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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 22 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la filiera bieticolo-saccarifera nazionale, che rappresenta un comparto importante dell'economia agricola nazionale, con oltre dieci mila aziende, i cui insediamenti produttivi sono diffusi nell'ambito territoriale del Paese su otto regioni, ha conosciuto una profonda ristrutturazione dal 2006 ad oggi;
    tale riorganizzazione che ha ridisegnato il regime delle quote di produzione, ha prodotto effetti destabilizzanti per il settore, con elevati livelli di perdita di competitività, nonostante gli operatori industriali abbiano proseguito, anche di recente, a nutrire interesse per il mercato bieticolo-saccarifera, attraverso ingenti investimenti pari a circa 200 milioni di euro, finalizzati al miglioramento della competitività e all'incremento di quote di mercato;
    la parte agricola, in particolare, nonostante la suindicata ristrutturazione del 2006, ha anch'essa proseguito ad investire importanti risorse per la crescita e lo sviluppo, finalizzate a consentire continuità per un settore, che garantisce la produzione di un terzo del fabbisogno nazionale, a cui si aggiunge l'ulteriore capacità di trasformazione dello zucchero grezzo extra comunitario;
    il timore della deregulation e della scarsa competitività della produzione europea, uno scenario di forte mutamento del mercato, gli effetti della crisi economica recessiva, che persistono insistentemente, rischiano attualmente di determinare gravi ripercussioni sul futuro del settore, attraverso l'abbandono di una consistente superficie di terreno coltivato e la conseguente perdita di numerosi posti di lavoro;
    ai suesposti profili di criticità, si affiancano inoltre, ulteriori timori ed incertezze per il comparto bieticolo-saccarifera, nell'ambito delle recenti decisioni stabilite dai negoziati europei della PAC (politica agricola comune), con particolare riferimento al regolamento sull'organizzazione comune di mercato unica e più specificatamente, per le previsioni dello zucchero;
    quanto previsto dal Consiglio dei Ministri dell'agricoltura e dal Parlamento europeo il 26 giugno, nell'ambito della più ampia riforma della politica agricola comune, rischia infatti di avere conseguenze negative e pesanti per il settore suindicato, nonché per l'intero approvvigionamento del mercato;
    la conclusione del regime delle quote anticipata al 30 settembre 2017, così come è emerso dall'accordo del Consiglio agricolo europeo, a giudizio degli stessi produttori, rischia pertanto di ridurre in modo drastico, i tempi a disposizione delle imprese agricole e di trasformazione, per adeguarsi alle esigenze del nuovo contesto richiesto dal mercato;
    la scadenza suindicata ha previsto infatti, che nell'ambito dell'Unione europea, le quote di produzione di zucchero, cessino proprio nel 2017, introducendo di seguito, un processo di liberalizzazione scomposto, privilegiando in tal modo, alcuni Paesi dell'Europa continentale, che per ragioni naturali e strutturali godono di condizioni produttive nettamente migliori di quelle italiane;
    come precedentemente riportato, la decisione adottata nell'accordo del 26 giugno 2013, che di fatto elimina la garanzia della produzione di zucchero dal 2017, rischia pertanto di bloccare il processo evolutivo e vanificare gli sforzi anche finanziari, fino ad oggi compiuti dalle imprese del comparto;
    all'interno del settore, la medesima delibera potrebbe infatti determinare una situazione di tensione e di incertezza tale da compromettere la prosecuzione dell'attività produttiva, in considerazione degli scenari negativi che si manifesterebbero in Italia, con la cessazione del regime delle quote e come peraltro a partire dal 2006, dimostra la chiusura di quindici zuccherifici, i cui effetti hanno avviato un processo economico destabilizzante per il comparto e l'intera filiera;
    nelle tre campagne che precedono il 2017, appare quindi indifferibile ed essenziale, prevedere per gli attori della filiera interessata, azioni volte a determinare con efficacia la prosecuzione dei loro programmi di ammodernamento e miglioramento produttivo, rinviando ogni decisione di inizio del nuovo regime;
    il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali De Girolamo, nel corso del negoziato europeo, ha rappresentato l'opportunità di attivare uno strumento normativo ad hoc, attraverso l'introduzione di un nuovo fondo di ristrutturazione comunitario, avente caratteristiche analoghe a quello istituito nel 2006 e finalizzato a garantire una compensazione economica per quegli operatori del settore che nel 2017, dovessero constatare il peggioramento delle condizioni economiche e abbandonare il mercato specifico;
    misure volte ad assicurare una produzione nazionale di qualità, nel rispetto delle priorità sociali ed ambientali, unitamente ad interventi in grado di prevedere modalità di approvvigionamento per il mercato in maniera stabile e sicura per una commodity strategica, quale lo zucchero, evitando pratiche di concorrenza sleali causate dalle importazioni soprattutto extra comunitarie, appaiono pertanto indispensabili, al fine di trasmettere un segnale positivo per lo sviluppo della filiera bieticolo-saccarifera;
    in considerazione delle criticità suesposte, risulta urgente e necessario prevedere interventi volti all'individuazione di misure idonee ed adeguate, in grado di sostenere l'intera filiera bieticolo-saccarifera nazionale, finalizzate a non disperdere la capacità produttiva di grande interesse, per l'economia ed il sistema occupazionale del Paese, e superare le articolare problematiche in precedenza esposte,

impegna il Governo:

   ad intervenire in sede europea al fine di prevedere un differimento dei processi decisionali e temporali esposti in premessa, che indicano quale data di cessazione delle quote previste di produzione dello zucchero il 2017;
   a favorire iniziative volte a prevedere il saldo del debito relativo al completamento degli aiuti nazionali per gli anni 2009 e 2010 attesi dall'intera filiera produttiva bieticolo-saccarifera, il cui impegno peraltro è stato già confermato dal Comitato interministeriale istituito dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge del 10 gennaio del 2006, n. 2, al fine di fronteggiare la grave crisi del settore bieticolo-saccarifero, nonché a più riprese anche dal Parlamento;
   a prevedere l'incremento del sostegno accoppiato alla bieticoltura nazionale, così come stabilito dall'attuale articolo 68 (articolo 39 della proposta di regolamento) che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto agli agricoltori nell'ambito della politica agricola comune;
   a stabilire misure di supporto a sostegno del progetto, in fase di elaborazione, finalizzato all'accrescimento della competitività del settore bieticolo;
   ad intervenire in sede europea al fine di prevedere l'istituzione di un fondo specifico, come esposto in premessa, finalizzato ad attenuare l'inevitabile impatto sociale conseguente a una eventuale ristrutturazione del settore, anche avvalendosi delle risorse finanziarie già esistenti presso il bilancio comunitario – FEOGA, senza ulteriori oneri a carico degli operatori che proseguono la produzione saccarifera;
   a prevedere misure necessarie per consentire un adeguato approvvigionamento della raffineria di Brindisi, la cui capacità produttiva (impianto unico in Italia e secondo e secondo in Europa), raggiunge oltre 495 mila tonnellate di zucchero all'anno, di cui l'85 per cento è commercializzato in Italia ed il restante nei mercati esteri;
   ad intervenire in sede europea, al fine di prevedere dal 2013 al 2017 e possibilmente oltre, un rafforzamento delle misure a tutela della qualità e della sicurezza dell'intera filiera bieticolo-saccarifera, e ridurre la capacità di penetrazione di prodotti di scarsa qualità derivanti dalla concorrenza sleale o meramente speculativa, proveniente da Paesi extra-Unione europea.
(7-00141) «Faenzi, Bosco, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Romele, Russo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari europei, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la procedura di infrazione comunitaria n. 2008/4908 relativa al regime normativo vigente nel nostro Paese in materia di concessioni balneari è stata avviata, nel febbraio 2009, dalla Commissione europea in relazione all'incompatibilità del sistema di attribuzione delle concessioni demaniali marittime per finalità ricreative, con il cosiddetto diritto di stabilimento protetto allora dall'articolo 43 del Trattato della comunità europea (ora articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea);
   nella procedura di infrazione venivano contestate, in modo particolare, l'articolo 37 del Codice della navigazione e le disposizioni della legge n. 493 del 1994, allora vigenti, che riconoscevano il cosiddetto diritto di insistenza ossia un sistema di preferenza per il concessionario uscente e, a seguito delle modifiche introdotte con la legge 16 marzo 2001, n. 88, il rinnovo automatico delle concessioni della durata di 6 anni;
   l'Italia è intervenuta a rimuovere le cause all'origine della procedura di infrazione inserendo all'articolo 1, comma 18 del decreto-legge, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 194 del 2009, una disposizione con la quale è stata abrogata la parte dell'articolo 37 del Codice della navigazione che riconosceva il diritto di insistenza, e nello stesso tempo è stato stabilito che le concessioni in essere alla data in vigore del decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fossero prorogate fino a quella data;
   in sede di conversione dello stesso decreto-legge n. 194 del 2009, è stato modificato l'articolo 1 comma 18 stabilendo che erano fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 03, comma 4-bis della citata legge n. 493 del 1993 e dunque richiamando, indirettamente, l'articolo 01 comma 2, della stessa legge, che fissava in 6 anni la durata delle concessioni e ne prevedeva il rinnovo automatico alla loro scadenza;
   alla luce di questa disposizione, la commissione ha provveduto, in data 5 maggio 2010, a inviare una lettera di messa in mora complementare con la quale, oltre a mantenere aperta la procedura di infrazione – in considerazione al fatto che l'ordinamento italiano conservava ancora una norma che autorizzava il rinnovo automatico delle concessioni demaniali – rilevava come l'ordinamento italiano in materia si ponesse in contrasto con l'articolo 12 della direttiva servizi n. 2006/123/CE (la cosiddetta Direttiva Bolkenstein), che era entrata in vigore a partire dal 28 dicembre 2009;
   l'articolo 12 della direttiva servizi prevede, infatti, che «qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità all'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento» e che «l'autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico, né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami»;
   l'Italia è intervenuta, di nuovo, per rimuovere le cause alla base della procedura di infrazione n. 2008/4908 approvando all'interno della legge comunitaria 2010 (legge 15 dicembre 2011, n. 217, articolo 11) alcune modifiche alla citata legge n. 494 del 1993 e nello specifico abrogando il già richiamato comma 2 dell'articolo 01 e tutti i richiami a quest'ultimo comma, contenuti all'interno della stessa legge;
   con il comma 2 del citato articolo 11 della legge n. 217 del 2011, il Governo è stato delegato ad adottare un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime secondo princìpi e criteri direttivi elencati nello stesso comma 2;
   tra i princìpi e i criteri direttivi elencati nell'articolo 11 della legge n. 217 del 2011, ai quali il Governo doveva conformare il decreto legislativo delegato, sono stati inseriti, tra gli altri, i princìpi di concorrenza e di libertà di stabilimento;
   a seguito dell'approvazione e dell'entrata in vigore della legge 15 dicembre 2011. n. 217, la Commissione europea, in data 27 febbraio 2012, ha chiuso la procedura di infrazione n. 2008/4908;
   in base al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42, è stata disciplinata l'attribuzione dei beni statali, ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni stabilendo, all'articolo 3, il trasferimento alle regioni dei beni del demanio marittimo;
   in base all'articolo 4 comma 1 del citato decreto legislativo n. 85 del 2010, è stato stabilito che i beni appartenenti al demanio marittimo non entrano a far parte del patrimonio disponibile delle regioni e che restano assoggettati alle disposizioni del codice civile, del codice della navigazione, dalle leggi statali, regionali e dalle norme comunitarie di settore con particolare riferimento a quelle di tutela della concorrenza;
   da notizie di stampa si apprende che il Sottosegretario all'economia Baretta ha incontrato, in diverse occasioni, le organizzazioni di categoria interessate a un riordino della materia e in particolare alla risoluzione dei problemi discendenti dall'approssimarsi del termine di scadenza delle concessioni demaniali in essere – fissato al 31 dicembre 2015 – dall'impossibilità di procedere al rinnovo automatico delle stesse concessioni, dall'obbligo di procedere all'assegnazione delle stesse concessioni con procedure ad evidenza pubblica e dall'assenza di un quadro normativo che regoli la situazione giuridica dei soggetti che attualmente sono titolari di concessioni demaniali in scadenza;
   negli incontri con le organizzazioni sindacali, anche in occasioni di manifestazioni pubbliche, il Sottosegretario all'economia Baretta ha reso note le linee guida di un riordino della legislativa relativa alle concessioni demaniali marittime, che prevede:
    a) la sdemanializzazione delle aree frontali delle spiagge dove insistono gli immobili dello stabilimento e la loro cessione a un prezzo calmierato – da definirsi a livello nazionale – con diritto di prelazione a beneficio del concessionario uscente;
    b) l'assegnazione della parte restante dell'area demaniale con meccanismo che riconoscano un diritto di prelazione ai soggetti che acquistano la parte della spiaggia retrostante «sdemanializzata»;
   la procedura di infrazione comunitaria n. 2008/4908 è avviata per violazione del principio della libertà di stabilimento delle imprese comunitarie protetto dall'articolo 43 del Trattato della Comunità Europea (articolo 49 TFUE);
   l'articolo citato vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e dunque ogni disposizione con la quale uno Stato, entro i proprio confini nazionali, limiti e/o restringa la possibilità, per gli imprenditori provenienti da un altro stato dell'Unione, di accedere alle attività autonome e al loro esercizio e di costituire e gestire imprese e società –:
   se ritengano che la cessione, a prezzi inferiori a quelli di mercato, di beni statali – per giunta già trasferiti alle regioni, in base al decreto legislativo n. 85 del 2010 – con procedure preordinate ad assicurare l'acquisizione degli stessi beni da parte dei soggetti che, attualmente, vi conducono un'attività economica in forza di concessione demaniale, non esponga l'Italia all'ennesima procedura di infrazione da parte delle autorità comunitarie.
(2-00262) «Mannino, Busto, Daga, Segoni, Terzoni, De Rosa, Zolezzi, Tofalo, Nuti, Lupo, Carinelli, Cozzolino, Nesci, Spessotto, D'Uva, De Lorenzis, Paolo Nicolò Romano, Parentela, Grillo, Lorefice, Turco, Colonnese, Di Vita, Bechis».

Interrogazioni a risposta scritta:


   GENTILONI SILVERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, recante norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, il Governo è intervenuto nel tema allo scopo di sanare gli effetti della procedura d'infrazione n. 2009/2255, aperta dalla Commissione europea in quanto lesiva della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   l'articolo 2, comma 1, prevede che con uno o più regolamenti, adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri siano individuati «le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, nonché la tipologia di atti o operazioni all'interno di un medesimo gruppo ai quali non si applica la disciplina di cui al presente articolo»;
   il comma 9 dello stesso articolo 2 prevede infine che con regolamento, ugualmente adottato con decreto del Presidente della Repubblica di cui al comma 1 dell'articolo 17, della legge n. 400 del 1988, siano emanate le necessarie disposizioni di attuazione, «anche con riferimento alla definizione, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, delle modalità organizzative per lo svolgimento delle attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali previsti dal presente articolo»;
   i regolamenti di cui al primo periodo dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, necessari ai fini dell'individuazione delle reti e degli impianti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale, avrebbero dovuti essere adottati entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, ossia nel luglio del 2012;
   in data 30 settembre 2013, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto del 2012, disciplinante i poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, il Governo ha trasmesso alle Camere uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante modifiche al precedente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 novembre 2012, n. 253 («Regolamento recante individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, a norma del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56»);
   in base all'articolo 1 del recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri suddetto, e per il quale in data 26 settembre 2013, il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole, è aggiunto al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 novembre 2012, n. 253, dopo il comma 2, un comma 2-bis in virtù del quale «Ai fini dell'esercizio dei poteri speciali di cui all'articolo 1 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, rientrano negli attivi di rilevanza strategica nel settore delle comunicazioni le reti e gli impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga»;
   nonostante l'emanazione governativa di quest'ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un regolamento adottato mediante decreto del Presidente della Repubblica, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, dovrà comunque essere emanato ai fini dell'attuazione dell'articolo in questione;
   nel corso del Consiglio dei ministri n. 29 del 9 ottobre 2013 sono stati esaminati tre decreti del Presidente della Repubblica, a norma dell'articolo 1, comma 8 e dell'articolo 2, comma 1 e 9, del decreto n. 21 del 2012, ma essi non sono stati ancora approvati e quindi trasmessi alle Camere per il prescritto parere;
   il 24 settembre 2013 è stato stipulato un accordo tra la spagnola Telefonica e i soci italiani di Telco (Generali, Mediobanca, Intesa Sanpaolo) con il quale di fatto, attraverso un aumento di capitale in Telco, si consente alla società madrilena di raggiungere il 66 per cento della holding che controlla Telecom;
   in base all'accordo di cui sopra, da un lato, dal 1o gennaio 2014, Telefonica potrà esercitare la call option concessa e acquistare per cassa tutte le azioni dei soci italiani in Telco, mentre dall'altro, ai sensi dell'articolo 21, lettera c) del contratto ad essa verrebbe riservata la possibilità di un’exit strategy attraverso la previsione secondo la quale «Nel caso in cui qualsiasi Autorità competente e/o Antirust, imponga, in relazione al secondo aumento di capitale riservato, restrizioni, limitazioni o altri provvedimenti, Telefonica avrà il diritto, a proprio insindacabile giudizio, di accettare tali restrizioni, limitazioni o altri provvedimenti ovvero di non procedere al secondo aumento di capitale» –:
   quale sia stata la ragione del ritardo di oltre un anno nel varo dei regolamenti attuativi del golden power;
   se il meccanismo normativo individuato e giustificato con l'esigenza di velocizzare il procedimento attuativo del golden power, anche alla luce dell'accordo tra Telco e Telefonica, non rischi invece di produrre un effetto opposto a quello auspicato, provocando un ulteriore rallentamento nelle procedure d'attuazione;
   quando il Governo intenda approvare e trasmettere alle Camere gli schemi di decreto del Presidente della Repubblica solo esaminati nel corso del Consiglio dei ministri n. 29 e necessari allo scopo di definire, nelle disposizioni di attuazione, le modalità organizzative per lo svolgimento delle attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali riconosciuti;
   se il Governo sia in grado di garantire la conclusione almeno prima del 1o gennaio dell'intero iter di un provvedimento che potrebbe rilevarsi fondamentale nelle operazioni che attualmente vedono protagonista una società di indubbio interesse strategico per il Paese. (4-02242)


   CAPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2014 i lavoratori dell'Alcoa di Portovesme saranno messi in cassaintegrazione. La notizia è arrivata in questi giorni con la comunicazione ai sindacati dell'avvio delle procedure di licenziamento collettivo da parte dei vertici dell'azienda;
   come hanno affermato i rappresentati dei sindacati ci sono ora 75 giorni di tempo per evitare che i lavoratori escano dal circuito produttivo e finiscano in mobilità. Il primo problema da affrontare è quello degli ammortizzatori sociali perché deve essere ricontrattata la proroga della cassa integrazione;
   a questa notizia drammatica per la situazione che ha coinvolto l'Alcoa in questi ultimi anni va ad aggiungersi la notizia del 17 ottobre inerente la sentenza della Corte di giustizia europea in materia di tariffe energetiche agevolate;
   si legge nella sentenza che: «L'Italia è venuta meno al proprio obbligo di recuperare gli aiuti di Stato concessi all'Alcoa sotto forma di tariffa agevolata per l'elettricità». Così ha sentenziato la Corte riguardo a un ricorso presentato dalla Commissione Europea nei confronti dell'Italia;
   l'Alcoa dal 1996 ha beneficiato di una tariffa agevolata per l'elettricità destinata a due stabilimenti di produzione, uno in Sardegna (Portovesme) e l'altro in Veneto (Fusina), grazie a un contratto con Enel. La tariffa, inizialmente fissata per un periodo di dieci anni, era stata autorizzata dalla Commissione Europea, che aveva ravvisato l'insussistenza di un aiuto di Stato in quanto, all'epoca, si trattava di un'operazione commerciale ordinaria conclusa alle condizioni di mercato;
   la tariffa è stata prorogata a due riprese — prima fino al giugno 2007, poi fino al 2010 — senza essere adattata all'evoluzione del mercato. Nel 2009, la tariffa era sovvenzionata da una tassa imposta ai consumatori di elettricità e non corrispondeva più alle condizioni del mercato. L'importo equivaleva alla differenza tra il prezzo contrattuale pattuito con il fornitore di energia elettrica (Enel) e il prezzo agevolato;
   nel 2009 la Commissione europea ha ritenuto che queste proroghe fossero volte a ridurre i costi operativi dell'Alcoa, procurandole quindi un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Le proroghe «costituivano pertanto aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, che l'Italia doveva recuperare, interessi compresi — sottolinea la Corte —. L'Italia doveva inoltre annullare tutti i pagamenti futuri e comunicare l'importo complessivo dell'aiuto da recuperare, le misure già adottate per conformarsi alla decisione nonché i documenti attestanti che era stato imposto al beneficiario di provvedere al rimborso dell'aiuto»;
   secondo l'Italia, l'importo da recuperare ammontava a circa 295 milioni di euro, di cui 38 milioni di interessi. La Commissione europea, ritenendo che l'Italia non avesse rispettato né l'obbligo d'informazione né l'obbligo di recupero, ha presentato ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia. Nella sua sentenza, la Corte ricorda che «lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare aiuti illegali è tenuto ad adottare ogni misura idonea ad assicurarne l'esecuzione e deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute. Il recupero va effettuato senza indugio e un recupero successivo ai termini impartiti non può soddisfare i requisiti del Trattato»;
   «poiché la decisione 2010/460 è stata notificata il 20 novembre 2009, il termine scadeva pertanto il 20 marzo 2010 — prosegue la Corte —. A tale data non era stato recuperato l'intero aiuto. Al contrario il procedimento di recupero era ancora aperto dopo la proposizione del suddetto ricorso ossia più di due anni e mezzo dopo la notifica della decisione. Secondo costante giurisprudenza, il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre ad un ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione è quello dell'impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di cui trattasi — spiega ancora la Corte di Giustizia Europea;
   tanto nei suoi contatti con la Commissione prima della proposizione del suddetto ricorso quanto nell'ambito del procedimento dinanzi alla Corte, l'Italia non ha mai fatto valere un'impossibilità assoluta di esecuzione della decisione. Essa si è limitata a comunicare alla Commissione difficoltà giuridiche o pratiche, nonché la propria intenzione di giungere a una soluzione negoziata con l'Alcoa»;
   a questo punto, accertato l'inadempimento, «lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza indugio». Se ciò non avverrà, la Commissione e la stessa Corte di giustizia possono infliggere sanzioni pecuniarie;
   la situazione di Alcoa diventa, alla luce dei fatti sopra esposti, difficile ed allarmante ma non solo per i lavoratori di quel settore ma anche per le ripercussioni che una chiusura totale degli stabilimenti può comportare per il nostro Paese;
   le ricadute avranno ripercussioni su tutto il sistema industriale. L'Italia consuma 800 mila tonnellate di alluminio primario e di suoi derivati. È il secondo metallo dopo l'acciaio. Importa l'88 per cento del suo fabbisogno. Senza Alcoa, dovrà importare il 100 per cento. Con una minore specializzazione di leghe e prodotti, non potranno non esservi ripercussioni sulle filiere dell'automotive, dell'ingegneria e delle infrastrutture;
   «il capitolo energia e tariffe è un capitolo a sé» spiegano in una la nota i vertici di Alcoa dopo aver appreso della sentenza. Ma è anche vero che la questione occupazionale si innesta in tale contesto perché il costo dell'energia è stato uno dei motivi che hanno spinto la multinazionale americana a decidere di andarsene dalla Sardegna;
   il sito di Portovesme è oggi chiuso, le celle ormai sono state spente molti mesi fa. Delle tre trattative che sono iniziate con possibili acquirenti, nessuna è andata a buon fine. E all'orizzonte non sembrano esserci nuove manifestazioni di interesse;
   martedì 22 ottobre 2013 è previsto un incontro al Ministero dello sviluppo economico tra azienda e Governo. Scade il 31 dicembre la cassa integrazione per i quasi 500 operai di Portovesme. E sono in corso negoziati per rinnovare di un anno gli ammortizzatori –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di tutelare le legittime aspettative dei lavoratori che rischiano di uscire dal circuito produttivo e salvaguardare da inevitabili ripercussioni negative tutto il tessuto produttivo manifatturiero italiano.
(4-02243)


