemiologico (in particolare il progetto «Sentieri») i cui risultati sono stati resi pubblici con il convegno del 18 settembre 2012) organizzato dallo stesso Ministero della salute e dall'Istituto superiore di sanità.
  Relativamente alle problematiche connesse alla bonifica dei terreni e della falda idrica, più direttamente di competenza di questo Dicastero, valga ricordare di aver già stanziato a tali fini risorse per complessivi euro 6.752.727,00 (a valere sul decreto ministeriale n. 308 del 2006) già trasferiti alla regione Lombardia nel mese di Marzo del 2011.
  Infatti, il 29 settembre 2009 veniva sottoscritto l'accordo di programma «per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica nel sito di interesse nazionale di Brescia Caffaro», nel quale veniva disciplinato l'impiego delle predette risorse nonché individuati i soggetti attuatori dei pertinenti interventi (enti locali territoriali, ASL di Brescia, Istituto superiore di sanità, ARPA Lombardia e Sogesid s.p.a., quale soggetto pubblico in house).
  Corre l'obbligo, tuttavia, di evidenziare che le aree interessate dagli interventi di bonifica di competenza pubblica previsti nel citato accordo costituivano solo una parte dell'intero perimetro del SIN.
  Tenuto conto, poi, delle problematiche legate alle limitazioni di spesa imposte dal patto di stabilità, è stato possibile individuare in maniera definitiva i soggetti attuatori degli interventi disciplinati dal predetto accordo di programma solo in data 25 ottobre 2012. E così, ad oggi, questa amministrazione, unitamente alla regione Lombardia, ha stipulato i previsti atti convenzionali con la ASL di Brescia, l'Istituto superiore di sanità, TARPA Lombardia e la Sogesid s.p.a.
  È in corso di realizzazione, altresì, l'intervento concernente la «Messa in sicurezza di emergenza e progettazione della bonifica dei terreni delle aree agricole nel comune di Brescia» la cui attuazione è stata demandata alla regione Lombardia, nonché gli ulteriori interventi previsti nei comuni di Passirano e Castegnato.
  In relazione, tuttavia, al grave stato di degrado del sito e al potenziale pericolo per la popolazione, questo Dicastero si è comunque impegnato a porre in essere ogni utile iniziativa finalizzata a reperire ulteriori risorse da destinate alle opere di bonifica. A quanto queste potranno ammontare non è facile, allo stato, prevedere, in quanto è dipendente anche da alcuni obiettivi di carattere generale sui quali questo Dicastero ha chiesto un impegno a tutte le istituzioni pubbliche e private interessate.
  Il primo passo, si ritiene, potrebbe essere quello di rivedere il patto di stabilità al fine di tenere fuori dai conteggi le spese concernenti le bonifiche e il dissesto idrogeologico, in modo che, realizzata tale condizione, si potrebbe pensare di destinare a tal fine più risorse nella prossima legge di stabilità. Il secondo, è che nella programmazione dei fondi strutturali dal prossimo 2014 le bonifiche siano tra gli interventi prioritari previsti.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   LACQUANITI, FRANCO BORDO, MATARRELLI, GIUSEPPE GUERINI, SCUVERA, MALPEZZI, MAURI, MARANTELLI, COMINELLI, RAMPI, LORENZO GUERINI, SANGA, PETRAROLI, PESCO, BASILIO, ALBERTI, CASO, DE ROSA, MANLIO DI STEFANO, CATALANO, DE LORENZIS, SENALDI, FRAGOMELI, SCALFAROTTO, CRIPPA, PRODANI e PELUFFO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è di qualche giorno fa la chiusura del presidio della direzione investigativa antimafia dislocato presso l'aeroporto di Malpensa, scalo fra i più importanti d'Europa e purtroppo anche fra quelli maggiormente interessati dal traffico internazionale di stupefacenti. Secondo il rapporto del Ministro all'interno pro tempore Maroni il 60 per cento del traffico di stupefacenti è legato allo scalo di Malpensa;
   si tratta di una decisione, a giudizio degli interroganti, piuttosto incomprensibile, contraria alla necessità di dover implementare la presenza della direzione investigativa antimafia sul territorio lombardo, vista l'importanza strategica del sito e della presenza presso lo scalo aeroportuale di Malpensa di presidi di tutte le forze di polizia;
   secondo le dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa dalle organizzazioni sindacali Silp-Cgil la chiusura del nucleo della direzione investigativa antimafia dell'aeroporto milanese di Malpensa, motivata da ragioni di ottimizzazione delle risorse, è una scelta grave e sbagliata. Come afferma in una nota all'Ansa del 28 aprile 2013 il segretario generale Silp-Cgil, Daniele Tissone «decidere di sopprimere un presidio indispensabile per un riscontro diretto di così delicate attività info-investigative, oltre a suscitare la nostra assoluta contrarietà, comunica un preoccupante segnale che di certo non incoraggia la lotta contro la criminalità organizzata»;
   anche in una recente mozione approvata all'unanimità al consiglio regionale della Lombardia, con primo firmatario il consigliere regionale del PD Gian Antonio Girelli e sottoscritta da tutti i componenti della commissione consiliare antimafia, si esprime grande preoccupazione per la chiusura del presidio del distretto investigativo antimafia (Dia) all'aeroporto di Malpensa e si sollecita un confronto con i Ministeri interessati per far sì che il Governo revochi prontamente la decisione, anche in vista dell'appuntamento con Expo 2015;
   la chiusura della direzione investigativa antimafia di Malpensa appare anche in contrasto con le dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta in occasione della sua visita a Milano del 20 maggio 2013, nella quale ha sostenuto la necessità di implementare il contrasto alle organizzazioni criminali in Lombardia anche in previsione di Expo 2015;
   i lavori di Expo 2015 devono essere preservati da ogni possibile infiltrazione della criminalità organizzata, purtroppo presente e attiva anche in provincia di Varese;
   negli ultimi anni è già stata segnalata la presenza della criminalità organizzata in particolare di gruppi affiliati alla ’ndrangheta in due comuni limitrofi all'aeroporto, Busto Arsizio e Lonate Pozzolo, quest'ultimo adiacente all'aeroporto. In particolare nelle indagini Infinito e Bad Boys condotte negli ultimi anni dalle forze dell'ordine è emerso chiaramente il legame fra le cosche legate alla criminalità organizzata e il territorio limitrofo a Malpensa;
   anche nell'ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia, viene evidenziato con chiarezza il preoccupante fenomeno dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico lombardo;
   inoltre secondo l'ultimo Rapporto Ecomafia (2012) di Legambiente, la Lombardia si conferma la prima regione del Nord per numero di reati legati alle ecomafie: all'ottavo posto della classifica nazionale con oltre 1600 reati, il 4,8 per cento del totale nazionale, e con 1442 persone denunciate, 100 in più rispetto all'anno precedente. Va rilevato che è particolarmente il ciclo del cemento, soprattutto quello del movimento terra, il settore economico in cui la ’ndrangheta detiene in Lombardia il primato assoluto. Abusivismo edilizio, appalti pubblici truccati, escavazioni illegali nei fiumi riempiono il campionario lombardo che per il 2011 ha registrato ben 344 reati, 455 persone denunciate e 23 sequestri, posizionando la Lombardia alla nona posizione nella classifica nazionale per le infrazioni legate al cemento;
   sempre sul tema, un articolo pubblicato sul quotidiano on line Il Fatto Quotidiano.it a firma Davide Milosa il 7 giugno 2013, evidenzia «la fotografia, impietosa e preoccupante, che arriva dagli analisti della Dia di Milano». A pagina 1 della relazione semestrale al Parlamento del 23 maggio 2013, firmata dal capocentro Alfonso Di Vito, si legge: «L'azione di contrasto alle organizzazioni criminali, valutata sulla scorta dei provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie, ha evidenziato un'ulteriore flessione rispetto alle ultime analisi prodotte, nell'occasione delle quali tale trend negativo si era già manifestato». E così dopo il biennio 2008-2010 culminato con la maxi-operazione Infinito, la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo non sembra più in grado di menare colpi decisivi alle cosche. Ma c’è di più. Nelle 61 pagine del report Dia si lancia un allarme anche per Expo 2015. In particolare viene segnalato come la piattaforma informatica «sia di fatto inutilizzabile a causa di vistose lacune relative alla scarsa intuitività del sistema e alla carenza della documentazione richiesta» –:
   se si intenda verificare la possibilità di revocare la disposizione relativa alla chiusura del presidio della direzione investigativa antimafia di Malpensa e al contempo la disponibilità di risorse per mettere in campo tutti gli strumenti necessari per rendere più efficace ed operativo il contrasto alla criminalità organizzata nel territorio lombardo, soprattutto in vista dell'Expo 2015, evento in cui i riflettori di tutto il mondo si accenderanno sul nostro Paese. (4-02297)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si osserva che il Nucleo informativo della Direzione investigativa antimafia presente presso l'aeroporto di Malpensa è stato soppresso nel mese di maggio 2013 e i due operatori sono stati assorbiti dal competente Centro operativo di Milano.
  Il Nucleo, che aveva competenze unicamente sull'area interna dell'aeroscalo, era stato costituito nel febbraio del 2000 e doveva essere propedeutico alla istituzione di un osservatorio privilegiato in previsione dell'avvio del progetto «Malpensa 2000», che nel corso del tempo, invece, ha subito un ridimensionamento.
  In questi anni, il Nucleo ha svolto, prevalentemente, un ordinario supporto alle attività di polizia giudiziaria degli uffici della Direzione investigativa antimafia dislocati sul territorio nazionale, tramite l'acquisizione delle liste di imbarco per il monitoraggio di persone di interesse investigativo nell'ambito di indagini di polizia giudiziaria.
  Peraltro, grazie all'evoluzione tecnologica, le notizie necessarie alle attività di analisi, prima fornite dal Nucleo, sono da tempo rilevabili da postazione da remoto, attraverso la consultazione di apposite banche dati informatiche.
  Nell'ultimo triennio, solo in rare occasioni, il personale del Nucleo è stato impegnato nella fase esecutiva di arresti o perquisizioni, senza mai svolgere «ruoli operativi» nell'ambito delle attività investigative condotte dal centro di Milano.
  Va anche evidenziato un ulteriore aspetto connesso alla razionalizzazione della spesa. Si fa riferimento, in particolare alla decisione assunta dalla «SEA S.p.A.», locataria degli spazi su cui insiste il Nucleo informativo, di aumentare il canone di locazione del 100 per cento.
  D'altra parte bisogna riconoscere che, in previsione dell'esposizione universale che avrà luogo a Milano nel 2015, è stato potenziato il sistema di controllo sulle attività contrattuali delle pubbliche amministrazioni ai fini di escludere il condizionamento o l'infiltrazione della criminalità organizzata.
  È stata, infatti, istituita, presso la prefettura del capoluogo, la sezione specializzata del Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, di cui fa parte anche personale del Centro operativo di Milano della Direzione investigativa antimafia.
  Analoga partecipazione è assicurata nell'ambito del gruppo interforze per l’«Expo Milano 2015» (Gicex)».
  Nella prefettura del capoluogo è, inoltre, presente un funzionario della Direzione investigativa antimafia, al fine di assicurare il raccordo delle attività di monitoraggio condotte dai vari gruppi interforze.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LIUZZI, DE ROSA, TOFALO, TERZONI, MANNINO, ZOLEZZI e BUSTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'inceneritore Fenice di Melfi tratta 65.000 tonnellate annue di rifiuti di cui 30.000 di rifiuti solidi assimilati agli urbani e 35.000 di rifiuti industriali;
   l'inceneritore Fenice di Melfi è stato posto al centro di indagini giudiziarie da parte della procura della Repubblica di Potenza, che ipotizza il reato di disastro ambientale, per il quale risultano essere stati indagati responsabili di dipartimento regionale, responsabili aziendali e dell'ex-direttore generale dell'ARPAB, nonché del suo responsabile per la provincia di Potenza, Agenzia regionale per l'ambiente della Basilicata, nei confronti dei quali, l'11 ottobre 2011, sono state emesse ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari;
   il CTU, il professor Francesco Fracassi del dipartimento di chimica dell'università degli studi di Bari, nominato dalla procura di Melfi, nella sua relazione del 24 maggio 2010 evidenziava un inquinamento, conosciuto dai proprietari dell'impianto Fenice già dal 29 giugno 2000 (o dal maggio 2002) e dall'ARPA Basilicata (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente Basilicata) dal 10 gennaio 2002;
   dalla relazione del professor Fracassi, è emersa quindi la condotta omissiva dell'impianto Fenice srl – EDF e dell'ARPA Basilicata i quali erano già a conoscenza di un disastro ambientale a partire dalle date prima citate. Tuttavia dagli atti risulta che l'ARPA Basilicata non ha inviato alcuna comunicazione alla procura di Melfi (ai sensi dell'articolo 244 del Testo unico ambientale) se non prima del 3 marzo 2009;
   solo dal 2009, è in atto la procedura di messa in sicurezza di emergenza (M.I.S.E) dell'impianto Fenice, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo n. 153 del 2006;
   a distanza di quattro anni dal provvedimento di messa in sicurezza di emergenza, dai monitoraggi bimestrali dell'ARPA Basilicata sulle falde acquifere, l'emergenza non risulta essere rientrata, ma sono certificati (sempre dall'ARPAB) la prosecuzione e l'aggravamento dell'inquinamento della falda acquifera e di conseguenza del territorio. Nello specifico risultano essere presenti ferro, nickel, manganese, composti organici Volatili (VOC) e fluoruri ben oltre la soglia dei parametri consentiti;
   l'ARPA Basilicata, nella sua nota – Al 2 – n. 0008981 class.ne 26/03/2001 del 14 ottobre 2011 inviata a vari enti, ha sostenuto che gli interventi di messa in sicurezza di emergenza (peraltro non ancora completati a 4 anni dall'inizio dei primi) avessero sensibilmente ridotto i livelli di contaminazione delle acque sotterranee in attesa degli interventi di bonifica, questi ultimi non ancora concordati operativamente;
   il dottor geol. Giampiero D'Ecclesiis, dopo un'ampia relazione redatta su iniziativa del Comitato di «Diritto alla Salute» di Lavello, ebbe a dichiarare nel penultimo capoverso della predetta relazione, citando testualmente «Appare quindi necessario richiedere gli indispensabili approfondimenti numerici e, laddove non fossero stati eseguiti, gli accertamenti in situ necessari per determinare tutte le principali grandezze idrogeologiche indispensabili per procedere ad una modellizzazione del fenomeno esaminato tale da validare l'ipotesi di genesi, propagazione e diffusione dell'inquinamento e sulla base del quale procedere ad un mirato piano di bonifica dell'area» (Giampiero D'Ecclesiis, 26 aprile 2012);
   si ipotizza che l'inquinamento dell'inceneritore potrebbe far si che si rilevino anche molti altri valori ben oltre la soglia consentita, quali ad esempio diossine, furani e PCB dei camini;
   l'impianto continua ad operare in base ad autorizzazioni provvisorie rilasciate dalla provincia di Potenza nelle more del rilascio dell'Autorizzazione integrata ambientale da parte della regione Basilicata da tempo scaduta; fatto che ha contribuito a far condannare l'Italia dalla Corte europea per violazione della direttiva 200/1/CE (sentenza del 31 marzo 2011 causa C-50/10);
   la Commissione d'inchiesta istituita dalla regione Basilicata sull'impianto Fenice di Melfi, istituita dal consiglio regionale il 4 ottobre 2011, ha concluso il 20 marzo 2012 i propri lavori denunciando gravi responsabilità sottolineati da una corposa relazione finale con inadempienze, omissioni, ritardi con cui gli organi di controllo regionali hanno adempiuto ed adempiono ai loro compiti istituzionali, al di là dei precisi profili di responsabilità giuridica dei singoli responsabili, la definizione dei quali è compito della magistratura approfondire. Tale situazione evidenzia inoltre responsabilità degli uffici regionali e provinciali che avrebbero dovuto esercitare i controlli, oltre che dei vertici passati ed attuali dell'Agenzia di protezione ambientale della Basilicata;
   con ordinanza sindacale a seguito della conferenza di servizi di giugno 2012, alla quale la società non si è presentata si intima a Fenice Ambiente srl entro 15 giorni di presentare il progetto della barriera idraulica realizzata e nel contempo essa dovrà fornire anche una relazione tecnica giustificativa del persistente superamento dei contaminanti nei pozzi di monitoraggio. L'ordinanza prescrive inderogabilmente l'obbligo di presentare una relazione descrittiva dei metodi proposti per l'introduzione dei fluidi traccianti al fine di verificare l'integrità dell'impianto sul quale si nutrono preoccupazioni circa il suo corretto funzionamento. Le attività di monitoraggio delle acque sotterranee dovranno essere svolte per un trimestre, con cadenza mensile, all'esito delle quali saranno adottate conseguenti ulteriori prescrizioni. A Fenice è stato prescritto anche di fornire una relazione specialistica contenente tutti i chiarimenti, gli approfondimenti tecnici, la raccolta sistematica dei dati acquisiti ed ogni altra integrazione, utile a risolvere tutte le criticità e le osservazioni rilevate dal documento ISPRA, dal parere espresso dalla Conferenza di servizi nella seduta del giugno 2012 e dalle integrazioni richieste dalla delibera del Commissario straordinario nel 2011. In caso di inottemperanza del soggetto obbligato si procederà a termini di legge denunciando quanto dovuto all'Autorità Giudiziaria ed assumendo tutti gli opportuni provvedimenti a tutela della salute e della pubblica incolumità;
   l'ordinanza succitata ha prolungato i tempi di intervento non garantendo la salvaguardia ambientale tant’è vero che le istituzioni territoriali e strumentali della Basilicata regione, provincia di Potenza, comune di Melfi, ARPA Basilicata, azienda sanitaria del potentino, non sono sembrate capaci di individuare le cause dell'inquinamento oltre a far ricondurre i valori al di sotto della concentrazione della soglia di contaminazione (C.S.C);
   nonostante quanto affermato nella nota ARPA Basilicata del 14 ottobre 2011, dai controlli della stessa istituzione strumentale, è emerso il 25 settembre 2012 che al camino del forno rotante i valori di emissione del mercurio immesso in atmosfera sono risultati essere oltre tre volte la soglia massima consentita: 0,177 mg/Nm3 rispetto allo 0.05 tollerato;
   nelle falde acquifere continua a verificarsi il superamento dei valori limite di concentrazione di sostanze inquinanti; il soggetto attualmente gestore «Fenice Ambiente srl» che ha rilevato l'impianto da EDF Fenice spa, a quanto consta agli interroganti, non ottempera ai piani di bonifica ed alle prescrizioni del comune di Melfi circa il piano di bonifica che comprenda anche le aree a valle delle barriere idrauliche a ridosso dell'impianto, nella piana di San Nicola di Melfi. Detta società a responsabilità limitata non sembra a giudizio degli interroganti offrire garanzie non solo economiche ma anche tecniche per assolvere alla bonifica, ricorrendo alla giustizia amministrativa contro i provvedimenti e le ordinanze sindacali del comune di Melfi;
   è in atto un ricorso al TAR della Basilicata da parte della società che gestisce l'impianto, la quale considera insostenibile il sequestro dell'impianto di sua proprietà e la nomina di custodi giudiziari atti a garantire l'eliminazione del sequestro in atto;
   le istituzioni locali si sono dimostrate, a giudizio degli interroganti, inadeguate e poco trasparenti nella gestione virtuosa della riduzione, riciclo e riuso dei rifiuti prodotti dai residenti della Basilicata;
   dalle diverse interrogazioni parlamentari rivolte negli ultimi anni al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare su queste problematiche, sulla base anche delle audizioni svoltesi in Commissione ambiente è sempre emersa, oltre alle problematiche legate all'inquinamento pluriennale delle falde idriche, anche l'assenza di un monitoraggio della matrice ambientale aria, fatto salvo uno studio dell'Istituto superiore di sanità autonomamente realizzato;
   il Governo Monti ed i Ministri interrogati, hanno approvato l'8 marzo 2013 una strategia energetica nazionale (SeN) in cui si ipotizza la prosecuzione del pagamento dei CIP6 e il recupero energetico dai rifiuti;
   si è consapevoli che quanto enunciato nella strategia energetica nazionale è dissonante con l'indirizzo della risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012 nel quale si determina che si mira alla realizzazione di «Un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse». Tale risoluzione, pur non essendo una direttiva, costituisce un documento preparatorio da un lato per il settimo programma europeo d'azione per l'ambiente e dall'altra per la nuova direttiva quadro sui rifiuti prevista per il 2014;
   il trattato di Maastricht, recepito dalla normativa italiana nel «codice dell'ambiente» (decreto legislativo n. 152 del 2006), all'articolo 301, recita: «In applicazione del principio di precauzione del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l'ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione». Tale concetto è stato ulteriormente precisato con l'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 4 del 2008 (integrativo del decreto legislativo n. 152 del 2006): «La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva...»;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in ottemperanza dell'articolo 132 del decreto legislativo n. 152 del 2006, può esercitare interventi sostitutivi «per mancata effettuazione dei controlli previsti dalla parte terza» del decreto legislativo n. 152 del 2006, diffidando la regione Basilicata a provvedere ad attuare le azioni di bonifica entro il termine massimo di centottanta giorni, ovvero entro il minor termine imposto dalle esigenze di tutela ambientale e, in caso di persistente inadempienza da parte della società Fenice Ambiente srl;
   nell'esercizio dei poteri sostitutivi, di cui al comma 1 dell'articolo 132 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nomina un commissario ad acta per la gestione delle aree contaminate che pone in essere gli atti necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente a carico della regione, anche al fine dell'organizzazione di un efficace sistema dei controlli –:
   quali iniziative i Ministri interroganti intendano assumere, per quanto di propria responsabilità, nel rispetto dei profili di competenza della magistratura;
   quali iniziative per quanto di competenza, intendano porre in essere per verificare in modo estensivo ed esaustivo l'entità dei possibili danni all'ambiente prodottisi nel tempo e per monitorare e tutelare la salute della popolazione locale dagli effetti delle emissioni inquinanti;
   se non si ritenga doveroso un intervento tempestivo e diretto ai sensi dell'articolo 132 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in particolare con la nomina di un commissario ad acta, affinché, sulla base di un piano di caratterizzazione dell'intera area sottesa all'inceneritore Fenice, venga attuata la bonifica dell'area con oneri a carico dell'ente inadempiente;
   se intendano assumere iniziative, alla luce di quanto esposto ed in relazione a circostanze analoghe registrate in altre parti del territorio nazionale, per rafforzare con urgenza e con decisione i parametri di tutela ambientale e le conseguenti azioni in caso di superamento dei valori limite, con particolare riferimento alle emissioni di diossina. (4-00152)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame relativa all'inquinamento prodotto dall'inceneritore La Fenice di Melfi, si rappresenta quanto segue.
  Le problematiche ambientali che investono l'impianto termovalorizzatore La Fenice di Melfi, nel territorio della provincia di Potenza, sono da tempo all'attenzione degli enti territoriali competenti, degli organi tecnici e di questo Ministero.
  La Fenice spa, nel marzo 2009, rese noto agli enti territoriali la presenza di una contaminazione nelle acque di falda presso l'impianto citato, e nel successivo mese di aprile fu trasmesso il piano di caratterizzazione dei suoli e delle acque.
  Tale piano è stato discusso in una conferenza dei servizi, a seguito della quale è stata disposta la sospensione del procedimento amministrativo relativo alla sua approvazione, il proseguimento delle attività di messa in sicurezza (MIS), la trasmissione di rapporti settimanali, nonché la rielaborazione del piano di caratterizzazione entro il 15 maggio 2009.
  Il suddetto piano è stato approvato, con prescrizioni, nel giugno 2009 e i risultati delle indagini sulle matrici suolo-sottosuolo e acque di falda sotterranea, iniziate nel luglio, sono stati presentati nell'ottobre dello stesso anno.
  Nel febbraio 2010 la conferenza di servizi ha espresso parere favorevole per i risultati, anche a seguito della documentazione integrativa presentata, richiedendo la predisposizione dell'analisi di rischio, poi approvata nel marzo 2011.
  Nel 2011 è stato presentato il progetto operativo di bonifica in merito al quale il tavolo tecnico ha chiesto anche il parere dell'ISPRA, già formulato in forma di bozza alla regione nell'aprile 2012.
  Il progetto prevedeva le tecnologie: Air Sparging e Soil Vapor Extraction per i composti organici volatili (VOC), barriera idraulica e pozzi Hot Spot per metalli e fluoruri, correzione del pH con iniezioni basificanti per ridurre la solubilità dei metalli (saranno eseguite prove di laboratorio, in situ e full scale), pozzi di ricarica di acqua dolce per contenere la diffusione della contaminazione.
  Relativamente agli interventi di messa in sicurezza d'emergenza (MISE), si evidenzia che nel periodo tra il 2009 e il 2011 sono stati realizzati interventi mirati alla rimozione delle potenziali sorgenti di contaminazione ed alla limitazione della propagazione delle acque sotterranee contaminate al di fuori del sito.
  Tali interventi hanno visto la realizzazione di una barriera idraulica costituita da 28 pozzi, che hanno emunto, dal gennaio 2010 al settembre 2011, circa 30.000 metri cubi d'acque di falda, indirizzate all'impianto di depurazione presso la SATA Spa e da qui all'impianto consortile ASI.
  Nelle aree a maggiore contaminazione, invece, sono stati installati 14 pozzi d'emungimento delle acque di falda trattate in un impianto appositamente realizzato.
  Nell'area a maggiore presenza di solventi contaminati è stato installato un impianto bonifica in sito dell'acqua di falda basato sulle tecniche di «air sparging – soil vapor extraction».
  Sono stati, inoltre, realizzati alcuni interventi impiantistici quali:
   1) l'impermeabilizzazione di tutti i bacini di contenimento delle vasche raccolta rifiuti in ingresso al forno rotante e delle sezioni di depurazione fumi della linea forno a griglia e forno rotante;
   2) la verifica e il rifacimento degli elementi di impianto quali collettori e sub collettori della rete tecnologica, canali di raccolta stillicidi e vasche in calcestruzzo,
   3) la verifica di tutte le reti fognarie tecnologiche e nere mediante videoispezione e prove di tenuta, risanamento dei tratti non a tenuta mediante ricostruzione interna con guaine, rifacimento integrale di tratti di rete fognaria e revisione degli innesti di tutti i punti di immissione nei collettori fognari.
  Relativamente alla contaminazione delle acque sotterranee, l'ARPAB ha effettuato periodicamente monitoraggi sui piezometri installati a valle idrogeologica della barriera (P1-P9).
  Il monitoraggio con requisiti di maggior completezza, in termini d'estensione sia del set analitico sia dei punti esaminati, è quello dell'aprile 2011, quando la società Fenice ha campionato e analizzato tutti i piezometri ed i pozzi esistenti nel sito.
  Le principali criticità, in termini d'estensione (numero di piezometri contaminati) o di concentrazioni riguardano:
   composti clorurati e alogenati: Triclorometano, Tetracloroetilene e Tricloroetilene, 1,2 Dicloropropano, Dibromoclorometano, Bromodiclorometano e Tribromometano;
   composti inorganici e metalli: Floruri, Manganese Nichel e Mercurio.
  Al fine di monitorare le problematiche relative all'impianto termovalorizzatore del comune di Melfi, la direzione generale competente, con nota prot. n. 7251 del 14 marzo 2012, ha richiesto agli enti territoriali competenti nonché all'ARPAB ed alla prefettura di Potenza aggiornamenti sulle attività e sulle misure poste in essere per il ripristino ambientale dei luoghi.
  Il 22 marzo 2012, l'ufficio territoriale di Governo della prefettura di Potenza ha informato sulla conferenza di servizi, riunitasi presso il comune in data 28 novembre 2011 per la riesamina del progetto di bonifica e per la valutazione delle analisi di rischio presentato dalla società Fenice ambiente s.r.l.
  Nel corso della suddetta conferenza è stato dato parere favorevole alla realizzazione degli impianti pilota previsti nel progetto ed è stata suggerita al comune di Melfi, in qualità di autorità procedente, la sospensione dei termini per l'approvazione del progetto di bonifica, alla luce delle integrazioni richieste, per un periodo di centocinquanta giorni, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 242, comma 7, del decreto legislativo 152 del 2006.
  Successivamente, in data 2 dicembre 2011, la Fenice Ambiente s.r.l., ai sensi dell'articolo 10 della legge n. 241 del 1990, ha richiesto il riesame delle decisioni assunte e la convocazione di una nuova riunione della conferenza di servizi, per l'esame del precedente progetto di bonifica del 18 ottobre 2011.
  La regione Basilicata, con nota del 12 dicembre 2011, ha contestato tutti i rilievi sollevati dalla società nella memoria, confermando il parere espresso nella conferenza di servizi del 28 novembre 2011.
  Con delibera n. 59 del 15 dicembre 2011 della giunta municipale, il comune di Melfi ha approvato il verbale della conferenza di servizi, chiedendo al soggetto obbligato la formulazione, nei termini di quindici giorni, di una proposta di cronoprogramma di adeguamento del progetto di bonifica secondo le prescrizioni della conferenza di servizi.
  Prodotto il documento richiesto, il sindaco del comune, con ordinanza n. 2 del 23 gennaio 2012, ha approvato la proposta presentata dalla società, la quale prevedeva «attività preliminari» – suddivise in interventi immediatamente eseguibili (prima fase) ed interventi immediatamente eseguibili (seconda fase) – ed «interventi di bonifica», ma al tempo stesso ha rilevato delle attività difformi dalle prescrizioni impartite, ai sensi dell'articolo 54 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e pertanto ordinato al gestore dell'impianto di porre in essere una serie di attività preliminari.
  In particolare:
   una valutazione aggiornata con il parametro 1,2 dicloropropano;
   la comunicazione dei dati aggiuntivi di caratterizzazione del sito, finalizzati a definire le caratteristiche geometriche, litologiche ed idrogeologiche nelle aree di intervento, mediante sondaggi di verifica da ubicarsi in contraddittorio con ARPAB;
   il calcolo della massa di ciascun contaminante presente allo stato attuale nei vari strati fisici;
   l'adeguamento del sistema di monitoraggio della barriera idraulica serie 100, secondo il protocollo ISPRA (protocollo di valutazione dei risultati del monitoraggio di una barriera idraulica – sito di interesse nazionale di Crotone, novembre 2010), per il controllo da remoto da parte degli enti di controllo (azienda sanitaria provinciale, ARPAB e provincia di Potenza);
  Con il suddetto provvedimento, inoltre, il comune ha precisato che l'eventuale inottemperanza delle prescrizioni previste avrebbe comportato l'azione in danno di Fenice Ambiente s.r.l., ai sensi dell'articolo 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
  Considerato che i monitoraggi effettuati precedentemente dall'ARPAB, nel mese di gennaio 2012, hanno riscontrato il superamento di nuovi contaminanti, quali il parametro cromo esavalente, la Fenice Ambiente s.r.l. in data 25 febbraio 2012, ai sensi dell'articolo 242 e articolo 304 del decreto legislativo 152 del 2006, ha comunicato alla prefettura di Potenza il suddetto superamento, specificando «l'estraneità o il nesso causale con l'attuale stato di contaminazione e con le attività di bonifica».
  Al fine di ottemperare alle prescrizioni previste dalla richiamata ordinanza, la società ha dapprima trasmesso in data 17 febbraio 2012 i risultati della «Sperimentazione in laboratorio, sulla simulazione di ricarica della falda con acqua demineralizzata additivata con carbonato di sodio».
  Dal documento si evince che si è proceduto all'esecuzione delle prove di laboratorio per verificare eventuali variazioni di solubilità di alcuni metalli nell'acqua di falda e nel terreno, a seguito dell'utilizzo di acqua demineralizzata con aggiustamento del pH ottenuto mediante utilizzo di una soluzione di carbonato di sodio.
  Dalla sperimentazione in laboratorio, per l'intervallo di pH considerato (pH tal quale e pH 8), non sono risultate evidenze di effetti negativi legati all'utilizzo di acqua demineralizzata addizionata con carbonato di sodio.
  In particolare, le concentrazioni sono rimaste sostanzialmente inalterate, o talora (ad esempio per nichel e manganese) vi è stata una certa tendenza alla diminuzione delle concentrazioni all'aumentare del pH. I dati rilevati hanno consentito, pertanto, di concludere che non si sono riscontrati motivi ostativi all'esecuzione delle prove di ricarica in situ, così come riportato nel documento «Proposta di verifica degli effetti di una barriera di pozzi di ricarica nel settore nord del sito».
  Successivamente, in data 21 febbraio 2012, la Società EDF Fenice Ambiente s.r.l. ha presentato al comune di Melfi il documento relativo all’«Analisi comparativa delle tecniche di Intervento» nel quale viene rappresentato che, nell'ambito della progettazione degli interventi previsti nel progetto operativo di bonifica, relativi all'aggiustamento del pH delle acque sotterranee, la società ha proceduto all'esecuzione delle prove di laboratorio per verificare la solubrità di alcuni metalli nell'acqua di falda e nel terreno ove è sito l'impianto. Il progetto prevedeva un piano di prove in situ, comprendente l'ubicazione e la struttura del campo prove, i quantitativi di acqua e di reagenti da utilizzare, i tempi di esecuzione delle prove, il programma di monitoraggio e di analisi da attuare nel corso delle prove in situ.
  Le conclusioni sulla sperimentazione in laboratorio hanno evidenziato una certa tendenza alla diminuzione delle concentrazioni all'aumentare del pH, modesta per alcuni parametri, quali boro e ferro, e maggiormente evidente per altri, ossia mercurio, manganese, nichel e floro. Non sono state altresì riscontrate variazioni significative nelle concentrazioni dei composti organici (solventi clorurati e bromurati), ove presenti.
  Non sono risultate, inoltre, evidenze di effetti negativi legati all'utilizzo di carbonato di sodio Na2CO3, con formazione di sottoprodotti a maggiore pericolosità.
  I dati rilevati, pertanto, a parere della Ecogeo s.r.l., società incaricata agli studi di carattere ambientale, consentono di procedere con la fase di sperimentazione in situ, su campo prove appositamente predisposto, così come indicato nel documento «Progetto Operativo di Bonifica».
  In seguito, in data 21 febbraio 2012, la Fenice Ambiente s.r.l. ha trasmesso al comune di Melfi, nonché agli enti territoriali interessati, il documento relativo alle «Analisi comparative delle tecniche di bonifica».
  Secondo quanto riscontrato nel corso delle indagini di caratterizzazione, è stata rilevata la presenza di contaminazione nella zona insatura, suolo profondo, per il parametro vanadio e zona satura, falda idrica, per i metalli pesanti e solventi clorurati.
  Con riferimento alla matrice del sottosuolo, il superamento delle CSC per il parametro vanadio, in corrispondenza del sondaggio Pz16, alla profondità di 8-9 metri, ha rilevato una concentrazione di 346 mg./Kg., a fronte di una CSC di legge pari a 250 mg/Kg. Tale valore, così come sottolineato dallo Studio Ecogeo, non supera le concentrazioni soglia di rischio CSR calcolate nell'analisi di rischio e pertanto non sono stati previsti interventi di bonifica nei terreni.
  A differenza, invece, dei contaminanti organici ed inorganici, riscontrati nelle matrici acque sotterranee, per i quali sono stati previsti interventi di bonifica.
  In data 2 marzo 2012, la società Fenice Ambiente s.r.l. ha presentato il documento relativo ad «Aggiornamento Analisi di Rischio sanitario».
  Per definire la concentrazione di riferimento degli inquinanti nelle acque sotterranee sono stati utilizzati i dati delle analisi eseguite sui pozzi e sui piezometri del sito durante la campagna di monitoraggio dell'aprile 2011, del settembre 2011 e del gennaio 2012 (esclusivamente per il parametro Cromo VI).
  In conclusione, dal documento per le acque sotterranee, è emerso che, per le sostanze cancerogene, i valori di rischio cancerogeno per la salute umana può essere considerato «accettabile»; lo stesso può dirsi per il rischio calcolato per le sostanze non cancerogene.
  Le attività immediatamente eseguibili, così come indicate nel cronoprogramma, sono state concluse il 20 aprile 2012, così come comunicato dalla stessa Fenice ambiente s.r.l. in data 11 maggio 2012.
  La società ha programmato dal 23 al 25 maggio 2012, a seguito dell'ultimazione dei sondaggi aggiuntivi, i campionamenti delle acque sotterranee, in corrispondenza delle nuove indagini realizzate e le attività previste invece nella seconda fase avranno inizio a seguito a validazione delle stesse da parte delle autorità competenti.
  In data 2 agosto 2012, la prefettura di Potenza ha nuovamente aggiornato lo stato dell'arte sulla problematica in oggetto, comunicando che in data 12 giugno 2012 presso il comune di Melfi si è svolta conferenza di servizi, al fine di valutare lo stato di attuazione della fase preliminare di bonifica.
  Acquisito il parere della regione Basilicata, correlato dalle osservazioni dell'ISPRA, si è ritenuto di sospendere provvisoriamente il cronoprogramma già approvato per 9 giorni, rinviando la conferenza al 21 giugno 2012. La Fenice si è riservata di proporre osservazioni e memorie con riferimento a tale parere.
  A seguito delle determinazioni assunte dal suddetto organismo in data 21 giugno 2012 – secondo le quali non sussistevano le condizioni per l'approvazione del progetto di bonifica del 18 ottobre 2011, in quanto non erano state rispettate le condizioni stabilite nella delibera commissario straordinario comune di Melfi n. 58 del 6 aprile 2011 e nell'ordinanza del sindaco di Melfi n. 2 del 23 gennaio 2012 in cui è stato espresso parere negativo circa il Piano di bonifica predisposto dalla EDF Fenice s.r.l. – il comune ha definitivamente bocciato il piano stesso, avviandosi così la fase dell'intervento sostitutivo.
  Pertanto, con delibera n. 91 del 26 luglio 2012, il comune di Melfi approvava il verbale della conferenza di servizi del 21 giugno 2012 ed, ai sensi dell'articolo 250 decreto legislativo n. 152 del 2006, decideva di «procedere in via sostituiva per l'esecuzione delle indagini a valle idrogeologica in continuità con la proprietà Fenice, necessarie per la formulazione di un corretto ed esaustivo progetto di bonifica», riservandosi all'esito di tali indagini, «la validazione della base progettuale di riferimento per l'elaborazione di un progetto di bonifica esteso a tutte le aree oggetto di superamento delle CSC imputabili alla responsabilità della società Fenice ai sensi dell'articolo 239, comma 1, decreto legislativo n. 152 del 2006».
  Contro tali provvedimenti, la società Fenice Ambiente s.r.l. ha presentato ricorso al TAR Basilicata, per l'annullamento anche in particolare della delibera n. 59 del 15 dicembre 2011 con la quale il comune di Melfi ha approvato il verbale della conferenza di servizi del 28 dicembre 2011.
  Pertanto, a seguito della sentenza n. 252 del 2013 del TAR Basilicata che ha censurato l'obbligo posto dalla conferenza di servizi a carico di Fenice Ambiente s.r.l. di eseguire indagini a valle idrogeologica del sito in assenza di specifici accertamenti da parte della pubblica amministrazione, la regione Basilicata in sede di conferenza di servizi del 20 giugno 2013 ha evidenziato come fosse prioritario ed urgente, fatte salve le eventuali evidenze derivanti dalle indagini a valle idrogeologica del sito Fenice in corso di esecuzione, procedere alla bonifica delle aree interne.
  In tale sede, è stato proposto a tutti i componenti di condividere e perseguire l'obiettivo della presentazione del progetto di bonifica, integrato entro il termine massimo di 210 giorni, confermando tutte le richieste di integrazioni formulate dalla conferenza di servizi, non censurate dal TAR con la suddetta sentenza n. 252/2013.
  Il comune di Melfi ha evidenziato che, entro tale lasso di tempo, dovranno svolgersi le attività istruttorie della conferenza di servizi, nonché da parte di Fenice, le attività di cui al cronoprogramma presentato in data 29 dicembre 2011 e all'ordinanza sindacale n. 2 del 13 gennaio 2012, (della durata complessiva di 170 giorni) eventualmente modificato ed integrato per effetto delle suddette attività istruttorie.
  La regione ha proposto alla conferenza di servizi di chiedere all'ARPAB un parere tecnico motivato in merito alla documentazione trasmessa dalla Fenice Ambiente s.r.l. con precedente nota del 4 aprile 2013, sulla base delle evidenze finora acquisite nell'ambito dei procedimenti di caratterizzazione e bonifica dello stesso sito, nonché dei risultati del progetto per la realizzazione della cartografia geochimica delle aree industriali di cui alla deliberazione della giunta regionale n. 722 del 2005 invocati dalla Società nella suddetta documentazione quali ulteriori elementi conoscitivi».
  La regione ha inoltre evidenziato come la documentazione trasmessa dalla Fenice Ambiente s.r.l. deve essere valutata come integrazione e ricognizione del quadro conoscitivo del sito entro i limiti delle decisioni assunte dal TAR Basilicata con sentenza n. 252 del 2013, avendo essa riconosciuti «fondati il primo motivo del primo atto di motivi aggiunti ed il sesto del secondo atto di motivi aggiunti» rispettivamente relativi all'esecuzione di indagini a valle idrogeologica della proprietà Fenice e alle attività di monitoraggio delle acque sotterranee.
  La regione – per consentire all'autorità procedente di assumere decisioni, in attesa di conoscere il parere dell'ARPAB, quale organo tecnico, nonché del comune e della provincia, quali enti costituenti la conferenza di servizi – ha espresso nella seduta istruttoria della conferenza di servizi, il proprio parere in merito alla documentazione trasmessa dalla Fenice Ambiente con nota del 4 aprile 2013 in osservazione della ordinanza sindacale n. 4 del 19 marzo 2013 ed al progetto di bonifica presentato dal soggetto obbligato in data 18 ottobre 2011.
  Con specifico riferimento alla documentazione trasmessa della Società Fenice, la regione ha ritenuto che la stessa non consente di dirimere le questioni finora poste dagli enti in merito agli interventi di messa in sicurezza (MIS), al loro monitoraggio e controllo finalizzati a validarne l'efficacia da parte della conferenza di servizi.
  A parere della regione, infatti, la maggior parte delle perplessità rilevate può risolversi con la collaborazione della Fenice Ambiente s.r.l. nel fornire i dati ed i parametri utilizzati nelle applicazioni modellistiche finora sviluppate. In mancanza di tali elementi è possibile svolgere controlli solo di tipo qualitativo che non soddisfano le esigenze di monitoraggio e controllo degli interventi di messa in sicurezza.
  In merito alla progettazione della barriera idraulica, tale ente ha evidenziato come la società deve fornire informazioni sull'attuale configurazione, dando esplicitamente atto di aver adeguato nel tempo la barriera in funzione dei parametri via via disponibili. Tutte le argomentazioni sulla progettazione della barriera e sulla modellistica di flusso sono riferite esclusivamente allo stato attuale comprendente gli ultimi pozzi realizzati. L'aggiunta di ben 24 pozzi, di cui 6 nel 2011 e 18 nel periodo luglio-settembre 2012, non esclude – a parere della regione – che la stessa Fenice Ambiente s.r.l. maturi il convincimento di realizzarne ancora degli altri.
  In riferimento all'ubicazione ed alla funzione svolta dai pozzi di emungimento hot-spot serie 20 la regione ha evidenziato che il loro effetto non può essere tale da captare le acque anche dal lato valle in modo da garantire il prosciugamento della prima falda ed escludere che una certa aliquota defluisca naturalmente verso valle. L'eventuale aliquota che svolge verso valle potrebbe infatti non essere intercettata dalla barriera dei pozzi serie 100 e compromettere l'efficienza della messa in sicurezza.
  La regione ha considerato la mancanza di queste informazioni come elementi di incertezza sulle modalità di circolazione delle acque sotterranee a livello dello sbarramento idraulico.
  A questi motivi si aggiunge la complessità idrogeologica del sito che complessivamente rende necessario validare le ipotesi formulate anche attraverso l'esecuzione di test traccianti per valutare l'effettiva capacità di sbarramento della barriera idraulica, capace, secondo la tesi della Fenice Ambiente s.r.l., di richiamare le acque sotterranee perfino dalle aree poste a valle idrogeologica.
  Relativamente ai superamenti di manganese e nichel, a livello dei pozzi di monitoraggio P1-P9, la società ha giustificato i dati rilevati con lo stato anossico instauratosi in questi piezometri per effetto della scarsa circolazione idrica indotta dalla barriera. A sostegno di questa tesi la società ha eseguito nuovi piezometri (serie PM) in prossimità dei P1 e P9 ed ha fornito i risultati delle analisi eseguite sulla matrice acque sotterranee.
  I risultati forniti indicano che i piezometri serie PM comunque riscontrano superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) del nichel in quattro dei nove pozzi realizzati, del ferro in sette pozzi dei nove, dei manganese in sei pozzi dei nove (dati febbraio 2013).
  Per questi motivi la tesi della società non è stata sufficientemente avvalorata dai suddetti risultati.
  La mancanza delle quote e delle coordinate dei punti ancora una volta non consente di eseguire confronti ed avere la certezza che la serie PM sia idrogeologicamente equivalente alla serie P1-P9; allo stato attuale il confronto stratigrafico delle due serie non è rigorosamente eseguibile.
  La regione Basilicata ha sottolineato come «il tentativo della Società di escludere proprie responsabilità in merito al superamento nelle acque sotterranee delle CSC relative ai metalli ed in particolare al MN è stato ritenuto inaccettabile, in quanto l'associazione di questi elementi con gli impianti di incenerimento rifiuti è inequivocabilmente stabilita nell'allegato 1 del decreto legislativo 133 del 2005. Il richiamo all'allegato 1 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 in merito all'ammissibilità dei valori maggiori rispetto alle CSC relative ai metalli nelle acque sotterranee per effetto «del fondo naturale» e «dell'inquinamento diffuso» non è condivisibile, in quanto all'interno del sito i superamenti delle CSC riscontrati sono prevalentemente associati a contestuale superamento di composti organo-alogenati (27 postazioni su 37).
  Tale evidenza, come indicato nelle linee guida APAT-ISPRA protocollo per la definizione dei valori di fondo), dimostra all'interno del sito una pressione antropica che può avere alterato lo stato geochimico del sito.
  Allo stato attuale non è possibile escludere che le condizioni ossidoriduttive, ipotizzate dalla società come la causa dell'inquinamento delle acque sotterranee da metalli, siano determinate dagli altri inquinanti massicciamente dispersi in epoca pregressa. Le analoghe ipotesi sui floruri sono risultate in contrasto con i risultati degli accertamenti svolti da ARPAB sulle acque di processo.
  Anche la provincia si è uniformata al parere della regione, condividendone valutazioni, proposte e relative richieste.
  L'ARPAB ha confermato la necessità di interventi di bonifica, che deve essere svolta dall'azienda Fenice, previa acquisizione di apposita progettazione.
  Da ultimo, si segnala che in relazione alle indagini giudiziarie sull'inquinamento originato dal malfunzionamento del termovalorizzatore, il procuratore della Repubblica di Potenza – a seguito delle indagine del NOE di Potenza – ha riferito che per la vicenda è stato iscritto il procedimento penale n. 414 del 2009 (al quale è stato riunito il procedimento penale n. 527 del 2009) già pendente presso la procura della Repubblica di Melfi, trasmesso all'ufficio requirente di Potenza, per competenza territoriale.
  Nel corso delle indagini è stata formulata richiesta di applicazione di misure personali restrittive ed interdittive in relazione al reato di disastro ambientale.
  Con ordinanza dell'11 ottobre 2011, tale richiesta veniva accolta dal GIP nei confronti di quattro persone.
  Con richiesta di rinvio a giudizio del 17 febbraio 2012, veniva esercitata l'azione penale nei confronti degli indagati ritenuti responsabili del reato suindicato ed attualmente il procedimento pende nella fase dell'udienza preliminare, celebratasi il 21 giugno 2013.
  Sarà cura, pertanto, della direzione competente acquisire gli atti relativi al suddetto procedimento penale e attivare le necessarie iniziative per il risarcimento del danno ambientale, ove all'esito di opportuno accertamento e valutazione tecnica di ISPRA, ne sussistano i presupposti di legge.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   LOMBARDI, COZZOLINO e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 luglio 2013 il Consiglio dei Ministri – su proposta del Ministro dell'interno, Angelino Alfano, ha disposto – nell'ambito dei movimenti di prefetti – l'incarico con funzioni di capo del dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, al prefetto Umberto Postiglione;
   da un riscontro sulla «rete» è stato acclarato che il prefetto Postiglione ha ricoperto la carica di sindaco presso il comune di Angri (Salerno) come candidato della formazione politica PPI (La Margherita) per ben due mandati (quindi con una connotazione politica dichiarata): il primo dal 7 maggio del 1995 al 24 gennaio 1999, ed il secondo – a seguire – dal 27 giugno 1999 al 27 maggio 2004;
   l'incarico di capo dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno assume un'importanza «politico-tecnica» strategica nella gestione dei Comuni e degli Enti locali in genere, avendo tra le attribuzioni quelle di: a) amministrazione generale e supporto dei compiti di rappresentanza generale e di governo sul territorio; b) garanzia della regolare costituzione degli organi elettivi e del loro funzionamento e attività di collaborazione con gli enti locali; c) finanza locale; d) servizi elettorali; e) vigilanza sullo stato civile e sull'anagrafe;
   nel periodo di «interregno» tra i due mandati (in particolare dal 25 gennaio 1999 al 26 giugno 1999) il comune di Angri è stato «sciolto» anticipatamente per dimissioni della maggioranza in consiglio comunale;
   attualmente il prefetto Postiglione ricopre ancora l'incarico di «Commissario straordinario» dell'amministrazione provinciale di Roma (dopo le dimissioni di Zingaretti), con deleghe a: avvocatura provinciale-Segretariato generale e ufficio del consiglio provinciale-cultura-turismo-sport –:
   sulla base di quali criteri oggettivi e soggettivi sia stato scelto il prefetto Umberto Postiglione – personaggio con evidente connotazione politica e se nei criteri di scelta sia stato valutato il fattore «potenziale conflitto d'interessi», tenuto conto delle attribuzioni derivanti dall'incarico assegnatogli e del richiamato (e storicizzato) passato «politico» dello stesso alto funzionario dello Stato, nonché del «doppio incarico» (politico e tecnico) che ancora oggi egli riveste. (4-01551)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta che l'attribuzione al prefetto Umberto Postiglione dell'incarico di capo del Dipartimento affari interni e territoriali del Ministero dell'interno rientra nell'ordinario avvicendamento dei prefetti nelle diverse sedi.
  Tale conferimento è stato approvato dal Consiglio dei ministri, nella sua collegialità, con delibera del 26 luglio 2013, nell'ambito di un'ampia rotazione di incarichi resasi necessaria per la copertura di posti vacanti a livello centrale e periferico e tiene conto delle particolari doti e capacità professionali dimostrate nel tempo dal Prefetto Postiglione.
  In particolare, nel corso della sua carriera, l'alto funzionario ha già svolto, tra l'altro, le delicatissime funzioni di prefetto di Agrigento, di vice capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e di prefetto di Palermo.
  Per quanto riguarda l'incarico di immissario straordinario per la provvisoria gestione della provincia di Roma – ricoperto dal dicembre 2012 – si fa presente che, per le assorbenti ed elevate funzioni di capo del Dipartimento affari interni e territoriali, il prefetto Postiglione è stato sostituito nel predetto incarico con altro funzionario.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MAESTRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quanto viene segnalato dalle organizzazioni sindacali di categoria, già da diversi giorni i vigili del fuoco sono stati privati della polizza infortuni e di quella di rimborso delle spese sanitarie stipulata dall'Opera nazionale di assistenza dei vigili del fuoco, ente che provvede alle iniziative socio-assistenziali in favore del personale del Corpo;
   in questo modo qualora un vigile del fuoco dovesse essere soggetto ad un infortunio sul servizio o a malattia professionale – cosa molto frequente vista la natura dell'impegno encomiabile dei pompieri – dovrebbe pagare le cure personalmente anticipando le spese relative, poiché il dipartimento dei vigili del fuoco non paga le spese sostenute, se non a chiusura dell'incidente e con tempi piuttosto lunghi;
   i fondi provenienti oggi dal Ministero dell'economia e delle finanze e destinati al dipartimento VV.FF, che a sua volta poi girava all'Opera nazionale di assistenza per il personale Corpo nazionale dei vigili del fuoco la propria quota parte, sono stati ridotti interrompendo alcune forme di assistenza;
   la polizza permetteva, inoltre, di poter fruire di alcune prestazioni causate da infortuni sul lavoro presso strutture private convenzionate in modo da abbattere i tempi di attesa e favorire il celere reintegro lavorativo degli operatori interessati –:
   quali siano le ragioni dell'interruzione del finanziamento della polizza sopra richiamata e se siano previste altre forme di tutela sanitaria parimenti utili e funzionanti come la suddetta. (4-01355)

