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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 18 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e IX,
   premesso che:
    la rete di telecomunicazioni, che possiede caratteristiche di monopolio naturale, è una risorsa strategica per gli Stati poiché garantisce l'esercizio di diritti costituzionali quali la libertà di comunicazione e l'accesso alla conoscenza veicolata attraverso la rete internet, oltre che la competitività e la crescita economica delle imprese;
    in Italia, la rete di accesso è di proprietà di Telecom Italia che, oltre ad essere il principale operatore telefonico del Paese è uno dei principali attori del mercato finanziario nazionale;
    il valore della rete nazionale posseduta da Telecom Italia si aggira tra gli 8 e i 16 miliardi di euro ed è composta da 110 milioni di chilometri in rame e 4,1 milioni di chilometri in fibra ottica;
    per quanto concerne la rete wireless Telecom Italia registra un patrimonio il cui valore oscilla tra i 500 milioni e il miliardo di euro, con 12 mila antenne Tim;
    sulla base delle risultanze del Libro dei Soci, delle comunicazioni effettuate alla Consob e alla società ai sensi dell'articolo 120 del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 e di altre informazioni a disposizione, l'azionariato di Telecom Italia, prima dell'accordo del 24 settembre, vedeva Telco s.p.a. come il principale azionista di Telecom con una partecipazione pari al 22 per cento delle azioni;
    il capitale di Telco era suddiviso in due categorie: azioni A che rappresentavano il 53,82 per cento del capitale azionario posseduto dagli investitori italiani tra i quali, emergevano, Generali, Mediobanca e Intesa e azioni B che rappresentavano il 46,18 per cento del capitale sociale posseduto da Telefonica;
    tutti gli azionisti Telco erano soggetti ad un patto parasociale, firmato in data 28 aprile 2007, che prevedeva il conferimento di tutte le partecipazioni possedute alla stessa Telco;
    il 24 settembre 2013 i soci di Telco, Generali, IntesaSanpaolo, Mediobanca e Telefonica hanno concluso un accordo che modifica il patto parasociale di cui sopra che si articola in due fasi. La prima fase prevede la sottoscrizione da parte di Telefonica di un aumento di capitale in Telco pari al 66 per cento. La seconda fase prevede la sottoscrizione da parte di Telefonica di un ulteriore aumento di capitate sociale Telco di 117 milioni di euro, aumentando la partecipazione di Telefonica in Telco da 66 per cento al 70 per cento. L'accordo prevede inoltre dei percorsi di uscita degli investitori italiani in Telco, consentendo, dunque, a Telefonica di ottenere il 100 per cento delle azioni di Telco e di acquisire la maggioranza nel consiglio di amministrazione di Telco e Telecom Italia;
    Telecom Italia, oltre ad avere un indebitamento netto pari a circa 29 miliardi di euro e un lordo di 38 miliardi, opera in un mercato domestico saturo (caratterizzato da una congiuntura economica negativa) che necessita di continui interventi di ammodernamento della rete;
    sebbene nell'ultimo anno gli utili di Telefonica, grazie soprattutto al mercato brasiliano, siano cresciuti del 21 per cento, l'azienda spagnola Telefonica risulta essere un'azienda molto più indebitata di Telecom. È, infatti, la compagnia telefonica più indebitata d'Europa, con 57 miliardi di euro di debiti, rispetto a Telecom che ne ha per 40 miliardi;
    occorrerebbe sapere da quale finanziatore la Telco intenda prendere le risorse finanziarie per acquistare Telecom e se non intenda reperire le risorse da una banca spagnola, magari, tratta in salvo dall'Unione europea, con l'intervento del fondo «salva Stati» ESM, il quale, a sua volta, è stato rimpinguato dallo Stato italiano con un versamento di 124 miliardi di euro (prima tranche), presi a debito sui mercati finanziari e che verranno restituiti dai cittadini italiani attraverso il pagamento delle tasse attuali e di quelle future;
    l’Antitrust brasiliano ha fatto sapere alla Telco che, qualora dovesse portare a termine l'operazione con Telecom, dovrebbe cedere una delle due reti di cellulari presenti in Brasile, una targata Telefonica e l'altra targata Tim, rinunciando, quindi, ad uno dei mercati – se non l'unico fatta eccezione per l'Argentina – che produce utili;
    il decreto-legge n. 21 del 2012 recante «norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni», al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale conferisce al Governo «poteri speciali» attinenti alla governance delle suddette società (cosiddetta golden power). Tali poteri sono esercitabili dal Governo nei confronti di società pubbliche o private operanti nei settori strategici della difesa e sicurezza nazionale nonché nei confronti delle società che possiedono asset di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti, delle comunicazioni. Con riferimento a tali ultimi settori i poteri speciali esercitabili dal Governo consistono nella possibilità di far valere il veto dell'esecutivo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, ovvero imporvi specifiche condizioni;
    l'articolo 2 del decreto-legge di cui sopra dispone che, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro degli affari esteri, oltre che con i Ministri competenti per settore, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono individuati, con uno o più decreti, le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, nonché la tipologia di atti o operazioni all'interno di un medesimo gruppo ai quali non si applica la disciplina di cui al presente articolo;
    i decreti di cui sopra non sono ancora stati adottati, rendendo, di fatto, inapplicabili le previsioni contenute nel citato decreto-legge n. 21 del 2012;
    sulla base delle previsioni di cui alla direttiva 2009/140/CE del 25 novembre 2009 «recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica», come recepite dal Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259 modificato dal decreto legislativo 28 maggio 2012, n. 70), l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ha avviato, anche alla luce delle linee guida sulla separazione funzionale dettate dall'Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (BEREC), la fase preliminare di valutazione del progetto di separazione funzionale della rete di accesso presentata da Telecom Italia;
    la separazione funzionale della rete di accesso, oltre che rafforzare l'assetto concorrenziale del mercato a vantaggio dei cittadini, appare una precondizione per consentire l'ingresso di nuovi capitali nella costituenda società in grado di sostenere gli investimenti necessari per l'ammodernamento della rete ed il passaggio alla fibra ottica in linea con gli obiettivi fissati nell'Agenda digitale europea che per il 2020 richiede che il 100 per cento della popolazione italiana sia raggiunta da una connessione di almeno 30 megabit/secondo ed almeno il 50 per cento con velocità di 100 megabit/secondo. Come dimostrato dallo scoreboard sui progressi dell'Agenda digitale europea dedicato all'Italia, il nostro Paese vede una copertura della reti NGA (con velocità di connessione di almeno 30mbps) pari al 14 per cento delle abitazioni contro una media europea del 53,8 per cento mentre la penetrazione della fibra ultraveloce (ad almeno 100mbps) appare del tutto marginale;
    gli investimenti finora assicurati da Telecom Italia non si sono dimostrati sufficienti per garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti a livello comunitario e la situazione di forte indebitamento di Telecom Italia e di Telefonica non fa presagire un rapido incremento degli investimenti nell'infrastruttura che appare essenziale per garantire l'accesso alla rete ai cittadini ed imprese italiani a condizioni almeno pari a quelle assicurate negli altri Paesi comunitari con effetti benefici sul terreno della crescita del Paese e dell'occupazione,

impegnano il Governo:

   ad assicurare piena tutela e valorizzazione dell'occupazione e del patrimonio di conoscenze e competenze di Telecom Italia;
   ad adottare, nei tempi più brevi, il regolamento sulla golden power recante l'individuazione degli attivi ritenuti strategici nel settore delle comunicazioni;
   a garantire, conseguentemente, un'efficace vigilanza, in base ai poteri previsti dalla golden power, sui beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse e la sicurezza nazionale nel settore delle comunicazioni;
   a chiedere nelle più opportune sedi europee garanzie affinché le banche interessate provenienti dal fondo salva stati (MES) non utilizzino risorse proprie per finanziare l'acquisto di asset strategici ai danni delle nazioni finanziatrici dello stesso, fondo salva stati;
   ad assumere iniziative volte ad aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'OPA obbligatoria, una soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto;
   a promuovere una riforma organica della disciplina codicistica volta a rafforzare i diritti delle minoranze anche con riferimento alla rappresentanza azionaria al fine di garantire una maggiore rappresentatività delle liste minoritarie nella compagine societaria;
   ad acquisire elementi presso la Consob circa l'attività di vigilanza in considerazione dell'operato di TELCO e dell'influenza esercitata da quest'ultima all'interno delle procedure decisionali del consiglio di amministrazione Telecom Italia;
   ad assumere iniziative affinché si pervenga allo scorporo della rete mediante la costituzione di una società della rete, in modo da consentire la gestione pubblica di una risorsa strategica per il sistema Paese, attraverso un investimento pubblico, in un quadro di compatibilità con quanto previsto dalle norme europee, nella costituenda società della rete, a condizione che Telecom Italia riconosca il diritto di opzione a fronte di tale investimento sulle quote di partecipazione della costituenda società.
(7-00139) «Paolo Nicolò Romano, Barbanti, Cristian Iannuzzi, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Catalano, Liuzzi, Dell'Orco, Pesco, Cancelleri, Ruocco, Pisano».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il 17 settembre 2013 è stato effettuato l'intervento di rotazione della motonave Costa Concordia arenata nei pressi dell'isola del Giglio, dopo il tragico naufragio del 13 gennaio 2012;  
    considerato che l'intervento è avvenuto con successo, si esprime il ringraziamento e l'apprezzamento alle 500 donne e uomini del consorzio Titan-Micoperi, al Dipartimento della protezione civile e agli abitanti dell'isola per lo straordinario contributo fornito all'eccezionale intervento;
    occorre procedere alla demolizione del relitto, già classificato dal Governo come «rifiuto speciale» e quindi sottoposto a particolari normative comunitarie, nonché a specifiche competenze regionali in base al luogo del naufragio;
    le predette normative indicano una serie di parametri dei luoghi ove effettuare la demolizione del relitto, come l'esistenza di strutture di salvaguardia ambientale, la formazione professionale degli addetti e che indicano la necessità di coprire il percorso minore possibile in mare fino al luogo adatto ad effettuare i lavori di demolizione;
    sono state avanzate alcune ipotesi di trasferimento del relitto nel porto di Smirne in Turchia;
    le predette lavorazioni possono essere adeguatamente effettuate in Italia ove esistono luoghi adatti e adeguate professionalità,

impegna il Governo

a creare per quanto di competenza condizioni amministrative e politiche favorevoli affinché le predette lavorazioni non vengano trasferite all'estero.
(7-00138) «Meta, Bonaccorsi, Brandolin, Pagani, Rotta, Ferro, Mauri, Mura, Coppola, Velo, Mognato, Castricone, Paolucci, Carella, Tullo».

ATTI DI CONTROLLO

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il progetto «Scegli Italia», approvato dal Comitato dei Ministri della società dell'informazione in data 16 marzo 2004, aveva l'obiettivo di incrementare i flussi turistici nazionali ed internazionali mediante l'uso di tecnologie digitali;
   il decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie del 28 maggio 2004 ha stanziato 45 milioni di euro per il sopracitato progetto;
   l'articolo 12 del decreto-legge n. 35 del 2005 ha disposto l'avvio del progetto «Scegli Italia.it», destinato alla promozione su rete internet «marchio Italia» nel settore del turismo;
   il decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie del 7 luglio 2005 ha stanziato altri 2 milioni di euro per la promozione del suddetto portale;
   il portale è stato pubblicato il 22 febbraio 2007;
   il Governo, rilevata la inadeguatezza del prodotto finale, sia dal punto di vista tecnologico che dal punto di vista dei contenuti, decise di procedere alla chiusura del portale a partire dal 1o gennaio 2008;
   il 15 gennaio 2009 il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e il Sottosegretario di Stato con delega al turismo firmarono un protocollo d'intesa per la realizzazione del portale nazionale del turismo, stanziando 10 milioni di euro, con l'obiettivo di promuovere e commercializzare l'immagine nazionale all'estero attraverso l'utilizzo della rete internet;
   a quanto consta agli interroganti alcuni contenuti non sarebbero totalmente conformi ai 22 requisiti tecnici contenuti nel decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie dell'8 luglio 2005, approvato conformemente a quanto previsto nella legge n. 4 del 9 gennaio 2004 recante «Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici» e nel regolamento di attuazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 75 del 1o marzo 2005, tanto che sul sito di che trattasi si invitano gli utenti a segnalare eventuali problematiche all'indirizzo accessibile accesibile@italia.it;
   il sito portale italia.it non è presente nelle classifica (ranking) di Google relativamente alle ricerche sull'Italia e sui suoi monumenti;
   la versione inglese del sito appare una mera traduzione dei testi italiani presenti senza alcun adattamento;
   il sito si visualizza abbastanza bene anche sui dispositivi mobili ma la pesantezza delle immagini non favorisce la responsività;
   i turisti che cercano notizie su eventi di rilievo di una città trovano sul sito informazioni scarne, didascaliche e statiche;
   in data 30 marzo 2012 Promuovi Italia aggiudica ad Unicity spa, la seconda classificata, il bando di gara del 17 ottobre 2010 sui contenuti del portale, operazione poi bloccata in seguito a un doppio ricorso al Tar da parte di Unicity e di Theblogtv;
   in data 31 gennaio 2013 Andrea Babbi, direttore generale di Enit afferma che l'Agenzia del turismo è in attesa di ricevere formalmente l'incarico di gestione del portale Italia.it;
   il budget finora stanziato è completamente ingiustificato per quanto prodotto –:
   se il Ministro interrogato siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se il Ministro ritenga che il portale Italia.it rappresenti un importante canale di sostegno del turismo italiano;
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire urgentemente affinché il portale Italia.it ad oggi disomogeneo e senza una linea guida che invogli l'utente a visitarlo, offra al turista non solo la mera descrizione del patrimonio ambientale, storico, architettonico, enogastronomico, ma la possibilità di poter prenotare presso le strutture turistiche il proprio soggiorno e di poterne valutare la qualità;
   se il Ministro interrogato ritenga che il portale Italia.it debba offrire dei pacchetti di itinerari al turista che prevedano la scelta di percorsi già delineati in modo da facilitare l'utente nella programmazione del proprio viaggio ed invogliarlo nella visita del nostro Paese, proprio come accade sui portali di altre nazioni europee;
   se il Ministro interrogato intenda utilizzare il portale Italia.it per offrire alle regioni e agli enti locali una vetrina internazionale dove vi sia la possibilità non solo di diffondere online la conoscenza dei propri territori ma anche di coordinarsi e interfacciarsi con altri enti e soggetti aggregatori di servizi turistici;
   se il Ministro ritenga di chiarire relativamente al portale Italia.it quante e quali siano state le attività svolte e in corso e l'ammontare dei fondi speso e ancora disponibile. (5-01248)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   parte della categoria degli ufficiali in ferma prefissata dell'Arma dei carabinieri (II corso AUFP) alla data del 13 gennaio 2006 è stata posta in congedo senza ottenere alcun prolungamento della ferma contratta dopo aver effettuato 30 mesi di servizio effettivo nei vari reparti dell'Arma;
   dopo aver vinto un concorso pubblico, superato un duro corso di formazione, senza calcolare tutta l'esperienza maturata «sul campo», tutti questi giovani incredibilmente si trovano oggi nello stato di disoccupazione;
   a questi soggetti, piuttosto che ringraziarli per il servizio reso, si richiede anche la restituzione di un diritto maturato (il premio di congedamento) non avendo oltretutto beneficiato di alcun tipo di indennità di disoccupazione;
   le persone interessate rivestivano un ruolo fondamentale all'interno dell'Arma: ufficiali di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria con il grado di tenente e di sottotenente;
   a giudizio dell’ interrogante non avrebbe senso bandire nuovi concorsi pubblici lasciando dei giovani già «formati» in congedo ed oltretutto nello stato di disoccupazione;
   v’è la necessità di un intervento legislativo per il reintegro in servizio di questa categoria di ufficiali in ferma prefissata in congedo dell'Arma dei carabinieri –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche degli ufficiali in congedo dell'Arma dei carabinieri. (4-02223)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 dicembre 2000, n. 381, ha previsto l'istituzione del «Parco nazionale della pace» a S. Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, «allo scopo di promuovere iniziative culturali e internazionali, ispirate al mantenimento della pace e alla collaborazione dei popoli»;
   l'articolo 5 della legge disponeva un primo contributo in favore del comune di Stazzema, per gli anni dal 2000 al 2004, nel limite massimo di lire 500 milioni in ragione di anno, destinato alle «spese di primo impianto, per i servizi e per le infrastrutture logistiche, e per l'acquisto del terreno sul quale sorge l'ossario delle vittime della strage di S. Anna di Stazzema e dell'area monumentale circostante», e un secondo contributo per le spese di funzionamento del Parco, determinato nel limite massimo di 100 milioni di lire annui, a decorrere dal 2000;
   successivamente, le spese per il funzionamento del Parco sono state rifinanziate attraverso la disposizione di cui al comma 1139 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296) che a tali fini ha autorizzato la spesa di 50.000 euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 –:
   a quanto ammontino gli importi effettivamente erogati in favore del comune di Sant'anna di Stazzema in ragione delle citate autorizzazioni di spesa e la loro ripartizione per anno. (4-02221)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 16 aprile del 2004, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del relativo decreto, è stato bandito un concorso pubblico a 50 posti nell'area C, posizione economica C2, profilo professionale di educatore;
   tale concorso dura da quasi dieci anni e non solo ad oggi non si è concluso, ma rischia di non concludersi poiché un anno fa è stata autorizzata l'assunzione solo di 27 unità e in seguito a ripetuti blocchi e tagli i restanti 23 potrebbero non essere più assunti;
   l'unicità di tale vicenda, oltre alla sorprendente durata, sta nel fatto che nel 2003 sia stata rilevata una carenza di almeno 50 unità di educatori C2 e allo stato attuale, nonostante una crescita vertiginosa della popolazione detenuta, non si procede all'assunzione delle restanti unità;
   l'interrogante ed i vincitori del concorso, oltre che gli idonei, non conoscono i motivi che hanno portato a dei tempi così lunghi;
   la durata di tale procedimento è in netto contrasto con il principio di buona amministrazione contemplato nell'articolo 97 della Costituzione e non è giusto sottoporre dei candidati a delle procedure interminabili ed estenuanti che non portano a nulla;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha sempre invitato ad attendere per anni i risultati degli scritti, l'esito degli orali, poi la pubblicazione della graduatoria (avvenuta nel 2010);
   allo stato attuale l'assunzione è subordinata all'esonero dai tagli imposti dall'articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012. Infatti, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non è stato ufficialmente esonerato dalla riduzione dell'organico prevista dalla «revisione della spesa», che di fatto avrebbe portato il sistema penitenziario, già sofferente, al completo collasso;
   lo sblocco del concorso e l'avvio delle assunzioni dei vincitori sembrerebbe non rientrare tra le priorità del Governo e questo si tradurrebbe in un'ulteriore attesa che si potrebbe protrarre fino alla scadenza della graduatoria che avverrà tra pochi mesi;  
   tutto ciò avviene in un contesto di emergenza carceraria pubblicamente riconosciuta –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premesse. (4-02224)


   LA MARCA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono numerose le disposizioni che necessitano di chiarimenti e di interpretazioni univoche della vigente Convenzione contro le doppie imposizioni fiscali tra Italia e Canada firmata ad Ottawa il 3 giugno 2002 ed entrata in vigore con legge del 24 marzo 2011;
   la contraddittorietà delle norme convenzionali e l'applicazione disomogenea delle stesse da parte delle istituzioni competenti italiane e canadesi hanno infatti determinato una situazione di trattamento penalizzante nei confronti dei nostri connazionali residenti in Canada e titolari di pensioni italiane erogate dall'Inps;
   una convenzione che teoricamente è stata stipulata per evitare la doppia tassazione non solo invece la legittima ma ne complica anche la comprensione e l'applicazione: in particolare il primo comma dell'articolo 18 prevede, come la stragrande maggioranza delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall'Italia e come prescritto dalla Convenzione modello dell'OCSE (il modello è utilizzato dalla maggior parte dei Paesi facenti parte dell'OCSE come base per la negoziazione di accordi internazionali sulla doppia imposizione), che: «Le pensioni provenienti da uno Stato contraente e pagate a un residente dell'altro stato contraente sono imponibili in detto altro Stato», tuttavia e paradossalmente il comma 2 dell'articolo 18 introduce il principio della doppia tassazione (o tassazione concorrente) – «Tuttavia, tali pensioni possono essere tassate anche nello Stato contraente dal quale provengono, ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma nel caso dei pagamenti periodici delle pensioni, l'imposta così applicata non può eccedere la meno elevate delle due aliquote seguenti: a) 15 per cento dell'ammontare lordo di tali pagamenti periodici versati al percipiente nell'anno solare di riferimento che eccede dodicimila dollari o l'equivalente in lire italiane, e b) l'aliquota calcolata in funzione dell'imposta che il beneficiario del pagamento avrebbe dovuto altrimenti corrispondere per lo stesso anno in relazione al totale complessivo dei pagamenti periodici di pensione da esso ricevuti nel corso di tale anno ove fosse residente dello Stato contraente da cui il pagamento proviene» – indicandone in maniera molto contorta modalità ed aliquote;
   da una interpretazione letterale e logica del comma 2 dell'articolo 18 si evince in maniera inequivocabile che l'Inps può applicare la tassazione concorrente solo per la parte della pensione che eccede l'importo di dodicimila dollari canadesi; invece alcune sedi dell'Inps (non sappiamo quante e se comunque siano state emanate circolari esplicative da parte dell'Istituto o dell'Agenzia delle Entrate esplicative delle disposizioni della convenzione relative alla tassazione delle pensioni) tassano l'intero importo della pensione contravvenendo così alla previsione normativa bilaterale e penalizzando ingiustamente i pensionati italiani residenti in Canada che subiscono la doppia tassazione dell'intera pensione (anche se possono avvalersi della facoltà di chiedere al Canada un credito di imposta ancorché superiore a quello normativamente autorizzato dalla convenzione rischiando così di instaurare un contenzioso con quel Paese);
   inoltre, sebbene il primo comma dell'articolo 18 preveda la tassazione delle pensioni Inps esclusivamente nel Paese di residenza, ed il secondo comma introduca invece inopinatamente e incomprensibilmente – rispetto alla prassi convenzionale bilaterale – la doppia tassazione, la convenzione complica ulteriormente le cose con le previsioni del comma 3 che alla lettera b) dispone che «le prestazioni di sicurezza sociale in uno Stato contraente pagate in un anno solare a una persona fisica residente dell'altro Stato sono imponibili soltanto nello Stato da dove provengono e in conformità alla legislazione di detto Stato, ma l'imposta così applicata non deve eccedere l'ammontare che il percipiente avrebbe dovuto versare in detto anno se fosse stato un residente del primo Stato»; in parole povere i pagamenti ricevuti da fondi per i quali non sono stati versati i contributi da parte del percipiente e, in particolare, a quella parte di pensione o sussidio pagata ai termini delle leggi italiane sulla sicurezza sociale e certificata dalla autorità competente italiana quale ammontare necessario per il trattamento al minimo della categoria di pensioni pagabili a una persona ai termini delle suddette leggi, devono essere tassati solo dall'Italia e non dal Paese di residenza;
   è ovvio che in questo guazzabuglio normativo e interpretativo ci sia bisogno di chiarimenti, di interpretazioni autentiche che non danneggino i diritti dei nostri connazionali, di uniformità interpretativa e applicativa da parte delle istituzioni competenti dei due Paesi per evitare la doppia imposizione fiscale e il contenzioso legale tra le autorità competenti e i pensionati direttamente interessati –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno e urgente chiarire, fermo restando che la convenzione dovrebbe evitare la tassazione concorrente e non consentirla come invece avviene, se la parte della pensione erogata all'Inps ai pensionati residenti in Canada che può essere soggetta a tassazione concorrente sia esclusivamente quella che eccede i dodicimila dollari canadesi (o la parte equivalente in euro) come esplicitamente previsto dal secondo comma dell'articolo 18 e non — come invece sembra avvenga – l'intero importo della pensione;
   se non sia altrettanto opportuno e urgente modificare, con gli strumenti di diritto internazionale a disposizione, la previsione del terzo comma dell'articolo 18 che stabilisce che la parte contributiva della pensione dell'Inps erogata in Canada sia tassata nel Paese di residenza (fino alla soglia di dodicimila dollari canadesi) mentre la parte che rientra nel campo della «sicurezza sociale», e cioè quella relativa al trattamento minimo, debba essere tassata in Italia, previsione quest'ultima che – come è immaginabile – crea una prassi impositiva frantumata e farraginosa per le difficoltà interpretative, applicative e procedurali da parte delle autorità competenti e con conseguenze nefaste per i pensionati i quali sono sottoposti a tassazioni spesso incomprensibili se non errate o discordi;
   se infine non si ritenga utile ed opportuno uniformare tutte le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali, compresa quella con il Canada, nella parte relativa alla tassazione delle pensioni, al Modello OCSE che prevede regole chiare e semplificate per evitare interpretazioni ambigue e soprattutto la tassazione concorrente che tali convenzioni si prefiggono di evitare. (4-02226)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VELO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le modifiche della normativa comunitaria in materia di patente di guida recate dalla direttiva 2006/126/CE e recepite nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 59 del 2011 hanno innovato le procedure connesse al rilascio della patente di guida, modificando sia le categorie delle patenti sia l'esecuzione delle prove pratiche; inoltre, l'innovazione ha riguardato le caratteristiche degli esaminatori richiedendo specifiche competenze adeguate ai nuovi compiti;
   l'impatto di tali innovazioni su alcune realtà locali è di forte disagio per gli utenti del servizio, in ragione del maggior tempo necessario allo svolgimento delle prove e alla scarsità di esaminatori abilitati, che determina la creazione di lunghe liste di attesa. In particolare, nell'isola d'Elba, gli abitanti che intendano prendere la patente sono costretti a lunghe attese per poter conseguire l'esame e spesso sono obbligati a recarsi a Livorno, con grande dispendio di soldi e di tempo;
   come illustrato dal viceprefetto Daveti le recenti innovazioni legislative introdotte per gli esami di guida non risultano adeguatamente controbilanciate dalla programmazione prevista dall'ufficio della motorizzazione di Livorno che non risulta idonea a consentire lo smaltimento nei giusti tempi delle procedure di rilascio della patente;
   l'avvio delle nuove patenti Am ha appesantito la situazione ulteriormente comportando l'esame pratico anche per i motorini di almeno venti minuti di guida; pertanto il viceprefetto Daveti ha invitato l'ufficio della motorizzazione a esaminare la possibilità d'integrare la programmazione degli esami assicurando il rispetto delle due prove da sostenere nella durata temporale del foglio rosa;
   da parte sua, la motorizzazione di Livorno — pur impegnandosi a garantire lo svolgimento degli esami all'Elba – lamenta la diminuzione dei funzionari preposti al compito di esaminatore –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire per risolvere la situazione dell'Isola d'Elba divenuta insostenibile per gli abitanti a cui viene sottratto un importante servizio e come, più in generale, intenda garantire una programmazione adeguata del rilascio delle patenti evitando il formarsi di lunghe file di attesa e di ulteriori aggravi di costo per i cittadini.
(5-01247)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'area di servizio «Teano ovest», sita sull'autostrada A1 in direzione Napoli, vede in corso lavori di ampliamento e ristrutturazione da diversi anni;
   a causa dello spostamento e della realizzazione del nuovo impianto del distributore dei carburanti, con annesso ampio parcheggio per tir ed automobili, da circa due anni i dipendenti del punto di vendita Autogrill SpA «Teano ovest» sono stati trasferiti in una struttura provvisoria, consistente in quattro moduli container;
   ciò ha provocato notevoli disagi sia per i lavoratori che per i clienti, che hanno assistito ad una drastica diminuzione di offerte e servizi;
   col passare dei mesi si è potuto registrare, proprio per questi motivi e per la mancanza di strutture accoglienti e confortevoli, un notevole calo delle vendite e dei contatti giornalieri, con dati attuali ben lontani dal notevole afflusso antecedente la ristrutturazione;
   questa situazione ha portato l'azienda Autogrill spa, primo operatore al mondo per la ristorazione veloce, a lamentarsi dei mancati incassi e del numero di impiegati (diciotto, compreso il direttore) del punto di vendita, considerato oramai troppo alto;
   tutto ciò si innesta in un quadro complessivo ancor più complicato, poiché per la prima volta nella sua recente storia la azienda Autogrill spa il 23 gennaio 2013 ha avviata una procedura di licenziamento collettivo che ha riguardato 160 operatori del settore autostradale e che si è conclusa con un drastico taglio delle ore lavorative laddove erano stati indicati gli esuberi;
   la procedura di mobilità, come riporta anche l'articolo intitolato «Licenziamenti all'Autogrill !» pubblicato dal periodico d'informazione online «Il Messaggio», ha interessato praticamente tutti i punti vendita autostradali dell'azienda e comprende anche cinque unità lavorative a tempo pieno ed indeterminato dei due locali di Teano, senza contare le decine di stagionali che senz'altro a questo punto saranno sacrificate sull'altare del risparmio;
   l'azienda, riporta lo stesso articolo, s’è dichiarata disponibile a ricollocare alcuni di quei lavoratori che avessero accettato di trasformare il loro contratto da full time a part time (con conseguente dimezzamento dello stipendio) e ad accettare il trasferimento presso un altro punto di vendita, che potrebbe rivelarsi distante dall'attuale residenza del lavoratore anche svariate centinaia di chilometri;
   come già accennato, questa procedura coinvolge anche le strutture di Teano, ma negli accordi che hanno portato a queste scelte è previsto che le ore «tagliate» vengano restituite attraverso l'impiego dei lavoratori nel «mall» che dovrebbe sorgere a Teano ovest;
   ad ora, nonostante gli annunci, non sono ancora iniziati i lavori per la costruzione del suddetto «mall», nonostante il sindaco ingegner Raffaele Picierno abbia fornito ai lavoratori i documenti che attestano le autorizzazioni comunali concesse per la realizzazione dell'opera, come testimonia l'articolo intitolato «TEANO – Autogrill, il comune rilascia la licenza per la costruzione della mega struttura» pubblicato il 3 marzo 2013 dal periodico online Paese News –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga di verificare le cause dei ritardi nell'ultimazione dei lavori o della mancata costruzione della nuova struttura, che potrebbe consentire una maggiore occupazione, con particolare riferimento alle necessarie autorizzazioni;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda prendere il Ministro interrogato, per contribuire alla risoluzione del problema, specie considerato che ci si trova in una fase economica grave, in cui la salvaguardia di posti di lavoro diventa più che mai prioritaria. (4-02228)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   appelli, servizi nei programmi delle reti televisive nazionali e dichiarazioni di volti mediaticamente noti hanno da alcune settimane messo sotto i riflettori la drammatica situazione della cosiddetta «terra dei fuochi»;
   anche nel dibattito parlamentare il tema dell'emergenza ambientale riguardante la Campania, ed in particolare la provincia casertana e l'area a nord di Napoli, è stato finalmente riconosciuto come prioritario;
   nonostante alla questione sia stata finalmente data la dovuta rilevanza e si susseguano proclami in merito alla necessità di intervenire, si continua a sversare illegalmente materiale tossico sempre negli stessi luoghi e poi a dargli fuoco, incessantemente;
   continuano infatti ad arrivare denunce e segnalazioni, come quelle degli attivisti di «Rifiutarsi.it» che mostrano, anche attraverso un reportage fotografico, come la drammatica situazione sia rimasta immutata anche a Palma Campania, uno dei paesi coinvolti nella devastazione ambientale;
   la loro inchiesta, riportata anche dall'articolo «La “Terra dei Fuochi” sotto i riflettori: ma intanto si continua a bruciare» pubblicato dal quotidiano online Napoli Today il 10 ottobre 2013, mostra come via Aiello, una stradina di campagna che si arrampica sulla montagna verso il Piano di Trebucchi, sia completamente deturpata nel suo straordinario splendore naturalistico dalla presenza di ammassi di rifiuti di ogni tipo, da quelli urbani a quelli speciali e tossici, come amianto e resti di roghi tossici;
   su via Sarno Vecchia i rifiuti ammassati formano una vera discarica a cielo aperto: amianto, copertoni, resti di roghi, elettrodomestici ed altri rifiuti di ogni genere;
   in via Cupa di Miano lo spettacolo è sconcertante, come dimostra l'inchiesta portata avanti dagli attivisti di «Rifiutarsi.it»: ammassi di amianto che spuntano ovunque, decine di cumuli di resti di roghi tossici, residui tessili industriali e pneumatici dati alle fiamme;
   in quel luogo l'acqua della pioggia si tinge di nero e rassomiglia a percolato, forma pozzanghere e ruscelli avvelenando la terra coltivata a pochi metri di distanza;
   da quanto risulta, in passato la strada era stata chiusa con una sbarra per porre rimedio a quanto stava accadendo, ma i criminali, forzando il catenaccio, la superavano facilmente chiudendola alle loro spalle per non essere disturbati;
   tutto ciò è a lungo avvenuto nonostante le tante segnalazioni fatte dalla cittadinanza alle forze dell'ordine;
   uno scenario non dissimile si presenta in via Novesche, in via Abignente, in via Fossi ed in altri punti ancora di Palma Campania;
   già in passato questa situazione aveva creato danni gravissimi al territorio, come ad esempio nel caso dell'incendio scoppiato alle 23 del 7 agosto dello scorso anno e che per oltre 24 ore aveva bruciato una discarica sotto sequestro di carflat, plastica tritata di autovetture, in via Novesche tra Palma Campania, San Giuseppe Vesuviano e San Gennaro Vesuviano, come riporta l'articolo «Roghi tossici: in fiamme la discarica illegale di Palma Campania» pubblicato il 9 agosto 2013 da Napoli Today;
   portata dal vento, l'enorme nube tossica generata dall'incendio si era propagata verso nord arrivando fino a 15 chilometri di distanza e appestando l'area di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Saviano, Nola, Casamarciano, Cimitile, Camposano e Cicciano;
   due settimane fa, per affrontare il problema per l'agro nolano e mariglianese, a prendere la parola era stato il viceprefetto Donato Cafagna, commissario ai roghi tossici, che aveva dichiarato che «la lotta allo smaltimento di rifiuti illegali è una priorità che non va ostacolata davanti a mere questioni economiche», e che l'Arpac era già stata incaricata «di tracciare linee guida riguardanti lo smaltimento e lo stoccaggio dei rifiuti», così da poterli poi caratterizzare, depositare e smaltire;
   il dottor Cafagna ha anche dichiarato di aver fatto richiesta di una mappatura completa di tutte le aree a rischio di cui non si è a conoscenza, anche con l'ausilio di elicotteri, e di essere certo di poter rimuovere entro Natale le tonnellate di gomme che formano il famigerato «cimitero delle gomme» di Scisciano;
   queste dichiarazioni sono riportate nell'articolo «Roghi tossici e Terra dei Fuochi, il commissario svela il piano: mappatura dei rischi e controllo con gli elicotteri», pubblicato dal quotidiano d'informazione online Retenews24 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati;
   quali misure abbiano intrapreso, per quanto di competenza, in merito alle questioni espresse in premessa;
   se non ritengano necessari maggiori controlli da parte delle forze dell'ordine per prevenire il fenomeno dei roghi tossici e lo sversamento abusivo di rifiuti;
   se non ritengano di effettuare controlli e rilievi sui terreni agricoli presenti nei pressi delle discariche abusive;
   se risulti per quali motivi in passato non siano stati presi provvedimenti per rimuovere il materiale inquinante dal territorio di Palma Campania e dei comuni circostanti;
   se ritengano sufficiente ed adeguato il piano indicato dal viceprefetto, dottor Cafagna, o se non risulti più opportuno intervenire in maniera rapida e decisa per porre fine al dramma vissuto da tutti i cittadini della zona. (4-02222)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il diritto all'istruzione dei soggetti affetti da disabilità forma oggetto di specifica tutela sia da parte dell'ordinamento interno che da parte di norme internazionali;
   il comma 11 dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», prevede che l’«organico dei posti di sostegno è determinato secondo quanto previsto dai commi 413 e 414 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, fermo restando che è possibile istituire posti in deroga, allorché si renda necessario per assicurare la piena tutela dell'integrazione scolastica»;
   l'insegnante di sostegno è un docente specializzato, previsto dalla legge n. 517 del 1977, dotato di una formazione specifica, che viene assegnato, in piena contitolarità con gli altri docenti, alla classe in cui è inserito il soggetto portatore di handicap per attuare «forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap» e «realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni»;
   la recentissima sentenza del Tar Lazio, n. 7783 del 30 luglio 2013, conferma l'integrazione scolastica degli alunni disabili quale diritto fondamentale sancito dalla Costituzione, da tutelare fortemente in termini di qualità e quantità di insegnamento;
   nelle province della regione Toscana si è registrato un aumento degli alunni certificati, e il rapporto docente di sostegno/alunno con disabilità, anche comprendendo le nomine in deroga, supera il rapporto medio, che dovrebbe essere un docente ogni due alunni;
   gli operatori socio educativi (OSE) sotto il profilo economico sono gestiti dalle province, che trasferiscono i fondi necessari ai comuni, ma in alcune zone della regione Toscana le province sono già venute a mancare, e in altre verranno a mancare dal 2014, e la gestione dovrebbe passare direttamente ai comuni;
   nonostante il fatto che dopo la sentenza della Corte costituzionale in risposta a ricorsi presentati siano state emesse oltre quattromila sentenze di condanna dai TAR di tutta Italia in favore di alunni disabili, gli uffici scolastici regionali rimangono inadempienti, e continuano a mancare gli insegnanti di sostegno –:
   in che modo intenda intervenire affinché sia garantita la totale copertura delle ore di cui gli alunni con disabilità hanno effettivamente bisogno durante le ore scolastiche, e affinché il rapporto tra alunni disabili e insegnanti di sostegno sia sufficiente a garantire un'assistenza adeguata;
   quali provvedimenti intenda assumere per realizzare un supporto organizzativo in favore degli alunni e studenti con disabilità, al fine di permettere la loro piena integrazione e non discriminazione. (4-02220)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda FBM Fornaci Briziarelli Marsciano spa con sede in Marsciano (PG) opera nel campo dell'edilizia con circa 400 lavoratori alle proprie dipendenze e conta quattro stabilimenti produttivi situati nei comuni di Marsciano (PG), Bevagna (PG), Dunarobba e Fiano Romano;
   l'azienda recentemente ha fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria e in corrispondenza della scadenza dell'ammortizzatore sociale fissata per il 5 ottobre 2013, in data 12 settembre 2013 presentava un «verbale di accordo» (o meglio proposta di accordo) con le categorie Fillea Cgil, Filca Cisl, Feneal Uil ed RSU Marsciano;
   con il suddetto «verbale di accordo» l'azienda dichiarava una eccedenza di personale «che a ottobre 2013 sono quantificabili in più di 40 unità» e «anziché aprire immediatamente una procedura di mobilità come le circostanze richiederebbero stante l'attuale situazione di mercato», avrebbe richiesto un ulteriore periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria fino al settembre 2014 con l'intesa che «ai lavoratori che saranno collocati in mobilità successivamente al settembre 2014 non saranno erogate incentivazioni all'esodo» ed «in merito ai criteri di scelta dei lavoratori eccedenti, si tenga prioritariamente conto delle esigenze tecnico-organizzative dell'azienda e quindi delle professionalità non più rispondenti alle attuali esigenze e programmi aziendali, nonché delle mansioni e posizioni di lavoro sostanzialmente soppresse»;
   le confederazioni sindacali unitariamente e le rappresentanze sindacali unitarie della FBM di Marsciano (PG) – con un documento diretto ai lavoratori della FBM Marsciano – hanno contestato le modalità e le condizioni dei suddetti accordi (o meglio della proposta di accordo) siccome «sono palesemente contro le regole di legge e quindi a sfavore dei lavoratori tutti» stigmatizzando la «scelta unilaterale che la direzione aziendale FBM ha inteso intraprendere»;
   la FBM con un documento del 30 settembre 2013 dichiarava che «non avendo ricevuto nessuna risposta sull'ACCETTAZIONE o meno dell'ACCORDO, alla data del 4 ottobre 2013 l'azienda aprirà formalmente una procedura di mobilità volta al licenziamento del pedonale in esubero»;
   successivamente in data 4 ottobre 2013 l'azienda convocava altra assemblea nel corso della quale avrebbe riproposto il verbale di accordo suddetto (proposta) sottoponendolo a un referendum tra i lavoratori con un esito favorevole;
   ad oggi tuttavia le trattative e la situazione appaiono «bloccate» e forte è la preoccupazione tra i 40 dipendenti – e non solo – in merito alla propria sorte lavorativa e grande è l'incertezza tra tutti i dipendenti dello stabilimento di Marsciano (PG) in merito alle proprie prospettive occupazionali –:
   quali concrete iniziative intenda assumere il Ministro al fine di favorire la ripresa del dialogo e delle trattative tra impresa FBM spa e i lavoratori nonché una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali per individuare un piano industriale di rilancio delle attività condiviso dalle parti al fine precipuo di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali adottando tutti gli strumenti previsti dalla normativa vigente. (4-02218)


   PISICCHIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la normativa concernente la disciplina del collocamento e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti è contenuta nella legge 29 marzo 1985, n. 113;
   dall'entrata in vigore della legge il mondo delle comunicazioni, principale ambito occupazionale per i non vedenti, è profondamente cambiato. Molte sono le trasformazioni tecnologiche che hanno interessato il settore e che hanno anche modificato le esigenze del mercato del lavoro. Ad esempio i sistemi di connessione automatica hanno inevitabilmente ridotto le necessità di risorse umane;
   la legge 17 maggio 1999, n. 144, all'articolo 45, comma 12, ha affidato al Ministro del lavoro e delle politiche sociali il compito di individuare con proprio decreto qualifiche equipollenti a quella del centralinista telefonico, idonee al collocamento dei lavoratori non vedenti, ai fini di dare applicazione alla legge n. 113 del 1985;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con decreto 10 gennaio 2000, ha riconosciuto come equipollenti a quella del centralinista telefonico non vedente le seguenti qualifiche professionali: operatore telefonico addetto alle informazioni alla clientela e agli uffici relazioni col pubblico; operatore telefonico addetto alla gestione e all'utilizzazione di banche dati; operatore telefonico addetto ai servizi di telemarketing e telesoccorso;
   la legge 17 maggio 1999, n. 144, all'articolo 45, comma 12, e il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 10 gennaio 2000 prevedono che possono essere individuate ulteriori qualifiche equipollenti a quella di centralinista telefonico non vedente rispetto a quelle già indicate nel suddetto decreto;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con un nuovo decreto dell'11 luglio 2011 ha stabilito l'equipollenza tra la figura del centralinista telefonico e quella di operatore amministrativo segretariale estendendo ai soggetti non vedenti che conseguono il diploma di operatore amministrativo segretariale la stessa tutela normativa oggi riconosciuta ai centralinisti non vedenti dalla legge 29 marzo 1985, n. 113 iscritti nell'apposito Albo nazionale;
   nonostante questa equipollenza sia contenuta nel repertorio delle figure nazionali di riferimento relative alle qualifiche professionali, approvato con l'accordo sancito in sede di Conferenza Stato-regioni del 27 luglio 2011, resta l'impossibilità, per i non vedenti che hanno conseguito questa qualifica di essere assunti come centralinisti telefonici, a causa della mancata iscrizione all'albo;
   nell'ambito dell'istruttoria tecnica che si è svolta tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le regioni, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è giunto a ritenere che fosse indispensabile prevedere, a livello regionale, nell'ambito della figura dell'operatore amministrativo segretariale, uno specifico profilo per il centralinista telefonico non vedente;
   successivamente le regioni hanno invece reputato non necessario individuare un ulteriore profilo in quanto la figura dell'operatore amministrativo segretariale già risponde alle caratteristiche di un'offerta formativa che permette l'iscrizione al collocamento dei non vedenti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga il caso di dover intraprendere iniziative per trovare una soluzione immediata ad una questione che ormai si trascina da tredici anni e che riguarda soggetti già duramente colpiti dalla minorazione della vista, alla quale si aggiunge una grave situazione occupazionale. (4-02225)


   PANNARALE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   oltre 20 mila cittadini italiani hanno raccontato agli operatori di numerose associazioni, ai componenti del PIT Salute di Cittadinanzattiva e ai funzionari del tribunale per i diritti del malato i ritardi e i disagi che hanno incontrato nel percorso per il riconoscimento della loro invalidità civile;
   tali gravi violazioni del diritto degli invalidi civili per avere il riconoscimento della pensione di invalidità e dell'indennità di accompagnamento, sono state raccolte nel primo «Rapporto Nazionale sull'invalidità civile e la burocrazia» nell'ambito della campagna nazionale «Sono un V.I.P. – Very Invalid People»;
   come dimostrato dalle testimonianze e dagli innumerevoli ricorsi indirizzati alle sedi locali dell'INPS, in Italia non esiste una modalità unificata di valutazione della disabilità;
   la procedura di accertamento dell'invalidità civile è stata radicalmente rinnovata dall'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, titolato «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», che attribuisce all'INPS nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità con l'intento di ottenere tempi più rapidi e modalità più chiare per il riconoscimento dei relativi benefici;
   le due principali novità introdotte, costituite dalla completa informatizzazione e dalla partecipazione del medico INPS alle CMA (commissioni mediche ASL), hanno di fatto determinato un risvolto sfavorevole generando concreti elementi di criticità;
   da metà del 2009 si è diffusa, anche a mezzo stampa, una vasta «caccia alle streghe» verso i cosiddetti «falsi invalidi», ovvero coloro che ricevono una pensione di invalidità senza possederne i requisiti di accesso, a seguito di truffe, magari con connivenze di funzionari di enti o medici delle commissioni competenti;
   oltre al tema della truffa, si diffondono anche discriminanti luoghi comuni per cui i disabili non leggerebbero, non camminerebbero, non guiderebbero l'auto, non lavorerebbero;
   il 1o Rapporto nazionale sull'invalidità civile di Cittadinanzattiva ha messo a disposizione delle istituzioni, della politica, degli operatori socio sanitari, delle associazioni di cittadini e di pazienti, nonché dell'opinione pubblica, un quadro esauriente e attendibile di informazioni e dati sul procedimento di riconoscimento delle minorazioni civili (invalidità civile, accompagnamento), al fine di valutare lo stato di attuazione dell'articolo 38 della Costituzione italiana che garantisce il diritto all'invalidità civile e all'assistenza sociale: le evidenze raccolte e catalogate sono state lette in modalità integrata con i dati istituzionali prodotti dalla stessa Corte dei conti, che ogni anno svolge un'attività di controllo sulla gestione finanziaria dell'INPS. La più recente attività di controllo della Corte dei conti è riportata all'interno della «relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2011» approvata con determinazione n. 91 di novembre del 2012;
   i dati emergenti dalle fonti ufficiali sono inequivocabili e preoccupanti: mentre si spende per la lotta ai falsi invalidi, il cittadino che prova a far domanda per l'invalidità si scontra con una burocrazia ostile e, a tratti, disumana e attende in media un anno per ottenere i benefici economici connessi contro i 120 giorni stabiliti dalla legge;
   ad esser lento e farraginoso è tutto il percorso per l'accesso alla invalidità civile, con tempi più lunghi rispetto all'anno precedente: solo per essere convocati a prima visita passano in media 8 mesi rispetto ai 6 del 2011, 11 mesi per ricevere il verbale rispetto ai 9 dell'anno precedente;
   secondo quanto riportato dalla relazione per il 2012 della Corte dei conti, si attendono in media, dalla presentazione della domanda alla chiusura dell’iter, esattamente 278 giorni per accertare la invalidità, 325 per la cecità civile, 344 per la sordità. I costi di tali ritardi ammontano nel solo 2011 a 24 milioni di euro; se a questi si aggiungono i 34 milioni di euro di spesa per medici convenzionati INPS, si è ad un totale di 58 milioni di euro di fatto «bruciati» dalla cosiddetta caccia ai falsi invalidi che, secondo il rapporto 2012 della Guardia di finanza, sono poco più di 1.000, pari allo 0,04 per cento degli aventi diritto;
   altrettanto inconfutabile appare il dato che i medici impiegati per le attività di verifica straordinaria siano stati di fatto sottratti alla attività ordinaria per la concessione della invalidità: nel 2011 essi sono stati regolarmente presenti nelle commissioni ASL in poco più di un caso su tre (tasso di presenza del 37,7 per cento rispetto al 46 per cento del 2010). A tutto ciò si aggiunga la scarsa informatizzazione delle ASL che hanno trasmesso in formato elettronico all'INPS solo il 56 per cento dei verbali. Il restante 44 per cento in formato cartaceo ha comportato un dispendio di risorse e tempo per l'inserimento nella piattaforma INPS. Per contro oltre il 45 per cento dei cittadini che avanza domanda di invalidità, si scontra con la lentezza dell’iter burocratico;
   è evidente, dunque, come il fenomeno sia davvero molto limitato e meno rilevante in termini numerici di quello che invece si vuole far apparire; è infatti certo il dato che la ricerca ossessiva dei falsi invalidi, strutturata così com’è, risulta controproducente, riuscendo a recuperare molto meno di quello che spende per stanare i «veri falsi invalidi» e complica la vita agli invalidi veri;
   è sconcertante l'aumento degli invalidi civili chiamati a visita pur essendo esonerati (legge n. 80 del 2006) perché affetti da malattie irreversibili che non possono migliorare e che, spesso, subiscono la gravissima sospensione dell'assegno di invalidità e dell'indennità di accompagnamento;
   è aumentata, inoltre, la frequenza delle chiamate a visite di controllo presso le sedi INPS. La media è di circa 3 visite in 15 mesi (1 ogni 5 mesi). Come se, in questo breve lasso di tempo, la condizione di una persona possa cambiare radicalmente. Questo, sempre secondo le statistiche e, soprattutto, i ricorsi delle cittadine e dei cittadini contro l'INPS, comporta la riduzione sistematica della percentuale di invalidità e, in numerosi casi, addirittura l'eliminazione delle prestazioni di invalidità;
   inoltre, l'obbligo di visita danneggia quelle cittadine e quei cittadini realmente impossibilitati a recarsi all'INPS, le cui sedi, secondo le denunce e i ricorsi raccolti negli ultimi 2 anni, sembrerebbero non rispettare le normative vigenti, come ad esempio il decreto ministeriale – Ministero dell'economia e delle finanze, del 2 agosto 2007 che, in attuazione dell'articolo 6, comma 3, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, approva l'elenco delle patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante. Rispetto a questo, risulta dalle denunce e dalle segnalazioni delle cittadine e dei cittadini pugliesi che l'INPS in Puglia applicherebbe il suddetto decreto ministeriale solo per coloro i quali soffrono di patologie psichiatriche. A tal proposito, giunge una segnalazione di una ragazza di 25 anni affetta da patologia oncologica grave e recidiva (inserita nell'elenco del suddetto decreto ministeriale), che non solo è stata costretta ad effettuare tutto l’iter delle visite obbligatorie (3 in 18 mesi da quando si è ammalata) ma si è visto negato il diritto al riconoscimento dell'invalidità civile riconosciuta solo 18 mesi prima al 100 per cento. Infatti, alla terza visita da parte dei medici dell'INPS, la ragazza è stata dichiarata «guarita», nonostante sia costretta a terapie e controlli trimestrali in strutture ospedaliere da nord a sud –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intende intraprendere al fine di individuare le cause che ostano e vanificano il procedimento di riconoscimento delle minorazioni civili da parte dei cittadini, e quali intende adottare per la tempestiva e definitiva risoluzione del problema;
   se non intenda adottare iniziative più appropriate di quelle attualmente in atto, utili a garantire finalmente una concreta semplificazione dell'attuale iter amministrativo di riconoscimento dell'invalidità civile;
   a quali azioni, anche disciplinari, intenda ricorrere nei confronti di quei funzionari preposti che violano le norme in modo da evitare quei controlli, in alcuni casi vessatori, nei confronti dei cittadini, anche al fine di contrastare l'odioso fenomeno delle assegnazioni indebite delle indennità;
   se sia a conoscenza di una prassi, alquanto diffusa, finalizzata alla progressiva eliminazione del maggior numero di pensioni di invalidità civile già giustamente riconosciute, in nome della «caccia al falso invalido» e della riduzione della spesa, a discapito anche di cittadine e di cittadini in reale stato di sofferenza.
(4-02227)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate dall'agenzia Agenparl del 16 ottobre, Sergio Passariello, Presidente di Imprese del Sud, associazione meridionale nata a difesa e tutela della sana imprenditoria meridionale, ha dichiarato che alcuni associati pugliesi hanno avuto notizie di importazioni dalla Spagna di mosti e vini infetti verso alcuni concentratori e trasformatori vinicoli italiani;
   se la notizia fosse vera, alcuni prodotti vitivinicoli italiani sarebbero in serio pericolo;
   la tutela dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari e, nello specifico quella della produzione dei vini italiani molti dei quali protetti dai marchi doc, è uno strumento fondamentale per le imprese agricole italiane al fine di tutelare la qualità dei nostri prodotti, e la salute dei consumatori;
   inoltre, come indicato dal Rapporto SVIMEZ 2013 in relazione all'anno 2012, il comparto vitivinicolo meridionale si caratterizza per due fenomeni rilevanti. Il primo è rappresentato dalla sostanziale riduzione, negli ultimi 15 anni, della superficie vitata e conseguentemente della produzione; il secondo, invece, è connesso all'intensificarsi dell'uso della «qualità» come strategia di crescita e di ammodernamento. La produzione di vino di maggior pregio ha, dunque, rappresentato il fenomeno che ha ridisegnato le caratteristiche produttive e organizzative del comparto nel Mezzogiorno;
   risulta pertanto fondamentale difendere e tutelare la produzione vitivinicola in Italia e nel Sud sia a fini commerciali sia a fini sanitari continuando a puntare sulla qualità come strategia di crescita, fronteggiando il fenomeno che, sempre a detta di Passariello, si sta registrando in alcuni porti italiani dove sembra siano numerose le navi che arrivano cariche di mosto già preparato, acquistabile ad un prezzo chiaramente inferiore rispetto a quello offerto ai nostri produttori;
   è opportuno rilevare, infine, che i produttori vitivinicoli del sud sono già penalizzati da un ulteriore calo dei prezzi che, rispetto alla scorsa vendemmia ha visto scendere il prezzo dell'uva da 35 fino a 12 centesimi al chilo –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, intendano assumere per attivare tutte le procedure previste al fine di verificare se le informazioni pubblicate risultino fondate e, se ciò fosse vero, come intendano procedere per attivare tutte le misure necessarie per garantire la tutela dei nostri consumatori contro il rischio di utilizzo di vino prodotto con mosti infetti;
   se non si ritenga opportuno attivare iniziative concrete provvedendo a intensificare i controlli sulla tracciabilità dei prodotti vitivinicoli importati, in particolare dei mosti, le cui uve di provenienza vengono spacciate per prodotti locali e all'atto della trasformazione rivenduti come vini italiani, con i gravissimi danni che ne conseguono. (4-02219)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Dell'Orco e altri n. 4-02217, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mucci, Castelli.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Cristian Iannuzzi e altri n. 4-02211 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 99 del 17 ottobre 2013. Alla pagina 5897, prima colonna, dalla riga quarantaseiesima alla riga quarantasettesima deve leggersi: «risulta all'interrogante ignota, non essendoci, nell'area, alcuna industria del legno» e non «risulta all'interrogante ignota, noti essendoci, nell'area, alcuna industria del legno», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALBANELLA e INCERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il difficile contesto socio-economico che da anni caratterizza il nostro Paese ha assunto dimensioni fortemente preoccupanti; la vita di milioni di famiglie italiane è sempre più esposta al rischio di impoverimento, il prolungamento della crisi economica ha fortemente indebolito il sistema produttivo italiano, rendendolo più fragile ed esposto a una crisi di competitività che si ripercuote sui lavoratori e sul loro posto di lavoro;
   le regioni, che vivono con particolare sofferenza questa drammatica e prolungata congiuntura, sono sempre più consapevoli della necessità di interventi urgenti volti al sostegno dei tanti lavoratori estromessi dal circuito produttivo a causa del protrarsi della recessione;
   gli ammortizzatori sociali rappresentano, soprattutto in questo periodo, l'unico strumento di sostegno al reddito per decine di migliaia di persone che rischiano di essere relegate in una posizione di marginalità economica e sociale;
   oltre alla esigenza di reperire le risorse necessarie alla copertura dell'intero fabbisogno del 2013, le interroganti ritengono indispensabile operare al fine di ottimizzare i tempi occorrenti per l'espletamento delle procedure relative alla emanazione dei decreti di concessione degli interventi di sostegno al reddito; sempre più spesso giungono, infatti, segnalazioni che evidenziano un inaccettabile dilazionamento dei tempi di erogazione delle risorse, a causa dei ritardi provocati dalle difficoltà degli uffici competenti a disbrigare in tempi ragionevoli i procedimenti necessari al loro perfezionamento;
   stante la legittimità e regolarità delle domande e la correttezza delle procedure attinenti le richieste di concessione, tali difficoltà sono dovute nella maggior parte dei casi alla scarsezza del personale preposto, il cui numero – rimasto inalterato nel corso di questi drammatici anni – non appare, purtroppo, sufficiente a garantire l'indispensabile sollecitudine nell'espletazione dei relativi iter procedurali;
   le interroganti, data la straordinarietà del momento, contrassegnato da un notevole incremento delle richieste di concessione degli ammortizzatori sociali, ritengono non più tollerabile tale situazione, poiché ogni ritardo nell'emanazione di un decreto di concessione degli ammortizzatori sociali provoca un differimento dell'erogazione delle somme, alimentando il rischio di tensioni sociali, soprattutto in alcune regioni italiane, duramente colpite dalla crisi –:
   se, data la straordinarietà dell'attuale contesto economico e sociale, non intenda adoperarsi con la massima urgenza al fine di rendere più rapide possibile le procedure attinenti l'emanazione dei decreti di concessione degli interventi di sostegno al reddito, anche mediante il potenziamento delle strutture a esso preposte. (4-00974)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si pone all'attenzione del Governo la questione concernente i tempi di svolgimento delle procedure di concessione degli interventi a sostegno del reddito.
  La crisi economica e la conseguente emergenza occupazionale hanno determinato un massiccio ricorso delle imprese alla concessione di ammortizzatori sociali, per il riconoscimento del sostegno al reddito ai lavoratori sospesi dalla prestazione lavorativa o a cui l'orario di lavoro viene ridotto.
  Per una migliore comprensione del fenomeno, si indicano i dati relativi alle istanze presentate per il ricorso ad ammortizzatori sociali gestiti dalla competente direzione generale. Nel 2008 sono state presentate 1382 istanze (Cigs legge n. 223 del 1991, deroghe, vettori aerei, gestioni aeroportuali); nel 2009 sono state presentate 5122 istanze; nell'anno 2010, 7584 istanze; nell'anno 2011, 5759 istanze; nell'anno 2012, 7312 istanze; nel 2013, fino al 19 luglio, sono state presentate 5371 istanze.
  L'aumento esponenziale delle istanze di Cigs e dei contratti di solidarietà, a partire dall'inizio della crisi nel 2009, ha determinato ritardi nella definizione dei procedimenti di autorizzazione.
  Sono stati operati notevoli sforzi e intraprese diverse azioni al fine di trovare una soluzione al problema.
  La sostituzione del vecchio sistema cartaceo di acquisizione e lavorazione delle pratiche con un sistema informatizzato di gestione del flusso documentale ha notevolmente ridotto i tempi di lavorazione delle singole pratiche.
  Per quanto riguarda il personale il Ministero ha già operato un primo potenziamento delle risorse assegnate alla direzione generale competente al fine di ridurre ulteriormente i tempi di istruttoria delle istanze.
  Nonostante quanto sin qui fatto la problematica posta all'attenzione del Governo rimane di notevole rilievo e di urgente attualità.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   ARLOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 31 ottobre 2013 ricorre il ventennale della scomparsa di Federico Fellini, l'artista e intellettuale italiano che più di ogni altro ha segnato il Novecento italiano in ambito internazionale, insignito di cinque premi Oscar e riconoscimenti prestigiosi in ogni parte del mondo;
   l'anno 2013 vede ricorrere inoltre i decennali di quattro capolavori del Maestro del cinema italiano: I vitelloni (60 anni), 8 e 1/2 (50 anni), Amarcord (40 anni), E la nave va (30 anni);
   sotto la sigla di «Fellinianno 2013», inaugurato simbolicamente nel novembre 2012 con l'apertura di una sala del museo della città riservata al libro dei sogni di Federico Fellini, il comune di Rimini, città che diede i natali al Maestro, organizza e promuove una collana di iniziative e di appuntamenti per ricordare il ventennale dalla sua scomparsa;
   così come avviene per i geni di ogni tempo, la ricorrenza rappresenta un'occasione straordinaria per fare il punto sull'eredità poetica e intellettuale di uno dei geni italiani più conosciuti al mondo (14 milioni di pagine online citano a tutt'oggi il nome di Fellini);
   sarebbe opportuno e doveroso inserire la trasmissione delle opere di Federico Fellini nei palinsesti dei canali televisivi in occasione del ventennale della scomparsa del Maestro –:
   se non si ritenga necessario valorizzare la figura e l'opera del Maestro, anche attraverso le ambasciate d'Italia all'estero, con iniziative che coinvolgano il Ministero per i beni e le attività culturali e la rete degli istituti italiani di cultura. (4-01674)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si richiede se non si ritenga necessario valorizzare la figura e l'opera di Federico Fellini con iniziative che coinvolgono il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, si rappresenta, per quanto di specifica competenza di questa amministrazione, quanto segue.
  Federico Fellini rappresenta la più alta vetta del cinema italiano, l'inventore di un genere cinematografico che, superando gli schemi della poetica neorealistica, ha fatto scuola in Italia e nel mondo, ricevendo, come l'interrogante ricorda, numerosi riconoscimenti di rilievo internazionale. Per ricordare tale fulgido esempio di uomo di cultura, il Ministero ha riconosciuto l'interesse culturale per l'opera filmica «Che strano chiamarsi Federico – Scola racconta Fellini» del regista Ettore Scola.
  Il parere deliberativo della commissione per la cinematografia del 24 luglio 2013 ha attribuito un rilevante sostegno economico alla realizzazione del film, sia direttamente con un contributo di euro 450.000,00, sia indirettamente tramite le agevolazioni fiscali ai sensi del decreto ministeriale 7 maggio 2009 (cosiddetto «tax credit»).
  Tale opera costituisce un omaggio al grande cineasta da parte di un altro illustre maestro del cinema italiano, basato sulle memorie dei loro incontri, della loro amicizia e di una lunga frequentazione anche professionale.
  Il film è stato presentato in anteprima, fuori concorso, il 6 settembre 2013, alla presenza delle massime autorità istituzionali, nel corso della 70o edizione della mostra internazionale d'arte cinematografica tenutasi, come di consueto, al Lido di Venezia.
  La presentazione del film a Venezia ha costituito una grande occasione di promozione presso la sede più adeguata per esprimere la generale volontà del mondo della cultura di commemorare il geniale artista ed intellettuale riminese. Il film ha, infatti, riscosso condivisi apprezzamenti, anche da parte della critica internazionale, consentendo di ricordare, nel migliore dei modi, la poliedricità di Federico Fellini. Tale successo consentirà al film-memoria di essere adeguatamente promosso anche nella distribuzione estera.
  Sarà mia cura, come suggerisce l'interrogante, verificare – con il Ministero degli affari esteri – le modalità con cui valorizzare ulteriormente l'opera del maestro Fellini, prevedendo, ad esempio, proiezioni di questo film presso gli istituti di cultura italiana all'estero, nella convinzione che il cinema sia uno dei veicoli più efficaci per promuovere la cultura e l'immagine dell'Italia nel mondo.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il «comitato idonei 184 Vigili Permanenti» ha più volte sollevato la questione afferente al concorso per 184 posti di vigili del fuoco bandito nel mese di marzo 1998, lamentando la mancata assunzione degli idonei di quel concorso;
   la graduatoria, in oggetto, è stata via via prorogata fino al 30 giugno 2013, al fine di consentire all'amministrazione di assumere, oltre ai vincitori, anche piccoli contingenti di idonei in numero pari a quello che, di volta in volta, viene autorizzato o dalla funzione pubblica per supplire al turn over o dalla legge finanziaria quale potenziamento;
   il comitato denuncia che già nel primo dei tre anni di validità della graduatoria, così come stabilito dal decreto-legge n. 512 del 1996, invece di continuare ad assumere gli idonei del concorso 184 vigili permanenti fu indetto un altro concorso, quello a 173 posti da discontinuo indetto nel 2001, a cui fecero seguito altri 3 quello a 40 posti riservato ai volontari isole minori del 2004, quello a 55 posti riservato ad ex ausiliari 2004-2005, quello a 814 posti del 2009 oltre all'assunzione del personale di una ditta privata di Lavadigi (Cuneo) –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra esposta e quali siano le determinazioni dell'amministrazione in merito alla stabilizzazione degli idonei facenti parte la detta graduatoria.
(4-01075)

  Risposta. — L'interrogante chiede di conoscere quali provvedimenti il Ministro dell'interno intende adottare per la concreta utilizzazione della graduatoria dei candidati risultati idonei al concorso per 184 vigili del fuoco, indetto con decreto ministeriale del 6 marzo 1998.
  Si fa presente, innanzitutto, che le esigenze operative del Corpo nazionale dei vigili del fuoco hanno sempre richiesto un regime speciale per le procedure di selezione del personale.
  Il blocco delle assunzioni, intervenuto alla fine degli anni ’90, ha comportato la scelta di mantenere aperte le graduatorie concorsuali oltre la vigenza prevista per la generalità del pubblico impiego, attraverso norme speciali che, di anno in anno, ne hanno prorogato la validità.
  Per quanto riguarda il concorso pubblico a 184 posti per l'accesso nel profilo professionale di vigile del fuoco, la graduatoria finale è stata approvata con decreto ministeriale del 9 maggio 2000, con validità triennale ai sensi del decreto legge n. 512 del 1996.
  Le proroghe, intervenute nel corso di otto anni, hanno consentito di assumere 3804 idonei rispetto ai 5127 presenti in graduatoria.
  Esauriti gli effetti delle norme speciali di proroga, la graduatoria del concorso a 184 posti risulta scaduta il 31 dicembre 2008.
  Successivamente sono intervenute ulteriori disposizioni di legge che hanno previsto regimi di proroga anche per specifici concorsi per la copertura di posti di vigili del fuoco, senza effettuare alcun rinvio alla graduatoria in esame.
  Si richiama, in particolare, l'articolo 5 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, l'articolo 23, comma 4, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, l'articolo 4-ter del decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79 e il decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216.
  In questi casi, l'espressa formulazione legislativa non consente interpretazioni nel senso auspicato dall'interrogante.
  L'intera produzione normativa richiamata, pertanto, costituisce la conferma legislativa della scadenza della graduatoria al 31 dicembre 2008.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   BORGHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il territorio del Verbano Cusio Ossola data la sua vicinanza alla Svizzera, presenta un numero molto significativo di lavoratori transfrontalieri;
   il regolamento (CE) n. 883 del 2004, all'articolo 65, stabilisce che le indennità di disoccupazione a beneficio dei lavoratori residenti in uno Stato, ma che hanno lavorato in un altro, sono a totale carico dello Stato di provenienza;
   tale regolamento è stato sottoscritto anche dalla Svizzera ed è entrato in vigore il 1° aprile 2012 con la conseguenza che il fondo con contabilità separata non viene più alimentato;
   la giacenza effettiva di tale fondo è di circa 280 milioni di euro, sufficienti per retribuire le indennità dei lavoratori disoccupati per almeno 8/10 anni, come parte integrante del trattamento speciale di disoccupazione previsto dalla legge n. 147 del 1997;
   la posizione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è che, dal gennaio 2013, anche ai lavoratori frontalieri disoccupati si applicherà l'ASPI, l'assicurazione sociale per l'impiego prevista dalla «riforma Fornero» in sostituzione dell'indennità di disoccupazione ciò ha colto di sorpresa il mondo del lavoro delle aree di confine –:
   se non ritenga di fornire chiarimenti in merito all'applicazione della legge n. 147 del 1997 ed alle modalità di utilizzo delle risorse ancora disponibili, e se non intenda assumere iniziative per integrare l'ASPI nel vecchio trattamento con effetto retroattivo attingendo al fondo disponibile (circa 280 milioni di euro) gestito fuori bilancio dall'INPS ed alimentato, fin dal 1997, con la retrocessione da parte della Svizzera delle trattenute applicate sui salari dei lavoratori frontalieri che hanno contribuito al benessere del Verbano Cusio Ossola e di tutti gli altri territori di confine, promuovendo altresì modifiche alla normativa che prevede l'ASPI affinché sia precisato che sono fatte salve le ipotesi in cui l'ammontare dell'indennità di disoccupazione sia stabilita da accordi bilaterali con Stati esteri e sia di maggior favore per l'assicurato. (4-00125)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede di fornire chiarimenti in merito all'indennità di disoccupazione dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, si rappresenta quanto segue.
  La legge 5 giugno 1997, n. 147 (Norme in materia di trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro), attuativa dell'accordo fra l'Italia e la Svizzera del 12 dicembre 1978 reso esecutivo in Italia in virtù del decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1980, n. 90, disciplina il trattamento speciale di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, individuando l'Inps quale ente incaricato alla corresponsione dei predetti trattamenti in favore dei lavoratori divenuti disoccupati in Svizzera a seguito di cessazione, a loro non imputabile, del rapporto di lavoro.
  In particolare, la suddetta legge istituisce presso l'Inps, per l'intero periodo di validità dell'accordo, una gestione con contabilità separata per l'erogazione dei trattamenti finanziata dalla retrocessione, da parte elvetica, delle quote di contribuzione versate dai lavoratori.
  L'articolo 1, comma 4, della legge sopra citata precisa che la corresponsione dei trattamenti di disoccupazione peserà su tale fondo fino all'esaurimento delle disponibilità della gestione.
  A decorrere dal 1o aprile 2012 tuttavia, per effetto della decisione n. 1 del 2012, adottata il 31 marzo 2012 dal Comitato misto sulla libera circolazione delle persone istituito ai sensi dell'accordo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri da un lato, e la Confederazione Svizzera dall'altro, i regolamenti comunitari, e quindi anche il regolamento CE n. 883 del 2004, concernente il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, si applicano anche alla Svizzera.
  In particolare l'articolo 65 del citato regolamento prevede che il lavoratore italiano in Svizzera – in quanto persona che nel corso della sua ultima attività lavorativa risiedeva in uno Stato membro diverso da quello competente e continua a risiedere in tale Stato o ritorna in tale Stato – riceve le prestazioni in base alla legislazione dello Stato membro di residenza come se fosse stato soggetto a tale legislazione durante la sua ultima attività lavorativa.
  A far data dal 1o aprile 2012, in applicazione della richiamata decisione UE, l'Inps ha quindi proceduto alla tutela dei lavoratori transfrontalieri in Svizzera secondo il regime previsto per i lavoratori disoccupati italiani e, quindi, fino al 31 dicembre 2012, mediante indennità di disoccupazione ordinaria e, dal 1o gennaio 2013, mediante l'indennità di disoccupazione ASpI (Assicurazione sociale per l'impiego) e mini ASpI, ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita).
  Si tratta di un'assicurazione riconosciuta ai lavoratori (anche apprendisti o soci in cooperative) che hanno perso involontariamente la propria occupazione e possono far valere almeno due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nei due anni precedenti l'inizio della disoccupazione.
  L'importo della prestazione è calcolato in rapporto alla retribuzione lorda percepita dal lavoratore negli ultimi due anni ed è pari al 75 per cento della retribuzione mensile di riferimento se questa non supera, nel 2013, 1.180 euro mensili ed è pari al 75 per cento di 1.180 euro, più il 25 per cento della differenza tra la retribuzione mensile e i 1.180 euro, se la retribuzione mensile è superiore a detto importo. L'importo massimo erogabile è pari a 1.119,32 mensili.
  A seconda dell'anno in cui avviene il licenziamento e dell'età del lavoratore, l'ASpI ha differenti durate massime legali: per lavoratori di età inferiore a 50 anni nel biennio 2013/2014 la durata sarà di 8 mesi e di 10 mesi nel 2015; per lavoratori di età da 50 a 54 anni nel triennio 2013/2015 la durata sarà di 12 mesi, mentre per lavoratori di età pari o superiore a 55 anni la durata sarà di 12 mesi nel 2013, 14 mesi nel 2014 e 16 mesi nel 2015. Dal 1o gennaio 2016, in rapporto ai nuovi eventi di disoccupazione che si verificheranno a partire dalla stessa data, l'ASpI verrà corrisposta ai lavoratori con meno di 55 anni di età per un massimo di 12 mesi e a quelli con più di 55 anni per un periodo massimo di 18 mesi.
  In via sperimentale, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 il lavoratore avente diritto alla corresponsione dell'ASpI può richiedere la liquidazione degli importi del relativo trattamento pari al numero di mensilità non ancora percepite, al fine di intraprendere un'attività di lavoro autonomo, ovvero per avviare un'attività in forma di auto impresa o di micro impresa,
o per associarsi in cooperativa.
  Ai lavoratori che non raggiungono i requisiti richiesti per l'ASpI, dal 1o gennaio 2013 può essere liquidata la «mini ASpI» se possono far valere almeno tredici settimane di contribuzione per attività lavorativa negli ultimi dodici mesi.
  L'orientamento assunto dall'istituto sembra corretto poiché la decisione n. 1 del 2012 è parificabile ad un accordo in forma semplificata attraverso il quale l'Unione europea, nell'esercizio delle sue competenze esterne, subentra all'Italia nella regolamentazione della fattispecie che costituiva oggetto della legge n. 147 del 1997. Al fine di perimetrare i rapporti intercorrenti tra detta legge e il successivo regolamento n. 883 del 2004, pur non potendo applicarsi il generale principio di primazia del diritto comunitario sul diritto interno (sostanzialmente perché la legge n. 147 del 1997 costituisce legge di attuazione di un accordo internazionale che regola fenomeni territorialmente collocati al di fuori dell'ambito di applicazione del diritto comunitario), il citato regolamento UE può trovare applicazione nel territorio svizzero in virtù del rinvio operato dalla richiamata decisione n. 1 del 2012. Tale decisione subentra all'accordo del 12 dicembre 1978 introducendo un meccanismo di tutela dei lavoratori transfrontalieri attraverso il rinvio mobile ai regolamenti comunitari e, nel caso di specie, al regolamento n. 883 del 2004.
  In ordine al quesito concernente l'utilizzazione delle somme residue sulla gestione istituita presso l'Inps con la citata legge n. 147 del 1997 per l'erogazione dei trattamenti di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, si rappresenta che le stesse, già acquisite dall'ente, non potranno essere destinate a nuove e ulteriori ragioni di spesa atteso che comunque l'istituto dovrà garantire il riconoscimento dei trattamenti secondo il regime previsto a legislazione vigente e, quindi, dovranno essere utilizzate fino al 31 dicembre 2012 per il finanziamento dell'indennità di disoccupazione ordinaria e, dal 1o gennaio 2013, per il finanziamento dell'indennità di disoccupazione ASpI e mini ASpI, ai sensi della legge n. 92 del 2012.
  Nel corso della XVI legislatura è stato esaminato il disegno di legge di iniziativa parlamentare (AS 3180, già proposta di legge AC 3391) recante Modifiche alla legge 5 giugno 1997, n. 147, concernenti la durata dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.
  Tale disegno di legge aveva la finalità di migliorare i trattamenti di disoccupazione dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.
  Le disposizioni ivi contenute, nel modificare l'articolo 1 della legge n. 147 del 1997 nel senso di far in modo che la gestione con contabilità separata istituita presso l'INPS possa essere utilizzata esclusivamente al fine del pagamento dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, garantisce il trattamento speciale di disoccupazione in favore di quei lavoratori che hanno fatto registrare negli ultimi due anni periodi di malattia o di infortunio, considerandoli pertanto periodi neutri; eleva il periodo di indennizzo, previsto per i lavoratori frontalieri italiani, «divenuti disoccupati a seguito di cessazione del rapporto di lavoro» non a loro imputabile e, dagli attuali dodici mesi, tale periodo viene portato a diciotto mesi per i lavoratori di età compresa tra i cinquanta e i cinquantacinque anni e a ventiquattro mesi per quelli di cinquantasei anni di età e oltre; prevede altresì, per i soggetti cui è stato riconosciuto il diritto al trattamento speciale di disoccupazione, l'inserimento nelle liste di mobilità di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223, procedura di cui si dovrà far carico il centro per l'impiego territorialmente competente rispetto alla residenza del lavoratore.
  Di analogo contenuto sono stati i disegni di legge, sempre di iniziativa parlamentare, l'AS 2112, l'AS 2137, l'AS 2187 e l'AS 2244 recanti tutti il medesimo titolo (Modifiche agli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 5 giugno 1997, n. 147, concernenti la durata dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro).
  Fin dall'esame presso la Commissione lavoro della Camera dei deputati, la principale criticità del disegno di legge AS 3180 ha riguardato i profili finanziari. La relazione tecnica predisposta dall'Inps prevedeva, per l'anno 2012, un onere di spesa complessivo pari a 6.806.218 euro. Tale relazione tecnica è stata verificata negativamente dal Ministero dell'economia e delle finanze sia con riferimento alla quantificazione degli oneri che alla relativa copertura finanziaria. Al riguardo occorre precisare che il dipartimento della ragioneria generale dello Stato, nel ribadire che le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a) e b) del suddetto disegno di legge «introducono nuove ragioni di spesa», sostiene che la disposizione di cui al successivo comma 2, che prevede le disponibilità esistenti nella gestione con contabilità separata istituita presso l'INPS ai sensi della legge n. 147 del 1997, «non costituisce una fonte di copertura finanziaria atteso che gli equilibri della gestione stessa rientrano negli equilibri gestionali INPS e, più in generale, del comparto delle pubbliche amministrazioni».
  Quanto infine alle misure adottate dalle sedi provinciali dell'INPS, il Ministero degli affari esteri ha rappresentato che l'ambasciata d'Italia a Berna ha provveduto ad interpellare il direttore provinciale dell'INPS di Como. Quest'ultimo ha confermato che l'INPS non ha sospeso il pagamento dell'indennità di disoccupazione, ma ha semplicemente provveduto a sostituire l'erogazione del trattamento speciale di disoccupazione frontaliera con l'indennità di disoccupazione ordinaria. Secondo quanto segnalato dal direttore provinciale dell'INPS, le indennità in pagamento da settembre 2012 hanno subito una parziale riduzione, poiché l'indennità di disoccupazione ordinaria italiana prevede massimali mensili differenti da quella «frontaliera» (la diversità riguarda anche la durata: quella ordinaria è pari a 8 mesi, mentre quella frontaliera è di 12 mesi).
  Con tale decisione si è evitato peraltro il rischio di creare indebiti che poi i lavoratori disoccupati avrebbero potuto avere difficoltà a restituire. Tali disposizioni sono state concordate con la direzione regionale INPS della Lombardia e interessano anche le altre realtà provinciali di confine con la Svizzera. L'INPS segnala peraltro che analoghe disposizioni sono state date anche dalla sede regionale INPS del Piemonte.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Pagani, sciolto ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali dal 30 marzo 2012, è attualmente amministrato da una commissione straordinaria che impegna ben quattro funzionari dello Stato;
   preoccupazione desta l'attività svolta da tale commissione prefettizia, che ormai da tempo suscita polemiche e critiche tra la cittadinanza dell'Agro nocerino;
   in particolare, a quanto consta all'interrogante, sembrerebbe che i funzionari della Commissione, a fronte di una ridottissima presenza presso il comune di Pagani, percepiscano per intero l'indennità, nonostante il decreto prefettizio di nomina prot. 25657 del 5 settembre 2012 subordini la corresponsione del compenso mensile all'effettiva presenza in servizio;
   dubbi e perplessità derivano, poi, dalla determina dirigenziale n. 318 con cui, il 10 aprile 2013, il commissario prefettizio, dottoressa Tramonti, ha affidato un incarico di consulenza all'avvocato Raffaele Marciano «per svolgimento delle attività pertinenti il coordinamento della struttura commissariale e di rapporti con l'apparato della gestione dell'Ente», con un compenso previsto di ben 22.400 euro;
   non si spiega l'urgenza di una nomina tanto onerosa da parte dei commissari di un comune in crisi economica come quello di Pagani, peraltro già dotato di una tale figura professionale, l'avvocato Giuseppe Serritiello (come da notizia riportata sul quotidiano locale La Città di Salerno, del 19 giugno 2013);
   da notizie riportate da organi di stampa locali, perplessità desta, in particolare, la circostanza che il legale nominato sarebbe legato al commissario prefettizio, avendo rivestito il ruolo di responsabile legale del comune di S. Giuseppe Vesuviano nel periodo in cui la dottoressa Tramonti era commissario, per poi ricevere un nuovo importante ruolo al comune di Pagani, proprio pochi mesi dopo la nomina di Tramonti;
   la procedura a evidenza pubblica, tra l'altro, sembrerebbe essere stata caratterizzata, sin dalla fase preliminare, da anomalie procedimentali, al punto che è stato presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, «della nota prot. 371/13 recante la comunicazione della delibera n. 58/2013 avente ad oggetto la scelta del vincitore della selezione per l'affidamento di incarico di difesa dell'ente dinanzi alle giurisdizioni superiori e non»;
   è proprio di queste ultime ore la notizia della decisione del tribunale amministrativo regionale di Salerno, che ha dato ragione al ricorrente, disponendo la sospensione della delibera per la nomina dell'avvocato Raffaele Marciano;
   polemiche sta destando, inoltre, la notizia della messa in liquidazione nel prossimo mese di luglio della società partecipata Multiservice S.r.l. che gestisce gran parte delle attività comunali, quali la manutenzione delle strade e della segnaletica, del verde pubblico, della pubblicità, la gestione dei servizi cimiteriali, della pubblica illuminazione e dei parcheggi e dà lavoro a circa 30 famiglie;
   come riportato dalla stampa locale, tale decisione sarebbe fondata sull'ordinanza del TAR 2006, successivamente confermata dal Consiglio di Stato, che avrebbe disposto la sola sospensione, e non la revoca, degli effetti della delibera di consiglio comunale n. 28 del 14 maggio 2005 per la ricapitalizzazione della società;
   la commissione straordinaria, non solo avrebbe considerato «definitiva» un'ordinanza di sospensione che tale non è, non essendoci stata pronuncia nel merito, ma addirittura avrebbe omesso di considerare che l'aumento di capitale sociale è avvenuto con atto notarile del 1° giugno 2006, ben prima dell'ordinanza sospensiva del TAR;
   la richiesta di revoca, pertanto, discende ad avviso dell'interrogante solo ed esclusivamente da precisa volontà della triade commissariale e non da un'ottemperanza a decisione giurisdizionali;
   tale comportamento denota, secondo l'interrogante, un mancato impegno della commissione straordinaria a tutela, soprattutto, delle professionalità esistenti all'interno della società che finora hanno rappresentato un punto di riferimento per una serie di servizi essenziali del comune di Pagani;
   i componenti della commissione non potrebbero, tra l'altro, assumere decisioni di straordinaria amministrazione, qual’è la messa in liquidazione di una società partecipata, posto che i suoi funzionari sono prossimi alla scadenza del mandato;
   la fase di commissariamento che il comune di Pagani vive da circa 18 mesi si sarebbe rivelata deleteria per lo sviluppo, anche minimo, del territorio, segnata a giudizio dell'interrogante solo ed esclusivamente da un aggravamento delle condizioni economiche e finanziarie dell'ente –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero, e quali provvedimenti il Governo intenda adottare per porre rimedio all'operato della commissione straordinaria a cui compete la gestione del comune di Pagani, anche disponendo una specifica ispezione, attraverso competente commissione ministeriale, per verificare la legittimità degli atti e delle decisioni adottate in questi anni di commissariamento e se la situazione finanziaria dell'ente si sia effettivamente aggravata. (4-01113)

