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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 14 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 14 novembre 2013 si celebra in tutto il mondo la più grande campagna di informazione, sensibilizzazione e prevenzione del diabete è la Giornata mondiale del diabete (GMD), promossa da IDF (International Diabetes Federation), organizzazione internazionale composta da 200 Associazioni di oltre 160 Paesi, che rappresenta milioni di persone affette da diabete, le loro famiglie e i professionisti sanitari;
    si definiscono «diabete mellito» (o «diabete») tutte le malattie e condizioni che, non trattate, portano a un eccesso di zuccheri nel sangue (iperglicemia);
    la forma più frequente di diabete, il diabete di tipo 2 si manifesta generalmente dopo i 40 anni, soprattutto in persone sovrappeso/obese. La sua evoluzione è lenta e priva di sintomi. Gradatamente la persona perde la capacità di controllare l'equilibrio della sua glicemia. È comunemente noto come «diabete dell'anziano», «diabete alimentare» o con la sigla DM2 o T2DM. È la forma di gran lunga più comune con milioni di casi in Italia;
    il diabete di tipo 1 è dovuto a una reazione autoimmunitaria che distrugge le betacellule del pancreas dove viene prodotta l'insulina. Essendo l'insulina necessaria a far entrare il glucosio nelle cellule, la persona con diabete di tipo 1 deve assumerla dall'esterno e fare in modo di averne sempre la quantità giusta nel sangue;
    il diabete di tipo 1 insorge spesso in età pediatrica. Circa 100 mila bambini e ragazzi in Italia hanno il diabete di tipo 1 e sono seguiti da una rete di servizi di diabetologia pediatrica all'interno dei quali team specializzati sono in grado di prescrivere le terapie più appropriate e soprattutto di educare la famiglia e i ragazzi a una corretta gestione del diabete;
    l'insorgere di questa patologia significa convivere per lunghissimo tempo con il diabete e quindi è fondamentale per la persona con diabete di tipo 1 mantenere il più possibile vicino alla norma la glicemia, evitando iperglicemie (quantità troppo elevata di glucosio nel sangue) che a lungo andare generano le complicanze ma anche ipoglicemie (carenza di glucosio nel sangue);
    il diabete di tipo 1 può essere considerato la più frequente delle patologie rare. Ogni anno si rilevano 84 casi ogni milione di persone in Italia (poco meno di 5 mila casi). Alcune regioni italiane, in primo luogo la Sardegna hanno tassi di incidenza superiori alla media europea. Si stima che in Italia circa 250 mila persone abbiano il diabete di tipo 1;
    il numero di persone con diabete di tipo 1 cresce soprattutto perchè ormai è possibile garantire a chi segue le cure una attesa di vita sovrapponibile a quella della popolazione generale. Cresce però anche l'incidenza cioè il rischio di sviluppare il diabete di tipo 1;
    il numero di persone con diabete di tipo 2 è in veloce crescita sia nei Paesi avanzati, sia nei Paesi che hanno da poco iniziato il loro sviluppo economico. Questa impennata nel numero di casi diagnosticati e in quelli stimati è dovuta soprattutto alle modifiche quantitative e qualitative nell'alimentazione (si mangia di più e peggio) ed al minor dispendio energetico (il lavoro richiede meno fatica, non ci si muove a piedi, si sta lunghe ore fermi);
    queste modifiche allo stile di vita spesso associate al sovrappeso o alla obesità, fanno probabilmente scattare una tendenza geneticamente ereditata a sviluppare il diabete;
    sono 250 milioni le persone nel mondo e l'8,6 per cento della popolazione europea affette da questa condizione, che non risparmia neppure i bambini. Solo nel nostro Paese sono più di 200 le persone che ogni giorno si ammalano di diabete;
    si calcola che in Italia oggi che 3 milioni di persone abbiano il diabete di tipo 2 e siano diagnosticate e seguite: si tratta del 4,9 per cento della popolazione; 1 milione di persone abbiano il diabete di tipo 2 ma non siano state diagnosticate: è l'1,6 per cento della popolazione; 2,6 milioni di persone abbiano difficoltà a mantenere le glicemie nella norma, una condizione che nella maggior parte dei casi prelude allo sviluppo del diabete di tipo 2. Parliamo del 4,3 per cento della popolazione;
    oggi il 9,2 per cento della popolazione italiana ha i difficoltà a mantenere sotto controllo la glicemia;
    nel 2030 si prevede che le persone diagnosticate con diabete saranno 5 milioni;
    il diabete risulta essere una condizione cronica. Non si «guarisce» dal diabete. Se non si interviene, la glicemia, vale a dire la concentrazione di zucchero nel sangue tende ad aumentare;
    in Italia, il diabete assorbe risorse del Servizio sanitario nazionale per 9,2 miliardi di euro l'anno, con una proiezione di 12 miliardi al 2020: il 7 per cento della spesa è dato dai farmaci, mentre il resto è costituito dalla spesa per i ricoveri ospedalieri (68 per cento) e per la cura di complicanze (25 per cento);
    i costi diretti del diabete continuano ad essere attribuibili in misura preponderante ai ricoveri ospedalieri, che rappresentano circa il 57 per cento dei costi complessivi, mentre i costi legati ai farmaci rappresentano meno del 7 per cento della spesa pro capite, stimata mediamente in circa 3.000 euro;
    il diabete è una malattia che rappresenta uno dei problemi più urgenti per i Paesi economicamente avanzati, con una forte incidenza sulla spesa sanitaria. Al sud e nelle isole l'incidenza del diabete è più presente, ad esempio, la Sicilia è la regione che più di tutte consuma farmaci antidiabetici, seguita dal centro e dal nord (Fonte Istat). Il 9 per cento dei diabetici ha tra i 20 e i 79 anni, ne soffre il 20 per cento degli anziani, mentre 15 mila tra bambini e ragazzi sono colpiti dal diabete di tipo 1. Questi numeri incidono sulla vita di milioni di famiglie, più che sul sistema sanitario regionale, per questo è importante partecipare e far sentire la propria voce a chi si deve far carico di queste emergenze;
    ad oggi sono solo nove le regioni italiane che hanno recepito ufficialmente il Piano nazionale per la malattia diabetica, meglio noto come Piano nazionale diabete: sono le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, l'Abruzzo, il Veneto, l'Umbria, la Sicilia, la Basilicata, la Calabria e il Lazio e Sardegna;
    tra gli enti che non hanno recepito ufficialmente il Piano nazionale per la malattia diabetica, c’è regione Lombardia;
    il principio è che pur nella positività ed innovazione del Piano nazionale diabete, i risultati che deriverebbero dalla sua applicazione sarebbero notevolmente inferiori rispetto alla qualità del servizio a favore dei malati di diabete assistiti dal sistema sanitario lombardo;
    servizio che, lasciando liberi medici e pazienti di scegliere i mezzi di supporto alla cura del diabete ha permesso di consentire un risparmio nel 2013 di circa il 20 per cento rispetto all'anno precedente con piena soddisfazione degli assistiti,

impegna il Governo:

   a perseguire la strada di miglioramento del sistema di cura ai malati di diabete, ottimizzando quanto previsto dal Piano nazionale diabete allineandolo al sistema in uso per l'assistenza dei pazienti in Lombardia;
   ad assumere iniziative per istituire un registro nazionale del diabete, basato su registri regionali, che è da considerare una opportunità perché lo stesso permette di dimensionare oltre ogni incertezza la domanda di assistenza da parte delle persone con diabete di diverso tipo e con differenti bisogni e quindi le risorse da mettere in campo.
(1-00242) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».


   La Camera,
   premesso che:
    è stimato che il fenomeno della disabilità interessi in complesso all'incirca il 15 per cento delle famiglie italiane;
    per il disabile il sostegno familiare è da sempre la più immediata e completa delle soluzioni ai bisogni assistenziali e ai problemi dell'integrazione sociale: ben il 68,2 per cento degli aiuti ricevuti dai disabili proviene infatti da parenti più o meno stretti anche se, una situazione simile, tuttavia, rischia di produrre situazioni di netto svantaggio per tutti i membri della famiglia, che spesso, per accudire ed assistere il disabile convivente, riducono la quantità di tempo dedicata al lavoro, con una conseguente riduzione del reddito, oppure decidono di affidarsi a quelle figure che ormai da tempo rappresentano la prima fonte di sostegno ed assistenza per gli individui non più autosufficienti: le cosiddette badanti;
    le associazioni dei familiari sono state indubbiamente, negli ultimi decenni, con gli operatori e le organizzazioni del terzo settore elemento di stimolo alle istituzioni ed hanno espresso con continuità un'azione che ha contribuito a promuovere importanti cambiamenti normativi, dalla legge n. 118 del 1971 alla n. 517 sull'integrazione scolastica del 1977, alla 18 del 1980 sull'indennità di accompagnamento, alla n. 104, legge quadro in materia di assistenza e di integrazione sociale, alla n. 68 sull'inserimento lavorativo;
    si tratta sicuramente di un complesso di leggi che hanno promosso un rilevante processo di integrazione sociale, sviluppando una rete di servizi e di opportunità ma che non affrontano quello che viene definito il problema del «dopo»;
    infatti, ciò che da sempre preoccupa maggiormente i genitori di persone disabili riguarda il «dopo», il momento in cui essi diventano anziani e non possono più assistere un figlio che non è in grado di far fronte autonomamente alle necessità della vita quotidiana e soprattutto il momento in cui i genitori non ci saranno più e il figlio disabile dovrà trovare chi lo assiste;
    il problema del Dopo (dopo la nascita di un bambini disabile, dopo il trattamento riabilitativo, dopo la scuola, dopo la morte dei genitori....) è giustamente sentito come un problema che consapevolmente va costruito «durante noi» e questo, spesso, paralizza il dialogo fra le famiglie e lo Stato e le organizzazioni sociali preposte;
    tutto questo genera solamente tensioni, chiusure, regressioni e una forzata ricerca di soluzioni individuali che spesso si rivelano non adeguate, costose e a volte del tutto negative;
    manca, infatti, ad oggi, un quadro complessivo di norme ed agevolazioni che consentano alle famiglie prima di tutto e alle istituzioni locali di definire, programmare ed attuare percorsi individualizzati che garantiscano tutela assistenziale, qualità della vita e integrazione nel territorio di appartenenza a quanti vedono di giorno in giorno venir meno il sostegno e la tutela familiare;
    è invece compito dello Stato andare incontro alle necessità di tutti i suoi cittadini, specialmente di quei cittadini e di quelle famiglie che giornalmente vivono il dramma e le preoccupazioni di avere un familiare disabile sia garantendo loro soluzioni pubbliche con finanziamenti statali sia predisponendo normative volte ad introdurre soluzioni privatistiche, tutte comunque aventi come obiettivo la tutela della persona disabile,

impegna il Governo:

   ad individuare le risorse finanziare necessarie e ad approvare insieme alle regioni, ognuno per le proprie competenze, linee guida valevoli su tutto il territorio nazionale volte ad incrementare il sistema di protezione sociale e di cura per le persone affette da disabilità grave e prive del sostegno familiare nonché ad assumere iniziative per prevedere regimi fiscali agevolati per le erogazioni liberali in denaro in favore dei programmi di intervento per la tutela e l'assistenza dei soggetti disabili che restano privi di un'adeguata assistenza;
   ad assumere iniziative per prevedere e disciplinare anche nel nostro ordinamento, per coloro che ne facciano richiesta, l'istituzione di fondi di sostegno «trust» a favore di persone disabili offrendo così la garanzia di una struttura blindata esclusivamente diretta a garantire tutta l'assistenza necessaria e la migliore qualità di vita possibile attraverso anche la tutela del patrimonio familiare che si vuole destinare, prevedendo anche regimi fiscali agevolati per la costituzione del fondo stesso;
    ad adottare iniziative normative volte ad agevolare la sottoscrizione di polizze previdenziali ed assicurative finalizzate alla tutela delle persone disabili, in particolar modo nel momento del «dopo di noi».
(1-00243) «Argentin, Lenzi, Amato, Biondelli, Burtone, Capone, Casati, D'Incecco, Grassi, Iori, Patriarca, Scuvera».


   La Camera,
   premesso che:
    nella graduatoria complessiva del benessere dell'infanzia nei Paesi ricchi, stilata dal Centro di ricerca IRC dell'UNICEF nell'ambito del rapporto «Report Card 11 – Il benessere dei bambini nei paesi ricchi. Un quadro comparativo», l'Italia compare al 22° posto, su un totale di 29 paesi, praticamente fanalino di coda del benessere dell'infanzia;
    sempre nella graduatoria stilata dal Centro di ricerca IRC dell'UNICEF, l'Italia si trova al 23° posto nell'area del benessere materiale, al 17° posto nella salute e sicurezza, al 25° posto nell'istruzione; al 21° posto per quanto riguarda le condizioni abitative e ambientali. In Italia il 17 per cento dei bambini – pari a circa 1.750.000 minorenni – vive sotto la soglia di povertà. L'Italia ha anche il più alto tasso «NEET» (not in education, employment or training) di tutti i Paesi industrializzati, dopo la Spagna, con l'11 per cento dei giovani che non sono iscritti a scuola, non lavorano e non frequentano corsi di formazione. Spagna, Ungheria e Polonia, si collocano prima dell'Italia; subito dopo del nostro Paese si trovano Estonia, Slovacchia e Grecia. Una posizione poco lusinghiera per un Paese come il nostro, che fa parte del G8 e vuole conservare il suo posto tra le prime potenze del mondo industrializzato;
    sempre secondo i dati UNICEF, nella comparazione internazionale sulla disuguaglianza distributiva nel benessere infantile, l'Italia risulta agli ultimi posti della classifica dei Paesi OCSE in tutti gli indicatori di benessere dell'infanzia;
    tra i Paesi industrializzati, l'Italia é quello con il tasso di povertà infantile più elevato: 723.000 minori vivono in condizioni di povertà assoluta, il 15,9 per cento in povertà relativa e addirittura il 32,3 per cento è stimato a rischio secondo le ultime rilevazioni Eurostat, ben al di sopra della media europea;
    anche le rilevazioni dell'Istat, raccolte nel recente rapporto La povertà in Italia, hanno evidenziato la crescita della povertà in Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, con particolare riguardo alle famiglie numerose e con figli minori. Inoltre, i dati relativi all'anno 2012 hanno mostrato l'incremento rispetto all'anno precedente sia dell'incidenza di povertà relativa, salita dall'11,1 per cento al 12,7 per cento, che di quella assoluta, passata dal 5,2 per cento al 6,8 per cento;
    lo stesso rapporto ha messo in luce un incremento della povertà relativa diffusa, che interessa molte tipologie di nucleo familiare: per esempio, le coppie con uno o due figli, le famiglie con persona di riferimento dirigente o impiegato, le famiglie con tutti i componenti occupati e con componenti occupati e ritirati dal lavoro;
    analizzando in via comparatistica i principali indicatori europei della spesa pubblica, nel 2011 si evidenziava uno scarto rilevante rispetto agli standard continentali proprio in relazione alla distribuzione della suddetta spesa per fasce d'età: l'Italia infatti era al 1° posto in relazione all'intervento pubblico in favore degli anziani e solo al 18° riguardo all'area famiglia-minori. L'investimento in protezione sociale è ancora assorbito, infatti, per circa i due terzi dai trattamenti pensionistici a fronte del 50 per cento della media dei Paesi europei, mentre alle famiglie con figli minori viene destinato soltanto l'1,1 per cento circa del prodotto interno lordo, meno della metà di quanto viene investito in Paesi quali la Francia, Austria e Inghilterra;
    anche secondo indagini dell'organizzazione «Save the children», si è di fronte ad una vera e propria emergenza infanzia, per la quale quasi il 29 per cento dei bambini sotto i 6 anni, circa 950.000, vive ai limiti della povertà, tanto che il nostro Paese è al ventunesimo posto in Europa per rischio povertà ed esclusione sociale fra i minori 0-6 anni, e il 23,7 per cento vive in stato di deprivazione materiale;
    i punti più importanti su cui intervenire per garantire i diritti minimi dell'infanzia e dell'adolescenza da parte delle istituzioni italiane, quali istruzione, salute, inserimento sociale, anche secondo quanto evidenziato dal Garante, sono:
     garantire ad ogni bambino e adolescente strumenti e risorse per un livello di vita dignitoso;
     definire i livelli essenziali delle prestazioni, senza disuguaglianze nell'accesso a opportunità e diritti (il doloroso divario Nord-Sud);
     investire nel sostegno allo studio e rimuovere le cause della dispersione scolastica;
     assicurare il diritto alla cittadinanza dei figli di immigrati residenti in Italia;
     promuovere la riforma della giustizia minorile ed individuare misure di sostegno concreto alle famiglie con minori che hanno commesso reati e ai minori i cui genitori hanno commesso reati, alcuni dei quali nascono e crescono nelle carceri italiane;
     fare in modo che le politiche per l'infanzia e l'adolescenza abbiano una chiara regia, evitando che l'eccessiva suddivisione delle competenze sia sinonimo di dispersione delle risorse con il rischio di compromettere i risultati;
    non tutte queste proposte necessitano di ingenti risorse, ma tutte hanno certamente bisogno di un Parlamento e di un Governo con una visione chiara sulle prospettive da dare all'Italia e alle nuove generazioni che chiedono un presente e futuro migliore;
    è utile sottolineare come la crisi economica di questi ultimi anni limiti anche importanti opportunità educative e di crescita poiché povertà economica significa anche povertà di istruzione;
    la povertà minorile influisce molto seriamente anche sulle cure mediche e la prevenzione sanitaria, che sono diminuite in modo spaventoso di fronte alla mancanza di mezzi economici delle famiglie;
    anche la qualità dell'alimentazione di bambini ed adolescenti è decisamente peggiorata e sono ben noti i danni che diete poco equilibrate negli anni dello sviluppo possono provocare allo sviluppo del corpo umano;
    le politiche economiche e sociali rivestono un ruolo fondamentale nel contrastare il rischio di esclusione. I Paesi che investono di più in trasferimenti alle famiglie e agevolazioni fiscali alle famiglie con bambini sono quelli che hanno maggiore successo nella lotta alla povertà;
    con la povertà minorile sociale ed economica, oltreché di istruzione e di lavoro, si colpisce non solo la parte più fragile della società, nonché la più meritevole di tutela, ma anche quella che rappresenta il futuro;
    proteggere l'infanzia dalla povertà è un dovere etico e morale che dovrebbe essere prioritario per ogni Governo, poiché i bambini e gli adolescenti di oggi saranno i cittadini di domani. Compromettere il loro avvenire vuol dire minare le basi e il futuro stesso della società. In fasi in cui l'agenda politica di chi governa deve conciliare rigore, crescita e equità, deve essere ben chiaro che una strategia di sviluppo necessariamente include la protezione dei minori dalla povertà;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ora parte integrante del Trattato di Lisbona, sancisce la preminenza del diritto del minore e il suo diritto alla protezione e alle cure necessarie per il suo benessere (articolo 24);
    tutto ciò premesso, occorre evidenziare come il dato ancor più drammatico della povertà, in tutte le sue forme, sia l'allontanamento dei minori dal nucleo familiare per l'indigenza della famiglia di origine, con il rischio di arrivare addirittura alla perdita della capacità genitoriale. Effetto sconvolgente, che dovrebbe bastare da solo a scuotere le coscienze e attivare nel più breve tempo possibile i dovuti interventi, per garantire al minore – prima di tutto – di crescere nella sua famiglia, così come previsto dall'articolo 315-bis del codice civile, opportunamente introdotto dalla legge n. 219 del 2012,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza politiche di crescita adeguate a superare l'attuale situazione economica che ha causato l'impoverimento delle famiglie italiane e, in particolar modo, di quelle con figli minori, incrementando la quota d'investimento pubblico in protezione sociale destinato all'area famiglia-minori;
   ad elaborare un piano strategico per il contrasto della povertà minorile e giovanile, contro la dispersione scolastica e per l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, con particolare riferimento ai bisogni del Mezzogiorno d'Italia;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché si concluda con celerità l'iter del decreto legislativo sul riconoscimento dei figli naturali (n. 219 del 2012);
   ad assumere iniziative per rifinanziare adeguatamente la legge n. 285 del 1997 «Disposizioni per la promozione dei diritti e le opportunità dell'infanzia e l'adolescenza»;
   ad assumere iniziative per sviluppare i servizi socio-educativi per la prima infanzia, in particolare la rete degli asili-nido e dei servizi integrativi, con l'obiettivo di portare come minimo al 30 per cento il tasso di copertura nazionale e di colmare il divario tra l'offerta delle singole regioni, anche rifinanziando il piano nazionale nidi;
   ad assumere iniziative per introdurre misure urgenti per evitare che le condizioni di indigenza dei genitori, o del genitore che esercita la potestà, abbiano come conseguenza la negazione del diritto del minore ad avere una propria famiglia, di crescere ed essere educati nell'ambito del proprio nucleo familiare;
   a promuovere una revisione della normativa sulle adozioni nazionali e internazionali, per rendere più efficaci le procedure ed abbreviare, per quanto possibile, i tempi, nell'intento di garantire l'esercizio del diritto alla famiglia di ogni minore;
   ad assumere iniziative per prevedere rigorosi controlli sulla condizione dei minori nelle strutture che, a vario titolo, li ospitano su tutto il territorio nazionale;
   a promuovere la riforma della giustizia minorile ed individuare misure di sostegno concreto alle famiglie con minori che hanno commesso reati e ai minori i cui genitori hanno commesso reati, alcuni dei quali nascono e crescono nelle carceri italiane;
   a valorizzare in ogni modo il rapporto con le associazioni di volontariato radicate sul territorio e a far proprie, ove possibile, le buone pratiche da esse proposte o già realizzate a livello locale.
(1-00244) «Brambilla, Petrenga, Calabria, Sammarco, Picchi, Rondini, Giammanco, Biancofiore, Marotta, Faenzi, Sandra Savino, Taglialatela».


   La Camera,
   premesso che:
    in base agli ultimi dati Istat, in Italia vivono in situazione di povertà relativa 1.822.000 minorenni, pari al 17,6 per cento di tutti i bambini e gli adolescenti. Il 7 per cento dei minorenni vive in condizioni di povertà assoluta, pari a 723.000 persone di minore età; la quota è del 10,9 per cento nel Mezzogiorno, rispetto al 4,7 per cento nel Centro e nel Nord del Paese;
    negli ultimi anni il reddito delle famiglie degli adolescenti in stato di povertà assoluta è diminuito del 31 per cento;
    come riporta la relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, presentata il 13 maggio 2013, il dato che più di altri ci aiuta ad individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: esso è pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale. Settanta su cento minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d'Italia rischiano di essere poveri;
    la suddetta relazione del Garante ricorda come la comparazione con altri Stati industrializzati ci aiuta a ponderare meglio la situazione: «l'UNICEF, nella Report Card n. 11 “Benessere dei bambini e degli adolescenti nei paesi ricchi” (aprile 2013) ci informa che nella classifica del benessere dei bambini l'Italia occupa il 22o posto su 29 Paesi: alle spalle di Spagna, Ungheria e Polonia e prima di Estonia, Slovacchia e Grecia. L'Italia risulta il paese con il tasso “NEET” (Not in Education, Employment or Training) più elevato tra tutti Paesi industrializzati, dopo la Spagna. L'11 per cento dei nostri giovani tra 15 e 19 anni non sono iscritti a scuola, non lavorano e non frequentano corsi di formazione»;
    le peggiori condizioni di privazione ricadono peraltro sui figli degli immigrati, sui bambini delle famiglie giovani o i bambini con un solo genitore, spesso la madre, che, per il tasso di impiego delle donne molto più basso della media europea, non riesce a mantenere il bambino;
    già nella relazione dell'anno scorso l'Autorità aveva sollevato la problematica relativa all'impatto negativo della mancanza di investimenti, da parte della Stato, a favore dell'infanzia e dell'adolescenza;
    al forte ridimensionamento dell'intervento pubblico in questo ambito, si aggiunga la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;
    il Fondo per le politiche sociali è stato in questi ultimi anni costantemente definanziato. Lo stesso Fondo nazionale per l'Infanzia e l'adolescenza, finanziato annualmente dalla legge di Stabilità, ha visto ridursi negli, anni la sua dotazione finanziaria: se la legge di stabilità per il 2012 stanziava quasi 40 milioni di euro per il 2012, la legge di stabilità attualmente all'esame del Parlamento, stanzia per il 2014 meno di 28,7 milioni di euro. Ciò si è tradotto in una riduzione in due anni del 28 per cento delle risorse assegnate al medesimo Fondo nazionale per l'Infanzia e l'adolescenza;
    vale la pena riportare un passaggio della suddetta ultima relazione al Parlamento laddove si sottolinea come «l'Autorità non manca di ricordare alle istituzioni i già richiamati costi sociali ed economici dei mancati investimenti sull'infanzia, e l'adolescenza e quello che sarà l'impatto di essi sull'Italia del presente ma soprattutto del futuro»;
    il 20 maggio 2013 l'Associazione Onlus «Save the children», ha presentato un Rapporto in concomitanza dell'avvio di una campagna sull'infanzia per accendere i riflettori sulla condizione dei minori in Italia;
    secondo il Rapporto dell'organizzazione, sono quattro i principali pregiudizi determinati dalle politiche pubbliche ai danni di bambini e adolescenti: il taglio dei fondi per minori e famiglia, la mancanza di risorse per una vita dignitosa, il basso livello di istruzione e il lavoro. L'Italia è al 18mo posto per la spesa per l'infanzia e la famiglia pari all'1 per cento del pil. Quasi il 29 per cento di bambini sotto i 6 anni vive ai limiti della povertà, tanto che il nostro Paese è al 21mo posto in Unione europea per rischio povertà ed esclusione sociale fra i minori di età 0-6 anni e il 23,7 per cento vive in stato di deprivazione materiale. Ancora, il nostro Paese è al 22mo posto per quanto riguarda il basso livello d'istruzione, per dispersione scolastica ed è all'ultimo posto per tasso di laureati;
    il Rapporto mette in evidenza come «tutta la politica italiana nei confronti dell'infanzia appare caratterizzata da evidenti “amputazioni e protesi”: 1) l'assenza di un piano organico di contrasto alle povertà minorili e di interventi di sostegno alle famiglie in questa condizione (agevolazioni fiscali, voucher, eccetera); 2) l'assenza di politiche organiche e attive di sostegno al lavoro femminile e alla conciliazione lavoro-famiglia; 3) l'impalpabilità del sistema di servizi per la prima infanzia in tante regioni del Mezzogiorno, e il suo ritardo anche in alcune aree del Centro e del Nord; 4) la fragilità del sistema di orientamento e formazione professionale soprattutto nel Mezzogiorno, malgrado le significative riforme degli ultimi dieci anni; 5) l'assenza di un programma urgente di investimenti per il recupero e la ristrutturazione dell'edilizia scolastica; 6) la mancata riforma legislativa per garantire la cittadinanza ai minori di origine straniera nati in Italia»;
    il generale impoverimento delle generazioni più giovani va in parallelo con una colpevole disattenzione nei loro confronti, che si sta traducendo in una gravissima privazione di prospettive. Da qui la richiesta avanzata dall'organizzazione «Save the children», per un piano specifico di contrasto alla povertà minorile, un piano d'investimento a favore dell'istruzione pubblica e un nuovo piano per l'utilizzo dei fondi europei;
    finora il nostro Paese non si è dato obiettivi precisi per la riduzione della povertà minorile, e non esiste nessun piano serio di intervento al riguardo;
    tutta questa «disattenzione», nonostante il fatto che la Commissione europea abbia inserito tra i principali obiettivi dei Governi degli Stati dell'Unione europea la prevenzione e la lotta alla povertà minorile;
    a giugno 2013, l'Istat ha reso noti gli indicatori demografici per il 2012, confermando un saldo naturale (differenza tra nati e morti) negativo rispetto al 2011 per 78.697 unità, che rappresenta un picco negativo mai raggiunto prima. Il numero dei nati è diminuito rispetto al 2011 (-12.399, pari a -2,3 per cento), seguendo un andamento già registrato a partire dal 2009;
    a livello nazionale si conferma quindi la tendenza alla diminuzione delle nascite già osservata negli anni 2009-2011;
    uno dei principali problemi del nostro Paese e che contribuisce fortemente ai costante calo demografico, risiede principalmente nella sostanziale assenza di mirati, aiuti finanziari, di adeguati servizi all'infanzia a supporto delle famiglie, e di politiche mirate a sostenere le pari opportunità tra uomini e donne;
    non è solo il reddito della famiglia a determinare la condizione di povertà di un bambino, ma è fondamentale poter contare anche su una rete di opportunità e di servizi, come l'asilo nido e una scuola di qualità, così come di spazi adeguati per il gioco e il movimento;
    dal rapporto Istat presentato il 25 luglio 2013 sull'offerta comunale di asili nido e altri servizi socio educativi per la prima infanzia in Italia emerge che i bambini che usufruiscono di asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,5 per cento al Sud al 17,1 per cento al Nord-Est, mentre la percentuale dei comuni che garantiscono la presenza del servizio varia dal 24,3 per cento al Sud all'82,6 per cento al Nord-Est;
    uno dei problemi strutturali dell'Italia è peraltro l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e di asili nido comunali, e un quadro avvilente in fatto di welfare, con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese. Gli asili nido comunali sembrano più strutture a pagamento che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili, e tariffe in crescita rispetto agli anni passati. La distribuzione sul territorio nazionale di nidi comunali o finanziati dal comune è peraltro fortemente squilibrata;
    i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi armi, non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    il dossier di «Cittadinanzattiva» 2012, ha confermato in pieno le difficoltà in questo ambito: le strutture comunali su cui possono contare le famiglie superano di poco quota 3.600 e sono in grado di soddisfare circa 147 mila richieste di iscrizione. I genitori di un bambino su quattro (23,5 per cento) restano in lista d'attesa e sono costretti a rivolgersi, altrove;
    di fronte a questi dati non stupisce il fatto che molte giovani donne siano spinte a rinunciare o a rinviare sine die una maternità, comunque desiderata, come confermano i dati Istat suesposti;
    l'insufficienza nell'offerta dei servizi socio-educativi per l'infanzia, influisce negativamente e scoraggia la partecipazione femminile al mercato del lavoro, facendole rinunciare. Ricordiamo infatti che questo rappresenta uno dei maggiori ostacoli che ancora oggi una donna incontra nei mondo del lavoro, tanto che il tasso di occupazione femminile pone l'Italia all'ultimo posto nella, graduatoria europea del livello di attività;
   in questo ambito è quindi improcrastinabile individuare efficaci politiche attive del lavoro che puntino a favorire la buona e stabile occupazione femminile nel nostro Paese. Per far ciò, dette politiche non possono non intrecciarsi inevitabilmente con le esigenze di cura della famiglia, e quindi anche con un aumento dell'offerta qualitativa e quantitativa della scuola, del tempo pieno, dei servizi socio-educativi per l'infanzia;
    un ulteriore aspetto centrale che riguarda le politiche di tutela dei minori, è quello relativo ai minori non accompagnati;
    secondo i dati delle Nazioni Unite, nel 2013 i migranti nel mondo sono stati 232 milioni di persone, pari al 3,2 per cento della popolazione globale, contro 175 milioni nel 2000 e 154 milioni nel 1996;
    si calcola che siano 33 milioni i migranti di età inferiore ai 20 anni (il 16 per cento di tutte le persone migranti), di cui 11 milioni hanno un'età compresa tra i 15 e i 19 anni;
    all'interno di questo processo migratorio, i minori non accompagnati, negli ultimi 10 anni sono notevolmente aumentati. Anche nel nostro Paese i minori stranieri, e quelli non accompagnati in particolare, costituiscono una realtà sempre più importante, dalle caratteristiche molto variegate e composite. Ciò comporta anche la difficoltà di quantificare con precisione il fenomeno;
    i dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, riportano, al 30 settembre 2013, la segnalazione di 7.821 minori, stranieri non accompagnati;
    nella scorsa, legislatura, la Commissione parlamentare bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza avviò e concluse una indagine conoscitiva, sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati. L'obiettivo principale dell'indagine, è stato proprio quello di voler approfondire la situazione e il destino dei suddetti minori immigrati clandestinamente in Italia, una volta abbandonati i centri di prima accoglienza per gli immigrati. È evidente infatti come sia estremamente critica la fase del loro primo inserimento nella società civile, che li espone inevitabilmente a gravi rischi di sfruttamento da parte della criminalità, oltre che per la loro stessa incolumità;
    il fenomeno per il quale molti minori si allontanano senza lasciare traccia dalle strutture di ospitalità per loro previste impone, di conseguenza l'individuazione di efficaci strumenti di contrasto alla loro scomparsa e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Va sottolineato come una delle ragioni dell'allontanamento di questi giovani dalle comunità che li ospitano è da rinvenirsi anche nella riduzione delle risorse finanziarie assegnate ai comuni e conseguentemente ai relativi centri di prima accoglienza;
    peraltro i comuni hanno sempre maggior difficoltà a far fronte agli oneri derivanti dalla presenza di minori stranieri non accompagnati sul proprio territorio. Il comune infatti, per competenza, deve provvedere a collocare temporaneamente in un luogo sicuro sino a quando non si possa provvedere in modo definitivo alla loro protezione;
    un importante passo avanti in questo ambito, è stato l'accordo con il Governo del 30 marzo 2011 che ha portato poi allo stanziamento di fondi necessari al contributo per le spese di accoglienza solo per i minori nord Africa e che ha creato le premesse per l'istituzione nel 2012, del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati;
    il decreto-legge n. 120 del 2013, attualmente all'esame della Camera e la legge di stabilità per il 2014 attualmente all'esame del Senato, prevedono rispettivamente uno stanziamento di 20 milioni di euro per l'anno 2013 il primo, e uno stanziamento di 20 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016. Risorse indispensabili ma ancora insufficienti per assicurate effettiva copertura delle spese sostenute dai comuni per l'accoglienza di tutti i minori presenti, senza alcuna distinzione di provenienza, età, periodo o luogo di ingresso sul territorio italiano;
    un ulteriore aspetto centrale delle politiche di integrazione e di tutela dei minori, è la concessione della cittadinanza ai figli di immigrati, nati in Italia;
    l'applicazione del principio dello jus soli, consentirebbe di sostenere il processo di integrazione socio-culturale verso un'effettiva convivenza tra le persone di origine diversa;
    il bambino nato in Italia da genitore straniero, pur non essendo cittadino italiano, impara la nostra lingua, frequenta la scuola italiana, acquisisce la cultura e le abitudini locali. Inoltre, il bambino vive in un Paese del quale assorbe le regole e i comportamenti, ma il cui ordinamento giuridico non lo riconosce come cittadino;
    un problema drammatico riguarda, la violenza sui minori;
    la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza riconosce ad ogni bambino e adolescente il diritto alla protezione da ogni tipo di abuso, sfruttamento e violenza;
    è noto che gran parte delle violenze avviene all'interno dell'ambiente familiare, conseguentemente la stima degli abusi e delle violenze risulta certamente sottostimata e il fenomeno tende a rimanere sommerso;
    i casi di abusi sessuali e pedofilia sono in aumento nell'età adolescenziale. Da quanto riportato da «Telefono azzurro», risulta che la percentuale di adolescenti vittime di abusi sessuali è passato dal 13,4 per cento nel 2009 al 22,3 per cento nel 2012;
    dai dati di Telefono Azzurro emerge anche che un numero considerevole di segnalazioni riguarda casi di adescamento on line, che hanno registrato un aumento del 10 per cento dal 2008 al 2012. Sebbene anche per questa tipologia di abusi il responsabile sia prevalentemente un familiare, molti adescatori sono soggetti estranei alla vittima o amici/conoscenti. Inoltre, la percentuale di abusi su bambini e adolescenti stranieri risulta in progressivo aumento, dal 9 per cento nel 2011 al 19 per cento nel 2012;
    vanno evidenziate le criticità conseguenti alla frammentazione delle competenze istituzionali sull'infanzia e l'adolescenza, criticità già più volte sottolineate dalla stessa Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, e che si traducono in un limite ad un'azione realmente efficace. Tali competenze, divise tra Ministeri, commissioni, comitati ed osservatori, rischiano di rendere le politiche per l'infanzia e l'adolescenza non efficaci e troppo frammentate;
    la normativa vigente attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia, con la gestione delle relative risorse. Sono, inoltre, affidate alla Presidenza del Consiglio dei ministri, presso il dipartimento per le politiche della famiglia, in coordinamento con il Ministero del lavoro, le funzioni di competenza del Governo riguardanti l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e quelle concernenti il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza. Inoltre la Presidenza del Consiglio, attraverso il dipartimento per le pari opportunità in cui opera l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, svolge le funzioni inerenti la prevenzione, assistenza e tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale dei minori. L'Osservatorio nazionale per l'infanzia predispone il Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, che sottopone all'approvazione del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia (CICLOPE). Per quanto riguarda le funzioni in tema di minori il Ministero del lavoro e delle politiche sociali monitora gli interventi ed i progetti sperimentali finanziati previsti dalla legge n. 285 del 1997 per la «promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», e ne predispone la Relazione annuale al Parlamento. Sempre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, inoltre provvede a monitorare in coordinamento con il Ministero della giustizia e le regioni, lo stato di attuazione della legge n. 149 del 2001 rivolta agli interventi in favore dei minori fuori famiglia;
    è evidente quindi, come risulti indispensabile giungere a un coordinamento efficace di compiti e funzioni, e di compartecipazione alle politiche sull'infanzia, e all'unificazione, o perlomeno a una sensibile riduzione delle competenze in materia di infanzia e adolescenza, al fine di evitare inutili e controproducenti sovrapposizioni fra soggetti e istanze diverse,