  Risposta. — L'Opera nazionale di assistenza per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (Ona) provvede, in conformità alle previsioni statutarie, all'assistenza morale, culturale e materiale degli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché dei loro familiari e orfani.
  Per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, l'ente si avvale dei mezzi finanziari indicati nell'articolo 5 dello Statuto, ma di fatto l'unica significativa forma di contribuzione per l'ente è quella relativa ai proventi dei servizi resi a pagamento dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In particolare, fino all'anno 2007 l'Ona ha ricevuto il 20 per cento dei suddetti proventi, i quali – mediante procedura di riassegnazione in bilancio – sono confluiti nello stato di previsione della spesa di questa Amministrazione, per poi essere trasferiti al bilancio dell'Opera.
  Successivamente, la legge 244 del 24 dicembre 2007 (legge finanziaria 2008) ha introdotto il divieto di iscrivere stanziamenti negli stati di previsione dei Ministeri.
  A partire dal 2008, pertanto, l'Opera viene finanziata mediante un trasferimento di risorse proveniente da un fondo istituito
ad hoc nel bilancio di questo Ministero e ha subito una graduale e progressiva riduzione delle entrate assegnate dal bilancio pubblico.
  L'entità del finanziamento annuale attribuito al Dipartimento dei vigili del fuoco, a seguito di una prima ripartizione, ha comportato il mancato rinnovo della polizza sanitaria stipulata dall'Ona.
  L'ammontare degli stanziamenti disposti a favore dell'ente a seguito dei trasferimenti di risorse dal bilancio di questo ministero non è predeterminato, ma viene stabilito ogni anno con decreto ministeriale, secondo le finalità previste dalla legge. La predetta procedura, pertanto, in assenza a monte di una preventiva, certa e idonea copertura finanziaria, non consente all'Ona di assumere impegni di spesa pluriennali.
  Al riguardo sono state proposte apposite modifiche normative dell'attuale disciplina del finanziamento delle attività socio-assistenziali in favore del personale dei Vigili del fuoco espletate per il tramite dell'Opera nazionale che, fino ad oggi, non hanno trovato accoglienza in sede legislativa.
  Attualmente, in favore di tale personale permane comunque in vigore un variegato sistema di misure di sostegno e di tutela di particolare rilevanza, atto a garantire interventi di natura previdenziale-privilegiata e assistenziali, nonché di natura indennitario-risarcitoria (limitatamente ai feriti o ai caduti riconosciuti vittime del dovere, del servizio, della criminalità e del terrorismo) assai favorevoli. Ricorrendone i requisiti di legge, inoltre, a dette misure si aggiungono i benefici assunzionali.
  Tale complesso di misure di sostegno e di tutela, rispetto agli istituti riconosciuti agli assicurati Inail, è da ritenersi complessivamente più favorevole per gli stessi destinatari, pur non mancando talune lacune quali, ad esempio, il riconoscimento del danno biologico previsto dalla disciplina dell'Inail.
  Per quanto concerne il rimborso delle spese, ai sensi della normativa vigente, sono a carico di questa amministrazione le spese di cura, di degenza e per eventuali protesi, escluse quelle sostenute per cure balnotermali, idroponiche e inalatorie, solo per la parte eccedente a quella che compete al Servizio sanitario nazionale, a condizione che sia riconosciuta all'interessato l'infermità o la lesione dipendente da causa di servizio.
  In caso di prestazioni effettuate presso strutture sanitarie private non convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, ovvero presso sanitari operanti a titolo privato in strutture sanitarie pubbliche (con conseguente pagamento per intero della prestazione sanitaria erogata), è possibile concedere il rimborso soltanto previa autorizzazione della competente Azienda sanitaria locale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MARIANO e ORFINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU), assume l'attuale denominazione nel 1975 a seguito della costituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, subentrando al Centro nazionale per il catalogo unico creato nel 1951, con il compito di catalogare l'intero patrimonio bibliografico nazionale;
   l'obiettivo iniziale è oggi realizzato dal Servizio bibliotecario nazionale (SBN), la rete informatizzata di servizi nazionali cui partecipano biblioteche dello Stato, degli enti locali e delle università, che contribuiscono, tramite catalogazione partecipata, alla creazione del catalogo collettivo nazionale realizzato e gestito dall'Istituto, che ha la responsabilità di indirizzare, produrre e diffondere le norme standard per la catalogazione delle diverse tipologie di materiali dai manoscritti ai documenti multimediali;
   il sopra citato istituto costituisce il punto di riferimento, a livello nazionale, per tutte le problematiche di carattere scientifico e tecnico che coinvolgono le biblioteche italiane e inoltre, coordina ed orienta le singole biblioteche riguardo alla digitalizzazione del patrimonio bibliografico nazionale e nello specifico promuove e gestisce progetti di digitalizzazione svolgendo funzione di selezione, supervisione e monitoraggio;
   la mancanza di fondi crea gravi difficoltà all'istituto, tali da mettere a rischio anche il servizio del catalogo nazionale online delle biblioteche italiane, una rete a cui aderiscono oltre 5 mila biblioteche, che consente a più di 5 milioni di visitatori l'anno, studiosi o semplici lettori, di individuare via web, in quale biblioteca ed in quale città è custodito un libro o un documento raro, con grande risparmio di tempi e risorse per l'utenza interessata;
   pertanto il catalogo rappresenta un servizio indispensabile per la ricerca, consente di accedere a 14 milioni di titoli con 64 milioni di localizzazioni, circa 50 milioni di ricerche bibliografiche e più di 35 milioni di pagine visitate, permette di prenotare la consultazione del libro o del documento, chiederne una riproduzione e in alcuni casi il prestito;
   la situazione è grave, il numero di dipendenti che gestisce il catalogo unico è passato dai 90 del 2006 ai 43 di oggi; come se non bastasse si aggiungono i tagli dei fondi alla cultura, da 2,3 milioni del 2007 agli attuali 1,3 milioni di euro;
   anche la Biblioteca nazionale da tempo è costretta a limitare l'orario per la distribuzione dei testi per mancanza di personale, passato da 398 dipendenti, a 210;
   la riduzione delle risorse, pertanto, potrebbe determinare la riduzione o la soppressione del servizio offerto con grave danno al sistema della ricerca e ai fruitori delle biblioteche italiane –:
   alla luce di quanto sopra esposto, quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per evitare la chiusura del servizio, così da preservare uno strumento indispensabile allo studio e alla ricerca e rendere realmente accessibile il patrimonio librario italiano a tutti i cittadini. (4-00496)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante chiede quali iniziative intenda assumere questa Amministrazione al fine di evitare la cessazione dei servizi erogati dall'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, così da preservare uno strumento indispensabile allo studio e alla ricerca e rendere realmente accessibile il patrimonio librario italiano a tutti i cittadini.
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  Il Servizio bibliotecario nazionale è un progetto ormai trentennale di questo Ministero, i cui primi investimenti statali rimontano alla cosiddetta legge De Michelis per i giacimenti culturali (legge 41 del 1986, articolo 15). I finanziamenti concessi da tale legge, 37 miliardi di lire, furono utilizzati sia per l'acquisizione su sistema informativo delle notizie bibliografiche contenute nella Bibliografia nazionale italiana (Bni), nel Bollettino delle opere moderne straniere acquisite dalle Biblioteche pubbliche statali (Boms) e in alcuni fondi di interesse meridionalistico, sia per la progettazione e lo sviluppo del sistema centrale del Servizio bibliotecario nazionale, chiamato Indice Sbn, sul quale fu riversato, negli anni successivi (1993-1994), l'archivio di 750.000 record bibliografici che si era costituito.
  Si avviò così, nel 1992, un sistema particolarmente avanzato dal punto di vista architetturale: sul territorio si costituivano, per iniziativa delle regioni, delle università o dello Stato stesso delle aggregazioni di biblioteche (Poli), che condividevano un sistema informativo, cioè un elaboratore e un
software applicativo: le biblioteche che aderivano al polo potevano così automatizzare la gestione di tutte le attività della biblioteca, dai rapporti con i fornitori, alla catalogazione, alla conservazione del patrimonio librario, fino ai servizi all'utenza. I poli operano le loro scelte, sia relative all'automazione (esempio la scelta dell'ambiente hardware e software) sia all'organizzazione dei servizi sul territorio, in assoluta autonomia.
  La partecipazione alla rete Sbn implica esclusivamente l'utilizzo del colloquio con l'Indice per la catalogazione e per il prestito tra biblioteche. Sia dal punto di vista architetturale, sia da quello funzionale, il sistema centrale si pone, ancora oggi, esclusivamente come «servente», cioè l'Indice dà servizi alle biblioteche, che li richiedono in fase di catalogazione e di prestito interbibliotecario. Attraverso la condivisione dei dati resa possibile dall'Indice, si è così consentito alle biblioteche di abbattere il lavoro di catalogazione in misura sempre crescente negli anni (oggi si è mediamente ridotto al 10 per cento) perché ciascuna pubblicazione viene descritta una sola volta, dalla prima biblioteca che la possiede, mentre le altre biblioteche si limitano a scaricare sul sistema locale il record trovato nell'Indice, aggiungendo sulla base dati centrale l'informazione sul possesso, e all'Indice la costituzione del catalogo collettivo.
  I successivi sviluppi per la rete Sbn sono stati:
a) la realizzazione della linea funzionale per la catalogazione del Libro antico sia nell'applicativo dell'Indice che negli applicativi di Polo (1994-1995); b) la realizzazione, secondo i più avanzati standard internazionali per la ricerca, del catalogo consultabile via Internet da parte degli utenti finali (Opac Sbn), sviluppato nel 1996-1997 con un investimento pari a circa 2 miliardi di lire; c) la creazione (1998-1999) di una nuova procedura del prestito interbibliotecario, integrata con una nuova versione dell'Opac, chiamata Sbn-on-line e realizzata nell'ambito di progetti europei (One, One-2), e non più affidata all'Indice Sbn, ma residente su un server autonomo, al quale possano collegarsi e sul quale possano registrarsi ed operare anche biblioteche che non aderiscono al catalogo collettivo Sbn.
  Nel 2001 ha avuto inizio il progetto di evoluzione dell'Indice Sbn, concluso all'inizio del 2004 e volto a consentire la catalogazione di una più ampia gamma di materiali (musica, grafica e cartografia) e la gestione di un maggior numero di archivi di autorità (soggetti, classi e luoghi di edizione, oltre ai già esistenti autori, titoli uniformi e marche tipografiche), a facilitare l'interazione con il sistema centrale da parte degli applicativi commerciali mediante l'utilizzo di un protocollo più semplice e più standard, ad offrire ai poli modalità più flessibili di adesione al Servizio bibliotecario nazionale. Il costo del progetto è stato di 4 miliardi e 320 milioni di lire.
  È infine da ricordare che questo Ministero, con propri finanziamenti e con il coordinamento tecnico-scientifico dell'Istituto centrale per il catalogo unico (Iccu), ha sempre realizzato, mantenuto e distribuito gratuitamente un applicativo di polo per la gestione automatizzata delle biblioteche. Nel corso degli anni sono stati, pertanto, sviluppati diversi applicativi passando da piattaforme proprietarie a piattaforme open, e da un nucleo iniziale di procedure ad un insieme ben più esteso di funzionalità. L'attuale applicativo SbnWeb, interamente basato su
software di base open source, è utilizzato da circa 1000 biblioteche, tra le quali le maggiori biblioteche pubbliche statali, ed ha consentito notevoli economie, con l'abbattimento dei costi di gestione precedentemente sostenuti dai poli.
  Una stima complessiva degli investimenti sostenuti a partire dal 1987, includendovi altre realizzazioni, quali il censimento dei manoscritti e quello delle edizioni del XVI secolo, l'anagrafe delle biblioteche e il servizio di prestito interbibliotecario, ammonta approssimativamente, in valuta odierna, a circa 30 milioni di euro.
  Per quanto riguarda la gestione di Sbn, dal 1992 fino a tutto il 2010 sono stati utilizzati circa 2 milioni di euro all'anno, nonostante già si avvertissero, a partire dal 2005, i primi segni di una progressiva riduzione delle risorse finanziarie a disposizione del settore.
  Dal 2011, tuttavia, i costi di gestione del Sbn, nonché quelli relativi al funzionamento dell'Iccu, non possono essere più coperti dai capitoli di bilancio espressamente finalizzati allo scopo.
  Si deve ricordare che nel volgere di un decennio, tra il 2004 e il 2013, gli importi tabellari del settore librario (la Direzione generale per le biblioteche, l'Iccu, le due biblioteche nazionali centrali e gli altri 45 istituti centrali e biblioteche dipendenti), cioè le spese per il funzionamento, gli acquisti librari, l'informatica, la tutela e la catalogazione, sono scese da circa 35 milioni di euro a poco più di 14 milioni di euro. In particolare, al capitolo di funzionamento dell'Iccu, comprendente anche la gestione di Sbn, la diminuzione in anni recenti è stata particolarmente netta perché si è passati da 2,23 milioni di euro nel 2010 a 1,07 milioni di euro nel 2013, come ricordato dall'interrogante.
  In considerazione dei pesanti tagli ai capitoli di bilanci di questo Ministero, il mantenimento dei servizi e delle attività istituzionali si realizza soltanto, ormai, ricorrendo a una pluralità di fonti di finanziamento, ad esempio le risorse disponibili su capitoli condivisi dalla competente Direzione con altri centri di responsabilità, quali il 1321, istituito dalla legge finanziaria 2007, il 7460, relativo ai lavori pubblici, nonché l'Otto per mille e il Gioco del Lotto, o a mezzo di risorse straordinarie reperite attraverso rimodulazioni e riassegnazioni di stanziamenti precedenti.
  L'azione ordinaria della Direzione generale per le biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d'autore consiste, dunque, nell'affiancare alle dotazioni di bilancio degli istituti e delle biblioteche, come pure dell'Iccu, tutte le risorse che possono essere reperite attraverso i canali sopra indicati. Per quanto riguarda l'Iccu, per il 2013 è stata messa a disposizione la somma di euro 1.929.879,00, di cui solo 180.000,00 non ancora erogati per mancanza di cassa, a copertura delle spese relative alla gestione dell'infrastruttura centrale di Sbn e al funzionamento dell'Istituto stesso e, considerato il fabbisogno calante per Sbn, la chiusura del Servizio non è in discussione.
  L'Istituto ha ricevuto, inoltre, 272.674,10 euro per debiti relativi al 2012.
  Per quanto riguarda invece la situazione di personale sia dell'Iccu che della Biblioteca nazionale centrale di Roma, nonché della Biblioteca nazionale centrale di Firenze e più in generale di tutti gli altri istituti afferenti, si osserva che il problema è generale dell'intera amministrazione statale e che può essere risolto esclusivamente adottando importanti decisioni in materia occupazionale.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   MELILLA e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   un altro orso bruno marsicano è stato ucciso nella zona delle Mainarde, nel parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, a colpi di fucile da criminali senza scrupoli. L'esame radiografico eseguito dalla facoltà di veterinaria dell'università di Teramo ha rilevato 3 pallottole, di cui una mortale alla testa. I responsabili di questo gesto hanno attirato l'orso con una carcassa di cavallo;
   l'esecuzione di un orso marsicano assume una gravità inaudita essendo ridotta la popolazione di questi rari plantigradi a circa 60 unità;
   è quindi a rischio la conservazione di questa specie con la quale si identifica il parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise;
   ad aprile 2013 un altro esemplare di orso marsicano era morto investito da un'automobile mentre attraversava una strada;
   si rende urgente, dinanzi al ripetersi di simili atti criminali, adottare in tempi brevi un'incisiva azione di conservazione attraverso la costituzione di una banca scientifica della riproduzione dell'orso bruno marsicano e una forte implementazione delle misure di tutela attiva e prevenzione sul territorio che siano di supporto ad una politica di espansione dell'attuale popolazione di orsi marsicani; la Società di storia della fauna «Giuseppe Altobello» ha rilevato come a tutt'oggi non sia stata ancora realizzata una banca del seme, passo quasi obbligato in tutti i casi in cui si ha a che fare con una specie o una sottospecie la cui consistenza numerica è al di sotto della soglia minima di vitalità nel lungo periodo come è appunto il caso dell’Ursus arctos marsicanus; il conservation breeding potrebbe rappresentare l'unica strada per favorire la necessaria espansione dell'orso bruno marsicano al di fuori dell'area di diffusione primaria;
   è necessaria una forte mobilitazione della comunità scientifica e ambientalista per scongiurare il pericolo della scomparsa di questa straordinaria specie appenninica di orsi –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per sostenere l'azione dell'ente parco nazionale d'Abruzzo a tutela della conservazione dell'orso bruno marsicano.
(4-01196)

