Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 11 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    la legge 5 giugno 1997, n. 147, in materia di trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, riporta le norme di attuazione di quanto previsto dall'accordo fra Italia e Svizzera sulla retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri (protocollo, scambio di note e accordo amministrativo, firmati a Berna il 12 dicembre 1978, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1980, n. 90);
    il protocollo addizionale all'allegato II dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone, entrato in vigore il 1o giugno 2002, tra la Confederazione svizzera da un lato e l'Unione europea e i suoi Stati Membri dall'altro, in materia di disoccupazione, ha previsto una proroga, per un periodo di sette anni a decorrere dal 1o giugno 2002, del sopracitato accordo bilaterale sulla retrocessione finanziaria;
    allo scadere dei sette anni, nonostante le richieste, da parte italiana e, infine, anche congiuntamente con il Governo francese, la parte svizzera non ha ritenuto di prorogare la validità degli accordi bilaterali, che disciplinavano la retrocessione finanziaria dei contributi dei lavoratori frontalieri all'assicurazione svizzera contro la disoccupazione;
    pertanto, a partire dal giugno 2009, si è completata l'applicabilità alla Svizzera dei regolamenti comunitari di sicurezza sociale, che prevedono norme specifiche in materia di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri (articolo 71 del regolamento n. 1408 del 1971);
    a decorrere dal 1o aprile 2012, ai sensi della decisione n. 1 del 2012, adottata il 31 marzo 2012 dal comitato misto sulla libera circolazione delle persone, istituito ai sensi dell'Accordo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e la Confederazione Svizzera, dall'altro, i nuovi regolamenti comunitari si applicano anche alla Svizzera;
    a quest'ultima si estendono, quindi, le disposizioni del regolamento (CE) n. 883 del 2004 in materia di prestazioni di disoccupazione, incluse quelle di cui all'articolo 65 per «Disoccupati che risiedevano in uno Stato membro diverso dallo Stato competente», che delineano, tra l'altro, il regime di tutela della disoccupazione per la generalità dei lavoratori frontalieri;
    in particolare, ai sensi del paragrafo 2 e del paragrafo 5, lettera a), del predetto articolo 65, il disoccupato residente in Italia che sia frontaliero in Svizzera – in quanto persona che, nel corso della sua ultima attività lavorativa risiedeva in uno Stato membro (Italia) diverso da quello competente (Svizzera) e continua a risiedere in tale Stato membro – riceve le prestazioni in base alla legislazione dello Stato membro di residenza come se fosse stato soggetto a tale legislazione durante la sua ultima attività lavorativa;
    tali prestazioni sono erogate dall'istituzione del luogo di residenza. In particolare, a far data dal 1o aprile 2012, ai sensi della richiamata decisione n. 1 del 2012 e del regolamento (CE) n. 883 del 2004, l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) applica anche ai lavoratori frontalieri in Svizzera il regime di tutela della disoccupazione previsto dal citato articolo 65;
    in base al predetto articolo, il diritto, la misura e la durata della prestazione saranno determinati, come per i lavoratori rimasti disoccupati in Italia, per i diritti maturati con decorrenza fino al 31 dicembre 2012, secondo le norme che disciplinano l'indennità di disoccupazione ordinaria. A decorrere dal 1o gennaio 2013, le prestazioni saranno concesse secondo le disposizioni, previste dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, per l'indennità di disoccupazione ASpI e mini ASpI;
    con riferimento alla precedente disciplina applicata sotto la vigenza dell'Accordo fra Italia e Svizzera, la legge n. 147 del 1997, ai fini dell'attuazione di quanto previsto sulla retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri, è stata istituita presso l'Inps una gestione separata per provvedere alla corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani divenuti disoccupati in Svizzera, a seguito di cessazione non a loro imputabile del rapporto di lavoro;
    tale gestione era finanziata dalla retrocessione da parte elvetica delle quote di contribuzione versate dai lavoratori e la corresponsione dei trattamenti era limitata all'esaurimento delle disponibilità di tale gestione. Attualmente, secondo quanto di recente confermato dal Governo, la gestione segnerebbe ancora un saldo contabile positivo di 270 milioni di euro;
    la legge n. 147 del 1997 prevedeva che il diritto al trattamento speciale di disoccupazione fosse subordinato allo svolgimento in Svizzera di un'attività soggetta a contribuzione per almeno un anno nei due anni precedenti l'inizio dello stato di disoccupazione. La durata del trattamento speciale di disoccupazione era di trecentosessanta giorni, comprensivi delle domeniche e degli altri giorni festivi, e il suo importo giornaliero è stabilito, per ciascun anno, dal consiglio di amministrazione dell'Inps. Ai lavoratori che fruivano dei trattamenti speciali di disoccupazione venivano corrisposti gli assegni per il nucleo familiare, con onere a valere sulle disponibilità della gestione separata;
    con riferimento alla possibilità di utilizzare le somme residue sulla gestione istituita presso l'Inps con la legge n. 147 del 1997 per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha riferito che, secondo il Ministero dell'economia e delle finanze, tali somme, seppure accantonate, non potranno essere destinate a nuove e ulteriori ragioni di spesa. Ciò in quanto l'INPS, con quelle somme, «deve garantire il riconoscimento dei trattamenti di disoccupazione secondo il regime previsto a legislazione vigente»;