impegna il Governo:

   a sostenere politiche attive e misure efficaci di sostegno alla conciliazione dei tempi di lavoro e di cura della famiglia, al fine di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
   a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e alla paternità, anche attraverso lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie per la messa in sicurezza e l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e in particolare per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse per le politiche sociali, e per l'infanzia e l'adolescenza;
    ad assumere iniziative per prevedere interventi, anche di tipo fiscale per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
   ad assumere iniziative dirette ad incrementare le risorse da destinare per la piena attuazione dei diritti dei minori che vivono in Italia;
   a favore l'inclusione sociale dei minori stranieri, prevedendo – tra l'altro – una propria iniziativa normativa volta a concedere la cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri legalmente residenti in Italia;
   ad assumere opportune iniziative volte ad aumentare le risorse finanziarie a favore delle regioni e degli enti locali sulla base delle rispettive presenze, per il potenziamento e il miglioramento dei progetti di accoglienza a favore dei minori stranieri non accompagnati, anche attraverso un aumento delle risorse destinate alla accoglienza dei minori stranieri non accompagnati;
   ad attuare efficaci iniziative, anche normative al fine di intervenire nella fase estremamente critica del primo inserimento nella società civile dei minori non accompagnati, aiutandoli in una fase che li espone inevitabilmente a gravi, rischi per la loro incolumità e di sfruttamento da parte della criminalità, e a favorirne la loro integrazione, agevolando a tal fine opportune forme di affido temporaneo;
   a potenziare il settore della giustizia minorile, al fine di rendere concreto il recupero sociale dei giovani entrati nel circuito penale e in disagio sociale;
   ad assumere iniziative dirette a un accentramento delle competenze istituzionali sull'infanzia e l'adolescenza, attualmente eccessivamente frammentate, al fine di consentire un'azione realmente efficace delle politiche in materia.
(1-00245) «Nicchi, Piazzoni, Aiello, Migliore, Di Salvo, Fratoianni, Lavagno, Melilla, Ricciatti, Pellegrino, Costantino».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    il 28 ed il 29 novembre 2013 si terrà, a Vilnius, il terzo vertice del partenariato orientale e che, all'approssimarsi di tale data, l'attenzione dell'Unione europea e dei Paesi partner dell'Europa orientale è puntata sui progressi che potrebbero concretizzarsi in quell'occasione (firma degli Accordi di Associazione inclusivi di aree di libero scambio approfondite con l'Ucraina, parafatura degli analoghi accordi con Georgia e Moldova);
    il partenariato orientale è stato lanciato nel 2009, in occasione del vertice di Praga, quale specifica dimensione Est delle relazioni esterne dell'UE esso risponde allo sforzo dell'Unione e dei Paesi dell'Est europeo di favorire le riforme politiche ed economiche e di aiutare i Paesi di quella regione ad avvicinarsi all'UE;
    in data 12 settembre 2013, il Parlamento europeo, in vista del vertice di Vilnius, ha approvato una risoluzione con la quale, nel lamentare alcune incomprensioni che sembrerebbero emerse con la Federazione russa, esorta la Commissione e il SEAE a intensificare gli sforzi per promuovere la visibilità del partenariato orientale e i suoi benefici tra l'opinione pubblica nei Paesi partner, al fine di consolidare il consenso politico in merito alle loro scelte europee;
    in data 24 ottobre 2013, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla relazione annuale del Consiglio sulla politica estera e di sicurezza comune con la quale, tra l'altro, rammenta che i Paesi del vicinato orientale rivestono un'importanza strategica e che la prospettiva europea può rappresentare per loro un incentivo fondamentale a portare avanti le riforme;
    è giunto il momento di intensificare gli sforzi, abbinandoli a un maggiore impegno politico, per conseguire gli obiettivi del partenariato orientale, compresa la necessità di instaurare un legame più stretto tra la politica estera e di sicurezza comune e la politica europea di vicinato;
    ci si auspica che il vertice di Vilnius possa costituire un chiaro progresso nell'avvicinamento delle società degli Stati membri e dei Paesi del partenariato orientale;
    un dialogo politico nell'ambito delle relazioni Unione europea-Russia, specificamente incentrato sul partenariato orientale, consentirebbe di superare le attuali incomprensioni lamentate anche nella citata risoluzione del Parlamento europeo del 12 settembre 2013 e a questo fine l'Italia, anche in virtù degli intensi rapporti bilaterali, può far valere i propri buoni uffici affinché gli accordi conclusi nell'ambito del partenariato orientale e della politica europea di vicinato non siano percepiti dalla Russia in modo negativo,

impegna in Governo:

   a ribadire il sostegno a favore della ratifica o della firma degli accordi di associazione in occasione del vertice di Vilnius con i Paesi del partenariato orientale che sono pronti e disposti a farlo, purché i requisiti necessari in termini di adesione ai valori comuni e rispetto dello Stato di diritto siano soddisfatti, nella certezza che ciò darà un nuovo impulso al processo di integrazione e consentirà di approfondire in modo sostanziale le relazioni tra l'Unione europea e i Paesi del vicinato orientale che rivestono un'importanza geopolitica fondamentale, rispondendo in tal modo alle aspirazioni europee di tali Paesi;
   ad evidenziare che la realizzazione di ulteriori riforme politiche ed economiche in questi Paesi, sulla base dei valori democratici e di rispetto dello stato di diritto, è nell'interesse non solo della stessa Unione europea ma di tutto il continente;
   a continuare ad adoperarsi onde garantire stabilità e sicurezza a livello regionale, aspetti necessari per centrare gli obiettivi del partenariato orientale al fine di conseguire progressi per risolvere i conflitti territoriali in Georgia, Azerbaijan, Armenia e Moldova;
   ad esortare in tale contesto i Paesi del partenariato orientale a proseguire ed intensificare i loro sforzi per portare avanti le riforme.
(7-00168) «Cimbro, Bergamini».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il Parlamento europeo, visti gli articoli 6 e 165 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e l'articolo 123 del suo regolamento, considerando che il gioco degli scacchi è accessibile ai ragazzi di ogni gruppo sociale e può contribuire alla coesione sociale e a conseguire obiettivi strategici quali l'integrazione sociale, la lotta contro la discriminazione, la riduzione del tasso di criminalità e persino la lotta contro diverse dipendenze, che indipendentemente dall'età dei ragazzi, tale gioco può migliorarne la concentrazione, la pazienza e la perseveranza e può svilupparne il senso di creatività, l'intuito e la memoria oltre alle capacità analitiche e decisionali, e che gli scacchi insegnano inoltre determinazione, motivazione e spirito sportivo, ha approvato la dichiarazione scritta n. 0050/2011 (GUCE 31 agosto 2013) sull'introduzione del programma «Scacchi a scuola» nei sistemi d'istruzione dell'Unione europea;
    con tale atto il Parlamento europeo ha anche invitato gli Stati membri a incoraggiare l'introduzione del programma «Scacchi a scuola» nei sistemi d'istruzione;
    negli ultimi anni le attività di diffusione scacchistica nelle istituzioni scolastiche si sono moltiplicate in molte regioni italiane; dirigenti scolastici e docenti mostrano un grande interesse per la disciplina, in relazione all'attività didattica propria delle varie scuole, ed in generale alla formazione degli studenti;
    molte recenti ricerche nel campo della didattica evidenziano il ruolo di attività che riescano a coinvolgere attivamente lo studente nei processi di apprendimento come quella scacchistica;
    Una ricerca, denominata «Gli scacchi: un gioco per crescere», è stata realizzata presso otto classi terze di scuola primaria nel 2007 dal professor Roberto Trinchero, docente di pedagogia sperimentale presso la facoltà di scienze della formazione dell'università degli studi di Torino, ed ha rilevato come il gioco degli scacchi possa essere un valido ausilio per il potenziamento delle abilità cognitive degli alunni. Detta ricerca ha valutato l'efficacia degli istruttori della Federazione scacchistica italiana e dei protocolli didattici da loro impiegati, permettendo di poter affermare che, quando impiegato come strumento pedagogico, il gioco degli scacchi può ben supportare il compito degli insegnanti:
   la pratica scacchistica, oltre alla naturale stimolazione delle competenze logiche, porta all'affinamento dell'intuizione e delle capacità gestionali di qualunque situazione, che produca la considerazione e l'accettazione dei propri limiti e degli eventuali insuccessi, consolidando tramite il gioco il rispetto delle regole e dell'avversario, l'esercizio della pazienza e della correttezza;
   gli scacchi possono rivelarsi un importante strumento didattico per la rimozione di alcuni ostacoli all'apprendimento sia sul piano comportamentale, motivando all'impegno verso un progetto strategico scelto autonomamente, sia su quello delle connessioni logiche, favorendo soprattutto i rapporti di causa-effetto e le aperture del pensiero divergente pur nell'applicazione del pensiero convergente. In particolare, si ritiene che questo tipo di interventi possano essere valido supporto per lo sviluppo di competenze matematiche come declinate nei programmi PISA, cioè connesse ad un uso più ampio e funzionale della matematica, dove si richiede una applicazione nel riconoscere e formulare problemi matematici in varie situazioni (PISA 2003);
    i risultati ottenuti ai test PISA suggeriscono che gli studenti italiani non sanno applicare le abilità costruite a scuola in contesti meno strutturati di quelli in cui sono soliti svolgere le loro attività scolastiche; essi mostrano difficoltà nei processi di riflessione, riproduzione e connessione delle conoscenze matematiche (Fonte UMI);
    questo tipo di difficoltà emergono soprattutto a causa di un pensiero non-scientifico. Gli studenti non sono abituati a pensare usando un rigoroso e coerente approccio scientifico, o meglio, non lo ritengono un riferimento essenziale in molte attività perché lo ritengono circoscritto ad ambiti ben delimitati;
    tutte queste considerazioni sono frequentemente presenti nei progetti didattici che sono prodotti dagli istruttori e/o dai docenti impegnati nelle attività scacchistiche a scuola;
    si rileva però che, a fronte di questo lodevole impegno, non esiste un modo organico di approcciarsi a questo nuovo strumento della didattica e molti dei benefici possibili sono dispersi nei rivoli della poca esperienza nel coniugare dette istanze formative nei tempi e modi adeguati;
    attività di avviamento al gioco degli scacchi sono ormai diffuse su tutto il territorio nazionale; sovente questi progetti si sono sviluppati su base locale e a volte in modo sporadico, tramite associazioni scacchistiche, le quali, supportando la richiesta degli istituti scolastici a loro vicini, possono fornire istruttori F.S.I./C.O.N.I. in grado di intervenire sulle classi in qualità di «esperti esterni», sia in orario curricolare che extra curricolare;
    la diffusione del gioco degli scacchi nelle scuole sembra quindi dovuta ad una brillante intuizione di un certo numero di docenti che però si scontra con le rigidità del sistema e con l'obiettiva difficoltà nell'introdurre le lezioni da parte degli istruttori F.S.I./C.O.N.I., quando richiesti come esperti, che non appartengono al mondo della scuola;
    è perciò molto importante per migliorare il sistema scolastico nazionale accogliere l'invito del Parlamento europeo ed introdurre il programma «Scacchi a scuola» nel sistema d'istruzione;
    sono necessarie azioni da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per motivare utilmente i docenti della scuola pubblica, affinché essi possano sentirsi adeguati nelle rispettive competenze tecniche, necessarie all'insegnamento del gioco degli scacchi, sapendo ben impiegare questo strumento pedagogico con le finalità sopra esposte;
    esistono già significative esperienze in Italia quale quella nella regione Piemonte dove tramite il relativo comitato regionale della Federazione scacchistica italiana si è potuto avviare già dal 2005, in forma coordinata con l'ufficio scolastico regionale e il Settore Istruzione della regione Piemonte, il progetto «scacchi a scuola in Piemonte», che per il livello qualitativo e quantitativo raggiunto è considerato un esempio di eccellenza nella diffusione scacchistica scolastica e si colloca tra i principali progetti in ambito internazionale;
    La Federazione scacchistica italiana ha elaborato numerose proposte per la diffusione dell'attività scacchistica e, nel settore scolastico, è quanto mai significativa quella denominata «scacchi a scuola in Italia» che intende fornire un percorso di didattica scacchistica – scolastica alle classi della scuola primaria, in orario scolastico, della durata minima di 50 ore complessive (10 ore per anno) così articolato in varie fasi: a) psicomotricità su scacchiera gigante; b) formazione docenti scolastici; c) insegnamento agli alunni tramite l'utilizzo di internet/intranet; d) impiego degli istruttori FSI/CONI;
    diversi Paesi hanno già varato programmi governativi che prevedono l'inserimento organico degli scacchi a scuola, tra cui la Cina, la Turchia e l'Egitto, tramite il loro relativo Ministero dell'istruzione. Rendere il gioco degli scacchi una materia scolastica, come appunto sta succedendo altrove, sarebbe ora poco pertinente alla realtà nazionale, in quanto si può definire questo un momento di profonda innovazione strutturale della stessa scuola pubblica, con tutti i risvolti che ciò comporta;
    incoraggiare però l'introduzione del programma «scacchi a scuola» verificando e attualizzando il protocollo d'Intesa fra F.S.I. e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 2008 e destinando risorse specifiche per gli istituti che partecipano al progetto può costituire un modo efficace per migliorare in tempi brevi il servizio scolastico offerto,

impegna il Governo

a promuovere ed incentivare l'introduzione del programma «scacchi a scuola» nel sistema d'istruzione nazionale sia attraverso l'attualizzazione del protocollo firmato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con la Federazione scacchistica italiana del 2008 e destinando risorse a favore degli istituti che aderiscono a tale programma.
(7-00169) «Manzi, Carrescia, Carocci, Cominelli, Donati, Marco Di Maio, Chaouki, Cenni, Cardinale, Dallai».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    una violenta ondata di maltempo si è abbattuta di recente sulle Marche e ha comportato la richiesta dello stato di emergenza per tutte le cinque province della regione per fronteggiare la situazione e i danni ingenti, anche alle infrastrutture, provocati da intense precipitazioni;
    tra il 12 e 13 novembre 2013 tutto il territorio marchigiano ha infatti subito gravi conseguenze per eventi alluvionali: frane, esondazioni, smottamenti, allagamenti, viabilità interrotta, scuole chiuse e case evacuate; in molte zone si sono interrotti la fornitura di energia elettrica e i collegamenti telefonici: le numerose esondazioni di corsi d'acqua secondari e il congestionamento anche del reticolo idraulico minore hanno provocato gravi disagi alla circolazione stradale con l'interruzione della viabilità in molti comuni e la chiusura delle vie di accesso; numerose fabbriche sono state invase da fango e detriti; chiusi esercizi commerciali e stabilimenti produttivi; gravissimi i danni per l'agricoltura: compromessi raccolti e colture, le colture orticole e i frutteti; allagati stalle, magazzini, cantine e terreni; smottamenti e frane hanno ostacolato l'accesso alle aziende e ai poderi agricoli;
    secondo autorevoli studiosi manifestazioni temporalesche brevi ma molto intense, alluvioni e bombe d'acqua sono eventi sempre più frequenti, in conseguenza dei cambiamenti climatici;
    il rischio idrogeologico in Italia coinvolge il 10 per cento circa della superficie nazionale (29.500 chilometri quadrati) per un totale di 6.633 comuni; in sostanza, quasi un cittadino su dieci si trova in aree esposte al pericolo di alluvioni e valanghe;
    molti comuni hanno un delicato equilibrio idrogeologico, continuamente minacciato dagli eventi meteorici;
    non e ancora definitivo l'inventario dei danni provocati dall'eccezionale mal tempo che ha colpito le Marche ma sono ingenti i danni alle imprese: aziende agricole, fabbriche, laboratori artigiani ed esercizi commerciali sono stati costretti, di fatto, a sospendere l'attività o a rallentare la produzione, con ricadute incisive sulle consegne, sugli ordini, le commesse, sulla redditività complessiva e sull'occupazione;
    nel mese di giugno la Camera dei deputati ha approvato, con il parere favorevole del Governo, le mozioni nn. 1-00017 Speranza, Brunetta, Matarrese ed altri, 1-00112 Zan ed altri, 1-00114 Segoni ed altri, 1-00117 Grimoldi ed altri e 1-00124 Giorgia Meloni e Rampelli e, il 3 ottobre, l'VIII Commissione ha approvato la risoluzione n. 8-00016, Realacci ed altri, in ricordo della tragedia del Vajont; questi atti di indirizzo e, in particolare, l'ultimo, hanno riproposto con forza i temi della manutenzione del territorio, della pianificazione territoriale come strumento di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico, delle politiche di sostegno alla residenza nelle comunità montane e rurali come elemento fondamentale dell'azione di contrasto dei fenomeni di abbandono e di degrado del territorio, dell'ammodernamento della legislazione in materia di difesa del suolo e del riordino del relativo sistema di competenze e di responsabilità, impegnando, fra l'altro, il Governo, a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, e a privilegiare la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
    il Governo é stato impegnato, tra l'altro: ad adottare iniziative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE; ad incentivare e sostenere la piccola agricoltura nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottare pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo, in modo da riconoscere e valorizzare la funzione di manutenzione svolta dagli agricoltori nei poderi agricoli e il loro ruolo di «sentinelle e custodi del territorio»; ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da contenere nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto; ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di IVA agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e la conservazione e la manutenzione dei reticoli idraulici, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di bilancio;
    è perciò urgente che il Governo – in particolare il dipartimento della protezione civile ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – e la regione Marche, d'intesa con gli enti locali e le associazioni imprenditoriali, affrontino la situazione nel suo complesso, individuando i siti a rischio dissesto idrogeologico e le azioni necessarie per mettere in sicurezza le aree residenziali e il patrimonio produttivo, ed evitare il ripetersi di emergenze;
    è parimenti urgente che vengano destinate risorse alla regione Marche, la sola per altro che ha dovuto far pagare ai cittadini la «tassa sulle disgrazie» e alla quale sono state riconosciuti insufficienti finanziamenti per le calamità (neve ed esondazioni) che l'hanno colpita negli scorsi anni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a garantire congrue risorse per il Fondo Protezione civile per alluvioni di cui alla legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 290;
   ad assumere un'iniziativa normativa ad hoc per istituire un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, per far fronte alle somme urgenze provocate dal dissesto idrogeologico del territorio con indennizzi immediati per i danni emergenti;
   ad assumere iniziative per assegnare, in tempi rapidi, mediante le amministrazioni territoriali competenti, e d'intesa con le associazioni imprenditoriali, la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione della rete viaria provinciale e comunale, degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo, in relazione al danno effettivamente subito, anche in misura sufficiente a coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili danneggiati, sia abitativi, sia destinati ad uso produttivo, che degli impianti, fino alla misura massima del 100 per cento del costo ammesso e riconosciuto, in particolare quando i danni subiti siano stati di entità tale da condizionare la piena e immediata ripresa dell'attività di impresa;
   per quanto riguarda le attività produttive, ad assumere iniziative dirette a prevedere che i soggetti destinatari dei contributi siano i titolari di reddito di impresa, nonché i titolari di reddito di lavoro autonomo e gli esercenti attività commerciali o agricole, per i danni subiti agli immobili, agli impianti e per la sospensione dell'esercizio delle attività in conseguenza degli eventi alluvionali del novembre 2013, sulla base di una perizia asseverata che attesti, oltre ai danni accertati agli immobili e agli impianti, anche l'entità della riduzione del reddito conseguente alla sospensione dell'attività;
   ad assumere iniziative dirette a sospendere i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per rassicurazione obbligatoria per tali soggetti;
   ad assumere iniziative per disporre che il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
   ad assumere iniziative per prevedere, anche mediante un apposito protocollo d'intesa con l'Associazione bancaria italiana, la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da effettuare dopo la sospensione dei termini;
   ad assumere iniziative per attribuire alle imprese, anche agricole, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 12 e 13 novembre 2013, nei territori colpiti dagli eventi alluvionali, che non beneficiano dei contributi ai fini del risarcimento del danno, ma che possano dimostrare di aver subito un danno economico diretto (quale diminuzione del volume d'affari, ricorso a strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori per fronteggiare il calo di attività conseguente agli eventi alluvionali) un contributo, sotto forma di credito di imposta, pari al costo sostenuto, entro il 30 giugno 2014, per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione di beni d'impresa o di lavoro autonomo, per almeno 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015;
   ad assumere iniziative dirette ad attribuire, alle medesime imprese, anche agricole, artigiane e commerciali, ovvero a lavoratori autonomi, con sede legale od operativa, alla data del 12 e 13 novembre 2013, nei territori colpiti dagli eventi alluvionali, che non beneficiano di contributi ai fini del risarcimento del danno, un credito di imposta, per almeno 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, pari al costo sostenuto per interventi di riduzione del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio in cui è localizzata l'attività;
   ad avviare, in tempi rapidi, un piano ambientale per gli investimenti necessari al riassetto idraulico e idrogeologico e alla prevenzione di eventi alluvionali, integralmente finanziato con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
   a negoziare con l'Unione europea un allentamento del patto di stabilità anche per comuni e regioni, in modo che gli enti locali e territoriali possano realizzare gli interventi progettati – anche di prevenzione – con risorse proprie, disponibili ma bloccate da vincoli di bilancio;
   a disporre l'utilizzo dei fondi strutturali per il 2014 anche per programmi ambientali per la messa in sicurezza delle aree a rischio;
   a realizzare un monitoraggio costante per evitare insediamenti, residenziali e produttivi, in tutte le zone ad alto rischio idraulico;
   a ridurre progressivamente il consumo del suolo, fino ad azzerarlo;
   ad assumere iniziative normative dirette a stanziare risorse per il riassetto idraulico, per le casse di espansione, per l'innalzamento delle dighe e il rafforzamento degli argini, per la manutenzione della rete idraulica, per il drenaggio efficiente di fiumi, fossi e canali;
   a garantire i collegamenti tra i territori anche in situazioni di emergenza, con l'avvio di cantieri per lavori urgenti di protezione delle pendici, delle opere idrauliche e delle barriere danneggiate dalle alluvioni.
(7-00167) «Carrescia, Luciano Agostini, Lodolini, Marchetti, Manzi, Petrini, Morani, Mariastella Bianchi».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il diabete è una patologia cronica che si divide in diabete di tipo 1, rappresentato per la quasi totalità dalla forma immunomediata (cioè mediata da una disregolazione del sistema immunitario del soggetto) e diabete di tipo 2, dovuto invece ad un deficit di secrezione dell'insulina da parte delle cellule del pancreas od alla condizione di resistenza dei tessuti all'azione della stessa insulina. Circa il 90 per cento della popolazione diabetica è affetta da diabete tipo 2, mentre solo una minoranza è affetta da diabete tipo 1;
    secondo l'OMS sono circa 346 milioni le persone affette da diabete in tutto il mondo. Più dell'80 per cento delle morti correlate a questa patologia avvengono in Paesi a basso e medio reddito. L'Oms stima inoltre che i decessi per diabete sono destinati a raddoppiare tra il 2005 e il 2030 (nel 2004, i dati riferiscono di 3,4 milioni di persone scomparse a causa delle conseguenze di un alto livello di zucchero nel sangue);
    secondo l'Oms Europa, 52 milioni di persone in Europa soffrono di diabete. La presenza del diabete è in crescita in tutta Europa arrivando, in alcuni Stati, a tassi del 10-14 per cento della popolazione. Questo aumento è in parte dovuto all'invecchiamento generale della popolazione ma principalmente alla diffusione di condizioni a rischio come sovrappeso e obesità, scorretta alimentazione, sedentarietà e disuguaglianze economiche;
    in Italia il numero di persone con diabete è aumentato in 12 anni di quasi la metà. Si è passati da 2,15 a 3,27 milioni di persone con poco meno di 100 mila casi in più ogni anno e il dato è probabilmente sottostimato. Almeno un altro milione, più probabilmente 1,5 milioni, di persone hanno il diabete senza saperlo;
    il diabete colpisce soprattutto attraverso infarti e ictus. Ci sono comunque 51 persone ogni 100 mila (e quindi 30 mila persone all'anno) che muoiono a causa del diabete;
    nel medio-lungo periodo la situazione non migliorerà: le nuove generazioni sviluppano sovrappeso e obesità più spesso e prima delle generazioni precedenti e questo fa temere una crescita nel numero di casi di diabete ancora in età lavorativa;
    la Giornata mondiale del diabete istituita nel 1991 dall’International diabetes federation e all'Organizzazione mondiale della sanità, e riconosciuta dalle Nazioni Unite a partire dal 2006, cade ufficialmente il 14 novembre;
    la Giornata mondiale del diabete è la più grande manifestazione del volontariato in campo sanitario. In 400 città e cittadine d'Italia si svolgeranno almeno 500 eventi organizzati da Associazioni di persone con diabete, medici, altri professionisti sanitari e persone di altre organizzazioni (Croce Rossa, Alpini, Misericordia, etc.). Tutti prestano il loro impegno come volontari. La Giornata mondiale del diabete è una delle poche nel suo campo a non sollecitare contributi ma anzi a offrire gratuitamente servizi;
    l'evento più classico della Giornata è infatti la «glicemia in piazza» che si è evoluta fino a diventare una serie di test effettuati sul momento che permettono di scoprire se si ha il diabete o di valutare il rischio di svilupparlo. Spesso al test si accompagna la possibilità di ricevere una veloce consulenza medica o dietistica. Ma si organizzano anche conferenze, eventi che invitano all'esercizio fisico e perfino serate teatrali. Si calcola che 400 mila persone siano coinvolte dagli eventi organizzati;
    il nostro Paese si trova nella peculiare situazione, forse unica al mondo, di avere una legge a tutela dei diritti delle persone con diabete mellito (legge n. 115 del 1987), e di avere posto con il Piano Sanitario Nazionale 2011-2013 il diabete, insieme ad altre malattie croniche non trasmissibili, fra le priorità per il Sistema sanitario nazionale;
    il Piano nazionale diabete disegna un modello razionale di assistenza che, senza sprecare risorse, mette le persone in grado di gestire al meglio il loro diabete e riduce – a breve medio e lungo termine – le sofferenze umane e i costosi ricoveri dovuti a scompensi glicemici e a complicanze, in particolare si basa su:
     a) centralità della persona con diabete che viene vista come risorsa del sistema;
     b) ruolo delle Associazioni di volontariato delle persone con diabete o associazioni di famigliari di persone con diabete nel rappresentare i bisogni sanitari e sociali;
     c) integrazione e la rete tra i diversi livelli assistenziali (specialista-specialista o specialista-medico di medicina generale) attraverso percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA);
     d) uso appropriato delle risorse;
    permangono difficoltà a trovare lavoro, il 34 per cento dei datori di lavoro non ha neppure preso in considerazione l'assunzione di chi è affetto da diabete. Si tratta di difficoltà e discriminazioni ingiustificate. La tutela del lavoratore diabetico, sancita attraverso legge n. 115 del 1987, stabilisce infatti il divieto di qualsiasi discriminazione nei riguardi dei pazienti diabetici nell'accesso a posti di lavoro pubblico e privato e raccomanda la necessità di agevolarne l'inserimento nelle attività lavorative. L'articolo 1, lettera d) della citata legge indica espressamente la necessità di «agevolare l'inserimento del diabetico nella scuola, nelle attività sportive e nel lavoro», mentre l'articolo 8, comma 1 stabilisce che la malattia diabetica, priva di complicanze invalidanti, non costituisce motivo ostativo per l'accesso al lavoro pubblico e privato;
    inoltre, quanto al tempo da sottrarre al lavoro per curare bene il diabete, esso è soltanto quello necessario per le analisi di laboratorio (2-4 mattine l'anno) e le verifiche periodiche (2-6 volte l'anno). In proposito, la legge n. 104 del 1992 concede al diabetico tre permessi mensili (retribuiti) per effettuare i regolari controlli. I diabetici, non sono dunque esposti all'assenteismo più degli altri lavoratori,

