Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 5 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    nelle scorse settimane le dichiarazioni del pentito di camorra, Carmine Schiavone, concernenti lo sversamento e l'interramento illegale di rifiuti di ogni genere, anche tossici e nocivi, nel territorio campano e nel basso Lazio, hanno suscitato timore e sconcerto nelle popolazioni locali. In particolare, lo Schiavone racconta del sistema illecito dei rifiuti tossici, che proverrebbero dalle aziende del nord Italia, destinati all'interramento illegale nelle campagne campane. Le dichiarazioni del pentito sarebbero riscontrabili in numerosi atti giudiziari e alcune di esse sono contenute negli atti di un processo in corso in questi mesi, condotto dal pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Napoli, Alessandro Milita;
    molti siti interessati dagli sversamenti illegali, descritti e circostanziati dallo stesso Carmine Schiavone, si troverebbero in territori che vanno dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli, a Casal di Principe – in questo caso il pentito fa specificamente riferimento ai terreni adiacenti il campo sportivo – a Castel Volturno, a Santa Maria la Fossa e nel cosiddetto triangolo della morte, cioè quella vasta area tra le province di Napoli e Caserta che va da Caivano, dove nelle scorse settimane sono stati rinvenuti rifiuti pericolosi interrati in un campo adibito a coltura agricola, Afragola e Acerra fino al basso casertano;
    in data 17 settembre 2013, a seguito di ispezioni in alcuni terreni nel comune di Casal di Principe, ordinate dai pubblici ministeri antimafia Giovanni Gonzo e Luigi Landolfi, i tecnici dell'Arpac e i vigili del fuoco di Caserta, in collaborazione con il nucleo operativo dei carabinieri di Casal di Principe, hanno scoperto resti di fusti in metallo e fanghi di presumibile natura industriale, altamente pericolosi, interrati a circa dieci metri di profondità. Peraltro, il terreno oggetto di scavi confinava con un altro terreno, già sequestrato, dove nel luglio 2011, su indicazione di un collaboratore di giustizia, furono ritrovati altri rifiuti industriali e tossici. Ulteriori operazioni di scavo sono attualmente in corso nella zona interessata per verificare la presenza di eventuali altri materiali pericolosi;
    con la legge 6 febbraio 2009, n. 6 il Parlamento italiano ha istituito la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti; tale Commissione ha depositato agli atti parlamentari la propria relazione finale, approvata nella seduta del 5 febbraio 2013 e comunicata alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica il 6 febbraio 2013;
    la Commissione – tra gli altri temi affrontati – ha avuto modo di approfondire, mediante audizioni, studi, ricerche ed interlocuzioni di vario tipo, l'annosa questione connessa al reiterato fenomeno dei roghi tossici nella cosiddetta «Terra dei fuochi»;
    nel corso dell'inchiesta svolta, numerose sono state le voci che hanno denunciato il preoccupante fenomeno dei rifiuti bruciati in strada o nelle campagne e delle gravi conseguenze in termini sanitari che ne possono scaturire, derivanti dal fatto che spesso vengono bruciati rifiuti contenenti sostanze tossiche e pericolose;
    tale fenomeno, specie per quanto concerne l'attività di contrasto, ha determinato in via immediata grosse criticità sul piano investigativo-repressivo;
    da quanto finora emerso, dunque, la portata devastante dal punto di vista ambientale derivante dallo smaltimento illegale di rifiuti tossici e pericolosi – la cui quantificazione, secondo anche l'ex pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Napoli, Raffaele Cantone, è di fatto impossibile – sarebbe stata nota a partire dagli anni Novanta, vale a dire da oltre venti anni, senza che alcuna iniziativa realmente efficace e sistemica, soprattutto di mappatura e di bonifica, fosse intrapresa;
    peraltro, numerosi studi, tra questi quello commissariato dal dipartimento della protezione civile e predisposto dall'Organizzazione mondiale della sanità, dall'Istituto superiore di sanità, dal Consiglio nazionale delle ricerche e dall'osservatorio epidemiologico della regione Campania, o alcuni più recenti svolti dall'università di Napoli Federico II, hanno chiaramente stabilito il nesso che ci sarebbe tra l'incremento dei tumori in alcune aree della Campania e la presenza di discariche illegali e di rifiuti tossici interrati e bruciati illegalmente nella regione;
    da quanto fin qui evidenziato, emerge un quadro desolante in cui non sono ancora chiare le cause delle innumerevoli omissioni sulla necessità di mappatura dei siti e delle indispensabili bonifiche; tali omissioni continuano ancora oggi, senza che alcuna azione concreta, come si diceva di natura sistemica, sia intrapresa per porre fine allo scandalo di una regione come la Campania divenuta terra di nessuno,

impegna il Governo:

   ad avviare con il coinvolgimento dell'istituto superiore di sanità e del Consiglio nazionale delle ricerche, nonché dei competenti organi ed enti territoriali, di avviare un'indagine accurata sulla salubrità dei terreni, delle falde acquifere e dell'aria nelle aree più direttamente interessate dallo sversamento illegale di rifiuti tossici e attualmente note, anche al fine di prevenire allarmismi generalizzati che possono danneggiare il settore agroalimentare campano, che rappresenta uno dei pilastri dell'economia regionale;
   ad assumere le iniziative di competenza necessarie a favorire il completamento dell'anagrafe dei siti inquinati da bonificare, ai sensi dell'articolo 251 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e la conseguente mappatura dei siti contaminati nel territorio delle regioni Lazio e Campania;
   ad accertare, con il coinvolgimento dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, i danni ambientali cagionati dall'interramento illegale di rifiuti industriali e tossici nei terreni del basso Lazio e della Campania e ad attivare l'Avvocatura dello Stato affinché compia al più presto l'attività istruttoria per il procedimento di costituzione di parte civile, ai sensi degli articoli 74 e seguenti del codice di procedura penale, nei processi in corso per il relativo risarcimento dei danni;
   a perpetuare una politica di inasprimento delle pene per i reati ambientali, da assimilarsi, a tutti gli effetti, sostanziali e processuali, a quelli di stampo mafioso e/o terroristico;
   ad assumere tutte le iniziative economiche e normative per garantire un presidio costante e permanente delle aree delle province di Napoli e Caserta, storicamente, tradizionalmente e notoriamente oggetto di tali attività criminali, adottando ogni metodo e strategia – compreso l'uso dell'esercito e delle unità cinofile – in grado di contrastare il fenomeno dei roghi tossici descritto in premessa;
   ad istituire quanto prima un tavolo interministeriale che si occupi delle questioni indicate in premessa, composto dal Ministro della giustizia, dal Ministro dell'interno, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministro della salute e dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, anche al fine di assumere ogni iniziativa economica e normativa utile, per assicurare – in tempi rapidi e certi – il rilancio dell'attività di bonifica dei suoli inquinati, ai fini del loro recupero e della loro riconversione;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza, specie di tipo normativo, per una revisione delle funzioni delle agenzie regionali per la protezione ambientale;
   a definire, a seguito delle operazioni di mappatura dei siti contaminati da sostanze tossiche e pericolose di interesse nazionale, un piano di bonifiche nazionale, ai sensi dell'articolo 252, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   a farsi promotore di una modifica dell'articolo 36-bis del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 134, affinché sia ripristinata la classificazione da SIR a SIN del sito campano dell'area denominata «Litorale Domizio Flegreo ed Agro Aversano» e di tutte le aree oggetto di interramento illegale di rifiuti tossici, come risultanti dalle operazioni di mappatura di cui sopra, attribuendo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'autorizzazione e il coordinamento di tutte le fasi procedimentali;
   ad avviare ogni iniziativa utile a mettere in condizione le aziende sanitarie locali di svolgere l'indispensabile attività di informazione e sensibilizzazione nei confronti della cittadinanza circa le cause e gli effetti nefasti dei roghi tossici sulla popolazione;
   a considerare la possibilità di affidare l'eventuale monitoraggio in itinere dei risultati delle operazioni di bonifica all'Ispra, ancorché nel rispetto dell'articolo 197, comma 1, lettera r), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non solo per verificare lo stato dei lavori legislativo realizzati e quelli da realizzarsi, ma anche per consentire, mediante un elevato supporto scientifico e di ricerca, l'implementazione di una rete che coinvolga autorità locali, procure competenti e soggetti a vario titolo interessati alla bonifica del territorio;
   a vigilare, in collaborazione con le altre autorità competenti, affinché i lavori eventualmente affidati a ditte specializzate nel settore non siano in alcun modo riconducibili, direttamente e indirettamente, a persone legate alla criminalità organizzata, scongiurando il rischio che a bonificare il territorio dai rifiuti tossici siano gli stessi soggetti che hanno deliberatamente avvelenato il basso Lazio e la Campania;
   a favorire, per quanto di propria competenza, la quantificazione delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione delle bonifiche dei siti contaminati dalle sostanze tossiche e pericolose e in tale contesto a programmare un piano triennale di stanziamento, valutando anche la possibilità di utilizzare parte delle risorse del Fondo unico giustizia, e a destinare, infine, utilizzando ogni strumento normativo che garantisca la massima celerità dell'intervento, una prima quota di risorse finanziarie per le operazioni di mappatura e di bonifica dei territori interessati dagli interramenti, aggiuntivi rispetto ai 282 milioni di euro di risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate stanziate nell'ambito dell'accordo di programma denominato Programma strategico per le compensazioni ambientali nella regione Campania del 18 luglio 2008, modificato l'8 aprile 2009.
(1-00233) «Speranza, Rostan, Picierno, Borghi, Capozzolo, Valiante, Salvatore Piccolo, Giorgio Piccolo, Rocchi, Verini, Realacci, Rughetti, Ribaudo, Manfredi, Tartaglione, Bossa, Impegno, Epifani, Rosato, De Maria, Garavini, Mariastella Bianchi, Palma, Velo, Bratti, Losacco, Famiglietti, Carbone, Manciulli, Marantelli, Mongiello, Garofani, Paris, Chaouki, Sani, Amoddio, Tino Iannuzzi».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni I e XII,
   premesso che:
    come da più parti evidenziato, le politiche familiari sono importanti per il rilancio del Paese, oltre ad essere una delle priorità messe in evidenza dal Governo Letta fin dal momento del suo insediamento;
    la famiglia realizza in maniera unica la solidarietà tra generazioni, più e meglio di qualunque altra realtà associativa e rimane una risorsa per il mondo del lavoro, che spesso ne ignora le esigenze specifiche e non si fa adeguatamente carico della difficile conciliazione dei tempi lavoro-famiglia;
    la famiglia è il cuore pulsante della società, l'unico che finora è stato in grado di farsi carico della situazione di crisi in cui versa l'intero Paese; per questo è importante riconoscerne il ruolo di protagonista di fronte a modelli economici, che non sembrano più rispondere alle nuove esigenze di controllo sociale, sempre più complesso ed articolato, come quello richiesto dalla nostra società;
    i Governi che hanno preceduto l'attuale Governo Letta hanno avuto Ministri e Sottosegretari con delega esplicita alla famiglia, in considerazione dell'enorme rilievo socio-economico legato alle politiche familiari;
    tutelare la famiglia in un Governo di larghe intese è una opportunità straordinaria per prendere iniziative forti e condivise, dal fattore famiglia, al potenziamento del patto intergenerazionale, dalle politiche per la casa alle politiche di tipo socio-sanitario, dalla revisione dei criteri ISEE con le loro specifiche tariffazioni, a nuove forme di conciliazione dei tempi lavoro – famiglia, dalla valorizzazione del lavoro femminile nella società e in famiglia, alla crescente domanda in termini di funzione di cura: sia che si tratti di bambini che di disabili, di anziani o di malati cronici;
    anche il tema della integrazione delle seconde generazioni, affrontato nell'ottica familiare, rappresenta non soltanto una tappa cruciale nelle storie dei fenomeni migratori, ma è un importante fattore di cambiamento sociale per i Paesi di destinazione e per le relazioni internazionali tra società civili e tra Paesi; è importante capire quali azioni intraprendere per mettere la famiglia al centro delle politiche dedicate agli immigrati;
    presso la Presidenza del Consiglio esiste ed è funzionante uno specifico dipartimento, che dovrebbe riguardare essenzialmente l'applicazione del Piano nazionale della famiglia, approvato dopo un lungo lavoro di confronto e di dialogo anche nel corso di una importante Conferenza nazionale, ma che non è affidato ad un interlocutore politico chiaramente definito;
    presso la stessa Presidenza del Consiglio è attivo da anni anche l'Osservatorio nazionale sulla famiglia, che per analoghe ragioni si trova nell'impossibilità di operare adeguatamente; anche in questo caso la mancanza di un referente istituzionale rallenta prassi e procedure che potrebbero dare vita ad iniziative di indubbio interesse sul piano nazionale;
    il Piano nazionale per la famiglia ha un approccio virtuoso su tante priorità, ma c’è bisogno di una governance complessiva che a livello nazionale sappia operare in sintonia con l'associazionismo mettendo in gioco competenze specifiche che necessitano di un attento monitoraggio, che non può essere affidato, se non con enormi limitazioni, a chi sta già svolgendo molte altre funzioni;
    c'e l'urgenza di un Ministro per la famiglia, o di un Viceministro con delega ad hoc, che prenda a cuore seriamente le sue necessità. In prospettiva del necessario passaggio da un welfare assistenziale al cosiddetto welfare delle opportunità, potrebbe essere di ausilio l'istituzione di un Garante della famiglia in grado di valutare l'impatto familiare di ogni iniziativa e proposta di legge presentata in merito;
    porre la famiglia al centro del sistema politico-parlamentare è una delle promesse ripetutamente ribadite dal presidente del Consiglio, anche nel suo intervento a Torino in occasione della XLVII settimana sociale, il cui tema – vale la pena ricordare – era: «La Famiglia, speranza e futuro per la Società italiana»,

impegnano il Governo:

   a rivolgere una espressa attenzione alla famiglia, in continuità e coerenza con il dettato costituzionale, individuando un Ministro o un Sottosegretario con delega piena che in base a precipue competenze si occupi in modo specifico e multidimensionale delle politiche inerenti la famiglia;
   a valutare l'opportunità di istituire l'autorità garante dei diritti della famiglia, strutturata come un organismo snello, capace di farsi carico delle esigenze che pervengono dalle famiglie, soprattutto dalle associazioni che le rappresentano e le tutelano, in grado di intervenire in quei procedimenti nei quali si decidono misure che incidono sulla realtà economica e sociale delle famiglie, valutando puntualmente in tutte l'impatto familiare che potrebbero avere.
(7-00156) «Binetti, Balduzzi, Sberna, Buttiglione, Gigli».


   Le Commissioni II e III,
   premesso che:
    le carceri italiane ospitano attualmente circa 23.000 detenuti stranieri su un totale di 65.000 persone;
    la percentuale media nazionale degli stranieri detenuti in Italia è del 36-37 per cento, ma a livello locale, soprattutto nel Nord Italia, la percentuale arriva anche al 60-70 per cento. Il carcere di Padova ospita addirittura l'80 per cento di detenuti stranieri;
   l'Italia ha aderito alla convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei detenuti assieme ad altri 60 Paesi. Ha poi stretto accordi bilaterali con altri sette che erano rimasti fuori dalla convenzione, ma non con quelli che più pesano sul conto del sovraffollamento delle carceri;
   mancano infatti all'appello proprio i Paesi che affollano maggiormente le nostre carceri: il Marocco con 4.249 detenuti (18,7 per cento del totale), la Romania con 3.674 detenuti (16,1 per cento) e la Tunisia con 2.774 unità (12,2 per cento);
   per quanto riguarda invece l'Albania (2.787 detenuti, 12 per cento), un accordo specifico è stato siglato nel 2002. Quanti albanesi siano poi stati effettivamente trasferiti nell'ultimo decennio è impossibile saperlo, dal momento che il numero di rimpatri autorizzati è talmente esiguo che non viene neppure monitorato a fini statistici;
   gli stranieri detenuti in Italia che stanno scontando attualmente una condanna definitiva, e che potrebbero quindi essere trasferiti, sono circa 12.500;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della giustizia ha calcolato un costo medio per detenuto di 124,6 euro al giorno;
   la sottoscrizione di nuovi accordi bilaterali per il rimpatrio dei stranieri e l'attuazione di quelli già in essere consentirebbero allo Stato di risparmiare oltre mezzo miliardo di euro che potrebbe essere destinato alla costruzione di nuove strutture, all'ammodernamento di quelle esistenti, e all'incentivo di forme rieducative e di reinserimento;
   il decreto legislativo n. 161 del 7 settembre 2010 ha attuato la delega conferita al Governo con la legge comunitaria 2008 (legge n. 88 del 2009) per conformare il diritto interno alla decisione quadro europea 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione in Italia,

impegnano il Governo:

   ad attivarsi con urgenza per sottoscrivere accordi bilaterali, ovvero ulteriori accordi integrativi qualora necessari, con Albania, Marocco, Tunisia e Romania al fine di estendere ai detenuti di quelle nazionalità gli effetti della convenzione di Strasburgo del 1983;
   ad assumere iniziative per inserire nei predetti accordi apposite disposizioni volte al riconoscimento automatico, anche senza il consenso del detenuto, delle sentenze emesse all'estero ed al rimpatrio di tutti i detenuti stranieri condannati in via definitiva;
   ad integrare e rafforzare in tale direzione le norme di cui al decreto legislativo n. 161 del 7 settembre 2010 in materia di riconoscimento all'estero delle sentenze penali emesse in Italia secondo i principi espressi nella decisione quadro 2008/909/GAI dell'Unione europea;
   a voler considerare anche l'opportunità di concedere, in favore dei Paesi firmatari degli accordi bilaterali, il riconoscimento di un contributo economico da parte dello Stato italiano proporzionato alle spese di mantenimento dei propri detenuti presso le loro carceri, in quota parte rispetto al costo sostenuto dall'Italia quotidianamente, che allo stato attuale è pari ad euro 124,6 giornaliero per detenuto;
   a concorrere alla predisposizione di validi strumenti di monitoraggio e di controllo riguardanti l'attuazione della convenzione di Strasburgo del 1983, dei regolamenti europei in materia e degli accordi bilaterali sottoscritti con i Paesi esteri.
(7-00157) «Colletti, Di Battista, Businarolo, Micillo, Ferraresi, Agostinelli».


   Le Commissioni VI e VIII,
   premesso che:
    con il termine amianto si comprende un gruppo di sei minerali silicatici (i.e. crisotilo, crocidolite, amosite, tremolite, actinolite, antofillite) che si ritrovano naturalmente nelle rocce ed, a causa della loro aspetto asbestiforme (i.e. cristalli fibrosi con lunghezza superiore od uguale a 5 ~ e rapporto di allungamento (L : D) maggiore od uguale a 3 : 1), sono considerati tra i materiali naturali più pericolosi per l'essere umano;
    la loro pericolosità consiste, come riconosciuto dalle autorità sanitarie e da ricerche medico-scientifiche, nella capacità di rilasciare fibre potenzialmente inalabili che penetrando nella profondità dei polmoni possono provocare gravi malattie come asbestosi, mesiotelioma a carcinoma polmonare;
    fino agli anni novanta purtroppo i materiali amiantiferi hanno avuto un grande utilizzo nell'industria perché la loro struttura fibrosa resiste al fuoco e al calore, all'azione di agenti chimici e biologici, all'abrasione e all'usura, hanno un'alta resistenza meccanica ed un'alta flessibilità, presentano proprietà fonoassorbenti e termoisolanti e si legano facilmente con materiali da costruzione (calce, gesso, cemento) e con alcuni polimeri (gomma, PVC). Per anni sono stati considerati materiali versatili a basso costo, e sono stati utilizzati per la preparazione di materiali quali cemento-amianto, termo e fono isolanti, tessili per l'edilizia sia pubblica che privata;
    solo a seguito di ricerche medico-scientifiche ed al crescente insorgere di patologie polmonari gravi, riscontrate già a partire degli anni ottanta, a carico dei lavoratori del settore con alta esposizione alle fibre di amianto, la comunità tutta ha iniziato a ritenere l'utilizzo e l'esposizione – professionale e non – alle fibre di amianto un grave pericolo per la salute umana ed a considerare l'amianto un contaminante ambientale;
    sulla base di queste considerazioni, oltre alla legge numero 257 del 1992 che ha vietato nel nostro Paese l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, sono stati emanati alcuni decreti e circolari applicative con l'obiettivo di gestire il potenziale pericolo derivato dalla presenza di amianto negli edifici, manufatti e coperture;
    le metodologie di bonifica tradizionali da materiali amiantiferi, previste dalla legge n. 257 del 1992 e dal relativo decreto ministeriale 6 settembre 1994, comportano interventi specializzati, che molto spesso per l'alto costo richiesto non vengono effettuati con tempismo e consistono in: (i) rimozione dei materiali di amianto e loro conferimento in discariche speciali, (ii) incapsulamento e (iii) confinamento. La messa in sicurezza dei rifiuti derivanti dalla rimozione (i) è sempre più problematica per diversi motivi tra cui la difficoltà a rendere sostenibile per l'ambiente la creazione di nuove discariche dedicate e le difficoltà economiche che i gestori di discariche dovrebbero sopportare per l'adeguamento alla nuova normativa;
    il decreto del 29 luglio 2004 n. 248 ha introdotto ulteriori possibilità di recupero dei rifiuti contenenti amianto definendo i trattamenti e i processi che conducono alla totale trasformazione cristallochimica dell'amianto (i.e. pirolisi, carbonatazione). Tali trattamenti, se adeguatamente realizzati, permettono di evitare il conferimento in discarica e il riutilizzo del prodotto trattato;
    secondo quanto denunciato dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) nel 2002, dalle associazioni ambientaliste e dalla Associazione italiana esposti amianto sono più di 32 milioni le tonnellate di amianto nel paese (per un totale di 8 milioni di metri cubi) ed oltre 34 mila i siti da bonificare;
    sempre secondo quanto dichiarato dalle associazioni ambientaliste e dalla «Associazione Italiana Esposti Amianto», la bonifica dei siti contaminati «procede lentamente» tanto che «ai ritmi attuali dovremmo convivere con l'amianto almeno fino al 2100»;
    nel novembre 2012 si è svolta a Venezia la seconda Conferenza governativa nazionale sull'amianto, nel corso della quale sono stati indicati gli obiettivi da perseguire in questa nuova e ultima fase della lotta per la completa eliminazione della fibra killer dall'Italia;
    il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini, nel corso della conferenza governativa, parlò di 40mila siti censiti in Italia con rilevanti tracce di amianto, di questi almeno 400 importanti dal punto di vista della contaminazione; 2 miliardi e mezzo di metri quadrati di coperture ancora da bonificare e quasi 16mila mesoteliomi maligni rilevati in Italia tra il 1993 e il 2008;
    secondo l'ufficio internazionale del lavoro, sono circa 120.000 i decessi causati nel mondo ogni anno da tumori provocati dall'esposizione all'amianto e sono circa 4.000 quelli risultanti in Italia;
    nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza della malattia, che può anche superare i 30 anni, si avrà, anche in Italia, un ulteriore forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, incremento che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025 (e, secondo alcuni esperti, addirittura nel 2040);
    il 14 marzo 2013 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulle minacce per la salute legate all'amianto e sulle prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente; si tratta di un importante atto del Parlamento europeo a favore del riciclo del rifiuto amianto; nella risoluzione si afferma che il conferimento dei rifiuti di amianto in discarica non è il sistema più sicuro per eliminare definitivamente il rilascio di fibre di amianto nell'ambiente, in particolare nell'aria e nelle acque di falda;
    nel mese di aprile 2013 è stato presentato il Piano nazionale amianto. In tale documento si rimarca il rischio di mesotelioma dovuto anche all'attività non professionale come ad esempio «l'esposizione ambientale o paraoccupazionale»;
    proprio per avviare concrete politiche di smaltimento il decreto-legge n. 83 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge numero 134 del 2012, all'articolo 11, ha introdotto la possibilità di detrarre del 50 per cento gli oneri per le opere di ristrutturazione e di efficientamento energetico che riguardano anche la bonifica dell'amianto. Tale detrazione copre un tetto massimo di spesa fino a 96.000 euro;
    la detrazione del 50 per cento per la bonifica amianto è attiva dal 23 giugno 2012 e terminerà il 30 giugno 2013;
    alla luce di quanto esposto in premessa appare evidente la necessità di prorogare, se non stabilizzare, tale detrazione soprattutto per promuovere e incentivare la bonifica degli edifici dall'amianto, sia con metodologie tradizionali che con nuovi metodi di trasformazione definitiva dell'amianto (tramite pirolisi o carbonatazione) e tutelare la salute pubblica;
    il 15 maggio 2013 la Commissione ambiente della Camera dei deputati ha approvato un documento che promuove politiche di incentivazione per gli investimenti in edilizia di qualità: in particolare la risoluzione (numero 8-00001) che impegna il Governo, tra l'altro, a rafforzare le politiche ambientali e a favorire l'edilizia di qualità ed energeticamente efficiente attraverso iniziative dirette alla riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, in particolare assumendo iniziative dirette a dare stabilità, se non ad incrementare, all'agevolazione fiscale del 55 per cento per l'efficientamento energetico degli edifici, in scadenza il 1o luglio 2013 (secondo quanto dispone l'articolo 11 del decreto-legge numero 83 del 2012);
    esponenti del Governo hanno già manifestato la necessità di prorogare gli incentivi previsti dall'articolo 11 del decreto-legge numero 134 del 2012, sia l'articolo 11 del decreto-legge numero 83 del 2012;
    va inoltre segnalato come le politiche incentivazione per gli investimenti in edilizia di qualità hanno rappresentato un importante volano per la ripresa economica ed occupazionale del nostro paese, aggravata dalla recessione ancora in atto,

impegnano il Governo

a rafforzare azioni e interventi per la bonifica dei siti inquinati da amianto sia con metodologie tradizionali che con nuove metodologie di trasformazione definitiva dell'amianto medesimo (tramite pirolisi o carbonatazione), in particolare provvedendo a stabilizzare, nel primo provvedimento utile ed alla luce di quanto esposto in premessa, l'agevolazione fiscale per le opere di ristrutturazione e di efficientamento energetico che riguardano la stessa bonifica dell'amianto (introdotta dall'articolo 11 della legge numero 134 del 2012), al fine di tutelare la salute dei cittadini e promuovere politiche efficaci per l'edilizia di qualità capaci di dare impulso all'economia ed all'occupazione del settore.
(7-00155) «Dallai, Fregolent, Realacci, De Menech».

