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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 24 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la celiachia è un'intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale. Nel soggetto affetto, il consumo di questi cereali provoca una reazione avversa dovuta all'introduzione di prolamine e gliadine con il cibo all'interno dell'organismo e provoca gravi danni alla mucosa intestinale, tra cui l'atrofia dei villi intestinali. Fortunatamente negli ultimi anni il numero delle diagnosi è aumentato grazie alla sempre maggior attenzione che i medici di famiglia hanno rivolto all'intolleranza al glutine;
    nella popolazione italiana, che dai dati ISTAT risulta essere di oltre 60 milioni, il numero di celiaci effettivamente diagnosticati nel 2011 sono 135.800, ancora troppo pochi rispetto al numero di celiaci presumibilmente presenti in Italia, se si considera che le stime di questa patologia parlano di circa 600 mila casi. Tali dati provengono dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano che ogni anno provvedono a raccoglierli dalle ASL e a trasmetterli al Ministero della salute;
    dal confronto dei dati 2011 con quelli del 2010, risulterebbero oltre 13 mila nuove diagnosi. Se guardiamo le diagnosi in valori percentuali, vediamo che la media dell'incremento nazionale è del 19 per cento. La tendenza negli anni si conferma così in forte e costante aumento;
    curare la celiachia significa escludere dal proprio regime alimentare alcuni degli alimenti più comuni, come pane, pasta, biscotti e pizza, e spesso eliminare ogni minima traccia di glutine dalla dieta. Questo incide notevolmente sulle abitudini quotidiane e sulla dimensione sociale del celiaco, rendendo necessarie un'adeguata educazione alimentare e appropriate garanzie da parte delle aziende che commercializzano prodotti contenenti glutine;
    attualmente i prodotti per celiaci senza glutine (con glutine inferiore a 20 ppm) sostitutivi di quelli che normalmente contengono glutine tra i propri ingredienti (pane, pasta, prodotti da forno, pizza, e altri) sono considerati «prodotti dietetici» e godono quindi di una specifica normativa che ne garantisce la sicurezza per il consumatore celiaco in termini di assenza di glutine;
    in Italia, questi prodotti sono elencati nel Registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine (decreto legislativo n. 111 del 1992) ed erogati gratuitamente ai celiaci dal Sistema sanitario nazionale (legge n. 123 del 2005);
    il recente Regolamento (UE) n. 609/2013 del 12 giugno 2013, prevede che dal 20 luglio 2016 sia abrogato il Regolamento (CE) 41/2009, relativo alla composizione e all'etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine, che stabilisce i criteri per la composizione e l'etichettatura dei prodotti dietetici destinati ai soggetti intolleranti al glutine, nonché le condizioni per poter indicare l'assenza di glutine in alimenti di uso corrente;
    la distinzione tra persone sane e persone con problemi di salute impone una differente disciplina, e se per le persone sane può valere la disciplina generica di tutela del consumatore, per quelle con problemi di salute occorre una disciplina specifica che – per quanto riguarda le persone affette da celiachia – è individuata proprio dal suddetto regolamento (CE) n. 41/2009, ora oggetto di prossima abrogazione dal Regolamento (UE) n. 609/2013. Dal 21 luglio 2016, con l'abrogazione di detto Regolamento 41/2009, scomparirà quindi dalle etichette la dicitura «prodotto dietetico»;
    il medesimo Regolamento 609/2013, finalizzato a introdurre elementi di semplificazione, indebolisce quindi quanto fatto fino ad oggi a favore dei celiaci. Come suesposto, verrà infatti cancellata dalle etichette dei prodotti alimentari, la definizione di «prodotto dietetico», riducendo a una etichetta generica la dicitura «senza glutine», e rimuovendo così la speciale protezione riservata ai celiaci garantita da una normativa stringente sui requisiti nutrizionali specifici e sui controlli relativi. Insomma un «passo indietro» rispetto alla tutela oggi riconosciuta dal nostro ordinamento;
    si segnala comunque che in relazione agli alimenti «senza glutine» e «con contenuto di glutine molto basso», il Regolamento 609/2013 prevede, nella sua premessa, la necessità di un trasferimento delle disposizioni del suindicato Regolamento (CE) 41/2009 che norma attualmente la materia, e abrogato dal luglio 2016, nell'ambito del Regolamento (UE) 1169/2011, cosiddetto «FIC» (food information to consumers), sulle informazioni alimentari al consumatore;
    infatti il Regolamento 609/2013, al considerata n. 41, prevede la necessità che al suddetto regolamento (UE) n. 1169/2011 (FIC), debbano essere trasferite le norme sull'uso delle diciture «senza glutine» e «con contenuto di glutine molto basso» quali contenute nel regolamento (CE) n. 41/2009, al fine di assicurare almeno lo stesso livello di protezione per le persone intolleranti al glutine attualmente previsto dal medesimo regolamento 41/2009;
    il medesimo considerata, chiarisce inoltre che «il trasferimento delle norme dovrebbe essere completato prima che entri in applicazione il presente regolamento», e che si «dovrebbe inoltre valutare come garantire che le persone intolleranti al glutine siano adeguatamente informate della differenza tra un alimento espressamente prodotto, preparato o trasformato al fine di ridurre il tenore di glutine di uno o più ingredienti contenenti glutine e gli altri prodotti alimentari ottenuti esclusivamente da ingredienti naturalmente privi di glutine»;
    rimane comunque il fatto che restano troppo vaghe le garanzie per i celiaci di un effettivo e corretto trasferimento al suddetto regolamento (UE) n. 1169/2011 delle norme garantite dal Regolamento 41/2009, ai fini del mantenimento delle tutele loro riconosciute sino ad oggi in tema di prodotti dietetici per celiaci;
    sempre nell'ambito di questa patologia, va inoltre considerato che con la definizione dei prossimi nuovi livelli essenziali di assistenza, la celiachia dall'elenco delle malattie rare passa a quello della patologie croniche. Allo stato attuale la patologia, è infatti inserita nell'elenco delle malattie rare;
    fra i diritti riconosciuti a quanti sono affetti dalle patologie inserite nell'elenco delle malattie rare, il decreto ministeriale n. 279 del 18 maggio 2001, prevede l'esenzione per il sospetto diagnostico e per il percorso di diagnosi dei parenti. È quindi necessario che nel prossimo passaggio da malattia rara a malattia cronica, venga confermato nei LEA il diritto a tutt'oggi riconosciuto, dell'esenzione per il sospetto diagnostico. E questo anche in considerazione del fatto che per accertare la celiachia occorrono ancor oggi sei anni di percorso diagnostico;
    si rammenta altresì che ad oggi, a seguito della diagnosi del medico specialista, il celiaco ha diritto ai prodotti dietetici senza glutine, indispensabili per la sua dieta, fino al raggiungimento di un tetto di spesa mensile, fissato oggi dal decreto del 4 maggio 2006;
    una volta ricevuto in assegnazione un budget mensile per l'acquisto di prodotti per celiaci, il cittadino è tenuto a rifornirsi nelle farmacie o nei negozi convenzionati situati sul territorio dell'Asl di residenza, o nel migliore dei casi nella sola provincia o regione di appartenenza. Vi è quindi l'impossibilità per il celiaco di poter acquistare “gratuitamente” (in quanto rimborsati dal SSN) i prodotti al di fuori del proprio territorio,

impegna il Governo:

   ad attivarsi nelle opportune sedi comunitarie, al fine di garantire una disciplina specifica a tutela delle persone affette da celiachia, mantenendo le garanzie finora a loro riservate dal regolamento (CE) 41/2009, abrogato dal 2016 dal Regolamento (UE) 609/2013, riguardo la composizione e l'etichettatura dei prodotti dietetici destinati ai soggetti intolleranti al glutine, garantendo che nel regolamento 1169/2011, cosiddetto FIC (Food information to consumers) sia, tra l'altro, inserita una chiara distinzione in merito all'etichettatura dei prodotti senza glutine di consumo corrente e quegli alimenti specificamente destinati ai celiaci;
   a prevedere che nei nuovi livelli essenziali di assistenza che prevedono il passaggio della celiachia dall'elenco delle malattie rare a quello della patologie croniche, venga confermato per la celiachia quanto tutt'oggi previsto dal decreto ministeriale n. 279 del 2001 sulle malattie rare, ossia l'esenzione per il sospetto diagnostico; e ciò anche alla luce del fatto che per accertare la celiachia occorrono ancor oggi fino a sei anni di percorso diagnostico;
   a valutare le iniziative normative più idonee a garantire il diritto alla persona affetta da celiachia a potersi rifornire gratuitamente dei prodotti dedicati, entro il tetto di spesa previsto dalla normativa vigente, anche al di fuori dell'ambito regionale;
    ad attivare efficaci interventi di sensibilizzazione e di informazione degli operatori sanitari per riconoscere i sintomi ai fini di una diagnosi precoce e accurata, a vantaggio della salute stessa dei pazienti interessati dalla patologia celiaca.
(1-00215) «Nicchi, Pellegrino, Piazzoni, Aiello, Di Salvo, Migliore».


   La Camera,
   premesso che:
    la quantità di monete che ciascuno Stato può coniare è approvata dalla Banca centrale europea;
    spetta poi a ciascuno Stato provvedere al conio delle stesse;
    gli organi di stampa hanno di recente riportato notizie circa il costo del conio degli euro per l'Italia. In particolare, parrebbe che i costi di fabbricazione di ciascuna moneta da un centesimo ammonterebbero a 4,5 centesimi; quelli di ciascuna moneta da due centesimi a 5,2 cent; quelli di ciascuna moneta da 5 centesimi a 5,7;
    dall'introduzione dell'euro la Zecca avrebbe fuso oltre 2,8 miliardi di monete da un centesimo, 2,3 miliardi di monete da 2 cent e circa 2 miliardi di monete da 5 cent, per un costo complessivo di 362 milioni di euro a fronte di un valore reale di 174 milioni;
    per tali ragioni alcuni Paesi europei, tra cui la Finlandia e l'Olanda, hanno bloccato il conio delle suddette monete;
    negli ultimi anni, il Governo e il Parlamento hanno tentato di limitare lo spreco di risorse pubbliche, tagliando, attraverso la cosiddetta spending review quei costi cui nel complesso è possibile rinunciare;
    l'utilità delle monete da 1, 2 e 5 centesimi è molto limitata, e assolutamente rinunciabile se paragonata ai risparmi che ne deriverebbe allo Stato,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, a livello nazionale ed europeo, perché vengano attuate delle politiche di contenimento della spesa, sospendendo il conio delle monete da 1 e 2 centesimi e valutando l'impatto sull'inflazione dell'eventuale sospensione del conio di quelle da 5 centesimi.
(1-00216) «Boccadutri, Rosato, Currò, Balduzzi, Di Lello, Boschi, Causi, Coppola, Coscia, D'Attorre, Di Salvo, Daniele Farina, Ferrara, Fiano, Fratoianni, Giorgis, Grande, Marcon, Melilla, Migliore, Misiani, Paglia, Pannarale, Piras, Francesco Sanna, Sannicandro, Scotto, Scuvera, Stumpo».


   La Camera,
   premesso che:
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) è una banca multilaterale a vocazione esclusivamente sociale e una delle più antiche istituzioni finanziarie internazionali europee. Quando venne creata, sulla base di un Accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa, il 14 aprile del 1956, lo scopo prioritario era quello di fornire aiuti finalizzati e risolvere i problemi dei rifugiati. Da allora il suo campo d'azione si è progressivamente esteso ed oggi contribuisce in modo significativo al rafforzamento della coesione sociale in Europa;
    la CEB è uno strumento chiave della politica di solidarietà europea, che opera aiutando gli Stati membri – attualmente quaranta – a perseguire una crescita sostenibile ed equa, finanziando progetti di investimento sociale suddivisi in tre ambiti, stabiliti nel 2006 dal consiglio d'amministrazione dell'istituzione: il rafforzamento dell'integrazione sociale, la gestione ambientale e il sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale. Per la sua attività la CEB non riceve aiuti o sovvenzione dagli Stati membri e basa la propria attività su fondi e riserve propri;
    in particolare, interviene in favore dei 21 Paesi d'Europa centrale, orientale e del Sud-est che costituiscono, conformemente agli orientamenti strategici del Piano di sviluppo 2010-2014, un obiettivo «prioritario». Nel decennio 2002-2011 sono stati approvati progetti per oltre 21 miliardi di euro ed erogati oltre 16 miliardi di prestiti. Tra i principali paesi beneficiari vi sono la Polonia, l'Ungheria e la Romania. L'interlocutore della Banca è comunque sempre uno Stato membro, mai direttamente le imprese;
    forte è la cooperazione della CEB con la Commissione europea e con altre banche regionali e istituzioni finanziarie multilaterali, come la Banca europea per gli investimenti (BEI), il Western Balkans Investment Framework (WBIF), la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), la Banca mondiale, la Nordic Investment Bank e la Banca KFW;
    di fronte alle difficili sfide dell'attuale contesto economico e finanziario internazionale, che implicano una crescita importante della domanda di prestiti da parte degli Stati membri, la CEB è chiamata a uno sforzo straordinario volto ad assicurare da un lato il contenimento dei profili di rischio e dall'altro il completo rispetto del mandato statutario-sociale;
    il 4 febbraio 2011 il consiglio di direzione della CEB, con la risoluzione n. 386, ha approvato il sesto aumento di capitale della Banca, finalizzato a sostenere i principali campi d'intervento, che ha portato il capitale totale sottoscritto da 3,3 miliardi di euro a 5,5 miliardi di euro;
    con la legge n. 117 del 6 luglio 2012, l'Italia ha aderito a tale aumento di capitale, per un importo complessivo di 366.078.000 euro, comprendenti l'incorporazione di riserve nel capitale liberato per 40.964.000 euro e la sottoscrizione di nuovi titoli per 325.114.000 euro, con conseguente incremento della quota di capitale detenuta fino all'ammontare di 915.770.000 euro, senza obbligo di versamento immediato, in quanto la sottoscrizione di una quota di capitale «a chiamata» non comporta esborsi finanziari effettivi;
    con tale sottoscrizione l'Italia ha mantenuto la misura attuale di partecipazione e di diritto di voto e continua a svolgere un ruolo centrale nel processo decisionale: in quanto azionista della CEB, l'Italia partecipa alle riunioni degli organi di governo della Banca stessa, con rappresentanti dei Ministeri dell'economia e delle finanze e degli affari esteri;
    l'Italia assieme a Francia e Germania è il maggior azionista della Banca, al 31 dicembre 2012 il nostro Paese deteneva il 16,77 per cento del capitale sottoscritto, in una quota superiore rispetto alla partecipazione ad altri organismi multilaterali di intervento finanziario;
    nel decennio 2002-2011 il Consiglio d'amministrazione della CEB ha approvato prestiti a favore dell'Italia per un volume totale di 1,9 miliardi di euro, di cui 1,6 miliardi già erogati, principalmente a favore di PMI, per interventi di ricostruzione a seguito di catastrofi naturali, nel campo dell'istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture locali, ma anche a favore di interventi in favore del patrimonio storico, l'edilizia sociale ed aiuti a favore di rifugiati e migranti. Tuttavia, l'ultimo progetto di sviluppo della Banca in Italia risale al biennio 2007-2009;
    nel 2011, su 2,11 miliardi di euro di progetti approvati, nessuno coinvolgeva l'Italia e su 1,85 miliardi di euro di prestiti approvati, 16 milioni (0,9 per cento) riguardavano il nostro Paese. Analogamente, dei 28 progetti approvati nel 2012 dal Consiglio di amministrazione della CEB, per un totale di 1.798 milioni di euro, nessuno riguardava l'Italia;
    nel primo quadrimestre del 2013 sono state approvate undici richieste di finanziamento, per un importo complessivo di 613,9 milioni di euro. Di questi progetti due terzi (399 milioni) sono volti a potenziare la coesione sociale e tre a supporto di infrastrutture pubbliche con fini sociali (scuole, centri di ricerca, carceri). Anche in questo caso non si registrano progetti provenienti dal nostro Paese;
    la questione della coesione sociale e del suo rafforzamento all'interno dell'Unione europea è uno dei temi centrali della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva;
    la Commissione europea, il 20 febbraio 2013 nella comunicazione «Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020» (COM (2013) 83) ha elencato le sfide che la politica sociale dell'Unione dovrà affrontare nei prossimi;
    tra gli obiettivi fondamentali da perseguire attraverso una piena integrazione tra utilizzo dei fondi europei, azioni ricomprese nella Strategia Europa 2020 e programmi nazionali di riforma, viene ricompreso l'utilizzo con la massima efficacia dei fondi europei. In particolare, gli Stati membri sono invitati a ricercare i modi per integrare le risorse dell'Unione europea mediante finanziamenti provenienti dalla Banca mondiale, dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e dal gruppo della Banca europea degli investimenti,

impegna il Governo:

   a promuovere una migliore conoscenza della CEB in Italia, al fine di incentivare e accrescere l'utilizzo degli strumenti finanziari messi a disposizione degli Stati aderenti, in particolare attraverso idonei strumenti di orientamento e supporto dei soggetti interessati ai finanziamenti;
   a incentivare l'utilizzo di tutti quei programmi volti a creare dinamiche e prospettive d'investimento, di crescita e di occupazione a livello nazionale e regionale e che prevedono la partnership delle maggiori istituzioni politico-finanziarie europee e internazionali, con le autorità nazionali e regionali;
   a dare attuazione a quanto indicato dalle istituzioni europee, favorendo il più possibile l'integrazione delle risorse dell'Unione europea, con i finanziamenti provenienti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa;
   ad avviare approfondimenti con la Banca di Sviluppo del Consiglio di Europa, al fine di verificare la possibilità di interventi straordinari rivolti in particolare all'edilizia scolastica e carceraria.
(1-00217) «Bergamini, Alli, Bernardo, Ravetto, Gelmini, Gregorio Fontana, Polverini, Giammanco, Costa, Abrignani».


   La Camera,
   premesso che:
    il Rapporto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca denuncia come il diverso grado di alfabetizzazione linguistica degli studenti stranieri non italofoni rispetto alla media della classe a cui si iscrivono si rivela quindi un ostacolo ad un proficuo quanto compiuto percorso didattico;
    gli alunni italofoni, al contrario, subiscono il contestuale detrimento dell'offerta didattica anche a causa della eterogeneicità delle necessità didattiche che impongono approcci differenziati a seconda delle esigenze di apprendimento degli studenti;
    la direzione generale per gli studi, la statistica e per i sistemi informativi nel rapporto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca evidenzia come nell'anno scolastico 2011/2012, nelle scuole statali e non, il numero degli alunni di cittadinanza non italiana è pari a 755.930 unità in continua crescita per ciascun ordine di studio;
    la presenza degli alunni stranieri è disomogenea per provenienza (ben 191 Paesi) e per distribuzione sul territorio nazionale;
   Emilia Romagna, Lombardia (che ospita un quarto del totale) e Piemonte sono le regioni che registrano una maggiore presenza di studenti non italiani contro Campania, Sardegna e Sicilia che hanno tra il 40 e 46 per cento di scuole prive di alunni stranieri;
   la maggior parte dei Paesi europei ha istituito luoghi separati allo scopo di intraprendere un percorso di alfabetizzazione culturale e linguistica del Paese accogliente;
   il Testo Unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e la legge n. 189 del 2002 contengono indicazioni utili sulla funzione e sull'uso dei cosiddetti «spazi dotati di strumenti appositamente dedicati», demandando alle scuole e agli enti locali l'iniziativa e la gestione di tali spazi e strumenti, mirati all'istituzione di percorsi specifici di alfabetizzazione linguistica;
    i dati forniti dal Ministero della pubblica istruzione, università e ricerca evidenziano che il numero degli studenti stranieri ripetenti è del 4 per cento nella scuola primaria, dell'8 per cento nella scuola secondaria di primo grado per arrivare al 14 per cento nella scuola secondaria di secondo grado. In riferimento a quest'ultimo ciclo di istruzione per i tre quarti degli studenti sono state rilevate notevoli incongruenze tra la classe frequentata e l'età;
    i dati ministeriali rilevano che per i diversi ordini e gradi di istruzione c’é un rapporto tra la dimensione della scuola, la quantità di studenti stranieri non italofoni rispetto alla popolazione scolastica totale, l'eterogeneità dei luoghi di provenienza concorrono al successo o all'insuccesso scolastico della stragrande maggioranza degli studenti;
   intervenendo in un dibattito il 24 settembre 2013 nella trasmissione «Nel cuore dei giorni» su Tv Sat 2000 il Ministro dell'integrazione Cècile Kashetu Kyenge si è espressa favorevolmente sulla proposta del vicesindaco leghista di Telgate (Bergamo), di realizzare le «classi ponte» (ovvero di inserimento ed alfabetizzazione) per i bambini non italofoni con due ore al giorno che consentano ai bambini di imparare la lingua italiana necessaria per apprendere e socializzare, «anche se – ha aggiunto – occorre reperire le risorse». Il Ministro Kyenge ha commentato: «Dovremmo considerare l'insegnamento della lingua italiana proprio come uno degli strumenti di integrazione. Ci sono diversi modelli per poter accompagnare l'integrazione delle persone all'interno delle scuole. La possibilità per rafforzare appunto la lingua italiana in alcune persone dipende anche dalle risorse che abbiamo a disposizione;
    al contrario, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Maria Chiara Carrozza, intervenendo il 7 ottobre 2013 nell'aula magna del liceo scientifico Lussana di Bergamo, si è espressa negativamente in merito all'istituzione delle «classi ponte», motivando il suo diniego con il fatto che: «la scuola ha già la sua metodologia. L'integrazione è il valore di riferimento e, a distanza, il metodo scolastico attuale ha dimostrato che i risultati degli alunni immigrati sono i medesimi degli alunni italiani», smentendo quanto si evince dai dati statistici forniti dal suo dicastero;
    al di là dei pregiudizi politici, infatti, la proposta di istituzione delle classi di alfabetizzazione degli studenti stranieri non italofoni (ovvero classi di inserimento o classi ponte) è fondamentale per l'apprendimento della lingua necessaria per intraprendere un regolare percorso didattico, necessaria agli insegnanti che vengono così messi in condizione di seguire il programma scolastico proposto dal Ministero e, infine, determinante a consentire quel percorso di integrazione necessario nelle nostre comunità;

    il Ministro Kyenge ha riconosciuto un metodo di lavoro che garantisce il processo di apprendimento degli studenti stranieri non italofoni senza penalizzare i cittadini ed evitandone la fuga col conseguente depauperamento dalla scuola pubblica;

impegna il Governo:

   ad istituire le classi di alfabetizzazione per gli studenti stranieri non italofoni (ovvero classi di inserimento o classi ponte) che non superano il test per appurare i requisiti minimi di conoscenza della lingua italiana necessaria all'ingresso della relativa classe permanente;
   a favorire, all'interno delle predette classi di alfabetizzazione per gli studenti stranieri non italofoni, l'attuazione di percorsi monodisciplinari e interdisciplinari, attraverso l'elaborazione di un percorso formativo con progetti interculturali, educazione alla legalità e alla cittadinanza e quindi: a) alla comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del paese accogliente); b) sostegno alla vita democratica; c) interdipendenza mondiale;
   a non consentire l'ingresso nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre 2013 di ciascun anno, al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti prevedendo, quando possibile, una equa distribuzione degli studenti stranieri non italofoni, proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, al fine di favorirne la piena integrazione scongiurando il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri;
   a prevedere l'eventuale maggiore fabbisogno di personale docente da assegnare a tali classi, inserendolo nel prossimo programma delle assunzioni di personale docente, alla cui copertura finanziaria si provvede mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria.
(1-00218) «Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    la celiachia (detta anche morbo celiaco o sprue celiaca) è un'intolleranza permanente alla gliadina, contenuta nel glutine, un insieme di proteine a loro volta contenute nel frumento, nell'orzo, nella segale, nel farro e in altri cereali minori. La celiachia rende tossici – nei soggetti affetti o predisposti – tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione, è una patologia autoimmune sempre più diffusa tra la popolazione – con circa 135 mila nuovi casi ogni anno – e che si manifesta in età sempre più giovane. È la cosiddetta intolleranza al glutine, una sostanza che si forma dall'unione di due proteine per mezzo dell'acqua;
    la malattia celiaca non ha una trasmissione genetica mendeliana, ma è presente un certo grado di predisposizione nei parenti degli affetti. L'intolleranza al glutine genera gravi danni alla mucosa intestinale quali l'atrofia dei villi intestinali;
    nel celiaco ingerire glutine attiva in maniera anomala il sistema immunitario che risponde rifiutando il glutine e danneggiando quindi l'intestino. La celiachia non è causata esclusivamente dal glutine, ossia dal fattore ambientale, ma anche da alcuni fattori genetici. La celiachia è infatti una delle malattie genetiche più frequenti. In particolare il complesso HLA-DQ2 e HLA-DQ8 è fortemente associato alla malattia celiaca;
    il Parlamento europeo ha approvato nel mese di giugno 2013 un regolamento che di fatto «declassa» i celiaci dai gruppi di consumatori le cui esigenze nutrizionali vanno particolarmente tutelate;
    il dibattito che ha impegnato per 20 mesi il Parlamento europeo, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione, è stato in larga misura dedicato alla scelta di includere o meno gli alimenti senza glutine (oggi compresi tra i «dietetici») in questo nuovo regolamento. Alla fine di un lungo confronto, i tre organi di governo europei hanno raggiunto un compromesso, votato a larga maggioranza dall'assemblea di Strasburgo: le persone affette da celiachia non sono comprese tra quelle considerate categoria «vulnerabile» dall'Unione europea, ma i prodotti senza glutine di cui hanno bisogno, oltre a risultare chiaramente identificabili in etichetta, dovranno mantenere le stesse garanzie di sicurezza oggi previste dalla normativa vigente;
    il regolamento punta a semplificare la materia con la cancellazione delle norme riguardanti i prodotti cosiddetti «dietetici», rivolgendo il proprio campo di applicazione ai prodotti giudicati «essenziali» per categorie «vulnerabili» della popolazione per tutelarne la salute;
    trasferire la tutela dei consumatori celiaci, portatori di una specifica patologia, a un regolamento generale che interessa la generalità dei prodotti alimentari destinati al comune consumatore, è inappropriato e inaccettabile;
    la disposizione approvata va ad impattare sui prodotti destinati ad alcune categorie vulnerabili della popolazione, che comprendono i lattanti, i bambini nella prima infanzia, chi ha bisogno di alimenti per i cosiddetti «fini medici speciali» e perfino chi deve perdere peso, ma non i celiaci;
    l'Associazione italiana celiachia (AIC) con forza ricorda che la celiachia non è una «moda» alimentare, i 135.000 pazienti italiani diagnosticati devono necessariamente sottoporsi a diete prive di glutine come unica terapia alla loro patologia autoimmune,