impegna il Governo:

   ad attuare ogni iniziativa per garantire cure sempre più appropriate alle persone affette da diabete;
   ad assumere ogni iniziativa per tutelare la salute dei pazienti diabetici nei diversi contesti regionali;
   ad avviare ogni azione possibile affinché si abbattano i pregiudizi discriminatori sul lavoro verso persone affette da patologia diabetica.
(7-00166) «D'Incecco, Iori, Lenzi, Bellanova, Biondelli, Amato, Capone, Casati, Carnevali, Miotto, Burtone, Grassi, Scuvera».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   com’è noto, la multinazionale svedese Electrolux, leader nel settore degli elettrodomestici e delle apparecchiature per uso professionale, è da tempo alle prese con la difficile situazione del mercato dell'elettrodomestico che ha portato in pochi anni a ben tre riorganizzazioni, con notevoli ripercussioni sul piano produttivo ed occupazionale che hanno interessato in modo particolare i due stabilimenti di Porcia (Pordenone) e Susegana (Treviso);
   il piano industriale di ristrutturazione presentato dall'azienda alle organizzazioni sindacali di categoria il 10 febbraio 2011 prevedeva, con riferimento specifico a tali siti, il licenziamento di circa 800 lavoratori e il trasferimento della parte più significativa della produzione, il frigorifero «free standing», dal sito di Susegana all'Ungheria;
   a seguito del tavolo tecnico di confronto tra i rappresentanti dell'Electrolux e le organizzazioni sindacali, alla presenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro dello sviluppo economico, avviato il 24 febbraio 2011, è stato raggiunto un accordo, che prevedeva, da un lato, il riallineamento strategico degli stabilimenti di Porcia e di Susegana e, dall'altro, un piano sociale che, oltre al ricorso agli ammortizzatori sociali (CIGS), metteva in campo una serie di strumenti per favorire la ricollocazione dei lavoratori in esubero (ad esempio, lavoro part time, ricollocazione professionale con incentivo economico iniziative di autoimprenditorialità). Tali misure non hanno tuttavia prodotto i risultati sperati: nel 2012, infatti, il numero degli esuberi è cresciuto in tutti i siti (Susegana, Porcia, Solaro e Forlì) rispetto ai termini dell'Accordo del 2011;
   l'assemblea dei soci Electrolux ha quindi presentato un nuovo piano strategico che prevedeva: per l'anno 2012 la volontà di continuare a ridurre i costi e potenziare la propria presenza a Est e nei mercati emergenti; la riduzione della capacità produttiva nei mercati cosiddetti «maturi»; la proroga, fino al 2015, del progetto di riposizionamento produttivo al fine di diminuire ulteriormente la capacità produttiva nei Paesi ad alto costo e trasferirla in quelli low cost;
   dopo un'intensa trattativa tra sindacati e azienda, il 30 marzo 2012 è stato sottoscritto un nuovo accordo in sede ministeriale, preceduto da un referendum tra i lavoratori negli stabilimenti del gruppo, per gestire i predetti consistenti esuberi. Il nuovo piano sociale, ferma restando la cassa integrazione straordinaria a rotazione mensile per 120-130 lavoratori alla volta, prevede altresì l'utilizzo della cassa integrazione a riduzione d'orario giornaliero con turni di 6 ore in tutti gli stabilimenti del gruppo e offre misure incentivanti l'esodo, fondi, garanzie e consulenza per promuovere l'autoimprenditorialità, nonché formazione finalizzata all’outplacement;
   va rilevato altresì che sin dall'accordo del marzo del 2011 la proprietà ha messo a disposizione, a condizioni particolarmente agevolate, le aree inutilizzate degli stabilimenti di Susegana e Porcia, a favore di processi di reindustrializzazione ad opera di soggetti industriali con un piano solido e credibile che siano intenzionati ad assumere lavoratori Electrolux;
   lo stato del comparto nazionale dell'elettrodomestico è noto: il settore soffre da tempo di una crisi di competitività, aggravata negli ultimi quattro anni a causa della rilevante contrazione della domanda e della concorrenza di produzione da Paesi a basso costo del lavoro, ormai di qualità comparabile, al punto che è minacciata la sostenibilità del comparto anche nel breve periodo. Da tempo è altresì evidente la necessità di costruire un piano di ampio respiro di politica industriale, capace di dare sostegno e rilancio ad un settore che riveste da sempre in Italia un ruolo strategico e di primaria importanza, con una leadership per investimenti in ricerca e sviluppo e per qualità del prodotto, essendo il secondo comparto manifatturiero, dopo quello dell'automobile, con 130 mila lavoratori addetti tenuto conto dell'indotto, che sta parimenti soffrendo e comprende aziende come ad esempio l'ACC Compressors SPA di Mei (BL), nata da uno spin-off di Electrolux, a sua volta leader europeo nel settore dei compressori per il freddo;
   per tale ragione sin dall'intesa del marzo del 2011 i Ministri pro tempore del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico hanno stabilito l'opportunità di costituire un tavolo nazionale del settore dell'elettrodomestico;
   in data 17 maggio 2012, nel corso della XVI Legislatura, in risposta all'interpellanza urgente 2-01486, prima firmataria la sottoscritta, il rappresentante del Ministero dello sviluppo economico ha riferito che:
    «il tavolo con le organizzazioni sindacali e l'azienda è operante e consente di tenere sotto monitoraggio continuo la situazione. La nostra opzione è quella che l'azienda realizzi il piano di allineamento, assestamento e ripresa industriale nei termini concordati nel marzo 2011» e «oltre a confrontarci con l'azienda, ci stiamo confrontando con l'associazione di categoria CECED Italia con la quale stiamo ragionando sulle criticità complessive del comparto»;
    «la seconda proposta degli interpellanti, ossia quella di valutare, in particolare per i siti di Susegana e Porcia, le iniziative atte a dare corso ad un piano di reindustrializzazione delle aree oggi inutilizzate degli stabilimenti già messe a disposizione dalla proprietà quali, ad esempio, l'assegnazione delle aree stesse alle società strumentali delle regioni interessate aventi la mission specifica della promozione dello sviluppo economico, rappresenta un tema che affronteremo senz'altro. Questa è un'indicazione che raccogliamo. Naturalmente il problema generale della reindustrializzazione è già sotto osservazione da parte del Ministero. Questa proposta di assegnare le aree alle società strumentali delle due regioni interessate può essere interessante ed è una proposta su cui lavoreremo»;
    «l'altra proposta che viene avanzata dagli interpellanti, quella di attivare presso il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e coinvolgendo le istituzioni, le regioni e via dicendo e, ovviamente, sindacati e aziende, un tavolo nazionale per il settore dell'elettrodomestico, viene accolta dal Governo... e convocheremo al più presto un tavolo sulla filiera dell'elettrodomestico in cui analizzare la situazione che, come rileva correttamente l'interpellante, è una situazione critica, certamente acuita dalla pesante recessione che colpisce il nostro come gli altri Paesi avanzati dal 2008, ma che richiede anche interventi di fondo, di strategia industriale, perché attinge ad una ridislocazione complessiva delle produzioni rispetto ai mercati di sbocco del settore degli elettrodomestici a livello, non solo europeo, ma internazionale»;
   successivamente, in data 25 luglio 2012, il Governo Monti, accogliendo l'ordine del giorno 9/5312/184, prima firmataria la sottoscritta, in sede di esame dell'atto Camera 5312-A, si è inoltre impegnato tra l'altro a valutare l'opportunità di: avviare immediate misure di contenimento del costo dell'energia, introducendo regimi tariffari speciali per i grandi consumatori industriali di energia elettrica; sostenere la domanda di mercato, estendendo la detrazione per la ristrutturazione edilizia anche all'acquisto di elettrodomestici da incasso di classe energetica non inferiore ad A+; prorogare la detrazione per la sostituzione di frigoriferi, congelatori e loro combinazioni prevista dal comma 353 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007; sostenere, anche mediante incentivi fiscali per aziende e consumatori (es. eco-prestito decennale), l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo nelle imprese del settore; favorire l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese del settore; contrastare la concorrenza sleale e intensificare altresì i controlli sui prodotti importati, per garantire qualità e sicurezza ai consumatori;
   tuttavia il tavolo nazionale permanente a livello governativo per la protezione e lo sviluppo del sistema industriale di questo settore non è stato costituito, né è stato concertato il piano d'azione tra tutti i soggetti interessati per dare risposte al comparto e non sono state messe in atto le azioni necessarie al suo rilancio, con l'unica eccezione contenuta nel decreto-legge n. 63 del 4 giugno 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 90 del 3 agosto 2013, dell'estensione della detrazione del 50 per cento dall'Irpef prevista per la ristrutturazione edilizia all'acquisto di grandi elettrodomestici di classe energetica A+ (classe A per i forni) finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione per le spese sostenute fino ad un limite massimo di euro 10.000;
   di recente Ceced Italia (l'Associazione nazionale dei produttori di apparecchi domestici e professionali) ha commissionato autonomamente uno studio sullo stato del mercato e la competitività del settore dell'elettrodomestico, al fine di favorire finalmente l'avvio del tavolo di lavoro nazionale, studio che dovrebbe essere completato nel prossimo mese di gennaio;
   nel frattempo, Electrolux, stante il trend allarmante del declino della produzione italiana (tornata ai livelli di 25 anni fa) e di quella europea allocata nel nostro Paese (scesa al 17 per cento), e considerato altresì che il divario competitivo si sta allargando (il raffronto tra costo del lavoro per un operaio polacco ed uno italiano è tra 4 euro/h e 23 euro/h), ha avviato una investigazione di competitività sostenibile di tutte le fabbriche EMEA presenti in Italia, volta a valutare la sostenibilità competitiva delle diverse produzioni, esplorare tutte le vie percorribili per consolidare i fattori di competitività e le azioni necessarie per permettere nelle aree più critiche un rapido ritorno alla profittabilità. Tale investigazione si concluderà entro aprile del prossimo anno, essendo volontà di Electrolux assumere le eventuali decisioni operative che consentano di recuperare competitività in tempo utile per cogliere le opportunità di crescita entro il 2015, incluso ove necessario a tal fine il ridimensionamento degli stabilimenti italiani. Tuttavia, in tale contesto, lo scorso 28 ottobre, l'azienda ha annunciato alle organizzazioni sindacali ulteriori 461 esuberi, conseguenti alla decisione di delocalizzare in altri siti la produzione, arrivando così il numero complessivo di esuberi del Gruppo nei quattro siti italiani a 1.550 a fronte di 6.185 dipendenti Electrolux;
   a tale cifra, già di per sé ingente, va aggiunta la perdita occupazionale ancor più consistente nell'indotto del settore e la prospettiva concreta di una desertificazione industriale del Nordest del Paese, ove l'industria del bianco rappresenta ciò che la Fiat rappresenta per il Nordovest dell'Italia;
   appare pertanto non più dilazionabile la messa in campo come sistema Paese di soluzioni di breve e di medio periodo da portare al tavolo di confronto con Electrolux entro l'inizio del prossimo anno, al fine di garantire che sui temi chiave della competitività Governo e sindacati siano disponibili ad azioni concertate se Electrolux si impegna a sua volta ad investire ancora in Italia. A tal fine va costruito in tempi rapidissimi un vero e proprio «patto» tra Governo, regioni interessate e sindacati da un lato ed Electrolux dall'altro, che – nel breve periodo – metta in campo tutti gli strumenti possibili per evitare l'accelerazione della delocalizzazione delle produzioni del medio di gamma verso l'Est Europa e nel medio periodo progetti un'alternativa di sviluppo concreta per il territorio, salvaguardando in ogni caso la permanenza in Italia del settore strategico della R&S e la produzione manifatturiera di più alto valore aggiunto sull'alto di gamma e sui nuovi prodotti;
   più in generale, va osservato altresì che nell'ambito dei gruppi multinazionali hanno particolare rilevanza i fenomeni di rilocazione all'estero di funzioni aziendali, rischi imprenditoriali, beni materiali o immateriali, i quali non scontano oggi nel nostro Paese un livello di imposizione adeguato ai valori attuali o potenziali trasferiti; tale situazione di fatto è agevolata dalle diverse possibili interpretazioni, attualmente sostenibili, della disciplina sui prezzi di trasferimento applicabile alle riorganizzazioni aziendali ai sensi delle linee guida sui prezzi di trasferimento emanate dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), ad oggi principale riferimento internazionale e domestico in materia;
   appare perciò necessario salvaguardare l'interesse nazionale in presenza di tali fenomeni, anche alla luce della legislazione già implementata nella Repubblica federale di Germania, che ha dato prova di salvaguardare l'interesse erariale, economico e sociale in conformità sia alle menzionate linee guida sui prezzi di trasferimento emanate dalla OCSE, sia al diritto comunitario, introducendo un contesto normativo più rigoroso sul piano fiscale che tuteli, in particolar modo, il know how delle aziende italiane che rappresentano l'eccellenza del tessuto produttivo manifatturiero italiano, al fine di scongiurare che aziende multinazionali possano essere in grado di acquisire e/o replicarla a basso costo, attraverso la delocalizzazione delle produzioni, il know how italiano nel mondo –:
   se non ritenga di avocare a sé l'iniziativa in materia per istituire con estrema urgenza il tavolo nazionale per il settore dell'elettrodomestico di concerto con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coinvolgendo le rappresentanze sindacali e di categoria, nonché le regioni interessate, stante l'urgenza di intervenire in un comparto produttivo strategico per l'industria in Italia, alla pari di Fiat, Alitalia e Telecom, per definire entro i prossimi mesi una strategia di politica industriale di breve e medio periodo e per implementare con urgenza le azioni necessarie per il rilancio del settore, inclusa la sorveglianza di mercato per il sostegno e la difesa del valore aggiunto del prodotto italiano, affinché possa continuare a dare il suo importante contributo alla crescita del Paese e alla salvaguardia dei livelli occupazionali;
   se non ritenga, in occasione del semestre italiano di presidenza europea, di affrontare la questione del declino del mercato europeo occidentale dell'elettrodomestico e del rischio della desertificazione produttiva nei paesi nell'Europa occidentale a causa della delocalizzazione del «bianco» nei Paesi dell'Europa dell'Est, ponendo a tema delle politiche comunitarie, di concerto con il Vicepresidente della Commissione europea con delega per l'Industria e l'Imprenditoria Antonio Tajani, la situazione di insostenibile disparità tra i Paesi membri in tema di costo del lavoro e dei servizi;
   se non ritenga di intervenire direttamente nei confronti della proprietà e del management di Electrolux per rendere esplicita la volontà del Paese di mantenere una forte presenza del gruppo in Italia, sollecitando l'operatività del tavolo di confronto già esistente presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dello sviluppo economico tra i vertici dell'azienda Electrolux ed i sindacati, coinvolgendo anche le regioni interessate, in particolare Veneto e Friuli Venezia Giulia, e le amministrazioni locali, con l'obiettivo da un lato di verificare l'attuazione da parte di Electrolux del piano di allineamento, assestamento e ripresa industriale nei termini concordati nel marzo 2011, e, dall'altro, di individuare nuove misure di sostegno alla competitività che possono essere messe in campo dalle istituzioni e dalle parti sociali e quelle di competenza dell'azienda che consentano di salvaguardare i poli produttivi in Italia, in particolare quelli di Susegana e Porcia, ed i livelli occupazionali, potenziando in ogni caso il settore strategico della R&S e lavorando infine anche sulla proposta di assegnazione delle aree dismesse dalla multinazionale svedese nei due siti alle società strumentali delle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, per dare corso ad un piano di reindustrializzazione, che potrebbe comprendere anche l'ipotesi di interventi di ottimizzazione energetica utili al rilancio degli investimenti;
   se non ritenga infine di assumere iniziative per l'introduzione anche in Italia di norme fiscali sulle riorganizzazioni transfrontaliere e delocalizzazioni che, sull'esempio di quanto già avviene in alcuni Paesi quali la Germania, nel rispetto della normativa comunitaria, salvaguardino l'interesse economico e sociale nazionale pur senza contraddire i principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento.
(2-00302) «Rubinato, Sandra Savino, Sanga, Ginato, Grassi, Rosato, Brandolin, Zanin, Rizzetto, Prodani, De Menech, Gnecchi, Cominelli, Madia, Lodolini, Valiante, Martella, Mognato, Fioroni, Rigoni, Zanetti, D'Incecco, Fedriga, Marcolin, Gentiloni Silveri, Prataviera, Marantelli, Cova, Maestri, Marco Di Maio, Gigli, D'Arienzo, Dal Moro, Benamati, Peluffo, Crivellari, Moretto, Casellato, Bonafè, Velo, Gasbarra, Milanato, Sbrollini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MALISANI e BLAZINA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante «Regolamento concernente la riorganizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135» prevede, tra l'altro, anche l'accorpamento di quatto uffici scolastici regionali tra cui quello del Friuli Venezia Giulia con quello del Veneto;
   il provvedimento si riferisce ad una regione a statuto speciale che ha tra le proprie prerogative anche il settore dell'istruzione. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione inoltre non considera la specificità regionale, rappresentata dalla presenza tre minoranze linguistiche, slovena, friulana e tedesca, riconosciute dalle leggi nazionali n. 482 del 1999 e la legge n. 38 del 2001 e da leggi regionali; in conseguenza di ciò, ci sono nella regione Friuli Venezia Giulia scuole con lingua di insegnamento slovena e/o insegnamento bilingue sloveno-italiano, scuole in cui vengono svolti corsi nelle tre lingue minoritarie, in particolare quella friulana. Va tenuto conto inoltre che molte scuole del Friuli Venezia Giulia hanno intrapreso in questi anni proficui rapporti di collaborazione con le scuole della vicina Repubblica di Slovenia con interscambi significativi di docenti e studenti. Altra specificità è rappresentata da un territorio molto variegato con un ampia area montana. Tutto ciò ha richiesto all'ufficio scolastico regionale un approccio specifico nella governance della scuola ed in particolare nella gestione del personale e degli organici. Da ultimo, va ricordato che all'interno dell'ufficio scolastico regionale è attivo un ufficio specifico per le scuole con lingua di insegnamento slovena con un proprio direttore;
   da tutto ciò si deduce che il sistema scolastico del Friuli Venezia Giulia presenta caratteristiche difficilmente assimilabili a quelle della regione Veneto;
   le indispensabili misure di contenimento della spesa non possono intaccare la specialità del Friuli Venezia Giulia e le sue specificità, nonché trascurare la funzionalità delle strutture amministrative e conseguentemente dei sistemi formativi;
   la proposta di accorpamento dell'ufficio scolastico regionale sta destando viva preoccupazione tra i diversi soggetti istituzionali, a partire dalla Presidente della regione Friuli Venezia Giulia –:
   se il Governo non ritenga opportuno – come già successo nella precedente legislatura – in base alle motivazioni sopra esposte rivalutare le scelte presenti nella bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e sospendere quella parte del provvedimento che riguarda l'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia in modo da garantire e tutelare la specificità del sistema scolastico regionale. (5-01458)


   BERGAMINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 22 al 25 ottobre 2013 si è svolto a Bali (Indonesia) l'ottavo meeting dell’Internet Governance Forum (IGF), convocato annualmente dalle Nazioni unite, in cui millecinquecento delegati da centoundici paesi hanno discusso per quattro giorni del presente e del futuro della rete;
   l'IGF è nato nel 2005 a Tunisi come luogo per internazionalizzare la governance di internet. Ogni anno l'IGF rappresenta un punto d'incontro per i membri accreditati alla World Summit on the Information Society (WSIS) e per capi di Stato e di Governo, rappresentanti di imprese e della società civile, personalità di provata esperienza per discutere i temi salienti dello sviluppo e dell'evoluzione della rete e che quest'anno ha dedicato una speciale attenzione alla sorveglianza su internet;
   in particolare al centro delle diverse discussioni vi sono state la robustezza e la sicurezza delle infrastrutture informatiche, la libertà d'espressione e il cybercrimine, la definizione del ruolo degli stakeholder nel disegnare una rete inclusiva, orientata allo sviluppo sostenibile e al rispetto dei diritti umani, la non discriminazione commerciale del traffico di internet, la sorveglianza di massa e della gestione tecnica della rete;
   per la prima volta il nostro Paese non ha partecipato con una propria delegazione ufficiale. Era invece presente una rappresentanza di Telecom Italia ad un workshop in tema di cooperazione tecnica e di investimenti necessari all'ammodernamento della rete e alla diffusione capillare della connettività, in cui sono stati approfonditi i cambiamenti che hanno caratterizzato Internet in questi ultimi anni e le implicazioni sulla governance mondiale della rete;
   l'assenza del nostro Paese ha suscitato stupore, considerato l'impegno profuso dall'Italia nelle precedenti edizioni del Forum, caratterizzate dalla presenza di delegazioni ad alto livello;
   tale mancanza risulta ancor più sorprendente considerando che il Presidente del Consiglio, partecipando il 21 ottobre 2013 ai lavori di «II Italian Digital Agenda Annual Forum» organizzato da Confindustria, ha ribadito l'importanza storica del digitale per il cambiamento del Paese. Ai lavori erano presenti il Commissario per l'attuazione dell'Agenda digitale Francesco Caio, la Vice-Presidente della Commissione europea e Commissario per l'Agenda digitale, Neelie Kroes e il Presidente di Confindustria digitale Stefano Parisi –:
   quali siano i motivi dell'assenza dell'Italia al Forum IGF e se non sia stato un errore non avere incaricato né il Ministero per lo sviluppo economico e neppure il Commissario per l'attuazione dell'Agenda digitale, Francesco Caio, di rappresentare il Paese a Bali per fare sentire la nostra posizione su importanti questioni che investono la rete e che nell'ultimo periodo hanno attirato l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale;
   quali iniziative il Governo intende adottare affinché l'Italia svolga all'interno dell'Icann, l'organizzazione impegnata nel mantenimento della sicurezza, della stabilità, dell'interoperabilità di internet e, soprattutto, nell'assegnazione dei domini, un ruolo propositivo e centrale nel dibattito internazionale in diverse questioni cruciali, tra cui quelle relative all'internet governance. (5-01463)


   TRIPIEDI, CIPRINI, COMINARDI, ROSTELLATO, RIZZETTO, BALDASSARRE, CHIMIENTI e BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale svedese Electrolux è un'azienda leader mondiale nel settore dell'elettrodomestico e delle apparecchiature per uso professionale;
   in data 28 ottobre 2013, a Mestre, la direzione di Electrolux ha presentato al Coordinamento sindacale un piano che prevede la messa in discussione degli stabilimenti italiani del gruppo, messi sotto investigazione dalla direzione stessa che intende svolgere, entro aprile 2014, la sostenibilità delle produzioni che si realizzano in Italia, analizzando le vie percorribili per consolidare i fattori di competitività e le azioni necessarie per una maggiore profittabilità;
   in modo esplicito la direzione aziendale ha spiegato che questo può significare il mantenimento, il ridimensionamento o la chiusura degli stabilimenti italiani di Porcia (PN) dove lavorano 1.160 addetti, di Susegana (TV) dove lavorano 1.033 addetti, di Solaro (MI) dove lavorano 912 addetti, di Forlì dove lavorano 843 addetti, preferendo a questi una delocalizzazione di una notevole parte dei suoi prodotti verso Polonia e Ungheria;
   la direzione di Electrolux ha deciso di avviare un'analisi per singola linea di prodotto dichiarando da subito che le produzioni italiane (in particolare le produzioni di lavatrici, frigoriferi e lavastoviglie), non sono competitive con le stesse produzioni che Electrolux realizza nei Paesi dell'Europa dell'est;
   la direzione di Electrolux ha comunicato la decisione di attivare da subito:
   a) il trasferimento nella fabbrica di Zarow (Polonia) della produzione di 225.000 lavastoviglie da 45 centimetri, attualmente prodotte nello stabilimento di Solaro;
   b) il trasferimento nella fabbrica di Olawa (Polonia) del trasferimento completo della produzione di 82.000 lavatrici della categoria «Prometeo», prodotto oggi prevalentemente venduto in Italia e con il mercato che vede, in questa fascia, un aumento dei volumi;
   c) il trasferimento immediato nella fabbrica di Jàszberèny (Ungheria) della nuova piattaforma del frigorifero ad incasso di nuova generazione «Cairo 3», la cui famiglia è oggi prodotta nello stabilimento di Susegana;
   d) una riduzione lineare che interessa l'insieme delle funzioni di staff riguardanti ricerca e sviluppo, centri tecnologici, IT, struttura commerciale;
   e) una riduzione, in Italia, di 261 unità totali del personale di produzione così ripartito: 75 unità nello stabilimento di Solaro, 46 unità nello stabilimento di Porcia, 140 unità nello stabilimento di Susegana;
   f) una riduzione, in Italia, di 200 unita totali del personale impiegatizio;
   g) alla cifra totale sopra citata di 461 esuberi va aggiunta quella dei 1.200 esuberi (oggi 1100 per effetto delle dimissioni incentivate), affrontati con il ricorso alla solidarietà 1/2 realizzata con accordo del 22 marzo 2013, con il rischio inevitabile di provocare, a cascata, la perdita di migliaia di posti di lavoro nell'indotto –:
   se il Governo, nella persona del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e della Presidente del Consiglio dei ministri, intenda incontrare in un tavolo tecnico le parti sociali coinvolte. (5-01466)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PICCIONE, BENI, PETRINI, PELILLO, BIONDELLI, GAROFANI e BERLINGHIERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il terzo comma dell'articolo 6-decies del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge del 25 giugno 2013, n. 71, recante «disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e le realizzazioni degli interventi per Expo 2015. Trasferimento di funzioni in materia di turismo e disposizioni sulla composizione del CIPE», prevede che le modifiche statutarie agli statuti delle camere di commercio italo-estere devono richiedere, ai fini dell'entrata in vigore, l'approvazione del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero degli affari esteri;
   tale norma rientra fra i pochissimi ma legittimi casi di norma ad effetto retroattivo, tant’è che la legge prevede che si intendono approvati gli statuti vigenti al 31 dicembre 2012, previo esame dei citati Ministeri, laddove il «previo» deve necessariamente intendersi «salvo». Infatti, in caso di interpretazione letterale, ciò comporterebbe un vuoto normativo nei regolamenti interni delle camere di commercio italo-estere e tale interpretazione risulterebbe illogica ed inapplicabile, rientrante fra le categorie interpretative che, secondo i principi e le norme dell'ordinamento giuridico italiano, anche per costante giurisprudenza in merito della Corte di Cassazione, sono da ritenersi illegittime;
   nel corso dell'ultima assemblea della camera di commercio italo-araba, tenutasi il 18 giugno 2013, sono state apportate alcune modifiche statutarie le quali, per la ragione appena esposta in premessa, non possono essere entrate in vigore e, pertanto, non può considerarsi entrata in vigore neppure la norma transitoria che con queste modifiche è stata approvata, in base alla quale sono stati dichiarati decaduti gli organi statutari che sarebbero, ai sensi dell'articolo 19 dello statuto, dovuti restare in carica ancora per 3 anni, e in base alla quale ne sono stati eletti dei nuovi la cui composizione è ora pubblicata nel sito istituzionale della camera italo-araba;
   ne discende di necessità che il consiglio di amministrazione e gli altri organi statutari della camera di commercio italo-araba che oggi sono legalmente e legittimamente in carica, debbano considerarsi e sono quelli che erano in carica prima dell'assemblea del 18 giugno 2013;
   il comma 2 dell'articolo 6-decies del citato decreto-legge n. 43 del 2013 così recita: «I soggetti titolari d'incarichi negli organi statutari sia monocratici che collegiali delle camere di commercio italo-estere o estere in Italia non possono restare in carica per più di due mandati consecutivi, riferiti non solo alla permanenza in una specifica carica, ma alla permanenza nei suddetti organi anche in presenza di variazione di carica. I soggetti che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto hanno superato il limite temporale di cui al primo periodo sono dichiarati decaduti con decorrenza dalla predetta data, senza necessità di alcun altro atto, e si procede alla loro sostituzione secondo le norme dei rispettivi statuti»; ne discende l'illegittimità dell'attuale vertice all'interno del quale il presidente Marini ha ricoperto l'incarico consecutivamente per più di 30 anni e anche, in prosecuzione temporale senza alcuna soluzione di continuità, ha svolto il ruolo di segretario generale, mentre molti dei consiglieri attuali hanno abbondantemente superato il limite dei 2 mandati;
   tali dati sono a conoscenza del Ministero dello sviluppo economico in quanto l'articolo 4 del decreto 15 febbraio 2000, n. 96 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 94 del 21 aprile 2000) prevede un obbligo di informazione delle camere italo-estere al Ministero. Recita infatti la norma: «Le Camere di commercio iscritte all'albo comunicano al Ministero del commercio con l'estero le informazioni utili affinché il Ministero stesso valuti la sussistenza del possesso dei requisiti e eventualmente provveda a revocare l'iscrizione. In particolare, esse informano con comunicazione del legale rappresentante a entro trenta giorni dalla variazione, sulla sede, sugli amministratori, sul benestare succitato, sui servizi alle imprese, sulle modifiche statutarie (da documentare con copia autenticata)» –:
   in considerazione del perdurante stato di illegittimità del vertice della camera di commercio italo-araba, ai sensi del decreto-legge n. 43 del 2013 che dichiara la decadenza «senza bisogno di alcun altro atto» dei soggetti che ricoprono incarichi statutari per più di due mandati, quali iniziative il Governo intenda assumere per ristabilire la legittimità degli organi della suddetta camera di commercio. (4-02529)