   PASTORINO, CIVATI, GANDOLFI e GIUSEPPE GUERINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea tutela, all'articolo 1, la dignità umana, agli articoli 6 e 15, il diritto alla libertà e di lavorare e, all'articolo 34, il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale;
   la Costituzione tutela, all'articolo 2, i diritti inviolabili delle persone, tra cui deve includersi il diritto a disporre di mezzi sufficienti a condurre una vita libera e dignitosa, all'articolo 3, il principio di uguaglianza, impegnando la Repubblica ad azioni concrete per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, all'articolo 4, il diritto al lavoro, impegnando la Repubblica a promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto, all'articolo 38, il diritto alla protezione sociale;
   la raccomandazione n. 92/441/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1992, in cui si definiscono i criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale, invita gli Stati membri ad istituire, adeguando per quanto occorra i loro sistemi di protezione sociale secondo una serie di precise indicazioni, dispositivi globali e coerenti di lotta all'emarginazione sociale, al fine di riconoscere il diritto fondamentale delle persone a risorse e prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana;
   la raccomandazione n. 92/442/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1992, relativa alla convergenza degli obiettivi e delle politiche della protezione sociale, invita gli Stati membri a garantire alle persone un livello di risorse conforme alla dignità umana, secondo principi di parità di trattamento ed equità e a criteri di efficienza ed efficacia;
   la decisione n. 1098/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, riguardante l'anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010), si proponeva d'ispirare un dibattito e l'adozione di misure concrete contro la povertà e l'esclusione sociale e a favore della coesione;
   le risoluzioni del Parlamento europeo del 6 settembre 2006, su un modello sociale europeo per il futuro, del 9 ottobre 2008, sulla promozione dell'inclusione sociale e la lotta contro la povertà, inclusa la povertà infantile, nell'Unione europea, del 6 maggio 2009, sull'agenda sociale rinnovata, del 6 maggio 2009, sul coinvolgimento attivo delle persone escluse dal mercato del lavoro, e del 20 ottobre 2010, sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa, chiedono l'adozione di regimi adeguati di reddito minimo garantito, nel quadro di misure concrete volte a contrastare la povertà ed esclusione sociale, rilanciare l'occupazione, favorire l'equità sociale e nella distribuzione dei redditi e assicurare a ciascuno la possibilità di condurre una vita dignitosa;
   la raccomandazione n. 2008/867/CE della Commissione, del 3 ottobre 2008, relativa all'inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del lavoro, invita gli Stati membri ad applicare strategie globali e integrate a favore dell'inclusione attiva delle persone escluse dal mercato dal lavoro, che siano efficaci e s'informino a taluni criteri comuni, le quali, a mercati del lavoro accessibili e servizi di qualità, combinino forme adeguate di sostegno al reddito tali da consentire alle persone di vivere conformemente alla dignità umana;
   la comunicazione n. COM(2010)2020 della Commissione, del 3 marzo 2010, Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, delinea una strategia per la crescita inclusiva e la coesione sociale che include la garanzia di un sufficiente sostegno al reddito, affinché i benefìci della crescita e i posti di lavoro siano equamente distribuiti e tutti possano vivere in condizioni dignitose e partecipare attivamente alla società;
   la decisione n. 2013/208/UE del Consiglio, del 22 aprile 2013, sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, conferma, per il 2013, gli orientamenti contenuti nell'allegato della decisione 2010/707/UE, incluso il numero 10, Promuovere l'inclusione sociale e lottare contro la povertà, il quale prevede, per favorire la coesione sociale e la partecipazione alla società e al mercato del lavoro, che i sistemi di protezione sociale siano modernizzati e resi capaci, restando finanziariamente sostenibili e ispirandosi a princìpi di parità, di fornire un sostegno al reddito adeguato, in particolare di garantire la sicurezza del reddito ai lavoratori durante le transizioni e ridurre la povertà in gruppi a rischio, quali le famiglie monoparentali, le minoranze, i disabili, i bambini e i giovani, gli anziani, gli immigrati regolari e i senzatetto;
   la situazione sociale in Italia è grave, con parte della popolazione che versa in difficili condizioni di vita:
    il tasso di occupazione si attesta sul 61,0 per cento contro il 68,5 per cento dell'Unione europea, e più precisamente è del 71,6 per cento per gli uomini (contro il 74,6 per cento) e appena del 50,5 per cento per le donne (contro il 62,4 per cento), a fronte dell'obiettivo del 75,0 per cento fissato dalla strategia Europa 2020 (dati Eurostat 2012);
    il tasso di persone con un impiego temporaneo è del 13,8 per cento (dato Eurostat 2012);
    il tasso di disoccupazione è del 10,7 per cento, (9,9 per cento per gli uomini e 11,9 per cento per le donne), e quello di disoccupazione di lungo periodo si attesta sul 5,7 per cento (dati Eurostat 2012);
    il tasso di disoccupazione dei giovani sotto i 25 anni è del 35,5 per cento (contro il 22,8 per cento dell'Unione europea), di cui circa la metà sono disoccupati di lungo periodo (dati Eurostat 2012);
    il tasso di giovani sotto i 25 anni che non ha un'occupazione, né segue percorsi d'istruzione o formazione (cosiddetti NEET, «Not in Education, Employment or Training») è del 19,8 per cento (dato Eurostat 2011);
    il rapporto del reddito complessivo del 20 per cento più ricco della popolazione e di quello del 20 per cento più povero è tra i più alti nell'Unione europea, pari a 5,6, contro un livello europeo di 5,1 (dato Eurostat 2011);
    il coefficiente di Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione del reddito a parità di potere d'acquisto, è pari a 31,9, superiore al livello dell'Unione europea che si attesta sul 30,7 (dato Eurostat 2011);
    il tasso di persone occupate che percepiscono un reddito sotto la soglia del rischio di povertà è del 10,7 per cento (dati Eurostat 2011);
    oltre 17 milioni di donne e uomini sono a rischio di povertà o esclusione sociale – un tasso del 28,2 per cento, che sale al 34,3 per cento tra i giovani – e quasi 7 milioni si trovano in condizioni di gravi privazioni materiali (dati Eurostat 2011);
   a ulteriore riprova del peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, una nota dell'Eurispes del 5-IV-2013, nel divulgare le ultime ricerche socio-economiche dell'istituto, rileva che: «7 italiani su 10 hanno visto peggiorare la situazione economica personale (per il 40,2 per cento di molto, per il 33,3 per cento in parte), il 60,6 per cento, 3 su 5, è costretto a intaccare i propri risparmi per arrivare alla fine del mese; il 62,8 per cento ha grandi difficoltà ad affrontare la quarta (quando non la terza) settimana; il 79,2 per cento non riesce a risparmiare, questo vuol dire che solo 1 su 5 riesce a mettere qualcosa da parte. La perdita del proprio potere d'acquisto è invece una realtà per il 73,4 per cento degli italiani che nel corso dell'ultimo anno ne hanno constatato una diminuzione (il 31 per cento molto, il 42,4 per cento abbastanza)»;
   la crisi sociale ed economica colpisce in un contesto di progressivo smantellamento degli strumenti di protezione sociale, in particolare a livello comunale, che è avvenuto nell'ultimo quinquennio a causa d'ingenti tagli ai finanziamenti e dell'eccessivo rigore di bilancio imposto dalle regole del patto di stabilità interno;
   il quadro attuale degli strumenti di protezione sociale persegue differenti fini meritevoli e giusti, ma senza omogeneità e universalità – ad esempio, per quanto riguarda la cassa integrazione, che non interessa tutte le categorie di lavoratori, o le varie forme di detrazioni fiscali, che sono in parte vanificate dal fenomeno dell'incapienza –, così anche prestandosi a sprechi e abusi e perdendo di efficacia; 
   l'Italia è l'unico Stato membro, oltre alla Grecia, a non aver dato seguito agli indirizzi dell'Unione europea in materia di reddito minimo garantito, pur a oltre vent'anni dall'adozione della raccomandazione 92/441/CEE;
   è stata presentata, il 15 aprile 2013, una proposta di legge d'iniziativa popolare volta all'istituzione del reddito minimo garantito (A.C. 751);
   è necessario un intervento tempestivo, incisivo e strutturale volto a riformare gli strumenti di protezione sociale, secondo criteri di ragionevolezza, efficienza, prevenzione degli sprechi e degli abusi ed equità, al fine di assicurare una garanzia universale ed equa, non incondizionata, contro la povertà e l'esclusione sociale, per il sostegno al reddito e per l'aiuto all'accesso al lavoro;
   la riforma degli strumenti di protezione sociale e l'introduzione del reddito minimo garantito devono avvenire nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e degli obblighi e impegni cui l'Italia è chiamata dall'ordinamento europeo e dare luogo a un sistema finanziariamente sostenibile –:
   se il Governo intenda assumere, al fine di sostenere l'occupazione e l'uguaglianza, contrastare la povertà e l'esclusione sociale, promuovere la coesione sociale, garantire la dignità delle persone e favorire la partecipazione di tutti alla vita della società, in conformità della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, articoli 1, 6, 15 e 34, e della Costituzione, articoli 2, 3, 4 e 38, un'iniziativa normativa volta a introdurre in Italia l'istituto del reddito minimo garantito, secondo i numerosi indirizzi dettati dall'Unione europea, segnatamente la raccomandazione 92/441/CEE, e tale che, in particolare:
    a) costituisca uno strumento universale di tutela, essendone beneficiatario chiunque risieda regolarmente in Italia da un tempo minimo, idoneo a garantire un legame col territorio, e, come singolo o appartenente a un nucleo familiare, percepisca redditi e goda di un patrimonio, mobiliare o immobiliare, per un valore inferiore a una determinata soglia, sufficiente a condurre una vita libera e dignitosa;
    b) preveda un'età minima di accesso, idonea ad aiutare i giovani nell'inserimento nel mondo del lavoro, offrirgli un'adeguata tutela contro i fenomeni di precarizzazione e sostenerli nel dar vita alle loro famiglie;
    c) si caratterizzi come un diritto soggettivo individuale;
    d) preveda maggiorazioni nei casi di genitori con figli a carico, secondo l'età e il numero, inclusi i genitori senza coniuge o compagno, e familiari di persone con disabilità o non autosufficienti;
    e) preveda, per i beneficiari che non abbiano raggiunto l'età della pensione, l'obbligo di essere iscritti presso le liste di collocamento e partecipare a percorsi di formazione e inserimento lavorativo volti a svilupparne sia le passate esperienze, sia le competenze, nonché l'immediata decadenza dal diritto qualora rifiutino l'iscrizione nelle liste o la partecipazione ai corsi oppure proposte d'impiego congrue alle loro competenze;
    f) sia affiancato, ai fini del collocamento e della formazione dei lavoratori indicati dalla lettera e) – che sono condizioni necessarie per la reale efficacia dello strumento –, da un'adeguata riforma dei sistemi di collocamento e formazione professionale;
    g) includa un efficace e benevole meccanismo di adornamento periodico tale da garantire la sostenibilità economica globale dello strumento e l'adeguatezza del reddito corrisposto a ciascuna persona interessata;
    h) preveda un sistema di accesso allo strumento semplice ed efficiente anche mediante procedure informatizzate, e basato su criteri omogenei in tutto il territorio nazionale e una prova rigorosa e adeguata del possesso effettivo dei requisiti per la titolarità del diritto;
    i) includa meccanismi effettivi, anche monetari, per incentivare le pubbliche amministrazioni alla più efficace ed efficiente attuazione dello strumento, con riferimento sia alle strategie di attivazione e gestione, sia alla prevenzione degli errori e abusi nell'individuazione dei beneficiari e nell'erogazione;
    l) preveda rigorose clausole contro gli abusi, incluse verifiche periodiche e comunque annuali dei requisiti per la titolarità e la decadenza dal diritto per chi cessi dagli stessi o ne abbia dichiarati di falsi, sanzioni efficaci e dissuasive, nonché forme adeguate di controllo, in particolare mediante il ricordo a strumenti informatici;
    m) si regga sul finanziamento dello Stato con la compartecipazione di regioni e comuni;
    n) sostituisca gli attuali strumenti di protezione sociale, quali la cassa integrazione guadagni, l'indennità di disoccupazione e mobilità, le pensioni sociali, gli assegni sociali, le integrazioni al trattamento minimo, gli assegni di assistenza, le indennità di frequenza, le pensioni di inabilità, le indennità di accompagnamento e anche, laddove opportuno, le varie forme di detrazioni fiscali;
    o) sia introdotto nella più stretta cooperazione con regioni ed enti locali, in modo da non causare ingestibili oneri amministrativi e finanziari a carico delle pubbliche amministrazioni;
    p) sia introdotto con la debita gradualità e attenzione, in modo da non causare peggioramenti delle condizioni per le persone le quali ricevono alcuni dei benefici attuali e, in particolare con riferimento alla cassa integrazione guadagni, tenendo conto del contesto economico;
    q) sia introdotto a un livello inizialmente ridotto, destinato a incrementare in funzione del miglioramento dell'efficacia e amministrazione dello strumento;
    r) sia introdotto assieme alla prescrizione di un salario minimo orario, che trovi applicazione a ogni prestazione di lavoro. (4-02244)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per l'integrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo molteplici fonti di stampa, l'inizio dell'anno scolastico in corso è stato tristemente segnato dal verificarsi di episodi di richieste di ritiro di alunni da parte delle famiglie, da classi in cui erano presenti bambini stranieri o disabili (parliamo di disabilità mentali, come la sindrome di Down o l'autismo);
   ne è esempio il caso ormai noto della scuola elementare Gennaro Sequino, a nord di Napoli nella quale un gruppo di genitori ha, per l'appunto, deciso di trasferire i propri figli in altri istituti della zona perché non volevano che frequentassero la stessa classe di un alunno autistico: padri e madri si sono recati dalla direttrice dell'istituto e hanno chiesto il nullaosta per il trasferimento dei figli in altre sezioni, dove non fossero presenti bambini affetti da autismo. Richieste che sono state respinte dalla dirigente scolastica Maria Loreta Chieffo che però alla fine ha dovuto cedere al trasferimento degli alunni in altre scuole del territorio. I ragazzi che hanno lasciato la scuola sono stati 6 su 20, ma molti erano pronti a fare nuove richieste;
   altro esempio, che riguarda in questo caso i bambini stranieri, è quello di Corti, frazione di Costa Volpino, nel Bergamasco, il più grosso centro dell'Alto Sebino, dove i genitori italiani ritirano i figli dalla scuola, perché nell'unica prima c'erano «troppi stranieri in classe»: sette bambini italiani, e 14 iscritti stranieri soprattutto africani (in gran parte marocchini) con qualche albanese e rumeno –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e se non intendano intervenire affinché il clima di crescente e pericolosa intolleranza che sembra si stia diffondendo proprio in un ambiente importante come la scuola venga monitorato con la dovuta attenzione e arginato con politiche e iniziative adatte allo scopo. (4-02246)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOFALO, TERZONI, DAGA, SEGONI, BUSTO, BENEDETTI, PARENTELA, DI BATTISTA, DE ROSA, LUIGI DI MAIO, DEL GROSSO, D'AMBROSIO e COLONNESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la discarica adibita a rifiuti solidi urbani in località Grataglie tra i comuni
di Eboli e Battipaglia è operativa dal 21 marzo 1980 per effetto di un decreto del prefetto di Salerno, su richiesta del comune di Battipaglia, il quale individuava e autorizzava a tale scopo un'area inferiore, alla grandezza attuale della discarica, ricadente solo nel comune di Battipaglia e non su quello ebolitano; tale decreto è da ritenersi di fatto decaduto per l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, che ha introdotto nuove prescrizioni in tutela ambientale per l'ubicazione delle discariche di rifiuti solidi urbani;
   il 6 gennaio 1984 la discarica risulta ancora operante anche sul territorio di Eboli, grazie ad una ordinanza sindacale del comune di Eboli che ne dispone l'utilizzo per rifiuti solidi urbani;
   la discarica è posta su una falda acquifera e alla sua costruzione non è stata prevista la geomembrana – strato di materiale sintetico utilizzato nelle discariche come barriera sia di fondo che di copertura; tramite analisi si è evidenziato che ha già provocato una alterazione in ammoniaca ed è presente una consistente carica batteriologica; vista l'elevata permeabilità della zona circostante, circa il 90 per cento, ne scaturisce un pericolo per la falda stessa e per la popolazione che ne fa utilizzo;
   le zone interessate si trovano nei territori catalogati dalla Unione europea come siti SIC (siti d'interesse comunitario), per la precisione: fasce litoranee a destra e a sinistra della foce del fiume Sele (allegato: IT8050010) e fiume Sele (allegato: IT8050049) ricadenti nella «Riserva naturale foce Sele e Tanagro» Monti di Eboli (allegato: IT8050052) che risiedono invece nel «Parco dei monti Picentini»;
   in breve, i siti interessati sono i seguenti:
    due discariche da bonificare in località Castelluccio;
    due vasche usate per lo stoccaggio durante l'emergenza del 2008, mai bonificate;
    tre aree di stoccaggio da bonificare (via Filigalardi, viale Danimarca e via Bosco II);
    impianto S.T.I.R;
    impianto Nappi Sud;
    impianto Sele Ambiente;
    alcune cave abusive dove sarebbe stata riscontrata la presenza di rifiuti tossici (ci sono in corso inchieste e processi al riguardo);
   nel raggio di 10 chilometri si trovano altresì:
    discarica di Parapoti satura da bonificare (Montecorvino Pugliano);
    discarica di Macchia Soprana sotto sequestro (Serre);
    discarica di Basso dell'Olmo (Campagna);
    area di stoccaggio «EcoBalle» «Coda di Volpe» a pochi passi dalla foce del fiume Sele (Eboli) –:
   se si intenda promuovere una verifica del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente presso i siti di cui in premessa al fine di verificarne lo stato ed individuare eventuali fattori di rischio per la salute dei cittadini e per l'ambiente.
(4-02239)