  Risposta. — In merito ai quesiti posti dagli interroganti, appare opportuno premettere ed evidenziare che questo Dicastero, com’è noto, è istituzionalmente e direttamente impegnato nella conservazione dell'orso bruno marsicano, in particolare, attraverso il coordinamento delle azioni di conservazione previste dal piano d'azione per la tutela dell'orso bruno marsicano (Patom), nel cui contesto agisce congiuntamente con le regioni interessate alla presenza dell'orso e con l'Ente parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise.
  E anche per questo, lo scrivente Ministero si è interessato al caso citato nell'interrogazione sin dalla prima segnalazione del rinvenimento della carcassa di un orso in località Monte Morrone, nel versante molisano del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, tenendosi, in seguito, in stretto e costante contatto con l'Ente gestore del Parco e con le autorità interessate per seguire la vicenda ed acquisire ogni utile elemento al riguardo.
  La carcassa del plantigrado veniva segnalata, infatti, da un escursionista il 7 luglio 2013 nel Comune di Castel San Vincenzo; in prossimità di essa venivano altresì rinvenuti i resti di un puledro, verosimilmente predato dai lupi, nonché, a poca distanza da questo, anche una carcassa di volpe totalmente integra che non presentava segni di predazione.
  La carcassa dell'orso veniva immediatamente inviata al laboratorio dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise.
  La relativa autopsia, avviata il giorno 9 luglio 2013 e conclusa il successivo giorno 26, ha potuto evidenziare che l'esemplare sarebbe stato oggetto di colpi di arma da fuoco di diversi calibri, nessuno di essi mortale, e comunque risalenti ad epoca non recente; allo stesso modo, non sono state rilevate tracce di avvelenamento.
  Ancora allo stato, l'Istituto zooprofilattico di Teramo, che ha svolto l'autopsia, non è in grado di stabilire con certezza la causa della morte del plantigrado.
  Al proposito, appare opportuno ricordare che il Parco nazionale d'Abruzzo veniva istituito nel 1922 al fine specifico di tutelare le specie faunistiche più rare e a rischio di estinzione, come, appunto, l'orso bruno marsicano e il camoscio appenninico.
  Esso ha sempre svolto, nel corso di questi novant'anni, la sua funzione di tutela delle suindicate specie faunistiche, probabilmente salvandole dall'estinzione, nonché attività di promozione del territorio, di ricerca scientifica e didattico-educative.
  In particolare per la tutela delle popolazioni di orso bruno marsicano è tuttora in atto lo specifico progetto
Life Arctos, attuato nell'ambito del programma finanziario della Commissione europea Life + Natura, di cui l'Ente parco è il coordinatore, e tra i cui partner figurano, tra gli altri, le Regioni Abruzzo e Lazio e l'Università La Sapienza di Roma.
  Tale progetto, che terminerà nel prossimo anno, ha già consentito di pervenire a importanti risultati e indicazioni, per l'adozione di ulteriori indispensabili misure di salvaguardia del plantigrado, e per la soluzione di problematiche attinenti, quali la chiusura di talune strade montane forestali, la eliminazione del fenomeno del pascolo brado, i tagli boschivi, il controllo sanitario del territorio, ecc.
  L'Ente parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise ha, quindi, messo in atto importanti iniziative di contrasto di attività incompatibili e illegali e di tutela proattiva, quali, ad esempio, l'assunzione in concessione diretta di territori comunali strategici per la tutela e conservazione della specie, il controllo sanitario di bestiame domestico, il miglioramento costante della regolamentazione degli indennizzi dei danni provocati dalla fauna protetta, il miglioramento delle relazioni con istituzioni e operatori locali, compresi allevatori e agricoltori.
  Dal canto suo, questo Ministero contribuisce alle iniziative di tutela del territorio e delle specie protette mediante il costante e il più efficace esercizio delle proprie funzioni di controllo e indirizzo sull'Ente gestore del Parco nazionale.
  Con riferimento al ritrovamento della carcassa di orso, ad esempio, seppure le verifiche successive, come sopra riferito, abbiano ridotto la drammaticità dell'episodio, quale amplificato nei giorni successivi al rinvenimento dagli organi di stampa, non per questo lo scrivente Ministero (anche in considerazione dei recenti casi di uccisione, in particolare per avvelenamento, di altre specie di fauna protetta, e segnatamente del lupo appenninico) ha ritenuto di sottovalutare il potenziale delittuoso del fenomeno, adottando con immediatezza le azioni di competenza ritenute più idonee.
  E, infatti, al fine di prevenire e reprimere eventuali atti di bracconaggio nei confronti delle specie faunistiche protette, questo Ministero ha provveduto ad una idonea sensibilizzazione del Corpo forestale dello Stato volto a un rafforzamento dell'attività di vigilanza e di
intelligence, richiedendo, altresì, al Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente (Ccta), stante la rilevanza e gravità della situazione, un robusto e mirato intervento, sempre in collaborazione con il Coordinamento territoriale per l'ambiente (Cta) del Corpo forestale dello Stato, finalizzato ad evitare che eventuali condotte criminali poste in essere da malintenzionati possano nuocere alle comunità delle specie protette nel Parco nazionale e condurre, al limite, all'estinzione dell'orso marsicano.
  Nella considerazione, poi, che le azioni di conservazione di un'area protetta, ivi comprese quelle volte alla tutela delle specie protette, presuppongono un quadro normativo definito e conoscibile, nell'ambito del quale poter sviluppare le opportune attività di
enforcing da parte delle autorità a ciò preposte, questo Ministero ha invitato i Presidenti delle regioni Abruzzo, Lazio e Molise affinché collaborino per il superamento dell'attuale gestione commissariale, e perché si giunga finalmente e con la massima sollecitudine, alla approvazione del Piano del Parco, previsto dall'articolo 12 della legge n. 394 del 1991, nonché alla istituzione delle aree contigue del Parco, ai sensi dell'articolo 32 della medesima legge.
  Nel frattempo, in attesa della approvazione del piano del Parco, è stata acquisita la bozza di regolamento del Parco, sulla quale è già stata avviata la pre-istruttoria in vista della sua prossima approvazione ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 394 del 1991.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 6 luglio 2013 si è verificato l'ennesimo incidente mortale sulla strada statale 107 Silana-Crotonese. Si tratta del giovane agente scelto Massimo Impieri che, sceso dall'auto per prestare soccorso ad un'auto incidentata, è stato travolto e ucciso da un veicolo guidato da un uomo ubriaco che adesso dovrà rispondere di omicidio colposo, omissione di soccorso e guida in stato di ebbrezza;
   la strada statale 107 Silana-Crotonese è una delle strade più pericolose d'Italia e si registrano ormai da anni spaventosi e drammatici incidenti;
   la strada statale 107, inserita 5 anni fa nella «top ten» dell'ACI e dell'Istat delle strade più pericolose d'Italia, versa in condizioni di estrema precarietà a causa della scarsa manutenzione, pur essendo sempre più trafficata e di valore strategico considerato che agevola i collegamenti tra le province di Cosenza e Crotone e tra l'Altopiano Silano e il Medio-Alto Tirreno cosentino;
   se si vuole fermare questa strage, sono pertanto necessari e non più rinviabili i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria per mettere in sicurezza la strada statale 107 –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali urgenti iniziative intenda adottare per la messa in sicurezza della tratta stradale SS 107.
(4-01183)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La strada statale 107 «Silana-Crotonese», lunga circa 134 chilometri, è caratterizzata da un andamento plano-altimetrieo particolarmente complesso poiché attraversa la catena montuosa della Sila, raggiungendo anche i 1.400 metri di altitudine in corrispondenza del valico di Camigliatello Silano (CS).
  Il tracciato è contraddistinto da numerosi ponti, viadotti e gallerie che richiedono una costante manutenzione soprattutto a causa delle condizioni climatiche proibitive nei mesi invernali.
  In merito al tragico incidente stradale cui fa riferimento l'interrogante, si fa presente che il medesimo non risulta sia da imputarsi ad ammaloramenti della carreggiata, bensì allo scorretto comportamento di guida del conducente, in evidente stato di ebbrezza, con palese violazione delle norme del codice della strada.
  Per quanto riguarda, invece, la manutenzione, sia ordinaria che straordinaria sulla strada statale 107, si informa che l'Anas è intervenuta lungo l'arteria in questione a partire dal 2008 con un investimento finanziario pari a circa 5,29 milioni di euro.
  Ad oggi, risultano in corso di esecuzione lavori di manutenzione ordinaria per circa 220 mila euro, mentre sono in fase di attivazione entro la fine del 2013, interventi di manutenzione straordinaria pari a circa 2,4 milioni di euro dei quali 1,7 milioni di euro finanziati dal decreto legge 69 del 2013 recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», e relativa legge di conversione.
  Per completezza di informazione, si segnala, infine, che la società Anas, in accordo con la prefettura di Cosenza e la polizia stradale ha provveduto ad installare, nel tratto in argomento, apparecchiature per il controllo elettronico della velocità allo scopo di limitare i possibili pericoli per gli utenti e diminuire le percentuali di incidentalità.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha stipulato una serie di convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire l'evasione fiscale;
   le convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni sono accordi internazionali che individuano quale dei due Stati contraenti debba esercitare la propria potestà impositiva nei confronti di soggetti giuridici residenti in uno di essi che abbiano maturato redditi nell'altro;
   con riferimento alle pensioni erogate da un ente previdenziale di uno Stato contraente ad un residente dell'altro Stato contraente, la maggior parte delle convenzioni prevede la detassazione della pensione nel Paese di erogazione e la tassazione nel Paese di residenza. Si tratta di convenzioni che hanno mutuato il testo-guida definito nella convenzione base dell'OCSE che all'articolo 18 recita così: «le pensioni e le altre remunerazioni analoghe, pagate ad un residente di uno Stato contraente in relazione ad un cessato impiego, sono imponibili soltanto in detto Stato»;
   alcune convenzioni prevedono invece delle regole di detassazione diversificate rispetto alla normativa generale sopra esaminata: si tratta delle convenzioni stipulate con Brasile, Canada, Francia, Svezia, Lussemburgo, Finlandia e Tailandia in base alle quali è prevista o la tassazione della pensione nel solo Stato di erogazione in luogo di quello di residenza oppure la doppia tassazione con eventuale credito di imposta a carico di un Paese contraente;
   la convenzione contro le doppie imposizioni fiscali tra Italia e Brasile, ratificata nel 1980, e che è l'oggetto di questa interrogazione, pur prevedendo come normativa di base la tassazione delle pensioni private (quelle dell'Inps) nel solo Paese di residenza, contempla eccezioni, in merito ai limiti di imponibile e alla natura (previdenziale o assistenziale) della pensione, eccezioni che consentono paradossalmente la tassazione concorrente o doppia tassazione, contravvenendo così al valore fondativo delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali;
   la convenzione infatti stabilisce all'articolo 18, comma 1, che l'ammontare delle pensioni che eccede nell'anno solare una somma pari a 5.000 dollari statunitensi è imponibile in entrambi gli Stati contraenti;
   migliaia di pensionati italiani residenti in Brasile subiscono quindi su una parte delle loro pensioni un doppio prelievo fiscale che in teoria dovrebbe essere evitato con il metodo indicato dall'articolo 23 della convenzione che stabilisce che, se un residente del Brasile ricava redditi imponibili in Italia in base alla convenzione, il Brasile dovrebbe accordare sui redditi degli interessati una deduzione (o credito di imposta) pari all'ammontare dell'imposta pagata in Italia;
   in realtà il doppio prelievo fiscale non è evitato perché il Brasile si rifiuta di concedere tale deduzione invocando l'articolo 19, comma 4, della convenzione che indica – in palese contrasto con l'articolo 18 succitato e che il Brasile non riconosce – che le pensioni pagate nel quadro del sistema di sicurezza sociale italiano ad un pensionato residente in Brasile sono imponibili soltanto in Brasile e non anche in Italia;
   le diverse e contrastanti interpretazioni della convenzione hanno innescato un contenzioso tra i due Stati che dura sin dall'anno 2000 e che ha penalizzato migliaia di nostri pensionati residenti in Brasile i quali vengono tassati due volte senza vedersi riconosciuto dal Brasile il diritto alla deduzione fiscale previsto dall'articolo 23 dell'accordo;
   quindi il contenzioso in questione vede da una parte lo Stato brasiliano sostenere che in virtù dell'articolo 19, comma 4, della convenzione, la potestà fiscale sulle pensioni italiane pagate in Brasile è esclusivo appannaggio del Brasile, come d'altronde si era in pratica verificato fino al 2000 (quando improvvisamente lo Stato italiano ha iniziato ad assoggettare a tassazione alla fonte tali pensioni per la parte eccedente i 5.000 dollari statunitensi); dall'altra parte vede lo Stato italiano sostenere la prevalenza del principio fiscale contenuto nell'articolo 18, comma 1, che dispone appunto la doppia tassazione superata la soglia pensionistica di 5.000 dollari statunitensi;
   i tentativi di trovare una soluzione al problema da parte dei due Stati contraenti sono finora naufragati in un nulla di fatto anche se le autorità competenti sono consapevoli di essere responsabili di un trattamento iniquo e normativamente incongruo ai danni dei nostri connazionali pensionati residenti in Brasile –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare per evitare che migliaia di nostri connazionali continuino ad essere penalizzati a causa di un contenzioso tecnico addebitabile, ad avviso degli interroganti, esclusivamente all'inadempienza delle autorità competenti in materia, che in tutti questi anni non hanno voluto o non sono riuscite a dirimere la controversia interpretativa;
   quali urgenti iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire la riapertura dei negoziati con il Brasile al fine di eliminare la doppia imposizione anche promuovendo la modifica dell'articolo 18 dell'accordo e introdurre il principio della tassazione in un solo Paese come previsto dal modello OCSE attualmente applicato nella stragrande maggioranza delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall'Italia, o perlomeno al fine di garantire l'elevazione dell'importo soglia al di sopra del quale si applica la doppia tassazione (attualmente pari a 5.000 dollari statunitensi) ad un importo più adeguato;
   quali iniziative il Governo intenda attuare per trovare un'intesa con le autorità brasiliane al fine di rimborsare ai pensionati italiani le somme loro indebitamente trattenute a causa della contrastante interpretazione dell'accordo da parte dei due Stati contraenti e conseguentemente dell'impropria applicazione del principio della tassazione concorrente o doppia tassazione finora mai compensata dalla deduzione fiscale prevista invece dall'articolo 23 dell'accordo stesso.
(4-00924)

  Risposta. — Il caso segnalato dall'interrogante riguarda le note problematiche applicative della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Brasile del 1978, con particolare riguardo alla tassazione dei redditi da pensione (articoli 18, 19, 23).
  Mentre il combinato disposto degli articoli 18 e 23 prevede, per i redditi da pensione eccedenti l'importo annuale di 5.000 dollari USA, la tassazione concorrente da parte dei due Stati contraenti e l'eliminazione di fatto della doppia imposizione attraverso l'applicazione del credito d'imposta da parte del Paese di residenza, l'articolo 19 al paragrafo 4 dispone che «le pensioni pagate nel quadro di un sistema di sicurezza sociale» di uno Stato contraente ad un residente dell'altro Stato siano imponibili solo in quest'ultimo.
  Il Brasile, sulla base di questo ultimo articolo, tassa in maniera esclusiva tutte le pensioni di fonte italiana percepite dai residenti in Brasile, senza offrire la possibilità a questi ultimi di usufruire del predetto credito d'imposta.
  Per la legislazione italiana l'applicazione dell'articolo 19 paragrafo 4 dovrebbe essere, invece, limitata unicamente alle «prestazioni non aventi carattere contributivo», garantite a tutti i cittadini. Tale interpretazione è coerente con quella prevista dall'attuale commentario all'articolo 18 del modello Ocse, secondo il quale somme pagate nell'ambito di un sistema di sicurezza sociale sono esclusivamente le prestazioni garantite dallo Stato, al fine di perseguire obiettivi di solidarietà, a coloro che versano in una situazione ritenuta dalla legge meritevole di tutela (per esempio le cosiddette pensioni sociali o le pensioni di invalidità).
  Tenuto conto di quanto precede, da parte italiana è stato ripetutamente prospettato alla controparte brasiliana il carattere prioritario delle problematiche relative alla doppia imposizione subita dai pensionati italiani residenti in Brasile che ricevono pensioni di fonte italiana, nonché la necessità di trovare urgentemente una soluzione alla questione.
  Tali elementi hanno portato il Ministero dell'economia e delle finanze a considerare che l'unica soluzione possibile risieda in una modifica normativa relativa agli articoli 18 e 19 della convenzione vigente. In tal senso alla fine del 2012 una bozza di disposizioni che potrebbero essere inserite in un Protocollo modificativo della vigente convenzione è stata presentata ufficialmente attraverso la Farnesina alle competenti autorità brasiliane. Le proposte italiane riguardano sia il trattamento delle pensioni (articoli 18 e 19), sia lo scambio di informazioni di natura fiscale (articolo 26).
  Con particolare riguardo al trattamento delle pensioni, e al fine di assicurare una chiara soluzione giuridica sia ai casi concreti finora verificatisi sia con riguardo alla disciplina da adottare in materia per il futuro, da parte italiana si propone – nell'ottica di un compromesso – che per il passato trovi applicazione il principio della tassazione concorrente (per i pensionati italiani residenti in Brasile che hanno finora ricevuto pensioni di fonte italiana la doppia imposizione potrebbe essere eliminata attraverso il riconoscimento di un credito d'imposta da parte del Brasile per le imposte versate in Italia) mentre per il futuro si introdurrebbe il principio della tassazione esclusiva nello Stato di residenza applicando, pertanto, la sola imposizione brasiliana.
  Da parte brasiliana, nonostante diversi solleciti, non è stato ad oggi fornito alcun riscontro ufficiale alle proposte italiane. È stata di recente manifestata per le vie brevi una disponibilità alla revisione dell'articolo 26 che rivestirebbe per quelle autorità importanza prioritaria, al fine di adeguare la convenzione alle raccomandazioni emanate in ambito Ocse sul tema dello scambio di informazioni di natura fiscale, mentre le modifiche proposte dall'Italia al regime della tassazione sulle pensioni (articoli 18 e 19) potrebbero essere secondo loro esaminate in un secondo momento.
  Da parte del nostro Governo si auspica che il dialogo avviato possa trovare un momento importante di verifica in occasione del V Consiglio di Cooperazione tra l'Italia ed il Brasile, attualmente in corso di preparazione, che si terrà il prossimo 25 ottobre a Roma. Uno dei tavoli di lavoro dell'incontro, quello riservato ai temi della Cooperazione Sociale, è infatti dedicato, tra l'altro, alle modifiche da apportare in questo ambito alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 agosto 2013, la stampa locale ha dato notizia dell'avvenuto arresto a Jesolo di cinque immigrati extracomunitari e tre agenti della polizia di Stato, ad opera della squadra mobile della questura di Venezia;
   i tre agenti, ovviamente sospesi dal servizio, ricoprivano incarichi delicati, trattandosi di un ispettore addetto al settore immigrazione, un sovrintendente della polizia scientifica ed un sovrintendente responsabile del foto segnalamento presso il commissariato di Jesolo;
   gli arresti sono stati originati dagli esiti di un'inchiesta condotta dalla magistratura, iniziata nel 2012 in seguito a segnalazioni concernenti casi di rilascio e rinnovo di permessi di soggiorno concessi dietro predisposizione di documenti falsi, in cambio di somme di denaro di varia entità;
   le accuse risultano pesanti: associazione a delinquere, corruzione continuata per atti contrari a doveri d'ufficio, corruzione continuata per esercizio della funzione ed accesso abusivo a sistema informatico –:
   se gli arresti di Jesolo rappresentino un fatto unico oppure rientrino in una casistica più ampia e, in questo caso, quanti rappresentanti delle forze dell'ordine siano stati colpiti negli ultimi due anni da provvedimenti adottati dall'autorità giudiziaria in ragione del loro presunto coinvolgimento nella commissione di reati connessi alla violazione della normativa di prevenzione e repressione dell'immigrazione clandestina. (4-01664)

  Risposta. — Il 6 agosto 2013 la squadra mobile della questura di Venezia ha dato esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Venezia nei confronti di tre appartenenti alla polizia di Stato, in servizio presso il commissariato di pubblica sicurezza di Jesolo, e di sette cittadini stranieri, ritenuti responsabili, in concorso tra di loro, dei reati di associazione per delinquere, corruzione continuata per atti contrari ai doveri d'ufficio, falsità materiale e falsità ideologica in certificati ed autorizzazioni amministrative, truffa ai danni dello Stato e accesso abusivo ad un sistema informatico.
  Le accuse nei confronti degli operatori di polizia si riferiscono ad illeciti commessi nell'ambito delle procedure amministrative per il rilascio/rinnovo dei permessi di soggiorno.
  Nello specifico, sono state configurate a carico dei dipendenti della polizia di Stato precise responsabilità in ordine alla predisposizione di falsa documentazione finalizzata al rilascio e al rinnovo dei permessi di soggiorno in favore di stranieri, nonché per avere anticipato l'appuntamento degli stranieri presso il menzionato commissariato, dietro il corrispettivo di somme di denaro.
  In seguito al citato provvedimento dell'autorità giudiziaria, il personale della polizia di Stato è stato immediatamente sospeso cautelarmente dal servizio, mentre sono state disposte le opportune verifiche amministrative sulla posizione dei cittadini extracomunitari interessati.
  Ciò premesso, in merito all'ultimo quesito posto dall'interrogante, si comunica che nel biennio 2011 e 2012 risultano coinvolti, a vario titolo, nella commissione di reati in violazione della normativa di prevenzione e repressione dell'immigrazione clandestina 12 dipendenti, dei quali 8 appartenenti ai ruoli dei sovrintendenti e degli assistenti ed agenti e 4 appartenenti al ruolo degli ispettori della polizia di Stato.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il Castello di Miramare, costruito per volontà dell'arciduca d'Austria Massimiliano d'Asburgo-Lorena nella seconda metà dell'ottocento, rappresenta una delle principali attrazioni turistiche di Trieste;
   situato nell'omonima frazione del capoluogo giuliano, è sede di un museo storico circondato da un parco di 22 ettari ricco di pregiate specie botaniche, mentre l'area marina è una riserva naturale dal 1986, la prima istituita nel nostro Paese;
   il 6 giugno 2013 il sindaco di Trieste Roberto Cosolini ha scritto al Ministro per i beni e le attività culturali Massimo Bray per chiedere un intervento urgente, da coordinare con la Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici della regione Friuli Venezia Giulia, contro il degrado in cui versa Miramare;
   il primo cittadino di Trieste, consapevole del fatto che la manutenzione e la gestione sia del parco che del Castello non rientrano nelle competenze del comune, non addossa però la responsabilità in modo semplicistico alla regione, visto che la Soprintendenza è «alle prese con difficoltà economiche e organizzative», anche se ritiene che quest'organo regionale non sia «sufficiente per la gestione complessiva di una problematica così complessa»;
   secondo il Sindaco, «ci vuole ben di più che un ripristino di manutenzione, e il Comune può condividere innanzitutto idee, e poi favorire il biglietto d'ingresso al parco», ipotesi già ventilata in passato «che per i triestini potrebbe valere come abbonamento annuale, portando un paio di milioni d'introito che se finalizzati in quota significativa alla gestione del Parco lo restituirebbero alla sua straordinaria storica bellezza, e creerebbero anche non pochi posti di lavoro»;
   una missiva dello stesso contenuto è già stata inviata dal Sindaco Cosolini il 10 settembre 2012 al Ministro per i beni e le attività culturali pro tempore del Governo Monti, Lorenzo Ornaghi, senza ottenere però nessuna risposta;
   si è in attesa degli esiti della campagna del FAI (Fondo ambiente italiano) relativi alla sesta edizione del censimento «I luoghi del cuore», che vede Miramare al settimo posto in Italia tra le località che hanno urgente bisogno di restauro e rivitalizzazione –:
   se il Ministro interrogato intenda convocare immediatamente un tavolo di confronto con gli enti locali al fine di stabilire le priorità per un piano di recupero di Miramare, in modo da interrompere il degrado che comporterebbe la perdita di un luogo storico e turistico di inestimabile valore. (4-00897)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante chiede se il Ministro intenda avviare un tavolo di confronto con gli enti locali al fine di stabilire un piano di recupero per il Castello di Miramare, si comunica quanto segue.
  Nei giorni 10-13 luglio 2013, il direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale di questo Ministero ha incontrato, presso la Regione Friuli-Venezia Giulia, le autorità locali.
  In particolare, venerdì 12 luglio 2013, in occasione dell'inaugurazione del Mittelfest di Cividale dei Friuli, il sopra menzionato direttore generale ha incontrato la Presidente della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, concordando sull'opportunità di un accordo quadro di valorizzazione tra Ministero e Regione, all'interno del quale inserire specifici accordi di attuazione. Tale accordo di valorizzazione, da stipularsi ai sensi dell'articolo 112 del Codice dei beni culturali, costituirà il quadro di riferimento per la stipula di accordi a livello locale relativi alla valorizzazione di specifici contesti.
  A tal proposito, in data 13 luglio, il predetto direttore generale ha incontrato il Sindaco di Trieste alla presenza del direttore regionale Giangiacomo Martines e, in tale sede, si è convenuto di avviare a breve la redazione di uno specifico accordo relativo al Castello di Miramare.
  Al riguardo, si rappresenta che è già in essere un accordo di programma ed un finanziamento congiunto Stato-Regione, sottoscritto in data 4 gennaio 2012, per il restauro e la valorizzazione del Parco di Miramare; che ha portato la cospicua risorsa di un milione è ottocentomila euro complessivi (1,2 milioni statali e 0,6 milioni regionali), impegnati per risolvere alcuni dei problemi più urgenti e gravi del Parco storico di Massimiliano.
  In particolare, in esecuzione di tale accordo sono stati eseguiti i lavori di scavo del
parterre, asportazione delle piante morte e contaminate, potatura di palme ed ippocastani, rifacimento delle aiuole antistanti le scuderie, taglio di alberi morti o in cattive condizioni fitosanitarie per un importo pari ad euro 99.991,82 iva esclusa.
  Inoltre, per quanto attiene alla manutenzione ordinaria, la stessa è stata aggiudicata in data 16 luglio 2013 e i nuovi assegnatari subentreranno a breve agli attuali.
  Infine, giova ricordare che il Comitato regionale per i servizi di biglietteria, in data 13 settembre 2012, su proposta motivata del Soprintendente per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia, ha espresso parere favorevole alla istituzione di un biglietto d'ingresso al Parco di Miramare.
  A tale ultimo riguardo, si rappresenta che allo scopo di non incorrere in violazioni del diritto comunitario, con particolare riferimento agli articoli 12 e 49 del trattato CE (ora trattato sul funzionamento dell'Unione europea), non potendosi esentare dal pagamento i cittadini residenti, è stato proposto di prevedere forme di abbonamento annuale, particolarmente economiche e convenienti per i residenti.
  In tale senso e in tale contesto si colloca, da ultimo, l'ordine del giorno alla Camera; 9/01628/032, accolto in data 3 ottobre 2013, con il quale il Governo si è impegnato a valutare la possibilità di prevedere interventi idonei ad assicurare una più efficace tutela e valorizzazione del Castello di Miramare anche mediante accordi con il comune di Trieste.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   REALACCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le tratte ad alta velocità di Rete ferroviaria italiana permettono rapidi collegamenti tra le principali città del Paese, particolarmente vantaggiosi in termini di comfort e velocità tra il Nord e il Sud Italia. Un fortunato slogan usato per promuovere il trasporto ad alta velocità è stato: «È arrivata la metropolitana d'Italia». Peccato che oggi questo spot possa purtroppo associarsi, non solo all'accorciarsi dei tempi di viaggio, ma anche ai più comuni pericoli presenti nelle metropolitane urbane: borseggi, furti, venditori ambulanti abusivi e un nuovo tipo di «racket» quello del facchinaggio non autorizzato, sovente ad opera di persone straniere;
   come riportano reclami dei clienti, articoli di stampa locale, agenzie di stampa e siti internet il fenomeno sopradescritto interessa maggiormente le stazioni ferroviarie delle città di Napoli, Roma e Firenze dove nonostante la presenza di dipendenti delle Ferrovie dello Stato e di poliziotti, ci sono alcune persone vestite in tuta da lavoro, abbigliamento che sembra farli appartenere allo staff di Trenitalia o ad altro personale autorizzato, che operano invece in modo totalmente abusivo. Questi ultimi puntualmente afferrano in maniera decisa i bagagli a turisti stranieri o a persone anziane mentre sono in procinto di salire in treno e solo dopo aver sistemato loro le valigie pretendono una sorta di mancia che varia per lo più dai cinque ai venti euro;
   in caso di rifiuto o di intervento del personale viaggiante di Trenitalia gli abusivi assumono atteggiamenti di particolare aggressività, formulando anche chiare minacce e pretendendo comunque il denaro richiesto;
   sull'importante tratta Napoli-Roma si aggiunge poi, oltre al citato facchinaggio abusivo, un altro fenomeno che vede nei vagoni aggirarsi diversi ambulanti che, senza alcun titolo di viaggio, percorrono gratis la tratta no-stop da Napoli a Roma, anche più volte nella stessa giornata, utilizzando il treno come mercatino illegale e proponendo ai passeggeri qualsiasi tipo di mercanzia, spesso contraffatta, sia lungo il corridoio tra i passeggeri sia nei vestiboli di entrata/uscita delle carrozze;
   le più recenti guide turistiche internazionali già segnalano come avvenimenti da tener conto e di cui temere quanto accade nelle più frequentate stazioni delle più belle città d'arte italiane –:
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per combattere questo fenomeno di illegalità che mette in pericolo sia i passeggeri, vista anche l'aggressività degli abusivi, sia il personale viaggiante, assegnando più personale di polizia ferroviaria nei maggiori scali ferroviari italiani;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere ogni iniziativa di competenza affinché Grandi Stazioni spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce le maggiori stazioni del Paese, impieghi il personale di guardiania privata già presente per combattere efficacemente questi episodi di microcriminalità anche per tutelare l'immagine dell'Italia che può essere gravemente danneggiata dai sopraddetti fatti, soprattutto nel vitale comparto del turismo nazionale. (4-00019)