   RIZZETTO, BALDASSARRE, CIPRINI, BECHIS, ROSTELLATO, TRIPIEDI e COMINARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 19 gennaio del 2012 è stato sequestrato Giovanni Lo Porto, un italiano di 36 anni che lavorava nel sud del Punjab per la organizzazione non governativa tedesca Wel Hunger Hife;
   per quanto è dato sapere, il giorno del rapimento quattro uomini armati hanno fatto irruzione a Multan, vicino alle aree tribali a cavallo tra Pakistan e Afghanistan, nella casa dove viveva Giovanni, e lo hanno portato via con la forza insieme al suo collega Bernd Muehlenbeck, di 59 anni;
   nessuno ha rivendicato il loro rapimento, solo poco prima del Natale 2012, a quanto si apprende dalla stampa, è stato messo in rete un video nel quale Bernd Muehlenbeck dichiarava: «Ora siamo in difficoltà. Per favore accogliete le richieste dei mujahiddin. Possono ucciderci in qualsiasi momento»;
   l'uso del plurale nel predetto video, ha fatto sperare che i due si trovassero insieme e questo sarebbe la sola prova dell'esistenza in vita di Giovanni Lo Porto, almeno sino a quel periodo, da allora, è poi calato il silenzio da parte delle autorità italiane e dei mass media;
   sebbene in tali vicende le azioni delle autorità vengano svolte con la massima discrezione per tutelare l'ostaggio e consentire l'avvio dei contatti con i rapitori, si ritiene che dopo un anno e nove mesi dal rapimento, non siano state predisposte le opportune operazioni poiché non si ha alcuna notizia sugli esiti di eventuali indagini per rintracciare Giovanni, né si è al corrente di chi lo ha fatto prigioniero e se sia ancora in vita;
   il Governo e tutte le autorità competenti non possono abbandonare un giovane operatore umanitario italiano che si è recato in Pakistan per aiutare migliaia di persone colpite da una grave alluvione, vi è il dovere di compiere tutte le opportune azioni per individuare i rapitori e riportarlo alla sua famiglia, con la speranza che sia ancora in vita;
   dopo 22 mesi dal rapimento, non è accettabile che il caso di Giovanni Lo Porto sia caduto nel silenzio, in assenza di una qualsiasi notizia su quanto compiuto dalle Autorità preposte per rintracciare il giovane sequestrato –:
   se il Governo sia a conoscenza del rapimento di Giovanni Lo Porto;
   se siano stati stabiliti i necessari contatti e rapporti internazionali per rintracciarlo;
   quali attività siano state svolte e si intendano predisporre con la massima urgenza per acquisire notizie e risolvere positivamente questo drammatico caso.
(4-02531)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   DI SALVO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 17 agosto tre ragazze appartenenti al gruppo punk-rock Russo «Pussy Riot» (Yekaterina Samutsevich, Maria Alyokhina e Nadezhda Tolokonnikova) sono state condannate a due anni di carcere. A febbraio, per protestare contro il regime di Vladimir Putin, le tre ragazze erano entrate nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca e avevano suonato sull'altare. Un mese dopo sono state arrestate con l'accusa di comportamenti violenti e oltraggiosi. In Russia e nel resto del mondo sono nate molte manifestazioni di solidarietà. Il 10 ottobre Yekaterina Samutsevich è stata rilasciata e ora si trova in libertà vigilata;
   nell'agosto 2013, Maria Alekhina è stata trasferita in un campo di lavoro di Nizhnii Novgorod. In una lettera aperta diffusa il 23 settembre, Nadezhda Tolokonnikova aveva reso noto di aver intrapreso uno sciopero della fame in segno di protesta per il trattamento ricevuto nella colonia penale in cui è detenuta da quasi un anno, tra cui l'obbligo di lavori forzati in «un modo che ricorda la schiavitù» e le minacce di morte ricevute da un dirigente del campo di lavoro e da altre detenute. Per questo è stata messa in isolamento;
   il 26 agosto 2013 Maria Alekhina ha informato telefonicamente alcuni amici che la colonia penale ha fatto distruggere alcune lettere a lei indirizzate, perché contenevano «critiche di regime e nei confronti del sindaco di Mosca Sergei Sobianin»;
   il 30 agosto l'avvocato Irina Khrunova, difensore di Maria Alekhina, ha depositato un appello alla Corte di Nizhnii Novgorod chiedendo che venga rivista la sentenza e che le venga concesso di scontare la pena svolgendo lavori di pubblica utilità, in alternativa alla detenzione. La data dell'udienza di appello non è stata stabilita;
   Amnesty International ha denunciato che dal 22 ottobre, giorno in cui è stata prelevata dalla colonia penale, non è chiaro dove si trovi Nadezhda Tolokonnikova. Una fonte dell'amministrazione penitenziaria avrebbe informato il marito circa il possibile trasferimento verso una colonia penale in Siberia;
   l'amministrazione penitenziaria russa ha confermato il giorno 13 novembre che Nadia Tolokonnikova si trova in quarantena in un carcere del territorio di Krasnoyarsk, nel nord della Siberia. Lo ha reso noto il responsabile della Ong per i diritti umani della Russia, Vladimir Lukin, all'agenzia Interfax. «Mi è stato detto che al momento la donna si trova in infermeria nel penitenziario del territorio di Krasnoyarsk. Non appena la quarantena sarà terminata, i legali e i familiari di Nadia Tolokonnikova saranno informati, nel giro di due o tre giorni, su dove si trova», ha spiegato Lukin. Il responsabile per i diritti umani della Russia ha fatto sapere all'agenzia Interfax di «aver dovuto chiedere notizie sulla Tolokonnikova alla sede centrale del Servizio penitenziario russo, dato che l'ufficio di Krasnoyarsk continuava a smentire che la donna si trovasse in un carcere della zona»;
   Amnesty International ha lanciato un appello alle autorità russe per la scarcerazione di Nadia e Maria, essendo state arrestate solo per aver espresso pacificamente le proprie idee e quindi essendo prigioniere di coscienza. Si chiede che le due donne siano rilasciate immediatamente e senza condizioni, di garantire che durante la loro permanenza in carcere non vengano maltrattate dal personale carcerario o dai detenuti, e che siano loro assicurati regolari contatti con le loro famiglie e i legali –:
   quali misure la Ministra interrogata intenda adottare per difendere i diritti umani e per sostenere il diritto alla libertà di espressione;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per verificare le condizioni di Nadezhda Tolokonnikova e perché si trovi in quarantena;
   se non ritenga necessario, per quanto di competenza, agire per la scarcerazione di queste due prigioniere di coscienza.
(4-02541)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINATO e SBROLLINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i rilevamenti effettuati nel mese di luglio 2013 in alcune zone delle province di Vicenza, Padova, Verona in relazione all'inquinamento delle acque superficiali da sostanze perfluoro-alchiliche hanno evidenziato, come già richiamato nell'interrogazione n. 4-01521 poi trasformata nell'interrogazione n. 5-00979, una concentrazione di tali sostanze molto alta, pari a 1500 nanogrammi per litro nei comuni di Brendola, Sarego e Lonigo, sfiorando in un pozzo del capoluogo vicentino i 2000;
   ad oggi non esiste in Italia una normativa che disciplini la presenza di tali sostanze nelle acque superficiali, attualmente sono infatti ancora escluse dalle tabelle delle sostanze inquinanti;
   il 12 agosto 2013 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato la Direttiva 2013/39/UE che modifica le direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque;
   tale direttiva inserisce nella tabella degli standard di qualità ambientale (SQA) al numero 35, l'acido perfluorottanosolforico e derivati (PFOS) tra le sostanze identificate a pericolosità prioritaria e fissa un limite di concentrazione massima pari a 65 μg da raggiungere negli Stati membri entro il 2027 –:
   se, alla luce di tale direttiva europea che sancisce inequivocabilmente la pericolosità dei PFOS e, considerata la preoccupante concentrazione di queste sostanze rilevate nel territorio vicentino e veneto, il Ministro intenda assumere tempestivamente iniziative volte all'aggiornamento delle tabelle delle sostanze inquinanti a tutela dei cittadini e nell'ottica di un adeguamento della normativa italiana che non attenda il termine ultimo fissato da Parlamento e Consiglio europeo. (5-01461)


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Rimini ha avviato da tempo una sperimentazione per misurare il vento nel mare Adriatico, in particolare davanti alla coste di Rimini sulla piattaforma metanifera dell'Eni Azalea B;
   gli esiti della campagna di misurazione sono la premessa indispensabile per valutare la fattibilità economica ed ambientale di una wind farm in mare, in un'area che presenta caratteristiche che possono concretamente favorire l'installazione di un parco eolico off-shore;
   dal 2012 la provincia di Rimini partecipa inoltre al progetto europeo 4Power, approvato e finanziato nell'ambito della azioni dell'iniziativa Interreg IV C dell'Unione europea, che riunisce 11 partner di 9 diversi Stati dell'Unione europea, prevede l'analisi delle migliori pratiche relative allo sviluppo dell'eolico off shore e lo scambio di esperienze tra partner che hanno già avviato la produzione di energia da fonte eolica, studiando i modelli legislativi e le norme degli incentivi che finanziano, in diversi modi, la crescita delle rinnovabili;
   in occasione del meeting del progetto europeo 4POWER, dal 6 all'8 novembre scorsi, è stato fatto il punto sullo sviluppo dell'eolico off shore in Europa, dove sono già centinaia le turbine istallate che producono quote significative di energia rinnovabile, a costi contenuti e con evidenti vantaggi in materia di ambiente: nei primi 6 mesi si è già installato oltre 1 GW di potenza, circa il doppio rispetto allo stesso periodo del 2012 e quasi quanto si è realizzato nell'intero anno passato;
   l'Italia, però, resta tuttora fuori da questo sviluppo e la situazione è complicata spesso dalle questioni amministrative legate all'iter di approvazione dei progetti: l’iter amministrativo per il rilascio di una valutazione di impatto ambientale arriva a durare tre o quattro anni e poi magari essere rimesso in discussione o fermato da un ricorso al tribunale amministrativo per poi ricominciare di nuovo, senza sapere quando e come verrà definitivamente approvato;
   ad oggi non risulta realizzato ancora un solo parco eolico, ed esiste una sola autorizzazione rilasciata per un parco nelle acque della Sicilia –:
   se il Governo non ritenga opportuno lavorare per ottenere uno schema chiaro del sistema autorizzativo che superi i limiti della legislazione vigente, definisca i tempi delle procedure e approvi specifiche regole per la realizzazione degli impianti eolici offshore, al fine di uscire da una situazione di conflitti e polemiche causata dalla totale assenza di qualsiasi riferimento per la valutazione degli impianti;
   se non sia necessario intervenire sul sistema degli incentivi per le rinnovabili, assumendo iniziative per fissare una durata certa e stabile per un numero significativo di anni (almeno 10) e destinando una quota (10/15 per cento) al territorio su cui gli impianti vengono realizzati, introducendo un vantaggio fiscale e/o economico quale misura equa a vantaggio dello sviluppo delle rinnovabili;
   se non ritenga fondamentale la partecipazione delle comunità locali nei processi di decisione circa i progetti che riguardano l'eolico, con l'approvazione di norme simili a quello che in Francia è il public debat, per cui su un'opera si presenta il progetto, con dati certi e documentati, si discute, si argomenta, si ascoltano i tecnici, chi è favorevole e chi è contrario, si valuta attraverso un organismo autonomo e indipendente e poi si decide tenendo conto dei pareri dei suggerimenti e di quanto è emerso nella fase della discussione. (5-01464)

Interrogazione a risposta scritta:


   TIDEI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 22 del 1997 (decreto Ronchi), il decreto ministeriale n. 471 del 1999, il decreto n. 152 del 2006 hanno definito i SIN, siti interesse nazionale, come siti individuabili in relazione alle caratteristiche precipue, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini sanitari ed ecologici nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali;
   tali siti rappresentano delle aree contaminate considerate tra le più delicate dallo Stato italiano e che necessitano di interventi di bonifica del suolo, del sottosuolo e/o delle acque superficiali e sotterranee per evitare danni ambientali e sanitari;
   con la legge n. 179 del 31 luglio 2002 venivano aggiunti nuovi siti (Venezia Porto Marghera; Napoli orientale; Gela e Priolo; Manfredonia; Brindisi; Taranto; Cengio e Saliceto; Piombino; Massa e Carrara; Casal Monferrato; Litorale Domizio-Flegreo e Agro aversano; n) Pitelli; Balangero; Pieve Vergonte; Sesto San Giovanni – aree industriali e relative discariche –; Napoli Bagnoli-Coroglio – aree industriali –; Pioltello e Rodano; Brescia-Caffaro; Broni; Falconara Marittima; Serravalle Scrivia; laghi di Mantova e polo chimico; Orbetello area ex Sitoco; aree del litorale vesuviano; aree industriali di Porto Torres; area industriale della Val Basento) e col decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013 si trasferivano alle regioni alcuni siti di bonifica all'epoca classificati di interesse nazionale che non soddisfacevano i requisiti previsti ottenendo l'attuale elenco in cui sono 57 (28 dei quali interessano la fascia costiera) i siti di interesse nazionale sparsi in tutta Italia;
   Civitavecchia non era e non è inserita tra i siti di interesse nazionale, malgrado allo stato attuale il comprensorio della città presenti delle criticità ambientali uniche in Italia: la centrale termoelettrica a carbone di Torrevaldaliga Nord, la centrale termoelettrica a ciclo combinato di Torrevaldaliga Sud (tali impianti rendono il territorio il polo energetico più grande del Paese), il primo porto crocieristico del Mediterraneo, una rete di elettrodotti lunga più di 100 chilometri che percorrono in lungo e in largo il territorio comunale, una rete di depositi costieri ultracinquantennali con notevoli inquinamenti da idrocarburi nel sottosuolo che rischiano di interessare la falda acquifera, uno stabilimento industriale (Italcementi) aperto nel 1896 e solo recentemente dismesso senza che si siano completati gli interventi di bonifica, un centro chimico militare che altro non è che una discarica di materiale spesso ad alto rischio;
   a fine settembre 2013, i comuni dei siti di interesse nazionale si sono riuniti a Mantova per stilare e presentare una serie di istanze; si riporta di seguito il contenuto di tale documento: «i sindaci, nella loro veste di autorità comunale sanitaria poiché la salute di intere comunità e la tutela dei loro territori necessitano di un intervento netto e deciso, chiedono al Governo:
    la dichiarazione dello stato di crisi ambientale e sanitaria per tutti i siti inquinati di interesse nazionale, così da poter avviare percorsi di bonifica con carattere di massima urgenza;
   un intervento del legislatore al fine di revisionare/armonizzare la normativa specifica per la bonifica dei siti contaminati anche al fine di eliminare/chiarire aspetti normativi e tecnici ancora oggi molto controversi;
   la predisposizione di un piano operativo delle bonifiche da parte dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico che venga condiviso con i comuni;
   un provvedimento affinché la Cassa depositi e prestiti finanzi con “asse ad hoc” la messa in sicurezza, nei siti prioritari, dei fattori di rischio per salute e matrici ambientali, come da progetti esecutivi. Tali progetti devono essere validati dall'Agenzia Europea dell'Ambiente, e successivamente, per le aree certificate come “messe in sicurezza”, dovranno essere definite le nuove destinazioni d'uso, coerenti con le previsioni urbanistiche a scala locale;
   la garanzia di adeguate risorse economiche e umane al Ministero dell'ambiente, all'ISPRA e alle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, ciò al fine di rendere sempre più efficiente la Pubblica Amministrazione deputata per legge alle valutazioni dei progetti, al rilascio delle autorizzazioni ed alle attività di monitoraggio e controllo, così da accelerare le procedure di bonifica dei SIN;
   la creazione di uno strumento per la comunicazione trasparente e tempestiva a cittadini ed enti locali di ogni informazione relativa allo stato ambientale e sanitario del sito ed al progredire delle azioni di risanamento;
   l'adozione di un provvedimento che preveda di destinare ai Comuni che ricadono all'interno dei Siti di Interesse Nazionale almeno il 50 per cento dell'IMU degli opifici;
   l'adozione di un provvedimento che preveda di destinare ai comuni che ricadono all'interno dei Siti di Interesse Nazionale i proventi derivanti dai beni confiscati alla criminalità organizzata;
   il condizionamento del rinnovo dell'autorizzazione ambientale integrata alla fornitura di idonee e qualificate garanzie costituite mediante polizza fideiussoria vincolata all'esecuzione delle specifiche opere di bonifica e al risarcimento del danno ambientale» –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti riportati in premessa;
   se non ritenga, alla luce di quanto premesso, che si renda necessario prendere in considerazione l'inserimento della città di Civitavecchia nei siti di interesse nazionale. (4-02527)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia annovera sul suo territorio quarantanove luoghi che fanno parte dell’Unesco World Heritage, lista in cui il Belpaese detiene il primato assoluto di presenza, con il 5 per cento sul totale mondiale, oltre ai quattro associati alla categoria dei beni «immateriali». Un grande patrimonio collocato sul territorio di 302 comuni: quasi tutte le grandi aree urbane da Roma a Genova, Venezia, Firenze, Torino, Milano e Napoli; molte città di medie dimensioni, da Pisa a Siena a Verona a Ferrara e Mantova; poi, un gran numero di piccoli comuni collocati in contesti di grande pregio artistico o naturalistico, come la Costiera Amalfitana, la Vai d'Orcia e le Cinque Terre;
   il fatto di rientrare nel novero dei luoghi più significativi dell'umanità ha un ovvio effetto positivo sul prestigio e sulla notorietà internazionale di ambiti territoriali che, in molti casi, sarebbero altrimenti relativamente poco visibili nonché sull'aumento dei flussi turistici;
   nei territori menzionati vi sono circa 23.000 strutture ricettive e circa 710.000 posti letto, pari al 15 per cento del totale dell'offerta esistente in Italia;
   l'Istituto nazionale di ricerche turistiche ha cercato di verificare in concreto l'impatto sulla domanda turistica determinato dal fatto di essere un «sito Unesco» e i dati elaborati confermano che nei siti Unesco le performance sono generalmente migliori. Sia nel 2011 che nel 2012 e nei primi sei mesi di quest'anno, il tasso di occupazione delle camere è stato sempre nettamente maggiore rispetto a quello delle altre mete di viaggio, con poche eccezioni, in tutti i mesi dell'anno; le differenze (nell'ordine del +15-20 per cento) si manifestano nei mesi prima e dopo l'estate. La comparazione dell'andamento delle vendite delle camere da gennaio 2011 a giugno 2013 nei «siti Unesco» e in quelle nelle altre destinazioni conferma che questi ultimi riescono a destagionalizzare in maniera rilevante la domanda, con presenze proporzionalmente numerose anche in autunno e primavera. Nei «siti Unesco», inoltre, oltre il 71 per cento delle strutture ricettive prevede il booking on-line, contro il 64 per cento) di quelle collocate nelle destinazioni «normali». Si evidenzia, dunque, una maggiore diffusione delle tecnologie e migliori competenze di gestione avanzata delle relazioni con i clienti;
   a fronte di questi dati positivi, non sembra però corrispondere un vantaggio anche per quanto riguarda la spesa dei turisti. La differenza della spesa media sul territorio è di meno del 5 per cento (pari ad appena 3 euro in valore assoluto); ancora minore, nel caso della spesa per alloggi. Più significativa è la maggior spesa per il viaggio, a testimonianza che il differenziale di attrattività dei «siti Unesco» risulta forte nel caso della domanda internazionale;
   nonostante i Siti Unesco italiani attirino flussi di turismo, anche stranieri, superiori alla media, non si registrano entrate rispondenti alle attese –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se il Governo non ritenga di intervenire nell'ambito delle proprie competenze, adottando iniziative che consentano un rafforzamento dell'offerta da parte di tutti i soggetti impegnati nella promozione turistica della cultura, dell'ambiente e dell'enogastronomia tale da innescare un processo virtuoso che abbia come conseguenza un aumento della qualità proposta ai turisti e pertanto della loro spesa sul territorio;
   se i Ministri interrogati non ritengano di intervenire affinché il riconoscimento di «patrimonio dell'umanità» non sia sfruttato solo in termini di mera comunicazione di uno stato in essere ma venga considerato un volano per tutto il turismo nazionale, tutelato e gestito attraverso la delineazione di strategie di marketing e di digitalizzazione dell'offerta che facilitino i turisti nella programmazione del proprio viaggio e lo invoglino alla visita del nostro paese con l'obiettivo di aumentare la spesa dei turisti nei siti di maggior prestigio;
   se il Governo non ritenga che i siti Unesco, e in generale il nostro patrimonio, costituiscano una priorità del nostro sviluppo, che la cultura e il turismo siano leve di rilancio per l'economia e che occorra un'azione sinergica e una gestione condivisa tra governo, parlamento, istituzioni locali e imprese affinché si abbia uno sviluppo organico dell'offerta territoriale. (5-01472)


   ANZALDI e VECCHIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con le dimissioni dell'allora sindaco della città di Siracusa, Roberto Visentin e con la naturale scadenza del mandato del consiglio di amministrazione il Ministero dei beni culturali con decreto dell'11 aprile 2013 ha proceduto al commissariamento dell'Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa nominando il dottor Alessandro Giacchetti Presidente dello stesso;
   all'atto della nomina il dottor Giachetti ricopriva l'incarico di commissario al comune di Siracusa e commissario della provincia regionale, incarico quest'ultimo ancora oggi ricoperto;
   il dottor Giachetti oltre ad essere nominato presidente dell'Inda ricopre anche la carica di sovrintendente, incarico su cui insistono perplessità, essendo sprovvisto, per curriculum e studi di ogni requisito previsto dalla legge e dallo statuto in più il consiglio di amministrazione allora in carica aveva provveduto, con decisione riportata dal verbale dell'8 febbraio 2013 a ribadire la terna dei candidati a ruolo di sovrintendente, proposta in prima istanza nel novembre 2012;
   il decreto di nomina, oggetto della presente interrogazione, scade il prossimo 31 dicembre 2013 e nonostante nel giugno scorso sia stato eletto il nuovo sindaco che la legge istitutiva della Fondazione individua quale presidente della fondazione e legale rappresentante dell'INDA, il Ministro competente non ha ancora provveduto a revocare il decreto di commissariamento;
   colpisce anche la mancanza di garbo istituzionale del dottor Giacchetti il quale non ha avvertito neppure il dovere quanto meno formale di rassegnare le proprie dimissioni con l'elezione del nuovo sindaco;
   il Commissario dell'Inda ha proseguito nella sua gestione e, la scorsa estate, il 27 giugno ha anche annunciato al Teatro Greco i titoli della stagione 2014;
   avrebbe inoltre annunciato, nelle stessi sedi, che cambierà l'abituale calendario di programmazione, introducendo l'alternanza non più di due ma di tre spettacoli a settimana;
   ha lasciato interdetta tutta la comunità questo cambio di programma e soprattutto questa improvvisa accelerazione dell'organizzazione dell'evento;
   il commissario ha predisposto anche il bando per la biglietteria (pubblicato sul sito internet già lo scorso 15 settembre e assegnato un mese dopo, e consta che la biglietteria venderà secondo il calendario annunciato dal commissario), la definizione del cast e l'individuazione di manifestazioni collaterali;
   il prossimo aprile 2014 ricorre il centenario della nascita dell'Istituto nazionale del dramma antico una istituzione fortemente voluta da personalità siracusane;
   l'autonomia della Fondazione è stata, fino alla fine del 2012, faticosamente conquistata soprattutto grazie a bilanci in attivo;
   in passato l'Inda è stato oggetto di un'inchiesta per associazione a delinquere di stampo mafioso che ha coinvolto anche i vertici amministrativi;
   inoltre, va ricordato lo scandalo legato all'ipotesi, mai confermata, di voto di scambio in relazione all'esorbitante numero di maschere assunte durante la campagna elettorale dell'elezioni amministrative del 2004;
   è tempo che la città torni ad organizzare e controllare tutti gli eventi legati alle rappresentazioni classiche e al centenario dell'INDA e garantire che essi si svolgano nella massima trasparenza e controllo degli organi deputati e legittimati a questo, per evitare anche rischi di infiltrazioni politiche-malavitose ancora oggi possibili a fronte dell'assenza di organi statutari e della notevole capacità economica dell'INDA;
   è davvero impensabile che Siracusa festeggi e organizzi in tempi ristretti, il centenario dell'INDA, che è parte integrante della sua storia, senza il coinvolgimento delle istituzioni locali a partire dall'amministrazione comunale eletta a fine estate tutto per colpa di un incomprensibile schiaffo istituzionale;
   proprio nell'anno del centenario, che avrebbe dovuto esaltare la vocazione originaria dell'Istituto, nata in seno alle dinamiche del pensiero europeo, coinvolgendo personalità di riconosciuto profilo internazionale, a causa dell'assenza degli organi competenti della Fondazione e della totale mancanza di una adeguata progettazione, si rischiano trattative e scelte clientelari (già riportate dai giornali) fondate sull'appartenenza politica o vicinanze ad associazioni o teatri per la scelta di registi, interpreti, scenografi, costumisti, elettricisti, fonici e maestranze;
   si corre il forte rischio, come si evince dalle premesse finora riportate, che il centenario dell'Istituto finisca per essere svilito da una gestione commissariale che ad oggi ha mostrato gravi limiti gestionali e mancanza di rispetto istituzionale, oltre che ad evidenziare lacune e carenze dal punto di vista progettuale e culturale;
   lo stesso iter di modifica della legge istitutiva dell'Inda, con la riduzione, tra l'altro, dei componenti del consiglio di amministrazione da 8 a 5, approvato dal consiglio di amministrazione lo scorso 8 febbraio 2013, sembrerebbe essere giunto a conclusione –:
   quali siano le ragioni per cui ad oggi al nuovo sindaco della città di Siracusa non è stato concesso il diritto, previsto dalla legge istitutiva, di essere il presidente della fondazione e il legale rappresentante dell'INDA;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare in tempi rapidissimi per procedere alla revoca dell'attuale commissario prefetto Alessandro Giacchetti considerato che sono venute meno le funzioni che lo hanno portato a ricoprire anche questa carica riportando l'INDA nella legalità e trasparenza, e verificando le azioni poste in essere dal commissario durante il suo mandato, anche in previsione del centenario dell'Istituto, per consentire alla città di Siracusa di organizzare un evento di caratura internazionale restituendo lustro alla storia e alla cultura della città.
(5-01478)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'aeromobile a pilotaggio remoto o APR, noto come drone, è un velivolo che viaggia in assenza del pilota umano a bordo. Il suo volo è controllato dal computer a bordo del velivolo, sotto il controllo remoto di un navigatore o pilota, sul terreno o in un altro veicolo;
   l'inclusione del termine aeromobile sottolinea che le operazioni devono rispettare le stesse regole e le procedure degli aerei con pilota ed equipaggio di volo a bordo;
   il loro utilizzo è ormai consolidato per usi militari e crescente anche per applicazioni civili, ad esempio in operazioni di prevenzione e intervento in emergenza incendi, per usi di sicurezza non militari, per sorveglianza di oleodotti, con finalità di telerilevamento e ricerca e, più in generale, in tutti i casi in cui tali sistemi possano consentire l'esecuzione di missioni spesso con costi minori rispetto ai velivoli tradizionali;
   sono noti anche attraverso altri acronimi, molti dei quali di derivazione anglosassone: oltre a RPA (Remotely piloted aircraft) possono essere indicati come UAV (Unmanned aerial vehicle), RPV (Remotely piloted vehicle), ROA (Remotely operated aircraft) o UVS (Unmanned vehicle system), e altro;
   gli APR sono stati accostati in maniera diretta al monitoraggio ambientale e delle aree colpite gravemente da terremoti e inondazioni. Un esempio sono gli APR americani Global Hawk che hanno sorvolato la Centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, in Giappone, addentrandosi nella zona vietata (no go zone), col fine di monitorare i reattori dopo le esplosioni causate dal terremoto del Tōhoku del 2011, scattando anche foto con i sensori a infrarossi. L'alta radioattività rendeva infatti impossibile l'avvicinamento di esseri umani;
   gli APR possono essere utilizzati anche per monitorare nel tempo gli impianti di produzione di energia elettrica, o più in generale impianti industriali, utilizzando degli appositi sensori (termocamere, camere multispettrali e altro);
   Gli APR possono svolgere un ruolo importante nelle operazioni di ricerca e soccorso consentendo di effettuare delle ricognizioni in tempi rapidi, in particolare a seguito del verificarsi di situazioni di emergenza;
   è notoria l'emergenza roghi, che attanaglia quella parte di territorio compresa tra il litorale domitio-flegreo, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, indicata col termine «Terra dei Fuochi», dove ogni giorno, più volte il giorno, tonnellate di rifiuti industriali, urbani e speciali, sono abbandonati incontrollatamente ai margini delle strade o nelle campagne e poi dati alle fiamme. Uno smaltimento a basso costo per chi compie questi atti illeciti, che ha un costo altissimo in termini di salute per chi lo subisce;
   nella terra dei fuochi, da anni si consuma uno dei delitti ambientali più atroci: lo sversamento illegale, con roghi che rimettono in circolazione nell'aria i rifiuti: è la morte dello Stato, il trionfo dell'illegalità, una condanna per gli abitanti, per l'economia, la terra, l'acqua e l'aria;
   detto inquinamento ha prodotto in alcuni punti anche la nascita di laghetti artificiali debitamente nascosti agli occhi umani, formatisi per effetto di percolato e liquami scaturiti dal processo di putrefazione dei rifiuti abbandonati o interrati;
   in data 14 ottobre 2013 un lancio di agenzia stampa Ansa informava che «Nell'operazione di sorveglianza e soccorso nel Mediterraneo verranno anche usati i droni, gli aerei senza pilota, oltre ad elicotteri con strumenti ottici ad infrarossi. Lo ha detto il ministro della Difesa, Mario Mauro, al termine del vertice di Palazzo Chigi dedicato all'emergenza immigrazione»;
   in data 3 ottobre 2013 il sito di informazione Julie News informa che: «A Caivano, in località Sant'Arcangelo, durante un servizio di controllo del territorio finalizzato alla prevenzione e repressione di reati in materia d'inquinamento ambientale, i carabinieri della locale tenenza insieme ai col leghi del nucleo operativo ecologico di Napoli, in un'area di circa 30.000 mq, adiacente l'impianto di depurazione delle acque reflue urbane di Acerra, durante lavori di manutenzione alla condotta fognaria, hanno rinvenuto, interrati a circa 40 cm di profondità, rifiuti speciali pericolosi e non, in particolare costituiti da plastica, materiale edile di risulta, pneumatici usati, pulviscolo grigio verosimile scoria di alto forno, materiale in cemento amianto, ferro, asfalto, legno e altri rifiuti solidi non meglio identificabili, stimati in circa 36.000 tonnellate di rifiuti. Tutta l'area è stata sequestrata. L'area posta sotto sequestro dai carabinieri è di proprietà della regione Campania: i militari stimano che nel terreno siano stati interrati decine di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali e non. I lavori per la realizzazione delle condotte che collegano le fogne di Caivano all'impianto di depurazione delle acque reflue di Acerra (Napoli) risalgono a una decina di anni fa»;
   in data 16 ottobre 2013 il lancio dell'agenzia stampa Agi riferiva che: presso «il 32o stormo dell'Aeronautica militare, che ha sede ad Amendola, sono operativi i Predatori, gli aeromobili a pilotaggio remoto (Apr), meglio noti come droni, e i caccia AM-X, assetti entrambi da tempo impiegati in Afghanistan» e che per «le predisposizioni in atto da parte della forza armata a supporto della missione umanitaria «Mare Nostrum» l'Aeronautica militare fornirà la capacità di ricognizione e sorveglianza aerea dei Predator. I Predator svolgeranno attività di sorveglianza aerea con il duplice fine di salvare vite umane in pericolo e identificare le navi-madri utilizzate dagli scafisti. Il Predator può volare fino ad 8.000 metri di quota per oltre 20 ore consecutive permettendo, grazie alla sinergia fornita da un team composto da piloti, operatori dei sensori di bordo, supervisori della missione e tecnici, e agli evoluti sensori di bordo, di realizzare riprese elettro-ottiche, all'infrarosso e radar. Le immagini, che possono essere disseminate ovunque necessario, vengono “interpretate” ed utilizzate in tempo reale dalle sale operative di comando e controllo allo scopo di ottimizzare l'impiego delle risorse aeree e navali per l'assolvimento della missione. Inoltre, sono in fase di completamento le operazioni di predisposizione logistica per un eventuale impiego dell'Apr anche da altre basi, qualora ritenuto successivamente un requisito operativo necessario per estendere ulteriormente la già considerevole permanenza dell'assetto in area di operazioni;
   grazie alle capacità di uomini e mezzi ed alle caratteristiche di persistenza, i velivoli Predator, sono «l'occhio dall'alto» e costituiscono una capacità ormai considerata «irrinunciabile» nelle operazioni militari, con possibili future ricadute tecnologiche anche nei settori civili;
   le cronache quotidiane nei mesi di ottobre e novembre 2013 riferiscono di ripetuti ed ampi impieghi dei droni all'interno di piani civili;
   in data 23 ottobre 2013 il programma «Dentro la Notizia» su Rete 4 ha delineato un quadro drammatico della condizione creatasi sul piano della salute nella «Terra dei Fuochi»;
   con cadenza quotidiana i mass media informano della drammaticità della situazione nell'area suddetta;
   nell'ambito di tale progetto che l'impiego delle unità previste dallo stesso sarebbero quelle contemplate l'articolo 24, comma 74, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 e l'articolo 7-bis, comma 1, terzo periodo, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125;
   è stata parzialmente approvata la mozione Di Maio (1-00150) martedì 5 novembre 2013, seduta n. 111), e si ricorda in speciale modo l'impegno a Porre in essere tutte le forme di controllo incisivo del territorio campano atte a far cessare il criminale e illecito sversamento di rifiuti tossici in zone agricole e ad alta densità abitativa»;
   l'utilizzo di droni finalizzati al monitoraggio, sorveglianza, alla prevenzione e al controllo in sicurezza del territorio porterebbe ad un risparmio economico di pattuglie e gazzelle delle forze dell'ordine impiegate o da impiegarsi nella prevenzione dei reati in loco, senza compromettere la salute degli agenti e militari che opererebbero nelle zone interessate da roghi e sversamenti, permettendo così un pronto intervento sui fatti delittuosi e l'individuazione dei piromani e dei conducenti di mezzi dediti al conferimento illegale di fusti e rifiuti;
   un coordinamento interministeriale che possa fare capo all'espletamento e funzionamento dei mezzi menzionati al fine del loro corretto utilizzo considerando che la protezione civile non avrebbe volontari o personale preposto per l'impiego degli stessi mezzi –:
   se si intenda mettere in utilizzo il parco droni nella disponibilità militare italiana e in particolare, quale sia l'orientamento del ministero interrogato in relazione all'impiego nell'ambito del contrasto preventivo e repressivo tale strumento di difesa per rendere più efficace la lotta agli sversamenti illeciti onde tutelare maggiormente la salute degli abitanti della «Terra dei Fuochi». (4-02539)


   ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 16 settembre 2011, l'Arma dei carabinieri ha pubblicato un bando di concorso per titoli ed esami, per l'ammissione al 2o corso triennale (2012-2015) di 490 allievi maresciallo;
   il 25 febbraio 2012, la medesima amministrazione ha pubblicato un bando di concorso per titoli ed esami per il reclutamento di 1886 allievi carabinieri effettivi, ai sensi dell'articolo 199 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari delle Forze armate in ferma prefissata di un anno o quadriennale;
   espletate le procedure concorsuali, le stesse si sono concluse con la pubblicazione delle graduatorie finali di merito che avrebbero dovuto ammettere gli idonei vincitori alla frequenza del corso formativo;
   il provvedimento di revisione della spesa (cosiddetta spending review) ha introdotto – con l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – la riduzione del turn over per la pubblica amministrazione, ed anche per il comparto sicurezza-difesa, comportando la contrazione dei posti banditi nei due concorsi sopra richiamati a 150 allievi maresciallo (anziché 490) e 240 allievi carabinieri (anziché 1.886);
   già con la legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) si è provveduto, in sede parlamentare, ad incrementare lo stanziamento e le percentuali di turn over nel comparto sicurezza-difesa, al 50 per cento per l'anno in corso e per il prossimo, e al 70 per cento per l'anno 2015;
   nella risposta che il Ministro ha fornito ai precedenti atti di sindacato ispettivo (4-00457 e 4-00560), si evince che l'Arma dei carabinieri, a fronte di 3.138 cessazioni dal servizio rilevate nel 2012, ha predisposto un programma di assunzioni per l'anno in corso, che prevede 1.569 nuovi reclutamenti;
   secondo il Ministro, detto piano assunzionale, avrebbe dovuto permettere di soddisfare gradualmente – già a decorrere da questo autunno – le aspettative di larga parte dei giovani candidati nei bandi sopra richiamati, risultati «idonei non prescelti» per effetto del blocco del turn over operato con il provvedimento di revisione della spesa;
   peraltro, le evidenti esigenze di efficienza del comparto sicurezza-difesa hanno convinto il Governo a presentare nel disegno di legge di stabilità per l'anno 2014, un aumento del turn over al 55 per cento per l'anno prossimo, e alla luce di questo aumento di capacità assunzionale, è auspicabile che si giunga in tempi rapidi alla presa in carico di tutti i restanti vincitori ancora non assunti;
   si ricorda, che dietro ai numeri del concorso 490 allievi maresciallo e 1886 allievi carabinieri, ci sono vite ed aspettative di ragazzi e ragazze che hanno vinto un regolare concorso del Ministero della difesa e che sulla base di ciò hanno assunto decisioni e scelte personali, rinunciando, in alcuni casi, anche ad altre offerte di lavoro;
   sono giovani carichi di entusiasmo che purtroppo si trovano, e non è la prima volta, ad affrontare delle prove di selezione che poi non si traducono in un'assunzione di personale, creando uno stato di sconforto e di incertezza che sta determinando notevoli disagi ai vincitori non assunti e alle loro famiglie –:
   se nel corso del 2013, l'Arma dei carabinieri abbia proceduto con le 1.569 assunzioni previste nel piano elaborato dall'amministrazione e quante di queste assunzioni abbiano riguardato il concorso per 490 allievi maresciallo e 1.886 allievi carabinieri;
   rimanendo le percentuali del turn over indicate dalla legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228), quali sarebbero i tempi per l'assunzione dei restanti vincitori dei concorsi richiamati e quali sarebbero i tempi di presa in carico degli idonei non prescelti con la percentuale di turn over indicata nel disegno di legge di stabilità che il Governo ha presentato alle Camere (55 per cento per il 2014);
   quali iniziative il Ministro intenda promuovere per tutelare la posizione dei vincitori e degli idonei delle due graduatorie, ferma restando la validità delle stesse sino al 31 dicembre 2016, come disposto dall'articolo 4, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101.
(4-02540)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LENZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, l'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha istituito il meccanismo delle cosiddette «finestre mobili», con le quali si posticipava – per un periodo dai 12 ai 18 mesi, a seconda della categoria di lavoratori cui si apparteneva – il momento della percezione del trattamento pensionistico rispetto alla data effettiva di maturazione del diritto alla pensione;
   al fine di tutelare specifiche categorie di soggetti, il comma 5-bis del medesimo articolo ha, però, previsto la concessione del prolungamento dell'intervento di tutela del reddito per il periodo di tempo utile al raggiungimento del trattamento pensionistico per: i lavoratori collocati in mobilità sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010 e che avessero maturato i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione del periodo di mobilità; i lavoratori collocati in mobilità lunga per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010; i lavoratori che all'entrata in vigore del decreto in oggetto fossero titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore;
   per gli anni 2011 e 2012, tale misura – a valere delle risorse disponibili del fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 – è stata adottata mediante l'emanazione dei decreti interministeriali 5 gennaio 2012, n. 63655 e 2 ottobre 2012, n. 68225;
   nell'anno 2013 tale provvedimento, che riguarda 4455 lavoratori rimasti senza reddito e senza pensione – e quindi da considerarsi «esodati ante litteram» – non è ancora stato emanato, con gravi ripercussioni sul piano economico per migliaia di famiglie;
   in data 11 ottobre 2013, il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Carlo Dell'Aringa, ha dato risposta all'interpellanza urgente 2-00236, con la quale si sollecitava il Governo a intervenire con urgenza anche per l'anno 2013;
   il Sottosegretario dichiarava che «il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito in favore dei lavoratori interessati, è già stato firmato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed è attualmente alla controfirma del Ministro dell'economia e delle finanze...» e che, pur essendo stata particolarmente articolata l'istruttoria necessaria alla predisposizione del provvedimento, l'adozione del decreto poteva «considerarsi in via di definizione» e le procedure seguite e adottate facevano «ritenere che la firma da parte del Ministro dell'economia e delle finanze sia solo questione di tempo, considerato che tutti i problemi dovrebbero essere stati risolti in via preventiva»; il Sottosegretario Dell'Aringa, inoltre, affermava che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sarebbe stato parte attiva affinché il perfezionamento della procedura si concludesse nel più breve tempo possibile;
   a distanza di più di un mese dall'intervento del rappresentante del Governo, l'atto, a oggi, non risulta essere ancora stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale;
   tale stato di incertezza non è più procrastinabile: occorre garantire senza indugio l'adozione della misura di concessione del prolungamento dell'intervento di tutela del reddito per i lavoratori interessati, al fine di salvaguardarne la sussistenza economica –:
   per quali ragioni il decreto di cui in premessa non sia stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale. (5-01475)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI, TURCO, BUSINAROLO e AGOSTINELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 78 del 1o luglio 2013 convertito dalla legge n. 94 del 9 agosto 2013, il Governo è intervenuto in materia di edilizia penitenziaria al fine di fronteggiare il problema del sovraffollamento carcerario;
   l'articolo 4 di tale decreto ha esteso e prorogato i compiti del commissario straordinario delegato alla gestione delle infrastrutture carcerarie;
   in particolare, la lettera d) del comma 1 del citato articolo di legge ha affidato al commissario la «destinazione e valorizzazione dei beni immobili penitenziari anche mediante acquisizione, cessione, permuta e forme di partenariato pubblico-privato ovvero tramite la costituzione di uno o più fondi immobiliari, articolati in un sistema nazionale e locale»;
   nel corso di un incontro informale avuto recentemente con alcuni parlamentari, il commissario straordinario in carica, prefetto Angelo Sinesio, ha tuttavia riferito che, alla luce di quanto disposto dal decreto n. 78 del 2013, tra le sue prerogative non rientrerebbe la costituzione di nuovi fondi immobiliari, ma soltanto il conferimento di beni in fondi immobiliari già esistenti;
   l'interpretazione della norma fornita dal prefetto Sinesio appare quanto mai restrittiva rispetto all'espressione letterale contenuta nell'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto («tramite la costituzione di uno o più fondi immobiliari»)  –:
   se i Ministri interrogati intendano chiarire quale sia la corretta interpretazione dell'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto-legge n. 78 del 1o luglio 2013, convertito dalla legge n. 94 del 9 agosto 2013, specificando se tra le prerogative del commissario straordinario nominato dal Governo vi sia o meno la costituzione ex novo di fondi immobiliari cui attingere per contrastare il fenomeno del sovraffollamento carcerario in Italia. (5-01460)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come rappresentato dall'Anci (Associazione nazionale comuni italiani) sulla base derivano da un approfondito studio in materia i trasferimenti delle risorse statali ai comuni a seguito delle manovre finanziarie sono diminuite negli ultimi 3 anni di circa 6 miliardi e 450 milioni determinando una situazione finanziaria di assoluta insostenibilità;
   in questo quadro di riduzione progressiva di trasferimenti si inserisce l'anomalia rappresentata dalla legge 24 aprile 1941, n. 392 recante «Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari» che pone anacronisticamente a carico dei Comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari che poi sono rimborsate dal Ministero della giustizia con l'erogazione di un contributo economico annuo, mai integrale; tale previsione normativa che mette a carico dei Comuni le spese degli uffici giudiziari è stata emanata nel 1941 cioè prima della nascita della Repubblica e dell'approvazione della nostra Carta costituzionale che per ora assegna allo Stato le funzioni in materia di giustizia;
   a fronte di una spesa media annuale dei tribunali ed uffici giudiziari – ed anticipate dai bilanci dei Comuni – pari a 315 milioni di euro annuo, negli ultimi tre anni il contributo versato dallo Stato ai comuni a titolo di rimborso è stato compreso tra il 60-80 per cento delle spese effettivamente sostenute e che gli acconti e i saldi sono stati spesso erogati accumulando gravi ritardi, a volte anche di diversi anni;
   nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia sono iscritti per l'esercizio in corso solo 79,8 milioni di euro mentre le spese sostenute dai comuni relative all'anno 2012 sono di oltre 300 milioni di euro, già anticipati dalle casse delle amministrazioni comunali;
   il processo di riorganizzazione delle sedi giudiziarie sul territorio nazionale ha, tra le inevitabili conseguenze, una maggiore concentrazione di spese sui comuni dove sono state accorpate le sedi giudiziarie soppresse dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155;
   a ciò si aggiunge che nei comuni accorpanti le sedi giudiziarie soppresse, iniziano ad emergere nuove richieste di spesa da mettere a carico dei bilanci comunali che si esplicitano in spese per il trasloco, spese per la realizzazione, adeguamento e messa in sicurezza di nuove sedi, spese per le nuove utenze, spese per i nuovi servizi di vigilanza e di gestione ordinata degli immobili, con richiesta da parte dei Tribunali di risorse aggiuntive e ulteriori comprese tra il 15 per cento il 110 per cento rispetto all'anno precedente;
   tali risorse sono state impiegate dai comuni solo ed esclusivamente per garantire l'erogazione di un servizio di diretta gestione statale –:
   di quali informazioni e dati disponga in materia nonché quali provvedimenti ed iniziative urgenti intenda assumere per garantire il ristoro delle spese e il superamento di una situazione così problematica a carico dei bilanci comunali ed in particolare;
   a quanto ammontino le risorse iscritte nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2012 al fine di corrispondere il contributo ai comuni, se siano state decurtate e a quanto ammonti tale diminuzione rispetto all'anno precedente;
   quali siano le iniziative che il Ministero della giustizia e il Governo stanno intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di assicurare la copertura delle spese già sostenute dai Comuni nel 2012, per garantire il rispetto della legge;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di garantire la copertura delle spese per l'erogazione del servizio della giustizia sull'intero territorio nazionale per l'anno 2013 e 2014;
   se non sia opportuno superare questo sistema di copertura dei costi degli uffici giudiziari abolendo la legge 24 aprile 1941 n. 392 e ponendo a carico dell'amministrazione della giustizia la gestione diretta delle spese in modo da garantire responsabilità ed efficacia. (4-02524)


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i trasferimenti delle risorse statali ai comuni a seguito delle manovre finanziarie sono diminuite negli ultimi 3 anni di circa 6 miliardi e 450 milioni di euro determinando una situazione finanziaria di assoluta insostenibilità;
   in questo quadro di riduzione progressiva di trasferimenti si inserisce l'anomalia rappresentata dalla legge 24 aprile 1941, n. 392 recante «Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari» che pone anacronisticamente a carico dei comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari che poi sono rimborsate dal Ministero della giustizia con l'erogazione di un contributo economico annuo, mai integrale;
   tale previsione normativa che mette a carico dei comuni le spese degli uffici giudiziari è stata emanata nel 1941 cioè prima della nascita della Repubblica e dell'approvazione della Carta costituzionale che assegna allo Stato le funzioni in materia di giustizia;
   a fronte di una spesa media annuale dei tribunali ed uffici giudiziari – ed anticipate dai bilanci dei comuni – pari a 315 milioni di euro annuo, negli ultimi tre anni il contributo versato dallo Stato ai comuni a titolo di rimborso è stato compreso tra il 60-80 per cento delle spese effettivamente sostenute e gli acconti e i saldi sono stati spesso erogati accumulando gravi ritardi, a volte anche di diversi anni;
   nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia sono iscritti per l'esercizio in corso solo 79,8 milioni di euro, mentre le spese sostenute dai comuni relative all'anno 2012 sono di oltre 300 milioni di euro, già anticipati dalle casse delle amministrazioni comunali;
   il processo di riorganizzazione delle sedi giudiziarie sul territorio nazionale ha, tra le inevitabili conseguenze, una maggiore concentrazione di spese sui comuni dove sono state accorpate le sedi giudiziarie soppresse dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155;
   a ciò si aggiunge che nei comuni accorpanti le sedi giudiziarie soppresse, iniziano a fioccare nuove richieste di spesa da mettere a carico dei bilanci comunali che si esplicitano in spese per il trasloco, spese per la realizzazione, adeguamento e messa in sicurezza di nuove sedi, spese per le nuove utenze, spese per i nuovi servizi di vigilanza e di gestione ordinata degli immobili, con richiesta da parte dei Tribunali di risorse aggiuntive e ulteriori comprese tra il 15 per cento e il 110 per cento rispetto all'anno precedente;
   tali risorse sono state impiegate dai comuni solo ed esclusivamente per garantire l'erogazione di un servizio di diretta gestione statale –:
   di quali informazioni e dati disponga il Ministro in materia nonché quali provvedimenti ed iniziative urgenti intenda assumere per garantire il ristoro delle spese e il superamento di una situazione così problematica a carico dei bilanci comunali;
   a quanto ammontino le risorse iscritte nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2012 al fine di corrispondere il contributo ai comuni, se siano state decurtate e a quanto ammonti tale diminuzione rispetto all'anno precedente;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di assicurare la copertura delle spese già sostenute dai comuni nel 2012, per garantire il rispetto della legge;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di garantire la copertura delle spese per l'erogazione del servizio della giustizia sull'intero territorio nazionale per l'anno 2013 e 2014;
   se non sia opportuno superare questo sistema di copertura dei costi degli uffici giudiziari assumendo iniziative per abrogare la legge 24 aprile 1941, n. 392, ponendo a carico dell'amministrazione della giustizia la gestione diretta delle spese in modo da garantire responsabilità ed efficacia. (4-02528)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la necessità di considerare una priorità l'autostrada Cecina-Civitavecchia è scelta controversa;
   la provincia di Grosseto ha già ribadito la propria assoluta contrarietà sul progetto definitivo dell'autostrada in sovrapposizione all'attuale Aurelia, invitando la regione Toscana a far sì che SAT abbandoni definitivamente tale progetto, anche tenendo conto della estrema fragilità idrogeologica dell'area di Albinia, dove dovrebbe appunto insistere l'autostrada;
   non si inquadra in un confronto su una diversa scelta di mobilità integrata. Infatti, se questo progetto autostradale consente un forte risparmio alla società proponente (SAT), questo comporta «il furto» della via Aurelia, quale bene collettivo che deve restare in perpetuo al servizio della comunità;
   l'autostrada Cecina-Civitavecchia non prevede viabilità alternativa e si sovrappone quasi in toto alla strada statale. L'assenza di complanari a nord di Grosseto, porterà una buona fetta del traffico locale, che oggi percorre l'Aurelia, sulle strade che attraversano i centri abitati, peggiorandone sensibilmente la sicurezza e la vivibilità;
   si rileva, inoltre, che l'avvocato Antonio Bargone, presidente della SAT è al contempo commissario nominato dal Governo con pieni poteri per accelerare i lavori volti alla realizzazione della suddetta autostrada Cecina-Civitavecchia; cosa che, ad avviso dell'interrogante, evidenzia un palese conflitto di interessi di cui il Governo dovrebbe tenere conto –:
   quali garanzie secondo il Governo possa offrire l'avvocato Bargone, che risulta al contempo il presidente della Sat, che si occupa della costruzione dell'autostrada tirrenica, e il commissario straordinario del Governo per vigilare sulla realizzazione dell'opera, nel rappresentare e tutelare i cittadini;
   se non intenda adottare con urgenza le opportune iniziative di competenza al fine di dirimere il conflitto di interessi che, ad avviso dell'interrogante, si configura negli incarichi di Antonio Bargone;
   se il Governo non intenda adottare le opportune iniziative finalizzate a rivedere il progetto complessivo relativo all'autostrada di cui in premessa, riaprendo contestualmente un confronto con gli enti locali interessati e le comunità coinvolte, dando priorità all'ottimizzazione, anche in termini di sicurezza, dell'attuale tracciato dell'Aurelia, e recuperando la piena integrazione delle varie modalità di trasporto, e il rilancio quindi della modalità ferroviaria per il collegamento dei porti e per il trasporto delle persone. (3-00451)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel contratto di programma ENAC-ADR 2012/2021 sono previsti lavori per l'area di imbarco F e l'avancorpo T3 (ex molo C), con valore di investimento statale totale pari a 67.903.000 euro, il cui completamento è previsto per il 30 giugno 2016;
   detti lavori sono affidati all'ATI Cimolai spa – Consta spa – Gozzo Impianti spa;
   la Consta spa per la realizzazione delle opere di propria competenza ha stipulato contratti di subappalto con varie aziende;
   il progetto è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di ampliamento della capacità del sistema terminal, di incremento del livello di servizio, e del completamento della definizione del modello «dual Hub» (hub ovest);
   si apprende dalla stampa che in data 27 settembre 2013 l'impresa ha depositato in tribunale un'istanza di pre-concordato con cui ha chiesto la concessione di un termine di 120 giorni per il deposito di un piano di ristrutturazione;
   risulterebbe all'interrogante che le aziende subappaltatrici avrebbero già sostenuto spese ingenti per la realizzazione dei lavori;
   risulterebbe all'interrogante, altresì, che il cantiere è fermo dalla data di presentazione dell'istanza di concordato –:
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori;
   se il progetto sia conforme con il piano in giacenza presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   se risultino mancanze nei pagamenti da parte della ditta appaltatrice Consta spa a favore delle maestranze impiegate nell'esecuzione delle opere;
   se risultino mancanze nei pagamenti da parte della ditta appaltatrice Consta spa a favore delle ditta subappaltatrici impiegate nell'esecuzione delle opere;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per limitare i danni economici alle maestranze ed alle aziende subappaltatrici tutte;
   quali iniziative intenda adottare affinché le opere possano riprendere celermente superando lo stallo in cui versano.
   (5-01471)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'autodromo nazionale di Monza, che rappresenta il più importante complesso sportivo motoristico d'Italia, gode di una grande fama a livello mondiale avendo ospitato il gran premio d'Italia della «formula 1» quasi ininterrottamente dal 1922;
   oltre alle attività motoristiche, l'impianto viene sempre più utilizzato come grande centro per lo svolgimento di attività legate al tempo libero, alla cultura e allo sport, attirando l'attenzione del turismo proveniente sia dall'Italia, sia dall'estero;
   l'autodromo di Monza conferisce un'immagine di lustro a tutto il sistema Paese anche grazie al particolare contesto ambientale in cui è inserito e cioè il parco di Monza, il quale ha permesso di rappresentare le specifiche realtà locali del territorio in tutto il mondo;
   molti Paesi emergenti come Cina, India e Corea hanno investito sui propri circuiti nazionali di «formula 1», che sono divenuti vere vetrine di promozione del Paese, anche incentivando la promozione di eventi sportivi e culturali legati alla presenza dell'autodromo;
   l'autodromo di Monza non ha mai ricevuto contributi governativi, almeno dal 1956 ad oggi, nonostante lo stesso sorga all'interno di uno dei parchi cintati più grandi d'Europa, le cui caratteristiche ambientali e monumentali avrebbero potuto facilitare la promozione turistica di eventi sportivi e culturali;
   relativamente al circuito di Monza, la pista necessita di risorse necessarie per l'ammodernamento e la messa in sicurezza di tale circuito, che rappresenta il palcoscenico nazionale della «Formula 1» –:
   se sia nelle intenzioni del Governo assumere iniziative per concedere all'autodromo nazionale di Monza un finanziamento reperendo nel tempo più breve possibile le risorse idonee al rilancio dell'autodromo, data la rilevanza che tale struttura riveste nello sport automobilistico mondiale. (4-02523)


   RICCIATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   per la progettazione della strada di grande comunicazione E78 Fano-Grosseto detta anche dei due mari, sono stati informati i cittadini che al termine del confronto hanno individuato un tracciato. Tale tracciato si va a collocare in posizione marginale rispetto alla valle del Montefeltro e sono previsti diversi tratti in galleria. Di tale tracciato vengono effettuati gli studi di settore si acquisiscono tutti i pareri, compresi quelli del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, vengono valutati i costi, si arriva ad un livello di progettazione esecutiva e si procede ad adeguare i PRG dei comuni interessati e quindi a vincolare terreni di pertinenza del tracciato;
   qualche mese fa si riapre il dibattito, perché ad anticipare i soldi ora sarà il privato attraverso la formula del projet financing. Si tratta di un'operazione di partenariato pubblico privato (PPP), con cui viene affidata al soggetto attuatore la costruzione, la gestione, la manutenzione e la messa a disposizione della infrastruttura destinata all'esercizio di un pubblico servizio. Il privato anticiperà i soldi necessari per completare i lavori, soldi che potrà recuperare con un canone di disponibilità per la durata di 45 anni. Ogni anno, cioè, il pubblico pagherà, in unica rata, un canone composto da tre voci: cattura di valore, pedaggiamento, contribuzione statale;
   i pubblici amministratori si siedono al tavolo delle trattative con la ditta austriaca STRABAG interessata a progettare, realizzare e gestire l'opera. Tale ditta ha ritenuto di proporre un nuovo tracciato e collocarlo proprio al centro della valle, proprio nel bel mezzo del «paesaggio di Piero» il paesaggio che ha fatto da sfondo ai Trionfi del pittore Piero della Francesca cioè nella piana detta «pian d'Asdrubale» (sì, quella della battaglia fra romani e cartaginesi) posta fra Fermignano e Urbania;
   l'opera collocata al centro della valle costa meno, non ci sono gallerie, non ci sono trincee solo viadotti e rilevati e la potremo vedere nella sua totalità. I nostri amministratori manifestano «buona disponibilità ad accettare le modifiche del tracciato» (confrontare resto del Carlino nazionale 2 ottobre 2013, pagina 12);
   tutto ciò avviene senza che i cittadini ne siano informati, senza che possano partecipare al dibattito, senza che possano difendere il territorio;
   l'intenzione di procedere a cambiamenti così radicali e sconvolgenti per il futuro del territorio senza che si sia fatta l'adeguata informazione per quanti hanno a cuore l'integrità del paesaggio di Piero della Francesca, quello che fa da sfondo ai suoi lavori migliori famosi in tutto il mondo, che lo lega ai capolavori dei «trionfi» posti nel dittico di Federico da Montefeltro e la moglie Battista Sforza, esposti oggi agli Uffizi di Firenze. Un paesaggio rimasto pressoché intatto dal rinascimento ad oggi, lo stesso che scelse Piero per dipingere i suoi capolavori sarebbe deturpato per sempre da una colata di asfalto;
   i presunti risparmi, cifre che fa circolare la ditta interessata, che si avrebbero con il nuovo tracciato non compensano minimamente il prezzo che verrebbe a pagare la valle con la ferita permanente che dovrebbe sopportare;
   le recenti affermazioni pronunciate dal presidente della provincia Matteo Ricci ancora pochi mesi fa in occasione dell'inaugurazione di uno dei «balconi di Piero della Francesca» che si affaccia proprio su questa parte della valle quindi seguito: «È emozionante il confronto così immediato tra dipinto e paesaggio. Questo territorio è un immenso patrimonio culturale che dobbiamo preservare e valorizzare. Investire nella cultura, rendere sempre più fruibili a cittadini e turisti le nostre ricchezze, è un obiettivo che stiamo perseguendo da tempo, nella consapevolezza che cultura e turismo siano i pilastri della ripresa economica e che il livello culturale di una comunità segni anche il suo grado di civiltà» sono eloquenti;
   i metodi seguiti nel promuovere modifiche così rilevanti a danno del territorio sembrano orientati a portare le cose ad uno stadio avanzato, in maniera che poi sia troppo tardi per rimediare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intendano assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di proteggere una valle così importante per la nostra storia e cultura dal nuovo tracciato della strada che, peraltro, non è stato validato da scelte condivise dagli abitanti della valle stessa. (4-02526)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Trenitalia ha cancellato alcuni anni fa la relazione secolare tra Pescara e Napoli che collegava via Sulmona le regioni Abruzzo, Molise e Campania;
   di quella relazione ferroviaria era rimasto il pezzo Sulmona Carpione, chiamata la Transiberiana d'Italia, che collegava Abruzzo e Molise che però nell'ottobre 2012 è stato sospeso con gravi ripercussioni sul turismo e sull'economia delle zone montane oltre che sulla qualità della vita delle popolazioni coinvolte;
   questa relazione ferroviaria fu inaugurata nel 1892 e dopo più di un secolo di vita ora si vorrebbe sopprimerla del tutto privando l'Appennino abruzzese e molisano di ogni collegamento ferroviario;
   tale relazione peraltro attraversa un territorio bellissimo, che ospita il parco nazionale della Maiella Morrone, il parco nazionale d'Abruzzo Molise e Lazio, la riserva regionale Monte Genzana, il più grande bacino sciistico dell'Appennino (altopiano delle 5 miglie di Roccaraso Rivisindoli Pescocostanzo) e collega decine di piccoli paesi montani, che soprattutto d'inverno, con la neve, hanno seri problemi di mobilità;
   la scelta minacciata da Rete Ferroviaria Italiana di sopprimere l'infrastruttura ferroviaria è gravissima e deve essere rimessa in discussione nel quadro di un rilancio nazionale del sistema ferroviario nazionale e in particolare delle zone montane e a più alta vocazione turistica;
   recentemente a Rivisondoli (AQ) vi è stata una grande assemblea popolare a cui hanno partecipato decine di amministratori abruzzesi e molisani e di tanti operatori economici e turistici che hanno posto con forza il problema del rilancio del collegamento ferroviario Sulmona Carpinone nel quadro di concreti progetti di valorizzazione turistica dell'area interessata –:
   se non intenda svolgere, per quanto di competenza, un'urgente iniziativa di sensibilizzazione nei confronti di RFI spa per rivedere la sua scelta e rilanciare la relazione Sulmona Carpinone. (4-02533)


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i collegamenti fra Milano e Monza, rispettivamente prima e terza città della Lombardia, sono assolutamente carenti ed insufficienti e necessitano di immediate soluzioni;
   la provincia di Monza e l'area metropolitana milanese soffrono di gravissimi problemi di inquinamento dovuti all'eccessivo utilizzo di autovetture ed alla mancanza cronica di mezzi di spostamento alternativi, in un'area tra quelle più popolate d'Europa;
   è stata progettata la tratta di metropolitana MM1 fino alla periferia sud di Monza (Bettola); è stata altresì progettata, ma non ancora finanziata, la tratta di metropolitana MM5 fino a Cinisello Balsamo e Monza (sempre in località Bettola);
   il prolungamento delle linee metropolitane dalla periferia sud di Monza (Bettola) verso nord, passando per il centro, costeggiando la stazione e la Villa Reale e dirigendosi infine verso il tribunale, il policlinico San Gerardo ed il nuovo centro medico appare una soluzione auspicabile che permetterebbe ai cittadini monzesi di utilizzare un mezzo di trasporto pubblico efficiente e veloce per raggiungere Milano e per gli stessi collegamenti infracittadini;
   è inoltre auspicabile un potenziamento dei collegamenti fino alla zona nord di Monza in quanto è nota meta turistica per le numerose attrattive presenti (parco, villa reale, autodromo);
   soluzioni alternative o complementari al prolungamento delle tratte metropolitane sono quelle relative ad un sistema di mini metro automatico che colleghi la città alla stazione della MM di Monza Bettola ed al prolungamento della metro tranvia Milano-Cinisello, utilizzando anche l'asse di viale Lombardia;
   la realizzazione anche solo di una delle tre tipologie di infrastrutture consentirà inoltre un abbattimento del traffico veicolare con una conseguente diminuzione dell'inquinamento, ed una forte riduzione dei tempi di spostamento, a tutto vantaggio della vivibilità della zona, già fortemente urbanizzata –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche che affliggono il sistema della viabilità a nord di Milano, in un area densamente popolata e intenda adoperarsi, per quanto di competenza e anche in vista di EXPO 2015, affinché venga predisposta in tempi rapidi un'opera strategica per il territorio e per i suoi cittadini. (4-02534)