ATTI DI CONTROLLO

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il lago artificiale in località «Petrosa» del comune di Ceraso (Salerno) «diga Fabbrica», sito in area strettamente contigua al Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, si inserisce nel panorama cilentano quale sua peculiare componente tra le più suggestive per la folta vegetazione che lo circonda e per l’habitat che offre a varie specie botaniche ed ornitologiche, nonché ittiche;
   il possesso e la manutenzione del lago sono esercitati dal consorzio di bonifica Velia, ente pubblico strumentale della regione Campania che lo controlla ai sensi e per gli effetti della legge regionale n. 4 del 2003;
   il consorzio di bonifica Velia è presieduto da oltre 34 anni dallo stesso presidente, avvocato Francesco Chirico, senza alcun ricambio, tanto che di fatto non si procederebbe ad inserire all'ordine del giorno del consiglio dei delegati, che è l'organo che lo ha nominato presidente, la verifica della maggioranza che a suo tempo lo ha eletto presidente e che si è dissolta nel tempo;
   ai margini del lago è stata scoperta, da parte del corpo forestale dello Stato, una discarica abusiva, di vaste dimensioni, per oltre 1.500 metri quadrati di superficie, contenente rifiuti pericolosi tossici accertati dall'ARPAC;
   con ordinanza n. 31 del 25 giugno 2012 (doc. 1), il sindaco del comune di Ceraso (Salerno) ha rilevato che «la situazione delittuosa è ascrivibile alla responsabilità del consorzio Velia, con sede in Prignano Cilento (Salerno) alla località Piano della Rocca, nella persona del legale rappresentante avvocato Franco Chirico»;
   la gravità del comportamento del Chirico potrebbe evidenziarsi sulla base dell'anzidetta ordinanza del sindaco del comune di Ceraso; della sconcertante nota con la quale il Chirico, rispondendo alla richiesta di accesso ai documenti avanzata da un membro del consiglio dei delegati del consorzio Velia, dottor Damiano Bortone, relativi alle analisi delle acque del lago «Fabbrica» interessate dalla discarica di amianto allestita abusivamente sulle sue rive, ha asserito disinvoltamente di non aver mai disposto alcuna analisi, non essendovene – a suo avviso – la necessità, in quanto le acque del lago sarebbero utilizzate per «usi irrigui», come a dire che esse non entrano nel circuito alimentare; dal decreto di citazione a giudizio emesso in data 8 luglio 2013, con il quale la procura della Repubblica presso il tribunale di Vallo della Lucania ha rinviato a giudizio il presidente Chirico «per il reato p. e p. dall'articolo 256, comma 1, lettera b) 2 e 3 in relazione all'articolo 6, comma 1, lettera e), legge 30.12.2008 n. 210 e s.m. e i. (recante misure per fronteggiare l'emergenza rifiuti in Campania), perché, quale Presidente-legale rappresentante del Consorzio di Bonifica “Velia”, adibita con carattere permanente, teneva in esercizio e gestiva un'area di circa mq 1500... a smaltimento di rifiuti pericolosi e non... In tal modo realizzava e gestiva di fatto una discarica di rifiuti pericolosi e non...»;
   la discarica abusiva anzidetta ha creato le condizioni per un disastro ambientale di incalcolabile portata, risultando, tra l'altro, che una parte almeno del materiale pericoloso tossico è stato interrato in prossimità della tubazione che scarica l'acqua dal lago a Casalvelino Marina in località «Foce», una delle località balneari del Cilento tra le più frequentate;
   la permeabilità del suolo sottostante della discarica abusiva, che ridonda in pregiudizio delle falde freatiche, è stata a suo tempo accertata dal servizio geologico nazionale che ha registrato per una di esse una profondità variabile tra 0,90 metri e 11,60 metri, mentre per un'altra falda, a pressione, più profonda, è stata registrata una risalita dell'acqua fino a 1,50 metri al di sotto del piano di campagna. Né l'infiltrazione delle acque contaminate dalla presenza dei rifiuti tossici è impedita dal substrato argilloso, dal momento che, come pure accertato dal servizio geologico nazionale, il letto di argilla non è privo di discontinuità, sicché, attraverso le numerose fessurazioni, ha facilmente luogo il percolamento delle acque inquinate;
   del grave disastro ambientale innescato dalla discarica abusiva allestita dal consorzio di bonifica Velia, hanno dato notizia quotidiani a diffusione nazionale, quale il Corriere della Sera del 25 e del 26 agosto 2012, nonché il TG 3 Regione Campania in data 25 agosto 2012 e il TG5 in data 28 agosto 2012. Nell'articolo pubblicato dal Corriere della Sera in data 26 agosto 2012 si fa riferimento alla recrudescenza di malattie tumorali nell'area del Parco del Cilento e all'esigenza che la competente ASL effettui indagini epidemiologiche dirette a stabilire l'impatto dei rifiuti speciali pericolosi, quali quelli rinvenuti sulle rive del lago gestito dal consorzio di bonifica Velia –:
   quali iniziative indifferibili ed urgenti intendano assumere anche inviando un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente nell'area. (5-01374)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 18 ottobre 2013, il quotidiano Il Piccolo di Trieste ha pubblicato l'articolo «Rigassificatore, il Ministero revoca il permesso ambientale per Zaule» relativo alla lettera che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato il 17 ottobre 2013 alla società spagnola Gas Natural,
   la lettera è stata inviata per conoscenza a regione, provincia, comune di Trieste, autorità portuale, Ministero dei beni e dell'attività culturali e del turismo e Ministero dello sviluppo economico;
   nella missiva, firmata dal direttore generale del dicastero Mariano Grillo, si intima la società catalana a presentare entro 10 giorni le proprie osservazioni per evitare la revoca della valutazione di impatto ambientale (VIA) riconosciuta il 17 luglio 2009 per la costruzione di un rigassificatore a Zaule (Trieste), sospesa per sei mesi con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emanato nell'aprile 2013;
   il decreto sospensivo firmato dall'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini prevede, ricorda la lettera, due possibili vie di uscita: individuare un sito alternativo o consultare nuovamente l'autorità portuale per rideterminare le previsioni di sviluppo rendendole compatibili con l'impianto;
   il comitato portuale dell'autorità triestina, infatti, il 26 luglio 2013 ha approvato le valutazioni rese il 2 luglio 2013 dalla Commissione istituita dalla presidente Marina Monassi per formulare, come da decreto ministeriale, una definizione delle proposte di sviluppo. L'organo «non ritiene né utile né percorribile la rideterminazione del Piano regolatore portuale di Trieste per renderlo compatibile con l'impianto di rigassificazione proposto dalla società Gas Natural. La Commissione è del parere che, rispetto a quanto richiesto dall'articolo 2 del decreto interministeriale, non si possa provvedere alla rideterminazione delle previsioni di sviluppo espresse dal Piano regolatore del porto di Trieste senza arrecare grave nocumento allo sviluppo dei traffici e del porto medesimo. Infine si «ritiene incompatibile ogni altra localizzazione del terminale GNL di rigassificazione all'interno dell'ambito portuale di Trieste, per gli stessi motivi e le stesse criticità già evidenziate dal caso dell'impianto localizzato a Zaule»;
   la sospensione della VIA è scaduta il 18 ottobre 2013;
   contro la realizzazione del progetto si sono espressi, oltre all'autorità portuale, anche enti locali e opinione pubblica –:
   quale sia il contenuto integrale della lettera inviata dal Ministero interrogato alla Gas Natural;
   se la società spagnola abbia risposto alla missiva del Ministero nei tempi prevista e quali siano le osservazioni addotte sul progetto del rigassificatore di Zaule. (4-02397)

COESIONE TERRITORIALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il 27 dicembre 2012 il Ministero per la coesione territoriale, d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ha pubblicato il documento di indirizzo «Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi comunitari 2014-2020» con cui ha avviato un confronto pubblico con le parti interessate per la preparazione dell'accordo di partenariato 2014-2020 per l'interlocuzione formale con la Commissione europea. L'utilizzo dei fondi comunitari per la coesione 2014-2020, e del relativo cofinanziamento nazionale, avverrà infatti sulla base di un accordo di partenariato;
   nell’«obiettivo tematico 9 – inclusione sociale e lotta alla povertà (promuovere l'inclusione sociale, combattere la povertà e ogni forma di discriminazione)» risulta inclusa l'unica azione per il «Rafforzamento/migliore caratterizzazione delle figure professionali che operano nelle politiche sociali: Migliorare la presa in carico e la qualità dei servizi attraverso una migliore definizione dei profili professionali e la crescita delle competenze degli operatori. Azioni: Investimento formativo nel sistema degli operatori socio-sanitari (ASL e Enti Locali) per implementare le competenze necessarie ad agire in contesti di governance multilivello e all'interno di dinamiche inter-organizzative e inter-istituzionali»;
   numerose istanze in proposito sono state formalizzate sia da parte degli assessori che da parte delle associazioni degli specializzandi universitari delle regioni obiettivo convergenza (Campania, Sicilia, Puglia, Calabria) ai Ministeri competenti, senza avere mai ricevuto riscontro;
   durante i tavoli di confronto Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca-Ministero della salute è stata formalmente rappresentata la richiesta di supportare la destinazione di borse per gli specializzandi medici e non medici, nonché per medici di famiglia (MMG) e pediatri di libera scelta (PLS);
   il fabbisogno delle professioni sanitarie è monitorato da appositi osservatori misti salute-università, con particolare riguardo alle regioni sottoposte a piano di rientro, dove sono previsti controlli stringenti anche sulle politiche per il personale per la totale corrispondenza dei fabbisogni formativi con il mercato del lavoro attraverso lo strumento dell'adozione delle piante organiche da parte delle aziende sanitarie;
   molte discipline risultano oggi in carenza di professionisti specializzati e l'accoglimento delle specializzazione su fondi FSE consentirebbe di qualificare l'offerta formativa e di elevare il capitale sociale delle future generazioni;
   la commissione di studio sulle scuole di specializzazione di area sanitaria istituita presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreto ministeriale 3 luglio 2013, n. 598, riunitasi in data 17 ottobre 2013, si è espressa unanimemente a sostegno dell'iniziativa delle regioni volta all'autorizzazione da parte dei Ministeri competenti all'utilizzo dei finanziamenti del Fondo sociale europeo (FSE) – dotazione regioni «obiettivo convergenza» e regioni «obiettivo competitività» – per il finanziamento di contratti e borse di studio aggiuntivi per la formazione specialistica di medici e non medici –:
   se il Governo sia a conoscenza delle richieste e se abbia proposto ai tavoli di confronto per l'Europa l'utilizzo dei fondi FSE anche per la formazione dei medici specializzandi e delle altre figure non mediche, nonché per medici di famiglia e pediatri di libera scelta;
   se e come il Governo intenda prevedere la possibilità di finanziare anche interventi formativi post diploma e post laurea per le professioni sanitarie mediche e non mediche, nonché master post universitari a supporto dell'innovazione al fine di sostenere il cambiamento organizzativo.
(2-00280) «Costa, Calabrò».

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro degli affari esteri, il Ministro per l'integrazione per sapere – premesso che:
   il 3 novembre, il quotidiano libico in lingua inglese Libya Herald ha dato notizia dell'imminente avvio di una missione italiana di sorveglianza aerea ed elettronica dei confini della Libia;
   il dispositivo coprirebbe i confini libici dalla zona di Owaynat, prossima alla frontiera egiziano-sudanese, fino al punto di giunzione tra Libia, Tunisia ed Algeria, ed avrebbe per scopo quello di ridurre i flussi migratori clandestini diretti dal cuore dell'Africa verso il Mediterraneo;
   secondo il predetto quotidiano libico, a dar l'annuncio dell'imminente avvio della missione di sorveglianza sarebbe stato lo stesso Primo Ministro, Ali Zeidan, nel corso di una conferenza stampa tenuta il 30 ottobre 2013 –:
   se le affermazioni rese dal Primo Ministro libico Ali Zeidan corrispondano o meno al vero ed, in questo caso, cosa si attenda per dar ufficialmente il via ad un intervento che potrebbe contribuire significativamente ad alleviare la pressione migratoria sull'isola di Lampedusa.
(2-00283) «Giancarlo Giorgetti, Gianluca Pini, Marcolin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Prataviera, Rondini».

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per sapere – premesso che:
   in data 20 settembre 2013 veniva svolta dai sottoscritti un'interpellanza urgente (2-00194) relativa al complesso monumentale della Cittadella di Alessandria. In tale sede, ricostruiti i termini della vicenda concernente la tutela e la valorizzazione del bene nonché dell'attuale situazione critica in cui esso versa a causa di problemi urgenti di conservazione e dell'assenza di un progetto chiaro, condiviso e operativo per il futuro della struttura, si domandava se si fosse a conoscenza di tale situazione e se si intendesse farvi fronte adottando ogni utile iniziativa di competenza per salvaguardare e valorizzare il complesso monumentale, compresa l'attivazione di un programma unitario di valorizzazione territoriale (PUVaT) di cui all'articolo 27 del decreto-legge n. 201 del 2011;
   a tale interpellanza dava risposta immediata il Governo, mostrando attenzione per la questione e consapevolezza rispetto alla situazione amministrativa del complesso monumentale, nonché aprendo ed anzi auspicando la «definizione di obiettivi di conservazione e di modalità di gestione» mediante un «esteso accordo istituzionale a sostegno di un complessivo progetto di recupero», tali anche da rafforzare la candidatura del bene all'inserimento nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO;
   vista la predetta risposta, i sottoscritti si dichiaravano soddisfatti per l'attenzione e la serietà mostrate dal Governo nell'affrontare la questione posta ed auspicavano che a tale positiva disposizione conseguisse l'effettiva attivazione dell’iter per la formazione di un PUVaT per la Cittadella, quale strumento idoneo al coinvolgimento da parte statale delle istituzioni regionali e locali, della associazioni culturali e della società civile nella definizione di un percorso responsabile, sostenibile e condiviso per il recupero e la valorizzazione di questo straordinario patrimonio culturale e monumentale;
   in data 21 ottobre 2013, il Sottosegretario per i beni e le attività culturali, onorevole Ilaria Borletti Buitoni, visitava il complesso monumentale, apprezzandone lo straordinario valore storico, culturale ed architettonico, nonché constatando l'assoluta urgenza di interventi di conservazione. In questa occasione, il Sottosegretario richiamava la posizione espressa dal Governo nella risposta all'interpellanza del 20 settembre, confermando la positiva disponibilità del MiBAC a dare concretezza al percorso proposto dagli interpellanti e incentrato sulla formazione di un PUVaT sulla Cittadella, nonché impegnandosi a rappresentare al Mef l'opportunità di sollecitare l'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, ad autorizzare interventi urgenti di recupero per i quali l'associazionismo locale e nazionale (progetto «Luoghi del cuore» del FAI) aveva già reperito importanti risorse finanziarie, immediatamente disponibili e sufficienti ad affrontare in prima battuta l'emergenza;
   in data 22 ottobre 2013, l'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, convocava una riunione, cui invitava gli enti locali interessati, avente ad oggetto proprio il futuro della Cittadella di Alessandria, annunciando in quella sede l'intenzione di procedere rapidamente all'emanazione di un bando per una concessione d'uso del complesso monumentale a soggetti privati. Dalle notizie di stampa, si apprendeva l'assoluta priorità che l'Agenzia avrebbe intenzione di assegnare al criterio economico nella valutazione delle domande di concessione, nonché dell'ipotizzata durata ultracinquantennale della concessione;
   l'ipotesi prospettata in termini netti e risoluti dall'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, appare sorprendente se rapportata alla scarsa attenzione finora mostrata per le esigenze di conservazione urgenti del bene, verso le quali non ha certo mostrato pari attenzione. Essa sembra inoltre manifestamente incoerente con l'orientamento mostrato dal Governo nella suddetta risposta all'interpellanza del 20 settembre e confermato ancora recentemente dal MiBAC, tanto con riferimento al tipo di percorso individuato (il PUVaT) quanto, specialmente, con riferimento al principio del più ampio coinvolgimento delle istituzioni locali e della società civile nella definizione del percorso medesimo e, perciò, degli obiettivi e strumenti di tutela e valorizzazione del bene nel contesto di una visione unitaria e territoriale;
   c’è il rischio che, ad avviso degli interpellanti, l'ipotesi dell'Agenzia del demanio: a) ponga su di un piano del tutto subordinato una pronta risposta ai problemi urgenti di conservazione (la cui soluzione è presupposto per ogni prospettiva di valorizzazione); b) escluda le istituzioni e la comunità locale dalle scelte fondamentali concernenti il futuro di un bene integrante l'identità della Città di Alessandria e dallo straordinario valore storico, culturale ed architettonico per l'intero Paese, tale da averne giustificato la candidatura all'inserimento nella lista UNESCO del Patrimonio mondiale dell'umanità; c) apra prospettive problematiche quanto alle garanzie di tutela dell'integrità del bene e, soprattutto, di una sua destinazione che pur potendo essere anche differenziata e versatile lo renda effettivamente fruibile da parte della collettività secondo soluzioni certamente sostenibili sotto il profilo economico ma altrettanto rispettose della dignità culturale del complesso –:
   se siano a conoscenza dell'ipotesi presentata dall'Agenzia del Demanio, sezione regionale del Piemonte, nella riunione del 22 ottobre 2013;
   se ritengano tale ipotesi coerente con l'orientamento assunto dal Governo poche settimane fa in occasione della risposta all'interpellanza del 20 settembre 2013, in particolare, se tale ipotesi escluda, come sembra fare, l'impostazione di un percorso condiviso di valorizzazione incentrato sullo strumento dei PUVaT;
   se ritengano condivisibili i rilievi problematici sollevati in premessa con riferimento ai rischi di tale ipotesi, specie con riferimento all'emarginazione dal percorso di valorizzazione delle istituzioni e della società civile locali;
   se intendano intervenire direttamente sulla questione sollecitando l'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, ad occuparsi prioritariamente delle indifferibili esigenze di conservazione del bene, consentendo la messa in atto di operazioni di recupero già progettate in via esecutiva e per le quali sono già disponibili risorse finanziarie, umane e strumentali grazie all'impegno autonomo dell'associazionismo e della collettività locale;
   se intendano invitare l'Agenzia del demanio alla considerazione di altre proposte concorrenti all'ipotesi di affidamento in concessione a privati, le quali compongano le esigenze di sostenibilità economica del progetto di valorizzazione (e perciò contemplino eventualmente tra le altre responsabilità anche quella di operatori privati) con quelle di fruibilità collettiva e garanzia dell'integrità storica, culturale ed architettonica del bene.
(2-00279) «Balduzzi, Dellai».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la relazione sull'attività dell'Arbitro bancario finanziario riguardante l'anno 2012, riporta, a pagina 26, che il 65 per cento, dei 4.303 ricorsi giunti a decisione ha avuto un esito favorevole per il cliente;
   la Corte di cassazione ha chiarito che la tutela del risparmio è interesse pubblico, riconosciuto in Costituzione all'articolo 47 (Cass., sezione I civile, sentenza n. 2058 del 23 febbraio 2000);
   nell'interrogazione a risposta scritta n. 4/01099, presentata dalla prima firmataria della presente interpellanza e annunciata nella seduta della Camera del 2 luglio 2013, sono citate diverse sentenze di risarcimento a vantaggio dei correntisti bancari ed è tratteggiato il sistema del credito, sia per le pratiche di gestione professionale del risparmio, spesso produttive di reati accertati, che per l'inefficacia dei controlli e per gli eccessivi tempi nella restituzione delle somme sottratte dalle banche e nell'effettiva corresponsione dei danni conseguenti;
   il 17 luglio 2013 l'imprenditore calabrese Antonino De Masi, vittima di usura bancaria accertata dalla Cassazione, raccontò la sua storia presso la sala stampa della Camera dei deputati, con riferimento – in conferenza – alla mancata erogazione del mutuo pubblico antiusura, richiesto dal De Masi nel 2006 e ricevuto, sia pure in parte, soltanto dopo l'anzidetta esposizione, visibile su Internet sul sito www.youtube.com;
   la testimonianza del De Masi e la suddetta interrogazione Parlamentare espongono gravi e provate violazioni della Costituzione e della legge ordinaria da parte delle banche, mostrando l'inadeguatezza e l'inefficacia dei controlli preposti;
   la storia del De Masi appare come paradigmatica dell'urgenza di interventi per tutelare in Italia il risparmio come interesse pubblico, secondo l'articolo 47 della Costituzione;
   il Ministro interpellato, fermi restando l'ambito delle proprie competenze e l'attuale autonomia della Banca d'Italia, non ha ancora risposto alla suddetta interrogazione su come intenda tutelare il risparmio, ponendo fine ad abusi, irregolarità, arbìtri, alterazioni e rendendo giustizia alle vittime –:
   se non intenda adottare, iniziative, anche normative, volte a revocare l'autorizzazione all'attività bancaria per le banche responsabili di reati e violazioni di legge e, insieme, misure per il tempestivo risarcimento dei clienti raggirati.
(2-00282) «Nesci, Colonnese, Pinna, Carinelli, Spessotto, Vignaroli, Fico, Luigi Di Maio, Barbanti, Pisano, Cancelleri, Villarosa, Chimienti, Ruocco, Pesco, Turco, Sarti, Colletti, Bonafede, Ferraresi, Agostinelli, Businarolo, Micillo, Castelli, Caso, Cariello, D'Incà, Currò, Brugnerotto, Sorial».