  Risposta. — Il Consiglio comunale di Pagani (Salerno) è stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica del 30 marzo 2012, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 giugno 2000, n. 267. La gestione commissariale dell'ente è stata successivamente prorogata di sei mesi, con decreto del Presidente della Repubblica in data 6 agosto 2013.
  In proposito si precisa che la spesa sostenuta per la commissione straordinaria equivale a quella delle indennità di carica del sindaco e degli assessori. Infatti a ciascun componente la commissione è corrisposto un compenso derivante da una mera operazione di calcolo (somma delle indennità percepite da sindaco ed assessori divisa per il numero dei componenti la commissione e decurtata ai sensi dell'articolo 5 della legge 122 del 2010).
  Il compenso per il personale sovraordinato, in relazione alla diversa funzione svolta ed al connesso grado di responsabilità è stato invece determinato nella misura del 50 per cento di quello spettante al componente della commissione straordinaria con oneri, ai sensi dell'articolo 145 del testo unico degli enti locali, a carico dell'erario.
  La commissione straordinaria sin dal suo insediamento è stata impegnata in una tenace azione finalizzata al ripristino della legalità ed al superamento delle criticità non solo in quei settori già oggetto di attenzione da parte della commissione di accesso presso il comune di Pagani, ma in numerose altre aree dove, nel corso dell'attività, ha registrato un non corretto funzionamento degli uffici e dei servizi dell'ente.
  L'attività si è rivelata particolarmente difficile e delicata sia per il peculiare contesto sociale ed economico in cui i commissari si sono trovati ad operare sia per la resistenza al «cambiamento» che il personale del comune ha, da subito, mostrato ponendo in essere comportamenti assolutamente non collaborativi. La commissione ha adottato una linea di azione improntata al massimo rigore nell'intento di affermare la presenza dello Stato nel territorio ed imprimere un forte segnale di discontinuità, avvalendosi, a tale scopo, di personale sovraordinato ai sensi dell'articolo 145 del testo unico degli enti locali.
  L'impegnativa azione di governo sta producendo significativi risultati quali il recupero di un bene già confiscato alla criminalità organizzata ed ancora nella disponibilità dei malavitosi e lo scioglimento della società partecipata Multiservice – cui fa riferimento l'interrogazione – a seguito di mirati accertamenti svolti sulle procedure e sugli atti contabili della società.
  Per quanto riguarda il riferimento al consulente legale del comune, si sottolinea che lo stesso era già stato nominato dalla commissione straordinaria del comune vesuviano prima dell'arrivo della dottoressa Tramonti.
  Inoltre, la delibera di nomina dell'avvocato quale consulente dell'ente, è stata annullata dal TAR Salerno per incompetenza, trattandosi di atto rientrante nelle attribuzioni dirigenziali.
  Con determina in esecuzione della pronuncia del giudice amministrativo, il responsabile dell'ufficio legale ha confermato nell'incarico il predetto professionista, facendo venir meno il profilo di illegittimità evidenziato.
  La commissione straordinaria ha anche sottolineato che il consulente esterno ha assicurato un forte contributo professionale in favore dell'ente costituendosi in numerosi giudizi.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   COLLETTI, DEL GROSSO e VACCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 25 novembre 2011 ha chiuso lo stabilimento calzaturiero Golden Lady di Gissi (Chieti) licenziando 382 lavoratori (in maggioranza donne) perché l'impresa ha deciso di delocalizzare la produzione in Serbia come già fatto per la Omsa di Faenza. A detta del fondatore del gruppo, Nerino Grassi, la delocalizzazione è stata una scelta inevitabile, obbligata dal mercato, anche se l'azienda ha registrato negli ultimi anni una media di «fatturato stabile di circa 620 milioni di euro» (sono parole dello stesso Grassi);
   a luglio 2012, dopo mesi di protesta, la vertenza Golden Lady sembra sbloccarsi grazie alla vendita dello stabilimento e al collocamento di tutte le ex lavoratrici in due nuove aziende del settore: la Silda Invest, che si impegna ad assumere 214 lavoratrici a tempo indeterminato, e la fabbrica tessile New Trade, destinata ad assorbire 115 operai (40 dei quali poi andati in mobilità);
   alla fine di ottobre 2012, però, la New Trade ha dapprima licenziato con effetto immediato 20 lavoratrici «a causa del mancato superamento del periodo di prova», nonostante fossero trascorsi solo 10 giorni dall'assunzione e non 30 come previsto dal contratto; il 18 dicembre 2012, poi, lo stabilimento ha comunicato la definitiva sospensione delle attività. I dipendenti sono rimasti 12, tutti gli altri sono stati licenziati, chi dopo un mese, chi al rientro dalla festività natalizie;
   anche alla Silda Invest la situazione non è rosea. Vengono attualmente occupati circa 80 operai su 250 dal momento che l'azienda non riesce a sostenerne i costi, aggravati dalla decisione del ministro Fornero di non prorogare la Cassa integrazione per ristrutturazione e di non rinnovare gli incentivi legati alla «formazione on the job»;
   la Legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012 n. 228) sta dunque seriamente compromettendo il progetto di riconversione della Golden Lady di Gissi e le sorti dei suoi ex dipendenti a cui oggi non resta che scendere in strada per non cadere nel dimenticatoio;
   anche i Sindacati (Cgil, Cisl, Uil), forse tardivamente, si sono mobilitati, convocando un tavolo con le istituzioni e i sindaci del circondario che però da due mesi non hanno ancora dato risposta –:
   se il Governo intenda assumere un'iniziativa normativa idonea ad emendare la legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012 n. 228) nella direzione di una proroga della cassa integrazione per ristrutturazione, della concessione degli incentivi legati alla «formazione on the job» o di altri benefici a sostegno delle aziende impegnate nella ricollocazione del personale;
   se sia nelle intenzioni del Governo istituire un tavolo di concertazione con le parti sociali, i lavoratori ex dipendenti della Golden Lady di Gissi e, soprattutto, le proprietà delle due società per addivenire ad una quanto mai urgente risoluzione della vicenda che vede centinaia di famiglie versare in condizioni economiche disperate. (4-00240)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali iniziative si intendano adottare in merito alla situazione occupazionale della società SILDA s.p.a. (subentrata all'azienda Golden Lady), si rappresenta quanto segue.
  Il 24 gennaio 2013 la direzione territoriale del lavoro di Chieti (DTL) ha effettuato un accertamento ispettivo in merito all'istanza di trattamento di integrazione salariale (CIGS) per ristrutturazione aziendale per il periodo che va dal 16 luglio 2012 al 15 luglio 2014.
  Dal verbale di accertamento è risultato che al momento della presentazione della suddetta domanda, l'organico in forza all'azienda era di 224 dipendenti ridotti a 220 alla data dell'accesso ispettivo. Dai controlli effettuati sul libro unico del lavoro e sui prospetti riepilogativi forniti dall'azienda, è stato rilevato con riferimento all'evoluzione della CIGS quanto segue:
   a ottobre 2012 i lavoratori in CIGS sono stati 218 per un totale di 39568 ore;
   a novembre 2012 i lavoratori in CIGS sono stati 215 per un totale di 36024 ore;
   a dicembre 2012 i lavoratori in CIGS sono stati 215 per un totale di 32416 ore;
   dal 1o al 16 gennaio 2013, ad esclusione della prima settimana (1o gennaio 2013-6 giugno 2013), in cui 214 lavoratori erano in CIGS per un totale di 5120 ore, dal 7 gennaio 2013 alcuni lavoratori hanno iniziato a prestare attività lavorativa e pertanto dal 7 gennaio 2013 al 13 gennaio 2013 i lavoratori coinvolti dalla procedura sono stati 36 per un totale di 848 ore, mentre dal 14 gennaio 2013 al 16 gennaio 2013 i lavoratori coinvolti dalla medesima procedura sono stati 130 per un totale di 3144 ore.

  È opportuno precisare che nel semestre luglio/dicembre 2012 tutti i lavoratori in forza presso la SILDA s.p.a. hanno partecipato al programma di formazione on the job, conformemente a quanto previsto dal verbale di accordo del 29 maggio 2012 siglato presso il Ministero dello sviluppo economico, nonché dal piano di ristrutturazione aziendale.
  In particolare, le ore di formazione totali, articolate in una prima fase teorica e in una successiva fase di applicazione pratica, sono state:
   nel mese di luglio 1080 ore per 207 lavoratori;
   nel mese di agosto 7140 ore per 224 lavoratori;
   nel mese di settembre 19990 ore per 224 lavoratori;
   nel mese di ottobre 35534 ore per 218 lavoratori;
   nel mese di novembre 29576 ore per 215 lavoratori;
   nel mese di dicembre 23909 ore per 215 lavoratori.

  Tuttavia, occorre evidenziare che con la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) è venuta meno la possibilità di utilizzare lo strumento della formazione on the job che costituiva una condizione fondamentale per la prosecuzione del piano di ristrutturazione aziendale necessaria all'acquisizione della professionalità richiesta dal nuovo modello produttivo intrapreso, ossia quello della calzatura.
  L'11 gennaio 2013, la società ha siglato con le rappresentanze sindacali un verbale di accordo volto a definire il nuovo piano di intervento con decorrenza dal 14 gennaio 2013, che ha previsto l'avvio dell'attività produttiva per 87 lavoratori individuati dall'azienda in base alla professionalità acquisita durante la formazione on the job e la permanenza in CIGS delle restanti unità. Inoltre, la società, di concerto con le rappresentanze dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, con il suddetto accordo si è impegnata a garantire la realizzazione di un percorso formativo nei confronti di tutti i lavoratori, sia in CIGS che in attività e ha già assunto specifici impegni tramite accordi con organismi accreditati presso la regione Abruzzo.
  Sotto il profilo degli investimenti, nel corso dell'accertamento ispettivo è stata verificata l'esistenza nei locali aziendali di macchinari automatici e impianti per il taglio del pellame, per l'orlatura nonché per la rifinitura del prodotto finito, specifici per la produzione di calzature, nonché di materie prime e semilavorati, in numero consistente, in attesa di lavorazione.
  Inoltre, da un documento di autovalutazione della società, sono stati evidenziati gli investimenti effettuati nel primo semestre di intervento (16 luglio 2012/16 gennaio 2013), con riferimento sia alle immobilizzazioni materiali, che alla formazione e riqualificazione, come stabilito nel programma di ristrutturazione aziendale. Rispetto a questi due ultimi parametri, è risultato che l'ammontare complessivo degli investimenti sostenuti dall'azienda nel periodo considerato, è stato pari a 22.456.594,35 euro, superiore alla misura del 30 per cento programmato nel piano di ristrutturazione aziendale.
  Al fine di valutare la situazione di difficoltà di ordine finanziario alla base della richiesta di pagamento diretto della CIGS da parte dell'azienda, dal bilancio provvisorio si rileva che tra le attività e le passività non sussiste un rapporto di equilibrio, per cui «l'azienda dimostra la propria incapacità di far fronte ai debiti di breve scadenza, nonché ai normali pagamenti sociali».
  La DTL di Chieti rileva nel verbale di accertamento ispettivo che risultano evidenti le difficoltà di carattere finanziario dell'azienda che non consentono di anticipare il pagamento per i lavoratori in cassa integrazione.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   COSTANTINO, RICCIATTI, DI SALVO, QUARANTA e NARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2012, la società RFI-Rete ferroviaria italiana, del gruppo ferrovie dello Stato italiane ha avviato il progetto «Pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni», già in corso di realizzazione, che ha l'obiettivo di internalizzare attività di piccola manutenzione, decoro e pulizia;
   tra le attività che verrebbero svolte vi sono: pulizia; pitturazione; piccoli interventi riparativi, di idraulica e muratura; presenziamento delle stazioni; video sorveglianza e primo intervento sugli ascensori; controllo corretta utilizzazione dei parcheggi FS; servizi di portineria; all'occorrenza: spalatura della neve, spargimento del sale, pompaggio dell'acqua dai sottopassi e altro;
   attraverso la realizzazione di questo progetto l'azienda ha dichiarato di voler utilizzare tutto il personale inidoneo o non riqualificabile verso le attività di esercizio, che non trova altra possibilità di impiego in RFI. Si tratta di 654 lavoratori provenienti da Trenitalia Cargo non riqualificabili verso la manutenzione infrastruttura e 612 inidonei RFI non utilizzabili in attività di esercizio;
   la società dichiara che sulla base di valutazioni di idoneità e la predisposizione di corsi di professionalizzazione per le nuove attività, i lavoratori saranno organizzati in squadre da 3 a 9 unità per gli interventi di manutenzione, destinando tutti gli altri ad attività di presidio al territorio, guardiania e assistenza;
   il progetto, già in fase di avanzamento, secondo il sindacato Or.S.A. è caratterizzato da molte «zone d'ombra» e da una complessiva incertezza sulla sostenibilità degli obiettivi dichiarati dalla società. Non si comprendono, infatti, gli spostamenti di personale già proficuamente utilizzato all'interno delle strutture di esercizio nel nuovo «contenitore», con un cambio – di fatto – del responsabile e del centro di costo;
   l'Or.S.A. ritiene che l'azienda non abbia presentato un credibile progetto di riqualificazione ed utilizzazione che possa sfruttare le molteplici professionalità che risultano, in molti casi, ricollocabili anche all'interno della stessa Trenitalia, dove esiste carenza di personale, che il gruppo FS continua a negare;
   inoltre, non sono stati sciolti i dubbi riguardanti l'utile ricollocazione di molti inidonei rispetto alle attività previste nella nuova struttura, come non sono state date risposte su quale profilo giuridico/contrattuale andrà a rivestire il personale, sia sotto l'aspetto normativo che economico;
   gli interroganti sono stati colpiti dal fatto che l'azienda abbia creato il progetto «Pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni» per collocare il solo personale inidoneo, indipendentemente dalle loro qualifiche, e dall'età media dei lavoratori da coinvolgere – ovvero 231 con più di 41 anni; 905 con più di 51; 57 con più di 61;
   il sospetto è che l'operazione possa risultare discriminatoria ai danni dei lavoratori coinvolti, con violazione del decreto legislativo n. 216 del 2003, che vieta ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro nei confronti di soggetti deboli o potenzialmente più esposti di altri alla discriminazione;
   dovrebbe garantirsi, almeno, che non sia obbligatorio per i lavoratori e le lavoratrici entrare nel progetto, ma che ciò possa avvenire su base volontaria o che i lavoratori possano rifiutare, senza il rischio di subire il licenziamento –:
   quale iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per accertare che il progetto «Pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni» della RFI-Rete ferroviaria italiana non rappresenti una violazione delle norme antidiscriminatorie;
   quali misure intendano approntare per garantire l'occupazione dei lavoratori che non intendano transitare nel predetto progetto. (4-00378)

  Risposta. — L'interrogazione in esame concerne il progetto «Pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni» avviato nei primi mesi del 2013 dalla RFI-Rete ferroviaria italiana s.p.a., con sede in Roma.
  Al riguardo, si informa che il 31 maggio 2013 la direzione territoriale del lavoro di Roma ha effettuato un primo accesso ispettivo volto ad acquisire informazioni circa il progetto in questione, in ordine al quale ha rappresentato quanto segue.
  La RFI-Rete ferroviaria italiana s.p.a., che si articola in direzioni centrali e territoriali, fa parte del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e si occupa di assicurare la fruibilità e il mantenimento in efficienza delle linee e delle infrastrutture ferroviarie, comprese le stazioni.
  Al fine di contenere i costi di gestione, la società RFI, nei primi mesi del 2013, ha definito e avviato un progetto denominato «Pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni», finalizzato essenzialmente a migliorare i livelli qualitativi dei servizi offerti nelle stazioni ferroviarie attraverso una progressiva internalizzazione e intensificazione delle attività nell'ambito delle quindici direzioni territoriali produzione, in particolare attraverso le dipendenti strutture terminali e servizi.
  Sulla base delle linee guida indicate nel progetto, le strutture territoriali dovranno ampliare nelle stazioni le seguenti attività operative:
   piccola manutenzione ordinaria;
   attività di guardiania e assistenza passeggeri;
   interventi occasionali come spalatura di neve, spargimento sale, pompaggio acqua nei sottopassi, eccetera;
   monitoraggio e controllo dei livelli di servizio.

  Nel contempo, la società Trenitalia – divisione cargo, che assicura servizi di trasporto per le merci in Italia e all'estero, a causa della crisi economica in atto e della conseguente contrazione dei transiti ferroviari e del volume d'affari è stata interessata da un processo di riorganizzazione industriale con la chiusura di alcuni impianti o la riduzione delle relative attività.
  Ciò ha comportato la necessità di operare un ridimensionamento degli organici che è stato attuato, a partire dal settembre 2012, tramite la cessione volontaria del contratto di lavoro con passaggio da Trenitalia – divisione cargo a RFI-Rete ferroviaria italiana s.p.a., cessione ratificata con verbali di accordo individuale da parte dei lavoratori interessati.
  Il personale proveniente da Trenitalia – divisione cargo è stato, in parte, impiegato in attività di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'infrastruttura ferroviaria presso le direzioni territoriali produzione in sostituzione di alcune unità di personale cessate per pensionamento e, in parte, è stato assegnato alla realizzazione del progetto più volte richiamato.
  All'atto del passaggio da Trenitalia – divisione cargo a RFI, il personale è stato sottoposto, a cura della direzione sanità di RFI, all'accertamento dei requisiti di idoneità fisici e psico-attitudinali necessari per lo svolgimento di attività, quali quelle di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'infrastruttura ferroviaria, incidenti sulla sicurezza dell'esercizio ferroviario e a colloqui conoscitivi individuali.
  In esito agli accertamenti effettuati, sono stati individuati 664 lavoratori non in possesso dei requisiti per svolgere attività di sicurezza ferroviaria o comunque, in considerazione delle pregresse esperienze professionali, non riprofessionalizzabili verso le suddette attività.
  Per tali risorse, quindi, è stata decisa l'assegnazione alle strutture terminali e servizi territoriali per la realizzazione delle attività di cui al progetto «pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni».
  Per altre 168 risorse, ritenute idonee allo svolgimento di attività di sicurezza, è stato invece previsto l'impiego nel processo di manutenzione dell'infrastruttura all'esito di percorsi formativi necessari ad acquisire le previste abilitazioni (patente obbligatoria di base).
  Alle attività progettuali sono state, altresì, destinate altre 612 risorse già di RFI, inidonee alle attività di esercizio, per un totale di 1266 unità di personale cui è stata notificata l'assegnazione alle strutture terminali e servizi territoriali attraverso apposita comunicazione aziendale scritta che ha confermato l'attuale sede di lavoro ove possibile o in alternativa ne ha prevista una limitrofa.
  La realizzazione del progetto prevede quattro fasi da completarsi nel corso del 2013 che si articolano secondo la seguente scansione temporale:
   1o trimestre 2013: individuazione e valutazione delle risorse e delle relative attività. Tale fase risulta sostanzialmente terminata;
   2o trimestre 2013: organizzazione mezzi, materiali e squadre di lavoro. L'attività è in corso;
   3o trimestre 2013: professionalizzazione delle risorse. È in corso l'attività di pianificazione dei corsi;
   4o trimestre 2013: attivazione delle squadre monitoraggio e guardiania. Attivazione squadre pronto intervento e ripristino. L'attività è ancora da avviare.

  Si informa, inoltre, che, a partire dal mese di aprile 2013, la società RFI ha avviato un percorso relazionale con le diverse sigle sindacali (FIT CISL, FILT CGIL, UIL TRASPORTI, UGL TRASPORTI, FAST FERROVIE e separatamente con OR.S.A.) al fine di illustrare e discutere il progetto.
  Ad oggi, le parti si sono impegnate a definire in tempi brevi un accordo nazionale in merito alle linee generali da seguire per l'attuazione del progetto, rinviando gli aspetti di dettaglio alle sedi territoriali.
  In conclusione, in seguito agli accertamenti ispettivi effettuati non sono emersi elementi che inducano a ritenere che siano state poste in essere da parte della società RFI condotte discriminatorie o vessatorie nei confronti dei lavoratori.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la determinazione 91/2012 della Corte dei Conti relativa al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per l'esercizio 2011 ha evidenziato una persistente scopertura dei dipendenti in servizio che si attesta all'8,7 per cento nel 2011, per effetto di una contrazione nella consistenza complessiva discesa da 27.640 unità nel 2010 a 26.707 unità nel 2011, nonostante il notevole ridimensionamento della dotazione organica da 32.074 a 29.262 posti, operato in attuazione della legge n. 25 del 2010, fenomeno che deriva – anche nel 2011 – dal maggiore esodo annuale (1338), rispetto ai minori ingressi (405) collegati al blocco delle assunzioni e che ha assunto livelli allarmanti per la funzionalità dell'istituto a fronte dell'accrescimento degli impegni istituzionali;
   nonostante l'accorpamento degli enti previdenziali Inpdap e Enpals nell'Inps che avrebbe dovuto eliminare le carenze d'organico, tenuto conto del forte esubero dell'organico Inpdap, il risultato aggregato degli organici al 31 dicembre 2010 Inps-Inpdap-Enpals ha evidenziato una carenza totale nell'area B di Inps-Inpdap-Enpals di 197 unità a cui vanno aggiunte le unità cessate nell'arco di ben due anni e quattro mesi (tutto il 2011, tutto il 2012, i primi quattro mesi del 2013) a causa dei pensionamenti ed un'ulteriore scopertura per il passaggio di 324 unità dall'area B Inps all'area C Inps;
   per sopperire alle sopra citate carenze d'organico l'Inps ha provveduto a triplicare la spesa per l'acquisizione di prestazioni di lavoro temporaneo nel 2010, come si evince dalla determinazione 91/2012 della Corte dei Conti e, successivamente, avendo la Corte ripetutamente sottolineato che, per fronteggiare le scoperture organiche, non appare strumento adeguato il ricorso al lavoro interinale che rischia di tradursi in anomali processi di esternalizzazione dell'attività istituzionale e di alimentare indebite aspettative di assunzione ed avendo, quindi, tale fenomeno subito il notevole intervento limitativo introdotto dall'articolo 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, con decorrenza dal 2011, l'Inps ha provveduto ad assumere personale tramite l'istituto della mobilità volontaria e successivamente a stabilizzarlo;
   allo stato attuale risultano ancora non esaurite le graduatorie relative ai concorsi pubblici Inps concernenti i seguenti profili: 50 posti, personale amministrativo, area B; 108 posti, personale amministrativo, area C; 293 posti, ispettori di vigilanza, area C, le cui scadenze sono previste nell'agosto 2013;
   con sentenza n. 4329/2012 il Consiglio di Stato ha sottolineato che il comma 2-bis dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede la prevalenza della mobilità esterna solamente rispetto a nuove procedure concorsuali e che l'interpretazione estensiva della norma, che fa prevalere la mobilità sullo scorrimento delle graduatorie, non trova giustificazione né nella lettera della norma né nella ratio ad essa sottesa, volta al contenimento della spesa pubblica ed alla razionalizzazione delle risorse umane ed economiche. Invero, lo scorrimento delle graduatorie trova causa proprio nell'obiettivo di ridurre la spesa pubblica, evitando l'indizione di nuovi concorsi per il reclutamento del personale e contestualmente attua i principi di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa, tenuto conto del costo e dei tempi per l'esperimento di procedure concorsuali, compresa la procedura di mobilità;
   con sentenza n. 7221/2012 il TAR del Lazio ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale più recente, a parere del Collegio meritevole di piena condivisione, in tema di utilizzazione delle graduatorie concorsuali ai fini dell'assunzione dei soggetti che vi compaiono quali idonei, secondo cui le amministrazioni possono discrezionalmente orientarsi in ordine all’«an» della assunzione, ma non invece in ordine al «quomodo» della stessa. Ciò vuol dire che le amministrazioni possono valutare discrezionalmente se risponde al loro interesse, in quel determinato momento storico far luogo alla copertura del posto o dei posti in pianta organica a mezzo di nuova assunzione, ma una volta che la decisione di assumere è stata presa, l'amministrazione è vincolata ad attingere alla graduatoria concorsuale ancora valida ed efficace posto che tale soluzione è imposta dal rispetto del principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione nell'organizzazione dei pubblici uffici (articolo 97 Costituzione) –:
   se il Governo ritenga o meno di prevedere, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un'ulteriore proroga, almeno sino al 31 dicembre 2013, del termine di efficacia delle graduatorie in scadenza, onde consentire all'amministrazione pubblica di poter usufruire dello scorrimento delle suddette graduatorie in presenza della legittima possibilità di procedere all'assunzione di personale. (4-00423)

  Risposta. — L'interrogazione in esame concerne la proroga dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici, con particolare riferimento alle esigenze assunzionali dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale.
  In proposito, si informa che in data 19 giugno 2013, in attuazione del comma 394 della legge n. 228 del 2012 – legge di stabilità per il 2013, è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che proroga al 31 dicembre 2013 le graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni.
  La durata dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici è stabilita in via generale dall'articolo 35, comma 5-
ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che dispone che le graduatorie rimangono vigenti per un periodo di tre anni dalla data della loro pubblicazione.
  L'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per l'assunzione di personale a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni soggette alle limitazioni delle facoltà assunzionali, approvate dopo il 30 settembre 2003, è stata dapprima prorogata, fino al 31 dicembre 2012, dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 216 del 2011.
  Successivamente, è intervenuto l'articolo 1, comma 388, della legge n. 228 del 2012, che ha ulteriormente prorogato, fino al 30 giugno 2013, il termine di efficacia delle suddette graduatorie, termine che, come detto, è stato, da ultimo, differito al 31 dicembre 2013 con il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2013.
  Per quanto riguarda l'organico dell'Inps, si evidenzia che il decreto-legge n. 138 del 2011, all'articolo 1, comma 3, ha disposto che le amministrazioni di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, fra cui l'Inps, dovevano procedere entro il 31 marzo 2012 ad una riduzione delle dotazioni organiche, aggiuntiva rispetto a quella già attuata ai sensi del medesimo articolo 74 e dall'articolo 2, comma 8-
bis, del decreto-legge n. 194 del 2009.
  Successivamente, l'articolo 21, comma 1, decreto-legge n. 201 del 2001 ha stabilito la soppressione dell'Inpdap e l'Enpals e il trasferimento delle relative funzioni all'Inps.
  Il medesimo articolo 21, al comma 2, ha previsto che con decreti di natura non regolamentare, da emanarsi in seguito all'approvazione dei bilanci di chiusura delle relative gestioni degli enti soppressi, sulla base delle risultanze dei bilanci da deliberare entro il 31 marzo 2012, le risorse strumentali, umane e finanziarie degli enti soppressi sono trasferite all'Inps. Conseguentemente, la dotazione organica dell'Inps è incrementata di un numero di posti corrispondente alle unità di personale di ruolo in servizio presso gli enti soppressi alla data di entrata in vigore del presente decreto.
  Il successivo comma 7 dell'articolo 21 disponeva, inoltre, il riassetto organizzativo e funzionale dell'Istituto conseguente alla soppressione dei citati enti operando una razionalizzazione dell'organizzazione e delle procedure.
  In seguito, l'articolo 1, comma 6-
ter, del decreto-legge n. 216 del 2011 ha stabilito che il termine previsto dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 138 del 2011, per l'Inps, è stato prorogato all'atto del riassetto organizzativo e funzionale previsto dall'articolo 21, comma 7, del citato decreto-legge n. 201 del 2011.
  Successivamente, il decreto-legge n. 95 del 2012 cosiddetto
spending review, all'articolo 2, ha stabilito una ulteriore riduzione delle dotazioni organiche delle amministrazioni pubbliche, vietando, inoltre, alle amministrazioni, per le quali non siano stati emanati i decreti presidenziali di rideterminazione delle dotazioni organiche entro il 31 ottobre 2012, di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.
  In data 24 settembre 2012, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione ha emanato la direttiva n. 10 del 2012, con cui sono state dettate le linee di indirizzo e i criteri applicativi per consentire alle amministrazioni di operare le riduzioni delle dotazioni organiche previste dal citato articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012.
  La predetta direttiva illustra le tappe che le singole amministrazioni devono seguire in merito alla gestione delle eventuali situazioni di esubero di personale prima dell'adozione dei provvedimenti di riduzione, che consistono in:
   individuazione del personale da collocare a riposo;
   limitazione del
turn over almeno fino al dicembre 2015.

  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 gennaio 2013 è stato definito l'organico dell'INPS secondo le riduzioni imposte, dapprima, dal decreto-legge n. 138 del 2011 e, poi, dal decreto-legge n. 95 del 2012.
  Si informa, inoltre, che in data 28 marzo 2013, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione ha emanato il decreto non regolamentare con cui vengono trasferite all'Istituto previdenziale tutte le funzioni del soppresso Enpals e le relative risorse.
  L'analogo decreto di trasferimento delle risorse dell'Inpdap è ancora in fase di registrazione presso la Corte dei conti.
  Pertanto, solo in esito al processo di definizione del nuovo assetto organizzativo-funzionale dell'ente, l'Inps potrà procedere alla determinazione di un organico unificato con la conseguente individuazione delle qualifiche e dei livelli retributivi in esubero o in eventuale carenza.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   DONATI, MARCO DI MAIO, CARRESCIA, FARAONE, BIFFONI, FANUCCI, ANZALDI, MAGORNO, RICHETTI, BONIFAZI, CRIMÌ, DE MENECH, LODOLINI, SANI, PELUFFO, CARBONE, CINZIA MARIA FONTANA, ERMINI, PARRINI, LOTTI, BENI, FREGOLENT, SENALDI, BAZOLI, RAMPI, BONOMO, BINDI, MARCHETTI, GASPARINI, GANDOLFI, TARICCO, TENTORI, NARDELLA, BENAMATI, COVA, DECARO, DALLAI, GELLI e D'INCECCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il lavoratore è autorizzato in base all'articolo 8, comma 1, della legge n. 219 del 2005, al riconoscimento della retribuzione e dei contributi per la giornata in cui effettua una donazione di sangue;
   tale norma legittima il valore della donazione e contribuisce fortemente al raggiungimento dell'obbiettivo dell'autosufficienza nazionale nella raccolta di sangue ed emocomponenti;
   con l'approvazione dell'articolo 24, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, detto «Salva Italia» è entrata in vigore la riforma previdenziale nota come riforma Fornero –:
   se corrisponda al vero, così come riportato da alcuni organi di stampa, che a seguito della riforma l'Istituto nazionale per la previdenza sociale non conteggia più nel calcolo pensionistico le giornate in cui i lavoratori sono stati assenti dal lavoro perché impegnati nella donazione di sangue e, in caso affermativo, quali iniziative intenda adottare per non penalizzare coloro che compiono questa scelta di solidarietà. (4-02062)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente il riconoscimento – ai fini pensionistici – delle giornate di assenza dal lavoro per effettuare una donazione di sangue, rappresento quanto segue.
  In particolare, l'interrogante ha paventato che l'applicazione delle disposizioni in materia pensionistica succedutesi fra il 2011 e il 2012 possa tradursi in uno svantaggio a carico dei donatori di sangue, i quali si troverebbero ad optare fra un vero e proprio «slittamento» temporale nell'accesso al pensionamento o l'applicazione di talune penalizzazioni in caso di accesso alla pensione in età inferiore a 62 anni.
  Ebbene, posso affermare che la questione segnalata è all'attenzione del Governo, certamente intenzionato a rinvenire una soluzione soddisfacente per coloro che adempiono a un compito di alto valore sociale e morale.
  Ed infatti, al fine di superare i dubbi interpretativi e garantire uniformità di applicazione delle disposizioni in esame, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'INPS si stanno adoperando al fine di verificare la possibilità di una soluzione in via amministrativa che consenta di affermare tale riconoscimento senza il ricorso ad una apposita previsione normativa.
  Nel contempo segnalo che nell'ambito del procedimento di conversione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, la 1a Commissione permanente del Senato ha approvato un emendamento parlamentare, sul quale il Governo ha reso parere favorevole, volto ad includere tra le prestazioni effettive di lavoro utili al raggiungimento dell'anzianità contributiva prevista dalla legge, anche i periodi di astensione obbligatoria derivanti dalla donazione di sangue e di emocomponenti.
  Laddove l'emendamento in argomento venisse effettivamente trasformato in legge, la questione segnalata troverebbe, quindi, una soluzione in via legislativa e la soluzione amministrativa dinanzi richiamata non si renderebbe più necessaria.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiJole Santelli.


   DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   presso il centro polifunzionale di sperimentazione (CEPOLISPE) di Montelibretti è prevista una modifica dell'orario di servizio, modulata in maniera tale da cancellare (per un giorno a settimana) il diritto alla pausa settimanale necessaria al recupero psicofisico e, conseguentemente, per operare un taglio alle spese adibite alla mensa;
   il nuovo orario di servizio, secondo le disposizioni impartite dal direttore del suddetto centro, decorrerà dal 2 settembre 2013;
   la stima relativa al taglio delle risorse si aggira attorno ai 250 euro annui per dipendente;
   si prevede la soppressione del servizio di mensa (con il passaggio ai buoni pasto), anche in conformità con la direttiva n. 11497 S.decreto ministeriale del 24 dicembre 2012 che nello specifico, al paragrafo 9 «Vettovagliamento, ristorazione e casermaggio», prevede quanto segue: «[...] di proseguire con l'attività di razionalizzazione delle spese con l'adozione, tra le varie modalità previste dal decreto interministeriale del 23 maggio 2012, della forma di vettovagliamento ritenuta più aderente alle esigenze e, ove possibile e conveniente, incentivare il ricorso al buono pasto per gli enti che non necessitano, per i compiti di istituto, di mense –:
   se la modifica dell'orario di servizio applicata al CEPOLISPE sia iniziativa personale del suddetto direttore o se rappresenti un indirizzo generale dello Stato maggiore della Difesa (o di altri organismi di vertice della Difesa), e quindi nel futuro verrà estesa ad altri centri;
   se l'incentivo all'utilizzo, generalizzato, dei buoni pasto, sia un ulteriore taglio economico ai lavoratori propagandato come «razionalizzazione delle spese».
(4-01189)

  Risposta. — Il personale del centro polifunzionale di sperimentazione di Montelibretti (CEPOLISPE), composto da personale civile (182 unità) e militare (54 unità), a seguito dell'ordine di servizio del 19 gennaio 2012, successivamente modificato il 6 novembre 2012, attuava il seguente orario: lunedì-venerdì dalle ore 7,30 alle 14,42, corrispondenti a 7 ore e 12 minuti giornalieri, cui devono essere aggiunti 30 minuti, come previsto dalle vigenti norme, per il diritto al recupero psicofisico.
  Relativamente all'orario d'ingresso veniva applicata una flessibilità di 1 ora e 50 minuti, dando la facoltà di accedere alla struttura dalle ore 7,10 alle 9,00.
  In ragione di tale fascia oraria, il servizio di mensa del centro poteva essere fruito per tutti i 5 giorni lavorativi della settimana, sia dal personale militare che dal personale civile.
  In particolare, con tale regime orario:
   l'intervallo di tempo (fascia temporale di garanzia) entro il quale sussisteva la probabilità di avere il 100 per cento del personale presente contemporaneamente, era di 5 ore e 42 minuti (intervallo 9,00-14,42);
   il lavoro straordinario decorreva dalle 15,12 (considerati 30 minuti per recupero psicofisico).

  In questa situazione, vista la carenza organica del personale del centro, l'insufficienza di risorse finanziarie per remunerare ore di straordinario – sia per personale militare che civile – e gli obiettivi generali di «spending review», il direttore del centro ha comunicato alle organizzazioni sindacali e alle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) del CEPOLISPE una serie di proposte finalizzate ad ottimizzare l'organizzazione del lavoro, ivi inclusa la ridefinizione dell'orario di servizio in ottica costo-efficacia per l'amministrazione.
  In sintesi, i provvedimenti adottati dallo stesso direttore relativamente all'orario di servizio – sempre nel rispetto delle norme e dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, in cui è stabilita la priorità dell'esigenza di servizio rispetto a quella dell'orario di lavoro – articolano il lavoro in modo da soddisfare prioritariamente le esigenze istituzionali (produttività, rendimento, efficacia, efficienza della globalità del sistema).
  Tali provvedimenti riguardano:
   l'applicazione al personale militare, a partire da marzo 2013, dell'orario di servizio
standard: lunedì-giovedì 8,00-16,00 (a cui vanno aggiunti 30 minuti per recupero psicofisico) e venerdì 8,00-12,00;
   l'applicazione al personale civile, a partire da settembre 2013, del seguente orario: lunedì-giovedì 8,00-16,00 (comprensivi di 30 minuti per recupero psicofisico) e venerdì 8,00-14,00;
   l'applicazione al personale civile di una flessibilità in ingresso di 1 ora e 30 minuti (7,30-09,00).

  I provvedimenti in questione producono, oltre alla riarticolazione dell'orario, l'innalzamento, a 6 ore e 30 minuti, dell'intervallo di tempo entro il quale è possibile avere la presenza del 100 per cento del personale civile in servizio.
  Inoltre, elevano la soglia oltre la quale decorre il lavoro straordinario e riducono, con probabile azzeramento, il servizio mensa del venerdì.
  Al riguardo, si evidenzia che il monitoraggio dell'esigenza di straordinario per il personale militare, effettuato nel periodo marzo-giugno 2013, ha rilevato una riduzione delle ore autorizzate pari a circa il 50 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012.
  La richiamata riarticolazione dell'orario, peraltro, salvaguarda i diritti dei lavoratori che, in funzione dell'intervallo di tempo lavorativo, usufruiscono della pausa per il recupero psicofisico (30 minuti) quando si superano 6 ore lavorative continuative, ovvero maturano il diritto alla mensa, qualora superino le 7 ore lavorative programmate (l'intervallo di tempo per il recupero psicofisico coincide con il tempo necessario alla consumazione del pasto, quando dovuto).
  In relazione all'ipotizzata soppressione del servizio mensa e alla corresponsione dei buoni pasto – avanzata, peraltro, lo scorso 13 giugno dalle rappresentanze sindacali unitarie del centro – in nessun caso il direttore del centro ha inteso o dato mandato di procedere in tal senso, attesa la necessità di effettuare le dovute valutazioni.
  Al riguardo, la corresponsione dei buoni pasto è un istituto alternativo e sussidiario al servizio mensa ed è una tipologia di erogazione del servizio vettovagliamento al personale della Difesa avente diritto al trattamento alimentare a carico dello Stato, disciplinata dal decreto interministeriale Difesa-Economia del 23 maggio 2012.
  Tali disposizioni prevedono che ogni Forza armata possa ricorrere al buono pasto, in sostituzione delle altre forme di vettovagliamento, nelle seguenti ipotesi:
   in relazione alle esigenze operative, logistiche, di dislocazione e di impiego dei propri enti e reparti;
   quando, presso il comando di appartenenza o presso altro comando nella stessa sede, sia impossibile assicurare il funzionamento della mensa obbligatoria di servizio, ovvero qualora i compiti d'istituto siano inconciliabili con i periodi temporali di funzionamento della mensa stessa.

  Pertanto, il quadro normativo già di per sé configura il buono pasto come forma residuale di vettovagliamento, limitata a casi particolari, atteso che la sua concessione, a prescindere da valutazioni di opportunità economica e/o funzionale, è condizionata da fattori esterni all'organizzazione militare.
  In particolare, si allude alla verifica della disponibilità di strutture ristorative adeguate nelle vicinanze del luogo di lavoro che consentano la fruizione del pasto a tutto il personale in tempi compatibili con l'orario di servizio, così da evitare riflessi negativi sulla funzionalità dell'ente, oltre a praticare condizioni economiche che garantiscano, nei limiti del controvalore del buono, la consumazione di un pasto adeguato.
  Ciò premesso, nel settore vettovagliamento viene privilegiata l'erogazione del servizio attraverso il funzionamento delle mense unificate, ricorrendo alle diverse forme di gestione previste, ovvero:
   gestione diretta: tutte le fasi del servizio (acquisto derrate, confezione e distribuzione del vitto) sono a carico dell'ente militare con l'utilizzo di proprio personale;
   gestione mista (ristorazione): le derrate vengono approvvigionate dall'ente, ma la preparazione e distribuzione del pasto sono assicurate da ditta esterna presso locali della caserma in possesso dei requisiti igienico-sanitari;
   gestione indiretta (
catering): esternalizzazione completa o veicolata del servizio.

  Quest'ultima tipologia gestionale può essere svolta secondo due modalità e, precisamente:
   completa, con acquisizione di derrate, preparazione e distribuzione del vitto a cura della ditta, presso locali della caserma in possesso dei requisiti igienico-sanitari;
   veicolata, con acquisizione di derrate, preparazione del vitto presso centri di cottura esterni alla caserma, trasporto e distribuzione all'interno dell'ente, tutto a carico della ditta.

  In tale contesto, è intendimento della Forza armata, nell'ambito del programma di razionalizzazione del settore, favorire:
   il transito progressivo degli enti/distaccamenti/reparti a gestione indiretta (
catering veicolato o completo) alla gestione mista, in quanto ritenuta maggiormente vantaggiosa sul piano costo/efficacia;
   il passaggio alla gestione diretta per gli enti che già dispongano di personale specializzato nel settore e non necessitino di ulteriori investimenti nel settore infrastrutturale.

  In conclusione, non sussiste alcun programma finalizzato al ricorso generalizzato al buono pasto, la cui concessione è oggetto di valutazione caso per caso, sulla base delle particolari situazioni logistiche e ambientali locali, nonché delle eventuali ricadute sul piano costo-efficacia.
Il Ministro della difesaMario Mauro.


   FAENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante segnala che numerose imprese agricole della regione Toscana, nel corso dell'anno 2012, hanno ricevuto da parte dell'Istituto nazionale di previdenza sociale, avvisi relativi al controllo della posizione contributiva della gestione agricola – datori di lavoro, che evidenziavano una situazione debitoria nei riguardi del medesimo ente di previdenza;
   a seguito di verifiche e accertamenti da parte dei diretti interessati, che hanno invece dimostrato la regolarità dell'avvenuto adempimento contributivo, lo stesso Istituto a distanza di qualche mese ha inviato ai contribuenti una nota di annullamento totale del debito confermando la regolarità dei versamenti da parte dei medesimi soggetti antecedenti la data di consegna dell'avviso della presunta posizione debitoria, riconoscendo pertanto l'errore nella procedura avvenuta;
   l'interrogante rileva altresì, in considerazione di quanto suesposto, come le rimostranze da parte delle aziende agricole coinvolte siano condivisibili se si valuta come le presunte irregolarità nei versamenti dei contributi dei propri dipendenti, successivamente smentite dall'Inps, hanno causato una serie di vessazioni quali: perdita di tempo e oneri finanziari, necessari per fornire i necessari riscontri presso gli uffici dell'ente di previdenza, riscontri che in realtà hanno attestato che l'inesattezza nell'invio degli avvisi sanzionatori era imputabile proprio all'Inps –:
   quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se siano a conoscenza di quanto riportato in premessa che ha evidenziato una condotta da parte dell'Istituto nazionale di previdenza sociale, errata e dannosa nei confronti di numerose imprese agricole della Toscana e di altre regioni, già costrette a fronteggiare una crisi economica gravissima causata anche da un continuo inasprimento della pressione fiscale e contributiva che sta affliggendo l'interno comparto;
   se non convengano che il discutibile comportamento del medesimo Istituto, che ha concesso trenta giorni di tempo per presentare i documenti utili per l'emissione del provvedimento finale, abbia determinato quella che all'interrogante appare un'inutile vessazione per centinaia di imprese agricole costrette ad intasare gli uffici provinciali dell'Inps con richieste di accesso degli atti e produzione di documenti, rivelatesi successivamente inutili. (4-00339)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede l'avviso del Ministero in ordine al comportamento assunto dall'Inps nei confronti di alcune aziende agricole della Toscana, si rappresenta quanto segue.
  Nel corso del 2012 l'Inps ha dato avvio ad una operazione di confronto delle retribuzioni delle aziende agricole (CRAA) che nella regione Toscana ha interessato quasi tutte le province, anche se con poche decine di aziende per ciascuna di esse.
  Come precisato dall'Istituto, la suddetta operazione nasce dall'esigenza di verificare il rispetto dell'articolo 1, comma 4, della legge 11 marzo 2006, n. 81 di conversione del decreto legge 10 gennaio 2006, n. 2, recante interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa.
  Il suddetto comma 4 stabilisce che la retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi agricoli unificati, dovuti per tutte le categorie di lavoratori agricoli a tempo determinato e indeterminato, è quella indicata all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, defiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati).
  La disposizione da ultimo citata prevede che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
  Premesso tale contesto normativo, l'istituto ha proceduto a confrontare le retribuzioni dichiarate con le retribuzioni contrattuali vigenti per lo stesso periodo, tenuto conto della categoria contrattuale, della qualifica del lavoratore, ovvero dell'area/livello di appartenenza.
  Alle aziende per le quali è stato possibile effettuare tale confronto e rispetto alle quali è stata rilevata una differenza di retribuzione, è stata inviata una comunicazione con l'indicazione delle anomalie retributive riscontrate.
  Detta comunicazione non costituiva avviso di addebito contributivo in quanto la medesima era finalizzata a verificare la bontà dei dati oggetto del confronto citato.
  Era pertanto facoltà dell'azienda richiedere all'istituto la regolarizzazione spontanea ed immediata per il versamento della contribuzione dovuta per la differenza retributiva riscontrata.
  Le sedi dell'Inps hanno quindi convocato le aziende e, dopo aver verificato la documentazione prodotta, hanno provveduto a quantificare il debito contributivo dovuto o ad annullare la diffida inviata nel caso in cui la retribuzione indicata nell'apposito modello (DMAG), fosse risultata corretta in base ai documenti forniti dall'azienda interessata.
  Ora, pur comprendendo il disagio cagionato ai soggetti interessati nell'ambito della vicenda dinanzi descritta, occorre comunque dare atto all'Istituto di avere svolto attività di verifica e controllo allo stesso demandate dalla legge e di aver provveduto a dare correttamente conto della regolarità delle posizioni dei soggetti interessati, dopo averne verificato i presupposti.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   FAENZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante evidenzia come all'interno della risposta scritta relativa all'interrogazione n. 4-13277 presentata nella scorsa legislatura, relativamente all'ipotesi di ristrutturazione della soppressione della compagnia dei carabinieri di Arcidosso, in provincia di Grosseto, il Ministro interrogato aveva confermato l'inesistenza di un piano di riordino, nei riguardi della medesima caserma, evidenziando in particolare come l'Arma dei carabinieri non avesse avanzato, alcuna proposta di riconfigurazione nella tenenza della richiamata compagnia;
   a distanza di quasi un anno, secondo informazioni in possesso dell'interrogante, l'Arma dei carabinieri sarebbe intenzionata ad accorpare il comando dei carabinieri di Arcidosso, con quello di Pitigliano, attraverso il declassamento da compagnia a tenenza prevedendone la soppressione della sede amiantina;
   l'interrogante rileva altresì che la regione Toscana ha approvato recentemente una proposta di quattro referendum per l'accorpamento di otto comuni, fra cui quelli dei comuni amiantini, le cui conseguenze potrebbero ripercuotersi nell'ambito della riorganizzazione delle strutture della pubblica amministrazione incluse anche quelle militari –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se corrispondano al vero, le intenzioni dell'accorpamento delle strutture militari esposte in premessa, che prevedendo il declassamento della compagnia dei carabinieri di Arcidosso (Grosseto) in tenenza, determinano la soppressione della medesima sede militare;
   in caso negativo se intendano mantenere la compagnia carabinieri di Arcidosso anche in considerazione della possibilità di utilizzo ottimale (coordinamento) delle strutture di recente realizzate in materia di protezione civile. (4-01049)

  Risposta. — Mi preme evidenziare, in primo luogo, che in un momento contraddistinto da particolari difficoltà congiunturali, l'Arma dei carabinieri continua a garantire sicurezza ed efficienza con la massima economicità.
  Tale precipuo obiettivo è stato perseguito:
   investendo, prioritariamente, nella riconfigurazione del dispositivo, con particolare riguardo alle strutture logistiche, amministrative e di comando;
   potenziando i reparti preposti alle investigazioni e valorizzando le capacità operative del dispositivo territoriale, con specifico riferimento alle stazioni e alle tenenze Carabinieri che restano sempre tra le più concrete e immediate espressioni di vicinanza ai cittadini;
   distribuendo i presidi dell'Arma – al fine di adeguare costantemente il dispositivo territoriale – sulla base dei parametri rapportati alla popolazione, alla delittuosità, agli aspetti di carattere infrastrutturale/logistico e alla mobilità, in piena sintonia con le altre Forze di polizia e d'intesa con gli orientamenti dei prefetti.

  Fatta questa – ritengo doverosa – premessa, rappresento che in provincia di Grosseto è stato disposto, recentemente, il potenziamento di 6 stazioni a «forza minima», di cui 4 inquadrate nella compagnia di Arcidosso, per un totale di 10 unità organiche.
  La rimodulazione della compagnia in esame, che non era ancora stata concretamente presa in considerazione all'epoca della risposta fornita all'atto di sindacato richiamato dall'interrogante, ha ricevuto il parere favorevole del prefetto di Grosseto.
  A seguito di tale parere è stato avviato, ed è tuttora in corso, l'ulteriore
iter amministrativo, valutato che tale intervento:
   continua, comunque, a garantire nel comune di Arcidosso la presenza e l'operatività dell'Arma dei carabinieri con un assetto ordinativo (tenenza) che, retto da un ufficiale e caratterizzato, nello specifico territorio, da un rapporto tra Carabinieri e abitanti (1/230) più favorevole rispetto ai dati provinciale (1/475) e nazionale (1/798), è in grado di svolgere un'attività di vigilanza continuativa nelle 24 ore, associata ad un'adeguata azione investigativa;
   assicura una bilanciata e omogenea distribuzione dei reparti dipendenti e dei carichi operativi tra le limitrofe compagnie di Pitigliano, Massa Marittima e Grosseto;
   conferisce al dispositivo un'equilibrata ripartizione del territorio e della popolazione residente, tenendo soprattutto conto delle condizioni dell'ordine e della sicurezza pubblica locali.

Il Ministro della difesaMario Mauro.


   FEDI e LA MARCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la verifica di esistenza in vita è una necessaria operazione di controllo che gli istituti previdenziali, tra cui l'INPS, debbono portare avanti con assoluta precisione e tempestività;
   la verifica dovrebbe avvenire automaticamente attraverso lo scambio di informazioni con gli enti previdenziali e fiscali, nonché gli istituti di credito preposti al pagamento delle pensioni medesime e ogni altra banca dati collegata agli istituti previdenziali o alla quale i medesimi possono accedere;
   la verifica dell'esistenza in vita per i residenti all'estero avviene attraverso l'invio cartaceo di una dichiarazione che deve essere compilata, firmata, autenticata e rispedita all'istituto di credito;
   dal 10 febbraio 2012, il servizio del pagamento delle pensioni INPS per beneficiari residenti all'estero è svolto da Citibank NA, con sede legale a New York e con sede secondaria a Milano;
   l'accertamento dell'esistenza in vita è basato sulla richiesta di compilare e restituire a Citibank un'attestazione di esistenza in vita avallata da un «testimone accettabile», e per «testimone accettabile» si intende un rappresentante di un'ambasciata o consolato italiano o un'autorità locale abilitata ad avallare la sottoscrizione dell'attestazione di esistenza in vita;
   nei casi di impedimento alla certificazione ordinaria, in conseguenza di incapacità alla firma oppure nei casi di degenza in strutture medico-sanitarie, non potendosi applicare le procedure di verifica ordinaria da parte di un testimone, viene richiesto di completare uno specifico modello, di colore verde, che prevede, per le persone incapaci o sottoposte a tutela, la certificazione da parte di un notaio della conformità all'originale della documentazione medico-sanitaria o legale da allegare al modulo stesso;
   tale nuova condizione obbliga sempre il pensionato, o i suoi famigliari, ad effettuare un pagamento al notaio, o allo studio notarile, che oscilla tra i 50 e gli 80 dollari australiani –:
   quali immediate iniziative si intendano adottare per evitare un costo a giudizio degli interroganti inutile ai pensionati ed alle loro famiglie, per verificare «la conformità all'originale», che potrebbe essere certificata dagli stessi soggetti abilitati alla verifica della esistenza in vita;
   se non si ritenga indispensabile, infine, al fine di evitare situazioni di grave disagio ai connazionali nel mondo, semplificare le procedure definendo i soggetti legali abilitati localmente, e riconosciuti in base alle disposizioni di legge nazionali ed internazionali, a svolgere direttamente la verifica di esistenza in vita e le certificazioni di natura medico-sanitaria e legale ad essa connesse, inclusa la conformità all'originale, evitando di rendere sempre più complesse le procedure di verifica dell'esistenza in vita. (4-00795)

  Risposta. — L'interrogazione in esame concerne la richiesta di attestazione dell'esistenza in vita ai cittadini italiani residenti all'estero, ai fini del pagamento delle pensioni a carico dell'INPS.
  In via generale, si osserva che la verifica dell'esistenza in vita dei pensionati contribuisce ad assicurare la correttezza dei flussi dei pagamenti dei trattamenti previdenziali, evitando casi di pagamento di prestazioni dopo la morte del beneficiario e difficili azioni di recupero spesso con esito negativo.
  Al fine di impedire, quindi, che risorse pubbliche siano devolute a soggetti che non ne hanno diritto, l'INPS affida all'istituto di credito aggiudicatario del servizio di pagamento delle prestazioni ai residenti all'estero il compito di effettuare l'accertamento dell'esistenza in vita.
  A partire dalla rata di pensione di febbraio 2012, il servizio di pagamento delle pensioni per un nuovo triennio e stato affidato alla Citibank; anche il nuovo contratto di affidamento prevede la verifica almeno annuale dell'esistenza in vita.
  Al riguardo, è stata avviata un'attività di collaborazione fra l'istituto previdenziale e il Ministero degli esteri, al fine di individuare soluzioni volte a facilitare la procedura di verifica, sia tramite modulistiche più semplici sia ampliando i soggetti titolati al rilascio della certificazione e all'autenticazione della sottoscrizione.
  Infatti, per evitare che i pensionati residenti in località lontane dalla sede delle nostre rappresentanze diplomatiche all'estero subissero eccessivi disagi, nelle lettere inviate dall'istituto di credito incaricato delle verifiche è stato chiaramente indicato che la certificazione dell'esistenza in vita poteva essere emessa non solo dai consolati italiani, ma anche da pubbliche autorità locali legittimate ai sensi della legislazione dei Paesi di residenza.
  Inoltre, nei casi in cui i pensionati versino in grave stato di infermità fisica o mentale o siano disabili e risiedano in istituti di riposo o sanitari ovvero siano reclusi in istituti di detenzione, è possibile, attraverso il servizio di assistenza Citibank, ottenere, anche tramite posta elettronica, un modulo di esistenza in vita alternativo di colore verde.
  Ricorrendo tale ipotesi non è richiesta né la firma del pensionato né la firma e il timbro di un testimone accettabile. Il modulo verde deve, infatti, essere compilato e sottoscritto da uno dei soggetti sotto indicati e restituito alla Citibank unitamente alla prevista documentazione supplementare.
  I soggetti abilitati a compilare e sottoscrivere i moduli verdi sono:
   
a) il funzionario dell'ente pubblico o privato in cui risiede il pensionato. In tal caso, il funzionario dovrà allegare al modulo verde una dichiarazione recente su carta intestata dell'ente con la quale conferma, sotto la propria esclusiva responsabilità, che il pensionato è in vita ed è impossibilitato a seguire la procedura standard;
   
b) il medico generale responsabile delle cure del pensionato. Anche in questo caso, il medico dovrà allegare una dichiarazione recente su carta intestata con la quale conferma, sotto la propria esclusiva responsabilità, che il pensionato è in vita ed è impossibilitato a seguire la procedura standard.

  Solo nell'ipotesi in cui il pensionato abbia un proprio rappresentante o un tutore legale, dovrà essere allegata copia della procura o dell'ordine del tribunale che conferma la qualità di tutore e solo in questo caso la documentazione deve essere accompagnata da una certificazione notarile di conformità all'originale.
  L'istituto riferisce che le modalità operative in tal modo determinate sembrano rappresentare un corretto bilanciamento fra – da un lato – l'esigenza di prevenire possibili rischi di abusi e – dall'altro – l'esigenza di tenere conto, nel massimo grado possibile, delle esigenze di vita dei soggetti interessati.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   FORMISANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da tempo sono commercializzate su territorio italiano, soprattutto ma non solo nel Nord-Est, bottiglie di vino aventi etichette con simboli e immagini nazifasciste;
   a seguito di ciò l'allora Ministro per l'integrazione Andrea Riccardi circa un anno fa informò che avrebbe sollecitato l'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) al fine di aprire un'istruttoria sul caso;
   da allora, però, nulla è cambiato e le bottiglie in oggetto continuano a essere commercializzate, muovendo un giro di affari di svariate migliaia di euro e richiamando in Italia acquirenti dai Paesi vicini, in particolare Austria e Germania, che fanno incetta di questi souvenir, che non possono acquistare nei loro Paesi, laddove esistono rigorose leggi che vietano chiaramente anche queste forme di apologia del fascismo e del nazismo;
   con la XII disposizione transitoria della Costituzione, attuata con la legge n. 645 del 20 giugno 1952 «Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione». 645/1952 (cosiddetta Legge Scelba), l'Italia è uscita da ogni ambiguità vietando la ricostituzione e la propagande del partito fascista e di quello nazista;
   successivamente, la Corte costituzionale con le sentenze n. 1 del 16 gennaio 1957 (firmata dall'ex Presidente provvisorio della Repubblica e Presidente della Corte Enrico De Nicola) e n. 74 del 6 dicembre 1958, chiariva la costituzionalità della cosiddetta «Legge Scelba», chiarendone portata e limiti e indicando nettamente i contorni di ciò che era definita apologia del fascismo;
   non appare né retorico né inutile osservare che anche queste bieche manifestazioni offendono le migliaia di donne ed uomini che hanno lottato, subendo feroci torture e spesso sacrificato la stessa vita, contro la barbarie fascista e nazista, sacrificio che ha concesso a noi il bene supremo della libertà, e indicato con l'azione concreta, e l'alto valore dell'uguaglianza tra i popoli e rispetto per tutti gli esseri umani –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dell'istruttoria dell'UNAR e se intenda adottare azioni normative finalizzate ad integrare la cosiddetta «Legge Scelba», ovvero altre iniziative normative che riterrà opportune, in modo da punire anche chi lucra attraverso immagini ovvero simbologie nazifasciste;
   se il Ministro interrogato non intenda avvalersi delle autorità giudiziarie competenti per porre in atto un eventuale sequestro preventivo delle bottiglie di vino in oggetto. (4-01534)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante pone alla mia attenzione l'increscioso fenomeno della commercializzazione sul territorio italiano di bottiglie di vino aventi etichette con simboli e immagini nazifasciste.
  A tal riguardo, desidero farle presente che il fenomeno è in costante osservazione. In epoca recente, su sollecitazione del mio predecessore, Andrea Riccardi, l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) il 9 agosto 2012 ha aperto una istruttoria sul caso.
  La informo, inoltre, che l'UNAR ha appurato la denuncia di un analogo caso che si è verificato in un esercizio pubblico di Savona dove erano state poste in vendita bottiglie di vino con l'immagine di Hitler riprodotta sull'etichetta.
  In proposito, le rappresento che in relazione alle due fattispecie di commercializzazione dei prodotti in esame, l'UNAR ha successivamente chiuso le due istruttorie stante la pendenza di procedimenti penali in entrambi i casi.
  Tanto rappresentato in merito all'odioso fatto richiamato, mi rendo sin da ora disponibile anche ad ogni utile iniziativa parlamentare per contrastare ulteriormente questa fattispecie di apologia.

Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   GIANCARLO GIORGETTI, PRATAVIERA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI e RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il dibattito sulla prolungata crisi, che dal 2009 ha colpito la Vinyls Italia spa, è tornato d'attualità a seguito della protesta messa in atto dai lavoratori dell'azienda, il cui futuro occupazionale appare estremamente incerto;
   da circa una settimana, infatti, quattro operai hanno occupato la torcia dello stabilimento di Porto Marghera, a 150 metri di altezza, per protestare contro il mancato pagamento, dallo scorso mese di gennaio, degli stipendi che sono necessari per permettere agli operai di continuare a condurre i presidi di sicurezza presso gli impianti;
   il gruppo della Lega Nord ha presentato diversi atti di sindacato ispettivo sulla vicenda, da ultimo l'interrogazione n. 5-00156, a cui il Ministro dello sviluppo economico ha fornito, a giudizio degli interpellanti, risposte non esaustive in merito alla salvaguardia del posto di lavoro dei dipendenti, già in cassa integrazione;
   in questi anni di amministrazione straordinaria non sono stati individuati possibili acquirenti interessati alla continuazione dell'attività di Vinyls, unica produttrice in Italia di PVC; le manifestazioni di interesse hanno riguardato solo l'acquisto dei terreni, non comprensivi degli impianti PVC, ai fini di una riconversione industriale degli stessi;
   l'attuale offerta presentata dall'Oleificio Medio Piave, società che svolge attività di estrazione dell'olio vegetale da semi oleosi, a detta dei lavoratori, potrebbe aprire la strada alla realizzazione di un progetto occupazionale che coinvolga i dipendenti della Vinyls di Porto Marghera;
   esistono diversi ostacoli al perfezionamento della procedura di vendita a favore dell'Oleificio che rischiano di portare, se non risolti, ad un aggravamento della vicenda, togliendo ai lavoratori della Vinyls ogni speranza di potersi velocemente reinserire nel mondo del lavoro;
   la crisi economica ha avuto un effetto dirompente sulla chimica, determinando una consistente perdita di fatturato per l'intero settore. È tuttavia impensabile che l'Italia rinunci al suo ruolo da protagonista nel settore della chimica, perdendo il valore strategico di questo importante comparto, fondamentale per riportare il Paese su più alti livelli competitivi;
   dopo gli interventi di politica economica funzionali ad evitare un avvitamento della crisi, è necessario adottare quanto prima strumenti di politica industriale che siano in grado di salvaguardare le imprese del territorio e l'occupazione –:
   se sia nelle intenzioni dei Ministri interpellati partecipare attivamente alle trattative in corso affinché le stesse possano andare a buon fine, garantendo quanto prima la realizzazione di un progetto occupazionale per il reimpiego dei lavoratori della Vinyls di Porto Marghera;
   se intenda adottare le iniziative normative che si rendano necessarie per il rilancio della competitività delle imprese e dell'occupazione in tutti i compatti industriali strategici per il Paese, con particolare riferimento alla chimica italiana.
(4-01981)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  Con decreto dell'8 giugno 2010 è stata autorizzata l'esecuzione del programma di cessione dei complessi aziendali presentato dai commissari straordinari della Vinyls spa in amministrazione straordinaria, che prevedeva l'obiettivo di ricercare sul mercato soggetti interessati a riavviare nei tre stabilimenti di Porto Torres, Porto Marghera e Ravenna il ciclo integrato del cloro per la produzione di PVC e CVM.
  La conseguente procedura di vendita svolta ha avuto esito positivo limitatamente al sito di Ravenna; i commissari, infatti, sono stati autorizzati ad accettare l'offerta presentata dalla spa Industrie Generali, che si è impegnata a riavviare e proseguire l'attività industriale per un biennio, garantendo altresì per il medesimo periodo il mantenimento di tutta la forza lavoro occupata nel sito di Ravenna (pari a n. 37 unità), oltre all'impegno ad aumentare l'occupazione fino a n. 54 unità, attingendo tra gli occupati Vinyls nei siti di Porto Torres e Porto Marghera.
  Tuttavia, da ulteriori notizie acquisite presso il Ministero dello sviluppo economico la citata società Industrie Generali non è riuscita a riavviare la produzione a causa di dissidi intercorsi con il fornitore della materia prima.
  Attualmente tutti i lavoratori sono posti in cassa integrazione guadagni straordinari e la proprietà ha avviato la procedura di concordato. Un tentativo di riprendere contatti con fornitori croati non sembra destinato, per il momento, a successo.
  Per quanto attiene gli stabilimenti di Porto Marghera e Porto Torres, non avendo avuto esito i tentativi svolti per perseguire l'obiettivo di reperire possibili soggetti interessati alla continuazione dell'attività caratteristica di Vinyls, con decreto del 25 luglio 2011 è stata autorizzata la modifica del programma di cessione, nel senso di consentire la vendita degli
assets aziendali dei due siti residui anche per attività industriali e produttive diverse da quelle esposte nel programma, ma pur sempre compatibili con le finalità, anche di riconversione, proprie della procedura di amministrazione straordinaria.
  All'esito del nuovo bando pubblicato, con riferimento al sito di Porto Torres, è pervenuta un'offerta da parte della società Finambiente (la cui controllata BP Oil viene citata nell'interrogazione), che opera nel settore delle energie rinnovabili e delle bonifiche; l'offerta tuttavia è stata ritenuta non accettabile, in quanto sottoposta a condizioni inammissibili.
  La stessa Finambiente, che avrebbe poi successivamente confermato l'interesse all'acquisto, non ha tuttavia presentato alcuna ulteriore offerta vincolante.
  Con riferimento a Porto Marghera, i commissari sono stati autorizzati ad accettare l'offerta presentata dall'Oleificio Medio Piave, società che svolge attività di estrazione dell'olio vegetale da semi oleosi e che si è dichiarata interessata all'acquisto di alcuni terreni del sito di Porto Marghera – non comprensivi degli impianti PVC – al fine di dare corso a una riconversione industriale.
  L'acquisto era sottoposto ad alcune condizioni ritenute necessarie per svolgere l'attività aziendale, (acquisizione di un terreno dell'Eni e realizzazione della banchina per l'attracco delle navi) delle quali, la prima, risulterebbe avverata, mentre la seconda risulterebbe a oggi non realizzata, non essendo stato raggiunto l'accordo con le autorità locali competenti.
  Conseguentemente la vendita non è stata perfezionata, anche considerato che l'offerente, successivamente all'autorizzazione ministeriale, ha modificato le condizioni proposte in merito alle assunzioni dei dipendenti (l'offerta originaria prevedeva l'impegno ad assumere subito tutti i dipendenti del sito di Porto Marghera, mentre successivamente l'impegno ad assumere è stato spostato al momento della ripresa dell'attività).
  Nel frattempo, nell'ambito della procedura di vendita sopra citata, è pervenuta ai commissari una proposta d'acquisto per i soli impianti e macchinari presenti sui siti di Marghera e Porto Torres, ritenuta conveniente dai commissari nell'ottica di liquidazione del patrimonio; i commissari sono stati dunque autorizzati in data 7 giugno 2012 ad avviare una procedura competitiva per la raccolta di eventuali offerte migliorative; all'esito della procedura espletata, il Ministero ha autorizzato i commissari con provvedimento in data 14 gennaio 2013, a chiudere la procedura di vendita degli impianti e macchinari, aggiudicando al miglior offerente.
  L'incasso del prezzo per l'acquisto degli impianti è stato utilizzato anche per il pagamento degli stipendi ai lavoratori impegnati nei presidi degli impianti, necessari a scongiurare danni di natura ambientale.
  Si precisa, infatti, che gli stabilimenti sono inattivi e sono in corso le attività di svuotamento degli impianti.
  Infine, si segnala che, a seguito della scadenza del termine di esecuzione del programma di cessione (settembre 2011), i commissari straordinari hanno intrapreso un'interlocuzione con il tribunale di Venezia, competente in merito all'eventuale conversione della procedura in fallimento, con particolare riferimento alle iniziative in corso relativamente ai siti di Porto Torres e Porto Marghera.
  Tenuto conto che il programma di cessione non è stato integralmente eseguito, questo Ministero con parere in data 23 gennaio 2013, si è rimesso, al riguardo, alle decisioni del competente tribunale.
  Nel frattempo, la società Mossi&Ghisolfi ha manifestato interesse all'acquisto di un terreno di Vinyls di proprietà sito nello stabilimento di Porto Marghera.
  All'udienza del 15 marzo 2013, il tribunale di Venezia ha rinviato ogni decisione, assegnando un termine ultimativo di 60 giorni ai commissari per riferire in merito ad eventuali sviluppi delle iniziative in corso con particolare riferimento al sito di Porto Marghera. All'ultima camera di consiglio del 15 maggio 2012 lo stesso tribunale, alla luce dell'incontro con le parti coinvolte fissato presso il Ministero dello sviluppo economico per l'11 giugno 2013, ha rinviato ogni decisione alla camera di consiglio del 27 giugno.
  In data 8 luglio 2013, il tribunale di Venezia, preso atto che nessuna ulteriore prospettiva di cessione si è concretizzata, ha disposto la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento nominando il commissario straordinario curatore fallimentare.
  Con la medesima decisione, il tribunale ha disposto l'esercizio provvisorio dell'attività d'impresa, al fine di garantire lo svolgimento delle attività necessarie per la salvaguardia dell'ambiente e della salute.
  Giova evidenziare che durante il periodo di gestione commissariale, svolto sotto la vigilanza del Ministero dello sviluppo economico, sono stati esperiti numerosi tentativi sul mercato per individuare soggetti affidabili in grado di garantire il riavvio degli impianti e il mantenimento dell'attività; i commissari, inoltre, hanno debitamente preso in considerazione tutte le manifestazioni d'interesse pervenute, senza che queste poi si siano tramutate in offerte ritenute accettabili nell'ottica del mantenimento dell'attività e dell'occupazione.
  Si precisa, inoltre, che la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento è una conseguenza automatica dell'incompleta esecuzione del programma entro i termini di legge; nulla esclude, pertanto, che ogni ulteriore iniziativa volta a individuare operatori interessati ad acquisire il personale di Vinyls nell'ottica della riconversione industriale nei due stabilimenti, possa essere utilmente proseguita o intrapresa dal curatore fallimentare, nominato dal tribunale, tanto più considerato che i recenti interessamenti sopra richiamati hanno avuto a oggetto solo terreni di Vinyls nel sito di Porto Marghera.
  Per quanto concerne la tutela dei lavoratori, il Ministero del lavoro ha comunicato che il 27 agosto 2013 è stato sottoscritto tra le parti sociali interessate, un accordo che prevede il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinari per un periodo di 12 mesi, a decorrere dall'8 luglio 2013 in favore di un numero massimo di 215 unità lavorative, di cui n. 125 presso la sede di Venezia-Porto Marghera e n. 90 unità presso la sede di Porto Torres.
  Infine evidenzio che nell'area ove insiste VINYLS (polo chimico di Porto Torres) è in corso di realizzazione il nuovo impianto di Matrice-JV tra SINDIAL/Eni e NOVAMONT per la produzione di prodotti chimici non derivati dal petrolio, ma da vegetali non destinati all'alimentazione. È un importante investimento che richiederà occupazione aggiuntiva a quella attualmente occupata presso la controllata SINDIAL e, in questo quadro, si farà riferimento ai lavoratori di VINYLS attualmente in cassa integrazione guadagni straordinari.
  Il termine dei lavori di costruzione dei nuovi impianti dovrebbe essere entro il 2014.
  È evidente che, a fronte di concrete e sostanziali manifestazioni d'interesse, anche se pervenissero nella fase liquidatoria della procedura, sarà cura del Ministero dello sviluppo economico attivare appositi tavoli di confronto per acquisire ogni utile elemento sulle prospettive imprenditoriali e sull'occupazione già molto colpita in questa come in altre aziende, nel corso dell'ultimo quinquennio.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   GIANCARLO GIORGETTI, FEDRIGA e GUIDESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dopo la vicenda esodati, un'altra altrettanto assurda sta emergendo quale conseguenza della dannosa riforma pensionistica attuata dalla ex Ministra Fornero e che colpirebbe, questa volta, i donatori di sangue;
   sembrerebbe, infatti, che gli iscritti all'Avis in procinto di andare in pensione debbano lavorare ancora per circa dieci mesi per recuperare i giorni in cui, con regolare permesso, sono rimasti a casa per il prelievo;
   l'allarme è stato lanciato dalla sede dell'associazione a Cremona, comune che registra il maggior numero di iscritti (circa 6.000 che diventano 17.000 con la provincia);
   ipotizzando un iscritto che dona il sangue da quando è maggiorenne e con regolarità (cioè quattro volte l'anno), in quarant'anni di vita avrà accumulato 160 giorni di astensione dal lavoro, che si traducono in almeno sette mesi in più di servizio;
   l'alternativa, per costoro, stante la vigente normativa, è di andare comunque in pensione ma con una decurtazione del 2 per cento sull'importo del trattamento;
   come spiegato dal presidente dell'Avis di Cremona, Ferruccio Giovetti, ai microfoni di Radio 24 lo scorso 23 settembre 2013, il rischio di tale situazione è una drastica diminuzione del numero dei donatori di sangue, con rilevanti conseguenze per gli ospedali sulla disponibilità e reperibilità di un farmaco salvavita –:
   se il Governo non ritenga di assumere urgentemente adeguate iniziative, anche di carattere normativo, al fine di tutelare il diritto a pensione dei donatori di sangue, affinché non diventino per colpa della legge Fornero gli «esodati del sangue», nonché a salvaguardia della salute della collettività, che potrebbe esser compromessa dalla difficoltà di reperire sacche di sangue necessarie in sala operatoria. (4-02052)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, inerente il riconoscimento – ai fini pensionistici – delle giornate di assenza dal lavoro per effettuare una donazione di sangue, rappresento quanto segue.
  In particolare, l'interrogante ha paventato che l'applicazione delle disposizioni in materia pensionistica succedutesi fra il 2011 e il 2012 possa tradursi in uno svantaggio a carico dei donatori di sangue, i quali si troverebbero ad optare fra un vero e proprio «slittamento» temporale nell'accesso al pensionamento o l'applicazione di talune penalizzazioni in caso di accesso alla pensione in età inferiore a 62 anni.
  Ebbene, posso affermare che la questione segnalata è all'attenzione del Governo, certamente intenzionato a rinvenire una soluzione soddisfacente per coloro che adempiono a un compito di alto valore sociale e morale.
  Ed infatti, al fine di superare i dubbi interpretativi e garantire uniformità di applicazione delle disposizioni in esame, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'Inps si stanno adoperando al fine di verificare la possibilità di una soluzione in via amministrativa che consenta di affermare tale riconoscimento senza il ricorso ad una apposita previsione normativa.
  Nel contempo segnalo che nell'ambito del procedimento di conversione decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, la 1a Commissione permanente del Senato ha approvato un emendamento parlamentare, sul quale il Governo ha reso parere favorevole, volto ad includere tra le prestazioni effettive di lavoro utili al raggiungimento dell'anzianità contributiva prevista dalla legge, anche i periodi di astensione obbligatoria derivanti dalla donazione di sangue e di emocomponenti.
  Laddove l'emendamento in argomento venisse effettivamente trasformato in legge, la questione segnalata troverebbe, quindi, una soluzione in via legislativa e la soluzione amministrativa dinanzi richiamata non si renderebbe più necessaria.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiJole Santelli.