   COZZOLINO, ROSTELLATO, D'INCÀ, BUSINAROLO, BRUGNEROTTO, DE ROSA, SPESSOTTO, BENEDETTI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 novembre 2013 il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha approvato con prescrizioni il progetto preliminare del corridoio viabilità autostradale Civitavecchia-Orte-Mestre, tratta E45-E55 Orte-Mestre;
   nella stessa giornata il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, onorevole Maurizio Lupi, pubblicava sul sito del ministero la seguente nota diramata anche alle agenzie di stampa «Il CIPE» ha approvato oggi il progetto della Orte-Mestre, un asse viario fondamentale per l'Italia (attualmente noto come E45), che rientra nei corridoi europei dei progetti TEN-T. Un'autostrada di 396 km che collega la dorsale tirrenica con quella adriatica in direzione nord-sud attraversando 5 regioni (Lazio, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Veneto), interessando 11 Provincie e 48 comuni. Il costo complessivo dell'opera ammonta a 9 miliardi e 844 milioni di euro. «La novità di quest'opera – ha sottolineato il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi – è che si tratta di un'opera di interesse pubblico realizzata in project financing, il cui costo quindi è completamente coperto da capitali privati. Il contributo dello Stato è indiretto e si concretizza nella forma della defiscalizzazione per Ires e Irap»;
   i tempi di realizzazione prevedono ora l'approvazione da parte della Corte dei conti, un bando internazionale pubblico bandito entro l'aprile 2014 con sei mesi di tempo per l'assegnazione, e l'inizio dei lavori – la cui durata è prevista in sei anni – nel primo trimestre del 2015;
   nel decreto del fare – precisa Lupi – abbiamo abbassato da 500 a 200 milioni di euro la soglia di costo delle opere alle quali sarà possibile applicare la norma sulla defiscalizzazione, rendendo così accessibile questo importante strumento non solo a grandi opere come la Orte-Mestre, ma anche a opere più piccole e puntuali sul territorio»;
   l'affermazione contenuta nella nota che la Mestre-Orte rientrerebbe nei corridoi europei dei progetti TEN-T risulta non confermata, come dimostra la risposta fornita dalla Commissione Europea alla testata online Altreconomia e pubblicata sul sito della stessa testata www.altreconomia.it. In quella risposta la commissione europea afferma: «Il collegamento diretto tra Orte e Mestre non fa parte di alcun Corridoio ma alla rete di interventi complementari alla rete TEN-T»;
   la differenza tra le affermazioni ufficiali del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e quelle della Commissione europea appare agli interroganti evidente e sostanziale, ed è dunque necessario un pronto chiarimento sulla vicenda, perché l'inserimento o meno dell'opera nei corridoi europei dei progetti TEN-T è determinate ai fini dell'accesso ai finanziamenti europei;
   il tema dei finanziamenti e quello della strategicità dell'opera è di primaria importanza dal momento che il progetto della tratta Mestre-Orte sta già suscitando forti perplessità tra i cittadini dei territori interessati per le ricadute ambientali che l'opera rischia di produrre in relazione al consumo di suolo, e per il costo complessivo della stessa che, anche se affidato al project financing, come già annunciato dal Ministro Lupi, avrà comunque ricadute notevoli sulla fiscalità generale –:
   se, anche alla luce delle precisazioni della Commissione europea riportate in premessa, trovi conferma quanto affermato nella nota del Ministro dell'8 novembre 2013 in merito al fatto che la Mestre-Orte rientra nei corridoi europei dei progetti TEN-T. (4-02538)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   Nadia Sbitri, atleta diciottenne di origine marocchina e residente in Italia dall'età di un anno, dal 2009 è in attesa della cittadinanza italiana;
   la Sbitri pattina da quando ha 5 anni e pochi mesi fa era stata selezionata dalla Federazione italiana hockey e pattinaggio per partecipare ai mondiali di Taipei, in Taiwan;
   l'atleta ha dovuto rinunciare alla convocazione per i campionati in corso a Taipei, a causa dei ritardi della sua pratica per la cittadinanza italiana;
   la cittadinanza, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera f), della legge n. 91 del 5 febbraio 1992 e successive modifiche e integrazioni, può essere concessa allo straniero che risiede legalmente da almeno 10 anni nel territorio italiano;
   la tempistica prevista per il trattamento della domanda è di 730 giorni, cioè 2 anni dal momento in cui la domanda viene acquisita dall'autorità;
   la circolare 6415/2011 del Ministero dell'interno ha ribadito che l'eventuale ritardo della prefettura nell'adottare un provvedimento di accoglienza o meno della domanda, trascorsi i 730 giorni per la trattazione dell'istanza, non significa l'accoglienza o il rifiuto della domanda stessa e prevede la possibilità di chiedere al tribunale di obbligare la pubblica amministrazione ad adottare i provvedimenti in merito al rifiuto o accoglimento della domanda di cittadinanza;
   la legge n. 241 del 1990 sulle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, prevede la possibilità, entro l'anno da quando sono decorsi i 2 anni senza una risposta, di inviare una lettera di diffida alla pubblica amministrazione per avere un riscontro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se il Governo intenda assumere urgentemente iniziative normative che stabiliscano i tempi e le procedure con cui la pubblica amministrazione deve evadere le istanze presentate, prevedendo eventuali sanzioni per i ritardi arrecati ai cittadini;
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere al fine di snellire le pratiche per la naturalizzazione, per residenza o per matrimonio, dei cittadini stranieri. (5-01474)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli agenti delle polizie municipali sono sempre più frequentemente chiamati ad affrontare situazioni nelle quali la necessità di prevenire un reato comporta il confronto con persone dotate di armi bianche;
   nei confronti di persone armate di coltelli si ritiene impropria una reazione che implichi il ricorso alle armi da fuoco;
   fermo restando che è improprio reagire con le armi da fuoco a minacce fatte da chi sia in possesso soltanto di armi da taglio, non sembra opportuno neanche obbligare gli agenti delle polizie municipali ad affrontare a mani nude avversari armati di coltelli;
   sarebbe invece adeguata una risposta portata con spray urticanti non letali –:
   se il Governo intenda prendere in considerazione l'ipotesi di predisporre iniziative normative che autorizzino il personale delle polizie municipali a dotarsi di spray urticanti da impiegare in contesti operativi dove siano presenti opponenti dotati soltanto di armi da taglio. (4-02520)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, principale dispositivo di soccorso tecnico urgente di cui disponga il Paese, continua a versare in una situazione di carenza d'organico;
   tale insufficienza concerne anche il delicato settore del personale direttivo, composto pressoché esclusivamente da ingegneri ed architetti;
   la carenza generica di risorse organiche e quella specifica nel settore del personale direttivo risultano ancor più pronunciate nelle regioni settentrionali, anche nella prospettiva dell'istituzione a lungo auspicata dei nuclei specialistici regionali previsti dall'articolo 46 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
   tra il 2006 ed il 2008, il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno ha prima proceduto all'assunzione dei vincitori dei concorsi indetti nel 2004 e successivamente a quella di altri trenta ingegneri risultati comunque idonei;
   altri idonei risultano tuttavia ancora in attesa della chiamata –:
   quali misure il Governo intenda assumere per garantire al Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed in particolare alle sue strutture periferiche nelle regioni settentrionali risorse di personale direttivo adeguate e radicate sul territorio ed, altresì, se si intenda procedere all'assunzione di coloro che, pur essendo risultati idonei agli ultimi concorsi banditi per il reclutamento di personale direttivo dei vigili del fuoco, non sono stati, ancora chiamati a farne parte. (4-02522)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la finanza locale è stata caratterizzata, nel corso di questi ultimi anni, da un importante processo di riforma diretto a dare attuazione al principio dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali, superando così il sistema di finanza derivata al fine di consentire una maggiore attribuzione di autonomia di entrata e di spesa ai comuni, e che tale finalità è stata perseguita dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, di attuazione del federalismo fiscale, anche se il processo oggi appare ancora incompleto, non avendo ancora trovata piena definizione alcuni elementi determinanti per la ridefinizione degli assetti fiscali;
   la mancata finalizzazione del processo di revisione federalista si è intrecciata con la contemporanea adozione di numerosi provvedimenti normativi adottati negli ultimi due anni da parte del Governo finalizzati ad abbassare gli elevati livelli di spesa pubblica e concentratesi soprattutto sugli enti locali, e sui comuni in particolare;
   le riduzioni sono state operate secondo un approccio orizzontale, senza cioè valutare adeguatamente le virtuose gestioni degli enti locali, e il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ha disposto la riduzione delle risorse destinate ai comuni per un importo pari a 2 miliardi e 250 milioni di euro per l'anno 2013;
   gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente variabile ed incerto, tanto che il Governo ha già posticipato più volte il termine per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013;
   i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno il quale impone agli enti il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, e il procedimento per la determinazione di tale saldo risulta particolarmente gravoso;
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dalla legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica è stata ampliata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni più ridotte;
   i vincoli imposti dal patto di stabilità interno hanno negative ricadute sulle spese di investimento, dal momento che l'utilizzo del principio di competenza mista costringe gli enti a posticipare il pagamento di queste spese garantendo così il saldo prestabilito e la conseguente riduzione delle medesime spese di investimento, nonostante queste voci siano tra le più importanti per la ripresa economica;
   i limiti imposti dal patto di stabilità, infatti, così come previsto dalla norma vigente, peggiorano ulteriormente la già complessa situazione economica, soprattutto quelle delle piccolo e medie imprese, impedendo ai comuni che pure hanno in bilancio disponibilità finanziarie, di sostenere la ripresa economica;
   la riduzione delle risorse a favore dei comuni, congiuntamente all'obbligo del rispetto delle regole del patto di stabilità, costringe in tal modo le amministrazioni locali ad operare manovre di riequilibrio di bilancio basate sulla riduzione delle uscite di conto capitale, la riduzione degli investimenti e il blocco dei pagamenti;
   l'obbligo di rispettare i vincoli del patto di stabilità non appare coerente con il contesto economico, e anzi gli strumenti più efficaci per fronteggiare la crisi economica sono proprio rappresentati dalle spese di investimento che, rispetto alle spese in conto corrente, rappresentano un volano per l'economia potendo determinare una crescita più sostenibile economicamente;
   Così come sostenuto anche da numerose associazioni di categoria economiche ed industriali, sono proprio le opere pubbliche realizzate nei comuni di dimensioni più ridotte a creare quel positivo effetto moltiplicatore sul sistema economico, determinando effetti positivi derivanti da una distribuzione più efficiente e diffusa sul territorio –:
   se non si ritenga opportuno, in virtù dell'attuale e grave situazione economico-finanziaria e delle pesanti restrizioni ai quali gli enti locali sono costretti, di valutare la possibilità di assumere iniziative per rivedere completamente le modalità con le quali viene determinato il patto di stabilità interno per gli enti locali, adottando un criterio più efficace e virtuoso di quello oggi vigente, così da favorire lo sblocco degli investimenti pubblici;
   non si ritenga opportuno promuovere una revisione dell'applicazione dei vincoli del patto di stabilità interno per gli enti locali con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, procedendo altresì con una revisione dell'intero impianto dei vincoli di finanza pubblica per gli enti locali finalizzata all'allentamento degli stessi vincoli e a sostenere la ripresa delle attività economiche. (4-02532)


   SILVIA GIORDANO, FICO, COLONNESE, TOFALO e MICILLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Salerno si sta perpetrando una gravissima e reiterata violazione di legge. Come è notorio, il 2 maggio 2013 il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, è stato nominato Sottosegretario di Stato alle infrastrutture e ai trasporti;
   ai sensi del combinato disposto della legge n. 148 del 2011 e n. 215 del 2004, vi è, ad avviso degli interroganti, una palese situazione di incompatibilità in capo al De Luca, in quanto sindaco di una città con oltre 130.000 abitanti;
   in riferimento a tale incompatibilità, a quanto consta agli interroganti, il prefetto ai Salerno non ha attivato specifiche azioni ex decreto legislativo n. 267 del 2000, né altra iniziativa adeguata a ripristinare la legittimità;
   i rappresentanti parlamentari di Salerno del MoVimento 5 Stelle hanno proposto invece ricorso al tribunale di Salerno per far dichiarare la palese incompatibilità del De Luca che ricopre contestualmente la carica di sindaco e di sottosegretario di Stato;
   nemmeno il consiglio comunale di Salerno ha operato secondo gli interroganti nel rispetto della legge in quanto ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 aveva l'obbligo di contestare immediatamente la causa di incompatibilità al sindaco De Luca, in quanto Sottosegretario di Stato. Tale contestazione non è mai stata fatta dal consiglio comunale;
   il consiglio comunale, al contrario, ha attivato un procedimento che riguarda il mancato perfezionamento dell'iter di nomina di Vincenzo De Luca a viceministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   il consiglio comunale non ha considerato che ai sensi della legge n. 215 del 2004 per integrare la fattispecie della incompatibilità è sufficiente la nomina di Sottosegretario; tale contestazione doverosa non è mai stata fatta;
   appare grave agli interroganti che il consiglio comunale di una città di oltre 130.000 abitanti non abbia di fatto tenuto conto del dettato normativo, che già alla sola nomina di Sottosegretario fa corrispondere una situazione di incompatibilità alla carica di sindaco;
   Vincenzo De Luca, non solo esercita la carica di Sottosegretario di Stato ma anche quella di sindaco, partecipando a sedute consiliari importanti;
   a distanza di 5 mesi il consiglio comunale, non ha contestato la nomina di Sottosegretario, non ha ancora deliberato in ordine alla sussistenza o meno della causa di incompatibilità del sindaco De Luca;
   a detta degli interroganti si è in presenza di una situazione di grave illegittimità che va ripristinata con lo scioglimento del consiglio comunale di Salerno;
   ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000 i consigli comunali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'interno «1a) per gravi e persistenti violazioni di legge... Nonché 1b) impedimento permanente del Sindaco...»;
   appare evidente la sussistenza delle gravi e persistenti violazioni di legge da parte del consiglio comunale, perché il medesimo consiglio non ha giammai contestato la nomina di Sottosegretario di Stato al De Luca, surrettiziamente introducendo la questione della mancata attribuzione della delega a Vice Ministro;
   ad avviso degli interroganti l'inerzia del consiglio non impedisce agli elettori di agire in sede giurisdizionale per far valere la decadenza dalla detta carica di Sindaco;
   l'esercizio di tali funzioni continua quindi a giudizio degli interroganti in contrasto con la normativa vigente, permanendo una palese situazione di incompatibilità –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti esposti in premessa e se non ritenga, al fine di garantire il ripristino delle condizioni di legittimità che sussistano i presupposti per attivare le procedure per lo scioglimento del consiglio comunale di Salerno. (4-02542)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   VACCA, SIMONE VALENTE, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, D'UVA, DI BENEDETTO, BATTELLI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   alla fine del mese di ottobre 2013 si è appreso dagli organi di stampa che alcuni studenti dell'università «La Sapienza» erano in sciopero della fame per protestare contro i provvedimenti sanzionatori a loro carico nell'ambito delle modalità di riduzione dell'importo della tassa di iscrizione all'università;
   secondo quanto dichiarato dagli studenti le sanzioni a loro carico sono ingiuste e troppo elevate;
   la vicenda riguarda la riduzione del pagamento della tassa di iscrizione o immatricolazione all'università: la tassa annuale di iscrizione nell'anno 2010-2011 si aggira intorno ai 2.000,00 euro; La Sapienza ha strutturato una tassazione a carico degli studenti tale da permettere di ottenere una sensibile riduzione della contribuzione studentesca in proporzione al proprio livello reddituale e patrimoniale;
   gli importi della contribuzione studentesca de La Sapienza dell'anno accademico 2010-2011 sono stati determinai in base all'ISEE e si dividono in 34 fasce;
   le dichiarazioni ISEE sono rilasciate dagli studenti contestualmente all'iscrizione;
   il Manifesto agli studi de La Sapienza prevede controlli a campione sulle dichiarazione ISEE: nel caso di dichiarazioni non veritiere o mendace è prevista una sanzione consistente nell'aumento del 50 per cento della tassa nella quantificazione ordinaria e il pagamento intero importo della tassa prevista;
   nell'ambito dei controlli effettuati da La Sapienza per l'anno accademico 2010-2011 su un campione di 14.197 studenti sono risultati 1.025 ISEE irregolari, 1.261 ISEE non veritieri, 4.902 dichiarazioni non valide;
   da ciò che si apprende dai verbali del consiglio di amministrazione dell'università La Sapienza i controlli sono stati effettuati principalmente sugli studenti della prima, seconda e terza fascia contributiva, come indicato dal Manifesto agli studi 2010-2011, ovvero quelle categorie di studenti con ISEE molto bassi;
   in seguito ai controlli effettuati dall'università, gli studenti con ISEE irregolari sono stati sanzionati; tra questi risulta, per la maggior parte degli studenti sanzionati, che lo scarto di fascia, tra quanto dichiarato e quanto emerso dal controllo, sia pari a uno per cui il vantaggio personale conseguito con la dichiarazione mendace è inferiore ai 50,00 euro;
   la sanzione applicata dall'università a carico degli studenti è superiore ai 2.000,00 euro e spesso riguarda famiglie con situazioni reddituali equivalenti inferiore ai 12.000,00 euro annui e benefici sul pagamento delle tasse, ottenuti con una eventuale volontaria dichiarazione mendace, inferiori ai 50,00 euro;
   è evidente che le dichiarazioni ISEE mendaci o non veritiere non sono state fatte in cattiva fede, visto l'irrisorio risparmio di cui ogni studente avrebbe beneficiato, ma riguarda un difetto del sistema o una oggettiva facilità nell'incorrere in errore;
   è molto facile incorrere in un errore nella dichiarazione ISEE e risultare in una fascia contributiva rispetto all'altra: basti pensare che per una famiglia composta da quattro persone con un reddito imponibile di 22.500,00 euro con a carico le spese per la casa in affitto può essere calcolato un ISEE intorno agli 8.800,00 euro, mentre per una famiglia composta dallo stesso numero di persone che non dichiara le spese di affitto l'ISEE può superare i 9.100,00 euro; si può capire che l'errore rispetto alle fasce può essere abbastanza probabile;
   allo stesso modo per una famiglia con un reddito imponibile di circa 19.000,00 euro con un nucleo familiare composto da 4 persone l'ISEE non dovrebbe superare gli 8.000,00 euro mentre se nel corso dell'anno il nucleo familiare si riduce a 3 unità, per qualsiasi motivo, la stessa famiglia potrebbe avere un ISEE che supera i 9.000,00 euro. In entrambi i casi lo studente potrebbe passare da una fascia contributiva ad un'altra a causa della variazione di un parametro; si può intuire, quindi, quanto sia probabile incorrere a dichiarazioni non corrispondenti alla realtà;
   l'introito totale che l'università avrebbe dalla riscossione di queste sanzioni supera i 6 milioni di euro;
   secondo il decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306 le università graduano l'importo dei contributi universitari per i corsi di laurea secondo criteri di equità e solidarietà, in relazione alle condizioni economiche dell'iscritto, utilizzando metodologie adeguate a garantire un'effettiva progressività, anche allo scopo di tutelare gli studenti di più disagiata condizione economica;
   la sanzione prevista nel Manifesto agli studi non tutela affatto gli studenti di più disagiata condizione economica ma risulta a giudizio degli interroganti vessatoria nei confronti di essi;
   le modalità di controlli e di decadenza dai benefici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, consentirebbero una sanzione eccessivamente onerosa a carico degli studenti in quanto si stabilisce che qualora dal controllo emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera;
   l'applicazione delle norme in vigore consente alle università di stabilire un importo massimo della contribuzione studentesca molto alto che conseguentemente provoca una sanzione molto onerosa;
   in alternativa ogni università potrebbe stabilire una tassa standard di importi non eccessivi che può diminuire o aumentare gradualmente in base al valore dell'ISEE –:
   se il Ministro intenda promuovere un'iniziativa normativa volta a limitare l'importo massimo della contribuzione studentesca e conseguentemente ad evitare sanzioni sproporzionate rispetto alla situazione degli iscritti, con particolare riguardo agli studenti di più disagiata condizione economica. (3-00452)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a due mesi dall'inizio dell'anno scolastico 2013-12014, le scuole ancora non hanno indicazioni sulle risorse e sulle modalità per organizzare l'attività sportiva scolastica di istituto;
   tale attività viene programmata a settembre e inserita nel piano dell'offerta formativa con conseguente avvio nel mese di ottobre di ogni anno scolastico;
   la mancanza di certezze sulle modalità organizzative blocca di fatto l'attività in quanto i dirigenti scolastici non ne autorizzano l'avvio;
   nel mese di ottobre 2013, a seguito dell'incontro tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e organizzazioni sindacali veniva data la disponibilità da parte del Ministero di assegnare un acconto dei fondi MOF 2013-2014;
   la scuola rappresenta, per la gran parte degli studenti e le loro famiglie, l'unica possibilità dove poter svolgere un'attività motoria e sportiva in maniera continuativa e qualificata;
   l'attività motoria e sportiva è riconosciuta in tutti gli ambiti scientifici, quale strumento di prevenzione e di terapia in ambito sanitario e di promozione della salute –:
   con quali tempi e modalità intenda procedere alla ripartizione ai singoli istituti dei fondi già disponibili per consentire l'avvio dell'attività motoria nelle scuole, anche in considerazione del fatto che sia i dirigenti scolastici che gli insegnanti di educazione fisica sono in attesa di certezze da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. (5-01467)


   GIANNI FARINA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante nella precedente legislatura ha presentato ben altre cinque interrogazioni con risposta scritta (n. 4-07370, 4-07053, 4-06546, 4-10670, 4-16558) sull'istituto paritario Diomede Carafa di Ariano Irpino (Avellino) e non ha mai ricevuto nessuna risposta dai precedenti ministri Mariastella Gelmini e Francesco Profumo;
   nelle precedenti interrogazioni si chiedeva conto dell'infimo livello culturale dell'istituto e delle dubbie procedure amministrative sul piano della legalità e della correttezza;
   l'interrogante è ora venuto in possesso dello stampato utilizzato dal Diomede Carafa recante la domanda di iscrizione e il contratto da stipularsi all'atto dell'iscrizione;
   analizzando la domanda d'iscrizione si nota che dev'essere compilata e firmata dallo studente, e non prevede la firma da parte di un genitore anche se lo studente fosse minorenne, e non si comprende perché debba fare l'elenco dei familiari conviventi e di seguito vi è anche scritto: «si prende atto che il P.O.F. (Piano dell'offerta formativa) e il Regolamento d'Istituto per l'anno scolastico oggetto di iscrizione verranno consegnati entro ottobre c.a. nella riunione del Consiglio di Classe dedicata alla presentazione della programmazione»;
   nella seconda pagina vi è l'allegato B che sarebbe il contratto, dove la prima parte non è compilata e sarebbe stato interessante vederla compilata, in quanto vi è una riga con lo spazio, dove presumibilmente dovrebbero comparire nome e cognome di chi si iscrive se maggiorenne, ma lo spazio è seguito da un: nato il... a, residente in ...alla via..., c.f... e di seguito nuovamente le medesime diciture (nato il..., a.., residente in..., e via ripetendo); nelle successive cinque righe, compaiono di nuovo gli spazi per il nome e cognome e di nuovo, per due volte, si ripete: nato il... a, residente in... alla via... c.f... e tutto ciò ripetuto ancora una volta e concluso dalla dicitura «nella qualità di genitori dell'alunn...»;
   nel contratto si conviene e si stipula quanto scritto in ben 11 punti, su uno dei quali, il punto 5, è particolarmente interessante soffermarsi: «L'allievo solleva l'Istituto Diomede Carafa da qualsiasi responsabilità per danni subiti durante il corso d'insegnamento, rinunciando sin da ora a qualsiasi richiesta di risarcimento o indennizzo» –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro;
   se sia consentito dalla normativa vigente che uno studente debba sollevare l'istituto da qualsiasi responsabilità per gli eventuali danni subìti a scuola e rinunciare a risarcimenti o indennizzi e altresì che uno studente si iscriva ad una scuola senza che gli siano stati consegnati il piano dell'offerta formativa e il regolamento d'istituto;
   se intenda inviare gli ispettori scolastici per i doverosi controlli;
   se il Ministero non abbia già assunto iniziative per la revoca del riconoscimento della parità scolastica. (5-01477)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto dell'insegnante di sostegno è di fondamentale importanza per l'apprendimento e la socializzazione degli studenti diversamente abili nelle scuole;
   attualmente questo importante compito è svolto principalmente da insegnanti precari in cerca di supplenza annuale e senza competenze specifiche, come richiederebbe invece il particolare compito svolto;
   i fondi stanziati per i diversamente abili non sono destinati all'attuazione di corsi di formazione –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per finanziare un corso specialistico per insegnanti di sostegno affinché si possano formare professionisti competenti in grado di ricoprire al meglio questo delicato ruolo. (4-02519)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE, ROSTELLATO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, CRIPPA, RIZZETTO, MUCCI, CHIMIENTI, VALLASCAS, FANTINATI, PRODANI e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 179 del 2012, dopo mesi dalla sua emanazione, appare tutt'oggi privo di attuabilità in alcune sue parti di fondamentale importanza, per un reale e concreto incentivo alla nascita e allo sviluppo delle start-up innovative;
   il decreto interministeriale di attuazione del bonus, da emanarsi entro la fine del 2012, ha subito un notevole ritardo nella sua emanazione, arrivando alla definizione soltanto nel giugno 2013;
   come si evince da un articolo pubblicato su Il Sole-24 ore, in data 1o novembre 2013, gli incentivi a favore delle start-up innovative tardano ad arrivare, stimando in quattordici mesi il tempo che occorrerà per renderli operativi;
   in data 7 agosto 2013 veniva accolto come raccomandazione un ordine del giorno presentato dal primo firmatario della presente interrogazione, l'ordine del giorno in Assemblea su pdl 9/01458/047, con il quale si impegnava il Governo ad «adottare le necessarie iniziative tese a velocizzare il processo di attuazione della normativa contenuta nel decreto-legge 179/2012, con particolare riguardo nell'individuazione delle modalità attuative delle agevolazioni spettanti alle persone fisiche e giuridiche che intendono investire nel capitale sociale di imprese “start-up innovative”» –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, siano a conoscenza dei fatti suddetti;
   se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, siano a conoscenza delle motivazioni di tale ritardo e se possano fornire ulteriori dettagli al fine di accelerare i tempi per rendere operativi gli incentivi suddetti;
   quali urgenti e mirate iniziative, i Ministri interrogati intendano mettere in atto per far sì che la situazione suddetta non si protragga ulteriormente e si riesca a rendere operativo il decreto-legge n. 179 del 2012, anche per quanto riguarda l'erogazione dei suddetti bonus. (5-01473)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla salute è tutelato dalla Costituzione italiana;
   la legge n. 180 del 1978, relativa ai disabili psichici, è stata importante, ma non sufficientemente applicata, e a distanza di 30 anni dalla sua promulgazione alcuni aspetti operativi quali assistenza medica, integrazione, aiuto sociale, aiuto economico, vanno necessariamente rivisti, considerando le epoche, la cultura, la sfera sociale differenti;
   è necessario intervenire per prevenire il disagio psichico, per curare, per dare risposte concrete e reali ai malati ed alle loro famiglie senza discriminazioni d'età, per individuare delle corsie preferenziali per il fabbisogno globale dei disabili psichici, creando, fra le altre cose, una cultura di rispetto e solidarietà –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro per aggiornare e superare la legge n. 180 del 1978, al fine di migliorare la qualità della vita dei disabili mentali e delle loro famiglie;
   se il Ministro non ritenga di valutare la necessità di assumere iniziative al fine di pervenire a una nuova legge moderna ed efficiente per tutelare in modo dignitoso i malati mentali, per dar loro un aiuto medico, sociale, economico, legale, giudiziario e per renderli partecipi della vita sociale. (4-02518)