    tale interpretazione ministeriale non appare, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, del tutto corretta, dal momento che i trattamenti di disoccupazione transfrontalieri non sono più distinti dagli altri erogati alle lavoratrici e ai lavoratori italiani. Inoltre, sulla gestione si generano notevoli risparmi grazie alla minor spesa determinata dalla corresponsione dell'ASpI e della mini ASpI (anziché l'indennità di disoccupazione speciale) e il minor numero di mensilità durante le quali deve essere corrisposta, considerando che – a seconda dei casi – i primi 3 o 5 mesi di indennità di disoccupazione sono a carico della Svizzera;
    le risorse della gestione sono di un ammontare tale da poter consentire un loro utilizzo – anche parziale – per far fronte alla peculiare e specifica situazione disoccupazionale dei frontalieri, ad esempio, ampliando il numero dei casi in cui è possibile fruire del trattamento di disoccupazione modificando in tutto o in parte i requisiti per poterne goderne, aumentando gli importi dell'indennità o prevedendo l'aumento della durata massima del trattamento con un aumento progressivo al crescere dell'età a partire dai 50 anni (50, 55, 60 anni). Questo in considerazione delle maggiori difficoltà che tali lavoratori trovano, in ragione dell'età, a essere rioccupati e a rientrare nel mercato del lavoro. In particolare, tale aumento deve essere più che proporzionale al crescere dell'età, in modo da accompagnare il lavoratore fino alla maturazione del diritto alla pensione,

impegna il Governo

a destinare, con il primo provvedimento utile, quota parte delle risorse della gestione istituita presso l'INPS con la legge n. 147 del 1997 a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, ad esempio ampliando il numero dei casi in cui è possibile fruire del trattamento di disoccupazione, modificando in tutto o in parte i requisiti per poterne godere, aumentando gli importi dell'indennità o prevedendo l'aumento della durata massima del trattamento, nonché un aumento progressivo del medesimo al crescere dell'età a partire dai 50 anni (50, 55, 60 anni), in considerazione delle maggiori difficoltà per tali lavoratori a trovare una nuova occupazione e rientrare nel mercato del lavoro, in modo da accompagnare il lavoratore fino alla maturazione del diritto alla pensione.
(1-00204) «Di Salvo, Lacquaniti, Kronbichler, Airaudo, Placido».


  La Camera,
   premesso che:
    è considerato frontaliero il soggetto residente in Italia che non soggiorna all'estero, ma che presta l'attività, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, nelle zone di frontiera e in altri Paesi limitrofi. Ad oggi, però, non esiste una definizione univoca di lavoro frontaliero. Ogni convenzione, che si stipula con Paesi stranieri al fine di disciplinare il suddetto fenomeno, detta, di volta in volta, una definizione, creando incertezza nel mondo del diritto;
    da un punto di vista strettamente numerico la realtà dei lavoratori frontalieri non è certamente insignificante. Basti pensare che circa 80.000 sono le lavoratrici e i lavoratori italiani che ogni giorno attraversano i confini nazionali per prestare la loro attività lavorativa all'estero con il permesso di frontalieri; di questi 48.000 in Canton Ticino provenienti dalle province di Como, Varese e Verbano-Cusio-Ossola, 6.500 nei Grigioni, provenienti soprattutto dalla provincia di Sondrio e in piccola parte da quella di Bolzano, 1.500 nel Vallese, provenienti dalla zona di Verbano-Cusio-Ossola. A questi si aggiungono i più di 6.000 cittadini italiani che dall'Emilia-Romagna e dalle Marche si recano a lavorare nella Repubblica di San Marino, i 3.700 che giornalmente dalla provincia di Imperia si recano a lavorare, soprattutto, nel Principato di Monaco e in Francia (1.500), nonché altre centinaia di italiani che per lo stesso motivo si recano in Austria, in Slovenia e nella Città del Vaticano;
    il lavoratore frontaliero è, come risulta anche dai dati sopra menzionati, un fenomeno strutturale del mercato del lavoro ed un aspetto rilevante nei rapporti dell'Italia con i Paesi di confine; ha rappresentato nel corso del tempo e rappresenta tuttora un importante contributo allo sviluppo di questi Paesi ed un'elevata risorsa per l'economia delle province italiane di confine;
    la particolare condizione di vita e di lavoro dei frontalieri li espone, tuttavia, ad una serie complessa di problematiche di natura fiscale, previdenziale, di sicurezza sociale e regolazione del lavoro, derivanti dal fatto di essere a tutti gli effetti cittadini italiani ma prestatori di lavoro in uno Stato estero;
    nonostante la rilevanza del fenomeno, il nostro Paese non dispone di una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscere pienamente il valore e l'importanza del lavoro frontaliero per il contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente;
    al contrario, diversi provvedimenti governativi adottati negli ultimi anni hanno, in alcuni casi, ignorato la specificità dello status di lavoratore frontaliero, generando una sottovalutazione ovvero, in taluni casi, un aggravamento dei tanti problemi aperti che la questione pone. Basti pensare, al riguardo, alle recenti controversie maturate in ordine al riconoscimento dell'indennità di disoccupazione speciale per i frontalieri attivi in Svizzera, così come la questione della franchigia di esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera;
    tutte queste ragioni non possono che indurre a stimolare un più convinto impegno per arrivare al più presto all'approvazione di uno «statuto dei lavoratori frontalieri», che definisca un quadro di diritti e doveri chiari legati a questa peculiare condizione di lavoro e dia soluzione ai problemi in essere, generati principalmente dalla mancanza di una regolamentazione specifica,

impegna il Governo:

   a promuovere l'apertura di un tavolo di confronto, con le rappresentanze delle associazioni sindacali e dei lavoratori dei territori di confine e le regioni territorialmente coinvolte, con l'obiettivo di predispone l'impianto di uno «statuto dei’ lavoratori frontalieri» che preveda una specifica ed appropriata disciplina del lavoro frontaliero;
   a garantire, in attesa della definizione dello statuto, in continuità con gli anni passati, la franchigia prevista per i lavoratori frontalieri.
