Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 30 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il diritto all'abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali della persona, in forza dell'interpretazione costituzionalmente orientata, alla luce dell'articolo 2 della Costituzione, che, in diverse occasioni, ne hanno dato la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) e la Corte costituzionale, secondo cui: «il diritto all'abitazione rientra a pieno titolo tra i diritti fondamentali, dovendosi ricomprendere tra quelli individuabili ex articolo 2 della Costituzione, la cui tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'articolo 2 della Costituzione, ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana ...»;
    in Italia occorrono 700 mila alloggi popolari, tante sono le famiglie che ne hanno diritto, mentre la fascia del disagio abitativo riguarda almeno 4 o 5 milioni di cittadini;
    sono 20 anni che si è dismessa una reale ed incisiva politica nazionale per il diritto alla casa, lasciando alle «magnifiche sorti progressive» del mercato la soluzione di un diritto fondamentale, questione che ovviamente il «mercato» non si pone, ed infatti ha lasciato che nel tempo si aggravasse;
    la cultura dominante ha risposto al bisogno di soddisfacimento del diritto alla casa, con una nuova architettura di ingegneria finanziaria: housing sociale, project financing e altre denominazioni, per puntare, in realtà, alle risorse della Cassa depositi e prestiti e dividersi la torta dei finanziamenti pubblici, facendo scomparire i bisogni sociali reali;
    per rispondere ai bisogni di milioni di cittadini occorre, invece, utilizzare l'immenso patrimonio immobiliare pubblico, che va ristrutturato e riutilizzato, per essere messo a disposizione delle famiglie bisognose che, massacrate dalla crisi economica, non hanno le risorse per accedere al libero mercato della locazione;
    la legge della regione Lazio n. 55 del 1998 – sull'autorecupero del patrimonio immobiliare – disciplina questa materia, promuovendo l'autorecupero e l'autocostruzione come opzione importante e necessaria: tale normativa potrebbe essere estesa a livello nazionale, anche attraverso un tavolo di lavoro che non escluda nessuno dei soggetti che in questi anni ha portato avanti con determinazione questo obiettivo;
    l'autorecupero non può essere una risposta per tutti coloro che vivono il problema abitativo, ma può contribuire a lanciare un'idea nuova sul diritto all'abitare, attraverso progetti in bioedilizia, puntando sul risparmio energetico e sulla sicurezza nei cantieri, favorendo la creazione di posti di lavoro attraverso la creazione di cooperative di autorecupero e/o di autocostruzione, formate dagli stessi futuri inquilini e favorendo uno stop al consumo di suolo, come già proposto dal M5S, nella proposta di legge AC 1050, «Disposizioni per il contenimento del consumo del suolo e la tutela del paesaggio»;
    l'emergenza abitativa ormai non è più una questione che riguarda altri, ma investe i territori e le città in maniera sempre più pesante;
    questa situazione è aggravata dalla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali privatizzati che stanno cacciando fuori dalle case abitate per un'intera vita migliaia di cittadini che oggi, a causa della speculazione, non sono in grado di far fronte alle nuove condizioni proposte per la vendita e per l'affitto;
    il M5S si è già più volte occupato di questi inquilini, presentando una lunga serie di interpellanze nei mesi scorsi;
    nelle scorse giornate del 18 e del 19 ottobre 2013, a Roma, si sono tenute partecipatissime manifestazioni di piazza in cui decine di migliaia di cittadini hanno protestato contro la devastazione dei territori e per il diritto alla casa per tutti, come unico effettivo obiettivo da realizzare, sostenuti dai sindacati ASIA USB (associazione inquilini e abitanti – unione sindacale di base);
    in data 22 ottobre 2013, si è tenuto l'incontro al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti tra la rappresentanza dei movimenti per il diritto all'abitare e il Ministro Maurizio Lupi, che ha anche la delega sulle politiche abitative: di fronte alla richiesta di moratorie per gli sfratti, il Ministro ha rinviato la trattazione delle questioni al tavolo Governo-regioni-comuni, che si svolgerà a Palazzo Chigi, il 31 ottobre 2013, con l'obiettivo di definire un decreto sulle politiche abitative, nel quale dovrebbero essere date delle risposte concrete;
    sussiste lampante necessità di grandi investimenti pubblici per l'edilizia sociale e popolare,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per:
    a) avviare un'efficace politica di riqualificazione del patrimonio immobiliare per uso abitativo, che coinvolga attivamente nel processo la popolazione avente diritto alla casa popolare;
    b) salvaguardare il patrimonio immobiliare pubblico prediligendo politiche di diritto alla casa piuttosto che politiche speculative sul patrimonio comune;
    c) restituire il pieno controllo del patrimonio immobiliare nelle mani del popolo, applicando il principio di trasparenza in tutte le fasi di gestione di tale patrimonio;
    d) in relazione agli immobili di proprietà degli enti previdenziali pubblici e privatizzati di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 – anche se già conferiti ai fondi immobiliari SGR, a vari fini, compresa la vendita, o a fondi immobiliari di qualsiasi genere o specie ed anche se la vendita avviene tramite questi ultimi – disporre la sospensione degli sfratti per finita locazione e per morosità di qualsiasi tipo per almeno un anno e/o fino a quando non venga chiarita la corretta normativa da applicare, in particolare con riferimento al patrimonio immobiliare degli enti previdenziali privatizzati;
    e) bloccare gli sgomberi per gli inquilini considerati senza titolo e definire disposizioni che ne riconoscano il diritto alla casa;
    f) bloccare gli sfratti da morosità incolpevole, l'aumento degli affitti, i pignoramenti e gli sgomberi, per almeno un anno;
    g) utilizzare il patrimonio immobiliare pubblico e quello privato che non risulti abitato, quello degli enti previdenziali e dei fondi immobiliari e bloccare le vendite speculative (ovvero a prezzi superiori a quelli di mercato) del patrimonio immobiliare pubblico;
    h) ricavare studentati utilizzando il patrimonio immobiliare pubblico e garantire l'alloggio per tutti gli studenti fuori sede, così da tutelare in modo effettivo il diritto allo studio e ridimensionare il fenomeno del «caro affitti» per gli studenti e degli affitti «in nero» con conseguente fenomeno di evasione fiscale;
    i) realizzare progetti per il riuso delle città secondo politiche volte al consumo di «suolo zero», nell'ottica di una concreta rigenerazione urbana, anche attraverso il meccanismo dell'autorecupero, per evitare di realizzare nuove costruzioni e per risolvere aspetti di degrado ambientale presenti in molte città;
    l) trasferire le risorse destinate a grandi opere e grandi eventi in un apposito fondo con l'obiettivo di garantire il diritto all'abitare, al reddito, alla salute e alla mobilità;
    m) restituire ai comuni la gestione degli affitti e delle assegnazioni delle case popolari;
   ad assumere iniziative per attribuire ai cittadini il potere di decisione in merito alle scelte urbanistiche e paesaggistiche, attraverso lo strumento referendario, o mediante forme di consultazione telematica;
   ad effettuare una ricognizione dei fondi ex Gescal e di quelli disponibili destinati all’housing sociale, compresi i fondi europei, per finalizzarli ad una programmazione di edilizia sovvenzionata (edilizia residenziale pubblica).
(1-00226) «Nuti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'etichettatura dei prodotti alimentari è un procedimento per cui, i produttori dei cibi confezionati, sono tenuti a riportare, integralmente, tutti gli ingredienti presenti nei loro preparati alimentari;
    la normativa sull'etichettatura dei prodotti alimentari nasce nel 1978 con la direttiva 79/112/CEE, recepita in Italia mediante il decreto legislativo n. 109 del 1992;
    la legislazione in materia, naturalmente, si è aggiornata nel corso del tempo, in particolare con il decreto legislativo n. 181 del 2003, che recepiva una norma europea che aveva, come obiettivo, quello dell'armonizzazione delle normative a livello europeo;
    alla luce delle citate disposizioni, le finalità dell'etichettatura in sintesi sono quelle di non indurre in errore l'acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull'origine o la provenienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso ovvero non attribuire al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;
    il 22 novembre 2011 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il Regolamento n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce alcuni cambiamenti in merito alla fornitura di informazioni sugli alimenti;
    scopo del regolamento è garantire un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti;
    tra le principali novità previste dalla nuova normativa comunitaria; si può ricordare tra le tante che diventa obbligatorio indicare alcune informazioni nutrizionali fondamentali e di impatto sulla salute quali: il valore energetico e la quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale. Tali indicazioni dovranno essere indicate sull'imballaggio in una tabella comprensibile, insieme e nel medesimo campo visivo;
    relativamente all'entrata in vigore, i soggetti preposti all'etichettatura dei prodotti alimentari possono usufruire di un periodo transitorio di tre anni per adeguarsi, con eccezione della novità riguardante l'indicazione dell'obbligatorietà della dichiarazione nutrizionale, la cui cogenza è prevista entro un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del Regolamento;
    raccogliendo le sollecitazioni che hanno condotto all'approvazione del citato regolamento comunitario è stato da poco adottato nel Regno Unito un tipo di etichettatura per alimenti da supermercato che utilizza i colori del semaforo – verde, giallo e rosso – in una scala in cui il primo colore racconta che il prodotto contiene un ingrediente «sano» e l'ultimo un componente «pericoloso»:
    il sistema, che ora dovrà essere utilizzato ufficialmente da tutte le industrie e non solo in maniera discrezionale dai dettaglianti, è definito «ibrido» perché prevede una informazione mista composta da due parti: una tabella con le Assunzioni di riferimento (ovvero in quale percentuale centro grammi di prodotto contribuiscono al raggiungimento del fabbisogno giornaliero raccomandato – meglio noto con la sigla GDA, Guideline daily amounts) e una indicazione visiva «ad alto impatto» che si serve dei colori del semaforo per segnalare la presenza adeguata (verde) o in eccesso (rossa) di nutrienti critici per la salute quali grassi, grassi saturi, sale/iodio e zuccheri;
    il colore associato viene scelto in base ai valori di riferimento indicati dalla sintetica tabella guida fornita nel 2007 dalla Food standard agency, l'agenzia responsabile della salubrità del cibo nel Regno Unito;
    il sistema britannico ha suscitato notevoli perplessità che si fondano sul fatto che non ci sono alimenti buoni o cattivi in assoluto perché molto dipende dalle quantità e dalle combinazioni: in sintesi è il pasto nel suo complesso che classifica una dieta come equilibrata o squilibrata;
    i colori del semaforo prescindono dalle quantità delle porzioni, per cui una persona può paradossalmente consumare una quantità elevate di alimenti «verdi», assumendo calorie e nutrienti in quantità maggiore rispetto a porzioni più contenute di alimenti «gialli» o «rossi». Il sistema potrebbe risultare diseducativo rispetto all'attenzione verso una dieta equilibrata dove è buona regola fare un bilancio tra energie assunte e consumate;
    il livello di informazione e consapevolezza del consumatore europeo ed italiano in particolare consentirà ad avviso dei firmatari del presente atto di accogliere questa novità non come un pericolo ma come un'opportunità per il sistema agricolo ed agroalimentare italiano e lombardo purché, seppure l'obbligatorietà di questa procedura creerebbe una eccessiva rigidità del sistema imponendo alle imprese ulteriori adempimenti, il sistema «semaforo» rimanga volontario e facoltativo;
    indubbiamente è importante che il consumatore sia informato del contenuto nutrizionale dei prodotti in vendita ma questa informazione dovrà essere completata da quella sull'origine dei prodotti;
    le produzioni italiane caratterizzate dall'alta qualità, costituiscono da sempre l'eccellenza del mercato agroalimentare e sono unanimemente inserite nei regimi alimentari corretti (dieta mediterranea);
    solo la tutela rigida dell'autenticità dell'indicazione di provenienza potrà consentire una scelta consapevole relativamente alle componenti di un regime alimentare equilibrato;
    pertanto è fondamentale che il consumatore sia informato al fine di poter compiere scelte alimentari mirate e consapevoli che garantiscano uno stile di vita sano. Questa informazione dovrà essere completa: non solo il contenuto dei vari alimenti in termini di contenuto ma anche la provenienza di questi alimenti;
    è sempre opportuno tener presente come la garanzia della provenienza dei vari prodotti tuteli la salute dei consumatori quanto se non più della consapevolezza sulla composizione degli stessi alimenti: è inutile conoscere il contenuto in grassi di un alimento se lo stesso è adulterato o sofisticato oppure se ne sono state falsificate le origini o le modalità di produzione,

impegna il Governo

ad intervenire nelle sedi opportune affinché il tipo di etichettatura per alimenti da supermercato che utilizza i colori del semaforo utilizzato nel Regno Unito trovi diffusione solo come opzione volontaria e facoltativa e venga necessariamente abbinato agli strumenti per la tutela dell'origine degli alimenti con particolare riferimento alla tutela del made in Italy.
(1-00227) «Rondini, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Cristian Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».

* * *

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da diverse fonti stampa, locali e nazionali, Trenitalia spa, in vista della rimodulazione e riorganizzazione dell'offerta e degli orari ferroviari avrebbe intenzione di cancellare, poiché non più sostenibile «a mercato», una grossa fetta dell'offerta di trasporto ferroviario di collegamento da e per la regione Toscana;
   si tratterebbe, in particolare, di 12 intercity in tutta la regione, con rilevante incidenza sulla tratta Firenze-Arezzo – uno dei percorsi che presenta già oggi molte criticità, con pendolari letteralmente ammassati sulle vetture e che si trovano ad affrontare tragitti, spesso molto lunghi, in condizioni non certo agevoli;
   l'offerta dei trasporti pubblici in Toscana, come del resto in tutta Italia, è spesso insufficiente a coprire il fabbisogno dei cittadini e per questo il taglio ipotizzato da Trenitalia e denunciato dallo stesso assessore ai trasporti della regione, Vincenzo Ceccarelli, appare inopportuno, quanto, controproducente;
   il trasporto regionale ed interregionale su ferro che collega la Toscana con piccole e grandi città italiane, a prescindere da quello dedicato all'alta velocità, dovrebbe essere, a detta degli interpellanti, garantito ai cittadini che ne usufruiscono ogni giorno per lavoro o studio;
   appare inopportuno, agli occhi degli interpellanti, puntare tutta la riorganizzazione e gli investimenti sui treni ad alta velocità che, pur essendo fondamentali per il collegamento su ferro in tutta la nazione, non sono certo quelli fruiti maggiormente e quotidianamente dai pendolari. Tali treni dovrebbero affiancare la rete regionale ed interregionale che andrebbe potenziata e valorizzata, anche al fine di rilanciare la mobilità sostenibile in Italia;
   la situazione della Toscana non è certo l'unica; i ritardi, le soppressioni, lo stato spesso disastroso delle vetture, costringono ogni giorno milioni di italiani a spostarsi in tutta Italia in condizioni vergognose e vicine al limite della decenza –:
   se intendano verificare quali siano le tratte toscane interessate dai tagli da parte di Trenitalia ed avviare per quanto di competenza, un'opportuna valutazione dell'impatto che tali tagli avrebbero sul pendolarismo della regione;
   se i tagli operati da Trenitalia si basino su concreti studi sul pendolarismo, e se, in caso contrario, si intenda avviare al più presto uno studio mirato sul grado di soddisfazione della mobilità su ferro da parte di chi ne usufruisce ogni giorno;
   se intenda intervenire, per quanto di propria competenza, sulla rimodulazione degli orari e dell'organizzazione ferroviaria al fine di scongiurare tagli che recherebbero ulteriori disagi soltanto ai cittadini;
   quali iniziative intenda intraprendere, con urgenza, per potenziare tutto il servizio di trasporto su ferro italiano a prescindere dalla rete per l'alta velocità, rilanciando un servizio quanto mai necessario nel nostro Paese e promuovendo la mobilità sostenibile in Italia.
(2-00272) «Gagnarli, Artini, Baldassarre, Segoni, Bonafede».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, BENEDETTI, L'ABBATE, TERZONI, ZACCAGNINI, LUPO, PARENTELA, LIUZZI, SCAGLIUSI, MASSIMILIANO BERNINI e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 62 del decreto legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «decreto liberalizzazioni») convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012 ha introdotto l'obbligo dei contratti scritti nelle transazioni agricole e alimentari e termini di pagamento di 30 giorni per i prodotti reperibili e 60 per quelli non deperibili;
   la ratio del citato articolo 62 era quella di limitare il potere contrattuale da parte delle imprese acquirenti (in generale identificate con la grande distribuzione), proteggendo la filiera alimentare italiana indebolita dalla crisi;
   la regolamentazione di tali rapporti è stata da tempo oggetto di analisi e dibattito e l'articolo 62 sembrava aver posto diversi punti fermi sulla questione. Invece, poco dopo la sua approvazione è di fatto emerso un vero e proprio scontro tra il ministero dello sviluppo economico e quello delle politiche agricole. Il primo ha di fatto dichiarato abrogata la norma mentre il secondo ne ha difeso la piena legittimità ed operatività;
   rispondendo a quanto si apprende ad un quesito posto sulla questione da Confindustria il Ministero dello sviluppo economico con un parere espresso dal suo ufficio legislativo ha dichiarato «di fatto» abrogato l'articolo 62 del decreto legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «Decreto liberalizzazioni») convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2012. Tra le motivazioni di tale «cancellazione di fatto» ci sarebbe il recepimento della direttiva comunitaria sui pagamenti che ha introdotto una disciplina più flessibile riguardo alle transazioni tra le imprese quindi, sostiene il Ministro dello sviluppo economico «la disciplina di cui all'articolo 62 dovrebbe essere disapplicata per contrasto con il sopravvenuto diritto europeo»;
   da parte sua il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha, tramite il proprio ufficio legislativo, ribadito la piena operatività della norma perché l'articolo 62 si pone in un rapporto di specificità rispetto alla previsione di carattere generale delineata con la direttiva europea;
   il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali ha ricordato anche che «il principio contenuto in una normativa speciale risulta insuscettibile di essere abrogato tacitamente o implicitamente da una norma generale» e a questo proposito ha portato a sostegno della sua tesi: sentenze di Cassazione, norme comunitarie che autorizzano «disposizioni più favorevoli al creditore» e anche un parere del Consiglio di Stato;
   contro il parere del Ministro dello sviluppo economico si sono espresse diverse associazioni di industriali ed agricoltori. Il vicepresidente di Assocarni ha dichiarato: «inconsistente la base giuridica con cui un funzionario del ministero dello Sviluppo economico pretende di mettere in discussione una legge dello Stato e un obiettivo politico dichiarato prioritario e importante dai ministri delle Politiche agricole e dello Sviluppo economico» aggiungendo: «Può succedere solo in un paese come l'Italia che due ministri di un Governo annuncino come un importante obiettivo portato a casa quello di aver finalmente moralizzato i termini di pagamento dei prodotti alimentari e che un secondo prima della scadenza di tale Governo un solerte funzionario sostenga l'assenza di base giuridica di un provvedimento tra l'altro giudicato pienamente legittimo dallo stesso Consiglio di Stato»;
   Federalimentari da parte sua si è augurata che: «le divergenze interpretative vengano ricomposte, come sono state a suo tempo rapidamente modificate e migliorate le disposizioni che avevano dato luogo a difficoltà e complessità applicative con l'introduzione di opportune semplificazioni»;
   «l'articolo 62 è legge dello Stato ed è stato rispettato dall'industria alimentare, così come ci risulta da parte delle altre componenti della filiera, fin dalla sua entrata in vigore lo scorso 24 ottobre 2012, contribuendo a generare liquidità a favore, in particolare, delle pmi»;
   di certo su una questione così delicata tutto era necessario tranne che creare una situazione di incertezza e confusione, il contrasto emerso tra i due Ministeri coinvolti appare davvero come un vero e proprio controsenso sul piano politico, istituzionale e giuridico;
   sarebbero esistiti ed esistono comunque diversi punti specifici della norma su cui si dovrebbe fare chiarezza: per esempio occorrerebbe chiarire che cosa si intenda ad esempio con il principio di proporzionalità che deve essere applicato ai contratti tra le imprese, quali beni rientrano nella categoria definita deperibile, e a quali soggetti la normativa definita dall'articolo 62 si deve applicare. Su quest'ultimo punto Confcommercio ha diramato un comunicato sottolineando che la norma «attuativa dell'articolo 62 viene [...] indirizzata alle casistiche di rapporti commerciali con particolare riferimento alle relazioni economiche tra gli operatori della filiera connotate da un significativo squilibrio nelle rispettive posizioni di forza commerciale [...] se ne può dedurre che la norma risulta riferibile e applicabile alle sole relazioni economiche nelle quali sia chiaramente rilevabile lo «squilibrio di potere commerciale». Su tutti questi punti sarebbe stato ed e continua ad essere necessario fare chiarezza;
   su tutti questi e su altri aspetti che si sarebbero dovuti approfondire in senso costruttivo si è abbattuta la diatriba ad avviso degli interroganti paradossale tra i due Ministeri;
   è il caso di ricordare che sono in gioco migliaia di posti di lavoro, non si tratta di una questione tecnica di poco conto, la sua soluzione può determinare effetti enormemente positivi su tutto il settore ma è fondamentale che si faccia immediatamente chiarezza;
   appare necessario equilibrare il settore, difendere e proteggere la filiera italiana duramente colpita dalla crisi, riuscire a garantire, comunque, il necessario contenimento dei prezzi all'acquisto per i cittadini –:
   quale sia la situazione attuale, come sia stato possibile che due Ministeri siano entrati in evidente e palese contrasto tra loro creando una situazione di enorme confusione e quale sia l'interpretazione corretta a cui fare riferimento rispetto all'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «Decreto liberalizzazioni») convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2012;
   che cosa si intenda con il principio di proporzionalità esplicitato dall'articolo 62 che deve essere applicato ai contratti tra le imprese, quali beni rientrino nella categoria definita deperibile, sempre ai sensi di quanto disposto dall'articolo 62, e a quali soggetti la normativa definita dall'articolo 62 si debba applicare. (5-01327)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 15 dicembre 2009 un terremoto di magnitudo 4.2 ha gravemente lesionato la frazione di Spina nel comune di Marsciano (Perugia);
   purtroppo si sta ripetendo un fatto simile a quanto già accaduto per l'esenzione dell'IMU a carico dei fabbricati resi inagibili dal sisma suddetto; infatti mentre tale esenzione era stata concessa per l'Abruzzo e successivamente per l'Emilia Romagna, per il terremoto di Marsciano, solo dopo molteplici sollecitazioni, gli organi deputati hanno previsto con un provvedimento normativo apposito, inserito nel decreto-legge denominato «Mille Proroghe», che ponesse uguaglianza di trattamento fra il terremoto di Marsciano e gli altri;
   gli interventi di ricostruzione da realizzare da parte dei soggetti privati all'interno del PIR di Spina, saranno assoggettati, permanendo la legislazione vigente e qualora l'importo dei lavori superi un milione di euro, alle previsioni di cui all'articolo 32, comma 1, lettere d) ed e), del codice dei contratti 12 aprile 2006, n. 163, che prevede, per l'affidamento dei lavori, l'applicazione delle complesse procedure valide per i lavori pubblici mentre quelli già autorizzati per l'Abruzzo e l'Emilia Romagna da realizzare sugli immobili privati all'interno del Progetto integrato di recupero (PIR) in questione saranno svolti con atti di natura privatistica;
   trattandosi di contributi in conto dei lavori necessari per le abitazioni danneggiate per portarle ad un livello di sicurezza di almeno il 60 per cento e che i proprietari dovranno comunque sostenere, con propri mezzi, il maggior costo necessario per il completamento degli stessi lavori, è quindi evidente che solo con contratti di natura privatistica sarà possibile garantire l'efficiente ed utile impiego di risorse pubbliche e si potrà garantire un rientro nelle proprie abitazioni in tempi accettabili e celeri;
   a parere degli interroganti, sarebbe più agevole che per cittadini residenti in Umbria, colpiti dal sisma, che hanno subito lo stesso evento calamitoso non debbano sistematicamente richiedere appositi trattamenti in deroga alle leggi già vigenti –:
   quali iniziative anche di tipo normativo in analogia a quanto già attuato per le altre aree colpite da analoghi eventi calamitosi, intenda adottare il Ministro interrogato per favorire e agevolare celermente i processi di ricostruzione e di rinascita delle zone del comune di Marsciano colpite dal recente sisma del 2009. (5-01334)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Aeroporto internazionale dell'Umbria «San Francesco d'Assisi», che esiste da oltre 50 anni, è stato da poco sottoposto ad un importante intervento di ammodernamento costato 42,5 milioni di euro di cui 27 milioni a carico della Presidenza del Consiglio, 3 milioni a carico Enac e 12,5 a carico della regione Umbria;
   sebbene si registri un netto aumento del traffico passeggeri nel 2012, con un incremento del 15 per cento che ha registrato un +8,7 per cento sulle rotte nazionali, +16,9 per cento su quelle internazionali e +19,7 per cento di passeggeri executive ed aviazione generale, suddetto aeroporto conta un traffico aereo di circa 200 mila passeggeri l'anno;
   non raggiungendo le 500 mila presenze annue, come disposto nel «piano aeroporti» messo in atto dall'ex Ministro dei trasporti Passera, l'aeroporto San Francesco d'Assisi sarà declassato da aeroporto internazionale ad aeroporto regionale;
   tale declassamento comporterà il mancato rinnovo della convenzione ventennale che garantisce vigili del fuoco, controllori di volo Enac, sicurezza ai varchi e dogana, i cui costi ora andranno a carico della regione Umbria;
   l'aeroporto è sotto il controllo di SASE spa società per il potenziamento e la gestione dell'aeroporto regionale umbro S. Egidio spa, che è stata costituita in data 14 dicembre 1977, su iniziativa del comune di Perugia, con un azionariato formato da enti locali, istituzioni pubbliche e privati;
   il bilancio di SASE spa vede per il 2012 un disavanzo di 748.131 euro, disavanzo che comunque segnala una riduzione della perdita di circa il 16 per cento rispetto all'esercizio precedente;
   da diverse fonti stampa si apprende che la regione Umbria vorrebbe intervenire per modificare il «piano Passera» e l'assessore Rometti, con deleghe ai trasporti, avrebbe già aperto un tavolo con il Ministro interrogato;
   la governatrice dell'Umbria Marini ha il compito di redigere il parere che deve essere approvato dal Comitato delle regioni dell'Unione europea nell'ambito dell’iter avviato dalla Commissione per la revisione delle linee guida per il finanziamento degli aeroporti e gli aiuti pubblici di avviamento alle compagnie aeree operanti su aeroporti regionali;
   nello scorso mese di giugno si è fatto avanti un nuovo socio pronto ad acquisire la SASE facendo un'offerta di un milione di euro, circa un terzo del capitale della società. Si tratta della famiglia Panerai, proprietaria dell'omonima azienda che produce orologi e protagonista anche del settore moda con il marchio marina militare;
   si tratta di una richiesta ufficiale di fronte alla commissione Bilancio del comune di Perugia, ma condizionata al rilascio da parte di Enac della concessione ventennale che Sase sta aspettando da molto tempo;
   da diverse fonti stampa emerge l'intenzione di assegnare nuove rotte aeree all'aeroporto di Perugia, ma non appare chiara la reale aderenza con le attività programmatiche dell'assessorato al turismo della regione Umbria –:
   quali siano le ragioni che hanno spinto ad un tale oneroso investimento per l'ammodernamento dell'aeroporto di Perugia, considerando l'insufficiente quantità annuale di passeggeri dichiarati che ne avrebbe, quindi, declassato la portata;
   quali siano le modalità di dichiarazione dei passeggeri da parte della SASE spa;
   quali siano le reali condizioni di bilancio della SASE spa, società a partecipazione pubblica della quale i cittadini hanno diritto a conoscere i movimenti economici. (5-01335)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CASO, ALBERTI, CATALANO, CARINELLI, COMINARDI, TRIPIEDI, SORIAL e CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2012, i consiglieri comunali Vittorio Bertola e Chiara Appendino hanno, con un'interpellanza, sollevato il dubbio che il rapporto di parentela tra il city manager di Torino e alcuni dipendenti del comune e di società collegate potesse far pensare alla presenza di un sistema nepotistico;
   nel dicembre 2012, una sentenza del Consiglio di Stato ha annullato il concorso per la nomina di 21 dirigenti al comune di Torino (risalente al 2010) a causa della presenza di atti amministrativi illegittimi. Dalle indagini, secondo il gip Alessandra Bassi, è emersa «la piena consapevolezza da parte di alcuni vertici del Comune che nella procedura del concorso erano state compiute delle irregolarità»;
   nel dicembre 2012, nonostante la sentenza del Consiglio di Stato, Cesare Vaciago, con due determine ha riassunto 12 dei 21 dirigenti nominati attraverso il concorso sopracitato. A tal proposito, i sindacati hanno emesso il seguente comunicato stampa: «Le OO.SS. ritengono tali atti illegittimi perché privi delle firme del Direttore Finanziario e del Direttore delle Risorse Umane. Gli stessi atti sono antisindacali nel loro contenuto, in quanto non rispettano le vigenti norme contrattuali. La spesa prevista, che ammonta a circa 400 mila euro è a totale carico del Fondo dei dipendenti, già ridotto a causa della grave situazione del Comune di Torino. Se tali determine non verranno immediatamente ritirate, le OO.SS. saranno obbligate a ricorrere alle vie legali per il rispetto delle norme contrattuali vigenti»;
   nel febbraio 2013, il gip di Torino ha ordinato alla procura di formulare un capo d'accusa per il city manager del comune, Cesare Vaciago, in relazione al concorso sopracitato;
   nell'aprile 2013, il consiglio comunale di Torino, in merito al procedimento penale a carico dell'ex direttore generale dell'amministrazione comunale in relazione a quanto accaduto durante il concorso per dirigenti del luglio 2010 annullato dal Consiglio di Stato, ha invitato il sindaco (nella veste di rappresentante legale del comune di Torino) a costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico di Cesare Vaciago. La Sala Rossa ha approvato due mozioni sullo stesso tema: la prima, dei gruppi di opposizione, chiede la tempestiva costituzione di parte civile della Città ed ha ottenuto 16 voti favorevoli, 15 contrari e due astensioni; la seconda, dei gruppi di maggioranza, è stata approvata con 17 voti favorevoli e 4 astenuti e chiede la nomina di un difensore dell'avvocatura comunale per ottenere copia degli atti del procedimento e la successiva costituzione del comune di Torino come parte civile;
   nel maggio 2013, il gup Elisabetta Chinaglia, durante l'udienza preliminare, ha rinviato a giudizio Cesare Vaciago per l'ipotesi di reato di abuso d'ufficio nell'ambito dell'inchiesta sul concorso per dirigenti del comune di Torino del luglio 2010, nel quale era stato nominato presidente per indirizzo politico;
   nel giugno 2013, il commissario generale di sezione per l'Italia, dottoressa Diana Bracco, d'intesa con l'amministratore delegato di Expo 2015 S.p.A., dottor Giuseppe Sala, ha attribuito l'incarico di direttore del Padiglione Italia di Expo 2015 all'ingegner Cesare Vaciago;
   numerosi quotidiani nazionali, tra cui il Fatto quotidiano e la Repubblica, hanno pubblicato documenti ed intercettazioni che sollevano forti perplessità sulla condotta dell'ex dirigente del comune di Torino;
   il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha, in più occasioni, ribadito che «Expo 2015 rappresenta il cuore delle possibilità di ripresa per l'Italia» e che sarà un'occasione fondamentale per «dare del nostro Paese un'immagine attrattiva che poi crei anche, in prospettiva, posti di lavoro»;
   viste le vicende giudiziarie che riguardano Cesare Vaciago risultano incomprensibili i criteri seguiti per l'affidamento dell'incarico di direttore del Padiglione Italia di Expo 2015, considerando che si tratta di un incarico che richiede precisi requisiti di correttezza, in particolar modo quando si è chiamati, come nel caso di specie, ad occuparsi della gestione della vetrina del made in Italy –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti esposti e se intenda adottare iniziative in proposito, in particolare se ritenga opportuno adottare la decisione di sollevare Cesare Vaciago dall'incarico di direttore del Padiglione Italia di Expo 2015 affinché l'immagine pubblica dell'Italia all'estero non venga offuscata. (4-02352)