   NICCHI e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Regolamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 10 agosto 2012, n. 161, disciplina l'utilizzazione delle terre e rocce da scavo, e autorizza, a determinate condizioni e presupposti, la «trasformazione» dei rifiuti da scavo in «sottoprodotti» consentendo, tra l'altro, il loro conferimento in luoghi diversi dalle discariche. Successivamente al Regolamento si sono succedute una serie di modifiche legislative e integrazioni alla normativa in esame;
   l'articolo 1 del suddetto decreto ministeriale 161/2012, afferma che «I materiali da scavo possono contenere, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi previsti dal presente Regolamento, anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato». Questo significa che il livello di inquinamento non viene stabilito in ogni singolo lotto di terra, ma sull'intera massa prodotta. Il campionamento degli inquinanti sarà compiuto ogni 5.000 metri cubi di terra prodotta, ma il livello in base al quale il materiale potrà essere considerato «rifiuto» — da conferire in discarica — sarà sull'intera massa prodotta. Quindi si potranno avere molte analisi che stabiliscono un lotto contaminato, ma si potrà decidere il suo conferimento in discarica solo se tutto il materiale avrà concentrazioni superiori a quelle prescritte;
   nel luglio 2012 l'Associazione ambientalista fiorentina IDRA, aveva presentato ricorso alla Commissione europea relativamente al suddetto Regolamento del Governo italiano, all'epoca ancora al vaglio della Commissione Europea, sulle procedure di smaltimento «delle terre e rocce di scavo». Il rischio era che, con l'approvazione del Regolamento, si liberalizzasse l'utilizzo di «terre e rocce da scavo», anche inquinate, tramite artifizi normativi in aperto contrasto con le attuali norme europee in materia di rifiuti direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008). In detto esposto, è stato precisato altresì come questo regolamento, se approvato, avrebbe consentito di utilizzare materiali di diverse tipologie, non classificabili come semplici «terre e rocce da scavo», per la realizzazione di varie opere. Il rischio concreto che ne poteva derivare era quello di rendere esenti diverse categorie di rifiuti dalle disposizioni delle normative europee;
   nel luglio 2012 l'Eurodeputato Andrea Zanoni, aveva scritto al Commissario per l'ambiente della Commissione europea Potocnik, chiedendo di valutare attentamente il testo del Regolamento suddetto — all'epoca non ancora approvato — affinché potesse essere respinto ogni tentativo di elusione delle norme contenute nelle vigente direttive europee in materia di rifiuti;
   nell'ottobre 2012 il Commissario per l'ambiente della Commissione europea Potocnik in risposta a una interrogazione della Presidente della Commissione antimafia europea Sonia Alfano che aveva sollevato la questione della sospetta incompatibilità fra il decreto ministeriale all'epoca ancora in via di approvazione, che regolamenta in Italia le procedure di smaltimento delle «terre e rocce da scavo» e la normativa comunitaria, dichiarava che «I servizi della Commissione stanno attualmente valutando se il progetto di decreto sia compatibile, in particolare, con l'articolo 5 della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, che stabilisce le condizioni in base alle quali una sostanza o un oggetto può essere considerata/o come sottoprodotto»;
   i sindaci dei comuni di Cavriglia nei quali è prevista la realizzazione di tre «colline schermo» per un totale di 3.550.000 di metri cubi (oltre tre milioni e mezzo; una collina di 1.350.000 m3, una di 2 milioni, una di 200.000) hanno espresso preoccupazione. Il sindaco Viligiardi, di San Giovanni, ha affermato che farà monitorare e controllare le terre che arriveranno in Valdarno e che, anche se autorizzate dal nuovo decreto su terre e rocce di scavo non saranno accettate terre contaminate. Così il sindaco Mauro Ferri, di Cavriglia, che pretende terre pulite per le colline artificiali che si dovranno realizzare con i materiali fiorentini indipendentemente dal nuovo decreto;
   il comitato contro il sottoattraversamento A.V. di Firenze teme che il decreto ministeriale n. 161 del 2012 sia uno strumento normativo dannoso che servirà a smaltire terreni inquinati con il principio della diluizione;
   in data 18 ottobre 2013, in occasione dell'incontro fra il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Procuratore della Repubblica Quattrocchi che indaga sull'appalto TAV di Firenze, il Ministro Orlando ha affermato di aver chiesto il colloquio perché — «è in corso il riordino della disciplina delle terre e rocce di scavo». E fra i problemi sollevati dall'inchiesta TAV c’è anche quello della lottizzazione della Commissione per l'impatto ambientale del Ministero, con il conseguente rischio di inquinamento dei pareri su opere che possono incidere pesantemente sull'ambiente –:
   se, anche alla luce di quanto esposto in premessa, non si intenda rivedere la materia complessiva relativa alla disciplina delle terre e rocce di scavo, a maggiore garanzia e tutela dei cittadini e dell'ambiente, anche attraverso una intensificazione dei controlli ministeriali, in raccordo con le agenzie regionali per l'ambiente, al fine di verificare la reale composizione dei materiali da scavo, e il pieno rispetto della normativa ambientale. (4-02241)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il prestigioso Palazzo Grillo, situato a via Re Ruggero II e via Donadio nel borgo medievale di Prata Principato Ultra (Avellino) è una delle dimore signorili più significative dell'Irpinia per il suggestivo contesto ambientale e paesaggistico, per la ricca stratificazione archeologica e architettonica, per gli apparati decorativi e ornamentali scultorei, pittorici, pavimentali risalenti al Seicento e Settecento;
   l'edificio monumentale di proprietà comunale, costruito su resti di età normanna-sveva e angioina ancora tutti da indagare e valorizzare, è un vasto complesso di impronta rinascimentale, poi rivisitato in chiave barocca, frutto di un lungo processo evolutivo iniziato nel XV secolo e portato a compimento in massima parte dopo il sisma del 1732 da Francesco Grillo, discendente di una ricca famiglia genovese;
   nel 1989-1990 fu annunciato un contributo statale di circa due miliardi e mezzo di vecchie lire per il miglioramento sismico, il restauro filologico, lo scavo archeologico e la valorizzazione dell'edificio monumentale;
   i previsti interventi di ripristino del palazzo, però, non furono mai realizzati e i fondi a disposizione — a quanto consta all'interrogante — furono distratti per altre opere infrastrutturali post sisma, giudicate in seguito dalla Corte dei conti: costose, incompiute e inutili per la collettività;
   ancora oggi, in un periodo di forte criticità per le casse pubbliche e per l'economia, somme ingenti continuano a essere erogate dai Ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture, dalla regione Campania e dalla Cassa depositi e prestiti non per il mantenimento di beni pubblici o per il recupero del patrimonio architettonico esistente ma per anacronistiche demolizioni con inutili sventramenti di fabbricati storici di via Roma, risalenti al XVIII-XIX secolo, allo scopo di realizzare parcheggi e terrazze belvedere che vanno a incidere profondamente sul tessuto storico-urbanistico della città, compromettendone integrità e identità e non producendo alcun vantaggio per la comunità (delibera n. 53 del 25 giugno 2013 in esecuzione al Piano triennale delle opere pubbliche 2013-2015);
   in trentatré anni di abbandono e incuria, le fabbriche di Palazzo Grillo — vero e proprio brano della città antica — hanno riportato danni notevoli con dissesti e crolli, lesioni isolate o diffuse nelle strutture verticali e orizzontali, fessurazioni nelle piattabande, crollo parziale delle coperture;
   la facciata su via Re Ruggiero II, senza interventi di messa in sicurezza, si presenta oggi: con cantonali instabili puntellati soltanto da una trave deteriorata, preoccupanti fessurazioni dei setti murari, antichi intonaci lesionati e distaccati, cornicioni marcapiano e stucchi pericolanti, mensole, portali e stemmi scolpiti in pietra locale sconnessi o divelti, portoni lignei settecenteschi rigonfi di umidità o rotti nelle parti decorative;
   anche gli ambienti interni evidenziano un quadro di fatiscenza allarmante: volte lesionate, solai lignei pericolanti, incannucciate collassate, pavimenti in cotto o maiolica avvallati o crepati, la decorazione a fresco e a tempera del piano nobile esposta a umidità e infiltrazioni d'acqua, infissi barocchi sottoposti alle intemperie e soggetti al massiccio attacco di insetti xilofagi, i camini e gli altri elementi ornamentali scolpiti in pietra locale scollegati o sconquassati;
   la facciata di via Donadio, inoltre, caratterizzata dalla loggia pensile che svelava inediti scenari sulle caratteristiche anse del fiume Sabato, sulle colline adiacenti e su tutta la parte bassa del borgo medievale, mostra danni pericolosi al momento del tutto ignorati o sottovalutati: crollo delle coperture; parziali cedimenti delle cisterne e degli ambienti terranei rinascimentali; crolli delle cortine murarie normanno-sveve e di alcuni ambienti angioini; resti archeologici avvolti da una selva spontanea di vegetazione infestante;
   non è ammissibile che uno dei palazzi medievali e barocchi più interessanti dell'Irpinia e della Campania versi in questo stato di degrado e fatiscenza –:
   se intenda chiarire in merito alle ispezioni, ai provvedimenti e agli atti prodotti finora dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Avellino e Salerno a tutela di Palazzo Grillo nel comune di Prata Principato Ultra (Avellino);
   se la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Avellino e Salerno abbia imposto all'ente proprietario gli interventi necessari per assicurare la messa in sicurezza e la conservazione del bene culturale, ai sensi dell'articolo 32 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e successive modificazioni e integrazioni;
   se la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Avellino e Salerno, vista l'assoluta urgenza, non ritenga, opportuno adottare direttamente le misure conservative necessarie atte a salvaguardare il bene architettonico dalla distruzione e dalla perdita definitiva;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, attraverso la direzione generale per l'organizzazione, gli affari generali, l'innovazione, il bilancio ed il personale, non ritenga prioritario appostare nella programmazione di bilancio 2014 risorse finanziarie sufficienti per avviare immediatamente un primo, indispensabile lotto di lavori di consolidamento e miglioramento sismico delle fabbriche monumentali di Palazzo Grillo nel comune di Prata Principato Ultra (Avellino), rivalendosi successivamente in danno all'ente proprietario, così come prevedono gli articoli 33-34 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   se per il restauro completo e la musealizzazione di Palazzo Grillo nel comune di Prata Principato Ultra (Avellino) intenda attivare risorse aggiuntive attraverso i fondi europei come il Programma operativo nazionale (PON), il Programma operativo interregionale (POIn), i Fondi di investimento e occupazione (FIO), i finanziamenti del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), oppure utilizzare i contribuiti del Fondo europeo di sviluppo regionale (F.E.S.R.). (4-02235)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel gennaio del 1981, durante i lavori di scavo per l'installazione di prefabbricati destinati ai terremotati di Pratola Serra, in provincia di Avellino, nell'area collinare Pioppi-Saudelle, furono riportate alla luce le strutture murarie di un imponente edificio di culto identificato successivamente con una grande basilica risalente all'epoca longobarda (V-VII secolo d.C.);
   nell'area della basilica longobarda fu individuata, inoltre, una vastissima necropoli romano-germanica, con più di 123 tombe impreziosite da sontuosi corredi funerari fra cui armi, gioielli, monili, croci d'oro e d'argento che venivano poste sugli abiti di personaggi illustri della società longobarda: aristocratici, abati e vescovi;
   in una di queste tombe fu ritrovata anche una rarissima moneta dell'imperatore bizantino Eraclio (VII secolo d.C.);
   le successive e più estese indagini archeologiche consentirono di recuperare, insieme alla grande basilica longobarda e alla necropoli, le strutture ben conservate di una prestigiosa villa residenziale romana con annesso edificio termale, risalente al II-III secolo d.C.;
   su un pendio della collina Pioppi, invece, fu rintracciato un villaggio preistorico risalente all'età del bronzo antico e alla facies di Palma Campania (4.000 anni fa) con una serie di capanne di forma ellittico-rettangolare, dotate di focolari e dispense in cui era disposto il vasellame tra cui tazze, teglie, brocche, scodelle, olle in ceramica d'impasto con decorazioni graffite;
   l'eccezionalità delle scoperte archeologiche, che avevano destato un interesse scientifico e culturale a livello europeo e mondiale, suggerirono alla soprintendenza per i beni archeologici delle province di Avellino, Salerno, Caserta e Benevento di progettare un parco archeologico, attrezzato come un vero e proprio museo all'aperto nel quale, peraltro, sarebbe stata compresa anche l'area del monumento megalitico denominato «Casa dell'Orco», ubicato in località San Michele;
   il parco archeologico di Pratola, quindi, oltre ad assolvere alla primaria funzione di tutela integrata dei siti archeologici, si proponeva come elemento di riqualificazione e valorizzazione di alcune zone periferiche della cittadina e nel contempo quale polo culturale di aggregazione e attrazione turistica con significative ricadute occupazionali per un territorio economicamente depresso;
   esauriti i cospicui finanziamenti per la ricerca archeologica, però, la soprintendenza per i beni archeologici delle province di Avellino, Salerno, Caserta e Benevento rinunciò anche al progetto del parco: con le procedure incomplete di esproprio dei lotti gli scavi furono in parte coperti, le migliaia di preziosi reperti rinvenuti furono impacchettati e chiusi nei depositi, mentre le poche strutture lasciate a vista furono abbandonate senza misure di sicurezza, prive di coperture di protezione, esposte alle intemperie e all'erosione degli agenti atmosferici, senza segnaletica, senza una regolamentazione degli usi del suolo consentiti o vietati, senza un piano dell'accessibilità (pedonale e veicolare);
   oggi, purtroppo, tutta l'area archeologica di Pratola Serra (Avellino) versa in condizioni di degrado e incuria, soffocata da sterpaglie, erbacce e rifiuti, senza un programma di manutenzione e restauro, in quello che all'interrogante appare l'assoluto disinteresse delle istituzioni preposte alla tutela nonostante, in anni recenti, sono state rinvenute sul lato ovest del sito archeologico di via San Giovanni di Pratola altre importanti strutture monumentali tardo-antiche e medievali;
   tutto il sito archeologico della collina Pioppi-Saudelle è privo, insomma, di un piano di tutela e valorizzazione ed è esposto continuamente a spoliazioni e vandalismi;
   addirittura – a quanto consta all'interrogante – una parte dell'area archeologica prospettante sul piazzale dell'area mercato, a dispetto dei vincoli paesaggistici e d'interesse archeologico, è stata in tempi recenti addirittura recintata e asfaltata senza il preventivo nulla osta di competenza –:
   se non ritenga indispensabile chiarire i motivi che hanno prodotto un tale degrado, intervenendo con opportune iniziative al fine di accertare eventuali responsabilità e inadempienze degli uffici della soprintendenza per i beni archeologici delle province di Avellino, Salerno, Caserta e Benevento;
   se siano state effettuate ispezioni recenti all'area archeologica, verificati gli eventuali abusi perpetrati, presentata denuncia alle autorità competenti, richiesto il ripristino dello stato dei luoghi e accertato che gli interventi effettuati non abbiano prodotto danni alle strutture antiche conservate in superficie e nel sottosuolo;
   se intenda adottare provvedimenti urgenti per la conservazione e la valorizzazione del sito archeologico di Pratola Serra (Avellino);
   se non ritenga opportuno prevedere nuovi e più coerenti vincoli archeologici sull'area in questione insieme a prescrizioni più efficaci e incisive anche ai fini di un piano paesaggistico complessivo della collina;
   se intenda farsi promotore di un tavolo di concertazione con le istituzioni locali e regionali, preposte alla tutela e alla valorizzazione dei beni archeologici, mettendo a sistema le rispettive competenze e riavviando le procedure per la costituzione del parco storico-archeologico-paesaggistico di Pratola Serra (Avellino). (4-02238)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la chiesa arcipretale di Sant'Andrea Apostolo di Arienzo, in provincia di Caserta, rappresenta uno dei monumenti più significativi dell'antica Terra murata di Argentium e costituisce uno straordinario scrigno di opere d'arte pittoriche e scultoree per l'intera valle di Suessola;
   gli eventi sismici del 1980 e del 1981, verificatisi in Campania e in Basilicata, causarono notevoli danni alle strutture dell'edificio monumentale e al suo patrimonio storico-artistico tanto da richiedere interventi di recupero lunghi e particolarmente onerosi;
   per il restauro delle strutture architettoniche e degli apparati decorativi della chiesa, la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storico-artistici ed etnoantropologici per le province di Caserta e Benevento e il provveditorato alle opere pubbliche della Campania beneficiarono di cospicue risorse pubbliche spalmate in un arco temporale di nove anni: 70 milioni di lire nel 1981, 160 milioni di lire nel 1982, 450 milioni di lire nel 1984, 60 milioni di lire nel 1987, 200 milioni di lire nel 1990;
   a fronte, però, del fiume di danaro pubblico erogato, gli interventi di restauro non sono stati mai completati e, dopo 13 anni dall'ultimo lotto di lavori, alcune porzioni del complesso monumentale si presentano ancora come un cantiere con lavori bloccati e incompleti, mentre centinaia di manufatti artistici – in attesa di essere salvaguardati e valorizzati – versano in condizioni di estremo degrado e desolante fatiscenza;
   il pregevole coro costituito da stalli in legno di noce del primo Seicento, realizzati dalla bottega di Benvenuto Tortelli, in assenza dei interventi di disinfestazione e recupero, mostra un massiccio attacco di insetti xilofagi che sta determinando sconnessioni alla struttura lignea con scollamenti e rottura di parti decorative, in particolare delle volute, delle colonnine e dei putti adagiati sui braccioli;
   le tracce più evidenti di opere edilizie lasciate incompiute con interventi parziali e del tutto rabberciati si rivelano, tuttavia, negli ambienti ipogei della chiesa decorati da pregevoli partiti di stucchi barocchi attribuiti al celebre Pietro Buonocore e da un vasto ciclo di pitture murali realizzate da Antonio Vecchione negli anni Quaranta del XVIII secolo;
   il consolidamento delle strutture voltate è rimasto sospeso, l'ancoraggio alle murature perimetrali non è stato né integrato né verificato, gli interventi per la traspirazione delle murature non sono stati realizzati, la sigillatura e la rinzeppatura delle lesioni sono state attuate solo in parte, le invasive perforazioni armate eseguite con barrette in acciaio su superfici decorate sono state fortunatamente interrotte ma lasciate completamente a vista, intanto, oscene colature di cemento continuano a deturpare antichi intonaci storici, affreschi e stucchi;
   per di più, le infiltrazioni e l'umidità, determinate dai dissesti strutturali e dalle lesioni non riparate nelle volte, hanno provocato danni rilevanti ai pregevoli dipinti murali del succorpo: sollevamenti della pellicola pittorica, perdita di coesione dell'intonaco, scollamenti, distacchi e rotture, ma anche efflorescenze saline, alterazioni dei pigmenti, macchie;
   come se non bastasse, negli ambienti ipogei sono stati accatastate dalla Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storico-artistici ed etnoantropologici per le province di Caserta e Benevento importantissime opere d'arte tra cui sculture, dipinti su tavola, marmi, iscrizioni, antiche ceramiche, oggetti d'artigianato orafo, ligneo e tessile;
   particolarmente preoccupante appare il deterioramento di arredi liturgici intagliati e di preziose ancone rinascimentali dorate che, smontate e abbandonate tra la polvere e materiali da cantiere, a causa dell'attacco dei parassiti si presentano indebolite e sconnesse con la materia lignea spugnosa e erosa in più parti;
   il precario stato di conservazione del ciclo decorativo e l'avanzato stato di degrado dei manufatti artistici depositati negli ipogei sono stati più volte segnalati dai quotidiani provinciali e locali e dalle associazioni culturali al Soprintendente per i beni architettonici, paesaggistici, storico-artistici ed etnoantropologici, Paola Raffaella David, nonché ai funzionari competenti per territorio ma nessun provvedimento è stato finora adottato con ciò ad avviso dell'interrogante mortificando il ruolo, l'immagine, la missione del dicastero indirizzata alla tutela, alla valorizzazione e alla fruizione del patrimonio culturale nazionale –:
   se non si ritenga opportuno chiarire circa i motivi delle lentezze e delle disfunzioni relative al mancato completamento dei lavori di restauro nella chiesa arcipretale di Sant'Andrea Apostolo di Arienzo (Ce);
   se siano state verificate le condizioni di sicurezza delle porzioni del complesso monumentale dove insistono i cantieri abbandonati allo scopo di accertare eventuali situazioni di pericolo evitando danni a persone o alle opere d'arte;
   se si intendano assumere provvedimenti di urgenza per garantire la conservazione degli apparati decorativi a fresco e in stucco degli ambienti ipogei della chiesa arcipretale di Sant'Andrea Apostolo di Arienzo (Ce) nonché degli altri manufatti di riconosciuto interesse storico-artistico abbandonati nel degrado e nella sporcizia;
   se per il completamento delle opere di restauro e musealizzazione del succorpo monumentale si intenda attingere ai contributi ordinari del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, oppure attivare risorse integrative attraverso i fondi europei come il programma operativo nazionale (PON), il programma operativo interregionale (POIn) i fondi di investimento e occupazione (FIO), i finanziamenti del fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), oppure utilizzare i contribuiti del fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). (4-02249)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere premesso che:
   la legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006) ha introdotto nuove misure dei canoni demaniali marittimi destinate essenzialmente agli stabilimenti balneari ma che ne estende l'applicazione, a decorrere dal 1o gennaio 2007, anche alle strutture portuali della nautica da diporto sin qui normate dal decreto ministeriale n. 343 del 1998;
   il comma 252 dell'articolo i della citata legge, infatti, dispone che le misure dei canoni «si applicano, a decorrere dal 1o gennaio 2007, anche alle concessioni dei beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale aventi ad oggetto la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto»;
   l'applicazione delle nuove misure ha comportato un incremento dei canoni di queste strutture compreso fra 2 e 8 volte quello pattuito negli atti formali di concessione a tale data già rilasciati, ed un conseguente oneroso adeguamento delle garanzia fideiussorie previste dagli stessi atti formali;
   la richiesta di corrispondere le nuove misure alle società di gestione di queste strutture già operanti al gennaio 2007 con atto formale di concessione ha originato «tout court» una variazione sostanziale alla «concessione/contratto» sottoscritto con il concessionario disapplicando sia norme civilistiche sia norme del codice della navigazione;
   fra una concessione ad uso turistico ricreativo (stabilimento balneare) ed una per strutture per la nautica da diporto esiste una sostanziale differenza: la prima consente il mero godimento di un bene dello Stato senza o con bassissimi investimenti, paragonabile ad una semplice locazione con rapporto costi benefici molto favorevole; la seconda presuppone ingenti e costose opere da parte del concessionario che si sostituisce allo Stato nella costruzione e lascia allo Stato tutto il complesso a fine concessione;
   si tratta di concessioni che non possono essere trattate dallo stesso modo, tanto è vero che nel 1998 furono emanati due distinti decreti ministeriali (il 342 ed il 343) per la determinazione dei canoni delle due differenti tipologie di concessione. Il canone per quelle ad uso diportistico era decrescente al crescere dell'importanza delle opere realizzate, al contrario di quelle ad uso turistico balneare;
   le concessioni ad uso turistico balneare hanno poi una durata generalmente molto breve e i relativi piani finanziari e previsioni economiche possono essere fatte frequentemente e frequentemente corrette mentre quelle ad uso diportistico sono di durata pluridecennale ed il primo piano economico finanziario, costruito con un certo canone demaniale e con determinati investimenti, non è modificabile;
   essendo il piano economico finanziario presentato dal concessionario elemento essenziale della concessione/contratto, l'applicazione delle nuove misure, senza una revisione del piano stesso ed una verifica della sua compatibilità con la durata della concessione, rappresenta una unilaterale sostanziale modifica del contratto, lesiva dei diritti del concessionario;
   poiché la legge n. 296 del 2006 per le concessioni con pertinenze demaniali prevede già un criterio di riduzione dei canoni proporzionale al crescere delle dimensioni delle pertinenze stesse, lo stesso criterio andrebbe applicato alle concessioni per strutture portuali che hanno dimensioni molto più elevate delle concessioni turistico ricreative con conseguenti canoni elevatissimi anche se con sfruttamento delle aree molto più basso (acqua libera, strade, parcheggi pubblici);
   l'applicazione delle nuove misure ha sostanzialmente inficiato la redditività degli investimenti effettuati, costringendo i concessionari ad una revisione drastica dei costi di gestione intervenendo con pesanti riduzioni sia di quelli per il personale sia di quelli per i servizi e la manutenzione;
   i commi 251 e 252 della legge n. 296 del 2002 confermano la distinzione fra le due tipologie di concessioni (uso ricreativo e strutture per la nautica) e per le prime stabilisce che le nuove regole tariffarie si applicano a quelle «rilasciate o rinnovate», mentre per le seconde si limita a dire che le nuove tariffe si applicano dal 1o gennaio 2007, sarebbe stato pleonastico ripetere per quelle «rilasciate o rinnovate» ma è evidentemente sottinteso. Manca invece del tutto nel testo della norma che la stessa ha effetto anche sulle concessioni in essere, con una retroattività peraltro non consentita dalle nostre preleggi;
   in esito a quanto precede i concessionari in possesso di atto formale al gennaio 2007 hanno avviato un corposo e gravoso contenzioso di legittimità nelle diverse sedi, civili ed amministrative;
   allo stato una parte dei ricorsi ha avuto esito positivo per il concessionario, con il riconoscimento da parte della magistratura dell'illegittimità dell'operato dell'amministrazione; una parte ha avuto esito negativo ed una parte ha ottenuto la sospensione del pagamento del nuovo canone in attesa di superiori decisioni;
   il Consiglio di Stato con ordinanza del maggio 2012 ha ravvisato aspetti di incostituzionalità della norma così esprimendosi:
    «Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ...omissis... cautelarmente e non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe: a) visti gli articoli 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006, in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui si applica alle concessioni per la realizzazione e gestione delle infrastrutture per la nautica da diporto già rilasciate alla data della sua entrata in vigore, nei sensi di cui in motivazione; b) accoglie la domanda cautelare nei sensi e limiti di cui in motivazione e compensa le spese della fase cautelare; c) dispone la sospensione del presente giudizio; d) ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; e) ordina che a cura della segreteria della sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti delle Camere dei deputati e del Senato della Repubblica; f) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese...» –:
   se non ritenga di adottare urgenti iniziative, anche di tipo normativo, volte a risolvere una problematica che: rende oltremodo precario e incerto qualsiasi investimento nello specifico settore della portualità turistica che contribuisce in misura importante al PIL, alle economie locali ed all'occupazione; inficia il principio dell'affidamento e della tutela dell'impresa; modifica gli equilibri economico-finanziari delle iniziative imprenditoriali ed ha contribuito alla crisi delle imprese del settore testimoniata dai negativi bilanci della maggioranza di esse; per la evidente diversità dei pronunciamenti giudiziari allo stato emessi costringe spesso i concessionari ad operare in un regime di evidente disparità di condizioni, anche rispetto a strutture territorialmente vicine, se non contigue, con spiacevoli riflessi sulla corretta concorrenza e sul trattamento degli utenti.
(2-00264) «Vitelli, Bombassei, Oliaro, Nesi, Galgano, Cesa, Fauttilli, Marazziti, Cera, D'Agostino, Matarrese, Vecchio, Monchiero, Vargiu, Gigli, Piepoli, Caruso, Binetti, Antimo Cesaro, Adornato, De Mita, Cimmino, Andrea Romano, Vezzali, Librandi, Rabino, Sottanelli, Molea, Rossi, Causin, Zanetti».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, all'articolo 52, comma 1, lettera a), modificando la disciplina sulla rateazione delle somme iscritte a ruolo, prevede che il debitore il quale, per ragioni estranee alla propria responsabilità, si trovi in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, possa richiedere l'ampliamento della rateazione, fino a un massimo di centoventi rate mensili;
   in tale contesto il comma 3 del predetto articolo 52, stabilisce, che «Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, sono stabilite le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall'applicazione del meccanismo di rateazione di cui al comma 1, lettera a)»;
   l'attuazione della predetta norma, e la conseguente facoltà di chiedere la più ampia rateazione, pertanto, sarà possibile solo dopo l'emanazione del decreto ministeriale, che, tuttavia, al momento, non è stato ancora essere stato adottato, nonostante siano passati ormai più di due mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge n. 69;
   la questione è stata di recente oggetto dell'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-01055, svolta presso la Commissione finanze della Camera il 16 ottobre 2013, in risposta alla quale il rappresentante del Governo si è limitato ad affermare che «sono in fase avanzata gli approfondimenti necessari alla stesura del provvedimento in argomento» e che «l'Agenzia delle entrate ed Equitalia S.p.A. stanno collaborando con il Dipartimento delle finanze ed il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato alla predisposizione di una bozza di decreto»;
   appare sconcertante che, sebbene sia ormai ampiamente scaduto il termine per l'emanazione del decreto ministeriale, si sia ancora nella fase di predisposizione dello stesso, nonostante si tratti di un adempimento che, come riconosciuto dallo stesso Governo, risulta indispensabile al fine di tutelare i contribuenti in difficoltà;
   in tale contesto appare dunque necessario reiterare, fino a quando il decreto medesimo non sarà emanato, la domanda posta attraverso il precedente atto di sindacato ispettivo, al fine di stimolare l'Esecutivo al rispetto delle scelte assunte in materia dal legislatore, che il Governo è invece tenuto a rispettare puntualmente, soprattutto in un caso, come quello di specie, in cui la normativa da attuare risponde alle pressanti esigenze di una platea amplissima di contribuenti –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di pervenire in tempi brevissimi alla conclusione dell’iter attuativo della predetta normativa, e se intenda fornire indicazioni più precise circa i tempi di emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze previsto dal comma 3 dell'articolo 52 del decreto-legge n. 69 del 2013. (5-01259)