   SORIAL. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 4 novembre 2013 si è registrata la diciottesima vittima di infortunio mortale sul lavoro nella provincia di Brescia dall'inizio dell'anno, la quinta delle ultime due settimane: secondo fonti di stampa, un operaio di 53 anni, Giorgio Maccarinelli di Mazzano, è morto in una cava nel quartiere di Santa Eufemia, cadendo all'interno di un macchinario che tritura i massi;
   le cosiddette «morti bianche» rappresentano nel nostro Paese una vera e propria strage che è ancora gravemente sottovalutata: negli ultimi cinque anni in Italia ben settemila lavoratori hanno perso la vita mentre svolgevano semplicemente il loro lavoro, lasciando settemila famiglie italiane senza quella che spesso è l'unica risorsa economica per il nucleo familiare;
   i dati dell'osservatorio indipendente di Bologna sui morti sul lavoro delineano un'autentica carneficina: dall'inizio dell'anno 516 lavoratori morti per infortuni sui luoghi di lavoro, (1050 se si aggiungono i morti su strade e itinere), mentre nel 2012 sarebbero morti circa 1180 lavoratori di cui 625 sui luoghi di lavoro (tutti documentati);
   sebbene negli ultimi rapporti INAIL si parli di un trend in calo negli ultimi anni del fenomeno delle morti sul lavoro, bisogna considerare, prima di tutto che numerose categorie di lavoratori regolarmente occupati non rientrano in queste statistiche poiché gli incidenti di cui parla l'INAIL sono esclusivamente quelli ufficialmente dichiarati a questo istituto e ad esso iscritti per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, inoltre, poi, il direttore regionale stesso dell'INAIL ha spiegato che il calo dei decessi è strettamente legato alla crisi economica in atto nel nostro Paese e va letto dunque alla luce di due tendenze molto gravi: la diminuzione della forza lavoro e l'aumento del fenomeno del lavoro nero;
   secondo l'Istat il numero di disoccupati arriva a toccare quota 3 milioni 194 mila e se se si considera la fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni, emerge che meno di due giovani su 10 lavorano; l'occupazione complessiva è costantemente calata negli ultimi anni: sempre secondo i dati ISTAT, nel 2008 si sono registrati 128.000 occupati in meno rispetto all'anno precedente, nel 2009 altri 204.000 occupati in meno; la tendenza è rimasta invariata sino al quarto trimestre 2012, visto che il numero degli occupati è diminuito di altre 148.000 unità rispetto a un anno prima;
   in seguito alle ultime vittime sul lavoro a Brescia, i sindacati Cgil, Cisl e Uil di Brescia hanno chiesto di non parlare più di fatalità o sfortuna, e dichiarato che il tema delle «morti bianche» e della prevenzione sarà al centro della loro futura iniziativa di mobilitazione per richiedere ad ogni livello di responsabilità competente, interventi opportuni verso una prevenzione reale nei luoghi di lavoro;
   in seguito ad una petizione alla Commissione europea di un operaio metalmeccanico fiorentino, Marco Bazzoni, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, per denunciare le inefficienze italiane nella prevenzione delle morti sul lavoro, Bruxelles ha risposto che il nostro Paese non ha ancora recepito le normative comunitarie per la sicurezza sul lavoro, e ha aperto una procedura d'infrazione contro l'Italia: la procedura n. 2010/4227 del 30 settembre 2011 (parere motivato del 21 novembre 2012), ai sensi dell'articolo 258 del Trattato, per non corretto recepimento della direttiva 89/391/CEE concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro;
   la Commissione europea è tornata il 26 giugno 2013 ad ammonire l'Italia per non corretto recepimento della direttiva 89/391/CEE «Direttiva del Consiglio del 12 giugno 1989 concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro», con la procedura d'infrazione n. 2013/4117;
   la politica, dimostrando scarsa attenzione ad un problema di così grandi dimensioni, con il decreto legislativo n. 106 del 2009, che andava a modificare il testo unico per la sicurezza sul lavoro voluto dal Governo Prodi (decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008), sembra essere andata in tutt'altra direzione rispetto alle «prescrizioni minime» contenute nelle succitate direttive europee, come sottolineato anche dalla «Nota sulle modifiche» di FIOM e CGIL;
   tanto per citare alcune modifiche introdotte in tal senso: riduzione della responsabilità e sanzioni e pene dimezzate a datori di lavoro, dirigenti e preposti;
   autocertificazione della valutazione dei rischi per le aziende fino a 10 dipendenti; riduzione degli obblighi connessi al contratto di appalto;
   in Italia nessuna legge obbliga l'azienda a fermare gli impianti in caso di incidenti mortali, e la normativa antisismica del 2005 non obbliga costruttori ed aziende a mettere a norma i prefabbricati costruiti in epoca precedente: i prefabbricati sono a rischio, ma agibili e in regola, contraddizione per la quale nessuna legge potrà trovare dei responsabili per i 17 lavoratori morti sotto i crolli dei capannoni industriali in Emilia in seguito ai terremoti del 20 e 29 maggio 2012;
   in tutti questi anni poco o nulla sembra essere stato fatto per aumentare i controlli per la sicurezza sul lavoro; a ciò si unisce il blocco dell'assunzione dei tecnici della prevenzione dell'Asl, che sono gli unici titolati a fare i controlli per la sicurezza e salute sul lavoro, blocco che naturalmente causa una diminuzione dei controlli per la sicurezza sul lavoro, perché il personale è scarso e molti tecnici sono andati in pensione, senza essere sostituiti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della gravità della situazione descritta e non ritengano dunque opportuno intervenire per promuovere una maggiore sicurezza sul posto di lavoro facendo in modo che le norme per la sicurezza sul lavoro vengano rispettate dai datori di lavoro, ma ancor prima, siano potenziate nell'ambito di un intervento organico, coerente e non occasionale a livello di legislazione nazionale;
   se non ritengano necessario adoperarsi per una campagna di sensibilizzazione sul tema, rivolta a tutti i cittadini per una riqualificazione della figura del lavoratore, svilita ormai a generica ed impersonale «forza lavoro», e specialmente rivolta agli imprenditori e ai datori di lavoro in generale che, di fronte alla prospettiva dei profitti, soprattutto in questo momento di crisi economica, a volte sottovalutano le norme di sicurezza e i loro obblighi in relazione alle misure di attenuazione dei rischi sul posto di lavoro, mettendo in pericolo la vita dei loro dipendenti;
   se non considerino urgente attivarsi nei modi che gli sono propri, affinché venga attuato con urgenza, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, un monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro a partire dai comparti lavorativi più a rischio, coordinando tutte le risorse umane disponibili (ispettorati del lavoro, delle ASL, dell'INPS, dell'INAIL, e altri). (4-02535)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i 510 lavoratori della fallita Ixfin Spa di Marcianise, in provincia di Caserta, in procedura fallimentare dal giugno 2006, dopo il percorso di legge della cassa integrazione guadagni straordinaria per fallimento e delle concessione di cassa integrazione guadagni in deroga da parte ministeriale fino a settembre 2012, nell'anno 2013 hanno ottenuto dalla regione Campania, la concessione di un periodo di cassa in deroga dal 1o gennaio al 30 giugno, con accordo sottoscritto dalla curatrice fallimentare e dalle organizzazioni sindacali, l'8 marzo 2013, presso il settore ORMEL della regione Campania;
   successivamente a tale accordo, la curatrice ha fatto sottoscrivere ai lavoratori la modulistica per il pagamento della cassa integrazione guadagni in deroga, che è stata pagata regolarmente dall'INPS, fino al 30 aprile 2013;
   inopinatamente, però, il giudice delegato al fallimento IXFIN, dopo una serie di audizioni con i soggetti interessati, comprese le organizzazioni sindacali e l'INPS territoriale di Caserta, ha disposto con un provvedimento del 15 ottobre 2013 la conferma dei licenziamenti intimati ai lavoratori IXFIN in data 27 dicembre 2012. Tutto ciò è avvenuto nonostante che la curatrice abbia sottoscritto atti ufficiali che de facto annullano i predetti licenziamenti e conversione della cassa integrazione guadagni in deroga, concessa dalla regione Campania, in mobilità retroattiva dal 1o gennaio 2013. Si precisa che dal mese di aprile 2013, in virtù della modifica degli intendimenti del giudice delegato, i lavoratori Ixfin non hanno più l'assegno di cassa integrazione guadagni in deroga –:
   se il Governo abbia intenzione di adottare iniziative urgenti per quanto di competenza, anche di concerto con la regione Campania, affinché i lavoratori della IXFIN spa, possano ricevere un adeguato sostegno a fronte della gravissima situazione descritta in premessa. (4-02543)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e MARROCU. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si stanno moltiplicando in queste settimane le segnalazioni su tutta la penisola dalla Sardegna al Lazio, dalla Basilicata alla Sicilia dalla Calabria alla Toscana di focolai di bluetongue, comunemente conosciuta come «lingua blu», malattia infettiva non contagiosa dei ruminanti arrivata in Italia dall'Africa sub-sahariana;
   per quanto si conosce, la malattia non rappresenta un problema per la salute umana; essa è una vera calamità dal punto di vista economico per un settore già martoriato dalla crisi;
   l'abbattimento di migliaia di capi sta portando al collasso del settore degli allevamenti ovini, basti pensare che nel mese di ottobre 2013 solo in Sardegna sono deceduti 38 mila capi e che la stima fatta dagli operatori, anche sanitari, potrebbe toccare le 50 mila unità entro la fine dell'anno;
   a complicare le cose vi sono i mutamenti climatici che rendendo gli inverni meno rigidi e diventa più difficile ostacolare il proliferare del virus;
   è indispensabile un incremento delle risorse per contrastare in maniera efficace il diffondersi della «lingua blu» come già chiesto dagli assessori regionali competenti in sede di conferenza Stato-regioni;
   diventa, altresì, necessaria anche una corretta interpretazione delle norme adottate fino ad ora, affinché vengano date certezze sull'accesso agli aiuti alle aziende, anche a quelle che per via di carenza dei vaccini non hanno potuto ottemperare alla profilassi dei propri allevamenti subendo danni –:
   se e quali misure il Governo intenda intraprendere al più presto, di concerto con le regioni interessate, per contrastare il diffondersi della «lingua blu» al fine di rispondere alle richieste di aiuto degli operatori del settore. (5-01462)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   l'utilizzo dell'informatica nella pubblica amministrazione e nel privato ha assunto negli ultimi anni un'importanza fondamentale per l'espletamento di ogni pratica e per la comunicazione fra persone ed enti;
   l'utilizzo dei software open source, quali OpenOffice, Firefox e Linux, permette agli utenti finali di accedere ai documenti ed ai programmi senza rendere necessario l'acquisto delle licenze dei prodotti informatici;
   l’open source consente il libero studio e l'apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti; inoltre, tale collaborazione rende il prodotto finale più completo e flessibile di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di lavoro;
   l’open source garantisce una maggiore protezione dei dati sensibili e fornisce livelli di sicurezza più elevati;
   numerose amministrazioni europee ed italiane hanno già adottato i software open source con consistenti risparmi sui bilanci pubblici e senza riscontrare problemi gestionali –:
   se il Ministro non ritenga opportuno attivarsi per incentivare l'utilizzo dei software open source nelle pubbliche amministrazioni. (4-02521)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LENZI, AMATO, BELLANOVA, BENI, BIONDELLI, BURTONE, CAPONE, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, PATRIARCA, MIOTTO e MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104 «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca», convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128 è stato cancellato, di fatto, il divieto di utilizzo della sigaretta elettronica nei luoghi pubblici, introdotto a giugno 2013 con la legge di conversione del decreto-legge del 28 giugno 2013, n. 76;
   il testo vigente, al quale si è pervenuti dopo un accelerato iter parlamentare, rende possibile «svapare» le sigarette elettroniche là dove invece permane il divieto per le sigarette tradizionali: uffici, ristoranti, cinema, mezzi pubblici e bar;
   sempre in virtù del «decreto-legge istruzione» la sigaretta elettronica rimane invece vietata nei locali chiusi e nelle aree all'aperto di pertinenza delle istituzioni del sistema educativo di istruzione e di formazione, comprese le sezioni di scuole operanti presso le comunità di recupero e gli istituti penali per i minorenni, nonché presso i centri per l'impiego e i centri di formazione;
   l'effetto delle sigarette elettroniche ancora non è conosciuto nel dettaglio e non ci sono ad oggi studi scientifici che provino che le sigarette elettroniche aiutino effettivamente a smettere di fumare o evidenziano gli effetti della «svapata» per chi inala e per chi la subisce –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere al fine di tutelare la salute dei cittadini ed in particolare di quelli più vulnerabili sia come età che come condizioni psicofisiche contro il tabagismo e le sigarette elettroniche che contengono nicotina uniformando i limiti per l'utilizzo di quest'ultime a quelli posti al fumo da tabacco. (5-01476)

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione italiana stabilisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti;
   l'articolo 1 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale n. 883 del 23 dicembre 1978 stabilisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio;
   l'articolo 19, ultimo comma, della legge n. 883 sancisce che gli emigrati, che rientrino temporaneamente in patria, hanno diritto di accedere ai servizi di assistenza sanitaria della località in cui si trovano intendendo che tale assistenza deve essere erogata in qualsiasi luogo del territorio della Repubblica e che la residenza all'estero non è preclusiva di tale diritto;
   tuttavia la stessa legge n. 883 individua nella residenza il criterio normale di collegamento tra utente e azienda sanitaria locale (ASL) indicando che gli utenti del servizio sanitario nazionale sono iscritti in appositi elenchi periodicamente aggiornati presso l'unità sanitaria locale nel cui territorio hanno la residenza;
   ai cittadini italiani residenti all'estero e iscritti all'AIRE (Anagrafe italiani residenti all'estero) i quali rientrano in Italia per soggiorni temporanei, in virtù di quanto stabilito dal decreto 1o febbraio 1996 «Determinazione delle tariffe relative alle cure urgenti ospedaliere prestate dal Servizio sanitario nazionale ai cittadini italiani e stranieri non assicurati», se titolari di pensione corrisposta da enti previdenziali italiani o aventi lo status di emigrato, certificato dall'ufficio consolare italiano competente per territorio, sono erogate le prestazioni ospedaliere urgenti a titolo gratuito ma per un periodo massimo di novanta giorni nell'anno solare, qualora gli stessi non abbiano una copertura assicurativa, pubblica o privata, per le suddette prestazioni sanitarie; tale decreto non recepisce, ma anzi contraddice, l'articolo 19 della legge n. 883 succitato che invece sancisce il diritto degli emigrati che rientrino in Italia all'assistenza sanitaria, e quindi non solo ospedaliera urgente ma anche medico-generica e specialistica;
   il decreto 1o febbraio 1996 disciplina quindi, ancorché in contraddizione con la legge n. 883, solo ed esclusivamente le prestazioni ospedaliere urgenti ed è stato finora applicato dal Ministero della salute e dalle Asl come dispositivo normativo per precludere l'esercizio del diritto all'assistenza sanitaria medico-generica e specialistica ai cittadini italiani emigrati che rientrino temporaneamente in Italia solo perché sprovvisti di residenza in Italia, in violazione di quanto sancito dall'articolo 1 della legge n. 883 che garantisce invece l'eguaglianza dei cittadini italiani – a prescindere dalla residenza – nei confronti del servizio sanitario nazionale –:
   se il Ministero non ritenga opportuno fornire chiarimenti sul significato dell'ultimo comma dell'articolo 19 della legge n. 883 istitutiva del servizio sanitario nazionale precisando cosa esattamente intende il legislatore quando stabilisce che «gli emigrati, che rientrino temporaneamente in patria, hanno diritto di accedere ai servizi di assistenza sanitaria della località in cui si trovano»; se tale diritto – e la sua gratuità – debba essere, limitato solo alle cure ospedaliere urgenti per un massimo di 90 giorni così come stabilito dal decreto 1o febbraio 1996, e se così fosse per quali ragioni, oppure esteso, come sembra più ragionevole, a tutte le prestazioni sanitarie ancorché solo per 90 giorni o meglio ancora senza limiti temporali;
   se non ritenga giusto e necessario disporre inoltre che la residenza all'estero e l'iscrizione all'Aire non siano considerate condizioni preclusive all'iscrizione provvisoria al Servizio sanitario nazionale e/o del diritto dei cittadini italiani residenti all'estero di usufruire gratuitamente, se sprovvisti di assicurazione pubblica o privata, dell'assistenza sanitaria medico-generica, specialistica e ospedaliera urgente, durante periodi di soggiorno temporaneo in Italia;
   se non ritenga urgente, utile e doveroso – a fronte dell'intreccio ambiguo e disorganico della normativa attualmente in vigore che disciplina l'erogazione dell'assistenza sanitaria a favore dei cittadini italiani non residenti nel territorio della Repubblica e del conseguente vuoto di tutela in contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione e con i principi ispiratori della stessa legge n. 833 del 1978, in base ai quali l'assistenza sanitaria va garantita a tutti i cittadini a prescindere dalla loro residenza, senza distinzioni di condizioni individuali o sociali – predisporre una normativa organica e chiara relativa alla tutela della salute dei cittadini italiani che risiedono all'estero, e che rientrano in Italia per soggiorni temporanei, in modo tale da garantire certezza del diritto all'assistenza sanitaria e uniformità di applicazione sul territorio nazionale (alcune regioni prevedono una tutela sanitaria più ampia per gli emigrati), ponendo finalmente fine alle attuali disparità di trattamento (come ad esempio tra pensionati e «titolari» della qualifica di emigrato da una parte e cittadini privi di tali qualifiche o nati all'estero dall'altra oppure tra cittadini italiani che vivono in Stati convenzionati e quelli che invece vivono in Stati non convenzionati) e alle difficoltà interpretative delle norme da parte delle stesse istituzioni preposte alla tutela. (4-02536)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (Invitalia) agisce, su mandato del Governo, per accrescere la competitività del Paese e in particolare del Mezzogiorno e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo dell'economia. I suoi obiettivi prioritari sono:
   a) favorire l'attrazione di investimenti esteri;
   b) sostenere l'innovazione e la crescita del sistema produttivo;
   c) valorizzare le potenzialità dei territori;
   il Titolo II del decreto legislativo 185 del 2000 disciplina ed agevola le forme di «autoimpiego» e risulta essere il principale strumento di sostegno alla realizzazione e all'avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione;
   in particolar modo, la richiamata Agenzia prevede la concessione di finanziamenti a tasso agevolato, di contributi a fondo perduto e di servizi di assistenza tecnica per tre tipologie di iniziative: «lavoro autonomo, microimprese e franchising»;
   le agevolazioni concesse in materia di «microimpresa» sono rivolte alle persone che intendono avviare un'attività imprenditoriale di piccola dimensione in forma di «società di persone», risultando escluse: «le ditte individuali, le società di capitali, le cooperative, le società di fatto e le società aventi socio unico»;
   l'articolo 2 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, l'articolo 44 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, l'articolo 9 del decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 hanno introdotto delle semplificazioni per le «società a responsabilità limitata», facilitando la costituzione delle medesime e riducendo i costi per l'avvio di attività a impresa;
   non è chiaro se nella quota del 10 per cento del totale dell'investimento, riservato alle spese di ristrutturazione, siano annoverabili anche le spese sostenute per l'acquisto di pannelli solari, impianti di geotermia e condizionatori –:
   sarebbe proficuo estendere le agevolazioni anche ad altre fattispecie societarie ed in particolar modo alle suddette «società a responsabilità limitata»;
   le risorse finanziarie relative agli inventivi previsti dal decreto legislativo n. 185 del 2000 sono esaurite;
   l'Agenzia «Invitalia» risulta essere un valido ed efficace strumento di finanziamento alle imprese e di sviluppo dell'economia, utile, altresì, alla ripresa dell'economia nazionale;
   l'utilizzo di pannelli solari, di impianti di geotermia e condizionatori consente alle imprese di ridurre i costi di gestione –:
   se il Ministro intenda assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, al fine di:
   a) stanziare nuove risorse finanziarie all'Agenzia «Invitalia»;
   b) estendere le agevolazioni previste per le «Microimprese» anche alle ditte individuali, alle società di capitali, alle cooperative, alle società di fatto ed alle società aventi socio unico;
   c) ricomprendere nella quota del 10 per cento del totale dell'investimento, riservato alle spese di ristrutturazione, anche l'acquisto di pannelli solari, impianti di geotermia e condizionatori.
(2-00301) «Cancelleri».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LEVA. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della legge n. 99 del 2013 prevede «misure urgenti per l'occupazione giovanile e contro la povertà del Mezzogiorno» e stanzia delle somme rivenienti dal fondo di rotazione di cui alla legge n. 183 del 1987 da finalizzare alle «misure per l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità previste dal decreto legislativo n. 185 del 2000;
   una nota di Sviluppo Italia Molise evidenzia che lo stanziamento effettuato dal Governo finalizza le risorse esclusivamente ai territori del Mezzogiorno e che per Invitalia i territori in questione sarebbero le regioni in obiettivo «convergenza», come da definizione adottata dall'Unione europea e coerentemente utilizzata per i programmi operativi;
   se tale interpretazione dovesse essere confermata nel Molise non potrebbero essere utilizzate le misure di agevolazione;
   si tratta di misure che, a partire dall'anno 2000, hanno avuto un impatto molto significativo sull'economia regionale, in termini di creazione di nuove imprese e di occupazione giovanile e femminile –:
   quale sia l'esatta interpretazione della norma in questione e se si ritenga utile attivarsi per fare in modo di superare l'eventuale vincolo territoriale al fine di utilizzare le somme stanziate dalla legge n. 99 del 2013 per finanziare la nascita di nuove imprese in Molise, alla luce della difficile congiuntura economica. (5-01459)


   AIRAUDO, ZAN, MARCON, DI SALVO e PLACIDO. —Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, recante «Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione» prevedeva all'articolo 4, comma 1, la possibilità di iscrizione nella lista di mobilità di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223 per i lavoratori licenziati da imprese, anche artigiane o cooperative di produzione e lavoro, con meno di 15 dipendenti;
   tale iscrizione consentiva ai lavoratori licenziati da aziende al di sotto dei 15 dipendenti di fruire delle agevolazioni di cui all'articolo 8, comma 2, e all'articolo 25, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, che stabilisce l'applicazione dello stesso regime incentivante per le loro riassunzioni da parte di altre imprese;
   questa misura incentivante è stata continuamente prorogata dal 1993, ma a partire dal 1o gennaio 2013 non è intervenuto nessun altro provvedimento di proroga;
   trattandosi di benefici riconosciuti alle imprese come «sgravi a credito», le aziende hanno continuato ad assumere lavoratori in mobilità godendo anche per il 2013 degli incentivi, facendosi affidamento sulla loro proroga che però non c’è stata;
   con la circolare n. 150 del 25 ottobre 2013, l'INPS ha comunicato che non è possibile riconoscere le agevolazioni per le assunzioni nell'anno 2013, dovendosi ritenere, in via cautelare, anticipata al 31 dicembre 2012 la scadenza dei benefici connessi a rapporti agevolati;
   questo comporterà che le imprese dovranno restituire gli incentivi percepiti per l'anno 2013;
   tale situazione, che riguarda tutta Italia, ma che è particolarmente sentita in Veneto, ha portato il direttore generale dell'INPS Veneto Antonio Pone a dichiarare: «Non c’è nessun errore, da sempre questi incentivi per la “piccola mobilità” riservata ai disoccupati delle piccole e medie imprese, sono soggetti a rifinanziamento da parte del governo. Che è mancato però sia col governo Monti nella riforma Fornero, sia col governo Letta. Ecco perché quelli che erano sgravi a credito per gli artigiani sono ora diventati un debito da sanare»;
   dai primi calcoli effettuati dalle associazioni di categoria si tratterebbe di un rimborso di 4.000-6.000 euro per ciascun assunto;
   la situazione è paradossale, se si considera che gli sgravi sono invece stati mantenuti per i dipendenti delle grandi imprese –:
   se intenda intervenire, anche in via normativa, per prorogare – ed eventualmente rendere stabili – gli sgravi contributivi precedentemente stabiliti a favore dei lavoratori di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, al fine di facilitare le assunzioni da parte delle aziende e il reinserimento dei lavoratori e di impedire che nell'attuale situazione di crisi le aziende siano tenute a restituire gli sgravi a credito goduti nel 2013. (5-01465)


   VALLASCAS, CRIPPA, DELLA VALLE, FANTINATI, MUCCI, PRODANI e PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stato firmato al Ministero dello sviluppo economico un protocollo d'intesa per lo sviluppo di un polo tecnologico per il cosiddetto carbone pulito nell'area del Sulcis Iglesiente;
   a siglare l'intesa sono stati il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico Claudio De Vincenti e l'assessore all'industria della regione Sardegna Antonio Angelo Liori;
   detto accordo prevede la realizzazione del polo tecnologico dell'energia pulita previsto dal piano Sulcis;
   il protocollo del piano prevede due fasi: la prima lo sviluppo di un centro di ricerca con un impianto a tecnologia evoluta di ossicombustione di potenza di circa 50 megawatt da realizzarsi entro 2/3 anni, e di altre tecniche di cattura e confinamento dell'anidride carbonica; la seconda fase prevede la realizzazione di una centrale elettrica con tecnologia CCS (carbon capture and storage) che stoccherebbe il 65 per cento della CO2 prodotta con carbone proveniente solo per il 50 per cento dai giacimenti della Carbosulcis, all'interno di un non meglio precisato giacimento carbonifero che sarebbe presente nella fascia tra Funtanamare e Nuraxi Figus;
   detto sviluppo è già stato realizzato dall'ENEA attraverso uno studio durato anni con la costruzione di un impianto sperimentale sul quale sono state condotte indagini con diagnostica avanzata per lo studio della stabilità in ossicombustione, con la raccomandazione che si possa implementare solo su impianti di piccola dimensione dato l'altissimo costo dell'ossigeno necessario (fonte: http://www.enea.it);
   gli stessi calcoli dell'Enea prevedono che il carbone del Sulcis venga fornito a 40 euro la tonnellata contro un prezzo che si aggira intorno ai 290 euro del carbone sudafricano di migliore qualità e che dunque, anche usando solo carbone del Sulcis, l'impianto lavorerebbe in perdita per oltre 400.000 euro anno, mentre costruire l'impianto costerebbe inoltre circa 2,6 milioni e alla perdita di esercizi bisognerebbe aggiungere le spese per l'ammortamento (fonte: http://blogeko.ilijournal.it);
   la Sardegna è da 10 anni esportatore netto di energia come testimoniato dai dati statistici sull'energia elettrica in Italia del 2012 pubblicati da TERNA (fonte: http://www.terna.it);
   l'uso del Carbone Sulcis in una eventuale centrale a Carbone avrebbe rilevanti impatti su un ambiente già pesantemente colpito da fenomeni di inquinamento industriale e per questo inserito del novero dei SIN, siti di interesse nazionale e suscettibile di ingenti investimenti finalizzati ad opere di bonifica del territorio;
   le voci in bolletta connesse alle fonti fossili sono già passate dal 31 al 57 per cento, del totale contro il 33 per cento delle rinnovabili, mentre i fondi spesi per il sostegno degli impianti che producono energia rinnovabile rappresentano oggi consentono risparmi tra i 30 e i 76 miliardi di euro proprio per la mancata importazione di fonti fossili (fonte: http://www.greenstyle.it);
   l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha appena approvato uno schema per il capacity payment in forza del quale le centrali in sovrannumero vengono di fatto sovvenzionate solo per assicurare la potenziale produzione di energia elettrica necessaria al soddisfacimento dei picchi di consumo, e non come si vuol far credere per sopperire alle carenze delle rinnovabili, senza che peraltro la producano davvero, e senza che questo sia stato inquadrato in un piano adeguato per la chiusura delle centrali non necessarie favorendo lo sviluppo delle fonti alternative in sostituzione della capacità fossile;
   in Sardegna sono già operative altre due centrali a carbone e sono in discussione ulteriori due progetti di impianti alimentati con quella fonte, fatto grave che rappresenta un ulteriore attacco dal punto di vista economico, ambientale e sanitario per quella terra già notevolmente coinvolta da fenomeni di inquinamento industriale;
   dal general contest dei progetti finanziati dal NER 300, con le risorse rientranti nei PON e dal quale attinge risorse il programma di sviluppo della centrale a carbone in questione, si evince che dai progetti finanziabili sono escluse le centrali di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti non rinnovabili come il carbone; si ricorda infatti che la sperimentazione del CSS non è legata alla produzione di CO2 da fonti non rinnovabili (fonte: http://www.ponrec.it);
   il progetto in questione verrà realizzato con investimenti per 68 milioni di euro e assunzioni per 60 persone con scarsissimo impatto sull'occupazione e sull'indotto locale, che corrisponde a circa un milione di euro per posto di lavoro, un'enormità e l'iniziativa sarà portata avanti dalla Sotacarbo, società semistatale anch'essa i cui azionisti di riferimento sono infatti Enea e regione Sardegna;
   la regione Sardegna, azionista unico della Carbosulcis, obbligata dalle sanzioni annunciate dalla Unione europea, ha già adottato l'atto con il quale, viene decretata la data del 2018, quale termine ultimo della messa in sicurezza della miniera di Nuraxi Figus, con conseguente blocco di qualsiasi produzione (fonte: http://www.regione.sardegna.it);
   secondo alcune previsioni fatte da tecnici della miniera di Nuraxi Figus, malgrado il contratto di fornitura alla centrale Enel di Portovesme di circa 300 mila tonnellate di carbone nel corso del 2013, Carbosulcis sembra non possa andare oltre le 90 mila tonnellate (fonte http://www.gazzettadelsulcis.it) –:
   quali iniziative, nell'ambito della propria competenza il Governo, intenda intraprendere volte a:
    a) chiarire come mai si intenda spendere ancora fondi pubblici per una sperimentazione sui processi di ossicombustione già attuata positivamente in passato da ENEA;
    b) chiarire come mai si intendano utilizzare risorse provenienti dai fondi NER 300 per una sperimentazione sui CSS da energia non rinnovabile non prevista dal protocollo dello stesso NER e che è peraltro già stata effettuata in passato da ENEA;
    c) chiarire se un'eventuale centrale a carbone realizzata con le tecniche di ossicombustione dovrà o meno utilizzare carbone del Sulcis o come pare carbone proveniente parzialmente dall'estero, considerato che l'ossicombustione abbatte in percentuale le emissioni di carbonio in atmosfera ma non l'elevata quantità di zolfo, pari all'8 per cento, presente nel carbone estratto nei siti di coltura limitrofi, per evitare la quale esistono solo esempi sperimentali di processi costosi che contribuirebbero a mettere fuori mercato l'energia prodotta;
    d) chiarire come mai si intenda continuare a produrre energia e per giunta da fonti non rinnovabili e inquinanti quando il settore italiano è già gravato da centinaia di esuberi nella forza lavoro;
    e) chiarire, dal momento che l'energia così prodotta, così come esposto nella premessa, avrebbe dei prezzi superiori a quelli di mercato se si intenda ripercorrere una strada già investita da procedura di infrazione dalla Commissione europea per distorsione del mercato, in relazione alla cessione di energia a prezzi di favore a seguito della legge n. 80 del 2005, all'articolo 11, comma 14;
    f) chiarire, visto il surplus energetico indicato in premessa e l'eventuale utilizzo di fondi pubblici, se alla base dell'accordo in questione esista un piano energetico regionale coerente con un piano industriale che indichi la destinazione dell'energia prodotta ovvero la reale necessità di realizzare una nuova centrale;
    g) accertare l'esistenza di studi geologici effettuati in passato direttamente da Carbosulcis attraverso specifiche geoprospezioni, per le quali sarebbero stati utilizzati ingenti risorse pubbliche per attrezzature e consulenze che avrebbero accertato l'impossibilità del sottosuolo del Sulcis ad accogliere lo stoccaggio della CO2 a causa della frammentazione della vena carbonifera laddove si vorrebbe immettere CO2, nel tratto da Funtanamare a Nuraxi Figus, e che nello stesso sito non sarebbe stato trovato alcun giacimento di carbon fossile, perlomeno non continuo, e in tal caso chiarire come mai sia stato scelto per la sperimentazione dello stoccaggio della CO2 un sito geologicamente inadatto a tale scopo;
    h) chiarire se i fondi derivanti dal NER 300 debbano essere utilizzati per finanziare anche se solo trasversalmente in modo, ad avviso degli interroganti palesemente inammissibile il progetto di costruzione della centrale a carbone prevista dal succitato protocollo d'intesa;
    i) chiarire come mai si intenda insistere nella produzione di energia da carbone proveniente parzialmente da un sito di cui è prevista la chiusura già nel 2018. (5-01468)


   BARUFFI e RICHETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la «Ceramiche Progres» è una ditta di produzione di piastrelle ceramiche avente il proprio stabilimento nel comune di Serramazzoni, ai confini con Pavullo, nell'Appennino modenese;
   l'azienda occupa attualmente una cinquantina di addetti, prevalentemente residenti nella zona, e risulta quindi per il territorio montano una realtà produttiva significativa anche per dimensioni;
   la ditta, sebbene già toccata negli anni scorsi dalla crisi economica, tanto da avere adottato la misura della cassa integrazione ordinaria, costituisce ancora un'importante risorsa economica per la montagna modenese e resta un presidio contro lo spopolamento del territorio appenninico;
   sebbene non fossero sconosciute le difficoltà economiche dell'impresa, non era stata rappresentata alcuna emergenza significativa alle istituzioni locali nei mesi e nelle settimane passate;
   l'8 novembre 2013 la proprietà, in modo del tutto inaspettato e dirompente, ha comunicato ai lavoratori la volontà di mettere in liquidazione la società;
   una simile eventualità rappresenterebbe un colpo fortissimo non solo per le decine di lavoratori coinvolti, ma per le loro famiglie e l'intera comunità coinvolta, stante la specificità del tessuto socioeconomico dell'appannino modenese;
   l'immediata messa in liquidazione vanificherebbe qualsiasi possibilità di rilancio di quella realtà produttiva, vanificando al tempo stesso ogni tentativo, anche da parte dei sindacati e della amministrazioni locali, di trovare una soluzione condivisa alla crisi aziendale stessa;
   appare quindi indispensabile agire in fretta per evitare il depauperamento del territorio e del suo tessuto economico, e soprattutto il precipitare della situazione per i lavoratori coinvolti e le rispettive famiglie;
   occorre in via prioritaria ricercare una soluzione che consenta il mantenimento degli ammortizzatori sociali per gli addetti coinvolti in attesa di un auspicabile rilancio dell'impresa che passi, eventualmente, anche attraverso un cambio della proprietà –:
   se siano a conoscenza dei fatti riportati e dispongano di ulteriori informazioni in merito;
   se non ritengano necessario assumere ogni utile iniziativa, di concerto con le amministrazioni locali coinvolte e con la regione Emilia Romagna, affinché possa essere salvaguardata questa realtà produttiva così significativa per il territorio interessato;
   quali strumenti di protezione sociale intendano predisporre, d'intesa con gli enti locali e la regione, al fine di accompagnare i lavoratori coinvolti verso un auspicabile rilancio dell'azienda e, in ogni caso, affinché sia tutelata la capacità reddituale dei lavoratori. (5-01469)