  Risposta. — La polizia ferroviaria, istituzionalmente preposta alla prevenzione e repressione dei reati in ambito ferroviario, segue con particolare attenzione i fenomeni della vendita abusiva, dei borseggi e dei servizi di portabagagli non autorizzati nelle stazioni e a bordo treno.
  Per contrastare tali attività illegali a danno dei passeggeri negli scali ferroviari interessati dalla partenza o dal transito di treni alta velocità, in particolare nelle città di Firenze, Napoli e Roma, vengono quotidianamente predisposti mirati servizi, in raccordo con il personale delle Ferrovie.
  Dal 2007 il gruppo ferrovie dello Stato italiane non si avvale più dei servizi di vigilanza privata ma ha stipulato specifiche convenzioni con il Ministero dell'interno, al fine di rafforzare le attività di prevenzione svolte nei grandi scali, e a bordo dei treni e di contrastare efficacemente gli illeciti.
  Le attività di contrasto vengono mensilmente concertate con gli operatori del gruppo Ferrovie in specifici incontri che si svolgono a livello centrale e territoriale condividendo le azioni da porre in essere, ciascuno per la parte di propria competenza.
  Tra le attività di prevenzione intraprese dal gruppo Ferrovie si ricordano alcune campagne di sensibilizzazione, come quella attuata tramite appositi avvisi sonori che invitano a non acquistate da soggetti non autorizzati e a segnalare al personale ferroviario in modo tempestivo la presenza degli abusivi.
  Lo stesso gruppo sta intervenendo nelle stazioni con l'implementazione dei sistemi di sicurezza tramite l'istallazione di telecamere, colonnine di soccorso, sensori antintrusione, controllo accessi e protezioni infrastrutturali. Sempre nell'ambito delle misure di prevenzione il gruppo Ferrovie sta definendo un progetto per l'introduzione di un nuovo servizio di porte raggio.
  La polizia ferroviaria allontana dalle stazioni i soggetti non autorizzati, e procede, nei confronti dei soggetti dediti alla vendita abusiva, al sequestro della merce con la relativa applicazione delle sanzioni amministrative.
  Dal 2010 al 2012 il
trend delle presenze di non autorizzati presenti negli asset ferroviari evidenzia una netta diminuzione.
  In particolare, a Napoli, dove si registra la maggior parte dei soggetti dediti alla vendita abusiva, sono stati attuati servizi volti ad evitare l'accesso ai treni di tali soggetti non solo nella stazione del capoluogo, ma anche in località limitrofe come Aversa.
  Recentemente il fenomeno è stato segnalato anche a Firenze, dove si aggiunge ad una persistente presenza di soggetti dediti alla questua e all'attività abusiva di portabagagli.
  Per tale motivo anche in quella stazione sono state implementate le medesime azioni già attuate con efficacia nelle stazioni di Napoli e Roma.
  I risultati della collaborazione avviata nel 2007 sono soddisfacenti, infatti nel 2011 si è registrata una diminuzione dei fenomeni dell'8 per cento rispetto al 2010, con una ulteriore riduzione dell'1 per cento nell'anno 2012.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa lo scorso 15 marzo 2013 e da numerose proteste delle maggiori associazioni ambientaliste nazionali ed europee tredici rappresentanti di rispettivi tredici Governi dell'Unione europea hanno votato in favore del bando di 3 pesticidi: imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam, marchi di proprietà della multinazionali Syngenta e Bayer. Essi sono estremamente tossici per le api e per questo già oggetto di specifico bando temporaneo in Italia, limitato però solo alla concia delle sementi;
   il numero dei Paesi favorevoli allo “stop” dei citati pesticidi, tra cui Italia, Francia, Spagna, Polonia e Belgio, seppure maggiore dei 9 contrari e dei cinque astenuti non ha però permesso il raggiungimento della richiesta maggioranza qualificata;
   l'evidenza scientifica della nocività dei concianti per le api è stata inoltre confermata dai maggiori e più recenti studi specifici sulla detta famiglia di insetti. Peraltro nella risposta che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha fornito all'atto di sindacato ispettivo dell'interrogante numero 4-13485 nella XVI legislatura si affermava che si era ritenuto di procedere, in via precauzionale, ad una ulteriore proroga della sospensione dell'uso di tale tipologia di pesticidi;
   ora, rebus sic stantibus, la Commissione europea può elaborare una nuova proposta o sottoporre l'attuale a un più alto organo di rappresentanza degli Stati membri –:
   quali iniziative urgenti, anche a livello comunitario, intendano mettere in campo i Ministri interrogati, per le materie di loro competenza, al fine di ottenere il definitivo bando dei citati tre «pesticidi killer» delle api, che rappresentano un grave problema per gli insetti impollinatori e per tutta la filiera produttiva del miele nazionale;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda prorogare nuovamente il bando dei neonicotinoidi, ovvero dei pesticidi sistemici per la concia dei semi di mais in scadenza il 30 giugno 2013. (4-00117)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente le iniziative da intraprendere per il definitivo bando dei pesticidi ritenuti nocivi per le api ricordo che, a seguito dell'incremento della mortalità di detta specie, registrato nel 2008, su proposta della mia Amministrazione, in virtù del principio di precauzione, il Ministero della salute sospese l'autorizzazione all'impiego delle sostanze attive Clothianidin, Thiamethoxan, Imidacloprid (neonicotinoidi) e Filpronil nella concia della semente di mais.
  Considerata l'estensione della problematica anche ad altri Paesi comunitari, la Commissione europea ha ritenuto opportuno chiedere un parere dell'Efsa che, nel mese di gennaio di quest'anno, ha confermato il legame tra l'uso di alcune formulazioni dei prodotti in questione e la mortalità degli apiari.
  Alla luce di tale parere, la Commissione europea ha proposto una bozza di Regolamento, al cui riguardo il Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali non si è espresso.
  Reputando necessario un atto di esecuzione, e dopo aver sottoposto la proposta in questione anche al Comitato di appello che non ha reso il parere richiesto, la Commissione europea ha, comunque, adottato il Regolamento di esecuzione dell'Unione europea n. 485 del 24 maggio 2013 che modifica le condizioni di approvazione delle sostanze attive Clothianidin, Thiamethoxam e Imidacloprid, e vieta l'utilizzo e la vendita di sementi conciate con prodotti fitosanitari contenenti tali sostanze, consentendone l'uso unicamente in fase di post-fioritura per trattamenti fogliari.
  Il divieto introdotto entra in vigore dal 1o dicembre 2013 e sarà oggetto di riesame, entro due anni, laddove saranno rese disponibili e valutabili nuove informazioni scientifiche confermative o meno degli studi già prodotti in relazione al rischio di esposizione delle api e degli insetti impollinatori alle sostanze attive in questione.
  Il 25 giugno 2013, il competente Ministero della salute, in coerenza con il citato Regolamento di esecuzione dell'Unione europea n. 485 del 24 maggio 2013, ha adottato sia il decreto per la revoca delle autorizzazioni all'immissione in commercio e all'impiego di prodotti fitosanitari contenenti le sostanze attive predette, che il provvedimento di proroga della sospensione cautelativa dell'autorizzazione all'impiego di sementi trattate con prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva fipronil. In seguito a tali provvedimenti, il medesimo Ministero sta procedendo alla modifica delle autorizzazioni dei prodotti fitosanitari in questione al fine di limitarne l'impiego fogliare unicamente in post-raccolta come previsto dal Regolamento.
  Per quanto riguarda la realizzazione di un'apposita ricerca sulla correlazione tra l'uso delle citate sostanze e la morte di colonie di api, ricordo che, a livello nazionale, si è svolto il progetto apenet, di durata triennale, le cui risultanze hanno contribuito alla revisione della valutazione del rischio di esposizione delle api ai neonicotinoidi effettuata dall'Efsa. Attualmente è in corso il programma di monitoraggio nazionale «bee-net» il cui obiettivo è la sistematica raccolta d'informazioni sullo stato di salute delle famiglie di api tramite rilievi apistico-ambientali e prelievi di campioni.
  I risultati del monitoraggio vengono resi noti mediante relazioni trimestrali prodotte con il sistema geodatawarehouse (sistema informativo beenet) disponibile sul sito web nazionale della rete rurale «sos api» (http://www.reterurale.it/api).
  L'Italia partecipa, inoltre, al progetto «Coloss» che coinvolge diversi gruppi europei di ricerca con l'obiettivo di studiare in modo più ampio la situazione in cui api e apicoltura versano in questi anni.
  Evidenzio, infine, che la legge n. 313 del 2004 demanda alle regioni la competenza in materia di gestione dei prodotti fitosanitari al fine di salvaguardare la salute delle api e che tale competenza non può che essere esercitata nel quadro della normativa europea, ivi compreso il regolamento succitato recante il divieto di utilizzo e vendita di sementi conciate con prodotti fitosanitari contenenti Clothianidin, Thiamethoxam e Imidacloprid.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   REALACCI, BAZOLI, BERLINGHIERI, COMINELLI e GALPERTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo un reportage dello scorso autunno e trasmesso domenica 31 marzo 2013 dalla trasmissione di Rai Tre «PresaDiretta», alcuni recenti articoli di stampa locale e nazionale pubblicati negli ultimi giorni, ad esempio dal Giornale di Brescia, Il Fatto Quotidiano e il Corriere della Sera, dallo stabilimento Caffaro di Brescia, ora società Chimica Fedeli s.p.a. e in disuso, continuano ad uscire policlorobifenili (PCB) e altri pericolosi inquinanti;
   nella città di Brescia esiste infatti da anni un'emergenza sanitaria e ambientale che riguarda direttamente 25 mila tra uomini, donne e bambini, ovvero gli abitanti della zona che si estende a sud della Caffaro, la fabbrica adesso chiusa che dagli anni trenta fino a metà degli anni ’80 ha prodotto migliaia di tonnellate di pcb, che al pari della diossina è un pericoloso cancerogeno, sversandone centinaia di tonnellate allo stato puro nell'ambiente circostante;
   come si legge dall'articolo del Corriere della Sera del 3 aprile 2013, dallo stabilimento ex Caffaro si è infatti costretti a pompare dieci milioni di metri cubi d'acqua l'anno dai pozzi interni all'azienda. L'operazione, oltreché costosa, è fondamentale e necessaria per impedire che la prima falda salga troppo e vada a contatto con i veleni sottostanti ai capannoni, depositati a tonnellate nelle lavorazioni degli scorsi decenni. Tale pompaggio inoltre non si può interrompere se non si vuole andare per quanto detto incontro ad un disastro ambientale. Ma l'acqua pescata dai pozzi è tutt'altro che pura, come dimostrato dalle analisi fin qui condotte: mercurio (2,8 microgrammi al litro contro un limite di 1), pcb (0,09 microgrammi per litro, contro un limite di 0,01) e tracce di altri solventi clorurati, pesticidi e organoalogenati (19 microgrammi contro un massimo di 10) lavorati negli anni dalla Caffaro. Sebbene quest'acqua, prima di finire nel vaso Franzagola di via Morosini e da qui al Fiume Grande, passi attraverso un sistema di filtraggio a carboni non risultano abbattuti tutti gli inquinanti attivi;
   conseguentemente, ogni goccia d'acqua scaricata nei fossi diretti alla Bassa e al fiume Mella contiene una piccolissima dose di veleni. Un fluire continuo verso i canali dei terreni bresciani. Giulio Sesana — direttore di Arpa Lombardia così dichiara: «L'impianto di depurazione funziona ma è perfettibile. Il problema è che l'inquinamento prosegue per dilavamento e dispersione, mentre gli anni passano, si sommano ritardi e la bonifica non arriva»;
   il risultato di una recente ricerca svolta da Paolo Ricci, epidemiologo della Asl di Mantova che segue il sito Caffaro da quando si è scoperto il grave inquinamento, conferma poi chiaramente la drammaticità del rischio sanitario. Nella citata ricerca il tumore maligno alla tiroide segna un più 49 per cento di incidenza a Brescia rispetto al Nord Italia, il linfoma non Hodgkin più 20 per cento, il tumore al fegato il più 58 per cento, mentre infine il tumore al seno schizza al 26 per cento in più. Secondo Ricci la correlazione tra questa maggiore incidenza e il pcb è più che probabile, visti i risultati della ricerca scientifica internazionale, ma date anche le incredibili dimensioni dell'inquinamento dei terreni a sud della Caffaro rilevati dai tecnici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'Arpa;
   è in effetti utile ricordare che, dal 2002, il sito Caffaro è entrato a far parte ufficialmente dei siti di interesse nazionale individuati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come sito fortemente contaminato dal pcb e quindi da bonificare;
   alle inequivocabili criticità ambientali segnalate nell'area dell'ex Caffaro vanno aggiunte: la presenza di una grande acciaieria Alfa Acciai a ridosso di una futura discarica d'amianto, di due bitumifici, di una discarica di scorie radioattive (ex Piccinelli) di un'altra di scorie tossiche (VePart), dell'autostrada A4, che hanno negli anni creato danni persistenti all'ambiente. Saranno poi previste una discarica di rifiuti speciali tra Buffalora e Rezzato e il nuovo bitumificio Gaburri (che sostituirebbe l'attuale, molto inquinante) –:
   quali iniziative urgenti intenda prendere il Ministro interrogato per affrontare in maniera organica la grave situazione ambientale e sanitaria dell'area a sud di Brescia; se il Ministro non intenda chiarire i tempi di implementazione della bonifica delle aree interessate dal citato grave inquinamento chimico; se non ritenga mettere in campo, anche per tramite degli istituti specializzati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, azioni e infrastrutture mirate a fermare da subito lo sversamento degli inquinanti dallo stabilimento bresciano della ex Caffaro; da ultimo se il Ministro non intenda precisare quante risorse sono disponibili per il proprio dicastero per la bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale. (4-00167)

  Risposta. — Com’è noto all'interrogante, i siti di bonifica di interesse nazionale (sin) sono così riconosciuti in funzione delle caratteristiche del sito, degli inquinanti e della loro pericolosità, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali.
  Allo stato, in Italia, essi sono 39, così ridotti a seguito della derubricazione di 18 di essi, dai 57 che erano, a siti di interesse regionale con il decreto ministeriale Ambiente dell'11 gennaio 2013.
  In particolare, il sito denominato «Brescia-Caffaro (aree industriali e relative discariche da bonificare)» è stato aggiunto, con altri, all'elenco dei sin già istituiti, con l'articolo 14 della legge n. 179 del 2002.
  Detto sito include le aree del comune di Brescia che sono interessate da contaminazione diffusa da pcb, pcdd-pcdf, arsenico e mercurio, derivanti, principalmente, dalle attività pregresse dello stabilimento chimico «Caffaro SpA», ubicato nello stesso comune, attivo dall'inizio del 1900 nella produzione di vari composti derivati dal cloro, tra cui i policlorobifenili (pcb) dal 1930 al 1984.
  Il perimetro del sin include, altresì, tre discariche ubicate nei comuni di Castegnato e di Passirano, che sono state utilizzate in passato per lo smaltimento di scarti di produzione da parte della stessa società Caffaro.
  Con riferimento alle principali criticità ambientali, nel sito in argomento si riscontra una contaminazione elevata e diffusa da pcb, pcdd-pcdfd e mercurio soprattutto nei terreni superficiali, ma anche nelle acque di falda e nelle acque superficiali (sistema delle rogge) nonché nei sedimenti delle rogge medesime. In particolare, la matrice suolo risulta interessata anche da contaminazione diffusa da metalli quali arsenico, antimonio, mercurio, nichel, piombo e alluminio, da ipa, alifatici clorurati cancerogeni, clorobenzeni e fitofarmaci. Nelle acque di falda si sono riscontrati, inoltre, molteplici superamenti dei limiti vigenti relativi a metalli, mtbe, solventi clorati, ipa, clorobenzeni, fitofarmaci e idrocarburi totali.
  I policlorobifenili (pbc), in particolare, sono composti industriali largamente impiegati in passato quali liquidi dielettrici in trasformatori e condensatori e in altri settori produttivi. I PCB se esposti a temperature di 600-650oC possono formare derivati altamente tossici quali le policlorodibenzodiossine (pcdd) e i policlorodibenzofurani (pcdf), più comunemente indicati come «diossine». Tutti questi composti sono estremamente resistenti alla degradazione chimica e biologica e pertanto persistono nell'ambiente, entrando in diversi comparti, trasportati per grandi distanze dalle correnti atmosferiche e, in misura minore, dai fiumi e dalle acque superficiali. Essi tendono ad accumularsi lungo la catena alimentare e si depositano nel tessuto adiposo essendo composti lipofili.
  Nel complesso i pcb sono composti ritenuti ad elevata tossicità, simili alle diossine per alcuni di essi, e sono stati classificati come «probabili cancerogeni» per l'uomo. In alcuni studi è stato evidenziato un effetto di queste sostanze sul sistema endocrino («interferenti endocrini»), anche a dosaggi moderatamente elevati.
  Già nel corso degli anni novanta erano stati effettuati ripetuti campionamenti nei terreni interessati, i cui risultati davano valori di pcb totali nei limiti delle disposizioni regionali allora vigenti (12,5 mg/kg) ma che, a seguito della fissazione con decreto ministeriale Ambiente n. 471 del 1999 dei valori limite per area residenziale (0,001 mg/kg, successivamente modificati in 0,060 mg/kg) erano risultati essere fino a 5.000 volte superiori.
  A seguito della denuncia per disastro ambientale presentata nel 2001 alla Procura della Repubblica di Brescia il caso assunse rilevanza nazionale. Sulla base delle pertinenti rilevazioni il sito venne, quindi, incluso nell'elenco dei sin.
  Con decreto del Febbraio 2003, questo Ministero provvedeva a definire una triplice e distinta perimetrazione del sito, che si sviluppa prevalentemente a sud dello stabilimento «Caffaro», seguendo il sistema delle rogge, e comprende, in particolare:
   per la matrice suolo (circa 270 ettari) l'area che include anche lo stabilimento della Caffaro Srl, le varie discariche circostanti nel comune di Castegnato e Vallosa in comune di Passirano nonché le aree ex comparto Milano, Bruschi & Muller, ex CamPetroli, ex Pietra e Spedali riuniti di Brescia;
   per il comparto acque sotterranee, un'area più vasta (circa 2.100 ettari) delimitata sulla base delle evidenze analitiche già disponibili di contaminazione della falda;
   il sistema delle rogge a sud delle aree di cui sopra.

  Dal 2009, viene tenuta costantemente sotto controllo da parte di Arpa Lombardia – dipartimento di Brescia, la situazione di inquinamento da cromo totale e da cromo VI della falda perimetrata, e, più avanti, anche l'Asl di Brescia ha dato corso ad un costante monitoraggio della qualità delle acque prelevate dai pozzi della rete acquedottistica pubblica, per garantire la salvaguardia della salute pubblica.
  Per quanto attiene, quindi, ai quesiti posti dall'interrogante, si ritiene opportuno riferire, innanzitutto, quanto fatto conoscere dal Ministero della salute in ordine agli aspetti più riconducibili alla propria competenza.
  Dal canto suo, il predetto Dicastero, nell'ambito della gestione dei sin e delle relative problematiche, partecipa alle Conferenze di servizio nell'ambito delle quali definire e approvare i pertinenti progetti di bonifica delle aree interessate. In particolare, la fase istruttoria e valutativa più propriamente tecnica viene seguita dall'istituto superiore di sanità (Iss).
  Per quanto sopra, di seguito si riferisce quanto in concreto posto in essere dal predetto Dicastero, così come dallo stesso sottolineato:
   stipula convenzione con il comune di Brescia per l'effettuazione dell'analisi di rischio sanitaria finalizzata a individuare le concentrazioni di inquinanti nel suolo che non arrecassero rischi per la popolazione; sulla base di detta analisi di rischio, il comune ha programmato la messa in sicurezza dei giardini delle case del quartiere Io Maggio, ubicato proprio a ridosso della Caffaro e fortemente inquinato;
   partecipazione al tavolo tecnico istituito dalla Asl di Brescia con tutti gli enti territoriali e le università coinvolti nella problematica, al fine di coordinare tutti gli studi e di valutare collegialmente gli esiti degli stessi e programmarne di nuovi, ove necessario;
   valutazione del rischio, in collaborazione con la Asl di Brescia, per le aree agricole a ridosso dello stabilimento Caffaro, individuando quali coltivazioni possono essere mantenute, dove e con quali modalità;
   insieme all'istituto Mario Negri è stato effettuato uno studio sulla qualità dell'aria-ambiente nella città di Brescia per la valutazione della presenza nel particolato fine di pcb, diossine e furani; lo studio ha messo in evidenza in alcune aree cittadine la presenza di tali sostanze nel parti colato atmosferico;
   in collaborazione con la Asl di Brescia è stato realizzato uno studio di bio-monitoraggio umano, con analisi di campioni di sangue, che hanno evidenziato la presenza in alcuni individui (più anziani e che si erano nutriti dei prodotti di orti domestici) di alte concentrazioni di pcb, per fortuna appartenenti alle classi di tossicità più basse;
   partecipazione e/o promozione di studi a carattere epidemiologico (in particolare il progetto «Sentieri») i cui risultati sono stati resi pubblici con il convegno del 18 settembre 2012 organizzato dallo stesso Ministero della salute e dall'Iss.