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto di Save The Children e dell'Associazione Bruno Trentin sul lavoro minorile, ha accertato che in Italia lavorano 260 mila adolescenti e ragazzi, cioè il 5,2 per cento degli italiani sotto i 16 anni. La legge italiana vieta il lavoro ai giovani sotto i 16 anni. Hanno tra 7 e 16 anni (secondo l'indagine il 2,7 per cento ha meno di 11 anni, l'8,5 per cento meno di 12 anni, il 13,8 per cento meno di 13 anni, il 72,3 per cento più di 13 anni), lavorano dopo aver abbandonato gli studi, il 40 per cento lavora in modo saltuario, gli altri in modo continuativo, spesso in famiglia;
   trenta mila di loro lavorano in condizioni di sfruttamento minorile, senza tutele contrattuali, a volte in condizioni di pericolo per la salute, la sicurezza e l'integrità morale, anche di notte e in modo continuativo, senza spazi accettabili, in relazione all'età, per il riposo, lo svago e lo studio;
   sono lavori disparati: baristi, camerieri, ambulanti, sciampiste, agricoltori, edili; aiutano le loro famiglie povere e impossibilitate ad assicurare un futuro scolastico ai propri figli;
   a volte vengono reclutati in attività criminali: piccoli pusher, piccoli ladri, piccoli rapinatori fanno l'apprendistato alla delinquenza –:
   se non intenda svolgere un'azione di monitoraggio del fenomeno al fine di assumere le iniziative necessarie al contrasto al lavoro minorile illegale e alla tutela integrale dei diritti di questi giovanissimi ragazzi-lavoratori. (4-01194)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente il monitoraggio sulle condizioni di sfruttamento del lavoro minorile in Italia a seguito della ricerca realizzata dall'associazione Save the Children, si rappresenta quanto segue.
  Il nostro ordinamento giuridico si è dotato di idonei strumenti normativi in materia di tutela dei diritti dell'infanzia tra cui va annoverato il diritto del minore ad essere protetto contro lo sfruttamento economico ed ogni forma di lavoro pregiudizievole per la sua educazione, la sua salute e il suo sviluppo psico-fisico, come previsto dell'articolo 32 della convenzione Onu sui diritti del fanciullo, ratificata con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
  In particolare, si ricorda che con legge del 25 maggio 2000, n. 148 è stata ratificata la convenzione Oil n. 182 relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all'azione immediata per la loro eliminazione nonché la Raccomandazione n. 190 sullo stesso argomento, adottate dalla Conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro durante la sua ottantesima sessione tenutasi a Ginevra il 17 giugno 1999.
  In Italia la tutela del lavoro minorile è disciplinata, inoltre, dalla legge 17 ottobre 1967, n. 977, che individua due categorie di minori: il minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che è ancora soggetto all'obbligo scolastico e l'adolescente, ovvero il minore di età compresa tra i 15 e i 18 che non è più soggetto al suddetto obbligo.
  La legge richiamata, pertanto, in attuazione di quanto disposto dall'articolo 37 della Costituzione, stabilisce l'età minima di ammissione al lavoro, fissandola «al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non inferiore ai quindici anni compiuti» (articolo 3).
  Il comma 622 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per l'anno 2007) ha rimodulato la durata dell'obbligo di istruzione innalzando il periodo a «dieci anni», conseguentemente l'età minima per l'accesso al lavoro è passata dai 15 ai 16 anni.
  Pertanto, attualmente, i requisiti richiesti per la valida e corretta instaurazione di un rapporto di lavoro con un soggetto minorenne sono due: il compimento dell'età minima prevista dalla legge, fissata a 16 anni, e l'assolvimento dell'obbligo scolastico per almeno dieci anni.
  Costituiscono eccezione le ipotesi previste dall'articolo 4 della richiamata legge n. 977 del 1967 e successive modificazioni e integrazioni, vale a dire quelle relative ad attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, che possono essere svolte anche dai bambini previa autorizzazione della competente direzione territoriale del lavoro.
  Inoltre, deve essere evidenziato che l'assunzione di un lavoratore minorenne era prima sempre subordinata all'effettuazione di una visita medica preventiva (in base a quanto previsto dall'articolo 8 della legge n. 977 del 1967), volta ad accertare l'idoneità alla specifica attività lavorativa a cui il minore dovrà essere adibito.
  Tale obbligo è venuto meno a seguito dell'entrata in vigore della disposizione di cui all'articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, secondo cui, «fermi restando gli obblighi di certificazione previsti dal decreto legislativo del 9 aprile 2008 n. 81 e successive modificazioni e integrazioni, sono abrogate le disposizioni concernenti l'obbligo dei certificati di idoneità psico-fisica al lavoro di cui all'articolo 8 della legge 977 del 1967».
  L'articolo 7 della legge 977 del 1967, inoltre, sancisce che il datore di lavoro prima di adibire i minori al lavoro e comunque in occasione di ogni modifica rilevante delle condizioni di lavoro, sia tenuto ad effettuare «una valutazione dei rischi», ossia un'attenta analisi dei fattori che potrebbero nuocere al soggetto in relazione all'età, allo sviluppo non ancora completo, alla mancanza di esperienza, alla consapevolezza e alla capacità di discernimento dei rischi lavorativi esistenti o possibili.
  Inoltre, l'allegato I della legge più volte citata legge n. 977 del 1967, come modificato dai decreti legislativi n. 345 del 1999 e n. 262 del 2000, elenca le attività ritenute pericolose, in relazione sia all'esposizione a particolari agenti fisici, biologici e chimici sia a particolari processi e lavorazioni, e, in quanto tali, dunque, vietate ai minori.
  Al riguardo è prevista un'unica eccezione nell'ipotesi di svolgimento di tali attività da parte di adolescenti per indispensabili motivi didattici o di formazione professionale e per il tempo necessario alla formazione stessa, purché effettuate sotto la sorveglianza di formatori competenti anche in materia di prevenzione e di protezione nel rispetto di tutte le condizioni di salute e sicurezza prescritte dalla legge.
  La competente direzione generale per l'attività ispettiva coordina l'azione ispettiva svolta dalle direzioni territoriali del lavoro, affidata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 29 della legge n. 977 del 1967, mirata a verificare le corrette modalità di occupazione dei lavoratori minori.
  In occasione delle visite ispettive effettuate nel corso dell'anno 2012 sono state riscontrate n. 897 violazioni di rilevanza penale, con riferimento, in particolare, al settore terziario in cui maggiore risulta la percentuale (78 per cento di impiego dei minori (pari a complessive n. 704 violazioni).
  Per quanto riguarda la diffusione geografica, il maggior numero di violazioni concernenti i lavoratori minori impiegati irregolarmente si è registrato in Lombardia (n. 130), in Puglia (n. 125) e in Emilia Romagna (n. 105).
  Anche nell'ambito della programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2013 le verifiche sull'osservanza della normativa in materia di lavoro minorile costituiscono uno degli obiettivi primari al fine di contrastare il fenomeno di sfruttamento dei minori sul lavoro e di tutelarne adeguatamente la loro l'integrità psico-fisica in quanto soggetti deboli.
  Si precisa, infine, che nel corso del primo trimestre dell'anno in corso il numero di minori interessati alle violazioni penali è stato pari a n. 188 lavoratori.
  Al fine di avviare un'azione di monitoraggio del fenomeno e per assumere le iniziative necessarie al contrasto al lavoro minorile illegale, potrebbe essere opportuno riconvocare il Tavolo tematico di coordinamento tra il Governo ed i rilevanti stakeholders – la cui attività si è interrotta nel 2008 – per continuare ad offrire sia una sede di confronto stabile tra istituzioni, parti sociali, autonomie territoriali ed Ong che si occupano di infanzia ed adolescenza, sia per fornire un programma di impegni condiviso riguardo al tema dello sfruttamento del lavoro minorile.
  Il Tavolo assicura l'interazione di politiche sociali, formative, della salute, del lavoro, della sicurezza necessarie ad un efficace azione in materia di lavoro minorile che necessita del massimo coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali e sociali che si occupano di politiche per l'infanzia, permettendo la definizione di azioni concordate, nonché la ricerca di informazioni precise dal punto di vista qualitativo e quantitativo.
  Proprio per queste sue potenzialità, il Tavolo è la sede più idonea per avviare il confronto sulla redazione del piano d'azione ai sensi della convenzione Oil n. 182 contro lo sfruttamento del lavoro minorile che individui gli interventi di competenza di ogni soggetto coinvolto e ricondurlo all'interno del piano nazionale d'azione e di interventi per lo sviluppo e la tutela dei diritti dei minori in età evolutiva.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   MIGLIORE, FRANCO BORDO, DI SALVO, DANIELE FARINA, CLAUDIO FAVA e LACQUANITI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, precisamente il 20 aprile 2013 si è tenuto a Malnate, in provincia di Varese, un raduno musicale per celebrare i venti anni di fondazione della comunità militante skinhead di Varese;
   il raduno è stato organizzato dalla Comunità militante dei Dodici Raggi, che ha sede a Caidate (frazione di Suimirago) e ha visto l'esibizione di noti gruppi musicali «nazi-rock» inneggianti il nazismo e il fascismo, tra cui «Linea Ostile», «Legittima Offesa», «Natibi», «Drizza Torti», «Garrota», «Civico 88»;
   il luogo dell'evento era tenuto segreto, pubblicizzando su diversi social network un punto di ritrovo, esattamente presso l'autogrill di Castronno sull'autostrada A8 Milano-Varese, direzione Varese;
   come riportato da diverse testate giornalistiche, l'evento si è svolto in una stazione dismessa delle Ferrovie Nord, a Malnate, ora trasformata in un'area per feste e concerti e affidata all'associazione culturale «I nostar radis»;
   in un articolo apparso il 22 aprile 2013 sul quotidiano La Repubblica, a firma di Paolo Berizzi, si afferma che all'evento abbiano partecipato 600-700 militanti di estrema destra arrivati da tutta Italia (Lombardia, Siena, Lucca, Pisa, Sassari, Trento, Verona, Roma, Genova, Novara, Torino, Pescara) e da diversi Paesi europei (Spagna, Francia, Svizzera, Austria, Germania, Polonia, Ungheria);
   il raduno era stato segnalato alle autorità competenti, dal comitato provinciale dell'ANPI e da diverse associazioni locali, le quali avevano chiesto di bloccare l'evento evidenziando la data coincidente con la nascita di Hitler;
   nell'articolo citato si rilevava che per segnalare il percorso che conduceva al luogo del raduno sono stati utilizzati simbologie naziste come l'88, il numero che simboleggia il saluto «Heil Hitler»;
   la legge 25 giugno 1993 n. 205 (legge Mancino) oltre che vietare la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale e l'istigazione a commettere reati atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, vieta altresì l'utilizzo di simbologie legate all'ideologia nazifascista;
   proprio in queste settimane si sta svolgendo davanti al tribunale di Varese, il processo contro venti due militanti neonazisti indagati per istigazione dell'odio razziale, che il 20 aprile del 2008 in una festa analoga, organizzata dal medesimo gruppo, in una birreria di Buguggiate scandendo cori e canti inneggianti al nazismo;
   il 6 aprile i componenti del gruppo sopra citato «Garrota», sono stati oggetto di perquisizioni domiciliari, in quanto ritenuti dalla Digos di Varese quali responsabili delle scritte di minaccia e ingiuria nei confronti del pubblico ministero di Varese Agostino Abate. Secondo fonti degli inquirenti il materiale sequestrato potrebbe portare a un ulteriore accusa di istigazione all'odio razziale;
   al raduno era presente la Digos di Varese, la quale come riportato da La Repubblica e altre testate giornalistiche locali si è «limitata a tenere sotto controllo la serata» –:
   se il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro interrogato siano in grado di confermare i fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intendano assumere per osteggiare queste organizzazioni che si richiamano alla discriminazione tra esseri umani e si ispirano apertamente al nazionalsocialismo ed al fascismo. (4-00308)

  Risposta. — La sera del 20 aprile 2013, in Malnate (Varese), si è tenuto un concerto promosso dal sodalizio di estrema destra «Comunità Militante dei Dodici Raggi – DO.RA.», al quale hanno preso parte circa 500 persone aderenti all'area skinheads, provenienti da diverse località italiane ed estere.
  L'iniziativa, organizzata per festeggiare il ventennale della nascita di «Varese Skinheads» si è svolta in un'area privata consistente in una tensostruttura in uso all'associazione culturale «I nostar radiis», ubicata nella Valmorea in prossimità di una zona industriale dismessa.
  Per raggiungere il luogo dell'evento, non pubblicizzato fino all'ultimo istante, i partecipanti hanno seguito le indicazioni fornite da alcuni organizzatori che li attendevano presso l'autogrill di Castronno (Varese).
  L'iniziativa, alla quale hanno partecipato alcuni gruppi musicali di genere, è iniziata alle ore 20 ed è terminata alle prime ore del 21 aprile, momento in cui è iniziato il deflusso dei partecipanti dall'area.
  Sono stati organizzati mirati servizi di vigilanza e ordine pubblico predisposti dalla locale questura che hanno consentito di accertare l'assoluta mancanza di ostentazione di simboli o di altre manifestazioni esteriori riconducibili al disciolto partito fascista o a ideologie inneggianti la discriminazione razziale, etnica o religiosa.
  Anche i brani proposti dai gruppi musicali sono risultati privi di contenuti razzisti o discriminatori.
  Nella circostanza non sono stati rilevati riferimenti ad Adolf Hitler anche se proprio il 20 aprile ricorreva l'anniversario della nascita.
  Nel pomeriggio di sabato 11 maggio 2013 l’«Associazione Nazionale Partigiani d'Italia-ANPI», con il sostegno del sindaco del comune di Malnate, ha organizzato una pubblica assemblea dal tema «No al nazifascismo, sì al rispetto della Costituzione», svolta proprio nel medesimo luogo dove era avvenuto il raduno.
  Alla manifestazione hanno partecipato circa 200 persone provenienti da tutta la provincia, oltre alla partecipazione di amministratori locali e dell'onorevole Maria Chiara Gadda.
  Nel corso dell'incontro hanno preso la parola diversi oratori che hanno portato la propria testimonianza sul valore dell'antifascismo, deplorando ogni tipo di manifestazione inneggiante al nazifascismo.
  In questo contesto la suddetta parlamentare, ricordando anche i recenti moniti espressi dalla Presidente della Camera dei deputati sull'argomento, ha manifestato l'intenzione di proporre la città di Varese quale sede di un osservatorio per il monitoraggio dei fenomeni di neofascismo.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MIGLIORE, PILOZZI, KRONBICHLER, PELLEGRINO, COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa, si è appreso che l'ufficio immigrazione della questura di Pordenone, lo scorso gennaio, ha negato il riconoscimento della cittadinanza italiana a Addai Richie Akoto, un ghanese che vive da 16 anni in Italia, parla perfettamente l'italiano e dal 2004 è impiegato a tempo indeterminato come operaio presso l'Electrolux di Porcia, garantendo adeguato sostentamento a tutta la sua numerosa famiglia;
   il funzionario preposto alla pratica avrebbe respinto la richiesta – come risulta dalla relazione trasmessa alla prefettura, poi inviata al Ministero dell'interno – a fronte di un casellario giudiziale peraltro intonso, nonché di un quadro sociale sereno: Addai Richie Akoto vive infatti in appartamento «per il quale versa un affitto di 650 euro» con tre figli e la moglie, tutti cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, riuscendo anche a versare 180 euro al mese per la stanza della figlia che frequenta geologia a Trieste;
   le motivazioni addotte dall'ufficio per negare la naturalizzazione all'interessato starebbero nel fatto che questi, in sede di «intervista» con il funzionario, non sapeva ad esempio chi fossero Alfano, Berlusconi, Casini;
   come segnalato nell'articolo apparso il 19 luglio 2013 su Il Fatto Quotidiano, vi sarebbe un'altra «colpa grave» a carico del ghanese, ovvero il non sapere chi fosse Ciampi; Addai Richie Akoto, infatti, avrebbe solo affermato di conoscere i nomi di Monti e Napolitano;
   nell'accertare, il livello di preparazione linguistica e culturale di Akoto – «parla e legge l'italiano e comprende anche le parole più complesse», come risulta dalla relazione stesa riguardo al caso – è stato rilevato dal funzionario che: «tuttavia ha una conoscenza storica, geografica e delle Istituzioni del nostro Paese non sufficiente, confusa e lacunosa»;
   le lacune avrebbero riguardato le date relative ad alcune feste nazionali; la confusione, rispetto ad alcuni periodi storici, come evidenziato dal funzionario nella suddetta relazione: «afferma che Garibaldi era prima un politico e poi uno scrittore, senza essere in grado di dare la risposta esatta»;
   negativo, ad avviso del funzionario, è anche il riscontro rispetto alle conoscenze sulle «Istituzioni», come si evince nel passaggio a ciò dedicato nella relazione alla prefettura: «Conosce il Parlamento e le due Camere, (...) alcuni partiti principali, ma ha sbagliato i leader del Pdl, non conosce Grillo, né Casini e Di Pietro»;
   è evidente che, nei fatti, la domanda sulle «Istituzioni» avrebbe invece insistito su questioni attinenti i partiti, la politica, e non certo sull'argomento «Istituzioni»;
   a parere degli interroganti, i quesiti rivolti ad Addai Richie Akoto nell'ambito della procedura che ha portato al diniego della sua richiesta di naturalizzazione, non possono non risultare illegittimi, alla luce della normativa vigente; come, conseguentemente, assai discutibili appaiono i rilievi trasfusi nella relazione destinata alla prefettura;
   peraltro, come anche evidenziato nell'articolo de Il Fatto Quotidiano citato, parrebbe che tra gli stessi residenti italiani la risposta giusta a tali quesiti – del tutto arbitrari nella gestione delle pratiche relative al riconoscimento della cittadinanza – non sia affatto scontata, anzi;
   sin dal 18 giugno 2013, con un'interrogazione a risposta in commissione, n. 5-00372, alcuni parlamentari del gruppo SEL avevano sollevato la questione relativa alle «interviste» avviate dai funzionari della questura di Pordenone, effettuate nei confronti dei richiedenti la cittadinanza, in particolare rispetto ai quesiti discutibili a causa della mancanza di un protocollo e dell'arbitrarietà dei contenuti, in relazione alla quale non è tuttavia mai arrivata risposta da parte del Ministro –:
   quali informazioni abbia il Ministro interrogato circa il caso esposto in premessa;
   come valuti l'operato del funzionario impiegato presso l'ufficio immigrazione della questura di Pordenone, con particolare riferimento ai criteri, del tutto arbitrari, posti a fondamento della decisione di rigettare la richiesta relativa alla cittadinanza di Addai Richie Akoto;
   se non ritenga di intervenire con urgenza sulle modalità di gestione delle pratiche di cittadinanza nell'ufficio preposto della questura della provincia di Pordenone che, come anche sollevato più di un mese fa con l'interrogazione a risposta in Commissione evidenziata in premessa, non può non apparire discutibile a causa della mancanza di un protocollo e dell'arbitrarietà dei contenuti dei quesiti posti dai funzionari, in tal modo incidendo negativamente sul riconoscimento di diritti garantiti a livello costituzionale e rispetto a cui vigono precise disposizioni nel nostro ordinamento che, come si evince, vengono sistematicamente disattese. (4-01358)

  Risposta. — Il Ministero dell'interno ha decretato il conferimento della cittadinanza italiana al signor Richie Akoto Addai il 12 giugno 2013 – circa un mese prima della pubblicazione delle notizie di stampa menzionate nell'interrogazione – e ha immediatamente informato il legale rappresentante del richiedente.
  Nel corso del procedimento, la questura di Pordenone aveva espresso un parere negativo poiché il cittadino ghanese risultava segnalato con un alias, con diverse generalità e quale cittadino della Sierra Leone destinatario di un provvedimento di espulsione. Tale valutazione era stata determinata anche dal colloquio, condotto secondo la normativa al tempo vigente, che aveva evidenziato una carenza di requisiti in relazione alla conoscenza della storia, della geografia e delle istituzioni italiane.
  Si assicura comunque che la questura di Pordenone tratta le pratiche finalizzate all'acquisizione della cittadinanza italiana attenendosi rigorosamente alle disposizioni impartite nel tempo da questa amministrazione.
  In passato, infatti, si era instaurata la prassi dell'acquisizione degli elementi essenziali ai fini dell'istruttoria attraverso la convocazione dell'interessato presso le autorità di pubblica sicurezza. Pertanto – fino alle recenti modifiche – i richiedenti venivano convocati presso gli uffici della locale questura per un colloquio inteso a verificare il possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi, il livello di integrazione nella società italiana, il grado di conoscenza della lingua italiana e dei princìpi fondamentali cui si ispira il nostro ordinamento, al fine di formulare il parere, non vincolante, che doveva essere trasmesso alla prefettura.
  Successivamente, il 27 marzo 2013, il Ministero dell'interno ha emanato una circolare esplicativa in materia di concessione della cittadinanza italiana, con la quale ha impartito alle prefetture nuove direttive finalizzate a una rapida definizione delle istanze già presentate finora, in vista dell'introduzione di una nuova procedura informatizzata. In base alle vigenti procedure, tutte le questure – inclusa quella di Pordenone – non procedono più al colloquio ma si limitano a fornire esclusivamente, tramite il sistema informatico, le informazioni riguardanti la regolare presenza del richiedente sul territorio nazionale, la posizione giudiziaria, nonché ogni altra notizia rilevante sotto il profilo della sicurezza.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011, nel territorio comunale di Como sono state elevate ben 2.938 multe a carico di veicoli immatricolati nel Canton Ticino della Svizzera italiana, di cui soltanto 1.186 saldate a fronte di ben 1.752 rimaste inevase, pari al 60 per cento del totale;
   il comune di Como ha incaricato delle riscossioni una società di recupero crediti che agisce con grande efficacia sul piano interno, ma risulta del tutto impotente all'estero;
   non sono conosciuti i dati relativi alle infrazioni contestate dalla Polstrada ai veicoli con targa straniera in transito per il territorio della provincia comasca nel 2011 e nel 2012;
   sono ignote anche le cifre relative alle sanzioni irrogate su scala nazionale nei confronti degli automobilisti esteri, il loro importo aggregato e quello degli incassi effettivi;
   il danno erariale è comunque certamente notevole, seppure non ancora quantificato;
   non sono conosciute neanche le azioni messe in campo dall'esecutivo italiano per pervenire alla riscossione del dovuto –:
    quali siano i dati concernenti il numero delle sanzioni irrogate dalla Polstrada agli automobilisti stranieri in transito sul territorio nazionale ed in particolare in quello della provincia di Como negli anni 2011 e 2012, quale sia la percentuale delle riscossioni e l'entità degli importi rimasti inevasi, nonché quali siano le azioni che il Governo può ed intende mettere in campo per recuperare all'estero il dovuto. (4-00326)

  Risposta. — La riscossione delle sanzioni pecuniarie previste per le infrazioni alle norme della circolazione stradale commesse con veicoli immatricolati all'estero ha sempre mostrato profili di criticità connessi con il complesso procedimento amministrativo di acquisizione delle somme dovute dai trasgressori.
  Per risolvere tali difficoltà, l'articolo 207 del nuovo codice della strada ha introdotto una particolare modalità di pagamento immediato, da parte dell'autore della violazione fermato dagli operatori di polizia.
  Tale articolo prevede, infatti, in deroga al principio generale, il pagamento obbligatorio nelle mani dell'agente accertatore di un importo pari alla misura minima della sanzione edittale. Nel caso in cui il trasgressore straniero volesse proporre ricorso, deve versare, a titolo di cauzione, un importo pari allo stesso ammontare della sanzione in misura ridotta. In caso contrario, è disposto il fermo amministrativo del veicolo fino a quando non siano adempiuti tali obblighi e, comunque, per non più di 60 giorni.
  Un'altra iniziativa che sicuramente potrà contribuire al contenimento del fenomeno è connessa con l'attuazione della direttiva 2011/82/UE del 25 ottobre 2011 che mira ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni.
  Sulla questione, il Ministero degli affari esteri ha riferito che nel caso di multe irrogate in Italia a carico di veicoli immatricolati in Svizzera, le autorità italiane procedono direttamente alla notifica al conducente o all'intestatario del veicolo che ha commesso l'infrazione.
  Nei rari casi in cui pervengono richieste di notifica – da parte dei comuni o corpi di polizia municipale – alla rete diplomatica consolare italiana in Svizzera, questa provvede a fornire l'indirizzo del sito web della banca dati della polstrada elvetica la quale permette alle autorità italiane, inserendo il numero di targa, di estrapolare i dati del proprietario del veicolo che ha commesso l'infrazione, in modo da procedere alla notifica diretta della contravvenzione.
  Ciò premesso, si ricorda che le multe complessivamente elevate su tutto il territorio nazionale nel 2011 sono state 82.965, di cui notificate 44.893 e non pagate 65.384. Per l'anno 2012, invece, sono state elevate infrazioni per un totale di 89.549, di cui notificate 44.651 e pagate 69.632.
  Per la provincia di Como il numero di infrazioni rilevate per l'anno 2011 è stato pari a 1.698, di cui notificate 1.422 e pagate 1.062; nel 2012 le infrazioni sono state 1.131, di cui notificate 867 e pagate 533.
  Anche alla luce dei sopra riportati dati si ritiene che i procedimenti in questione possano essere ulteriormente semplificati e resi più efficaci sotto i profili della deterrenza e della prevenzione; profili ai quali ogni sistema sanzionatorio deve tendere.
  In questa prospettiva è allo studio di questa amministrazione un pacchetto di norme volto a modificare alcuni articoli del codice della strada per agevolare l'applicazione e la riscossione delle sanzioni pecuniarie da parte dei conducenti di veicoli stranieri.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Cantù i carabinieri alloggiano in locali di proprietà del comune, per i quali l'amministrazione dell'interno dovrebbe corrispondere un canone d'affitto;
   da due anni e mezzo, invece, nessun canone risulta essere stato corrisposto all'amministrazione comunale canturina;
   l'Agenzia del territorio ha stimato in pari a 95 mila euro annui l'importo del canone dovuto dal Ministero dell'interno al comune di Cantù;
   a fronte delle richieste del comune di Cantù, il Ministero dell'interno si dichiara disponibile a versare soltanto 23 mila euro annui, una proposta definita come «non negoziabile» e per questo rigettata dalle autorità comunali canturine;
   conseguentemente, l'amministrazione comunale canturina soffrirebbe un danno economico quantificabile in almeno 230 mila euro, per ottenere i quali il comune sta considerando di assumere delle iniziative legali;
   l'episodio non sarebbe neanche isolato, essendosene verificati di analoghi anche per i locali in uso alla Guardia di finanza ed al Corpo nazionale dei vigili del fuoco –:
   su quali basi poggi la proposta non negoziabile di corrispondere al Comune di Cantù un canone di 23 mila euro annui contro quello da 95 mila ritenuto congruo dall'Agenzia del territorio e quali siano le ragioni per le quali l'amministrazione dell'interno si trovi in una situazione di morosità così grave e le misure che intende assumere per porvi fine nel più breve tempo possibile. (4-00342)