   DE MICHELI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   RetItalia internazionale è la società di informatica in house dell’«Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», ex ICE;
   gli impiegati di RetItalia internazionale operano da circa 35 anni per la mission dell'ICE e, grazie alle competenze di tali professionisti dell’Information Technology, la società è stata in grado di offrire servizi professionali integrati, in un ampio spettro di aree tematiche, attraverso un approccio basato sull'utilizzo di metodologie, conoscenze e innovative tecnologie informatiche;
   in data 22 gennaio 2013 l'Agenzia ICE ha deliberato la vendita di RetItalia internazionale per un contratto quinquennale pari a 15 milioni di euro, 3 milioni di euro annui, ma tale valore economico non consente la sopravvivenza lavorativa di più della metà del personale poiché il costo della società è pari a circa 4,3 milioni di euro;
   sono fortissime le preoccupazioni dei lavoratori di RetItalia internazionale, legate al rischio concreto della perdita del posto di lavoro per almeno la metà del personale nell'immediato e dell'assoluta incertezza sul prossimo futuro per l'altra metà;
   per salvaguardare l'occupazione dei 65 lavoratori, gli investimenti, le risorse e le conoscenze professionali, e per scongiurare la dispersione del patrimonio informatico conseguenti all'eventuale alienazione della società, la soluzione meno rischiosa potrebbe essere quella di mantenere RetItalia internazionale nel circuito della pubblica amministrazione;
   tra maggio e giugno 2013 si sono tenute alcune riunioni con i vertici ICE e, a luglio, anche con il Ministero dello sviluppo economico, i quali hanno assicurato che, prima della pubblicazione del bando di gara per la vendita di RetItalia internazionale, avrebbero informato la rappresentanza sindacale di RetItalia sulle eventuali eccedenze emerse dalla relazione dell’advisor che ha redatto la due diligence e il bando stesso;
   tuttavia, a quanto consta all'interrogante, la rappresentanza sindacale non è stata informata né su quanto è emerso dall'analisi effettuata, né sulle strategie da adottare per la salvaguardia dei posti di lavoro degli impiegati di RetItalia internazionale;
   la mancanza di trasparenza e la vaghezza delle informazioni in relazione al mantenimento dei livelli occupazionali, in occasione dell'incontro con ICE e con l’advisor avvenuto il 24 settembre 2013, hanno destato ulteriori preoccupazioni sulla piena collocazione di tutti i lavoratori della società;
   il contratto e il bando di gara sono stati consegnati già i primi di settembre, rispettivamente all'Agenzia per l'Italia digitale e all'AVCP, ma le uniche informazioni in possesso dei lavoratori sono: la conferma del valore economico del contratto, pari a 3 milioni di euro inclusa IVA, vale a dire circa 2,3 milioni, insufficienti per la garanzia dei livelli occupazionali; l'esclusione dal bando e dal contratto di due progetti di rilievo e di carattere strategico, assegnati nel 2011 e nel 2012 dal Ministero dello sviluppo economico (il portale made in Italy, un sistema di vetrine virtuali e commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale) e l’international trade hub-Italia (un portale sponsorizzato dal «tavolo strategico nazionale per la trade facilitation» che consente alle imprese italiane di accedere da un unico punto a i tutti processi relativi all'internazionalizzazione); la pubblicazione a breve del bando di gara;
   rispetto al trattamento riservato a Buonitalia, partecipata al 10 per cento dall'Agenzia-ICE, si ritiene fortemente iniquo il trattamento riservato a RetItalia internazionale (partecipata al 100 per cento dall'Agenzia-ICE), per la quale sembra non essersi palesata un'analoga volontà di individuare soluzioni per la salvaguardia di tutti i lavoratori;
   per tutto quanto sopra esposto è urgente una pausa di riflessione che fermi la corsa alla pubblicazione del bando di gara, sospendendo la vendita di RetItalia internazionale, al fine di trovare soluzioni volte alla salvaguardia completa dei posti di lavoro –:
   per quali ragioni si stiano per compromettere 65 posti di lavoro in un momento in cui in Italia la disoccupazione sta ancora aumentando, rischiando anche la perdita di competenze e conoscenze importanti per la pubblica amministrazione;
   quali iniziative intenda assumere al fine di trovare le opportune soluzioni per garantire l'occupazione dei lavoratori di RetItalia. (5-01470)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, CIPRINI, TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, GAGNARLI e TOFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel gennaio 2005 la Snam Rete gas spa ha presentato, attraverso una serie di valutazioni di impatto ambientale (VIA) parziali, un progetto per la realizzazione di un gasdotto denominato «Rete Adriatica», di 687 chilometri, suddiviso in cinque lotti funzionali: Massacra-Biccari; Biccari-Campochiaro; Sulmona-Foligno (a Sulmona è prevista anche la centrale di compressione); Foligno-Sestino e Sestino-Minerbio;
   la società proponente Snam, nel suddividere l'opera nei suddetti 5 lotti funzionali, non ha affatto considerato la direttiva n. 85/337/CEE e n. 97/11/CE e la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07) concernenti l'obbligo di una valutazione di impatto ambientale di tipo complessivo, che tenga conto dell'effetto cumulativo dei progetti frazionati, non ha tenuto conto della direttiva n. 42/2001/CE disciplinante l'obbligo di applicazione della procedura di valutazione ambientale strategica e della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali;
   inizialmente l'opera era prevista lungo la fascia adriatica, costituendo il consequenziale raddoppio dell'infrastruttura già esistente, ma all'altezza di Biccari, è stata dirottata verso l'interno;
   dall'analisi del tracciato, si evince che si tratta di un'unica struttura per il trasporto del gas metano che va ad interessare aree di particolare pregio ambientale e ad elevato rischio sismico;
   in merito ai costi ambientali, appare evidente quanto devastante e, quindi, sconsiderata, sia la scelta di un tracciato che coincide con il progetto «A.P.E.» (Appennino Parco d'Europa), il più importante progetto di sistema avviato nel nostro Paese, finalizzato alla conservazione della natura e allo sviluppo ecosostenibile con l'ambizione strategica della valorizzazione delle risorse naturali e culturali;
   per quanto attiene al rischio sismico, esso rappresenta, tra le criticità del progetto, uno degli aspetti più macroscopici: deviando l'opera, la Snam sceglie incredibilmente, un tracciato che si snoda lungo le depressioni tettoniche interne dell'Appennino centrale;
   sovrapponendo il percorso del gasdotto alle carte sismiche delle regioni interessate, balza infatti in tutta la sua evidenza che la condotta corre in parallelo e talvolta interseca le linee di taglia attive di territori caratterizzati da un notevole tasso di sismicità che si manifesta, non di rado, attraverso eventi di magnitudo elevata;
   la mappa della pericolosità sismica del territorio nazionale mette in evidenza, attraverso l'intensità della colorazione viola, le aree che sono a più elevato rischio dell'intera penisola. Sono le stesse aree che, secondo la Snam, dovrebbero essere attraversate dal mega-gasdotto Brindisi-Minerbio e tra queste, esattamente le località più tragicamente colpite dal terremoto del 6 aprile 2009, quelle del cratere sismico dell'Aquila e provincia, nonché le località del sisma che ha colpito l'Umbria e le Marche il 26 settembre 1997;
   nel settembre del 2010, si è costituito, tra le regioni Abruzzo, Marche ed Umbria, un coordinamento interregionale antigasdotto con capofila il comune dell'Aquila;
   è la stessa Snam a definire il Sulmona-Foligno ed il Foligno-Sestino «uno dei tratti più critici dell'intero progetto». Tutte le località interessate dal tracciato del gasdotto sono in zona sismica di 1o e 2o grado; anche la centrale di compressione, prevista a Sulmona, insiste su una zona sismica di 1o grado: il sito scelto per la centrale è nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone ed i sismologi pongono l'attenzione, oltre che sulla particolare origine geologica della Conca Peligna (caratterizzata da depositi alluvionali come la piana dell'Aquila) che, in caso di terremoto, amplifica notevolmente gli effetti dell'onda sismica a causa del fenomeno dell'accelerazione, anche sulla faglia stessa, «dormiente» da oltre 1.900 anni; senza trascurare che la particolare conformazione orografica della Valle, non consentirebbe la dispersione delle sostanze inquinanti emesse dalla centrale con notevoli ripercussioni sulla salute umana e sulla catena alimentare;
   all'elevato rischio sismico che metterebbe a repentaglio l'incolumità dei cittadini ai quali viene ad avviso degli interroganti negata e sottratta l'applicazione del principio di precauzione, si sommano gli ingenti danni anche irreversibili all'ambiente ed i danni economici sia per le popolazioni colpite dal sisma che a stento cercano di risollevarsi, che per i cittadini residenti che hanno scelto per i loro territori, un modello di sviluppo eco-sostenibile che nulla ha a che vedere con infrastrutture pericolose ed impattanti imposte dall'alto;
   i consumi di gas sono in netto calo secondo i dati forniti dalla stessa Snam: 75,78 miliardi di metri cubi immessi in rete nel 2012, contro gli 84 miliardi circa del 2008, mentre le infrastrutture esistenti hanno una capacità di trasporto di 107 miliardi di metri cubi. La realizzazione di nuove infrastrutture è quindi motivata dalla volontà della Snam di rafforzare il ruolo di hub dell'Italia: rivendere il gas acquistato dal nord Africa ai Paesi del centro-nord Europa, gravando i cittadini ed i territori attraversati di pesanti servitù, rischi, danni ambientali, economici senza alcun beneficio;
   molti sono gli enti istituzionali che attraverso i loro deliberati, tutti con voto unanime, hanno espresso contrarietà all'opera come: la regione Abruzzo, la regione Marche, la regione Umbria, la provincia di Perugia, la provincia dell'Aquila, la provincia di Pesaro e Urbino, il comune di Pietralunga, il comune di Gubbio, il comune di Foligno, il comune di Cascia, il comune dell'Aquila, il comune di Sulmona, il comune di Pratola Peligna, il comune di Pacentro, il comune di Corfinio, il comune di Navelli, il comune di Introdacqua;
   l'VIII Commissione Ambiente della Camera dei deputati il 26 ottobre 2011 ha approvato all'unanimità una risoluzione che impegna il Governo a disporre la modifica del tracciato sia per gli alti costi ambientali che per l'elevato rischio sismico;
   i provvedimenti di valutazioni di impatto ambientale sono oggetto di contenzioso ancora in essere e il tracciato del metanodotto in progetto è stato oggetto di azioni legali in sede nazionale e comunitaria da parte di enti locali, comitati e associazioni ecologiste per l'assenza di procedure di valutazioni di impatto ambientale o di valutazione ambientale strategica uniche;
   il 26 giugno 2010 la provincia di Pesaro-Urbino, la provincia di Perugia, il comune di Gubbio, nel dicembre 2011 il comune di l'Aquila, la comunità montana del Catria e del Nerone, il comitato umbro-marchigiano «No Tubo», i comitati cittadini per l'ambiente di Sulmona, il comitato civico «Norcia per l'Ambiente», il gruppo d'intervento giuridico onlus, l'associazione La Lupus in Fabula onlus, la Federazione nazionale Pro Natura, il WWF Italia, Mountain Wilderness Italia, Italia Nostra, l'ARCI caccia della provincia di Perugia hanno inoltrato un ricorso alla Commissione europea affinché valuti (articolo 258 Trattato CE) la rispondenza alle normative comunitarie in materia di valutazione ambientale strategica – VAS e di valutazione di impatto ambientale – VIA del gasdotto denominato «Rete Adriatica», progettato dalla Snam Rete Gas spa (avente come partner per la distribuzione la Società British Gas);
   l'8 agosto 2011 sono stati presentati tre ricorsi straordinari al Capo dello Stato contro il progetto del gasdotto appenninico «Rete Adriatica» della Snam Rete Gas spa da parte delle associazioni ecologiste Mountain Wilderness, Lega per l'Abolizione della Caccia e Federazione nazionale Pro Natura, da parte della provincia di Perugia e da parte del comune di Gubbio, curati dall'avvocato Rosalia Pacifico, del foro di Cagliari;
   nei primi giorni del mese di luglio 2011 è stato presentato ricorso al TAR Lazio contro il decreto di compatibilità ambientale dal comune di l'Aquila;
   appare agli interroganti inutile sottoporre ad oggettivi rischi i cittadini delle aree interessate nel realizzare la nuova infrastruttura, considerando che quella attuale già soddisfa la domanda interna –:
   se non ritengano necessario assumere tutte le iniziative di propria competenza al fine di escludere che il progetto di realizzazione dell'opera coinvolga la fascia appenninica in linea con i contenuti della risoluzione approvata all'unanimità dall'VIII Commissione Ambiente nella seduta n. 553 del 26 ottobre 2011;
   se ritengano necessario considerare tutte le deliberazioni di contrarietà adottate dai vari enti istituzionali a tutti i livelli;
   quale sia l'orientamento generale del Governo nei confronti del progetto denominato «Rete Adriatica» e se, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, non ritenga che sia opportuno sospendere le procedure di autorizzazione attualmente in corso ed impedire la realizzazione di quest'opera così come progettata. (4-02517)


   DI GIOIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da moltissimi giorni i lavoratori di Sardegna Uno Tv sono riuniti in assemblea permanente;
   le organizzazioni sindacali hanno avuto diversi incontri con i massimi rappresentanti istituzionali della Sardegna (consiglio regionale, giunta regionale, parlamentari) per segnalare il rischio concreto della scomparsa di una voce storica del panorama editoriale isolano;
   giornalisti, tecnici e amministrativi chiedono che venga fatta piena luce sul passaggio di proprietà dell'emittente, ceduta il 30 luglio 2013 Giorgio Mazzella, presidente di Banca di Credito Sardo-Gruppo Intesa, a una cordata di tre imprenditori: Sandro Crisponi, Amministratore Delegato di Sardegna Uno TV (71 per cento delle quote), Luigi Ferretti, patron del network nazionale 7Gold (19 per cento) e Mario Tasca (10 per cento);
   la nuova compagine societaria, per sua stessa ammissione, non è in grado di offrire nessuna garanzia finanziaria. I lavoratori lamentano il mancato pagamento di 4 spettanze arretrate, e il mancato versamento delle quote tfr al fondo complementare di tutti i giornalisti e di alcuni tecnici. I nuovi soci non sono riusciti ad assicurare nemmeno il primo stipendio della loro gestione;
   la vertenza di Sardegna Uno si trascina ormai da anni. L'avvento del digitale terrestre nel 2009 ha avuto effetti negativi su tutta l'emittenza televisiva nazionale e in Sardegna in particolare. La parcellizzazione dell'offerta ha causato un forte calo degli introiti pubblicitari. Poche emittenti a livello nazionale sono riuscite ad affrontare la sfida con idee innovative e piani editoriali adeguati ai nuovi scenari;
   non va dimenticato che la Sardegna è stata la prima regione dove si è attuato lo switch off e il passaggio al digitale terrestre e di conseguenza è stata la regione che ha subìto di più gli effetti negativi di un passaggio che ha penalizzato fortemente le piccole emittenti private;
   alla riduzione del fatturato, Sardegna Uno risponde nel 2009 con una drastica riduzione dei costi che porta al taglio di tutti i collaboratori. Il personale rinuncia al pagamento dei festivi e delle maggiorazioni domenicali. Nonostante i tagli, la crisi si aggrava ed esplode nel gennaio del 2011: l'editore Giorgio Mazzella chiede ai suoi dipendenti di ridursi volontariamente gli stipendi. I lavoratori offrono la loro disponibilità a un ulteriore sacrificio economico ma dentro un chiaro percorso sindacale. La risposta dell'azienda è disarmante: quattro giornalisti (Giuseppe Giuliani, Pier Sandro Pilionca, Andrea Sanjust e Gianni Zanata) vengono licenziati in tronco;
   grazie all'immediata reazione dei lavoratori l'editore è stato costretto a revocare i licenziamenti sino ad arrivare a trovare, grazie anche all'impegno delle istituzioni coinvolte, un accordo per un contratto di solidarietà per tutti i dipendenti;
   giornalisti, tecnici e amministrativi con il contratto di solidarietà si riducono gli emolumenti del 33 per cento, l'editore s'impegna al rilancio dell'azienda che, come si è visto, non è stato mantenuto;
   la nuova proprietà ha sempre dichiarato di attendere la riscossione di importanti crediti da parte della pubblica amministrazione, con i quali intende far fronte anche alle retribuzioni dei dipendenti;
   tali crediti sarebbero in particolare:
    a) integrazione dei fondi ex 448 (contributi ministeriali a favore delle emittenti televisive);
    b) saldo fondi 2011 ex 448;
    c) vecchi crediti vantati dall'emittente sempre nei confronti dello Stato, andati in perenzione e oggi, pare, recuperati grazie all'ultimo provvedimento del Governo sui debiti della pubblica amministrazione (circa 250.000 euro complessivi);
    d) contributi INPS all'azienda per il 2011 e il 2012 per l'attuazione del contratto di solidarietà;
   l'eventuale scomparsa dell'emittente televisiva locale porterebbe ad una grave riduzione degli spazi di libertà di informazione nell'isola nonché ad una voce autorevole che si è fatta riconoscere, negli anni, per l'informazione equilibrata e puntuale sugli accadimenti locali e per la ricchezza dei programmi di approfondimento –:
   come si intenda intervenire, in accordo con la regione Sardegna, affinché non si arrivi alla chiusura di questa importante emittente locale e siano salvaguardati i relativi posti di lavoro;
   se non si ritenga necessario risolvere, al più presto, le vicende legate alla posizione creditoria nei confronti dell'amministrazione statale da parte della società Sardegna Uno Tv, verificando ed esaminando con la dovuta urgenza il ricorso presentato, affinché ai lavoratori, in primo luogo, sia versato quanto dovuto. (4-02525)


   RIZZETTO, MUCCI, TRIPIEDI, BALDASSARRE, CIPRINI, BECHIS, ROSTELLATO e COMINARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Cooperativa Ceramiche d'Imola soc. coop. (cooperativa di lavoro a mutualità non prevalente) rappresenta una realtà storica del settore ceramico e del distretto industriale di Imola Faenza;
   negli ultimi quattro anni, la cooperativa non potendo più sostenere integralmente i costi effettivi del personale, per far fronte ad un esubero di circa 540 lavoratori, è ricorsa agli ammortizzatori sociali – ormai giunti a scadenza – che hanno consentito di mantenere il livello di occupazione a 1800 dipendenti;
   dall'analisi dei bilanci è emersa una situazione aziendale sostanzialmente positiva che ha evidenziato capacità di vendita, pressoché totalmente orientata all'estero, buona redditività, investimenti continui (sostenuti dal sistema bancario) con tecnologia capace di una produzione di qualità;
   nei territori dove sono collocati gli stabilimenti di Coop Ceramica (Imola, Faenza, Casalfiumanese e Borgo Tossignano), l'azienda ha illustrato ai sindaci i dati del perdurare della crisi del settore ed il posizionamento di Coop Ceramica sia in termini di fatturato che di investimenti e innovazione di prodotti, fatti in questi anni;
   l'azienda ha inoltre dichiarato che l'esistenza di centinaia di esuberi strutturali del personale è stata determinata dal calo dei volumi (quasi 1/3 dall'inizio della crisi) e, al riguardo, la stessa non prevede un recupero nel breve periodo, anche per il progressivo esaurimento degli strumenti che fino ad oggi hanno consentito di tenere in equilibrio gli organici e l'occupazione (cassa integrazione, contratti di solidarietà, uscite volontarie con incentivi);
   negli anni l'azienda ha portato avanti impegnative operazioni di acquisizione e successiva incorporazione di aziende del settore: durante questi anni nessuna maestranza ha perso il posto di lavoro; ad oggi, di fronte alla situazione attuale di crisi di mercato e di assetto produttivo, è necessario elaborare un piano per il mantenimento dell'equilibrio patrimoniale, reddituale e finanziario della cooperativa;
   sul riassetto dell'azienda per far fronte alla crisi, le organizzazioni sindacali hanno espresso preoccupazione rispetto all'eventualità di una sostanziale riduzione del numero di dipendenti, posto che il ricorso agli ammortizzatori sociali, che era stato visto in prospettiva di una ripresa, non ha prodotto gli effetti auspicati;
   l'impatto che avrebbe tale drastico ridimensionamento occupazionale ed industriale sui territori imolese e faentino sarebbe, socialmente ed economicamente, di difficile assorbimento –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri per favorire una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali, al fine di individuare un piano industriale di rilancio delle attività che consenta alla Cooperativa Ceramiche d'Imola di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali preservando la produttività dell'azienda;
   se i Ministri interrogati intendano chiarire quali siano state le somme statali di cui la cooperativa Coop Ceramica abbia beneficiato e come siano state utilizzate. (4-02530)


   GRIBAUDO, BARGERO, BOCCUZZI, GIORGIS, FIORIO, D'OTTAVIO, TARICCO, MATTIELLO, MARZANO e RABINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come già portato a conoscenza del Governo dalla interrogazione n. 5-01357 a firma De Micheli, il 10 ottobre 2013 è stato sottoscritto un accordo tra Unieuro spa (di proprietà del gruppo inglese Dixon) e la Sgm distribuzione srl (Marco Polo-Expert) per la costituzione di una holding denominata Newco, con un capitale comune al quale parteciperanno con l'85 per cento Rhone Capital (fondo facente capo a Sgm) e il 15 per cento il gruppo Dixons-Unieuro. Tale operazione è tuttora al vaglio dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ed è attesa concludersi entro la fine dell'anno;
   a fronte di un fatturato aggregato di Unieuro spa e Sgm Distribuzione srl superiore, nell'ultimo esercizio sociale, a 1.3 miliardi di euro e della specifica situazione finanziaria di Unieuro spa per la quale (come si può leggere nella relazione del consiglio di amministrazione sulla gestione relativa al bilancio di esercizio chiuso al 30 aprile 2013) «negli ultimi due anni, pur nel realizzarsi di condizioni di mercato sfavorevoli rispetto a quanto previsto nel piano industriale, la Società ha sempre conseguito risultati superiori alle aspettative ed in costante miglioramento», è stato comunque già reso noto dai nuovi vertici aziendali l'esubero di 188 e 70 lavoratori, rispettivamente nelle sedi di Piacenza e Monticello d'Alba (Cuneo). Ciò seguirebbe l'intenzione di Sgm Distribuzione srl di ridimensionare le attività di Unieuro spa non legate alla vendita contemplando anche la possibilità, espressa in sede di confronto con i sindacati, di esternalizzazione in outsourcing. Tale decisione, se confermata, comporterà la perdita di posti di lavoro di qualità e ad alto contenuto di competenze, con gravi ripercussioni in termini sociali ed occupazionali per entrambe le aree coinvolte;
   in particolare, la sede Unieuro di Monticello d'Alba (Cuneo), la prima del gruppo ad essere aperta nel 2001, da subito si è configurata come il suo «cervello» operativo. Oggi può quindi vantare un comparto di IT-information technology molto specializzato, il quale gestisce centralmente l'intera rete informatica e telefonica della società e dei punti vendita, in collegamento anche da remoto, occupando a questo scopo personale qualificato e di lunga esperienza. Altrettanto rilevanti i comparti personale, che gestisce le casistiche di tutti i punti vendita e delle sedi societarie, e amministrazione, responsabile particolarmente della relazione con i fornitori terzi e la gestione di pagamenti. Un capitale umano che coordina ed amministra l'attività su tutto il territorio nazionale di 101 punti vendita diretti, a cui si aggiungono 79 negozi in franchising e il canale di vendita on-line, a dimostrazione del profondo e importante ruolo nel tessuto economico e produttivo, non solo della provincia di Cuneo;
   ancora in occasione del tavolo istituzionale con le parti sindacali tenutosi presso l'amministrazione provinciale di Cuneo, l'8 novembre 2013 i rappresentanti delle società coinvolte hanno persistito in quella che agli interroganti appare la reticenza già manifestata nei tavoli presso la provincia di Piacenza, non fornendo alcuna risposta in merito ai piani industriali e occupazionali futuri, né in merito ad ipotesi di attivazione di ammortizzatori sociali o altri strumenti di mobilità e riqualificazione –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la salvaguardia dei livelli occupazionali nei territori coinvolti, con particolare riferimento alla situazione di Monticello d'Alba (Cuneo);
   se intenda aprire un tavolo nazionale di confronto con lo scopo di avviare un dialogo finalizzato a tutelare la continuità lavorativa. (4-02537)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Causi e altri n. 1-00236, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carra.

  La mozione D'Incà e altri n. 1-00241, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Basso e altri n. 7-00164, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mariastella Bianchi.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Gagnarli e altri n. 2-00299, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Barbanti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Morani e Carrescia n. 3-00447, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Borghi.

  L'interrogazione a risposta scritta Faenzi n. 4-02509 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Parisi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione De Rosa n. 5-01437, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 116 del 12 novembre 2013.

   DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 viene approvato dal CIPE (65/2005) un progetto preliminare che prevede un'aggiunta di un terzo binario da Rho a Gallarate (linea del Sempione) per potenziare il trasporto regionale. Nel progetto preliminare si cita chiaramente (SIA sintesi non tecnica 3.2.2) che: «la scelta di realizzare un terzo binario piuttosto che un quadruplicamento della linea è dettata dai vincoli imposti dal fitto contesto urbanistico di riferimento, che non consente l'inserimento di un ulteriore quarto binario nella sede esistente, senza bisogno di ampliamenti»;
   con l'avvento di EXPO 2015 il Governo Berlusconi e la giunta Formigoni riescono ad inserire quest'opera tra quelle connesse a EXPO 2015 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008);
   nell'agosto del 2009 RFI presenta quindi un progetto definitivo che anziché dare esecuzione al preliminare a 3 binari prevede l'inserimento di un quarto binario solo per la tratta (8,9 chilometri) tra Rho e Parabiago. Costo complessivo stimato dell'opera 450 milioni di euro;
   la regione Lombardia, RFI e il Ministero delle infrastrutture aprono dei tavoli tecnici (ottobre 2009-febbraio 2011) per discutere con le amministrazioni locali le modifiche da apportare al progetto definitivo e soprattutto definire le compensazioni ambientali;
   il progetto definitivo è approvato dal CIPE (33/2010 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 febbraio 2011) senza che siano accolte le richieste dei cittadini dei comuni coinvolti che non vogliono il quarto binario. Le procedure di esproprio prevedono infine un risarcimento delle case e delle proprietà private che verranno espropriate o demolite a prezzi molto inferiori a quelli di mercato o dei valori al nuovo. Il tutto in nome delle compensazioni ambientali richieste e promesse ai comuni;
   il progetto definitivo prevede inoltre, per diminuire ma non eliminare il rumore residuo, barriere antirumore alte sino a 8 metri da costruirsi a ridosso delle abitazioni. Purtroppo anche con queste drastiche misure, RFI non riesce comunque a contenere il rumore residuo diurno nelle vicinanze delle scuole e quello notturno nei confronti della casa di cura RSA Ferrario di Vanzago;
   si costituisce a Vanzago un comitato civico della tratta Rho-Parabiago che impugna la delibera del CIPE, riuscendo a far annullare la delibera del CIPE (33/2010) di approvazione del progetto definitivo;
   il TAR con la sentenza n. 1914 del 9 luglio 2012 definisce: «È opinione del Collegio che la previsione a livello di progettazione definitiva di una soluzione, non solo diversa, ma addirittura esclusa dal progetto preliminare, sia decisiva per affermare la sussistenza di un insanabile contrasto fra i due progetti e dunque per affermare l'illegittimità dell'operato della pubblica amministrazione»;
   viene archiviata la sentenza del Consiglio di Stato n. 6667 del 21 dicembre 2012 e soprattutto quella del TAR n. 1914 del 9 luglio 2012 che sentenzia: «Inoltre va osservato che proprio la differenza strutturale dell'opera, e il suo differente profilo funzionale – che comporta un più denso utilizzo della rete ferroviaria – potrebbero far sorgere l'esigenza per le comunità locali, le cui istanze dovrebbero essere rappresentate dalla regione, di proporne, quantomeno per alcuni tratti, una diversa localizzazione; e ciò evidenzia la necessità di procedere ad una nuova approvazione del progetto preliminare secondo la procedura all'uopo prevista, giacché è solo nell'ambito di tale procedura che possono essere riesaminati i profili concernenti la localizzazione del tracciato»;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenta il 15 ottobre 2013 una nuova valutazione di impatto ambientale solo per il quadruplicamento della tratta Rho-Parabiago. In sostanza resta il vecchio progetto definitivo. Di fatto riducono quanto sentenziato dal TAR e dal CdS alla «sussistenza di difetto motivazionale nel parere reso dal Ministero dell'Ambiente in ordine alla compatibilità ambientale di detta differenza progettuale»;
   tra il progetto definitivo del 2009 e quello del 2013 scompare di fatto il terzo binario tra Parabiago e Gallarate. I quattro binari, che nel 2009 dovevano essere solo il primo lotto funzionale del progetto definitivo di allungare poi il terzo sino a Gallarate, rimangono orfani del secondo lotto funzionale;
   il progetto definitivo oggetto della procedura di valutazione di impatto ambientale è sostanzialmente lo stesso che era stato già oggetto di precedenti osservazioni e contestazioni per i suoi gravi impatti, nonché lo stesso che è stato annullato dal TAR e dal Consiglio di Stato;
   l'impatto acustico è sottostimato, in quanto lo studio effettuato considera il passaggio di soli 20 treni merci giornalieri, quando in realtà il traffico risulta già oggi essere molto più intenso ed una verifica diretta sulle ripercussioni derivanti dalle vibrazioni, relative alle abitazioni circostanti sarà possibile solo successivamente alla realizzazione delle barriere fonoassorbenti, ma le stesse si preannunciano come un pesante impatto su territorio e cittadini;
   dal punto di vista ambientale, la nuova infrastruttura costituirebbe la distruzione di numerose aree naturali o agricole residuali e provocherebbe l'interruzione di importantissimi corridoi ecologici;
   nello studio di impatto ambientale non si tiene conto degli impatti sul suolo in termini di consumo di suolo ed inquinamento, invece di massima rilevanza e ben rappresentativi della portata devastante dell'opera sul territorio;
   la realizzazione di 2 binari in più solo tra Rho e Parabiago (8,9 chilometri) non servirebbe a niente. Non risolverebbe il grave problema della mancanza di treni e carrozze per i pendolari della linea Milano-Gallarate;
   quest'opera espropria e demolisce abitazioni, innalza barriere antirumore di 8 metri contro le finestre delle case, mette in pericolo il territorio e la sicurezza ferroviaria costruendo due nuovi binari che passeranno a ridosso di alcuni impianti a rischio di incidenti rilevanti. Spendere 450 milioni di euro per un'opera del genere significherebbe solo favorire speculazioni a discapito del territorio interessato e dei propri abitanti –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'intera, delicata vicenda; se non ritenga più opportuno destinare i due binari esistenti (da Rho a Gallarate) solamente ad un trasporto regionale di metropolitana leggera e passante ferroviario per accogliere i bisogni dei numerosi pendolari che usano questa linea, prevedendo invece per il trasporto dei treni merci e di quelli a lunga percorrenza, altre soluzioni di linea ferroviaria, nel rispetto della sentenza del Tar o, in alternativa, se intenda realizzare l'opera con il progetto a 3 binari sino a Gallarate (incremento treni regionali da 158 a 252), opera sicuramente più funzionale e con un minor impatto ambientale;
   cosa il Governo intenda fare per rendere la «Rho-Parabiago» un'opera efficiente e coerente con la tutela e lo sviluppo del territorio, salvaguardando i corridoi ecologici, evitando il consumo di suolo eccessivo e l'inquinamento acustico e del sottosuolo che comporterebbe il quarto binario o se invece preferisca lasciar compiere quello che l'interrogante giudica l'ennesimo abuso su suolo e cittadini, indegno di un Paese civile, contribuendo ad abbandonare ad un destino di degrado quel territorio che lo studio di impatto ambientale descrive di un paesaggio edilizio di scarsa entità, con strutture in cemento spesso banali e monocorde, esito di politiche dei Governi precedenti e per il quale sarebbe opportuno che l'attuale desse un significativo segnale di discontinuità. (5-01437)

Ritiro di una firma da una interpellanza.

  Interpellanza urgente Gagnarli e altri n. 2-00299, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2013: è stata ritirata la firma del deputato Basilio.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Gallinella e altri n. 5-01332 del 30 ottobre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02517.