  Relativamente alle problematiche connesse alla bonifica dei terreni e della falda idrica, più direttamente di competenza di questo Dicastero, valga ricordare di aver già stanziato a tali fini risorse per complessivi euro 6.752.727,00 (a valere sul decreto ministeriale n. 308 del 2006) già trasferiti alla regione Lombardia nel mese di marzo del 2011.
  Infatti, il 29 settembre 2009 veniva sottoscritto l'Accordo di programma «per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica nel sito di Interesse nazionale di Brescia Caffaro», nel quale veniva disciplinato l'impiego delle predette risorse nonché individuati i soggetti attuatori dei pertinenti interventi (Enti locali territoriali, Asl di Brescia, Istituto superiore di sanità, Arpa Lombardia e Sogesid SpA, quale soggetto pubblico in house).
  Corre l'obbligo, tuttavia, di evidenziare che le aree interessate dagli interventi di bonifica di competenza pubblica previsti nel citato Accordo costituivano solo una parte dell'intero perimetro del sin.
  Tenuto conto, poi, delle problematiche legate alle limitazioni di spesa imposte dal Patto di stabilità, è stato possibile individuare in maniera definitiva i soggetti attuatori degli interventi disciplinati dal predetto Accordo di programma solo in data 25 ottobre 2012. E così, ad oggi, questa Amministrazione, unitamente alla regione Lombardia, ha stipulato i previsti atti convenzionali con la Asl di Brescia, l'Istituto superiore di sanità, l'Arpa Lombardia e la Sogesid SpA.
  È in corso di realizzazione, altresì, l'intervento concernente la «Messa in sicurezza di emergenza e progettazione della bonifica dei terreni delle aree agricole nel comune di Brescia» la cui attuazione è stata demandata alla regione Lombardia, nonché gli ulteriori interventi previsti nei comuni di Passirano e Castegnato.
  In relazione, tuttavia, al grave stato di degrado del sito e al potenziale pericolo per la popolazione, questo Dicastero si è comunque impegnato a porre in essere ogni utile iniziativa finalizzata a reperire ulteriori risorse da destinate alle opere di bonifica. A quanto queste potranno ammontare non è facile, allo stato, prevedere, in quanto è dipendente anche da alcuni obiettivi di carattere generale sui quali questo Dicastero ha chiesto un impegno a tutte le istituzioni pubbliche e private interessate.
  Il primo passo, si ritiene, potrebbe essere quello di rivedere il Patto di stabilità al fine di tenere fuori dai conteggi le spese concernenti le bonifiche e il dissesto idrogeologico, in modo che, realizzata tale condizione, si potrebbe pensare di destinare a tal fine più risorse nella prossima Legge di stabilità. Il secondo, è che nella programmazione dei fondi strutturali dal prossimo 2014 le bonifiche siano tra gli interventi prioritari previsti.
  Per quanto attiene, in ultimo, alle eventuali iniziative da porre in essere con carattere di urgenza, si ritiene che a breve si otterrà un quadro più chiaro della situazione, anche sulla base del quale valutare la richiesta da più parti avanzata per la nomina, com’è noto, di un Commissario straordinario.
  Sul punto, questo Dicastero ritiene in via generale che i commissariamenti sono spesso la spia delle difficoltà in cui versano le istituzioni pubbliche che non riescono a far funzionare le cose in modo adeguato. Tuttavia, nel caso specifico del sito Caffaro-Brescia, la particolare situazione di degrado e i risultati dei nuovi campionamenti in corso potrebbe indurre a rivedere tale giudizio e considerare la figura commissariale quale utile strumento (la «sciabola» di Sieyès ?) di un tavolo di coordinamento che, ad onor del vero, nei fatti si è già realizzato.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da qualche giorno, come si evince da numerosi articoli apparsi sulla stampa locale, ad esempio il Giornale di Brescia e l'Eco di Bergamo, grazie anche alla denuncia della Legambiente Basso Sebino, è apparsa sul lago d'Iseo una chiazza di colore rosso molto ampia ben visibile al galleggiamento;
   la chiazza si presenta all'osservazione di colore rosso, oleosa con una dimensione di 3 chilometri in lunghezza e 200 metri in ampiezza; essa potrebbe costituire una delle forme di più grave inquinamento del lago Sebino degli ultimi anni;
   secondo i primi rilievi dell'Arpa Lombardia di Brescia effettuati in questi giorni: «Non ci sono tracce di alghe nei prelievi analizzati. Le indagini batteriologiche e chimiche eseguite sui campionamenti fatti tra Lovere e Pisogne, non hanno portato a risultati certi. A galleggiare, probabilmente, sono i residui di qualche sversamento avvenuto per accidente o dolo; residui a tratti schiumosi, a tratti filamentosi, che hanno innescato strane reazioni a catena. Lungo la spiaggia delle Ere, a Montisola, e davanti a Predore, ad esempio, le acque erano colorate da una sospensione di minutissime particelle rosse»;
   secondo quanto denuncia l'associazione Legambiente Basso Sebino è probabile che dallo sfioratore di Pisogne che dà sul canale industriale, sia uscito un getto continuo e concentrato di liquami e oli fumanti di vario tipo che è stato riversato nelle acque del lago d'Iseo. Si tratta presumibilmente di scarichi fognari e scarichi industriali illeciti mescolati assieme, che hanno inquinato gravemente tutto l'alto lago d'Iseo –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche per tramite degli uffici territoriali di competenza e le agenzie ministeriali specializzate, quali l'ISPRA, per fare fronte all'attuale emergenza ambientale del lago Sebino, anche al fine di individuare la natura delle sostanze in galleggiamento e la loro origine;
   se non si ritenga opportuno ripristinare la dotazione di mezzi di controllo sul lago Sebino, come ad esempio la riassegnazione della motovedetta ai carabinieri di Iseo per il controllo ambientale e della sicurezza nautica del lago, anche per prevenire episodi di inquinamento ambientale e di abusivismo edilizio. (4-00387)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame riguardante la criticità ambientale segnalata sul lago d'Iseo, si rappresenta quanto segue.
  Nel corso del mese di aprile sono apparsi sui giornali locali alcuni articoli relativi alla comparsa di una chiazza, di origine non ben specificata, galleggiante sulle acque del lago di Iseo, in località Pisogne (Brescia), che le correnti trasportavano lungo la sponda bergamasca del lago.
  La causa ipotizzata era un fenomeno di inquinamento dovuto al cattivo funzionamento del sistema di collettamento nel comune di Pisogne.
  A seguito della segnalazione, le Asl competenti di Bergamo e Brescia ed Arpa Lombardia hanno espletato una serie di controlli sia sulla qualità delle acque che sugli impianti potenzialmente coinvolti, effettuando una serie di sopralluoghi nel corso dei quali sono stati prelevati i campioni necessari per le opportune analisi.
  Al riguardo, l'Arpa Lombardia ha evidenziato che il giorno 17 del mese di aprile 2013 è stata ispezionata la zona dell'alto lago ed è stata prelevata una serie di campioni per l'effettuazione dell'analisi chimico-fisica e biologica, che hanno messo in evidenza elevate concentrazioni di ferro ed alluminio.
  Il successivo 19 aprile, nelle stesse zone, presso il canale Italsider, veniva segnalava una concentrazione di ferro ancora elevata, mentre una riduzione della stessa veniva riscontrata nei pressi del fiume Oglio e presso l'abitato di Giovine.
  Dalle analisi condotte nelle due giornate di cui sopra sono risultati nella norma i parametri di domanda sia chimica che biochimica di ossigeno, che sono indicatori primari dell'impatto antropico umano e industriale da fonte organica, nonché quelli relativi ai metalli, al pH e alla conducibilità, che sono indicatori dell'impatto antropico industriale da fonte inorganica. I valori di ferro, boro e alluminio non sono stati tali da destare preoccupazione per la salute e l'ambiente. Inoltre, le analisi fitoplanctoniche non hanno deposto fioritura algale, sebbene sia stata evidente una proliferazione.
  Nei successivi giorni 22 e 23 aprile sono stati effettuati riscontri analitici dei campioni prelevati nelle colonne d'acqua a Castro, Monte Isola e Predore che hanno mostrato tenori di metallo nella norma.
  Infine, nell'ultima ispezione, i riscontri dei campioni prelevati in data 29 aprile non hanno evidenziato alcun pregiudizio nei corsi d'acqua né nel lago, pur rilevando concentrazioni sensibili di ferro e alluminio su tutti i siti campionati lungo i corsi d'acqua (oltre 30 chilometri).
  Analogamente all'Arpa, nel medesimo periodo, le Asl competenti di Bergamo e Brescia hanno posto in essere gli opportuni e dovuti controlli.
  In particolare, in data 15 aprile, nell'ambito dei controlli già programmati per la balneazione, l'Asl della provincia di Bergamo, congiuntamente con l'Asl di Brescia, ha effettuato i campionamenti di routine per la ricerca dei parametri microbiologici e dei ciano batteri, in conformità alla normativa in materia di balneazione.
  I risultati delle analisi microbiologiche di laboratorio per la ricerca di Escherichia coli e Enterococchi sono rientrate nei limiti previsti dal decreto legislativo n. 116 del 2008 e non hanno evidenziato possibili fonti di inquinamento fecale. Le analisi di ricerca ed identificazione di microalghe potenzialmente tossiche hanno dimostrato una densità algale che rientra nella norma e, comunque, al di sotto dei valori di una possibile fioritura di alghe tossiche.
  Il giorno 26 aprile, su segnalazione del presidente del circolo canottieri di Lovere che indicava la presenza di acque torbide color marrone e schiume presso la zona Porto, è stato effettuato un ulteriore controllo i cui referti analitici hanno rilevato la presenza di Planktorix (oscillatoria) rubescens e anabena flos-aquae/lemmermannii in concentrazione di qualche milione di cellule/litro.
  Anche i successivi controlli, protratti fino al 13 maggio 2013, hanno evidenziato una situazione che rientra nei valori di norma definiti dalla legge.
  Inoltre, l'Asl di Brescia ha avviato una valutazione della potabilità dell'acqua servita dall'acquedotto civico di Monte Isola, che è emunta dal Lago e distribuita ai residenti previa potabilizzazione. Le analisi finalizzate al monitoraggio della potabilità hanno dimostrato che l'acqua è sempre risultata conforme sia ai parametri microbiologici che a quelli chimici e tossicologici.
  Da ultimo, si segnala che l'Asl di Bergamo ha effettuato approfonditi controlli nella zona del lago tra Pisogne (Brescia), Costa Volpino e Lovere. Dalle analisi eseguite dal LSP di Brescia e di Bergamo si evince che i valori microbiologici sono particolarmente bassi e rientrano nella norma dei controlli periodicamente svolti, e bassi sono pure le concentrazioni di ciano batteri.
  A conclusione delle informazioni fornite dall'Arpa Lombardia, la prefettura di Bergamo ha comunicato che non è stata accertata l'origine e la provenienza della macchia che si è dissolta dopo circa due giorni e che non sono intervenuti mezzi speciali per l'aspirazione della sostanza né opere di bonifica, né i comuni di Costa Volpino e Lovere (Bergamo) hanno adottato specifiche ordinanze in relazione all'evento.
  Inoltre, la stessa prefettura ha segnalato che l'area interessata non è stata oggetto di abusivismo edilizio.
  Relativamente alle attività di monitoraggio e vigilanza previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 si evidenzia che sul Lago D'Iseo è attualmente in corso il monitoraggio di qualità della acque.
  A tale fine sono operative una stazione di monitoraggio di Arpa Lombardia sulla parte terminale dell'Oglio e del canale Italsider e tre stazioni sul lago d'Iseo (Monte Isola, Castro e Predore).
  Inoltre, a seguito dell'evento in questione, è stato stabilito che al set analitico standard di sostanze monitorate sino ad oggi Arpa aggiungerà il ferro, l'alluminio ed il boro, proprio al fine di monitorarne le concentrazioni e, pertanto, valutarne le tendenze nei prossimi mesi.
  Arpa Lombardia ha segnalato che intensificherà sul lago di Iseo, attraverso un piano straordinario già presentato alla regione Lombardia, le attività di vigilanza e di controllo sugli impianti di trattamento di acque reflue urbane ed industriali con scarichi a lago ed in corsi d'acqua affluenti, inserendo anche una periodica sorveglianza specifica sulla qualità delle acque de lago.
  Dal canto loro, le ASL competenti, relativamente ai controlli sanitari per la balneazione, in osservanza al decreto legislativo n. 116 del 2008 hanno assunto l'impegno di effettuare campionamenti con frequenza bimensile nel periodo maggio-settembre.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare proseguirà in un ottica di prevenzione ad esercitare un'attività di monitoraggio puntuale e costante della situazione attraverso gli enti competenti.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da numerose agenzia stampa che due settimane fa la Commission europea ha messo in mora l'Italia perché inadempiente sulle norme comunitarie relative ai livelli d'inquinamento acustico. Il Governo ha ora quasi due mesi di tempo per presentare le sue precisazioni e controdeduzioni. Se esse non saranno ritenute sufficienti scatteranno da parte dell'Unione europea le procedure d'infrazione che prevedono una «multa» salata. La notizia, spiega una nota, è stata data da Lorenzo Lombardi, responsabile per l'acustica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai margini della giornata di studi dal titolo «Rumore e qualità della vita» tenutasi a Firenze organizzata dall'Associazione italiana di acustica;
   la Commissione europea ha messo in mora il Governo italiano il 25 aprile 2013 per il mancato rispetto della direttiva 2002/49 che stabilisce la gestione del rumore ambientale nelle regioni con aree urbane superiori ai 250 mila abitanti e la presenza di infrastrutture come autostrade e ferrovie. Secondo la Commissione sono stati forniti dati incompleti sulla mappatura del territorio, i piani di azione per la riduzione dell'inquinamento da rumore e la comunicazione ai cittadini;
   sull'inquinamento acustico, si apprende sempre da fonti di agenzia, l'Italia risulta un Paese diviso in più aree eterogenee che con fatica, avendo poche risorse disponibili, cercano di implementare politiche antirumore e altre che fanno poco o addirittura nulla;
   si stima che per mettere in regola il Paese da qui ai prossimi 15 anni servirebbero non meno di 10 miliardi di euro solo per ferrovie e strade, mentre per le città non si possono fare stime dato l'elevato ammontare prevedibile –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo il Ministro interrogato per evitare le procedure di infrazione comunitarie dovute al mancato rispetto delle norme antirumore e inquinamento acustico;
   se non si ritenga utile presentare un piano nazionale antirumore riservando ad esso risorse certe, considerato che secondo dati dell'istituto di ricerca indipendente Tno, il rumore prodotto dal traffico causa danni al 44 per cento della popolazione europea e costa 326 miliardi di euro alla sanità comunitaria. (4-00401)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame riguardante la messa in mora dell'Italia da parte della Commissione europea per il mancato rispetto della normativa comunitaria relativa ai livelli di inquinamento acustico, si rappresenta quanto segue.
  In data 8 maggio 2013 è stato inviato a codesto ministero l'atto di costituzione in mora dell'Italia (Infrazione n. 2013/2022); tale atto è stato emanato dalla Commissione europea per il mancato soddisfacimento di alcuni degli adempimenti previsti dalla direttiva 2002/49/CE, relativa alla determinazione e gestione del rumore ambientale.
  La citata norma comunitaria dispone che gli Stati membri assicurino:
   ai sensi dell'articolo 7, la predisposizione al 30 giugno 2007 di mappe strategiche e mappature acustiche relative agli agglomerati con più di 250.000 abitanti, a tutti gli assi stradali principali su cui transitano più di 6.000.000 di veicoli all'anno, agli assi ferroviari principali su cui transitano più di 60.000 convogli all'anno ed agli aeroporti principali;
   ai sensi dell'articolo 8, l'elaborazione, entro il 18 luglio 2008, dei piani di azione per la gestione delle problematiche relative al rumore ed ai suoi effetti;
   ai sensi dell'articolo 10, la trasmissione, entro sei mesi dalle date di cui ai citati articoli 7 ed 8 della direttiva, alla Commissione europea dei dati derivanti dalle mappature acustiche strategiche e le sintesi relative ai piani di azione.

  L'articolo 4 della direttiva 2002/49/CE prevede, inoltre, che «gli Stati membri designino, agli opportuni livelli, le autorità e gli enti competenti per l'attuazione della direttiva stessa, comprese le autorità responsabili per l'elaborazione e, se del caso, l'adozione di mappe acustiche e di piani d'azione per gli agglomerati, gli assi stradali e ferroviari principali e gli aeroporti principali e per la raccolta delle mappe acustiche e dei piani d'azione».
  Al fine di recepire la richiamata direttiva 2002/49/CE, l'Italia ha emanato il decreto legislativo n. 194 del 19 agosto 2005. Detto decreto legislativo ha disposto che le regioni e le provincie autonome individuino l'autorità competente all'elaborazione delle mappe acustiche strategiche e dei piani d'azione relativi agli agglomerati con più di 250.000 abitanti. Mappe acustiche e piani d'azione elaborati vengono così trasmessi a regioni e province autonome per le necessarie verifiche e successivamente inoltrate al Ministero dell'ambiente per la trasmissione ufficiale alla Commissione europea.
  Con particolare riferimento alle infrastrutture dei trasporti, si evidenzia quanto segue:
   per quelle di interesse regionale, le autorità competenti individuate ai sensi dell'articolo 4 della direttiva, sono le società e gli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto. Questi elaborano e trasmettono alle regioni ed alle provincie autonome le mappature acustiche di competenza. Il Ministero dell'ambiente provvede all'inoltro alla Commissione europea dei dati verificati da regioni e province autonome;
   per quelle di interesse nazionale o interregionale, le società e gli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto trasmettono la mappatura acustica ed i piani di azione alle regioni ed alle province autonome per quanto di competenza ed al Ministero dell'ambiente per la successiva trasmissione alla Commissione europea.

  Nell'adempiere alle proprie funzioni, come sopra descritte, il Ministero dell'Ambiente ha provveduto a trasmettere alla Commissione europea le mappature ed i piani di azione pervenuti, nonché la notifica degli agglomerati e delle infrastrutture di trasporto principali (comunicazioni inviate in data: 23 febbraio 2007; 1o settembre 2008; 11 marzo 2011).
  Proprio in riferimento a quanto trasmesso è stata avviata dalla Commissione europea la procedura EU Pilot 2616/11/ENVI del 14 ottobre 2011, con la quale è stata richiesta l'integrazione delle informazioni trasmesse dall'Italia con riferimento alle mappe strategiche degli agglomerati con più di 250.000 abitanti, nonché delle mappature acustiche relative ai soli aeroporti principali.
  In risposta a quanto richiesto con EU Pilot 2616/11/ENVI è stato evidenziata alla Commissione europea che le difficoltà riscontrate nell'adempimento di quanto previsto dalla direttiva 2002/49/CE per gli agglomerati con più di 250.000 abitanti e per le infrastrutture dei trasporti di interesse regionale sono ascrivibili:
   alla complessità dell'iter burocratico per l'individuazione delle autorità competenti da parte delle regioni o delle province autonome;
   alla difficoltà nel reperire le numerosissime informazioni necessarie all'elaborazione delle mappe acustiche strategiche;
   alla mancanza di figure professionali idonee;
   alla mancanza di sufficienti risorse finanziarie.

  Le integrazioni richieste sono state comunque trasmesse alla Commissione europea così come pervenute dalle autorità competenti.
  Per quanto riguarda le infrastrutture dei trasporti di interesse nazionale ed interregionale, che fanno direttamente capo al Ministero dell'ambiente, è stato possibile adempiere agli obblighi comunitari in maniera più completa. Tuttavia, vista la complessità e l'estensione delle reti ferroviarie e stradali presenti sul territorio nazionale, sussistono alcune limitate criticità.

  Appare opportuno sottolineare che il Ministero dell'ambiente ha svolto una continua attività di sollecito delle autorità competenti e degli enti locali interessati al fine di ottenere i dati mancanti. In tal senso, il Ministero ha organizzato varie riunioni con le regioni ed i principali gestori delle infrastrutture per evidenziare gli obblighi nella fase di adempimento dei doveri comunitari e sollecitare le azioni di competenza.
  Appare opportuno rimarcare che alcune delle criticità rilevate nell'atto di messa in mora sono dovute ad una non corretta interpretazione, da parte della Commissione europea, delle informazioni inviate dall'Italia. Queste, dunque, potranno essere superate con una semplice comunicazione esplicativa.
  L'Italia non è l'unico Stato membro sottoposto a procedura di infrazione per il mancato rispetto della normativa comunitaria volta alla tutela dall'inquinamento acustico.
  Il Ministero dell'ambiente, al fine di evitare la procedura di infrazione comunitaria, sta predisponendo un'esaustiva documentazione di risposta all'atto di messa in mora della Commissione europea, coinvolgendo tutte le autorità impegnate ai fini dell'attuazione del decreto legislativo n. 194 del 2005 nei modi e nelle sedi ritenuti più opportuni.
  Rispettando la tempistica indicata nella messa in mora sono stati inviati alla Commissione europea i dati ancora mancanti per:

   tutti gli agglomerati con oltre 250.000 abitanti;

   per i quattro aeroporti principali che presentavano carenze sulle mappature acustiche in formato grafico, redatte secondo le indicazioni della Commissione europea.

  Inoltre, per le mappature acustiche delle ferrovie, delle autostrade e delle strade gestite direttamente da Anas è chiarita l'erronea interpretazione dei dati a suo tempo inviati alla Commissione europea.
  Per quanto riguarda il quesito relativo all'inquinamento acustico derivante da veicoli, l'ex Ministro Corrado Clini ha preso parte a varie riunioni tra i Ministri dell'ambiente degli Stati membri dell'Unione europea. In tale contesto sono state avanzate interessanti proposte, in particolare da parte della delegazione olandese.
  Da quanto emerso, le proposte della Commissione europea potrebbero condurre ad una riduzione delle emissioni sonore prodotte di circa 3 decibel, perseguendo la linea di riduzione del rumore dettata dall'organizzazione mondiale della sanità, che nel 2011 ha determinato soglie del danno acustico, soprattutto per il periodo di riferimento notturno, inferiori rispetto alle indicazioni pregresse.
  Il beneficio, in termini di costi ambientali e sulla salute, che ne trarrà l'Unione europea è valutato dagli olandesi in 123 miliardi di euro, oltre all'incremento che subirà il valore degli immobili nella aree coinvolte.
  Sostenendo e concordando con le iniziative a livello europeo, si espone la situazione nazionale relativamente alla tematica del rumore prodotto dalle infrastrutture di trasporto veicolare che, com’è noto, rappresenta una delle principali sorgenti di inquinamento acustico cui è sottoposta la popolazione.
  Il decreto ministeriale del Ministero dell'ambiente del 29 novembre 2000, attuativo della legge 26 ottobre 1995, n. 447 «Legge quadro sull'inquinamento acustico», definisce i criteri per la realizzazione dei piani degli interventi di contenimento ed abbattimento del rumore prodotto dalle infrastrutture di trasporto veicolare, ferroviario, aeroportuale e portuale, i cui costi sono a carico dei gestori delle stesse infrastrutture. Ai sensi dell'articolo 5, comma 2 del decreto ministeriale, lo scrivente Ministro dell'ambiente approva detti piani, previa intesa in Conferenza unificata.
  Ad oggi la situazione è la seguente: sono stati approvati 16 piani delle autostrade e 4 sono in fase di istruttoria comprese le ferrovie.
  La «Legge quadro sull'inquinamento acustico» stabilisce che gli interventi debbano essere condotti prioritariamente sulla sorgente, a seguire sulla via di propagazione del rumore, e solo in ultima analisi sul ricettore.
  Il decreto del Presidente della Repubblica 142 del 2004, emanato in attuazione della legge quadro n. 447 del 1995, fissa i valori limite di immissione per le infrastrutture stradali esistenti e di nuova realizzazione e demanda al decreto legislativo 285 del 1992 (Nuovo codice della strada) e successive modificazioni e integrazioni e, quindi, al Ministero dei trasporti, la competenza in merito alla definizione dei limiti di emissione sonora degli autoveicoli.
  La rilevazione ed il controllo delle emissioni dei veicoli è invece, sempre secondo la citata legge quadro, di competenza dei comuni.
  La riduzione dei valori emissivi, proposta in sede europea dalla delegazione olandese, comporta costi quantificati in 6 miliardi di euro per l'industria automobilistica ed in 5 miliardi di euro per i produttori di pneumatici su un periodo di 30 anni.
  Il Ministero dell'ambiente ha già provveduto ad inviare alla Presidenza della Camera dei deputati e del Senato una relazione sulle iniziative adottate per evitare la procedura di infrazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   REALACCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le tratte ad alta velocità di Rete ferroviaria italiana permettono rapidi collegamenti tra le principali città del Paese, particolarmente vantaggiosi in termini di comfort e velocità tra il Nord e il Sud Italia. Un fortunato slogan usato per promuovere il trasporto ad alta velocità è stato: «È arrivata la metropolitana d'Italia». Peccato che oggi questo spot possa purtroppo associarsi, non solo all'accorciarsi dei tempi di viaggio, ma anche ai più comuni pericoli presenti nelle metropolitane urbane: borseggi, furti, venditori ambulanti abusivi e un nuovo tipo di «racket» quello del facchinaggio non autorizzato, sovente ad opera di persone straniere o connazionali della minoranza rom;
   come riportano numerosi reclami dei clienti, articoli di stampa locale e nazionale passati e recentissimi, agenzie di stampa e siti internet il fenomeno sopradescritto interessa maggiormente le stazioni ferroviarie delle città di Napoli, Roma, Venezia Mestre/Santa Lucia e Firenze dove nonostante la presenza di dipendenti delle Ferrovie dello Stato e di poliziotti, ci sono alcune persone vestite in tuta da lavoro, abbigliamento che sembra farli appartenere allo staff di Trenitalia o ad altro personale autorizzato, che operano invece in modo totalmente abusivo. Questi ultimi puntualmente afferrano in maniera decisa i bagagli a turisti stranieri o a persone anziane mentre sono in procinto di salire in treno e solo dopo aver sistemato loro le valigie pretendono una sorta di mancia che varia per lo più dai cinque ai venti euro, ai 50 euro per i turisti stranieri;
   in caso di rifiuto o di intervento del personale viaggiante di Trenitalia gli abusivi assumono atteggiamenti di particolare aggressività, formulando anche chiare minacce e pretendendo comunque il denaro richiesto;
   sull'importante tratta Napoli-Roma e sulla Firenze – Bologna Centrale si aggiunge poi, oltre al citato facchinaggio abusivo, un altro fenomeno che vede nei vagoni aggirarsi diversi ambulanti che, senza alcun titolo di viaggio, percorrono gratis la tratta no-stop da Napoli a Roma e da Firenze a Bologna, anche più volte nella stessa giornata, utilizzando il treno come mercatino illegale e proponendo ai passeggeri qualsiasi tipo di mercanzia, spesso contraffatta, sia lungo il corridoio tra i passeggeri sia nei vestiboli di entrata/uscita delle carrozze, sicuri di non poter essere fatti scendere perché all'interno di una tratta breve e no-stop;
   le più recenti e diffuse guide turistiche internazionali già segnalano, a grande discapito dell'immagine dell'Italia nel mondo e conseguentemente con danno economico per l'industria nazionale del turismo, come avvenimenti da tener conto e di cui temere quanto accade nelle più frequentate stazioni delle più belle città d'arte italiane;
   l'interrogante anche nella passata XVI Legislatura aveva presentato l'atto di sindacato ispettivo numero 4-16929 avente il medesimo oggetto senza però aver ottenuto risposta, nonostante i ripetuti solleciti –:
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per combattere questo fenomeno di illegalità che mette in pericolo sia passeggeri, vista anche l'aggressività degli abusivi, sia il personale viaggiante, assegnando più personale di polizia ferroviaria nei maggiori scali ferroviari italiani;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative affinché Grandi Stazioni Spa società del gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce le maggiori stazioni del Paese, impieghi il personale di guardiania privata già presente a combattere efficacemente questi episodi di microcriminalità anche per tutelare l'immagine dell'Italia che può essere gravemente danneggiata dai sopraddetti fatti, soprattutto nel comparto del turismo nazionale così necessario nella crisi economica che stiamo attraversando. (4-01208)

  Risposta. — La polizia ferroviaria, istituzionalmente preposta alla prevenzione e repressione dei reati in ambito ferroviario, segue con particolare attenzione i fenomeni della vendita abusiva, dei borseggi e dei servizi di portabagagli non autorizzati nelle stazioni e a bordo treno.
  Per contrastare tali attività illegali a danno dei passeggeri negli scali ferroviari interessati dalla partenza o dal transito di treni alta velocità, in particolare nelle città di Firenze, Napoli e Roma, vengono quotidianamente predisposti mirati servizi, in raccordo con il personale delle ferrovie.
  Dal 2007 il gruppo Ferrovie dello Stato italiane non si avvale più dei servizi di vigilanza privata ma ha stipulato specifiche convenzioni con il Ministero dell'interno, al fine di rafforzare le attività di prevenzione svolte nei grandi scali, e a bordo dei treni e di contrastare efficacemente gli illeciti.
  Le attività di contrasto vengono mensilmente concertate con gli operatori del gruppo Ferrovie in specifici incontri che si svolgono a livello centrale e territoriale condividendo le azioni da porre in essere, ciascuno per la parte di propria competenza.
  Tra le attività di prevenzione intraprese dal gruppo Ferrovie si ricordano alcune campagne di sensibilizzazione, come quella attuata tramite appositi avvisi sonori che invitano a non acquistate da soggetti non autorizzati e a segnalare al personale ferroviario in modo tempestivo la presenza degli abusivi.
  Lo stesso gruppo sta intervenendo nelle stazioni con l'implementazione dei sistemi di sicurezza tramite l'istallazione di telecamere, colonnine di soccorso, sensori antintrusione, controllo accessi e protezioni infrastrutturali. Sempre nell'ambito delle misure di prevenzione il gruppo Ferrovie sta definendo un progetto per l'introduzione di un nuovo servizio di porte raggio.
  La polizia ferroviaria allontana dalle stazioni i soggetti non autorizzati, e procede, nei confronti dei soggetti dediti alla vendita abusiva, al sequestro della merce con la relativa applicazione delle sanzioni amministrative.
  Dal 2010 al 2012 il trend delle presenze di non autorizzati presenti negli asset ferroviari evidenzia una netta diminuzione.
  In particolare, a Napoli, dove si registra la maggior parte dei soggetti dediti alla vendita abusiva, sono stati attuati servizi volti ad evitare l'accesso ai treni di tali soggetti non solo nella stazione del capoluogo, ma anche in località limitrofe come Aversa.
  Recentemente il fenomeno è stato segnalato anche a Firenze, dove si aggiunge ad una persistente presenza di soggetti dediti alla questua e all'attività abusiva di portabagagli.
  Per tale motivo anche in quella stazione sono state implementate le medesime azioni già attuate con efficacia nelle stazioni di Napoli e Roma.
  I risultati della collaborazione avviata nel 2007 sono soddisfacenti, infatti nel 2011 si è registrata una diminuzione dei fenomeni dell'8 per cento rispetto al 2010, con una ulteriore riduzione dell'1 per cento nell'anno 2012.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Parco, urbano Pineta di Castel Fusano è una bellissima area protetta istituita nel 1980 dalla Regione Lazio. Di storia antica, la Pineta copre un'area di 916 ettari e si trova a cinque chilometri a sud-est della foce del Tevere. È la più ampia area verde di Roma. Dal 1996 la Pineta di Castel Fusano fa parte della preziosa Riserva naturale statale del Litorale romano;
   il decreto ministeriale istitutivo della riserva naturale del litorale romano del 29 marzo 1996 accorpò a sé le aree di interesse archeologico, agricolo e ambientale dei comuni di Fiumicino e di Roma, tra cui il Parco Urbano della pineta di Castel Fusano;
   la pineta viene spesso colpita dall'azione di piromani, da incendi di origine dolosa o più raramente dovuti a insediamenti di baracche non autorizzate. Sono centinaia i focolai di incendi che negli ultimi anni hanno devastato la riserva e la pineta. Alcuni, di particolare entità, hanno provocato danni ambientali difficilmente recuperabili nei prossimi decenni: il 4 luglio del 2000, 300-350 ettari della pineta secolare e della macchia mediterranea sempreverde sono stati colpiti da un incendio, e di questi 280 ettari sono andati completamente distrutti. Altri gravissimi incendi che hanno decimato ettari di riserva di pinus pinea furono nel 2002, da giugno a settembre 2003, l'11 luglio 2004 e il 1° luglio 2005. Nel luglio 2008 almeno altri 80 ettari di pineta sono stati distrutti da una serie di roghi di origine dolosa;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inserito la riserva naturale statale litorale romano, di cui fa parte anche il parco urbano pineta di Castel Fusano, tra le aree protette da tutelare in base ai Piani AIB — Attività antincendi boschivi delle riserve naturali statali, in attuazione della legge 21 novembre 2000, n. 353;
   è notizia del 16 luglio 2013 della protesta di alcune sigle sindacali del Corpo forestale dello Stato che in diversi comunicati stampa criticano la decisione unilaterale dell'amministrazione di negare l'istituzione di un gruppo Nos all'interno della pineta. Tutte le sigle sindacali sono unite nel denunciare: «la sordità dell'amministrazione», come si evince anche dal comunicato stampa del 16 luglio 2013. In particolare, la Fp-Cgil denuncia di aver richiesto più personale e: «chiesto da tempo che nelle aree, dove dovrebbero essere presenti le nostre pattuglie, di investire in tecnologia, installando telecamere ad alta definizione e telecamere termiche nelle aree interessate dagli incendi degli anni scorsi, un ottimo ausilio affinché gli allarmi necessari ed intervenire tempestivamente al minimo incendio»;
   con l'estate torna anche l'emergenza incendi. I quasi 8.700 roghi dello scorso anno, che hanno mandato in fumo quasi 100 mila ettari, 47 mila dei quali boschivi, rappresentano una vera e propria emergenza nazionale da affrontare con risorse adeguate, sia finanziarie che umane. È perciò necessario tutelare il nostro patrimonio boschivo e le zone di pregio del nostro territorio come riserve e parchi, come la Pineta di Castelfusano, sia per salvaguardare il territorio che per evitare vittime innocenti. Oltre che assicurare la piena operatività del sistema satellitare di controllo roghi previsto dalla legge n. 353 del 2000, bisogna fare la massima attenzione a non indebolire i presidi antincendio, come quello importantissimo di Castel Fusano –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per assicurare la piena tutela dagli incendi, dall'abusivismo e dal degrado ambientale, una delle aree più belle e fragili del litorale romano, da tempo messe sotto tutela; se non intendano provvedere anche per tramite di una razionalizzazione dei reparti operativi del Corpo forestale dello Stato alla richiesta istituzione del nucleo operativo speciale del CFS all'interno della Pineta di Castel Fusano; se i Ministri interrogati non vogliano poi, per tramite degli uffici competenti, provvedere all'installazione delle predette telecamere ad alta definizione e termiche di sorveglianza e se essi siano a conoscenza dell'avvenuto censimento da parte del comune di Roma Capitale delle aree boschive interessate dagli incendi negli scorsi anni. (4-01291)