(1-00205) «Pizzolante, Costa, Bernardo, Biasotti, Bosco, Giammanco, Lainati, Mottola, Polverini, Vignali».


   La Camera,
   premesso che:
    oggi, nel mondo, vivono oltre 300 milioni di indigeni, distribuiti in più di sessanta Paesi diversi. Tra questi, 150 milioni di persone appartengono in senso stretto ai popoli tribali e comprendono almeno settanta gruppi che non hanno mai avuto contatti con l'esterno;
    solitamente, i popoli indigeni rappresentano gli abitanti originari dei luoghi in cui vivono. Nella maggior parte dei casi, infatti, essi abitano le loro terre da secoli se non addirittura da migliaia di anni. Le loro società si distinguono notevolmente dalle altre: sono complesse, vitali e in costante mutamento. Culture, lingue e stili di vita dei popoli tribali, infatti, sono molto diversi, ed essi stessi si percepiscono come nettamente distinti dai popoli confinanti, anche se accomunati da un fortissimo attaccamento spirituale alle loro terre ancestrali;
    pur vivendo in ambienti incredibilmente diversi ed in regime di autosufficienza, i popoli tribali sono costantemente ed incessantemente minacciati dalla sostanziale mancanza di rispetto dei loro diritti territoriali da parte di Governi, società ed altri enti. Le loro terre, infatti, vengono invase senza soluzione di continuità. A farlo sono coloni, allevatori, società e multinazionali, soprattutto quelle petrolifere, minerarie o di disboscamento. Frequentemente, però, risultano essere invasivi e devastanti anche i progetti di sviluppo privati o governativi che vengono varati, ad esempio, per la costruzione di strade e dighe, o per la creazione di parchi e riserve naturali, determinando sempre, in un modo o nell'altro, invasioni che si traducono poi nella distruzione delle risorse necessarie alla loro sussistenza: il cibo e la casa;
    le invasioni sopra descritte, inoltre, spesso causano la morte, introducendo malattie verso cui, i popoli tribali, specialmente quelli più isolati, non hanno difese immunitarie. La mancanza di terra può turbare e sconvolgere la struttura sociale delle comunità portando sconforto e depressione fino ad arrivare alla scomparsa irreversibile di un popolo. Nel nome del progresso, intere tribù sono ancora oggi sfrattate dalle terre dei loro avi, ricorrendo in molti casi alla violenza, attaccando, imprigionando e uccidendo gli indigeni;
    per citare alcuni dei recenti casi, in cui sono state denunciate delle gravissime violazioni nei confronti delle popolazioni tribali, basti pensare a quanto stia tutt'ora accadendo ai Penan, popolazione indigena dello Stato malese del Sarawak, minacciati dalla programmata ed avviata costruzione di una serie di dighe, che li obbligherà ad abbandonare la loro terra, oppure alle tribù indigene del Brasile come gli Awà, popolo di cacciatori-raccoglitori la cui sopravvivenza è a rischio per i continui disboscamenti, o i Guaranì, soggetti alle continue violenze da parte degli allevatori locali. Proprio in Brasile diverse proposte di legge stanno minando la base dei diritti costituzionali faticosamente conquistati dagli indios, indebolendo le loro posizioni sulla questione territoriale, aprendo, tra l'altro, alla edificazione nelle loro terre di basi militari, attività minerarie, dighe ed altri progetti industriali. Così come, pratiche turistiche di veri e propri «safari umani» stanno seriamente compromettendo la preservazione dell'habitat e delle risorse degli Jarawa, popolo natio delle isole indiane Andamane, oppure come nello Stato africano del Botswana, la popolazione indigena dei Boscimani continui ad essere perseguitata, arrestata e maltratta, impedendo l'ingresso e la caccia nella loro terra di appartenenza, nonostante una pronuncia della Corte Suprema di quello Stato abbia confermato il loro diritto a vivere e cacciare nella riserva;
    tuttavia laddove i diritti dei popoli indigeni sono rispettati e viene data loro la possibilità di vivere in pace sulle proprie terre, molte società tribali prosperano e crescono numericamente, invertendo la tendenza al forte ribasso demografico che li caratterizzava fino a qualche tempo fa;
    la comunità internazionale, riconoscendo come le violazioni, perpetrate negli ultimi cinque secoli nei confronti dei popoli indigeni, abbiano condotto ad un vero e proprio «genocidio», e come esse abbiano causato la perdita della vita di milioni di persone e l'estinzione di centinaia di culture, lingue, tradizioni, stili di vita e conoscenze, ha sancito, in diversi atti internazionali, la necessità di tutelare la diversità culturale dei popoli indigeni, nel rispetto degli universali principi di giustizia, democrazia, eguaglianza, non discriminazione, e dei diritti umani;