   BUSIN e GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010 il Congresso americano ha approvato la normativa FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), come strumento unilaterale per combattere l'evasione fiscale da parte di investitori statunitensi tramite società o veicoli off-shore;
   il sistema FACTA si basa su un ampio scambio di dati che tutte le istituzioni finanziarie straniere saranno tenute a trasmettere al fisco statunitense (Internal Revenue Service – IRS) relativamente a conti esteri detenuti da residenti americani;
   nel febbraio del 2012 i Governi di Stati Uniti, da un lato, e Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, dall'altro, (cosiddetti FATCA Partner), tramite la sottoscrizione di una lettera di intenti (Joint Agreement), hanno espresso l'intenzione di collaborare al fine di rendere più agevole l'attività di implementazione del framework normativo FATCA;
   il 26 luglio 2012 è stato pubblicato il «Model Intergovernmental Agreement on Improving Tax Compliance and Implementing FATCA» (cosiddetto «Model IGA»), che definisce le regole di implementazione semplificate che dovrà essere siglato dai Paesi aderenti (FATCA Partner);
   la firma da parte del nostro Paese del modello IGA è fortemente attesa dal settore bancario e finanziario, perché la sottoscrizione e l'operatività dell'IGA semplificherebbe fortemente le norme e le incombenze per gli operatori del settore;
   in assenza di tale accordo, che impegna il Paese partner a modificare la propria normativa nazionale rendendo obbligatorio l'adeguamento da parte degli operatori e superando contestualmente, ove presenti, i vincoli di applicabilità legati alla gestione dei dati personali e al segreto bancario, ogni intermediario finanziario sarà costretto ad applicare una elevata ritenuta sui proventi dei conti di tali clienti e a sottostare ad un complesso sistema di incombenze burocratiche;
   per i Paesi rientranti nel Model IGA, gli USA, infatti, oltre all'impegno di reciprocità nello scambio dei dati dei potenziali evasori, riconoscono una serie di importanti semplificazioni, quali, ad esempio, la sospensione della maggior parte delle sanzioni per i clienti non correttamente identificati (denominati «recalcitrant»); in cambio di tali agevolazioni, per gli intermediari c’è la necessità di dover sottoscrivere un accordo diretto con IRS a fronte di un reporting della clientela USA indirizzato all'Autorità locale designata (Agenzia delle entrate nel nostro caso) che farà da tramite con l'IRS;
   l'Italia ha concordato i contenuti e il testo dell'IGA, che dovrebbe quindi essere pronto per la firma, ma al momento esso non risulta sottoscritto, lasciando il mondo finanziario nazionale in attesa di sapere che strada prendere: in particolare, se l'Agenzia delle entrate e il Ministero (dopo la firma dell'IGA) non emettono le linee guida ufficiali a cui si devono attenere gli operatori, questi ultimi non si attivano e non si attivano nemmeno gli sviluppatori dei sistemi e dei software che gestiscono le transazioni finanziarie, per apportare gli sviluppi del caso;
   la scadenza per registrarsi presso l'IRS è fissata ad aprile 2014 –:
   se e quando sarà definitivamente reso operativo il Model IGA tra l'Italia e Stati Uniti. (5-01260)


   PAGLIA e BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 27 maggio 2011 l'Agenzia delle entrate ha bandito un concorso per l'assunzione a tempo indeterminato di 220 unità per la seconda area funzionale, fascia retributiva F1, profilo assistente, destinate ai centri operativi ed ai centri di assistenza multicanale, concorso in virtù del quale sono stati assunti 252 idonei, di cui 240 unità ad effetto immediato e 12 per scorrimento della graduatoria;
   la graduatoria finale di merito esplica la validità fino al 1o marzo 2014;
   i 188 idonei che attualmente occupano la graduatoria hanno costituito un comitato spontaneo, denominato «Comitato INV220A», con l'obiettivo di tutelare l'interesse legittimo all'assunzione;
   per rimediare alla carenza di personale e completare le piante organiche, l'Agenzia delle entrate, piuttosto che bandire nuovi concorsi, potrebbe attingere, in futuro, alle suddette graduatorie;
   il suddetto scorrimento delle graduatorie avrebbe l'oggettivo vantaggio di potenziare l'attività di contrasto nei confronti dell'evasione e dell'elusione fiscale, oltre a dare una prospettiva occupazionale certa a dei soggetti che sono già stati valutati idonei nell'ambito di un regolare concorso pubblico;
   la delega fiscale recentemente approvata dalla Camera dei deputati è, tra l'altro, anche orientata a proseguire il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale e ad attuare una complessiva razionalizzazione e sistematizzazione della disciplina dell'attuazione e dell'accertamento relativa alla generalità dei tributi;
   inoltre, la legge di stabilità per il 2014 prevede, fino al 2018, il blocco dell'avvicendamento tra vecchi e nuovi lavoratori (cosiddetto turn over), secondo le proporzioni già vigenti per il triennio 2015-2017 e previste dal piano-statali del Governo Letta, e cioè assunzioni ferme al 40 per cento dei ritiri per il 2015, al 60 per cento per il 2016, all'80 per cento per il 2017;
   il cosiddetto decreto sulla spending review, pur escludendo l'Agenzia delle entrate, insieme ai comparti difesa e sicurezza della pubblica amministrazione, dal processo di riduzione delle piante organiche, non ha però previsto per gli stessi una deroga ai limiti previsti in tema di assunzione che anzi vengono confermati, prorogati ed inaspriti per tutte le amministrazioni, soggette o meno all'obbligo di revisione delle dotazioni organiche –:
   come intenda coniugare, da una parte, l'esigenza di potenziare l'azione di contrasto alla dilagante piaga dell'evasione fiscale e sviluppare la cosiddetta tax compliance e, dall'altra, quella di dare una prospettiva occupazionale certa a cittadini già giudicati idonei nell'ambito di un regolare concorso pubblico, con l'assunzione degli stessi mediante scorrimento della graduatoria oramai prossima alla scadenza e se non ritenga, anche al fine di tutelare il legittimo diritto degli «idonei non vincitori» all'assunzione, di dover procedere alla proroga della validità della stessa. (5-01261)


   PISANO, BARBANTI e PESCO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 3 ottobre 2013 il Gruppo del MoVimento 5 Stelle, per il tramite del Servizio Studi della Camera, ha inviato una richiesta di dati al Ministero dell'economia e delle finanze, mediante una mail inviata all'indirizzo di posta elettronica df.def.segreteria@finanze.it, in cui si chiedeva di fornire, in una o più tabelle:
    nelle righe, gli scaglioni di reddito IRPEF;
    nelle colonne, il numero di immobili posseduti (1, 2, 3, >=4, >=10);
    nelle celle, la numerosità dei contribuenti, il gettito IMU totale, il gettito medio e il valore totale degli immobili;
   l'8 ottobre 2013 è stata inviata al ministero dell'economia e delle finanze, nella persona del Vice Capo di Gabinetto, una seconda richiesta, volta a conoscere il numero e il corrispondente valore in euro delle irregolarità verificate nelle dichiarazioni dei redditi di persone fisiche, inerenti;
    a) le agevolazioni fiscali riguardanti interventi di ristrutturazione edilizia (di cui all'articolo 16-bis, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986);
    b) le agevolazioni fiscali riguardanti interventi di riqualificazione energetica degli edifici (di cui all'articolo 1, comma 48, della legge n. 220 del 2010);
   le suddette informazioni sono necessarie al gruppo parlamentare M5S per svolgere la propria attività e per elaborare delle proposte di legge, da condividere e discutere con le altre forze politiche, al fine di esercitare il potere legislativo che la Costituzione attribuisce alle Camere;
   le medesime richieste di dati sono state poste all'attenzione del Vice ministro dell'economia delle finanze Luigi Casero l'8 ottobre 2013 e, successivamente, sono state ulteriormente sollecitate al Sottosegretario del medesimo dicastero Pier Paolo Baretta in data 15 ottobre 2013;
   a tutt'oggi il Governo non ha ancora fornito alcuna risposta alle predette richieste, frapponendo in tal modo un ostacolo all'efficace svolgimento dell'attività parlamentare;
   in tale contesto merita ricordare che la legge di contabilità e finanza pubblica, (legge, n. 196 del 2009), all'articolo 6, comma 1, dispone che «Ai fini del controllo parlamentare sulla finanza pubblica, anche di settore, la Camera dei deputati ed il Senato della repubblica hanno accesso, sulla base di apposite intese, alle banche dati delle amministrazioni pubbliche ed a ogni altra fonte informativa gestita da soggetti pubblici rilevante ai fini del controllo della finanza pubblica» –:
   quali siano i motivi, eventualmente anche di carattere organizzativo, di tale ingiustificabile ritardo nel fornire al Parlamento le informazioni richieste e quali opportune azioni correttive intenda attuare sull'organizzazione del Ministero per ridurre drasticamente i tempi di risposta alle richieste dei parlamentari e per trasmettere, senza ulteriori ritardi, i dati sopra richiamati. (5-01262)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tra il 2008 e il 2013 la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, ha conferito a professionisti esterni, tecnici, esperti, studi associati e società private almeno 71 incarichi retribuiti – documentabili dal sito internet – tra consulenze, servizi, attività di supporto, studi di fattibilità e prestazioni intellettuali;
   molti dei tecnici esterni e dei professionisti affidatari di incarichi da parte della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania hanno ricevuto successivamente o contemporaneamente collaborazioni e consulenze retribuite anche per conto di altri Istituti di settore dipendenti dalla direzione regionale come la soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia o la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, dotata addirittura di autonomia speciale;
   contravvenendo, però, alla norma che impone il rispetto dei criteri di rotazione e parità di trattamento nell'assegnazione degli incarichi esterni, un nutrito gruppo di professionisti ha cumulato negli stessi anni e presso lo stesso Istituto diversi incarichi tutti regolarmente retribuiti;
   la sensazione che si sta facendo largo tra l'opinione pubblica è che nell'ambito degli incarichi sui beni culturali, in Campania in generale e nella provincia di Napoli in particolare, si sia venuta a creare una riserva garantita di lavoro per una ristretta cerchia di personaggi –:
   se non ritenga opportuno chiarire circa i criteri e le procedure di assegnazione degli incarichi da parte della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania e degli istituti di settore dipendenti;
   se gli incarichi esterni conferiti dalla soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia e dalla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei siano stati assegnati in via diretta o mediante l'esperimento di procedure di selezione;
   se siano stati rispettati gli adempimenti relativi all'efficienza, alla trasparenza, alla pubblicità e alla rotazione degli incarichi di studio, ricerca, consulenza e collaborazione;
   se sia stato quantificato l'ammontare complessivo dei compensi liquidati;
   se siano stati accertati casi di omessa pubblicazione delle liquidazioni del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza;
   se siano stati riscontrati eventuali illeciti disciplinari e responsabilità erariali dei dirigenti preposti. (4-02247)


   PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   di recente, anche il «Financial Times» ha messo in evidenza una preoccupante tendenza all'indebolimento finanziario del sistema bancario italiano;
   la banca italiana Dexia Crediop spa, parte del gruppo bancario franco-belga Dexia, è una realtà di primaria importanza tra le banche italiane, essendo stata fondata nel 1919 come «Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche» ed essendo da sempre un volano importante per lo sviluppo del sistema infrastrutturale del nostro Paese;
   Dexia Crediop spa detiene quote rilevantissime del debito degli enti pubblici locali e territoriali italiani;
   Dexia Crediop spa é stata coinvolta nella liquidazione del gruppo Dexia;
   la Commissione europea, a fronte di aiuti di stato concessi al suddetto gruppo, ha richiesto la cessione di alcune partecipate, tra cui Dexia Crediop spa. Tale richiesta, nulla ha a che fare con la situazione interna di Dexia Crediop spa, piuttosto, giova ribadirlo e sottolinearlo, con la liquidazione del gruppo Dexia che é andato incontro ad una vera e propria nazionalizzazione, essendo ora di fatto controllato dagli Stati belga e francese;
   di recente, come peraltro evidenziato da un comunicato congiunto delle organizzazioni sindacali attive presso Dexia Crediop spa, l'alta dirigenza del gruppo Dexia, nella persona del vice presidente di Dexia Crediop Claude Piret ha informato le organizzazioni sindacali stesse del fatto che il processo di vendita della banca fosse stato avviato ma che, malgrado l'interesse di alcuni operatori, la conclusione dello stesso fosse da considerare poco probabile; di conseguenza, lo stesso De Boeck, ipotizzava la messa in stato di liquidazione di Dexia Crediop spa a partire dal 1o gennaio 2014;
   la messa in stato di liquidazione di Dexia Crediop spa potrebbe avere riflessi importantissimi sulla stabilità del sistema finanziario italiano, in quanto la suddetta banca detiene attivi (come ricordato, principalmente di enti pubblici locali e territoriali italiani) per circa 30 miliardi di euro ed ha emesso obbligazioni detenute da risparmiatori italiani anche non istituzionali per circa 9 miliardi di euro;
   queste recentissime notizie non hanno ricevuto nessun commento da parte della Banca d'Italia che ha come suo compito istituzionale la salvaguardia della stabilità del sistema finanziario;
   e questo é un fatto che davvero stupisce, i tre azionisti di minoranza di Dexia Crediop spa (Banca Popolare dell'Emilia Romagna, Banca Popolare di Milano e Banco Popolare), banche italiane quotate in borsa e sottoposte anch'esse al controllo della Banca d'Italia, non sembrano aver posto in essere alcuna azione conservativa del loro investimento in Dexia Crediop spa ed assistono come spettatori silenti ed apparentemente disinteressati alla vicenda;
   quella che apparentemente poteva apparire come una buona notizia (l'innalzamento del rating di Dexia Crediop spa da parte dell'agenzia Standard & Poor's) nasconde sostanzialmente la conferma della prossima messa in stato di liquidazione di Dexia Crediop spa in quanto la decisione sopra menzionata avviene sulla base di una maggiore integrazione di Dexia Crediop all'interno del gruppo Dexia come si legge nella «credit opinion» dell'agenzia;
   l'eventuale scomparsa dal mercato di un primario operatore attivo nella concessione del credito agli enti locali e territoriali può ad avviso dell'interrogante generare una situazione di monopolio per la Cassa depositi e prestiti e, quindi, limitare sostanzialmente la possibilità di accesso ai finanziamenti di comuni, provincie e regioni, creando un evidente nocumento a queste realtà, soprattutto per quel che riguarda la mancanza di quei benefici che derivano dalla sana concorrenza tra partecipanti ad un mercato –:
   a chi spetterebbe coprire le eventuali perdite derivanti dalla liquidazione di Dexia Crediop spa anche alla luce delle emanande norme in materia di vigilanza bancaria europea che prevedono che i costi connessi alle risoluzione bancarie debbano ricadere in primis sugli azionisti e sugli obbligazionisti;
   se Dexia Crediop spa abbia avuto accesso a strumenti di sostegno pubblico da parte dello Stato, sotto forma, ad esempio, di «Tremonti o Monti bonds» o di garanzie di qualsiasi genere e quali misure siano state prese per assicurarsi che tale sostegno rimanga nell'ambito della banca a rafforzarne la sua struttura patrimoniale e non trasferito alla capogruppo per finanziarne le enormi necessità, soprattutto in vista di un eventuale liquidazione della banca stessa;
   nel caso in cui le forme di sostegno sopra descritte siano state effettivamente utilizzate da Dexia Crediop spa, quali azioni il Ministro stia ponendo in essere al fine di evitare che, in caso di liquidazione, possano esserci esborsi a carico dello Stato;
   quali eventuali atti siano stati posti in essere dal Ministero dell'economia e delle finanze, vista la particolare composizione degli attivi di Dexia Crediop spa, al fine di monitorare il processo di cessione della banca e di verificare l'esistenza di potenziali compratori. (4-02250)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   DELLA VALLE, FANTINATI, DA VILLA, PRODANI, CRIPPA, MUCCI, VALLASCAS e PETRAROLI.— Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Cmc azienda di Ravenna conduce i lavori di scavo del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte senza che sia stata indetta regolare gara d'appalto, considerando lo stesso progetto come variante del precedente cunicolo esplorativo di Venaus;
   è in corso un'indagine della procura di Trani per «reato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, abuso d'ufficio, reati contro la fede pubblica, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e diversi reati ambientali» sul «porto fantasma» di Molfetta, che vede coinvolti nove esponenti della Cmc, tra i quali Giorgio Calderoni, procuratore dello stesso gruppo;
   la stessa procura di Trani ha chiesto l'interdizione dall'esercizio dell'attività imprenditoriale della Cmc;
   la Cmc, intanto, continua i lavori del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte e i vertici di Ltf, la società incaricata dei lavori preparatori e dello scavo del cunicolo esplorativo della Torino-Lione, aspettano di conoscere le decisioni del giudice per le indagini preliminari di Trani, ma si dicono tranquilli sul proseguimento del cantiere –:
   se intenda disporre l'immediata cessazione dell'attività della Cmc all'interno del cantiere Maddalena di Chiomonte, indicendo una nuova e regolare gara d'appalto. (3-00395)