   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, SIBILIA, DI BATTISTA e GRANDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 12 luglio 2013, in una nota di Palazzo Chigi è stato testualmente riportato che: «A seguito della revoca del provvedimento di espulsione, che verrà immediatamente resa nota alle autorità kazake attraverso i canali diplomatici la signora Alma Shalabayeva potrà rientrare in Italia, dove potrà chiarire la propria posizione»;
   inoltre, non è stato ancora chiarito perché l'aeromobile per il rientro in Kazakhistan non fosse un volo di linea ma un aeromobile austriaco noleggiato dalle autorità e/o dall'ambasciata kazaka, attraverso una procedura piuttosto anomala –:
   quali siano le cause ostative, malgrado siano trascorsi 3 mesi, dalle rassicurazioni citate di cui alla nota citata in premessa, che ancora oggi non permettono il ritorno della signora Shalabayeva e di sua figlia Alua in Italia;
   se effettivamente il provvedimento di espulsione sia stato revocato o meno;
   se l'aereo che ha riportato la signora Shalabayeva in Kazakhistan sostasse nell'area di pertinenza civile o militare dell'aeroporto di Ciampino;
   se l'aeromobile in questione sia stato autorizzato dall'ENAC ovvero da altro ente. (4-02353)


   AGOSTINELLI, PARENTELA, TERZONI, TOFALO e CECCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Marche ha autorizzato un impianto di trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi nel territorio del comune di Maltignano sulla sponda destra del fiume Tronto in due fasi: inizialmente alla ditta CEDI con delibera di Giunta regionale n. 2323 del 28 settembre 1998 per il trattamento chimico fisico (D9) e biologico (D8) di rifiuti speciali con contestuale dichiarazione di compatibilità paesistico ambientale ai sensi dell'articolo 63-bis e 63-ter delle nuove tecniche di attuazione del piano paesistico ambientale regionale; ed in una fase successiva è stato autorizzato, sempre dalla regione Marche, al Piceno Consind con delibera di giunta regionale n. 1227 del 24 maggio 1999 con contestuale dichiarazione di compatibilità paesistico ambientale ai sensi degli stessi articoli del piano paesistico ambientale regionale, per l'esercizio di attività di trattamento chimico fisico di rifiuti speciali e pericolosi; all'epoca del rilascio delle suddette autorizzazioni regionali era già in vigore il decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 che disciplinava a livello nazionale l'applicazione delle procedure di valutazione impatto ambientale VIA per le tipologie progettuali come quella in argomento ed inoltre erano già state istituite le norme di salvaguardia, adottate poi dal piano di assetto idrogeologico Tronto nell'ottobre del 1998 per le aree esondabili ed in frana;
   nonostante ciò i progetti di cui alle autorizzazioni rilasciate dalla regione Marche non vennero assoggettati a procedura VIA tanto è vero che, dopo il trasferimento delle competenze dalla regione alle province, avvenuto nel 2002, la ditta, che nel frattempo era subentrata nella gestione dell'impianto, nelle more dell'ottenimento della autorizzazione ambientale integrata AIA ed in prospettiva di ampliare la propria attività, inoltrò in data 18 novembre 2003 istanza di apertura di procedimento VIA alla provincia in quanto ente diventato competente;
   la provincia di Ascoli Piceno ha conseguentemente avviato il procedimento con la convocazione di diverse conferenze di servizi finalizzate ad individuare una linea strategica comune e condivisa da tutti gli enti interessati al fine di consentire il riavvio e la conclusione della procedura propedeutica al rilascio della autorizzazione ambientale integrata AIA;
   durante lo svolgimento dell’iter burocratico sono sorte insormontabili criticità generate dalla presenza di vincoli di natura idro-geologica non considerati nelle originarie autorizzazioni regionali con particolare riferimento al fatto che l'area ove è ubicato l'impianto è classificata dal vigente piano di assetto idrogeologico Tronto (le cui norme di salvaguardia erano vigenti all'epoca della originaria autorizzazione) come a rischio di esondazione «elevato E3», e le norme tecniche di attuazione relative non consentono la presenza di tali impianti, così come pure il piano provinciale dei rifiuti che vieta espressamente la presenza di discariche ed impianti di trattamento nelle aree a rischio di esondazione;
   per tali motivi, attualmente la procedura VIA posteriore all'insediamento dell'impianto, risulta essere sospesa come pure il rilascio dell'autorizzazione ambientale AIA; ma nonostante ciò l'impianto della ditta interessata continua ad esercitare la propria attività di trattamento di rifiuti pericolosi, tra l'altro, con una potenzialità ben al di sopra delle capacità della zona industriale di Ascoli Piceno, ricevendo rifiuti pericolosi da tutta Italia;
   nonostante ciò la ditta interessata ha richiesto un incremento del trattamento dei rifiuti liquidi pericolosi (Conferenza dei Servizi del 5 dicembre 2011) fino a 12 mc/h considerando 10 ore lavorative, quando per l'Arpam il limite è di 50 mc/giornalieri ovvero di 5 mc/h per 10 ore lavorative;
   va evidenziato che nella stessa zona non ha superato la procedura di VIA l'impianto di trattamento rifiuti proposto nell'anno 2009 da altra società che ha capannoni e strutture realizzate ad una quota di circa 1,2 metri più in alto rispetto a quello della ditta interessata in quanto gli organi tecnici hanno definito quella zona come ad elevato rischio d'esondazione e quindi incompatibile per la localizzazione di impianti di trattamento rifiuti;
   con determinazione dirigenziale n. 11724 del 26 novembre 2012 la provincia ha accolto la richiesta di revoca dell'istanza di Valutazione di Impatto ambientale da parte della Uniproject s.r.l.;
   ai sensi del comma 1 dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 4 del 2008, «La valutazione di impatto ambientale costituisce, per i progetti di opere ed interventi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione»;
   ai sensi del summenzionato comma 1, «I provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge»;
   ai sensi del comma 5 dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 4 del 2008, è fatto divieto di avvio dei lavori in assenza dei provvedimenti di VIA;
   lo stesso decreto legislativo n. 4 del 2008 prevede al comma 3 dell'articolo 4 «La valutazione ambientale di piani, programmi e progetti ha la finalità di assicurare che l'attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, e quindi nel rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della salvaguardia della biodiversità e di un'equa distribuzione dei vantaggi connessi all'attività economica. Per mezzo della stessa si affronta la determinazione della valutazione preventiva integrata degli impatti ambientali nello svolgimento delle attività normative e amministrative, di informazione ambientale, di pianificazione e programmazione»;
   viene altresì preclusa ogni eventuale remota possibilità di adire con un procedimento di VIA «postumo», ossia di procedere alla valutazione d'impatto ambientale successivamente al rilascio del provvedimento di autorizzazione o approvazione di un determinato progetto, poiché lo stesso provvedimento risulta mancante di una sua parte preponderante che ne determina l'illegittimità integrale e non sanabile, di cui al citato comma 1 dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 4 del 2008, come già evidenziato e motivato nel parere del 24 settembre 2012 (Allegato 01), nonché confermato, anche recentemente, da comprovata e copiosa giurisprudenza nazionale ed europea. Il procedimento di VIA è per la sua propria natura e per la sua configurazione normativa, un mezzo preventivo di tutela dell'ambiente;
   alla luce di quanto sopra, la situazione di cui trattasi appare proceduralmente insanabile e, pertanto, risulterebbe impossibile rimuovere le situazioni di illegittimità e/o di non conformità al rispetto delle normative vigenti senza prevedere la cessazione della attività in essere, la messa in pristino e del sito e tutti gli atti conseguenti;
   l'esercizio di una attività senza VIA ed AIA nonostante l'obbligo previsto dalle normative e la eventuale mancanza delle tutela ambientali e sanitarie previste nelle normative statali e comunitarie, costituiscono un mancato rispetto della normativa comunitaria, ed espongono lo Stato italiano a possibile procedura di infrazione comunitaria –:
   se il presidente del Consiglio ed i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali azioni i Ministri interrogati intendano mettere in campo per risolvere le criticità sopra evidenziate, e se, nel caso, ritengono che ricorrano le condizioni anche per un possibile intervento in esercizio dei poteri sostituti previsti dall'articolo 120 della Costituzione posto il rischio di una procedura di infrazione comunitaria.
(4-02354)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA, SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, DI BENEDETTO e DELL'ORCO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto anticrisi varato il 1° luglio del 2009, il Ministro dell'economia e delle Finanze pro tempore, Giulio Tremonti, promosse nuovi parametri che hanno dato vita ad una sorta di black list più ampia di quella dell'Ocse, già recepita dalla legislazione italiana, in tema di evasione e di mancata trasparenza bancaria e fiscale;
   in questo elenco fu inserita anche la Repubblica di San Marino;
   da allora si è assistito ad un crollo degli interscambi commerciali tra il nostro Paese e San Marino, dovuto al fatto che, a fronte del fatto che le esterovestizioni a San Marino di alcune aziende italiane sono poi rimpatriate, i soggetti commerciali nazionali vivono il timore di avere relazioni con i partner sammarinesi;
   questo clima di sfiducia ha generato ripercussioni negative anche sui 6000 italiani che attualmente lavorano a San Marino, i cosiddetti «frontalieri»;
   secondo i dati forniti dal segretario al lavoro della Repubblica di San Marino, la disoccupazione è cresciuta negli ultimi 5 anni del 230 per cento e dal 2008 hanno chiuso i battenti 1.157 attività;
   le informazioni, che vengono diffuse dagli organi d'informazione sammarinesi circa una imminente uscita dalla black list italiana in virtù di alcuni accordi a cui starebbero dando vita i due Stati, sono insufficienti e frammentarie –:
   a che punto sia, ad oggi, il percorso di uscita, per San Marino, dalla black list italiana e quali siano le modalità e i tempi previsti per la conclusione di questo iter. (4-02340)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA e CIPRINI. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   per dumping si intende la vendita di un servizio o di un bene su di un mercato estero (mercato di importazione) ad un prezzo inferiore rispetto quello di vendita o, addirittura, a quello di produzione del medesimo prodotto sul mercato di origine (mercato di esportazione);
   fenomeni di dumping danneggiano le imprese comunitarie che hanno enormi costi di produzione che si riversano inevitabilmente sui costi finali, e per tali ragioni l'Unione europea ha inserito nel corso degli anni molte misure di difesa commerciale, definite dazi antidumping;
   i prodotti o servizi coinvolti nei fenomeni di dumping commerciale sono i più diversi e molto spesso mettono in pericolo settori di punta del mercato europeo e, più specificamente, del nostro made in Italy (vedi il settore manifatturiero, tessile, energetico o agroalimentare);
   ad esempio nel 2011 molte aziende europee leader nel settore del fotovoltaico hanno richiesto alla Commissione europea di avviare un'indagine volta a verificare se il Governo cinese conceda sussidi impropri ai produttori di pannelli solari destinati all'esportazione nell'area dell'Unione europea, la Commissione europea deciderà entro dicembre se prolungare l'applicazione di dazi anti-dumping provvisori all'importazione nel mercato comunitario di prodotti fotovoltaici cinesi per la durata di cinque anni;
   relativamente al settore agricolo, il valore dei prodotti italian sounding o del dumping agroalimentare, venduti sui mercati esteri, ma non di origine italiana, è pari a 60 miliardi di euro annui, a fronte di un'esportazione complessiva di prodotti agroalimentari realmente italiani che ammonta a 20 miliardi annui;
   il Comitato Antidumping della Commissione Europea ha approvato nel luglio 2013 la proroga per altri 5 anni dei dazi antidumping in vigore dal 2007 sul mais dolce in scatola importato nell'Unione europea dalla Tailandia;
   è attualmente in vigore un dazio antidumping specifico per l'importazione di agrumi dalla Cina, introdotto per la prima volta nel 2008 a seguito del ricorso da parte della Spagna;
   alcuni giorni fa la Commissione europea ha dichiarato di voler alleggerire le misure di difesa commerciale per agevolare la debole ripresa economica europea, ma ciò, a parere dell'interrogante, rischierebbe al contrario di danneggiare le imprese comunitarie;
   l'eliminazione del protezionismo sarebbe una valida soluzione in un mercato in cui tutti i concorrenti avessero le stesse regole, ma questa non è evidentemente la situazione attuale;
   oltre al dumping, un altro fenomeno che limita la possibilità di crescita dell'economia europea è quello della contraffazione o delle frodi agroalimentari, che riguardano i prodotti importati da Paesi terzi magari lavorati con prodotti vietati all'interno dell'Unione europea o addirittura con organismi geneticamente modificati;
   in considerazione della concorrenza sleale che le importazioni in dumping causano alle nostre aziende, sarebbe opportuna l'adozione di adeguate misure di compensazione al fine di salvaguardare i produttori comunitari –:
   di quali ulteriori elementi dispongano i Ministri interrogati con riferimento a quanto espresso in premessa e se non ritengano opportuno intervenire, presso le competenti sedi comunitarie, affinché l'Unione europea garantisca la leale competizione delle aziende europee ed italiane del settore agroalimentare e non solo, attraverso l'adozione di adeguate misure di difesa commerciale;
   se non ritengano opportuno aumentare i controlli sulle derrate alimentari considerati i casi di sofisticazione alimentare e commercializzazione di prodotti pericolosi per l'alimentazione difendendo così i prodotti europei, il cui costo è maggiore grazie anche al diritto ad un salario equo conquistato dalla stragrande maggioranza dei lavoratori europei. (5-01336)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   l’European Environment Agency dichiara che, nonostante la riduzione delle emissioni e delle concentrazioni di alcuni inquinanti in atmosfera osservata negli ultimi decenni, il rapporto 2013 (Air quality in Europe – 2013 report) mostra come il problema dell'inquinamento atmosferico in Europa sia ben lungi dall'essere risolto. Particolato e ozono continuano ad essere causa di troppi problemi respiratori, malattie cardiovascolari e di una minore aspettativa di vita;
   la fotografia scattata dall'AEA sulla qualità dell'aria nel 2013 si presta a letture molto diverse: se si prendono in considerazione i limiti attualmente in vigore nei Paesi dell'Unione europea, il quadro – per quanto disomogeneo e con ampi margini di miglioramento – non pare catastrofico: il dato peggiore riguarda il Pm10, per il quale l'AEA stima che la percentuale di cittadini esposta a livelli di particolato fuorilegge si attesti fra il 22 e il 33 per cento. Leggermente più bassa la stima per il Pm2.5 (tra 20 e 31 per cento) e per il benzo(a)pirene (22-31 per cento). Meglio l'ozono (14-18 per cento) e il biossido d'azoto – nonostante la questione dei motori diesel (tra il 5 e il 13 per cento). Al di sotto del 2 per cento benzene, piombo biossido di zolfo e monossido di carbonio;
   se però si fa riferimento alle soglie limite più recenti individuate dall'Organizzazione mondiale della sanità, le risultanze cambiano: oltre il 90 per cento dei cittadini europei vivono esposti a livelli di particolato considerati dall'Organizzazione mondiale della sanità dannosi per la salute. In particolare, la fascia di popolazione esposta sarebbe compresa tra il 91 e il 96 per cento per il Pm2.5, e tra l'85 e l'88 per cento per il Pm10. Percentuali ancora più alte per l'ozono, che raggiunge addirittura il 97-98 per cento, e un po’ più basse per il benzo(a)pirene: 76-94 per cento. La stima del biossido d'azoto non può che coincidere con quelli dei parametri dell'Unione europea, visto che i limiti sono rimasti gli stessi. Sale invece in modo significativo biossido di zolfo, che passa da una percentuale inferiore a 1 al 46-54 per cento;
   per quanto riguarda l'Italia, l'Associazione genitori antismog evidenzia che nel nostro Paese si violano i limiti di quasi tutti gli inquinanti atmosferici previsti dalla normativa europea. L'Italia è in cima alla classifica dei Paesi in cui il limite del PM10 è superato più frequentemente, oltre a essere tra i Paesi nei quali nel 2011 è stato superato anche il valore-obiettivo per il PM2.5;
   non è tuttavia questo l'unico primato italiano: il nostro Paese ha registrato il valore più alto d'Europa per l'ozono, pari a tre volte il valore-obiettivo fissato. A livello europeo, secondo l'EAA, l'ozono ha un impatto sulla produzione agricola pari ad una perdita di 27 milioni di tonnellate di grano. La situazione italiana, dunque, dove si registrano violazioni per il monossido di carbonio, il biossido di azoto, il nichel, il Benzene e il Benzo[a]pirene, è così grave da dover richiamare l'attenzione di chi governa affinché il tema dell'aria venga posto come prioritario;
   il rapporto dell’European Environment Agency evidenzia che nuove evidenze scientifiche dimostrano la gravità dell'impatto sanitario a livelli anche molto inferiori a quelli normativamente previsti. A questi dati si aggiungono quelli che indicano che in Italia il solo costo sanitario legato all'inquinamento dell'aria si attesta fra 50 e 151 miliardi di euro annui. Tale inquinamento causa 65.000 morti premature –:
   con quali risorse e con quale tempistica si intenda intervenire sulla mobilità sostenibile, oltre che sulle politiche energetiche e industriali affinché non ci sia conflitto con il diritto dei cittadini a respirare aria pulita.
(2-00270) «D'Ambrosio».