  Risposta. — Il parco urbano Pineta di Castel Fusano venne istituito dalla Regione Lazio nel giugno 1980. Esso si estende per quasi 1.000 ettari e costituisce la più vasta area di verde pubblico del comune di Roma.
  Tale territorio ebbe nel corso dei secoli proprietari illustri, quali gli Orsini, i Corona e i Fabi, per passare ai Sacchetti nel 1620 e, infine, i Chigi. Nel 1932 fu acquisito dal Governatorato di Roma e aperto al pubblico l'anno successivo.
  Presenta zone con vegetazione più o meno fitta, a seconda che domini la macchia sempreverde autoctona, in prevalenza lecci, o il pino domestico (pinus pinea). Quest'ultimo, introdotto dall'uomo alla fine del 1600, ha dato origine a un paesaggio monumentale che, sebbene fondamentalmente artificiale, ha un enorme valore storico. Un vasto lembo di macchia litoranea si estende, poi, parallelamente alle dune costiere, con prevalenza di leccio, corbezzolo, lentisco, fillirea, erica arborea, mirto, alaterno, ginepro fenicio, rosmarino e osiride.
  In un simile ambiente è presente una fauna molto varia, specie per quanto riguarda gli uccelli, anche in virtù della vetusta età dei pini. Sono presenti picchi, upupe, capinere, occhiotti, volatili tipici della macchia mediterranea, cinghiali, donnole, volpi, faine, ricci, istrici e tassi e non è raro incontrare esemplari di testuggine. Numerosissime sono anche le specie di insetti, a volte assai rare, che trovano rifugio nel legno putrescente di alberi morti o caduti.
  Nell'atto di sindacato ispettivo in esame è stato opportunamente ricordato il disastroso incendio che nel luglio 2000 ha interessato proprio i 300 ettari della pineta monumentale secolare, costituita da pini radi di grandi dimensioni e da un folto sottobosco di piante della macchia sempreverde mediterranea, nonché gli altri gravissimi incendi che hanno successivamente mandato distrutti ettari ed ettari di riserva, tanto che pur provvedendo a interventi di recupero ci vorranno secoli prima di riuscire a ricostruire il paesaggio originario, e questo anche perché il rischio del ripetersi degli incendi, anche di matrice dolosa, si propone inevitabilmente tutte le estati.
  Dal 1996, ai sensi del decreto ministeriale del 29 marzo 1996, la Pineta di Castel Fusano fa parte della Riserva naturale del litorale romano.
  Per quanto riguarda i parchi naturali e le riserve naturali dello Stato, com’è noto, a questo Ministero sono rimesse determinate competenze in materia di prevenzione degli incendi boschivi. In base alle disposizioni recate dall'articolo 8, comma 2, della legge n. 353 del 2000 (legge-quadro in materia di incendi boschivi) questo Ministero predispone d'intesa con le regioni interessate, su proposta degli enti gestori e sentito il Corpo forestale dello Stato, uno specifico piano che costituisce, a sua volta, una apposita sezione del più vasto piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta contro gli incendi. Alla attuazione delle attività di previsione e prevenzione ivi contenute, sono competenti gli enti gestori delle aree interessate.
  In tale ambito, partendo dalle indicazioni generali contenute nelle linee guida della protezione civile per la redazione dei piani, antincendi boschivi (o piani Aib) regionale ha predisposto nel 2002 uno schema piano Aib per le aree naturali protette statali al quale giunti gestori si devono attenere nella redazione del proprio piano. Per i parchi nazionali, dal novembre 2006 è stato predisposto uno specifico schema di piano Aib prima revisione del precedente del 2002. Per le riserve naturali statali, dal giugno 2006 è stato predisposto uno specifico schema di piano Ain, poi revisionato nel 2010, semplificato e più adeguato alla realtà territoriale e gestionale di quest'ultima tipologia di area protetta.
  Sempre in attuazione della stessa norma, questo Ministero vigila e sostiene l'operato degli enti gestori nella redazione e attuazione dei piani Aib, attiva e coordina sistematicamente l’iter necessario a raggiungere l'intesa con le regioni interessate per l'inserimento dei piani Aib delle aree protette statali nei corrispondenti piani Aib regionali, previa richiesta e ottenimento del parere favorevole del Corpo forestale dello Stato, fino alla pubblicazione del decreto di adozione dei piani Aib.
  Inoltre, dall'entrata in vigore della legge n. 353 del 2000, questo Ministero ha promosso e promuove una serie di attività di supporto tecnico-scientifico mediante contatti con gli enti gestori e convenzioni con associazioni scientifiche e ambientaliste mirate a obiettivi specifici (ad es.: «check list per un quadro conoscitivo e propositivo sui piani Aib nei parchi nazionali; studio per la tutela della biodiversità e il recupero post-incendio nelle aree forestali regioni dell'Obiettivo 1 nell'ambito del programma operativo ambiente – Ponatas – Qcs 2000-2006; realizzazione e pubblicazione del libro Incendi e complessità ecosistemica; portale help desk per supporto scientifico on line; perimetrazione sperimentale degli incendi da immagini satellitari; ecc.).
  Peraltro, la cartografia tematica Aib disponibile presso questo Ministero costituisce un concreto contributo alla migliore redazione e gestione dei piani antincendi boschivi, in quanto trattasi di informazioni cartografiche sovrapponibili sia tra loro che con gli altri tematismi.
  Per quanto attiene, in particolare, alla Riserva naturale statale del litorale romano, essa è gestita da due enti distinti, il comune di Roma e il comune di Fiumicino, ciascuno competente per la porzione di territorio ricadente nei propri confini comunali.
  I predetti comuni, in attuazione della predetta legge n. 353 del 2000, avevano per quanto di competenza elaborato due distinti piani Aib, tuttora vigenti, nel cui ambito era assicurata la tutela del territorio protetto ricadente nei propri confini comunali secondo la programmazione delle attività anti incendi boschivi previste in ciascun piano.
  Appare opportuno sottolineare, al proposito, che gli enti gestori delle aree naturali protette, nel pianificare le proprie attività di prevenzione incendi, benché poi soggetti alle verifiche e ai concerti previsti, adottano in piena autonomia le azioni e i sistemi ritenuti più opportuni in relazione alla propria specifica realtà territoriale.
  E, infatti, nella fase di istruttoria per l'adozione dei predetti piani comunali, il Corpo forestale dello Stato aveva rimarcato l'opportunità che venisse elaborare un piano unico per l'intera Riserva naturale statale, allo scopo di migliorare l'efficienza e il coordinamento di tutte le attività Aib.
  Questo Ministero, condividendo tale impostazione, era in tal senso intervenuto presso i due comuni gestori dell'area, chiedendo la redazione di un unico elaborato. Si era ritenuto, infatti, che la integrazione dei due piani esistenti in un elaborato unico e completo, avrebbe permesso di tutelare al meglio il territorio della riserva. A seguito di ripetuti incontri e contatti intercorsi tra questa Amministrazione e i due comuni interessati, si era quindi concordato in tal senso.
  Nonostante i ripetuti solleciti formulati dai competenti uffici di questo dicastero, tuttavia, ad oggi risulta pervenuta dal solo comune di Fiumicino nello scorso mese di aprile 2013, la documentazione relativa al nuovo piano Aib «unificato» 2012-2016:
  Tale documento, predisposto da esperti appositamente incaricati dall'ente gestore e da questi fatto proprio, risulta essere stato trasmesso alla competente giunta comunale per l'approvazione formale del piano Aib. La relativa delibera, peraltro, non è ancora pervenuta a questo Ministero.
  Nonostante la carenza degli elementi formali sopra evidenziati, ma stante la rilevanza e la delicatezza della materia, questo Ministero ha comunque dato corso all'esame della documentazione pervenuta, rilevando, a proposito, varie problematicità e la mancanza di un elaborato integrato e conforme alle indicazioni ministeriali a suo tempo rese.
  Per tale motivo nel mese dj giugno 2013 è stata sollecitato ad entrambi gli enti gestori una revisione completa del piano Aib e della relativa cartografia, che, una volta formalmente approvato dai due comuni, dovrà essere nuovamente inoltrato a questo Ministero per le valutazioni di competenza. Solo a seguito di tali incombenze si potrà procedere con la richiesta d'intesa alla regione Lazio e concludere l’iter di legge con l'inserimento del suddetto piano della riserva naturale statale nel corrispondente piano Aib regionale e la conseguente emanazione del relativo decreto ministeriale di adozione.
  Per quanto più specificatamente richiesto dall'interpellante, non può non rilevarsi che qualsivoglia iniziativa da realizzarsi nell'ambito della riserva in materia di prevenzione e protezione dal rischio di incendi, non potrà che essere adottata alla luce e secondo quanto previsto nel pertinente piano Aib che, allo stato, e come riferito, è in corso di elaborazione.
  Si assicura, tuttavia, che in relazione alla particolare delicatezza della questione, questo Ministero provvederà ad adottare tutte le più idonee iniziative, come sempre fatto in casi similari, finalizzate ad assicurare il massimo regime di protezione per il territorio in argomento che, nell'ambito della Riserva naturale statale del litorale romano, rappresenta probabilmente una della aree più belle e fragili allo stesso tempo.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere premesso che:
   numerose agenzie di stampa e testate giornalistiche di informazione locale ed anche nazionale, come ad esempio un articolo de La Repubblica e un pezzo pubblicato dal Corriere della Sera e pubblicati l'8 luglio 2013, hanno riportato con grande enfasi la notizia dell'uccisione di un bellissimo esemplare di orso bruno marsicano, censito con il nome di Stefano, all'interno del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise;
   l'orso bruno è stato trovato morto nella giornata del 7 luglio 2013, nella zona delle Mainarde, sul versante molisano del monte Morrone e del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise. L'animale, un giovane maschio, sarebbe stato attirato da una carcassa di cavallo usata come esca e ucciso a colpi di fucile da ignoti;
   l'esame radiografico, eseguito alla facoltà di veterinaria dell'università di Teramo, ha rilevato tre pallottole di cui una, quella mortale, alla testa. Un'altra pallottola ha raggiunto l'omero destro dell'animale, mentre una terza, caricata a pallini, è stata rinvenuta sul corpo dell'animale. In base all'esame, dunque, si presume che a sparare siano state più armi quindi più bracconieri criminali;
   come anche espresso dal commissario del sopraddetto Parco nazionale, Giuseppe Rossi, la gravità dell'episodio è enorme in quanto avvenuto in una zona del parco finora relativamente tranquilla rispetto ai fenomeni del bracconaggio;
   il Parco nazionale d'Abruzzo è stato istituito nel 1922 al fine specifico di tutelare le specie faunistiche più rare e a rischio di estinzione, come l'orso bruno marsicano e il camoscio appenninico;
   il parco ha sempre svolto, nel corso di questi 90 anni, la sua funzione di tutela delle suindicate specie faunistiche, salvandole dalla estinzione, nonché attività di promozione del territorio, di ricerca scientifica e didattico-educative;
   per la tutela delle popolazioni di orso bruno marsicano è tuttora in atto lo specifico progetto Life Arctos, attuato nell'ambito del programma finanziario della Commissione europea Life + Natura, di cui l'ente parco è capofila, ovvero coordinatore, e tra i cui partner figurano, tra gli altri, le regioni Abruzzo e Lazio e l'università la Sapienza di Roma. Il sopraddetto progetto, che terminerà nel 2014, ha già consentito di pervenire a importanti risultati e indicazioni, per l'adozione di ulteriori indispensabili misure di salvaguardia del plantigrado, e per la soluzione di problematiche attinenti, quali la chiusura di talune strade montane forestali, la eliminazione del fenomeno del pascolo brado, i tagli boschivi, il controllo sanitario nel territorio;
   l'orso bruno marsicano è oggetto, altresì, del PATOM (Piano d'azione per la tutela dell'orso marsicano) che si svolge sotto l'egida e il coordinamento del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'Ente parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise ha messo in atto importanti iniziative di contrasto di attività incompatibili e illegali e di tutela proattiva, quali ad esempio, l'assunzione in concessione diretta di territori comunali strategici per la tutela e la sopravvivenza della specie, il controllo sanitario di bestiame domestico, il miglioramento costante della regolamentazione degli indennizzi dei danni provocati dalla fauna protetta, il miglioramento delle relazioni con istituzioni e operatori locali, compresi allevatori e agricoltori;
   tuttavia negli ultimi mesi si sono dovute purtroppo ancora registrare numerose uccisioni, in particolare per avvelenamenti, di altre specie di fauna protetta: segnatamente di Lupo Appenninico –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare:
    sia a conoscenza del grave fatto criminale compiuto ai danni di un prezioso esemplare di fauna protetta, nonché del preoccupante gesto intimidatorio nei confronti dell'Ente parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise; se non ritenga altresì opportuno, per quanto di competenza e per tramite dell'ente Parco, del CTA del Corpo Forestale dello Stato e del NOE del Ministero dell'Ambiente, anche al fine di istituire un coordinamento operativo, mettere in campo azioni concrete per coadiuvare, nel rispetto delle competenze della magistratura, le indagini in corso per trovare al più presto i responsabili del gesto; quali azioni intenda il Ministro intraprendere con l'Ente Parco per far sì che simili episodi, anche a danno di altre specie protette, come il lupo, non si verifichino in futuro;
    se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, istituire un tavolo tecnico con le tre Regioni interessate al Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, affinché le stesse procedano sollecitamente alla approvazione del Piano del parco, ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 394 del 1991 e l'adozione, da parte delle stesse, dei provvedimenti per l'approvazione dell'area contigua del parco, ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 394 del 1991;
   se ritenga di approvare, ai sensi dell'articolo 11 della stessa legge n. 394 del 1991, il Regolamento del Parco, adottato dall'ente Parco nel 2011 e superare la gestione commissariale, ad oggi, tuttora vigente. (4-01346)

  Risposta. — In merito ai quesiti posti dall'interrogante, appare opportuno premettere ed evidenziare che questo Dicastero, com’è noto, è istituzionalmente e direttamente impegnato nella conservazione dell'Orso bruno marsicano, in particolare, attraverso il coordinamento delle azioni di conservazione previste dal piano d'azione per la tutela dell'orso bruno Marsicano (PATOM), nel cui contesto agisce congiuntamente con le regioni interessate alla presenza dell'orso e con l'ente parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise.
  E anche per questo, lo scrivente Ministero si è interessato al caso sin dalla prima segnalazione del rinvenimento della carcassa di un orso in località Monte Morrone, nel versante molisano del parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, tenendosi, in seguito, in stretto e costante contatto con l'ente gestore del Parco e con le autorità interessate per seguire la vicenda ed acquisire ogni utile elemento al riguardo.
  La carcassa del plantigrado veniva segnalata, infatti, da un escursionista il 7 luglio 2013 nel comune di Castel San Vincenzo; in prossimità di essa venivano altresì rinvenuti i resti di un puledro, verosimilmente predato dai lupi, nonché, a poca distanza da questo, anche una carcassa di volpe totalmente integra che non presentava segni di predazione.
  La carcassa dell'orso veniva immediatamente inviata al laboratorio dell'istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise.
  La relativa autopsia, avviata il giorno 9 luglio e conclusa il successivo giorno 26, ha potuto evidenziare che l'esemplare sarebbe stato oggetto di colpi di arma da fuoco di diversi calibri, nessuno di essi mortale, e comunque risalenti ad epoca non recente; allo stesso modo, non sono state rilevate tracce di avvelenamento.
  Ancora allo stato, l'istituto zooprofilattico di Teramo, che ha svolto l'autopsia, non è in grado di stabilire con certezza la causa della morte del plantigrado.
  Seppure le verifiche successive, come sopra riferito, abbiano ridotto la drammaticità dell'episodio, quale amplificato nei giorni successivi al rinvenimento dagli organi di stampa, non per questo lo scrivente Ministero, anche in considerazione dei recenti casi di uccisione, in particolare per avvelenamento, di altre specie di fauna protetta, e segnatamente del lupo Appenninico, ha ritenuto di sottovalutare il potenziale delittuoso del fenomeno, adottando con immediatezza le azioni di competenza ritenute più idonee.
  Con riferimento, così, ai quesiti oggetto dell'interrogazione, corre l'obbligo di riferire che al fine di prevenire e reprimere eventuali atti di bracconaggio nei confronti delle specie faunistiche protette, questo Ministero ha provveduto ad una idonea sensibilizzazione del Corpo forestale dello Stato volto a un rafforzamento dell'attività di vigilanza e di intelligence, richiedendo, altresì, al comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente (CCTA), stante la rilevanza e gravità della situazione, un robusto e mirato intervento, sempre in collaborazione con il coordinamento territoriale per l'ambiente (CTA) del Corpo forestale dello Stato, finalizzato ad evitare che eventuali condotte criminali poste in essere da malintenzionati possano nuocere alle comunità delle specie protette nel parco nazionale e condurre, al limite, all'estinzione dell'orso marsicano.
  Allo stesso tempo, questo Ministero ha invitato i presidenti delle regioni Abruzzo, Lazio e Molise affinché collaborino per il superamento dell'attuale gestione commissariale, e perché si giunga, finalmente e con la massima sollecitudine, alla approvazione del piano del parco, previsto dall'articolo 12 della legge n. 394 del 1991, nonché alla istituzione delle aree contigue del parco, ai sensi dell'articolo 32 della medesima legge.
  Nel frattempo, in attesa della approvazione del Piano del Parco, è stata acquisita la bozza di regolamento del parco, sulla quale è già stata avviata la pre-istruttoria in vista della sua prossima approvazione ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 394 del 1991.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'abitato di San Maurizio al Lambro è stato colpito in passato da diverse alluvioni e le più disastrose si sono verificate nel 1976 e nel 2002, mettendo a durissima prova i cittadini;
   attualmente sono in corso i lavori per la messa in sicurezza delle sponde del Lambro a San Maurizio; tali lavori rappresentano un singolo lotto di un progetto più ampio e mettono in sicurezza solamente la parte a monte dell'abitato di San Maurizio al Lambro; i tempi di realizzazione dei rimanenti lotti non sono tutti noti;
   attualmente il Lambro è in allerta, con livello di allarme arancione; a creare tanta preoccupazione tra i cittadini sono i lavori di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria dell'intero complesso della diga di Pusiano, tra la provincia di Como e quella di Lecco;
   la diga è essenziale per la prevenzione delle ondate di piena del Lambro; durante tutta la durata del cantiere il Cavo Diotti resterà chiuso e il deflusso delle acque in determinate condizioni meteorologiche avverrà unicamente attraverso il Lambro;
   da quanto stimano gli ingeneri idraulici interessati alle opere, in caso di piena, 6.720 mila metri cubi di acqua si scaricherebbero a valle in modo incontrollato e ciò potrebbe provocare un'alluvione di almeno un metro d'acqua a San Maurizio, raggiungendo anche le zone di Cologno;
   l'allarme per i lavori sulla diga si aggiunge a quello già in atto dallo scorso anno per i lavori della messa in sicurezza delle sponde del Lambro a San Maurizio; il progetto prevede la realizzazione di un argine sulla riva sinistra del fiume a tutela di un'area adibita a deposito peraltro priva di abitazione o edifici con permanenza di persone;
   appena a valle di detta area è presente il ponte di via San Maurizio;
   tale sovrappasso al corso d'acqua provoca una sorta di vasca di laminazione che attenuerebbe l'impatto della forza dell'acqua sul ponte immediatamente a valle nel caso di importanti eventi di piena a cui il corso d'acqua è periodicamente soggetto;
   l'arginazione del fiume a monte del ponte, in caso di forti precipitazioni, causerebbe un aumento della velocità delle acque e quindi una maggiore potenza delle stesse che si riverberebbero poi sull'abitato di S. Maurizio al Lambro e sulla stabilità del ponte stesso;
   l'argine già presente crea un'area golenaria (o vasca di esondazione) artificiale. All'arrivo della piena e riempita la vasca, le acque ritornano nell'alveo prima del Ponte di San Maurizio;
   in caso di piena, all'altezza del ponte autostradale, l'acqua eccedente devierebbe nella Roggia Molinara, la quale si ricongiunge al fiume prima del ponte di San Maurizio;
   tra gli interventi da attuare si prevede l'innalzamento degli argini a livello della strada con lastricatura della sponda sinistra fino al ponte di San Maurizio, al fine d'impedire la fuoriuscita nei campi di Brugherio;
   in caso di piena, all'altezza del ponte di San Maurizio arriverà sicuramente una quantità d'acqua superiore alla portata stessa del ponte. La portata del ponte è fissa, e quindi all'arrivo dell'acqua ci sarà un innalzamento del livello del fiume e conseguentemente lo scavalcamento del ponte stesso. Dal momento che il ponte è collocato nella parte più alta di San Maurizio e le vie si districano con forte pendenza in discesa, la conseguenza sarà l'inondazione completa di tutto l'abitato di San Maurizio al Lambro;
   la ragione del probabile disastro risiede nel fatto che l'opera è stata divisa in lotti separati, quindi si tratta di interventi parziali e non lotti funzionali. In teoria sono già stati previsti interventi correttivi a valle del ponte, che tuttavia hanno tempi di realizzazione differenti e posticipati. Nell'attesa che gli altri interventi a valle del ponte di San Maurizio siano portati a realizzazione, l'arginazione del fiume espone la popolazione a rischi molto elevati di esondazione;
   l'aggiunta dei lavori della diga di Pusiano che obbligano la chiusura del Cavo Diotti aggravano seriamente la situazione di allarme;
   sebbene le statistiche ufficiali delle esondazioni descrivano un tempo di ritorno dell'esondazioni di circa 20 anni, le mutate condizioni climatiche globali rendono tale stima non reale dato che le esondazioni, negli ultimi anni, avvengono più di frequente;
   si sollevano seri dubbi sulla circostanza che il progetto dell'arginatura del fiume, peraltro attuato per lotti separati, tuteli di fatto la sicurezza e l'incolumità fisica dei cittadini di San Maurizio al Lambro;
   una valutazione del progetto prevede l'arginatura del fiume Lambro a monte del ponte di via S. Maurizio; si ritiene che potrebbe essere migliorativo per la situazione del bacino fluviale evitare l'arginatura della riva sinistra del fiume a monte del ponte e considerare l'area adiacente –:
   se non si ritenga opportuno intervenire per avviare un accurato approfondimento circa le perplessità sollevate in premessa e, nel caso, assumere iniziative di competenza, anche per il tramite della autorità di bacino del Po, per procedere all'interruzione immediata dei lavori in questione e, comunque, garantire la sicurezza dei cittadini. (4-01086)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame riguardante le possibili conseguenze sull'abitato di San Maurizio al Lambro, frazione di Cologno Monzese (Milano), derivanti dai lavori per la realizzazione di un argine sulla riva sinistra del fiume Lambro, si rappresenta quanto segue.
  L'area in questione ricade nel bacino idrografico del fiume Lambro ed è stata in passato colpita da diverse alluvioni, l'ultima delle quali nel corso dell'anno 2002.
  Ai fini della mitigazione del rischio di esondazione del fiume Lambro, il PAI vigente (studio di fattibilità Lambro-Seveso-Olona, redatto nell'anno 2004 dall'autorità di bacino del fiume Po) prevede, per il conseguimento dell'assetto di progetto finale, la realizzazione di un complesso ed articolato sistema di interventi di natura strutturale (laminazione delle piene) e di carattere locale a difesa dei centri abitati.
  Tali interventi possono essere riassunti nelle seguenti tipologie:
   1. opere di regolazione;

   2. formazione di casse di espansione aree di esondazione controllata;
   3. mantenimento delle aree di allagamento naturale che interessano zone golenali;
   4. riduzione delle portate scaricate dalle reti di drenaggio urbano secondo i limiti imposti dal P.R.R.A. (piano regionale di risanamento delle acque);
   5. adeguamento dei manufatti di attraversamento che ostacolano il deflusso di piena e inducono allagamenti in zone non compatibili;
   6. realizzazione di opere di protezione locale (arginature);
   7. aumento della capacità idraulica dell'alveo attraverso opere locali (ricalibratura, diversivi, eccetera).

  Gli interventi strutturali principali, sia in termini di efficacia nei riguardi dell'intero assetto di progetto del fiume Lambro, sia in termini di rilevanza della singola opera, sono i seguenti:
   1. regolazione del Lago di Pusiano, mediante il recupero del nodo idraulico «Cavo Diotti»;
   2. realizzazione di casse di espansione/aree di esondazione controllata sugli affluenti di sinistra:
    a) a Merone e Costa Masnaga sulla Bevera di Molteno;
    b) a Molteno sul t. Gandaloglio;
    c) a Briosco sulla Bevera di Renate;
   3. regolazione dell'area di allagamento di Inverigo;
   4. by-pass di Monza,
   5. by-pass di Milano;
   6. riprofilatura dell'alveo a Milano (zona Linate – da Ortica a Bolgiano): raddoppio alveo e abbassamento di alcune traverse.

  Per il conseguimento dell'assetto di progetto finale previsto dal piano di assetto idrogeologico occorre procedere progressivamente alla realizzazione degli interventi previsti, la cui tempistica di attuazione resta vincolata alla disponibilità dei relativi finanziamenti, il ché di fatto obbliga a procedere attraverso step funzionali.
  Attualmente, in accordo con l'autorità di bacino del fiume Po ed in funzione delle risorse economiche disponibili, sono in corso di realizzazione gli interventi ritenuti prioritari:
   vasca di laminazione di Costa Masnaga (LC);
   adeguamento regolazione del lago di Pusiano CO (Cavo Diotti);
   vasca di laminazione di Inverigo, Nibbiono e Veduggio (LC, CO, MB);
   difesa dell'abitato di Cologno Monzese (MI).

  Quest'ultimo intervento presenta un carattere locale e prevede la realizzazione di un argine per la difesa della frazione S. Maurizio di Cologno Monzese, vittima nel 2002 di una esondazione del fiume Lambro che ha causato gravi danni.
  L'importo del primo lotto di lavori ammonta a 3 milioni di euro finanziati in parte dalla regione Lombardia (2 milioni di euro) ed in parte dal Ministero dell'ambiente (finanziato 1 milione di euro con decreto ministeriale DEC DDS 2007 1081 del 26 novembre 2007);
  Giova evidenziare che è in fase di progettazione definitiva un secondo lotto di lavori che interessa, oltre a Cologno Monzese, anche i comuni limitrofi per un importo di altri 3 milioni di euro, finanziati da un accordo di programma sottoscritto in data 4 novembre 2010 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Lombardia e finalizzato alla programmazione ed al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico.
  I due interventi sono catalogati effettivamente come lotti funzionali e non è stato possibile realizzarli contemporaneamente poiché le risorse finanziarie necessarie sono state rese disponibili in momenti differenziati.
  In particolare, le opere del primo lotto attualmente in esecuzione prevedono l'adeguamento delle difese spondali del fiume Lambro, in sponda sinistra, dal ponte dell'autostrada A4 fino a circa 300 metri a valle del ponte di via San Maurizio al Lambro, per uno sviluppo complessivo di circa 1.200 metri, oltre a quattro interventi minori più a valle, e precisamente uno ubicato tra le colline artificiali del parco urbano di San Maurizio al Lambro e tre localizzati nella zona industriale di Cologno Monzese (via Guemica, via Barcellona).
  In accordo con l'amministrazione comunale, la realizzazione di tale intervento è stata affidata all'agenzia interregionale per il Po (AiPo). I lavori sono stati consegnati in data 8 gennaio 2013 e sono tuttora in corso.
  Da informazioni assunte presso i funzionari dell'autorità di bacino del fiume Po e della regione Lombardia risulta inoltre che:
   a) ai fini della progettazione dell'opera sono state effettuate modellazioni idrauliche bidimensionali che hanno confermato il beneficio dell'opera stessa ai fini della riduzione del rischio alluvionale, in particolare sulla zona di San Maurizio al Lambro;
   b) sono state effettuate tutte le verifiche tecniche di carattere progettuale finalizzate ad una migliore progettazione delle opere;
   c) si prevede che l'argine inerente il primo lotto di lavori venga realizzato entro la fine dell'anno.