   LACQUANITI, DI SALVO, FRANCO BORDO, DANIELE FARINA, ZAN, QUARANTA, NARDI, MARCON, AIRAUDO e PELLEGRINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 luglio 2013, regione Veneto ha comunicato in via ufficiale ed in modo unilaterale la soppressione, a partire dall'entrata in vigore dell'orario invernale, di otto treni interregionali che oggi collegano Venezia a Milano e viceversa. I treni in via di soppressione risultano essere i numeri 2090, 2098, 2106, 2110 in partenza da Venezia e i numeri 2089, 2095, 2107 e 22113 in partenza da Venezia;
   la regione Veneto ha motivato tale scelta con una necessaria rimodulazione del servizio ferroviario interno regionale, che non prevede più treni di collegamento a lunga percorrenza con altre regioni;
   quella che viene tecnicamente definita come «rottura di carico» prevede nei fatti che le migliaia di persone che usufruiscono del trasporto su rotaie dovranno necessariamente utilizzare Frecciarossa e Frecciabianca con costi aggiuntivi e disagi, poiché i treni regionali che partono da Venezia faranno capolinea a Verona;
   a seguito della decisione, i pendolari diretti o in arrivo nelle stazioni di Peschiera, Desenzano, Brescia, Rovato, Chiari, Romano di Lombardia e Treviglio, che viaggiano sulla direttrice Milano-Brescia-Verona, saranno costretti al cambio treno e all'utilizzo del Frecciarossa o del Frecciabianca;
   la situazione sarebbe ancora più drammatica se la regione Lombardia decidesse di effettuare una analoga «rottura di carico», con i treni lombardi che così fermerebbero a Desenzano, senza più proseguire, come invece avviene oggi, per Verona;
   suddette scelte, se confermate, isolerebbero nei fatti la regione Lombardia e la regione Veneto, privilegiando esclusivamente il trasporto ad alta velocità, ma penalizzando le migliaia di pendolari che vivono sui territori compresi tra le regioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione e di altre analoghe nel Paese e quali iniziative, di competenza, intenda intraprendere affinché vengano scongiurati tali disagi ai pendolari mediante politiche di promozione del servizio di trasporto su ferro locale, che, al di là delle specifiche competenze e responsabilità regionali, ha comunque necessità di adeguate risorse e di una politica di trasporto coordinata a livello nazionale.
(3-00396)


   MATARRESE, PIEPOLI, CAUSIN e D'AGOSTINO.— Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.— Per sapere – premesso che:
   il tema della mobilità sostenibile rappresenta uno degli argomenti di maggiore dibattito nell'ambito delle politiche ambientali. Il settore dei trasporti produce oltre il 49 per cento delle emissioni di polveri sottili (pm10) in Italia e oltre il 65 per cento di queste deriva dal trasporto stradale;
   con il piano di sviluppo per la mobilità sostenibile su scala nazionale, il Governo si pone come obiettivo prioritario quello del potenziamento dei trasporti su rotaia nel nostro Paese, partendo innanzitutto dalle zone che sono ancora mal collegate attraverso mezzi obsoleti ed altamente inquinanti;
   nell'ambito della programmazione finanziaria pluriennale per il periodo 2014-2020, la Commissione europea prevede la creazione di un nuovo strumento per finanziare le infrastrutture prioritarie per l'Unione europea in diversi settori, tra i quali quello dei trasporti, denominato «Meccanismo per collegare l'Europa»; tale strumento disporrà di una dotazione di 50 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, dei quali 31,7 miliardi saranno assegnati al settore dei trasporti; inoltre, la nuova programmazione dei fondi strutturali europei dovrebbe prevedere ingenti risorse per la realizzazione di infrastrutture ferroviarie, in particolare nel Mezzogiorno;
   tra i mezzi di trasporto che la Commissione europea ed il Governo italiano si prefiggono di migliorare e di potenziare vi è sicuramente quello ferroviario;
   la dorsale adriatica del nostro Paese è priva di collegamenti ferroviari ad alta velocità, che colleghino non solo la tratta Ancona-Pescara-Bari-Taranto-Lecce, ma anche le tratte che dovrebbero collegare questi capoluoghi di provincia ai principali capoluoghi d'Italia fino a Trieste;
   in particolare, si evidenzia l'annosa difficoltà dei cittadini delle regioni Puglia, Molise, Marche e Abruzzo a poter viaggiare in alta velocità, non solo sulla dorsale adriatica, ma anche verso grandi città, quali Roma, Milano, Bologna, Torino, Firenze, Napoli, Reggio Calabria. I collegamenti, infatti, sono oggi garantiti solo attraverso obsoleti treni regionali, intercity con livelli di servizio nettamente differenti rispetto ad altre parti d'Italia, ovvero dall'ancor più inquinante trasporto su gomma;
   da quanto si evince dagli organi di stampa dal 15 dicembre 2013, Ntv, operatore privato, avvierà nuovi collegamenti ferroviari nella tratta Milano-Ancona, attivando sei corse giornaliere. Il problema, però, permane a sud del capoluogo marchigiano, in quanto, a tutt'oggi, la mancanza di un'infrastruttura per l'alta velocità impedisce, di fatto, non solo un adeguato trasporto ferroviario, ma anche una concorrenza in termini di tariffe ferroviarie lungo la tratta Ancona-Lecce tra Trenitalia ed altri gestori;
   la mancanza di infrastrutture per l'alta velocità lungo la dorsale adriatica del Paese determina un notevole aumento dei tempi di percorrenza e un aggravio dei costi dei biglietti ferroviari per i cittadini che qui risiedono, rispetto a coloro che viaggiano lungo le linee coperte dall'alta velocità e già servite da tutti gli operatori del settore in regime di concorrenza;
   il potenziamento delle linee ferroviarie sulla dorsale adriatica rientra tra le competenze proprie del Governo. È lo Stato che deve garantire al Paese parità di servizi per i cittadini ad ogni latitudine. L'attuale differenza di velocità e servizi tra Nord e Sud, e tra le dorsali adriatica e tirrenica, non favorisce la coesione sociale ed economica nel nostro Paese, che viaggia, di fatto, a due differenti velocità –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare affinché siano garantite le risorse anche comunitarie e le misure necessarie ad un'adeguata programmazione in favore di progetti indirizzati al potenziamento della linea ferroviaria della dorsale adriatica e dei relativi collegamenti con i maggiori capoluoghi di provincia italiani, anche in considerazione della programmazione delle risorse dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, nel quadro delle grandi reti transeuropee e dei fondi strutturali, e affinché sia ridotto l'effettivo svantaggio economico e l'eccessivo costo dei biglietti derivanti dalla mancanza di concorrenza tra gli operatori del settore ferroviario lungo tutta la dorsale adriatica.
(3-00397)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Corriere Adriatico del 20 ottobre 2013, fornisce informazioni su una possibile nomina a presidente dell'autorità portuale di Ancona del dottor Massimo Schintu, attuale direttore generale di AISCAT;
   il consiglio comunale di Ancona ha approvato all'unanimità una mozione, che risulterebbe trasmessa ai parlamentari marchigiani, con la quale si chiede al Ministro di procedere, senza ulteriori indugi alla nomina del presidente dell'Autorità portuale di Ancona, commissariata da mesi nonostante esista già una terna di nomi designata dagli enti locali preposti ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 84 del 1994;
   già nel 2009 il Ministro pro tempore, onorevole Matteoli, in accordo con il presidente della giunta regionale delle Marche, Spacca, ha nominato presidente della autorità portuale di Ancona una personalità vicina al Ministro ma totalmente slegata al territorio;
   il Ministro ha emanato i decreti di nomina dei presidenti delle autorità portuali di La Spezia e Napoli, anch'esse commissariate da tempo;
   il commissariamento del porto di Ancona è stato fatto secondo l'interrogante in maniera non pienamente conforme a quanto previsto dall'articolo 8 della legge n. 84 del 1994, vista la presenza di una terna già designata da parte degli enti locali visto che il Ministero non ha mai richiesto una seconda terna, con atto motivato e nei termini previsti, prima di procedere con la nomina del presidente, come contemplato dal medesimo articolo –:
   se corrisponda al vero il fatto che sia intenzione del Ministro nominare Massimo Schintu, ex presidente dell'AISCAT;
   nel caso, per quali motivazioni il Ministro intenda nominare una persona al di fuori della terna designata, ai sensi di legge, da comune di Ancona, comune di Falconara, provincia e Camera di commercio, ponendo tale nomina in contrasto con quanto previsto dall'articolo 8 della legge n. 84 del 1994, e perché non sia stata eventualmente prima richiesta agli enti locali una seconda terna, come previsto da tale articolo;
   per quali motivazioni non sia stata ancora condotta a termine la nomina del presidente dell'autorità portuale in questione e quando la stessa sarà definita. (5-01257)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che la linea ferroviaria Sulmona-Carpinone verrà chiusa perché la Rfi-Reti ferroviarie italiane, non ritiene più opportuno mantenere percorribile la tratta;
   la ferrovia Sulmona-Isernia lunga 128,7 chilometri è una linea ferroviaria, attualmente sospesa, che collega la città di Sulmona a Carpinone-Isernia;
   essa è anche chiamata la Transiberiana d'Italia per l'elevata altitudine della linea e il suggestivo panorama che si può ammirare percorrendola, per gran parte dell'inverno innevato. Alla stazione di Rivisondoli-Pescocostanzo la linea raggiunge i 1.268,82 metri sul livello del mare ed è la seconda stazione più alta della rete italiana. Attraversa 2 parchi nazionali, quello della Majella-Morrone e quello d'Abruzzo Molise e varie riserve regionali di grande valore naturalistico e turistico. D'inverno è molto frequentata da turisti che raggiungono il più grande bacino sciistico dell'Appennino, quello dell'Aremogna di Roccaraso, Rivisondoli e Pescocostanzo (L'Aquila);
   ora Rfi-Reti ferroviarie italiane vorrebbe sopprimere definitivamente questa linea ferroviaria, dando un colpo mortale alle prospettive turistiche e alla mobilità delle persone delle zone interne di 2 regioni, l'Abruzzo e il Molise;
   a difesa della tratta è scattata la mobilitazione degli enti locali, delle regioni, degli imprenditori, dei sindacati e di tante associazioni della Valle Peligna, dell'Alto Sangro, dell'Alto Molise tra cui Transita di Isernia che da oltre un anno organizza i percorsi turistici sulla Sulmona-Carpinone. In una nota l'associazione ha dichiarato che con la chiusura della tratta svanirebbe quel circolo virtuoso istituito con amministrazioni locali, agricoltori, associazioni, produttori eno-gastronomici d'eccellenza e artigiani che hanno visto nel treno una importante vetrina di promozione capace di portare ricchezza su territori per lo più dimenticati –:
   se non intenda adoperarsi per salvaguardare la relazione ferroviaria Sulmona Carpinone per il suo valore sociale, economico e ambientale. (4-02237)


   PARENTELA, MANNINO, BRUGNEROTTO, GALLINELLA, MUCCI, LOMBARDI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, DAGA, TERZONI, BENEDETTI, TOFALO, LUIGI DI MAIO, D'UVA, BARBANTI, NESCI e DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre del 1982 venne approvato il progetto per la costruzione della diga di Gimigliano (Catanzaro) sul fiume Melito, ai piedi dell'altopiano della Sila il quale avrebbe dovuto dar vita al lago Azzurro;
   il progetto sarebbe dovuto essere la più grande opera in cantiere al Sud, una delle più estese d'Europa: 15 milioni di metri cubi di materiale, 108 metri di altezza massima per uno sviluppo a corona di 1,5 chilometri e la capacità di ingabbiare 108 milioni di metri cubi d'acqua, che dovrebbero spegnere la sete di mezzo milioni di calabresi in 50 comuni, oltre a centinaia di aziende agricole e imprese. E un costo elevato: 259,7 milioni (502 miliardi di lire), di cui 52,4 milioni impegnati;
   il progetto in questione fu approvato e finanziato con 503 miliardi di lire dalla Cassa per il Mezzogiorno e l'appalto fu affidato al consorzio di bonifica Alli Punta di Copanello (oggi Consorzio di bonifica ionio-catanzarese);
   nel 1990 i lavori furono concessi alla società pubblica Italstrade per 97,4 milioni. Durante i lavori emerge un'inadeguatezza nella tenuta della spalla destra dell'opera. Così si decise di superare l'ostacolo rivestendo l'area con la pietra verde di Gimigliano al fine di rinforzarne la struttura;
   nel 1993 il Ministero dell'ambiente dispose la sospensione dei lavori a causa di una valutazione di impatto ambientale carente e di conseguenza l'Italstrade abbandonò il cantiere e il progetto;
   nel 2003 l'Astaldi, che nel frattempo ha acquisito l'Italstrade, siglò l'atto transattivo con il consorzio divenendone definitivamente appaltatrice dei lavori;
   durante lo stesso anno il Governo Berlusconi dichiarò che i lavori sarebbero ripresi, e che si concluderanno entro il 2010, mettendo a disposizione 262 milioni di euro per il completamento. Una località vicina al cantiere viene espropriata, duecento famiglie trasferite: le loro case, nel progetto, saranno inabissate. In realtà la gente continua a vivere nelle case espropriate ed il comune di Fossato Serralta (Catanzaro) continua a dover garantire i servizi pubblici essenziali nella zona;
   in data 11 settembre 2003 riprendono i lavori, che proseguirono a «sviluppo ridotto» sino all'aprile del 2005, quando l'Astaldi sollevò dubbi sull'eseguibilità del progetto e invocò l'arbitrato per risolvere le controversie tecniche emerse. L'opera sarebbe risultata insicura, non sarebbe stata in grado di contenere la portata d'acqua prevista. Il consorzio, da cui dipende il futuro dell'opera, invece di trovare una soluzione tecnica, decise di rescindere il contratto con l'Astaldi, e riappaltò i lavori alla Safab spa. Un provvedimento che scatenò la rabbia dei vertici dell'azienda, che, dunque, si rivolsero al Tribunale. I giudici condannarono il consorzio a pagare 37 milioni di euro come risarcimento;
   nel 2006, il sottosegretario di Stato pro tempore alle infrastrutture, onorevole Meduri, nel rispondere all'interrogazione 3-00154 del 3 ottobre 2006 dell'onorevole Iovene, aveva garantito la consegna dei lavori entro il 10 gennaio 2010;
   nel 2009 ripartirono i lavori gestiti dalla Safab spa, con la speranza di conseguire la consegna degli stessi entro il 2015;
   nel 2010 i lavori vennero bloccati nuovamente a seguito di un'informativa del prefetto di Roma che aveva rilasciato un'informativa antimafia negativa nei confronti della Safab spa a causa degli stretti rapporti tra la società ed un imprenditore arrestato nel luglio del 2009 nell'ambito dell'operazione antimafia «cerberus»;
   oggi la zona dell'invaso, che avrebbe dovuto accogliere turisti, produzione di energia e fornitura di acqua per circa mezzo milione di cittadini calabresi versa in un totale stato di abbandono, con serie ripercussioni sul territorio sia dal punto di vista ambientale che economico –:
   se il Governo sia aggiornato sui fatti esposti e quali siano le iniziative che intenda assumere per permettere la risoluzione della problematica relativa alla diga sul Melito considerata l'importanza dell'opera e dei finanziamenti erogati;
   se non ritenga opportuno aggiornare i cittadini calabresi sull'intenzione di proseguire o meno i lavori in progetto da ormai oltre 30 anni;
   se non si ritenga opportuno, visto lo stato di degrado presente tuttora sul territorio interessato, valutare di bonificare l'area qualora non vi fossero opportunità di prosecuzione dei lavori. (4-02240)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   durante la riunione della III commissione consiliare del consiglio comunale di Ancona del 4 ottobre 2013 è emerso che la regione Marche, nell'ambito delle proprie competenze, ha incluso nell'ambito del perimetro della cosiddetta «grande frana di Ancona» alcune aree, comprese nel tracciato del «collegamento viario del porto di Ancona con la grande viabilità» (cioè il collegamento tra il porto di Ancona, l'A14 e la strada statale 16) che presentano rilevanti profili di criticità dal punto di vista del rischio idrogeologico;
   si tratta di una sopravvenienza potenzialmente in grado di incidere sul progetto definitivo della suddetta opera infrastrutturale, potendo dare luogo a varianti in corso d'opera con conseguente lievitazione del costo finale della stessa (attualmente stimato intorno ai 500 milioni di euro);
   a quanto consta all'interrogante tuttavia né il comune di Ancona, né la regione Marche, hanno finora fornito informazioni al Ministro interrogato su tali sopravvenute problematiche di ordine logistico che, come detto, sono potenzialmente in grado di incidere oltreché sui costi anche sulla tempistica dell'opera infrastrutturale in questione –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alle circostanze esposte in premessa affinché siano eseguiti i necessari approfondimenti adottando se del caso le iniziative più opportune. (4-02251)

INTEGRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   BORGHESI, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI.— Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato era atteso il 28 settembre 2013 a Brescia, dove avrebbe dovuto prendere parte alla manifestazione «Brescia incontra il Mondo», organizzata nella locale parrocchia di Santa Maria in Silva;
   il Ministro interrogato ha invece rinunciato a parteciparvi, costringendo i promotori di «Brescia incontra il Mondo» ad annullare l'iniziativa;
   stando a ricostruzioni pubblicate da organi di stampa e basate su indiscrezioni attribuite allo staff del Ministro interrogato, la rinuncia sarebbe riconducibile a raccomandazioni provenienti da non meglio precisati organi del governo locale, causate da temuti problemi di ordine pubblico, a loro volta legati ad una possibile manifestazione politica del movimento «Forza Nuova»;
   il prefetto di Brescia, Narcisa Brassesco Pace, ha tuttavia negato che quel giorno potessero sussistere problemi di ordine pubblico in città, definita sicura;
   la motivazione ufficiale successivamente pervenuta agli organizzatori di «Brescia incontra il Mondo» farebbe invece riferimento a non meglio precisati impegni istituzionali del Ministro interrogato –:
   quale sia l'esatta ragione che ha indotto il Ministro interrogato a disertare la manifestazione bresciana di cui sarebbe stato l'ospite principale, determinandone l'inopinata cancellazione. (3-00393)