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno il fiume Pescara riversa alla foce una quantità di 50 mila metri cubi di materiale (fanghi, sabbia e altri detriti) e per evitare l'insabbiamento della foce sono attualmente in corso i lavori di dragaggio del fiume;
   si apprende a mezzo stampa che il comandante della direzione marittima Luciano Pozzolano e i docenti dell'università D'Annunzio esperti in geologia denunciano l'insufficienza di tale azione sostenendo che senza manutenzione costante e senza interventi strutturali si rischia di precipitare all'emergenza del 2011 quando scattò la chiusura del porto con gravissimi disagi per il commercio locale. Gli stessi, chiedono, inoltre, alle istituzioni locali, l'approvazione immediata del Prp (piano regolatore portuale) come primo intervento urgente per pianificare il lavoro di manutenzione;
   il dragaggio in corso porterà via 250 mila metri cubi di fanghi dal fondale e calcolando che ogni anno il fiume porta con sé almeno 50 mila metri cubi di detriti, nel giro di una manciata di anni il caso si ripresenterà nuovamente;
   per questo, rispetto all'emergenza che il fiume sta vivendo, è necessario garantire un progetto di medio termine per evitare l'insabbiamento e consentire i normali traffici commerciali e turistici della città;
   inoltre secondo un rapporto della forestale, lungo il Pescara sono censiti 116 scarichi abusivi: sono necessarie soluzioni tecniche per evitarlo, oltre che l'immediata bonifica dei siti contaminati e delle discariche a ridosso dell'alveo fluviale –:
   se non intenda convocare il commissario straordinario al fiume Pescara, la regione Abruzzo, gli enti locali e le parti sociali per studiare soluzioni volte al superamento del problema dell'insabbiamento dell'alveo del fiume Pescara ed evitare il ripetersi di tale emergenza.
(3-00411)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, ZACCAGNINI, DE ROSA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, ZOLEZZI, GAGNARLI, TERZONI, L'ABBATE, CIPRINI, TOFALO, DAGA, SEGONI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo e la promozione di fonti di energia rinnovabile sono fondamentali per il futuro del nostro Paese;
   l'energia eolica, solare e fotovoltaica dovranno trovare una strada privilegiata nel territorio italiano che, in base alle sue caratteristiche geomorfologiche, si presta allo sviluppo di queste energie naturali, ma mantenendo necessariamente le peculiarità paesaggistiche, naturalistiche, ambientali e culturali;
   molti impianti, infatti, spesso invadono aree protette o di particolare importanza per la produzione agricola o la bellezza del paesaggio; basti pensare alle distese di pannelli solari che occupano centinaia di ettari del territorio agricolo ormai fondamentale per la produzione di cibo, nonché impianti eolici di grandi dimensioni che stanno arrecando danni ambientali non più sopportabili in molte regioni del Paese;
   uno dei casi che stanno suscitando maggiore interesse nelle ultime settimane è quello dei due impianti eolici ravvicinati sul Monte Peglia, in vista del duomo di Orvieto, una delle città simbolo del nostro Paese;
   si tratta, nel dettaglio, di due impianti eolici alti più di 150 metri dal suolo, tre volte l'altezza del duomo di Orvieto, costituiti uno da una centrale eolica in località «Poggio della Cavallaccia», con otto aereogeneratori – tre nel territorio comunale di Parrano (Terni) e cinque in quello San Venanzo (Terni), per una potenza complessiva di 18,4 megawatt; l'altro da una analoga centrale eolica in località «La Montagna», nel comune di San Venanzo (Terni) con dieci aereogeneratori, per una potenza complessiva di 23 megawatt;
   il progetto è stato presentato a luglio 2012 alla provincia di Terni per il rilascio dell'autorizzazione unica alla costruzione e l'esercizio dei due impianti di cui al decreto legislativo n. 387 del 2003 (decreto Bersani) da parte della società napoletana Innova Wind s.r.l.;
   molte e diverse sono state le opposizioni al progetto, da parte di cittadini, amministratori e associazioni ambientaliste. In data 13 aprile 2013 si è tenuta ad Orvieto in piazza del Duomo una imponente manifestazione nazionale di protesta di cui hanno dato notizia molti giornali locali e nazionali ed anche un servizio del TG2, edizione del secondo canale Rai delle ore 13;
   il Monte Peglia, infatti, appartiene al sistema territoriale di interesse naturalistico ambientale (S.T.I.N.A.) e con la selva di Meana comprende tre aree naturali protette separate tra loro, ma tutte ricadenti in un ambito più vasto di interesse naturalistico;
   secondo quanto si legge in un rapporto redatto dalla facoltà di agraria dell'università di Perugia «la cementificazione del Monte Peglia, l'abbattimento di migliaio di alberi, la trasformazione perenne della morfologia del territorio, oltre a un fortissimo impatto ambientale e allo sconvolgimento delle rotte dei numerosi uccelli migratori, porteranno alla alterazione irreversibile delle biocenosi presenti anche all'interno della zona a protezione integrale creando la totale desertificazione del territorio»;
   le associazioni ecologiste Amici della Terra, Italia Nostra, Gruppo d'Intervento giuridico onlus e diverse altre realtà associazionistiche nazionali e locali, nonché numerosi cittadini, ed il comune di Parrano hanno inoltrato, in data 21 febbraio 2013, uno specifico atto di opposizione al rilascio dell'autorizzazione unica per le due centrali eoliche motivando la richiesta con questioni di ricevibilità e procedibilità delle istanze;
   in particolare, nell'atto succitato si legge che:
    la realizzazione di centrali eoliche è assoggettata al preventivo e vincolante procedimento di valutazione di impatto ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni), quindi è privo di senso rilasciare un provvedimento di autorizzazione unica (che – per sua natura – costituisce autorizzazione definitiva alla realizzazione e all'esercizio di un impianto produttivo di energia rinnovabile) in assenza di una procedura di VIA conclusa positivamente;
    nel verbale della conferenza di servizi del 17 gennaio 2013 indetta dalla provincia di Terni, il rappresentante dell'unità operativa (U.O.) beni ambientali, piani comunali e VAS della provincia di Terni ha espresso parere negativo in quanto «si ritiene che il Progetto dovrà essere sottoposto a procedura di VIA sia per la consistenza dell'impianto sia per la valutazione di altre criticità, evidenziando fin da oggi che, dal punto di vista ambientale il parco eolico, per la sua collocazione in un'area ad alta esposizione panoramica, con una percezione visiva del paesaggio molto alta, rappresenterebbe un forte impatto negativo, pertanto da non attuare in questo territorio», ai sensi del piano territoriale di coordinamento provinciale (P.T.C.P.) della provincia di Terni (deliberazione consiglio provinciale n. 150 del 14 settembre 2000 e successive modificazioni e integrazioni). Analogo parere negativo è stato espresso dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Umbria sulla base anche del parere negativo della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Umbria per i danni indotti dalle opere ai valori paesaggistici e panoramici dell'intera area;
    i progetti di centrali eoliche sono ricompresi fra quelli delle aree proposte dalla provincia di Terni come siti non idonei all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili con delibera giunta provinciale n. 195 del 14 ottobre 2011, in quanto trattasi di siti ad alta esposizione panoramica, con una percezione visiva del paesaggio ben oltre i 20 chilometri di raggio considerati nei progetti;
    lo stesso comune di San Venanzo – analogamente a quanto fatto da altri undici comuni dell'area orvietana, anche non direttamente interessati dal progetto – ha espresso parere negativo, con deliberazione giunta comunale n. 19 del 23 gennaio 2013;
   l'8 aprile 2013, anche il consiglio provinciale di Terni si è espresso per fermare la realizzazione del parco eolico approvando un ordine del giorno in tal senso;
   in data 25 marzo 2013 una motivata richiesta di nuova riunione della conferenza dei servizi veniva inoltrata alla provincia di Terni a firma di ben 11 sindaci dei territori interessati dalle istanze e in data 13 aprile 2013 una diffida a nome di 22 associazioni ambientaliste e comitati di cittadini veniva anch'essa inoltrata alla provincia di Terni ed altri enti tra cui al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione pro tempore per verificare le regolarità dei procedimenti messi in atto dalla provincia di Terni in merito alla segnalata questioni di ricevibilità e procedibilità;
   è evidente che, sulla base di quanto esposto, l'impatto ambientale del parco eolico della Innova Wind di Napoli risulta molto alto e per alcuni tratti devastante, apparendo come un'aggressione all'ecosistema della zona e al paesaggio;
   sulla base delle considerazioni effettuate e delle motivazioni addotte dalle diverse associazioni ambientaliste, nonché da diverse amministrazioni locali, sarebbe opportuno verificare la piena correttezza dell’iter procedurale per l'installazione del parco eolico del Monte Peglia –:
   se siano a conoscenza della situazione esposta;
   se non si ritenga, in ogni caso, necessario avviare una seria riflessione sull'esigenza di rivedere il quadro normativo e autorizzatorio in tema di impianti eolici per la produzione di energia elettrica, in modo da garantire che la loro installazione non pregiudichi l'ambiente, il paesaggio e la tutela dell'avifauna, nel pieno rispetto dell'articolo 9 della Carta costituzionale;
   se il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione abbia assunto iniziative a seguito della diffida inoltrata il 13 aprile 2013;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per rivedere il sistema degli incentivi che oggi, per legge, assicurano rendite eccezionali a produttori di alcune energie rinnovabili e sono stati un modo sicuro per favorire la penetrazione del crimine organizzato nei relativi comparti (si veda da ultimo il caso Nicastri);
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per modificare la priorità di dispacciamento e gli obblighi di acquisto da parte del GSE (il gestore dei servizi di energia) anche per l'energia non immessa in rete, al fine di evitare il rischio di creare una categoria di imprenditori irresponsabili, che non devono confrontarsi col rischio d'impresa ma hanno profitti assicurati dallo Stato per 15/20 anni e sottraggono alla competizione del mercato la produzione di energia elettrica rinnovabile. (5-01328)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   un autorevole organo di stampa, la Gazzetta del Sud, ha pubblicato un articolo che denuncia una situazione di estrema gravità sociale e ambientale che si sarebbe creata nel comune di Siderno a causa della presenza, tra i rifiuti, di iodio 131;
   si tratta di un grave problema per la cittadinanza ma, soprattutto per gli operai addetti alla raccolta dei rifiuti, non tutelati e non attrezzati per affrontare il pericolo derivante da rifiuti radioattivi;
   la notizia è scaturita a seguito di materiale scaricato nell'impianto di stoccaggio di contrada San Leo a Siderno contenente materiale radioattivo, iodio 131, sostanza che viene utilizzata nella terapia per disfunzioni tiroidee e in radiologia;
   si tratta di un radioisotopo estremamente tossico, il cui tempo occorrente affinché gli atomi decadano in un altro elemento è di circa otto giorni. Questo materiale costituisce uno dei principali fattori di rischio per la salute ed è responsabile anche di gravi forme di inquinamento atmosferico;
   la società che oggi gestisce la raccolta dei rifiuti a Siderno è Ecologia Oggi;
   è intollerabile che territori estesi e popolosi della Calabria siano esposti al rischio di sostanze velenose che la scienza ha dimostrato essere responsabili di gravi patologie;
   l'eventuale reiterarsi di questi gravi episodi a danno dell'ambiente e della popolazione rende necessaria l'adozione di adeguati provvedimenti al fine di salvaguardare la salute della cittadinanza;
   l'accaduto è stato segnalato, come previsto dalle norme di legge, all'Asp di Reggio Calabria e al comune di Siderno unitamente alle altre autorità competenti;
   l'attenzione al momento è rivolta essenzialmente nei confronti del personale che quotidianamente opera nella raccolta dei rifiuti;
   se i Ministri interessati siano informati dei fatti suesposti e quali iniziative, per quanto di competenza ritengano opportuno adottare al fine di tutelare l'ambiente, le produzioni agroalimentari di quel territorio e la salute dei cittadini, soprattutto di quelli maggiormente esposti al rischio di radioattività e quali iniziative intendano promuovere per effettuare una efficace e urgente bonifica del territorio interessato. (4-02342)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LEVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Castel San Vincenzo, in provincia di Isernia, insiste uno dei ritrovamenti archeologici-architettonici più importanti d'Europa, per molti aspetti sicuramente il più significativo. Si tratta di un'ampia area di scavo relativo ad un sito monastico altomedievale riferito alla metà dell'VIII secolo comprendente come fulcro la Cripta dell'Abate Epifanio del IX secolo, rarissimo esempio di ciclo pittorico affrescato raffigurante vari episodi tratti dalla Bibbia. La sua unicità e importanza è dovuta, oltre ai numerosi reperti archeologici di notevole interesse scientifico rinvenuti negli scavi, principalmente per essere l'ultima testimonianza presente al mondo di quel periodo; circostanza che fa paragonare l'area alla Pompei dell'Alto Medio Evo;
   a partire dagli anni novanta, dopo la trasmissione della competenza alla soprintendenza archeologica del Molise e all'intervento della regione Molise, comproprietaria dell'area a seguito di espropri pubblici, numerosi finanziamenti statali e regionali (per circa 30 miliardi di vecchie lire) furono destinati al restauro dell'area archeologica-architettonica ed alla valorizzazione del sito senza però vedere, ancora oggi, i segni evidenti di questi interventi;
   sempre negli anni novanta nel comune di Castel San Vincenzo iniziarono, con altri finanziamenti regionali, anche i lavori del museo archeologico per ospitare i reperti provenienti dallo scavo; tale opera non è stata mai ultimata e sta subendo un lento ma inesorabile declino, nonostante al suo interno si continuino a «conservare» numerose cassette di materiale archeologico spesso invaso da acqua piovana infiltrata nelle malmesse strutture edificate;
   nonostante le evidenti carenze gestionali, di tutela e di valorizzazione del sito, un minuto gruppetto di dipendenti delle soprintendenze (due addetti alla vigilanza e due funzionari tecnici), negli anni hanno dato la loro sensibile disponibilità a tenere aperta un'area di oltre ventimila metri quadri, affrontando turni massacranti, anche nei festivi, nei super festivi e di notte. È però notizia di questi giorni che la dirigenza ha chiuso la sede di Castel San Vincenzo, disponendo il trasferimento dei due tecnici (che collaboravano spontaneamente alle aperture) in altra struttura nella città di Isernia ed ha lasciato i due addetti alla vigilanza senza sede, garanzie e senza possibilità di operare; quindi rendendo vana ogni possibilità di visita ad un'area archeologica di tale portata;
   nella regione Molise esistono, purtroppo, altri casi di anomala gestione dei beni culturali. Tra questi c’è la vicenda del museo del paleolitico di Isernia: in costruzione da oltre 30 anni, con 30 miliardi di lire di fondi pubblici stanziati, ma mai ultimato; quella del museo archeologico di Santa Maria delle Monache di Isernia, ampiamente operativo ma chiuso, ormai da tre mesi, tutti i pomeriggi e l'intera domenica; quella del sito del Teatro Tempio sannitico di Pietrabbondante che, nonostante importanti finanziamenti pubblici, non è stato reso sicuro e valorizzato e rischia anche la chiusura per mancanza di personale. Ancora, il caso della città romana sul tratturo Pescasseroli-Candela di Altilia di Sepino, in provincia di Campobasso, dove nonostante ingenti finanziamenti pubblici non sono mai stati perfezionati gli espropri; il caso del castello di Castropignano, restaurato e mai aperto; quello dell'anfiteatro «Verlascio» di Venafro, dove i lavori sono fermi e manca qualsiasi forma di tutela del sito –:
   quali tempestive ed efficaci iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per garantire l'immediato ripristino e la riapertura della sede della soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del Molise nel comune di Castel San Vincenzo, fornita tra l'altro a titolo gratuito dall'amministrazione comunale e messa in sicurezza con fondi ministeriali, funzionale ed indispensabile per la fruizione ed il pubblico godimento del sito archeologico-architettonico altomedievale di San Vincenzo al Volturno;
   quali iniziative di competenza si intendano adottare per la tutela e la valorizzazione dell'intero patrimonio culturale presente in Molise. (5-01326)

Interrogazione a risposta scritta:


   VELO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la villa romana delle Grotte del I secolo a.C., di proprietà dal 1994 della «Fondazione villa romana delle Grotte», meta turistica di Portoferraio e rara testimonianza del passato romano dell'isola d'Elba, è chiusa da circa due anni al pubblico e lasciata in stato di totale degrado;
   il codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, all'articolo 30 comma 3, attribuisce ai privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali, la responsabilità di garantirne la conservazione;
   da accreditati organi di stampa si apprende che l'assessore alla cultura del comune di Portoferraio, non avendo la facoltà di imporre istruzioni legate alla conservazione o alla riapertura del sito, è intervenuto sollecitando la Soprintendenza archeologica affinché sorvegliasse sulla conservazione e sulla manutenzione del bene effettuate dal privato;
   le dichiarazioni da parte del responsabile della «Fondazione» attribuiscono la causa della chiusura della villa ai mancati finanziamenti, che dal 2010 non sono stati più erogati dalla Cassa di risparmio di Firenze;
   ad oggi non risultano interventi di ripristino del sito e l'unico risultato ottenuto dagli elbani è la perdita di quella che era considerata una delle aree archeologiche tra le più importanti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga — per quanto di propria competenza — di verificare le cause della chiusura della villa romana delle Grotte e se non ritenga opportuno intervenire al fine di tutelare e salvaguardare una delle aree archeologiche tra le più importanti dell'Elba.
(4-02356)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   in data 20 settembre 2013 veniva svolta dai sottoscritti un'interpellanza urgente (2-00194) relativa al complesso monumentale della Cittadella di Alessandria. In tale sede, ricostruiti i termini della vicenda concernente la tutela e la valorizzazione del bene nonché dell'attuale situazione critica in cui esso versa a causa di problemi urgenti di conservazione e dell'assenza di un progetto chiaro, condiviso e operativo per il futuro della struttura, si domandava se si fosse a conoscenza di tale situazione e se intendesse farvi fronte adottando ogni utile iniziativa di competenza per salvaguardare e valorizzare il complesso monumentale, compresa l'attivazione di un programma unitario di valorizzazione territoriale (PUVaT) di cui all'articolo 27 del decreto-legge n. 201 del 2011;
   a tale interpellanza dava risposta immediata il Governo, mostrando attenzione per la questione e consapevolezza rispetto alla situazione amministrativa del complesso monumentale, nonché aprendo ed anzi auspicando la «definizione di obiettivi di conservazione e di modalità di gestione» mediante un «esteso accordo istituzionale a sostegno di un complessivo progetto di recupero», tali anche da rafforzare la candidatura del bene all'inserimento nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO;
   vista la predetta risposta, i sottoscritti si dichiaravano soddisfatti per l'attenzione e la serietà mostrate dal Governo nell'affrontare la questione posta ed auspicavano che a tale positiva disposizione conseguisse l'effettiva attivazione dell’iter per la formazione di un PUVaT per la Cittadella, quale strumento idoneo al coinvolgimento da parte statale delle istituzioni regionali e locali, delle associazioni culturali e della società civile nella definizione di un percorso responsabile, sostenibile e condiviso per il recupero e la valorizzazione di questo straordinario patrimonio culturale e monumentale;
   in data 21 ottobre 2013, il Sottosegretario ai beni e alle attività culturali, onorevole Ilaria Borletti Buitoni, visitava il complesso monumentale, apprezzandone lo straordinario valore storico, culturale ed architettonico, nonché constatando l'assoluta urgenza di interventi di conservazione. In questa occasione, il Sottosegretario richiamava la posizione espressa dal Governo nella risposta all'interpellanza del 20 settembre 2013, confermando la positiva disponibilità del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a dare concretezza al percorso proposto dagli interpellanti e incontrato sulla formazione di un PUVaT sulla Cittadella, nonché impegnandosi a rappresentare al Ministero dell'economia e delle finanze l'opportunità di sollecitare l'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, ad autorizzare interventi urgenti di recupero per i quali l'associazionismo locale e nazionale (progetto «luoghi del cuore» del FAI) aveva già reperito importanti risorse finanziarie, immediatamente disponibili e sufficienti ad affrontare in prima battuta l'emergenza;
   in data 22 ottobre 2013, l'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, convocava una riunione, cui invitava gli enti locali interessati, avente ad oggetto proprio il futuro della Cittadella di Alessandria, annunciando in quella sede l'intenzione di procedere rapidamente all'emanazione di un bando per una concessione d'uso del complesso monumentale a soggetti privati. Dalle notizie di stampa, si apprendeva l'assoluta priorità che l'Agenzia avrebbe intenzione di assegnare al criterio economico nella valutazione delle domande di concessione, nonché dell'ipotizzata durata ultracinquantennale della concessione;
   l'ipotesi prospettata in termini netti e risoluti dall'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, appare agli interpellanti sorprendente se rapportata alla scarsa attenzione finora mostrata per le esigenze di conservazione urgenti del bene, verso le quali non ha certo mostrato pari attenzione. Essa sembra inoltre manifestamente incoerente con l'orientamento mostrato dal Governo nella suddetta risposta all'interpellanza del 20 settembre e confermato ancora recentemente dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, tanto con riferimento al tipo di percorso individuato (il PUVaT) quanto, specialmente, con riferimento al principio del più ampio coinvolgimento delle istituzioni locali e della società civile nella definizione del percorso medesimo e, perciò, degli obiettivi e strumenti di tutela e valorizzazione del bene nel contesto di una visione unitaria e territoriale;
   c’è il rischio che, ad avviso degli interpellanti l'ipotesi dell'Agenzia del demanio:
    a) ponga su di un piano del tutto subordinato una pronta risposta ai problemi urgenti di conservazione (la cui soluzione è presupposto per ogni prospettiva di valorizzazione);
    b) escluda le istituzioni e la comunità locale dalle scelte fondamentali concernenti il futuro di un bene integrante l'identità della città di Alessandria e dallo straordinario valore storico, culturale ed architettonico per l'intero Paese, tale da averne giustificato la candidatura all'inserimento nella lista UNESCO del patrimonio mondiale dell'umanità;
    c) apra prospettive problematiche quanto alle garanzie di tutela dell'integrità del bene e, soprattutto, di una sua destinazione che pur potendo essere anche differenziata e versatile lo renda effettivamente fruibile da parte della collettività secondo soluzioni certamente sostenibili sotto il profilo economico ma altrettanto rispettose della dignità culturale del complesso –:
   se siano a conoscenza dell'ipotesi presentata dall'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, nella riunione del 22 ottobre 2013;
   se ritengano tale ipotesi coerente con l'orientamento assunto dal Governo poche settimane fa in occasione della risposta all'interpellanza del 20 settembre 2013, e, in particolare, se tale ipotesi escluda, come sembra fare, l'impostazione di un percorso condiviso di valorizzazione incentrato sullo strumento dei PUVaT;
   se ritengano condivisibili i rilievi problematici sollevati in premessa con riferimento ai rischi di tale ipotesi, specie con riferimento all'emarginazione dal percorso di valorizzazione delle istituzioni e della società civile locali;
   se intendano intervenire direttamente sulla questione sollecitando l'Agenzia del demanio, sezione regionale del Piemonte, ad occuparsi prioritariamente delle indifferibili esigenze di conservazione del bene, consentendo la messa in atto di operazioni di recupero già progettate in via esecutiva e per le quali sono già disponibili risorse finanziarie, umane e strumentali grazie all'impegno autonomo dell'associazionismo e della collettività locale;
   se intendano assumere iniziative affinché l'Agenzia del demanio consideri altre proposte concorrenti all'ipotesi di affidamento in concessione a privati, le quali compongano le esigenze di sostenibilità economica del progetto di valorizzazione (e perciò contemplino eventualmente tra le altre responsabilità anche quella di operatori privati) con quelle di fruibilità collettiva e garanzia dell'integrità storica, culturale ed architettonica del bene.
(2-00271) «Balduzzi, Dellai».