    in forza di ciò, a partire dal 1982, l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha istituito il Working Group on Indigenous Populations, mentre il 27 giugno del 1989 l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ha adottato la Convenzione n. 169, concernente il riconoscimento e la tutela dei diritti dei popoli indigeni e tribali in Stati indipendenti. In seguito, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato l'anno 1993 come «Anno internazionale dei popoli indigeni» ed il periodo 1995-2004 come «Decennio Internazionale dei Popoli Indigeni» e ancora, successivamente, il periodo 2005-2014 come «Secondo Decennio Internazionale dei Popoli Indigeni», mentre il 13 settembre 2007 la stessa Assemblea Generale ha adottato la «Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni», in cui l'Italia ha assunto un importante ruolo di sponsor nel difficile processo di negoziazione;
    la citata Convezione dell'Organizzazione internazionale del lavoro sui popoli indigeni e tribali del 1989 (Convenzione n. 169), costituisce la più importante legge internazionale sui popoli tribali: ratificandola i Governi si assumono formalmente l'obbligo di rispettarla;
    la Convenzione ILO n. 169 riconosce i diritti di proprietà della terra dei popoli tribali e stabilisce che essi debbano essere consultati ogni qualvolta vengano varate leggi, o progetti di sviluppo, che possano avere un impatto sulle loro vite. Riconosce altresì le pratiche culturali e sociali dei popoli tribali, garantendo il rispetto delle loro tradizioni ed esigendo che le loro risorse naturali vengano protette;
    la Convenzione ILO n. 169 è lo strumento più efficace per proteggere i popoli tribali, custodi di tradizioni millenarie e per garantire agli stessi il controllo delle istituzioni, dei modi di vita e di sviluppo economico loro propri, nonché la conservazione e lo sviluppo della propria identità, della propria lingua e della propria religione, nell'ambito degli Stati in cui vivono;
    l'Italia, pur non avendo popolazioni indigene all'interno dei suoi confini, partecipa a numerosi progetti di sviluppo che hanno un impatto sulle comunità tribali. Per questo, oltre che per una significativa espressione di solidarietà verso tutti coloro che, individui o popoli, vedano negati i loro diritti, il Paese ha una responsabilità diretta nell'assicurare la tutela e il rispetto dei diritti sanciti dalla Convenzione;
    le azioni dei Governi di Paesi come l'Italia, inoltre, possono avere un impatto diretto sui popoli tribali, non solo in quanto membri di istituzioni internazionali che interagiscono con essi, come la Banca mondiale, ma anche attraverso progetti di cooperazione allo sviluppo o la partecipazione ai finanziamenti e alle iniziative sostenute dall'Unione europea. Ratificando la Convenzione n. 169, in particolare, il nostro Paese può offrire un modello di comportamento alle società nazionali, in modo particolare a quelle statali o cofinanziate dallo Stato, operanti in Paesi in cui vi sono popoli tribali, le quali, con frequenza, ricevono contributi della Banca mondiale o dall'Unione europea per stipulare accordi e contratti in tali nazioni;
    nel 2014 si terrà la prima conferenza mondiale dei popoli indigeni delle Nazioni Unite, proprio allo scopo di valutare la situazione dei popoli indigeni nel mondo e identificare le misure necessarie per assicurare il rispetto dei loro diritti, riconosciuti sia dalla Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni (UNDRIP), che dalla Convenzione n. 169;
    ratificando la Convenzione n. 169 il nostro Paese, non solo compirebbe un grande, quanto doveroso, atto di giustizia e civiltà, ma dimostrerebbe anche di aver recepito le raccomandazioni dell'ONU nel modo più significativo. Ratificando la Convenzione n. 169, inoltre, l'Italia potrebbe aiutare in modo concreto e immediato i popoli tribali a vivere sulle loro terre secondo lo stile di vita che loro stessi hanno scelto, e a determinare i tempi e la direzione del loro sviluppo;
    la diversità culturale dei popoli indigeni ancora oggi costituisce la stragrande maggioranza della diversità culturale dell'umanità e tale diversità culturale è una ricchezza che è necessario trasmettere alle generazioni future;
    la possibilità di costruire un futuro di pace, fondato su un vero rapporto di rispetto e incontro reciproco fra i popoli indigeni ed il mondo non indigeno, può essere possibile solo partendo dal riconoscimento di ciò che è accaduto in passato, e continua ad accadere anche oggi, ai popoli indigeni in ogni parte del mondo, dall'Africa all'Asia, dalle Americhe all'Oceania;
    la data dell'11 ottobre 1942 è considerata, simbolicamente, l'ultimo giorno di libertà dei popoli indigeni,

impegna il Governo:

   a presentare al più presto alle camere il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione n. 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, recependo le raccomandazioni formulate dal Parlamento europeo, attraverso le sue Commissioni per gli affari esteri e i diritti dell'uomo nel mondo ed in considerazione del fatto che la Convenzione ILO n. 169, non solo costituisce di gran lunga il modo più efficace per proteggere i popoli indigeni, ma rappresenta l'unica legge in grado di dare concreti strumenti giuridici alla tutela dei loro diritti;
   ad istituire la «Giornata della memoria del genocidio dei popoli indigeni», in corrispondenza dell'11 ottobre di ogni anno a venire.