   GRASSI, FIANO, SCUVERA, ROBERTA AGOSTINI, BINDI, BOSCHI, BRESSA, CUPERLO, D'ATTORRE, FABBRI, FAMIGLIETTI, GASBARRA, GASPARINI, GIORGIS, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, ZOGGIA, MARTELLA e DE MARIA.— Al Ministro per l'integrazione.— Per sapere – premesso che:
   il 23 settembre 2013 si è tenuta a Roma, presso la sede di Palazzo Chigi, una riunione informale dei Ministri europei competenti per l'integrazione e le pari opportunità, organizzata e presieduta dal Ministro interrogato;
   a margine dell'incontro, cui hanno partecipato i rappresentanti di 17 Stati membri, è stata adottata una dichiarazione congiunta, denominata «Dichiarazione di Roma» sulla lotta all'intolleranza, al razzismo e ad ogni forma di discriminazione europea;
   nella Dichiarazione, alla quale hanno aderito anche i rappresentanti degli Stati non presenti, è stata annunciata l'intenzione di promuovere nell'ambito dell'Unione europea l'adozione di un «Patto 2014-2020 per un'Europa delle diversità e della lotta al razzismo», al fine di rafforzare il contrasto a tutte le forme di razzismo, xenofobia e discriminazione;
   infatti, nonostante negli ultimi sessanta anni siano stati numerosi gli impegni normativi sottoscritti per la promozione e la tutela dei diritti dell'uomo, nonché per consolidare i valori su cui l'Europa si fonda, molte – troppe – persone in Europa sono ancora vittime di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e di varie forme di discriminazione di genere;
   è sufficiente in questa sede ricordare i numerosi attacchi di matrice xenofoba e razzista di cui lo stesso Ministro interrogato è stato fatto oggetto a partire dalla sua nomina a Ministro e che hanno favorito lo stesso incontro informale del 23 settembre 2013, anche al fine di esprimere la solidarietà nei confronti della collega italiana, oggetto di attacchi per la sua sola origine straniera o etnica; oppure agli episodi di razzismo cui si assiste settimanalmente negli stadi italiani o quasi con regolarità durante lo svolgimento di manifestazioni sportive;
   tale fenomeno, del resto, non è solo ed esclusivamente italiano, ma ha di recente riguardato anche altri Ministri di altri Paesi europei; proprio in occasione dell'incontro, è stato da più parti evidenziato come la perdurante crisi economica, lungi dal favorire uno scambio interculturale, rischia, invece, di aggravare e rafforzare il populismo e il razzismo un po’ in tutta Europa e, dunque, richiede con forza e urgenza l'adozione di nuovi strumenti legali atti a garantire l'effettiva prevenzione, repressione ed eliminazione del razzismo, della discriminazione razziale, della xenofobia e della discriminazione di genere;
   al fine di dare ulteriore impulso politico all'elaborazione e all'adozione del patto, in tempi brevi e comunque auspicalmente prima delle prossime elezioni europee, il Ministro interrogato, in accordo con i colleghi europei, ha annunciato l'intenzione di riunirsi nuovamente a Roma nel gennaio 2014 –:
   quali siano, anche in vista dell'incontro previsto per il gennaio 2014, gli ulteriori passaggi, sia sul piano normativo che su quello politico, volti a dare attuazione agli impegni assunti dagli Stati membri nella Dichiarazione di Roma. (3-00394)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per l'integrazione, per sapere – premesso che:
   a seguito della redazione del piano sociosanitario per l'accoglienza dei migranti sbarcati sulle coste agrigentine, ai sensi dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3476 del 2 dicembre 2005, è stata attivata dal dipartimento di protezione civile della regione siciliana una tendostruttura sita sul molo di levante del porto di Porto Empedocle;
   la tendostruttura a seguito dell'emergenza migranti del 2005 venne utilizzata, almeno per i primi anni, secondo le finalità proprie, ovvero come struttura finalizzata ad offrire una breve accoglienza ai migranti e permettere alle forze dell'ordine di effettuare le operazioni di riconoscimento ed identificazione e garantire l'immediato trasferimento degli stessi migranti in strutture idonee;
   la conferenza di servizi svoltasi in data 5 dicembre 2005, che ha approvato il progetto di costruzione della stessa struttura, ha confermato e ribadito che la tendostruttura è da considerarsi idonea soltanto al transito, pertanto viene escluso che i migranti possano permanere all'interno della stessa, confermando quindi che la struttura aveva ed ha caratteristiche tecniche proprie di un centro di prima accoglienza ed identificazione e quindi la stessa risultava non idonea ad ospitate migranti per la notte se non in condizioni di emergenza;
   a seguito della scadenza del protocollo d'intesa relativo al suddetto piano sociosanitario per l'accoglienza dei migranti e dell'esaurimento di tutte le risorse finanziarie utili ed indispensabili per la gestione, da parte del dipartimento di protezione civile, della stessa tendostruttura si registra una situazione di permanente difficoltà vista la presenza di un incente numero di migranti anche in forma stanziale e l'impossibilità di rendere idonea dal punto di vista tecnico, strutturale e della sicurezza la suddetta struttura;
   allo stato attuale la tendostruttura viene utilizzata, su richiesta della prefettura e sulla base dell'emergenza umanitaria che negli ultimi anni ha visto aumentare vertiginosamente il numero dei migranti che arrivano a Porto Empedocle da Lampedusa, non solo per garantire la prima accoglienza ma per garantire stanzialità ai migranti per svariati giorni;
   i recenti sbarchi di migranti e il conseguente trasferimento a Porto Empedocle hanno determinato una situazione drammatica, data soprattutto dalle criticità della struttura non assolutamente idonea ad offrire accoglienza permanente e stanziale; la struttura infatti non dispone di idonei padiglioni in grado di separare le donne dagli uomini; le strutture in grado di offrire assistenza sanitaria sono non idonee a garantire il servizio quotidiano necessario ad una struttura di accoglienza; inoltre, la presenza cli diverse etnie determina problemi di gestione e di sicurezza non assolutamente gestibili in una struttura poco sicura;
   le condizioni igieniche e sanitarie dei migranti non possono essere assolutamente monitorate e garantite se si considera il fatto che la struttura non è nelle condizioni di garantire un servizio adeguato ed il tutto non fa che mettere in luce condizioni umanitarie, oltre che sanitarie e psicologiche assolutamente drammatiche, il che rende ancora più difficile il lavoro già precario, ma comunque meritorio ed indispensabile delle unità di protezione civile presenti nella struttura;
   allo stato attuale viste le suddette condizioni strutturali, rese ancora più drammatiche dalla massiccia presenza di migranti, si rischia di non potere garantire il diritto minimo all'accoglienza per centinaia di migranti con conseguenti rischi per il mantenimento della sicurezza di tutti gli operatori;
   l'inadeguatezza della struttura è altresì evidenziata dalla fatiscenza della stessa e dalla mancanza di un adeguata vigilanza che in strutture simili (vedi Imbiracola) viene garantita dalla presenza dell'esercito –:
   come intendano i Ministri interrogati fronteggiare, per quanto di competenza, le difficoltà che ogni giorno si manifestano nella suddetta struttura;
   se ed in che modo si ritenga di potenziare una struttura nata per garantire il transito e diventata, nel tempo, una struttura residenziale;
   se vi sia la volontà di reperire tutte le risorse necessarie alla manutenzione della struttura, al potenziamento delle misure per la sicurezza e alla dotazione di appositi padiglioni in grado di separare le donne dagli uomini ed i minori dagli adulti;
   se intenda intervenire per garantire una maggiore presenza della vigilanza, anche attraverso l'intervento dell'esercito, al fine di prevenire la fuga dei migranti e garantire le norme di sicurezza;
   se vi siano le i presupposti, viste le drammatiche condizioni in cui versano i migranti, per la dichiarazione dello stato di emergenza.
(2-00263) «Iacono, Laforgia, Pastorino, Giulietti, Mariano, Impegno, Burtone, Velo, Incerti, Giampaolo Galli, D'Incecco, Lorenzo Guerini, Schirò Planeta, Gutgeld, Guerra, Gozi, Mosca, Albanella, Amoddio, Capodicasa, Arlotti, Amato, Roberta Agostini, Casellato, Giovanna Sanna, Maestri, Fiano, Quartapelle Procopio, Giuseppe Guerini, D'Arienzo, Carlo Galli, Gasparini, Giachetti, Gullo, Lotti, Pierdomenico Martino, Martelli, Petitti, Petrini, Giorgio Piccolo, Stumpo».

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   tra i beni monumentali di proprietà del Fondo edifici di culto (FEC), gestito dal Ministero dell'interno e amministrato a livello provinciale dai prefetti, c’è la chiesa seicentesca di Santa Croce e San Francesco, sita nel comune di Nola, in provincia di Napoli (cod. CH00407);
   da diversi anni i rettori della chiesa denunciano inutilmente al dipartimento delle libertà civili e l'immigrazione, alla direzione centrale per l'amministrazione del Fondo edifici di culto, alla prefettura di Napoli e alla soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia, l'abbandono e il gravissimo stato di degrado in cui versano alcune importantissime testimonianze artistiche di pertinenza della chiesa e di proprietà del Fondo stesso;
   in particolare viene segnalato il preoccupante stato di conservazione dei rivestimenti marmorei degli ingressi monumentali della chiesa e del convento ma, soprattutto, i gravissimi danni ai dipinti murali realizzati sulla facciata e sulle pareti dell'angiporto, raffiguranti stemmi, tralci floreali, cartocci roccaille e Santi francescani;
   l'infiltrazione delle acque meteoriche e l'umidità delle murature hanno provocato, infatti, guasti notevoli alle pitture murali, quali sollevamenti e diffusi distacchi dell'intonaco, cadute di colore, alterazione dei pigmenti, macchie, efflorescenze saline –:
   se non ritenga indispensabile chiarire i motivi dei ritardi e delle inefficienze che stanno rischiando di compromettere in modo definitivo e irreversibile significative testimonianze artistiche di proprietà statale;
   se il Ministro intenda assumere misure immediate per salvaguardare i rivestimenti marmorei e le pitture murali della facciata e dell'angiporto della chiesa di «Santa Croce e San Francesco», sita nel comune di Nola (NA) e di proprietà del Fondo edifici di culto. (4-02236)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nel corso degli anni si è sedimentata una prassi (cosiddetta del «galleggiamento») in base alla quale coloro che hanno ricoperto alcuni ruoli o incarichi conservano i trattamenti economici (e i conseguenti trattamenti contributivi) – connessi al ruolo o all'incarico – anche dopo che sono cessati dal ruolo o dall'incarico medesimo e sono tornati a svolgere le mansioni nell'amministrazione di appartenenza;
   si tratta di una prassi di dubbia legittimità che: a) determina una disparità di trattamento tra persone che hanno la medesima anzianità e svolgono la medesima attività lavorativa; b) rischia di trasformare lo svolgimento di un pubblico incarico in uno status di permanente favore economico;
   si tratta di una prassi che in un momento di particolare crisi economica non appare più in alcun modo giustificabile –:
   quali categorie, a oggi, beneficino di trattamenti retributivi personalizzati «collegati a specifiche situazioni di stato del beneficiario conseguenti al trascinamento di anzianità pregresse maturate in qualifiche e ruoli diversi» (Corte costituzionale sentenza n. 6 del 1994);
   sulla base di quali norme vengano erogati tali trattamenti retributivi e dunque sulla base, di quali norme coloro che hanno ricoperto determinati ruoli o qualifiche continuano a percepire, anche dopo che sono cessati dal ruolo o dalla qualifica, i medesimi trattamenti retributivi che percepivano in ragione del ruolo o della carica;
   se e come il Governo, in un momento di particolare crisi economica – al fine di reperire le risorse necessarie a contrastare la disoccupazione, a contenere l'incremento delle imposte e a garantire a tutti i cittadini i beni e i servizi essenziali – intenda assumere iniziative per abrogare o per porre comunque fine (come ha disposto per i professori e ricercatori universitari, ai sensi dell’ articolo 5, comma 10-ter del decreto-legge n. 95 del 2012, come convertito dalla legge n. 135 del 2012) a simili trattamenti e quindi garantire che le retribuzioni siano commisurate – come prescrive l'articolo 36 della Costituzione – alla qualità e quantità del lavoro effettivamente e concretamente svolto (nel presente);
   se e come la previsione di cui all'articolo 5, comma 10-ter, del decreto-legge n. 95 del 2012, relativa ai professori e ricercatori universitari, venga applicata.
(2-00261) «Giorgis, Bressa, D'Attorre, Fiano, Richetti, Lattuca, Rosato, Fabbri, Lauricella, De Micheli, Arlotti, Baruffi, Bini, Bonafè, Boschi, Bruno Bossio, Campana, Causi, Garofani, Giacomelli, Marchi, Misiani, Paris, Pollastrini, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Villecco Calipari, Losacco, Zoggia, Malpezzi, Incerti, Gasparini, Cinzia Maria Fontana, Gribaudo, Bargero, Bobba, Piccoli Nardelli, Lodolini, Bindi, Miotto, Picierno».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XI Commissione:


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli effetti negativi prodotti dalla riforma pensionistica attuata dal Ministro pro tempore Fornero con il cosiddetto decreto «Salva Italia» sono oramai inarrestabili;
   dopo la vicenda degli esodati, dopo quella dei «quota ’96» della scuola e dopo la questione relativa ai donatori di sangue, si apre un altro caso di ingiustizia sociale che riguarda i lavoratori con parenti disabili;
   la disposizione di legge infatti, nell'abrogare le pensioni di anzianità, ha previsto in alternativa alla pensioni di vecchiaia la cosiddetta «pensione anticipata», fissando la soglia minima per usufruirne a 42 anni e 2 mesi di contributi versati per gli uomini e 41 anni più due mesi per le donne;
   il conteggio, però, considera solo i giorni di lavoro effettivo e non più quelli coperti da contributi figurativi, ad eccezione di malattia, leva e maternità obbligatoria; ciò vuol dire che non vengono riconosciuti, ai fini del calcolo, i giorni di assenza per coloro che usufruiscono della legge n. 104 del 1992, che garantisce la retribuzione ai lavoratori impegnati nell'assistenza di familiari disabili;
   trattasi di circa 3 giorni lavorativi al mese che, moltiplicati per gli anni di lavoro, potrebbero tradursi in un pensionamento posticipato anche di due anni; oltre al danno, una vera e propria beffa per gli interessati, attenti al dibattito che da anni si protrae sulla necessità di riconoscere un prepensionamento di cinque anni ai genitori con figli disabili;
   è evidente la necessità di un intervento normativo ad hoc che risolva la vicenda in oggetto, ma così procedendo l'attuale Governo rischia di conformarsi al Governo Monti, la cui costante è stata secondo l'interrogante quella di tentare di porre rimedio agli errori commessi con misure tampone ed approssimative, in mancanza delle cifre esatte dei lavoratori esodati da salvaguardare;
   è indubbio, peraltro, che la riforma previdenziale targata Fornero, abbia fortemente penalizzato non soltanto coloro che erano prossimi al collocamento a riposo, ma anche i giovani, che ne risentono sia da un punto di vista pensionistico (l'importo pensionistico sarà molto esiguo e potranno accedere al trattamento dopo i 70 anni di età) che da un punto di vista occupazionale, perché allungando l'età lavorativa delle persone si rischia di ostacolare ulteriormente l'ingresso nel mondo del lavoro delle nuove generazioni –:
   se alla luce di quanto esposto in premessa il Governo non ritenga di assumere iniziative per l'abrogazione dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ed il conseguente ripristino delle regole di accesso al pensionamento secondo la normativa vigente ante decreto «Salva-Italia», al fine di porre un freno definitivo alle vittime che la riforma Fornero sta mietendo ed evitare altre odissee a nuove ed ulteriori categorie di lavoratori.
(5-01253)


   BALDASSARRE e ROSTELLATO. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 1968 una pallottola sparata dalle forze dell'ordine colpiva ad una vertebra il signor Soriano Ceccanti, lasciandolo paralizzato; qualche mese fa è stata sospesa da Inps l'erogazione dell'indennità di accompagnamento ricevuta fino a quel momento avendo i requisiti necessari richiesti per legge quali residenza e riconoscimento sanitario;
   l'INPS pochi mesi fa, ha sospeso cautelativamente la prestazione economica contestando il non rispetto della «dimora stabile e abituale in Italia» ma a parere dell'interrogante appare alquanto opinabile l'interpretazione effettuata da INPS in merito alla vicenda in quanto discriminatoria per quanto concerne la libera circolazione all'estero di soggetti diversamente abili –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione su descritta e se non ritenga opportuno porre la propria attenzione e intervenire, per quanto di sua competenza, al fine di ripristinare la prestazione economica relativa all'indennità di accompagnamento del signor Soriano Ceccanti e di altri cittadini che si trovino in analoghe condizioni. (5-01254)


   ANTIMO CESARO e SOTTANELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6 del decreto ministeriale 8 ottobre 2012, attuativo dell'articolo 22, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012 (spending review), specificando le entità numeriche delle categorie di lavoratori salvaguardati, ha fissato in 40 mila quella riguardante i licenziamenti avvenuti sulla base di accordi governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011, che prevedono la collocazione in mobilità finalizzata al raggiungimento dei requisiti pensionistici;
   con il citato decreto ministeriale dell'8 ottobre 2012 hanno trovato legittima definizione le regole per la salvaguardia di altri lavoratori, i cui rispettivi procedimenti di tutela hanno preso avvio soltanto pochi mesi fa;
   successivamente, l'Inps ha precisato, con circolare n. 4678, che saranno le stesse sedi territoriali a riesaminare le posizioni dei lavoratori in mobilità, di quelli a carico dei fondi di solidarietà, degli autorizzati alla contribuzione volontaria (lettere da a) a d) dell'articolo 2, comma 1, decreto ministeriale lo giugno 2012), vagliando dunque tutti i requisiti considerati necessari all'inclusione nella salvaguardia prevista dal decreto n. 95 del 2012;
   i cessati le cui domande di beneficio hanno ricevuto l'accoglienza delle commissioni istituite presso le direzioni territoriali del lavoro, e che tuttavia sono rimasti esclusi dal primo gruppo comprensivo dei 65 mila, sono così tenuti a presentare domanda secondo quanto previsto per il secondo scaglione dei 55 mila;
   ciò nonostante rimane ancora sconosciuto il numero dei lavoratori, all'interno dei primi 65 mila, che è stato escluso, pur esibendo qualità valide ed equipollenti. Né l'Inps né il Ministero del lavoro e delle politiche sociali forniscono al riguardo delucidazioni dettagliate e precise. Così come non si annoverano chiarimenti riguardo lo stato evolutivo delle procedure di invio delle missive di conferma dell'avvenuta ammissione alla salvaguardia per i 65 mila iniziali;
   il messaggio numero 4678 diffuso dall'Istituto, allega inoltre alcune indicazioni circa le procedure da seguire per la salvaguardia dei 55 mila: per ciò che concerne i lavoratori oggetto di accordi stipulati in sede governativa, per la gestione delle eccedenze occupazionali con ammortizzatori sociali, il cui contingente numerico è di 40.000 unità, si mette in evidenza come già entro il 20 febbraio 2013 le aziende avrebbero dovuto trasmettere all'Inps l'elenco dei lavoratori licenziati entro il 31 dicembre 2012, mentre entro il 31 marzo 2013 per quelli licenziati o da licenziare entro nell'anno 2013. La disposizione dell'istituto di previdenza sembra tuttavia andare contro a quanto recentemente previsto in materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il quale con una sua nota dell'8 marzo 2013 ha precisato che il termine di 30 giorni dalla pubblicazione del decreto 8 ottobre 2012, per la presentazione degli elenchi dei lavoratori licenziati entro il 31 dicembre 2012 non risulta operante, atteso che l’iter di perfezionamento del decreto stesso (registrazione alla Corte dei conti e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) si è concluso il 21 gennaio 2013, per il decorso dei necessari tempi tecnici. Pertanto l'unico termine da osservare per le comunicazione relative ai licenziamenti intimati entro il 31 dicembre 2012, non può che essere assimilato a quello del 31 marzo 2013 sopra indicato;
   per quei lavoratori che sono in carico ai fondi di solidarietà, nei confronti dei quali con messaggio n. 3771 l'Inps ha comunicato l'esaurimento dei posti in disponibilità, salvo verifiche in corso, si preannuncia che potranno essere valutate anche le domande previdenti la pensione in deroga con decorrenza dopo il 31 dicembre 2019. In conclusione, precisa l'Inps, per le categorie di lavoratori che sono chiamati a perfezionare la decorrenza della pensione entro il trentaseiesimo mese successivo al 6 dicembre 2011, la nuova data di limite prevista è il 6 gennaio 2015;
   da quanto elencato nelle premesse sopraesposte, si deduce quanto le norme e le procedure per usufruire della salvaguardia siano complesse, richiedano adempimenti piuttosto macchinosi e implichino una dilatazione dei tempi –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere al fine di assicurare ai suddetti lavoratori una definizione della reale situazione pensionistica e dei relativi tempi di assegnazione e se non ritenga opportuno provvedere tempestivamente a sanare il disagio di migliaia di esodati fornendo indicazioni più semplici e chiare per quanti attendono ancora comunicazioni concrete e date indicative del previsto inizio di erogazione della pensione, ad oggi ulteriormente rimandato. (5-01255)


   DI SALVO, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel suo discorso alla Camera per la richiesta della fiducia, il Presidente del Consiglio Letta aveva dichiarato che: «con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto, e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo»;
   il Governo non ha mantenuto tale impegno né come priorità, né in altro modo, tenuto conto che ha provveduto a salvaguardare pochissime altre migliaia di lavoratori esodati, a fronte di una platea di oltre 200 mila che ancora attende una soluzione;
   sembra che la maggioranza e il Governo, purtroppo, non abbiano inteso la gravità della situazione che si è venuta a creare con la «riforma Fornero» del sistema pensionistico e non avvertano la responsabilità della politica dinanzi a lavoratrici e lavoratori che non hanno più mezzi per sopravvivere a causa della rottura del patto Stato-lavoratori che si è consumata a fine 2011;
   sostenere che mancano le Risorse è ormai disinformazione, dal momento che l'ufficio attuariale dell'INPS ha chiarito che nel decennio 2012-2021 i risparmi generati dalla «riforma Fornero» non saranno circa 23 miliardi di euro; come calcolato originariamente dalla ragioneria generale dello Stato, ma circa 90 miliardi;
   quel che è peggio, in tale situazione, è che neppure per i lavoratori cosiddetti salvaguardati esistono certezze. Sono moltissimi i lavoratori e le lavoratrici che, pur avendo presentato domanda perché ritengono di avere i requisiti per essere salvaguardati, scrivono allarmati perche l'INPS e gli altri enti competenti non forniscono informazioni certe riguardo alle posizioni di ciascuno di loro;
   è noto che l'accesso alla salvaguardia si è concretamente aperto solo nel giugno 2012, a seguito della pubblicazione del decreto ministeriale 1o giugno 2012, grazie al quale sono poi iniziate le procedure di monitoraggio atte a controllare il possesso dei requisiti richiesti ai lavoratori e la definizione delle liste di salvaguardia. Per i salvaguardati di cui alla prima tranche di 65 lavoratori (limitati effettivamente solo 62 mila), questa operazione a maggio del 2013 non si era ancora conclusa, pur a fronte del fatto che alcuni dei lavoratori avessero già maturato la decorrenza pensionistica. Secondo le informazioni diffuse dall'INPS a quella data solo 7.254 erano i lavoratori che già percepivano l'assegno pensionistico;
   tale situazione si è determinata anche perché le procedure di emersione ed esame delle istanze per verificare le condizioni contrattuali e il percorso lavorativo di ciascun candidato alla salvaguardia sono scattate solo nel settembre 2012;
   la stessa situazione si sta ora ripetendo con i lavoratori e le lavoratrici della seconda tranche di 55 mila salvaguardati che dovevano presentare domanda di tutela entro il 21 maggio 2013. Al momento non si conosce la lista dei salvaguardati e di chi rimarrà escluso pur avendo i requisiti previsti dalla legge. Su questo fronte né l'INPS, né il Ministero del lavoro e delle politiche sociali forniscono informazioni dettagliate e precise;
   agli interroganti sono stati segnalati più casi di lavoratori rientranti nella seconda tranche a cui l'INPS ha respinto la domanda di pensione, nonostante ritenessero di possedere i requisiti per la salvaguardia, e la cui domanda è stata riammessa e accolta solo a seguito di ricorso, ma classificata come «giacente»;
   molti di tali lavoratori, pur avendo già maturato i requisiti per l'accesso alla pensione e pur essendo stata accolta la loro domanda di salvaguardia, vivono situazioni di disagio anche estremo non percependo alcun reddito –:
   se il Ministro non intenda intervenire perché sia immediatamente avviato il pagamento dei trattamenti pensionistici dei «salvaguardati» di cui alla seconda tranche e sia pubblicata la loro lista completa.
(5-01256)