  Parimenti, da informazioni assunte presso il comune di Cologno Monzese, risulta che l'intervento programmato per il prossimo mese di gennaio in corrispondenza del Cavo Diotti emissario del lago di Pusiano, coesista in un'opera obbligatoria al fine di adempiere alla normativa vigente in materia di Dighe di interesse nazionale (RID). Gli eventuali effetti sulle piene del fiume Lambro sono stati valutati dal progettista delle opere per conto dell'ente gestore dello sbarramento (Consorzio Parco Alta Valle Lambro) e condivisi sia dai comuni rivieraschi che dalle rispettive prefetture (comune di Como in qualità di capofila).
  Inoltre, il comune segnala alcune inesattezze contenute nell'interrogazione in argomento inerenti al fatto che il territorio esondabile nel comune di Brugherio a diretto confine con il territorio di Cologno Monzese, collocato a monte del ponte di San Maurizio al Lambro, viene identificato come cassa di laminazione naturale, avente quindi un effetto benefico sulla piena. Di
fatto, invece, superato in breve tempo il limitato effetto di laminazione, le acque che esondano dalla sponda idrografica sinistra, sempre nel tratto immediatamente a monte del ponte, ove è assente l'argine per un tratto di circa 50 metri, si propagano rapidamente oltre la strada provinciale interessando in primis l'adiacente sede stradale per poi propagarsi non solo verso l'abitato di San Maurizio ma anche verso la zona centrale di Cotogno Monzese, entrambe zone fortemente antropizzate e ad alta densità abitativa. Tale, dinamica è stata purtroppo ampiamente verificata dai cittadini colognesi e dall'amministrazione comunale in più situazioni nel corso degli anni.
  Pertanto, il comune precisa che il punto di criticità indicato nell'interrogazione in oggetto e relativo alla depressione dell'argine a monte del ponte, non deve essere considerato una via di deflusso delle acque all'interno del fiume Lambro, bensì una fonte di potenziale propagazione delle piene, avente una elevata pericolosità per il centro abitato.
  Infine, in merito alla presunta pericolosità derivante dai concomitanti lavori di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria dell'intero complesso della diga di Pusiano, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha reso noto che le luci dello sbarramento di Pusiano, durante l'esecuzione delle opere, verranno chiuse mediante delle panconature (ture); lo stesso Ministero ha precisato che nel progetto è stata prevista la possibilità di rimuovere d'urgenza le panconature in caso di preavviso di maltempo. Lo stesso dicastero riferisce altresì che per la gestione dello sbarramento durante la realizzazione delle opere è stato redatto da parte del responsabile dello sbarramento per conto del gestore specifico documento di Protezione civile, nel quale è appunto prevista l'asportazione delle panconature in caso di eventi di piena. La rimozione d'urgenza delle ture comporterà sia la limitazione dell'esondazione lungo le sponde del lago che la riduzione dei colmi di piena a valle.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare proseguirà in un ottica di prevenzione ad esercitare un'attività di monitoraggio puntuale e costante della situazione attraverso gli enti competenti.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   ROSATO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 78 del 2010, ha previsto – all'articolo 9, comma 21 – la limitazione ai soli effetti giuridici (le cosiddette «promozioni bianche») delle progressioni in carriera dei pubblici dipendenti nel triennio 2011-2013. Lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente la proroga delle misure di contenimento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti prevede la proroga anche al 2014, senza alcuna possibilità di recupero del trattamento economico «congelato», il suddetto blocco;
   in applicazione della norma, ben 92 viceprefetti aggiunti promossi alla qualifica di viceprefetto con decorrenza 1° gennaio 2011 e 1° gennaio 2012 hanno ottenuto l'attribuzione della qualifica superiore a fini esclusivamente giuridici senza la corresponsione del relativo trattamento economico. Analogamente avverrebbe per i promossi nel 2013 e 2014;
   si tratterebbe evidentemente di un danno economico molto rilevante (per quelli promossi nel 2011, la perdita è di tre anni – che potrebbero diventare quattro) non solo ai fini retributivi ma anche pensionistici in ragione del regime contributivo e del fatto che questo congelamento non è sterilizzato ai predetti ultimi fini;
   preme evidenziare, poi, che si tratta di personale che giunge alla promozione dopo un percorso professionale di mediamente 16-17 anni di servizio e dopo uno scrutinio per merito comparato da parte del consiglio di amministrazione e che viene comunque assegnato alle mansioni superiori corrispondenti alla nuova qualifica;
   la disposizione che nega efficacia economica a qualsiasi progressione di carriera per il periodo predetto mostra evidenti profili di illegittimità costituzionale evidenziati nella ordinanza Tar n. 218 del 16 giugno 2012, che ha rimesso la disposizione all'esame della Corte costituzionale (l'udienza è fissata per il 5 novembre 2013);
   l'ordinanza evidenzia come l'articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte d'interesse, determina anzitutto, in violazione dell'articolo 2 Cost., un'irragionevole disparità di trattamento all'interno del personale appartenente alla medesima carriera. Infatti, a parità di qualifica e con mansioni conseguentemente corrispondenti – con incarichi complessi e responsabilità di uffici apicali – tali dipendenti percepiscono o meno lo stesso trattamento economico, in relazione ad un elemento del tutto aleatorio, costituito dall'anno in cui la qualifica è stata ad essi attribuita, che non ha evidentemente relazione alcuna con il lavoro prestato. D'altro canto, ex articolo 36 Cost. il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro;
   il legislatore, con l'articolo 9, comma 21, persegue la riduzione del passivo del bilancio statale, ma questo – aggiunge l'ordinanza – si deve comunque armonizzare, secondo proporzionalità e ragionevolezza, e nel rispetto dei principi di eguaglianza formale e sostanziale ex articoli 2 e 3 Costituzione, con gli altri valori tutelati dalla Costituzione, tra cui appunto quelli definiti dall'articolo 36 della Costituzione. Questo non si verificherebbe invece nella specie: l'eliminazione del miglior trattamento economico, riferibile alla nuova posizione acquisita, contrasta con il principio di proporzionalità testé richiamato, che il legislatore, pur nella sua discrezionalità, è tenuto a rispettare;
   per altro verso, poi, la situazione così descritta, dove il trattamento economico tra colleghi si differenzia non per le mansioni e le conseguenti responsabilità, ma in relazione ad un elemento casuale come il momento in cui la qualifica è stata conferita, non può che interferire negativamente sui rapporti tra i colleghi stessi, alcuni dei quali ingiustamente discriminati, e ciò si riverbera sull'organizzazione degli uffici, incidendo negativamente sul loro buon andamento, così violando l'articolo 97 della Costituzione;
   sotto un diverso profilo, ed in subordine rispetto alle censure precedentemente dedotte, si deve constatare – aggiunge infine la stessa ordinanza – come l'articolo 9, comma 21, sebbene letteralmente prescriva di non accrescere il trattamento economico dovuto a determinate categorie di pubblici dipendenti, con un conseguente risparmio di spesa per l'erario, sotto un profilo sostanziale e degli effetti, impone a quegli stessi dipendenti una prestazione patrimoniale, poiché gli trattiene una parte dei compensi maturati con la promozione e che sono corrisposti agli altri colleghi di pari qualifica. La norma impone, cioè, agli interessati un peculiare concorso alle spese pubbliche, ovvero, in altri termini, istituisce, un tributo anomalo, il quale contrasta con i principi costituzionali in materia, quali stabiliti dagli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione. E infatti anzitutto violato il principio di capacità contributiva, poiché il sacrificio è richiesto non in relazione ad uno specifico indice di ricchezza ma al dato, economicamente insignificante, del momento in cui la qualifica è stata acquisita, e senza alcuna considerazione del principio di progressività;
   si aggiunga che, in evidente violazione dei principi costituzionali prima richiamati, il tributo colpisce solo una parte dei dipendenti che hanno raggiunto una determinata qualifica, e, comunque, soltanto i redditi dei pubblici dipendenti, senza invece gravare, a parità capacità contributiva, su analoghe categorie di lavoratori, o di redditi;
   un precedente significativo è comunque costituito dalla sentenza n. 223 del 2012, della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui disponeva che, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2011, i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche, superiori a 90.000 euro lordi annui, fossero ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro (il cosiddetto contributo di solidarietà);
   la predetta sentenza, infatti, fornisce utili considerazioni in ordine alla costituzionalità delle disposizioni limitative delle retribuzioni statali. La Corte, infatti, facendo leva sulla propria giurisprudenza precedente, ha affermato che, «indipendentemente dal nomen iuris attribuitole dal legislatore, al fine di valutare se una decurtazione patrimoniale definitiva integri un tributo, occorre interpretare la disciplina sostanziale che la prevede». Di talché, ha constatato come la disposizione impugnata, pur facendo riferimento alla riduzione di trattamenti economici, contiene comunque tutti gli elementi caratteristici del prelievo tributario;
   a giudizio di numerosi qualificati interpreti, gli effetti della summenzionata pronuncia – avendo chiarito la natura tributaria del contributo di solidarietà posto a carico dei dipendenti pubblici e, al contempo, censurando lo stesso per manifesta arbitrarietà e irragionevolezza – costituiscono un'importante punto di svolta nel giudizio di legittimità costituzionale dei contributi cosiddetto una tantum posti a carico di alcuni determinati soggetti di diritto, dando vita a un orientamento seguito dalla giurisprudenza costituzionale successiva – si veda la sentenza n. 241 del 2012, in tema di contributo di perequazione (o solidarietà) sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro e quali urgenti iniziative intenda adottare, posto che, anche alla luce delle precedenti pronunce della Corte Costituzionale, le disposizioni che riconoscono a dipendenti pubblici, nonostante l'attribuzione di una qualifica superiore, il trattamento economico proprio della qualifica inferiore, con quella che all'interrogante appare una evidente, arbitraria e ingiustificata compressione dei diritti di questi ultimi, sono a forte rischio di pronuncia di incostituzionalità. (4-00872)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale sono stati chiesti chiarimenti in merito al blocco stipendiali dei pubblici dipendenti nel triennio 2011-2013 (cosiddette «promozioni bianche»), si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, ha limitato ai soli effetti giuridici le progressioni di carriera per i dipendenti pubblici nonché i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013.
  Successivamente, con decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, emanato in attuazione della previsione di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 del 2011, la validità temporale delle citate disposizioni è stata prorogata sino al 31 dicembre 2014.
  Al riguardo, si osserva che tali disposizioni hanno carattere generale e, pertanto, trovando applicazione nei confronti di tutte le categorie di dipendenti pubblici, dispiegano i loro effetti anche nei confronti dei dipendenti appartenenti alla carriera prefettizia.
  Si evidenzia infine che, relativamente ai ricorsi presentati in merito al blocco delle promozioni di carriera, è attesa, a breve, la pronuncia della Corte Costituzionale.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   ROSATO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le cronache di stampa riportano un malcostume che sconfina, più dettagliatamente, nel reato di truffa ai danni dello Stato: parenti di cittadini defunti che tacciono la morte dei propri cari al fine di intascarne le pensioni erogate dagli enti previdenziali;
   di recente, un'operazione condotta dalla Guardia di finanza nella sola provincia di Lecco ha fatto emergere 300 casi per una truffa dal valore complessivo di 700 mila euro;
   la proficua attività delle forze dell'ordine costantemente rileva truffe simili, come anche l'intestazione di ricette mediche a parenti ormai defunti;
   la burocrazia italiana è sempre precisa ed impietosa con i cittadini onesti ai quali vengono spesso chieste certificazioni ridondanti, mentre non vi sono strumenti di condivisione dei dati tra gli enti;
   i parenti dei cittadini defunti sono obbligati a presentare il certificato di morte all'ente previdenziale con un evidente carico di lavoro che un banale collegamento tra gli uffici dell'anagrafe e gli enti previdenziali potrebbe evitare –:
   con che modalità e tempistica i comuni informano gli enti previdenziali, assistenziali e il servizio sanitario dei decessi;
   se il Governo non ritenga che sia necessario che le diverse banche dati siano collegate e che ogni decesso venga comunicato automaticamente in tempo reale a tutte le istituzioni e gli enti pubblici;
   quali tempistiche il Governo ritenga che siano necessarie per poter provvedere in tal senso. (4-00885)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente talune anomalie verificatesi nella erogazione dei trattamenti pensionistici post mortem, soprattutto nella provincia di Lecco, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, è opportuno ricordare che l'intero processo di trasmissione, acquisizione e modifica dei dati relativi alla regolarità nella erogazione delle prestazioni, nonché di verifica degli stessi, si sviluppa in conformità alle disposizioni normative che lo regolano ed, in particolare, all'articolo 20, commi 12 e 13, della legge 6 agosto 2008, n. 133.
  Tale disposizione stabilisce che le comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile debbano effettuarsi obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell'evento e che – in caso di ritardo nella trasmissione delle stesse – il responsabile dell'ufficio anagrafe del comune, ove ne derivi pregiudizio, debba rispondere, a titolo di danno erariale, con una sanzione il cui importo varia da 100 a 300 euro.
  Conseguentemente, in attuazione della predetta disposizione, l'Inps ha individuato e messo in pratica apposite procedure telematiche per l'acquisizione dei dati relativi ai decessi e ad altre variazioni anagrafiche relative ai soggetti percettori di prestazioni.
  In particolare, a decorrere dal 2003, si sono rese disponibili le prime funzionalità del portale Inps – accessibile attraverso un pin assegnato ad personam – previa richiesta da parte del comune interessato. Successivamente, a decorrere dal 2007, con l'avvento del sistema Ina-Saia (Indice nazionale delle anagrafi – sistema di accesso e interscambio anagrafico) del Ministero dell'interno, il portale Inps è stato trasformato in un «canale alternativo» in conformità a quanto disciplinato dalla circolare congiunta Ministero dell'interno – Inps del 15 febbraio 2010.
  Tanto premesso, con riferimento all'operazione effettuata dalla Guardia di finanza, in sinergia con l'Inps, nella provincia di Lecco, l'istituto ha preliminarmente precisato che la stessa si colloca nell'ambito di un sistema di controllo integrato e finalizzato a ridurre il rischio di frode, a garanzia della legalità nell'erogazione delle prestazioni.
  Nello specifico, gli accertamenti hanno individuato un solo caso – non rilevato dall'istituto – di percezione indebita dei ratei successivamente al decesso. Per gli altri casi, invece, l'Inps aveva già provveduto agli adempimenti amministrativi relativi alla eliminazione delle prestazioni in godimento e – in caso di pagamenti indebitamente effettuati post mortem – di aver avviato le azioni di recupero degli indebiti.
  Da ultimo, riguardo poi al periodo in cui i decessi in questione si sono verificati, la Direzione territoriale del lavoro di Lecco del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha reso noto che – salvo poche eccezioni – la maggior parte di essi si riferisce al periodo antecedente al 2008, quindi prima dell'entrata in vigore dellenuove procedure telematiche di comunicazione dei decessi e delle variazioni di stato civile.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   ROSATO e BOSCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   appare sempre più evidente la grave carenza di organico alla quale è sottoposta la polizia di Stato, nonostante via sia stato negli ultimi due anni un aumento dei reati, in controtendenza ai dati positivi registrati sin prima del 2011;
   il Ministero dell'interno nel 2006 e nel 2008 ha bandito due concorsi per titoli ed esami, per il reclutamento di 1.507 e 907 (poi divenuti 1078) allievi agenti della polizia di Stato, e in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, la prima aliquota (corrispondente al 55 per cento superiore della graduatoria dei vincitori) è stata immessa direttamente nel ruolo di agenti della polizia di Stato, mentre la seconda aliquota (il restante 45 per cento dei vincitori della graduatoria) è stato preso in carico dalle Forse armate in qualità di volontario in ferma prefissata quadriennale;
   la stessa amministrazione nel 2010 ha proceduto a bandire un concorso per titoli ed esami per il reclutamento di 1.600 allievi agenti della polizia di Stato, ma alla graduatoria di merito non ha applicato le quote fissate dall'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, aumentando i posti per i quali è prevista l'immissione immediata nei ruoli della polizia di Stato;
   a novembre 2011, poi, il Ministero dell'interno ha indetto un nuovo concorso per 2.800 allievi agenti della polizia di Stato applicando, anche in questo caso, delle quote diverse da quelle indicate dall'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, – ovvero predisponendo una prima aliquota composta dai primi 2.654 vincitori e una seconda aliquota composta dai successivi 146 vincitori;
   inoltre, con tre distinti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri dell'ottobre 2009, del novembre 2009 e del settembre 2010 che dovevano servire alla successiva assunzione dei vincitori della II aliquota, si è proceduto all'assunzione degli idonei in sovrannumero delle graduatorie relative ai concorsi 2003, 2004 e 2005;
   i vincitori della seconda aliquota del concorso 2006 hanno terminato il loro servizio in ferma quadriennale e non sono stati successivamente assunti in polizia di Stato come da concorso;
   più in generale si diffonde il timore, quindi, che i vincitori delle II aliquote – che stanno ultimando il loro percorso nelle Forze armate – alla sua conclusione potrebbero non essere presi in carico nel corpo per il quale hanno vinto il concorso;
   i 1.700 vincitori delle seconde aliquote sono giovani che hanno vinto un regolare concorso, la cui assunzione è condizionata al servizio presso le Forze armate non per esigenze formative –:
   come intenda tutelare e garantire l'assunzione in polizia di Stato dei vincitori delle seconde aliquote che hanno terminato o stanno ultimando il loro servizio nelle Forze armate. (4-00886)

  Risposta. — La disciplina dell'assunzione di personale nel ruolo degli agenti ed assistenti della polizia di Stato è regolata dal Codice dell'ordinamento militare che prevede l'osservanza di procedure e modalità operative cui l'Amministrazione della pubblica sicurezza è tenuta a conformarsi.
  La normativa in vigore stabilisce che, fino al 31 dicembre 2020, come per le altre forze di polizia ad ordinamento civile e militare, i posti messi annualmente a concorso per il reclutamento del personale nella carriera iniziale della polizia di Stato vengano determinati sulla base di una «programmazione quinquennale scorrevole».
  Questi programmi, annualmente predisposti da ciascuna delle Amministrazioni interessate, sono comunicati entro il 30 settembre di ogni anno al Ministero della difesa. I posti sono riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale.
  Solo il 55 per cento dei concorrenti giudicati idonei dopo almeno un anno di servizio svolto presso le forze armate ed utilmente collocati nelle graduatorie, viene immesso direttamente nelle carriere iniziali delle forze di polizia. Il restante 45 per cento può essere invece immesso in ruolo solo dopo aver prestato servizio nelle forze armate in qualità di volontario in ferma permanente quadriennale.
  L'amministrazione della pubblica sicurezza, pertanto, è obbligata al rispetto del procedimento concorsuale previsto dalla normativa di settore che consente l'immissione nel ruolo iniziale della polizia di Stato solo dopo lo svolgimento dei quattro anni di ferma.
  D'altra parte, bisogna anche tener conto che la stessa disciplina normativa richiede che venga effettuata con periodicità l'attività concorsuale, bandendo nuove procedure selettive anche per far fronte alle esigenze di personale delle strutture militari.
  Relativamente alle assunzioni nelle forze di polizia e disciplina del turn over, la Legge di stabilità per il 2013 ha previsto uno stanziamento di 70 milioni di euro per il 2013 e di 120 milioni di euro a decorrere dal 2014, fondi che permetteranno alle amministrazioni interessate di avere un margine più agevole di manovra nelle facoltà assunzionali, anche relativamente ai volontari in forma prefissata.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RUOCCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 545 del Codice di procedura civile, così come modificato dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 prevede che «le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altra indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.»;
   anche la Corte costituzionale ribadiva, nell'ordinanza 22-29 maggio 2002 n. 22, che era manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'articolo 32, 1° comma, della Costituzione, dell'articolo 545 del codice di procedura civile, nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto, in quanto il legislatore, nella sua discrezionalità, al fine di assicurare il contemperamento dell'interesse del creditore (per tributi e per ogni altro credito) con quello del debitore, che percepisca da un privato uno stipendio o salario, ha previsto un limite fisso percentuale ragionevolmente contenuto;
   a quanto si evince, tuttavia, dall'articolo «Abolito di fatto il limite del “quinto” pignorabile: pensioni integralmente aggredibili» dell'avvocato Angelo Greco sul sito www.laleggepertutti.it il limite del quinto pignorabile dello stipendio, ma soprattutto della pensione, sarebbe stato di fatto reso aggirabile dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2011, n. 300), cosiddetto «Salva Italia»;
   il decreto avrebbe infatti imposto all'Inps di versare le pensioni superiori a mille euro non più tramite le poste nelle mani del pensionato, ma in un conto corrente bancario o postale o anche su un libretto di risparmio, come conseguenza dell'obbligo di tracciabilità dei pagamenti superiori a mille euro;
   i pensionati che percepiscono trattamenti pensionistici superiori ai mille euro sono quindi obbligati di fatto ad aprite un conto corrente dove l'Inps può far pervenire mensilmente la quota dovuta;
   la legge consente al creditore la possibilità di pignorare la pensione, o i redditi di lavoro subordinato, nella misura massima di un quinto, ma tale limite opera solo se il pignoramento viene effettuato alla fonte, cioè direttamente a chi deve erogare l'emolumento e procedere all'accantonamento delle quote pignorate;
   citando sempre l'articolo dell'avvocato Angelo Greco, «se il pignoramento viene effettuato in un momento successivo (anche un giorno dopo), presso la banca dove il pensionato o il lavoratore deposita le somme, tale limite non opera più e il creditore può pignorare tutti, i risparmi che vi trova»;
   una volta che il denaro sia stato riversato sul conto corrente sarebbe quindi impossibile distinguere i redditi da pensione o da lavoro rispetto a quelli di altra natura e sarebbe quindi pignorare non solo il quinto degli stessi, ma la loro interezza;
   appare evidente che, se tale rischio fosse concreto, la normativa del codice di procedura civile che fissa il limite della quota pignorabile di reddito da pensione o da lavoro subordinato ad un quinto dell'ammontare complessivo, sarebbe, di fatto, resa vana e sarebbe pertanto garantito il minimo sostentamento che il legislatore e la Corte costituzionale sempre hanno inteso tutelare –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se l'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2011, n. 300), cosiddetto «Salva Italia» che fissa il limite dei pagamenti in contanti a 1000 euro, possa porsi in contrasto con l'articolo 545 del regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, codice di procedura civile e coi principi dell'ordinamento giuridico;
   quali iniziative di propria competenza intenda attuare al fine di garantire che il limite della quota sottoponibile a pignoramento di pensioni o reddito da lavoro dipendente non superi il quinto anche quando tali redditi eccedono i 1000 euro. (4-00217)

  Risposta. — L'interrogazione in esame concerne la pignorabilità delle quote di stipendio e di pensione in rapporto all'articolo 12, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011 che ha fissato a mille euro il limite dei pagamenti in contanti.
  In premessa, si evidenzia che, ai sensi dell'articolo 545, commi 3 e 4, del codice di procedure civile lo stipendio (come il salario e le altre indennità dovute al lavoratore, anche a seguito di licenziamento) può essere pignorato nella misura stabilita dal giudice, se il credito per cui si procede è di natura alimentare e nella misura di un quinto per ogni altro tipo di credito, compresi i crediti di natura tributaria.
  Per quanto riguarda la pensione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 506 del 4 dicembre 2002, che ha inciso sull'articolo 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 e sugli articoli 1 e 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, la quota necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita è impignorabile, mentre la parte restante è pignorabile nella misura del quinto.
  L'articolo 2, comma 4-ter, lettera c), del decreto-legge n. 138 del 2011, introdotto dall'articolo 12, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, cosiddetto Salva Italia, ha imposto alle pubbliche amministrazioni di versare lo stipendio, le pensioni e ogni altro emolumento esclusivamente con strumenti di pagamento elettronici bancari o postali.
  La disposizione sopra riportata si propone l'obiettivo di favorire la modernizzazione e l'efficienza degli strumenti di pagamento, riducendo i costi amministrativi e finanziari derivanti dalla gestione del denaro contante e riguarda solo le erogazioni di importi superiori a mille euro.
  Inoltre, il comma 4-sexies del citato articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 prevede che i beneficiari dei pagamenti pensionistici erogati dall'INPS devono indicare un conto di pagamento cosiddetto conto di base, su cui ricevere i pagamenti di importo superiore a mille euro.
  Ciò premesso, occorre sottolineare che, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza, il vincolo di impignorabilità previsto dall'articolo 545 codice di procedura civile opera solo se il pignoramento presso terzi viene eseguito prima dell'erogazione delle somme dovute, in quanto lo stesso articolo 545 codice di procedura civile espressamente prevede l'impignorabilità delle «somme dovute dai privati a titolo di stipendio, salario o altre indennità» riferendosi quindi a somme non ancora corrisposte.
  Se invece il pignoramento avviene quando la somma è già stata corrisposta al dipendente o al pensionato e confluita nel suo patrimonio (sia che essa si trovi nel suo diretto possesso sia che risulti depositata a suo nome presso banche o istituti di credito) si ricade nell'operatività del principio generale, secondo cui le somme rinvenute presso il debitore o presso una banca sono pignorabili senza alcun limite.
  Infatti, una volta avvenuto il pagamento, nel caso che qui interessa mediante l'accredito sul conto corrente, il denaro è entrato nella disponibilità del titolare, per cui lo stesso, bene fungibile per eccellenza, è destinato a confondersi con le altre somme già depositate sul conto, divenendo impossibile operare un distinzione basata sul titolo dell'annotazione.
  Ciò posto dal punto di vista generale, si segnala che sulla materia è recentemente intervento l'articolo 52, comma 1, lettera f) del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 che ha aggiunto il comma 2-bis all'articolo 72-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 recante disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito.
  La citata disposizione prevede che, nel caso di accredito delle somme dovute a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro sul conto corrente intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all'ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo, pertanto, l'ultimo accredito di stipendio o pensione sul conto corrente intestato al debitore non potrà essere pignorato, rimanendo nella disponibilità del contribuente.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   GIOVANNA SANNA e PES. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il Sindaco di Valledoria, in provincia di Sassari, ha ricevuto comunicazione informale del previsto declassamento a tenenza della locale Compagnia dei carabinieri;
   l'attuale compagnia copre un territorio che va da Castelsardo fino a Vignola, per circa 65 km di costa, oltre a numerosi Comuni dell'entroterra, in un bacino a forte presenza turistica nel quale d'estate gravitano oltre 85.000;
   con l'ipotizzato declassamento da Compagnia a tenenza il numero effettivo dei militari in servizio passerebbe da 45 a 22 unita;
   questa drastica riduzione del contingente esporrebbe questo delicato territorio a forte impatto turistico al rischio concreto di peggioramento delle condizioni di sicurezza, che per anni sono state un positivo tratto distintivo della zona;
   tale decisione di declassificazione sarebbe stata adottata senza alcuna interlocuzione con gli enti locali interessati, al fine di ricercare una soluzione condivisa –:
   se il Ministro della difesa non ritenga opportuno assumere tutte le necessarie iniziative per evitare il declassamento della compagnia dei carabinieri di Valledoria a tenenza, alla luce delle esigenze di sicurezza di questo vasto territorio e della necessità di valutare tali esigenze non guardando solo alla popolazione stabilmente residente ma anche alla rilevanza locale dei fenomeni turistici, che pongono delicati e specifici problemi di tutela della legalità e di prevenzione e repressione dei reati. (4-01213)

  Risposta. — Mi preme, da subito, sottolineare come l'Arma dei Carabinieri continui a perseguire l'obiettivo di garantire sicurezza ed efficienza, pur in un momento storico contraddistinto da particolari difficoltà congiunturali.
  A tal fine, l'Arma:
   investe prioritariamente sulla riconfigurazione del dispositivo, con particolare riguardo alle strutture logistiche, amministrative e di comando;
   potenzia i reparti preposti alle investigazioni e valorizza le capacità operative dell'organizzazione territoriale, con specifico riferimento alle stazioni e alle tenenze dei carabinieri, che restano tra le più concrete e immediate espressioni di vicinanza ai cittadini;
   sottopone a sistematici adeguamenti la distribuzione dei presidi sul territorio, attraverso un'analisi che tiene conto di parametri riferiti alla popolazione, alla delittuosità, agli aspetti di carattere infrastrutturale/logistico e alla mobilità, in piena sintonia con le altre forze di polizia e d'intesa con gli orientamenti dei prefetti.

  In tale quadro, faccio presente che, sebbene venga soppressa la Compagnia Carabinieri di Valledoria, tuttavia, con il passaggio a tenenza della stazione capoluogo (Valledoria) e la diversa collocazione delle restanti Stazioni, si continuerà a:
   garantire, nel territorio di competenza, la presenza e l'operatività dell'Arma dei Carabinieri con un assetto in grado di esprimere un'attività di vigilanza continuativa nell'arco delle 24 ore, accompagnata da una qualificata azione investigativa;
   assicurare un rapporto Carabinieri/abitanti pari a 1/406, di gran lunga più favorevole rispetto al dato provinciale (1/501) e nazionale (1/798);
   consentire una bilanciata e omogenea distribuzione sia delle stazioni dei Carabinieri operanti nell'area che dei rispettivi carichi operativi, tra le confinanti Compagnie di Porto Torres, Sassari e Tempio Pausania;
   conferire all'intero dispositivo una ripartizione equilibrata del territorio e della popolazione residente, tenendo soprattutto conto delle condizioni dell'ordine e della sicurezza pubblica locali.

Il Ministro della difesaMario Mauro.


   SCOPELLITI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori LSU-LPU rappresentano una risorsa importante, un insieme variegato di saperi, professionalità, maestranze, manodopera, indispensabili per la garanzia di essenziali servizi da erogare ai cittadini e sul quale bisogna investire in termini di valorizzazione e riconversione;
   a seguito del decreto legislativo n. 468 del 1997, successivamente modificato con decreto legislativo n. 81 del 2000 migliaia di lavoratori sono stati avviati in Calabria in progetti per lavori socialmente utili e di pubblica utilità, che quasi subito sono rientrati nelle normali attività degli enti utilizzatori;
   ancora oggi, per legge, gli LSU sono soggetti che forniscono forza lavoro alle amministrazioni locali, ma non hanno un contratto strictu sensu di lavoro e la legge impone che non si instauri alcun rapporto di lavoro; non hanno mai goduto di copertura previdenziale, nonostante il loro impegno lavorativo non sia diverso dal personale cosiddetto di ruolo degli enti utilizzatori;
   nel corso degli anni gli LSU hanno sopperito alle carenze di organico nella realizzazione ed erogazione di attività e servizi, acquisendo competenze notevoli e realizzando servizi oggi ritenuti indispensabili dai cittadini beneficiari e, secondo quanto motiva la regione Calabria nei piani di stabilizzazione «sono inseriti da oltre 15 anni nell'organizzazione delle attività degli Enti con svariate mansioni di carattere manuale, tecnico, ma anche con ruoli ad alto contenuto professionale»; è per questo che essi non possono essere definiti assistiti, perché se di assistenzialismo si dovesse parlare, sarebbero i lavoratori che assistono la pubblica amministrazione e ad avviso dell'interrogante non sarebbe esagerato definire l'attuale situazione lavorativa degli LSU come un vero e proprio lavoro nero «legalizzato» dallo Stato;
   in quasi sedici anni, il bacino degli LSU in Calabria, per effetto dei vari interventi di legge regionali e nazionali si è ridotto parzialmente, ma ancora oggi è composto da n. 2717 LSU, n. 2242 LPU e da n. 292 ex articolo 7 per un totale di n. 5.251 unità lavorative, in gran parte appartenenti alle categorie contrattuali medio-basse;
   gli enti utilizzatori, per difficoltà dovute a gravi problemi finanziari dovuti ai risaputi tagli dei trasferimenti non sono in grado di assicurare la copertura finanziaria necessaria per la stabilizzazione, ma quei pochi che invece potrebbero impegnarsi finanziariamente in tale doverosa procedura, ne sono impediti da vincoli di legge restrittivi legati soprattutto ai limiti imposti al «turnover» e al rispetto del rapporto percentuale tra spese di personale e spese correnti;
   la sentenza n. 18 del 2013 della Corte Costituzionale ha annullato l'articolo 55, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2001 nella parte in cui posponeva al 31 dicembre 2014 la stabilizzazione degli LSU-LPU della Calabria e di fatto, detta sentenza, ha azzerato la possibilità di stabilizzare i precari, riportando la normativa alla data del 31 dicembre 2011;
   la regione Calabria può garantire il trattamento economico degli LSU-LPU sino alla imminente scadenza del 15 luglio 2013;
   la situazione di precarietà di questi lavoratori, inserita in un contesto ad alto tasso di disoccupazione, squilibrio sociale e di grave crisi economica e produttiva come quello calabrese rischia di far saltare i già tenui equilibri sociali e di ordine pubblico della Calabria, mentre aumentano le iniziative di lotta dei lavoratori;
   si aggiunga che diverse amministrazioni e consigli comunali calabresi intendono solidarizzare con i lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità (come la città di Palmi, ove l'amministrazione e il consiglio comunale hanno indetto per il prossimo giugno una pubblica manifestazione di protesta) –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere il Governo per sopperire alle difficoltà dei lavoratori ed alla necessità degli enti utilizzatori di garantire i servizi ai cittadini;
   quali iniziative si intendano adottare per favorire lo svuotamento del bacino e la stabilizzazione dei precari (ad esempio mediante progetti di stabilizzazione (con mobilità) anche negli uffici periferici ministeriali e del parastato);
   se intenda il Governo, come già sollecitato dalla piattaforma unitaria del sindacato calabrese, promuovere con sollecitudine per i lavoratori LSU-LPU il riconoscimento dei benefici di cui all'articolo 50 della legge n. 289 del 2002 (pensionamento anticipato) e previdenziale, contributivo ed assicurativo per tutto il periodo di utilizzo;
   con quali tempi e in che modo il Governo intenda porre fine al grave meccanismo di utilizzo di lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità che vede di fatto lo Stato incentivare e finanziare quello che all'interrogante appare un sistema di precarietà legalizzata. (4-00476)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame con cui l'interrogante chiede una modifica normativa atta a riconoscere ai lavoratori socialmente utili e di utilità sociale (LSU-LPU) della Calabria i benefici di cui all'articolo 50, comma 1 della legge n. 289 del 2002.
  La disposizione in questione consentiva a tale categoria di lavoratori in possesso al 31 dicembre 2003 dei requisiti per la contribuzione volontaria, di percepire un'indennità commisurata al trattamento pensionistico spettante a quella data; al raggiungimento dei requisiti pensionistici in vigore al 1o gennaio 2003 tale indennità provvisoria sarebbe poi stata rideterminata sulla base della disciplina vigente in materia pensionistica.
  In proposito, si rappresenta che la modifica normativa auspicata sembra di difficile attuazione, in quanto la citata legge n. 289 del 2002, si configura come disciplina speciale e transitoria, legata ad un particolare contesto, con un orizzonte temporale ben definito e per i cui effetti viene assicurata la relativa copertura finanziaria dal comma 6 del citato articolo 50.
  Inoltre, dal 2003 ad oggi il legislatore, intervenendo più volte sulla materia, ha modificato radicalmente la disciplina dei requisiti di accesso al pensionamento; da ultimo, come è noto, il decreto-legge n. 201 del 2011 «Salva Italia» ha previsto un prolungamento del periodo minimo di lavoro e della contribuzione, necessari ai fini del conseguimento del diritto al trattamento pensionistico.
  Tanto rilevato, in merito all'intervento richiesto nel presente atto ispettivo, si tratta evidentemente di un genere di provvedimento su cui è necessario acquisire la valutazione collegiale del Governo che dovrà verificarne anche la compatibilità con gli equilibri di finanza pubblica.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 39 dell'8 aprile 2013 sull'incompatibilità, ha creato nel contesto istituzionale salernitano una serie di soggetti che, alla luce della normativa non dovrebbero ricoprire alcune cariche pubbliche. L'accumulo di cariche istituzionali prima considerato esecrabile ma non perseguibile, è diventato dalla pubblicazione del decreto legislativo n. 39 sulla Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2013 ufficialmente contrario alla legge. Nel contesto salernitano è stata finora prassi consolidata assistere ad occupazioni istituzionali (soprattutto in ambito provinciale) con doppi o tripli incarichi. L'occupazione è l'attestato di riconoscenza verso il potentato locale di turno e gratificazione per il bacino di voti o di interessi;
   con la pubblicazione del decreto legislativo n. 39 del 2013, gli occupanti avrebbero dovuto decidere, in non più di 15 giorni, quale delle due posizioni abbandonare;
   l'amministrazione provinciale di Salerno guidata da un presidente non eletto a suffragio universale ma che si trova a esercitare le funzioni in virtù della scelta del presidente della provincia Cirielli di non dimettersi ma di attendere la pronuncia di decadenza del consiglio provinciale annovera tra le sue fila:
    a) Amilcare Mancusi: assessore al bilancio, personale e politiche socio-sanitarie ed al contempo sindaco di Sarno;
    b) Marcello Feola: assessore ai lavori pubblici e viabilità alla provincia di Salerno fino al settembre 2012 ora diventato presidente del consiglio di amministrazione, amministratore delegato Arechi Multiservice società partecipata della provincia di Salerno;
    c) Giovanni Moscatiello: già segretario generale della provincia di Salerno e allo stesso tempo sindaco di Baronissi. Inoltre il segretario generale nella pubblica amministrazione è il «responsabile del piano anticorruzione». Atteso che lo stesso agli organi di stampa ha dichiarato che alle prossime comunali dovrà rinunciare ad una delle due cariche: Moscatiello pur sapendo di non essere titolato a ricoprire due incarichi resiste fino a quando il Ministro non procederà a dichiarare la decadenza, (intanto dice di dimettersi agli organi di stampa ma allo stato risulta ancora essere segretario generale della provincia di Salerno e sindaco di Baronissi);
    d) Antonio Squillante: direttore generale dell'Asl Salerno1. Il ruolo può essere ricoperto soltanto da chi per i 5 anni precedenti non si sia eletto né si sia candidato per nessuna competizione elettorale che avesse come territorio di riferimento l'area amministrata con il nuovo incarico. Il fatto che Squillante sia stato negli ultimi 3 anni: candidato a sindaco di Angri, consigliere comunale di Angri, assessore provinciale è più che sufficiente per far rientrare anche il direttore generale dell'Asl Salerno nell'ambito delle fattispecie di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013;
    e) senza tener conto dell'avvicendamento tra i due presidenti fatto dall'avvocato Adriano Bellacosa: assessore all'ambiente, affari legali contenzioso, risorse del mare, legalità e trasparenza amministrativa. Già assessore provinciale dal 2009 al 2011 si era dimesso per candidarsi come sindaco alle elezioni per il comune di Nocera Inferiore. Non è risultato eletto ed è tornato ad occupare il posto di assessore alla provincia di Salerno;
   si ricorda infine il caso del sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, nominato viceministro alle infrastrutture dal Governo Letta e, di conseguenza, incompatibile in termini di legge per una delle due cariche, egli avvalendosi di una ambiguità normativa come fatto anche dall'onorevole Cirielli, ha dichiarato a una Tv locale, come riportato da quotidiani locali: «Ci sono due strade, la prima è che il sindaco si dimetta ma questo significa paralizzare l'attività del Consiglio e buttare al vento anni di lavoro e certamente io non lo avrei mai fatto. La seconda strada è quella della decadenza del sindaco decretata dal consiglio comunale, (articolo 53 decreto legislativo n. 267 del 2000). In questo caso si garantisce al Consiglio di continuare a lavorare e portare avanti le attività che sono in corso» –:
   se ci siano interventi in corso, ovvero, perché non sia stato dato corso all'applicazione del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Gazzetta Ufficiale n. 92 del 19 aprile 2013) «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190» nella provincia di Salerno;
   quali provvedimenti siano in itinere da parte del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione in applicazione degli articoli di cui al Capo V-VI-VII e VIII del citato decreto legislativo n. 39 relativamente a Giovanni Moscatiello (segretario generale della provincia di Salerno e allo stesso tempo sindaco di Baronissi), atteso che il segretario generale nella pubblica amministrazione è il «responsabile del piano anticorruzione»;
   quali siano le ragioni, che hanno impedito ad oggi l'applicazione del decreto legislativo n. 39 del 2013 e chi siano i responsabili che non hanno provveduto a dar seguito a quanto previsto dalla legislazione italiana. (4-01287)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame con cui l'interrogante chiede chiarimenti in merito all'attuazione delle disposizioni, contenute nel decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in materia di incompatibilità e inconferibilità delle nomine dirigenziali all'interno delle pubbliche amministrazioni.
  In via preliminare, si fa presente che il sistema, disegnato dal decreto legislativo n. 39 del 2013, è volto a prevenire fenomeni di corruttela e di conflitto di interesse, impedendo a chi ricopre incarichi amministrativi di vertice e incarichi dirigenziali – che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione che conferisce l'incarico – l'assunzione o il mantenimento, nel corso dell'incarico, di incarichi in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministrazione di appartenenza.
  Nel merito, si segnala che sulla questione è intervenuto il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98.
  L'articolo 29-
ter del citato decreto, recante disposizioni transitorie in materia di incompatibilità, stabilisce in particolare che «In sede di prima applicazione, con riguardo ai casi previsti dalle disposizioni di cui ai capi V e VI del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, gli incarichi conferiti e i contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo in conformità alla normativa vigente prima della stessa data, non hanno effetto come causa di incompatibilità fino alla scadenza già stabilita per i medesimi incarichi e contratti.
  Per quanto riguarda, pertanto, il momento dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, va osservato che il regime delle nuove incompatibilità può trovare applicazione esclusivamente a partire dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 39 del 2013 (4 maggio 2013).