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a regolare la materia in materia di bollo auto storiche è l'articolo 63 della legge n. 342 del 2000: «Sono esentati dal pagamento delle tasse automobilistiche» auto e moto che abbiano compiuto i 30 anni d'età, ma anche gli «autoveicoli e motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico per i quali il termine è ridotto a 20 anni»;
   a stabilire che un veicolo abbia queste caratteristiche è l'attestato di storicità: l'Asi lo rilascia dietro iscrizione ad uno dei suoi club affiliati;
   l'Agenzia delle entrate, con la risoluzione 112/E del 29 novembre 2011, ha stabilito che in base alla legge n. 342 del 2000 non è prevista «per il riconoscimento del regime di favore l'iscrizione nei registri tenuti dall'Asi»;
   il medesimo principio ha sancito la Corte di Cassazione con la sentenza 3837 del 15 febbraio 2013, che cita sia la legge che la risoluzione del fisco: «La disciplina di legge che qui rileva non impone certo ai cittadini l'iscrizione all'Asi come presupposto per beneficiare dell'esenzione, (...) sicché suonerebbe assolutamente estranea al precetto normativo la pretesa che esenzione e vincolo associativo costituiscono un binomio necessario»;
   in pratica, però, laddove il cittadino avvia il procedimento per l'agevolazione, per ottenere il rilascio del bollo auto agevolato per un'auto storica deve effettuare l'iscrizione all'Asi e dunque sottoporsi ad un onere economico –:
   come si intenda intervenire su tale controversa questione. (4-02335)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, CIPRINI, LIUZZI, BALDASSARRE, BECHIS e TERZONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che nella regione Umbria ci siano circa 110 persone che hanno prestato e prestano ad oggi servizio presso gli uffici giudiziari a seguito di bandi emanati dalla provincia di Perugia, dalla provincia di Terni e dalla regione Umbria, con tempi e modalità differenti dal 2010 al 2013;
   con tali bandi si è voluto consentire ai lavoratori tirocinanti disoccupati, inoccupati, cassaintegrati, in mobilità e socialmente utili, di partecipare a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari attraverso un percorso formativo a tempo determinato;
   gli uffici giudiziari italiani sono in forte deficit di organico, evidenziato anche dalla legge di stabilità del 2012 che ha previsto la proroga dei suddetti rapporti di lavoro per tutto l'anno 2013 a copertura delle carenze di personale;
   il presidente della corte d'appello Wladimiro De Nunzio nella relazione dell'anno giudiziario 2013 ha così rappresentato l'attuale situazione in Umbria: «Sia l'organico magistratura che quello del personale amministrativo soffrono di vuoti consistenti e quindi va considerata l'effettiva forza lavoro presente negli uffici»;
   il contributo del personale amministrativo alla risposta di giustizia, come è ben noto agli addetti ai lavori, non è secondario, ma assolutamente indispensabile e condizionante;
   nel distretto dell'Umbria sul complessivo organico del personale amministrativo la scopertura è molto ampia, pari al 17,4 per cento stante la presenza di 439 unità su un organico di 531, con punte critiche che per la fine dell'anno hanno raggiunto il 34 per cento in uffici quali la corte di appello;
   ugualmente significativa la scopertura che si registra presso gli uffici Unep, dove su un organico di 72 dipendenti, ne sono presenti 61;
   la situazione del personale amministrativo è ancora più grave perché non vi sono da anni, per il mancato espletamento dei concorsi, assunzioni in servizio di giovani, per cui il numero dei dipendenti si riduce rapidamente sempre più col raggiungimento del limite d'età per il pensionamento;
   è significativo il fatto che non siano stati sostituiti ben 44 dipendenti andati in pensione;
   questa grave progressiva carenza è destinata a produrre, se non si interverrà con sollecitudine immettendo nuovo personale amministrativo negli uffici, due effetti deleteri per il servizio giustizia e la sua auspicata efficienza: da una parte la totale dispersione delle esperienze professionali di coloro che vanno in pensione e non possono trasferire ai subentranti il proprio sapere e il proprio bagaglio di esperienze nella gestione dei servizi amministrativi; dall'altra l'accumulo degli adempimenti di cancelleria o addirittura la riduzione dei servizi al pubblico e/o il congelamento di alcune attività;
   l'apporto dei lavoratori precari è stato di fondamentale importanza ai fini del raggiungimento degli obiettivi di efficienza e produttività nel funzionamento degli uffici giudiziari sopperendo, in parte, alla grave carenza di personale che ormai da tempo, affligge tutti gli uffici giudiziari con le conseguenze ormai note a tutti: il rallentamento della macchina giudiziaria, che determina rinvii annuali delle udienze, ritardi nei pagamenti dei patrocini a spese dello stato e così via;
   l'articolo 1, commi 34-36, della legge n. 92 del 2012 (cosiddetto riforma Fornero del mercato del lavoro) delinea una riforma della disciplina dei tirocini formativi, «di fatto» equiparando tale istituto alle altre tipologie contrattuali trattate nei commi precedenti (apprendistato, somministrazione, e altro) con una ribadita insistenza del valore di contratto di lavoro del tirocinio (articolo 1, comma 34, lettera a)) e del valore di prestazione di attività lavorativa resa dal tirocinante (articolo 1, comma 34 lett. b) e c));
   dando attuazione a quanto stabilito dalla «legge Fornero», la Conferenza unificata Stato regioni e province autonome di Trento e Bolzano, nell'accordo con il quale, il 24 gennaio 2013, ha adottato le linee guida in materia di tirocini ha affermato che «le parti si impegnano a definire politiche di accompagnamento ed avviamento al lavoro anche attraverso la predisposizione di misure di incentivazione per la trasformazione dei percorsi formativi in contratti di lavoro», e ha definito il tirocinio quale strumento di inserimento dei giovani e reinserimento dei meno giovani nel mondo del lavoro. Non può quindi essere uno strumento utilizzato in modo continuativo, anche perché comporta due problematiche principali: da un lato non vengono creati nuovi posti di lavoro (comunque necessari) e, nel momento in cui vengono acquisite le varie competenze sfruttando così a pieno le capacità dei soggetti formati, questi ultimi devono abbandonare il posto di lavoro; dall'altro il continuo cambiamento di collaboratori comporta situazioni di inefficienza per l'amministrazione, in quanto il personale di ruolo è costretto continuamente a formare i nuovi lavoratori con spreco di energie e tempo –:
   se il Ministro interrogato non reputi necessario valutare la possibilità di stipulare contratti «atipici», o altre forme di collaborazione, con tutte le categorie di precari che sono stati o sono ancora utilizzati negli uffici giudiziari, secondo schemi e formule che tengano conto delle varie specificità;
   se non reputi opportuna ogni iniziativa di competenza per il riconoscimento formale delle professionalità acquisite, mediante attribuzione di punteggi e/o riserva di posti in eventuali bandi di concorsi pubblici. (5-01329)


   GALLINELLA, ZACCAGNINI, CIPRINI, L'ABBATE, FRUSONE, GAGNARLI, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, TOFALO e TERZONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 della legge 28 luglio 1999, n. 266, ha previsto una delega al Governo per l'istituzione, tra l'altro, dei ruoli direttivo-ordinario e speciale del Corpo della polizia penitenziaria, con carriere analoghe a quelle dei corrispondenti ruoli della polizia di Stato;
   in attuazione della citata delega, il decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146, ha istituito i suddetti ruoli, articolandoli in qualifiche, con ordine gerarchico e con livelli analoghi a quelli dei corrispondenti ruoli dei commissari di polizia di Stato;
   successivamente sono state emanate disposizioni per il riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della polizia di Stato;
   per effetto della precitata normativa l'ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria non assicura più l'adesione ai principi di omogeneità con le altre forze di polizia;
   dall'esame delle disposizioni emerge, infatti, che le carriere del personale direttivo e dirigenziale del Corpo di polizia penitenziaria presentano connotazioni di rilevante disallineamento rispetto alle carriere del corrispondente personale della polizia di Stato, avuto riguardo sia alle differenti articolazioni delle qualifiche, sia al mutamento della normativa in materia di promozioni alle qualifiche superiori;
   l'attuale assetto normativo penalizza, quindi, fortemente il Corpo di polizia penitenziaria;
   è necessario, pertanto, emanare gli interventi correttivi necessari per la revisione dell'ordinamento del personale dei ruoli direttivi e dirigenziali del Corpo di polizia penitenziaria al fine di armonizzare le disposizioni vigenti con la normativa prevista per il personale dei corrispondenti ruoli delle forze di polizia di Stato al fine di evitare ogni elemento di diversificazione che possa alterare il sistema di equiordinazione voluto dal legislatore –:
   quali siano gli intendimenti del Governo sulla vicenda descritta in premessa;
   se ritenga necessario assumere iniziative normative correttive al fine di allineare la carriera dei ruoli direttivi e dirigenziali del Corpo di polizia penitenziaria a quella dei funzionari della polizia di Stato. (5-01330)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo del 7 settembre 2012, n. 155, recante norme della «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero», a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (12G0177) ha previsto il generale riordino della geografia giudiziaria. Tale decreto ha riguardato in particolare anche i territori della Media Valle del Tevere della provincia di Perugia;
   più specificatamente il decreto legislativo ha previsto l'accorpamento al tribunale di Spoleto del territorio della Media Valle del Tevere (territorio nel quale ricadono numerose cittadine come Deruta, Marsciano, Todi e altro);
   l'accorpamento ha sollevato numerosi perplessità e proteste da parte dei cosiddetti operatori del diritto ma anche dei cittadini per le conseguenze derivanti dall'attuazione di tale accorpamento;
   l'accorpamento del territorio della Media Valle del Tevere al tribunale di Spoleto, così come vorrebbe il suddetto decreto legislativo, non si giustifica secondo gli interroganti né dal punto di vista geografico e socio economico, né dal piano strettamente giuridico in quanto tra la città di Todi e quella di Spoleto ma ancor più tra le altre città della Media Valle del Tevere e Spoleto, vi sono notevoli distanze, scomodissimi collegamenti stradali, non vi sono collegamenti ferroviari né linee autobus dirette. L'idea di un «Tribunale dell'Umbria centrale» con sede a Spoleto non tiene conto del fatto che l'Umbria ha avuto nel tempo uno sviluppo in senso verticale lungo le direttrici di E45 e SS Flaminia, non in senso orizzontale, giacché mancano da sempre collegamenti stradali e ferroviari tra valli separate da alte montagne;
   il tribunale di Spoleto ha una sua ragion d'essere, condivisibile o meno, ma che prescinde dell'accorpamento dei territori della Media Valle del Tevere. Si legge nella relazione accompagnatoria ai decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012 che il mantenimento del terzo tribunale nel distretto della corte d'appello di Perugia non risponde a reali esigenze di amministrazione della giustizia, giacché in base ai criteri standard individuati dal Governo avrebbe potuto essere sufficiente un solo tribunale in Umbria, ma si giustifica per la cosiddetta «regola del tre» (articolo 2 lettera f) della legge delega: garantire che all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello, incluse le sezioni distaccate, comprenda non meno di tre degli attuali Tribunali con relative procure della Repubblica) che da criterio ispiratore, quale era inteso nella legge stessa, è stato assunto che aggregare altri territori al tribunale di Spoleto non è indispensabile al suo mantenimento, né è sufficiente a far sì che quell'ufficio rimarrà pur essendo al di sotto del numero minimo di abitanti, anche conteggiando gli attuali 50.000 residenti circa della Media Valle del Tevere;
   persino l'idea di un eccessivo carico di lavoro per il tribunale di Perugia non rappresenta una ragione valida per non trasferire a Perugia i territori della Media Valle del Tevere. Se infatti, l'idea della riforma è quella di preferire uffici di grandi dimensioni a piccole strutture decentrate, il carico di lavoro della ex Sezione di Todi non può rappresentare realmente un problema a Perugia, considerato anche che il carico di lavoro del territorio di Foligno (la ex Sezione più grande tra quelle del tribunale di Perugia) che per diverse materie (penale collegiale, civile collegio, rito camerale, udienze presidenziali, lavoro, esecuzioni immobiliari, fallimentare) veniva trattato presso la sede di Perugia, farà ora carico interamente a Spoleto;
   infine, nella delega al Governo per la riforma della geografia giudiziaria (articolo 1 comma 2 lettera b) si legge che il nuovo assetto territoriale degli uffici giudiziari, dovrà tener conto tra l'altro, anche «della specificità territoriale del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione delle sezioni distaccate»;
   in conclusione il previsto accorpamento non appare agli interroganti fondato su criteri razionali e/o ragionevoli e potrebbe essere fonte di disservizi per i cittadini e gli utenti del servizio Giustizia (avvocati, magistrati, personale amministrativo e altro) –:
   quali misure ritenga possibile attuare senza depotenziare alcun ufficio giudiziario a danno di altri, per facilitare l'accesso dei cittadini alla giustizia ed il rapido svolgimento del proprio lavoro da parte delle Forze dell'ordine e della polizia giudiziaria che hanno un contatto diretto con il territorio nei tempi strettissimi che separano dall'entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria;
   se il Ministro interrogato ritenga possibile per i comuni della Media Valle del Tevere il mantenimento dell'Ufficio del Giudice di pace e quali misure intenda adottare per rettificare l'attuale accorpamento del suddetto territorio erroneamente attribuito al tribunale di Spoleto.
(5-01333)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della Società pubblica Poste italiane spa la funzione tutela aziendale ha il compito istituzionale di predisporre tutte le misure di sicurezza fisica a tutela sia dei lavoratori che dei beni societari;
   in Sicilia, in primis a Palermo, si sono verificate numerose rapine, furti, assalti in danno degli Uffici Postali e le indagini delle forze di polizia talora non hanno beneficiato dell'ausilio degli impianti di sicurezza perché obsoleti o assenti;
   le reiterate denunce sindacali non hanno sortito effetto;
   il prefetto di Palermo, con nota prot. 47478 del 28 giugno 2012 inviata al dirigente Malerba, ha riportato le segnalazioni delle organizzazioni sindacali la necessità di adottare tutte quelle misure idonee ad impedire il ciclico ripetersi di episodi violenti che costituiscono una sostanziale minaccia per la serenità dei lavoratori. Da tali segnalazioni sembrerebbe desumersi che l'attività demandata al dirigente Malerba non sia stata adeguata ed efficace con ricaduta sulla sicurezza dei lavoratori e del pubblico presente negli uffici postali nonché sull'immagine qualitativa di Poste italiane;
   risulta che le filiali di Palermo 1 e Palermo 2 siano agli ultimi posti in Italia non solo per la sicurezza ma anche per la produttività aziendale;
   una situazione non migliore si registra in tutte le altre province della Sicilia, come si apprende dalle cronache nazionali e locali. Vale la pena citare la rapina realizzata nei pressi di Messina a Tortorici lo scorso maggio;
   risulta che presso strutture postali che svolgono esclusivamente servizi postali di recapito ci sia stata l'installazione di impianti TVCC (telecamere a circuito chiuso) mentre presso uffici postali che svolgono servizi finanziari, dove maggiore è il rischio, ci sia un'assenza o un malfunzionamento di impianti, come più volte denunciato dalle organizzazioni sindacali;
   Palermo negli anni novanta è già stata al centro di una imponente attività giudiziaria a carico di dirigenti e funzionari dell'allora ente poste per sistemi d'allarmi mai installati ma regolarmente pagati. La procura aveva scoperto una truffa per centinaia di milioni e aveva chiesto il rinvio a giudizio per sette persone, fra dirigenti e funzionari delle Poste, e per l'amministratore unico dell'impresa Intercab –:
   se il Governo disponga di elementi in merito ai risultati conseguiti durante la gestione della struttura territoriale di ATTA Sud 1 di tutela aziendale nell'ultimo decennio;
   se sia nota la ragione per la quale alcuni uffici postali sono sprovvisti di sistema di videoregistrazione. (4-02333)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da metà novembre 2013 dalla stazione di Ancona, oltre a Trenitalia, anche la compagnia ferroviaria privata collegherà le Marche al nord del Paese con treni ad alta velocità;
   la stazione di Pescara e l'intero Abruzzo rimarranno fuori dall'alta velocità con una grave penalizzazione per un bacino di oltre 1 milione e 300 cittadini;
   la stazione di Pescara ha un traffico superiore a quello di Ancona con una media giornaliera di oltre 5 mila viaggiatori con 133 treni, di cui 94 regionali e interregionali, 20 frecce bianche, 19 intercity, per cui la scelta di non partire da Pescara, cioè ad appena 100 chilometri a sud, appare irrazionale ed antieconomica;
   ciò nonostante si registra una politica inaccettabile di costante spoliazione del sistema ferroviario abruzzese che negli ultimi anni ha tagliato da Pescara le relazioni con Napoli, ha soppresso o sospeso decine di treni, a partire dalla Sulmona Carpinone, dalla Avezzano Roccasecca, ha peggiorato i tempi di percorrenza verso Roma, utilizza materiale rotabile vecchio e spesso sporco e privo di ogni servizio;
   Trenitalia aveva annunciato interventi di velocizzazione con investimenti e l'utilizzo di treni più veloci e confortevoli lungo la linea adriatica abruzzese, ma di questi impegni non si vede traccia alcuna –:
   quali siano le ragioni di queste scelte a giudizio dell'interrogante antieconomiche e irrazionali di Trenitalia e se intenda operare affinché l'Abruzzo non sia tagliato fuori dall'alta velocità e più in generale dai processi di modernizzazione del sistema ferroviario. (4-02336)


   GIULIETTI, SERENI, ASCANI e VERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 ottobre 2013 l'assessore regionale ai trasporti dell'Umbria dottor Silvano Rometti ha inviato una nota al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al capo dipartimento del Ministero per avere informazione sulle ipotesi di soppressione dei treni interregionali intercity;
   con sempre maggior insistenza sembrano giungere segnali sulla definitiva soppressione di ogni ormai residuo servizio intercity sulla linea dorsale che collega capoluoghi ed importanti centri di regione (Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Lazio);
   il danno che ne deriverebbe per i cittadini delle citate  regioni, in particolar modo per l'Umbria che soffre già ampiamente di collegamenti inefficaci, e per i pendolari in particolare, sarebbe di assoluta gravità –:
   se il Ministro intenda dissipare ogni dubbio sul mantenimento del servizio e comunque se non ritenga necessario convocare un incontro quanto prima con le regioni coinvolte alla presenza dei vertici di Trenitalia. (4-02341)


   GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dei quasi 893 chilometri di infrastrutture stradali toscane gestite da Anas, tra statali, strade di grande comunicazione e raccordi autostradali, 3 fra le più strategiche e fondamentali per il collegamento e lo sviluppo della regione Toscana e di tutta l'Italia centrale, la strada di grande comunicazione Grosseto-Fano E78 (meglio nota come Due Mari), il raccordo autostradale Siena-Firenze, e la strada statale 3-bis tiberina (Itinerario E45), vertono in pessime condizioni e stanno creando forti disagi a tutti gli automobilisti;
   per quanto riguarda la strada di grande comunicazione Grosseto-Fano E78, si ritiene positiva la nascita della «società pubblica di progetto» tra le regioni Toscana, Umbria e Marche, incaricata di sovrintendere al completamento di questa opera che l'Unione europea dovrebbe inserire nel corridoio di unione fra Balcani, Centro Italia e Spagna;
   la tempistica di medio-lungo periodo prevedibile per il completamento di questa opera non si addice alla gravi criticità in cui versa, quantomeno per quanto riguarda il tratto che unisce Siena e Grosseto, per cui si richiedono, piuttosto, interventi urgenti;
   dell'intero tratto, in questo periodo stanno andando avanti i lavori per la realizzazione del maxi-lotto centrale, che raggruppa i lotti 5, 6, 7 e 8 compresi nei territori dei comuni di Monticiano (Siena), e Civitella Paganico (Grosseto);
   per i lotti 4 (Paganico-Civitella Marittima) e 9 (Monticiano-Murlo-Sovicille) – per una lunghezza complessiva di circa 13 chilometri – il mancato finanziamento sta creando forti rallentamenti e disagi in particolare nei periodi di maggior intensità di traffico; per tali lotti – per cui sono stati approvati dal CIPE circa 254 milioni di euro – rimangono da reperire le risorse necessarie per avviare l'appalto;
   il raccordo autostradale Siena-Firenze, al pari dei suddetti tratti della E78, versa in condizioni disastrose che mettono in pericolo ogni giorno le centinaia di persone che la percorrono; lo stanziamento di 20 milioni di euro per interventi di manutenzione rappresenta certamente un passo avanti importante, ma insufficiente per risolvere le grandi criticità dell'arteria;
   la strada statale 3-bis «Tiberina» (itinerario E45) non presenta condizioni migliori delle precedenti due infrastrutture; nonostante due anni di lavori (iniziati nel 2011) e 22 milioni di euro spesi, le condizioni del tratto sono inaccettabili tanto da aver determinato una protesta che ha portato alla raccolta di 1700 firme in una settimana;
   a queste proteste si aggiunge un esposto alla procura di Arezzo, presentato il 18 ottobre 2013, per porre all'attenzione della magistratura le condizioni della E45, la cui carreggiata in direzione sud nel tratto compreso tra il chilometro 147,900 e il chilometro 146,400 è attualmente chiusa per garantire la sicurezza della circolazione;
   sono note le difficoltà in cui versa la finanza pubblica ed anche la disponibilità mostrata negli anni dalle istituzioni senesi, disposte anche a valutare ipotesi di project financing che possano supportare gli interventi previsti sulla E78 Grosseto-Fano e sul raccordo autostradale Siena-Firenze –:
   se non si ritenga opportuno procedere allo stralcio dei lotti 4 e 9 dal progetto complessivo della Due Mari affinché siano finanziati e realizzati immediatamente, e definire con urgenza, anche al fine di salvaguardare l'incolumità degli utenti, un programma di manutenzione che interessi il raccordo autostradale Siena-Firenze, individuando le ulteriori risorse necessarie, oltre i 20 milioni di euro già stanziati;
   se sia a conoscenza dei fatti riportati nell'esposto depositato presso la procura di Arezzo circa la sussistenza di eventuali profili di rilevanza penale nella questione dei lavori sulla strada statale 3-bis «Tiberina» (Itinerario E45) e se non ritenga opportuno istituire una commissione ministeriale – parallelamente alle indagini che svolgerà la procura di Arezzo – per valutare eventuali irregolarità tecniche nella esecuzione dei lavori rispetto agli standard richiesti. (4-02351)

INTEGRAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il servizio civile nazionale consente a tanti giovani dai 18 ai 28 anni di servire l'Italia in modo non armato e non violento, sviluppando un alto senso civico nell'aiuto concreto a persone svantaggiate (dai disabili ai rifugiati, dagli immigrati ai minori a rischio, ai malati terminali), nella cooperazione internazionale all'estero, nella tutela del patrimonio pubblico artistico, ambientale, culturale e nella protezione civile;
   le risorse finanziarie destinate al servizio civile nazionale sono state ridotte drasticamente di anno in anno: nel 2008 erano 299 milioni di euro, nel 2009 sono scese a 170 milioni, nel 2010-2011 a 100 milioni, nel 2012 a 68 milioni con conseguente inevitabile riduzione del numero complessivo dei giovani impegnati nelle varie attività;
   nel 2007 i posti a disposizione per i giovani del servizio civile erano 51.273 a fronte di 104.815 domande, nel 2011 sono scese a 20.157 a fronte di 86.571 domande;
   per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro; altre risorse dovrebbero derivare dal fondo di cui all'articolo 1 comma 270 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012;
   inoltre il Ministro interrogato ha reperito altri 50 milioni di euro che però non è chiaro se siano stati ancora assegnati al servizio civile nazionale e che comunque sono ancora insufficienti;
   nell'annunciare la disponibilità dei 50 milioni di euro aggiuntivi il Ministro aveva assicurato che si sarebbero potuti emanare i bandi 2013 e 2014 per un contingente di 18.800 volontari annui;
   ad oggi, al di là dello stanziamento aggiuntivo, ancora in corso di perfezionamento, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale non ha ancora annunciato il contingente di volontari che metterà a bando nel 2013;
   considerando che sul fondo nazionale per il servizio civile sono disponibili 71 milioni di euro per il 2013 e 76 milioni di euro per il 2014, ai quali si andranno ad aggiungere gli altri 50 milioni spalmati sul biennio 2013-2014, si dovrebbe avere una disponibilità annua di circa 98,5 milioni, non sufficiente per l'avvio di 18.800 volontari, per i quali occorrerebbero almeno 112,8 milioni di euro l'anno –:
   quali siano le effettive risorse destinate per il 2013 al servizio civile nazionale, quanti posti sia possibile mettere a bando e quale sia la reale volontà politica di aumentare le risorse destinate ad una attività di alto valore educativo ed essenziale per la formazione nei giovani di valori autenticamente costituzionali. (4-02346)


   MELILLA. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il servizio civile nazionale consente a tanti giovani dai 18 ai 28 anni di servire l'Italia in modo non armato e non violento, sviluppando un alto senso civico nell'aiuto concreto a persone svantaggiate (dai disabili ai rifugiati, dagli immigrati ai minori a rischio, ai malati terminali), nella cooperazione internazionale all'estero, nella tutela del patrimonio pubblico artistico, ambientale, culturale e nella protezione civile;
   le risorse finanziarie destinate al servizio civile nazionale sono state ridotte drasticamente di anno in anno: nel 2008 erano 299 milioni di euro, nel 2009 sono scese a 170 milioni, nel 2010-2011 a 100 milioni, nel 2012 a 68 milioni con conseguente inevitabile riduzione del numero complessivo dei giovani impegnati nelle varie attività;
   nel 2007 i posti a disposizione per i giovani del servizio civile erano 51.273 a fronte di 104.815 domande, nel 2011 sono scese a 20.157 a fronte di 86.571 domande;
   per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro più altre risorse dovrebbero derivare dal fondo di cui all'articolo comma 270, della legge n. 228 del 24 dicembre 2012;
   inoltre il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione pro tempore ha reperito altri 50 milioni di euro che però non è chiaro se siano stati ancora assegnati al servizio civile nazionale e che comunque sono ancora insufficienti;
   nell'annunciare la disponibilità dei 50 milioni di euro aggiuntivi il Ministro pro tempore aveva assicurato che si sarebbero potuti emanare i bandi 2013 e 2014 per un contingente di 18.800 volontari annui;
   ad oggi, al di là dello stanziamento aggiuntivo, ancora in corso di perfezionamento, il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale non ha ancora annunciato il contingente di volontari che metterà a bando nel 2013;
   considerando che sul fondo nazionale per il servizio civile sono disponibili 71 milioni di euro per il 2013 e 76 milioni di euro per il 2014, ai quali si andranno ad aggiungere gli altri 50 milioni spalmati sul biennio 2013-2014, si dovrebbe avere una disponibilità annua di circa 98,5 milioni, non sufficiente per l'avvio di 18.800 volontari, per i quali occorrerebbero almeno 112,8 milioni di euro l'anno –:
   quali siano le effettive risorse destinate per il 2013 al Servizio civile nazionale e quanti posti sia possibile mettere a bando e quale sia la reale volontà politica di aumentare le risorse destinate ad una attività di alto valore educativo ed essenziale per la formazione nei giovani di valori autenticamente costituzionali.
(4-02347)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
I Commissione:


   PILOZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la normativa in materia di cittadinanza prevede il coinvolgimento di diversi enti quali il Ministero dell'interno, la prefettura, la questura, solo per citarne alcuni;
   la legge n. 91 del 1992 prevede, all'articolo 8, che «L'emanazione del decreto di rigetto dell'istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni.». Ciò significa che, trascorsi due anni dalla data di presentazione della domanda, l'unico provvedimento possibile è quello dell'accoglimento dell'istanza;
   la prefettura di Roma, senza dubbio quella con i maggiori problemi di gestione delle domande di cittadinanza causa carenza di personale, ha definito una prassi di gestione delle pratiche di cittadinanza non rispettosa dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione;
   le pratiche di cittadinanza presentate alla prefettura di Roma infatti, quelle che non presentano problemi ostativi al rilascio del provvedimento di accoglimento, non vengono esaminate dai competenti uffici se non dopo la scadenza del termine di due anni dalla presentazione della domanda;
   in altri termini, le pratiche di cittadinanza presso la suddetta prefettura giacciono inevase per 24 mesi, salvo quei casi in cui le cause ostative al rilascio vengono subito individuate dai competenti uffici e quindi comportano l'emissione di un provvedimento di diniego entro il termine dei 24 mesi;
   di fatto, coloro che, sulla base dell'istanza, presentano le condizioni del rilascio del provvedimento di accoglimento, non ottengono il relativo atto se non dopo la scadenza dei due anni e anzi, molto spesso, i due anni possono anche arrivare a 5, come appurato personalmente dall'interrogante;
   tale prassi della prefettura di Roma comporta profondi disagi per quei cittadini stranieri, aventi il diritto di ottenere la cittadinanza italiana ma che, per meri problemi organizzativi e gestionali, si vedono ritardare pesantemente il loro legittimo diritto all'ottenimento della cittadinanza, con tutti i disagi conseguenti;
   in risposta ad una precedente interrogazione il Ministro dell'interno aveva comunicato l'imminente potenziamento delle strutture amministrative della prefettura di Roma cosa che, a tutt'oggi, non risulta essere stata realizzata –:
   se non ritenga opportuno, alla luce delle predette considerazioni, intervenire presso la prefettura di Roma al fine di modificare la prassi descritta in premessa e quando avverrà il potenziamento dell'organico della prefettura di Roma nei termini precedentemente indicati dal Ministro dell'interno. (5-01323)


   FIANO, QUARTAPELLE PROCOPIO, LAFORGIA, POLLASTRINI, RAMPI, COVA, CIMBRO, MAURI, CHAOUKI, PREZIOSI, PELUFFO e MALPEZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sembra destinata a peggiorare la situazione in atto da giorni presso la stazione centrale di Milano, dove continuano a riversarsi profughi siriani, risaliti dal sud e dal centro Italia, in parte provenienti da Lampedusa, in parte dalla Calabria, e diretti verso i Paesi del Nord Europa;
   secondo gli ultimi dati riportati da notizie a mezzo stampa vi sarebbero almeno già 200 profughi censiti, e un altro centinaio in arrivo, accampati alla stazione di Milano in attesa che si apra una qualche possibilità di varcare la frontiera e raggiungere così i loro parenti che già da tempo vivrebbero in Paesi come la Danimarca o la Svezia;
   lo scorso 19 ottobre, a fronte dell'aggravarsi della situazione, il comune di Milano ha istituito un'unità di crisi e predisposto un piano per l'accoglienza dei cittadini siriani in transito a Milano e diretti verso il Nord Europa, siglando una convenzione con la prefettura che prevede che gli oltre duecento siriani presenti in stazione Centrale (36 nuclei familiari e 58 persone singole) siano ospitati temporaneamente in due strutture della città, in via Novara e via Aldini, dove riceveranno assistenza e pasti;
   tuttavia, lo stesso comune di Milano ha lamentato l'assenza di un adeguato intervento di coordinamento a livello nazionale, volto a fronteggiare l'emergenza dei profughi siriani, sottolineando altresì di essere stati lasciati soli dal Governo nazionale e dall'Unione europea a farsi carico dell'accoglienza, salvo il contributo economico fornito dal Ministero degli interni — attraverso la prefettura — e pari a 30 euro al giorno per ogni persona accolta;
   nonostante la presenza sul campo di diverse organizzazioni di volontariato, la situazione sembra destinata a peggiorare anche alla luce del fatto che tutti questi profughi non dispongono di alcun titolo di viaggio, e sono dunque impossibilitati a muoversi, se non clandestinamente, mentre fonte di particolare preoccupazione è data dalla presenza di numerose donne con neonati;
   da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che la malavita abbia peraltro già in parte fiutato l'affare e si sarebbero verificati casi in cui sarebbero stati offerti passaggi in auto a 700 euro per Monaco o 850 euro per Berlino, mentre decine di famiglie sarebbero state intercettate in Austria e riaccompagnate in Italia;
   proprio alla luce del fatto che Milano rappresenta semplicemente una via di transito o una tappa intermedia, nessuno dei suddetti profughi sembrerebbe intenzionato a richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato; tuttavia, poiché si tratta di persone già identificate in Italia, essi non possono fare domanda di asilo in nessun altro Paese europeo, pena l'essere rimandati indietro. Sono quindi persone vincolate all'Italia, nell'attesa e nella speranza che possa aprirsi una via che consenta loro di varcare legalmente la frontiera e raggiungere il Nord Europa –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare per coordinare a livello nazionale le azioni di assistenza sul territorio, la gestione dell'accoglienza e per scongiurare il ripetersi di onerosi, quanto inefficaci, viaggi della speranza gestiti dalla malavita organizzata, e se e quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare, anche in accordo con i principali Paesi europei, al fine di trovare quanto prima una via istituzionale che preveda il riconoscimento di una protezione giuridica che consenta a questi migranti di varcare legalmente le frontiere e raggiungere i Paesi di destinazione. (5-01324)


   NUTI, COZZOLINO, D'AMBROSIO, DADONE, DIENI, FRACCARO, LOMBARDI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 4 ottobre e il seguente giorno 5 ottobre 2013, numerosi organi di informazione riportavano le dichiarazioni del Commissario europeo per gli affari interni, Cecilia Malmström, in cui si faceva riferimento ai fondi europei per l'immigrazione, l'asilo e le frontiere;
   in particolare, Cecilia Malmström, riportava i dati relativi ai fondi europei creati con il «Programma Generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori» per il periodo 2007-2013, istituito con Comunicazione della Commissione Europea COM/2005/123 FINAL del 6 aprile 2005, per un importo complessivo di quasi 4 miliardi di euro;
   questo programma quadro opera tramite quattro strumenti, ognuno dei quali dedicato a quattro specifiche tematiche legate all'immigrazione, in particolare: Fondo europeo per i rifugiati, Fondo europeo per i rimpatri, Fondo europeo per l'integrazione di cittadini di Paesi terzi, Fondo europeo per le frontiere esterne;
   complessivamente, secondo i dati forniti dalla Commissione europea, la porzione di questi fondi destinata all'Italia è stata di circa 31,2 milioni di euro per l'anno 2007, 34,3 milioni per il 2008, 43,3 milioni per il 2009, 54,7 milioni per il 2010, 74,5 milioni per il 2011, 103 milioni per il 2012 e 137,6 milioni per il 2013, per un totale di quasi 480 milioni di euro per l'intero periodo del programma quadro 2007-2013;
   inoltre, si apprende da un comunicato ufficiale del Governo, relativo alla riunione del Consiglio dei ministri numero 29 tenutasi il giorno 9 ottobre 2013, che verrà creato un nuovo fondo specifico presso il Ministero dell'interno per far fronte ai problemi indotti dal fenomeno dell'immigrazione, dotato per l'anno 2013 di 190 milioni di euro, oltre al rafforzamento del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati per altri 20 milioni;
   la copertura di queste somme proverrà principalmente dal Fondo Rimpatri, per 90 milioni di euro, oltre che dalle entrate INPS derivanti da regolarizzazioni degli immigrati, per 70 milioni di euro, e dal Fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura, per 50 milioni di euro, producendo in quest'ultimo caso, a nostro avviso, una rischiosa mancanza di risorse che potrebbe pregiudicare la fondamentale azione esercitata dallo Stato nei delicatissimi settori della lotta alla mafia, all'usura e all'estorsione;
   si ricorda a tal proposito che, oltre ai già citati Fondo rimpatri e Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, è stato istituito ed è tuttora operante il Fondo nazionale per le politiche migratorie, per cui ci risulta di difficile comprensione, se non per meri fini propagandistico-elettorali, l'istituzione di un nuovo Fondo, mentre sarebbe auspicabile un miglior impiego dei finanziamenti europei;
   infine, a metà ottobre è stata avviata l'operazione militare di pattugliamento marino e di soccorso dei migranti denominato «Mare Nostrum» che, secondo articoli di stampa, dovrebbe costare più di 10 milioni di euro al mese, da reperire direttamente nei bilanci dei Ministeri coinvolti –:
   vista l'esistenza di vari fondi nazionali specificatamente destinati all'immigrazione e alla luce delle decisioni prese in materia di contrasto all'immigrazione nel mese di ottobre di quest'anno, sia in termini finanziari che militari, in che misura in Fondi europei dedicati all'immigrazione di cui in premessa siano stati effettivamente impiegati ovvero restituiti all'Unione europea e quali soggetti ne abbiano usufruito, in che misura e a quali fini, dal 2007 ad oggi. (5-01325)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la giunta regionale Toscana ha approvato, il 23 settembre 2013, la delibera n. 773, con la quale è stato finanziato con trecentoventotto mila euro del fondo europeo per i rifugiati un progetto presentato dall'ARCI, finalizzato all'accoglienza di cinquanta migranti provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente;
   il progetto prevede percorsi di inserimento abitativo stabile, orientamento professionale e inserimento lavorativo in comuni montani a rischio di spopolamento, ubicati nelle province di Arezzo, Siena, Lucca e Pisa, ma verosimilmente anche nelle altre province, come quella di Grosseto;
   il progetto presenta diverse criticità che non possono e non devono essere trascurate. La principale è quella di scaricare il forte impatto sociale, dovuto alla massiccia presenza di cittadini extracomunitari, nei comuni in corso di spopolamento. Queste amministrazioni comunali che già vivono condizioni di difficoltà dovute alla necessità di garantire, con poche risorse finanziarie un sistema efficiente di servizi sociali e alla persona per i propri residenti, rischiano di non essere in grado di gestire al meglio progetti di integrazione sociale e culturale tali da poter assicurare una convivenza pacifica che non crei problemi per la sicurezza dei cittadini residenti;
   l'obiettivo che, ad avviso dell'interrogante, si nasconde nelle maglie del progetto varato con la succitata delibera regionale, è quello di decongestionare i grandi centri urbani, come Firenze, dalla presenza di cittadini extracomunitari, spostando le relative problematiche nei piccoli comuni, senza una concreta valutazione dei rischi connessi a tale operazione –:
   se il ministro interrogato, sia a conoscenza della presentazione della delibera in questione, e quali provvedimenti di competenza intenda adottare al fine di evitare rischi per la tutela e sicurezza dei cittadini (4-02334)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il centro di Como è sempre più frequentemente interessato da violenze tra gruppi di immigrati, che paiono avere la loro ragion d'essere in regolamenti di conti connessi a pendenze pregresse di varia natura;
   la stampa locale ha appena dato notizia di una rissa scoppiata il 27 ottobre 2013 nella centralissima via Milano, protagonisti cinque cittadini rumeni, poi risultati in possesso anche di armi bianche, ricordando nella circostanza come a fine settembre si fosse registrato anche l'accoltellamento, in due separati episodi occorsi a poche ore l'uno dall'altro, di un ecuadoriano e di un polacco;
   il deteriorarsi delle condizioni di sicurezza a Como è motivo di crescente allarme sociale nella cittadinanza, che constata con sgomento come persino il centro della loro città sia diventato il luogo d'elezione per il regolamento di conti pregressi tra immigrati più o meno organizzati;
   per quanto le forze di polizia presenti a Como facciano il possibile, reagendo alle segnalazioni dei cittadini, è chiaro che la loro capacità di prevenire crimini ed atti violenti, anche attraverso un'efficace presenza dissuasiva, è ormai palesemente insufficiente ed urgono pertanto rinforzi –:
   quali siano le misure che il Governo intende adottare per invertire la sempre più evidente tendenza al degrado delle condizioni dell'ordine pubblico a Como e se, in particolare, non ritenga opportuno procedere all'immediato rinforzo in uomini e mezzi dei presidi delle forze di polizia presenti nella città lariana.
(4-02344)


   CASO, ALBERTI, CATALANO, CARINELLI, COMINARDI, TRIPIEDI, SORIAL e CASTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Direzione nazionale antimafia, nella relazione annuale sulle attività svolte dal procuratore nazionale antimafia e dalla direzione nazionale antimafia nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo luglio 2011-giugno 2012, precisa che: «il territorio [della Lombardia] registra in assoluto il maggior numero di segnalazioni ritenute di concreto interesse antimafia e, quindi, sintomo specifico dell'esistenza di interessi – più strutturati che occasionali – riconducibili alle organizzazioni criminali di stampo mafioso»;
   dai dati contenuti nelle relazioni della Commissione parlamentare antimafia emerge con chiarezza il preoccupante fenomeno dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico lombardo;
   il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha più volte esternato la sua preoccupazione ed il suo impegno incondizionato affinché qualsiasi infiltrazione mafiosa nella regione Lombardia sia scongiurata. Il 6 maggio 2013, in occasione della nomina del Commissario Unico per EXPO 2015, il Premier ha dichiarato: «la criminalità e le mafie non pensino che l'EXPO sia un'occasione in cui possono avere le mani libere [...] Da qui al 2015 la nostra attenzione sarà doppia anzi quadrupla»; in seguito, nelle dichiarazioni rilasciate in occasione della sua visita a Milano del 20 maggio 2013, il Presidente ha nuovamente sostenuto la necessità di implementare il contrasto alle organizzazioni criminali nella regione Lombardia anche in previsione d'Expo 2015 ed ha ribadito che l'impegno del governo contro le attività illecite e illegali sarà totale;
   il 7 maggio 2013, un atto dispositivo del capo centro della Direzione Investigativa Antimafia di Milano ha disposto la chiusura del Nucleo informativo presso l'aeroporto di Malpensa, istituito il 1o giugno 2000 per «raccogliere notizie utili per l'attività di prevenzione ed analisi dei fenomeni criminali correlati alla malavita organizzata, garantendo nel contempo una funzione di appoggio e di assistenza, con particolare riguardo alle iniziative di maggior complessità e/o indagini di p.g.». Il provvedimento riportava le seguenti motivazioni:
    le finalità che ne hanno reso la costituzione, «anche in conseguenza del ridimensionamento del progetto “Malpensa 2000”, non sono mai state esaustivamente conseguite e che la struttura in argomento non ha sviluppato autonome iniziative investigative, attuando prevalentemente un occasionale e ordinario supporto alle attività di P.G.»;
    «La necessità di ottimizzare le risorse umane»;
    «Conseguenti possibili economie di gestione, alla luce della necessità di uniformarsi al generale indirizzo di contenimento della spesa pubblica»;
   il Nucleo informativo della Direzione Investigativa Antimafia di Malpensa si trovava in un contesto economico importante, all'interno di un aeroporto intercontinentale, dove sono presenti la totalità degli uffici di polizia ed addirittura il Corpo forestale dello Stato. Inoltre, era insediato in una zona che è risultata permeabile alla penetrazione mafiosa, come hanno dimostrato le sopracitate indagini della varie direzioni distrettuali antimafia;
   come confermato dal segretario generale del SIULP di Milano in questi anni il Nucleo di Malpensa ha collaborato in modo significativo ad importanti operazioni ed indagini, tutti riscontrabili dagli atti d'archivio se fosse istituita una commissione ispettiva, che non avrebbero potuto essere così bene svolte senza la presenza in loco del personale; indagini che hanno poi portato alla Direzione Investigativa Antimafia numerosi successi;
   il 17 gennaio 2012, il direttore della Direzione Investigativa Antimafia, in una nota, ha ribadito l'importanza del Nucleo informativo di Malpensa «tenuto conto anche degli imminenti impegni connessi all'EXPO 2015 che determineranno un aumento della gravitazione, presso l'aeroscalo, sia di persone che di merci, rendendo preferibile la presenza, in loco, di un presidio fisso che possa soddisfare, con tempestività ed aderenza, le necessità di monitoraggio e di informazione anche a supporto delle altre Articolazione della Direzione Investigativa Antimafia»; ha sostenuto, inoltre, che «le spese di missione per i servizi da svolgere per il soddisfacimento delle esigenze emergenti, risulterebbero sensibilmente maggiori rispetto ai risparmi conseguibili»;
   risulta infondato il riferimento al non raggiungimento delle finalità conseguite in quanto non risulta da alcuna nota della Direzione Investigativa Antimafia la definizione di obiettivi per il Nucleo di Malpensa;
   il Nucleo Malpensa ha svolto in modo preponderante attività di polizia giudiziaria delegata dai vari Centri operativi e quasi sempre con carattere d'urgenza e non si tratta di attività «occasionale» bensì «continua», tanto che ha portato un piccolo ufficio, con un organico di sole due persone, ad un elevatissimo livello di produttività. Indicatore riscontrabile può essere considerato il numero di protocolli d'archivio tendenzialmente tripli rispetto all'omologo ufficio di Fiumicino che può contare su cinque unità;
   il costo del mantenimento del presidio di Malpensa risulterebbe irrisorio. I locali in uso al N.I. di Malpensa sono stati forniti attraverso una convenzione, sottoscritta il 13 dicembre 2004, con la Società SEA spa. Il corrispettivo, meramente retributivo, delle utenze e dei servizi forniti comprendeva:
    oneri per l'impianto di termo-condizionamento;
    pulizia ufficio, aree comuni e sgombero rifiuti;
    elettricità;
    illuminazione ufficio e parti comuni;
    fornitura arredi;
    allaccio telematico alla banca dati aeroportuale;
   il corrispettivo annuo dovuto a SEA ammontava esattamente a 3.067,11 euro iva inclusa. Restavano esclusi da tali oneri i soli costi della linea telefonica a carico della Direzione Investigativa Antimafia per un importo pari a circa 50 euro a bimestre;
   il 28 maggio 2013, il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato, all'unanimità, su proposta della commissione antimafia, una mozione (MO041) che impegna il presidente della regione Maroni ad intervenire presso il Ministero dell'interno per scongiurare la chiusura del presidio della Dia (Direzione Investigativa Antimafia) presso lo scalo aeroportuale di Malpensa ed a proporre la stipula di un protocollo d'intesa con i Ministeri competenti al fine di «compartecipare alla copertura delle spese fisse del presidio»;
   il 21 giugno 2013, nella seduta n. 38 dell'Assemblea e in relazione all'Atto Camera n. 1197, divenuto legge n. 71 del 2013, concernente «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015. Trasferimento di funzioni in materia di turismo e disposizioni sulla composizione del CIPE», il Governo ha accolto un ordine del giorno che lo impegna a valutare la possibilità, nell'ambito delle proprie competenze, di prevedere strumenti di controllo oltre a quelli già vigenti, anche attraverso l'ispettorato del lavoro e gli uffici tecnici comunali e regionali sulla filiera delle lavorazioni in subappalto legate all'opera expo, al fine di scongiurare infiltrazioni della criminalità organizzata;
   il 18 luglio 2013 il Governo ha accolto come raccomandazione, in sede di esame dell'AS 825 e connessi (Istituzione della Commissione Parlamentare antimafia per la XVII legislatura), l'ordine del giorno n. G1.103 che lo invita a verificare la possibilità, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, di revocare con urgenza la disposizione relativa alla chiusura del presidio Direzione Investigativa Antimafia presso l'aeroporto di Malpensa e a valutare l'opportunità di rafforzare l'ufficio incrementando le risorse per personale, mezzi e formazione, al fine di garantire un'azione più efficace e capillare di contrasto alla criminalità per la sicurezza della collettività, anche in vista di Expo 2015;
   il 18 luglio 2013 il Governo ha accolto come raccomandazione, in sede di esame dell'AS 825 e connessi (Istituzione della Commissione Parlamentare antimafia per la XVII legislatura), l'ordine del giorno G1.102 che invita il Governo a consentire alla Direzione Investigativa Antimafia un adeguato apporto organico da parte delle diverse Forze di polizia prevedendo, nel contempo, un piano di assunzione straordinaria volto a colmare la perdurante carenza di organico nel comparto sicurezza; a potenziare, sia sotto il profilo organico che quello funzionale, la DIA, evitando e superando la duplicazione di strutture interforze create ad hoc sulla base di esigenze contingenti; ad adottare immediati interventi normativi, anche con carattere di urgenza, volti al ripristino integrale, a regime, del trattamento economico aggiuntivo del personale della Direzione investigativa antimafia;
   il 26 luglio 2013, nella seduta n. 59 dell'Assemblea e in relazione all'Atto Camera n. 1248, divenuto legge n. 98 del 2013, concernente «Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», il Parlamento ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a porre in atto azioni di contrasto alla mafia in Lombardia in occasione dell'evento EXPO, anche attraverso il potenziamento della presenza della Direzione Investigativa Antimafia sul territorio regionale e valutando nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di disporre la revoca della chiusura del presidio Direzione Investigativa Antimafia di Malpensa –:
   se abbia assunto o intenda assumere iniziative riguardo alla implementazione di ulteriori strumenti di controllo e di contrasto alla criminalità organizzata, rispetto a quelli vigenti a fine giugno 2013, oltre che al potenziamento di quelli esistenti, sul territorio lombardo in particolare, in riferimento alla filiera delle lavorazioni in subappalto legate all'opera EXPO e al ripristino del presidio della Direzione investigativa antimafia a Malpensa. (4-02345)