(1-00206) «Piazzoni, Scotto, Migliore, Fava, Marcon, Melilla».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    come disposto dall'articolo 2 del decreto ministeriale 11 dicembre 2009, la vendita di uova extra fresche da parte di piccoli allevatori locali al produttore finale è ammessa soltanto nei casi in cui essa avvenga nel luogo di produzione o nell'ambito della regione di produzione, in un mercato pubblico locale, o nella vendita porta a porta;
    da suddetta disposizione deriva il divieto per gli allevatori di galline ovaiole di vendere le uova presso punti vendita di alimenti o dettaglianti locali, modalità queste che ne favorirebbero la commercializzazione rispetto alla vendita in azienda o porta a porta per evidenti comodità sia per il consumatore, che non sarebbe così costretto a recarsi in fattoria, sia per il produttore dati i costi da sostenere per la vendita itinerante;
    la vendita nei modi sopra descritti è inoltre possibile, per il piccolo allevatore che non dispone di un centro imballaggio, soltanto se possiede una quantità di galline inferiore a 50 unità, vincolo che limita ulteriormente la commercializzazione in quanto, con un quantitativo di prodotto così ristretto, il costo da sostenere per attuare una distribuzione ben organizzata e pubblicizzata sarebbe così elevato da rendere antieconomica la vendita;
    sarebbe auspicabile, anche al fine di incentivare il consumo di alimenti sani e nutrienti, permettere la vendita di tali uova extra fresche presso i rivenditori locali esclusivamente nell'ambito dei circuiti di filiera corta;
    la anzidetta possibilità di vendita oltre ad incrementare gli introiti del produttore, facilita la fruizione da parte del consumatore di un prodotto di altissima qualità, posto che gli allevamenti sono assoggettati ad autorizzazione e vigilanza secondo le norme vigenti e le eventuali fasi di manipolazione e mantenimento necessarie ad organizzare la vendita del prodotto presso i rivenditori locali potranno essere minuziosamente registrate e disciplinate con procedure e prassi già ampiamente collaudate,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di rivedere la normativa in materia di commercializzazione delle uova extra fresche al fine di consentire, nel rispetto della disciplina comunitaria, la vendita di tali uova presso rivenditori locali esclusivamente nell'ambito dei circuiti di filiera corta.