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   TOFALO, DE ROSA, CATALANO, DE LORENZIS, PARENTELA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, MANLIO DI STEFANO, D'AMBROSIO, TERZONI e BUSINAROLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è in fase di studio da parte della regione Piemonte un nuovo collegamento autostradale A4 (Santhià) – Biella – A26 (Ghemme), costruzione finanziata in parte con fondi pubblici e in parte privati con modalità di project-financing;
   il percorso autostradale attraversa in parte e/o delimita l'area denominata Baraggione (popolarmente conosciuta come Baraggia), un ambiente unico a livello europeo tutelato con l'istituzione di un sito di importanza comunitaria e di un parco il cui danno alla biodiversità previsto sarà compensato solo in parte dalle mitigazioni proposte;
   la costruzione di un nuovo tratto autostradale comporta la trasformazione di territorio attualmente destinato a uso agricolo (334 ha), con un impatto significativo sul settore e sulla tutela dei suoli, come riportato dal progetto stesso;
   la realizzazione dell'opera comporterà severi disagi per la popolazione residente (rumori, polveri, traffico camion, e altro) sia in fase di costruzione che in fase funzionale;
   il ricorso al project-financing per il reperimento di parte dei fondi necessari alla costruzione dell'opera comporta la previsione di una percorrenza a pedaggio su strade attualmente a libera percorrenza (superstrada);
   si tenga presente che lo studio sui dati di traffico relativi al Biellese è datato 2002 e già in quella fase la valutazione conclusiva era poco favorevole all'opera. Il progetto, aggiornato al dicembre 2010, riporta dei dati di traffico relativi al 2007 valutando un incremento costante del traffico fino al 2030; ma i dati statistici delle autostrade limitrofe, tramite l'AISCAT (Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori), danno invece un progressiva riduzione del traffico che nel 2012 è stata valutata in un 7,2 per cento arrivando a un progressivo 10,2 per cento nell'aprile 2013. La SATAP invece al 31 dicembre 2012 sul tratto Torino-Milano ha rilevato una riduzione del 5,93 per cento e dell'8,47 per cento sul tratto Torino-Piacenza e anche qui le stime si aggirano intorno al 10 per cento per il primo trimestre 2013;
   la zona di Carisio ed il relativo casello autostradale sulla A4 stanno diventando un importante centro per la logistica; tale nodo non sarà direttamente raggiungibile da Biella con la nuova autostrada;
   è previsto che la nuova autostrada incorpori un tratto della superstrada SR 142, attualmente percorribile senza pedaggio; il nuovo tratto a pagamento comporterà un aggravio diretto e ingiustificato ai tanti pendolari biellesi incrementando la congestione del traffico locale nel tratto Masserano-Cossato-Vigliano;
   stanno progressivamente aumentando le problematiche di manutenzione dei tratti stradali esistenti e le società autostradali richiedono continue concessioni per l'aumento dei pedaggi per contrastare il progressivo calo dei passaggi –:
   se non si ritenga opportuno rivedere e aggiornare lo studio del traffico reale e previsto nella zona per dare motivazioni sul perché, nonostante i dati di traffico fossero insufficienti sin dall'inizio, si è proseguito nell'opera suddetta;
   se non si ritenga opportuno rivedere il finanziamento in questione per bloccare la costruzione della Pedemontana biellese, o eventualmente trasferire i finanziamenti per opere infrastrutturali alternative o per il potenziamento di quelle già esistenti. (4-02035)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame, gli interroganti segnalano preliminarmente diverse criticità di carattere ambientale e paesaggistiche, in relazione alla realizzazione dell'opera denominata Pedemontana Piemontese.
  Al riguardo, si informa che il progetto è stato a suo tempo sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale e localizzazione dell'opera (prevista per le infrastrutture strategiche, ai sensi dell'articolo 165 decreto legislativo n. 163 del 2006) ai fini dell'approvazione del progetto preliminare da parte del CIPE.
  In fase istruttoria il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Piemonte hanno richiesto sostanziali integrazioni ambientali al progetto preliminare presentato dal Promotore.
  In data 12 ottobre 2011 la giunta regionale della regione Piemonte ha espresso il proprio parere favorevole per la compatibilità ambientale e le valutazioni di competenza regionale sul progetto preliminare in oggetto.
  Occorre evidenziare che la nuova commissione VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nominata nel luglio 2011 a seguito della scadenza dei termini della precedente, ha riesaminato integralmente il progetto, provvedendo ad una nuova analisi puntuale e specifica su tutti gli aspetti ambientali, anche su quelli ritenuti superati dalla precedente commissione VIA. Successivamente, in data 20 luglio 2011, il Ministero per i beni e le attività culturali ha espresso il proprio parere tecnico favorevole.
  Il 12 ottobre 2011, la giunta regionale della regione Piemonte ha espresso di nuovo il proprio parere favorevole per la compatibilità ambientale e le valutazioni di competenza regionale sul progetto preliminare in oggetto.
  A seguito delle prescrizioni contenute nel parere del 16 dicembre 2011 della commissione tecnica di VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (quantificabili in circa 20 milioni di euro) il quadro economico dell'intervento è stato aggiornato in euro 654,5 milioni, di cui euro 501,3 milioni per lavori e di euro 153,2 milioni per somme a disposizione.
  È di tutta evidenza, dunque, l'attenzione ambientale posta sul progetto, sui cui la quasi totalità degli enti locali interessati ha espresso parere favorevole.
  Con particolare riferimento al parco della Baraggia si evidenzia che è stata adottata una livelletta in trincea, al fine di mitigare l'impatto dell'opera sul territorio di pregio, interessato, peraltro, dall'infrastruttura solamente per l'1,8 per cento della sua estensione.
  Quanto ai disagi per la popolazione residente, si fa presente che le scelte progettuali effettuate e condivise con la conferenza dei servizi hanno permesso di minimizzare l'impatto sulle componenti ambientali e sulla popolazione nelle fasi di cantiere e di esercizio. Sono state altresì individuate opportune azioni mitigative e compensative da attuare in entrambe le fasi di progetto. Il rispetto della normativa in campo ambientale e l'efficacia delle azioni mitigative verranno verificati nell'ambito del piano di monitoraggio ambientale e dell'osservatorio ambientale.
  Per quanto riguarda il pedaggiamento su strade attualmente libere, si fa presente che l'inserimento della tratta attualmente a libera percorrenza all'interno del nuovo sistema autostradale avverrà soltanto dopo l'adeguamento ai relativi standard di sicurezza del tratto in questione, considerate le attuali caratteristiche a detto collegamento in termini di sezione geometrica (due corsie per senso di marcia con spartitraffico centrale) e di volumi di traffico presenti. Verranno infatti realizzate nuove piazzole di sosta, in entrambe le carreggiate, ad una interdistanza di circa un km e la tratta sarà inserita in termini gestionali all'interno dei piani di manutenzione dell'intera autostrada. L'inserimento del pedaggio sarà comunque graduale e avverrà concordando con il territorio le formule più adeguate: è stata infatti inserita una viabilità complanare tra l'attuale sede della SRI42 e l'abitato di Cossato, al fine di permettere a tutti i veicoli il transito per Vigliano e Biella senza entrare in autostrada.
  Inoltre, circa i rilievi sui dati di traffico, si comunica che gli studi di traffico vengono realizzati valutando una molteplicità di informazioni, rilevate sul campo e stimate statisticamente, che sono rese omogenee e compatibili tra loro attraverso procedure matematiche di attualizzazione. Per questa ragione lo studio di Satap presenta basi dati provenienti da vari soggetti e datate a differenti anni, ma poi attualizzate all'anno 2008: si evidenzia al riguardo che la gara per la concessione è stata bandita, svolta e provvisoriamente aggiudicata nel 2009.
  Senza sottacere, tra l'altro, che l'attuale crisi economica ha contribuito, senza dubbio, all'utilizzo di altre modalità di trasporto in luogo della mobilità privata. Inoltre, la Pedemontana Piemontese è un tratto strategico di completamento di un Sistema Pedemontano che attraversa tutto il nord Italia (si collega, tramite un tratto di A26 alla Pedemontana Lombardo – Veneta) proprio nell'ottica di elevare il livello di competitività di aree che sono state sempre penalizzate dalla congestione dell'asse autostradale Torino-Venezia.
  L'Europa ha ripreso a crescere e si sta riallineando con le previsioni UE verso il 2050: è quindi indispensabile agganciare il trend positivo costruendo i supporti alle relazioni che vanno verso l'est ed i nuovi ingressi in Unione europea, mantenendo l'aggancio con il nord Europa, completando ed interconnettendo le reti di tutte le modalità di trasporto.
  Si fa presente, inoltre, che nel corso del 2012 è stata, altresì, disposta l'assegnazione delle somme relative al finanziamento pubblico: quanto alla regione Piemonte euro 120 milioni mentre, per la quota di competenza dello Stato, euro 80 milioni (articolo 1, comma 212, legge n. 228 del 2012).
  Il Piano economico finanziario (PEF) è stato aggiornato a seguito della variazione del quadro economico, dell'applicazione della normativa sulla defiscalizzazione, cui la Pedemontana può accedere, e delle mutate condizioni finanziarie e di traffico.
  Da ultimo occorre evidenziare che l'istruttoria relativa all'intervento è stata già inoltrata al Cipe nel mese di marzo 2013; tuttavia, a seguito della pubblicazione della delibera Cipe n. 1/2013 intervenuta in data 4 settembre 2013 (Direttiva in materia di attuazione delle misure di compensazione fiscale previste dall'articolo 18 della legge 183/2011) è in corso di aggiornamento da parte del soggetto aggiudicatore lo schema di convenzione.
  Pertanto, allo stato, la struttura tecnica di missione di questo Dicastero è in attesa di ricevere lo schema di convenzione aggiornato per la relativa ulteriore istruttoria, che comprenderà anche l'acquisizione del parere del Nars, prima di sottoporre al Cipe in via definitiva l'approvazione del progetto preliminare.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   VELO, MANCIULLI, GELLI, GIACOMELLI, FREGOLENT, MARIANI, BINDI, LOCATELLI, VALERIA VALENTE, FOSSATI, MARANTELLI, CENNI, BOSCHI, BONIFAZI, BONACCORSI, SANI, ROCCHI, RACITI, MARCHI, BINI, PARRINI, NARDELLA, LUCIANO AGOSTINI, TIDEI, FANUCCI, BELLANOVA, ERMINI, CARNEVALI, BONAFÈ, BIFFONI e NARDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come previsto dal decreto legislativo del 7 settembre 2012, n. 155, recante la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, il 13 settembre 2013 saranno soppressi i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della Repubblica di cui alla tabella A allegata al decreto medesimo;
   tra le sezioni distaccate per le quali è prevista la soppressione vi è anche quella di Portoferraio, sull'isola d'Elba, la cui soppressione rischia di produrre notevoli ripercussioni negative per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, anche solo in considerazione del fatto che per raggiungere Livorno ci vogliono almeno 4 ore di viaggio in condizioni normali;
   il decreto legislativo di riordino della geografia giudiziaria prevede, tuttavia, anche un periodo di tempo, pari a 5 anni, a disposizione dei presidenti dei tribunali per la gestione delle chiusure, in considerazione delle diverse situazioni presenti sul territorio;
   il 6 settembre 2013 si terrà un incontro con i sindaci dell'isola ed i rappresentanti degli operatori della giustizia, anche al fine di far presente al prefetto di Livorno la delicata situazione che si verrebbe a creare a seguito dell'imminente chiusura della sezione distaccata di Portoferraio;
   il 28 agosto 2013 sono state comunicate da parte del Ministero interpellato alcune deroghe alle previste soppressioni di sedi di tribunali –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interpellato intenda adottare al fine di consentire, nei termini previsti dal decreto legislativo di riordino della geografia giudiziaria italiana, il mantenimento della piena operatività della sezione distaccata di Portoferraio, anche valutando la possibilità di concedere la deroga per la sede in questione. (4-01825)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, relativa alla soppressione della sezione distaccata di Portoferraio, facendo presente, in linea generale, che con la riforma della geografia giudiziaria tutte le sezioni distaccate di tribunale esistenti sul territorio sono state soppresse, come consentito dalla legge delega. Inoltre, sempre nell'esercizio della delega legislativa, è stato ridotto il numero degli uffici del Giudice di pace sulla base dell'analisi dei carichi di lavoro.
  Per quanto riguarda Portoferraio, è stata pertanto soppressa la sezione distaccata di tribunale. È stato invece mantenuto l'ufficio del Giudice di pace di Portoferraio – al pari delle altre sedi insulari (Pantelleria, La Maddalena, Ischia, Capri, Lipari e Procida) – in quanto si è ritenuta prevalente, rispetto alle risultanze dei carichi di lavoro, l'esigenza di garantire comunque alle comunità isolane toccate dalla soppressione delle sezioni distaccate l'accessibilità del servizio giustizia assicurando un presidio giudiziario utile anche per l'eventuale deposito di atti indirizzati ad altre articolazioni giudiziarie.
  Quanto alla deroga prevista dall'articolo 8 del decreto legislativo di riordino della geografia giudiziaria, richiesta dagli interroganti, debbo precisare che il Ministro della giustizia può disporre, per un periodo non superiore a cinque anni, l'utilizzo degli immobili delle sedi soppresse qualora sussistano specifiche ragioni organizzative o funzionali ostative all'accorpamento presso il tribunale accorpante.
  Alcuni tribunali hanno evidenziato criticità organizzative o logistiche all'immediato accorpamento degli uffici soppressi e hanno presentato istanze motivate, corredate dai pareri previsti dalla legge, che sono state debitamente valutate per le conseguenti determinazioni. È stata anche avviata una procedura per autorizzare la trattazione di procedimenti pendenti presso sedi di tribunale soppresse, selezionate sulla base di parametri oggettivi riferiti al bacino di utenza e alla sopravvenienza degli affari, al fine di accelerare la definizione del contenzioso pendente.
  Tuttavia, con specifico riferimento alla sezione distaccata di Portoferraio, il presidente del tribunale di Livorno non ha ritenuto di presentare istanza per l'utilizzo dell'immobile, non sussistendo le necessarie ragioni organizzative e funzionali, come peraltro attestato dal presidente della Corte di Appello di Firenze. Non sono inoltre emersi elementi specifici tali da giustificare l'adozione di autonome iniziative da parte del Ministero analogamente a quanto avvenuto per alcune sedi di tribunale.

Il Ministro della giustiziaAnna Maria Cancellieri.


   ZACCAGNINI, GALLINELLA, PARENTELA, LUPO, ZAN e MIGLIORE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di organismi geneticamente modificati (OGM), estranee all'interesse comune dei cittadini comunitari, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell'Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
   la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integri, ossia non inquinati da organismi geneticamente modificati pericolosi per la salute umana, per quella degli animali e per l'ambiente, i territori a produzioni agricole di qualità per mantenere un grado elevato di eccellenza del patrimonio di agro biodiversità europeo, a salvaguardia anche delle generazioni future e della libertà di mercato degli agricoltori europei per l'acquisto e la produzione delle diverse varietà di sementi di graminacee e leguminose a fini di alimentazione umana;
   coloro, che a torto o a ragione, hanno introdotto sul proprio territorio la coltivazione degli OGM, non riescono in modo efficace a produrre vegetali privi di OGM, stante l'inquinamento irreversibile che gli stessi organismi, una volta introdotti nell'ambiente, provocano in tutte le aree agricole;
   questo inquinamento irreversibile è attestato dalla stessa direttiva 2001/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001, che per l'emissione deliberata nell'ambiente degli OGM, al 4 punto dei considerando riporta: «gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili»;
   in presenza di comportamenti incerti e a volte contraddittori del legislatore comunitario e nazionale, nel disciplinare la materia vi è il pericolo che scelte improvvise possano distruggere definitivamente e irreversibilmente l'ambiente e la qualità della nostra produzione agricola, convenzionale e biologica, di sicura eccellenza a livello mondiale;
   è necessario tutelare la qualità delle produzioni agroalimentari nazionali, eccellenza del made in Italy, che anche in questo momento di forte recessione rappresenta una dei pochi settori nazionali in controtendenza, in attivo per gli elevati valori di export raggiunti e per il ragguardevole numero di occupati, soprattutto giovani, sul territorio nazionale, posto che il settore agricolo contribuisse non solo alla stabilità sociale ed economica delle nostre campagne ma anche all'equilibrato assetto idrogeologico dei territori –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere nell'ambito delle rispettive competenze, per promuovere l'azione governativa di adozione della clausola di salvaguardia che blocchi la diffusione degli OGM nel nostro territorio nazionale e per potenziare, soprattutto nelle regioni del Nord-Italia e in questo periodo primaverile d'inizio della messa a dimora dei semi, l'impiego straordinario dei reparti specializzati del Corpo forestale dello Stato dislocati in modo capillare sul territorio nazionale in attività di sicurezza agroalimentare e agro ambientale, per la sorveglianza e il contrasto delle tentate semine illegali di OGM. (4-00050)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame occorre premettere che la coltivazione, anche di piante geneticamente modificate, è di competenza delle regioni e delle provincie autonome. Si ritiene, comunque, opportuno esprimere alcune considerazioni per un più adeguato inquadramento della problematica.
  La Corte di giustizia europea, con sentenza pregiudiziale del 6 settembre 2012 (causa C36/11), resa nell'ambito di una controversia tra la Pioneer hi bred Italia srl e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ha stabilito che le autorità italiane non possono subordinare ad una autorizzazione nazionale la coltivazione di sementi geneticamente modificate già autorizzate ai sensi del Regolamento (CE) 1829/2003 e iscritte nel catalogo comune ai sensi della direttiva 2002/53/CE, invocando considerazioni di carattere ambientale o sanitario già considerate nell'istruttoria del processo autorizzativo a livello europeo. La Corte ha inoltre precisato che la facoltà concessa dall'unione agli Stati membri di introdurre misure di coesistenza tra colture transgeniche e coltivazioni tradizionali o biologiche, dando applicazione all'articolo 26-
bis della direttiva 2001/18/CE, non consente – nelle more di introduzione delle stesse misure – di opporsi in via generale alla messa a coltura di tali sementi geneticamente modificate già autorizzate a livello europeo.
  Nella stessa sentenza viene, altresì, chiarito che, oltre che attraverso le misure di coesistenza sopra richiamate, gli Stati membri possono imporre un divieto o una limitazione alla coltivazione di varietà sementiere geneticamente modificate nei casi espressamente previsti dall'Unione europea attraverso:
   le misure di emergenza previste dall'articolo 34 del Regolamento (CE) n. 1829/2003, il quale prevede che qualora sia manifesto che un prodotto, autorizzato ai sensi dello stesso Regolamento o conformemente ad esso, possa comportare un grave rischio per la salute umana, umana o per l'ambiente ovvero qualora, alla luce di un parere formulato dal l'Agenzia-Europea per la sicurezza alimentare, sorga la necessità di sospenderne o modificarne l'autorizzazione, si possano adottare misure conformemente alle procedure previste agli articoli 53 e 54 del Regolamento (CE) 178/2002;
   le misure previste dagli articoli 16, comma 2, e 18 della direttiva 2002/53/CE qualora sia accertato che la coltivazione di una varietà geneticamente modificata, iscritta nel catalogo comune delle varietà possa nuocere dal punto di vista fitosanitario alla coltivazione di altre varietà o specie o presentare un rischio per l'ambiente o per la salute umana.

  A loro volta, e per quanto riguarda, l'adozione delle misure di coesistenza, talune disposizioni recate dal decreto-legge n. 279 del 2004 convertito, con modificazioni, con la legge n. 5/2005, sono state dichiarate incostituzionale a seguito della sentenza n. 116 del 2006 della Corte Costituzionale in quanto invasive della competenza legislativa regionale nella materia «agricoltura». La richiamata disposizione normativa, infatti, avente ad oggetto la disciplina legislativa della coesistenza in attuazione della Raccomandazione n. 2003/556/CE, rimandava ad un successivo atto del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali per la individuazione delle norme quadro sulla base delle quali le regioni avrebbero dovuto adottare i piani regionali sulla coesistenza. La questione di legittimità era stata sollevata in via principale dalla regione Marche, alla quale la Corte Costituzionale ha dato ragione, se non proprio sotto tutti i profili oggetto di censura, pronunciandosi peraltro con una sentenza che risulta molto interessante, se non altro per l'opera di chiarificazione sulla corretta ripartizione fra Stato e regioni all'interno di questa complicatissima materia che sono ormai diventati gli ogm.
  È bene precisare, sul punto, che la direttiva 2001/18/CE, all'articolo 23, prevede la possibilità per uno Stato membro di invocare la clausola di salvaguardia quando, sulla base di nuove o ulteriori informazioni divenute disponibili dopo la data dell'autorizzazione e che riguardino la valutazione del rischio ambientale o sulla base di una nuova valutazione delle informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche, abbia fondati motivi per ritenere che un organismo geneticamente modificato (ogm) come tale o contenuto in un prodotto, notificato e autorizzato ai sensi delle stessa direttiva 2001/18/CE, rappresenti un rischio per la salute umana o l'ambiente, può temporaneamente limitarne o vietarne la vendita.
  L'articolo 12, comma 1, della stessa direttiva, come peraltro evidenziato nella ulteriore Sentenza dell'8 settembre 2001 della Corte di Giustizia europea (avente ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Consiglio di Stato della Francia) enuncia che
gli articoli da 13 a 24 non si applicano agli OGM come tali o contenuti in prodotti, autorizzati da atti comunitari che prescrivono, da un lato, una valutazione specifica del rischio ambientale ... omissis .... nonché, dall'altro, obblighi in materia di gestione del rischio, etichettatura, eventuale monitoraggio, informazione al pubblico e clausola di salvaguardia almeno equivalenti a quelli previsti dalla presente direttiva.
  In attuazione, poi, delle previsioni recate dallo stesso articolo 12, comma 3, con il Regolamento (CE) 1829/2003 sono state stabilite le procedure per garantire che la valutazione del rischio, gli obblighi in materia di gestione del rischio, etichettatura, eventuale, monitoraggio e informazione al pubblico e clausola di salvaguardia, siano equivalenti a quelli stabiliti nella stessa direttiva.
  Nel caso dei prodotti geneticamente modificati per alimentazione umana e animale che fossero stati legalmente immessi sul mercato comunitario prima della data di applicazione del predetto Regolamento, valgono le disposizioni contenute, rispettivamente, nei propri articoli 8 e 20, recanti
Status dei prodotti esistenti. E cioè, che in deroga alle previsioni dell'articolo 4, comma 2, e dell'articolo 16, comma 2, i prodotti immessi sul mercato ai sensi della direttiva 90/220/CEE possono rimanere sul mercato e continuare a essere utilizzati a patto che, entro sei mesi dalla data di applicazione dello stesso Regolamento (CE) n. 1829/2003, gli operatori responsabili dell'immissione in commercio notifichino alla Commissione la data in cui essi sono stati per la prima volta immessi sul mercato comunitario. La notifica dovrà essere corredata di tutti gli elementi menzionati nell'articolo 5, paragrafi 3 e 5, per gli ogm destinati all'alimentazione umana, e all'articolo 17, paragrafi 3 e 5, per gli ogm destinati all'alimentazione animale, ivi compreso il piano di monitoraggio post-commercializzazione previsto dall'Allegato VII della direttiva 2001/18/CE.
  Quindi, entro nove anni dalla data in cui gli ogm sono stati autorizzati all'immissione in commercio come alimenti o mangime, gli operatori responsabili della loro immissione in commercio possono presentare una domanda di rinnovo dell'autorizzazione conformemente agli articoli 11 e 23 del Regolamento (CE) n. 1829/2003.
  Per quanto attiene, adesso, al caso che più ha fatto discutere nei mesi passati, si rileva che in conformità alle previsioni normative di cui sopra, la Monsanto Europe ha notificato il MON 810 come prodotto esistente alla Commissione europea l'11 luglio 2004 e ne ha richiesto il rinnovo dell'autorizzazione il 4 maggio 2007.
  Il quadro normativo e giurisprudenziale sopra brevemente delineato risulta, ancora più in sintesi, il seguente: mentre l'applicazione della clausola di salvaguardia deve essere riferita alla normativa precedente al completamento delle disposizioni in tema di ogm avvenuto con l'adozione del Regolamento (CE) n. 1829/2003 e la cui attuazione rimane subordinata al verificarsi dei presupposti ivi riportati, la disciplina delle misure di emergenza può applicarsi a tutti quei casi riferibili a ogm già autorizzati ai sensi della direttiva 90/220/CE e soggetti a rinnovo dell'autorizzazione ai sensi dello stesso Regolamento (CE) n. 1829/2003.
  Quindi, sempre prendendo ancora ad esempio il mais MON 810, autorizzato all'immissione in commercio prima dell'entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 1829/2003 e soggetto al rinnovo dell'autorizzazione nel 2009 ai sensi dell'articolo 20 del medesimo, le misure a carattere d'urgenza che potrebbero essere prese per vietarne la coltivazione sembrerebbero unicamente quelle dell'articolo 34 del medesimo Regolamento, con le modalità di cui agli articoli 53 e 54 del Regolamento (CE) 178/2002, mentre resta assai complessa, sul piano tecnico-giuridico, l'adozione della clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, appunto in base alle modifiche operate successivamente con il più volte richiamato Regolamento (CE) n. 1829/2003.
  E, appunto, in relazione all'utilizzo di tale prodotto geneticamente modificato, è stato messo in evidenza, a seguito di studi e ricerche condotte da vari organismi, sia nazionali che comunitari, che la sua coltivazione è chiaramente suscettibile di presentare un grave rischio per l'agrobiodiversità in assenza di misure di gestione che siano in grado di limitare tale rischio.
  A tale conclusione è giunta, peraltro, la Autorità europea per la sicurezza alimentare – EFSA, nel ritenere che i risultati derivanti da uno studio sulla coltura del mais Bt1 siano applicabili anche al mais MON 810, in quanto entrambi producono la medesima tossina Cry1Ab, così come ad analoghi risultati sono pervenuti gli studi svolti dal Consiglio per la ricerca in agricoltura (Cra) e dall'Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra).
  Sulla base degli elementi di cui sopra, il Ministero della salute nel marzo 2013 aveva rappresentato alla Commissione europea, ai sensi dell'articolo 34 del Regolamento (CE) n. 1829/2003, la necessità che venisse effettuata una nuova valutazione completa del MON 810 e definite adeguate misure di gestione obbligatorie per detto Ogm, non esclusa quella di sospenderne la coltivazione nell'Unione europea.
  Peraltro, si era rilevata la impossibilità di utilizzare la clausola di salvaguardia ex articolo 23 della direttiva 2001/18/CE per inibire l'utilizzo del MON 810 sul territorio nazionale sulla base della analoga preclusione rilevata dalla Corte di giustizia europea nel 2011 con riferimento alla Francia che vi aveva fatto ricorso. Non rimaneva, così, come più sopra sottolineato, e sussistendone le condizioni, il ricorso all'adozione delle misure cautelari provvisorie previste dall'articolo 54 del Regolamento (CE) 178/2002, anche nelle more e in funzione delle eventuali misure che sarebbero state adottate dalla Commissione europea opportunamente interessata.
  E, infatti, nel successivo mese di aprile 2013 le Autorità italiane avevano informato, come prescritto, la Commissione europea della necessità di adottare misure di urgenza in conformità alla procedura di cui all'articolo 53 del Regolamento (CE) 178/2002, più volte citato.
  Poiché risultava che a seguito della segnalazione di cui sopra nessuna iniziativa era stata avviata in proposito da parte della Commissione europea, al fine di cambiare le condizioni di messa in coltura del mais MON 810 per imporre l'attuazione di misure di gestione necessarie per la protezione dell'ambiente, secondo, peraltro, le raccomandazioni formulate dall'Efsa, si è ritenuto di procedere con l'adozione delle misure di urgenza previste dall'articolo 54 del ripetuto Regolamento (CE) 178/2002.
  La situazione in atto, infatti, alla luce delle considerazioni sopra riferite, si riteneva che il mantenimento della coltura del mais geneticamente modificato MON 810 senza adeguate misure di gestione non tutelasse a sufficienza l'ambiente e la biodiversità.
  E, così, si è pervenuti alla firma in data 12 luglio 2013 del decreto del Ministro della salute adottato di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il quale è stato disposto il divieto della coltivazione, sul territorio nazionale, di varietà di mais MON 810, proveniente da sementi geneticamente modificate, sino alla adozione di misure comunitarie di cui all'articolo 54, comma 3, del Regolamento (CE) 178/2002, di cui sopra, e comunque non oltre diciotto mesi dalla data del provvedimento stesso.
  Detto decreto, immediatamente trasmesso alla Commissione europea e agli altri Stati membri dell'Unione europea ai sensi e per gli effetti dei commi 1 e 2 dello stesso precitato articolo 54, è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie generale n. 187 del 18 agosto 2013 ed è entrato in vigore il giorno successivo.
  Tanto si è riferito in risposta al quesito posto dall'interrogante quale applicazione nel caso concreto delle iniziative adottate per contrastare, secondo gli strumenti messi a disposizione dalla normativa interna e comunitaria, l'indebito utilizzo di prodotti geneticamente modificati che, in assenza di opportune misure di gestione, possano recare possibili danni, anche irreversibili, all'ambiente, alla biodiversità nonché alla qualità della produzione agricola nazionale, convenzionale e biologica, di riconosciuta eccellenza a livello mondiale.
  Sarà, naturalmente, cura del Corpo forestale dello Stato svolgere con la consueta ed elevata professionalità ed efficienza tutte le azioni di sorveglianza e repressione ad esso istituzionalmente rimesse per garantire l'osservanza del divieto.

Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.