   CATALANO, COZZOLINO, TURCO, DE LORENZIS, TERZONI, MANNINO e LOREFICE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con atto n. 5-00852, l'interrogante ha richiesto al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti delucidazioni in merito all'omologazione del dispositivo per il controllo elettronico della velocità SICVe (sistema informativo controllo velocità), approvato con decreto direttoriale n. 3999 del 24 dicembre 2004 dei competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a favore della società Autostrade per l'Italia;
   la richiesta concerneva anche la corretta applicazione del comma 5 dell'articolo 192 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, che vieta il trasferimento di omologazione/approvazione tra soggetti privati in quanto detto trasferimento renderebbe non tracciabile la titolarità del dispositivo ai fini dell'assunzione degli obblighi e delle responsabilità di cui al successivo comma 8 del medesimo articolo;
   in riferimento all'omologa, il Ministero ha chiarito che la procedura in esame si è svolta tenendo conto delle norme di legge e regolamentari che disciplinano la materia in quanto:
    su richiesta del titolare dell'approvazione, con successivi decreti sono state approvate alcune versioni aggiornate del predetto sistema, per tenere conto di aggiornamenti essenzialmente per obsolescenza di alcuni componenti e per miglioramenti tecnologici intervenuti;
    in data 26 ottobre 2010 Autostrade per l'Italia ha comunicato che, a far data dal 1o gennaio 2010, ad essa era subentrata Autostrade Tech s.p.a.;
    quest'ultima, in pari data, ha richiesto a suo nome l'intestazione dei provvedimenti di omologazione ed approvazione, in pieno accordo con la società cedente;
    a seguito di istruttoria, ed in osservanza delle procedure previste dall'articolo 192 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 – regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada – gli uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno emesso il decreto n. 97818 del 9 dicembre 2010, che ha intestato a nome di Autostrade Tech s.p.a. le omologazioni e le approvazioni attribuite in precedenza ad Autostrade per l'Italia S.p.A.;
   in riferimento al trasferimento, il Ministero ha risposto che, essendo avvenuta una mera modifica degli assetti aziendali del fabbricante, non si è trattato di un trasferimento, ma di un cambio di intestazione di approvazione a seguito di un provvedimento ministeriale;
   ha specificato, inoltre, che Autostrade per l'Italia s.p.a. detiene il controllo della Autostrade Tech s.p.a. e ne rappresenta l'azionista unico;
   coerentemente con i quesiti sollevati nella precedente interrogazione, il giudice di pace, con sentenza, ha annullato una multa sancendo la «nullità del processo verbale per difetto di omologazione dell'apparecchio SICve-Vergilius»;
   nelle motivazioni della decisione si legge che «le omologazioni rilasciate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono esclusive del richiedente Autostrade per l'Italia Spa e non possono essere trasmesse a soggetti diversi da essa quale la Autostrade Tech Spa, essendo la citata disposizione inderogabile. Quest'ultima società, infatti, pur facendo parte del gruppo Autostrade per l'Italia Spa, è una società di servizi distinta dalla prima, con organi societari diversi»;
   detta sentenza può costituire un precedente per futuri annullamenti;
   il Ministero ha dichiarato che ANAS s.p.a. ha comunicato di avere stipulato, per la gestione del sistema, un'apposita convenzione con la polizia stradale e di non ricavare alcun introito sulle sanzioni erogate;
   l'assegnazione della gestione dei proventi di cui sopra alla polizia stradale implica per la stessa l'onere dell'eventuale restituzione degli importi delle multe –:
   se non si intenda verificare l'efficacia della norma in atto;
   se non si intenda verificare la correttezza e l'applicabilità delle sanzioni comminate;
   se non si intenda intervenire presso la polizia stradale ai fini di un chiarimento al riguardo;
   quali iniziative si intendano intraprendere per compensare gli ingenti danni economici che deriverebbero dall'accertamento della nullità dei verbali. (4-02357)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da molto tempo, diverse associazioni di comuni si stanno muovendo per garantire, anche nei piccoli centri – specie quelli geograficamente più complicati da raggiungere e meno collegati con le grandi città – il diritto all'istruzione, almeno per quel che riguarda la scuola primaria;
   l'ANCI Umbria si è più volte fatta promotrice di iniziative a carattere nazionale su questo importante tema, tuttavia diverse sono le situazioni di emergenza scolastica nella regione, con moltissime sezioni chiuse negli ultimi due anni e con intere scuole che rischiano di scomparire, soprattutto perché l'aumento delle pluriclassi nei piccoli comuni fa aumentare proporzionalmente l'esodo verso i grandi centri;
   le pluriclassi attualmente sono circa 90 in Umbria e necessitano di organico aggiuntivo per garantire una didattica di qualità, anche se non vanno comunque misconosciute le capacità di quegli insegnanti che hanno saputo «fare scuola» anche nelle pluriclassi;
   un problema analogo si pone anche per le scuole d'infanzia, le cui liste d'attese spesso non vengono evase, favorendo in qualche modo la «fuga» dal paese di residenza nel momento delle future iscrizioni alla scuola primaria;
   è evidente che la chiusura di una scuola in un piccolo centro fa aumentare l'isolamento e la marginalità dello stesso, pertanto, specie in situazioni in cui le distanze tra un comune e l'altro sono considerevoli sarebbe auspicabile garantire la continuità e la qualità scolastica primaria anche nei paesi più piccoli;
   l'ANCI Umbria chiede che venga messa in atto una strategia per la scuola di montagna e delle zone svantaggiate, al fine di assicurare il diritto all'istruzione in maniera capillare e uniforme sul territorio nazionale;
   quello dell'Umbria non è certo l'unico caso per uno Stato, come l'Italia, che presenta realtà geografiche molto diverse; basti pensare ad alcuni paesi dell'entroterra calabro o lucano, che, tra le altre cose, presentano problemi analoghi anche dal punto di vista dell'assistenza sanitaria, con piccoli ospedali che vengono chiusi pur trovandosi in zone isolate e difficili da raggiungere;
   oggi le politiche scolastiche hanno privilegiato un accentramento, nella logica dei grandi numeri, che ha indebolito il sistema scolastico dei piccoli centri, svigorendo, di conseguenza quella «protezione» sociale primaria che, insieme alla famiglia, è fondamentale per la crescita e lo sviluppo del bambino, nonché del territorio stesso;
   in un documento redatto dall'ANCI Umbria ed inviato in questi giorni a diverse istituzioni, nazionali e regionali, si legge che salvare le scuole dei piccoli Comuni significa lasciare presidi territoriali, evitare congestioni a livello centrale, garantire una didattica ricca perché proporzionata e pluricentrica, salvaguardare gli investimenti fatti in termini di sicurezza e messa a norma degli edifici e di garanzia di servizi di qualità connessi al sistema scolastico;
   è evidente che, pur comportando non irrisori costi di gestione, mantenere un presidio scolastico su un territorio particolare come i piccoli comuni è fondamentale per garantire il diritto allo studio dei bambini, nonché la pluralità e valorizzazione dei territori minori che rivestono, comunque, grande importanza in merito alla gestione delle risorse naturali, alla qualità territoriale e alla coesione sociale –:
   se non si ritenga opportuno promuovere per le piccole scuole dei comuni montani una normativa specifica, non più limitandosi alla sola deroga, e assicurando nella dotazione organica assegnata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la copertura per le scuole montane, stabilendo priorità nella assegnazione dell'organico a cura degli uffici scolastici regionali;
   se ritenga opportuno abbassare i parametri per la costituzione delle cosiddette «pluriclassi» nelle scuole di comuni montani, che al momento è fissato in un massimo 18 alunni, per evitare la creazione di pluriclassi comprendenti più gruppi di alunni di età diverse, anche non contigue;
   se ritenga possibile abbassare il numero minimo di alunni per classe per i comuni montani – attualmente fissato a 10 alunni – portandolo almeno a 6-8 alunni;
   se, in base a quanto esposto in premessa, intenda valutare l'attivazione di sezioni per la scuola dell'infanzia con numero di 10 alunni nei comuni montani come previsto dal decreto ministeriale n. 176 del 1997 e allo stesso tempo se ritenga importante affrontare il problema delle liste di attesa alla scuola dell'infanzia anche nei piccoli comuni, spesso privi di altri servizi per l'infanzia;
   se, nell'ambito delle proprie competenze e di concerto con le competenti autorità regionali, possa definire l’«ottimale dimensionamento» della rete scolastica cercando di coniugare le istanze degli enti locali con l'esigenza di una qualità del servizio;
   quali opportuni investimenti intenda mettere in atto nell'ambito della formazione degli insegnanti che lavorano nelle pluriclassi, al fine di garantire un insegnamento di qualità e condizioni adeguate per l'innovazione didattica;
   quali strumenti intenda utilizzare al fine di garantire la «continuità» pluriennale degli insegnanti nelle scuole di montagna, legando la concessione di punteggi aggiuntivi ad una effettiva continuità di servizio, secondo criteri da concordare tra le parti sociali;
   se non intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, come già avviene in alcune parti di Italia, progetti innovativi volti a superare le «sofferenze» di organico (docente e personale ATA) nelle piccole scuole nell'ottica di sostenere, potenziare e valorizzare questi presidi educativi, strettamente legati al territorio;
   se intenda valutare la possibilità di istituire un gruppo di lavoro inter-istituzionale per «La scuola di montagna e la montanità», opportuno strumento per la programmazione educativa sul territorio. (5-01337)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCHULLIAN, ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER e OTTOBRE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le borse di studio per la scuola primaria e secondaria e per la formazione professionale sono soggette all'imposta sul reddito;
   ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 476 del 1984, «sono esenti dall'imposta locale sui redditi e da quelle sul reddito delle persone fisiche le borse di studio cui all'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e gli assegni di studio corrisposti dallo Stato ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 80, e successive modificazioni, dalle regioni a statuto ordinario, in dipendenza del trasferimento alle stesse della materia concernente l'assistenza scolastica nell'ambito universitario, nonché dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome di Trento e Bolzano allo stesso titolo»;
   le borse di studio per la frequenza dei corsi di perfezionamento e di specializzazione post laurea (master di primo e secondo livello) nel resto d'Italia vengono concesse dalle università e queste per legge, come indicato sopra, sono già escluse dalla tassazione; non sono, invece, esentate le borse di studio per la formazione post laurea concesse dalle pubbliche amministrazioni e nella provincia autonoma di Bolzano è l'amministrazione provinciale competente a erogare tutte le forme di borse di studio;
   ne deriva che gli studenti della provincia di Bolzano risultano penalizzati rispetto al resto d'Italia poiché possono godere di un importo ridotto della borsa di studio a causa della tassazione ad essi applicata –:
   se il Governo intenda equiparare il trattamento fiscale di tutte le borse di studio erogate dagli enti pubblici di qualsiasi natura e dagli organismi di ricerca, in modo da renderle esenti dall'imposta locale sui redditi e da quella sul reddito delle persone fisiche e consentire così agli studenti di poter usufruire dell'intero importo della borsa di studio. (4-02332)


   VARGIU. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i tirocini formativi attivi ordinari (TFA), recentemente conclusi, hanno selezionato, tra duecentomila concorrenti, circa undicimila docenti attraverso un'apposita prova d'accesso sulle conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento della classe di abilitazione, secondo i programmi definiti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   i tirocini formativi attivi recentemente conclusi, o in procinto di concludersi, hanno specificatamente formato i suddetti docenti per svolgere l'attività di insegnamento;
   l'attuale sistema di formazione dei nuovi insegnanti per la scuola secondaria, conosciuto come tirocinio formativo attivo, ha abilitato in quest'anno accademico quasi undicimila docenti che, per accedervi, hanno dovuto superare tre dure prove di accesso, pagare una tassa di iscrizione (circa 2.600 euro in media), frequentare corsi disciplinari e pedagogico-didattici, affrontare un tirocinio di 475 ore e sostenere un esame finale;
   l'accesso al tirocinio formativo attivo è stato articolato attraverso il superamento di tre prove, svoltesi fra il luglio ed il novembre del 2012, così distinte: a) preselettiva b) prova scritta c) prova orale;
   il percorso formativo ha poi contemplato la frequenza di corsi disciplinari e pedagogico-didattici e il superamento dei relativi esami, concludendosi con un esame finale di abilitazione concernente l'esposizione di un progetto didattico su un argomento disciplinare estratto a sorte da ciascun candidato e la discussione della relazione finale sul tirocinio svolto in classe;
   sulla base del decreto ministeriale n. 249 del 2010, e dei successivi regolamenti ministeriali ad esso connesso, l'abilitazione conseguita tramite la frequenza del tirocinio formativo attivo risulta declassata rispetto a quella conseguita in passato con i cicli delle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, ai cui abilitati era sempre spettato l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, unico canale utile per ottenere l'immissione in ruolo per scorrimento (legge n. 296 del 2006). A differenza di quanto avvenuto sempre in passato, quindi, al titolo conseguito con il tirocinio formativo attivo spetterebbe solamente l'accesso alla seconda fascia delle graduatorie d'istituto, dalle quali è difficilmente ottenibile un incarico annuale, né si potrà mai ambire all'inserimento in ruolo a tempo indeterminato;
   il vulnus del decreto ministeriale n. 572 del 2013 opera una disparità di trattamento tra titoli di abilitazione equipollenti, violando a giudizio dell'interrogante la direttiva 2005/36/CE e sancendo il paradosso normativo per cui i docenti abilitati nei Paesi dell'Unione europea possano accedere alle graduatorie ad esaurimento e, quindi, in prospettiva, al ruolo, mentre quei docenti che hanno conseguito lo stesso titolo entro i confini nazionali vengono relegati alla seconda fascia delle graduatorie d'istituto, dalle quali è possibile ottenere supplenze saltuarie e temporanee, senza con ciò poter ambire ad un incarico a tempo indeterminato;
   il decreto ministeriale n. 249 del 2010, inoltre, annoverava tra i suoi principi cardine la corrispondenza tra i posti messi in palio per l'accesso al tirocinio formativo attivo e il fabbisogno di personale scolastico calcolato sulla base dei futuri pensionamenti;
   nonostante la riduzione strutturale di questi ultimi, dovuto agli effetti delle più recenti azioni di riforma del sistema, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha varato con il decreto ministeriale n. 81 del 2013 l'ennesima sanatoria attraverso i cosiddetti percorsi abilitanti speciali, che abiliterà ope legis 80.000 docenti aventi un'anzianità di servizio pari a tre anni scolastici, senza alcuna verifica meritocratica delle loro conoscenze didattico-disciplinari, derogando in tal modo al principio del fabbisogno reale di docenti sancito nel decreto ministeriale n. 249 del 2010;
   molti di coloro che si abiliteranno attraverso questo percorso speciale, infatti, potendo vantare un alto punteggio di servizio, rischiano di scavalcare gli abilitati con merito del tirocinio formativo attivo nelle graduatorie d'istituto, ottenendo priorità negli incarichi di supplenza, pur non avendo dimostrato in alcun modo il proprio grado di conoscenza delle pratiche didattiche necessarie ad un proficuo processo di insegnamento-apprendimento –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, ritenga opportuno assumere per la riapertura e l'inserimento nella terza fascia delle graduatorie ad esaurimento dei docenti abilitati tramite la frequenza del tirocinio formativo attivo ordinario, con un punteggio pari a quello conferito negli anni precedenti agli abilitati delle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, in virtù della direttiva 2005/36/CE, che sancisce l'uguaglianza dei titoli abilitanti professionali nel territorio dell'Unione europea. (4-02343)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BERGAMINI e POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la TNT Global Express è una delle maggiori compagnie di spedizioni espresse olandese che opera in Italia e dispone, nel nostro Paese, di 117 filiali dislocate in molte regioni, 14 hub, 5 customer service e oltre 1200 TNT Point;
   nonostante questo l'amministratore delegato Toni Jacobsen, con una lettera datata 10 giugno 2013, ha annunciato un piano di ristrutturazione aziendale che prevede l'esubero di 854 dipendenti a livello nazionale;
   i lavoratori hanno richiesto la presentazione, da parte dell'azienda, di un piano industriale credibile finalizzato al risanamento e al rilancio della presenza e delle attività nel nostro Paese, salvaguardando i livelli occupazionali complessivi;
   i sindacati hanno chiesto all'azienda il ritiro delle procedure di licenziamento, l'avvio di un confronto sul risanamento finanziario e un piano industriale a difesa dei livelli occupazionali complessivi;
   gli incontri che si sono svolti tra i rappresentanti dei lavoratori e dell'azienda hanno avuto esito negativo. Il 3 luglio 2013 si è interrotto il confronto tra le organizzazioni sindacali e la società TNT, con la sottoscrizione del verbale di mancato accordo;
   il 17 luglio 2013 la società si era impegnata, in sede ministeriale, a presentare un piano strategico;
   il 31 luglio 2013 la società ha illustrato il suddetto piano confermando gli 854 esuberi tra i dipendenti diretti di TNT e la chiusura di 24 filiali minori tra il 2013 e il 2014, nonché la delocalizzazione del neo «data entry» all'estero. Il neo data entry doveva servire temporaneamente all'azienda per il cosiddetto progetto Avatar, parte del più ampio piano Deliver e contemporaneamente poteva servire per assorbire parte delle ricollocazioni faticosamente ottenute con trattativa sindacale tra gli addetti posti in cassa in deroga a zero ore;
   nonostante le rassicurazioni fornite in merito dall'azienda, la stessa, invece di ricollocare il proprio personale posto in cassa integrazione a zero ore, a quanto consta alle interroganti ha fatto ricorso al personale proveniente da agenzie interinali per il neo «data entry» di Torino;
   è necessario che i lavoratori posti in cassa integrazione a zero ore siano richiamati in servizio dall'azienda, sia per l'intera prestazione lavorativa, sia per parte di essa, ricorrendo, anche parzialmente, alla cassa integrazione in deroga per garantire la continuità delle attività d'impresa e rinunciare, pertanto, all'utilizzo improprio di lavoratori somministrati;
   non sembra, quindi, opportuna la proposta della TNT express relativa alla ricollocazione di soli 170 lavoratori in tutta Italia tra quelli che volontariamente vorranno accettare di trasferirsi dalle filiali che chiudono a quelle più vicine;
   si ritiene, pertanto, indispensabile richiamare in servizio gli addetti incomprensibilmente estromessi dalla società e, invece, assolutamente necessari –:
   quali tempestive iniziative si intendano adottare per garantire la permanenza in Italia della società TNT Global Express tutelando, altresì, i livelli occupazionali. (5-01322)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Coca-Cola HBC Italia s.r.l., prima con la denominazione Coca-Cola Bevande Italia s.p.a., è una società proprietà della greca, Coca-Cola Hellenic Group, che conduce le proprie attività in Italia dal 1995;
   Coca-Cola HBC Italia è oggi il più grande produttore e distributore di prodotti a marchio The Coca-Cola Company sul territorio nazionale. Impiega oltre 2.500 dipendenti e opera con 6 impianti di produzione e 2 depositi;
   nei giorni scorsi si è appreso che nella sede Assolombarda di Milano, durante la riunione periodica di coordinamento del gruppo, la società multinazionale ha comunicato l'intenzione di chiudere lo stabilimento Gaglianico in provincia di Biella;
   lo stabilimento sopracitato ospita due magazzini, uffici, laboratorio e aerea destinata alla produzione di bevande in conformità all'accordo di franchising stipulato con la The Coca-Cola Company, imbottigliati in formato PET, vetro e bag in box. La produzione di questo sito viene stimata in litri pari al 60-70 per cento della produzione totale;
   occorre rimarcare come il territorio abbia già risentito in modo pesante in termini occupazionali della crisi economica e come nello specifico lo stabilimento in questione sia già stato oggetto di operazioni di esternalizzazione dei servizi di logistica e magazzino con l'effetto della dichiarazione nel novembre 2012 di 35 lavoratori in esubero –:
   se il Ministro sia informato dei fatti esposti in premessa;
   con quali iniziative intenda intervenire, vista la grave situazione di emergenza lavorativa, per salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (4-02339)


   MAGORNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Commercio e Finanza spa con sede a Napoli opera da oltre 30 anni nel settore del leasing e del factoring;
   è il frutto dell'accorpamento del parabancario in un'unica società deciso dal Banco di Napoli, che era inizialmente entrato nel settore unitamente a Barclays;
   la vocazione meridionale si sviluppa negli anni ’80 tramite il convenzionamento con la Cassa per il Mezzogiorno che porta la società a diventare leader al Sud per le operazioni di leasing agevolato;
   nel 2002, a seguito dell'acquisizione del Banco Napoli da parte del San Paolo, la Commercio confluisce nel gruppo Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife);
   con una rete iniziale di 9 agenzie esclusive su tutto il territorio, profonda esperienza del management e una struttura snella ed efficiente, la società porta subito a Carife oltre 30 milioni gli utili netti nel periodo 2003-2009, tra l'altro alimentando la provvista in prevalenza con operazioni di cartolarizzazione dei crediti leasing;
   dal 2008 alla crisi sistemica si aggiunge quella di Carife, che riduce progressivamente la propria quota di provvista e l'operatività sul mercato di Commercio e Finanza: lo stipulato leasing passa dai 680 milioni di euro del 2007 ai 102 del 2012, il factoring da un investimento di 400 milioni di euro a 90 milioni;
   pertanto negli anni 2010-2012, a causa dei pesanti accantonamenti, la società registra perdite complessive per quasi 2 milioni di euro;
   nonostante la nuova proprietà, rimane la caratterizzazione meridionale della società, che ha continuato ad investire in prevalenza al Sud (65 per cento lo stipulato leasing nel 2012, mentre il factoring è rimasto tutto in Campania), specializzandosi nel frattempo nella gestione delle operazioni con ricorso al fondo di garanzia;
   il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto n. 151 del 27 maggio 2013, ha disposto, su proposta della Banca d'Italia – intervenuta a seguito delle sfavorevoli risultanze degli accertamenti ispettivi di vigilanza –, lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Cassa di Risparmio di Ferrara spa e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria, a decorrere dal 30 maggio 2013;
   i commissari puntano ad un drastico ridimensionamento del personale da 63 a 13 unità, con l'obiettivo di dismettere l'attività rilevando per Commercio e Finanza l'impossibilità di reperire il funding necessario e il grave squilibrio gestionale tra costi e ricavi;
   le periodiche verifiche della vigilanza su Commercio e Finanza, anche recenti, non hanno rilevato alcuna anomalia e, nonostante la crisi economica, l'attività della società sostanzialmente procede bene –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e, per quanto di competenza, quali iniziative intendano avviare al fine di scongiurare la dismissione della Commercio e Finanza, unica società di leasing ben strutturata e presente nel Sud, in cui vi operano oltre 100 lavoratori tra dipendenti, agenti e collaboratori e che si è distinta per aver dato un notevole contribuito all'economia del Meridione. (4-02355)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e ANZALDI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da alcune settimane è scoppiata una significativa polemica circa l'approvvigionamento di grano dall'estero per la produzione di pasta italiana:
    in particolare, la polemica è scoppiata a seguito dell'approdo presso il porto di Bari di alcune navi che hanno scaricato tonnellate di grano made in Usa;
    in Puglia si concentra il 36 per cento dell'attività molitoria nazionale, con ottantamila quintali di grano duro al giorno e 15 mila di grano tenero;
    in tutto il Mezzogiorno si è ai due terzi della intera attività di filiera;
    da alcuni anni stiamo assistendo ad un'azione speculatoria verso il grano duro che sta subendo contrazioni di prezzo inspiegabili che portano alla impossibilità per i produttori di poter andare avanti;
    si è infatti ai limiti dei costi di produzione;
    nonostante questa diminuzione di prezzo tuttavia i consumatori non hanno registrato una diminuzione del costo della pasta sia nella vendita al dettaglio sia nella grande distribuzione;
    tanto per fare un esempio denunciato dalla Coldiretti la speculazione tra grano duro e pasta è pari al 400 per cento, mentre tra grano tenero e pane si è al 1000 per cento;
    vanno affrontate in maniera drastica tre storture fondamentali che condizionano fortemente il livello di prezzo corrisposto alla produzione, quali l'assoluta mancanza di norme che regolano il mercato mondiale (etichettatura di origine obbligatoria, tracciabilità delle produzioni), le importazioni speculative e il divario dei prezzi corrisposti alla produzione rispetto al consumo –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare anche in sede comunitaria per difendere la qualità e la produzione del grano assicurando la realizzazione di un progetto innovativo di filiera governato dai produttori italiani attraverso le proprie aggregazioni di prodotto, per ridurre progressivamente la dipendenza del sistema della trasformazione dall'estero e per qualificare pane e pasta italiani con l'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine del grano. (5-01321)