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, la necessità di un'analisi puntuale dei meccanismi che incidono sull'andamento della spesa pubblica e l'esigenza di individuare interventi mirati al contenimento e alla sua progressiva riqualificazione, sono state più volte al centro dell'attenzione del legislatore, divenendo tema fondamentale della politica finanziaria e di bilancio, reso ancor più stringente alla luce del percorso di consolidamento dei conti pubblici necessario ai fini del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea;
   a fronte delle difficoltà riscontrate nel perseguire un raffreddamento delle dinamiche della spesa pubblica, è emersa la necessità di potenziare il monitoraggio dei flussi di finanza pubblica e di elaborare nuovi strumenti, di carattere più strutturale e selettivo, finalizzati a consentire un più penetrante controllo anche qualitativo della spesa; ed è in questa prospettiva che si colloca l'avvio, sin dalla XV legislatura, di un programma straordinario di analisi e valutazione della spesa, comunemente denominato, sulla base di analoghe esperienze internazionali, «spending review»;
   tale programma – che s'innestava nella cornice di un'estesa riclassificazione in senso funzionale del bilancio dello Stato, articolato in missioni e programmi – veniva fin dall'inizio configurato come uno strumento di programmazione economico-finanziaria, volto a fornire una metodologia sistematica per migliorare sia il processo di decisione delle priorità e di allocazione delle risorse, sia la performance delle amministrazioni pubbliche in termini di economicità, qualità ed efficienza dei servizi offerti ai cittadini;
   tra gli obiettivi sottesi alla spending review spesa vi è quello di superare sia la logica dei tagli lineari alle dotazioni di bilancio, sia il criterio della «spesa storica»;
   nel corso della XVI legislatura il processo di analisi e revisione della spesa è stato dapprima incorporato e reso permanente nel sistema delle decisioni di bilancio ad opera della nuova legge di contabilità e finanza pubblica, legge n. 196 del 2009, e successivamente rilanciato, anche in ragione delle persistenti esigenze di consolidamento dei conti pubblici, con misure specifiche e nuove modalità operative introdotte in larga parte attraverso provvedimenti d'urgenza;
   la legge n. 196 del 2009, ha previsto l'istituzionalizzazione del processo di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali – attraverso la costituzione di apposite strutture specializzate (Nuclei di analisi e valutazione della spesa) e la sua graduale estensione alle altre amministrazioni pubbliche;
   i risultati conseguiti dai nuclei di analisi e valutazione della spesa ed esposti nelle relazioni annuali sono utilizzati ai fini dell'elaborazione del rapporto triennale sulla spesa delle amministrazioni dello Stato – documento di sintesi dell'attività triennale di spending review volto ad illustrare la composizione e l'evoluzione della spesa, i risultati conseguiti con le misure adottate ai fini del suo controllo e quelli relativi al miglioramento del livello di efficienza delle amministrazioni – previsto anch'esso dalla legge di contabilità e presentato alle Camere, per la prima volta, nell'agosto 2012;
   alla normativa in tema di analisi e revisione della spesa si sono affiancati, a partire dall'estate del 2011, specifici interventi legislativi, che oltre ad ampliarne l'ambito di operatività, hanno definito modalità applicative di carattere speciale rispetto alla disciplina generale sopra richiamata, facendo in particolare leva sulla diffusione del metodo dei fabbisogni e dei costi standard utilizzato e sancito sul piano normativo, con rifermento agli enti territoriali, dalla legge delega n. 42 del 2009 di attuazione del federalismo fiscale;
   in particolare, un primo insieme di misure è contenuto nel decreto-legge n. 98 del 2011, che ha previsto, a decorrere dall'anno 2012, l'avvio di un ciclo di spending review mirato alla definizione dei fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato. In questa prospettiva l'attività di analisi e revisione della spesa – affidate al dipartimento della ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze – viene finalizzata a individuare, tra l'altro, le eventuali criticità nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici, le possibili duplicazioni di strutture e le strategie di miglioramento dei risultati ottenibili con le risorse disponibili. Per le amministrazioni periferiche dello Stato si prevede, invece, la proposizione di specifiche metodologie per quantificarne i relativi fabbisogni, anche ai fini della allocazione delle risorse nell'ambito della loro complessiva dotazione;
   il complesso normativo appena illustrato è stato in seguito integrato da ulteriori disposizioni introdotte dal decreto-legge n. 138 del 2011, che ha a sua volta riproposto, seppur con talune modifiche, alcune norme contenute nel precedente decreto-legge n. 98 del 2011;
   in particolare, il decreto-legge n. 138 del 2011, riproponendo, con talune varianti, quanto disposto dal precedente decreto-legge n. 98 del 2011, ha previsto che la ragioneria generale dello Stato dia inizio, a partire dall'anno 2012, d'intesa con i Ministeri interessati, a un ciclo di spending review mirata alla definizione dei «costi standard» dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato, prevedendo al contempo, per gli anni 2012 e 2013, una serie di obiettivi di riduzione delle spese relative alle missioni di ciascun Ministero, nonché, per gli anni 2014, 2015 e 2016, di contenimento dell'aumento in termini nominali della spesa primaria del bilancio dello Stato, da realizzare nella misura delle risorse finanziarie discendenti dall'attuazione del citato programma per la riorganizzazione della spesa pubblica e del ciclo di revisione della spesa mirato alla definizione dei costi standard delle amministrazioni centrali;
   un ulteriore filone di interventi in materia di spending review si è registrato nell'ultimo anno della legislatura, anche a seguito della presentazione, in data 30 aprile 2012, del citato rapporto, che ha inteso affrontare il problema della spesa pubblica dal punto di vista delle singole attività, funzioni o organizzazioni nelle quali l'offerta di beni e servizi al cittadino si organizza;
   il rapporto presenta un'analisi del livello e della struttura della spesa pubblica italiana, evidenziando, in particolare, come l'attuale dimensione della spesa e della sua struttura costituisca oggi un «ostacolo ad uno scenario di ripresa ciclica dell'economia». L'importo presumibile della spesa che può essere oggetto di revisione nel breve e lungo termine, la cosiddetta «spesa aggredibile», viene quantificato in circa 295 miliardi di euro;
   pressoché contestualmente alla presentazione del rapporto, il 3 maggio 2012, è stata adottata una direttiva del presidente del Consiglio dei ministri, che ha disciplinato l'attività di revisione della spesa delle amministrazioni centrali da realizzare nell'arco del periodo 1o giugno – 31 dicembre 2012, al fine di conseguire un obiettivo di riduzione della spesa indicato in un importo pari a 4,2 miliardi per l'anno 2012;
   la direttiva ha indicato ai dicasteri le linee da seguire per contenere le spese di gestione. Gli interventi enunciati contemplano la riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi, la revisione dei programmi di spesa, il ridimensionamento delle strutture dirigenziali esistenti, la riduzione, anche mediante accorpamento, degli enti strumentali e vigilati e delle società pubbliche, la ricognizione degli immobili pubblici in uso alle pubbliche amministrazioni al fine di possibili dismissioni, nonché la riduzione della spesa per locazioni, l'eliminazione di spese di rappresentanza e per convegni;
   con due appositi provvedimenti d'urgenza si è dunque provveduto ad avviare il nuovo ciclo di spending review; in particolare, in una prima fase, con il decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, recante «Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica», è stata istituito un Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri, al quale è stato attribuito il compito di svolgere attività di indirizzo e di coordinamento, in particolare, in materia di revisione dei programmi di spesa e dei trasferimenti a imprese, razionalizzazione delle attività e dei servizi offerti, ridimensionamento delle strutture, riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, ottimizzazione dell'uso degli immobili e nelle altre materie individuate dalla citata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2012;
   nell'ambito di tale Comitato, è stato delegato alla spending review il Ministro per i rapporti con il Parlamento, cui è stato attribuito il coordinamento dell'azione del Governo in materia di programma di Governo e analisi e studio per il riordino della spesa pubblica. Contemporaneamente, è stata prevista la nomina del commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche, designato dal Governo Monti nella persona di Enrico Bondi (poi dimessosi nel gennaio 2013 e sostituito dal ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio), con il compito di definire per voci di costo il livello di spesa per acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni, nonché di coordinarne l'attività di approvvigionamento e di assicurarne una riduzione;
   in un secondo momento, con il decreto-legge n. 95 del 2012, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», si è proceduto all'adozione di una serie di misure di contenimento e riorganizzazione della spesa pubblica volte a realizzare, per quanto concerne il comparto delle amministrazioni centrali, gli obiettivi indicati nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2012, nonché, per ciò che attiene al generale settore della pubblica amministrazione, ad operare una rimozione della spesa per beni e servizi, anche sulla base delle risultanze dell'analisi svolta del commissario straordinario per la spending review;
   il Consiglio dei ministri del 4 ottobre 2013 ha nominato Carlo Cottarelli, già responsabile del dipartimento finanza pubblica del fondo monetario internazionale, nuovo commissario straordinario per la spending review;
   l'esperienza dei suoi predecessori dimostra che il compito non è affatto semplice: le misure messe in atto hanno infatti raramente inciso sulla spesa pubblica improduttiva. Va anche detto che tali lavori hanno avuto il merito di evidenziare determinati margini di razionalizzazione e di avviare una proficua dialettica con le amministrazioni coinvolte; ad ogni modo, se l'approccio basato sulla partecipazione e il coinvolgimento delle amministrazioni non dovesse produrre i risultati attesi, allora si potrà pensare di procedere con riduzioni di spesa selettive e guidate dai risultati delle evidenze empiriche; il gruppo di lavoro di Bondi ha comunque «censito» circa 60 miliardi dei 136 destinati all'acquisto di beni e servizi intermedi, e ha riscontrato «eccessi di spesa» nell'ordine del 25-40 per cento (con un record in Sicilia dove è stimato circa il 51,8 per cento di spesa anomala registrata sul totale di tutte le regioni a statuto speciale);
   la spesa pubblica italiana è un unicum mondiale dove su 807 miliardi di euro totali oltre 330 sono destinati a oneri sul debito e a pensioni; la manovrabilità è limitata, ma sulla carta sono aggredibili, in tempi brevi, almeno 100 miliardi; la sanità è il principale imputato perché conta una spesa annua di oltre 106 miliardi (destinati alle regioni) e anche un semplice intervento sui servizi non sanitari, secondo il rapporto Bondi, avrebbe potuto fruttare 3,2 miliardi solo grazie alla rinegoziazione dei contratti di pulizia, mensa e manutenzione degli ospedali;
   il 1o agosto la Conferenza Stato-regioni aveva rinviato a settembre, per «necessari approfondimenti tecnici», la discussione del documento del Ministero della Salute, utile per individuare le tre regioni di riferimento per la determinazione del «fabbisogno sanitario standard» (le regioni in lizza per il benchmark sanitario al momento sono cinque, in quest'ordine: Umbria, Marche, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto); ad oggi però non risulta essere stata ancora presa alcuna decisione in merito;
   sempre sul tema dei costi standard, è stata effettuata una prima ricognizione relativa ai settori di polizia locale e «amministrazione generale»; si attendeva un ulteriore passo in merito al tema «istruzione» e alle altre funzioni fondamentali, ma ad oggi ancora arrivati alla loro approvazione definitiva;
   il processo dell'attribuzione di risorse basate sull'individuazione dei fabbisogni standard, finalizzato alla ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali, strettamente legato all'intero impianto della spending review, risulta quindi ancora in itinere;
   dopo un susseguirsi pressoché ininterrotto di norme ed interventi di vario genere sopra riportati, spending review e individuazione dei fabbisogni e dei costi standard sono ancora oggi al centro del dibattito. Sembra che il tutto sia ancora in fase di «prova», di «monitoraggio», fermo, come se non fosse abbastanza chiaro che razionalizzare la spesa pubblica con un processo celere e rigoroso sia un obbligo morale oltre che una necessità contabile, un dovere che si ha nei confronti del nostro Paese;
   considerato il proficuo lavoro fin qui svolto da chi ha esaminato con grande attenzione i comparti e le voci di spesa «aggredibili», è necessaria una presa di posizione da parte del Governo di larghe intese, e partire finalmente con tagli reali di spesa improduttiva, con grande «attenzione», ma senza avere il timore di prendere decisioni «corragiose», non facili, ma comunque indispensabili;
   è fondamentale partire dal presupposto che non è più sostenibile incidere sull'imposizione fiscale e gravare ancora di più su cittadini e imprese; per avviare la ripresa è chiaro che l'unica soluzione sembra essere quella di mettere finalmente il taglio della spesa pubblica al centro dell'impostazione dell'azione di bilancio per il 2014, e fondare l'azione di Governo su decisioni chiare ed effettive in merito ai tagli di spesa aggredibile e improduttiva, e non su aumenti di tasse e accise che sembrano aver caratterizzato questi primi mesi dell'esecutivo;
   con i risparmi conseguiti si dovrà provvedere al taglio del cuneo fiscale, ovvero meno tasse per imprese e lavoratori, e al taglio in generale della tassazione che oggi grava in maniera spropositata su tutti i cittadini; ad ogni modo, non si dovrà procedere solo con tagli netti, ma anche con un processo generale di revisione delle strutture pubbliche, a partire dalle procedure che le caratterizzano, e che spesso sono fonte di inefficienza che incide necessariamente sugli equilibri di bilancio;
   il processo di «tagli» e di «revisione» della spesa e delle strutture pubbliche (anche in tema di dismissioni immobiliari) dovrà seguire criteri di competenza massima e di attenzione, senza però mai perdere di vista l'obiettivo finale, che rimane quello di contenere il complesso della spesa pubblica, favorendo al contempo una maggiore qualità della stessa e una allocazione più efficiente delle risorse nella direzione di ridurre la pressione fiscale –:
   quali siano stati, ad oggi, gli effetti concreti delle misure di razionalizzazione e di revisione della spesa messe in atto e riportate in premessa, come il Governo abbia fino ad ora utilizzato i dati forniti dall'analisi svolta del commissario straordinario per la spending review, e quali siano stati i tagli di spesa effettivamente conseguiti;
   quali siano stati, ad oggi, i risultati dell'attività di monitoraggio e di revisione dei fabbisogni e dei costi standard delle funzioni e dei servizi resi dalle regioni e dagli enti locali;
   attraverso quali provvedimenti e con quali azioni il Governo intenda assumere le necessarie decisioni in merito al taglio della spesa pubblica, e, in particolare quali siano i risparmi di spesa previsti gli anni 2014, 2015 e 2016 e quali i settori di spesa «aggredibile» su cui intende incidere e per quali cifre, anche sulla base dei dati forniti dalle analisi svolte;
   quali siano i possibili effetti in termini di riduzione della pressione fiscale alla luce dei risparmi di spesa previsti per il prossimo triennio;
   se i prossimi interventi in tema di analisi e revisione della spesa troveranno concreta applicazione attraverso la diffusione del metodo dei fabbisogni e dei costi standard, anche rapportando la perequazione delle risorse destinate agli enti territoriali in base a questi indicatori superando quindi definitivamente il criterio della spesa storica, che alimenta l'inefficienza, favorendo una maggiore qualità della spesa pubblica e una allocazione più efficiente delle risorse, sempre nella direzione di ridurre la pressione fiscale.
(2-00286) «Gelmini».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le modifiche apportate alla disciplina sulla rateazione delle somme iscritte a ruolo dall'articolo 52, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, consentono al debitore che, per ragioni estranee alla propria responsabilità, si trovi in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, di richiedere l'ampliamento della rateazione, fino a un massimo di centoventi rate mensili;
   in quest'ambito il comma 3 del predetto articolo 52, stabilisce, che «Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, sono stabilite le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall'applicazione del meccanismo di rateazione di cui al comma 1, lettera a)»;
   l'attuazione della predetta norma, e la conseguente facoltà di fruire dei più ampi termini di rateazione, sarà dunque possibile solo dopo l'emanazione del decreto ministeriale, che, tuttavia, non è ancora stato adottato, sebbene siano trascorsi ormai ben più di due mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge n. 69;
   la problematica relativa alla mancata attuazione delle predette modifiche normative è stata di recente oggetto di tre atti di sindacato ispettivo;
   dapprima la questione è stata affrontata dall'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-01055, svolta presso la Commissione finanze della Camera il 16 ottobre 2013, in risposta alla quale il rappresentante del Governo si è limitato ad affermare che «sono in fase avanzata gli approfondimenti necessari alla stesura del provvedimento in argomento» e che «l'Agenzia delle entrate ed Equitalia S.p.A. stanno collaborando con il Dipartimento delle finanze ed il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato alla predisposizione di una bozza di decreto»;
   successivamente, sul tema è intervenuta l'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-01259, svolta presso la Commissione finanze della Camera il 24 ottobre 2013, in risposta alla quale il rappresentante del Governo ha affermato che «lo slittamento dei termini di adozione del decreto, (...), è derivato dalla complessità delle misure tecnico-operative volte ad assicurare che il nuovo meccanismo di rateazione sia inserito e coerentemente raccordato alle variegate disposizioni già vigenti in materia»;
   da ultimo, in occasione dello svolgimento, il 30 ottobre scorso, dell'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-01316, il rappresentante del Governo ha dichiarato che «sono in corso le finali verifiche tecniche e valutazioni sullo schema di provvedimento destinato all'emanazione»;
   le giustificazioni addotte a motivazione del notevole ritardo accumulato appaiono del tutto insufficienti e pretestuose, sia in ragione del tempo trascorso, sia in considerazione del fatto che l'Esecutivo è pienamente a conoscenza di tutti gli aspetti coinvolti dalla citata norma;
   la questione è stata oggetto di molteplici sollecitazioni, nei confronti del Ministro Saccomanni, del viceministro Casero, del sottosegretario Alberto Giorgetti, del sottosegretario Baretta, nonché del direttore dell'Agenzia delle entrate;
   ribadendo per l'ennesima volta quanto già affermato in occasione dello svolgimento delle richiamate interrogazioni, l'assenza di una compiuta e soddisfacente risposta da parte del Governo, rende necessario riproporre ulteriormente il quesito, per segnalare con forza l'esigenza imprescindibile che l'Esecutivo emani il predetto decreto ministeriale, dando finalmente attuazione alla citata normativa;
   infatti, la mancata attuazione delle norme in materia di rateazione recate dall'articolo 52 del decreto-legge n. 69 del 2013, oltre a costituire una grave ed illegittima disapplicazione delle scelte compiute dal Legislatore, nonché un segnale di scarsa attenzione per il ruolo del Parlamento, il quale aveva anche approvato una risoluzione in materia, costituisce innanzitutto una violazione inaccettabile dei diritti che tale normativa attribuisce ai numerosissimi contribuenti interessati dalla più ampia facoltà di rateazione;
   l'inerzia dell'Esecutivo in merito pone un evidente problema di natura politica, di cui è ormai evidente la gravità –:
   se intenda procedere immediatamente all'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze previsto dal comma 3 dell'articolo 52 del decreto-legge n. 69 del 2013, dando finalmente attuazione, sia pure in modo molto tardivo, alla normativa in materia di rateazione dei debiti tributari di cui all'articolo 52, comma 1, lettera a), del predetto decreto-legge n. 69. (5-01368)


   PAGLIA e BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il disegno di legge delega fiscale recentemente approvata dalla Camera prevede, tra l'altro, al fine di rafforzare la tracciabilità dei mezzi di pagamento, d'incentivare l'utilizzo della moneta elettronica;
   tutti gli organismi competenti nazionali ed internazionali vedono oramai nei sistemi di pagamento non tracciabili uno dei principali ostacoli alla lotta all'evasione fiscale ed all'economia illegale;
   anche il Governo italiano sta studiando l'opportunità di ridurre ulteriormente l'uso del denaro contante, anche alla luce dell'approssimarsi del 1o gennaio 2014, data in cui scatterà l'obbligo per imprese e professionisti, di dotarsi dei POS per il pagamento di beni e servizi, adempimento, questo, che, se non gestito correttamente, rischia di diventare un ulteriore ostacolo per la ripresa dei consumi;
   ad oggi il limite dei pagamenti in contanti è fissato a 1.000 euro, soglia che gli interroganti auspicano venga ulteriormente ridotta a 500 euro, contestualmente alla riduzione delle commissioni e dei costi di gestione della moneta elettronica per imprese e cittadini;
   in Italia il ricorso alla moneta elettronica è sempre più diffuso, anche se il gap con il resto dell'Europa resta notevole e potrebbe essere colmato anche grazie agli elevati standard di sicurezza raggiunti: infatti l'ultimo Osservatorio Assofin-Crif Decision Solutions-GfK Eurisko, relativo al consuntivo del 2011, rileva la presenza nel nostro Paese di 71,2 milioni di carte per i pagamenti, una media di 1,2 per abitante, numero cresciuto sensibilmente negli ultimi vent'anni, ma che resta inferiore alla media dell'Unione europea (1,5), per non dire dei Paesi più virtuosi come il Regno Unito (2,4 per abitante) o la Svezia (2,2) –:
   quale sia in dettaglio e distintamente il costo attualmente sostenuto dallo Stato e dal sistema bancario per la gestione complessiva del denaro contante, anche a fronte di quali commissioni incassate per la gestione della moneta elettronica. (5-01369)


   BARBANTI, VILLAROSA, RUOCCO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   appare importante disporre di dati dettagliati in merito all'ammontare delle diverse tipologie di reddito sottoposte alle imposte sui redditi, anche al fine di orientare correttamente l'attività legislativa del Parlamento in materia –:
   quale sia l'ammontare dei redditi fondiari, dei redditi di capitale, dei redditi di lavoro dipendente, dei redditi di lavoro autonomo, dei redditi d'impresa e dei redditi diversi, divisi per scaglioni di reddito. (5-01370)