  Risposta. — In via preliminare occorre ricordare che l'articolo 1 comma 138 1-quater della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013) dispone che, per l'anno 2013, le amministrazioni pubbliche possano stipulare contratti di locazione passiva soltanto in caso di rinnovo di contratti, ovvero se la locazione venga stipulata per acquisire la disponibilità di locali, a condizioni più vantaggiose di quelli attualmente in uso, ove dismessi.
  Inoltre, la citata legge n. 135 del 2012, oltre a prevedere l'applicazione della riduzione del 15 per cento sui canoni annui, stabilisce che il rinnovo del rapporto di locazione è consentito soltanto in presenza delle condizioni relative alla disponibilità delle risorse finanziarie e della permanenza delle esigenze allocative anche dopo l'adozione dei piani di razionalizzazione e accorpamento, in corso di predisposizione da parte delle amministrazioni pubbliche.
  Questo è il quadro normativo di riferimento anche per l'individuazione della sede della stazione Carabinieri di Cantù.
  La caserma è ubicata in un immobile di proprietà comunale, utilizzato in regime di occupazione extracontrattuale in quanto il canone di locazione, scaduto nel dicembre del 2000, non è stato prorogato di validità a seguito di disdetta formulata dall'amministrazione comunale. Le trattative per la stipula del nuovo contratto di locazione non sono andate finora a buon fine.
  Nel mese di giugno 2012 il comune di Cantù ha formulato una nuova richiesta di canone annuo di locazione dell'immobile per un importo pari a 95.500 euro, anche a seguito di lavori di miglioria e straordinaria manutenzione, peraltro non preventivamente autorizzati dal Ministero dell'interno. La stessa amministrazione ha, inoltre, rappresentato l'impossibilità di discostarsi da tale richiesta, in linea con quanto determinato dall'agenzia del territorio in base ai valori di mercato degli immobili in locazione.
  In tale contesto, lo scorso mese di marzo, la prefettura di Como ha liquidato l'indennità di occupazione extra contrattuale per le annualità 2011-2012, nella misura stabilita dal Ministero dell'interno, calcolata in 24.885,48 euro per il 2011 (indennità spettante, comprensiva dei lavori di ampliamento e ristrutturazione dello stabile) e in 23.475,29 euro per il 2012 (indennità risultante dall'applicazione della riduzione del 15 per cento).
  A fronte della richiesta della prefettura di procedere alla sottoscrizione di un verbale di conciliazione amministrativa per la regolarizzazione dell'occupazione extracontrattuale per gli anni 2011 e 2012, il comune di Cantù non ha aderito facendo presente di riservarsi ogni azione legale per tutelare i propri interessi.
  Nel successivo mese di aprile, il dipartimento della pubblica sicurezza ha comunicato alla prefettura di Como che il rinnovo del contratto di locazione dello stabile in oggetto potrà avvenire soltanto al canone di 21.152,65 euro, pari all'indennità attualmente corrisposta ridotta del 15 per cento. Il dipartimento ha precisato che l'unica ipotesi percorribile per l'acquisizione in uso di vani aggiuntivi – non essendo compatibile la copertura della spesa da parte del Ministero dell'interno con i relativi stanziamenti di bilancio – fosse costituita dalla stipula di un contratto di comodato gratuito.
  Il distaccamento dei Vigili del fuoco di Cantù, invece, è ubicato in un immobile di proprietà privata, ed è occupato in via extracontrattuale dal 15 gennaio 2007, data di scadenza del contratto di locazione, in quanto lo stesso non è stato rinnovato per disdetta della parte proprietaria.
  Ai fini della stipula del nuovo contratto, per il quale l'agenzia del demanio ha dichiarato congruo il canone di locazione di 34.500 euro, si è in attesa del necessario stanziamento, previa autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 34 della legge n. 196 del 2009. Al momento sono stati pagati i canoni di locazione fino al 9 agosto 2012.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MOLTENI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2012 non sono stati pubblicati «bandi ordinari» per la selezione di volontari in servizio civile ai sensi della legge n. 64 del 2001;
   con nota datata 8 novembre 2012, l'Ufficio nazionale per il servizio civile comunicava che l'esame e la valutazione dei progetti di servizio civile nazionale, presentati entro il 31 ottobre 2012, si sarebbe conclusa in data 29 aprile 2013, nel rispetto dei tempi previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2010, n. 142;
   in un'intervista a Vita.it, pubblicata in data 13 aprile 2013, il portavoce del Ministro pro tempore per la cooperazione internazionale e l'integrazione, Giovanni Grasso, affermava «Entro due settimane arriverà una comunicazione relativa al nuovo bando di servizio civile. Positiva»  –:
   entro quale data si intenda pubblicare il bando 2013 dell'Ufficio nazionale per il servizio civile e delle regioni e province autonome, per la selezione di volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all'estero;
   quale sia il numero di volontari avviabili con tali bandi, in relazione alle risorse finanziarie disponibili. (4-00359)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede informazioni sui tempi e le risorse disponibili per il bando del servizio civile nazionale per il 2013.
  A tal riguardo, venerdì 4 ottobre 2013 sono stati pubblicati il nuovo bando per il servizio civile nazionale e i bandi regionali di selezione dei volontari, che permetteranno la partecipazione di 15.466 giovani, 502 dei quali da impiegarsi in progetti all'estero.
  Tale termine ha tenuto conto dell'acquisizione dei pareri favorevoli della conferenza Stato-regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e della consulta nazionale per il servizio civile sul documento di programmazione finanziaria per il 2013.
  Dal punto di vista finanziario, pur nell'attuale difficile contesto economico che aveva comportato delle progressive riduzioni degli stanziamenti per il servizio civile nazionale negli ultimi anni, il mio impegno e quello del Governo è stato quello di recuperare ulteriori risorse. Ciò ha permesso di avere a disposizione 99.923.540 di euro per i bandi del 2013, al netto dei costi generali e di funzionamento e degli oneri finanziari scaturiti dai precedenti bandi, consentendo in tal modo l'avvio di 14.964 volontari da impiegare in progetti di utilità sociale in Italia e 502 volontari da impiegare in progetti all'estero.
  In particolare, la ripartizione del fondo per il servizio civile prevede una quota del 54 per cento assegnato al dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale (compresa la quota dei volontari da impiegare all'estero) e la restante, pari al 46 per cento, distribuito tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
  Nel bando per gli enti iscritti all'albo nazionale sono stati ammessi al finanziamento 542 progetti da svolgersi in Italia per un totale di 7.614 volontari e 48 da realizzarsi all'estero per 502 volontari, cui si aggiungono i 6 progetti autofinanziati dalla confederazione nazionale delle misericordie per altri 30 volontari.
  I 21 bandi delle regioni e delle province autonome coprono invece 1.109 progetti e 6.895 finanziati dal fondo nazionale servizio civile.
Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   PILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 276 del 2003 agli articoli 21, comma 1, lettere i) e j) e all'articolo 23, comma 1, dispone quanto segue:
    «articolo 21: Il contratto di somministrazione di manodopera è stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi:
     i) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro;
     j) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili»;
    «articolo 23: I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte»;
   il trattamento economico riservato ai lavoratori somministrati è quindi parificato rispetto a quello dei colleghi direttamente assunti dall'impresa utilizzatrice (Stazione Appaltante);
   l'utilizzatore (Stazione Appaltante) deve pertanto comunicare all'Agenzia per il lavoro i trattamenti economici applicabili ai lavoratori comparabili e deve vigilare affinché il somministratore retribuisca regolarmente i lavoratori somministrati, versando, altresì, i contributi dovuti agli enti previdenziali ed assicurativi;
   ai sensi e per gli effetti dell'articolo 23, comma 3 del decreto legislativo n. 276 del 2003, «L'utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali»;
   la disciplina legale che regola i rapporti tra somministratore ed utilizzatore con riferimento al trattamento economico e normativo riservato ai lavoratori somministrati, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 81 del decreto legislativo n. 163 del 2006, prevede che la stazione appaltante, anche nelle gare relative alla somministrazione di lavoro, sia libera di effettuare la scelta tra il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa o quello del prezzo più basso;
   nei casi in cui venga individuato quale metodo di aggiudicazione quello del prezzo più basso, le stazioni appaltanti (utilizzatrici della manodopera) danno luogo, sempre più frequentemente, alla illegittima e deleteria prassi di fissare come prezzo a base di gara il costo del lavoro dalle stesse sostenute per lavoratori comparabili a quelli richiesti in somministrazione o, ancor peggio, non indicano alcun costo di riferimento, così nei fatti costringendo le agenzie per il lavoro, che devono per bando di gara formulare un'offerta competitiva sulla base del costo del lavoro, a scendere al di sotto dei minimi tabellari, con ovvie ed intuibili ripercussioni sulle garanzie in ordine alla giusta retribuzione ex articolo 36 Cost. e sui correlati oneri contributivi;
   tale prassi, come si è detto, è illegittima perché lede il principio di giusta retribuzione ex articolo 36 Cost. così come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ed altresì in contrasto con quanto disposto dagli articoli 88 e 89 del decreto legislativo n. 163 del 2006, ai sensi dei quali la Stazione appaltante è tenuta a verificare se vi siano offerte «anormalmente basse» in quanto non remunerative. Con riferimento alla somministrazione di lavoro, quindi, tale illegittima prassi delle pubbliche amministrazioni potrebbe essere agevolmente contrastata ab origine fissando all'interno del bando di gara un prezzo minimo corrispondente al costo minimo tabellare del lavoro, maggiorato di una percentuale rappresentante il margine minimo di guadagno, indispensabile affinché l'appalto possa essere considerato remunerativo ed obbligando le stazioni appaltanti ad applicare, per tali tipologie di servizi, quale criterio di aggiudicazione quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa –:
   se, alla luce di quanto testé illustrato, i Ministri interrogati non intendano intervenire al fine di garantire che le gare di appalto relative ai servizi di somministrazione di lavoro ex decreto legislativo n. 276 del 2003 vengano aggiudicate ad un prezzo che non sia inferiore al costo minimo tabellare del lavoro, permettendo inoltre, così come previsto dalla legge, che si realizzi un margine di agenzia, indispensabile per rendere «remunerativo» l'appalto. (4-00055)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si pone all'attenzione del Governo la questione concernente l'aggiudicazione delle gare di appalto relative ai servizi di somministrazione di lavoro e il pericolo che in tali gare possano essere fissati dagli enti aggiudicatori prezzi a base di gara tali da far scendere il costo del lavoro al di sotto dei minimi tabellari.
  Come è noto, il decreto legislativo n. 276 del 2003, con riferimento al contratto di somministrazione, prevede che l'utilizzatore sia tenuto a rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questi effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro, nonché a comunicare allo stesso i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili. Per tutta la durata della missione, infatti, i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte.
  Ora, nei contratti pubblici, ai sensi dell'articolo 81 del decreto legislativo n. 163 del 2006, la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Ad ogni modo, ai sensi dell'articolo 86, comma 3-bis, del medesimo decreto legislativo, nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.
  L'articolo 89, comma 3 del decreto legislativo 163 del 2006 stabilisce, poi, che nella predisposizione delle gare di appalto le stazioni appaltanti siano tenute a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro come determinato ai sensi dell'articolo 87, comma 2, lettera g) del medesimo decreto.
  In conclusione, si può ritenere che la normativa nazionale in tema di salvaguardia dei diritti economici dei lavoratori in caso di aggiudicazione dei pubblici appalti sia nel suo complesso congrua anche in relazione alla pertinente normativa comunitaria di riferimento (ci si riferisce, in particolare, alla direttiva 2004/18/CE in tema di appalti nei cosiddetti «settori classici»).
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 9 aprile 1995 moriva in un attentato suicida compiuto a Gaza la giovane cittadina americana di religione ebraica Alisa Michelle Flatow;
   il 25 febbraio 1996 Sara Duker e Matthew Eisenfeld, giovani cittadini americani di religione ebraica, venivano uccisi in un altro attacco terroristico a Gerusalemme;
   stando alla ricostruzione della vicenda, recentemente pubblicata sul numero del settimanale Panorama apparso il 9 maggio 2013, la magistratura statunitense ha accertato, sulla base di ammissioni fatte da rappresentanti di Hamas e della Jihad Islamica Palestinese, che i due atti criminosi vennero finanziati dalle autorità della Repubblica Islamica dell'Iran;
   in particolare, il 3 novembre 1998 il giudice Royce C. Lamberth della Corte distrettuale del Distretto di Columbia condannava Teheran a risarcire la famiglia Flatow, corrispondendole 250 milioni di dollari; l'11 novembre 2000, il medesimo giudice imponeva al Governo della Repubblica islamica dell'Iran il pagamento di altri 300 milioni di dollari alle famiglie Duker ed Eisenfeld;
   nell'impossibilità di ottenere il risarcimento negli Stati Uniti, le famiglie Flatow, Duker ed Eisenfeld hanno chiesto nel 2004 la delibazione in Italia delle pronunce della magistratura americana, onde poter ottenere nel nostro Paese, dove esistono fondi riconducibili al Governo iraniano, la liquidazione del risarcimento;
   il 29 luglio 2005 le pronunce americane sono state delibate nel nostro ordinamento con sentenza passata in giudicato;
   ciò nonostante, il Governo iraniano resisteva e sollecitava un intervento del Ministero degli affari esteri italiano, che raccomandava all'Ambasciata della Repubblica Islamica d'Iran di costituirsi in giudizio, promettendo l'intervento ad adiuvandum del nostro Esecutivo, come certificato da un fax datato 23 novembre 2005, firmato dal vicedirettore pro-tempore del Cerimoniale del Ministero degli affari esteri;
   alla costituzione in giudizio da parte iraniana hanno fatto seguito nuovi episodi processuali, tra i quali si segnalano l'annullamento del sequestro dei fondi individuati per il risarcimento precedentemente disposto, giunto il 17 gennaio 2006, e quello della sentenza sulla delibazione nel nostro ordinamento delle pronunce americane intervenuto l'8 maggio 2007 malgrado il suo passaggio in giudicato fosse maturato il 29 luglio 2005;
   nel 2011, le famiglie Flatow, Duker ed Eisenfeld hanno tuttavia riavviato l’iter processuale, questa volta contando sull'appoggio di diversi membri del Congresso statunitense, per rivendicare la delibazione automatica delle sentenze americane in Italia e quindi ottenere una nuova pronuncia da parte della magistratura italiana che permetta l'aggressione dei fondi iraniani presenti nel nostro Paese;
   a quanto consta all'interrogante, il 13 maggio 2013 i senatori statunitensi Richard Blumenthal, Mark Kirk, Christopher S. Murphy, Frank R. Lautenberg, Bernard Sanders e Robert Menendez hanno indirizzato una lettera all'ambasciatore d'Italia a Washington, Claudio Bisogniero, chiedendo al Governo del nostro Paese di delibare nell'ordinamento italiano le sentenze statunitensi concernenti le famiglie Flatow, Duker ed Eisenfeld e ritirare la «dichiarazione d'interesse nella questione» già manifestata dalla Repubblica italiana, che ha permesso all'Iran di costituirsi in passato in giudizio;
   nella medesima missiva, i senatori statunitensi sopramenzionati sottolineavano altresì l'importanza di confermare il principio secondo il quale gli Stati sponsor del terrorismo debbono pagare un prezzo pesante per il sostegno offerto alle organizzazioni terroristiche, esprimendo una preoccupazione del tutto condivisibile –:
   quale sia la posizione del Governo sui fatti generalizzati nella premessa e quale orientamento si conti di assumere rispetto alla richiesta pervenuta all'ambasciatore della Repubblica italiana negli Stati Uniti.
(4-00458)

  Risposta. — A tale proposito, l'avvocatura dello Stato – investita della questione da parte di questo Dicastero – ha sottolineato in sede giudiziaria l'inopportunità di misure restrittive sui conti correnti e sulle proprietà immobiliari necessari all'espletamento delle funzioni dell'ambasciata iraniana a Roma. Ciò al fine di non violare i principi di diritto consuetudinario internazionale e, in particolare, il «ne impediatur legatio» incluso nella Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18 aprile 1961 ed espressamente codificato dalla Convenzione delle Nazioni unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni adottata a New York il 2 dicembre 2004, di cui Italia e Iran sono parti all'espletamento delle funzioni dell'ambasciata iraniana a Roma.
  Come è noto, lo scorso luglio, la I sezione civile della Corte d'appello di Roma ha rigettato la domanda di riconoscimento dell'esecutività della sentenza emessa dalla Corte statunitense del distretto di Columbia, ribadendo il citato principio di immunità. La Corte d'appello ha infatti argomentato che è pienamente operativa l'immunità degli Stati in sede esecutiva e che anche per quanto riguarda l’exequatur il giudice adito deve deliberare se sia applicabile l'immunità e quindi «pronunciarsi in merito alla stregua degli stessi principi».
  Giova precisare che nel diritto processuale civile italiano l'intervento dell'avvocatura dello Stato – che la Farnesina valuta di caso in caso se sia opportuno richiedere – non costituisce una dichiarazione di interesse di natura politica, bensì un intervento tecnico-giuridico sulla base del quadro normativo, con riferimento anche al diritto internazionale.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono numerosi i poligoni militari che sorgono in aree protette e tra questi, nella regione del Friuli Venezia Giulia, ne spiccano due presenti nei siti d'importanza comunitaria (SIC) del «Cellina-Meduna» di Cordenons (Pordenone) e del Monte Bivera (Udine);
   nel mese di marzo 2013, le forze armate hanno rilevato nel poligono di Cellina-Meduna la presenza nel terreno di numerosi metalli pesanti (come cadmio, antimonio, piombo, nichel, zinco, rame e vanadio) ben oltre il livello di guardia, escludendo comunque l'uranio impoverito;
   a seguito di queste analisi, sono state sospese le attività addestrative da parte della Brigata Ariete dell'Esercito e sono state autorizzate le operazioni di caratterizzazione, in vista della successiva bonifica del territorio;
   per quanto riguarda il poligono del Bivera – impiegato continuamente per prove di fuoco con il lancio di bombe a mano e proiettili di mortaio da 120 millimetri – non risultano essere state disposte procedure di rilevamento e bonifica;
   con una lettera del 6 giugno 2013 il WWF (World Wildlife Fund) Friuli Venezia Giulia ha richiesto l'accesso agli atti della regione e dell'ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) per poter consultare tutti i dati ambientali utilizzati per l'istruttoria del piano della caratterizzazione e del progetto di bonifica ambientale del poligono Cellina-Meduna;
   l'organizzazione ambientalista chiede anche l'esclusione del sito di importanza comunitaria del Bivera dal novero dei poligoni militari della regione, visto che il continuo inquinamento del suolo non farebbe che aggravare gli impatti sulla fauna e sull'equilibrio ecosistemico dell'area già provata dalle continue esercitazioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e se intendano, per quanto di competenza e d'intesa con le autorità locali, avviare la verifica dello stato d'inquinamento del poligono militare presente nel sito di importanza comunitaria del Monte Bivera, a tutela dell'ecosistema e della popolazione che vi risiede. (4-00846)

  Risposta. — Il poligono di Cellina Meduna – d'importanza strategica ai fini dell'approntamento delle unità dell'Esercito italiano – è interessato, dal giugno 2012, da una serie di rilevamenti ambientali per verificare l'esistenza di un eventuale inquinamento della matrice suolo-acqua.
  Nello specifico, il monitoraggio sugli agenti chimici, effettuato, prendendo in esame 8 punti, dal centro tecnico logistico interforze (CETLI) nucleare batteriologico chimico (NBC) di Civitavecchia, ha evidenziato il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione in soli 3 punti.
  La contaminazione rilevata insiste su una superficie limitata ed è oggetto, attualmente, del piano di caratterizzazione predisposto ai sensi del combinato normativo del decreto legislativo n. 152 del 2006 e del decreto ministeriale 22 ottobre 2009: il piano è stato già approvato dalla Conferenza dei Servizi, tenutasi lo scorso 12 giugno.
  Nell'ambito di tale conferenza, l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) del Friuli Venezia Giulia, pur condividendo i contenuti del piano, ha chiesto, comunque, un'integrazione dello stesso che comprenda anche la caratterizzazione specifica sulla radioattività.
  I necessari approfondimenti, nell'ottica di garantire la massima trasparenza, saranno condotti dalla stessa ARPA che ha comunicato, recentemente, di volere effettuare un preventivo accertamento, mediante opportune campagne di misura, dei livelli di contaminazione radioattiva correlati, in particolare, alla possibile presenza di radionuclidi di origine artificiale, eventualmente presenti nei suoli.
  Tale verifica radiometrica consentirà sia di fornire ogni rassicurazione riguardo alla tutela e alla protezione dei lavoratori, sia di escludere, in modo oggettivo, la presenza di radionuclidi di origine artificiale nelle matrici ambientali.
  Peraltro, i costi relativi alle attività di campionatura, di analisi e di valutazione previste in questa fase di verifica radiometrica, saranno sostenuti dalla stessa ARPA della regione Friuli Venezia Giulia.
  I tempi previsti per l'esecuzione del piano di monitoraggio integrato saranno determinati dalle modalità d'intervento con cui procederà la stessa agenzia.
  Mi preme sottolineare che approfondire, nel minor tempo possibile, tutti gli aspetti ambientali che coinvolgono il territorio è di fondamentale interesse per la Difesa e per la Forza armata.
  Ciò, allo scopo precipuo di tutelare la salute del personale direttamente impiegato e della popolazione interessata, oltre che, ovviamente, di salvaguardare, nel contempo, la matrice floro-faunistica naturale nella quale è inserito il poligono.
  Per quanto riguarda, invece, il poligono di Monte Bivera, sebbene, al momento, non si abbia alcuna evidenza di aree inquinate ivi ricomprese, il monitoraggio ambientale del poligono verrà inserito, comunque, fra gli interventi da effettuarsi d'interesse dell'Esercito italiano, sulla base delle priorità che saranno stabilite in funzione delle esigenze addestrative e delle risorse finanziarie disponibili.
  Inoltre, nel sottolineare l'importanza di poter disporre del poligono in questione per garantire lo svolgimento delle attività addestrative – indispensabili a conseguire quella capacità operativa che è requisito imprescindibile di uno strumento militare moderno ed efficace – e l'approntamento delle unità della Forza armata, faccio presente che lo stesso è utilizzato per un massimo di 20 giornate all'anno, come indicato dal relativo disciplinare d'uso approvato dal comitato misto paritetico, istituito dalla legge n. 898 del 1976.
  Prima di concludere, vorrei osservare, a carattere generale, che le esercitazioni presso i poligoni vengono sempre effettuate nel pieno rispetto di precise norme di legge, volte ad assicurare la salvaguardia della popolazione e la tutela dell'ambiente.
  Ogni attività viene preventivamente valutata e autorizzata solo dopo un esame dell'impatto ambientale e previa consultazione del Comitato misto paritetico, la cui attività è finalizzata proprio ad instaurare, nell'ambito di ogni regione, un rapporto permanente di collaborazione con le Forze armate, al fine di armonizzare le esigenze della Difesa con le esigenze del tessuto civile e sociale della vita comunitaria.
Il Ministro della difesaMario Mauro.


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Movimento Trieste Libera-Gibanje Svobododni Trst-Free Trieste Movement, fondato nel 2011 rivendica per Trieste ed i comuni vicini lo status giuridico del Territorio libero di Trieste – Free Territory of Trieste – Svobodno Tržaško ozemlje (TLT-FTT-STO);
   si tratta dell'ente di diritto internazionale istituito, riconosciuto e regolamentato quale Stato indipendente a sovranità popolare, membro di diritto dell'ONU e sotto sua garanzia, dal Trattato di pace di Parigi del 1947 tra le Potenze Alleate ed Associate e l'Italia, entrato in vigore il 15 settembre 1947;
   il Trattato regolamenta anche, con le disposizioni dell'Allegato VIII, lo speciale regime del Porto Franco di Trieste;
   l'ordinamento del TLT ha istituito un regime di Governo provvisorio (Alleg. VII) sino a compimento del regime di Governo permanente (Alleg. VI);
   la funzione di Governo provvisorio del TLT è stata affidata, quale speciale mandato fiduciario internazionale, sino al 1954 ad un apposito Governo militare alleato, e convertita dal 1954 in amministrazione civile del Governo (non allo Stato) italiano con il memorandum d'intesa di Londra tra i Governi cedenti e subentranti nell'amministrazione;
   a seguito del trattato bilaterale di Osimo del 1975 tra l'Italia e la Jugoslavia, la questione del Territorio libero di Trieste risulta tolta per il momento dall'ordine del giorno del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, le quali hanno tuttavia confermato con lettere ufficiale nel 1983 che può esservi riammessa;
   il Movimento Trieste libera contesta infedeltà gravemente dannosa ai diritti ed all'economia della popolazione locale nella conduzione del mandato amministrativo fiduciario internazionale da parte del Governo italiano, invocandone sanatorie interne ed internazionali. Le tesi del Movimento sono state formalizzate in un apposito «Atto urgente di reclamo e messa in mora» dd. 18 giugno 2013, notificato alle autorità italiane ed internazionali competenti;
   negli ultimi mesi il MTL ha intensificato le proprie iniziative a favore della tesi della mancanza di sovranità dello Stato italiano sul TLT, incoraggiando gli abitanti alla disobbedienza civile;
   il Movimento, infatti, ha invitato gli elettori triestini a non votare durante le elezioni politiche del febbraio scorso – suggerendo la sottoscrizione e il deposito presso i seggi di dichiarazioni di «non-voto» – come riportato da numerose testate giornalistiche nazionali (tra cui l’Huffington Post Italia, articolo del 23 febbraio 2013). La stessa sollecitazione è stata puntualmente suggerita a ridosso delle elezioni regionali dell'aprile 2013;
   numerosi aderenti al MTL, inoltre, hanno intrapreso una campagna di disobbedienza fiscale, l'autorità del fisco italiano e della società di riscossione Equitalia;
   l'Ufficio legale dell'Agenzia delle entrate non ha accolto i vari ricorsi sul difetto di giurisdizione, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese e al risarcimento dei danni legati al ritardo del dovuto;
   quest'orientamento è stato condiviso dal tribunale civile di Trieste che il 3 settembre 2013 ha respinto con un'ordinanza il reclamo di un esponente del Movimento, riconoscendo la piena giurisdizione di Equitalia nel pignoramento di un immobile. L'atto contiene un approfondimento sulla validità degli accordi internazionali contestati dal MTL, senza fugare però dubbi interpretativi;
   nell'agosto del 2012 alcuni organi comunitari si sono interessati alle rivendicazioni sul territorio di Trieste avanzate dall'europarlamentare Mara Bizzotto (Lega Nord) e dal MTL. In particolare, la rappresentante leghista aveva presentato un'interrogazione sul porto libero di Trieste a cui ha risposto il commissario europeo per la fiscalità, il lituano Algirdas Semeta, dichiarando la validità dell'Allegato VIII del trattato di pace del 1947 che definisce il regime del porto libero di Trieste;
   la direzione dell'Unione europea Giustizia, sollecitata dal Movimento a intervenire di fronte alle presunte violazioni dei diritti dei cittadini del TLT commesse dall'autorità giudiziaria italiana, che agirebbe fuori dalla propria giurisdizione, ha precisato che la Commissione europea non ha titolo per intervenire essendo lo status giuridico di Trieste al di fuori del campo di applicazione del diritto dell'unione;
   l'11 settembre 2013, durante l'udienza del tribunale di Trieste dedicata all'obiezione fiscale di Roberto Giurastante leader del MTL, l'avvocato dello Stato Marco Meloni ha depositato una comparsa di risposta in nome e per conto del Ministero della giustizia. Il documento, dopo aver affermato che il TLT non solo non esiste «e non è mai esistito», ha toccato l'aspetto del logo dell'Onu che appare vicino alla dicitura del Movimento. In particolare, si legge: «L'utilizzo, da parte di un realtà associativa locale, della bandiera e dei simboli dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, certamente non autorizzato e abusivo, non trova conforto e sostegno alcuno nelle sole sedi competenti, che hanno peraltro preso sin da pressoché subito atto da un lato dell'impraticabilità della previsione del Territorio libero»;
   Meloni ha osservato che «il popolo di Trieste pur essendo stato privato della possibilità di esprimersi nell'Assemblea costituente eletta nel 1946 si è pronunciato da molto prima della nascita»;
   ad oggi le istituzioni nazionali non sono intervenute in modo organico e univoco sulla questione, mentre una ricostruzione della normativa internazionale è stata fatta solo dal Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Friuli Venezia Giulia con la sentenza n. 76/2013, nell'ambito di un ricorso sulla concessione di alcune aree demaniali che fanno parte dell'area di porto vecchio di Trieste, assoggettato al regime giuridico di porto franco;
   un tentativo di «istituzionalizzare» questa vicenda è stato condotto dal consigliere comunale di Trieste Paolo Rovis (Pdl) che, tramite un ordine del giorno, intendeva impegnare l'aula a convocare una seduta dedicata al TLT invitando «gli esperti giuridici e i rappresentanti istituzionali che si riterranno utili per una migliore analisi della questione». L'ordine del giorno, però, è stato dichiarato irricevibile dopo una votazione in cui, dei 27 consiglieri presenti, solo tre hanno sostenuto l'atto d'indirizzo politico – Rovis stesso e i due consiglieri del Movimento 5 Stelle Paolo Menis e Stefano Patuanelli – giudicato estraneo alla delibera sul bilancio cui si riferiva –:
   se il Governo intenda chiarire gli aspetti del diritto internazionale che riguardano il territorio libero di Trieste – rivolgendosi al consiglio di sicurezza dell'ONU – in modo da fugare i dubbi di sovranità esistenti, colmando il vuoto con una auspicabile risposta delle istituzioni ed evitando l'aggravarsi delle tensioni sociali e politiche legate alla vicenda.
(4-02011)

  Risposta. — Nel Trattato di pace del 1947 tra l'Italia e le potenze alleate vincitrici della seconda guerra mondiale, tra le disposizioni che trattano delle cessioni territoriali in capo all'Italia, si inserisce l'articolo 21 che prevedeva l'istituzione del Territorio libero di Trieste, la cui integrità e indipendenza sarebbero state assicurate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Lo stesso articolo sanciva la cessazione della sovranità italiana sull'area a partire dall'entrata in vigore dello stesso trattato di pace. Il Territorio libero avrebbe dovuto essere amministrato da un Governatore nominato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Si sarebbe dovuto trattare, quindi, nelle intenzioni delle potenze vincitrici, di un'enclave non assoggettata a sovranità nazionali, inclusa quella dell'Italia, con un'amministrazione di nomina internazionale e con una destinazione funzionale del tutto internazionalistica e priva di condizionamenti.
  Il radicale mutamento della situazione politica mondiale impedì tuttavia di dare applicazione alle clausole del trattato di pace del 1947, relative alla costituzione del Territorio libero di Trieste. Cosicché, anche per la conseguente impossibilità di nominare il Governatore, nomina da cui discendeva necessariamente l'applicabilità dello Statuto del territorio, quest'ultimo non vide mai la luce e i territori in esso inclusi vennero amministrati, per quanto riguarda la zona B, comprendente una parte della penisola istriana, oggi appartenente a Croazia e Slovenia, da un Governo militare jugoslavo, e, per quanto riguarda la zona A, comprendente la città di Trieste e i dintorni, da un governo militare anglo-americano. Si è trattato di una duplice occupazione militare in cui le autorità militari rispettivamente jugoslave e angloamericane avevano ogni potere normativo e amministrativo, in una situazione che doveva necessariamente intendersi come provvisoria.
  Per risolvere la situazione della sovranità su zona A e zona B, venne successivamente concluso il 5 ottobre 1954 tra Italia, Jugoslavia, Regno Unito e Stati Uniti, il Memorandum d'intesa di Londra. Con tale accordo internazionale Gran Bretagna e Stati Uniti, ponendo fine al Governo militare da essi esercitato fino a quel momento nella zona A, cedevano l'amministrazione di quest'ultima al governo italiano mentre venivano effettuate delle concessioni territoriali alla Jugoslavia, con la rettifica di alcuni tratti della linea di confine. Il passaggio dei poteri dall'amministrazione militare alleata a quella civile italiana avvenne il 26 ottobre 1954. Allo stesso tempo veniva riconosciuta e formalizzata l'estensione dell'amministrazione jugoslava nella zona B.
  Il Memorandum di Londra ha modificato tutte le norme del trattato di pace attinenti al Territorio libero di Trieste, che dalla data della sua entrata in vigore hanno cessato di esistere e di produrre effetti. Tale modifica è avvenuta in piena conformità con le regole consuetudinarie del diritto dei trattati, poi codificate nella Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati (e dunque all'epoca del Memorandum, già vigenti), ai sensi delle quali «due o più Stati parti di un trattato multilaterale possono concludere un accordo avente per oggetto di modificare il trattato solo nelle loro relazioni reciproche se (...): b) la modifica in questione non è proibita dal trattato, a condizione che essa: i) non pregiudichi il godimento da parte delle altre parti dei diritti che esse ricavano dal trattato né l'adempimento dei loro obblighi (...)» (articolo 41).
  Il Memorandum di Londra ha pienamente rispettato le condizioni di cui all'articolo 41 della Convenzione di Vienna del 1969, visto che ha risolto una controversia in materia di sovranità su un determinato ambito territoriale, riguardante solo l'Italia e la Jugoslavia, da un canto, e Gran Bretagna e Stati Uniti dall'altra, in quanto esercitavano la potestà nella zona A. Per lo stesso motivo, l'entrata in vigore del Memorandum di Londra non ha in alcun modo pregiudicato gli interessi degli altri Stati contraenti del trattato di pace del 1947 non firmatari del Memorandum.
  Va sottolineato che lo stesso trattato di pace del 1947 non vieta affatto sue modifiche parziali da parte di alcuni degli Stati contraenti, che li interessassero in via esclusiva. Ciò emerge dall'articolo 46 del trattato, che prevede il consenso di tutte le potenze alleate esclusivamente e solo in riferimento alle eventuali modifiche da apporre alle clausole militari, navali e aeree, vale a dire in riferimento alla sola parte IV del trattato. Non rientrano evidentemente nell'ambito operativo della disposizione in esame le questioni di sovranità e di confine oggetto del Memorandum di Londra.
  A conferma ulteriore della possibilità di modifiche parziali al trattato di pace depongono, sia pure indirettamente, anche gli articoli 86 e 87 del trattato. Nel primo si stabilisce che per un periodo di 18 mesi gli ambasciatori a Roma degli Stati Uniti, Unione sovietica, Regno unito e Francia rappresenteranno le potenze alleate nel trattare con il Governo italiano ogni questione relativa «all'esecuzione e interpretazione» del Trattato stesso. Il successivo articolo 87 precisa che ogni controversia relativa all'interpretazione o esecuzione del trattato che non sia soggetta a diversa procedura (come quella di cui all'articolo 46) ovvero «non sia regolata per via di negoziati diplomatici diretti» sarà sottoposta ai quattro ambasciatori che opereranno in rappresentanza delle potenze alleate, anche al di là del termine di 18 mesi. Tale norma consente pertanto la stipula di accordi in esecuzione del trattato di pace sottoposti solo alle quattro potenze (e non a tutti gli Stati contraenti) citate ovvero in via diplomatica ai soli firmatari interessati.
  Ad ogni modo, nel caso del Memorandum di Londra, le quattro potenze alleate furono pienamente coinvolte, nel rispetto delle disposizioni del trattato di pace. Non solo Gran Bretagna e Stati Uniti, firmatarie del Memorandum, come si è detto, ma anche Unione sovietica e Francia, in quanto lo recepirono con apposite note verbali. Quanto all'Unione sovietica essa, con un'apposita nota del 12 ottobre 1954, prese atto delle modifiche al trattato di pace contenute nel Memorandum derivanti dall'accordo tra Italia e Jugoslavia, senza contestare alcunché e anzi evidenziando il contributo dato al miglioramento delle relazioni internazionali. Dal canto loro, i Governi di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia emisero note separate, contestuali e d'identico contenuto, con le quali dichiararono che non avrebbero sostenuto le rivendicazioni «sia italiane sia jugoslave nei confronti dei territori sottoposti alla sovranità o all'amministrazione altrui», in tal modo fornendo un'interpretazione del Memorandum stesso in termini di fissazione stabile e definitiva dei confini e quindi di estensione delle sovranità dei due Stati confinanti.
  Inoltre, in ottemperanza dell'articolo 9 del Memorandum, il suo testo è stato comunicato da parte dei quattro stipulanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, per informazione dei suoi membri, il 5 ottobre 1954 (UN Doc. S/3301), cioè nella stessa data della sua firma. Nessuno Stato formulò obiezioni di sorta o chiese di discutere l'argomento. In tal modo il Memorandum di Londra è risultato ufficialmente noto a tutti i componenti delle Nazioni unite, inclusi tutti (nessuno escluso) i Paesi firmatari del Trattato di pace. Infine, risulta documentato che il Governo dell'allora Jugoslavia, ad ogni buon conto e ad abundantiam, abbia inviato una nota ufficiale a tutti gli Stati firmatari del trattato di pace, rendendoli edotti del contenuto del Memorandum, senza che ovviamente nessuno di essi trovasse alcunché da obiettare.
  Con il successivo Trattato di Osimo del 1975 vennero definitivamente confermati i confini sussistenti per venti anni tra Italia e Jugoslavia, formalizzandosi l'esercizio effettivo di sovranità che i due Stati avevano esercitato e la rinuncia delle pretese italiane all'esercizio di sovranità sulla zona B, riconosciuta come area sotto la piena sovranità jugoslava. Le relazioni tra i due Stati vengono più dettagliatamente disciplinate così che l'articolo 7 del trattato di Osimo decreta l'abrogazione del Memorandum di Londra e dei suoi allegati. Anche in questo caso, l'abrogazione dell'accordo del 1954 è avvenuta conformemente al diritto consuetudinario dei trattati, come codificato nella convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, e in particolare, nel suo articolo 41.
  Tutte le ambiguità esistenti nel Memorandum di Londra del 1954 sono state definitivamente risolte dal trattato di Osimo, e anzi una delle ragioni della stipula del nuovo trattato fu certamente la volontà delle parti di eliminare ogni residua possibilità di equivoco sui confini. Il trattato di Osimo venne regolarmente ratificato dai Parlamenti di entrambi i Paesi firmatari, comunicato alle Nazioni unite e al Consiglio di sicurezza (e quindi reso ufficialmente noto a tutti i Paesi firmatari del trattato di pace di Parigi) e registrato alle Nazioni unite; successivamente la Jugoslavia e l'Italia chiesero (ottenendolo) congiuntamente al Consiglio di sicurezza di togliere dall'ordine del giorno (dove era rimasta tralaticiamente per decenni) la questione della nomina del governatore del territorio Libero di Trieste, con ciò certificandone un'altra volta e definitivamente la scomparsa e l'inesistenza.
  Al dato formale, fin qui esaminato, occorre aggiungere il dato sostanziale: ossia l'indisturbato e incontrastato esercizio della piena sovranità italiana sulla zona A che, per il principio di effettività, fornisce fondamento giuridico pieno ed esaustivo della sovranità dello Stato ai sensi del diritto internazionale. Analoga sovranità piena è stata esercitata negli anni dalla ex Jugoslavia sulla zona B, e poi dagli Stati successori: Slovenia e Croazia.
  Alla stipula del Memorandum di Londra fece subito seguito l'ingresso delle truppe italiane nella zona A e il ritiro di quelle anglo americane. Da quel momento l'Italia ha iniziato ad esercitare una sovranità piena sulla zona A, non limitata alla sola «amministrazione civile» così come previsto (in modo equivoco) dal Memorandum. Di ciò venne pure data notizia ufficiale al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite con lettera del 17 gennaio 1955 firmata dall'osservatore italiano e dai rappresentanti permanenti britannico, statunitense e jugoslavo presso le Nazioni unite (UN Doc S/3351).
  In particolare, il Governo e il Parlamento italiano in via immediata, con atti normativi e amministrativi (tra cui plurimi stanziamenti di bilancio), dettero piena esecuzione al Memorandum, ad iniziare dal passaggio di consegne tra il Comandante inglese del Governo Militare Alleato e il rappresentate militare italiano, per seguire con la nomina da parte del Governo italiano del commissario del Governo, dotato di poteri amministrativi e normativi permanenti (questi ultimi attributi della sovranità e ontologicamente diversi dai poteri di un Governo militare occupante).
  L'Italia ha poi confermato i confini fissati nel 1954 con numerosi atti interni e internazionali. Tra i primi spicca la legge costituzionale n. 1 del 1963 che ha istituito la regione a Statuto speciale Friuli Venezia Giulia, con capoluogo Trieste, ovviamente all'interno dello Stato unitario uno e indivisibile, come recita espressamente il preambolo della legge stessa. Il territorio della regione, e quindi implicitamente ma indiscutibilmente anche quello dello Stato italiano, viene definito come includente la provincia di Udine (la provincia di Pordenone venne istituita anni più tardi), quella di Gorizia e i sei comuni collocati in provincia di Trieste, che vengono nominativamente elencati nello Statuto (Trieste, Muggia, San Dorligo della Valle, Sgonico, Monrupino e Duino-Aurisina).
  Tra i secondi, si devono ricordare i numerosi trattati di cooperazione transfrontaliera, quello relativo alla cosiddetta iniziativa centro-europea e quelli in campo militare, oltre che il trattato di adesione della Slovenia all'Unione europea che ha confermato l'inviolabilità dell'esistente confine con l'Italia, e gli accordi successivi recanti l'ammissione della Slovenia stessa nella zona euro e nell'area Schengen. Va ricordato infine il recente trattato di adesione all'Unione europea della Croazia, la quale esercita la propria sovranità su di una parte consistente della ex zona B, trattato avente effetto dal 1o luglio 2013, e che sanziona ancora una volta la scomparsa o meglio la non nascita del territorio libero e contestualmente definisce i confini tra Slovenia e Croazia.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   REALACCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sulla spinta di un pesante rincaro dei carburanti ma anche di una crescente sensibilità ai temi dell'ambiente e del progressivo aumento delle piste ciclabili, il ricorso alla bicicletta, la propria o una di quelle disponibili tramite i servizi di bike-sharing, si sta sviluppando anche quale valido mezzo di trasporto per coprire il «tragitto casa-luogo di lavoro»;
   il crescente uso della bicicletta si contrappone poi a strade sempre più caotiche e trafficate con gravi pericoli per i ciclisti;
   da un recente articolo di Antonio Cianciullo pubblicato su La Repubblica il 24 aprile 2013, si evince che dai dati del 2012 si conferma la tendenza a un ritorno alle due ruote. E non si tratta di acquisti solo per la passeggiata salutista domenicale, bensì un numero crescente di persone sceglie la bici come mezzo di trasporto;
   a questo proposito, anche attraverso un'efficace azione di sensibilizzazione e di tutela per quanti scelgono la bicicletta per recarsi a lavoro promossa dalla FIAB-Federazione italiana amici della bicicletta, l'Inail si è pronunciato nel senso di ritenere che, ai fini dell’«indennizzabilità» dell'infortunio in itinere, l'indagine sul carattere di necessità d'uso della bici sia valida in mancanza di altro mezzo utile e/o solamente nei casi di evento lesivo avvenuto su strade aperte al traffico di veicoli a motore. Perciò vanno quindi tenuti distinti gli incidenti occorsi su piste ciclabili o zone interdette al traffico o misti;
   la bicicletta è come detto un mezzo di trasporto al quale ricorre un numero sempre crescente di cittadini per i trasporti urbani anche come proposta di mobilità sostenibile nelle città. Inoltre, non si dimentichi come il ciclo turismo stia diventando un tipo di vacanza sempre più diffusa tra gli italiani;
   una rete di piste ciclabili estesa, percorsi davvero protetti, segnaletica ad hoc, ciclo-parcheggi sono peraltro presupposti indispensabili per favorire la mobilità in bicicletta, insieme ad un'adeguata politica di sensibilizzazione all'uso di questo mezzo di trasporto;
   il consiglio comunale di Bologna, città importante e in cui l'uso della bicicletta è ampiamente diffuso, ha approvato all'unanimità, già nel 2012, un ordine del giorno a sostegno della campagna FIAB per una copertura INAIL completa anche in presenza di possibile utilizzo di altro mezzo;
   l'interrogante ha presentato un analogo atto di sindacato ispettivo (n. 4-14623) anche nella XVI legislatura a cui non è stata data, nonostante i solleciti, alcuna risposta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione e non ritenga utile, tramite una circolare ministeriale, dare seguito alla petizione popolare promossa dalla FIAB in cui viene chiesto che l'infortunio occorso al lavoratore che si reca a lavoro in bicicletta sia sempre riconosciuto a prescindere dal luogo in cui esso accade o dalla necessità della bicicletta come solo mezzo di trasporto per recarsi dalla propria abitazione al luogo di lavoro.
(4-00311)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede che l'infortunio occorso al lavoratore che si reca al lavoro in bicicletta sia sempre riconosciuto, a prescindere dalla necessità dell'uso del mezzo privato e del luogo in cui esso accade, si rappresenta quanto segue.
  L'attuale disciplina in materia di infortunio in itinere è contenuta nell'articolo 12 del decreto legislativo n. 38 del 2000 che, recependo i princìpi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, stabilisce i criteri in presenza dei quali opera l'assicurazione infortunistica.
  Al riguardo, elemento necessario è che l'infortunio si sia verificato durante il normale tragitto che collega il luogo di abitazione da quello di lavoro, percorso a piedi o con mezzo pubblico di trasporto. La copertura assicurativa è altresì garantita anche nei casi di utilizzo di un mezzo di trasporto privato purché «necessitato», mentre è esclusa nel caso di deviazioni o interruzioni dal normale tragitto non necessitate.
  Nel silenzio del legislatore, la giurisprudenza recente (da ultimo Consiglio di Stato. Adunanza generale, parere 22 febbraio 2011, n. 808) ha interpretato il concetto della «necessità» del mezzo privato secondo un criterio di «ragionevolezza», intendendo con ciò far riferimento non solo alle esigenze organizzative dell'attività lavorativa, ma altresì alle esigenze di vita familiare del lavoratore.
  L'articolo 12 del citato decreto, inoltre, pur non facendo espresso riferimento alla bicicletta, non subordina l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere all'utilizzo di particolari mezzi di trasporto.
  Sulla base di tali premesse, con riferimento all'indennizzabilità degli infortuni «in itinere» occorsi utilizzando la bicicletta, l'INAIL ha impartito istruzioni nel senso di ritenere che l'uso necessitato della bicicletta, per assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto o per la non percorribilità a piedi del tragitto (considerata la distanza tra l'abitazione e il luogo di lavoro), costituisca discrimine ai fini dell'indennizzabilità soltanto quando l'evento lesivo si verifichi nel percorrere una strada aperta al traffico di veicoli a motore e non invece quando tale evento si verifichi su pista ciclabile o zona interdetta al traffico.
  Infatti, nell'ipotesi in cui il lavoratore affronti il traffico veicolare a bordo del mezzo di trasporto privato esponendosi, per sua libera scelta, ad un rischio maggiore rispetto a quello gravante sugli utenti dei mezzi pubblici di trasporto (cosiddetto rischio elettivo), occorrerà, ai fini dell'indennizzabilità dell'evento lesivo, verificare la necessarietà dell'utilizzo del mezzo suddetto.
  Viceversa, nell'ipotesi in cui il lavoratore non si esponga al suddetto rischio, aggravato dalla scelta del mezzo di trasporto privato, percorrendo una pista ciclabile e/o un percorso protetto ed interdetto al traffico dei veicoli a motore, l'eventuale infortunio occorso su tale tragitto dovrà essere indennizzato a prescindere dalla valutazione della necessarietà del mezzo stesso.
  Sulla base di tali considerazioni, si fa presente che la legislazione vigente in materia non consente, al di fuori dei limiti descritti, di estendere ulteriormente, per via interpretativa, la tutela degli eventi occorsi in itinere.
  Conclusivamente, si osserva che le istanze avanzate dalla FIAB (Federazioni italiana amici della bicicletta) potrebbero trovare accoglimento solo a condizione di introdurre modifiche normative invero difficilmente compatibili con l'attuale assetto sistematico della materia.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge istitutiva dei Centri di identificazione ed espulsione, varata durante l'ultimo Governo Berlusconi, allunga a 18 mesi i tempi di permanenza. Già nel corso della sua visita in Italia, il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Muiznieks, ha denunciato queste strutture come «violazione dei diritti umani»;
   anche l'Unione europea proprio in questi giorni ha criticato fortemente il nostro Paese sulle condizioni dei nostri Centri di identificazione ed espulsione e delle nostre prigioni;
   il centro situato in Gradisca d'Isonzo è in fase di ristrutturazione, ergo anche il personale ospitato è numericamente inferiore rispetto al solito a causa della ristrettezza dello spazio disponibile;
   le difficoltà legate all'identificazione dei soggetti sono dovute anche ad un atteggiamento di lasseiz faire da parte di alcune ambasciate dei Paesi del Maghreb in particolare di quella marocchina, etnia che vede un numero copioso di ospiti presso il centro di identificazione ed espulsione, con conseguente allungamento dei tempi di detenzione e di esborso di risorse da parte dell'amministrazione dell'Interno;
   vi sono 13 richieste di rinvio a giudizio nell'inchiesta giudiziaria sugli appalti al Cie e al Cara che vedono tra gli altri Giuseppe Scozzari presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del consiglio di amministrazione, Vittorio Isoldi direttore della Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce dal 2008 i due centri immigrati, i quali devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e a inadempienze di pubbliche forniture. La gestione dello stesso Cie è stata data in appalto ad un'associazione esterna con conseguenti costi per la pubblica amministrazione –:
   se sia intenzione di codesto Governo sottoscrivere un Protocollo d'intesa con il Regno del Marocco al fine di sviluppare maggiore cooperazione nell'ambito dell'identificazione degli ospiti dei CIE;
   se sia intenzione di codesto Esecutivo valutare con urgenza la possibilità di revocare l'appalto vinto dall'Associazione Connecting people e di affidare le attività che ne sono oggetto al personale militare di stanza presso la Caserma «Ugo Polonio» al fine di evitare qualsiasi intromissione sino a pronunzia definitiva da parte della Magistratura a tutti i livelli.
(4-00825)