impegna il Governo:

   a tutelare i celiaci e le loro famiglie, attraverso lo stretto monitoraggio della definizione degli atti delegati e di esecuzione successivi all'approvazione del regolamento 609/13, che, come noto, esclude gli alimenti senza glutine dalle categorie di prodotti ritenuti essenziali per categorie vulnerabili della popolazione, tra cui, quindi, non annovera i celiaci;
   ad assicurare il mantenimento delle garanzie di sicurezza degli alimenti destinati ai celiaci, secondo quanto oggi previsto dal decreto n. 111 del 1992 e dal regolamento 41/2009, che verranno abrogati a decorrere dal 20 luglio 2016 per effetto dell'applicazione del regolamento 609/13, che abrogherà il concetto di «prodotto dietetico», di cui alla direttiva quadro 2009/3 9/CE, anch'essa superata dal regolamento 609/13;
   a garantire, per quanto di competenza, che la normativa italiana, da sempre all'avanguardia per i diritti e le tutele dei celiaci, mantenga pari garanzia per la sicurezza del prodotto specificamente rivolto ai celiaci (ex dietetico), per la produzione, notifica delle etichette e piano di campionamento di controllo e mantenga anche il registro nazionale degli alimenti, quale unica fonte per l'erogazione gratuita, anche con l'attuazione della revisione del registro già discussa ai tavoli tecnici del Ministero;
   a garantire il mantenimento delle tutele oggi riconosciute ai celiaci, secondo quanto previsto dalla legge n. 123 del 2005 agli articoli 4 e 5;
   a garantire i tetti di spesa del decreto del Ministro della sanità dell'8 giugno 2001 (cosiddetto decreto Veronesi) e l'applicazione del principio del fabbisogno calorico sulla base dei recenti livelli di assunzione giornalieri di nutrienti della Società italiana di nutrizione umana;
   a farsi carico dell'annoso problema della circolarità dei prodotti in erogazione, oggi disponibili per il paziente nella sola regione di residenza, costringendo i celiaci che si spostano per studio o lavoro per brevi periodi, a portare con sé gli alimenti per il fabbisogno quotidiano;
   a tener presenti, in attesa dell'approvazione del LEA (dal 2008 è previsto il passaggio della celiachia dall'elenco delle malattie rare alle croniche), i rischi per la perdita dell'importante tutela della diagnosi che il regolamento delle malattie rare prevede (con esenzione dal ticket), per una malattia il cui esame precoce richiede ancora, mediamente, 6 anni di tempo e indagini (dati della relazione annuale al Parlamento);
   a promuovere la diagnosi precoce (che riduce i costi sanitari inutili, i costi sociali e l'esposizione dei sospetti celiaci alle complicanze del ritardato ricorso alla dieta) che dovrà essere perseguita con politiche di «case-finding», ritenute dalla comunità scientifica più efficaci dello screening di massa;
   a promuovere la revisione ed aggiornamento del protocollo di diagnosi e follow up (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 febbraio 2008) per il trattamento della celiachia e la sua diffusione.
(1-00219) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».

Risoluzione in Commissione:


   La Commissione IX,
   premesso che:
    la società «Alitalia - Compagnia aerea italiana spa», partecipata da un gruppo di imprenditori italiani e dalla Compagnia Air France-Klm con una partecipazione del 25 per cento, nel 2009 ha rilevato il «vecchio» Gruppo Alitalia in amministrazione straordinaria;
    Alitalia – Compagnia aerea italiana spa, dal 2009 ad oggi, ha accumulato perdite per più di 840 milioni di euro e debiti per circa 1 miliardo e 300 milioni di euro, e nell'ottobre del 2013 ha manifestato la necessità di reperire 500 milioni di euro;
    i soci dell’«Alitalia – Compagnia aerea italiana spa» hanno, recentemente, deliberato l'aumento di capitale per un valore di 300 milioni di euro;
    il consiglio di amministrazione presieduto da Roberto Colaninno ha manifestato l'intenzione di dimettersi dall'incarico alla conclusione della ricapitalizzazione;
    all'aumento di capitale hanno manifestato interesse: Poste italiane spa con l'intenzione di versare 75 milioni di euro, le banche Intesa Sanpaolo e Unicredit con una sottoscrizione massima di 100 milioni di euro per coprire le mancate sottoscrizioni;
    Poste italiane spa è partecipata interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze ed è stata scelta probabilmente per confluire nel capitale di Alitalia in quanto già in possesso del «know how» di settore essendo proprietaria di «Mistral Air» una compagnia aerea pubblica con sede a Roma, proprietà di Poste italiane, il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze;
    dagli organi di stampa ed esperti di settore si delinea un forte scetticismo sul fatto che Poste italiane possa contribuire in modo efficace a realizzare un piano industriale reale, solido e credibile;
    si profilano dubbi sull'ingresso di Poste italiane in Alitalia in quanto già coinvolta in una esperienza fallimentare con la Mistral Air;
    lo stesso Massimo Sarmi amministratore delegato di Poste italiane spa attraverso la presentazione del bilancio dello scorso anno ha manifestato l'intenzione di voler uscire definitivamente dal business del trasporto aereo e di volersi disfare della Mistral Air, che rappresenta un buco in continua espansione nei conti di Poste italiane spa con perdite in netto aumento per una società che ha un solo principale cliente, ovvero l'Opera romana pellegrinaggi (ORP);
    non è stato depositato attualmente nessun piano industriale da parte della società Alitalia;
    secondo indiscrezioni di stampa, nonostante Alitalia abbia smentito di aver presentato un nuovo piano industriale e il Ministro dello sviluppo economico abbia affermato di non aver ricevuto alcuna comunicazione in merito, suddetto piano dovrebbe essere pronto entro tre settimane e vedrebbe la partecipazione di Poste italiane e dei soci di maggior rilevanza, tra i quali la famiglia Benetton;
    il suddetto aumento di capitale non sembra essere una soluzione definitiva per il salvataggio ed il rilancio della Compagnia aerea Alitalia, bensì una operazione capace esclusivamente di tamponare la situazione di crisi attuale;
    i due istituti di credito Intesa San Paolo e Unicredit hanno subordinato la copertura dell'eventuale inoptato solo a seguito della presentazione del piano industriale della compagnia, manifestando la necessità di avere coperture reali a fronte del possibile ulteriore necessità finanziaria;
    Air France-Klm ha dichiarato a mezzo stampa che investirà solo a seguito di una riorganizzazione più severa della compagnia e una ristrutturazione del debito della stessa nonché in base ad una ristrutturazione finanziaria importante;
    sempre dai mezzi di stampa, si apprende che Air France-Klm sembra decisa ad abbassare la partecipazione azionaria dal 25 per cento all'11 per cento in assenza di impegni precisi sulla ristrutturazione del debito della compagnia aerea italiana;
    il Ministro dello sviluppo economico ha dichiarato a «La Stampa» edizione del 18 ottobre 2013 di «non aver ricevuto nessun piano industriale di Alitalia» precisando di «non conoscerne i contenuti e di non avere notizie da smentire», in particolare, per quanto attiene ai livelli occupazionali;
    il portavoce del commissario europeo per la concorrenza Joaquin Almunia ha dichiarato di aver inoltrato al Governo italiano una richiesta di informazioni dettagliate sulla partecipazione di Poste italiane spa all'aumento di capitale in quanto «il semplice fatto che una misura a favore di un'impresa venga da un'impresa pubblica e non da uno Stato non basta a escludere che si tratti di un aiuto di Stato,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza per evitare qualsiasi tentativo di immissione di capitale pubblico o comunque garantito da soggetti pubblici nella società «Alitalia – Compagnia aerea italiana spa» da parte di Poste italiane spa.
(7-00144) «Liuzzi, Dell'Orco, Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, Catalano, De Lorenzis, Fantinati, Castelli, Sorial».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   recentemente è stata posta con particolare vigore al centro del dibattito politico la questione della drammatica situazione delle carceri nel nostro Paese, prospettandosi anche l'esigenza di ricorrere a strumenti quali l'indulto e l'amnistia;
   pur condividendo l'assoluta urgenza di risolvere l'insostenibile situazione di sovraffollamento carcerario, il ricorso agli strumenti appena indicati desta perplessità, a giudizio degli interpellanti, anche con riferimento ai dati resi noti dall'Istat;
   secondo l'ultimo rapporto pubblicato a dicembre 2012, infatti, in Italia ci sono 112,6 detenuti ogni 100.000 abitanti, contro una media europea di 127,7 e una media mondiale di 156;
   in Spagna e in Inghilterra ci sono molti più detenuti che in Italia, senza parlare degli Stati Uniti che hanno la popolazione carceraria più numerosa con più di 2 milioni di detenuti ed un tasso pari a 761 persone ristrette ogni 100.000 abitanti;
   il dato più sconcertante che emerge dal documento è, invece, la gravissima insufficienza dei posti disponibili (appena 45.700), il numero più basso d'Europa, rimasto sostanzialmente immutato negli ultimi decenni, nonostante il notevole aumento della popolazione, italiana ed extracomunitaria, e il radicale mutamento della società;
   la componente straniera, infatti, è fortemente aumentata nel tempo: pari al 15 per cento del totale dei presenti nel 1991, è salita al 29 per cento nel 2000 per arrivare al 36,1 per cento nel 2011;
   a ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione che in Italia non ci sono detenuti per «reati minori», come documentato dall'istituto Nazionale di Statistica: il 95 per cento dei detenuti è infatti in carcere per produzione e spaccio di sostanze stupefacenti, rapine, estorsioni, furti reiterati; il resto per violenza sessuale, associazione mafiosa, omicidio;
   a fronte di tali dati, appare evidente, in primis, come la depenalizzazione di alcune figure di reato non produrrebbe il benché minimo effetto sulla popolazione carceraria, posto che si tratta, per lo più, di reati che sarebbe impensabile depenalizzare;
   è stato altresì ampiamente dimostrato che i provvedimenti di clemenza non producono alcun effetto strutturale, perché la gran parte dei detenuti in Italia è «professionalmente» dedita alla commissione di reati;
   a riguardo, lo stesso documento Istat rivela che l'aumento di detenuti «si è verificato nonostante l'adozione di vari provvedimenti per il contenimento del fenomeno, a cominciare dal cosiddetto “indultino” del 2003, fino all'approvazione di un vero e proprio provvedimento di indulto nel 2006, che ha previsto benefici per 28.586 detenuti»;
   dopo l'ultimo provvedimento di indulto nel 2006 la popolazione carceraria, infatti, è scesa sotto le 40.000 unità, ma già nel 2008 aveva nuovamente superato quota 60.000 con il reingresso in carcere della stragrande maggioranza dei detenuti che aveva usufruito dell'indulto e che, appena fuori, aveva tranquillamente ripreso la propria «attività ordinaria»;
   neppure le misure poste in atto, dal precedente Governo e dal Ministro pro tempore Paola Severino, prima, e ora del Ministro Cancellieri, con l'appoggio dell'attuale maggioranza, come il recente provvedimento contenente una serie di misure in materia di esecuzione della pena (cosiddetto «svuotacarceri») sono riuscite a soddisfare le richieste della Corte europea che ha ravvisato, nei penitenziari italiani, condizioni oltre i limiti dell'umana sopportabilità;
   una popolazione carceraria di 65.000 unità è un dato del tutto fisiologico per l'Italia in rapporto alla propria popolazione, trattandosi di un numero sostanzialmente invariato dal 2010;
   a parere dell'interpellante, l'amnistia e l'indulto sono provvedimenti eccezionali che uno Stato dovrebbe utilizzare soltanto in condizioni eccezionali, per risolvere situazioni altrimenti irrisolvibili; invece, in Italia il provvedimento straordinario è diventato l'espediente maggiormente utilizzato per non affrontare una volta per tutte i problemi strutturali del nostro Paese;
   è un dato incontestabile che la nostra è una criticità strutturale, che può essere risolta soltanto con un provvedimento strutturale come può essere la costruzione di nuove carceri –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per affrontare in via definitiva il malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che attanaglia il nostro Paese da anni e ci ha già portati a una condanna da parte del Consiglio d'Europa per violazione dell'articolo 3 della Convenzione.
(2-00266) «Cirielli, Giorgia Meloni».

Interrogazione a risposta orale:


   GOZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 14 ottobre 2013, il Presidente del Consiglio Enrico Letta, al termine dell'incontro con il premier finlandese Jyrki Katainen, ha dichiarato che per rendere più sicure le traversate dei migranti, chiede all'Unione europea di rafforzare Frontex, l'agenzia incaricata di vigilare sulle frontiere esterne dell'Unione stessa. Nei giorni precedenti, da indiscrezioni di Palazzo Chigi, sembra che il Governo italiano voglia chiedere il trasferimento o creazione di una seconda sede Frontex in una città italiana, o proporre la nomina di un italiano alla sua guida al posto del finlandese Iikka Laitinen;
   non è chiaro però perché – in una nota ufficiale del 10 ottobre 2013 del Consiglio dei ministri dell'interno dell'Unione europea – si apprende che sei Paesi, Spagna, Francia, Grecia, Cipro, Malta e Italia hanno posto il veto alla proposta avanzata dalla commissaria agli affari interni Cecilia Malström ed elaborata da un gruppo di lavoro «ad hoc», secondo cui è necessario ampliare la missione di Frontex introducendo, oltre ai compiti di vigilanza e interdizione, funzioni di «Rescue at sea e Diserbarkation», ovvero di soccorso ai profughi in mare e il loro trasferimento in imbarcazioni più sicure. Nella nota si evince che il veto da parte dei sei Stati è stato posto sugli articoli 9 e 10 della bozza, predisposta dal gruppo ad hoc e avallata dalla Commissione, che prevedono l'ampliamento del mandato, in quanto si sostiene che i salvataggi in mare sono già regolati dalla normativa internazionale e che competono alla responsabilità delle autorità in mare;
   conseguentemente, secondo i sei Stati tra cui l'Italia – affidare tali compiti al Frontex – sarebbe solo fonte di confusione e costituirebbe un vulnus della sovranità degli Stati e contrasterebbe con il diritto comunitario –:
   se non ritengano necessario chiarire quale sia la posizione del Governo italiano sulla questione Frontex e se sia ancora intenzione del Governo «cambiare le politiche europee in termini di efficacia e di rafforzamento di Frontex» come il Presidente Letta ha dichiarato alla stampa.
(3-00399)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIARO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono trascorsi due anni da quel 4 novembre 2011 in cui Genova veniva colpita da una violenta alluvione causata da fortissime precipitazioni che hanno registrato punte superiori ai 500 millimetri in diverse zone della città e provincia, scaturendone l'esondazione dei torrenti Bisagno e Fereggiano e la piena dei torrenti Sturla, Scrivi a e Entella;
   i centri più colpiti furono i quartieri di Quezzi, Foce, Molassana, San Fruttuoso, Marassi, Brignole, Quarto e Nervi di Genova e i comuni di Recco e Camogli con 6 vittime, tra le quali due bambine, e centinaia di persone sfollate;
   in data 22 ottobre 2013 Genova e i comuni limitrofi sono stati colpiti da una violenta alluvione, in appena due ore, da mezzanotte alle 2: sul Tigullio sono caduti ben 175 millimetri di pioggia;
   a Chiavari quindici persone sono state sfollate dalle loro abitazioni perché una frana minacciava gli edifici e una decina di persone sono state evacuate dai propri condomini vicini al ponte di Carasco crollato, è franata una porzione della provinciale 225 ed altre località sono rimaste isolate, a causa di frane e crolli;
   tre comuni – Orero, San Colombano e Coreglia Ligure – sono senza gas né acqua e il lavoro dei vigili del fuoco del distaccamento chiavarese continua per la verifica nel territorio della stabilità di alcune costruzioni;
   la situazione più grave, così come riportano i giornali locali, si è avuta nell'entroterra, nei territori della Val di Vara già colpiti due anni fa da un analogo nubifragio: Riccò del Golfo, Beverino, Calice, Bolano, Ceparana, e Piana Battolla sono le località più colpite con allagamenti e piccoli smottamenti;
   allagamenti si sono avuti anche in alcune zone industriali come quella di Lagoscuro-Cerri, tra i comuni di Follo e Vezzano Ligure;
   in via precauzionale nella cosiddetta «zona sondabile» intorno al rio Fereggiano e a Genova le scuole sono state chiuse e si segnalano sospensioni delle lezioni nelle zone considerate a rischio;
   i sindaci dei comuni colpiti hanno dichiarato che chiederanno lo stato di calamità naturale;
   la Coldiretti ha stimato per milioni di euro il primo bilancio provvisorio dei danni provocati dell'ondata di maltempo che ha colpito duramente non solo la Liguria ma anche la Toscana con frane e allagamenti –:
   se il Governo intenda dichiarare lo stato di calamità naturale destinando adeguate risorse finanziarie per i territori colpiti dall'alluvione, se intenda stanziare fondi per mettere in sicurezza le aree colpite dal dissesto idrogeologico e se intenda assumere iniziative per svincolare i comuni colpiti dall'alluvione dal patto di stabilità così da poterli agevolare nella ricostruzione e nel mettere in sicurezza il proprio territorio dai danni subiti.
(4-02273)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che il connazionale diciannovenne Joele Leotta è stato ucciso in una aggressione a Maidstone nel Regno Unito;
   il movente dell'aggressione in cui è rimasto coinvolto anche un altro italiano è poco chiaro ma pare di matrice razzista;
   il fenomeno della migrazione giovanile dall'Italia verso l'Estero riguarda ormai circa 200.000 giovani ogni anno per mancanza di opportunità lavorative raggiungendo livelli visti solo nel dopoguerra o all'inizio del secolo XX –:
   quale sia la ricostruzione dei fatti delittuosi avvenuti a Maidstone;
   come intenda assistere la famiglia di Joele Leotta;
   quali provvedimenti intenda assumere in generale per dare risposta al crescente fenomeno della emigrazione giovanile verso l'estero che depaupera il nostro Paese di talenti vitali per la crescita e lo sviluppo. (4-02274)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   GREGORI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è attualmente vigente un contratto collettivo nazionale di lavoro inerente al personale non dirigente di CONI Servizi SpA e delle Federazioni sportive nazionali;
   la Federazione italiana giuoco calcio (Figc) è associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata con il Comitato olimpico nazionale italiano (Coni);
   occorre verificare l'applicazione di tale contratto, in particolare per quanto riguarda i trattamenti salariali e di inquadramento corrispondenti alle mansioni svolte dal personale della Figc –:
   se il Governo, per quanto di sua competenza, possa verificare se sussistano o meno situazioni di disparità salariale e di inquadramento, in base alle mansioni svolte dalle singole risorse umane, a discapito del personale di ruolo non dirigente in servizio presso la Figc e se sia altresì possibile acquisire informazioni in merito alla pianta organica della Figc, con il dettaglio nominativo di tutte le qualifiche funzionali, indicando anche l'ufficio o la struttura di assegnazione, così come le mansioni svolte. (4-02269)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   IACONO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 marzo 2013, in G.U.R.I. n. 76, è stato pubblicato il decreto 18 marzo 2013 con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quello dello sviluppo economico hanno individuato le (ulteriori) caratteristiche tecniche dei sacchetti per l'asporto delle merci, in attuazione dell'articolo 2, comma 2, decreto-legge n. 2 del 2012 e successive modifiche;
   con il decreto-legge n. 2 del 2012, attualmente in vigore, si era consentita la vendita di sacchetti monouso biodegradabili e compostabili secondo la norma UNI EN 13432 e di quelli riutilizzabili, purché di adeguato spessore e contenenti una quota di plastica riciclata;
   all'articolo 1 del decreto sono definiti quali sacchi per l'asporto delle merci «sacchi messi a disposizione nel punto vendita a pagamento o gratuitamente per l'asporto di merci alimentari e non alimentari da parte del consumatore»;
   all'articolo 2 il suddetto decreto autorizzava la commercializzazione dei sacchi per asporto merci rientranti nelle seguenti categorie:
    A – sacchi monouso biodegradabili e comportabili, conformi a norma armonizzata UNI EN 13432: 2002;
    B – sacchi riutilizzabili composti da polimeri diversi da quelli di cui alla lettera a) che abbiano maniglia esterna alla dimensione utile del sacco; i sacchetti riutilizzabili con maniglia esterna alla dimensione utile del sacco sono, a loro volta, di due tipi, ognuno dei quali dovrà riportare la relativa e corrispondente dicitura:
     «Sacco riutilizzabile con spessore superiore ai 200 micron – per uso alimentare»;
     «Sacco riutilizzabile con spessore superiore ai 100 micron – per uso non alimentare»;
    C – i sacchetti riutilizzabili con maniglia interna alla dimensione utile del sacco che sono, pure, di due tipi, su ognuno dei quali dovrà essere riportata la relativa e corrispondente dicitura:
     «Sacco riutilizzabile con spessore superiore ai 100 micron – per uso alimentare»;
     «Sacco riutilizzabile con spessore superiore ai 60 micron – per uso non alimentare»;
   il suddetto decreto consente la commercializzazione dei sacchi riutilizzabili per l'asporto di merci, realizzati in carta, in tessuti di fibre naturali, in fibre di poliammide e in materiali diversi dai polimeri, fornendo altresì, ex articolo 3, le idonee modalità di informazione ai consumatori, in tema di utilizzo dei sacchi per asporto merci, su indicati;
   tale iniziativa del Governo specifica e meglio definisce le regole generali per la disciplina di una materia particolarmente complessa, tanto in tema di tutela dei consumatori, quanto sotto il profilo della salvaguardia ambientale;
   tuttavia, una pari iniziativa andrebbe assunta anche con riferimento ad altri tipi di plastiche, per le quali si pone il tema di una più efficace regolamentazione della loro utilizzazione e soprattutto del loro smaltimento;
   tali riflessioni assumono un particolare rilievo se riferite al polistirolo espanso sinterizzato (EPS), che si produce usando un derivato del petrolio, lo stirene, che viene combinato con carbonio, idrogeno ed aria al 98 per cento in un processo di polimerazione che forma una struttura a celle chiuse che lo caratterizza; il polistirolo oggi viene largamente utilizzato per preservare i cibi o i prodotti farmaceutici dal caldo e dal freddo fino al momento in cui vengono acquistati dal consumatore finale;
   i problemi della gestione dei rifiuti di EPS sono attualmente soprattutto problemi logistici e regolamentari per l'organizzazione della raccolta di tali scarti e del loro smaltimento; infatti, se dall'un lato gli scarti di polistirolo espanso nella grande industria vengono riciclati ed usati per la produzione di nuovi imballi o per fare prodotti dell'edilizia, dall'altro lato ben più difficile risulta questa pratica per i contenitori che arrivano nelle abitazioni e che registrano un largo utilizzo nel commercio, nelle attività produttive e nella piccola e media impresa;
   pare dunque di tutta evidenza come riciclare piuttosto che smaltire contenitori di polistirolo, che – è bene ricordarlo – non sono biodegradabili, appaia reso assai più complesso dall'assenza di regole generali per lo svolgimento di tali attività;
   a ciò si aggiunga il fatto che la materia prima prevalentemente utilizzata per la realizzazione dell'EPS è il petrolio, cosa che pone pertanto serie questioni di tutela ambientale, specie in presenza di diffusi ed inquietanti fenomeni di inquinamento, che quotidianamente si registrano in molte parti del Paese, con specifico riferimento ad importanti comparti produttivi, in primis agricoltura, pesca e cooperazione, laddove si fa un largo uso del polestirene e laddove, purtroppo, la più volte rappresentata assenza di una regolamentazione quadro in materia determina un selvaggio abbandono di una ingente quantità di cassette e contenitori di ogni tipo, con evidente ricaduta sulla tenuta dell'ambiente circostante e del mare –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per dare una regolamentazione certa all'utilizzo, al riciclaggio ed allo smaltimento dell'EPS, al fine di salvaguardare l'ambiente e tutelare la salute della comunità. (4-02270)