   PETRINI e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   SACE BT Spa, una società assicurativa del gruppo SACE, vigilata dall'IVASS, che opera nei rami credito, cauzioni e ADB, specializzata nella gestione e copertura dei rischi sul mercato domestico e all'esportazione;
   la Compagnia di assicurazione affianca le imprese italiane che intendono cogliere nuove opportunità di crescita in mercati poco conosciuti e consolidare posizioni già raggiunte;
   nel mese di giugno la direzione commerciale e la direzione tecnica della Compagnia hanno inviato una lettera agli intermediari del ramo credito volta a individuare una lista dei massimali su cui effettuare cancellazioni a partire dal 1o luglio;
   l'intervento, volto al contenimento dei rischi sensibili, è dovuto – secondo quanto riportato dalla SACE BT – al permanere della difficile situazione economica e all'allontanamento delle prospettive di ripresa, che dovrebbero concretizzarsi non prima del 2014, che hanno reso necessario un contenimento delle insolvenze nella seconda parte di quest'anno e nel 2014;
   l'obiettivo è quello di prevenire e contenere i mancati pagamenti che potrebbero manifestarsi nei prossimi mesi; a tal fine la Compagnia ha posto in essere una profonda attività di verifica dei propri rischi volta ad intercettare le posizioni critiche;
   il Governo si è espresso in più occasioni la volontà di sostenere l'internazionalizzazione e l'export, delle imprese italiane attraverso il sostegno nell'accesso al credito da parte delle PMI;
   tale sostegno non può tuttavia prescindere dalla necessità di intervento anche sul piano del rilascio delle garanzie e delle coperture assicurative relativi ai rischi di credito connessi al commercio sui mercati esteri;
   in data 9 novembre 2012 Cassa depositi e prestiti Spa (CDP) ha acquistato l'intero capitale sociale di SACE dal Ministero dell'economia e delle finanze, avendo esercitato l'opzione di acquisto di cui all'articolo 23-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
   l'operazione di aggregazione si è concretizzata, lo scorso 3 luglio, con una nuova convenzione relativa al sistema «Export Banca» tra le società del gruppo Cassa depositi e prestiti (CDP), e l'Associazione bancaria italiana (ABI) che regola le operazioni a supporto dell'internazionalizzazione e delle esportazioni delle imprese italiane e prevede il supporto finanziario del sistema bancario (ABI) e di CDP, la garanzia di SACE –:
   quali interventi intenda mettere in atto, per i profili di propria competenza, al fine di migliorare le condizioni di accesso al credito, in particolare per le imprese di piccole e medie dimensioni, anche prevedendo azioni volte al potenziamento del rilascio delle garanzie e delle coperture assicurative relative ai rischi di credito connessi al commercio sui mercati esteri, in un'ottica di internazionalizzazione delle imprese. (5-01371)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONI, VELO, CENNI e SANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   alla fine degli anni ’70 Poste italiane commissionava alla ditta Elsag del gruppo Finmeccanica (oggi confluita nella Selex ES a partecipazione statale) l'appalto per la manutenzione degli impianti automatizzati dei centri di meccanizzazione postale per lo smistamento della corrispondenza;
   la ditta Elsag subappaltava a diverse società e, a partire da ottobre 2007, le riduceva a solo due in tutto il territorio nazionale: Stac Italia Srl per il centro-nord e Logos spa per il centro-sud, isole comprese;
   nel 2007, grazie ad un accordo ministeriale che impegnava le due ditte subentranti ad assumere il personale già applicato nei vari centri dalle precedenti aziende, i lavoratori (con il supporto delle organizzazioni sindacali) riuscivano a far mantenere i livelli occupazionali, economici e di anzianità di tutto il perimetro;
   a marzo 2013 Poste italiane ha effettuato una nuova gara d'appalto alla quale si sono presentate due RTI, una composta da Selex ES con PH Facility e un'altra composta da STAC Italia srl con Siemens Italia;
   recentemente Poste ha assegnato, a far data dal 1o novembre 2013, a Selex ES/PH Facility l'appalto di tutta l'assistenza e manutenzione degli impianti meccanizzati senza però approfondire se una azienda che si occupa principalmente di igiene e sanificazione, e un'azienda che oramai da più di 30 anni subappalta ad altre ditte questo tipo di lavoro, siano in grado ed abbiano i numeri, in particolare la quantità/qualità del personale, per svolgerlo con la professionalità che necessita un colosso come Poste italiane stimolato ad affrontare la crescente concorrenza sul mercato della consegna della corrispondenza;
   attualmente i lavoratori impiegati sui centri meccanizzati di Poste italiane sono in sciopero ad oltranza su tutto il territorio, poiché si oppongono alla scelta di PH Facility, che per ridurre i costi, si propone di diminuire drasticamente il personale applicato nel perimetro (da 274 a 150 unità) e sminuire il lavoro altamente specializzato sostituendo il contratto metalmeccanico in essere con un contratto multi servizi;
   l'assetto proprietario di Poste italiane vede la partecipazione totalitaria del Ministero dell'economia e delle finanze e l'importanza del servizio di Poste italiane per i cittadini è insindacabile; in tale ottica il lavoro svolto dai tecnici delle ditte STAC e Logos per la competitività sul mercato dello smistamento della corrispondenza è fondamentale per la sua specificità;
   è oltremodo importante osservare che la spesa per la suddetta gara d'appalto sarebbe notevolmente ridotta, in favore della stazione appaltante, con l'acquisizione diretta di tutto il personale tecnico manutentore all'interno dell'azienda Poste italiane, visto che detto personale è oramai veterano del lavoro nei centri meccanizzati e potrebbe essere inoltre ricollocato in un'ottica di miglioramento del servizio postale nazionale –:
   se i Ministri in indirizzo non intendano convocare un tavolo con Poste italiane spa, Selex Es, PH Facility, Stac, Logos e le organizzazioni sindacali al fine di approvare un protocollo d'intesa che salvaguardi la qualità del servizio postale e l'occupazione dell'intera filiera, anche valutando l'opportunità di una riallocazione del personale direttamente in Poste italiane. (5-01373)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le modifiche apportate alla disciplina sulla rateazione delle somme iscritte a ruolo dell'articolo 52, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, consentono al debitore che si trovi in una grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, di richiedere l'ampliamento della rateazione, fino a un massimo di 120 rate mensili;
   il comma 3 del predetto articolo 52, stabilisce che «con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, sono stabilite le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall'applicazione del meccanismo di rateazione di cui al comma 1, lettera a)»;
   pertanto l'attuazione di predetta norma sarà possibile solo dopo l'emanazione del decreto attuativo dal Ministero dell'economia e delle finanze, che non è stato adottato nonostante siano passati più di due mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 69 del 2013;
   la mancata attuazione della normativa, oltre a costituire una grave ed illegittima disapplicazione della legge, sta causando ulteriori gravi disagi ai cittadini contribuenti già in enorme difficoltà come è successo a un utente di Gorizia che si è recato ben tre volte presso la sede locale di Equitalia per chiedere la rateazione ma la risposta è stata sempre la stessa: dal Ministero non è ancora pervenuto il decreto attuativo –:
   se intenda dare attuazione alla normativa in materia di rateazione dei debiti tributari e quali siano le ragioni del ritardo nell'emanazione del medesimo.
(4-02394)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   secondo i dati statistici rilevati dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, aggiornati a febbraio 2013, risulta che sull'intero territorio nazionale sono stati sequestrati e confiscati 11.238 immobili e 1.708 aziende, per un totale di 12.946 beni;
   le operazioni di sequestro e confisca, pur concentrandosi principalmente nelle regioni del Meridione d'Italia, coinvolgono anche il centro ed il Nord del Paese, interessando diversi settori, tra cui il commercio, l'edilizia, il settore alberghiero e della ristorazione;
   il dato che colpisce è che, nella quasi totalità dei casi (ovvero il 90 per cento), si tratta di misure adottate nei confronti di aziende destinate al fallimento, a causa delle fasi particolarmente lunghe dell’iter giudiziario antecedente la confisca definitiva e della sostanziale impossibilità di sopravvivenza per le aziende dovuta all'immediato annullamento dei fidi bancari e delle commesse;
   anche se ad oggi non vi sono dati ufficiali riguardanti nello specifico la chiusura ed il fallimento delle imprese in termini di perdita di posti di lavoro, risulta all'interpellante che sarebbero circa 72.000 i lavoratori e le lavoratrici ex dipendenti delle aziende sottoposte a confisca, sparsi sul territorio italiano, licenziati o in cassa integrazione;
   nel fondo unico di giustizia (FUG), gestito da Equitalia Giustizia, confluiscono tra l'altro le somme sequestrate nell'ambito di procedimenti penali e in applicazione di misure di prevenzione antimafia, nonché i proventi derivanti dai beni confiscati alla criminalità organizzata. Tali somme vengono destinate al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, al Ministero della giustizia per il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali ed al bilancio dello Stato;
   a giudizio degli interpellanti sarebbe opportuno garantire una tutela alle decina di migliaia di lavoratori e lavoratrici succitati, che si ritrovano improvvisamente licenziati o messi in cassa integrazione e che sono anch'essi vittime del sistema criminale;
   l'obiettivo è quello di prevedere un diverso ed ulteriore utilizzo del fondo unico di giustizia, per finanziare nuove iniziative produttive attivabili appunto da ex dipendenti licenziati da aziende sequestrate e/o confiscate, non riuniti esclusivamente sotto la forma giuridica di cooperative sociale, bensì sotto forma di società di capitali, purché con maggioranza di soci rispondenti al requisito di ex dipendenti di aziende confiscate –:
   se i Ministri interpellati non ritengano necessario prevedere meccanismi di rilevazione statistica e monitoraggio relativamente al numero ed alle qualifiche professionali dei lavoratori ex-dipendenti di aziende sottoposte a sequestro o confisca;
   se non ritengano opportuno assumere le iniziative normative di competenza, al fine di prevedere una ulteriore utilizzazione del fondo unico di giustizia, destinando una parte dei proventi e delle somme che in esso confluiscono a sostegno dei lavoratori di cui in premessa, riuniti sotto forma di società di capitali, purché con maggioranza di soci rispondenti alrequisito di ex dipendenti di aziende confiscate, offrendo così loro un'adeguata tutela.
(2-00281) «Giammanco, Palmieri, Elvira Savino, Distaso, Biasotti, Palese, Scopelliti, Mottola, Rampelli, Garofalo, Luigi Cesaro, Minardo, Valentini, Bergamini, Faenzi, Bernardo, Alli, Squeri, Sarro, Vella, Marotta, Prestigiacomo, Misuraca, Polverini, Francesco Saverio Romano, Polidori, Petrenga, Cicu, Picchi, Saltamartini, Sandra Savino, Fucci, Calabria, Abrignani».

Interrogazione a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con i due decreti legislativi n. 155 e 156 del 2012, il Governo — a fini di riduzione della spesa e di miglioramento dell'efficienza del sistema giustizia — ha dato attuazione alla delega conferitagli dalla legge n. 148 del 2011 per la revisione della geografia giudiziaria. Il decreto n. 155 procede alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie e detta la nuova organizzazione degli uffici giudiziari di primo grado sopprimendo 31 tribunali. Il decreto n. 156 opera analoga riorganizzazione in relazione agli uffici del giudice di pace, riducendone significativamente il numero;
   tra questi soppressi si trovano anche tribunali come quello di Mistretta (ME) e Nicosia(EN) che hanno una loro «specificità», poiché amministrano la giustizia su un vasto territorio caratterizzato da una geografia montuosa e isolato a causa di una particolare situazione di dissesto delle strade e dei collegamenti, per cui non può non tenersi conto dei pesanti disagi che soffrirebbe una vasta fascia di utenza;
   il territorio ha marcata connotazione montana e presenta carenza di vie di comunicazione adeguate. Le carenze infrastrutturali e il rischio di non potere raggiungere la sede accorpante durante l'inverno — a causa delle condizioni climatiche che spesso causano la chiusura del collegamento per ghiaccio e neve, isolando i comuni — condizionano seriamente l'accesso delle popolazioni residenti ai servizi di giustizia;
   sarebbe possibile e necessario mantenere i tribunali di Nicosia e Mistretta, come tutti i tribunali che si trovano nelle stesse condizioni –:
   se i Ministri interrogati intendano attivarsi per adottare tutte le iniziative di propria competenza utili al mantenimento dei tribunali che versano nelle stesse condizioni dei casi presentati in premessa.
(4-02390)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   PIAZZONI, ZAN, NICCHI, ZARATTI, AIELLO, PELLEGRINO, MIGLIORE, AIRAUDO, NARDI e DI SALVO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese ormai circa il 78 per cento delle famiglie è proprietario di case, ma nonostante questo nelle grandi aree urbane l'emergenza abitativa è sempre più forte;
   l'Italia è purtroppo il Paese che porta la maglia nera nella produzione di edilizia residenziale pubblica, di edilizia a fini sociali, che corrisponde a circa l'1 per cento della produzione edilizia totale;
   peraltro, la crisi economica e sociale sta aggravando in maniera insostenibile l'emergenza abitativa: oltre 430.000 famiglie in difficoltà con il pagamento dei mutui; circa 70 mila sentenze di sfratto l'anno, di cui quasi il 90 per cento sono per morosità. Una situazione di vero allarme sociale che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane. Un'emergenza che coinvolge anche migliaia di famiglie che occupano le case degli enti previdenziali;
   a seguito delle manifestazioni di protesta del 19 ottobre 2013 – a cui è seguita la manifestazione del 31 ottobre 2013 in occasione della conferenza Stato-regioni proprio sul tema – il Ministro interrogato ha incontrato i sindacati, i movimenti e i rappresentanti degli inquilini e ha annunciato un provvedimento urgente del Governo per un nuovo «piano casa», in grado di dare alcune prime risposte alle emergenze abitative e che dovrebbe prevedere stanziamenti per fondi di sostegno agli affitti;
   accanto a questi interventi necessari e a quelli che si spera vengano inseriti, a partire dall'avvio di una ricognizione del patrimonio abitativo sfitto o inutilizzato e alla messa a disposizione di tale patrimonio per i comuni, è, però, indispensabile intervenire immediatamente per dare una prima efficace risposta all'emergenza e alla disperazione di molte famiglie;
   vale, peraltro, la pena sottolineare che attualmente sono tra i 20 mila e i 30 mila gli alloggi di edilizia residenziale pubblica non assegnabili perché necessitano di essere risanati e che potrebbero essere recuperati;
   le risorse, che possono essere liberate per dare una prima significativa risposta all'emergenza abitativa, sono rinvenibili sia dai fondi Gescal ancora disponibili, la cui cifra si aggirerebbe intorno al miliardo di euro, che dai ben più consistenti fondi europei che possono essere dirottati verso le politiche abitative –:
   se non intenda, alla luce dell'allarmante emergenza abitativa e alla conseguente necessità di intervenire con provvedimenti tampone immediati ed efficaci, adottare iniziative volte a prevedere una moratoria immediata degli sfratti, a cominciare dalle categorie più disagiate, nonché il blocco degli sfratti per gli alloggi di proprietà degli enti pubblici e privatizzati, in attesa che si proceda al riordino normativo delle dismissioni degli immobili di questi ultimi e in attesa che diventino operativi i provvedimenti annunciati.
(3-00421)


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, rubricato «Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive» (cosiddetta legge obiettivo), così come modificato dall'articolo 13 della legge 1o agosto 2002, n. 166, al comma 1, dispone che «il Governo, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, individua le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi e strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese»;
   il medesimo articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 dispone che l'individuazione di dette infrastrutture sia operata a mezzo di un programma predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa coi Ministeri competenti e le regioni interessate, e poi inserito nel documento di programmazione economica e finanziaria con l'indicazione degli stanziamenti necessari per la loro realizzazione;
   nella seduta del 21 dicembre 2001 il Cipe ha approvato il primo programma delle infrastrutture strategiche e le infrastrutture interessanti il territorio della regione Campania ivi comprese e la relativa previsione di spesa;
   il sopra richiamato articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 dispone che «gli interventi previsti dal programma sono compresi in un'intesa generale quadro avente validità pluriennale tra il Governo e ogni singola regione, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere»;
   il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, alla parte II, titolo III, capo IV, detta la disciplina relativa alla progettazione, approvazione dei progetti, procedure di aggiudicazione e realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, individuate a mezzo del programma di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e, all'articolo 256, comma 1, dispone l'abrogazione del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190;
   nel primo atto integrativo all'intesa generale quadro, firmato in data 1o agosto 2008 tra Governo e regione Campania, è stata inserita l'opera infrastrutturale ferroviaria Napoli-Bari tra gli interventi strategici di preminente interesse nazionale;
   nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza contenente il 9o programma delle infrastrutture strategiche è inserito l'intervento denominato «Linea AV/AC Napoli-Bari – completamento e raddoppio Napoli-Cancello-Frasso Telesino-Apice-Orsara»;
   nel piano nazionale per il Sud, approvato con delibera Cipe n. 62 del 2011, sono confluite le principali opere localizzate nel Mezzogiorno, con caratteristiche di preminente interesse nazionale, tra cui la direttrice ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto;
   il 14 maggio del 2012 la regione Campania ha pubblicato sul Bollettino ufficiale n. 35 il testo della delibera della giunta n. 87, adottata il 6 marzo 2012, recante «Approvazione dello schema di protocollo di intesa tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero per la coesione territoriale, regione Campania e Rete ferroviaria italiana spa per il congiunto coordinamento ai fini della direttrice ferroviaria Napoli-Bari»;
   dall'attenta lettura di tale protocollo di intesa si evince che la regione Campania ha proposto, in relazione alla tratta «Apice-Orsara», di tornare alla prima soluzione, ovvero un tracciato diretto, in massima parte interrato, al fine di ridurre i tempi di percorrenza, i costi ed i tempi di realizzazione;
   tale soluzione determinerebbe l'esclusione dell'Irpinia dal tracciato dell'alta capacità e il conseguente venir meno dei presupposti per la realizzazione di una prevista piattaforma logistica nel territorio del comune di Grottaminarda;
   il 7 giugno del 2012, rispondendo ad un'interrogazione parlamentare, il Ministro per i rapporti con il Parlamento pro tempore ha confermato che la regione Campania ha ufficialmente espresso l'esigenza di rivedere, per la tratta Apice-Orsara, il progetto in istruttoria presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per ritornare alla soluzione progettuale che era originariamente stata ipotizzata da Rete ferroviaria italiana spa –:
   quali siano le intenzioni del Governo in merito alla definizione del tracciato dell'alta capacità «Apice-Orsara» o se il Ministro interrogato intenda confermare quanto già annunciato dal precedente Governo nella persona del Ministro per i rapporti con il Parlamento pro tempore. (3-00422)


   SOTTANELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della programmazione finanziaria pluriennale per il periodo 2014-2020, la Commissione europea ha annunciato la creazione di un nuovo strumento denominato «Meccanismo per collegare l'Europa» che sosterrà le infrastrutture aventi una dimensione europea e a livello del mercato unico, indirizzando il sostegno dell'Unione europea alle reti prioritarie che devono essere realizzate entro il 2020 e per le quali si giustifica maggiormente un'iniziativa a livello europeo;
   tale strumento disporrà di una dotazione di 50 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, di cui saranno assegnati al settore dei trasporti 31,7 miliardi, 10 miliardi dei quali specificamente destinati ad investimenti in infrastrutture collegati ai trasporti ammissibili nell'ambito del fondo di coesione. Assieme al «Meccanismo per collegare l'Europa», sono stabilite le priorità per il finanziamento europeo delle infrastrutture di trasporto;
   la realizzazione della linea alta velocità/alta capacità sull'intera dorsale adriatica è indubbiamente riconducibile alla strategia della macroregione adriatico-ionica, la quale rappresenta senz'altro un'opportunità per il nostro Paese di prendere parte a quel grande processo di coesione europeo già avviato con successo in Europa con l'approvazione delle strategie macroregionali del Danubio e del Baltico, quali strumenti innovativi per le politiche di coesione e cooperazione territoriale tra Stati e regioni ai fini del conseguimento di obiettivi comuni di sviluppo;
   l'Abruzzo è la regione più penalizzata tra quelle dell'area adriatica dalla mancanza dell'alta velocità, visto che dal 15 dicembre 2013 Ntv avvierà il servizio di alta velocità nella tratta Milano-Ancona, mentre la tratta più a sud, tra Bari e Foggia, risulta già inserita nei piani finanziari dell'alta velocità e dal 2016 dovrebbe essere fruibile l'alta capacità sulla tratta Foggia-Napoli-Roma-Milano;
   i cittadini abruzzesi risultano gravemente penalizzati dalla mancanza di un'adeguata infrastruttura per l'alta velocità, che impedisce, di fatto, non solo un trasporto ferroviario migliore, ma anche una concorrenza in termini di tariffe ferroviarie lungo la tratta Ancona-Lecce tra Trenitalia ed altri gestori;
   la mancanza di infrastrutture per l'alta velocità lungo la dorsale adriatica determina un notevole aumento dei tempi di percorrenza e un aggravio dei costi dei biglietti ferroviari per i cittadini abruzzesi, rispetto a coloro che viaggiano lungo le linee coperte dall'alta velocità e già servite da tutti gli operatori del settore in regime di concorrenza;
   l'intero sistema ferroviario abruzzese è caratterizzato da grave deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo, che produce una bassa qualità del servizio offerto e gravi disagi per gli utenti, non solo lungo la direttrice adriatica, ma anche nell'interno, in particolare nel collegamento strategico tra la città di Pescara e Roma, che attualmente necessita di quattro ore di viaggio;
   la velocizzazione dei tempi di percorrenza lungo la tratta ferroviaria tra Pescara e Roma permetterebbe lo sviluppo dell'aeroporto d'Abruzzo situato nell’hinterland pescarese, garantendo un ulteriore sbocco per il traffico aereo proveniente da e verso la capitale –:
   quali misure intenda adottare per garantire un'adeguata programmazione in favore di progetti indirizzati all'ammodernamento della linea ferroviaria della dorsale adriatica e su tutto il territorio abruzzese, anche in considerazione della programmazione delle risorse dell'Unione europea per il periodo 2014-2020 nel quadro delle grandi reti transeuropee, nonché in vista della prossima approvazione della strategia macroregionale adriatico-ionica.
(3-00423)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in via Toscana, a Brescia, a seguito dei futuri lavori della linea TAV, Italferr ha installato ed installa periodicamente delle centraline per il rilevamento di dati ambientali e pare che i dati concernano le emissioni acustiche e di polveri ma non è possibile dirlo con certezza poiché sembra che i dati non siano pubblici o comunque di facile accesso, nonostante siano fondamentali al fine di comprendere se e quali accorgimenti tecnici dovranno essere presi al fine di tutelare al meglio la salute dei cittadini, considerato anche che nella zona vi è una scuola materna;
   il 21 ottobre 2013 sono iniziati i primi lavori della linea TAV/AC nella zona di via Roncadelle, con relativa presa di possesso e sgombero di alcuni terreni, circostanza che lascia intendere che a breve i lavori inizieranno anche in città;
   secondo fonti di stampa sembra che ci siano state delle lacune informative, che hanno comportato per i cittadini l'apprendimento della notizia dell'esproprio dai giornali con notevole conseguente disagio e stress: le famiglie bresciane di via Roncadelle, di via Toscana e del Villaggio Violino, non avrebbero ricevuto informazioni adeguate sulle tempistiche di esecuzione e soprattutto sulle condizioni di vita durante e dopo i lavori del tratto della TAV che interessa i loro terreni;
   gli abitanti di via Roncadelle, in particolare, avrebbero saputo solamente all'ultimo momento dell'inizio del cantiere presso le loro case, tramite telefonata della ditta appaltatrice dei lavori Condotte, che intimava loro di sgomberare i beni sui terreni;
   i cittadini lamentano anche che il sito internet di riferimento di Italfer è per di più un complicatissimo insieme di pesantissime, e poco comprensibili ai più, mappe cifrate da scaricare, mentre le istituzioni locali che dovrebbero prendersi carico dei propri cittadini non sarebbero state abbastanza presenti;
   a detta di molti cittadini bresciani, la Tav passerà per Brescia principalmente per un motivo di «prestigio» arrecato alla città, dal momento che la città possiede già la BreBeMi in costruzione e la sua attuale linea ferroviaria supporta già l'alta velocità delle Frecce –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti esposti e se non considerino necessario attivarsi nei modi che gli sono propri affinché si chiarisca se i cittadini coinvolti abbiano finalmente ricevuto tutte le informazioni di cui hanno diritto su quando inizieranno i lavori, per quanto tempo dureranno e come saranno gestiti i relativi cantieri, in considerazione del grande disagio che comunque i bresciani coinvolti si trovano a vivere;
   se i Ministri interrogati non intendano sincerarsi se al comune siano stati trasmessi i dati relativi alle rivelazioni ambientali già effettuate e se non intenda renderli noti ai cittadini e, in caso contrario, se non intendano intervenire in modo che vengano periodicamente resi fruibili dai cittadini;
   se i Ministri interrogati non considerino necessario, altresì, valutare se non sia opportuno, stante anche la presenza a pochissimi metri dalla ferrovia, di una scuola materna e la totale incertezza sulle modalità di rilevazione e sulla correttezza del metodo, fare in modo che venga effettuato un primo ciclo di monitoraggio delle polveri e del rumore prima, durante e dopo i lavori di costruzione del TAV/AC;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno sospendere ogni attività dei lavori della linea TAV che interessa Brescia e, in considerazione di quanto premesso, avviare un'attenta analisi costi-benefici delle scelte progettuali relative a questa opera e un'oggettiva verifica circa la specificità dei bisogni reali dei cittadini dell'area interessata. (4-02401)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa il social network Facebook di Zuckerberg ha allentato di recente i meccanismi interni che regolano la privacy per i minori, infatti, anche gli adolescenti dai 13 ai 17 anni iscritti potranno scrivere post pubblici, visibili cioè anche agli utenti che non fanno parte della loro cerchia di amici;
   la decisione pare essere un tentativo da parte di Facebook di tenersi stretti i giovanissimi che tendono a migrare verso altre piattaforme come Twitter o Snapchat;
   sul blog del social network è spiegato che gli adolescenti sono tra gli utenti «più vivaci sul social media» e che le loro idee, il loro «impegno sociale» devono essere «ascoltati», così, se finora i ragazzi fra 13 e 17 anni potevano condividere stati d'animo e foto su Facebook solo con gli amici e con gli amici degli amici, ora potranno mostrare a tutti i loro post;
   questa scelta fatta per fini commerciali, sembra mettere a rischio i teenager proprio in un momento in cui sono cresciute le minacce provenienti dalla rete, dal cyber bullismo, allo stalking fino ai tentativi di adescamento di minore anche attraverso l'utilizzo della rete Internet da parte dei pedofili, il cosiddetto grooming on line, del quale è esempio recentissimo l'inquietante fatto di cronaca, per fortuna a lieto fine, della ragazza di soli 13 anni di Isorella (provincia di Brescia) adescata da un uomo di 26 anni proprio tramite Facebook;
   l'undicesimo rapporto del Censis sulla comunicazione «L'evoluzione digitale della specie» mette in luce che continua ad aumentare, nel nostro Paese, il numero di internauti, soprattutto fra i giovani, e crescono ancora i social network. La percentuale di chi naviga è considerevole soprattutto nel caso dei giovani: naviga il 90,4 per cento dei ragazzi di età compresa tra i 14 e i 29 anni;
   dagli USA emerge un dato importante di come sia difficile per le famiglie monitorare i minori che fanno uso dei social network: nonostante l'America sia molto più abituata del nostro Paese alle logiche del web e all'uso della rete e benché secondo la legge federale, Facebook non possa raccogliere dati personali senza il consenso dei genitori, secondo il rapporto di un anno fa «Consumer Reports State of the Net», in America esistono almeno 7,5 milioni di bambini sotto i 13 anni che usano il sito, e poco meno della metà hanno meno di 10 anni, ma solo un terzo dei loro genitori sa che i propri figli utilizzano il popolare social network;
   il report Risks and safety on the Internet (ottobre 2010), progetto di ricerca della Comunità europea volto specificamente a valutare i comportamenti dei minorenni in 25 Paesi dell'Unione europea tra cui l'Italia, ha intervistato oltre 23.000 ragazzi e altrettanti genitori e da questa indagine risulta che oltre il 12 per cento dei ragazzi europei si dichiara turbato dalla rete. A suscitare disagio nei giovani internauti sono contenuti come la pornografia, il bullismo, messaggi a sfondo sessuale e UGC (user generated content) offensivi. Difficilmente però simili esperienze sono oggetto di discussione e condivisione con i genitori. Dalla ricerca emerge infatti come la maggioranza dei genitori di bambini che hanno sperimentato situazioni pericolose in rete sia del tutto inconsapevole di quanto accaduto ai propri figli;
   il report mette in luce inoltre che:
    a) l'età media del primo accesso alla rete in Italia è 10 anni;
    b) il 12 per cento dei ragazzi europei (il 10 per cento degli italiani) è venuta a contatto con UGC (user generated content) che incitano all'odio e alla violenza; l'11 per cento (il 7,5 per cento in Italia) con UGC pro-anoressia;
    c) il 48 per cento dei ragazzi europei online (il 59 per cento dei coetanei italiani utenti di Internet) accede a Internet dalla propria camera, mentre ben il 31 per cento (solo il 9 per cento in Italia) ha accesso a Internet direttamente da telefono cellulare o smartphone;
    d) gran parte dei ragazzi di età compresa fra gli 11 e i 12 anni non hanno competenze di base come la capacità di modificare le opzioni di privacy o di bloccare contatti indesiderati;
   la direttiva europea 2011/92/UE che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI in materia di tutela dei minori dai crimini sessuali, anche alla luce della emersione di nuove forme di abuso e sfruttamento sessuale, ha introdotto nuove figure di reato non ancora previste nel diritto dell'Unione europea in materia, tra i quali il reato di adescamento, a riprova della gravità della situazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se non intenda, dunque, intervenire nei modi che gli sono propri per dare vita ad una politica volta a promuovere la sicurezza online in grado di tutelare i minori dai pericoli sempre crescenti che purtroppo il web rappresenta;
   se non intenda adottare tutte le misure necessarie per favorire l'informazione, le competenze e l'educazione dei cittadini, in particolare per quanto riguarda la sicurezza personale, nell'ambito dell'alfabetizzazione digitale fin dalla più giovane età al fine di promuovere un uso corretto e responsabile della rete affinché non si trasformi da opportunità in pericolo per i giovani utenti. (4-02389)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto la riduzione delle risorse destinate ai comuni per un importo pari a 2 miliardi e 250 milioni di euro per l'anno 2013, così che la situazione della finanza pubblica locale risulta pertanto estremamente complessa, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione dei trasferimenti erariali, sia per il fatto che le amministrazioni locali, proprio per sopperire a tali deficit, in numerosi casi ricorreranno all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU;
   la difficoltà attuale degli enti locali è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente variabile ed incerto, soprattutto con riferimento al gettito della imposta municipale propria, e questo ha portato al differimento del termine per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013;
   il predetto termine, secondo il testo unico degli enti locali, è infatti di norma fissato al 31 dicembre dell'anno precedente l'esercizio finanziario, ed è stato differito per il 2013 una prima volta al 30 giugno dell'anno ad opera dell'articolo 1, comma 381, della legge di stabilità 2013 e, successivamente, al 30 settembre del medesimo anno dall'articolo 10, comma 4-quater del decreto-legge n. 35 del 2013;
   il decreto-legge n. 102 del 2013 reca una ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute, del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2013 degli enti locali, fissandolo alla data del 30 novembre 2013, facendo così coincidere tale adempimento con l'approvazione dell'assestamento di bilancio, e l'ulteriore proroga deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull'entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative apportate in corso d'anno nella materia;
   il decreto-legge n. 54 del 2013 ha sospeso — per l'anno 2013 — il versamento della prima rata dell'IMU, in scadenza il 16 giugno, per determinate categorie immobiliari e, secondo quanto previsto dal decreto-legge stesso, tale sospensione operava nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi;
   la compensazione disposta copre solo parzialmente le risorse incassate dai comuni per il gettito IMU complessivo incassato nel 2012 che, ad aliquota standard del 4 per mille, ammontava per il comparto a circa 3,8 miliardi di euro; gli effetti del provvedimento intervengono di fatto a poco più di due mesi dalla fine dell'esercizio di bilancio 2013; mentre i comuni che hanno già approvato il bilancio di previsione hanno impegnato, quando non spese, le risorse iscritte in funzione del gettito IMU previsto ad inizio anno, i comuni che devono ancora predisporre i bilanci preventivi non hanno ad oggi conoscenza precisa delle risorse che saranno loro a disposizione come ristoro per il mancato incasso dell'imposta municipale propria; questo potrebbe comportare gravi situazioni di squilibrio economico finanziario nel caso in cui il rimborso non fosse in linea con le previsioni attese;
   il comune di Fossalta di Piave (Venezia) nel 2010 registrava un valore ICI pari a 535.000.000 euro, mentre il gettito IMU complessivo incassato nel 2012 ammontava a circa 650 mila euro, di cui 122 mila euro derivante da abitazioni principale; le aliquote fissate dall'ente erano pari a 0,4 per cento per abitazione principale e 0,82 per cento per l'aliquota di base;
   il comune ad oggi ha incassato, a compensazione della soppressione della prima rata IMU di giugno, solo 95.687 euro, e a meno di un mese dal termine per l'approvazione dell'assestamento di bilancio non è ancora noto all'ente se e quanto verrà trasferito allo stesso a compensazione della seconda rata sulla prima abitazione;
   i comuni possono modificare le aliquote di imposta, in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge e comunque entro il termine massimo del 30 novembre; ma, alla luce delle evidenti difficoltà di redigere i bilanci previsionali, peraltro resa più complessa a fronte della vigente normativa sugli immobili D il cui gettito da quest'anno sarà interamente riversato nelle casse dell'erario, è presumibile supporre che numerosi enti locali saranno costretti ad aumentare le aliquote su tutto gli altri immobili al fine di compensare il gettito oggi mancante dalle disposizioni dello Stato centrale, determinando così un aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini –:
   se non ritenga opportuno, alla luce dell'incertezza relativamente alle risorse economiche a disposizione dell'ente e della imminente scadenza del 30 novembre, comunicare all'ente urgentemente la quota di ristoro IMU per la seconda rata relativa alla prima abitazione, verificando altresì che questa sia determinata in modo non inferiore a quanto incassato nel 2012 dal comune di Fossalta di Piave per l'applicazione dell'imposta municipale sui medesimi immobili sui quali oggi opera la soppressione, così che la norma non determini, rispetto al precedente esercizio, alcuna riduzione sul bilancio dell'ente comunale. (4-02393)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da più parti (fonti di stampa, trasmissioni televisive, rotocalchi e altro) negli ultimi mesi si stanno diffondendo allarmanti notizie circa il proliferare di esercizi commerciali, cosiddetti «compro oro», dove i cittadini possono vendere oro che viene istantaneamente pagato in contanti;
   tale fenomeno si sta diffondendo con progressione geometrica anche alla luce della disperazione dovuta alla crisi che molte famiglie italiane vivono, non trovando alternativa alla «svendita» dei preziosi per riuscire a sopravvivere;
   l'allarme riguarda, in particolare, diversi peculiari aspetti della vicenda;
   in primo luogo, occorre segnalare come appaia del tutto evidente il sospetto per cui solo la criminalità organizzata, in particolar modo in un periodo di crisi come quello che il nostro Paese sta attraversando, possa disporre di un quantitativo di denaro contante tale da poter acquistare al momento qualsiasi quantitativo del prezioso metallo giallo;
   da quanto detto, emerge piuttosto chiaramente l'ulteriore sospetto che tali «compro oro» rappresentino, in realtà, una gigantesca macchina dedita al riciclaggio di danaro sporco frutto delle attività illecite poste in essere dalla criminalità organizzata;
   in secondo luogo, desta sgomento la circostanza — segnalata in particolare da un programma televisivo — per cui sempre più spesso la nascita di esercizi commerciali cosiddetti «compro oro» avvenga a poche decine di metri da esercizi commerciali dedicati al gioco d'azzardo legalizzato con slot machine e simili, all'interno dei quali sempre più soggetti sviluppano rovinose psico-patologie legate alla dipendenza dal gioco d'azzardo stesso;
   infine, sarebbe emerso, sempre da inchieste giornalistiche, che molti di questi esercizi cosiddetti «compro oro» non registrino le operazioni che effettuano, in violazione di quanto previsto dalle normative vigenti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per istituire un registro finalizzato alla mappatura degli esercizi cosiddetti «compro oro»;
   se il Governo non ritenga di dover porre in essere un piano di controllo degli esercizi commerciali cosiddetti «compro oro», al fine di monitorare la situazione sul territorio; accertare scrupolosamente da dove derivi il denaro contante con il quale viene acquistato l'oro; trovare la modalità per impedire che possano effettuarsi operazioni in nero non registrate; verificare che l'oro acquistato non venga riutilizzato per il finanziamento di attività e/o investimenti illeciti. (4-02395)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il signor Pietro Di Costa, nato e tornato residente a Tropea (Vibo Valentia), è un testimone di giustizia;
   lo stesso fu ammesso a piano provvisorio di protezione il 28 marzo 2012 e abbandonò il domicilio protetto, unitamente al nucleo familiare, il 22 marzo 2013;
   tale scelta maturò – per quanto più volte riferito dal Di Costa in numerose denunce – dalla profilata possibilità di tornare nella sua città d'origine e con ritrovata autonomia economica e sociale, per raggiungere la quale si sarebbero adoperati funzionari della Questura di Vibo Valentia;
   l'undici aprile 2013, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro comunicò alla segreteria della commissione centrale ex articolo 10 legge 15 marzo 1991, n. 82, che le dichiarazioni del Di Costa vennero utilizzate ai fini della richiesta di misura cautelare in carcere di Pantaleone Mancuso + 37, proc. N. 1878/07;
   riunita il 17 aprile 2013, la succitata Commissione deliberò la cessazione degli effetti dal piano provvisorio di protezione nei confronti del suddetto testimone di giustizia;
   il 19 aprile 2013 Di Costa scrisse al servizio centrale di protezione, chiedendo l'emolumento percepito come testimone fino a quando non avesse raggiunto autonomia economica, domandando una serie di agevolazioni per le sofferenze patite, pretendendo risarcimenti per essere stato per un periodo classificato quale collaboratore di giustizia e, inoltre, per danni originati dalla fuoriuscita dal programma di protezione, collegata a responsabilità di uffici dello Stato;
   l'otto maggio 2013, nel documento di consegna dello stralcio del verbale della riunione del 17 aprile 2013 della commissione centrale ex articolo 10 legge 82 del 1991, Di Costa dichiarò che le organizzazioni criminali non dimenticheranno le sue denunce e che riterrà responsabili lo Stato e le istituzioni di eventuali ritorsioni nei propri confronti e verso i familiari;
   il 20 maggio 2013 Di Costa confermò alla Procura di Vibo Valentia di essere l'autore di uno stampato contenente la notizia dell'acquisto di furgoni – da parte di un vecchio concorrente nel settore della vigilanza privata – promosso da un prefetto sposato con il concessionario venditore;
   la storia delle difficoltà del Di Costa iniziò con la sua attività d'impresa, in un largo contesto – secondo quanto si legge negli atti e per quanto in generale emerge dalle inchieste della Procura di Vibo Valentia – di connivenze, di corruzione e di frequente dominio di poteri fuori della legge;
   il 2 settembre 2008, la signora Elena Gheorghe sporse denuncia alla (Questura di Vibo Valentia, qualificandosi come compagna del Di Costa ed esponendo la mancata concessione di un fido da parte del direttore della filiale tropeana della banca Carime, malgrado l'avallo della sede centrale, finalizzato alle esigenze comuni dell'impresa del convivente;
   il 18 settembre 2008 in seguito a istanza del 18 giugno 2007, Di Costa ottenne dal prefetto di Vibo Valentia la licenza per il proprio istituto di vigilanza privata, denominato «Sycurpol»;
   con lettera al prefetto, al questore, al comandante provinciale dei carabinieri e al procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, il 14 ottobre 2010 Di Costa restituì la licenza del proprio istituto di vigilanza, dichiarandosi non più interessato alla gestione del medesimo poiché, scrisse, minacciato di morte e invitato con metodo mafioso a lasciare ad altri il mercato del settore;
   con propria nota, protocollo uscita del 25 marzo 2013, n. 0009366, la prefettura di Vibo Valentia informò Di Costa dell'orientamento del Ministero dell'interno rispetto alla possibilità che il testimone di giustizia fosse titolare di un – secondo, dopo la rinuncia al primo – istituto di vigilanza, preclusa, nel caso di specie, dal particolare status dell'interessato e subordinata al possesso di tutti i requisiti economico-finanziari, contributivi, assicurativi, fiscali, imprenditoriali e professionali previsti dal decreto ministeriale 1o dicembre 2010, n. 269;
   con raccomandata a/r, protocollo uscita n. 0018638 dell'undici giugno 2013, la Prefettura di Vibo Valentia comunicò al Di Costa l'impossibilità di accogliere l'istanza per il rilascio di licenza necessaria alla gestione di un istituto di vigilanza privata, non essendo il richiedente in possesso dei requisiti minimi contemplati all'allegato B del decreto ministeriale n. 269 del 2010 (tra cui licenza di scuola media superiore, l'aver ricoperto documentate funzioni direttive nell'impresa in argomento, con alle dipendenze almeno 20 guardie giurate o, in alternativa, il conseguimento di un master universitario con occasioni di formazione presso istituti di vigilanza privata);
   il 25 luglio 2013, presso la Questura di Vibo Valentia Di Costa presentò denuncia/querela su un episodio di intimidazione consumatosi il giorno precedente, consistente nell'invito, rivoltogli da uno sconosciuto, a non lavorare per l'azienda agricola di Francesco Melograna, sita in San Leo di Briatico (Vibo Valentia), per «irritazioni» procurate in giro dalle sue denunce;
   il 19 agosto 2013, alle ore 10 Di Costa sporse denuncia presso la questura di Vibo Valentia, lamentando nei pressi del campo sportivo di Tropea la presenza, il giorno precedente, di un parcheggiatore abusivo – subito riconosciuto – e la presunta assenza di controlli da parte del comune e delle forze dell'ordine, che non intervenendo sul posto avrebbero permesso, ad avviso del denunciante, la perpetuazione dell'illecito;
   sempre il 19 agosto 2013, alle ore 11 Di Costa denunciò alla questura di Vibo Valentia di essere stato chiaramente seguito da un veicolo, circa una settimana prima, durante il lavoro di autista per conto del signor Melograna, titolare della ricordata azienda;
   nella stessa denuncia, Di Costa precisò di essere stato osservato sotto la propria abitazione, la sera prima, da soggetto non identificato e con addosso una maglia nera;
   il 4 settembre 2013 Di Costa propose denuncia/querela presso la procura della Repubblica di Vibo Valentia, raccontando di essere uscito dal programma di protezione e di affrontare rischi, nell'indigenza, per causa di una non attenta gestione del suo reinserimento economico e sociale, culminante nell'imprevedibile diniego della licenza di aprire – una seconda volta – un istituto di vigilanza privata;
   il 9 settembre 2013, Di Costa integrò l'anzidetta denuncia presso la procura di Vibo Valentia, allegando documentazione comprovante le riferite doglianze e aggiungendo che addetti amministrativi della questura di Vibo Valentia «hanno sempre agevolato persone appartenenti alla criminalità organizzata che gestiscono e gestivano gli istituti di vigilanza della provincia» (di Vibo Valentia, nda);
   nella predetta integrazione di denuncia, Di Costa asserì che un suo concorrente di mercato organizzava rapine ai propri portavalori e chiamò in causa il questore di Vibo Valentia per la presunta assenza di provvedimenti di competenza in proposito;
   il suddetto testimone di giustizia presentò ancora varie denunce, riportando anche i nomi di soggetti platealmente scontrosi nei suoi confronti – come risulta nel verbale di ricezione di denuncia/querela sporta presso la questura di Vibo Valentia il 14 settembre 2014 – o di altri da cui non avrebbe ottenuto il pagamento per lavori effettuati dalla propria vigilanza privata, come figura nel verbale di denuncia alla stazione dei Carabinieri di Tropea (Vibo Valentia) redatto l'otto maggio 2013;
   il 24 settembre 2013 l'avvocato Giacinto Inzillo scrisse per Di Costa alla prefettura di Vibo Valentia, al servizio centrale di protezione, alla commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione e alla procura distrettuale antimafia di Catanzaro, citando norme sui diritti dei testimoni di giustizia e chiedendo l'applicazione di «misure di assistenza idonee a garantire l'effettivo reinserimento del testimone di giustizia Di Costa Pietro, nonché dei suoi familiari, in una normale e dignitosa realtà di vita economica e sociale, mediante l'elargizione di contributi economici diretti e/o la concessione di un mutuo agevolato», come previsto dal decreto-legge n. 8 del 2001;
   in diversi articoli, i giornali calabresi hanno raccontato la storia di profonda sofferenza del testimone di giustizia, che per alcune vicissitudini sembrerebbe perfino un ostacolo sociale, come riportato in un pezzo di cronaca apparso il 30 ottobre 2013 sull'edizione di Catanzaro del quotidiano La Gazzetta del Sud –:
   se sono a conoscenza delle riferite vicende e quali misure intendano adottare, per le rispettive competenze, al fine di garantire la sicurezza e l'effettivo reinserimento economico e sociale del testimone di giustizia Pietro Di Costa e della sua famiglia;
   se non ritengano di approfondire le doglianze del predetto testimone di giustizia, che comunicò la rinuncia al suo istituto di vigilanza per difficoltà riconducibili a pressioni di tipo mafioso, poi ritrovandosi, all'atto della nuova istanza di licenza, con una nuova, penalizzante disciplina in materia di autorizzazione, di cui al decreto ministeriale n. 269 del 2010;
   per la gravità delle denunce del Di Costa, quali accertamenti intendano disporre, nell'ambito delle proprie competenze, per verificare eventuali responsabilità negli uffici interessati. (4-02396)


   CRISTIAN IANNUZZI, LOREFICE, GRILLO, PARENTELA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, MANNINO, BECHIS, DE LORENZIS, BALDASSARRE e CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lungo la strada statale n. 85, nel territorio del comune di Macchia d'Isernia in provincia di Isernia, è stata installata un'apparecchiatura autovelox a postazione fissa, sul lato destro della strada in direzione di marcia Venafro;
   le violazioni, nell'installazione dell'autovelox, del nuovo codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992, e delle autorizzazioni dell'ANAS, sono state documentate da Feliciantoni Di Schiavi, il segretario regionale dell'associazione sindacale FIADEL del Molise, il quale ha depositato una perizia giurata in data 4 ottobre 2013 presso la cancelleria del tribunale di Isernia, al n. cron. 1579/2013, oltre alle due certificazioni dell'ANAS di Campobasso ed al verbale di sopralluogo redatto dal provveditorato alle opere pubbliche della Campania e del Molise con sede a Napoli. Da tale documentazione emerge che:
    a) il box autovelox è collocato sul lato destro della super strada 85 in direzione di marcia Venafro anziché sul lato sinistro come prescritto dall'ANAS di Campobasso con l'autorizzazione prot. CCB-0020719-P del 9 novembre 2012 agli atti della prefettura di Isernia;
    b) il box autovelox dista dal segnale verticale «limite di velocità 70 Km/h» metri 997 anziché metri 1000 come prescritto dall'articolo 25, comma 2, della legge n. 120 del 2010;
    c) il segnale «limite di velocità 70 Km/h» ha subito diversi spostamenti e tutti a distanza inferiore di metri 1000 dall'autovelox, tale circostanza viene ampiamente confermata anche dall'ANAS di Campobasso con le note prot. CCB-0009147-P del 21 giugno 2013 e prot. CCB-0009557-P del 1o luglio 2013 dalle quali emerge, comunque, che la distanza dall'autovelox è inferiore ad 1 chilometro;
    d) il box autovelox non è stato posizionato al chilometro 36+777 della super strada 85 come prescritto dall'autorizzazione ANAS prot. CCB-0020719-P del 9 novembre 2012, perché, se la misurazione viene effettuata dal cippo ettometrico 36+800 risulta posizionato al chilometro 36+767, mentre se la misurazione viene effettuata dal cippo ettometrico 36+700 risulta sì posizionato al chilometro 36+777,65 ma, il predetto cippo ettometrico 36+700, come più volte evidenziato, parrebbe essere stato manomesso e/o spostato in quanto la sua distanza dal cippo successivo 36+800 non è di metri 100 come dovrebbe, bensì di metri 110,65;
    e) il box autovelox dista dal segnale verticale di indicazione di «150 metri» metri 146,50 e non metri 150, e dista dal segnale verticale di indicazione di «400 metri» metri 395,50 e non metri 400;
   in data 5 ottobre 2013, le associazioni consumatori, l'associazione Caponnetto, Pcl Molise e molti cittadini hanno indetto un sit-in di protesta sotto la prefettura della provincia di Isernia al fine di sollecitare il prefetto ad assumere la decisione di spegnimento dell'impianto autovelox;
   in data 16 ottobre 2013 l'associazione Caponnetto, a firma del responsabile per il Molise Romano De Luca, ha depositato una diffida per sollecitare la rimozione dell'autovelox al prefetto di Isernia ed al dirigente incaricato Antonio Incollingo. La medesima diffida è stata presentata dall'associazione sindacale FIADEL a firma da Feliciantonio Di Schiavi, dal comitato Pro Trignina a firma di Antonio Turdò e dal PCL Molise a firma di Tiziano Di Clemente;
   presso gli uffici della prefettura di Isernia, le associazioni dei consumatori e i cittadini hanno depositato e continuano a depositare centinaia di ricorsi senza che finora sia stato discusso alcun verbale né che si siano attivate procedure di risoluzione della criticità del suddetto autovelox –:
   se il Ministro intenda avviare un'ispezione presso la prefettura di Isernia per acclarare i fatti presentati ed intervenire per risolvere le sopraesposte criticità.
(4-02400)