  Risposta. — Il Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo, la cui disponibilità è di 248 posti, dal febbraio 2011 opera con una capienza di circa 70 posti, a causa dei lavori di ristrutturazione in corso. Secondo i dati forniti dal dipartimento della pubblica sicurezza, aggiornati al 27 giugno scorso, i cittadini stranieri transitati nel centro nel 2013 sono stati 114, il 72 per cento dei quali è stato rimpatriato, mentre è del 6 per cento la percentuale di coloro che, al termine del trattenimento, sono stati dimessi perché non identificati.
  Sia il Centro di identificazione ed espulsione che il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Gradisca sono attualmente gestiti dal consorzio Connecting people, a seguito di un contenzioso giudiziario con la società che originariamente si era classificata prima nell'ultima gara di appalto. La locale procura della Repubblica ha svolto indagini nei confronti di alcuni amministratori del consorzio per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e di frode nelle pubbliche forniture. A conclusione delle indagini istruttorie, l'udienza preliminare davanti al Gip è stata aggiornata al prossimo 22 ottobre. La vicenda è seguita con la massima attenzione da questa Amministrazione. Al momento, la prefettura di Gorizia ha già provveduto a saldare tutte le competenze relative a entrambi i centri, fino al mese di febbraio 2013, ed è in attesa di ricevere i fondi per i mesi successivi, con i quali si potrà provvedere anche al pagamento diretto dei lavoratori dell'ente gestore. È inoltre in corso la registrazione della convenzione con il consorzio, all'esito della quale si provvederà agli ulteriori accreditamenti alla prefettura per il pagamento delle somme dovute al gestore per il servizio di accoglienza.
  Per ciò che riguarda le condizioni della struttura, si precisa che i lavori di ristrutturazione da tempo in corso si sono resi necessari in seguito agli incendi appiccati nel 2011 dagli stessi stranieri; tali interventi riguardano anche i locali mensa, che pertanto saranno ripristinati solo una volta completati i lavori. Il Centro di identificazione ed espulsione presenta misure di sicurezza passiva necessarie soprattutto a garantire l'incolumità degli operatori dell'ente gestore, nonché del personale militare e di polizia in servizio presso il centro. Tali sistemi di protezione hanno inoltre il fine di evitare che gli ospiti possano accedere facilmente al tetto della struttura e di scongiurare la formazione di gruppi numerosi che possano mettere in difficoltà il personale di vigilanza. Ogni iniziativa intrapresa per lo svolgimento di attività ricreative all'interno del centro è stata vanificata dalla protesta degli stranieri. In occasione di precedenti rivolte è stato disposto, in via precauzionale, il divieto di utilizzare i cellulari; in ogni caso, per comunicare con l'esterno è stato sempre possibile utilizzare i telefoni fissi installati nella struttura.
  Con particolare riferimento al prolungamento dei tempi di permanenza, si assicura che il trattenimento nei Centro di identificazione ed espulsione prosegue oltre il sesto mese, e fino alla durata massima di diciotto mesi, soltanto qualora – nonostante ogni ragionevole sforzo – non sia stato possibile effettuare l'allontanamento a causa della mancata cooperazione dello straniero, oppure nel caso di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione da parte del paese d'origine o di destinazione. Se, invece, la persona trattenuta collabora, la presenza nel Centro di identificazione ed espulsione è generalmente di breve durata. L'efficacia della misura è dimostrata, peraltro, dal fatto che nei primi sei mesi del 2013 risulta esigua (poco più del 6 per cento) la percentuale degli stranieri dimessi alla scadenza dei termini a causa della mancata identificazione.
  In ogni caso, si assicura che l'accoglienza e l'identificazione nei centri per l'immigrazione avvengono sempre nel pieno rispetto dei diritti e della dignità degli stranieri che entrano nel nostro paese. Peraltro, da quest'anno, una commissione mista svolge puntuali verifiche in tutti i centri governativi per l'immigrazione – compresi quindi Centro di identificazione ed espulsione, Centri di accoglienza per richiedenti asilo e Centri di accoglienza – proprio per valutare gli standard di accoglienza. Infatti, la commissione composta dalla prefettura di Gorizia, dalla questura e dalle organizzazioni umanitarie (Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, Croce Rossa Italiana, Organizzazione internazionale delle migrazioni) ha effettuato due visite nel Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo: il 12 aprile e il 12 luglio 2013.
  Più in generale, al di là delle specifiche condizioni di questo centro, le criticità recentemente riscontrate nella gestione dei Centro di identificazione ed espulsione hanno rivelato l'esigenza di rivedere alcune modalità del loro funzionamento, al fine di assicurare migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza, sia per gli ospiti che per gli operatori. Sotto il profilo amministrativo, compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico, affinché i centri per l'immigrazione siano gestiti con la massima trasparenza ed efficienza, nel pieno rispetto delle condizioni igienico-sanitarie. Ulteriori iniziative – come il rafforzamento dell'attività di identificazione espletata già in carcere nei confronti dei cittadini stranieri che giungono nei Centro di identificazione ed espulsione dopo un periodo di detenzione – potranno essere attentamente valutate con le altre amministrazioni coinvolte. Eventuali percorsi normativi, invece, dovranno essere esaminati in sede parlamentare.
  Per quanto concerne la cooperazione con le autorità diplomatiche del Marocco in tema di immigrazione, si fa presente che, negli anni dal 1987 al 2003, i due Paesi hanno sottoscritto diversi accordi bilaterali, che rappresentano strumenti indispensabili per una gestione efficace dei flussi migratori verso l'Italia. In particolare, sono state firmate le seguenti intese: un accordo per la cooperazione nella lotta contro il terrorismo, la criminalità organizzata e il traffico di droga (16 gennaio 1987), con il relativo protocollo aggiuntivo (16 dicembre 1996); un accordo sul riaccompagnamento al confine e sul transito in vista dell'allontanamento dei cittadini marocchini (27 luglio 1998), con il relativo protocollo addizionale (18 giugno 1999); un Protocollo bilaterale sulle consultazioni politiche rafforzate (2 aprile 2000); un protocollo bilaterale per lo sviluppo della cooperazione in materia di formazione e addestramento (21 gennaio 2003), in attuazione del quale, nello stesso anno, è stato realizzato il gemellaggio tra l'istituto reale di polizia di Kenitra e l'istituto superiore di polizia di Roma; un Protocollo di collaborazione tra il consolato del Marocco di Torino e la Prefettura e il comune del capoluogo piemontese, per agevolare il rimpatrio assistito di minori marocchini vittime di sfruttamento (19 giugno 2003).
  La negoziazione di qualsiasi ulteriore intesa sullo stesso tema tra l'Italia e il Paese magrebino era stata interrotta a partire dal 2003, quando erano stati avviati i negoziati per un accordo di riammissione tra l'Unione europea e il Marocco. Successivamente, il 7 giugno scorso, a margine del Consiglio giustizia e affari interni dell'Unione europea (Gai), è stato sottoscritto un accordo di partenariato UE-Marocco per la gestione dei flussi migratori, con l'adesione dei ministri responsabili per la migrazione di alcuni stati membri, tra i quali figura anche l'Italia. Il Marocco è dunque il primo Paese della sponda meridionale del Mediterraneo con il quale l'Europa si è impegnata ad avviare una cooperazione strutturale in materia di migrazione, mobilità e sicurezza. Oltre a stabilire una serie di obiettivi politici – tra cui l'intensificazione della collaborazione nella lotta contro le reti di traffico di migranti e la tratta di esseri umani e per il supporto alle vittime – l'accordo prevede anche la ripresa dei negoziati al fine di stabilire un accordo sulla riammissione dei migranti irregolari.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   ROSATO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013), all'articolo 1, comma 388, ha modificato il termine di scadenza dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato approvate successivamente al 30 settembre 2012;
   il termine del 30 dicembre 2012 (disposto dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 – Proroga di termini previsti da disposizioni legislative) viene quindi prorogato al 30 giugno 2013. La proroga riguarda l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, compresa la Presidenza del Consiglio;
   con sentenza n. 6560 del 20 dicembre 2012, il Consiglio di Stato, pur ribadendo, ai fini del reclutamento, un generale favore dell'ordinamento per l'utilizzazione della graduatoria degli idonei in considerazione della finalità di contenimento della spesa pubblica ad esso sottesa, non ha escluso la possibilità di attivare nuovi concorsi pubblici qualora, in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico, ciò venga ritenuto necessario dall'amministrazione, a condizione che la decisione assunta sia adeguatamente motivata –:
   quali siano le amministrazioni pubbliche interessate dalla norma che proroga la validità dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato;
   se tra le amministrazioni pubbliche interessate dalla norma vi sia, in particolare, anche il settore delle polizie locali.
(4-00331)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame con cui l'interrogante sottopone all'attenzione del Governo la questione afferente la scadenza del termine di validità delle graduatorie di concorsi pubblici.
  Com’è noto, l'articolo 1, comma 388, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) fissa al 30 giugno 2013 il termine di scadenza dei termini e dei regimi giuridici indicati nella tabella 2 allegata alla predetta legge, tra cui è ricompreso il termine relativo all'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, approvate successivamente al 30 settembre 2003.
  Il successivo comma 394 dello stesso articolo 1 della legge n. 228 del 2012 prevede che «Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può essere disposta l'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2013 del termine del 30 giugno 2013 di cui ai commi da 388 a 393».
  Ciò premesso si segnala che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2013, firmato per delega dal Ministro per la pubblica amministrazione e semplificazione, è stata disposta la proroga del termine di vigenza delle predette graduatorie fino al 31 dicembre 2013.
  Il provvedimento, su cui è stato acquisito il concerto del Ministro dell'economia e delle finanze, è attualmente al vaglio dei competenti organi di controllo.
  Sulla base di quanto previsto dal citato decreto, il dipartimento della funzione pubblica procederà, poi, nell'attività istruttoria di valutazione delle richieste assunzionali pervenute dalle varie amministrazioni.
  Al riguardo va, tuttavia, evidenziato che tali assunzioni dovranno subordinarsi alla verifica della effettiva disponibilità di posti in organico presso le stesse amministrazioni richiedenti, attesi gli effetti delle disposizioni di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012 in materia di riduzione delle piante organiche.
  Nei casi di eccedenza di personale, infatti, le amministrazioni non potranno procedere ad assunzioni in «soprannumero», in quanto le stesse, com’è noto, sono consentite solo in presenza di posti disponibili nella relativa dotazione organica, fatte salve specifiche deroghe espressamente previste dalla legge.
  Per quanto riguarda la platea delle amministrazioni pubbliche destinatarie delle disposizioni concernenti la proroga delle graduatorie concorsuali a tempo indeterminato si precisa che la disposizione si rivolge esclusivamente «alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni» trovando proprio nella predetta limitazione, che di fatto rende non utilizzabile le graduatorie, la giustificazione di una deroga al regime ordinario.
  Le amministrazioni soggette a limitazioni delle assunzioni sono pressoché tutte, ovvero: le amministrazioni dello Stato, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, tutte le agenzie, le regioni, le province, i comuni, le università, le camere di commercio, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, compresi gli enti di ricerca. Le stesse amministrazioni sono, pertanto, destinatarie delle disposizioni relative alla proroga delle graduatorie concorsuali.
  Sulla base di quanto sinora dedotto, rientrando la polizia locale tra le amministrazioni soggette a limitazioni delle assunzioni ne discende l'applicazione alla stessa delle medesime disposizioni sulla proroga delle graduatorie concorsuali.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale crisi economica, derivante dalla problematica dell'eccessivo peso dei debiti sovrani, impone certamente attenzione nella gestione dei conti pubblici al fine di non incrementare il deficit, ma non deve far smarrite, nel contempo, il criterio dell'equità sociale, tantomeno se il suo venir meno può recare pregiudizio non soltanto all'ordinato vivere civile ma alla vita stessa delle persone;
   il giorno 4 aprile 2013, intorno alle ore 20, a quanto si evince dall'articolo tratto dal sito Giornalettismo.it e riportato in allegato alla presente interrogazione in copia fotostatica, a causa di gravi difficoltà economiche si sono tolti la vita Romeo Dionisi, di 62 anni, e sua moglie Annamaria Sopranzi, di 68 anni;
   il fatto è avvenuto a Civitanova Marche, dove la coppia viveva e dove sono stati ritrovati in uno sgabuzzino con una corda stretta al collo;
   il particolare che colpisce maggiormente è l'estrema dignità della coppia, che ha deciso di dar luogo all'estremo gesto con abiti eleganti, a testimonianza del decoro cui marito e moglie, neppure in punto di morte, erano disposti a rinunciare;
   a ciò che sembra, infatti, il motivo del suicidio sarebbe dovuto al fatto che Romeo Dionisi, a quanto risulta da un articolo tratto da Il Messaggero.it e riportato in allegato, pur senza lavoro, si sarebbe trovato ad avere un debito consistente con l'Inps che, per sanare, l'aveva portato ad aprire ulteriori debiti con banche e finanziarie;
   il suddetto debito sarebbe stato contratto, nello specifico per pagare i contributi previdenziali arretrati;
   il fratello di Annamaria Sopranzi, Giuseppe di 72, sconvolto per il gesto della famiglia presso la quale abitava, si è suicidato poco dopo aver appreso la notizia gettandosi in mare e respingendo il salvagente che gli era stato gettato;
   ciò che rappresenta un fatto di estrema gravità, è che parte della popolazione ritenga responsabile moralmente di quanto avvenuto lo Stato nel suo complesso;
   è doveroso riportare al centro del dibattito parlamentare, per quanto sopra esposto, le situazioni in cui i cittadini toccano condizioni di estrema difficoltà dal punto di vista economico, specie se queste sono causate alla necessità di corrispondere cifre talvolta ingenti alle Pubbliche Amministrazioni –:
   quali siano le iniziative che il Governo intenda adottare per evitare il ripetersi di tragedie come quelle accadute a Civitanova Marche;
   se siano attualmente previsti appositi strumenti normativi per i cittadini che, svolgendo un'attività autonoma, si trovano in difficoltà economiche comprovate e non possono effettuare regolarmente i versamenti contributivi come nel caso esposto in premessa. (4-00225)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, facendo riferimento ad un tragico evento di cronaca avvenuto a Civitanova Marche, chiede se vi siano appositi strumenti normativi di tutela dei lavoratori autonomi che, per le difficoltà economiche in cui si trovano, non possono effettuare regolarmente i versamenti contributivi.
  In premessa, si informa che il signor Romeo Dionisi svolgeva attività edile in forma autonoma e risultava essere debitore nei confronti dell'INPS, per omessi versamenti contributivi, di un importo pari a 8.207,42 euro, quale quota residuale di un debito più elevato conseguente al mancato versamento alle scadenze della contribuzione corrente per lo svolgimento della sua attività, con riferimento alla quarta rata dell'anno 2008 fino a tutto il 2012. Il debito del signor Dionisi si trovava nella fase cosiddetta amministrativa, non essendo ancora iscritto a ruolo.
  In relazione a tali situazioni, la normativa attualmente in vigore consente ai lavoratori autonomi, al pari di tutti gli altri soggetti tenuti alla contribuzione obbligatoria, di richiedere, in caso di difficoltà nel pagamento dei contributi, la rateizzazione dei debiti contributivi.
  L'accoglimento della domanda di dilazione proposta dal debitore permette di interrompere la maturazione delle sanzioni civili dalla data della domanda e di ottenere il riconoscimento della regolarità contributiva (rilascio del DURC).
  La domanda può essere presentata direttamente all'ente previdenziale impositore fino a che il debito contributivo non sia stato iscritto a ruolo.
  Il pagamento dilazionato può essere concesso fino ad un massimo di 24 mensilità con la possibilità di un prolungamento fino a 36 rate, autorizzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Inoltre, per particolari specifici casi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può concedere con decreto il pagamento dilazionato fino a 60 mensilità.
  Anche con riferimento ai debiti iscritti a ruolo, il debitore può richiedere all'agente della riscossione la concessione, in caso di temporanea situazione di obiettiva difficoltà, della ripartizione del pagamento fino ad un massimo di 72 rate e ciò anche in caso di mancato rispetto del piano di ammortamento accordato in via amministrativa dall'INPS.
  Inoltre, nei casi di comprovato peggioramento della situazione di difficoltà del contribuente, è possibile richiedere una proroga di massimo ulteriori 6 anni delle rateazioni già concesse. La proroga può essere richiesta una volta sola e può prevedere, su richiesta del contribuente, rate di importo variabile e crescente per ciascun anno, anziché un piano a rate costanti.
  Va, infine, ricordato che l'istituto previdenziale nell'attività di imposizione dei contributi previdenziali agisce in ottemperanza a precise disposizioni di legge e che non dispone di poteri derogatori in ordine alle ipotesi e alle modalità di rateizzazione del debito contributivo in relazione alla situazione individuale del contribuente.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   TARICCO, OLIVERIO, ZANIN, DAL MORO, CARRA, CENNI, MONGIELLO, VENITTELLI, VALIANTE e ANTEZZA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la farraginosità del sistema burocratico rappresenta una delle cause principali dello svantaggio competitivo del nostro paese nel contesto europeo e nell'intera area OCSE, generando costi ormai insostenibili per le imprese;
   in particolare, si stima che in Italia un'azienda agricola debba dedicare mediamente cento giorni l'anno agli adempimenti burocratici e che ciò comporti un costo complessivo a livello nazionale di circa 3 miliardi di euro l'anno;
   per affrontare e risolvere le criticità determinate dal sovraccarico burocratico, il Governo Monti ha introdotto numerose norme in tema di semplificazione, tra cui il decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
   un aspetto cruciale viene affrontato dall'articolo 14 del suddetto decreto che reca «Semplificazione dei controlli sulle imprese» e, al comma 1, afferma che «la disciplina dei controlli sulle imprese, comprese le aziende agricole, è ispirata... ai principi della semplicità, della proporzionalità dei controlli stessi e dei relativi adempimenti burocratici alla effettiva tutela del rischio, nonché del coordinamento dell'azione svolta dalle amministrazioni statali, regionali e locali»;
   inoltre, l'articolo 25 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (cosiddetto decreto trasparenza), che ha soppresso e contemporaneamente ampliato inserendo in un contesto organico, le disposizioni prima recate dal comma 2 dell'articolo 14, prevede che «Le pubbliche amministrazioni, in modo dettagliato e facilmente comprensibile, pubblicano sul proprio sito istituzionale e sul sito: www.impresainungiorno.gov.it:
    a) l'elenco delle tipologie di controllo a cui sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore di attività, indicando per ciascuna di esse i criteri e le relative modalità di svolgimento;
    b) l'elenco degli obblighi e degli adempimenti oggetto delle attività di controllo che le imprese sono tenute a rispettare per ottemperare alle disposizioni normative»;
   ad oggi risulta che soltanto il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali abbia parzialmente adempiuto a tale prescrizione;
   infine, in base al comma 3 dell'articolo 14 «il Governo è autorizzato ad adottare ... uno o più regolamenti ... volti a razionalizzare, semplificare e coordinare i controlli sulle imprese»;
   ad oggi, però, non risulta emanato dal Governo alcun regolamento che dia finalmente l'avvio ad un percorso di semplificazione dei controlli sulle imprese assolutamente ineludibile se si vuole, come si dice nel testo stesso del decreto, «promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese e assicurare la migliore tutela degli interessi pubblici»;
   di contro, in attuazione del comma 5 del decreto, il Governo, le regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali hanno siglato, nella Conferenza unificata del 24 gennaio 2013, l'intesa sulle linee guida in materia di controlli;
   tali linee guida definiscono in modo dettagliato i principi, le finalità e le metodologie da applicare per conseguire l'obiettivo prioritario di un consistente snellimento burocratico nel sistema di controlli sulle imprese, ma in assenza della cornice giuridica nazionale dei regolamenti –:
   a che punto sia l'attuazione delle procedure di trasparenza da parte delle pubbliche amministrazioni, previste dall'articolo 25 del cosiddetto decreto semplificazione di marzo 2013, che rappresentano un passaggio essenziale per raggiungere l'obiettivo di una effettiva semplificazione dei controlli sulle imprese;
   a che punto sia il processo di semplificazione avviato con vari provvedimenti dal Governo Monti e, in particolare, l'attuazione dell'articolo 14 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, in relazione soprattutto all'emanazione dei regolamenti;
   se le imprese agricole siano coinvolte a pieno titolo nel processo di semplificazione dei controlli sulle imprese delineato dal citato articolo 14. (4-00931)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede chiarimenti in merito all'attuazione delle procedure di trasparenza da parte delle pubbliche amministrazioni, previste dall'articolo 25 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
  Chiede, inoltre, se le imprese agricole siano state coinvolte nel processo di semplificazione dei controlli delineato dall'articolo 14 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5.
  Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
  Com’è noto, l'articolo 14 del decreto-legge n. 5 del 2012 prevede che il Governo adotti, anche sulla base delle attività di misurazione degli oneri amministrativi, uno o più regolamenti volti a razionalizzare, semplificare e coordinare i controlli sulle imprese. La norma, al comma 4 stabilisce i princìpi e i criteri direttivi per l'adozione di tali provvedimenti: a) proporzionalità dei controlli e degli adempimenti amministrativi connessi al rischio dell'attività controllata, nonché alle esigenze di tutela degli interessi pubblici; b) eliminazione di attività di controllo non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici: c) coordinamento e programmazione dei controlli da parte delle amministrazioni assicurando la tutela dell'interesse pubblico e recando al contempo il minore intralcio al normale esercizio delle attività dell'impresa; d) collaborazione con i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità; e) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure amministrative, secondo la disciplina del decreto legislativo 7 marzo 2005. n. 82 (codice dell'amministrazione digitale); f) razionalizzazione, anche mediante la riduzione o l'eliminazione di controlli sulle imprese.
  L'articolo 14 esclude, al comma 6, l'adozione di regolamenti finalizzati alla semplificazione dei controlli in ambito fiscale, finanziario, della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, per i quali continuano a trovare applicazione le disposizioni previste dalle leggi in materia.
  Sulla base dell'attuale assetto costituzionale di riparto di competenze legislative, lo Stato può esercitare la potestà regolamentare solo nelle materie di competenza esclusiva; mentre per quelle concorrenti diviene imprescindibile, per l'efficacia della riforma dei controlli, l'adozione di principi condivisi tra Stato, regioni e autonomie locali. In tal senso, il comma 5 dell'articolo 14 prevede che le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali conformino le attività di controllo di loro competenza ai principi sopra richiamati. Inoltre, si stabilisce che entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto, siano adottate apposite linee guida mediante intesa in sede di Conferenza unificata.
  Il Dipartimento della funzione pubblica ha avviato, fin dal marzo 2012, il percorso di attuazione dell'articolo 14 attraverso un'intensa attività istruttoria, finalizzata all'elaborazione delle linee guida e, successivamente, dei regolamenti.
  È stata condotta una preliminare ricognizione tesa ad individuare principi guida e orientamenti raccomandati in ambito internazionale, nonché best practices. In particolare, attraverso l'analisi di documenti delle organizzazioni internazionali e delle esperienze concrete di singoli Stati, sono stati analizzati i fattori comuni che hanno guidato le riforme dei controlli. Sono state, inoltre, realizzate in collaborazione con l'Istat attività di misurazione, utilizzando la metodologia standard cost model, attraverso due indagini campionarie (una per imprese con numero di addetti tra 5 e 10 e l'altra per imprese con un numero di addetti tra i 5 e 249); tali indagini hanno consentito di rilevare alcuni dei principali problemi legati all'attuazione dei controlli, tra cui primo fra tutti, l'assenza di proporzionalità del rischio.
  A seguito di tale ricognizione, il 24 gennaio 2013 è stata sancita l'intesa in Conferenza unificata sulle linee guida in materia di controlli. Tali linee sono state elaborate mediante il confronto tecnico tra i diversi livelli istituzionali anche con il coinvolgimento delle organizzazioni delle associazioni imprenditoriali. Le stesse sono state adottate nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi fissati dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, quali proporzionalità, coordinamento e programmazione, collaborazione, razionalizzazione e informatizzazione. L'applicazione di tali principi consente di semplificare i controlli in una prospettiva di maggiore efficacia ed efficienza poiché permette, da un lato, di eliminare tutte le attività di controllo non necessarie alla tutela degli interessi pubblici perseguiti; dall'altro di eliminare o ridurre le duplicazioni e le sovrapposizioni che recano ingiustificati intralci al normale esercizio delle attività dell'impresa.
  Nelle linee guida vengono fissati i principi e i criteri a carattere generale in base ai quali condurre l'attività di controllo (chiarezza della regolazione, proporzionalità al rischio, coordinamento delle attività di controllo, approccio collaborativo del personale, formazione e aggiornamento del personale). Ogni principio e criterio è, poi, affiancato da indicazioni di strumenti operativi e/o percorsi metodologici utili alla loro concreta attuazione.
  Con riferimento, invece, agli obblighi di informazione in materia di controlli, le previsioni dell'articolo 14, contenute originariamente nel comma 2, sono state inserite tra gli obblighi di trasparenza dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 33 del 2013; ciò al fine di assicurare una maggiore cogenza a tali disposizioni, alle quali oggi si estendono le sanzioni previste dal decreto legislativo n. 33 del 2013.
  Una chiara definizione della normativa e l'agevole reperimento degli obblighi e dei relativi adempimenti imposti costituisce, infatti, il presupposto indispensabile per consentire e favorire il loro rispetto da parte dei destinatari. Si tratta di un'attività complessa che obbliga le amministrazioni ad effettuare un preliminare censimento delle procedure di controllo da inserire, successivamente, nel sito istituzionale. La prima amministrazione ad aver effettuato questo censimento, per i controlli di propria competenza, è il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (cfr. pagina web http://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/5580).
  Infine, si segnala l'intenzione di proseguire, in raccordo con le amministrazioni competenti, l'attività di predisposizione dei regolamenti delegificanti in materia di controlli, con riferimento in particolare ai settori lavoro (per la parte di previdenza) e ambiente.
  Si ricorda che, per quanto riguarda la prevenzione incendi, è già stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n. 151, che ha disciplinato i controlli sulla base del principio di proporzionalità al rischio: le attività sottoposte a controlli vengono, infatti, diversificate in relazione alla dimensione, al settore in cui opera l'impresa e all'affettiva esigenza di tutela degli interessi pubblici.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che, a livello nazionale, dal 2010 ad oggi, sarebbero stati arruolati tra le fila dei medici esterni dell'INPS, un totale di 798 unità e, più specificamente, 310 unità nel febbraio 2010 e 488 nell'agosto dello stesso anno;
   tale arruolamento ha consentito un rilevante incremento dell'operatività, sia in termini di smaltimento del lavoro pregresso, sia in termini di aumento della produttività e della semplificazione del lavoro, soprattutto per ciò che attiene l'attività dei centri medico legali INPS ed il cosiddetto progetto relativo alla «invalidità civile»;
   in particolare, per ciò che riguarda quest'ultima, l'arruolamento delle suddette unità di medici esterni ha consentito la continuità del servizio e l'espletamento di un importante arretrato di lavoro attraverso numerose «visite straordinarie»;
   nonostante i medici esterni INPS svolgano una libera professione con compenso orario, si è realizzata negli anni una sostanziale continuità contrattuale che ha fatto prefigurare la possibilità di una stabilizzazione, anche poiché ai medesimi medici viene abitualmente assegnato un badge, un numero di matricola ed una password d'accesso ai vari programmi di procedura relativi a tutte le alte funzioni di competenza della pubblica amministrazione;
   l'INPS, con plannings di lavoro settimanale firmati dai responsabili di sede, organizza solitamente i vari servizi coinvolgendo i medici nelle varie unità operative interne ed esterne in qualità di consulenti di parte per l'istituto e nell'ambito delle Commissioni mediche integrate ASL in materia di: invalidità civile, permessi retribuiti ex legge 104/92, collocamento obbligatorio al lavoro delle categorie di disabili ex legge n. 68 del 1999;
   l'ultimo bando dell'Istituto nazionale della previdenza sociale per il convenzionamento con 988 medici esterni specialisti del 30 aprile 2013 stabilisce che i medici già operativi presso un centro medico legale INPS dal 2010 al 2013 non potranno essere confermati nella stessa sede;
   l'adozione di tale vincolo risulta all'interrogante essere incomprensibile, oltre che fortemente penalizzante per i medici attualmente convenzionati, in quanto preclude il convenzionamento proprio a quei professionisti che conoscono il territorio e l'utenza e che con quest'ultima hanno creato quegli stabili rapporti e quelle collaborazioni interpersonali che costituiscono la garanzia per il mantenimento di alti standard di servizio;
   il bando in parola introduce, pertanto, una formale e sostanziale diversità di trattamento tra i medici esterni e quelli interni alla struttura INPS, i quali ultimi non sono infatti sottoposti ad alcun vincolo di sede e nessun obbligo di rotazione di sede;
   nonostante il mancato rinnovo della convenzione nei primi mesi del 2013, i medici esterni hanno sempre garantito, con grande responsabilità ed abnegazione, la continuità del servizio, pur operando talvolta senza contratto e senza retribuzione, ovvero con retribuzioni erogate in ritardo;
   il bando sopra richiamato presenta un ulteriore criticità in quanto estende la selezione dei medici anche a quelli in quiescenza (titolari di trattamento pensionistico), provocando un deleterio effetto ai fini del mancato arruolamento di giovani professionisti –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere per correggere le criticità sopra menzionate presenti nel bando di convenzionamento di 988 medici esterni INPS del 30 aprile 2013, in particolare attinenti all'obbligo della rotazione di sede per i soli medici esterni. (4-00472)