   SPESSOTTO, MANNINO, LOREFICE, BECHIS, D'UVA e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 92/43/CEE, recepita in Italia con il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 e successive modificazioni, mira alla tutela e alla salvaguardia della biodiversità negli Stati membri, definendo, a tal fine, un quadro comune per la conservazione degli habitat, delle piante e degli animali di interesse comunitario;
   in base a tale direttiva, denominata «Habitat», vengono classificati i siti di importanza comunitaria (SIC) che, nella regione biogeografica di appartenenza, contribuiscono in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale in uno stato di conservazione soddisfacente e che possono inoltre contribuire in modo significativo alla coerenza della rete ecologica denominata «Natura 2000»;
   in particolare, gli allegati I e II della direttiva in oggetto contengono i tipi di habitat e le specie la cui conservazione richiede la designazione, da parte degli Stati membri, di Zone speciali di conservazione (ZSC);
   l'articolo 4, comma 4, della direttiva «Habitat» prevede espressamente, a tal fine, che ciascuno Stato membro provveda a designare come zone speciali di conservazione i siti individuati come siti di importanza comunitaria (SIC), il più rapidamente possibile e comunque entro un termine massimo di sei anni, ai fini della creazione della rete ecologica europea di zone speciali di conservazione «Natura 2000»;
   il predetto limite temporale è altresì funzionale alla creazione di una rete ecologica europea «coerente» di ZSC, come prescritto dall'articolo 3 della direttiva, nonché a garantire uno stato di conservazione soddisfacente dei siti, occorrendo altrimenti procedere ad interventi di ripristino che il ritardo nell'adozione delle misure di conservazione può rendere particolarmente gravosi;
   conformemente alle disposizioni contenute nella direttiva «Habitat», l'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 prevede che la designazione delle zone speciali di conservazione avvenga con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, adottato d'intesa con ciascuna regione interessata, entro il termine massimo di sei anni dalla definizione dell'elenco dei siti da parte della Commissione europea;
   in Italia esistono ben 2.299 siti riconosciuti, ai sensi della direttiva «Habitat», come siti d'interesse comunitario (SIC), di cui però solo 27 sono stati attualmente designati come zone speciali di conservazione (ZSC);
   il primo decreto di designazione delle zone speciali di conservazione (ZSC) italiane, con il quale sono state istituite le prime 27 zone speciali di conservazione nella regione biogeografica alpina della regione Valle d'Aosta, è stato emanato il 7 febbraio 2013;
   la Commissione, con propria decisione del 16 novembre 2012, ha adottato, in base alla direttiva 92/43/CEE del Consiglio, il sesto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale, tra i quali sono compresi anche i siti ubicati all'interno della regione Veneto;
   in particolare, secondo quanto viene riportato dal sito web della regione, in Veneto, sono complessivamente presenti 67 ZPS e 102 SIC, tra loro variamente sovrapposti, per un totale di 128 siti rientranti nella rete Natura 2000. La superficie complessiva dei siti suddetti è pari a 414.675 ettari (22,5 per cento del territorio regionale) con l'estensione delle ZPS pari a 359.882 ettari e quella dei SIC a 369.882 ettari;
   attualmente, nonostante il limite temporale di sei anni normativamente prescritto dalla direttiva «Habitat», in nessuna regione italiana appartenente all'area biogeografia continentale sono state approvate e riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le ZSC;
   come riportato dal sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la designazione delle zone speciali di conservazione rappresenta un passaggio fondamentale per la piena attuazione della Rete Natura 2000, poiché garantisce l'entrata a pieno regime di misure di conservazione del sito specifiche e offre una maggiore sicurezza per la gestione della rete e per il suo ruolo strategico finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità in Europa entro il 2020;
   ciononostante, alla data odierna, risulta che l'Italia abbia provveduto alla designazione delle sole zone speciali di conservazione della regione biogeografica alpina e limitatamente alla sola regione Valle d'Aosta –:
   se i Ministri interrogati intendano intraprendere misure concrete volte alla designazione nel territorio italiano, nei tempi stabiliti dall'articolo 4 della direttiva 92/43/CEE e dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, dei siti di importanza comunitaria (SIC) come zone speciali di conservazione (ZSC), in particolare nell'area biogeografica continentale, e se intendano altresì assumere iniziative immediate, in accordo con tutte le regioni interessate, per dare piena attuazione alla direttiva «Habitat», onde evitare l'apertura di una procedura di infrazione contro l'Italia e risolvere positivamente il caso EU Pilot che eventualmente fosse stato già avviato dalla Commissione europea nei confronti del nostro Paese in materia di mancata designazione delle zone ZCS;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della mancata designazione delle zone ZCS presenti nella regione Veneto e se intendano promuovere quanto prima, e d'intesa con la regione interessata, iniziative realmente efficaci per realizzare, in tempi brevi, quanto previsto dalla direttiva Habitat, rispettando in tal modo gli impegni assunti con l'Unione europea a favore della conservazione della biodiversità e proseguendo in tal modo nell'effettiva istituzione della Rete Natura 2000, che riveste un ruolo fondamentale per la tutela degli habitat naturali in questa regione.
(4-02275)


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   agli inizi di ottobre uno dei simboli del Parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena, l'isola di Budelli, di 1,60 chilometri quadrati con 12 chilometri di costa, è stata venduta all'asta ad un banchiere neozelandese per appena 2 milioni e 940 mila euro;
   il Parco Nazionale ai sensi della legge quadro 391 del 1991 può esercitare entro 90 giorni il diritto di prelazione; non esercitare tale diritto sarebbe semplicemente una resa dello Stato nei confronti di una delle aree più belle d'Italia e del mondo;
   dinanzi alla norma che impedisce agli enti pubblici di acquistare immobili, potrebbe essere promossa una raccolta di fondi e donazioni finalizzata all'acquisizione dell'isola Budelli –:
   se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, promuovere una iniziativa comune con il Ministero dell'economia e delle finanze, la regione Sardegna e il Parco nazionale della Maddalena affinché l'isola di Budelli diventi un bene dello Stato. (4-02281)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Green Holding spa è una multinazionale leader nel settore dei rifiuti. È presente, tramite le sue controllate, in diverse regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Lazio, Veneto) e anche nel Regno Unito;
   tramite Ambienthesis spa e EcoItalia Srl possiede, tra le altre, il 35 per cento della discarica di Collegno, Barricalla, e il 100 per cento di La Torrazza Srl che gestisce la discarica per rifiuti speciali, industriali, pericolosi e non, sita a Torrazza Piemonte (TO);
   la discarica di Torrazza Piemonte è, come si legge sul sito internet «formata da 8 celle di cui sette esaurite ed una (360.000 m3) di recente realizzazione. Il volume totale dell'impianto è di 800.000 metri cubi distribuiti su una superficie complessiva di 150.000 metri quadri. La capacità complessiva di raccolta rifiuti è pari a 1 milione di tonnellate»;
   nel 1996 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si pronunciò sulla richiesta di conferire 700.000 metri cubi nella cella 8, tramite il DEC.VIA n. 2392 del 22 febbraio 1996. Il documento descriveva già allora la situazione ambientale come gravemente degradata a causa delle numerose cave di argilla per fornaci, riconoscendo che popolazione e amministrazioni locali erano al limite della sopportazione, autorizzando quindi il conferimento di solo la metà di quanto richiesto (solo 350.000), e soprattutto stabilisce: «colmata la vasca in progetto, dovrà cessare sul sito l'attività di discarica»;
   tale prescrizione venne recepita dalla regione Piemonte 4 anni dopo, con la delibera della giunta regionale n. 9-29155 del 17 gennaio 2000, che autorizza la costruzione dell'ottava vasca, di 346.600 metri cubi, per l'ampliamento della discarica di rifiuti speciali in località «Fornace Nigra» nel comune di Torrazza Piemonte. Al punto 5 la DGR specifica di «ribadire, anche alla luce della prescrizione del DEC.VIA n. 2392 del 22 febbraio 1996, che colmata la vasca in progetto, dovrà cessare sul sito l'attività di discarica»;
   nel 1996 la provincia di Torino con DD 249-1275027, ha rilasciato l'autorizzazione integrata ambientale il 30 ottobre 2007 alla discarica per rifiuti non pericolosi (cella 8), sita in località Fornace Nigra, comune di Torrazza P.te;
   con determina del dirigente del servizio pianificazione e gestione rifiuti, bonifiche, sostenibilità ambientale della provincia di Torino n. 80-25677 del 18 giugno 2013, l'autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 30 ottobre 2007 alla discarica per rifiuti non pericolosi (cella 8), sita in località Fornace Nigra, comune di Torrazza P.te, è stata aggiornata autorizzando il conferimento di rifiuti pericolosi;
   il 23 luglio 2013 la società La Torrazza srl ha depositato in provincia di Torino gli elaborati del «Progetto definitivo di ampliamento della cella 8»;
   la citata società chiede l'autorizzazione a portare nella cella 8 94.000 metri cubi di nuovi rifiuti;
   non si tratterebbe di un «allargamento» del perimetro della discarica, ma di un ampliamento volumetrico, poiché i nuovi rifiuti verrebbero deposti «sopra» a quelli esistenti;
   nella conferenza dei servizi del 5 settembre 2012 il comune di Verolengo (inviato come confinante), citando il documento, ha chiesto alla provincia se dovesse essere considerato tuttora valido. La provincia ha chiesto un parere al Ministero. A quanto consta agli interroganti nell'ultima, conferenza di servizi, quella del 1o ottobre 2013, la competente funzionaria della provincia, ha riferito che il Ministero non ha risposto e che la provincia propende a giudicare la mancata risposta un silenzio assenso;
   recentemente la giunta regionale è stata interrogata in merito alla questione e l'assessore all'ambiente ha risposto che è il Ministro all'ambiente e della tutela del territorio e del mare il soggetto titolato a fornire un'interpretazione autentica rispetto alla validità delle prescrizioni contenute nel DEC/VIA n. 2392 del 22 febbraio 1996 –:
   se il Ministro sia al corrente della situazione sopradescritta e se non ritenga opportuno intervenire quanto prima per rendere la necessaria chiarezza ai soggetti istituzionali ed alla cittadinanza interessati. (4-02285)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2013, la provincia di Matera e in particolare il territorio del metapontino sono stati messi in ginocchio da un violento nubifragio;
   l'ondata straordinaria di maltempo ha causato l'innesto di fenomeni di dissesto idrogeologico ed idraulico, esondazioni, allagamenti dei centri abitati, interruzione dei collegamenti viari e ha provocato danni ingenti alle infrastrutture urbane ed extraurbane, alle aziende ed alle colture agricole, alle abitazioni civili;
   l'evento calamitoso ha causato 4 vittime, tre in Puglia e una in basilicata;
   alla stato attuale ci troviamo di fronte ad uno stato di calamità naturale che richiede l'adozione dei necessari provvedimenti e il reperimento delle risorse economiche al fine di ripristinare la situazione dei luoghi danneggiati;
   ferma restando l'adozione da parte della regione Basilicata di un piano organico che metta in sicurezza le parti più vulnerabili del territorio;
   si ricorda che la regione Basilicata è stata già interessata da una violenta alluvione nel marzo 2011 causando notevoli danni al territorio;
   secondo dati Ance/Cresme frane e alluvioni solo negli ultimi 10 anni (2002/2012) hanno fatto 290 vittime, in cui come ricorda Legambiente si spende un milione di euro al giorno solo per riparare ai danni del maltempo e in cui nell'82 per cento dei comuni sono presenti zone a elevata esposizione al rischio idrogeologico –:
   quale sia ad oggi lo stato di attuazione del piano di messa in sicurezza del suolo in ossequio alle direttive dell'Unione europea in particolare quali siano le iniziative di prevenzione e manutenzione del suolo e quali risorse economiche siano state individuate per realizzare le finalità suddette. (4-02286)


   GRIMOLDI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio di Monfalcone presenta livelli critici di inquinamento atmosferico, con valori che superano i limiti di legge in particolare in prossimità della centrale termoelettrica di A2A;
   i dati sono stati recentemente confermati da un recentissimo studio elaborato a cura degli esperti Nikola Skert e Roberto Grahonja (ARPA FVG) dal titolo «Biomonitoraggio dell'inquinamento da gas fitotossici nella Regione Friuli Venezia Giulia tramite licheni come bioindicatori»;
   tale studio illustra un'accurata mappatura della Regione e conferma una realtà di cui si sospettava da tempo, sottolineando, appunto, come il sito monfalconese sia il peggiore a livello di qualità dell'aria mostrando «valori peggiori in prossimità della centrale termoelettrica di Monfalcone»;
   i due studiosi sono arrivati al risultato attraverso una tecnica di biomonitoraggio basato «sulla valutazione degli effetti biologici dell'inquinamento, misurando le deviazioni da condizioni normali di componenti degli ecosistemi reattivi all'inquinamento». A tale scopo sono stati utilizzati i licheni epifiti che «sono in grado di fornire informazioni sull'inquinamento atmosferico, in quanto il loro metabolismo dipende essenzialmente dall'atmosfera»;
   nello studio di Skert e Grahonja vengono illustrate le carte di Biodiversità Lichenica (BL), ottenute elaborando i dati raccolti e predisponendo opportune scale dove ad un valore alto di Biodiversità Lichenica corrisponde ad un'alta naturalità, mentre a valori bassi un'elevata alterazione. Si evince che su Monfalcone c’è un'alterazione molto alta e si sottolinea che «i minori valori di Biodiversità Lichenica di tutta la Regione si concentrano in prossimità della centrale termoelettrica di Monfalcone, presso la Ferriera di Trieste e Maggia»;
   tale studio di ARPA FVG ha riaperto un importante dibattito sul problema inquinamento a Monfalcone, dovuto alla centrale A2A, ripreso poi da stampa e social network;
   già nel 1999 era stato fatto uno studio da Enel riguardo i metalli presenti nell'aria ove si sottolineava la presenza di arsenico, cadmio, berillio, cromo, piombo, vanadio e mercurio;
   tali anomalie erano a conoscenza sia del comune di Monfalcone che della provincia di Gorizia, la quale, nel 2000, ha incaricato un'università di compiere un apposito studio;
   la Centrale Termoelettrica di Monfalcone è costituita da 4 gruppi termoelettrici che funzionano indipendentemente con potenza complessiva di 976 megawatt. Le sezioni 1 e 2, alimentate sia con carbone sia con gasolio per la fasi di avviamento ed aventi potenza di 165 e 171 MW, sono entrate in esercizio rispettivamente nel 1965 e nel 1970, mentre le sezioni 3 e 4, alimentate con olio combustibile e con una potenza di 320 megawatt ciascuna, sono entrate in servizio nel 1983 e nel 1984. Le sezioni 3 e 4 sono state messe fuori servizio alla fine del 2012 e dichiarate non più disponibili per l'esercizio commerciale di erogazione di energia elettrica sulla rete. È attualmente in corso la fase di dismissione dei serbatoi e del parco di stoccaggio dell'olio combustibile. Nei primi mesi del 2008 sono entrati in servizio gli impianti DeSOx per l'ulteriore abbattimento delle emissioni di S02 delle due sezioni a carbone;
   nel territorio di Monfalcone si assiste all'aumento di malattie oncologiche, in particolar modo tumori ai polmoni, all'apparato respiratorio, e autoimmuni, malattie che, secondo dati di letteratura, risultano sono strettamente connesse al crescente inquinamento dell'aria, alla presenza di diossina e metalli pesanti; infatti, il connubio fumi della centrale ed amianto posizionano Monfalcone ai primi posti in Europa per tumori polmonari ed alla pleure;
   a seguito del citato studio dell'ARPA la popolazione è impaurita e preoccupata in quanto mancano notizie certe sulla situazione ambientale e sanitaria del territorio; in particolare la popolazione desidera conoscere i programmi del Governo sulla riconversione a metano delle vecchie centrali ed in particolare sulla riconversione della centrale di Monfalcone –:
   se il Ministro intenda verificare la situazione ambientale del territorio di Monfalcone e la potenziale relazione tra agenti inquinanti dell'atmosfera e incidenza di malattie tumorali nella popolazione per fornire le giuste informazioni alla popolazione, inquadrando la possibile riconversione della centrale a metano nell'ambito delle previsioni del piano energetico nazionale. (4-02287)


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto di compatibilità ambientale del progetto relativo al progetto definitivo dell’«Autostrada A8 Milano Laghi. Ampliamento alla quinta corsia tratto “Barriera Milano Nord” — “Interconnessione di Lainate” dal chilometro 5+577 al chilometro 9+990» rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — direzione generale valutazioni ambientali rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali n. 255 dell'8 giugno 2012; riportava tra le altre le seguenti condizioni-prescrizioni-raccomandazioni:
    «1) B-prescrizioni del Ministero per i Beni e le Attività Culturali:
     ... ridurre gli svincoli e il complesso delle infrastrutture rendendoli meno invasivi nel contesto territoriale; inoltre il loro inserimento nel contesto paesaggistico dovrà essere oggetto di una specifica progettazione da sottoporre all'approvazione della Direzione Generale Valutazioni Ambientali del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e delle Soprintendenze di settore competenti per territorio;
    2) C-prescrizioni della Regione Lombardia:
     a)... minimizzazione dell'occupazione di suolo e delle interferenze sui sistemi verdi...;
     f)... sviluppare un quadro ambientale, opere di mitigazione e compensazione ... in sede di progetto esecutivo sia sviluppato e verificato in dettaglio il dimensionamento del sistema e delle opere di governo delle acque meteoriche di piattaforma alla luce ... degli scenari di sviluppo e dei programmi di intervento delineati dai “Contratti di Fiume” operanti sul territorio;
     i)... gli interventi di mitigazione e compensazione ambientale ... dovranno ... puntare a realizzare interventi forestali a rilevanza ecologica e di incremento della naturalità ... ivi compresa la fascia intorno al torrente Lura ...»
   al progetto definitivo venivano apportate modifiche in data 6 novembre 2012 e successivamente convocata la conferenza di servizi da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con nota del 26 novembre 2012;
   dal verbale della Conferenza dei servizi del 15 gennaio 2013 si evince che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiede a regione Lombardia di formulare le proprie valutazioni in merito all'ottemperanza delle prescrizioni del decreto VIA, sentiti la provincia di Milano, Arpa Lombardia, e gli enti locali interessati;
   preso atto del parere favorevole alle opere di regione Lombardia, nel rispetto delle prescrizioni e raccomandazioni riportate nel parere regionale, fatta salva ulteriore verifica di ottemperanza, nonché della deliberazione di giunta regionale n. IX/4823 del 6/052/2013, che acquisita la documentazione integrativa, il Ministero manifestava parere favorevole al progetto con prescrizioni;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esprimeva parere favorevole alle opere restando in attesa della formale comunicazione degli esiti della verifica di ottemperanza delle prescrizioni da parte regionale contenute nel DEC VIA;
   dal verbale della Conferenza dei servizi finale in data 8 febbraio 2013 si evince che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, valutate le risultanze del procedimento, tenuto delle posizioni favorevoli concludeva il procedimento con esito positivo alla localizzazione dell'opera in esame;
   il progetto esecutivo dell'opera in esame deve necessariamente ottemperare alle condizioni-prescrizioni-raccomandazioni riportate nel decreto VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — direzione generale valutazioni ambientali e espresse nella deliberazione di giunta regionale Lombardia n. IX/4823 del 6/052/2013, più volte richiamati nei documenti in premessa –:
   se e in quali termini, per quanto a sua conoscenza, nel progetto esecutivo siano stati effettivamente ottemperate le prescrizioni di carattere ambientale ed ecologico riportate nel decreto VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativamente al tratto dell’«autostrada A8 Milano Laghi, ampliamento alla quinta corsia tratto “Barriera Milano Nord” – “Interconnessione di Lainate” dal chilometro 5+577 al chilometro 9+990». (4-02288)


   RIGONI e MANFREDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 114, commi 15 e 16, della legge n. 388 del 2000, ha previsto l'istituzione del parco archeologico delle Alpi Apuane, per conservare e valorizzare gli antichi siti di escavazione e i beni di rilevante testimonianza storica, culturale e ambientale connessi con l'attività estrattiva;
   la medesima norma ha attribuito la gestione del parco archeologico in questione ad un Consorzio da costituirsi tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Toscana, gli enti locali e l'ente parco regionale delle Alpi Apuane;
   nel 2001 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato l’iter istitutivo del parco archeologico e, in accordo con le amministrazioni interessate, era riuscito ad individuare i siti e i beni da inserire nel parco e i relativi obiettivi di tutela e valorizzazione, elaborando pure un primo schema del decreto;
   il 19 marzo 2003, lo schema del decreto è stato trasmesso alla regione Toscana ai fini dell'espressione dell'intesa richiesta dalla legge e la regione stessa è stata invitata ad acquisire il parere preventivo dei comuni interessati;
   con deliberazione n. 23 del 12 febbraio 2003, il consiglio regionale ha approvato l'intesa sul parco archeologico, dopo aver acquisito i pareri favorevoli di tutti i comuni interessati, chiedendo di apportare allo schema di decreto alcuni adeguamenti che sono stati accolti e la regione Toscana in data 13 marzo 2003 ha trasmesso copia della deliberazione al Ministero competente;
   il 22 aprile 2003 il direttore generale del servizio conservazione della natura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con una nota ha comunicato la necessità di operare alcune modifiche sulla bozza di decreto istitutivo, con il passaggio della presidenza della commissione statuto e regolamento contabilità, dal presidente dell'ente parco regionale delle Alpi Apuane ad un rappresentante dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per i beni e le attività culturali;
   il consiglio regionale della Toscana, di fronte ad una situazione perdurante di stallo – che non trovava alcuna motivazione espressa – in data 5 novembre 2003 ha approvato, con voto unanime, la mozione n. 665 (a seguito di specifica iniziativa della V Commissione consiliare), invitando la giunta regionale a «promuovere tutte quelle iniziative che riterrà più idonee al fine di sollecitare i competenti Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e per i beni e le attività culturali, alla firma del decreto di istituzione del Parco archeologico delle Alpi Apuane»;
   l'articolo 114 della succitata legge 23 dicembre 2000, n. 388, prevede l'istituzione, con modalità simili, non soltanto del parco archeologico delle Alpi Apuane (ai commi 15 e 16), ma pure di altri tre parchi archeominerari, quali il geominerario della Sardegna (comma 10), il tecnologico ed archeologico delle colline metallifere (comma 14) e il museo delle miniere dell'Amiata (ancora comma 14);
   il 27 novembre 2006, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore apponeva la propria firma in calce al decreto istitutivo del parco archeologico delle Alpi Apuane ed alla conclusione dell’iter mancava soltanto la firma d'intesa del Ministro per i beni e le attività culturali;
   a distanza di quattordici anni non risulta ancora perfezionato il decreto istitutivo del parco archeologico delle Apuane, quando, invece, l'istituzione degli altri tre parchi archeominerari è avvenuta regolarmente e sono da tempo normalmente in funzione, con organi in piena carica, e sostenuti dal contributo statale;
   in occasione della 10a conferenza dei geoparchi, svoltasi in Norvegia nell'ottobre 2011, il parco toscano delle Alpi Apuane è entrato anche a far parte della rete mondiale dei geoparchi, coordinata dall'UNESCO;
   in esecuzione dell'articolo 114, commi 15 e 16, della legge n. 388 del 2000, il parco ha ricevuto contributi dallo Stato nel triennio 2001-2003 per complessivi euro 775.549,45 che ancora si trovano tra i residui passivi, senza possibilità di essere investiti per interventi ed attività del parco archeologico –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare il decreto istitutivo del parco archeologico delle Apuane e sostenere così un progetto finalizzato a conservare e valorizzare un territorio di rilevante testimonianza storica, culturale e ambientale. (4-02289)