   COSTANTINO, PILOZZI e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la denuncia Don Mussie Zerai, il sacerdote eritreo presidente e fondatore dell'Agenzia umanitaria Habesshia per la cooperazione allo sviluppo che, dalle pagine del Secolo XIX e da quelle del sito della sua associazione, ha richiamato l'attenzione sul fatto che circa dieci giorni dopo la morte dei 365 migranti nella tragedia di Lampedusa, non appena l'attenzione mediatica iniziava a calare, Zemede Tekle, il diplomatico che a Roma rappresenta il Governo eritreo, ovvero il regime dittatoriale di Isaias Afewerki, si sarebbe recato a Lampedusa per portare, in via ufficiale, il sostegno e la solidarietà ai sopravvissuti, ma in realtà con ben altri intenti;
   al suo seguito si sarebbe presentata Aster Tesfamariam, quale responsabile della comunità eritrea in Europa, nota invece per essere una collaboratrice dell'ambasciatore, nonché Tedros Goytom, responsabile giovanile del partito al potere;
   come anche riportato dal giornalista Corrado Giustiniani nelle pagine del suo blog su l'Espresso, sembrerebbe che l'ambasciatore e i suoi accompagnatori/collaboratori, dietro l'apparente testimonianza di solidarietà, abbiano invece cercato di raccogliere e schedare i nomi dei sopravvissuti e avrebbero cercato di sapere dagli stessi i nomi dei defunti per comunicarli al regime di Isaias Afewerki;
   in Eritrea, come noto, vige un regime politico che limita ogni libertà, totalitario, sanguinario, che avrebbe fatto guadagnare al Paese il non raccomandabile titolo di «Nord Corea africana»;
   i sopravvissuti alla drammatica vicenda di Lampedusa, esasperati dal regime sanguinario di Afewerki, tanto da aver affrontato un viaggio verso l'ignoto proprio per sfuggire allo stesso, e ancora traumatizzati per la tragedia di inizio ottobre nella quale hanno perso fratelli, sorelle, figlie e genitori, hanno comprensibilmente rifiutato qualsiasi incontro con il diplomatico;
   mentre l'ambasciatore di Asmara, Tekle, girava indisturbato con il suo gruppo per Lampedusa a schedare i sopravvissuti, la ministra Kyenge avrebbe ricevuto, forse per un errore, in buona fede, i rappresentanti della comunità eritrea capeggiati dal signor Deres Araya, residente da molti anni in Italia, che proprio Don Mussie Zerai descrive quale «il vero sostenitore e finanziatore del regime eritreo che è il più sanguinario e totalitario dell'Africa dei nostri tempi» –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interpellati sui fatti riferiti in premessa;
   se intendano adottare iniziative e, in caso affermativo, di quale genere e in quali tempi, per verificare se l'ambasciatore Tekle e il suo seguito abbiano schedato i fuggitivi eritrei che, in quanto richiedenti asilo politico in Europa, non possono che essere visti dal regime di Aferweki come ribelli, con tutte le intuibili conseguenze circa l'incolumità dei familiari rimasti nel territorio eritreo.
(4-02403)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FARAONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228), sono entrate in vigore le norme di cui all'articolo 1, commi da 102 a 107 che, nello specifico, riguardano i conservatori e le accademie e in particolare l'equipollenza dei diplomi accademici di I e II livello alle lauree triennali e magistrali;
   in particolare con il comma 107, si stabilisce che: «I diplomi finali rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102, al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, conseguiti prima dell'entrata in vigore della presente legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge»;
   in sostanza: tutti i diplomi di vecchio ordinamento sono stati resi equipollenti a diploma accademico di secondo livello, ovvero a laurea magistrale, purché conseguito prima dell'entrata in vigore della legge, cioè entro il 23 dicembre 2012;
   tale limite è palesemente discriminatorio e non oggettivo perché, non facendo salvo il corso di studi ma solo il limite temporale del conseguimento, ha operato un'evidente disparità di trattamento tra soggetti che, entrambi iscritti allo stesso vecchio ordinamento di studi, per altro tutt'ora valido, gli uni, grazie alla durata del loro corso (per esempio 7 anni, o anche meno) che però si sono diplomati entro la data prevista dalla legge, hanno visto equiparato il diploma conseguito alla laurea magistrale; gli altri, iscritti ad un corso di durata decennale (vedi, per esempio pianoforte) che si siano però diplomati o si diplomeranno in data successiva alla data di entrata in vigore della legge, si vedono equiparato il diploma conseguito alla laurea triennale e non alla magistrale. Stessa identica situazione giuridica di partenza, stesso piano di studi, stesso diploma ma diversità di trattamento. Il che non è giustificabile;
   il legislatore avrebbe dovuto considerare e salvaguardare il valore giuridico del corso di studi del vecchio ordinamento che, fra l'altro, come detto, non è affatto chiuso, ma è tutt'ora in funzione fino a completo esaurimento degli iscritti immatricolatisi fino al 2010;
   è di tutta evidenza, quindi, che nessuna riforma, in nessun ordine di studi e in nessun Paese al mondo ha mai privato del suo valore il titolo prima vigente (vedasi quanto accaduto per le lauree quadriennali rispetto a quelle quinquennali; per il diploma magistrale prima quadriennale, poi con un anno integrativo facoltativo e infine quinquennale), a differenza di quanto è stato fatto con l'articolo 1, comma 107 della legge n. 228 del 2012;
   pur riconoscendo il valore formativo in campo strumentale del diploma vecchio ordinamento, dato che spesso i programmi strumentali sono più ampi e più solidi di certi trienni e bienni, tuttavia il diploma di vecchio ordinamento rilasciato dai Conservatori di musica di Stato, dopo l'entrata in vigore della legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è riconosciuto giuridicamente allo stesso modo e anzi è equiparato a percorsi formativi differenti, con l'evidente disparità che un percorso di studi spesso decennale è considerato pari a una laurea solo triennale a differenza di chi, invece, quel percorso di studi l'ha avuto riconosciuto valido alla laurea magistrale;
   l'evidente disparità introdotta dal comma 107 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 va risolta per ripristinare l'imparzialità e l'uguaglianza che devono sempre preesistere ed essere rispettate proprio nel rispetto degli stessi articoli 3 e 97 della Costituzione e dato che la stessa formulazione dei commi da 102 a 107 rende equipollenti i diplomi vecchio ordinamento, proprio «al fine esclusivo dell'ammissione a pubblici concorsi per le qualifiche funzionali nel pubblico impiego»;
   i motivi per sanare la situazione venutasi a determinare sono semplici, facilmente argomentabili e inoppugnabili;
   primo motivo: il vecchio ordinamento è un corso ancora attivo anche se ad esaurimento, e quindi giuridicamente il titolo che si consegue al termine del percorso formativo, deve essere riconosciuto pari a tutti i diplomati come titolo conclusivo: durata e contenuti sono identici, prima o dopo il 2012, dal lontano 1930, per cui giuridicamente una tale distinzione non appare giustificabile;
   proprio da tali studi, altamente formativi, solo per limitarci ai più noti, sono usciti artisti di indiscusso valore mondiale come i maestri Muti, Accardo, Pollini e il neo senatore a vita Claudio Abbado;
   secondo motivo: il diploma vecchio ordinamento era ed è il massimo titolo ottenibile col vecchio percorso di studi, percorso che non è mai stato chiuso e non è mai stato sostituito dal nuovo, che ha gli stessi contenuti e l'identica durata sia prima, sia dopo l'approvazione dalla legge di stabilità, legge 24 dicembre 2012, n. 228. In più è ad esaurimento, per cui può terminare quel percorso solo chi è già iscritto;
   terzo motivo: a favore dell'equipollenza fra diploma di vecchio ordinamento e laurea di 2 livello (biennio) depone, inoltre, il fatto che il nuovo sistema ha semplicemente affiancato il vecchio, non l'ha soppresso; è stato interamente sperimentale fino al 2010, anno in cui è stato messo a ordinamento solo il triennio, tanto che il biennio è tuttora sperimentale. Quindi, con la riforma operata non si è sottovalutato il vecchio ordinamento ma, sia il vecchio che il nuovo hanno convissuto e convivono autonomamente fino al completo esaurimento degli iscritti;
   in buona sostanza, è il valore reale, intrinseco del titolo che deve essere riconosciuto non la data entro la quale si consegue;
   la data del conseguimento non dovrebbe avere alcun peso specifico, non si parla mica della data di scadenza di un prodotto alimentare. Gli studi o sono validi e hanno una loro intrinseca valenza giuridica e formativa o non sono validi e allora andrebbero soppressi o integrati –:
   se intenda assumere, o abbia già assunto, una specifica iniziativa al riguardo per ovviare a questa abnorme disparità di trattamento introdotta dalla legge n. 228 del 2012. (4-02391)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che presso la scuola secondaria di primo grado Besta, inserita nell'istituto comprensivo 10, zona San Donato di Bologna, sarebbe stata istituita una «classe liquida sperimentale»;
   la caratteristica di tale classe sarebbe quella di ospitare 22 alunni, fra i 10 e i 15 anni, accomunati dall'essere tutti di origine straniera;
   la sua istituzione sarebbe stata pensata nel mese di agosto, dopo l'iscrizione di ragazzi giunti in Italia attraverso ricongiungimenti familiari, seguita al loro respingimento da parte di altre scuole della città;
   a quanto consta all'interrogante sarebbe stato informato l'ufficio scolastico provinciale, da cui sarebbe stato ottenuto il via libera, anche a causa dell'incertezza sulla disponibilità di fondi ministeriali dedicati all'integrazione;
   il collegio dei docenti avrebbe votato a maggioranza per l'istituzione della classe sperimentale, senza tuttavia che fosse informato fino al 29 ottobre 2013 il consiglio d'istituto;
   l'istituzione di una classe separata, cui afferire ragazzi provenienti da diversi Paesi e residenti in diverse aree della città, pare in contrasto con qualsiasi principio positivo di integrazione, oltre che con le regole che normalmente reggono l'istituzione scolastica;
   non si può assistere inerti a ferite portate, per iniziativa autonoma di un dirigente, al carattere necessariamente inclusivo della scuola pubblica, alla sua missione primaria di formazione della cittadinanza democratica, al principio di educazione al pluralismo, all'accoglienza, all'integrazione che dovrebbe orientarla;
   questo episodio mette in discussione anche la capacità della scuola pubblica di continuare a essere laboratorio di inclusione, in assenza delle risorse economiche necessarie –:
   se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso le sue articolazioni territoriali, sia a conoscenza del progetto di «classe liquida sperimentale»;
   cosa intenda fare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nell'ambito delle sue competenze amministrative, organizzative e di controllo, per cancellare immediatamente quello che appare essere un pericoloso precedente, oltre che secondo l'interrogante una violazione di norme e regolamenti;
   se sia a conoscenza di casi analoghi presso altre istituzioni scolastiche;
   come si intenda eventualmente sanzionare, a seguito dell'accertamento di eventuali responsabilità, la violazione delle procedure di formazione delle classi. (4-02402)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   BENEDETTI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza n. 4755 del 2013 del Consiglio di Stato - relativa ad un ricorso presentato dalla Federazione Coldiretti della regione Veneto concernente l'autorizzazione alla costruzione di un impianto fotovoltaico su un'area di circa 120 ettari, insistente su zona territoriale omogenea agricola E2 nel comune di Canaro (Rovigo) – stabilisce che gli impianti fotovoltaici in area agricola possono essere realizzati anche se le norme urbanistiche regionali non lo prevedono;
   in particolare, la sentenza statuisce che sulla normativa locale prevale il principio comunitario dello sviluppo delle energie rinnovabili di cui alla direttiva 2001/77/CE, recepita nell'ordinamento italiano con decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che esplicitamente ammette la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili anche nelle zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici e, quindi, in deroga agli stessi;
   la motivazione dei ricorrenti verteva proprio su una delibera con cui la regione Veneto autorizzava la realizzazione dell'impianto fotovoltaico suddetto, consentendo a coloro, che non sono riconosciuti come imprenditori agricoli, l'edificazione su terreni a destinazione agricola;
   si è evidenziato che l'edificazione dell'impianto interferirebbe con lo sviluppo agricolo dell'area, contravvenendo, in qualche modo, allo stesso articolo 12, comma 7, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che espressamente dispone «che nell'ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale (...)»;
   la sentenza del Consiglio di Stato chiarisce come sia rimessa all'autorità regionale ed agli enti competenti, nell'ambito della conferenza di servizi, ogni valutazione di opportunità di inserimento di un impianto in area agricola; le procedure autorizzative dovrebbero, quindi, essere analizzate nel dettaglio specie per le ricadute dell'impianto non soltanto sul piano paesaggistico, ma anche sul contesto socio-economico e sullo sviluppo rurale;
   il settore primario è l'unico nel nostro Paese che, ancorché in piena crisi economica, registra segnali positivi sia in termini di occupazione che di export di prodotti agroalimentari; nonostante ciò nessun provvedimento a livello centrale è stato sinora attuato al fine di promuovere e valorizzare il settore, ma anzi, attraverso una normativa quale quella ricordata in premessa, a parere degli interroganti, si tende a penalizzare l'agricoltura a favore di impianti per la produzione di energia che potrebbero senza dubbio essere collocati in altri contesti;
   una tale tipologia di intervento, a parere degli interroganti, contribuirebbe certamente al fenomeno del «consumo di suolo» in agricoltura, posto che è noto che negli ultimi 20 anni la cementificazione e l'abbandono hanno sottratto all'agricoltura nazionale circa 5 milioni di ettari (passando da 18 a 13) pari al 28 per cento delle aree coltivate – e cioè la riduzione di superficie agricola per effetto di interventi di impermeabilizzazione, urbanizzazione ed edificazione non connessi all'attività agricola –:
   di quali ulteriori elementi disponga in relazione ai fatti espressi in premessa e se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell'autonomia regionale e delle amministrazioni locali, intervenire per tutelare il patrimonio agricolo o a destinazione agricola dal consumo di suolo, in particolare da quello causato dalla realizzazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, garantendo che la loro installazione, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa comunitaria, non pregiudichi la produzione agricola locale e nazionale, e se non ritenga, altresì, opportuno valutare la possibilità di rivedere la normativa prevista dall'articolo 12, comma 7, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che appare lesiva del patrimonio agricolo italiano. (3-00416)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, in attuazione del piano europeo di azione per il settore dell'olio di oliva, la Commissione europea nel mese di marzo 2013 ha adottato il regolamento n. 299, introducendo, per coloro che detengano a fini professionali o commerciali partite d'olio d'oliva, l'obbligo di iscrivere in un apposito registro le entrate e le uscite per ogni singola categoria di oli detenuta;
   dinanzi a tale evoluzione del quadro normativo sovranazionale il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, a quanto risulta all'interrogante, sta provvedendo ad elaborare, previo coinvolgimento della conferenza Stato-regioni, un decreto ministeriale di esecuzione della citata normativa europea. Ed a tal riguardo parrebbe che, secondo la futura disciplina attuativa, saranno soggetti all'obbligo di tenuta di tale registro non solo i frantoiani ed i commercianti d'olio, ma anche gli olivicoltori;
   a ciò si aggiunga che la disciplina nazionale sin dal 1999 (decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1999) prevede per tutti i produttori di oli vergini la tenuta e l'aggiornamento di un fascicolo aziendale, dispensando da tale obbligo solo coloro che producono un quantitativo irrisorio di olio (200 chili);
   la confusione che scaturisce da tale sovrapposizione di registri e fascicoli non incoraggia, ma dissuade i piccoli olivicoltori dal curare i propri oliveti ed i vincoli burocratici troppo stretti certamente comporteranno una produzione e commercializzazione sregolata degli oli italiani;
   è evidente che adeguati controlli fiscali e qualitativi siano necessari e, con riferimento al ruolo di monitoraggio finora svolto dai frantoi oleari, anche suscettibili di espansione, ma per fare ciò la stessa disciplina europea non sembra tutelare adeguatamente gli olivicoltori –:
   se non ritenga di dover chiarire i criteri in base ai quali si darà attuazione alla presente disciplina europea, al fine di rendere meno onerose per i piccoli olivicoltori la coltivazione e la raccolta delle olive, costituendo tale pratica un concreto strumento di presidio e salvaguardia nel territorio italiano. (3-00417)