(7-00127) «L'Abbate, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con regio decreto legge n. 226 del 17 febbraio 1927 viene istituita la Compagnia italiana turismo (CIT), i cui soci fondatori sono le Ferrovie dello Stato, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e l'Ente nazionale per le industrie turistiche (ENIT), con lo scopo di promuovere l'Italia come destinazione del turismo internazionale;
   nel 1998, in seguito alla privatizzazione dell'azienda, l'imprenditore Gianvittorio Gandolfi ha acquistato la CIT dalle Ferrovie dello Stato;
   dal 1998 al 2002 il gruppo CIT ha operato investimenti per i quali ha ottenuto ingenti finanziamenti da parte dello Stato;
   nonostante il consistente flusso di contributi pubblici, dal 2003 al 2005 la società si è indebitata raggiungendo un passivo di 340 milioni di euro;
   nel marzo 2006 il debito ha superato i 600 milioni così che il tribunale fallimentare di Milano ha dichiarato lo stato d'insolvenza della CIT e l'ha ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria;
   successivamente, il Ministero dello sviluppo economico si è opposto allo stato passivo della CIT depositato presso il tribunale di Milano, nella speranza di ottenere il riconoscimento del privilegio per un credito di oltre 10 milioni di euro;
   nel 2011 il tribunale di Milano ha rigettato l'opposizione. L'Avvocatura dello Stato ha impugnato tale decisione presentando un ricorso alla Corte di cassazione per conto del Ministero;
   tale ricorso è stato dichiarato inammissibile, dal momento che la legge fallimentare, in casi del genere, prevede l'appello in secondo grado e non il ricorso diretto alla Corte di cassazione;
   il grossolano errore di procedura ha fatto sì che al Ministero dello sviluppo economico non solo fosse definitivamente negata la possibilità di vedere soddisfatto il suo credito di ben dieci milioni di euro, ma anche che gli fossero addebitate le spese processuali per un importo di 15 mila euro –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'errore procedurale commesso dall'Avvocatura dello Stato nel presentare ricorso in Cassazione anziché innanzi al tribunale fallimentare di Milano in opposizione allo stato passivo della Compagnia italiana turismo;
   se sia nelle intenzioni del Governo adoperarsi perché siano accertate, per quanto di competenza, le responsabilità degli uffici dell'Avvocatura dello Stato autori di tale errore e quali iniziative si intendano adottare per sanzionarne la condotta colposa che ha compromesso il recupero di una somma ingente – oltre 10 milioni di euro – di denaro pubblico. (5-01200)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, TURCO, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS e BALDASSARRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito, con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, cosiddetto decreto «salva Italia», contenente «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» in vigore dal 24 gennaio 2012, ha previsto l'apertura di nuove sedi di farmacia, autorizzando le regioni a bandire un concorso straordinario per la copertura delle sedi farmaceutiche di nuova istituzione e per quelle vacanti;
   l'articolo 11, comma 3, del suddetto decreto n. 1 del 2012 prevede che «Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad assicurare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la conclusione del concorso straordinario e l'assegnazione delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 e di quelle vacanti»;
   il decreto legge n. 1 del 2012, dunque, in conformità agli obiettivi di rilancio della concorrenza e di sviluppo delle infrastrutture al fine di favorire il potenziamento del servizio di distribuzione farmaceutica e l'accesso alla titolarità delle farmacie, ha previsto «la conclusione del concorso straordinario e l'assegnazione delle sedi farmaceutiche» entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto, fissando dunque termini certi per la conclusione del concorso e la conseguente assegnazione della sede farmaceutica al vincitore;
   l'articolo 11, comma 9, secondo periodo, del suddetto decreto, ha previsto anche che «Nel caso in cui le regioni o le province autonome di Trento e di Bolzano non provvedano nel senso indicato ovvero non provvedano a bandire il concorso straordinario e a concluderlo entro i termini di cui al comma 3, il Consiglio dei ministri esercita i poteri sostitutivi di cui all'articolo 120 della Costituzione, con la nomina di un apposito commissario che provvede in sostituzione dell'amministrazione inadempiente anche espletando le procedure concorsuali ai sensi del presente articolo»;
   ad oggi tutte le regioni, con la sola esclusione della provincia autonoma di Trento e Bolzano che avrebbe bandito solo recentemente il concorso, hanno proceduto all'espletamento del concorso e alla chiusura del bando seppur in ritardo (alcune regioni – più solerti – hanno chiuso la procedura concorsuale entro l'anno 2012 altre solamente entro il luglio del 2013), ma ancora non hanno proceduto alla formulazione delle graduatorie e alla assegnazione delle sedi farmaceutiche;
   il termine per «la conclusione del concorso straordinario e l'assegnazione delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 e di quelle vacanti» fissato dall'articolo 11, comma 3, del decreto-legge n. 1 del 2012, è ormai scaduto nel marzo del 2013 e a tutt'oggi le amministrazioni non hanno proceduto all'assegnazione delle sedi –:
   se il Governo sia a conoscenza della descritta situazione e per quali motivi le amministrazioni non hanno proceduto all'assegnazione delle sedi farmaceutiche entro il termine fissato dalla legge;
   se il Governo intenda esercitare il potere sostitutivo in conformità a quanto previsto dall'articolo 11, comma 9, del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge n. 27 del 2012 e dall'articolo 120 della Costituzione, e procedere all'assegnazione delle sedi farmaceutiche ai vincitori di concorso. (4-02136)