   DE MENECH e CIVATI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   entro l'autunno l'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) deve ridefinire i termini dell'accordo con il CONAI (Consorzio nazionale imballaggi), costituito dalle imprese produttrici e utilizzatrici di imballaggi. Tale accordo, se opportunamente rinegoziato, potrebbe portare ingenti risorse economiche ai comuni per finanziare i servizi di raccolta dei rifiuti;
   i comuni italiani si trovano in condizioni di grande difficoltà economica: da un lato i continui tagli dei trasferimenti erariali e regionali rendono sempre più difficile garantire livelli accettabili di servizi ai cittadini, dall'altro le norme di indirizzo europee e nazionali, anche nel settore della raccolta differenziata, indicano correttamente la necessità di raggiungere obiettivi minimi di intercettazione e riciclo di materia dai rifiuti. Questi servizi hanno evidentemente dei costi importanti che, se non compensati da adeguati corrispettivi per vendita degli imballaggi, rischiano di ricadere unicamente nelle bollette di famiglie e imprese;
   l'associazione nazionale comuni virtuosi, in collaborazione con la ESPER (Ente di studio per la pianificazione ecosostenibile dei rifiuti), ha elaborato uno specifico dossier che entra nel merito dei conti del settore e indica dieci proposte che potrebbero garantire rilevanti entrate nelle casse dei comuni;
   gli imballaggi costituiscono il 35-40 per cento in peso e il 55-60 per cento in volume della spazzatura che si produce ogni anno in Italia. Per ogni imballaggio prodotto e immesso nel mercato, il produttore versa ai consorzi un contributo ambientale che dovrebbe essere trasferito ai comuni quando l'imballaggio, passando per la raccolta differenziata, viene riconsegnato ai consorzi. Si tratta di cifre importanti, che dovrebbero essere destinate a coprire i costi di raccolta e, se ben utilizzate, contribuire concretamente a diminuire la tassazione sui rifiuti a carico dei cittadini e delle imprese;
   delle centinaia di milioni di euro all'anno che sono incassati dal sistema Conai, solo poco più di un terzo viene girato ai comuni e queste risorse spesso non entrano neppure nelle casse comunali poiché vengono in gran parte utilizzate per pagare le piattaforme private che si occupano della preselezione dei flussi di rifiuto;
   secondo gli ultimi dati disponibili, riferiti al 2011, i comuni avrebbero beneficiato di circa 297 milioni al lordo dei costi di preselezione (si stima che, al netto di tali costi, rimanga ai comuni circa la metà) a fronte del ricavo totale annuale del sistema Conai di 813 milioni di euro. I corrispettivi che i comuni ricevono rappresentano, dunque, solo una piccola quota dei costi che la raccolta differenziata degli imballaggi comporta. Nel resto d'Europa la situazione è diversa e i contributi versati dalle imprese sono molto più elevati e comprendono il rimborso dei costi di preselezione. È necessario allineare i contributi nazionali a quelli degli altri Paesi europei al fine di ottenere una gestione efficiente e sostenibile di questi servizi anche in Italia. Infatti, aumentando le quote di riciclo, si crea un mercato per le materie prime seconde. Si calcola che una raccolta differenziata efficiente e diffusa potrebbe generare almeno 200.000 nuovi posti di lavoro distribuiti capillarmente in tutto in tutto il Paese;
   le esperienze estere in materia indicano come una diversa ripartizione dei costi del sistema determini ampi miglioramenti di tutta la filiera del riciclo e benefici economici per i comuni e gli utenti del servizio; di fatto gli enti locali si trovano ad affrontare con scarsissime risorse e strumenti molto ridotti una situazione difficile, in cui non hanno la possibilità di incidere nel processo di formazione dei rifiuti da imballaggi (i comuni non possono, infatti, influenzare le modalità di consumo e progettazione degli imballaggi o rendere obbligatorio il vuoto a rendere);
   la crisi ha comportato una minore immissione al consumo di imballi ed un minor gettito per il contributo ambientale Conai: si ritiene che questo mancato introito non debba penalizzare i comuni che sostengono i costi per i servizi di raccolta e rischiano di non ricevere un corrispettivo adeguato alla spesa sostenuta (nel 2011, in media, solo un terzo dei costi delle raccolte era sostenuto dai corrispettivi Conai per un campione in cui veniva raggiunto il 35 per cento di RD mentre nei comuni dove si raggiunge il 65 per cento di RD il tasso di copertura dei costi è pari al 20 per cento circa);
   tale dato è confermato dall'Osservatorio rifiuti della provincia di Torino che ha effettuato un accurato monitoraggio dei costi di raccolta fin dal 2007, dal quale risulta che nel 2011 la quota di costi di raccolta dei soli imballaggi coperta grazie ai corrispettivi riconosciuti dal Conai risulta pari al 28,7 per cento;
   è evidente che la compensazione dei costi della RD deve essere allineata a quella degli altri paesi europei e deve provenire sia da una riduzione dei costi di struttura del sistema Conai che da un deciso aumento del contributo ambientale Conai (CAC), che deve essere commisurato in base alla effettiva riciclabilità degli imballaggi, penalizzando fortemente le frazioni perturbatrici del riciclaggio e favorendo gli imballaggi totalmente riciclabili con bassi costi ambientali, energetici ed economici;
   infatti, si sta assistendo ad un aumento della complessità nella produzione di imballaggi che determina delle criticità di gestione, dalla fase di corretta differenziazione nelle case fino a quelle successive di raccolta-selezione-riciclo. Soprattutto per quanto riguarda la plastica sono le stesse associazioni di riciclatori, come Plastic Recyclers Europe, che identificano in un marketing orientato soprattutto all'impatto estetico, a discapito della riciclabilità, una possibile minaccia al raggiungimento degli obiettivi di riciclo europei. Da qualche anno importanti quantitativi (in costante aumento) di plastiche nobili, a causa di etichette coprenti o additivi opacizzanti, vengono dirottate nella frazione del plasmix (plastiche miste) invece di andare verso un riciclo meccanico ecoefficiente;
   va sottolineato che l'articolo 11 della direttiva 2008/98/CE (Riutilizzo e riciclaggio), al paragrafo 2, fissa obiettivi di riciclo e non di raccolta differenziata e testualmente recita: «Al fine di rispettare gli obiettivi della presente direttiva e tendere verso una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse, gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire i seguenti obiettivi: a) entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici, sarà aumentata complessivamente almeno al 50 per cento in termini di peso» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno farsi parte attiva nella prevista rinegoziazione dell'accordo ANCI-CONAI e, in particolare, non ritenga di assumere le iniziative necessarie ad adeguare agli standard europei i contributi versati dalle imprese per l'immissione sul mercato degli imballaggi e i corrispettivi che i comuni ricevono per la raccolta e la riconsegna degli imballaggi ai consorzi, estendendo e riconoscendo loro i contributi per tutti i materiali plastici effettivamente riciclabili;
   se il Ministro interrogato non ritenga inoltre opportuno a questo fine assumere iniziative per assegnare ad un soggetto terzo, in grado di garantire le parti (comuni e consorzi), le verifiche sulla qualità dei materiali, aumentare l'entità dei contributi CONAI, garantire un riallineamento del CAC (ora siamo al 25 per cento circa della media europea) ed eliminare qualsiasi contributo del CONAI destinato all'incenerimento, destinando i contributi a sostegno di cicli chiusi di recupero della materia, con particolare attenzione alle frazioni plastiche residue;
   se il Ministro interrogato non ritenga inoltre necessario, per favorire una filiera efficiente del recupero della materia, mettere in atto ogni azione di competenza possibile perché sia rimodulata l'entità del contributo ambientale conai (CAC), che deve essere commisurato in base alla effettiva riciclabilità degli imballaggi, penalizzando fortemente le frazioni perturbatrici del riciclaggio e favorendo gli imballaggi totalmente riciclabili con bassi costi ambientali, energetici ed economici. (4-02290)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la regione Emilia Romagna e la Repubblica di San Marino hanno sottoscritto un accordo in data 14 novembre 2011 per la gestione dei rifiuti prodotti in territorio sammarinese destinati al recupero e allo smaltimento;
   tale accordo prevedeva tra l'altro che:
    «la Repubblica di San Marino garantisce l'adozione di obiettivi e azioni finalizzati a ridurre l'uso delle risorse e a promuovere l'applicazione della gerarchia dei rifiuti stabilita dalla legislazione europea...»; le province interessate allo smaltimento rifiuti della Repubblica di San Marino sono Rimini e Forlì-Cesena;
   il sito storicamente, destinato ad accogliere i rifiuti sammarinesi era, per ragioni di prossimità e di capacità, la discarica sita nel comune di Sogliano sul Rubicone (Rimini);
   a seguito dell'emanazione della circolare ministeriale del 6 agosto 2013 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stabilito che per poter conferire i rifiuti urbani indifferenziati in discarica fosse necessario prevedere, la stabilizzazione della frazione organica tramite pretrattamento;
   i rifiuti sammarinesi non subivano, né subiscono, alcuno dei pretrattamenti previsti dalla normativa comunitaria;
   è risultato pertanto impossibile procedere a ulteriori conferimenti alla discarica di Sogliano sul Rubicone;
   con delibera del 14 ottobre 2013 n. 1447/2013 la giunta regionale dell'Emilia Romagna ha quindi autorizzato lo smaltimento di tali rifiuti presso l'inceneritore gestito in località Ravenna da Hera spa, in attesa di adeguamento alle disposizioni comunitarie della Repubblica di San Marino;
   tale decisione è stata motivata con la necessità di rispettare l'accordo in essere con la Repubblica di San Marino –:
   se l'attuazione dell'accordo fra una regione e uno Stato estero extra-Unione europea, che dà luogo di fatto a una deroga alla disciplina europea non rischi di determinare un'infrazione delle norme comunitarie in materia di gestione dei rifiuti sul territorio italiano, qualora ritengano che nel caso in oggetto di deroga si tratti. (4-02291)


   PELUFFO e DANIELE FARINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del Comune di Pregnana Milanese (Mi) sono ubicati due capannoni industriali di proprietà della società Sanistar Srl, sottoposta a procedura fallimentare, già titolare di un'apposita autorizzazione provinciale al deposito di rifiuti sanitari speciali e pericolosi, tra cui strumentazioni per studi dentistici, solventi chimici, farmaci chemioterapici e medicinali vari;
   i capannoni e i rifiuti furono messi sotto sequestro dalla polizia provinciale nel mese di febbraio 2013;
   alla data attuale, a distanza di otto mesi dal sequestro i rifiuti sono ancora nella stessa locazione ove furono inizialmente rinvenuti e, a quanto risulta, nulla è stato ancora avviato a smaltimento;
   ciò determina una situazione di notevole disagio per la popolazione residente, soggetta alle esalazioni di tali depositi, nonché di potenziale pericolo per la salute delle persone e per l'ambiente in costanza di esalazioni e percolamenti –:
   se si intenda disporre l'intervento del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente ovvero del Comando dei carabinieri per la tutela della salute ovvero di altro organo deputato ad accedere al luogo al fine di accertarne le effettive condizioni di insalubrità e di pregiudizio per la salute pubblica. (4-02294)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa nazionale di qualche mese fa riportavano la notizia secondo la quale nonostante per il periodo 2007-2013 l'Unione europea avesse messo a disposizione 59,2 miliardi per le regioni, le province e i comuni italiani che avevano presentato un progetto coerente con gli obiettivi del fondo sociale e del fondo per lo sviluppo regionale, alla fine di maggio 2012, ne avessero utilizzato solo il 25,1 per cento del totale dell'ammontare;
   analizzando più dettagliatamente il trend degli ultimi anni, emerge altresì come alla fine del 2010, quando il programma era già partito da quattro anni, era stato impegnato solo il 10 per cento ma che a pochi mesi dalla fine del 2012 Bruxelles imponeva all'Italia di arrivare alla percentuale di 35 per cento, in quanto al di sotto di tale valore ogni singolo euro non speso dovrà essere restituito all'Unione europea;
   così come riportato dallo stesso organo di stampa, l'aspetto paradossale è che a non impegnare tali risorse sono proprio chi ne avrebbe più bisogno, in ragione del fatto che la maggior parte dei fondi europei per l'Italia, quasi tre quarti, sono destinati alle regioni del Sud, tanto che, mentre l'Emilia Romagna ne ha già usati quasi il 45 per cento, Sicilia e Campania faticano a superare il 10 per cento;
   a causa dell'attuale scarsità di risorse, anche a livello europeo, è opinione diffusa che in fase di pianificazione dei lavori per il periodo 2014-2020 l'Unione europea valuterà con attenzione i Paesi che non avranno speso tutta la loro dote, penalizzando, in una logica di efficientamento, tali Paesi i quali subiranno un taglio ai fondi disponibili;
   organi di stampa di mercoledì 23 ottobre 2013 riportano la notizia secondo la quale il Ministro per la coesione territoriale, nel corso di un convegno pubblico, avrebbe affermato come con il nuovo ciclo di programmazione comunitaria sono in ballo per il Mezzogiorno 100 miliardi tra risorse europee e nazionali fino a 2020, e che è necessario stabilire una strategia che consenta di focalizzare gli interventi solo su alcune priorità, potenziando il controllo da parte del governo centrale attraverso il lavoro della nuova Agenzia per la coesione territoriale –:
   a quanto ammontino, in ragione del fatto che il Ministro ha già determinato la somma di complessivi 100 miliardi di euro, gli impegni a favore del Sud e visto che la attuale crisi economica sta determinando gravi conseguenze anche sulle imprese e sui livelli occupazionali anche delle regioni del Nord Italia, l'importo dei fondi stanziati per le regioni del Nord. (4-02283)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CORDA, RIZZO, BASILIO, ALBERTI, ARTINI, FRUSONE e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo de «Il Sole 24 ore» apparso in data 7 ottobre 2013 si apprende della missione «promo» della portaerei italiana «Cavour» che a partire dal 12 Novembre 2013, per la durata di 6 mesi e un costo di 200mila euro al giorno, solcherà i mari dell'Africa orientale per poi circumnavigarla con l'obiettivo esplicito, come dichiarato dal Ministro Mauro di «promuovere il sistema Italia in Africa»;
   la nave farà sosta in diversi porti delle monarchie del Golfo (Abu Dhabi, Doha, Kuwait city, Manama ed altri) con l'obiettivo di promuovere e vendere il made in Italy dell'industria bellica nazionale contando sulla volontà di riarmo delle petromonarchie, volontà giustificata con il pretesto di difendersi dall'Iran;
   il viaggio della Cavour – accompagnata da altre due navi, la nuovissima fregata lanciamissili Bergamini (tipo FREMM) e la nave logistica Etna – avrà al suo seguito stand di Expo Milano 2015, di Fincantieri, di diverse aziende del Gruppo Finmeccanica, la società missilistica MBDA, l'elicotterista Agusta Westland ed altre ancora. Insomma un vero e proprio «negozio galleggiante» di sistemi d'arma che dopo i paesi del Golfo, supererà il nuovamente Hormuz spingendosi nell'Oceano Indiano per circumnavigare l'Africa con soste previste in Mozambico e in almeno altri tre Paesi di interesse per la penetrazione commerciale e militare dell'Italia –:
   se non ritenga un controsenso aver insistito per spendere tanto denaro pubblico per acquistare ed equipaggiare la portaerei Cavour, definendola «strategica per la nostra difesa nazionale» per poi privarsene per un periodo così lungo trasformandola in una piattaforma di vendita di armi verso Paesi in cima alla lista per violazione dei diritti umani e in aree, come l'Africa, già sconvolte da guerre sanguinose. (5-01288)


   BASILIO, ALBERTI, ARTINI, PAOLO BERNINI, CORDA, FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da un avviso pubblicato dall’Aviation Information Publication dell'Ente nazionale per l'assistenza al volo (Enav) si apprende delle esercitazioni nucleari che si stanno svolgendo sul territorio e nei cieli italiani;
   dal 22 ottobre 2013 alla fine del mese ad Aviano e Ghedi piloti e tecnici delle aeronautiche italiana e di alcuni Paesi Nato si addestrano per prepararsi all'evenienza di una guerra nucleare;
   Steadfast Noon (letteralmente «mezzogiorno risoluto»): è un'esercitazione di cosiddetto cross-servicing, serve cioè a verificare l'interoperabilità dei mezzi e delle procedure dei reparti aerei dotati di capacità nucleare. Le regole per la manipolazione e la gestione delle armi nucleari sono ovviamente rigorosissime e trattandosi di asset strategici che fanno ultimamente capo agli statunitensi sono sottoposte a continue verifiche sul campo;
   il gruppo del M5S della Camera dei deputati è ancora in attesa della risposta ad una articolata interrogazione – la n. 4-01188 – nella quale si chiedono lumi sulla presenza ad Aviano di una cinquantina di bombe nucleari del tipo B61-4 in caverne blindate sotterranee WS3 poste in corrispondenza dei ricoveri degli aerei che le dovrebbero usare;
   quelle di Aviano sarebbero destinate ai caccia statunitensi del 31st Fighter Wing di stanza nella base. Altre bombe sarebbero a Ghedi, in provincia di Brescia, per l'uso da parte dei Tornado italiani del 6o Stormo. Pare tuttavia – sono informazioni di stampa perché dal Governo italiano il Parlamento della Repubblica non ha ancora saputo niente – che attualmente non vi siano fisicamente ordigni in permanenza nei vault corazzati di questo aeroporto che sarebbero invece conservati per ragioni di sicurezza ad Aviano, anche se sulla base bresciana c’è comunque il personale statunitense del 704th Munss (Munitions Support Squadron) che ha la responsabilità di custodirle e di consegnarle ai piloti italiani in caso di impiego;
   la Steadfast Noon è una esercitazione che viene effettuata a rotazione nei Paesi europei che ospitano armi nucleari. L'anno scorso si erano effettuate in Germania (aeroporto di Buchel), l'anno prima a Volkel, in Olanda. E nel 2010 di nuovo ad Aviano. Alle esercitazioni partecipano anche militari turchi, ma non si ha notizia di Steadfast Noon svolte sul loro territorio in anni recenti (nella base turca di Incirkl si troverebbero bombe nucleari). Tuttavia, aerei turchi partecipano all'esercitazione nucleare di questi giorni, come dimostrano le foto pubblicate sul forum italy-spotterdtolit.forumfree.it;
   insieme alla Steadfast Noon 2013 si svolge anche un'altra esercitazione denominata Cold Igloo. Probabilmente più importante della prima. In questo caso si tratta infatti di una cosiddetta Tac-Eval, valutazione tattica della Nato. Serve a «dare i voti» ai reparti coinvolti, accertarsi se siano o meno idonei a svolgere la missione affidata loro, in questo caso a colpire con bombe nucleari obiettivi nemici;
   le basi coinvolte da queste esercitazioni sono Aviano, Ghedi e Piacenza, gli spazi aerei percorsi dai caccia sono soprattutto quelli della costa adriatica (lo scorso gennaio un F-16 statunitense partito da Aviano precipitò al largo di Rimini) e dell'Italia centrale. Superare la Tac-Eval serve per confermare o meno ai reparti l'abilitazione all'uso delle bombe nucleari;
   delle due, la Cold Igloo dunque è quasi certamente l'attività più significativa dal punto di vista politico-militare perché mira a verificare la capacità delle unità aeree coinvolte a condurre con successo la missione assegnata. Tale esercitazione conferma la permanenza dello strike nucleare tattico quale tuttora vigente e attualissima opzione militare che la Nato intende mantenere e sviluppare. Che sta anzi potenziando e ammodernando visto l'annunciato arrivo – anche qui senza alcuna comunicazione al Parlamento italiano – delle nuove bombe B61-12 la versione migliorata e potenziata di quelle attualmente in servizio, grazie a un programma di ammodernamento del valore di oltre 10 miliardi di dollari autorizzato dal Presidente Obama. Bombe che, secondo gli esperti, sarebbero state studiate per gli F-35. Anche quelli italiani –:
   se le informazioni riportate in premessa corrispondano al vero e quali siano le ragioni per le quali non sia stato ancora adeguatamente informato il Parlamento;
   come il Governo ritenga compatibile la partecipazione dell'Italia al Trattato di non proliferazione nucleare, con lo stoccaggio di bombe atomiche sul proprio territorio e la messa a disposizione del territorio e dello spazio aereo nazionale per esercitazioni studiate volutamente per portare un attacco nucleare ad una non definita potenza ostile;
   se non reputi necessario rendere edotto il Parlamento sulla presenza in Italia di armamento atomico e quali velivoli – per esempio gli F35 – sarebbero in grado di utilizzarle. (5-01289)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   ANZALDI e FREGOLENT. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in base a ricostruzioni riportate dalla stampa italiana emerge che l'Italia finanzia annualmente con circa 14 miliardi di euro il fondo cosiddetto «salva Stati», definito Esm;
   il fondo com’è noto interviene per aiutare le economie statali e le banche dei Paesi membri dell'Unione in presenza di condizioni di turbolenza dei mercati come si è verificato negli anni scorsi;
   i criteri di impiego del fondo, che ammonta a circa 700 miliardi di euro, non prevedono però interventi in favore del nostro Paese sia mediante btp sia mediante interventi in favore delle banche;
   ad essere acquistati infatti sono principalmente i titoli di Stato tedeschi;
   il nostro Paese immobilizza in un contesto di crisi 14 miliardi di euro in favore del «salva Stati» cifra che equivale all'incirca all'intero importo dell'incidenza finanziaria della legge di stabilità per il prossimo anno;
   si tratta di una situazione che merita di essere approfondita perché i fondi dei contribuenti italiani devono avere lo stesso valore di quelli degli altri contribuenti europei –:
   se intenda chiarire quali sono gli impieghi della quota di partecipazione italiana all'interno del fondo «salva Stati» e se non intenda porre la questione di cui in premessa all'attenzione delle competenti sedi europee. (3-00400)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dopo la fine della seconda guerra mondiale gli italiani dei territori istriani e dalmati, pur avendo visto riconosciuto il proprio diritto alla conservazione della proprietà nei territori ceduti dal trattato di pace del 1947, si videro costretti, per effetto di una serie di accordi bilaterali sottoscritti con la Jugoslavia e delle successive leggi emanate dall'Italia, ad affidare a quest'ultima i propri beni;
   infatti, a soli due anni dal trattato di Parigi, contravvenendo alle clausole stabilite dallo stesso, nel 1949 l'Italia sottoscrisse l'accordo di Belgrado – il primo di una lunga serie – e conseguentemente accettò di barattare le proprietà degli esuli optanti, compensandone il valore (incredibilmente svalutato) con il pesante debito derivante dai danni di riparazione per l'aggressione subita dalla Jugoslavia e contemporaneamente facendosi carico di risarcire gli aventi diritto in un non meglio definito periodo di tempo. Nel giro di pochi mesi, dunque, gli esuli vennero declassati, trasformandosi da proprietari in creditori. E, a giudizio degli interroganti, vergognosamente, chi di loro ancora vive, lo è ancora;
   in sostanza i beni degli esuli sono stati espropriati dallo Stato italiano e da questo consegnati alla Jugoslavia in pagamento dei danni di guerra, non avendo al tempo l'Italia somme liquide sufficienti a coprire il debito;
   successivamente al dissolvimento della Jugoslavia, la Croazia e la Slovenia hanno assorbito – quota parte – tutti gli impegni e i crediti dell'ex Federazione e pertanto lo status dei beni appartenuti agli esuli è rimasto praticamente invariato;
   al momento gli eredi degli esuli aspettano ancora in larga parte il giusto indennizzo –:
   quali sia ad oggi lo stato di pagamento degli indennizzi degli esuli fiumano-dalmati cosiddetti optanti. (4-02264)


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in questi mesi il gruppo Pu.ma di Tribano è stato al centro di una complessa vicenda che ha coinvolto lavoratori, proprietà, sindacati ed enti di credito ma che rischia oggi di finire con la chiusura dell'azienda e con la perdita di oltre 100 posti di lavoro;
   Pu.ma è leader mondiale nella progettazione, costruzione e manutenzione di impianti per produzioni industriali e conta su una struttura imponente per soddisfare l'esigenza del mercato russo, cinese, dell'America meridionale e dell'Africa settentrionale;
   l'impresa principale è affiancata da un gruppo di aziende satelliti Tecnopuma, Nuova Mas, Imep, De Fio Mas, Puma Steel coinvolte nel processo produttivo che sono parte integrante del tessuto economico locale;
   da febbraio 2013 l'azienda principale e le controllate hanno subito una drammatica carenza di liquidità che ha impedito il pagamento degli stipendi e dei fornitori;
   i notevoli problemi gestionali hanno spinto la proprietà a raggiungere una forte esposizione con gli istituti bancari locali;
   a queste difficoltà si è aggiunta una inchiesta a carico del titolare dell'impresa che avrebbe illecitamente distratto fondi al Gruppo per oltre due milioni di euro;
   mentre l'azienda contava su un portafoglio ordini per oltre 30 milioni di euro in un settore che per le specifiche professionalità affronta con successo la concorrenza internazionale, le scelte sbagliate della proprietà hanno prodotto perdite per quasi 14 milioni di euro;
   a nulla sono valse le molteplici manifestazioni da parte delle organizzazioni sindacali per chiedere un serio piano industriale, per salvare una realtà produttiva all'avanguardia che soffre di una gestione inadeguata a far fronte alla difficile congiuntura economica e infine per trovare investitori interessati a rilevare gli stabilimenti di Tribano;
   il 7 marzo è intervenuto un accordo tra le parti sociali circa la domanda di cassa integrazione per 90 lavoratori di cui 64 operai e 26 impiegati a cui sono seguite altre iniziative per sostenere gli occupati delle aziende satelliti e scongiurare la chiusura degli stabilimenti;
   il 15 marzo 2013 gli interroganti hanno denunciato la situazione già pesantemente compromessa e il rischio di assistere al progressivo smantellamento del gruppo Pu.ma chiedendo al Governo di intervenire per evitare la chiusura degli stabilimenti;
   oggi, dopo oltre sette mesi, l'azienda è sul punto di chiedere accesso alla cassa integrazione straordinaria –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti fin qui esposti;
   quali concrete iniziative di competenza i Ministri intendano adottare per evitare che la crisi della Pu.ma ricada sui dipendenti dell'azienda e possa trasformarsi in una crisi occupazionale che coinvolgerebbe l'intero territorio dei comuni della zona;
   se i Ministri intendano coinvolgere la regione Veneto e, in particolare, l'agenzia Veneto Sviluppo, per salvaguardare una realtà produttiva che versa da mesi in gravi difficoltà. (4-02284)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella presentazione del circuito regionale dei penitenziari sardi, nella riunione del 14 ottobre 2013 tenutasi a Cagliari, al provveditorato dell'amministrazione penitenziaria Sardegna, è stata annunciata la chiusura della casa circondariale di Iglesias;
   una chiusura inaudita decisa unilateralmente dall'amministrazione che avrà gravi ripercussioni su tutto il personale in servizio a Iglesias e sulle loro famiglie e non solo, considerato che vi è tutto un indotto economico che vi ruota attorno;
   la chiusura dell'istituto di Iglesias costituisce ad avviso dell'interrogante un vero e proprio danno economico considerato che nel resto nel Paese molti altri istituti presentano un rapporto costi/benefici decisamente più sconveniente, oltre anche ad essere fatiscenti e non rispettare le norme europee;
   risultano di fatto inesistenti criteri chiari e trasparenti da applicare a tutti gli istituti penitenziari, criteri che devono essere condivisi con le organizzazioni sindacali e non adottati unilateralmente;
   risulta dilatoria e destituita di utilità l'affermazione secondo la quale il confronto verrà effettuato a livello centrale con le organizzazioni sindacali nazionali in quanto a quel livello si possono definire, appunto, i criteri generali ma poi il confronto si deve svolgere nei luoghi dove le scelte generano le loro conseguenze;
   nell'istituto sono ospitati prevalentemente detenuti protetti, a dimostrazione che nell'ambito di un progetto complessivo (il precedente) l'istituto di Iglesias non solo è utile ma anche opportuno;
   è certamente uno dei pochi istituti sardi dove ai detenuti sono garantite condizioni di vivibilità consone ad un essere umano, come previsto Consiglio d'Europa, nonostante disfunzioni manutentive facilmente superabili;
   si è nei limiti della capienza tollerabile, i detenuti sono ubicati nelle camere di detenzione in un numero non superiore a due;
   la chiusura della casa circondariale cittadina andrà ad incidere sull'economia di una zona, quella del «Sulcis Iglesiente», già di per sè provata poiché l'indotto sicuramente risentirebbe dell'assenza di una struttura importante come il carcere;
   risulterebbe colpito il personale della ditta appaltatrice del servizio di mantenimento dei detenuti, nonché quello della ditta che gestisce la mensa di servizio ed altro;
   dopo la chiusura dell'Alcoa e di tante altre realtà ciò darebbe luogo a una vera e propria desertificazione dell'intera zona, e inoltre dopo la chiusura paventata dei tribunali di Iglesias e Carbonia verrebbe a mancare ulteriormente la presenza dello Stato;
   risulta incomprensibile perché, in regime di «spending review», di gravi crisi economiche, di carenza di posti letto per i detenuti, a fronte di sanzioni da parte del Consiglio d'Europa, e di iniziative per l'amnistia e per l'indulto l'amministrazione penitenziaria dopo aver speso più di 1.000.000 di euro per la costruzione di nuovi locali quali la caserma agenti, 2 capannoni per le lavorazioni dei detenuti, la ristrutturazione dei locali destinati agli uffici e la rimessa in opera del condotto fognario, decida di chiudere l'istituto, lasciando aperti carceri vecchi e fatiscenti invivibili non solo per i detenuti ma anche per il personale –:
   se non ritenga di dover revocare il provvedimento di chiusura del carcere di Iglesias per evidenti incongruenze gestionali, organizzative ed economiche;
   se non ritenga di dover provvedere ad un nuovo piano gestionale che preveda la salvaguardia di quelle strutture efficienti e necessarie a garantire una gestione razionale del sistema carcerario sardo. (4-02267)