Interrogazione a risposta scritta:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo una ricerca di Save the children, l'Italia è agli ultimi posti in Europa per «povertà di futuro» di bambini e adolescenti, privati di opportunità, prospettive e competenze. La povertà nelle sue varie forme: sociale, economica, d'istruzione e di lavoro li sta colpendo in modo grave privandoli di prospettive e di opportunità. Nasce da qui l'esigenza di intervenire con priorità su questi aspetti;
   in particolare, la ricerca evidenzia i quattro principali dati negativi nei riguardi dei bambini e degli adolescenti: il taglio dei fondi per i minori e famiglie, la mancanza di una vita dignitosa, il basso livello di istruzione ed il lavoro;
   il nostro Paese si colloca al diciottesimo posto nell'Europa dei 27 per spesa per l'infanzia e la famiglia;
   mancano risorse indispensabili per una vita dignitosa: si pensi infatti, che quasi il 29 per cento dei bambini sotto i sei anni, pari a ad numero di circa 950 mila vive ai limiti della povertà tanto che il nostro Paese è al ventunesimo posto in Europa per rischio povertà ed esclusione sociale fra i minori di anni da 0 a sei e il 23,7 per cento vive in stato di deprivazione materiale;
   stanno, infatti, in modo peggiore solo i minori di Bulgaria e Grecia secondo quanto riferito da Valerio Neri, direttore dell'associazione;
   sono altresì, preoccupanti i dati riguardanti l'istruzione. L'Italia è, infatti, ventiduesima per giovani con basso livello di istruzione: il 28,7 per cento tra i 25 anni e i 34 anni per effetto della dispersione scolastica, pari a circa il 18,2 per cento di under 25. L'Italia è, altresì, all'ultimo posto per tasso di laureati: il 20 per cento dei giovani fra i 30 e i 34 anni, pari a 760 mila persone;
   altrettanto preoccupanti sono i dati che riguardano il lavoro: i disoccupati sono il 38,4 per cento degli under 25, il quarto peggior risultato a livello europeo, mentre i giovani che non lavorano e non stanno seguendo corsi di formazione, sono 3.200.000 e posizionano il nostro Paese al venticinquesimo posto su 27;
   per quantificare il «furto del futuro» che si sta commettendo ai danni delle giovani generazioni; Save the Children ha utilizzato 12 indicatori Eurostat che permettono di comparare le chanche dei bambini;
   considerando i diversi indicatori, il nostro Paese, si posiziona 7 volte oltre il ventesimo posto in classifica –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano di dover quanto prima attuare uno specifico piano di contrasto alla povertà minorile e d'investimento in favore dell'istruzione pubblica e porre in essere interventi urgenti e strutturati in favore delle politiche per i minori e i giovani. (4-02234)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   FAENZI e COSTA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i livelli di pressione fiscale che sono stati raggiunti nel nostro Paese appaiono evidentemente incompatibili con qualsiasi ipotesi di sviluppo e di crescita. Anche il mondo agricolo, negli ultimi anni, è stato oggetto di interventi miranti a sottoporlo ad una pressione fiscale sempre più elevata;
   eppure, in un contesto di crisi costante, il comparto agroalimentare si è sempre più evidenziato come un settore fondamentale per il sistema economico italiano, una risorsa su cui investire con forza e decisione;
   è, però, necessario impegnarsi al massimo per riuscire a garantire competitività all'intero mondo agricolo italiano, a prescindere dalle diverse dimensioni produttive presenti al suo interno;
   tassare, ad esempio, come si è cercato di fare, i terreni per l'agricoltura rappresenta un vero e proprio controsenso; significa, di fatto, tassare lo strumento di produzione fondamentale per il sostentamento del comparto agricolo e, quindi, ferire uno dei settori strategici per il rilancio dell'intero sistema Italia;
   è necessario ricordare che il settore agroalimentare si avvia, nel 2013, a raggiungere il record di 35 miliardi di euro di valore esportato, diventando così, di fatto, il primo comparto produttivo del nostro Paese, per valore di esportazione –:
   quali siano gli interventi che il Ministro interrogato intende adottare per difendere il settore agricolo ed agroalimentare dal rischio, sempre presente, dell'aumento della pressione fiscale e quali siano le scelte finalizzate, invece, ad ottenerne una riduzione della stessa, mirante, in particolare, a facilitare «l'accesso alla terra» delle nuove generazioni. (3-00390)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare, non solo perché è il settore destinato alla produzione di alimenti, ma anche perché rappresenta un patrimonio unico di valori e tradizioni, di cultura e qualità;
   a partire da questa considerazione appare necessario, a fronte di una globalizzazione alimentare che impone standard di competitività molto alti, che il nostro Paese sappia far leva sulle peculiarità originali delle sue produzioni agroalimentari, esaltando i tratti della tipicità, della genuinità, del legame inscindibile col territorio;
   la produzione agroalimentare necessita, in tal senso, di una maggiore tutela che può avvenire solo puntando sulla qualità, sulla tracciabilità degli alimenti e sull'ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali nella presentazione degli alimenti;
   a tal proposito appare doverosa l'attuazione dell'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, che prevede una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati;
   in tale disposizione si prevede, inoltre, l'obbligo di riportare anche il luogo d'origine o di provenienza e l'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia una presenza di organismi geneticamente modificati in qualunque fase della catena alimentare;
   i decreti attuativi interministeriali previsti dal citato articolo 4 non sono stati ancora emanati, rendendo, di fatto, inutile quanto previsto dalla legge sopra indicata in materia di etichettatura;
   tutto ciò rischia di creare, se mai saranno emanati tali decreti attuativi, una situazione paradossale con norme sulla etichettatura che non tengono conto delle maggiore e più articolare richieste, in tal senso, che arrivano sia da molte aziende del settore che dai consumatori;
   ad esempio, appare non più rinviabile la definizione di prodotti con caratteristiche «ogm free», così come accade nei Paesi europei più attenti ai diritti dei consumatori;
   gli alimenti e i mangimi «ogm free» dovrebbero avere alcuni vincoli che certifichino la completa assenza di organismi geneticamente modificati, ad esempio:
    a) non essere costituiti da organismi geneticamente modificati e non contenere organismi geneticamente modificati;
    b) non essere stati prodotti con organismi geneticamente modificati o con l'ausilio di organismi geneticamente modificati;
    c) non contenere ingredienti o additivi prodotti da o con l'ausilio di organismi geneticamente modificati per i quali sussiste l'obbligo di contrassegnazione come organismi geneticamente modificati;
    d) essere stati prodotti senza l'impiego dell'ingegneria genetica;
    e) non derivare da incroci di organismi geneticamente modificati oppure da incroci tra organismi geneticamente modificati con organismi non modificati;
    f) prevedere che gli appezzamenti di terreno dove si coltiva senza l'uso di organismi geneticamente modificati siano ad una distanza di almeno 3 chilometri da campi dove invece si produce utilizzando organismi geneticamente modificati, questo al fine di evitare la contaminazione –:
   se non si ritenga necessario ed urgente, stante l'assurdo ritardo accumulato, emanare i decreti attuativi previsti dall'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, e se non ritenga, nel contempo, a tutela dei produttori più responsabili e dei consumatori prevedere l'applicazione delle sopra indicate norme in materia di «ogm free». (3-00391)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta Terra dei fuochi è la zona tra la provincia di Napoli e Caserta nota alle cronache per lo sversamento di rifiuti tossici ivi illegalmente operato da parte delle organizzazioni criminali;
   circa il 30 per cento della terra dei fuochi è composta da terreni a destinazione agricola che hanno continuato ad essere coltivati nonostante i rischi connessi alla presenza dei citati rifiuti;
   durante una recente inchiesta televisiva, sono stati prelevati e sottoposti ad esame chimico alcuni campioni di prodotti ortofrutticoli coltivati nella predetta zona e sono state riscontrate tracce di piombo, cadmio e manganese, tre sostanze altamente cancerogene;
   la popolazione residente nella terra dei fuochi ammonta a circa un milione di persone e sono tutte esposte a gravi rischi per la propria salute, tanto che si prevede nei prossimi anni un drastico aumento di patologie tumorali a loro carico;
   la commercializzazione dei prodotti della Terra dei fuochi, a tutt'oggi operata sia al dettaglio sia attraverso i circuiti della grande distribuzione nei supermercati di tutta Italia, espone a gravi rischi per la salute tutti coloro, e in particolar modo i bambini, che quotidianamente li consumano –:
   se il Ministro interrogato sia informato di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere sia a protezione dei consumatori, sia a tutela della filiera agroalimentare, se del caso adottando una procedura per la certificazione dei terreni agricoli non contaminati.
(3-00392)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENEDETTI, SPESSOTTO, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'acqua salata del mare Adriatico risale dalla foce lungo i fiumi Brenta, Bacchiglione e Gorzone, anche per 20 chilometri, soprattutto nei periodi di bassa portata idrica degli stessi, che coincidono normalmente con la stagione estiva; il fenomeno cosiddetto del cuneo salino, oltre a coinvolgere le reti di irrigazione consorziali, consente all'acqua marina di infiltrarsi nelle falde di acqua dolce, limitando e talvolta azzerando la disponibilità della stessa per l'irrigazione agricola;
   conseguentemente è a rischio la fertilità dei terreni coinvolti, circa 40.000 ettari, che stanno già subendo considerevoli limitazioni che porteranno, a lungo termine, all'impossibilità di coltivare buona parte del territorio;
   per risolvere il problema è stata progettata e finanziata un'opera di sbarramento antintrusione salina, da costruire alla foce del fiume Brenta ed esattamente nel comune di Chioggia (VE) in località Brondolo, costituita da un nuovo ponte stradale sotto il quale verranno posizionate delle barriere mobili per trattenere l'acqua salata dalla parte del mare e quella dolce verso la pianura;
   tale opera ha un costo di euro 22.800.000 ed è così finanziata: euro 15.000.000 dal Ministero politiche agricole, euro 800.000 dal Magistrato alle acque, euro 3.000.000 dalla regione Veneto, euro 4.000.000 dal comune di Chioggia;
   con delibera giunta regione Veneto n. 1181 del 16 giugno 2009 veniva approvato il protocollo d'intesa tra regione Veneto, Magistrato alle acque, comune di Chioggia e consorzio di bonifica Adige Bacchiglione, inerente alla realizzazione dello sbarramento antintrusione salina presso la foce del fiume Brenta;
   con delibera giunta regione Veneto n. 1189 del 25 giugno 2012 veniva approvato il parere positivo della Commissione VIA (valutazione impatto ambientale) sull'opera di sbarramento antintrusione salina nel fiume Brenta;
   con delibera giunta comune di Chioggia n. 79 del 18 marzo 2008, veniva approvato lo studio di fattibilità «Raccordo della viabilità dalla s.s. 309 Romea all'area nord di Ca’ Lino di Chioggia ed attraversamento del fiume Brenta»;
   l'allegato 3 del progetto «nota tecnica di chiarimento alle osservazioni della commissione V.I.A.» stima in circa 110.000.000 di euro i benefici nei prossimi 25 anni per l'intera area di 40.000 ettari;
   l'iniziativa è del consorzio di bonifica Adige Euganeo che ha coinvolto la regione del Veneto, il comune di Chioggia ed il Magistrato alle acque, che assegnerà l'esecuzione dei lavori tramite gara d'appalto;
   la progettazione dell'opera garantirà la navigabilità del fiume attraverso una conca di navigazione limitrofa all'argine nord del fiume; la navigabilità sarà possibile anche in caso di chiusura totale di tutte le paratie di sbarramento, situazione peraltro sporadica che si verifica solo in particolari condizioni di portata di gran lunga inferiore alla media del Brenta;
   contro la realizzazione di quest'opera, importante e urgente, si sono espressi i titolari di sei darsene fluviali, situate a monte del sito, che individuano proprio in questo ponte/sbarramento un ostacolo per la navigabilità del fiume Brenta, temendo un grave danno alla loro attività imprenditoriale; per tale motivo i sei imprenditori nautici hanno presentato ricorso al TAR Veneto denunciando danni economici pari a 18.000.000 di euro nei prossimi 25 anni;
   l'allegato 3 del progetto «nota tecnica di chiarimento alle osservazioni della commissione V.I.A.» stima invece per le sei darsene, nello stesso periodo di 25 anni, un danno di 3.362.135 euro;
   a poche centinaia di metri a monte, rispetto al sito individuato, esistono già due ponti, uno stradale (Ponte della strada statale 309 Romea) e uno ferroviario, la cui altezza (2.34 e 3.07 metri sul livello del mare) risulta inferiore a quella del ponte da realizzare (3.70 metri sul livello del mare), ciò non ha impedito la realizzazione ed il funzionamento delle darsene e del transito dei natanti;
   nel medesimo territorio, nel tentativo di mitigare la risalita di acqua marina, è già stato attuato un primo intervento di fitodepurazione dei terreni attraverso una maggiore manutenzione dei canali di irrigazione ed una maggiore distribuzione di acqua dolce proveniente dall'Adige; l'opera oggetto di interrogazione fa parte del secondo intervento previsto, con medesima finalità;
   a parere degli interroganti l'opera di sbarramento antintrusione salina sarebbe fondamentale per tutelare l'agricoltura della zona, già gravemente danneggiata dalle infiltrazioni saline nelle falde acquifere e finora non efficacemente tutelata dagli interventi messi in atto;
   secondo il parere di alcuni esperti il sistema di sbarramento antisalino presente nell'Adige nella zona di Sant'Anna di Chiggia e in alcuni rami del Po sarebbe più funzionale in quanto automatizzato e autoregolante in base alla portata del fiume e non necessiterebbe di impianti di sollevamento meccanici delle paratoie; questo sistema consentirebbe di mantenere costantemente aperto il varco centrale, purché la portata media del fiume sia più elevata rispetto l'attuale; problema che si risolverebbe limitando lo sfruttamento delle acque, non sempre indispensabile –:
   quale sia, considerata la gravità della situazione dell'agricoltura nella zona del Brenta, lo stato di avanzamento dei lavori di sbarramento antintrusione salina o, se non ancora assegnati, quali siano le cause ostative che non ne permettono l'inizio;
   se si stia valutando l'ipotesi di sbarramento automatico con varco centrale, analogo a quello installato in prossimità della foce del fiume Adige e in alcuni rami del Po, ed eventualmente, per quale motivo si ritenga invece di procedere con il sistema previsto dal progetto;
   se il finanziamento ministeriale per l'intervento abbia particolari vincoli temporali e se un eventuale modifica progettuale che prolunghi la tempistica di inizio lavori possa causare la perdita dello stesso;
   se il Ministero politiche agricole alimentari e forestali intenda, successivamente alla costruzione dello sbarramento, procedere al terzo intervento previsto dal progetto LIFE finanziato dall'Unione europea, avente medesima finalità, ovvero la creazione di invasi d'acqua dolce nei punti di maggiore infiltrazione d'acqua marina nei terreni. (5-01251)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Campania e nel territorio della provincia di Avellino insistono diversi prodotti tipici legati all'enogastronomia locale e conosciuti in tutto il modo;
   tra questi prodotti tipici vi è la «castagna di Serino» considerata dagli esperti tra le migliori varietà italiane soprattutto per le caratteristiche di pregio dei suoi frutti dalle dimensioni medio-grosse, la «castagna di Montella» di pezzatura media o medio-piccola, viene utilizzata per le tipiche «castagne del prete», castagne in guscio essiccate su graticci di legno, tostate e successivamente idratate con acqua, e la «castagna Marrone di Santa Cristina»;
   la «castagna di Serino» è riconosciuta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali come prodotto agroalimentare tradizionale italiano, ha una produzione annua di circa 100.000 quintali all'anno e proviene dai territori di Serino, S. Lucia di Serino, S. Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Solofra, Montoro Inferiore e Superiore, Chiusano S.Domenico, S. Michele di Serino e Contrada in Provincia di Avellino; Baronissi, Galvanico, Castiglione dei Genovesi, Giffoni Valle Piana, Giffoni Sei Casali, Mercato S. Severino, S. Cipriano Picentino e S. Mango Piemonte in Provincia di Salerno;
   la «castagna di Montella» è un prodotto ad indicazione geografica protetta dal 1992, è riconosciuta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali come prodotto agroalimentare tradizionale italiano, dal 1987 è l'unico caso di prodotto ortofrutticolo d'Italia ad avere la Denominazione di Origine Controllata, ha una produzione annua di circa 50 – 60.000 quintali provenienti dai comuni irpini di Montella, Calabritto, Bagnoli Irpino, Nusco, Cassano Irpino, Volturara Irpina, e Montemarano;
   la «castagna Marrone di Santa Cristina» è riconosciuta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali come prodotto agroalimentare tradizionale italiano ed è coltivata in provincia di Avellino nei comuni di Moschiano e Forino;
   in Campania vi è una produzione annua di castagne di circa 200 – 220.000 quintali, pari a 1/3 della produzione nazionale;
   nel 2012, la produzione in Campania e in Irpinia è stata gravemente compromessa dalla veloce diffusione di un parassita, il cinipide galligeno del castagno, considerato l'insetto più nocivo a livello mondiale per il castagno a causa del veloce deperimento delle piante che attacca e che nel 2012 ha provocato un calo nella produzione di oltre l'80 per cento in alcuni dei territori dove insistono pregiate culture di castagno;
   la castanicoltura campana e irpina vive periodi di grande difficoltà con perdite di molti posti di lavoro e danni anche per l'ambiente –:
   quali misure si intendono intraprendere per affrontare il problema legato alla crisi del settore castanicolo e alla diffusione del cinipide galligeno del castagno, che sta continuando a compromettere la salute di colture secolari e l'economia ad esse legata. (4-02233)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 giugno 2013 la prima firmataria del presente atto, depositava l'interrogazione n. 3-00121, relativo alla notizia giornalistica che ha suscitato molto scalpore sull'indagine della procura della Repubblica di Roma, sollevando il velo su un sistema di corruzione all'interno del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   l'indagine della procura coinvolgeva 37 persone di cui 13 dirigenti e funzionari pubblici quasi tutti del Ministero dell'agricoltura; i reati contestati vanno dalla corruzione per atti contrari ai doveri, d'ufficio alla turbata libertà degli incanti, fino alla turbata libertà nella scelta del contraente;
   si apprende da un articolo apparso il 10 ottobre 2013 sul quotidiano «il Messaggero», pagine romane, che l'ex capo di Gabinetto del Ministero, Giuseppe Ambrosio è stato condannato a tre anni e 6 mesi di reclusione con l'accusa di abuso d'ufficio e tentata concussione; tra il 2006 e il 2009 avrebbe conferito incarichi dirigenziali a persone non qualificate e avrebbe cercato di indurre due funzionari che lo avevano denunciato a ritrattare le accuse nei suoi confronti;
   si apprende di conseguenza l'esistenza di un ulteriore processo a carico dell'ex capo di gabinetto Ambrosio e a danno del Ministero dell'agricoltura;
   si sono avute nel menzionato processo due condanne, due assoluzioni e due posizioni dichiarate estinte per prescrizione; così hanno deciso, in primo grado, i giudici dell'ottava sezione penale del tribunale di Roma per lo scandalo che investì il Ministero delle politiche agricole e forestali ai tempi dei Ministri Zaia e Galan;
   Ambrosio avrebbe recato ingiusto vantaggio patrimoniale a Riccardo Rolli conferendogli un incarico da dirigente, della durata di 5 anni, per fronteggiare lo stato di crisi nel settore della pesca marittima e dell'acquacoltura in Sicilia;
   Ambrosio è stato condannato inoltre per avere nominato Lorenzo Forte come vice capo dell'ufficio legislativo, incarico che non solo non è previsto nell'organico ma che, comunque, non poteva in tutti i casi essere conferito dal capo di gabinetto del Ministero; punito anche il terzo reato per le pressioni e abuso di potere su coloro che avevano sporto denuncia, minacciando future ripercussioni legali;
   è stato inoltre condannato ad un anno e dieci mesi di carcere invece l'ex direttore generale per la tutela del consumatore al dipartimento delle politiche di sviluppo del Ministero, Carocci, che avrebbe conferito tre incarichi dirigenziali, di sei mesi ciascuno, alla moglie dello stesso Ambrosio, Stefania Ricciardi;
   il danno arrecato all'immagine del Ministero in connessione alle ripercussioni negative sul comparto pesca e acquacoltura è di tutta evidenza –:
   se il Ministro si sia costituito parte civile nei confronti di Giuseppe Ambrosio e degli altri funzionari ministeriali coinvolti ovvero, in caso contrario, per quale ragione non l'abbia fatto. (4-02248)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'atrofia muscolare spinale o SMA, acronimo dei termini inglesi spinal muscular atrophy, indica un gruppo di malattie neuromuscolari ereditarie. Tutte queste forme della malattia colpiscono particolari cellule nervose chiamate motoneuroni, destinate al controllo dei movimenti dei muscoli volontari. La SMA causa la degenerazione dei motoneuroni alla base del cervello e lungo il midollo spinale, impedendo il corretto trasferimento degli impulsi elettrici e chimici ai muscoli, necessario per il normale funzionamento degli stessi, e pregiudicando l'espletamento di attività quali andare carponi («gattonare»), camminare, controllare il collo e la testa, e deglutire;
   le principali forme di SMA sono tre: malattia di Werdnig – Hoffhmann (SMA I), SMA intermedia (SMA II), SMA lieve, o malattia di Kugelberg – Welander (SMA III). Esse differiscono tra di loro essenzialmente per l'età d'insorgenza dei primi sintomi e per la severità della progressione;
   la SMA è la causa principale di morte infantile e affligge da 1 su 6.000 a 1 su 10.000 nati vivi. La sua forma più severa causa molto spesso la morte nei primi due anni di vita. Circa un individuo su 40 è portatore sano;
   la SMA è una delle malattie più invalidanti che esistano. Una persona affetta da SMA smetterà di camminare, di muovere le braccia, perderà l'uso di tutti i muscoli volontari. Spesso vengono coinvolti anche i muscoli respiratori e quelli per la masticazione e la deglutizione. Una persona affetta da SMA nel corso della propria vita perde tutte le abilità;
   la SMA è inserita nell'elenco delle malattie rare, allegato al decreto del Ministero della salute 18 maggio 2001, n. 279, recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», il che implica il diritto del paziente – una volta certificata la malattia – all'esenzione totale dal ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA) ritenute efficaci ed appropriate per il trattamento e il monitoraggio della malattia e per prevenire ulteriori aggravamenti;
   in considerazione dell'onerosità e della complessità dell’iter diagnostico per le malattie rare, l'esenzione è estesa alle indagini volte all'accertamento delle malattie stesse ed alle indagini genetiche sui familiari dell'assistito eventualmente necessarie per la diagnosi di malattia rara di origine genetica;
   ai malati di atrofia muscolare spinale è, altresì, riconosciuta l'esenzione dal pagamento dei farmaci di fascia A (come a tutti gli altri cittadini), ma il vero problema riguarda l'esclusione dalla lista di rimborsabilità dei farmaci inseriti in fascia C e l'inserimento nella fascia di trattamenti non farmacologici di presidi e di prodotti galenici;
   i malati di SMA infatti non hanno bisogno di farmaci perché al momento non esistono cure che consentano di arrestare o far regredire la malattia;
   le persone affette da SMA necessitano invece quotidianamente di integratori alimentari ossia «prodotti alimentari destinati a integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate»;
   i bambini affetti da SMA hanno spesso problemi di masticazione e deglutizione e, quindi, l'alimentazione diventa un processo lungo e noioso ed, inoltre, a seguito di infezioni respiratorie, può verificarsi un indebolimento dell'organismo con conseguente malnutrizione;
   per le persone affette da SMA la quantità di proteine deve essere maggiore per prevenire il catabolismo proteico dei muscoli: questi sono infatti costituiti da materiale proteico e un bimbo affetto da SMA non può permettersi di perdere anche poco della sua massa muscolare;
   un bimbo affetto da SMA di 10 anni, per esempio, deve pesare almeno il 10 per cento in meno rispetto ad un bimbo sano, perché i suoi muscoli, già deboli, non possono supportare un peso eccessivo e, dunque, è necessario prevenire l'obesità per permettere al bambino di muoversi al meglio delle sue capacità. Ad esempio, un peso eccessivo in un bambino affetto da SMA III sarà la causa principale per cui il bimbo smetterà di camminare;
   nelle forme medie di SMA i problemi di deglutizione sono di lieve entità e vengono superati utilizzando degli addensanti per liquidi. In commercio esistono anche bevande gelificate per «mangiare» l'acqua. Questi prodotti sono più densi dell'acqua e ciò rende più facile la deglutizione: quando arrivano nello stomaco diventano acqua;
   il malato di SMA per nutrirsi ha bisogno, come sopra descritto, di alimenti e di integratori alimentari, i quali diventano – in questo caso – dei veri e propri prodotti salvavita;
   la SMA non si cura con i farmaci e, dunque, coloro che sono affetti da SMA – nonostante siano in possesso di un codice per l'esenzione dal ticket – non pesano sul sistema sanitario nazionale;
   i malati di SMA necessitano quotidianamente di integratori alimentari;
   è necessario rendere concreti il diritto alla salute e il diritto all'uguaglianza, quest'ultimo concretamente fruibile solo nel rispetto delle diversità. Inutile concedere un'esenzione dai farmaci se di fatto la cura richiede integratori;
   in data 17 maggio 2012 è stata svolta un'interpellanza urgente a prima firma dell'interrogante su tale grave problematica a cui il Ministro della saluta pro tempore, rispondeva in questo modo: «nella proposta di aggiornamento dei LEA a suo tempo predisposta dal Ministero della salute l'erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale degli integratori alimentari o dei parafarmaci per questo tipo di patologie non era prevista. Sotto questo aspetto credo che sia però doveroso da parte del Ministro della salute pro tempore dare rassicurazione all'interpellante che la questione sarà valutata e studiata soprattutto alla luce della possibilità di individuare all'interno degli integratori e dei parafarmaci quelli con un nesso più diretto ed evidente rispetto alle esigenze salvavita per così dire delle persone colpite da questa patologia così da vedere la possibilità di applicare, analogamente a quanto accade già per altre patologie, il medesimo trattamento. Posso assicurare all'interpellante che questo sarà in tempi brevi studiato e approfondito dal Ministero –:
   se sia in corso lo studio assicurato dal Ministro pro tempore;
   quali tempestive iniziative intenda assumere – nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative attribuite alle regioni in materia sanitaria dalla normativa vigente – al fine di garantire ai malati di atrofia muscolare spinale l'effettivo godimento del diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa per tutte le prestazioni sanitarie incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA). (5-01258)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CASELLATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Treviso le più importanti aziende dei piccoli comuni si stanno svuotando. Si sta assistendo ad un impoverimento progressivo del territorio, sia in termini di qualifica delle aree sia di professionalità diffusa;
   con una media per azienda, di 14,8 posti di lavoro persi attraverso licenziamenti collettivi nella media e grande impresa trevigiana, sono stati 11.192 i lavoratori interessati dalla mobilità (legge n. 223 del 1991) dal 2008 al 2012, a questi si aggiungono altri 531 lavoratori nel 2013, con una media di 16 licenziamenti per azienda;
   se il 2010 e il 2011 hanno rappresentato gli anni più difficili la crisi, rallentata nel 2012, è purtroppo continuata nelle zone dell'Opitergino e di Montebelluna, soprattutto a causa delle dinamiche negative dei settori metalmeccanico e del legno, che insieme contano circa, il 70 per cento delle perdite occupazionali complessive;
   secondo i dati forniti dalla Cgil provinciale, in provincia di Treviso sono 3.528 i lavoratori della media e grande impresa nel settore legno, collocati in mobilità dall'inizio della crisi ad oggi (dato aggiornato a settembre 2013);
   una platea di lavoratori licenziati di per sé già considerevole, se non fosse che le stime ci consegnano un quadro ancor più drammatico: a ogni fuoriuscita dalla grande impresa corrispondono in media due posti di lavoro persi nella Pmi. Dunque una quantità enorme di licenziamenti, oltre i 10mila, per quello che prima del 2008 era considerato un comparto trainante del tessuto produttivo della Marca e che oggi, pezzo dopo pezzo, rischia di scomparire lasciando non solo un incolmabile vuoto occupazionale, ma anche una grave perdita di competenze, che traduciamo col termine deindustrializzazione;
   gli ultimi casi, in ordine di tempo, che stanno preoccupando i sindacati e i lavoratori trevigiani del settore legno, riguardano le aziende Faram di Spresiano, Giavera del Montello e l'azienda Europeo di Cessalto, dove sono a rischio quasi 800 lavoratori –:
   se non intenda, convocare urgentemente tutti i soggetti interessati in sede ministeriale per una disamina della, crisi delle aziende FARAM ed EUROPEO e individuare i possibili interventi;
   se non ritenga di attivare un tavolo ministeriale coinvolgendo gli amministratori del Nord Est e le parti sociali, volto a individuare le strategie di politiche industriali che consentano nel medio-lungo periodo il rilancio del tessuto produttivo del territorio. (5-01252)