   BIONDELLI, ARLOTTI, ANTEZZA e BARUFFI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano on line «QS-Quotidiano Sanità», in data 25 settembre 2013, ha dato conto della preoccupazione di migliaia di donatori di sangue che sarebbero costretti ad allungare la propria permanenza sul posto di lavoro per un numero di giorni pari ai permessi ottenuti per le donazioni, a causa di una norma contenuta nella cosiddetta «Riforma previdenziale Fornero» (articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214);
   lo stesso rischio sembra estendersi anche nei confronti di quei lavoratori che hanno usufruito dei permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992 per l'assistenza di parenti disabili;
   qualora tali preoccupazioni dovessero rivelarsi fondate si assisterebbe ad un caso di grande ingiustizia sociale, penalizzando persone che, nel caso dei donatori di sangue, compiono un atto di alto valore morale e solidale, oppure, nel caso di coloro che assistono propri congiunti disabili, compiono un atto di supplenza a servizi pubblici a volte inesistenti;
   sotto il profilo strettamente giuridico si pone, anche, un problema circa la retroattività delle previsioni contenute nella «riforma Fornero»; infatti, numerosi cittadini hanno usufruito – per esempio – dei permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992, ma al momento della scelta non potevano sapere che ciò avrebbe comportato uno slittamento della decorrenza della pensione –:
   se siano rispondenti al vero le preoccupazioni sopra riportate;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere al fine di eliminare l'anomalia dovuta alla presenza di periodi lavorativi che, seppur coperti da contribuzione effettiva ed utili ai fini pensionistici, non risultano utili al fine di determinare l'anzianità da prendere in considerazione per non far scattare le penalizzazioni previste. (4-02137)


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2013 la provincia di Matera è stata messa in ginocchio da un violento nubifragio;
   le piogge alluvionali hanno colpito diversi comuni della fascia jonica lucana quali Policoro, Scanzano Jonico, Bernalda e Pisticci;
   l'ondata straordinaria di maltempo ha causato l'innesto di fenomeni di dissesto idrogeologico ed idraulico, esondazioni, allagamenti dei centri abitati, interruzione dei collegamenti viari e ha provocato danni ingenti alle infrastrutture urbane ed extraurbane, alle aziende ed alle colture agricole, alle abitazioni civili;
   l'evento calamitoso ha causato la morte di Pino Bianculli, infermiere 32 anni di Montescaglioso travolto dal fango al rientro dalla clinica dove prestava servizio;
   allo stato attuale ci troviamo di fronte ad uno stato di calamità naturale che richiede l'adozione dei necessari provvedimenti ed il reperimento delle risorse economiche al fine di ripristinare la situazione dei luoghi danneggiati e dare il giusto ristoro agli imprenditori agricoli ed agli operatori della zona;
   è necessario dichiarare lo stato di emergenza;
   ferma restando l'adozione non più rinviabile da parte della regione Basilicata di un piano organico che metta in sicurezza le parti più vulnerabili del territorio, nell'immediato è doveroso assicurare soccorso alle popolazioni coinvolte, stimando i danni alle infrastrutture ed alle produzioni agricole e apportando soluzioni ai problemi impellenti –:
   se il Governo nazionale ritenga necessario dichiarare lo stato di emergenza per l'ondata di maltempo che ha colpito la fascia jonica lucana;
   se ritenga doveroso monitorare la situazione per stimare i danni subiti e garantire adeguate risorse ad un territorio fortemente provato dalle conseguenze della violenta alluvione;
   quali azioni intenda porre in essere per definire nell'immediato una risposta operativa al fine di superare la fase emergenziale ed avviare il processo di messa in sicurezza. (4-02142)


   RAGOSTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 3 settembre 2013 un uomo di 42 anni, senza fissa dimora, affetto da HIV, muore nel reparto Malattie Infettive dell'Azienda Ospedaliera Universitaria «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona», dopo che per 24 ore si è cercato, senza esito, un posto letto disponibile in altri ospedali campani adeguati, come il «Moscati» di Avellino o il «Cotugno» di Napoli;
   in seguito a questo episodio sono scattate le indagini della Magistratura, con l'invio di tre avvisi di garanzia al personale medico e infermieristico che aveva preso in carico il paziente;
   la provincia di Salerno conta 1.200mila abitanti. L'unico reparto di Malattie Infettive adeguatamente attrezzato e riferimento provinciale è proprio quello dell'Azienda Ospedaliera Universitaria «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona». Ne consegue che è quindi l'unico punto per la prevenzione, la cura e la riabilitazione dei pazienti affetti da virus Hiv. Dai recenti report (quali ?) si evince che attualmente al reparto afferiscono e vengono trattati in regime di Day Hospital Infettivologico circa 400 pazienti;
   il Decreto 49/2010, emanato in data 27 settembre 2010 dal Commissario ad Acta per la prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanitario, Stefano Caldoro, nominato con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 21 gennaio 2010, e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania (BURC) n. 65 del 28 settembre 2010, avente ad oggetto «Riassetto della rete ospedaliera e territoriale, con adeguati interventi per la dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi non in grado di assicurare adeguati profili di efficienza e di efficacia; analisi del fabbisogno e verifica dell'appropriatezza: conseguente revoca degli accreditamenti per le corrispondenti strutture private accreditate; conseguente modifica del Piano Ospedaliero regionale in coerenza con il piano di rientro. Modifiche ed integrazioni», riduce i posti letto del reparto di Malattie Infettive che da 50 (42 ordinari e 8 in regime di DH) diventano 35 (30 ordinari e 5 in regime di DH);