   GALLINELLA, ZACCAGNINI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, DAGA, ZOLEZZI e CIPRINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da agenzia AGRAPRESS, dell'8 maggio 2013 si apprende che il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Nunzia De Girolamo è intervenuta sul tema dei terreni demaniali con la seguente dichiarazione: sentirò cassa depositi e prestiti per stima e vendita – «bisogna dare ai giovani la possibilità di fare agricoltura attraverso gli strumenti dell'agricoltura, primo fra tutti, la terra». Si legge di seguito nel testo dell'agenzia «riprenderò» questo tema – ha assicurato il ministro – e mi sono già prefissata alcuni obiettivi, tra cui quello di rivedere tutto il patrimonio demaniale dei terreni agricoli per capire effettivamente quali sono le stime attuali. Oggi sentirò il presidente della Cassa Depositi e Prestiti per capire se c’è la possibilità di fare ciò che è stato fatto per il fondo degli Enti Locali anche in agricoltura». In chiusura, « [il ministro] ha aggiunto che la cassa depositi e prestiti dovrebbe essere coinvolta per la stima, la valorizzazione e la vendita dei terreni demaniali, in modo tale da evitare le cartolarizzazioni, che in questo Paese non hanno funzionato»;
   risulta che tali dichiarazioni siano state pronunciate in occasione dell'assemblea annuale dell'associazione giovani imprenditori agricoli (AGIA) della Confederazione italiana Agricoltori;
   ad avviso degli interroganti, è giusto consentire ai giovani agricoltori, (che sono pronti a ricostruire l'Italia), di dare il proprio contributo «facilitando le cose», ma non tramite lo strumento della vendita dei terreni demaniali. Il rischio è che un domani tali terreni agricoli, alienati da parte dello Stato, possano essere destinati a diversi utilizzi, anche perché nel discorso del Ministro, per quello che risulta, non si è accennato a nessun vincolo di destinazione dei fondi;
   sarebbe opportuno, ad avviso degli interroganti, utilizzare lo strumento della concessione per 15 o 19 anni a seconda dell'investimento che si voglia fare, anche in ragione del fatto che gli stessi giovani agricoltori in un'altra nota, ripresa dall'agenzia di stampa AGRAPRESS chiedono «la rapida attuazione della legge che libera, alla vendita o all'affitto, i terreni demaniali ora inutilizzati». Non vi sarebbe dunque per parte loro alcuna differenza tra soluzione definitive (vendita) o temporanee (concessione), ma vi è soprattutto la chiara volontà di lavorare; e occorre, partendo dal presupposto di voler proteggere i terreni demaniali, allo stesso tempo, favorire il lavoro ed evitare l'abbandono dei fondi agricoli –:
   se le dichiarazioni riportate da Agrapress dell'8 maggio 2013 corrispondano alle reali intenzioni del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, per i motivi sopra esposti, puntare esclusivamente sullo strumento della concessione in favore degli agricoltori che non hanno ancora compiuto i quaranta anni dei terreni agricoli sottoposti al regime giuridico del demanio statale piuttosto che sull'alienazione definitiva di tali fondi;
   se non ritengano, in caso di risposta affermativa a quanto sopra richiesto, di facilitare la concessione per lo sfruttamento di tali terreni agricoli a giovani agricoltori, fissando per i primi 5 anni un canone agevolato;
   se non ritengano di privilegiare nelle condizioni per la concessione quelle cooperative costituite da persone con disabilità ai fini della loro riabilitazione, recupero e integrazione, dando così dignità anche a coloro che difficilmente sentono di averla e consentendo loro di migliorarsi attraverso un lavoro a contatto con la natura che, come è noto, ha dato sempre ottimi risultati;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario, escludere la concessione per lo sfruttamento dei terreni agricoli (perché gli interroganti non ritengono che essi vadano venduti) per quegli agricoltori che volessero puntare i loro investimenti in colture dedicate alla produzione energetica (biomassa dedicata), in quanto, gli interroganti ritengono che tali fondi debbano essere destinati solo a produzioni destinate al consumo alimentare umano e animale, consentendo tuttavia che le aziende agricole concessionarie possano investire in strutture destinate alla loro autosufficienza energetica attraverso la valorizzazione degli scarti e residui di agricoltura;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, escludere dalla concessione per lo sfruttamento dei terreni agricoli (in attesa che il nostro Paese eserciti la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE) quegli agricoltori che volessero coltivare anche sementi di origine OGM;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno favorire la concessione di tali fondi agricoli a quegli agricoltori che volessero puntare i loro investimenti in coltivazioni che utilizzino meno «chimica» possibile. (5-01331)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, LUPO, GALLINELLA, GAGNARLI, PARENTELA, TOFALO, CRIPPA, PRODANI e DA VILLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo alcune stime della Confederazione italiana agricoltori, l'Italia figurava, fino al 2007, tra i principali produttori europei di castagne con una produzione, che si aggirava tra le 50.000 e le 70.000 tonnellate, pari ad un valore di 46 milioni di euro con oltre 34.000 imprese coinvolte;
   i dati diffusi dalla Coldiretti a febbraio 2013 e relativi ai primi undici mesi del 2012, confrontati con lo stesso periodo del 2011 e del 2010, restituiscono uno scenario drammatico del comparto:
    a) le esportazioni di castagne italiane nel 2012 sono scese del 20 per cento rispetto al 2011 e del 30 per cento rispetto al 2010;
    b) le importazioni di castagne in Italia nel 2012 sono quasi triplicate rispetto al 2010 e sono quasi raddoppiate rispetto al 2011 con i 7.760.811 chilogrammi del 2011 a 14.453.208 chilogrammi del 2012;
   il 2012 ha rappresentato per il settore un vero e proprio «annus horribilis», visto l'accavallarsi della siccità prolungata e della inarrestabile diffusione del «cinipide del castagno» con cali di produzione stimati in alcune regioni come la Campania del 70 per cento;
   proprio in Campania a farne le spese sono produzioni d'eccellenza come le Igp di Montella e di Roccadaspide;
   il cinipide del castagno (Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu) è un imenottero fitofago detto «galligeno» perché provoca la comparsa di ingrossamenti dalla forma tondeggiante sui germogli e sulle foglie delle piante colpite, nei quali la sua larva compie il ciclo vitale arrestandone la crescita e, quindi, provocando una fortissima riduzione della fruttificazione e, nel peggiore dei casi, il deperimento della pianta stessa;
   il cinipide è stato segnalato, per la prima volta in Italia, in provincia di Cuneo nel 2002 per poi diffondersi, negli anni successivi, molto rapidamente anche in virtù dell'assenza di limitatori naturali in grado di contenerne la propagazione;
   allo stato attuale l'unica strategia contro il cinipide risulta essere, alla luce delle esperienze positive sia internazionali (Giappone) sia nazionali (Piemonte), la lotta biologica attraverso la costituzione di zone di allevamento e di zone di rilascio in pieno campo di parassiti denominati Torymus Sinensis;
   nei primi anni dal rilascio, la popolazione di Torymus Sinensis si disperde molto lentamente, mentre con il passare del tempo la diffusione sarà sempre più rapida ed esponenziale: in base ai parametri tecnici, due siti di rilascio a 8 chilometri l'uno dall'altro vedranno la congiunzione delle popolazioni del parassitoide in 5 anni, due siti a 20 chilometri in 7 anni;
   per debellare il cinipide galligeno con questa lotta biologica dovranno trascorrere alcuni decenni, mentre i castanicoltori chiedono alle istituzioni e alla comunità scientifica soluzioni più rapide ed efficaci allo scopo di scongiurare la inevitabile chiusura delle aziende di produzione e trasformazione;
   la castanicoltura, in alcune regioni come la Campania, produce reddito d'impresa e quindi, non essendo solo una risorsa paesaggistica e forestale, richiama la necessità di un approccio diverso questo grave problema con modalità nuove e tempi più brevi –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative per prevedere un intervento compensativo quale indennizzo per la drammatica situazione che sta vivendo da alcuni anni l'intera filiera produttiva del castagno;
   se intenda avviare una riflessione sulla sperimentazione di nuove pratiche di lotta integrata e di utilizzo di prodotti già ammessi nel campo dell'agricoltura biologica. (4-02338)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è passato quasi un anno dall'evento alluvionale che il 12 novembre 2012 ha colpito la Maremma, ed in particolare il comune di Orbetello, creando notevoli danni sia alle abitazioni private sia alle imprese, agricole e non;
   in base a quanto pubblicato sul bollettino regionale, i contributi che arriveranno in Maremma per gli immobili e i beni mobili danneggiati copriranno il 38,53 per cento dei contributi richiesti per le case, e il 27 per cento di quelli chiesti per i danni alle automobili;
   nel solo comune di Orbetello il danno accertato agli immobili, che con questo contributo otterranno appena un milione e 600 mila euro, è di circa 4 milioni di euro, mentre per i beni mobili, il contributo ammonterà a 352 mila euro;
   con l'ordinanza commissariale n. 13 del 26 luglio 2013 (pubblicata sui BURT in data 9 agosto 2013) è stato approvato l'elenco provvisorio dei beneficiari dei contributi alle imprese alluvionate nel novembre 2012;
   le imprese extra agricole potranno ottenere rimborsi fino ad un massimo di 200.000 euro ciascuna, per un totale di 12,8 milioni di euro, così suddivisi: 4,8 milioni andranno a Grosseto, che ospita la maggior parte delle imprese danneggiate, 3,6 milioni a Massa Carrara, 670.000 euro a Lucca, 314.000 a Siena, 248.000 a Pistoia e 31.000 a Pisa;
   quella che doveva essere una tempestiva liquidazione dei danni, è avvenuta, invece, a poco meno di un anno dall'evento, ed è stata resa possibile solo grazie alla decisione della regione Toscana di anticipare, prelevandole dal proprio bilancio, le somme necessarie, in attesa di uno stanziamento da parte del Governo che si è fatto lungamente attendere e che a tutt'oggi è stato erogato solo in parte;
   per quanto riguarda, invece, le imprese agricole, i danni subiti dalle circa 1.500 aziende hanno superato la cifra di 150 milioni di euro, ma gli aiuti dallo Stato e dagli enti locali sono stati scarsi, se non addirittura nulli;
   le aziende alluvionate non hanno potute giovare di alcuna moratoria fiscale, nessun intervento per alleggerire i piani di ammortamento aziendale e ben poco per sostenere chi è stato lungamente incapace di produrre reddito, e anzi, ad aggravare la situazione sono intervenute decisioni penalizzanti di economia nazionale come, ad esempio, l'aumento dell'Iva, che grava sui costi di produzione;
   nonostante per il 2013 le imprese agricole colpite dall'alluvione abbiano potuto beneficiare della sospensione delle rate dei mutui e dei relativi interessi, l'anno sta per finire e le imprese agricole si trovano, se possibile, in una situazione anche peggiore, perché ai danni diretti dell'alluvione si sommano quelli indiretti patiti per la mancata o parzialissima riutilizzazione dei terreni agricoli;
   viste le difficoltà del mondo agricolo, l'11 ottobre 2013, ad Albinia (GR), è stata organizzata la manifestazione dal titolo «Agricoltura, zero assoluto: parliamone», in occasione della quale gli organizzatori dell'evento, appartenenti alle relative associazioni di categoria, hanno denunciato alla stampa che «ad oggi le imprese agricole danneggiate non hanno beneficiato di alcun sostegno economico... occorre dichiarare la nostra difficoltà, ed è necessario che le istituzioni si facciano carico, senza se e senza ma, della questione... rivendichiamo il diritto ad avere i risarcimenti economici previsti... rivendichiamo il diritto di lavorare e far lavorare...»;
   lo scorso anno gli agricoltori hanno perso tutto, e non hanno neanche potuto coltivare i campi per la stagione 2013, posto che le colture necessitavano di una preparazione che non è stato possibile effettuare, subendo ulteriori, pesantissimi, danni economici;
   anche il governatore della Toscana ha sollecitato pubblicamente il Governo ad intervenire, ma in realtà, alla dichiarazione dello stato di calamità, firmata a gennaio 2013 dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore Mario Catania, non ha fatto seguito la predisposizione dei fondi necessari per i risarcimenti;
   a ciò si aggiunga che il fondo di solidarietà nazionale in agricoltura nel corso degli ultimi tre anni è stato progressivamente definanziato fino ad essere azzerato;
   nel mese di ottobre 2013 si sono verificati altri danni causati dal maltempo, che interessano, anche questa volta, per il 90 per cento i terreni agricoli, a ulteriore dimostrazione che in agricoltura la manutenzione territoriale è particolarmente importante –:
   quanti siano, e a chi siano stati destinati, i finanziamenti sinora erogati in seguito all'evento alluvionale di cui in premessa, e a che punto sia il relativo iter;
   quali opportuni iniziative si intendano assumere, da un lato per integrare le somme necessarie a rimborsare i cittadini e le aziende tutte dei danni subiti, e, dall'altro, al fine di ottenere una ulteriore proroga rispetto al pagamento dei mutui per le imprese del comparto agricolo;
   quali siano le motivazioni alla base del definanziamento del fondo di solidarietà nazionale in agricoltura, e in che modo si intenda garantire l'urgente reintegro delle relative somme, al fine di assicurare una compiuta ed efficace tutela ad un settore fondamentale dell'economia quale è l'agricoltura. (4-02350)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   desta preoccupazione l'analogia che si sta concretizzando sempre di più, tra l'attuale caso Stamina e il caso Di Bella, che risale a circa 20 anni fa e che esplose per il combinato disposto dell'intervento della magistratura e di una forte ipermediatizzazione, capace di surriscaldare gli animi, facendo leva su emozioni e sentimenti comuni un po’ a tutti;
   confluivano allora nel sentire popolare un forte senso di empatia per il destino di malati oncologici gravi e in certi casi gravissimi, la proiezione immaginifica di una scienza finalmente capace di venire a capo di problemi non risolti, utilizzando modelli alternativi, e la visione ostile e persecutoria di una burocrazia sorda e cieca davanti ai bisogni dei malati;
   anche allora da un lato la televisione, quotidiani e settimanali enfatizzavano la storia del nuovo metodo di cura, mentre la stampa specialistica ne denunciava i limiti e sottolineava la carenza di rigore scientifico; quando il 5 febbraio del 1996 la Commissione oncologica nazionale formulò un parere negativo nel quale sottolineava l'assenza di evidenze scientifiche nel metodo, un gruppo di pazienti che seguivano il metodo Di Bella e i loro familiari, costituiti in Associazione, l'AIAN, chiesero comunque l'autorizzazione alla somministrazione gratuita della somatostatina, uno dei farmaci che facevano parte del metodo Di Bella, di cui la Commissione del farmaco (CUF) prevedeva la somministrazione per casi diversi da quelli tumorali. Quando l'8 gennaio del 1997 la Commissione del farmaco escluse, in base ai dati scientifici disponibili, che la somatostatina potesse essere somministrata efficacemente in oncologia, l'AIAN scatenò una vera e propria campagna di discredito nei confronti del Ministro e del ministero, utilizzando i talk show televisivi dell'epoca;
   anche allora ci furono magistrati che ordinarono la somministrazione gratuita dei farmaci necessari alla terapia, nonostante il parere negativo del Comitato scientifico, il costo molto alto e i farmaci non rientrassero comunque in quelli previsti dal Servizio sanitario nazionale. Carlo Madaro, pretore di Maglie, intimò alla ASL di Lecce di fornire gratuitamente i farmaci a chiunque ne avesse bisogno. La decisione, in mancanza di conferme scientifiche, di fatto assegnava alla cura una certa credibilità di cui era priva negli ambienti scientifici;
   per quasi un anno durò la capacità di resistere del Ministro pro tempore Bindi, che opponeva sistematicamente ragioni e ragionevolezza, ad una emotività dilagante, che si avvitava progressivamente su se stessa, enfatizzando il dramma di tante storie individuali, per sollecitare il senso della pietas nel pubblico, dimenticando gli elementi oggettivi fondamentali che caratterizzano ogni verifica clinica;
   allora il Ministro della sanità pro tempore, Rosy Bindi, sotto la spinta di un ordine del giorno approvato al Senato, emanò un provvedimento urgente che autorizzava la sperimentazione del protocollo Di Bella, anche in assenza di documentazioni ufficiali sulla sua efficacia. Pareri contrari alla sperimentazione vennero:
    dalla Commissione unica del farmaco in data 8 gennaio 1997 e 5 agosto 1997;
    dalla presidenza del Consiglio superiore di sanità in data 16 luglio 1997;
   dall'assemblea generale del Consiglio stesso in data 19 dicembre 1997;
   mentre la comunità scientifica dimostrava che il metodo Di Bella non poteva avere effetti terapeutici nei confronti del cancro, l'asse del dibattito si spostò dal piano dei dati scientifici a quello del diritto alle cure, sulla base di una propria libertà ed autonomia. I malati non chiedevano più il metodo Di Bella perché era efficace, chiedevano di riaffermare il proprio diritto ad una libera scelta del modo di curarsi, sulla base di un dettato costituzionale;
   ancora oggi a distanza di circa 20 anni, è difficile misurare la tensione che vedeva contrapposto il rigore della scienza a cui si univa tutta la comunità scientifica ed accademica e la forte emotività dei malati organizzati in modo strutturato nella loro protesta. Due alfabeti diversi e incomunicabili, che la politica e la magistratura avrebbero dovuto decodificare in modo più efficace. Ma non fu così;
   la sperimentazione nazionale della cura Di Bella fu concordata a fine gennaio 1998, iniziò a marzo e coinvolse 1155 pazienti affetti da vari tipi di tumore. Si chiuse nel luglio 1998, in quanto la quasi totalità dei pazienti si era ritirata dallo studio (il 97,5 per cento). La maggioranza dei ritiri fu causata dalla morte o dalla progressione della malattia. Tutti i particolari del protocollo furono stabiliti dal professore Di Bella in concerto con i componenti della commissione ufficiale. Dallo stesso professore furono siglate le pagine del protocollo una per una, Di Bella fu presente a tutte, tranne una, le riunioni della commissione;
   alla fine, i risultati della sperimentazione effettuata dal Ministero della sanità (ora «della salute»), venivano riassunti così dal Ministro pro tempore Umberto Veronesi: «Dall'analisi dell'insieme dei 1155 pazienti inclusi negli studi – sperimentali (386 pazienti) ed osservazionali (769 pazienti) – non emerge alcuna evidenza che il trattamento MDB sia dotato di una qualche attività anti-tumorale di interesse clinico...» (da: risposta all'interrogazione parlamentare n. 4-25267, Ministro U. Veronesi, che poi puntualizza: «In nessuno dei 1155 pazienti inclusi nella sperimentazione si è osservata una risposta obiettiva completa (scomparsa delle masse tumorali); una risposta obiettiva parziale (riduzione di almeno il 50 per cento delle lesioni tumorali), si è osservata in soli 3 (0,8 per cento) dei 386 pazienti inclusi negli studi sperimentali. La quasi totale assenza di risposte obiettive nello studio sperimentale propriamente detto è stato confermato negli studi osservazionali nei quali solo in 5 (0,7 per cento) dei 769 pazienti inclusi, i centri partecipanti hanno segnalato la presenza di una risposta obiettiva di tipo parziale»;
   tre Ministri della salute sono intervenuti nel caso Di Bella: il Ministro pro tempore Bindi che ha autorizzato la sperimentazione, il Ministro pro tempore Veronesi che ne ha tratto le conclusioni finali e il Ministro pro tempore Storace, che nonostante l'evidente insuccesso della sperimentazione all'inizio del suo mandato avrebbe a parere degli interroganti voluto riproporla sotto un nuovo pressing mediatico. Non tutti sanno che oltre alla sperimentazione nazionale del MDB, ne esiste un'altra regionale, indipendente, condotta in Lombardia su 333 pazienti: anch'essa diede risultati assolutamente negativi;
   nel caso Stamina accanto alle accuse rese pubbliche sul sito online della rivista inglese Nature e scatenate in merito alla fondatezza del «metodo stamina», proposto da Davide Vannoni, secondo Nature il metodo è frutto di un plagio basato su dati erronei. L'ordinanza del 15 maggio 2012 emessa dall'Aifa, mai annullata e ancora in vigore ha vietato i prelievi, trasporti, manipolazioni, colture, stoccaggi, e somministrazioni di cellule umane presso gli Spedali Civili di Brescia in collaborazione con Stamina Foundation Onlus»;
   il 23 maggio 2013, il Parlamento ha approvato uno stanziamento di tre milioni di euro per la sperimentazione di 18 mesi sul «metodo Stamina» a partire proprio da questo mese;
   Vannoni ha presentato con grande ritardo un protocollo «standardizzato», che è stato giudicato negativamente dal Comitato scientifico nominato dal Ministro, con i massimi esperti del settore. Oleari, presidente ISS, ha ribadito l'assoluta inconsistenza scientifica del metodo Vannoni, che invece continua a occupare uno spazio mediatico davvero eccessivo e pericoloso proprio per la tutela della salute pubblica;
   la mobilizzazione dell'opinione pubblica continua in forme drammatiche come l'occupazione della piazza di Montecitorio da oltre un mese con pazienti in tenda che versano in gravissime condizioni nel disperato tentativo di attrarre l'attenzione dell'opinione politica su di sé;
   è morto da qualche settimana Raffaele Pennacchio affetto da SLA, e l'evento drammatico si è consumato al ritorno a casa dopo aver partecipato ad una manifestazione sotto il MEF: morto per lo stress ha detto sua moglie, e si potrebbe aggiungere morto per il combinato disposto di una malattia come la SLA, lo stress legato al suo impegno civico di attrarre l'attenzione dei decisori politici sulla condizione dei malati che versano in condizioni spesso gravissime, e il nuovo modello di protesta estrema, spinta fino a mettere a repentaglio la propria vita per richiamare l'attenzione dei media e attraverso di loro coinvolgere in mondo politico;
   la vicenda di Stamina e quella di Raffaele mostrano quanto debba essere intensa, continua e tempestiva l'assistenza da offrire alle persone che versano in condizioni di grave disabilità, ma mostra anche come vada interrotto rapidamente il circuito mediatico che induce ad una sorta di spettacolarizzazione del dolore nel tentativo di fare pressione sul mondo politico, anche in flagrante contraddizione con i dati scientifici disponibili;
   Stamina Foundation ha precisato in un recente comunicato che: le cellule staminali mesenchimali prodotte secondo il cosiddetto «metodo Stamina» sono somministrate ai pazienti attualmente in trattamento o per ordine dei tribunali o in forza del decreto-legge 24 del 2013, al di fuori di una sperimentazione clinica e sotto la esclusiva responsabilità del medico prescrittore. Il trattamento in questione – non si può pacificamente parlare di terapia – è sempre stato e resta sconosciuto e l'azienda non è mai stata – e non lo è tuttora – in grado di definire un percorso terapeutico e quindi, dopo le infusioni, di prendere in cura e monitorare le condizioni degli stessi;
   la Commissione scientifica istituita dal Ministero ha evidenziato la «inadeguata descrizione del metodo» e la «insufficiente definizione del prodotto», cioè la mancanza delle precondizioni per progettare una verifica che abbia carattere di scientificità –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere affinché i pazienti che sono in piazza Montecitorio tornino a casa, anche in vista delle mutate condizioni atmosferiche che non potrebbero che nuocere loro;
   se non ritenga opportuno:
    a) attivare una diversa strategia di comunicazione con gli organi di stampa in virtù di una più corretta relazione tra etica e comunicazione e mantenere viva la memoria del caso di Bella e di quella sperimentazione forzata che dette esiti pesantemente negativi per ognuno dei pazienti coinvolti posto che oggi, a distanza di 20 anni, si corre il rischio di dimostrare come quella lezione sia stata inutile e che la storia tristemente si ripeta;
    b) indicare con chiarezza e con realismo clinico quali prospettive si aprono per le persone attualmente in trattamento con stamina, i 123 pazienti degli Spedali riuniti di Brescia.
(2-00274) «Binetti, Dellai».

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, L'ABBATE, GAGNARLI, COLLETTI, COLONNESE, TERZONI, MANLIO DI STEFANO, MANNINO, SPESSOTTO e TOFALO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   circa 3 milioni di donne in Italia, e molte altre in tutta Europa, sono affette da endometriosi, una malattia cronica e abbastanza complessa, originata dalla presenza dell'endometrio (un tessuto che riveste l'utero) in altre sedi anomale, quali ovaie, tube, peritoneo, intestino;
   tale malattia non viene quasi mai diagnosticata facilmente. Molte donne ricevono una corretta diagnosi dopo anni di visite mediche e cure non appropriate. Esiste infatti ancora molta ignoranza e disinformazione in materia, per cui i forti dolori che colpiscono le donne, soprattutto nel periodo mestruale, vengono ricondotti ad una causa psichica;
   l'endometriosi è sicuramente una malattia invalidante in quanto costringe le donne che ne sono affette a modificare il proprio stile di vita, rinunciando ad esempio a praticare sport o rimodulando le proprie abitudini;
   è stata approvata per la prima volta in Italia una legge regionale, la n. 18 del 2012 Friuli Venezia Giulia, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi al fine di migliorare la qualità delle cure, istituisce un osservatorio e registro regionale oltre che prevedere una formazione specifica per i medici;
   è in atto una lunga battaglia tra le associazioni e lo Stato per riconoscere tale patologia ai fini dell'invalidità civile, considerato lo stato invalidante in cui si trovano le donne nella fase acuta della patologia –:
   se il Ministro interrogato intenda promuovere l'istituzione di un registro a livello nazionale e di un osservatorio sulla patologia affinché si possa accelerare la diagnosi e conseguentemente migliorare la qualità delle cure e della vita delle donne affette dalla malattia. (4-02337)