   BOCCADUTRI e COSTANTINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i quotidiani nazionali hanno riportato nei giorni scorsi la notizia che quattro contenitori con intercettazioni non ancora trascritte di telefonate che riguardano il cosiddetto «processo Meta» sarebbero stati ritrovati sul traghetto che collega Reggio Calabria e Messina;
   a riferire la notizia è stato il pubblico ministero Giuseppe Lombardo, pm applicato alla direzione Distrettuale Antimafia, nel corso dell'udienza dibattimentale; in particolare, il Ros di Reggio Calabria sarebbe stato contattato dal personale delle navi traghetto, che hanno rinvenuto su un divanetto quattro plichi, fortunatamente quasi integri, relativi alle intercettazioni non ancora trascritte di questo processo. Tre dei plichi sarebbero stati totalmente integri, mentre un quarto risulterebbe essere stato aperto. Quelle intercettazioni non sarebbero ancora state trascritte nonostante l'incarico fosse stato affidato mesi e mesi fa. Si tratterebbe, addirittura, degli originali;
   il processo cosiddetto Meta riguarda alcune cosche che alla fine degli anni 80 si sarebbero alleate per potenziare la presenza della ’ndrangheta nel Nord Italia, attraverso anche un alleanza tattica con Cosa Nostra;
   il pm Giuseppe Lombardo è stato destinatario nel mese di marzo 2013 di un pacco bomba contenente 50 grammi di esplosivo accompagnati da una lettera di minaccia;
   l'esigenza di tutelare la riservatezza del materiale probatorio, unitamente alla necessità di tutelare i soggetti che portano avanti le indagini di mafia non può essere messa a repentaglio in modo così palese –:
   quali iniziative, secondo le proprie competenze, il Ministro della giustizia intenda assumere per tutelare l'integrità del materiale probatorio in processi delicati come il cosiddetto processo Meta.
(4-02277)


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 14 ottobre 2013, nel corso della presentazione del circuito regionale dei penitenziari sardi, è stata annunciata la chiusura della casa circondariale di Iglesias;
   la decisione non è stata concordata, né discussa in precedenza, con le organizzazioni sindacali, né con le istituzioni locali;
   si ha difficoltà a capire quali criteri muovano l'amministrazione penitenziaria, considerato che restano aperte strutture decisamente meno a norma e fatiscenti;
   la casa circondariale di Iglesias ospita detenuti protetti, che scontano la pena in condizioni di assoluta vivibilità, nel rispetto del dettato costituzionale, contrariamente a quanto avviene nella gran parte degli istituti del Paese;
   la stessa amministrazione penitenziaria ha speso oltre un milione di euro per locali e infrastrutture collegate alla casa circondariale, per poi deciderne la dismissione;
   in un momento di grave crisi nel Paese, la Sardegna ed in particolare il Sulcis iglesiente, pagherebbero l'ennesimo pesante dazio, con la chiusura di una struttura che genera indotto –:
   quali siano stati i criteri utilizzati dalla Amministrazione penitenziaria nello stabilire quali strutture debbano chiudere e quali restare aperte;
   se non ritenga che, considerate le favorevoli condizioni di vita dei detenuti a Iglesias, non si debba prendere quello come modello e potenziare anche nelle altre piccole strutture penitenziarie le attività di recupero e le opportunità lavorative;
   se non si ritenga necessario sentire, prima di assumere la definitiva, le istituzioni locali e le organizzazioni sindacali.
(4-02282)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COPPOLA, BONACCORSI, BRUNO BOSSIO, CATALANO e ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6-ter del decreto-legge n. 151 del 2003 prevede che per i titolari di patente rilasciata da uno Stato estero, che commettono sul territorio italiano violazioni di norme del codice della strada, è istituita presso il Centro elaborazione dati (CED) del dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una banca dati che è progressivamente alimentata con i dati anagrafici dei conducenti che hanno commesso le infrazioni, associando a ciascuno di essi gli eventuali punti di penalizzazione;
   la medesima disposizione prevede che per i soggetti che abbiano commesso nell'arco di un anno violazioni per un totale di almeno venti punti sia inibita la guida di veicoli a motore sul territorio italiano per un periodo di due anni;
   segnalazioni pervenute indicano ritardi e difficoltà nel funzionamento della banca dati prevista dall'articolo 6-ter del decreto-legge n. 151 del 2003;
   l'effettiva attuazione delle disposizioni sopra richiamate risulta rilevante per evitare fenomeni di concorrenza sleale da parte di soggetti stranieri operanti in Italia nel settore dell'autotrasporto che potrebbero trarre vantaggi da un funzionamento inefficace della banca dati –:
   quale sia lo stato di funzionamento e di aggiornamento della banca dati e, al fine di valutare tale dato, quale sia la dimensione del fenomeno delle infrazioni compiute da soggetti stranieri, comparato con quello relativo alle infrazioni compiute da cittadini italiani, registrato dalla banca dati. (5-01279)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   centinaia di imprese sarde di trasporti versano in una grave situazione economica finanziaria in seguito all'aggravarsi delle condizioni di trasporto e dei costi di produzione sempre più alti;
   si registra un aumento del costo del gasolio e dei costi di impresa sempre più rilevanti;
   si riscontrano gravi e reiterati fenomeni di pagamenti non garantiti e o ritardati dei servizi di autotrasporto da parte di pubbliche amministrazioni;
   sono sempre più estenuanti e lunghe le attese nei porti, interporti, piattaforme logistiche senza reali tutele sull'indennizzo;
   si riscontra un sempre più grave dilagare di irregolarità dei vettori stranieri e dell'abusivismo impunito;
   si rende indispensabile ottenere importanti e urgenti provvedimenti al fine di:
    a) modificare le leggi di settore (a costo zero per lo Stato) che, invece della liberalizzazione regolata, hanno prodotto la completa deregolamentazione dell'autotrasporto, molto contenzioso e un danno ai contribuenti italiani pari a 6 miliardi di euro;
    b) effettuare indispensabili immediati interventi per invertire la rotta;
    c) potenziare la continuità territoriale: occorre la revisione urgente delle tariffe per chi trasporta via mare e l'attivazione di nuove linee per il trasporto merci;
    d) garantire pagamenti in tempi certi: controllo e sanzioni severe per chi non rispetta l'obbligo di pagamento a 30 giorni delle fatture; si garantirebbero così liquidità alle imprese, un diverso rapporto con il sistema degli istituti bancari e la selezione funzionale della committenza;
    e) assicurare costi minimi di esercizio: occorre una efficace semplificazione normativa per garantire l'attuazione del regime dei costi minimi di esercizio e il controllo sui committenti;
    f) garantire indennizzi per le attese al carico/scarico: occorre l'obbligo di tracciare le attese nei porti, interporti, piattaforme logistiche ed è necessaria la conseguente semplificazione delle regole e delle procedure di richiesta degli indennizzi per le attese –:
   se non ritenga di dover immediatamente predisporre un'iniziativa urgente al fine di prevedere l'adozione di tutti quegli interventi richiamati nella premessa per dare risposte compiute e non aleatorie;
   se non ritenga di dover assumere iniziative adeguate anche al riequilibrio insulare del trasporto al fine di compensare i gap insulari che si registrano nel trasporto da e per la Sardegna. (5-01282)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo i reiterati annunci sulle modifiche alle convenzioni con la Tirrenia per la continuità territoriale da e per la Sardegna niente è stato fatto;
   l'impegno reiterato ma sistematicamente disatteso ad abbassare le tariffe merci e passeggeri da e per la Sardegna costituisce l'ennesimo evidente disimpegno del Governo su questa materia;
   il gravissimo contenuto discriminatorio delle convenzioni che prevedono su diverse rotte un costo superiore dei biglietti per i residenti costituisce un atto di gravità inaudita che mina i diritti universali e costituzionali dei sardi;
   la gravissima situazione dei trasporti marittimi in Sardegna con ripercussioni devastanti sul settore dei trasporti terrestri sta provocando un danno senza precedenti all'economia della Sardegna;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato nella sua adunanza dell'11 giugno 2013 relativamente al cartello costituitosi sul trasporto marittimo nelle rotte da e per la Sardegna ha disposto quanto segue:
    a) relativamente alla gravità dell'infrazione, nel richiamare le considerazioni già svolte, si rileva che l'infrazione in esame, in quanto consistita nell'attuazione di una pratica concordata finalizzata ad aumenti del prezzo dei servizi di trasporto via traghetto da e per la Sardegna nel 2011, si connota come una violazione molto grave ai sensi della disciplina antitrust;
    b) l'intesa ha coinvolto le principali rotte di collegamento e in particolare la Civitavecchia-Olbia, la Genova-Olbia e la Genova-Porto Torres ed ha prodotto rilevanti incrementi dei prezzi, che si sono tradotti in un pregiudizio sia alla collettività dei consumatori sia, in particolare, per quanto riguarda la Sardegna, in una riduzione del flusso turistico e in un aumento del costo di trasporto delle merci;
    c) l'intesa è stata posta in essere da imprese che complessivamente detengono quote di mercato molto elevate: tra il (35-40 per cento) della rotta Civitavecchia Olbia e l’(85-90 per cento) della rotta Genova-Olbia nella stagione estiva 2011;
    d) tutto ciò considerato, alla luce degli orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende, la percentuale dell'importo base sanzionatorio va collocata su un livello significativo della forcella da questi prevista, commisurandola al 12 per cento;
    e) per calcolare l'importo base della sanzione si è preso a riferimento il valore delle vendite dei servizi cui l'infrazione si riferisce, ossia il fatturato realizzato dalle parti sulle rotte Civitavecchia-Olbia, la Genova-Olbia e la Genova-Porto Torres, nell'ultimo anno intero in cui è avvenuta l'infrazione, e cioè il 2011. Nel caso di specie la società Marinvest, in quanto holding di partecipazioni, non risulta avere un fatturato specifico sui mercati interessati. Parimenti, la società SNAV ha affermato di non aver realizzato nel 2011 alcun fatturato per servizi di trasporto marittimo passeggeri sulla rotta Civitavecchia-Olbia, in quanto a maggio dello stesso anno ha ceduto tale attività a GNV;
    f) con riguardo alla durata dell'infrazione, per Moby, GNV e Marinvest la partecipazione all'intesa deve essere imputata per il periodo compreso tra settembre 2010 e lo stesso mese del 2011. Quanto a SNAV occorre osservare che la società ha preso parte all'intesa da settembre 2010 fino a maggio 2011, avendo in tale data ceduto il relativo ramo d'azienda; il periodo di partecipazione all'infrazione è superiore a 6 mesi e, pertanto, ai fini del calcolo della sanzione, esso è considerato equivalente ad un intero anno;
    g) in considerazione della gravità e della durata dell'infrazione, per Moby e GNV gli importi base sanzionatori risultano rispettivamente pari a 7.803.300 euro e 3.386.850 euro;
    h) al fine di garantire una parità di trattamento di SNAV e Marinvest rispetto a Moby e GNV, per il calcolo delle sanzioni delle prime due si prenderà a riferimento l'incidenza degli importi base calcolati per Moby e GNV sui fatturati complessivi delle stesse società. Considerato che tali importi corrispondono rispettivamente al 2,7 per cento e all'1 per cento circa dei fatturati totali 2011 di Moby e GNV, le sanzioni di SNAV e Marinvest vengono proporzionate in un ottica di favor alla minore di tali due percentuali;
    i) con riguardo a Moby e GNV si osserva che non ricorrono né circostanze aggravanti né attenuanti. Con riferimento a SNAV, si deve invece valutare che la sua partecipazione all'intesa è stata limitata ad una sola rotta, Civitavecchia-Olbia, onde l'importo base della sanzione viene riproporzionato in ragione del peso di tale rotta sul complesso dei mercati interessati, e quindi ridotto del 60 per cento;
    l) infine, in ragione del fatto che dai dati di bilancio disponibili risultano perdite che interessano tutte le società, si ritiene di applicare una riduzione all'importo base della sanzione nella misura del 30 per cento;
   l'Autorità garante ha così disposto:
    a) che le società Moby spa, SNAV spa, Grandi Navi Veloci spa e Marinvest srl hanno posto in essere un'intesa finalizzata all'aumento dei prezzi per i servizi di trasporto passeggeri nella stagione estiva 2011 sulle rotte Civitavecchia-Olbia, Genova-Olbia e Genova-Porto Torres;
    b) che le Moby spa, SNAV spa, Grandi Navi Veloci spa e Marinvest srl si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell'infrazione accertata;
    c) che, in ragione della gravità e durata delle infrazioni di cui al punto a) alle società Moby spa, SNAV spa, Grandi Navi Veloci spa e Marinvest srl vengano applicate sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente pari a:
     per Moby 5.462.310 euro;
     per GNV 2.370.795 euro;
     per SNAV 231.765 euro;
     per Marinvest 42.575 euro;
   a tale decisione deve immediatamente seguire una puntuale corrispondenza con l'applicazione delle tariffe antecedenti al 2010 e una politica tariffaria in grado di ripristinare la legalità nel trasporto marittimo da e per la Sardegna, passeggeri e merci;
   la società Cin Tirrenia ha aumentato oltremodo tutte le proprie tariffe sia per quanto riguarda i passeggeri che le merci con incrementi che raggiungono anche il 100 per cento nell'ultimo anno;
   tali aumenti costituiscono un reiterato tentativo di speculazione ai danni della Sardegna e dei sardi considerato che negli ultimi anni sono stati persi milioni di passeggeri a favore di altre destinazioni proprio per il grave incremento del costo del trasporto marittimo –:
   se non ritenga di dover revocare in base all'articolo 15 della convenzione la stessa convenzione in quanto secondo l'interrogante viola i principi e diritti fondamentali del servizio pubblico, della mobilità e del pari trattamento tra cittadini e imprese dello stesso Stato;
   se non ritenga di dover individuare e adottare le procedure amministrative e legislative per introdurre anche sulle rotte marittime l'onere del servizio pubblico;
   se non ritenga di dover individuare e porre in essere le più efficaci e urgenti azioni perché siano ripristinati i livelli tariffari antecedenti al 2010 a partire dalla decisione dell'Autorità garante della concorrenza;
   se non ritenga di dover individuare e attuare percorsi amministrativi o legislativi per consentire la restituzione ai passeggeri che hanno dovuto subire gli aumenti illegittimi e arbitrari dell'ammontare della sanzione secondo un riparto pro quota degli oltre 8 milioni di euro che lo Stato dovrebbe riscuotere per la violazione delle norme sulla concorrenza;
   se non ritenga di dover individuare ed attivare, concordandola con la Commissione competente, un'immediata revisione della convenzione dello Stato con la CIN Tirrenia considerato che, nonostante il contributo annuale di 72 milioni di euro la compagnia di navigazione, anziché calmierare il mercato è protesa ad un costante aumento ingiustificato del costo del trasporto marittimo;
   se non ritenga di dover intervenire verso la Cin Tirrenia per revocare tutti gli aumenti intervenuti negli ultimi sei mesi;
   se non ritenga di dover individuare e mettere in atto un'azione di costante monitoraggio del livello tariffario applicato dalle compagnie di navigazione da e per la Sardegna. (5-01285)


   TARICCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione n. 187 in data 13 settembre 2011, e atti successivi la giunta provinciale di Cuneo disponeva per la dismissione ai Comuni di Bagnolo Piemonte, Barolo, Carrù, Casteldelfino, Cavallerleone, Ceva, Magliano Alpi, Montà, Montanera, Racconigi, Rossana, Sale Langhe, Venasca, Villafalletto di tratti di viabilità per quasi 40 Km;
   a detta deliberazione seguiva opposizione dei comuni interessati ai sensi di legge sia per la ritenuta sussistenza, nell'atto, di diversi vizi, inerenti gli aspetti motivazionali e procedimentali, sia per la situazione di evidente dissesto e pericolosità di molte tratte in dismissione;
   i comuni evidenziavano inoltre che le norme regionali piemontesi prevedevano una approfondita fase di concertazione tra gli enti interessati, che nel caso concreto non era stata attuata;
   la provincia di Cuneo rendeva evidente nei suoi comportamenti la assoluta mancanza di volontà di raggiungere intese istituzionali ovvero di voler riconsiderare le proprie posizioni;
   la regione Piemonte, direzione trasporti, settore viabilità e sicurezza stradale, nel gennaio 2013, evidenziava ai comuni interessati che, in base alla legge regionale essendo trascorso il termine assegnato per addivenire a intese tra gli enti, e non essendo pervenute da parte degli stessi notizie in merito, si sarebbe proceduto da parte del settore secondo le modalità ed i tempi previsti dalla legge regionale n. 86 del 1996;
   sulla base delle denunce dei Comuni interessati risulterebbe evidente la non idoneità dei tronchi stradali oggetto di dismissione, per rilevante necessità di interventi di adeguamento, mentre invece risulta del tutto evidente che i beni oggetto di passaggio di competenza, dovrebbero essere idonei all'uso;
   il 28 febbraio 2013 la regione Piemonte pubblicava il decreto di classificazione;
   con deliberazione del Consiglio provinciale n. 43 in data 27 settembre 2013, la Provincia di Cuneo trasferiva al patrimonio del Comune il demanio stradale in questione e conseguentemente la Provincia di Cuneo convocava i comuni interessati per la consegna dei tratti stradali;
   ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 – Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada;
   «4. Per le strade non statali, i decreti di classificazione amministrativa relativi a strade esistenti e di nuova costruzione di interesse regionale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, articolo 87 e dell'articolo 2, comma 5, del codice, sono emanati dagli organi regionali competenti. Il Presidente della Regione procede alla trasmissione del decreto di classificazione entro un mese dalla pubblicazione nel Bollettino regionale al Ministero dei lavori pubblici – Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale, che provvede all'aggiornamento dell'archivio nazionale di cui all'articolo 226 del codice. L'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale può formulare osservazioni, previo parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici;
   5. La classificazione amministrativa delle strade provinciali, esistenti e di nuova costruzione, è effettuata dagli organi regionali competenti. Viene rispettata la ulteriore procedura prevista dal comma 4.
   6. La classificazione amministrativa delle strade comunali, esistenti e di nuova costruzione, è effettuata dagli organi regionali competenti. Viene rispettata la ulteriore procedura prevista dal comma 4» –:
   se il Ministro interrogato abbia ricevuto il decreto di classificazione e abbia formulato osservazioni ai sensi del comma 4 dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 (5-01290)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il signor Virgilio Caredda, responsabile regionale dell'associazione Acondroplasia – Insieme per Crescere e padre di una bambina acondroplasica, ha sottoposto all'attenzione dell'interrogante la gravissima discriminazione messa in atto dalla società Tirrenia in relazione ai costi tariffari per portatori di handicap;
   in particolar modo il responsabile regionale dell'associazione segnala l'inaudita maggiorazione del prezzo del biglietto della cabina riservata ai soggetti portatori di handicap rispetto alle altre cabine per «normodotati» della compagnia di navigazione Tirrenia;
   a conferma di quanto denunciato il responsabile dell'associazione fornisce copia di diverse prenotazioni da cui risulta, per esempio, che in data 30 settembre 2013 sono stati esitati preventivi che prevedevano per tre passeggeri residenti un costo andata e ritorno di 545,40, se tra i tre si calcola un passeggero «diversamente abile» il costo sale a 602,97 con una maggiorazione per il portatore di handicap di 57 euro –:
   se il Governo non ritenga di dover assumere con somma urgenza ogni iniziativa di competenza per cancellare questa gravissima discriminazione che sia sul piano economico che morale costituisce una vera e propria offesa a quei tanti soggetti diversamente abili costretti a subire queste gravissime negligenze;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per eliminare tutte queste aberranti situazioni che umiliano malati e famiglie oltre al danno economico a cui si devono sottoporre. (4-02271)


   DONATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si attende da tempo lo sblocco del progetto del corridoio autostradale dorsale E55 Orte-Mestre, alla cui realizzazione sono legate importanti opportunità di sviluppo dell'economia nazionale e la soluzione dell'annoso problema della E45 (che si trova in uno stato sempre più degradato e con una manutenzione assolutamente inadeguata, in parte tenuta in sospeso proprio in attesa del nuovo corridoio autostradale), come più volte sollecitato al Governo da diversi livelli istituzionali;
   agli inizi del mese di ottobre 2013 si è aperta una vera e propria voragine nel tratto aretino della E45, nei pressi del comune di Pieve Santo Stefano, e l'episodio è stato oggetto di un esposto in procura e di una vasta eco mediatica sul territorio;
   l'episodio appena ricordato è soltanto l'ultimo di una serie interminabile di problemi che rendono urgente un intervento di riqualificazione, in attesa del completamento del corridoio autostradale Orte-Mestre –:
   quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché si giunga urgentemente alla riqualificazione della E45 Cesena-Orte, arteria fondamentale per il collegamento nord-sud del Paese.
(4-02276)


   SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il raddoppio ferroviario della tratta Napoli – Bari e la trasformazione della stessa in una linea ad alta capacità è un'opera strategica per l'Italia ed è una grande opportunità di sviluppo per il Sud del Paese;
   nell'ambito del procedimento avviato per la costruzione di questa importante infrastruttura, in data 12 agosto 2009, con nota prot. n. 14059, la ITALFER SpA, in qualità di soggetto tecnico incaricato da Rete Ferroviaria Italiana SpA (RFI SpA) trasmise copia del progetto preliminare dell'intervento per il «Raddoppio tratta Cancello - Benevento – 1° Lotto Funzionale Cancello Frasso Telesino e variante alla linea storica Roma - Napoli via Cassino nel Comune di Maddaloni» al comune di Sant'Agata de’ Goti, nella provincia di Benevento, per la tratta di competenza;
   la suddetta opera, redatta in conformità alle disposizioni di cui all'articolo 156 del decreto legislativo n. 163 del 2006, rientra tra quelle comprese nell'elenco di cui all'allegato infrastrutture al Documento di programmazione economica - finanziaria (DPEF) per gli anni 2010-2013, approvato dal CIPE con delibera 15 luglio 2009, che integra l'elenco degli interventi strategici di cui alla Delibera CIPE 21 dicembre 2001 n. 121;
   in data 8 ottobre 2009, con nota prot. n. 16758, il comune di Sant'Agata de’ Goti, ai sensi dell'articolo 170 comma 2 del decreto legislativo n. 163 del 2006, rappresentò alla società ITALFER SpA che l'intervento proposto ricadeva in zona «E8» (zona omogenea agricola semplice) del vigente piano regolatore generale, approvato con D.P.A.P. n. 13339 del 25 maggio 1994, in zona P.A.F. (zona di protezione del paesaggio agricolo di fondovalle), in zona R.U.A (zona di restauro paesistico ambientale e di recupero urbanistico edilizio) ed in zona C.A.F. (zona di conservazione del paesaggio agricolo di declivio e fondovalle) del vigente Piano paesistico territoriale approvato con decreto ministeriale del 30 giugno 1996;
   il comune ravvisò inoltre che lo stesso intervento, per alcuni tratti, non risultava rispondente al tracciato di previsione del vigente piano regolatore generale e che i vincoli preordinati all'esproprio erano, da tempo, decaduti;
   in data 2 marzo 2012 la regione Campania, con propria nota prot. n. 165506 pervenuta a mezzo fax ed acquisita al prot. n. 4436 il 5 marzo 2012, invitava il comune di Sant'Agata de’ Goti ad esprimersi sul progetto in epigrafe entro il termine dell'8 marzo 2012, precisando, al contempo, che si sarebbe pronunciata positivamente sulla localizzazione dell'intervento;
   con delibera di giunta comunale n. 54 del 7 marzo 2012 l'amministrazione comunale di Sant'Agata de’ Goti esprimeva parare negativo sull'attuale localizzazione del tracciato di cui al progetto preliminare ad oggetto: «Raddoppio tratta Cancello - Benevento – 1° Lotto Funzionale Cancello Frasso Telesino e variante alla linea storica Roma - Napoli via Cassino nel Comune di Maddaloni» rilevando che il localizzando tracciato, così come progettato, poiché sviluppato in gran parte su viadotti, penalizza e danneggia ulteriormente una zona già fortemente interessata da infrastrutture di trasporto, quali ad esempio l'attuale linea ferroviaria, la strada provinciale 265 e la strada a scorrimento veloce Fondo Valle Isclero, con pregiudizio significativo ai danni della comunità e delle condizioni di vivibilità della zona;
   nella stessa occasione si rilevava, inoltre, come l'opera interessi una zona di alto valore paesaggistico su cui determinerebbe un grave impatto territoriale;
   l'amministrazione chiedeva dunque alla giunta regionale della Campania di valutare l'opportunità di spostare il raddoppio ferroviario lungo il tracciato della linea esistente;
   nell'incontro istituzionale con i comuni interessati per il rilascio dei pareri sul progetto preliminare relativi al raddoppio ferroviario Napoli - Bari tenutosi il 17 gennaio 2013 a Roma presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in particolare presso la V sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la delegazione del comune di Sant'Agata de’ Goti composta dal sindaco Valentino e dall'assessore Montella esprimeva parere negativo al progetto preliminare per le motivazioni di cui sopra e chiedeva ad R.F.I. di aprire un tavolo programmatico con l'ente;
   con delibera n. 35 dell'8 febbraio 2013 la giunta regionale della Campania, a modifica della delibera 103 del 2012 del 13 marzo 2012, esprimeva il proprio consenso al progetto preliminare per il raddoppio ferroviario della Napoli - Bari così come presentato da R.F.I. dando atto, in delibera, del parere negativo espresso dal comune di S. Agata de’ Goti «non essendo stato mai reso disponibile lo studio comparativo tra il tracciato della linea storica ed il progetto preliminare del 2009»;
   il progetto in oggetto, nel territorio comunale di Sant'Agata de’ Goti (Benevento), riporta un tracciato tutto nuovo rispetto a quello esistente e in servizio;
   nessuna motivazione e analisi comparativa è stata fatta a supporto della scelta operata, mentre vi sono ottimi e irrinunciabili motivi per esprimere, dal punto di vista del Governo del territorio, un parere altamente negativo poiché il nuovo tracciato si accumula, come barriera territoriale, ad altre già presenti in loco e costituite dai confini del territorio di ben quattro comuni, dalla Ferrovia in servizio, dalla strada provinciale (ex strada statale) 265 e dalla superstrada di livello regionale fondo Valle Isclero;
   inoltre la posizione prefigurata dal progetto, a ridosso delle frazioni Cantinelle e Saiano del comune di Sant'Agata de’ Goti, sterilizzerebbe tale parte di territorio, che, per sopravvivere, ha necessità dello spazio esistente tra la strada provinciale 265 e la superstrada Fondo Valle Isclero;
   la necessità dello spazio vitale è dettata dalle attività esistenti in loco, come quelle legate alla coltivazione di un prodotto tipico di grandissima qualità quale la mela annurca;
   anche dal punto di vista urbanistico-territoriale vi sono notevoli debolezze e fragilità dovute alla particolarità del tessuto urbanistico e dell'insediamento umano delle zone interessate;
   il territorio delle frazioni Cantinelle e Saiano del comune di Sant'Agata de’ Goti si è formato, nella sua componente insediativa, proprio a ridosso delle vie di comunicazione che sono d'accesso alla valle Telesina, ed ha trovato un suo equilibrio dopo la costruzione della prima Ferrovia, avvenuta 150 anni addietro, motivo per cui non può essere desertificato per disattenzione di chi ha l'attribuzione di curarlo, tutelarlo e svilupparlo;
   far diventare le comunità di Cantinelle e Saiano un «ramo secco» del territorio comunale avrebbe bisogno di fortissime motivazioni e comunque di altrettanti fortissimi contrappesi di interventi, sia per ciò che riguarda la bonifica del tracciato esistente che accorgimenti del nuovo tracciato;
   il comune, per attribuzioni di leggi nazionali e regionali in materia di governo del territorio e urbanistica, ha la necessità ed il dovere di essere coinvolto in modo costruttivo al procedimento di formazione di questa nuova opera per gli aspetti economici e sociali rilevanti che essa comporta –:
   per quale motivo il comune di Sant'Agata de’ Goti non sia stato mai coinvolto in modo diretto da RFI al procedimento di formazione dell'opera di raddoppio della ferrovia Napoli - Bari relativamente alla tratta Cancello - Frasso Telesino ricadente sul proprio territorio;
   se sia possibile evitare la realizzazione di un nuovo viadotto da costruirsi nel già esiguo spazio esistente tra il tracciato della vecchia rete ferroviaria, la SP 265 e la strada a scorrimento veloce regionale Fondo Valle Isclero, come da progetto preliminare;
   se sia realizzabile l'ipotesi di costruire il viadotto per il raddoppio della linea ferroviaria Napoli – Bari in aderenza o in stretta prossimità a quello, già esistente, della strada a scorrimento veloce Fondo Valle Isclero;
   se il Ministro interrogato possa garantire che la bonifica del vecchio tracciato ferroviario, una volta dismesso, sia posta totalmente a carico del soggetto attuatore del progetto di raddoppio ferroviario della tratta Napoli-Bari, al fine di poter restituire alla popolazione residente, senza oneri per il comune, spazi per lo sviluppo delle attività agricole e/o per opere legate alla socialità. (4-02279)


   DI VITA, COZZOLINO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, GRILLO, DIENI, CECCONI, DALL'OSSO e BARONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 9 gennaio 1989, n. 13, ha dettato disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati;
   l'articolo 1, comma 2, disponeva che, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, il Ministro dei lavori pubblici fissasse con proprio decreto le prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata;
   in attuazione dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 13 del 1989, è stato emanato il decreto ministeriale dei lavori pubblici n. 236 del 14 giugno 1989 recante «Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche»;
   l'articolo 12 di tale decreto prevedeva l'aggiornamento e la modifica delle prescrizioni tecniche attraverso l'istituzione, con apposito decreto interministeriale, di una Commissione permanente;
   la citata Commissione è stata ricostituita con decreto n. B3/1/792 del 15 ottobre 2004 ed ha concluso i propri lavori il 26 luglio 2006 con una relazione e l'approvazione di uno schema di regolamento per l'eliminazione delle barriere architettoniche che ha poi trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'approvazione;
   secondo quanto segnalato dal rappresentante del Governo pro tempore nella seduta dell'VIII Commissione del 16 ottobre 2012, la Commissione, «avendo ultimato i propri compiti, è stata di recente soppressa in attuazione di quanto prescritto dall'articolo 12, comma 20, del decreto-legge 95 del 2012», che ha previsto il trasferimento delle attività svolte dagli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga, ai competenti uffici delle amministrazioni stesse –:
   se risultino agli atti quali siano i motivi per cui, dal 1989 ad oggi, non è stato portato a termine il procedimento di rivisitazione complessiva del quadro normativo per pervenire alla predisposizione di un testo unico in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, tenendo anche conto del lavoro a suo tempo svolto dalla commissione ministeriale;
   se risultano agli atti quali siano le ragioni per cui dal 1989 ad oggi, nonostante lo studio compiuto dalla suddetta commissione permanente, il Ministero non abbia provveduto all'approvazione di un regolamento ad hoc deputato alla eliminazione delle barriere architettoniche, come peraltro prescritto all'articolo 1, comma 2, della citata legge n. 13 del 1989;
   quale sia l’iter dei lavori compiuti dalla Commissione di studio permanente, da quando è stata costituita fino ad oggi, nonché quali siano i risultati concreti eventualmente prodotti derivanti dai lavori della stessa. (4-02293)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del decesso del noto esponente nazifascista Priebke, per motivi di ordine pubblico la cerimonia funebre, è stata spostata da Roma, città nella quale aveva la residenza e dove scontava gli arresti domiciliari a seguito del processo in cui veniva condannato per i crimini commessi legati alla strage delle Fosse Ardeatine, ad Albano, località nei pressi della capitale. La decisione del prefetto di non dare luogo a nessuna cerimonia funebre nella città di Roma è stata giustificata da motivi di ordine pubblico, tuttavia non ha tenuto conto dell'ordinanza del primo cittadino di Albano, revocata dallo stesso prefetto, che vietava le esequie dell'ex SS;
   questo evento ha generato non solo uno scontro istituzionale con la municipalità di Albano Laziale, che si è vista esautorata dei propri poteri, ma ha messo a repentaglio l'ordine e la sicurezza pubblica, degli abitanti della comunità di Albano; così come riportato dai maggiori organi di stampa non si è riusciti ad impedire che avvenissero scontri tra gruppi di neonazisti e i cittadini andati a dimostrare il proprio dissenso verso la decisione prefettizia di tenere le esequie nella cittadina medaglia d'argento per la resistenza;
   il prefetto in un lancio di stampa, riportato dall'Agenzia stampa, Agi, in data 16 ottobre, ha pubblicamente dichiarato (AGI) – Roma, 16 ottobre – «I morti per me sono tutti uguali. Non ho informato il primo cittadino perché volevo riservatezza». Lo dice in una intervista alla Repubblica il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, spiegando i motivi che lo hanno indotto ad autorizzare le esequie dell'ex ufficiale delle SS ad Albano Laziale, cittadina alle porte di Roma. «I fatti sono semplici. Mi trovavo di fronte ad una salma e alla legittima richiesta di una famiglia di esequie religiose. Che ho autorizzato in una struttura che aveva dato la sua disponibilità in forma privata. Potevo forse negare una benedizione cristiana ? I morti sono tutti uguali quali che siano i crimini efferati di cui si sono macchiati da vivi». Rispondendo ad una domanda se le esequie potevano essere celebrate direttamente al Gemelli, Pecoraro ha detto che «la struttura non era disponibile». E sul mancato avvertimento al sindaco di Albano, il prefetto ha detto di non voler «violare la riservatezza che doveva avere la cerimonia, contribuendo in questo modo a creare un clima che altri hanno creato. Non volevo metterlo in difficoltà. Il diritto alle esequie in una struttura privata prevaleva su qualsiasi invocato diritto. Era prevedibile che la notizia sarebbe filtrata — ha concluso — dovevo garantire solo l'esercizio di un legittimo diritto di famiglia e insieme impedire che una funzione privata diventasse un'altra cosa come ho fatto negando l'ingresso a chi intendeva trasformarla in altro» (AGI) –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati;
   se non reputi, che in base a tale decisione ci sia stato enorme spreco di uomini e mezzi pubblici per mantenere l'ordine pubblico;
   se non reputi che la non concertazione con il primo cittadino, circa la decisione di svolgere le esequie ad Albano, sminuisca le funzioni del sindaco come ufficiale del Governo, disciplinate dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 267 del 2000 in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, che specifica come il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e previa comunicazione al prefetto, provvedimenti contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. (3-00401)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   risultano inderogabili misure per il potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nella regione Sardegna;
   è fondamentale assicurare piena continuità ed efficacia all'espletamento dei compiti istituzionali dei vigili del fuoco in Sardegna attraverso la stabilizzazione del personale volontario di cui agli articoli 6, 8 e 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, che risulti iscritto da almeno due anni negli appositi elenchi di cui al suddetto articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, ed abbia effettuato non meno di 120 giorni di servizio nel quadriennio 2008-2011 e senza limiti d'età;
   il personale di cui si chiede la stabilizzazione ha, infatti, maturato una notevole esperienza nel settore intervenendo in situazioni di grave difficoltà a sostegno dei cittadini sardi al fine di salvaguardare l'incolumità delle persone e l'integrità dei beni assicurando adeguati interventi per i quali sono richiesti professionalità anche ad alto contenuto specialistico;
   è necessario, quindi, rafforzare i livelli di efficienza e di efficacia dell'attività svolta dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco stabilizzando il personale volontario che si è distinto in operazioni difficili contribuendo alla tutela dei cittadini del nostro Paese –:
   se il Governo non intenda con adeguate iniziative normative stabilizzare il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di cui agli articoli 6, 8 e 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, che risulti iscritto da almeno due anni negli appositi elenchi di cui al citato articolo 6 ed abbia effettuato non meno di 120 giorni di servizio nel quadriennio 2008-20011 senza limiti di età. (5-01281)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Monza e della Brianza è stata istituita con legge n. 146 del 2004 dell'11 giugno 2004, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 138 del 15 giugno 2004 con il titolo «Istituzione della provincia di Monza e della Brianza»;
   tale provincia è composta da 55 comuni e si estende su una superficie di 405,49 chilometri quadrati; la popolazione residente è di circa 854.000 abitanti;
   questa provincia è tra le più densamente popolate del Paese ed in essa operano migliaia di grandi, medie e piccole industrie;
   a quasi 10 anni dall'istituzione, nonostante ripetuti solleciti da parte delle amministrazioni del territorio, non è ancora stato costituito il comando provinciale dei vigili del fuoco;
   infatti, ad oggi, la provincia di Monza e della Brianza dipende ancora dal comando provinciale dei vigili del fuoco di Milano –:
   perché non sia ancora stato istituito il comando provinciale dei vigili del fuoco di Monza e della Brianza;
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere affinché si operi celermente per colmare questa importante mancanza.
(4-02265)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in numerosi Paesi del mondo, e specialmente in quelli che fanno parte dell'arco che si estende dal Maghreb al Bangladesh, è pericolosamente diffusa la pratica di infliggere gravissime offese alla persona attraverso l'impiego dell'acido solforico o dell'acido muriatico;
   della pratica sono vittime specialmente, ma non esclusivamente, le donne che, a causa di queste barbare aggressioni, finiscono per soffrire un irreparabile danno estetico, con conseguente pregiudizio delle proprie possibilità lavorative e della capacità di soddisfare le legittime aspirazioni ad una vita affettiva e sentimentale completa;
   il fenomeno, veicolato dai flussi migratori diretti verso il nostro continente, sta iniziando a diffondersi anche in Italia –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito ai fatti descritti in premessa e quali iniziative si ritenga possibile assumere per contenere la minaccia rappresentata dalle aggressioni condotte con acidi. (4-02266)


   CORDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo solamente un anno di servizio alla cittadinanza è stata annunciata la chiusura del distaccamento dei vigili del fuoco nella cittadina sarda di Mandas;
   il territorio coperto dal distaccamento in questione, risulta oggi totalmente scoperto da un pronto intervento dei mezzi di soccorso che abbiano tempi di risposta adeguata, infatti questo territorio viene servito attualmente dal distaccamento vigili del fuoco Sanluri, che intervenendo non riesce a rientrare nei tempi di percorrenza dettati dalla normativa vigente riguardante il soccorso tecnico urgente;
   il distaccamento di Mandas in un anno di attività ha effettuato ben 450 interventi, dimostrando la sua indiscutibile utilità per quel territorio;
   la decisione di chiudere il distaccamento di Mandas appare ancora più irrazionale alla luce di una estate in cui la Sardegna è stata oggetto di violenti ed estesi incendi che hanno mandato in fumo parte consistente del patrimonio boschivo –:
   se il Governo non reputi opportuno riconsiderare la decisione di chiudere il distaccamento di Mandas anche alla luce delle sollecitazioni in tal senso espresse dalla comunità locale e dagli enti territoriali coinvolti. (4-02278)


   LACQUANITI, FRANCO BORDO, MATARRELLI, GIUSEPPE GUERINI, SCUVERA, MALPEZZI, MAURI, MARANTELLI, COMINELLI, RAMPI, LORENZO GUERINI, SANGA, PETRAROLI, PESCO, BASILIO, ALBERTI, CASO, DE ROSA, MANLIO DI STEFANO, CATALANO, DE LORENZIS, SENALDI, FRAGOMELI, SCALFAROTTO, CRIPPA, PRODANI e PELUFFO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è di qualche giorno fa la chiusura del presidio della direzione investigativa antimafia dislocato presso l'aeroporto di Malpensa, scalo fra i più importanti d'Europa e purtroppo anche fra quelli maggiormente interessati dal traffico internazionale di stupefacenti. Secondo il rapporto del Ministro all'interno pro tempore Maroni il 60 per cento del traffico di stupefacenti è legato allo scalo di Malpensa;
   si tratta di una decisione, a giudizio degli interroganti, piuttosto incomprensibile, contraria alla necessità di dover implementare la presenza della direzione investigativa antimafia sul territorio lombardo, vista l'importanza strategica del sito e della presenza presso lo scalo aeroportuale di Malpensa di presidi di tutte le forze di polizia;
   secondo le dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa dalle organizzazioni sindacali Silp-Cgil la chiusura del nucleo della direzione investigativa antimafia dell'aeroporto milanese di Malpensa, motivata da ragioni di ottimizzazione delle risorse, è una scelta grave e sbagliata. Come afferma in una nota all'Ansa del 28 aprile 2013 il segretario generale Silp-Cgil, Daniele Tissone «decidere di sopprimere un presidio indispensabile per un riscontro diretto di così delicate attività info-investigative, oltre a suscitare la nostra assoluta contrarietà, comunica un preoccupante segnale che di certo non incoraggia la lotta contro la criminalità organizzata»;
   anche in una recente mozione approvata all'unanimità al consiglio regionale della Lombardia, con primo firmatario il consigliere regionale del PD Gian Antonio Girelli e sottoscritta da tutti i componenti della commissione consiliare antimafia, si esprime grande preoccupazione per la chiusura del presidio del distretto investigativo antimafia (Dia) all'aeroporto di Malpensa e si sollecita un confronto con i Ministeri interessati per far sì che il Governo revochi prontamente la decisione, anche in vista dell'appuntamento con Expo 2015;
   la chiusura della direzione investigativa antimafia di Malpensa appare anche in contrasto con le dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta in occasione della sua visita a Milano del 20 maggio 2013, nella quale ha sostenuto la necessità di implementare il contrasto alle organizzazioni criminali in Lombardia anche in previsione di Expo 2015;
   i lavori di Expo 2015 devono essere preservati da ogni possibile infiltrazione della criminalità organizzata, purtroppo presente e attiva anche in provincia di Varese;
   negli ultimi anni è già stata segnalata la presenza della criminalità organizzata in particolare di gruppi affiliati alla ’ndrangheta in due comuni limitrofi all'aeroporto, Busto Arsizio e Lonate Pozzolo, quest'ultimo adiacente all'aeroporto. In particolare nelle indagini Infinito e Bad Boys condotte negli ultimi anni dalle forze dell'ordine è emerso chiaramente il legame fra le cosche legate alla criminalità organizzata e il territorio limitrofo a Malpensa;
   anche nell'ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia, viene evidenziato con chiarezza il preoccupante fenomeno dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico lombardo;
   inoltre secondo l'ultimo Rapporto Ecomafia (2012) di Legambiente, la Lombardia si conferma la prima regione del Nord per numero di reati legati alle ecomafie: all'ottavo posto della classifica nazionale con oltre 1600 reati, il 4,8 per cento del totale nazionale, e con 1442 persone denunciate, 100 in più rispetto all'anno precedente. Va rilevato che è particolarmente il ciclo del cemento, soprattutto quello del movimento terra, il settore economico in cui la ’ndrangheta detiene in Lombardia il primato assoluto. Abusivismo edilizio, appalti pubblici truccati, escavazioni illegali nei fiumi riempiono il campionario lombardo che per il 2011 ha registrato ben 344 reati, 455 persone denunciate e 23 sequestri, posizionando la Lombardia alla nona posizione nella classifica nazionale per le infrazioni legate al cemento;
   sempre sul tema, un articolo pubblicato sul quotidiano on line Il Fatto Quotidiano.it a firma Davide Milosa il 7 giugno 2013, evidenzia «la fotografia, impietosa e preoccupante, che arriva dagli analisti della Dia di Milano». A pagina 1 della relazione semestrale al Parlamento del 23 maggio 2013, firmata dal capocentro Alfonso Di Vito, si legge: «L'azione di contrasto alle organizzazioni criminali, valutata sulla scorta dei provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie, ha evidenziato un'ulteriore flessione rispetto alle ultime analisi prodotte, nell'occasione delle quali tale trend negativo si era già manifestato». E così dopo il biennio 2008-2010 culminato con la maxi-operazione Infinito, la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo non sembra più in grado di menare colpi decisivi alle cosche. Ma c’è di più. Nelle 61 pagine del report Dia si lancia un allarme anche per Expo 2015. In particolare viene segnalato come la piattaforma informatica «sia di fatto inutilizzabile a causa di vistose lacune relative alla scarsa intuitività del sistema e alla carenza della documentazione richiesta» –:
   se si intenda verificare la possibilità di revocare la disposizione relativa alla chiusura del presidio della direzione investigativa antimafia di Malpensa e al contempo la disponibilità di risorse per mettere in campo tutti gli strumenti necessari per rendere più efficace ed operativo il contrasto alla criminalità organizzata nel territorio lombardo, soprattutto in vista dell'Expo 2015, evento in cui i riflettori di tutto il mondo si accenderanno sul nostro Paese. (4-02297)


   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 settembre 3013 Marina Romanò, capogruppo della Lega Nord in consiglio comunale ed ex sindaco di Cesano Maderno, è stata oggetto di una violenta aggressione da parte di un uomo di 71 anni avvenuta nell'atrio del comune mentre la stessa si apprestava a entrare in aula consiliare;
   dopo l'aggressione, Marina Romanò è stata subito trasportata da un'ambulanza della Croce Bianca di Cesano all'ospedale di Desio dove le sono state riscontrate una distorsione alla cervicale e un trauma all'orecchio con una prognosi di sette giorni;
   appena due settimane dopo l'aggressione, in occasione di una nuova seduta del consiglio comunale, il 71 enne si trovava di nuovo seduto tra il pubblico;
   per protesta tutti i consiglieri del gruppo della Lega Nord hanno quindi deciso di abbandonare l'aula, dichiarando di non sentirsi tutelati nella loro sicurezza personale di fronte all'inerzia del sindaco che non procedeva ad allontanare l'aggressore dai locali comunali;
   il presidente del consiglio comunale Maurilio Longhin ha giustificato la propria inerzia dichiarando che poteva allontanare l'aggressore solo per effetto di un provvedimento del giudice o «nel momento in cui disturba i lavori e tra l'altro, nel caso specifico, mi è già capitato di richiamare quella persona che aveva alzato la voce»;
   l'aggressore, dunque, anche per stessa ammissione del presidente del consiglio di Cesano Maderno, già precedentemente aveva più volte disturbato le sedute del consiglio comunale con atteggiamenti aggressivi, tanto che le forze dell'ordine erano dovute intervenire;
   nonostante tali precedenti comportamenti, allo stesso è sempre stato consentito l'accesso ai locali consiliari del comune;
   Marina Romanò ha presentato regolare denuncia già a suo tempo ma a tutt'oggi nessun provvedimento è stato preso nei confronti dell'aggressore, che, a quanto consta agli interroganti, ha ancora libero accesso ai locali consiliari;
   l'aggressione costituisce un fatto di una gravità inaudita poiché non consente ai consiglieri di svolgere il proprio mandato elettorale nel dovuto clima di serenità e sicurezza –:
   se i Ministri siano a conoscenza dell'episodio accaduto al capogruppo della Lega Nord del comune di Cesano Maderno, essendo tali fatti gravi e comunque da stigmatizzare, se non ritengano opportuno che vengano assunti tempestivi e opportuni provvedimenti per garantire l'incolumità dei membri del consiglio comunale. (4-02298)


   BUONANNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, in un campo nomadi nella città di Farsala, 280 chilometri a nord di Atene, in Grecia è stata ritrovata una bambina bionda dai lineamenti nordici, che dall'esame del DNA non appartiene alla famiglia con la quale viveva;
   sempre stando alle notizie riportate dai media, i due finti genitori di 39 e 40 anni sono comparsi davanti ai giudici in udienza a porte chiuse e incriminati per sequestro di minore e uso di documenti falsi (dichiarano di avere altri 13 figli, e sei sarebbero stati partoriti in meno di 10 mesi: 10 dei ragazzi risultano irrintracciabili). I due che hanno raccontato diverse versioni sulla posizione della bambina ritrovata dalle forze dell'ordine greche, compresa quella di averla avuta in affido da una donna che non poteva tenerla, o di averla trovata per strada, avevano registrato la prole in tre diverse zone del Paese, arrivando ad ottenere ogni mese 2.500 euro in sussidi;
   alcune testate giornalistiche hanno inoltre raccontato che gli investigatori che indagano sul caso hanno un terribile sospetto: «...ci sono anche altri bambini registrati che non sono stati trovati nel campo nomadi – ha fatto sapere una fonte –. Questa vicenda non ha solo a che fare con questa bambina...»;
   la notizia ha avuto una eco in tutto il mondo, considerato che il sequestro o rapimento di bambini è uno dei crimini più aberranti dell'umanità –:
   se il ministro interrogato, non ritenga opportuno, per quanto di propria competenza avviare ogni iniziativa utile volta ad evitare che nel nostro Paese vi siano casi assimilabili a quello descritto in premessa. (4-02299)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANCARLO GIORDANO e PIAZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia nazionale di danza è una istituzione di alta cultura per lo studio delle discipline coreutiche, inserita nel compartimento dell'AFAM — alta formazione artistica, musicale e coreutica dal 1999 — di importanza e prestigio che non hanno eguali sul territorio nazionale, essendo l'unica istituzione pubblica in grado di rilasciare in materia, in Italia, diplomi accademici di I e II livello equipollenti alla laurea universitaria;
   l'acclarato valore nazionale e l'indubbia considerazione in campo internazionale dell'Accademia sono gravemente compromessi da una sconcertante e reiterata serie di irregolarità sedimentatesi negli anni, segnalate in oltre venti atti di sindacato ispettivo presentati in diverse legislature e sfociate il 3 dicembre 2012 in una significativa protesta da parte degli studenti e del corpo docente, nonché riportate all'attenzione dell'opinione pubblica da diversi quotidiani nazionali e mediante una apposita conferenza stampa, tenutasi il 19 febbraio 2013 presso la Camera dei deputati;
   le violazioni dalle quali è scaturita la plateale protesta sopra citata sono tutte riconducibili alla gestione dell'Accademia operata dalla direttrice Margherita Parrilla, tutt'ora in carica a seguito della nomina «per chiara fama» stabilita il 3 ottobre 1996 dal Ministro della pubblica istruzione pro tempore, Luigi Berlinguer, e ciò a scapito del regolare procedimento di elezione tramite collegio dei docenti che aveva già allora nominato un proprio direttore, ma soprattutto senza alcuna considerazione delle previsioni sulla durata di tale incarico, contenute nell'articolo 4 comma 2 dello statuto dell'Accademia nazionale di danza, il quale, rinviando al decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 28 febbraio 2003, stabilisce chiaramente una durata della carica in esame per un arco temporale di 3 anni, con possibile conferma consecutiva per un solo ulteriore mandato della stessa durata;
   la questione riguardante l'eventuale dichiarazione di decadenza dalla carica di direttore dell'Accademia nazionale di danza per superamento del doppio mandato, non ha, a oggi, trovato una soluzione, così come non hanno trovato una soluzione e una risposta le numerose denunce di irregolarità nella conduzione e nella gestione dell'istituzione in esame, da parte della direttrice Parrilla, sebbene anche queste ultime siano state portate più volte all'attenzione del Ministro interrogato;
   nello specifico, sono state denunciate: la mancanza di un regolamento didattico; l'inadeguata manutenzione della struttura, la quale ha comportato il verificarsi di diversi piccoli infortuni a scapito degli studenti; l'attivazione, senza le precipue autorizzazioni, del «triennio tecnico compositivo» presso il teatro «Carlo Gesualdo» di Avellino; l'anomalo conferimento di incarichi di collaborazione, in violazione dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001; promozioni ad anni successivi del corso di studi e possibilità di accedere all'esame finale, garantita in favore di studenti che non avrebbero superato gli esami, o, peggio ancora, che non avrebbero neanche frequentato i corsi;
   quest'ultima presunta violazione ha portato la Procura di Roma a contestare alla direttrice Parrilla il reato di falso in atto pubblico;
   tra le irregolarità di cui sopra, occorre sottolineare come l'istituzione del «triennio tecnico compositivo» di Avellino, sia avvenuta, come denunciato dalle Organizzazioni sindacali, non solo senza le necessarie deliberazioni da parte degli Organi incaricati del potere di vigilanza e ratifica, ma addirittura in contrasto rispetto alle decisioni assunte in sede al CNAM — il quale con deliberazione n. 53, del 6 giugno 2012, aveva espresso parere negativo in merito, rilevando poi, con successiva deliberazione n. 56, del 15 novembre 2012, incongruenze nella documentazione e ribadendo il proprio diniego alla richiesta di autorizzazione del corso — rischiando ciò di esporre l'erario ad un danno di natura finanziaria e, soprattutto, i potenziali iscritti al concreto rischio di partecipare a un percorso didattico «giuridicamente inesistente»;
   il quadro sopra descritto è aggravato dalla criticità della situazione economica e finanziaria in cui versa la Fondazione accademia (FANO), criticità anche essa legata a una gestione anomala e personalistica della stessa, operata dalla direzione, che ha causato l'apertura di un procedimento penale per appropriazione indebita dei beni della fondazione a carico dell'attuale direttrice dell'Accademia;
   occorre ricordare come la sconcertante serie di violazioni sopra citate abbia determinato una serie di verifiche e ispezioni che hanno spesso accertato una pluralità di irregolarità e carenze, l'ultima delle quali — avvenuta nei mesi scorsi — ha avuto dei riscontri che, seppur non esaustivi, si desumono chiaramente in una lettera del 18 ottobre, indirizzata dal Direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca — Afam, dottor Bruno Civello, al direttore dell'Accademia nazionale di danza, in cui si ammette l'emersione di: «una situazione di grave irregolarità, ulteriormente aggravata da una prassi consolidata che ha permesso agli studenti dei corsi normali di arrivare a sostenere l'esame finale del corso dell'ottavo anno pur non avendo conseguito la promozione agli esami teorici degli anni precedenti»;
   se ciò non bastasse, il giorno 14 ottobre 2013, alle porte del nuovo anno accademico, il presidente dell'Accademia, Giuseppe Furlanis, nominato con decreto ministeriale in data 3 aprile 2013, si è dimesso dall'incarico, constatando amaramente come la serie lunghissima di problematiche didattiche e amministrative, sedimentatesi negli anni, nonché le elevate tensioni interne all'istituzione, paralizzino irrimediabilmente il funzionamento di quest'ultima –:
   se i riscontri dell'ultima Commissione ispettiva, nominata il 20 giugno 2013 dal direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca — Afam, abbiano evidenziato, oltre a quanto riportato nelle citata lettera del dottor Bruno Civello, ulteriori irregolarità e violazioni nella gestione e conduzione dell'Accademia nazionale di danza;
   quali iniziative intenda intraprendere per assicurare il regolare svolgimento del nuovo anno accademico, porre fine alla serie di irregolarità e violazioni denunciate in premessa, salvaguardare gli studenti del «triennio tecnico compositivo» di Avellino e, in particolare, se non ritenga opportuno intervenire per uniformare l'Accademia nazionale di danza alle altre istituzioni dell'alta formazione artistica e musicale, in modo da garantire un percorso democratico e interno all'istituzione, capace di ripristinare e preservare il valore formativo ed il prestigio dell'istituzione stessa.
(5-01283)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 19 ottobre 2013 il signor Luciano Serrani, operaio, dipendente della cooperativa Facchini e Porta Bagagli di Bologna, mentre stava eseguendo lavori sui binari è rimasto schiacciato dal peso della pulitrice alla stazione ferroviaria di Ancona;
   il signor Serrani è deceduto sul colpo;
   due sono le inchieste aperte per fare chiarezza sull'incidente, la prima da parte della procura di Ancona, la seconda da parte di Trenitalia –:
   di quali elementi disponga in merito alla dinamica del gravissimo incidente sul lavoro;
   se risultino esserci responsabilità amministrative per l'accaduto, e in particolare se risultino essere state osservate le normative relative alla sicurezza sul lavoro. (4-02263)


   D'INCECCO, LENZI, CAPONE, CASATI, CARNEVALI, SBROLLINI e IORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il tasso di occupazione femminile in Italia, fotografato da dati Censis 2012, è sensibilmente inferiore rispetto alla media europea, essendo pari al 46,7 per cento a fronte del 58,2 per cento dell'intera Unione con percentuali ancora più alte nel Nord Europa;
   a determinare tale grave situazione di ostacolo all'ingresso e alla permanenza della popolazione femminile nel mercato del lavoro contribuisce in maniera rilevante l'assenza di servizi di supporto alla maternità, a seguito della quale difficilmente è possibile per una donna tornare al precedente posto di lavoro;
   a fronte di tale difficoltà, l'istituzione in seno alla legge n. 92 del 2012 del voucher per i servizi di babysitting e asilo nido pubblici o privati in favore delle madri lavoratrici ha costituito un passo in avanti. L'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge medesima introduce infatti in via sperimentale, per il triennio 2013-2015, la possibilità per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un contributo di 300 euro mensili per l'acquisto dei servizi di cui sopra. La legge istitutiva della misura ha garantito 20 milioni di euro a copertura dell'operazione per il triennio sopra indicato, capace di soddisfare, per l'anno 2013, una domanda di 11.111 contributi di importo pieno secondo quanto riportato nella relazione tecnica al provvedimento;
   l'articolo 4, comma 24, lettera b) della succitata legge prevede che la madre debba richiedere detti voucher al datore di lavoro; tuttavia, il decreto del Ministero del lavoro del 22 dicembre 2012 di applicazione della predetta misura prevede all'articolo 6 che la madre presenti la domanda lei stessa presso i canali telematici istituiti dall'INPS caricandosi di tutta la fase burocratica e amministrativa conseguente, a giudizio degli interroganti, in palese contrasto con quanto previsto dalla legge. Inoltre, lo stesso decreto prevede che come sistema di voucher vengano utilizzati i buoni per il lavoro accessorio previsti dalla cosiddetta «Legge Biagi»;
   come conseguenza di ciò, all'avvio sul campo della misura il contributo ha riscosso pochissimo successo come sottolineato da un articolo del Sole24ore del 28 luglio 2013 e come testimoniano le poche richieste pervenute. Ci si aspettava un «click day» e risorse esaurite in poche ore, ed invece rispetto ai potenziali 11.111 beneficiari, solo 3.762 lavoratrici, secondo dati INPS, sono state ammesse al beneficio, mentre dal punto di vista delle strutture accreditate per il servizio, secondo quanto si apprende dallo stesso articolo di stampa sopra citato, meno di un terzo degli asili pubblici o privati nazionali si sono convenzionati con lo Stato;
   se aiuti a costo zero per i beneficiari restano inutilizzati, soprattutto in tempi di difficoltà economica come quello attuale, significa che qualcosa non ha funzionato. Fra i vari profili di criticità emerge senz'altro la difficile fruizione dello strumento, principalmente riconducibile a tre ragioni:
    complessità generale della procedura di domanda sul sito INPS, che risulta totalmente a carico della madre anziché del datore di lavoro, unita alla difficile accessibilità alla piattaforma appositamente predisposta da INPS; in secondo luogo, emerge la difficoltà di trovare una struttura di servizi per l'infanzia convenzionata probabilmente anche a causa dei possibili ritardi di pagamento da parte della pubblica amministrazione a cui gli operatori sarebbero soggetti e che disincentivano la convenzione; infine la scarsa pubblicizzazione dell'iniziativa lasciata soltanto a comunicati stampa e siti internet, senza una adeguata promozione sui luoghi di lavoro e senza coinvolgimento di sindacati e associazioni datoriali;
   l'utilizzo dei buoni di lavoro accessorio, in luogo di altri voucher specifici già utilizzati con successo in molte regioni ed enti locali (come la dote scuola lombarda, il bonus bebé di regione Piemonte e Lazio, e altro) non permette il controllo e la tracciabilità della spesa, potendo essi essere utilizzati anche per prestazioni diverse da quelle di babysitting senza possibilità di limitazione da parte dei beneficiari del voucher e non garantendo che le somme stanziate dalla pubblica amministrazione siano spese effettivamente per lo scopo richiesto;
   il bonus è previsto anche nel 2014 e nel 2015, l'obiettivo non può che essere quello di un salto di qualità per i due anni rimanenti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per rendere maggiormente efficienti le procedure di assegnazione e fruizione del contributo, dati anche i finanziamenti già previsti e come si intenda utilizzare la quota stanziata e non spesa nell'annualità in corso;
   se lo strumento del buono per il lavoro accessorio non debba essere sostituito dal voucher — come del resto è previsto espressamente dalla legge — che garantisce la finalizzazione soltanto per l'utilizzo presso le babysitter o i servizi per l'infanzia, come già avviene da anni in molte regioni ed altre realtà nazionali;
   quali iniziative intenda adottare per garantire una maggior facilità di utilizzo, fruibilità e spesa da parte dei beneficiari;
   quali iniziative intenda adottare per aumentare la capillarità degli istituti convenzionati e garantire il coinvolgimento del cosiddetto «privato sociale». (4-02272)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella Val Sinello, in provincia di Chieti, un'altra azienda è entrata in crisi aggravando la situazione economica e occupazionale di un territorio già gravemente penalizzato dalla crisi della ex Golden Lady;
   l'azienda del gruppo Canali ha annunciato la cessazione delle attività del reparto pantaloni, che occupa 97 lavoratrici, non avendo individuato un percorso di riconversione produttiva;
   è inaccettabile che un grande gruppo industriale come Canali, presente con vari stabilimenti nelle Marche e in Brianza, non riesca a proporre una soluzione industriale per il suo stabilimento in provincia di Chieti;
   forte è la preoccupazione per l'intero sito industriale (il reparto giacche occupa 300 persone) –:
   se non intenda assumere una iniziativa convocando le parti sociali per individuare soluzioni per la salvaguardia dell'occupazione e del sito produttivo.
(4-02280)


   CATALANO, PARENTELA, TERZONI e DE LORENZIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 23 marzo 2009, a seguito di accordo sindacale del 13 gennaio 2009, punto 2, la signora M.F. è stata assunta a tempo indeterminato in Poste spa con mansioni di portalettere e luogo di lavoro Monza;
   suo figlio, P.P. dell'età di 7 anni, residente a Foggia, è portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 104 del 1992;
   le condizioni del bambino sono ampiamente documentate da verbale Asl/FG ai sensi della legge n. 104 del 1992, verbale commissione medica per l'invalidità, e certificazione medico-specialistica, e notificate all'azienda;
   diversi verbali medici attestano che la presenza costante e duratura della figura materna è fondamentale per il trattamento psicoeducativo;
   la signora ha usufruito del diritto di aspettativa senza retribuzione ai sensi dell'articolo 37 del contratto collettivo nazionale del lavoro (C.C.N.L.) dal 10 febbraio 2010 al 9 maggio 2010; dal 10 novembre 2010 al 9 febbraio 2011; dal 29 giugno 2011 al 28 settembre 2011; dal 3 ottobre 2011 al 2 aprile 2012 e dal 21 maggio 2012 al 20 febbraio 2013;
   l'azienda unità sanitaria locale di San Severo, con verbale del 24 gennaio 2011, considerato che la lontananza della madre dal comune di residenza non si concilia con i bisogni del bambino, attesta che sarebbe opportuno che la serenità del figlio riscontrata durante il periodo di aspettativa, «non dovrebbe essere interrotta ulteriormente, al fine di evitare sintomatologia più marcata»;
   già nel 2009, la signora M.F. ha richiesto all'azienda il trasferimento temporaneo per motivi di famiglia ai sensi dell'articolo 33 comma 5, della legge 104 del 1992;
   il 13 febbraio 2012 ha richiesto di essere applicata, anche provvisoriamente, a proprie spese e con le stesse mansioni, presso CPD/CSD/PDD della provincia di Foggia, facendo riferimento alla sede più vicina al domicilio della persona da assistere (Apricena);
   sono stati inviati solleciti il 23 ottobre 2012 e il 28 gennaio 2013;
   l'11 aprile 2013 la signora ha richiesto, per i problemi familiari e a decorrere dal 1o maggio 2013, per un periodo di 2 anni, la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da full time in part-time con tipologia verticale con mesi e orario di lavoro da novembre ad aprile dalle ore 7,30-15.00, dal lunedì al venerdì e mesi non lavorativi da maggio a ottobre 2013;
   Poste, con lettera del 22 aprile 2013, non ha accolto la richiesta «per motivi tecnici ed organizzativi», e ha ribadito l'impossibilità di accettazione della richiesta in seguito alla richiesta di riesame della domanda presentata dalla signora il 21 maggio 2013;
   la tutela dei soggetti portatori di handicap, ratio della legge, giustifica la deroga al normale svolgimento della prestazione lavorativa ed ai criteri ordinari che disciplinano i trasferimenti della categoria di personale di appartenenza;
   non è accettabile che l'azienda abbia inizialmente respinto le reiterate richieste della signora di un periodo di aspettativa, riconosciutole per diritto, «per motivi tecnici ed organizzativi»;
   l'indisponibilità al trasferimento mostrato dall'azienda ad avviso degli interroganti nega un preciso diritto al lavoratore e danneggia ulteriormente una situazione familiare già delicata;
   il servizio rapporti con la società civile del segretariato generale della presidenza della Repubblica ha inviato alla signora una missiva in cui ha dichiarato di aver richiamato l'attenzione di Poste spa sulla questione –:
   se si intenda intervenire presso Poste spa per sollecitarla ad una maggiore sensibilità per le problematiche su esposte. (4-02292)


   CATALANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'indagine «Lost Pay», del 19 marzo 2013, condotta dal comando gruppo Guardia di finanza Palermo, ha messo in evidenza una truffa organizzata ai danni degli utenti della catena «servizi postali» e «posta più», ed ha portato al sequestro di 72 agenzie su tutto il territorio nazionale. Le agenzie effettuavano i servizi di pagamento in maniera abusiva, perché non iscritte all’«Albo degli istituti di pagamento», come stabilito dal testo unico delle leggi bancarie (T.U.B);
   con provvedimento datato 23 marzo 2013, l'ispettore Alessandro Carollo, che ha collaborato nello svolgimento delle indagini suddette, è stato estromesso dalla funzione ispettiva nella quale lavorava e trasferito alla filiale di Palermo 1;
   risulterebbe, da denuncia formalizzata dall'ispettore Carollo, che il 4 aprile 2013, in seguito alla notifica del provvedimento di estromissione, il responsabile della filiale di Palermo 1, dottor Riccardo D'Amico (quadro di livello A1) abbia fatto dichiarazioni lesive della reputazione del dottor Carollo in orari di ufficio e utilizzando beni societari;
   per i fatti succitati pende, presso la procura della Repubblica di Palermo, procedimento penale n. 8615/2013 per diffamazione;
   il 9 aprile, con missiva prot. 196/R/13 del 21 maggio 2013, il management di Poste spa ha dichiarato di aver reso la vicenda oggetto di verifica da parte del responsabile della funzione ispettiva di fraud management;
   ad avviso dell'interrogante potrebbe essere avviato anche un procedimento disciplinare nei confronti del dottor D'Amico ai sensi e per gli effetti della legge n. 300 del 1970 (statuto dei lavoratori) e delle previsioni di cui al contratto collettivo nazionale del lavoro;
   sebbene sia stata inviata alla società comunicazione della querela da parte del dell'ispettore Carollo formalizzata il 5 aprile, Riccardo D'Amico, il 15 maggio 2013, con ordine servizio 8/13, è stato trasferito presso la sede di Trapani, struttura più grande di quella di provenienza (filiale di Palermo 2), in sostituzione del dirigente Donato Laviola;
   risulterebbe all'interrogante che all'ispettore Carollo, in seguito alle vicende riportate nell'interrogazione n. 4-01963, relativa ai comportamenti vessatori da parte dell'azienda da lui subìti, sia stato offerto il posto di direttore nella filiale di Tortorici;
   detta filiale si trova a 150 chilometri di distanza dal suo comune di residenza;
   risulterebbe all'interrogante che questa sia sottoposta a monitoraggio amianto, e che presenti gravi carenze nel sistema di sorveglianza, causa, tra l'altro, di una rapina per 150.000 euro il 2 maggio 2013 –:
   se ciò che risulta all'interrogante sia vero;
   se il Governo non intenda acquisire elementi circa le risultanze degli eventuali accertamenti ispettivi interni e, in particolare, in ordine all'eventuale avvio di procedimenti disciplinari;
   di quali informazioni disponga in ordine ai criteri del trasferimento del dottor D'Amico, sottoposto ad accertamenti giudiziari, ed al suo accesso alle funzioni dirigenziali, posto che i citati criteri di trasferimento appaiono all'interrogante in contrasto con quelli del trasferimento dell'ispettore Carollo, vista la positiva attività svolta da quest'ultimo.
(4-02295)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, SCAGLIUSI, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il corpo forestale dello Stato è una Forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile, specializzata nella tutela dell'ambiente e dell'ecosistema;
   l'articolo 3, comma 4, della legge 36 del 2004 dispone testualmente che «Il capo del corpo forestale dello Stato è nominato ai sensi dell'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748»;
   l'articolo 25 del decreto del decreto del Presidente della Repubblica 748/1972 prevede che: (La nomina a dirigente generale, o a qualifiche superiori, è conferita, nei limiti delle disponibilità di organico, con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente. La nomina può essere conferita anche ad impiegati di altri ruoli o di altre Amministrazioni, ovvero a persone estranee all'Amministrazione dello Stato, salvo le riserve di posti previste da speciali disposizioni in favore di funzionari delle Amministrazioni interessate»;
   l'attuale capo del corpo forestale dello Stato è Cesare Patrone, nominato dal Consiglio dei ministri in data 28 aprile 2004, oltre 9 anni e mezzo fa;
   a parere dell'interrogante sono molte le considerazioni che dovrebbero spingere ad un avvicendamento al vertice del corpo forestale dello Stato;
   innanzitutto, come già evidenziato in un atto di sindacato ispettivo presentato al Senato (3/02927) e rimasto privo di riscontro, è necessario sottolineare che non solo il precedente capo del corpo Forestale è rimasto in carica 4 anni, ma anche gli altri vertici delle Forze di polizia sono caratterizzati da periodi di incarico molto meno prolungati (da un minimo di 2 anni ad un massimo di 4 anni);
   la permanenza al vertice di una forza di polizia per un periodo pari a 9 anni risulta, pertanto, non adeguatamente giustificata;
   inoltre il mancato ricambio dei vertici del corpo, risulta, a parere dell'interrogante, del tutto inopportuno alla luce di vicende personali che vedono coinvolto l'ingegnere Cesare Patrone;
   in primo luogo, come da atto di sindacato ispettivo presentato in Senato n. 3/00741 rimasto inevaso, da un'inchiesta pubblicata in data 13 maggio 2009 dal quotidiano La Stampa, nelle selezioni ai concorsi di allievi e agenti e di vice ispettori del corpo forestale dello Stato sono risultati vincitori numerosi figli di comandanti, dirigenti o persone legate al capo del corpo forestale, Cesare Patrone;
   in particolare per la nipote del capo del corpo forestale, nel 2008, sarebbe stata riconosciuta l'idoneità al concorso da primo dirigente, nonostante si sia classificata quarta su tre posti disponibili nonché, con riferimento al concorso per il grado di «Vice-ispettore» le cui selezioni si sono tenute a Roma in data 7, 8, e 9 maggio 2008, sempre secondo quanto riportato nella suddetta inchiesta giornalistica, tra i vincitori risulterebbero esserci persone riconducibili al capo del corpo forestale come il fratello, la cognata, l'autista nonché diverse persone provenienti dalla sua segreteria;
   in secondo luogo, con atti di sindacato ispettivo n. 4/07890 nonché n. 4-08141, entrambi presentati in Senato ed entrambi rimasti privi di riscontro, veniva sottoposta all'attenzione del Ministro come l'ingegnere Cesare Patrone fosse stato condannato per danno erariale in due differenti pronunce dalla Corte dei conti;
   con una prima sentenza (n. 148/2012/R) la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Basilicata, ha condannato l'ingegnere Cesare Patrone al pagamento in favore del corpo forestale della Stato della somma di euro 16.307,08, per aver disposto e mantenuto, al di fuori delle previsioni di legge, in oneroso distacco a Roma, presso la Cassa mutua del corpo, un assistente in servizio presso il coordinamento locale di Lagonegro;
   la Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio, con una seconda sentenza (n. 454/2012 condannava, altresì, l'ingegnere Patrone a risarcire allo Stato la somma di euro 50.000,00 oltre interessi e rivalutazione, per aver affidato ad uno studio legale l'incarico di consulenza per la gestione della flotta elicotteristica ed il contenzioso radicato per contrasti insorti con società fornitrici, affidamento che, secondo la magistratura contabile, è risultata in larga parte inutile in quanto avente ad oggetto attività che rientrano «indubbiamente nell'ambito delle funzioni ordinarie, per lo svolgimento delle quali l'amministrazione pubblica non può fare ricorso a contratti di collaborazione e consulenza esterna» ...e che «avrebbe potuto essere svolta da funzionari del corpo forestale»; prosegue poi la Corte dei conti «non c’è chi non veda la patente inutilità di una spesa per un'attività del tutto rientrante nell'ordinario esercizio delle funzioni amministrative» –:
   per quali ragioni l'ingegnere Cesare, Patrone continui a ricoprire l'incarico di capo del corpo forestale dello Stato, nonostante le circostanze evidenziate in premessa negli altri atti di sindacato ispettivo citati in premessa;
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia assunto alla luce delle vicende descritte, tenuto conto che il corpo forestale dello Stato è posto alle dirette dipendenze del titolare del Ministero ai sensi dell'articolo 3 della legge 6 febbraio 2004, n. 36;
   per quali motivi non abbia ritenuto di procedere alla sua sostituzione nell'incarico, anche alla luce della condanne per danno erariale accertate dalla Corte dei conti nelle due pronunce richiamate in premessa;
   se il Ministro interrogato non consideri opportuno, sulla base delle argomentazioni di cui alle premesse, procedere immediatamente alla proposta di un nuovo capo del corpo forestale dello Stato al Consiglio dei ministri. (4-02296)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOCCADUTRI, PIAZZONI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 70 del 1997 ha definito diversi profili professionali sanitari, tra i quali quello di infermiere pediatrico, individuandone altresì i campi di attività e le competenze; con tale decreto ministeriale 70 del 1997 si stabilisce, quindi, che l'infermiere pediatrico è una figura professionale a se stante, e quindi separata da quella dell'infermiere generico;
   è tuttavia prevista per coloro che hanno conseguito la laurea infermieristica generale (di cui al decreto ministeriale 739 del 1994) – la facoltà di conseguire il master in infermieristica area pediatrica (di cui alla legge 43 del 2006), acquisendo così la qualifica di infermiere pediatrico;
   tale ultima previsione contraddice, quindi, l'impostazione di cui al decreto ministeriale 70 del 1997 con cui si è voluto separare tali due figure professionali di infermiere generico e pediatrico, dando la possibilità al generico di acquisire il titolo di pediatrico mediante un master – di un anno – ma impedendo, di contro, all'infermiere pediatrico di acquisire il titolo di generico, imponendo dunque a quest'ultimo di conseguire un nuovo diploma di laurea di durata triennale, ovvero quello in infermieristica generale;
   tale «separazione imperfetta» delle professioni è aggravata dal fatto che in molti casi le strutture sanitarie non bandiscono concorsi per lo specifico profilo professionale – esistente ed espressamente previsto dalla normativa di riferimento – di infermiere pediatrico, ma nella maggior parte dei casi vengono richiesti infermieri generici, alcuni dei quali vengono però adibiti ad infermieri pediatrici (anche senza averne la qualifica);
   la mancata indizione di concorsi per tale specifica figura professionale è legata anche alla mancata previsione di tale profilo professionale nell'ambito delle piante organiche delle strutture sanitarie –:
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno operare un riordino dei due citati profili professionali di infermiere generico e pediatrico, optando per una netta separazione degli stessi con conseguente abolizione del master in infermieristica pediatrica, o viceversa inquadrando la figura di infermiere pediatrico quale specializzazione riservata agli infermieri generici, e di conseguenza abolendo il corso di laurea in infermieristica pediatrica, garantendo altresì a quanti hanno già conseguito tale corso di laurea l'equipollenza rispetto al diploma di infermieristica generica, anche eventualmente previo sostenimento di esami integrativi;
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno adottare ogni iniziativa di competenza affinché ciascuna struttura sanitaria introduca nella rispettiva pianta organica il profilo professionale di infermiere pediatrico – in presenza di reparti di pediatria o di servizi sanitari che richiedano o giustifichino tale figura professionale – superando la prassi che vuole la copertura di tali posti con diversi profili professionali di diversa natura, quali gli infermieri generici, al fine di prevedere l'indizione di procedure concorsuali ad hoc per gli infermieri pediatrici. (5-01284)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 23 ottobre 2013 è stata comunicata ai sindacati la decisione di disporre il licenziamento collettivo per 160 lavoratori degli appalti dell'Alcoa di Portovesme;
   il motivo del licenziamento collettivo argomentato dall'azienda – ha informato Manolo Mureddu, Rsu Cisl degli appalti – è legato al mancato avvio delle bonifiche, dei progetti previsti dal piano Sulcis e delle altre iniziative che avrebbero dovuto interessare le aziende del territorio;
   le organizzazioni sindacali sono state convocate dai dirigenti del gruppo Di Bartolo alle quali è stata comunicata l'intenzione di partire con i licenziamenti collettivi;
   la situazione è sempre più preoccupante proprio perché non si intravede nessuna soluzione e si rischia di fermare per sempre un processo produttivo industriale proprio per la fallimentare gestione della vertenza da parte del Governo;
   risulta indispensabile riavviare con somma urgenza la filiera dell'alluminio per arginare immediatamente un processo drammatico sia sul piano economico che sociale consentendo di creare e rilanciare l'economia salvando i posti di lavoro –:
   se non ritenga il Governo di dover intervenire con urgenza al fine di individuare un serio e concreto piano di riavvio del processo produttivo garantendo un costo energetico adeguato a quello necessario per restare nel mercato;
   se non ritenga il Governo di dover intervenire per scongiurare qualsiasi tipo di licenziamento in un'area già duramente provata dalla crisi economica e occupazionale. (5-01280)


   RUBINATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, prevede, al fine di promuovere l'ampliamento della base produttiva e occupazionale, lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese, nonché la diffusione di forme di autoimpiego, la concessione di una serie di incentivi in favore dell'auto imprenditorialità e dell'autoimpiego;
   in attuazione del citato decreto legislativo sono stati erogati nell'arco temporale 2000-2012 incentivi per complessivi circa 4 miliardi di euro che hanno consentito l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali con conseguente creazione di un significativo numero di posti di lavoro per un totale di circa 180 mila nuovi occupati, oltre all'occupazione aggiuntiva creata dall'indotto di tali attività; in particolare, una percentuale significativa degli aspiranti beneficiari sono stati donne e giovani (rispettivamente il 44 per cento e il 51 per cento del totale);
   l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo dell'impresa (Invitalia), in qualità di soggetto gestore della selezione e dell'erogazione dei predetti incentivi, aveva già segnalato l'insufficienza dei fondi stanziati a tale scopo e dunque la necessità di prevedere ulteriori assegnazioni al fine, di garantire la continuità operativa delle attività oggetto dell'intervento normativo, circostanza quest'ultima riportata poi anche nella determinazione n. 15 del 2013 della sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti recante il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della suddetta Agenzia per l'esercizio 2011;
   nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 24 aprile 2013 era stato pubblicato l'avviso con cui Invitalia rendeva noto l'avvenuto esaurimento delle risorse finanziarie disponibili in riferimento agli incentivi da erogare per gli interventi sopra indicati, con conseguente impossibilità di soddisfare ulteriori domande di agevolazione;
   successivamente, in data 10 luglio scorso, il Sottosegretario De Vincenti rispondendo in Commissione X anche all'interrogazione n. 5-00283 della sottoscritta, segnalava che il Governo, con decreto-legge n. 76 del 28 giugno 2013, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 99, ha stabilito l'assegnazione di complessivi 80 milioni di euro per le misure per l'autoimpiego e autoimprenditorialità, nel limite di 26 milioni di euro per l'anno 2013, 26 milioni di euro per l'anno 2014 e 28 milioni di euro per l'anno 2015;
   da numerose segnalazioni pervenute sembra che le predette risorse, peraltro già insufficienti rispetto alle necessità, non siano state ancora assegnate e le misure per l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità siano bloccate dal mese di aprile 2013 –:
   se corrisponda al vero che si sia verificato un ritardo nell'attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 76 del 28 giugno 2013, coordinato con la legge di conversione 9 agosto 2013, n. 99, e quali iniziative intenda promuovere il Ministero al fine di dare quanto prima attuazione alle misure già approvate dal Parlamento, considerata anche l'allarmante situazione dell'occupazione giovanile;
   se il Governo intenda stanziare ulteriori risorse a tal scopo utilizzando i fondi POR-FESR 2014/2020. (5-01286)


   CAPARINI, ALLASIA, CAON, RONDINI, MOLTENI, BORGHESI, BUSIN, GUIDESI, BUONANNO, MARCOLIN, PRATAVIERA, ATTAGUILE, MATTEO BRAGANTINI, FEDRIGA e GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 1 del regio decreto n. 246 del 1938 é tenuto al pagamento del canone di abbonamento televisivo chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione e che la presenza di un impianto aereo o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio ricevente;
   in base all'articolo 47 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 e successive modificazioni, recante il «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici», il costo di fornitura del servizio pubblico generale radiotelevisivo è coperto dal canone di abbonamento, di cui al regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, ed il comma 3 dell'articolo 47, nel dettare i principi sul finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo, prevedo che, «entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni con proprio decreto stabilisce l'ammontare del canone di abbonamento in vigore dal 1o gennaio dell'anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società, come desumibili dall'ultimo bilancio trasmesso prendendo anche in considerazione il tasso di inflazione programmato e le esigenze di sviluppo tecnologico delle imprese»;
   l'ammontare dei canoni di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo è stato da ultimo adeguato, per l'anno 2013, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 20 dicembre 2012;
   alla luce delle modifiche normative introdotte il canone televisivo (canone RAI) si configura a tutti gli effetti come un'imposta sull'accesso potenziale all'utilizzo di mezzi di informazione e comunicazione, un'imposta sulla detenzione di apparecchi atti od adattabili alla ricezione di radioaudizioni, indipendente dalla reale fruizione o dalla volontà di fruire del servizio;
   nell'interpretazione dei soggetti preposti al controllo è sufficiente a tutti gli effetti la presenza nelle civili abitazioni di una presa di antenna per visione televisiva o il possesso di un personal computer atto ad accesso internet per configurare la presenza dell'utilizzo potenziale e quindi l'obbligo di pagamento del canone, che in carenza legittima sanzioni;
   come evidenziato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) nella relazione di mandato 2005-2012 e nella relazione annuale 2012, i ricavi generati dalla riscossione del canone, pari a circa 1,6 miliardi di euro nel 2011 su un totale di ricavi Rai di circa 2,54 miliardi di euro, «continuano a rappresentare un elemento di criticità in ragione degli elevati livelli di evasione»;
   nel febbraio del 2012 la Rai ha inviato una lettera a tutte le partite Iva chiedendo il pagamento dell'imposta anche per pc connessi in rete, decisione che ha scatenato la protesta di tutte le associazioni imprenditoriali e di quelle dei consumatori;
   «La Rai non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer» é quanto ha precisato l'azienda dopo un confronto con il Ministero dello sviluppo economico aggiungendo che «la lettera inviata dalla direzione abbonamenti Rai si riferisce al canone speciale dovuto nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori, fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali imprese, società ed enti» abbiano già pagato per il possesso di uno o più tv;
   il Ministero dello sviluppo economico con una nota del Dipartimento delle comunicazioni ha chiarito che un apparecchio si intende «atto» a ricevere le radio audizioni se e solo se include nativamente (fin dall'origine) gli stadi di un radioricevitore completo: sintonizzatore radio, decodificatore e trasduttori audio/video per i servizi televisivi, solo audio per i servizi radiofonici; un apparecchio si intende «adattabile» a ricevere le radiodiffusioni se e solo se include almeno uno stadio sintonizzatore radio ma è privo del decodificatore o dei trasduttori, o di entrambi i dispositivi, che, collegati esternamente al detto apparecchio, realizzerebbero assieme ad esso un radioricevitore completo. Ne deriva, come conseguenza, che un apparecchio privo di sintonizzatori radio operanti nelle bande destinate al servizio di radiodiffusione non è ritenuto né atto né adattabile alla ricezione delle radioaudizioni (e conseguentemente per esso non va pagato alcun canone TV);
   la Rai ha inviato un avviso alle imprese nel quale si ricorda che le vigenti disposizioni normative impongono l'obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga, fuori dall'ambito familiare, uno o più apparecchi atti o adattabili — quindi muniti di sintonizzatore — alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, indipendentemente dall'uso al quale gli stessi sono adibiti. La nuova lettera fa riferimento altresì all'obbligo, per le imprese e le società, di indicare nella relativa dichiarazione dei redditi il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione per la detenzione degli apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive;
   dal sito www.rai.it nelle pagina dal titolo «disdetta del canone speciale» si legge che «i titolari di canone speciale che non intendono più fare uso di apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive fuori dall'ambito familiare devono inviare alla sede regionale RAI competente per territorio, comunicazione di disdetta del canone speciale, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, specificando la destinazione dell'apparecchio»;
   ad una legittima, dettagliata quanto circostanziata richiesta di rimborso del canone speciale perché non dovuto l'8 gennaio 2013 la direzione amministrativa abbonamenti della Rai risponde «Gentile Signore, con riferimento alla Sua comunicazione precisiamo che le informazioni fornite non sono sufficienti per chiudere la pratica che La riguarda. Allo scopo di evitare di disturbarLa ulteriormente ed avendo Comunque la necessità di regolarizzare la Sua posizione tributaria relativamente al canone Tv, La invitiamo a compilare e restituire a questo ufficio l'allegata dichiarazione. In attesa di cortese riscontro, porgiamo i migliori saluti»;
   il 28 gennaio 2013 la stessa direzione amministrativa abbonamenti della Rai ribadisce «Gentile Signore, abbiamo ricevuto la Sua comunicazione relativa all'abbonamento TV. Al riguardo, dobbiamo precisare che le vigenti disposizioni di legge (articoli 1 e 27 del regio decreto-legge 21 febbraio 1938 n. 246 convertito nella legge 4 giugno 1938, n. 880 e successive integrazioni) sanciscono l'obbligo di corrispondere il canone di abbonamento alla televisione sulla base della semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, indipendentemente dalla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, indipendentemente dall'uso al quale gli apparecchi stessi vengono adibiti. Pertanto, per i motivi sopra esposti, confermiamo l'obbligo del pagamento del canone Speciale. Con l'occasione Le porgiamo i nostri migliori saluti. Per informazioni rivolgersi a: RAI Abbonamenti Speciali ORARIO 9-13 Lunedi-venerdi tel. 199123000 +390687408197 (Costo max da rete fissa 14,26 centesimi di euro al minuto; da rete mobile 48 centesimi al minuto con scatto alla risposta di max 30 centesimi) CSO SEMPIONE, 27 20145 MILANO FaX 02/33602505»;
   la nota della direzione amministrativa abbonamenti della Rai é contrastante con l'interpretazione fornita dal Ministero dello sviluppo economico;
   non é quindi chiara la procedura che devono seguire coloro che hanno erroneamente corrisposto il canone Rai fuorviati da una interpretazione erronea della normativa fornita dall'azienda oltre che dall'intempestiva interpretazione autentica fornita dal Ministero dello sviluppo economico — dipartimento delle comunicazioni come le imprese che hanno erroneamente sottoscritto un abbonamento speciale effettuare regolare disdetta –:
   se e come sarà possibile recuperare i versamenti pregressi indebitamente dovuti.
(5-01287)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'imprenditoria cinese presente in Italia continua a crescere nonostante la crisi. I settori maggiormente interessati dalla presenza degli imprenditori cinesi sono il commercio con quasi 23.500 attività; il manifatturiero con poco più di 17.650 imprese (quasi tutte riconducibili al tessile-abbigliamento e calzature); la ristorazione-alberghi e bar con oltre 12.500 attività;
   la Lombardia, con 13.000 attività, è la regione più popolata da aziende guidate da imprenditori cinesi: seguono la Toscana, con 11.350 imprese; il Veneto, con quasi 7.500 e l'Emilia Romagna con 6.460;
   è il caso del megastore Hao Mai, aperto a Brescia nel 2004, un gruppo in continuo e costante sviluppo che oggi è il mercatone cinese più importante del nord Italia;
   nel novembre del 2009 è stato registrato il nuovo logo Aumai Market;
   a dicembre 2010, la società è diventata una società per azioni, con un capitale sociale di un milione di euro;
   Aumai conta ormai 31 punti vendita tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, aperti sette giorni su sette, catena di supermercati dedicati ai casalinghi, abbigliamento, profumeria ed elettronica, tutto a prezzi più bassi che altrove, made in Italy incluso;
   la politica commerciale del supermercato cinese è degna di un colosso della grande distribuzione: 30 mila gli articoli commercializzati con decine di prodotti «civetta» e offerte mozzafiato, 70 mila i metri quadrati di superficie e 200 dipendenti –:
   quali interventi il Governo intenda attuare al fine di tutelare efficacemente le moltissime attività italiane presenti sul territorio interessato che non possono reggere una concorrenza così aggressiva, in modo da mantenere intatta la filiera di competenze artigianali su cui si basa il made in Italy di antica tradizione.
(4-02268)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Garavini e altri n. 7-00137, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bueno.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in commissione Pisano e altri n. 5-01262, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cancelleri.

Modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  Mozione Vezzali e altri n. 1-00151 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 59 del 24 luglio 2013, l'ordine delle firme viene così modificato: «Vezzali, Valeria Valente, Rampelli, Capelli, Cesa, Marazziti, Carrescia, Tartaglione, Iacono, Tullo, Carocci, Fitzgerald Nissoli, Zardini, D'Incecco, Binetti, D'Agostino, Rubinato, Cimmino, Antezza, Librandi, Ginoble, Melilli, Antimo Cesaro, Rabino, Vecchio, Balduzzi, Caruso, Capua, Luciano Agostini, Lodolini, Realacci, Catania, Schirò Planeta, Gigli».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Antezza n. 4-01978, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 85 del 26 settembre 2013.

   ANTEZZA, BIONDELLI, AMODDIO e ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Garante per l'infanzia e adolescenza della regione Calabria, tra il giorno 3 agosto ed il giorno 9 settembre 2013, ha svolto, presso il CARA Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto (Kr), diversi accessi al fine di verificare lo stato dei minori stranieri non accompagnati, giunti a Crotone con gli sbarchi del 20 e 29 luglio 2013 e ivi collocati e lo stato dei minori stranieri presenti al seguito dei genitori presso la struttura e delle donne in gravidanza, in seguito ai quali dichiara;
   le madri ospiti dei minori hanno riferito che i minori, anche di età neonatale, non avevano ricevuto – pur in presenza di sintomatologia e, comunque, nonostante la richiesta effettuata dalla genitrice – alcuna visita pediatrica da quando sono presenti nel centro;
   alcune gestanti, tra cui una con gravidanza a rischio per età della madre, hanno riferito di non aver mai ricevuto, nei tre mesi di permanenza nel centro, alcuna visita ostetrico-ginecologica e di non aver avuto accesso ad accertamenti diagnostici strumentali e di laboratorio, né alcuna visita per il percorso nascita;
   i minori accompagnati non sono stati sottoposti ai cicli vaccinali previsti dal terzo mese di età;
   le madri presenti hanno lamentato la scarsità del cibo fornito sia alle gestanti sia ai minori;
   è stata riscontrata l'assenza di assistenza all'alimentazione dei minori, l'assenza di un pediatra che monitori nei neonati lo stato di accrescimento, nutrizionale e presenza di semeiotica silente;
   il latte, alimento indispensabile in tenera età evolutiva non risulta essere fornito tutti i giorni;
   il tipo di acqua potabile a disposizione dei minori non appare conforme alle esigenze degli stessi poiché con colorazione alterata e con forte odore e sapore di cloro;
   è stata rilevata, per i minori accompagnati, una commistione nelle stanze abitate da minorenni di sesso femminile e maschi adulti non appartenenti al proprio nucleo familiare;
   in seguito a tali accessi l'autorità garante al fine di espletare il compito conferitole dalla legge istitutiva ha provveduto – contestualmente all'emanazione di una serie di segnalazioni inviate a tutti gli attori istituzionali di detto fenomeno migratorio minorile – a richiedere una serie di informazioni alla prefettura di Crotone che, da quanto sostiene il Garante, ancora oggi non sembrano essere state rilasciate;
   a quanto risulta agli interroganti l'essenzialità di dette informazioni (nomi, condizioni vaccinali, età, dati di salute in generale, visite effettuate) risulta prodromica alla realizzazione degli interessi minorili di accesso ai diritti loro riconosciuti dalla Repubblica;
   in seguito agli accessi il Garante asserisce le seguenti irregolarità:
    a) dopo l'espletamento delle procedure di identificazione dei minori stranieri non accompagnati (MNSA) non sono seguiti i conseguenti e dovuti atti di tutela minorile e le comunicazioni da fare, in caso di sbarco sul territorio della Repubblica, sono apparse ingiustificatamente rallentate: pur essendo lo sbarco avvenuto il 29 luglio 2013, alla data del 3 agosto 2013 la procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Catanzaro non aveva ancora ricevuto, dalla competente questura di Crotone, l'elenco nominativo dei minori giunti, per l'emanazione dei provvedimenti urgenti e necessari, primi tra tutti quelli di affidamento;
    b) il sindaco di Crotone, competente per l'assistenza e la cura dei minori fino ai provvedimenti di affido, non era stato informato;
   ai minori SNA, a distanza di giorni, non era stato consentito di chiamare la propria famiglia (il contatto si rende necessario e urgente non solo alla salute – esistenza di vaccinazioni o peculiari stati di salute – e per il diritto del minore alla propria famiglia, ma anche per l'accertamento dell'identità poiché spesso l'invio di fax con copia del documento agevola le procedure);
   i minori sono stati trovati privi di scarpe e di biancheria di ricambio;
   non era presente un pediatra;
   non è stato fornito alcun servizio socio-psicologico;
   non sono stati organizzati incontri volti all'inserimento linguistico;
   non sono state fornite le informazioni relative all'inserimento nel territorio, ai percorsi di integrazione e alle possibilità e conseguenze derivanti dalla richiesta di asilo;
   l'ambiente medesimo è risultato inidoneo:
    insalubre a causa di evidenti macchie di umidità, anomalie all'impianto elettrico, materassi presenti sul pavimento, carenza di lenzuola e di arredi indispensabili;
    il cibo, stante l'assenza di una sala dove poter mangiare, viene consumato dagli ospiti nelle stanze adibite al pernotto direttamente sui letti;
    il livello assistenziale rilevato al CARA in cui sono presenti minori accompagnati è del tutto assente, in quanto non vengono offerte in modo attivo quelle prestazioni – sia durante la gravidanza che in età evolutiva – che invece vengono quotidianamente effettuate dai dipartimenti materno-infantile e dai consultori familiare in tutta la Regione Calabria –:
   quali misure i Ministri interrogati intendano prendere per i fatti relativi a violazioni dei diritti dei minori presenti presso il CARA Sant'Anna di Isola di Capo Rizzuto (Crotone) asseriti e comunicati dal garante dell'infanzia e dell'adolescenza della regione Calabria;
   se corrisponde al vero che, come sostenuto dal Garante, la prefettura di Crotone, organo istituzionalmente preposto al controllo e vigilanza del CARA Sant'Anna di Isola di Capo Rizzuto, non abbia verificato le violazioni in danno dei diritti dei minori e delle donne in gravidanza presenti al campo, come segnalate dal garante dell'infanzia della Calabria;
   se corrisponde al vero che, come sostenuto dal Garante, la prefettura di Crotone non fornisce al Garante dell'infanzia della Calabria i nominativi dei minori richiesti, celandosi dietro presupposti di privacy che non possono valere per una autorità di garanzia deputata alla tutela degli interessi pubblici minorili e ostacolano l'attività ispettiva che l'organo di garanzia istituito dal consiglio regionale della Calabria svolge;
   quali misure si intendano adottare, alla luce delle segnalazioni svolte dal Garante dell'infanzia della Calabria, e se non sia il caso di attivare una ispezione per fare piena luce sulle disfunzioni e le carenze al campo CARA di Isola Capo Rizzuto e valutare la eventuale nomina di un commissario ad acta che provveda ad una gestione conforme alla normativa vigente;
   se si darà seguito, come auspicabile, alla richiesta del garante della Calabria e degli altri garanti regionali di annoverarli tra i soggetti legittimati all'accesso ai centri di accoglienza profughi, in ragione delle specifiche competenze loro attribuite con riferimento all'esigenza di tutela dei minori, anche stranieri, comunque presenti sui territori regionali. (4-01978)

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Caparini n. 1-00210 del 17 ottobre 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Di Gioia n. 2-00211 del 17 settembre 2013;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Latronico n. 5-01267 del 23 ottobre 2013;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Grimoldi n. 5-01268 del 23 ottobre 2013;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Braga n. 5-01269 del 23 ottobre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Lacquaniti e altri n. 5-00318 del 12 giugno 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02297.
   interrogazione a risposta in Commissione Rigoni e Manfredi n. 5-00581 dell'11 luglio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02289.
   interrogazione a risposta in Commissione De Menech e Civati n. 5-00788 del 30 luglio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02290.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza urgente De Mita e Dallai n. 2-00251 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 97 del 15 ottobre 2013. Alla pagina 5782, prima colonna, alla riga decima, deve leggersi: «(2-00251) «De Mita, Dellai»» e non «(2-00251) «De Mita, Dallai»», come stampato.