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'Organizzazione europea dei brevetti (in lingua inglese, European Patent Organisation, EPO o EPOrg, per distinguerla dall'Ufficio europeo dei brevetti, il principale organo dell'organizzazione) è un'organizzazione pubblica internazionale creata dalla Convenzione europea dei brevetti. L'Organizzazione europea dei brevetti ha sede a Monaco di Baviera, in Germania. Compito dell'Organizzazione europea dei brevetti è quello di rilasciare brevetti europei. Nonostante quello che il nome sembra suggerire, questi non sono brevetti della Comunità economica europea né brevetti validi in tutta Europa. La Convenzione europea dei brevetti, sulla quale si basa l'Organizzazione europea dei brevetti, offre una singola procedura che termina, tuttavia, non nel rilascio di un singolo brevetto, bensì in un «pacchetto» di brevetti nazionali. L'Organizzazione europea dei brevetti è formata da due organi: l'Ufficio europeo dei brevetti, che opera come organo esecutivo, e il Consiglio d'amministrazione, che funge da supervisore e, in minima parte, da organo legislativo. Il vero potere legislativo e il diritto di revisionare la Convenzione europea dei brevetti sono esercitati dagli stessi Stati contraenti in occasione della riunione della Conferenza dei ministri, che si riunisce almeno ogni cinque anni per esaminare le questioni inerenti all'organizzazione e al sistema di brevetto europeo. Inoltre, alle Commissioni di ricorso, che non costituiscono organi indipendenti dell'Organizzazione ma fanno parte dell'Ufficio europeo dei brevetti, è affidato il potere giudiziario. L'Organizzazione europea dei brevetti, pertanto, è un'organizzazione internazionale modellata sulla forma degli Stati moderni, basata sulla separazione dei poteri;
   come riportato dai maggiori organi di stampa il 16 ottobre 2013, Associazioni contadine e della società civile hanno protestato contro i brevetti su piante e animali in parallelo all'incontro del consiglio d'amministrazione dell'Ufficio europeo dei brevetti (Epo), la più alta istituzione di controllo in materia di proprietà intellettuale. L'allarme che lanciano gli attivisti è che l'Epo sia una «zona franca» per la democrazia. Nel corso di quest'anno infatti, l'Epo ha ignorato le richieste di istituzioni elettive, come il Parlamento Europeo, concedendo brevetti sulla riproduzione di piante e animali prodotti mediante riproduzione convenzionale. Sono stati accordati, per esempio, brevetti all'azienda Syngenta su piante di pepe (EP 1597965) e alla Monsanto su piante di broccoli (EP 1597965). Alla fine di agosto, sempre alla Monsanto, è stato accordato un brevetto sui pomodori sia geneticamente modificati che non modificati (EP 1812575). Solo ultimamente, a seguito di forti proteste, il presidente di Epo ha deciso di sospendere ulteriori concessioni, ma la decisione è solo temporanea, in attesa di nuove decisioni per ora in sospeso su ulteriori brevetti su broccoli e pomodori;
   il consiglio d'amministrazione riunisce i rappresentanti dei trentotto Paesi membri dell'Epo (i ventotto europei più San Marino, Albania, Norvegia, Svizzera, Liechtenstein, Monaco, Islanda, Serbia, Macedonia, Turchia). Il Consiglio sarebbe in grado di cambiare le regole d'attuazione dell'Epo in qualsiasi momento, mettendo uno stop definitivo ai brevetti su piante e animali. Per questo motivo, la coalizione internazionale No Patents on Seeds! ha contattato i membri del Consiglio con una lettera via email, senza per il momento ottenere alcuna risposta. «È un grande successo per il nostro movimento che siano state per ora sospese le concessioni di ulteriori brevetti su piante e animali riprodotti convenzionalmente. Ma dobbiamo arrivare a un divieto permanente ed esaustivo,» ha dichiarato Christoph Then della coalizione No Patents on Seeds! «Oggi è la Giornata Mondiale dell'Alimentazione e sarebbe un giorno ideale per un cambiamento legalmente vincolante della politica dell'Epo»;
   pochi giorni prima dell'incontro, alcuni membri del Parlamento europeo, appartenenti al Partito Popolare Europeo (PPE), al gruppo dell'Alleanza Social-democratica (S&D) e ai Verdi hanno inviato una lettera al consiglio d'amministrazione esortando il Consiglio a dar seguito alla risoluzione del Parlamento europeo datata maggio 2012 in cui si «richiama l'Epo ad escludere dai brevetti i prodotti derivati dalla riproduzione convenzionale o da qualsiasi metodo convenzionale di riproduzione, inclusa la riproduzione SMART (riproduzione di precisione) e sul materiale riproduttivo utilizzato per la riproduzione convenzionale». Nel 1999 l'Ufficio europeo brevetti ha adottato una direttiva europea (98/44 EC) ma applicando una propria interpretazione, diversa da quella intesa dal Parlamento europeo. L'adozione di una risoluzione per la corretta applicazione di questa direttiva è una delle richieste più pressanti delle organizzazioni che protestano oggi. Dal mese di aprile 2013, 2 milioni di persone hanno firmato una petizione in questo senso. Inoltre, l'opposizione al brevetto della Monsanto sui «broccoli tronchi» ha raggiunto 30.000 firme. Anche il Parlamento tedesco si è espresso contro la brevettabilità di piante e animali derivanti da riproduzione convenzionale nel luglio 2013. Le organizzazioni che si riconoscono nella coalizione No Patents on Seeds! sono estremamente preoccupate che i brevetti favoriscano un'ulteriore concentrazione del mercato, rendendo i coltivatori e altri lavoratori della catena alimentare sempre più dipendenti da poche grandi aziende internazionali con il risultato, tra altri, di poter offrire una sempre minore scelta ai consumatori;
   «sottoporre anche i semi alla logica industriale è un pericolo per l'umanità». Lo afferma la fisica e ambientalista indiana Vandana Shiva, che a partire dalla storica conferenza mondiale sul clima svoltasi a Nairobi nel 2007 si è spesa per sostenere il «manifesto per il futuro delle sementi». Primo caposaldo, la biodiversità: è la nostra più grande sicurezza, sostiene il Manifesto. «Le sementi sono una risorsa di proprietà comune, da condividere per il benessere di tutti». «La diversificazione è stata la strategia di innovazione agricola più diffusa e di successo negli ultimi 10.000 anni». Vantaggi evidenti: «Aumenta la scelta tra diverse opzioni e le probabilità di adattarsi con successo ai cambiamenti ambientali ed ai bisogni umani». Perciò, in contrasto con l'attuale tendenza verso la monocultura e l'erosione genetica, proprio la diversità «deve tornare ad essere la strategia di punta per lo sviluppo futuro delle sementi»;
   si tratta di preservare la diversità di semi, di sistemi agricoli, di culture e di innovazioni, ricorda Marco Pagani su Ecoalfabeta analizzando il «manifesto» di Vandana Shiva. Diversità e, naturalmente, libertà dei semi: «Le sementi sono un dono della natura e delle diverse culture, non un'invenzione industriale. Trasferire questa antica eredità di generazione in generazione è un dovere ed una responsabilità. Le sementi sono una risorsa di proprietà comune, da condividere per il benessere di tutti e da conservare per il benessere delle generazioni future e per questo non possono essere privatizzate o brevettate», checché ne pensino il Wto e l'Unione europea. In gioco, sottolinea Pagani, è quindi «la libertà dei contadini di conservare le sementi, di scambiarle e commerciale, di sviluppare nuove varietà e di difendersi dalla privatizzazione, dalla biopirateria e dalle contaminazioni genetiche degli Ogm». Servono semi per il futuro, liberi da vincoli, per dare cibo alle comunità locali. Agricoltura pulita, riduzione dei gas serra: «Le sementi non devono richiedere input energetici esterni (attraverso i fertilizzanti, i pesticidi e il combustibile) oltre lo stretto necessario». E niente veleni: «Eliminazione di agenti chimici tossici nello sviluppo delle sementi». Il che significa salute, oltre che qualità del cibo, cioè sapore e valore nutrizionale. Vandana Shiva riconosce il protagonismo femminile nell'agricoltura libera: «Le donne rappresentano la maggioranza della forza lavoro agricola e sono le tradizionali custodi della sicurezza, diversità e qualità dei semi: il loro ruolo centrale nella protezione della biodiversità deve essere sostenuto». Insomma, le sementi non sono una faccenda tecnica per esperti agronomi, ma devono interessare tutti, perché ne va del futuro della nostra sovranità alimentare. «Democratizzare l'uso delle sementi – conclude Pagani – è uno dei pilastri per la difesa futura della democrazia sulla terra». Contro le lobby che dettano legge, imponendo sempre nuove dipendenze, fino a far «privatizzare», con tanto di brevetto, anche i semi di pomodoro»;
   in occasione della giornata mondiale del cibo Vandana Shiva ha dichiarato che – «La FAO ci dice che più del 70 per cento del cibo proviene da piccole aziende agricole e da piccoli agricoltori. Solo il 10 per cento della soia e del mais prodotti dalla Monsanto, è consumato direttamente da noi, e solo perché questo 10 per cento non è etichettato come tale. Se ci fosse l'etichettatura corretta e vera libertà nella scelta del cibo, quella cifra scenderebbe a 0 per cento. L'altro 90 per cento di questi prodotti viene impiegato per carburanti e come mangime per animali. Al contrario di quanto proclamato dalla Monsanto, l'uso degli OGM ha portato una diminuzione dei raccolti e un aumento dell'uso dei pesticidi, fattori portano al deperimento dei suoli, alla perdita di biodiversità e all'indebitamento degli agricoltori, ai suicidi. In India, dove la Monsanto ha il controllo sul 95 per cento delle sementi del cotone, la maggior parte dei 284.000 suicidi di agricoltori ha avuto luogo nella zona di produzione del cotone. In un mondo giusto, la Monsanto sarebbe imputata di ecocidio e di genocidio. Malgrado ciò, per la Giornata Mondiale del Cibo, coll'appoggio dei poteri maggiormente responsabili dello stato della fame nel mondo, la Monsanto si auto-assegna il Premio Mondiale per il Cibo!» dal sito di Navdanya International –:
   se sono a conoscenza dei fatti narrati quali iniziative intendano intraprendere in sede comunitaria al fine di tutelare la salute dei cittadini, la biodiversità nella nostra agricoltura e la corretta applicazione della Direttiva Europea 98/44 EC;
   se non reputino necessario che l'Italia si faccia portavoce in sede Europea della necessità di sensibilizzare i cittadini e i Governi sull'importanza delle sementi e della loro salvaguardia e se a tal proposito non intendano fare proprie le rivendicazioni che vengono dal movimento No Patents on Seeds;
   se non reputino opportuno finanziare e promuovere, in Italia, le banche dei semi (in particolare quella di Bari), i centri di documentazione sui semi e rendere fruibile il materiale genetico attraverso la promozione di reti di scambio semi e la possibilità di agevolare la commercializzazione dei semi fra gli agricoltori. (3-00415)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 ottobre 2013 il sito «Imprese del Sud» pubblica un articolo dal titolo – «Sergio Passariello Imprese del Sud – Vini e mosti infetti dalla Spagna» nel quale si descrive come – «Ci giunge notizia, da alcuni nostri sostenitori e simpatizzanti pugliesi, che dalla Spagna, si stiano esportando, verso i nostri mercati ed in particolare verso i concentratori e trasformatori italiani, mosti e vini infetti – è quanto dichiara Sergio Passariello presidente di Imprese del Sud, associazione meridionale nata a difesa e tutela della sana imprenditoria meridionale. Se la notizia fosse vera, – continua Passariello – i prodotti vitivinicoli made in Italy, sono in serio pericolo, con gravi danni per la nostra agricoltura che si rifletterebbero sulla nostra già fragile filiera produttiva» continua il presidente di Imprese del Sud – «Le cantine e i produttori del Sud Italia – afferma Passariello – sono già con l'acqua alla gola, considerando che rispetto allo scorso autunno il costo medio è sceso da 35 a 12 centesimi al chilo e la congiuntura economica, associata al peso fiscale e burocratico a cui è sottoposta l'agricoltura italiana, ha definitivamente schiacciato la sana imprenditoria del Sud. Inoltre c’è da combattere la concorrenza che arriva dai Paesi del Nord Africa, dalla Spagna e dalla Turchia. È noto ormai – chiarisce Passariello – che sempre più spesso arrivano nei nostri porti navi cariche di mosto già preparato, che viene comperato ad un prezzo chiaramente inferiore rispetto a quello che dovrebbe essere riconosciuto ai nostri produttori. Tra i sostenitori che hanno denunciato ad Imprese del Sud gli accadimenti evidenziati, c’è il dottor Giovanni Corleone, responsabile di una giovane azienda foggiana, da poco attiva nel settore vitivinicolo, che evidenzia con passione tutto il proprio rammarico, rispetto ad un eventuale pratica commerciale illegale che non solo danneggerebbe la sua azienda ma i tanti agricoltori che hanno risposto fiducia in lui»;
   rispetto alle preoccupazioni e alle dichiarazioni di Passariello, in data 8 novembre 2013 l'agenzia stampa Agi riportava la seguente notizia – Alimentare: Nac sequestrano vino e cibi cinesi falsi «made in Italy» (AGI) – Roma, 8 nov. – Non erano prodotti «made in Italy» ma prodotti cinesi spacciati come italiani. Sequestrate anche 4.5 tonnellate di concentrato di pomodoro in provincia di Napoli proveniente dalla Cina che, sottoposto ad alcuni procedimenti di lavorazione in Italia, è stato commercializzato come «made in Italy». Contestate inoltre, oltre 700 mila euro di sanzioni sulla tracciabilità e indebita evocazione di marchi qualità. Sono stati sequestrati beni per oltre 350 mila euro dovuti a finanziamenti comunitari illecitamente percepiti nell'ortofrutta. I carabinieri del Nac, il Nucleo Antifrode, nell'ambito dei controlli sulla campagna di vinificazione 2012 e sulla tracciabilità del made in Italy, ha proceduto al sequestro di oltre 3.100 tonnellate di prodotto vinoso tra mosto e vino dichiarato come DOC/DOCG, in realtà mai registrato sui documenti contabili di cantina e quindi destinato alla cosiddetta commercializzazione «in nero»;
   stando al rapporto SVIMEZ «Associazione per lo sviluppo dell'industria del Mezzogiorno», presentato a Roma, il 17 ottobre 2013, il Mezzogiorno è un'area a rischio desertificazione, dove i consumi non crescono da cinque anni. In base a valutazioni SVIMEZ nel 2012 il Pil è calato nel Mezzogiorno del 3,2 per cento. Nel 2014 secondo stime SVIMEZ il Pil nazionale è previsto a +0,7 per cento, invertendo la tendenza recessiva dell'anno precedente. In questo contesto il Pil del Centro-Nord dovrebbe trainare l'inversione di tendenza con +0,9 per cento, mentre quello del Mezzogiorno resterebbe inchiodato allo 0,1 per cento. Al Sud anche il settore agricolo registra cali e l'occupazione registra una decrescita del -1 per cento rispetto all'anno precedente. La Puglia è senza dubbio una delle regioni dove il calo produttivo è stato più significativo, guidato dagli espianti di vite. I dati della produzione 2012 mettono in luce non soltanto il forte calo delle superfici, che sembrano correttamente rilevate a 85 mila ettari, rispetto a 98 mila del 2010 e 107 mila del 2000, ma anche una ripresa della produzione di mosto, presumibilmente a causa della difficoltà comunque di piazzare la sempre significativa quantità di vino da tavola prodotto. Si evidenzia inoltre come proprio il vino sia il più grande settore del comparto agroindustriale italiano, con un'imprenditorialità diffusa (160 mila aziende e un milione di etichette);
   da più analisi condotte emerge un quadro nel quale si evidenzia come gli affari delle mafie incidano sempre più pesantemente ai danni dell'agricoltura secondo i dati forniti dall'osservatorio Flai Cgil Agromafie, nel dicembre 2012 sul «Primo rapporto su caporalato ed agromafie» emerge che – «un cartello criminale condiviso. Le infiltrazioni mafiose nel settore agroindustriale rappresentano il 10 per cento dell'intera economia mafiosa. Le mafie (tutte) nel settore agricolo e industriale fanno cartello, condizionando tutta la filiera dalla produzione, al reclutamento della manodopera, alla logistica, allo stoccaggio fino alla piccola, media e grande distribuzione commerciale. Secondo la commissione antimafia le mafie fatturano più di 150 miliardi di euro l'anno con un guadagno che si aggira attorno ai 70 miliardi l'anno. Le Agromafie incidono notevolmente, gli illeciti sono così suddivisi: Descrizione del fenomeno miliardi di euro, furti e rapine: 4,5; racket: 3,5; usura: 3; truffe: 1,5; contraffazione e agropirateria: 1,1; abusivismo: 1,5; macellazioni clandestine: 0,5; totale: 15,6; aziende e beni confiscati nel settore agricolo e industriale [...]. Le contraffazioni nell'agroalimentare hanno raggiunto un considerevole valore stimato da molti operatori del settore in 1,1 miliardi di euro l'anno. Si tratta peraltro di un dato ampiamente sottostimato pensando che in questo calcolo si considerano esclusivamente le vendite di prodotti alimentari contraffatti sul mercato interno, senza contemplare le altre merci irregolari che partono dall'Italia verso l'estero. Su questi prodotti si concentra l'attenzione delle organizzazioni criminali che, facendo leva sull’Italian sounding, sfruttano la reputazione dei prodotti del made in Italy nel settore agroalimentare per immettere sul mercato internazionale prodotti falsi e contraffatti»;
   in particolare il Reparto Speciale dell'Arma dei Carabinieri, che opera in seno al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali a tutela della corretta destinazione dei finanziamenti dell'Unione europea e contro le frodi alimentari, sarà presente nelle giornate del 21 e 22 settembre 2013 con un desk informativo presso lo stand espositivo del comando provinciale carabinieri di Bari per sensibilizzare i cittadini, commercianti ed operatori del settore, sul tema dell’«agropirateria», ovvero delle nuove forme di contraffazione dei prodotti alimentari perpetrate con condotte fraudolente e pratiche commerciali ingannevoli che tendono ad aggirare le norme sulla «etichettatura» e sulla «tracciabilità» delle produzioni alimentari –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati;
   se non reputino fondate le preoccupazioni ben specificate dal presidente di «Imprese del sud Passariello» alla luce, anche, delle operazioni svolte dal Nucleo Antifrode Carabinieri, Nac, che ha di recente partecipato alla fiera del Levante, «Per un impegno comune contro la contraffazione dei prodotti agroalimentari»;
   se non reputino opportuno al fine di tutelare sia la salute dei cittadini sia l'economia del settore agricolo, già gravemente depressa, inasprire ed applicare la normativa circa la tracciabilità dei cibi in tutte le fasi della filiera agroalimentare, al fine di tutelare sia il consumatore che il produttore e preservare il marchio «made in Italy» da contaminazioni;
   se non reputino opportuno definire una campagna informativa corretta volta a scoraggiare la pirateria agroalimentare. (5-01372)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'attività venatoria in Italia è regolata dalla legge n. 157 del 11 febbraio 1992, recentemente modificata dalla legge n. 97 del 6 agosto 2013, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   la legge europea 2013, approvata dalla Camera in via definitiva il 31 luglio 2013, tra gli altri contenuti, va a sanare la non corretta applicazione nell'ordinamento interno della direttiva 2009/147/CE (direttiva uccelli) con riferimento, prevalentemente, alla necessità di istituire le rotte di migrazione per tutte le specie dell'avifauna e all'introduzione di un meccanismo che renda più stringente l'adozione delle delibere sulla caccia in deroga, e più efficace il controllo di legittimità, attraverso l'adozione delle stesse delibere con atto amministrativo;
   l'Italia risulta essere quarto Paese europeo per numero di cacciatori e terzo come rapporto tra superficie e numero di cacciatori;
   a livello regionale, la Toscana aveva disciplinato la materia con la legge regionale n. 3 del 1994, volta a garantire una pressione venatoria sostenibile e un legame stretto tra il cacciatore e il territorio dove esercita il suo passatempo preferito; la norma sostanzialmente concedeva la possibilità di prelievi venatori solo tre giorni alla settimana, solo nel proprio territorio di residenza o in un «ambito territoriale» definito, limiti di carniere, specie particolarmente protette, pene severe e controlli rigidi;
   secondo fonti stampa on-line (http://www.greenreport.it) a seguito delle modifiche della normativa venatoria avvenute spesso in periodo elettorale, un po’ per volta, negli anni, in Toscana si è concesso troppo alla categoria dei cacciatori, in contrasto con le direttive europee di tutela delle specie protette: la situazione attuale permetterebbe ai cacciatori di esercitare in qualsiasi territorio, per cinque giorni alla settimana, con l'obbligo di annotare i capi abbattuti – per verificare che non vengano superati i limiti di carniere – ma solo «a fine giornata». Ai cacciatori scorretti, pertanto, basterebbe riporre nell'auto le prede più volte durante la battuta di caccia per far ripartire da zero il «conteggio», determinando inevitabilmente una caccia senza regole ed una pressione venatoria insostenibile, soprattutto nel delicatissimo periodo della migrazione;
   nella situazione attuale, per giunta, l'apparato sanzionatorio pare abbia perso molta della sua efficacia, in quanto tenderebbe a preservare le licenze di caccia ed il porto d'armi e renderebbe più semplice «pagare» per non aver annotato i numeri della giornata di caccia, piuttosto che essere sanzionati per aver abbattuto una dozzina di rapaci in una mattinata;
   a titolo di esempio, al Centro recupero uccelli marini e acquatici della LIPU di Livorno in sei giorni, dall'11 al 16 di ottobre – tra i quali due di «silenzio venatorio» – sono arrivati 5 rapaci: 3 sparvieri, 1 gheppio e 1 lodolaio – specie «particolarmente protette» il cui abbattimento è reato penale – con ferite da arma da fuoco e pallini piantati dappertutto; praticamente due rapaci ogni giorno di attività venatoria;
   ipotizzando – con ottimismo – che i rapaci ricoverati siano il 5 per cento di quelli abbattuti, si può stimare un abbattimento di circa quaranta rapaci al giorno, più di ottocento nel solo mese di ottobre e solo nel «bacino di utenza» del Centro recupero di Livorno –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della disomogeneità del quadro normativo regionale, specie in relazione a quanto previsto dalla legislazione nazionale in materia e del costante aumento del livello di rischio di incolumità fisica che può comportare il transito attraverso le campagne italiane, anche solo a titolo ricreativo, a causa dell'attuale disadeguamento della normativa venatoria di alcune regioni, tra cui la Toscana citata in premessa e quali iniziative di competenza si intendano assumere in merito. (4-02398)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute – per sapere – premesso che:
   desta preoccupazione l'analogia che si sta concretizzando sempre di più, tra l'attuale caso Stamina e il caso Di Bella, che risale a circa 20 anni fa e che esplose per il combinato disposto dell'intervento della magistratura e di una forte ipermediatizzazione, capace di surriscaldare gli animi, facendo leva su emozioni e sentimenti comuni un po’ a tutti;
   confluivano allora nel sentire popolare un forte senso di empatia per il destino di malati oncologici gravi e in certi casi gravissimi, la proiezione immaginifica di una scienza finalmente capace di venire a capo di problemi non risolti, utilizzando modelli alternativi, e la visione ostile e persecutoria di una burocrazia sorda e cieca davanti ai bisogni dei malati;
   anche allora da un lato la televisione, quotidiani e settimanali enfatizzavano la storia del nuovo metodo di cura, mentre la stampa specialistica ne denunciava i limiti e sottolineava la carenza di rigore scientifico; quando il 5 febbraio del 1996 la Commissione oncologica nazionale formulò un parere negativo nel quale sottolineava l'assenza di evidenze scientifiche nel metodo, un gruppo di pazienti che seguivano il metodo Di Bella e i loro familiari, costituiti in Associazione, l'ATAN, chiesero comunque l'autorizzazione alla somministrazione gratuita della somatostatina, uno dei farmaci che facevano parte del metodo Di Bella, di cui la Commissione del farmaco (CUF) prevedeva la somministrazione per casi diversi da quelli tumorali. Quando l'8 gennaio del 1997 la CUF escluse, in base ai dati scientifici disponibili, che la somatostatina potesse essere somministrata efficacemente in oncologia, l'AIAN scatenò una vera e propria campagna di discredito nei confronti del Ministro e del Ministero, utilizzando i talk show televisivi dell'epoca;
   anche allora ci furono magistrati che ordinarono la somministrazione gratuita dei farmaci necessari alla terapia, nonostante il parere negativo del Comitato scientifico, il costo molto alto e i farmaci non rientrassero comunque in quelli previsti dal Ssn. Carlo Madaro, pretore di Maglie, intimò alla Asl di Lecce di fornire gratuitamente i farmaci a chiunque ne avesse bisogno. La decisione, in mancanza di conferme scientifiche, di fatto assegnava alla cura una certa credibilità di cui era priva negli ambienti scientifici;
   per quasi un anno durò la capacità di resistere dell'allora Ministro Bindi, che opponeva sistematicamente ragioni e ragionevolezza, ad una emotività dilagante, che si avvitava progressivamente su se stessa, enfatizzando il dramma di tante storie individuali, per sollecitare il senso della pietas nel pubblico, dimenticando gli elementi oggettivi fondamentali che caratterizzano ogni verifica clinica;
   allora il Ministro della Salute, Rosy Bindi, sotto la spinta di un ordine del giorno approvato al Senato, emanò un provvedimento urgente che autorizzava la sperimentazione del protocollo Di Bella, anche in assenza di documentazioni ufficiali sulla sua efficacia. Pareri contrari alla sperimentazione vennero:
    a) dalla Commissione unica del farmaco in data 8 gennaio 1997 e 5 agosto 1997;
    b) dalla Presidenza del Consiglio superiore di sanità in data 16 luglio 1997;
    c) dall'assemblea generale del Consiglio stesso in data 19 dicembre 1997.

   mentre la comunità scientifica dimostrava che il metodo Di Bella non poteva avere effetti terapeutici nei confronti del cancro, l'asse del dibattito si spostò dal piano dei dati scientifici a quello del diritto alle cure, sulla base di una propria libertà ed autonomia. I malati non chiedevano più il metodo Di Bella perché era efficace, chiedevano di riaffermare il proprio diritto ad una libera scelta del modo di curarsi, sulla base di un dettato costituzionale;
   ancora oggi a distanza di circa 20 anni, è difficile misurare la tensione che vedeva contrapposto il rigore della scienza a cui si univa tutta la comunità scientifica ed accademica e la forte emotività dei malati organizzati in modo strutturato nella loro protesta. Due alfabeti diversi e incomunicabili, che la politica e la magistratura avrebbero dovuto decodificare in modo più efficace. Ma non fu così;
   la sperimentazione nazionale della cura Di Bella fu concordata a fine gennaio 1998, iniziò a marzo e coinvolse 1155 pazienti affetti da vari tipi di tumore. Si chiuse nel luglio 1998, in quanto la quasi totalità dei pazienti si era ritirata dallo studio (il 97,5 per cento). La maggioranza dei ritiri fu causata dalla morte o dalla progressione della malattia. Tutti i particolari del protocollo furono stabiliti dal professore Di Bella in concerto con i componenti della commissione ufficiale. Dallo stesso professore furono siglate le pagine del protocollo una per una, Di Bella fu presente a tutte, tranne una, le riunioni della commissione;
   alla fine, i risultati della sperimentazione effettuata dal Ministero della sanità (ora «della Salute»), venivano riassunti così dal ministro di quel periodo, Umberto Veronesi: «Dall'analisi dell'insieme dei 1155 pazienti inclusi negli studi – sperimentali (386 pazienti) ed osservazionali (769 pazienti) – non emerge alcuna evidenza che il trattamento MDB sia dotato di una qualche attività anti-tumorale di interesse clinico...» (da: risposta all'interrogazione parlamentare n. 4-25267, ministro U. Veronesi, che poi puntualizza: «In nessuno dei 1155 pazienti inclusi nella sperimentazione si è osservata una risposta obiettiva completa (scomparsa delle masse tumorali); una risposta obiettiva parziale (riduzione di almeno il 50 per cento delle lesioni tumorali), si è osservata in soli 3 (0,8 per cento) dei 386 pazienti inclusi negli studi sperimentali. La quasi totale assenza di risposte obiettive nello studio sperimentale propriamente detto è stato confermato negli studi osservazionali nei quali solo in 5 (0,7 per cento) dei 769 pazienti inclusi, i centri partecipanti hanno segnalato la presenza di una risposta obiettiva di tipo parziale»;
   tre Ministri della salute sono intervenuti nel Caso Di Bella: il Ministro Bindi che ha autorizzato la sperimentazione, il Ministro Veronesi che ne ha tratto le conclusioni finali e il Ministro Storace, che nonostante l'evidente insuccesso della sperimentazione all'inizio del suo mandato avrebbe voluto riproporla sotto un nuovo pressing mediatico. Non tutti sanno che oltre alla sperimentazione nazionale del MDB, ne esiste un'altra regionale, indipendente, condotta in Lombardia su 333 pazienti: anch'essa diede risultati assolutamente negativi;
   nel caso Stamina accanto alle accuse rese pubbliche sul sito online della rivista inglese Nature e scatenate in merito alla fondatezza del «metodo stamina», proposto da Davide Vannoni, secondo Nature il metodo è frutto di un plagio basato su dati erronei. L'ordinanza del 15 maggio 2012 emessa dall'Aifa, mai annullata e ancora in vigore ha vietato i prelievi, trasporti, manipolazioni, colture, stoccaggi, e somministrazioni di cellule umane presso gli Speciali Civili di Brescia in collaborazione con Stamina Foundation Onlus»;
   il 23 maggio 2013, il Parlamento ha approvato uno stanziamento di tre milioni di euro per la sperimentazione di 18 mesi sul «Metodo Stamina» a partire proprio da questo mese;
   Vannoni ha presentato con grande ritardo un protocollo «standardizzato», che è stato giudicato negativamente dal Comitato scientifico nominato dal Ministro, con i massimi esperti del settore. Proprio in questi giorni, il presidente dell'ISS Oleari, ha ribadito l'assoluta inconsistenza scientifica del metodo Vannoni, che invece continua a occupare uno spazio mediatico davvero eccessivo e pericoloso proprio per la tutela della salute pubblica;
   la mobilizzazione dell'opinione pubblica continua in forme drammatiche come l'occupazione della piazza di Montecitorio da oltre un mese con pazienti in tenda che versano in gravissime condizioni nel disperato tentativo di attrarre l'attenzione dell'opinione politica su di sé;
   è morto da qualche settimana Raffaele Pennacchio affetto da SLA, e l'evento drammatico si è consumato al ritorno a casa dopo aver partecipato ad una manifestazione sotto il Mef: morto per lo stress ha detto sua moglie, e si potrebbe aggiungere morto per il combinato disposto di una malattia come la SLA, lo stress legato al suo impegno civico di attrarre l'attenzione dei decisori politici sulla condizione dei malati che versano in condizioni spesso gravissime, e il nuovo modello di protesta estrema, spinta fino a mettere a repentaglio la propria vita per richiamare l'attenzione dei media e attraverso di loro coinvolgere il mondo politico;
   la vicenda di Stamina e quella di Raffaele Pennacchio mostrano quanto debba essere intensa, continua e tempestiva l'assistenza da offrire alle persone che versano in condizioni di grave disabilità, ma mostra anche come vada interrotto rapidamente il circuito mediatico che induce ad una sorta di spettacolarizzazione del dolore nel tentativo di fare pressione sul mondo politico, anche in flagrante contraddizione con i dati scientifici disponibili;
   Stamina Foundation ha precisato in un recente comunicato che: le cellule staminali mesenchimali prodotte secondo il cosiddetto «metodo Stamina» sono somministrate ai pazienti attualmente in trattamento o per ordine dei tribunali o in forza del decreto-legge n. 24 del 2013, al di fuori di una sperimentazione clinica e sotto la esclusiva responsabilità del medico prescrittore. Il trattamento in questione – non si può pacificamente parlare di terapia – è sempre stato e resta sconosciuto e l'azienda non è mai stata – e non lo è tuttora – in grado di definire un percorso terapeutico e quindi, dopo le infusioni, di prendere in cura e monitorare le condizioni degli stessi;
   la Commissione scientifica istituita dal Ministero ha evidenziato la «inadeguata descrizione del metodo» e la «insufficiente definizione del prodotto», cioè la mancanza delle precondizioni per progettare una verifica che abbia carattere di scientificità –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere affinché i pazienti che sono in piazza Montecitorio possano tornare a casa, anche in vista delle mutate condizioni atmosferiche che non potrebbero che nuocere loro;
   se non ritenga opportuno:
    a) attivare una diversa strategia di comunicazione con gli organi di stampa in virtù di una più corretta relazione tra etica e comunicazione e a mantenere viva la memoria del caso di Bella e di quella sperimentazione forzata che dette esiti pesantemente negativi per ognuno dei pazienti coinvolti e oggi a distanza di 20 anni si corre il rischio di dimostrare come quella lezione sia stata inutile e la storia tristemente si ripeta;
    b) indicare con chiarezza e con realismo clinico quali prospettive si aprono per le persone attualmente in trattamento con stamina, i 123 pazienti degli Spedali Riuniti di Brescia.
(2-00284) «Binetti, Gigli, Monchiero, Schirò Planeta, Vezzali, Dellai, Vecchio, Rossi, Piccoli Nardelli, Santerini, Buttiglione, Galgano, Sottanelli, Piepoli, Distaso, Picchi, Bernardo, Palese, Patriarca, Fitzgerald Nissoli, Fauttilli, Sberna, Cera, Caruso, Antimo Cesaro, Rabino, Cesa, Adornato, De Mita, Fucci, Pisicchio, Vitelli, Causin, Preziosi».