Interrogazione a risposta scritta:


   PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto dichiarato da Enel spa sul proprio sito istituzionale (www.enel.com), la società stessa, a partire dal 2001, ha avviato l'installazione dei cosiddetti «contatori elettronici intelligenti», apparecchiature finalizzate alla rilevazione dei consumi dell'energia elettrica, alla comunicazione da remoto dei dati relativi alla lettura e alla gestione a distanza del cliente, grazie ad un sistema di trasmissione di dati attraverso la stessa rete elettrica. I vecchi contatori elettromeccanici, laddove erano presenti, sono stati sostituiti gratuitamente con quelli elettronici;
   secondo i dati forniti da Enel, a tutt'oggi in Italia sono stati installati circa 32 milioni di apparecchi che «rappresentano la più estesa e capillare infrastruttura al mondo per la tele gestione»; tali contatori, fornendo informazioni in tempo reale sui consumi elettrici, dovrebbero costituire il primo passo verso la realizzazione delle Smart Grids, le reti elettriche intelligenti;
   secondo quanto si apprende dall'articolo di Edoardo Beltrame «L'incredibile vicenda dei contatori intelligenti» pubblicato in data 17 settembre 2013 sul sito web «Linkiesta», tali apparecchiature non sarebbero omologate né controllate da alcun ente terzo in quanto, all'epoca della loro introduzione, si trattava di strumenti non previsti dalla normativa (regio decreto 23 agosto 1890, n. 7088 e successive modificazioni e integrazioni; legge 13 dicembre 1928, n. 2886 e successive modificazioni e integrazioni; decreto legislativo 21 marzo 1948, n. 370 e successive modificazioni e integrazioni; decreto legislativo 29 dicembre 1992, n. 517, articolo 15) e pertanto non riconosciuti neppure dagli uffici metrici delle Camere di commercio;
   a conforto di questa notizia vi sarebbe la formulazione del comma 3 dell'articolo 22 – «Disposizioni transitorie» del decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 22 che recependo con tre anni di ritardo la direttiva 2004/22/CE relativa agli strumenti di misura, prevede che: «i dispositivi ed i sistemi di misura [omissis] per i quali la normativa in vigore fino al 30 ottobre 2006 non prevede i controlli metrologici legali, qualora già messi in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto, potranno continuare ad essere utilizzati anche senza essere sottoposti a detti controlli, purché non rimossi dal luogo di utilizzazione»;
   alcune interrogazioni presentate al Parlamento europeo (ad esempio quelle a firma di Marc Tarabella del 4 dicembre 2010) sollevavano già tre anni fa il problema della tutela del consumatore a fronte di apparecchiature sulla cui reale efficienza non esistevano ancora studi autorevoli e sui potenziali effetti collaterali che tali contatori intelligenti comportano dal punto di vista dell'intrusione nella vita privata delle famiglie –:
   se il Ministero e le competenti autorità dispongano di studi approfonditi sull'efficacia di tali strumenti nel garantire un effettivo risparmio agli utenti e alle reti di distribuzione;
   quali garanzie esistano sulla protezione dei dati relativi ai consumi delle singole utenze;
   se rispondano a verità le notizie riportate dall'articolo del sito web «Linkiesta» sopra menzionato, cosa che secondo l'interrogante determinerebbe una mancata tutela degli utenti, con riferimento segnatamente:
    al fatto che i contatori installati – o quantomeno quelli installati in periodi anteriori all'entrata in vigore della citata normativa (decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 22) – non siano né siano mai stati soggetti a verifiche metrologiche da parte di enti terzi e imparziali;
    al fatto che tali contatori sarebbero soggetti a numerosi guasti che compromettono la leggibilità e la correttezza dei dati dei consumi, soprattutto in considerazione del fatto che sia Testo unico delle leggi metriche sia la delibera europea, stabiliscono che il dato fidefacente della transazione, resti quello indicato dallo strumento e quindi, in caso di contestazione, solo a quello si debba fare riferimento. (4-02245)

Apposizione di firme, modifica dell'ordine dei firmatari e pubblicazione del testo riformulato di una mozione.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Braga n. 1-00013, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 6 del 2 aprile 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    sono circa 80.000 le lavoratrici e i lavoratori italiani che ogni giorno attraversano i confini nazionali per prestare la loro attività lavorativa all'estero con il permesso di frontaliere;
    di questi 48.000 in Canton Ticino, provenienti dalle province di Como, Varese e Verbano Cusio-Ossola; 6.500 nei Grigioni, provenienti soprattutto dalla provincia di Sondrio e in piccola parte da quella di Bolzano, 1.500 nel Vallese, provenienti dalla zona di Verbano Cusio-Ossola. A questi si aggiungono i più di 6.000 cittadini italiani dall'Emilia Romagna e dalle Marche si recano a lavorare nella Repubblica di San Marino, i 3.700 che giornalmente dalla provincia di Imperia si recano a lavorare nel Principato di Monaco e in Francia, nonché altre centinaia di italiani che per lo stesso motivo si recano giornalmente in Austria, Slovenia e Città del Vaticano;
    il frontalierato è, a tutti gli effetti, un fenomeno strutturale del mercato del lavoro ed un aspetto rilevante nei rapporti dell'Italia con i Paesi di confine, soprattutto in alcune aree del Paese; ha rappresentato nel corso del tempo e rappresenta tuttora un importante contributo allo sviluppo di questi Paesi ed un'elevata risorsa per l'economia delle province italiane di confine;
    la particolare condizione di vita e di lavoro dei frontalieri li espone, tuttavia, ad una serie complessa di problematiche di natura fiscale, previdenziale, di sicurezza sociale e regolazione del lavoro, derivanti dal fatto di essere a tutti gli effetti cittadini italiani ma prestatori di lavoro in uno Stato estero;
    nonostante la rilevanza del fenomeno, il nostro Paese non dispone di una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscere pienamente il valore e l'importanza del lavoro frontaliero per il contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente; al contrario, diversi provvedimenti governativi adottati negli ultimi anni hanno ignorato la specificità dello status di lavoratore frontaliere, generando talvolta una sottovalutazione, se non un aggravamento dei tanti problemi aperti;
    a titolo esemplificativo le recenti controversie maturate in ordine al riconoscimento dell'indennità di disoccupazione speciale per i frontalieri attivi in Svizzera, così come le contraddittorie comunicazioni fiscali circa la dichiarazione di conti-stipendi e le velate accuse di privilegi infondati, la questione della franchigia di esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera, hanno evidenziato l'esistenza di uno spettro assai più ampio di problematiche;
    è opportuno stimolare un più convinto impegno per arrivare al più presto all'approvazione di uno statuto dei lavoratori frontalieri, che definisca un quadro di diritti e doveri chiari legati a questa peculiare condizione di lavoro e dia soluzione ai problemi in essere, generati principalmente dalla mancanza di una regolamentazione specifica,

impegna il Governo

   a promuovere l'apertura di un tavolo di confronto, con le rappresentanze delle associazioni sindacali e dei lavoratori dei territori di confine e le regioni territorialmente coinvolte, con l'obiettivo di definire una piattaforma organica di esigenze e richieste e, successivamente, di predisporre l'impianto di uno statuto dei lavoratori frontalieri utile alla ripresa dei negoziati internazionali in grado di produrre accordi bilaterali con i Paesi di confine, che prevedano una specifica ed appropriata disciplina del lavoro frontaliero ed una regolazione del trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri attraverso leggi ordinarie, così come previsto dagli accordi bilaterali in essere e con riguardo alla trattativa bilaterale con la Confederazione elvetica già in fase di negoziazione, nella quale siano salvaguardate le prerogative dei lavoratori e dei territori frontalieri sancite dall'accordo bilaterale del 1973;
   a sostenere le iniziative parlamentari tese a confermare nella legge di stabilità la franchigia di esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera, in continuità con gli anni scorsi, disponendo la sospensione del pagamento dell'anticipo per l'anno 2014;
   ad assumere le iniziative di propria competenza affinché, anche nell'ambito di lavoro del tavolo di confronto sopra citato, si definisca la questione dell'utilizzo delle risorse esistenti nella gestione con contabilità separata istituita presso l'Inps ai sensi della legge 147 del 1997 e già destinate all'erogazione del trattamento speciale di disoccupazione, al fine di garantire che le stesse siano destinate a favore dei lavoratori frontalieri.
(1-00013) «Braga, Pizzolante, Antimo Cesaro, Kronbichler, Plangger, Guerra, Marantelli, Borghi, Arlotti, Petitti, Palmieri, Squeri, Gadda, Senaldi, Gianni Farina, Vignali, Biasotti, Tentori, Fragomeli, Garavini, Brandolin, Basso».

Apposizione di firme e pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Zaccagnini n. 7-00135, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 99 del 17 ottobre 2013.

   Le Commissioni XII e XIII,

   premesso che:
    è da un po’ di mesi che il Governo inglese insiste giustamente nel voler migliorare la salute dei suoi cittadini, in data 19 giugno 2013 il dipartimento della salute britannico ha annunciato l'introduzione di un nuovo sistema volontario di etichettatura nutrizionale basato sulla colorazione semaforica (verde-giallo-rosso) del packaging dei prodotti alimentari; l'Inghilterra ha deciso di far diminuire l'introito di alcuni nutrienti: grassi, sale e zuccheri, presenti negli alimenti. Il Ministro della salute inglese, Anna Soubry, ha invitato la grande distribuzione e i supermercati del suo Paese a utilizzare, da quest'anno, i colori del semaforo per le indicazioni nutrizionali. Il sistema escogitato risulta il seguente: il colore rosso indica pericolo, il giallo mediamente pericoloso, il verde buono. L'iniziativa britannica ha suscitato non poche preoccupazioni nell'industria agroalimentare italiana, basti pensare che l'olio extravergine, per esempio, si ritroverebbe un grosso bollino rosso di pericolo. La stessa cosa accadrebbe a formaggi, salumi, dolciumi e altro. E gli eccellenti prodotti italiani e quelli dell'Europa meridionale si ritrovano così col semaforo rosso. Sulle etichette però non sono affatto suggerite le quantità giornaliere. Inoltre, le porzioni consigliate dovrebbero indicare il valore delle calorie e dei nutrienti riferiti al fabbisogno giornaliero. In altre parole, le indicazioni troppo generiche dovrebbero essere comprese e applicate da normali persone prive delle conoscenze nutrizionali specialistiche. Per alcuni prodotti, in corrispondenza dei numeri indicanti le quantità di ingredienti sono previste parole come «alto», «medio» e «basso» per segnalare in modo intuitivo se un cibo è ricco di grassi e sale. Questo sistema penalizzante per una sola parte di prodotti era già stato «bocciato» non solo dall'Italia, ma anche dall'intera Unione europea che, saggiamente aveva suggerito di mettere in atto una campagna di educazione alimentare per i cittadini, specialmente nei confronti dei bambini. A partire dal 2016 diventerà obbligatoria in tutta Europa l'etichettatura nutrizionale, vale a dire l'indicazione corretta dei principi nutritivi e del relativo apporto calorico riportata sull'etichetta di ogni prodotto alimentare. L'iniziativa britannica appare avere a giudizio dei firmatari del presente atto, elementi di pressapochismo normativo tali da svantaggiare il made in Italy; infatti sulla base del conteggio dei grassi e degli zuccheri gli alimenti sono etichettati con bollino rosso. Si specifica che la dieta italiana è conosciuta come dieta mediterranea, il cui valore come «patrimonio immateriale dell'umanità» è stato ufficialmente riconosciuto dall'Unesco nel 2010. Oltretutto il sistema a semafori non tiene conto ad esempio del fatto che in un alimento vi siano organismi geneticamente modificati e che nella filiera complessiva agroalimentare siano stati utilizzati mangimi OGM;
    la normativa relativa all'etichetta negli alimenti OGM è contenuta nel Regolamento 1830/2003 e nel Regolamento 1829/2003 direttamente applicabili nel nostro ordinamento;
    quanto alla normativa nazionale, il decreto legislativo n. 224 del 2003 ha dato attuazione in Italia alla direttiva 2001/18/CE;
    in base a ciò quanto contenuto nel sistema a semafori adottato dall'Inghilterra appare carente e penalizzante rispetto ai prodotti agroalimentari italiani,

impegna il Governo:

   ad intervenire presso la Commissione europea per una rapida verifica sia sulla compatibilità del suddetto sistema di etichettatura inglese con la normativa europea relativa alle indicazioni nutrizionali degli alimenti, sia sul rispetto da parte del Governo britannico dell'obbligo di previa notifica previsto per l'introduzione di nuove regolamentazioni in materia di etichettatura;
   a dare mandato alla rappresentanza permanente italiana a Bruxelles affinché i prodotti contengano sull'etichetta la dicitura «Free Ogm», dicitura ottenuta solo se in tutti i passaggi della filiera alimentare, non siano stati utilizzati organismi geneticamente modificati, spostando quindi l'attenzione non sui regimi alimentari, adottati dai singoli paesi, come la quantità di grassi e zuccheri, ma sull'assenza di Ogm, valorizzando in tal modo il made in Italy, laddove sia realmente genuino e tutelando la salute dei cittadini, incentivando, altresì, tutte le imprese agricole e agroalimentari italiane che crescono in territori ricchi di biodiversità nel non utilizzo degli Ogm.
(7-00135) «Zaccagnini, Nicchi, Palazzotto».

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00162, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 agosto 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carra.

  La mozione Crippa e altri n. 1-00214, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Vacca, Del Grosso, Colletti.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Rampi e altri n. 4-02146, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manfredi.

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Di Salvo n. 1-00204 dell'11 ottobre 2013;
   mozione Pizzolante n. 1-00205 dell'11 ottobre 2013.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Lacquaniti n. 4-01312 del 17 luglio 2013.