  Risposta. — L'interrogazione in esame concerne la procedura selettiva bandita dall'Inps, con determina presidenziale n. 108 del 24 aprile 2013 e con scadenza 15 maggio 2013, per il reclutamento di 998 medici convenzionati esterni.
  Al riguardo, l'Istituto previdenziale ha chiarito che fino al 31 maggio 2013 erano operanti presso l'Istituto 708 medici esterni, in virtù di incarichi di collaborazione a tempo determinato della durata di un anno, la cui scadenza era originariamente fissata al 3 dicembre 2012.
  Tali medici erano adibiti all'espletamento dei compiti demandati all'istituto dall'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009 (accertamenti sanitari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità), dall'articolo 10, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010 (verifiche straordinarie per il triennio 2010-2012 della permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile), dall'articolo 38 del decreto-legge n. 98 del 2011 (accertamenti medico-legali in sede di contenzioso) e dall'articolo 1, comma 109, della legge n. 228 del 2012 – legge di stabilità per il 2013 (piano straordinario di verifiche per il triennio 2013-2015) nonché degli accertamenti sanitari in materia previdenziale.
  Per adempiere ai numerosi obblighi che la normativa più recente ha posto in capo all'Inps, l'istituto si è trovato nella necessità di continuare ad avvalersi, in via del tutto eccezionale, delle collaborazioni in essere con i medici esterni fino alla data del 31 maggio 2013.
  Nel frattempo, l'Ente previdenziale, per assicurare la continuità delle attività medico-legali, ha avviato una procedura selettiva, mediante richiesta di disponibilità, per il reclutamento di 998 medici esterni, il cui numero è stato individuato sulla base di una complessiva analisi costi/benefici e di una valutazione degli adempimenti relativi alle attività medico-legali di competenza dell'istituto, anche in relazione alla consistenza dei medici dipendenti in servizio.
  In merito alla disposizione contenuta nell'avviso pubblico di selezione in virtù della quale i medici esterni che risulteranno idonei, che hanno già svolto un incarico presso una unità organizzativa territoriale dell'istituto nel corso del 2012 o del corrente anno, non potranno essere destinati nella stessa unità operativa, si sottolinea che la ratio di tale preclusione è riconducibile a ragioni di trasparenza e di rispetto del principio di rotazione nell'affidamento degli incarichi.
  In proposito, si richiamano le recenti disposizioni della legge n. 190 del 2012 recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», che hanno ribadito come, nell'affidamento di incarichi, sia necessario garantire il rispetto del principio di trasparenza e di rotazione, per prevenire e contrastare fenomeni di corruzione e illegalità.
  Inoltre, la rotazione nell'assegnazione delle sedi, è anche finalizzata a garantire una utilizzazione delle risorse efficiente ed efficace in relazione agli assetti funzionali e amministrativi e ai processi di riorganizzazione in atto nonché a favorire lo sviluppo della professionalità dei medici legali e in ultima analisi il principio di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall'articolo 97 della Costituzione.
  Da ultimo, l'istituto ha rappresentato che, al fine di evitare pregiudizio allo svolgimento delle attività di accertamento medico-legale, la Commissione incaricata di valutare le domande pervenute, nonostante il loro elevato numero, ha concluso le operazioni nel più breve tempo possibile ovvero in data 27 giugno 2013, consentendo in tal modo l'avvio dei nuovi rapporti di collaborazione a partire dal 1o luglio 2013.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   centinaia di pensionati hanno recentemente percepito, in seguito al conguaglio fiscale di marzo, una pensione dell'importo di soli due euro, con decurtazioni pertanto pari al cento per cento;
   l'episodio ha sollevato vivaci proteste e comprensibile preoccupazione tra una platea di contribuenti che appartiene ad una fascia sociale ed economica particolarmente fragile, rappresentata da anziani, spesso soli e privi di propri mezzi di mobilità, disabili, pensionati con pensione minima, eccetera;
   i due euro simbolici sono giustificati dal fatto che, altrimenti, l'INPS e l'ex INPDAP avrebbero dovuto chiudere le posizioni pensionistiche, rendendo estremamente complicata l'operazione di riapertura delle stesse in un secondo momento;
   la gravità e l'entità degli episodi sopra richiamati è tale che diversi organi di stampa nazionali e locali (La Repubblica, L'Unità, Il Messaggero, Il Tempo, Libero, La Nuova Sardegna) hanno dato vasta testimonianza alla notizia;
   la dirigenza INPDAP ha diramato sul punto una nota ufficiale, nella quale ha imputato tali episodi a errori nelle dichiarazioni dei redditi, a (presunte) sopravvenute variazioni reddituali non indicate e soprattutto a mancate richieste di rateizzazioni dei suddetti conguagli fiscali, precisando anche che era, comunque, a disposizione dell'utenza per risolvere positivamente le varie posizioni dei contribuenti;
   i pensionati lamentano, in realtà, una situazione diversa, riconducibile ad una notevole difficoltà di ricevere risposte adeguate dagli uffici preposti, nonché alla circostanza che i due enti si sono purtroppo rimandati l'uno all'altro le responsabilità dell'accaduto;
   il problema esposto nasce probabilmente dal fatto che, mentre in passato l'INPS e l'ex INPDAP, recapitavano, a inizio anno, direttamente al domicilio dei pensionati il prospetto sul «rinnovo della pensione» unitamente al Cud, dal 2013 l'INPS (anche per conto dell'ex INPDAP) deve applicare il comma 114 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ed è pertanto obbligata a usare la via telematica, con tutte le conseguenze che ciò ha comportato e comporta per un'utenza anziana con scarsa o nessuna dimestichezza con Internet;
   la novità telematica per il rilascio della certificazione fiscale non è certamente stata preceduta da una campagna informativa tale da illustrare chiaramente al cittadino le modalità messe a sua disposizione per venire in possesso della forma cartacea del CUD –:
   se non ritenga utile sospendere l'obbligo, almeno per l'anno in corso, dell'esclusivo utilizzo della via telematica per accedere al proprio CUD;
   se non ritenga opportuno adoperarsi per mettere in atto un'adeguata campagna informativa in tempi che permetto l'acquisizione della dichiarazione dei redditi del prossimo anno, o almeno soprassedere sulla richiesta di versamento da parte dell'utente che si rechi presso gli uffici a richiedere il CUD in forma cartacea, in caso di impossibilità o incapacità di utilizzare la via telematica per venire in possesso di una documentazione indispensabile ai fini fiscali;
   se intenda intervenire sulla dirigenza INPS ed ex INPDAP affinché le stesse provvedano, con la massima sollecitudine, al rimborso delle somme indebitamente trattenute, allorché le decurtazioni dell'assegno pensionistico non siano imputabili alla responsabilità diretta o indiretta dei contribuenti, individuando gli eventuali responsabili di tali gravissimi disservizi e facendo in modo che gli stessi non si ripetano in futuro. (4-00624)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali interventi si intendano adottare in ordine al pagamento, da parte dell'Inps, di pensioni di importo irrisorio a ragione di conguagli fiscali, si rappresenta quanto segue.
  Sulla base di quanto segnalato dall'istituto suddetto risulta che per effetto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 114, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), si è provveduto a rilasciare, attraverso il canale telematico, la certificazione unica dei redditi di lavoro dipendente, pensione e assimilati (CUD 2013), ai soggetti per i quali il medesimo istituto assolve alla funzione di sostituto d'imposta.
  Il comma citato prevede, altresì, che rimane nella facoltà del cittadino richiedere la trasmissione del CUD in forma cartacea e che dall'attuazione dello stesso non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  Al riguardo l'istituto ha reso disponibile il modello CUD sul sito istituzionale www.inps.it, nella sezione Servizi al cittadino, a cui l'utente può accedere previa autenticazione tramite PIN.
  Inoltre, ai cittadini in possesso di un indirizzo di posta elettronica certificata CEC-PAC, noto all'istituto, il CUD è stato recapitato alla casella PEC corrispondente; diversamente, ai cittadini che hanno specificato un indirizzo di posta elettronica ordinaria, all'atto della richiesta del PIN, è stata inviata via email l'informativa della disponibilità del CUD sul sito dell'istituto.
  In considerazione di quel significativo segmento di utenza che non possiede le dotazioni e le competenze necessarie per la piena fruizione dei servizi on line, l'istituto ha approntato adeguate modalità alternative per ottenere il CUD in formato cartaceo, mantenendo comunque un canale fisico di accesso. Il cittadino può, dunque, richiedere ed ottenere in tempo reale, la consegna del suddetto certificato utilizzando le seguenti modalità:
   agenzie dell'istituto. Le agenzie (interne, complesse e territoriali) dell'istituto hanno potenziato il front office di sede, dedicando almeno uno sportello veloce al rilascio cartaceo del CUD. Inoltre, al fine di assicurare la massima capillarità, la totalità delle strutture presenti sul territorio, ivi comprese quelle dei soppressi Inpdap ed Enpals, rilasciano, ove richieste dall'utente, la certificazione in argomento senza distinzione di gestione previdenziale e senza vincolo del luogo di residenza;
   postazioni informatiche self service. In tutte le strutture territoriali dell'istituto sono state istituite postazioni informatiche self service presso le quali gli utenti in possesso di PIN possono procedere alla stampa dei certificati reddituali ricorrendo, ove necessario, all'assistenza da parte del personale dell'URP. L'accesso facilitato ai suddetti servizi da parte dell'utenza avviene mediante l'utilizzo della tessera sanitaria ovvero della tessera sanitaria – carta nazionale dei servizi;
   posta elettronica. I cittadini titolari di indirizzo di posta elettronica certificata CEC-PAC e di posta ordinaria non conosciuta dall'istituto, possono richiedere la trasmissione del CUD all'indirizzo richiestaCUD@postacert.inps.gov.it;
   patronati e centri di assistenza fiscale. Per contemperare le finalità di efficienza ed ammodernamento della pubblica amministrazione in coerenza con le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico, con le esigenze della fascia di utenza che si trova in una condizione di oggettiva difficoltà o impossibilità di avvalersi dei canali fisici e telematici resi disponibili, l'istituto ha previsto numerose alternative per ottenere il CUD;
   sportello mobile per utenti ultraottantacinquenni e pensionati residenti all'estero. In tale contesto, gli utenti ultraottantacinquenni titolari di indennità di accompagnamento, speciale o di comunicazione e i pensionati residenti all'estero, che hanno dichiarato di essere impossibilitati ad acquisire la disponibilità della certificazione attraverso i predetti canali fisici e telematici, hanno potuto richiedere telefonicamente all'operatore dello sportello mobile della struttura Inps territorialmente competente, l'invio della certificazione al proprio domicilio;
   spedizione del CUD al domicilio del titolare. Nel rispetto delle oggettive situazioni di difficoltà rappresentate dall'utenza, l'istituto ha provveduto, attraverso la propria articolazione territoriale ed il contact center multicanale, all'invio del CUD al domicilio del relativo titolare, su espressa richiesta dell'interessato.

  Tutte le modalità sopra descritte sono gratuite.
  In aggiunta ai canali sopra descritti, è stato possibile ottenere il CUD presso gli uffici postali appartenenti alla rete «sportello amico», che Poste italiane ha istituito in adesione al progetto «Reti Amiche», promosso nel 2008 dal Ministero della pubblica amministrazione e innovazione, al fine di facilitare l'accesso dei cittadini ai servizi della pubblica amministrazione e di ridurre i tempi delle procedure burocratiche.
  Si segnala inoltre che dell'istituto, con circolare n. 32 del 26 febbraio 2013, ha fornito le indicazioni riguardanti tutti i canali di accesso, telematici e fisici, attraverso cui è possibile ottenere il CUD.
  Quanto alla questione relativa al conguaglio fiscale operato dall'Inps sui trattamenti pensionistici, si rappresenta che per effetto dell'incorporazione dell'Inpdap e dell'Enpals nell'Inps, tutte le prestazioni erogate dall'istituto nel 2012 relative al singolo contribuente, in virtù dell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sono state abbinate e sono confluite in un'unica certificazione fiscale (CUD 2013) determinando il conguaglio fiscale. Nel caso sia stato accertato un debito fiscale, il recupero è stato effettuato sul trattamento pensionistico di maggiore importo.
  Per quanto sopra detto, il debito d'imposta risultante dal conguaglio fiscale dell'anno reddituale 2012 – completato dall'istituto entro il 28 febbraio 2013 – è stato recuperato in un'unica soluzione, nei limiti della capienza, sulla rata di pensione del mese di marzo 2013, ad eccezione di coloro che percepiscono redditi da pensione non superiori a 18.000 euro, per i quali è prevista una rateizzazione in un numero massimo di dieci rate (articolo 38, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122).
  A seguito di specifica richiesta da parte dell'istituto, l'agenzia dell'entrate ha tuttavia autorizzato, a decorrere dalla rata di aprile 2013, una maggiore rateizzazione del debito d'imposta, vale a dire che per i pensionati titolari di un reddito da pensione pari o superiore a 18 mila euro e per i pensionati per i quali non è stato possibile recuperare integralmente il debito fiscale sulla rata di marzo 2013, il recupero del residuo debito è avvenuto a decorrere dalla rata di aprile 2013 con l'applicazione di una particolare salvaguardia.
  Infatti, per i pensionati che hanno un trattamento pensionistico mensile netto di importo superiore a 1.238,58 euro, il recupero del residuo debito fiscale è stato effettuato dalla rata di aprile 2013, assicurando il pagamento di un importo mensile netto di 990,86 euro, corrispondente al doppio del trattamento minimo per l'anno 2013; tale modalità verrà applicata anche nei mesi successivi fino alla totale eliminazione del debito fiscale.
  Per i pensionati il cui trattamento pensionistico mensile è uguale o inferiore ad 1.238,58 euro mensili, il debito fiscale viene recuperato entro il limite della trattenuta di un quinto della pensione.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   VARGIU. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 giugno 2012, n. 92 («Riforma Fornero»), all'articolo 1, commi 34 e 35 fissa ex novo alcuni obiettivi di principio rispetto alla normativa sui tirocini; in particolare, alla lettera d) del comma 34 si stabilisce il «riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta»;
   al comma 36 dell'articolo 1 si specifica che «dall'applicazione dei commi 34 e 35 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
   il 24 gennaio 2013 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ha approvato le linee guida in materia di tirocini ai sensi del suddetto articolo 1, comma 34, nelle quali il Governo indica i princìpi comuni e gli standard minimi cui le Regioni dovranno adeguarsi entro sei mesi;
   dal combinato disposto dei commi 34, 35 e 36 della legge n. 92 del 2012 risulta evidente il forte rischio di inapplicabilità delle prescrizioni relative al compenso di stagisti e tirocinanti/praticanti all'interno della pubblica amministrazione con la conseguenza diretta dell'impossibilità di effettuare tirocini formativi;
   la CRUI – Conferenza dei rettori delle università italiane già in passato manifestò le proprie perplessità relativamente a questo «perverso» effetto combinato del comma 34, lettera d) e del comma 36 dell'articolo 1 della riforma Fornero e concluse che le due prescrizioni rendevano di fatto impossibile prevedere esperienze di formazione on the job nella pubblica amministrazione;
   tale situazione riveste una particolare gravità in ambito sanitario, ove ai laureandi e ai giovani medici dal 1° gennaio 2013 è sostanzialmente interdetta la frequenza su base volontaria nei reparti ospedalieri. Infatti, per un verso la riforma Fornero rende obbligatoria una sorta di indennità mensile per i tirocinanti, per altro verso gli enti e le aziende ospedaliere non dispongono di risorse economiche per retribuirli e si vedono pertanto costretti a sospendere i tirocini;
   la frequenza degli studenti in medicina e dei giovani laureati nel contesto dei reparti che erogano assistenza ospedaliera è fondamentale per il completamento dei percorsi formativi delle professioni sanitarie e per la conseguente garanzia di una miglior qualità futura dell'intero sistema sanitario;
   vari organi di stampa nazionali e locali hanno segnalato da tempo tale problematica (vedasi: La Repubblica del 10 luglio 2012, L'Unione Sarda del 2 aprile 2013) che tuttavia rimane a tutt'oggi irrisolta;
   pur condividendo il principio di spending review e la necessità di impedire ogni inaccettabile forma di utilizzo di manodopera a costo zero, è impensabile che una norma ideata per tutelare i giovani possa invece tradursi in un danno alla loro formazione, con la loro sostanziale esclusione dalle attività di tirocinio ospedaliero –:
   se non si ritenga opportuno intervenire, anche con iniziative di carattere normativo, al fine di chiarire il portato applicativo delle disposizioni di cui in premessa, garantendo in ogni caso tutte le forme di tirocinio nell'ambito della pubblica amministrazione e, in particolare, quelli in ambito sanitario, fondamentali per il completamento dei percorsi formativi delle professioni sanitarie. (4-01556)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame con cui l'interrogante sottopone all'attenzione del Governo l'opportunità di valutare l'adozione di adeguate iniziative normative in materia di rimborso spese per i tirocinanti previsto dai commi 34 e 25 dell'articolo 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92 (cosiddetta «Legge Fornero»).
  Al riguardo, si segnala che sulla questione è intervenuto il decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre, misure finanziarie urgenti», convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2013, n. 92.
  L'articolo 2, comma 6, prevede infatti che, in via sperimentale per gli anni 2013, 2014 e 2015, sia istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo con dotazione di 2 milioni di euro annui per ciascuno dei suddetti anni, volto a consentire alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, di corrispondere le indennità per la partecipazione ai tirocini formativi e di orientamento di cui all'articolo 1, comma 34, lettera
d), della legge 28 giugno 2012, n. 92.
  Tale fondo è finalizzato, in particolare, ai casi in cui il soggetto ospitante del tirocinio sia un'amministrazione dello Stato anche ad ordinamento autonomo e non sia possibile, per comprovate ragioni, far fronte al relativo onere attingendo ai fondi già destinati alle esigenze formative di tale amministrazione.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   attualmente sono circa 282 i vincitori e gli idonei di concorsi pubblici banditi dall'amministrazione civile della difesa negli anni 2008-2009 e che risultano essere in attesa di assunzione;
   le procedure concorsuali sono quelle di seguito specificate:
   a) concorso su base circoscrizionale per n. 111 posti di funzionario di amministrazione, area, funzionale C, posizione economica C1, bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 24 del 25 marzo 2011. Tale procedura si è conclusa nel 2009 e i relativi cittadini risultati vincitori/idonei (attesa di 4 anni);
   b) concorso su base circoscrizionale per n. 9 posti di collaboratore bibliotecario, area funzionale C, posizione economica C1, bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 8 aprile 2009 (attesa di 4 anni);
   c) concorso su base circoscrizionale per n. 63 posti di collaboratore tecnico, elettrotecnico ed elettromeccanico area funzionale C, posizione economica C1, bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 14 novembre 2008 (attesa di 5 anni);
   d) concorso su base circoscrizionale per 4 posti di funzionario tecnico, settore elettronico, optoelettronico e delle telecomunicazioni area funzionale C, posizione economica C2, bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 15 dicembre 2008 (attesa di 5 anni);
   e) concorso su base circoscrizionale per n. 5 posti di ingegnere del settore elettrotecnico ed elettromeccanico, area funzionale C, posizione economica C2, bandito in data 16 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 28 novembre 2008 (attesa di 5 anni);
   f) concorso su base circoscrizionale per n. 30 posti di assistente tecnico del settore motoristico e meccanico, area funzionale B, posizione economica B3, bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 15 dicembre 2008 (attesa di 5 anni);
   la direzione generale del personale civile (Persociv) ha inoltrato al dipartimento della funzione pubblica, già dal 2011 la richiesta di autorizzazione all'assunzione del personale risultato vincitore/idoneo che, successivamente rimodulata sulla base delle risorse disponibili, riguarda n. 208 assunzioni complessive, di cui:
    a) n. 175 per la cosiddetta area 3° (riferite alla copertura dei posti messi a bando delle procedure da punti 1 a 4 specificati in premessa) per la copertura, nel numero esatto, di carenze nell'area risultanti alla data del 31 ottobre 2012 per effetto della rideterminazione delle dotazioni organiche avvenuta a seguito dei tagli imposti dalla spending review (decreto-legge n. 95 del 2012);
    b) n. 24 per la cosiddetta area 2° (riferite alla copertura dei posti messi a bando di cui al punto 6 specificato in premessa);
    c) n. 7 ripartite tra dirigenti, professori, vittime del terrorismo, e altre categorie;
   le mancate assunzioni in parola accentuano una situazione critica, avvertita in particolare negli arsenali e negli altri enti della cosiddetta area industriale della difesa, presso i quali l'immissione di nuove figure professionali qualificate è stata ripetutamente giudicata come strategica ai fini della stessa missione istituzionale e necessaria a fronte del progressivo invecchiamento della forza lavoro civile nell'amministrazione della difesa (età media intorno ai 56 anni);
   gli elevati oneri sostenuti dalla pubblica amministrazione per esperire le citate procedure concorsuali risulterebbero dispersi se non finalizzati al reclutamento dei vincitori/idonei dei relativi concorsi –:
   quali iniziative nell'immediato si intendano porre in essere al fine di consentire il reclutamento dei vincitori di concorso citati in premessa, prima che decadano le rispettive graduatorie. (4-00710)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame con cui l'interrogante sottopone all'attenzione del Governo la questione afferente la scadenza del termine di validità delle graduatorie di concorsi pubblici.
  Com’è noto, l'articolo 1, comma 388, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) fissa al 30 giugno 2013 il termine di scadenza dei termini e dei regimi giuridici indicati nella tabella 2 allegata alla predetta legge, tra cui è ricompreso il termine relativo all'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, approvate successivamente al 30 settembre 2003.
  Il successivo comma 394 dello stesso articolo 1 della legge n. 228 del 2012 prevede che «Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può essere disposta l'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2013 del termine del 30 giugno 2013 di cui ai commi da 388 a 393».
  Ciò premesso si segnala che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 giugno 2013, firmato per delega dal Ministro per la pubblica amministrazione e semplificazione, è stata disposta la proroga del termine di vigenza delle predette graduatorie fino al 31 dicembre 2013.
  Il provvedimento, su cui è stato acquisito il concerto del Ministro dell'economia e delle finanze, è attualmente al vaglio dei competenti organi di controllo.
  Sulla base di quanto previsto dal citato decreto, il Dipartimento della funzione pubblica procederà, poi, nell'attività istruttoria di valutazione delle richieste assunzionali pervenute dalle varie amministrazioni.
  Al riguardo va, tuttavia, evidenziato che per quanto riguarda il Ministero della difesa, come per tutte le amministrazioni pubbliche richiedenti, tali assunzioni dovranno subordinarsi alla verifica della effettiva disponibilità di posti in organico, attesi gli effetti delle disposizioni di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012 in materia di riduzione delle piante organiche.
  Nei casi di eccedenza di personale, infatti, le amministrazioni non potranno procedere ad assunzioni in «soprannumero», in quanto le stesse, come è noto, sono consentite solo in presenza di posti disponibili nella relativa dotazione organica, fatte salve specifiche deroghe espressamente previste dalla legge.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   ZAMPA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha modificato i criteri di aggiudicazione dei bandi di gara previsti per i contratti per la gestione dei Centri di identificazione ed espulsione, centri di soccorso e prima assistenza, centri di accoglienza e centri di accoglienza per richiedenti asilo, scegliendo l'opzione del prezzo più basso rispetto a quella dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con base d'asta di 30 euro al giorno per persona;
   nel maggio 2012 la prefettura di Bologna metteva a bando la gestione del Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei con il criterio del prezzo più basso e la base d'asta sopra citata di 30 euro al giorno per persona, bando aggiudicato dal consorzio Oasi con un'offerta di 28 euro a persona al giorno, a fronte dei 69 euro corrisposti al precedente gestore;
   nel marzo 2013 la prefettura di Bologna ha deciso di chiudere temporaneamente il Centro di identificazione ed espulsione di Bologna per procedere a lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e, a conclusione dei lavori, ha annunciato l'avvenuta rescissione del contratto con Oasi;
   sin dall'avvio della nuova gestione il consorzio assegnatario non ha pagato gli stipendi ai 31 dipendenti e al personale medico utilizzato, cifre anticipate dalla prefettura di Bologna, che hanno portato, tra l'altro, alla interruzione del contratto tra Oasi e prefettura;
   analoghe inadempienze nei pagamenti del personale si sono verificate anche nel Centro di identificazione ed espulsione di Modena, gestito ad analoghe condizioni contrattuali dalla stessa Oasi;
   il prefetto, in quanto committente, come previsto dagli articoli 1655 e seguenti del codice civile che disciplinano l'appalto, ha retribuito sin dal mese di gennaio i dipendenti subordinati dell'Oasi; secondo quanto si apprende da fonti di stampa il prefetto avrebbe affermato che non è tenuto invece, in base alla legislazione sopracitata, a retribuire i lavoratori parasubordinati;
   i Centri di identificazione ed espulsione si avvalgono del lavoro, oltre che del personale dipendente delle cooperative che vincono le gare di appalto, anche, e in molti casi soprattutto, dell'ausilio di personale parasubordinato come – tra gli altri – psicologi e mediatori culturali –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di facilitare quanto prima il raggiungimento di una soluzione a tutela dei diritti dei lavoratori. (4-01063)

  Risposta. — I criteri per la gestione dei centri per l'immigrazione sono definiti nello schema di capitolato di gara d'appalto unico, approvato con decreto del Ministro dell'interno del 21 novembre 2008. Per le convenzioni in scadenza nel corso del 2012, il Ministero dell'interno ha indicato alle prefetture i nuovi criteri per l'aggiudicazione delle gare d'appalto per la gestione dei centri nel triennio 2012-2015. L'introduzione del criterio del maggiore ribasso, a partire da una base d'asta di trenta euro al giorno a persona, in sostituzione di quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, è stato motivato dalla particolare congiuntura economica, che ha comportato una riduzione degli stanziamenti in bilancio. Peraltro, già nel 2011, pur vigendo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, gli appalti relativi ad alcune strutture (ad esempio i centri di Bari e di Foggia) erano stati aggiudicati a prezzi inferiori ai trenta euro, ma era stata comunque garantita la regolare erogazione di tutti i beni e i servizi previsti dal citato capitolato generale.
  Le convenzioni con il consorzio «L'Oasi» per la gestione dei centri di identificazione ed espulsione (Cie) di Trapani, Modena e Bologna sono state stipulate nel corso del 2012. Come sempre, le prefetture hanno svolto un'attenta e costante verifica dei requisiti soggettivi posseduti. Nel caso specifico, tale verifica ha interessato anche i rappresentanti del citato consorzio che – alla luce di uno specifico parere dell'Avvocatura dello Stato – non sono stati ritenuti in grado di interferire negativamente sull'aggiudicazione degli appalti.
  La stessa cooperativa, peraltro, è risultata l'unica ditta rimasta in gara per l'aggiudicazione della gestione del centro di identificazione ed espulsione di Milano. Al riguardo, si assicura che la prefettura – prima di assumere determinazioni in merito – sta effettuando accurati approfondimenti, anche relativamente alle giustificazioni necessarie a dimostrare la sostenibilità dell'offerta economica presentata.
  Per quanto riguarda il centro di identificazione ed espulsione di Modena, effettivamente, come rilevato nell'interrogazione, si sono manifestate alcune anomalie che hanno inciso sulla regolarità dei pagamenti. Di fronte a eventuali ulteriori criticità, l'amministrazione trarrà ogni necessaria conseguenza, valutando anche l'opportunità di rescindere il rapporto con l'attuale gestore, come già avvenuto a Bologna e a Trapani, dove operava lo stesso consorzio.
  Finora comunque la prefettura si è adoperata per garantire i diritti di lavoratori che prestano servizio nel centro di identificazione ed espulsione, con l'erogazione in via sostitutiva degli emolumenti non corrisposti dal consorzio «L'Oasi», fino alla mensilità di giugno compresa.
  Successivamente, il centro è stato temporaneamente chiuso, per l'esecuzione di improrogabili lavori di adeguamento. Pertanto, il 14 agosto è stato siglato l'accordo tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori del centro di identificazione ed espulsione, il consorzio e la provincia, per il riconoscimento al personale del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga. L'accordo, con decorrenza dal 16 agosto 2013, interessa trentuno dipendenti del consorzio e ha la durata di tre mesi, eventualmente prorogabili.
  Effettivamente, oltre ai lavoratori che dipendono direttamente dal consorzio, anche alcuni professionisti che hanno svolto prestazioni parasubordinate presso lo stesso centro di identificazione ed espulsione non hanno ricevuto il relativo compenso. Di conseguenza, questi ultimi si sono rivolti alla prefettura, che è intervenuta sollecitando il consorzio «L'Oasi» a effettuare direttamente i pagamenti e, nel frattempo, sta valutando la possibilità di intraprendere ulteriori azioni ai fini di tutelare pure i lavoratori parasubordinati.
  Anche la prefettura di Bologna è intervenuta più volte per affrontare il problema della mancata retribuzione dei lavoratori impiegati presso il locale centro di identificazione ed espulsione, provvedendo al pagamento delle retribuzioni dovute per i mesi di dicembre 2012 e febbraio e marzo 2013. Ai sensi dell'articolo 1676 del codice civile, che garantisce ai lavoratori il diritto di richiedere il pagamento di quanto loro dovuto direttamente alla stazione appaltante, la corresponsione delle retribuzioni ha riguardato esclusivamente i lavoratori subordinati.
  Il caso specifico dei lavoratori parasubordinati – richiamato dall'interrogante – si riferisce a una singola figura professionale, legata al consorzio «L'Oasi» da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto. Non avendo mai ricevuto il compenso concordato per i mesi di dicembre 2012 e gennaio e febbraio 2013, la persona interessata ne ha fatto richiesta alla prefettura, in quanto committente.
  A tale riguardo, la prefettura ha interpellato l'Avvocatura dello Stato di Bologna, che ha espresso parere negativo, precisando che nel caso di lavoratori parasubordinati non trovano applicazione né l'articolo 29 del decreto legislativo n. 276 del 2003 (cosiddetta legge Biagi), né il suddetto articolo 1676 del codice civile. Tali disposizioni, infatti, si applicano solo ai lavoratori dipendenti, cioè a coloro che abbiano un rapporto di lavoro caratterizzato dal vincolo della subordinazione, ai quali spetta una retribuzione. Nel caso in esame, invece, il lavoratore parasubordinato avrebbe dovuto ricevere un compenso per le attività svolte (e non una retribuzione), ma resta pur sempre un lavoratore autonomo ed è pertanto escluso dalla possibilità di fare ricorso al vincolo di solidarietà tra committente e appaltatore.
  Più in generale, al di là delle particolari condizioni dei singoli centri, le criticità recentemente riscontrate nella gestione dei centri di identificazione ed espulsione mostrano chiaramente che sussiste l'esigenza di rivedere alcune modalità del loro funzionamento, al fine di assicurare migliori
standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza, sia per gli ospiti che per gli operatori.
  Sotto il profilo amministrativo, compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico, affinché i centri per l'immigrazione siano gestiti con la massima trasparenza ed efficienza, nel pieno rispetto delle condizioni igienico-sanitarie. Ulteriori iniziative – come il rafforzamento dell'attività di identificazione espletata già in carcere, nei confronti dei cittadini stranieri che giungono nei centri di identificazione ed espulsione dopo un periodo di detenzione – potranno essere attentamente valutate con le altre amministrazioni coinvolte. Eventuali percorsi normativi, invece, dovranno essere necessariamente approfonditi in sede parlamentare.
  Tutti gli interventi dovranno comunque essere indirizzati a garantire che l'accoglienza e l'identificazione avvengano sempre nel pieno rispetto dei diritti e della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   ZANIN e PELLEGRINO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   «se l'Occidente cerca il dialogo deve essere un dialogo alla pari»;
   sono queste le parole battute dalle agenzie nel giorno del giuramento del neo Presidente iraniano Hassan Rohani, che si è rivolto ai Paesi occidentali dichiarando che la politica delle sanzioni non è quella giusta per fugare il grande sospetto che grava su Teheran: quello che fabbrichi segretamente l'atomica;
   «lo dico apertamente: se cercate di ottenere risposte appropriate, parlate all'Iran con il linguaggio del rispetto, non con quello delle sanzioni» ha detto Rohani in Parlamento;
   «la trasparenza è la chiave della fiducia» ha inoltre sottolineato il Presidente «ma non può essere a senso unico. La distensione, la fiducia reciproca e costruttiva devono determinare il nostro cammino», parole che, ci si augura, rappresentino una svolta rispetto all'era Ahmadinejad e si rivolgono evidentemente alla comunità internazionale;
   ora però, proprio in ordine alla trasparenza, la tensione sulla questione nucleare non deve nascondere altre preoccupazioni che devono accompagnare le relazioni con l'Iran, con particolare riguardo alle note violazioni nel campo dei diritti umani;
   fonti autorevoli infatti, come ad esempio l'International Committee against Execution, documentano nel paese una situazione assai grave, con un numero veramente imponente di esecuzioni: 102 in soli 22 giorni, dal 19 giugno al 10 luglio 2013;
   in questi ultimi giorni, attraverso le relazioni intercorse con l'associazione Neda Day, i cui referenti sono noti alla cronaca tra l'altro per aver portato all'attenzione dell'opinione pubblica europea il caso Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio, gli scriventi hanno assunto nuove dolorose informazioni sulla situazione dei diritti umani in Iran, la cui recrudescenza sembrerebbe coincidere proprio con la stagione di supposto rinnovamento laico sostenuto dal nuovo presidente;
   dopo averli accompagnati ad un incontro con il Ministro Kyenge per un'informativa relativa tra l'altro al tema delle spose bambine, abbiamo infatti appreso di numerosi casi di altre prossime esecuzioni di cittadini iraniani per reati d'opinione. I loro nomi sono:
    a) Mohammad Ali Amouri Nejad, 33 anni, ingegnere della pesca arrestato nel febbraio 2011;
    b) Hashem Shaabani, 31 anni, sposato con un figlio, arrestato nel febbraio 2011;
    c) Hadi Rashedi, 37, single con una qualifica post-laurea in chimica, arrestato nel febbraio 2011;
    d) Jabar al-Boushokeh, 27 anni, sposato con un figlio, dipendente dell'impresa di macinazione del padre e coinvolto in attività di assistenza sociale, arrestato nel marzo 2011;
    e) Mokhtar al-Boushokeh, 25 anni, che aveva svolto un anno di servizio militare ed è il fratello di Jabar al-Boushokeh;
   si tratta di cinque ahwazi — minoranza etnica — autonomisti arabi accusati di inimicizia contro Dio, di corruzione sulla terra e di agire contro la sicurezza nazionale. La loro condanna a morte è stata confermata dalla Corte suprema. Secondo la stessa fonte, questi uomini sono stati torturati nel corso di un periodo di nove mesi, durante il quale è stato loro negato l'accesso alla rappresentanza legale e sono stati costretti a fare false confessioni;
   ci sono anche altri quattro attivisti arabi da Shadegan che sono stati condannati a morte per la guerra contro Dio e la corruzione sulla terra. Anche la loro condanna a morte è stata confermata dalla Corte suprema iraniana. I loro nomi sono i seguenti:
    Ghazi Abbas, figlio di Ahmed, nato nel 1361 del calendario islamico, sposato, senza precedenti penali;
    Khanafereh Abdul Amir, figlio di Giona, nato nel 1366, sposato, senza precedenti penali;
    Copertina Jassim, nato nel 1364, sposato, senza precedenti penali;
    Abdul Amir Mjdmy, figlio H., nato nel 1359, sposato, senza precedenti penali;
   il Comitato internazionale contro l'esecuzione, dopo aver reso noti ben ventisei nominativi nel mese di luglio, continua ogni giorno a segnalare nuovi casi di condanne a morte –:
   se il Governo sia in grado o meno di confermare tali informazioni, con riferimento particolare alle motivazioni per cui vengono condannati a morte gli oppositori;
   se e quali siano, nel caso di conferma delle informazioni di cui sopra, le azioni diplomatiche che il Governo intende promuovere per la salvaguardia dei diritti umani in Iran, con specifico riferimento alle condanne derivate da reati di opinione e perciò con la richiesta di sospensione delle esecuzioni;
   se vi siano già in atto azioni del nostro Governo tese a rappresentare presso il Governo iraniano le ormai tradizionali alte posizioni della nostra Repubblica a salvaguardia dei diritti umani quale orizzonte imprescindibile entro cui aprire una nuova stagione di dialogo e distensione tra repubbliche italiana e iraniana, così come auspicato dal nuovo presidente iraniano. (4-01651)

  Risposta. — La situazione dei diritti umani in Iran continua ad essere preoccupante. Si registrano restrizioni alla libertà di espressione e alla libertà di associazione e manifestazione; torture e maltrattamenti nei confronti dei detenuti; abusi nei confronti delle religioni minoritarie (ivi incluse quelle riconosciute); discriminazione nei confronti delle donne. Particolare preoccupazione desta soprattutto l'ampio ricorso alla pena di morte: la recrudescenza delle esecuzioni – sovente relative anche a reati minori – accompagna il primato dell'Iran nella classifica mondiale delle esecuzioni in percentuale alla popolazione, sebbene alcuni dati mostrino un decremento delle esecuzioni nel primo semestre 2013 rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente. Timide restrizioni all'uso della pena capitale parrebbero contenute nella recente riforma del codice penale.
  In particolare risultano confermate le notizie relative alle condanne a morte comminate in primo grado ai due gruppi di attivisti di etnia araba, ma non si hanno indicazioni circa una prossima esecuzione delle sentenze. Sino all'8 agosto 2013 risulterebbero 219 esecuzioni complessive (217 per reati comuni e due per spionaggio), 50 delle quali portate a termine nel solo periodo 19 giugno-10 luglio.
  Questa situazione è ben nota alla comunità internazionale, così come i numerosi casi individuali di violazione dei diritti umani, a cui puntualmente si rivolge l'attenzione delle ONG di settore e dei media. Le apprensioni della comunità internazionale sono condivise dall'Italia, come noto tradizionalmente impegnata su questo fronte, e hanno motivato numerosi appelli rivolti a Teheran affinché si conformi agli
standard internazionali in materia di diritti umani (in ottemperanza alle prescrizioni del Patto sui diritti civili e politici, di cui l'Iran è parte dal 1975) insistendo per una moratoria delle esecuzioni. In più occasioni si è sottolineato che la ricca storia della civiltà iraniana dovrebbe spingere per un miglioramento degli propri standard in materia, ponendo fine a violazioni ed abusi, con l'auspicio che possa riconsiderare la propria posizione quantomeno rivedendo ulteriormente il proprio quadro normativo al fine di renderlo compatibile con gli standard internazionali.
  Su un piano più generale, si segnala che in ambito Nazioni unite è stata da ultimo adottata, da parte dell'Assemblea generale, la Risoluzione A/RES/67/182, presentata dal Canada e co-sponsorizzata dall'Italia, la quale esprime preoccupazione per le numerose violazioni dei diritti umani,
inter alia quelle contro le minoranze religiose, le donne, i giornalisti e gli attivisti dei diritti umani, mentre nel marzo scorso è stata approvata da parte del Consiglio diritti umani una nuova risoluzione – sempre co-sponsorizzata dall'Italia – che prolunga il mandato dello Special rapporteur sull'Iran.
  Anche alla prossima sessione dell'Assemblea generale è previsto che il Canada riproponga la tradizionale risoluzione di condanna delle violazioni dei diritti umani in Iran.
  A seguito delle recenti elezioni presidenziali, le aspettative della comunità internazionale per un miglioramento della situazione dei diritti umani nel Paese sono elevate. Nella recente visita a Teheran, lo scrivente ha riscontrato la disponibilità delle autorità iraniane ad aprire un «dialogo critico» sui diritti umani. Il presidente Rohani ha d'altra parte annunciato che la priorità del suo mandato risiede nel miglioramento delle prospettive economiche e delle condizioni di vita degli iraniani e che la nuova amministrazione è chiamata a tutelare i diritti di tutti i cittadini, senza distinzioni, scegliendo la via della moderazione (concetto questo che presuppone comunque, a detta dello stesso Rohani, il rispetto della legge).
  Negli ultimi giorni ci sono stati effettivi sviluppi positivi sulla vicenda con l'avvenuta scarcerazione a Teheran di alcuni prigionieri politici attivisti per i diritti umani, tra i quali l'avvocato Nasrin Sotoudeh (premio Sacharov nel 2012), condannati per reati di opinione. Il nostro Ministro degli affari esteri Emma Bonino nel comunicato del 19 settembre 2013 ha commentato favorevolmente la notizia auspicando che ci siano altre iniziative simili e un generale miglioramento della situazione dei diritti umani in Iran. «(...) siamo di fronte a gesti da incoraggiare che vanno nel senso di un dialogo da approfondire e allargare».
  Successivamente, lo scorso 22 settembre, il portavoce del Sistema giudiziario iraniano, l'ex Ministro della sicurezza Ejei, ha dichiarato che altri 80 prigionieri, di cui non sono stati ancora resi noti i nomi, stanno per essere liberati con un provvedimento di grazia.
  Recenti indiscrezioni stampa collegano infine l'attuale nomina dell'esponente moderato Ali Shamkhani quale Presidente del Consiglio supremo di sicurezza nazionale a una possibile revoca degli arresti domiciliari per Moussavi e Karroubi. Sembra infatti che la Guida suprema Khamenei abbia delegato tale organismo costituzionale a decidere sul caso dei due candidati presidenziali riformisti che denunciarono i brogli elettorali del 2009.

Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.