Interrogazione a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 febbraio 2010 la signora Lea Borghini, recatasi a villa delle Rose, in zona Careggi, Firenze, in uno degli ambulatori affittati dalla proprietà all'istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (Ispo), si è sottoposta ad una colonscopia preventiva per l'accertamento di possibili forme tumorali all'intestino;
   intorno alle ore 12,30 dello stesso giorno è stato dichiarato il decesso della donna a causa della perforazione dell'intestino;
   il primo responso dell'autopsia ha accreditato la colpa medica, e la procura ha aperto un fascicolo sulla vicenda, iscrivendo nel registro degli indagati i medici e gli infermieri che avevano assistito la donna;
   nel corso dell'udienza preliminare il gip Anna Flavi ha disposto il non luogo a procedere nei confronti dei tre imputati dell'Ispo di Careggi, il medico endoscopista Guido Castiglione, l'anestesista Claudio Poli e l'endoscopista Giovanni Andrea Bonanomi, poiché, sebbene durante l'esame si sarebbe verificata la perforazione di 3 millimetri di diametro della parete della mucosa del ceco, l'evento rarissimo sarebbe stato provocato non dalla sonda degli operatori ma dall'aria insufflata attraverso il colonscopio per procedere alla distensione intestinale;
   nessuna colpa è stata ascritta al dottor Castiglione, il quale, a giudizio dei periti del Gip, condusse l'esame colonscopico con la sua équipe in maniera sostanzialmente corretta e secondo gli standard previsti sia a livello nazionale che regionale né vi fu un errore di diagnosi da parte dello stesso e degli altri sanitari;
   in seguito a tale decisione del Gip il pm Gianni Tei dichiarò che avrebbe intentato ricorso in appello contro la decisione del giudice, ma la richiesta è stata rifiutata –:
   di quali elementi, anche sulla base degli atti depositati, disponga il Governo in merito alla vicenda descritta in premessa. (4-02399)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   la vigente normativa in materia di protezione del diritto d'autore fatica a conciliarsi con le nuove realtà determinate dallo sviluppo tecnologico e dalla diffusione delle moderne forme di fruizione dei contenuti multimediali;
   tale argomento è contenuto anche nell'ambito della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001 sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione;
   la citata direttiva, infatti, al considerando n. 31, recita esplicitamente che «Deve essere garantito un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi delle varie categorie di titolari nonché tra quelli dei vari titolari e quelli degli utenti dei materiali protetti. Le eccezioni e limitazioni alla protezione esistenti nelle legislazioni degli Stati membri devono essere riesaminate alla luce del nuovo ambiente elettronico. Le differenze esistenti nelle eccezioni e limitazioni relative a determinati atti hanno effetti negativi diretti sul funzionamento del mercato interno nel settore del diritto d'autore e dei diritti connessi. Tali differenze potrebbero facilmente accentuarsi con l'ulteriore sviluppo dell'utilizzazione economica transfrontaliera di opere e delle attività transfrontaliere. Onde garantire il corretto funzionamento del mercato interno, tali eccezioni e limitazioni dovrebbero essere definite in modo più uniforme. Il grado di armonizzazione di dette eccezioni dovrebbe dipendere dal loro impatto sul corretto funzionamento del mercato interno»;
   in seguito all'adozione di tale direttiva, il 16 luglio 2008 la Commissione europea ha pubblicato il Green Paper on Copyright in the Knowledge Economy, un documento che prende in esame le criticità emerse nell'implementazione del sistema delle eccezioni al diritto d'autore previsto dalla direttiva 2001/29/CE e si conclude con un invito a presentare commenti entro il 30 novembre 2008, invito rivolto a tutti gli interessati alla materia, al fine di promuovere un dibattito sui migliori mezzi per assicurare la diffusione on-line delle conoscenze per la ricerca, la scienza e l'istruzione. Punto di riferimento dell'indagine è la comunicazione della Commissione europea A single market for 21st Century del 20 novembre 2007, dove veniva evidenziata la necessità di promuovere una quinta libertà del mercato interno, ossia la libera circolazione della conoscenza e dell'innovazione;
   il 25 luglio scorso l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, attualmente priva di un suo componente a seguito delle dimissioni del professor Maurizio Decina, ha pubblicato una bozza di regolamento sulla tutela del diritto d'autore in rete;
   si tratta dello «Schema di regolamento in materia di tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70» di cui alla delibera n. 452/13/CONS;
   detto schema di regolamento, ad avviso degli interpellanti, pone un primo problema relativo alla legittimazione dell'Agcom a normare tale materia;
   il citato decreto 70 del 2003, attuativo della direttiva e-commerce europea (2000/31/CE), non si occupa infatti di diritto d'autore, bensì della tutela dell'affidabilità delle transazioni a distanza e in tale ottica esenta alcuni prestatori di servizi in rete da responsabilità per gli illeciti commessi dagli utenti tramite i loro servizi;
   la direttiva e il pedissequo decreto però non regolamentano alcun tipo di inibitoria lasciando eventualmente tale possibilità ai singoli Stati membri. L'Italia, attuando le direttive europee Infosoc e Ipred, ha optato per la giurisdizionalizzazione di tali procedure (quindi riservandone la competenza alla magistratura, anche in via d'urgenza) senza prevedere in alcun modo un intervento di una qualsivoglia autorità amministrativa;
   con tutta evidenza tale situazione non è immutabile, ma una modifica può venire solo attraverso l'approvazione di norme di rango primario emanate dal Parlamento o dal Governo e non, invece, a mezzo di quella che agli interpellanti appare una autoassegnazione di una competenza in materia sulla base di una normativa secondaria dell'Agcom;
   in ogni caso lo schema di regolamento è stato posto in consultazione per due mesi, ovverosia dal 25 luglio al 25 settembre 2013, periodo balneare che sembra scelto apposta per limitare al massimo gli interventi. In ogni caso detto regolamento dovrebbe entrare in vigore il 3 febbraio 2014;
   al riguardo diversi enti internazionali come Article 19 – l'Associazione internazionale che si occupa di promozione e tutela della libertà di informazione in tutto il mondo – hanno espresso numerose critiche sul citato schema del nuovo regolamento sul diritto d'autore online che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si appresta a varare. In particolare, secondo il rapporto di Article 19, recentemente pubblicato, molte delle previsioni contenute nel nuovo regolamento non sarebbero compatibili con gli standard internazionali in materia di tutela della libertà di informazione e soprattutto, violerebbero taluni diritti fondamentali dell'uomo, cristallizzati nella convenzione internazionale ONU sui diritti civili e politici e nella convenzione europea sui diritti dell'uomo;
   analoghe preoccupazioni sono espresse nel Rapporto Freedom on the Net 2003 appena pubblicato dall'associazione Freedom House che ha monitorato negli ultimi anni lo stato di salute della libertà in Rete e che analizza l'andamento di controlli, censure e repressione su internet in 60 Paesi fra il maggio e l'aprile 2013, citando espressamente il predetto schema di regolamento dell'Agcom come possibile strumento di censura;
   la legislazione vigente, infatti, attribuisce all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni alcune circoscritte competenze in materia di tutela del diritto d'autore e, in particolare, quelle previste dall'articolo 182-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, introdotto dalla legge 18 agosto 2000, n. 248, e successivamente più volte modificato ed integrato;
   ciononostante, l'allegato «A» alla menzionata delibera n. 452/13/CONS recante lo Schema di regolamento in materia di tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 ipotizza all'interno di tale documento, tra le altre cose, nuove modalità di contrasto alla pirateria che lascerebbero alla discrezionalità dell'Autorità la decisione in merito all'inibizione del sito web «i cui server siano localizzati al di fuori dei confini nazionali»;
   la tutela costituzionale che garantisce la libertà di comunicazione e di manifestazione del pensiero impone, ad avviso degli interpellanti, quanto meno una riflessione sull'opportunità e la legittimità di affidare ad un ente amministrativo, per quanto nella forma di un'autorità indipendente, e non all'autorità giudiziaria una tale prerogativa, in particolar modo in un momento in cui viene quotidianamente messa in discussione l'indipendenza e la trasparenza delle procedure di nomina all'interno dell'autorità;
   si considera necessario ed urgente che il Parlamento o il Governo realizzino quanto prima una organica riforma della materia del diritto di autore su web che tenga conto delle esigenze poste dal progresso e della necessità di non contrastare il naturale percorso di evoluzione dei costumi degli utenti, senza che tale prerogativa venga di fatto esercitata da un'autorità amministrativa indipendente. Non a caso giacciono presso entrambi i rami del Parlamento alcune proposte di legge che, a vario titolo, mirano a modificare la normativa del diritto d'autore sul web;
   va oltretutto considerato che il modo di affrontare una questione così delicata quale quella della disciplina del diritto d'autore sul web, che inciderà in maniera profonda sulla società, costituisce per certi versi già un'anomalia rispetto alle altre democrazie occidentali;
   alla luce dell'interesse che l'opinione pubblica ha dimostrato di nutrire nei confronti della questione illustrata dalla presente interpellanza, sarebbe opportuno avviare un ampio confronto in sede parlamentare rispetto al quale il Governo potrebbe contribuire, per quanto di sua competenza, alla rapida revisione della disciplina del diritto d'autore sul web, tenendo in considerazione la necessaria affermazione dei diritti fondamenti e della tutela dei cittadini utenti sul web ed i diritti degli autori ed editori –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di pervenire alla definizione di una normativa organica sul diritto d'autore sul web, che sia il più possibile condivisa;
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere a fronte dell'imminente entrata in vigore del citato schema di regolamento in materia di tutela del diritto di autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2013 n. 70, considerati i rilievi di numerose associazioni di categoria che hanno manifestato l'esigenza che tale delibera non entri in vigore in maniera, ad avviso dei firmatari del presente atto, assolutamente condivisibile e legittima;
   se il Governo non intenda adottare immediate iniziative normative tese a limitare le attuali competenze conferite dalla legge all'Agcom in materia di diritto di autore nel senso di escludere espressamente che l'Agcom possa varare, di fatto, una vera e propria riforma del diritto di autore sul web.
(2-00285) «Migliore, Boccadutri».

Interrogazioni a risposta immediata:


   VIGNALI e COSTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 novembre 2011, n. 180, «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese», è stata salutata come «una rivoluzione copernicana nei rapporti tra Stato e piccole e medie imprese» e prevede che l'intervento pubblico e l'attività della pubblica amministrazione debbano conformarsi alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese, in particolare a quelle giovanili, femminili e innovative, che sono il punto di forza del sistema economico italiano;
   a questo scopo lo statuto, unica traduzione legislativa in Europa dello small business act comunitario, introduce il principio della progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, la «reciprocità dei diritti e dei doveri nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione», la garanzia di un sostegno pubblico «attraverso misure di semplificazione amministrativa da definire in appositi provvedimenti legislativi»;
   occorre ricordare che il Governo Berlusconi ha dato sollecita attuazione allo small business act con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010 e ha sempre offerto, nel corso del dibattito parlamentare, il suo pieno appoggio alla rapida approvazione della legge n. 180 del 2011;
   in particolare, l'articolo 18 della legge prevede che, entro il 30 giugno di ciascun anno, il Governo debba presentare al Parlamento una «legge annuale per le micro, piccole e medie imprese», volta a definire gli interventi per la tutela e lo sviluppo di queste, le norme per l'immediata riduzione degli oneri burocratici a loro carico, misure di semplificazione amministrativa, deleghe al Governo in materia di tutela e di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese. Oltre a questo, al disegno di legge deve essere allegata una relazione:
    a) sullo stato di conformità della normativa vigente in materia di imprese rispetto ai principi e agli obiettivi dello small business act;
    b) sull'attuazione degli interventi programmati;
    c) sulle ulteriori specifiche misure da adottare per favorire la competitività delle micro, piccole e medie imprese, al fine di garantire l'equo sviluppo delle aree sottoutilizzate;
   per la definizione delle legge annuale per le micro, piccole e medie imprese, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 180 del 2011, il Governo è tenuto a consultare il tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria, costituito presso il Garante delle micro, piccole e medie imprese;
   in sede di dichiarazioni programmatiche di Governo il Presidente del Consiglio dei ministri Letta ha considerato centrali gli interventi in favore delle piccole e medie imprese;
   il Ministro interrogato, in occasione dello svolgimento dell'interrogazione a risposta immediata del 30 luglio 2013, ebbe ad affermare in Aula che avrebbe presentato il disegno di legge annuale in Consiglio dei Ministri entro il 30 settembre 2013;
   dedicare alle micro, piccole e medie imprese una sessione parlamentare annuale riveste sia una funzione culturale per sottolineare la centralità delle nostre micro, piccole e medie imprese, sia l'occasione per intervenire con politiche sempre più necessarie alle stesse –:
   quali intenzioni e quali attività abbia in corso il Governo per la definizione della legge annuale sulle micro, piccole e medie imprese, prevista dall'articolo 18 della legge 11 novembre 2011, n. 180. (3-00418)


   CASELLATO, PELUFFO, MARTELLA, ZANIN, MAESTRI, GREGORI, MOGNATO, ZARDINI, CASATI, MARCO DI MAIO, ZAMPA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Electrolux, una multinazionale con sede in Svezia e uno dei leader mondiali nel settore degli elettrodomestici e delle apparecchiature per uso professionale, ha recentemente manifestato, in seguito alla contrazione di vendite registratasi sul mercato europeo, l'intenzione di rivedere l'assetto produttivo e occupazionale;
   tale revisione coinvolgerebbe i quattro stabilimenti italiani di Susegana (Treviso), dove si producono frigoriferi a incasso con 1.033 addetti, Porcia (Pordenone), dove si producono lavatrici e lavorano 1.160 addetti, Forlì, dove sono occupate 800 unità e si producono piani cottura e forni, e Solaro (Milano), dove si producono lavastoviglie con 912 addetti;
   l'amministratore delegato del gruppo ha annunciato che sarà lanciata un'indagine di competitività sulle quattro fabbriche, con il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, per verificare la sostenibilità delle produzioni che si realizzano in Italia, la competitività dei singoli stabilimenti, l'andamento delle varie produzioni, il raffronto tra volumi prodotti e volumi venduti, il trend dei prezzi e confronto con le spese, chiarendo che ciò potrà significare il mantenimento, il ridimensionamento o la chiusura degli stabilimenti;
   i dirigenti della Electrolux hanno dichiarato alle organizzazioni sindacali che il costo orario del lavoro sarebbe di ventiquattro euro in Italia e circa sei o sette euro in Polonia; da qui il necessario trasferimento delle produzioni;
   la Electrolux ha, inoltre, dichiarato la volontà di delocalizzare nell'Europa dell'Est, tra Polonia e Ungheria, una parte considerevole della sua produzione: questo porterebbe rapidamente all'esubero di 140 operai a Susegana (Treviso), 46 a Porcia (Pordenone), 25 a Forlì, 75 a Solaro (Milano) e di 200 unità tra gli impiegati;
   la produzione di lavabiancheria per il mercato di massa basata sulla piattaforma Prometeo sarà completamente realizzata a Olawa, Polonia (finora a Porcia); la produzione di frigoriferi basata sulla Cairo 3 sarà realizzata a Jàszberény, Ungheria (finora a Susegana); la produzione di lavastoviglie da 45 centimetri sarà realizzata a Zarow, Polonia (finora a Solaro). Per la sede di Susegana, nel trevigiano, ciò si tradurrà nello spostamento della produzione di 158.000 pezzi, a fronte dei 700.000 complessivamente annunciati all'inizio del 2013, un anno, questo, peraltro caratterizzato dalla positiva risposta del mercato, soprattutto grazie alle commesse Ikea e Aeg;
   nel complesso, l'impatto delle decisioni annunciate sulle fabbriche e nel settore impiegatizio rischia di produrre da subito 461 esuberi in aggiunta ai 1.200 esuberi (oggi 1.100 per effetto delle dimissioni incentivate) affrontati con il ricorso alla solidarietà nell'accordo del 22 marzo 2013 e di determinare la perdita di migliaia di posti di lavoro nell'indotto;
   le organizzazioni sindacali hanno proclamato 16 ore di sciopero in tutti gli stabilimenti del gruppo, da effettuarsi entro venerdì 8 novembre 2013, e richiesto il coinvolgimento dei presidenti di regione e delle istituzioni locali per illustrare la gravissima situazione che le decisioni di Electrolux determinano sul tessuto sociale –:
   se il Ministro interrogato intenda convocare urgentemente tutti i soggetti coinvolti per una disamina della vicenda Electrolux, al fine di individuare i possibili interventi e le strategie di politica industriale che consentano nel medio-lungo periodo il rilancio della produzione della multinazionale svedese in Italia e prevenire le ricadute sociali e occupazionali sul comparto lavorativo afferente al settore industriale interessato. (3-00419)


   RAMPELLI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giacimenti petroliferi della Val d'Agri si realizza l'80 per cento della produzione nazionale di idrocarburi su terraferma (on-shore), che copre il dieci per cento del fabbisogno energetico nazionale;
   la strategia energetica nazionale annovera la Basilicata come snodo strategico della politica energetica italiana, la quale mira alla massimizzazione della resa di ogni concessione mineraria, in particolar modo per la Basilicata, che, stando agli operatori del settore, potrebbe raggiungere una produzione massima di 200 mila barili giornalieri;
   il comma 1 dell'articolo 16 del cosiddetto decreto liberalizzazioni (decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1) prevede che, «al fine di favorire nuovi investimenti di ricerca e sviluppo delle risorse energetiche nazionali strategiche di idrocarburi nel rispetto del dettato dell'articolo 117 della Costituzione, dei principi di precauzione, di sicurezza per la salute dei cittadini e di tutela della qualità ambientale e paesistica, di rispetto degli equilibri naturali terrestri e acquatici, secondo i migliori e più avanzati standard internazionali di qualità e sicurezza e con l'impiego delle migliori tecnologie disponibili, garantendo maggiori entrate erariali per lo Stato», sarà emanato un decreto ministeriale, di concerto tra il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, atto a definire le modalità per individuare le maggiori entrate effettivamente realizzate e le modalità di destinazione di una quota di tali maggiori entrate per lo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e dei territori limitrofi;
   il decreto ministeriale di attuazione è stato emanato il 12 settembre 2013 e reca, in primo luogo, l'istituzione di un fondo alimentato da una quota dell'ires versata dai soggetti che svolgano attività di coltivazione relative a progetti di sviluppo, sulla base di concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma;
   i successivi articoli 2 e 3 del decreto ministeriale prevedono che tale fondo sia destinato a finanziare interventi per lo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e dei territori limitrofi, nonché al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo regionale, provinciale o locale, «aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi di consistenza progettuale ovvero realizzativa tra loro funzionalmente connessi, in relazione a obiettivi e risultati quantificabili e misurabili, anche per quanto attiene al profilo temporale»;
   sia rispetto all'aumento delle attività petrolifere, sia rispetto alle attività che la relazione di accompagnamento all'articolo 16 del citato decreto-legge definisce come «altre attività di sfruttamento del territorio, generalmente di minore valore economico ma fortemente radicate, e che generano occupazione», appare necessario effettuare una verifica della compatibilità degli interventi, in primo luogo sotto il profilo dell'esposizione ai rischi ambientali, sismici e sanitari cui è esposta la popolazione residente in Basilicata e, in secondo luogo, rispetto all'impatto in termini occupazionali e di ricadute sul tessuto produttivo lucano –:
   se siano state effettuate delle verifiche nel senso di cui in premessa e, se del caso, quali ne siano state le risultanze, nonché a quale organismo spetterà la verifica della connessione funzionale tra gli interventi proposti a finanziamento ai sensi del citato decreto ministeriale e secondo quali criteri tale valutazione sarà effettuata. (3-00420)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano: «Il Sole 24 Ore», domenica 3 novembre, il regolamento approvato dalla Commissione europea lo scorso marzo, rischia di determinare notevoli difficoltà per l'Italia, nell'ambito della chiusura del programma 2007-2013, della politica di coesione europea e dell'utilizzo dei fondi stessi;
   l'articolo riporta infatti che, alla consueta corsa contro il tempo per certificare entro fine anno a livello comunitario, le spese sostenute per ottenere i pagamenti, si aggiunge la decisione della Commissione europea, di escludere dal pagamento i progetti di costo inferiore ai 5 milioni di euro che non saranno completati e funzionanti entro il 31 marzo del 2017;
   quanto suesposto, prosegue il medesimo articolo, determina la necessità di individuare entro la fine del 2016, almeno 2,7 miliardi di euro, di risorse nazionali per completare entro il 2016, i progetti cofinanziati dall'Europa (2 miliardi per le regioni del Mezzogiorno e 700 milioni per il Centro-Nord);
   tutti i progetti non operativi per quella data, continua l'articolo del «Sole 24 Ore», perderanno l'intero finanziamento europeo, anche quello già erogato, il cui importo complessivo risulta di difficile quantificazione, in considerazione che dipenderà da quali progetti (eventuali) non saranno conclusi e operativi;
   quanto suesposto, è stato confermato dal dipartimento sviluppo e coesione (Dps) nell'incontro annuale tra la Commissione europea, lo stesso dipartimento e le autorità di gestione regionale del FESR (il Fondo europeo per lo sviluppo regionale), nell'ambito di esercizi teorici basati sui progetti completati fino a oggi nella programmazione 2007-2013 di convergenza e competitività;
   la simulazione del dipartimento sviluppo e coesione colpisce in modo particolare l'Italia che meno di altri riesce a concentrare le risorse su pochi grandi progetti e le distribuisce su iniziative di dimensioni relativamente piccole;
   nella medesima simulazione del dipartimento sviluppo e coesione, continua l'articolo, si aggiungono altri 3,5 miliardi di euro (2 al Sud e 1,5 al Centro-Nord) per coprire l’overbooking, progetti presentati alla Unione europea «in eccedenza» rispetto all'importo totale per essere sicuri di sfruttare fino in fondo tutte le risorse europee, considerata una consistente quota fisiologica che comunque non riesce a completarsi in tempo;
   il nodo dei progetti europei inferiori ai 5 milioni di euro, sostiene l'articolo del «Sole 24 ore» rappresenta l'ultimo di una serie di problemi che si abbatte sulle regioni, in cronica difficoltà con la gestione e la spesa dei fondi comunitari;
   le complesse ed articolate difficoltà da parte del nostro Paese, nell'ambito delle politiche di coesione, relative ai programmi di utilizzo dei fondi comunitari, sono ribadite dal documento del marzo dello scorso anno inviato dalla direzione generale degli affari regionali della Unione europea, al Ministero interrogato e al dipartimento sviluppo e coesione, nel quale si riportava una sorta di decalogo che individuava le criticità che spingono l'Italia negli ultimi posti alle classifiche europee nell'utilizzo dei fondi strutturali, a cui è seguita una ulteriore prova lo scorso 15 ottobre, attraverso i dati presentati dal dipartimento sviluppo e coesione, che rilevano come su 47,8 miliardi di euro di risorse nazionali e comunitarie per il periodo 2007-2014, devono ancora essere certificare a livello europeo spese pari a 27,4 miliardi di euro (il 57 per cento), di cui 3,2 entro fine dicembre;
   quanto suesposto a giudizio dell'interrogante, desta sconcerto e preoccupazione in particolare se si valuta come, in un contesto economico come quello attuale, che non contempla la possibilità di stanziare importanti risorse pubbliche a favore dell'economia reale, a cui si aggiungono il rispetto dei vincoli di finanza pubblica e gli impegni di pareggio di bilancio imposti dalla Costituzione, i cui effetti non consentono ampi margini d'intervento di spesa pubblica, assistere al mancato utilizzo di importanti risorse finanziarie a favore del nostro Paese, a causa della revoca prevista per il mancato utilizzo dei fondi europei, rischia di essere certamente paradossale e sconfortante per l'economia nazionale ed il sistema-Paese –:
   quali orientamenti intendano esprimere nell'ambito delle rispettive competenze, nell'ambito di quanto esposto in premessa;
   se intendano confermare quanto riportato dall'articolo del quotidiano «Il Sole 24 Ore», sui rischi derivanti per il nostro Paese della decisione della Commissione europea, di escludere l'Italia dal pagamento dei progetti comunitari dal costo inferiore ai 5 milioni di euro che non saranno completati entro il 31 marzo 2017;
   se, in considerazione di quanto esposto in premessa, non ritengano opportuno, prevedere in tempi rapidi l'avvio dell'Agenzia per la coesione territoriale, anche attraverso il potenziamento dell'organico del personale, oltre a quello già previsto;
   quali iniziative infine, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere, al fine di evitare che l'Italia possa rischiare di essere esclusa dall'utilizzo dei fondi previsti dal programma 2007-2013 della politica di coesione europea, come indicato dal regolamento approvato lo scorso marzo dalla Commissione europea ed esposto in premessa. (4-02392)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della società pubblica Poste Italiane la funzione tutela aziendale ha, fra l'altro, il compito istituzionale di predisporre anche le misure di sicurezza fisica a tutela sia dei lavoratori che dei beni societari;
   la funzione tutela aziendale è articolata in sei aree territoriali (ATTA);
   Salvatore Malerba con ordine di servizio n. 20/06, del 26 maggio 2006, è stato nominato referente dell'ATTA Sud 1 (regioni Puglia, Basilicata, Molise e Sicilia);
   il prefetto di Palermo, con nota del 28 giugno 2012 inviata al dirigente Malerba, ha riportato le segnalazioni delle organizzazioni sindacali vertenti sulla necessità di adottare tutte quelle misure idonee ad impedire il ciclico ripetersi di episodi violenti che costituiscono una sostanziale minaccia per la serenità dei lavoratori;
   in merito è stata presentata l'interrogazione n. 4-02333;
   il prefetto di Palermo aveva, infatti, invitato la società Poste a presenziare all'incontro del giorno 27 giugno 2012, ma Poste Italiane aveva disatteso l'invito;
   il 27 giugno si era tenuto presso la prefettura di Palermo l'incontro che le organizzazioni sindacali di categoria e confederali avevano richiesto al Prefetto di Palermo per analizzare il fenomeno criminale delle rapine negli uffici postali;
   risulta dalle cronache locali che il dirigente Malerba sia stato nominato portavoce provinciale del Movimento politico «Realtà Italia» e che sia stato individuato come candidato alle prossime elezioni regionali in Puglia, per la circoscrizione di Foggia, in occasione dell'incontro tenutosi a Bari il 16 marzo 2013 dall'eurodeputato del partito democratico Pino Arlacchi –:
   se corrisponda al vero che Poste Italiane abbia disatteso l'invito formulato dall'ufficio territoriale del Governo di Palermo;
   se sia noto se il dirigente Malerba si trovava in Palermo proprio il giorno 27 giugno 2012;
   se l'impegno politico del citato dirigente possa influire sullo svolgimento dei compiti affidatagli dalla società Poste;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo al fine di ristabilire corretti rapporti istituzionali con l'Ufficio territoriale del Governo di Palermo. (4-02404)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Nicchi e altri n. 1-00232, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Duranti.

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Rostan n. 1-00098 del 13 giugno 2013;
   mozione Picierno n. 1-00203 del 9 ottobre 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n. 5-01291 del 25 ottobre 2013;
   interpellanza Balduzzi n. 2-00271 del 30 ottobre 2013;
   interpellanza urgente Casellato n. 2-00273 del 30 ottobre 2013;
   interpellanza Binetti n. 2-00274 del 30 ottobre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Benedetti n. 5-01361 del 4 novembre 2013.

ERRATA CORRIGE

  Testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Massimiliano Bernini e altri n. 4-02115 pubblicato nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 98 del 16 ottobre 2013. Alla pagina 5875, prima colonna, dalla riga decima alla riga dodicesima, deve leggersi: «medesima sia ricoperto dalla stessa persona, si è fatto un cattivo impiego nell'attuale periodo di austerity che grava sul» e non «medesima sia occupato dalla stessa persona, si è fatto un cattivo impiego nell'attuale periodo di austerity che grava sul», come stampato.