   CANCELLERI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la paventata chiusura del punto nascite sembrerebbe essere in dirittura d'arrivo, tenuto conto che il punto nascite di Licata non arriverebbe ai 500 parti l'anno;
   solo nei comuni di Licata e Palma di Montechiaro (comune che afferisce per prestazioni sanitarie all'ospedale di Licata), nel 2012, ci sono stati circa 700 nuovi nati, senza contare gli altri comuni limitrofi, le cui gestanti, avrebbero potuto partorire nello stesso ospedale licatese. Il punto nascita, invece, ha contato solo 440 parti con una «fuga» stimata di almeno circa 250-300 nati presso nosocomi più lontani;
   bisogna altresì dire che il punto nascita licatese riesce a fornire prestazioni ostetriche di buona qualità; negli ultimi dieci anni infatti la mortalità e la morbilità materne e fetali sono state assolutamente in linea con la migliore sanità italiana. Inoltre, la percentuale di tagli cesarei è stata ottimale e allineata agli obbiettivi dell'assessorato alla salute siciliano. Nel 2013 infatti c’è stata una percentuale pari al 19 per cento, che in un punto nascita sfornito di adeguate risorse umane e strumentali, non solo rasenta l'eccellenza ma si pone tra i primi posti nel quadro dell'ostetricia siciliana e non solo;
   per raggiungere i presidi ospedalieri di Agrigento, Canicattì e Gela, in situazioni ottimali di traffico automobilistico, i tempi di percorrenza sono di un'ora circa, il che metterebbe in serio pericolo le partorienti ed i nascituri (si omettono, per il solo rispetto degli interessati, gravi casi recentemente accaduti);
   in caso di emergenza con necessità di trasporto in ambulanza verso altri presidi ospedalieri si metterebbero a serio rischio le mamme ed i nascituri: basta evidenziare il fatto che l'ambulanza per partire da Agrigento, arrivare a Licata e ripartire per Agrigento impiegherebbe almeno due ore senza considerare i tempi di preparazione ed il probabile traffico automobilistico;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, reca disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini;
   la stessa condizione è vissuta da altri comuni siciliani – come Barcellona pozzo di Gotto – e italiani, creando forti e giustificati malumori tra i cittadini delle relative comunità –:
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare la chiusura del punto nascita minori del comune di Licata (AG) considerato che sussiste il concreto rischio che siano compromessi i livelli essenziali di assistenza e se, in generale per tutti i comuni italiani interessati dallo stesso problema, intenda dirottare i tagli della spending review in altri settori che nulla comportano per la salute dei cittadini. (4-02348)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi l'interrogante ha appreso da fonti di stampa che la Corte dei conti starebbe indagando sul doppio pagamento dei fornitori per le prestazioni rese dall'ASL Napoli 1;
   sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, il nucleo di polizia tributaria, comandato dal colonnello Nicola Altiero avrebbe accertato un danno erariale di ben 32.220.852,59 euro, comprensivo – secondo l'accusa – del danno d'immagine alla pubblica amministrazione;
   i fatti risalirebbero al periodo tra il 2000 e il 2012, nel quale la contabilità sarebbe sfuggita ad ogni controllo preventivo e successivo: il sistema si sarebbe basato su un «disordine amministrativo-contabile» a causa del quale gli uffici dell'azienda sanitaria più grande d'Europa non sarebbero mai stati in grado di opporsi validamente contestando la già avvenuta soddisfazione del titolo per il quale si procedeva;
   di fatto, pertanto, gli uffici ignoravano quanto veniva già versato sulla base dei decreti ingiuntivi e l'accusa risulta, quindi, essere indebita ripartizione dei pagamenti delle fatture;
   un invito a dedurre (la prima udienza sarebbe stata fissata per l'11 novembre 2013 davanti al giudice Rossella Cassaneti) e provvedimenti di sequestro conservativo sarebbero già stati notificati a 15 tra ex direttori generali e dirigenti apicali dell'ASL di Napoli 1 e dell'area sanità della regione Campania. Occorre peraltro segnalare che è concreto il rischio che per tutti i reati ipotizzati decorrano i termini di prescrizione;
   sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, tra le persone coinvolte, vi sarebbe anche Angelo Montemarano, ex direttore generale della ASL Napoli 1 (dal 1° giugno 1999 al 20 maggio 2005) e poi assessore regionale alla sanità (dal 21 maggio 2005 all'8 aprile 2009) cui è stata addebitata una quota di danno di 10.900.000 euro. Sono inoltre coinvolti: gli ex direttori generali Mario Tursi (cui viene contestata la somma di 4.970.000 euro) e Giovanni Di Minno (cui viene addebitato un danno di 950.000 euro); il direttore amministrativo Raffaele Ateniese, in servizio dal 1995 al 2004, al quale viene contestata una quota di 3.690.000 euro; Pasquale Corcione, successore di Ateniese e in servizio fino al 2008, al quale viene contestato un danno di 1.620.000 euro; Luigi Affinito, direttore del servizio del bilancio fino al 2008, al quale viene contestato un danno di 2.550.000 euro; Anna Monti, direttore del servizio economico fiscale della ASL fino al 2005, alla quale viene contestata una quota di 1.550.000 euro; Alberto Di Capua, componente del collegio dei sindaci fino al 2010, al quale viene contestata la quota di 530.000 euro; Antonio Atonna, Aldo Del Vecchio, Giovanni Gualtiero e Mario Baldi, tutti ex componenti del collegio dei sindaci ai quali è contestata una quota di 320.000 euro; Albino D'Ascoli, coordinatore dell'area 19 della regione fino al marzo 2013, al quale viene contestata la quota di 2.100.000 euro; Giuseppe Borretti, dirigente del servizio 02 vigilanza amministrativa e contabile dell'area 19 della regione fino al 2008, al quale viene contestata la quota di 1.040.000 euro; Giancarlo Ghidelli Favro, dirigente del servizio 03, economico e finanziario, dell'area 19, cui è contestata la quota di 1.040.000 euro;
   secondo quando si apprende da fonti di stampa, per i pubblici ministeri Pierpaolo Grasso e Ferruccio Capalbo, il caos organizzativo era ravvisabile già nel fatto che «le registrazioni in contabilità non avvenivano nel corso dell'anno nel quale era stata trasmessa la documentazione contabile inerente la procedura esecutiva subita, bensì con ritardi sempre crescenti, con un conseguente gravissimo stato di ignoranza, da parte dell'ASL stessa, nelle more della contabilizzazione, di quanto effettivamente già pagato a quel titolo»;
   dalla stampa si apprende, inoltre, che presso gli archivi dell'ASL Napoli 1 giacciono documenti da contabilizzare per una spesa di poco meno di 560 milioni di euro e che, secondo i magistrati, non è da escludersi che «vengano alla luce ulteriori casi di pagamenti eseguiti due volte»;
   il nuovo direttore generale dell'azienda sanitaria Ernesto Esposito avrebbe avviato una faticosa attività amministrativa finalizzata a recuperare parte dei pagamenti indebiti. Secondo quanto dichiarato alla stampa dallo stesso Esposito, tale attività starebbe portando i suoi risultati. Tuttavia, appare evidente come, anche qualora si dovessero recuperare per intero le somme indebitamente pagate, ciò non sanerebbe comunque le responsabilità penali dei singoli, che andrebbero comunque accertate e, se del caso, perseguite secondo quanto previsto dalle vigenti normative penali –:
   quali siano le informazioni in possesso del Governo in merito alla grave vicenda illustrata in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro da disavanzi sanitari, per il conseguimento dell'obiettivo di una maggiore efficienza nell'impiego delle risorse destinate ai servizi sanitari. (4-02349)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la multinazionale svedese dell'elettrodomestico Electrolux ha dichiarato di voler delocalizzare ad Est, tra Polonia e Ungheria, una parte considerevole della sua produzione: questo porterebbe all'esubero di 140 operai a Susegana (Treviso), 46 a Porcia (Pordenone), 25 a Forlì e 75 a Solaro (Milano);
   il polo friulano dovrebbe inglobare i 200 impiegati in eccesso, ma sulla sede di Susegana pesano anche i 232 tagli decisi con l'ultimo piano di ristrutturazione, portando il pesante conto del Veneto a quota 400;
   i manager del gruppo svedese stanno valutando, avviando alcune specifiche indagini interne, la competitività dei singoli stabilimenti, l'andamento delle varie produzioni, il raffronto tra volumi prodotti e volumi venduti, il trend dei prezzi e confronto con le spese;
   i dirigenti Electrolux hanno dichiarato ai sindacati che il differenziale sul costo del lavoro fra Italia ed Europa Orientale, sarebbe di ventiquattro euro all'ora in Italia e circa sei o sette euro in Polonia. Da qui il necessario trasferimento delle produzioni;
   la lavorazione di lavabiancheria per il mercato di massa basata sulla piattaforma Prometeo sarà completamente realizzata a Olawa, Polonia (finora a Porcia); la produzione di frigoriferi basata sulla Cairo 3 sarà realizzata a Jàszberény, Ungheria (finora a Susegana); la produzione di lavastoviglie da 45 centimetri sarà realizzata a Zarow, Polonia (finora a Solaro). Per la sede di Susegana, nel trevigiano, ciò si tradurrà nello spostamento della produzione di 158.000 pezzi, a fronte dei 700.000 complessivamente annunciati all'inizio del 2013, un anno, questo, peraltro caratterizzato dalla positiva risposta del mercato soprattutto grazie alle commesse Ikea e Aeg;
   la sensazione è che vi sia una volontà di disimpegno dell'Electrolux dall'Italia. Per questo già oggi a Susegana e nelle altre filiali inizierà la prima tranche delle 16 ore di sciopero proclamate dai sindacati in protesta con il management;
   i sindaci Vincenza Scarpa, Floriano Zambon e Riccardo Szumski hanno cercato la disponibilità dei parlamentari per garantire una mediazione parlamentare e governativa sulla vicenda, soprattutto in questa fase di emergenza;
   si è prontamente stabilito anche un asse fra le regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, attraverso i governatori Luca Zaia, Debora Serracchiani e Vasco Errami –:
   se il Ministro interrogato intenda convocare urgentemente tutti i soggetti interessati in sede ministeriale per una disamina della vicenda Electrolux e per individuare i possibili interventi;
   se non si ritenga necessario, essendoci una moneta unica europea e un libero scambio transfrontaliero, investire della questione anche la Commissione europea;
   se intenda individuare, urgentemente, in sede ministeriale strategie di politica industriale che consentano nel medio-lungo periodo il rilancio della produzione locale della multinazionale svedese.
(2-00273) «Casellato, Mognato, Ginato, Crivellari, D'Ottavio, Moretti, Malisani, Dal Moro, Cova, Incerti, Madia, Giorgis, Stumpo, Zardini, Gregori, Martella, Sereni, Casati, Chaouki, Zoggia, Fioroni, Naccarato, Mura, Tentori, Cani, Civati, Argentin, Garavini, Losacco, Tino Iannuzzi, Marrocu, Ginefra, Donati, Faraone, Galperti, Folino, Marchetti, Oliverio, Vazio, Castricone, Cassano».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, CIPRINI, TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, GAGNARLI e TOFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel gennaio 2005 la Snam Rete gas spa ha presentato, attraverso una serie di valutazioni di impatto ambientale (VIA) parziali, un progetto per la realizzazione di un gasdotto denominato «Rete Adriatica», di 687 chilometri, suddiviso in cinque lotti funzionali: Massacra-Biccari; Biccari-Campochiaro; Sulmona-Foligno (a Sulmona è prevista anche la centrale di compressione); Foligno-Sestino e Sestino-Minerbio;
   la società proponente Snam, nel suddividere l'opera nei suddetti 5 lotti funzionali, non ha affatto considerato la direttiva n. 85/337/CEE e n. 97/11/CE e la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07) concernenti l'obbligo di una valutazione di impatto ambientale di tipo complessivo, che tenga conto dell'effetto cumulativo dei progetti frazionati, non ha tenuto conto della direttiva n. 42/2001/CE disciplinante l'obbligo di applicazione della procedura di valutazione ambientale strategica e della direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali;
   inizialmente l'opera era prevista lungo la fascia adriatica, costituendo il consequenziale raddoppio dell'infrastruttura già esistente, ma all'altezza di Biccari, è stata dirottata verso l'interno;
   dall'analisi del tracciato, si evince che si tratta di un'unica struttura per il trasporto del gas metano che va ad interessare aree di particolare pregio ambientale e ad elevato rischio sismico;
   in merito ai costi ambientali, appare evidente quanto devastante e, quindi, sconsiderata, sia la scelta di un tracciato che coincide con il progetto «A.P.E.» (Appennino Parco d'Europa), il più importante progetto di sistema avviato nel nostro Paese, finalizzato alla conservazione della natura e allo sviluppo ecosostenibile con l'ambizione strategica della valorizzazione delle risorse naturali e culturali;
   per quanto attiene al rischio sismico, esso rappresenta, tra le criticità del progetto, uno degli aspetti più macroscopici: deviando l'opera, la Snam sceglie incredibilmente, un tracciato che si snoda lungo le depressioni tettoniche interne dell'Appennino centrale;
   sovrapponendo il percorso del gasdotto alle carte sismiche delle regioni interessate, balza infatti in tutta la sua evidenza che la condotta corre in parallelo e talvolta interseca le linee di taglia attive di territori caratterizzati da un notevole tasso di sismicità che si manifesta, non di rado, attraverso eventi di magnitudo elevata;
   la mappa della pericolosità sismica del territorio nazionale mette in evidenza, attraverso l'intensità della colorazione viola, le aree che sono a più elevato rischio dell'intera penisola. Sono le stesse aree che, secondo la Snam, dovrebbero essere attraversate dal mega-gasdotto Brindisi-Minerbio e tra queste, esattamente le località più tragicamente colpite dal terremoto del 6 aprile 2009, quelle del cratere sismico dell'Aquila e provincia, nonché le località del sisma che ha colpito l'Umbria e le Marche il 26 settembre 1997;
   nel settembre del 2010, si è costituito, tra le regioni Abruzzo, Marche ed Umbria, un coordinamento interregionale antigasdotto con capofila il comune dell'Aquila;
   è la stessa Snam a definire il Sulmona-Foligno ed il Foligno-Sestino «uno dei tratti più critici dell'intero progetto». Tutte le località interessate dal tracciato del gasdotto sono in zona sismica di 1o e 2o grado; anche la centrale di compressione, prevista a Sulmona, insiste su una zona sismica di 1o grado: il sito scelto per la centrale è nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone ed i sismologi pongono l'attenzione, oltre che sulla particolare origine geologica della Conca Peligna (caratterizzata da depositi alluvionali come la piana dell'Aquila) che, in caso di terremoto, amplifica notevolmente gli effetti dell'onda sismica a causa del fenomeno dell'accelerazione, anche sulla faglia stessa, «dormiente» da oltre 1.900 anni; senza trascurare che la particolare conformazione orografica della Valle, non consentirebbe la dispersione delle sostanze inquinanti emesse dalla centrale con notevoli ripercussioni sulla salute umana e sulla catena alimentare;
   all'elevato rischio sismico che metterebbe a repentaglio l'incolumità dei cittadini ai quali viene ad avviso degli interroganti negata e sottratta l'applicazione del principio di precauzione, si sommano gli ingenti danni anche irreversibili all'ambiente ed i danni economici sia per le popolazioni colpite dal sisma che a stento cercano di risollevarsi, che per i cittadini residenti che hanno scelto per i loro territori, un modello di sviluppo eco-sostenibile che nulla ha a che vedere con infrastrutture pericolose ed impattanti imposte dall'alto;
   i consumi di gas sono in netto calo secondo i dati forniti dalla stessa Snam: 75,78 miliardi di metri cubi immessi in rete nel 2012, contro gli 84 miliardi circa del 2008, mentre le infrastrutture esistenti hanno una capacità di trasporto di 107 miliardi di metri cubi. La realizzazione di nuove infrastrutture è quindi motivata dalla volontà della Snam di rafforzare il ruolo di hub dell'Italia: rivendere il gas acquistato dal nord Africa ai Paesi del centro-nord Europa, gravando i cittadini ed i territori attraversati di pesanti servitù, rischi, danni ambientali, economici senza alcun beneficio;
   molti sono gli enti istituzionali che attraverso i loro deliberati, tutti con voto unanime, hanno espresso contrarietà all'opera come: la regione Abruzzo, la regione Marche, la regione Umbria, la provincia di Perugia, la provincia dell'Aquila, la provincia di Pesaro e Urbino, il comune di Pietralunga, il comune di Gubbio, il comune di Foligno, il comune di Cascia, il comune dell'Aquila, il comune di Sulmona, il comune di Pratola Peligna, il comune di Pacentro, il comune di Corfinio, il comune di Navelli, il comune di Introdacqua;
   l'VIII Commissione Ambiente della Camera dei deputati il 26 ottobre 2011 ha approvato all'unanimità una risoluzione che impegna il Governo a disporre la modifica del tracciato sia per gli alti costi ambientali che per l'elevato rischio sismico;
   i provvedimenti di valutazioni di impatto ambientale sono oggetto di contenzioso ancora in essere e il tracciato del metanodotto in progetto è stato oggetto di azioni legali in sede nazionale e comunitaria da parte di enti locali, comitati e associazioni ecologiste per l'assenza di procedure di valutazioni di impatto ambientale o di valutazione ambientale strategica uniche;
   il 26 giugno 2010 la provincia di Pesaro-Urbino, la provincia di Perugia, il comune di Gubbio, nel dicembre 2011 il comune di l'Aquila, la comunità montana del Catria e del Nerone, il comitato umbro-marchigiano «No Tubo», i comitati cittadini per l'ambiente di Sulmona, il comitato civico «Norcia per l'Ambiente», il gruppo d'intervento giuridico onlus, l'associazione La Lupus in Fabula onlus, la Federazione nazionale Pro Natura, il WWF Italia, Mountain Wilderness Italia, Italia Nostra, l'ARCI caccia della provincia di Perugia hanno inoltrato un ricorso alla Commissione europea affinché valuti (articolo 258 Trattato CE) la rispondenza alle normative comunitarie in materia di valutazione ambientale strategica – VAS e di valutazione di impatto ambientale – VIA del gasdotto denominato «Rete Adriatica», progettato dalla Snam Rete Gas spa (avente come partner per la distribuzione la Società British Gas);
   l'8 agosto 2011 sono stati presentati tre ricorsi straordinari al Capo dello Stato contro il progetto del gasdotto appenninico «Rete Adriatica» della Snam Rete Gas spa da parte delle associazioni ecologiste Mountain Wilderness, Lega per l'Abolizione della Caccia e Federazione nazionale Pro Natura, da parte della provincia di Perugia e da parte del comune di Gubbio, curati dall'avvocato Rosalia Pacifico, del foro di Cagliari;
   nei primi giorni del mese di luglio 2011 è stato presentato ricorso al TAR Lazio contro il decreto di compatibilità ambientale dal comune di l'Aquila;
   appare agli interroganti inutile sottoporre ad oggettivi rischi i cittadini delle aree interessate nel realizzare la nuova infrastruttura, considerando che quella attuale già soddisfa la domanda interna –:
   se non ritengano necessario assumere tutte le iniziative di propria competenza al fine di escludere che il progetto di realizzazione dell'opera coinvolga la fascia appenninica in linea con i contenuti della risoluzione approvata all'unanimità dall'VIII Commissione Ambiente nella seduta n. 553 del 26 ottobre 2011;
   se ritengano necessario considerare tutte le deliberazioni di contrarietà adottate dai vari enti istituzionali a tutti i livelli;
   quale sia l'orientamento generale del Governo nei confronti del progetto denominato «Rete Adriatica» e se, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, non ritenga che sia opportuno sospendere le procedure di autorizzazione attualmente in corso ed impedire la realizzazione di quest'opera così come progettata. (5-01332)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Mariani e altri n. 7-00133, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zan, Pellegrino, Zaratti.

  La risoluzione in Commissione Pisano e altri n. 7-00143, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zanetti, Sottanelli, Sberna, Ragosta, Paglia, Lavagno, Causi, Petrini, Marco Di Maio, Busin.

  La risoluzione in commissione Tino Iannuzzi e altri n. 7-00145, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Taglialatela, Gadda.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Benedetti n. 4-01956, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 84 del 25 settembre 2013.

   BENEDETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra le attività antropiche con rilascio di inquinanti in atmosfera si annoverano le combustioni in genere (dai motori a scoppio degli autoveicoli alle centrali termoelettriche), le lavorazioni meccaniche (ad esempio le laminazioni), i processi di evaporazione (esempio le verniciature) e i processi chimici;
   il principio di conservazione della massa, comunemente conosciuta come legge di Lavoiser, prevede in parole semplici che «in una reazione chimica nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma»;
   i principali inquinanti prodotti dalla combustione sono: CO2, NOx, SO2, CO, metalli pesanti, polveri sottili (PM10, 2, 5, 1 e 0,1), composti complessi come IPA, diossine, e altro;
   i sistemi naturali si basano su un continuo riciclo della materia senza produzione di rifiuti e senza combustioni;
   con sentenza del 19 dicembre 2012 (causa C-68/11) la Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti avendo omesso di provvedere affinché le concentrazioni di PM10 nell'aria ambiente non superassero i valori limite fissati dalla normativa dell'Unione europea sulla qualità dell'aria. Questa sentenza riguarda 55 zone e agglomerati, tra cui diverse zone nel nord-est dell'Italia dove l'aria è tra le più inquinate d'Europa;
   nel 2011 nella pianura padana, in città come Milano, Brescia, Verona, Padova, Treviso e Ferrara, l'inquinamento è stato così consistente da produrre in gennaio il fenomeno della «neve chimica», una pioggia di ghiaccio causata dalla condensazione del vapore acqueo sul particolato presente nell'aria;
   nel mese di gennaio 2013 la Commissione europea ha inviato una nuova lettera al Governo italiano, chiedendo di mettersi in regola con le norme europee sulla qualità dell'aria;
   sulla rivista Lancet Oncology sono stati pubblicati gli esiti della maxiricerca condotta su 300 mila persone in 9 Paesi europei, seguite nel corso di ben tredici anni: la presenza delle polveri sottili tossiche nell'aria delle città fa aumentare drammaticamente il rischio di cancro polmonare;
   l'Unione europea stima che l'aria avvelenata è causa di circa 500 mila morti premature ogni anno;
   molte sostanze inquinanti atmosferiche in Veneto si trovano in concentrazioni sovrabbondanti e pericolose, con un trend stabile o incerto e non in via di miglioramento;
   ricerche dell'Istituto sull'inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche hanno rilevato che la combustione domestica di legna da ardere arriva a costituire fino al 60 per cento della concentrazione di massa del materiale particellare (particolato organico) sospeso in atmosfera e che la combustione di legna produce notevoli quantità di specie tossiche, quali, ma non solo, gli idrocarburi policiclici aromatici;
   nella campagna veneta si rilevano di frequente roghi di scarti agricoli (ramaglie, sterpaglie, frasche, cumuli di foglie, e altro) effettuati per liberarsi dei rifiuti agricoli, senza alcun legame con la produzione di energia o calore; i fuochi vengono altresì appiccati per sgomberare argini, sentieri e campi agricoli da piante erbacee ed arbustive, spesso dopo aver effettuato uno sfalcio grossolano;
   interpellando le forze dell'ordine emergono pareri discordanti circa la gravità di bruciare materiali di ogni sorta, e ciò, il più delle volte, vanifica le segnalazioni dei cittadini che avvistano un fuoco in campo agricolo;
   secondo la procura di Avellino bruciare residui agricoli è reato di smaltimento illegale di rifiuti e violazione dell'articolo 674 del codice penale;
   le «linee guida dell'attività operativa 2013 dell'ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato» dispongono che «...paglia, sfalci e potature nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, se non utilizzato in agricoltura o per la produzione di energia mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana, devono essere considerati rifiuti e come tali devono essere trattati: pertanto la combustione sul campo dei residui vegetali configura il reato di illecito smaltimento dei rifiuti, sanzionato penalmente dall'articolo 256, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006»;
   principi esposti in pronunce della Corte costituzionale sottolineano che: «la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato ...viene a funzionare come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato»;
   la corte di Cassazione penale, sezione III, con sentenza del 4 aprile 2013, n. 15641 dice che l'abbruciamento a terra di rifiuti – anche occasionale – integra un'attività di «smaltimento illecito di rifiuti» ex articolo 256, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 che può essere commesso anche da soggetto privato;
   ai fini dell'applicazione della disciplina dettata dalla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 si intende per «rifiuto»: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi (articolo 183, comma 1, lettera a)). Premesso ciò si può sostenere che il comportamento di bruciare i residui vegetali manifesti la volontà di «disfarsi» di detto materiale, che per effetto di tale azione deve essere necessariamente considerato un «rifiuto» –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, per contrastare il fenomeno dei roghi in ambiente agricolo, come l'abbruciamento di stoppie e altri vegetali residui da parte di agricoltori e altri soggetti, nell'ottica della tutela della salute pubblica, del contrasto all'inquinamento atmosferico e della preservazione ambientale e climatica;
   se non ritenga necessario assumere iniziative anche normative per limitare la possibilità di procedere all'autonomo smaltimento dei residui agricoli esclusivamente per modeste quantità e per situazioni in cui non sia presente, nell'ambito territoriale di pertinenza, adeguata impiantistica per il compostaggio aerobico e con esclusivo riferimento a zone di montagna o aree comunque svantaggiate, non rientranti in zone ad elevata criticità in merito alla qualità dell'aria, permettendo il ricorso alla combustione dei residui esclusivamente ai casi conclamati di rischio fitosanitario determinato dalla presenza di parassiti;
   quali siano le ragioni per le quali lo Stato italiano non abbia ancora provveduto a mettersi in regola con la normativa comunitaria in materia di qualità dell'aria e se non intenda avviare tutte le iniziative di propria competenza in questa direzione;
   per fugare ogni dubbio ed eliminare le dispute, se si intendano assumere iniziative volte a fare chiarezza sulla normativa vigente in materia di smaltimento dei rifiuti agricoli agevolando la conoscenza delle relative disposizioni da parte degli enti nazionali e locali, delle organizzazioni degli imprenditori agricoli, delle forze dell'ordine e dei cittadini. (4-01956)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Melilla n. 2-00019 del 9 aprile 2013;
   interrogazione a risposta immediata in Assemblea Schullian n. 3-00403 del 29 ottobre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-00247 del 16 aprile 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01327;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-00357 del 6 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01328;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-00370 del 7 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01329;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-00431 del 14 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01330;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-00501 del 17 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01331;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-00613 del 28 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01332;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e Ciprini n. 4-01290 del 17 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01333;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e Ciprini n. 4-01343 del 19 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01334;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e Ciprini n. 4-01524 del 31 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01335;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-01725 del 6 settembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01336;
   interrogazione a risposta scritta Gallinella e Ciprini n. 4-01808 del 12 settembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01337.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Melilla n. 3-00020 del 16 aprile 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02346.