   a causa del mancato avvio dei lavori di ristrutturazione (peraltro appaltati dal precedente manager dell'Azienda, dr. Attilio Montano Bianchi con deliberazione n. 705 del 30 settembre 2010) al secondo piano del reparto Malattie Infettive, attualmente i posti letto disponibili sono soltanto 16;
   a causa della chiusura del secondo piano del reparto di Malattie Infettive, per consentire i lavori mai avviati, ben 12 infermieri sono stati considerati in esubero e pertanto messi a disposizione temporaneamente sia all'interno del Dipartimento medico-chirurgico Fegato, rene e trapianti, che di altri Dipartimenti. Ad oggi, nonostante la necessità nel reparto di Malattie Infettive, quegli infermieri non vi sono più ritornati a lavorare, né è stato possibile, a causa del blocco del turn-over, assumerne altri, peggiorando quindi la carenza di personale di questo, come di altri reparti dell'Azienda, a cominciare dal Pronto Soccorso, ricorrendo all'uso di lavoro straordinario che, nel 2012, è costato circa 7 milioni di euro;
   il 30 settembre c.a. è inoltre scaduta la convenzione che consentiva di avere all'interno dell'AOU di Salerno un laboratorio di Biologia Molecolare dedicato alle patologie infettive, diventato uno dei più quotati in Italia nel campo dell'Hiv. Tutti i pazienti, che fino ad oggi afferivano alla struttura ospedaliera salernitana, dovranno quindi essere curati in altre strutture specializzate –:
   se intenda accertare con la massima urgenza quanto rappresentato in premessa per quanto di propria competenza;
   quali iniziative, per il tramite del commissariato ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai deficit sanitari, intenda adottare per procedere con l'immediato ripristino dei 35 posti letto, come disposto dal decreto commissariale 49/2010;
   come intenda procedere per affrontare definitivamente la riorganizzazione del sistema sanitario campano, bloccato ancora dal piano di rientro, rimettendo al centro il diritto alla salute e il rispetto della dignità dei lavoratori anche valutando eventuali deroghe al blocco delle assunzioni. (4-02144)


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   su vari organi di informazione è apparsa la notizia che un alto manager dello Stato, il presidente nazionale dell'INPS percepisce una indennità per la sua carica di 216.711 euro l'anno a cui si aggiungono gli emolumenti di vicepresidente di Equitalia e quelli derivanti da altri 22 incarichi per un totale complessivo stimato di oltre 1 milione di euro l'anno;
   la cifra è assolutamente inconcepibile se fosse confermata e crea nell'opinione pubblica sentimenti di sdegno se rapportati alla situazione finanziaria dell'Italia e al suo debito pubblico –:
   se la notizia corrisponda al vero e quale sia effettivamente l'importo delle indennità percepite dal presidente dell'INPS per i suoi incarichi pubblici;
   se non ritenga di adottare iniziative normative urgenti per riportare a livelli accettabili i compensi del presidente dell'INPS e dei manager dello Stato in linea con la politica di rigore finanziario adottata nel campo previdenziale pubblico, nelle politiche retributive e nei tagli al sistema della sicurezza sociale con i gravi riflessi che ciò ha determinato sulle condizioni di vita dei cittadini italiani a partire da quelli appartenenti alle fasce meno abbienti del Paese. (4-02148)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il 17 giugno 2011 l'Unione europea ha avviato nei confronti dell'Italia la procedura di infrazione n. 2011/4021, chiedendo al nostro Paese di rimuovere le violazioni alla normativa europea riscontrate nella gestione dei rifiuti, con particolare riferimento alla discarica di Malagrotta;
   i Ministri Moavero Milanesi (Affari europei) e Orlando (Ambiente), nel corso dell'audizione congiunta sullo stato delle procedure di infrazione europea in materia ambientale che si è svolta lo scorso 11 settembre 2013 nelle commissioni riunite VIII ambiente e XIV politiche comunitarie, hanno dichiarato che la questione delle discariche e della gestione dei rifiuti in generale rappresentano motivo di buona parte delle procedure di infrazione aperte nei confronti dell'Italia dall'Unione europea; per quanto riguarda il settore dei rifiuti c’è un alto livello di criticità anche per il rischio che le procedure di infrazioni arrivino a diventare sanzioni con aggravio per il bilancio dello Stato;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 luglio 2011, è stato dichiarato lo stato di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma fino al 31 dicembre 2012, in relazione alla imminente chiusura della discarica di Malagrotta e alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3963 del 6 settembre 2011, è stato nominato il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, commissario delegato per il superamento della situazione di emergenza ambientale, con il compito di garantire l'individuazione, la progettazione e la successiva realizzazione, mediante l'utilizzo di poteri straordinari e derogatori, di una o più discariche e/o l'ampliamento di discariche esistenti;
   alla fine di maggio 2012 il prefetto Giuseppe Pecoraro si è dimesso dalla carica di commissario delegato; al suo posto, con provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2012, è stato nominato il prefetto Goffredo Sottile;
   in data 20 giugno 2012, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha tenuto l'audizione del Commissario straordinario Sottile, al fine di comprendere in quale direzione la struttura commissariale si stesse muovendo, sia per verificare quali fossero i criteri di scelta del sito o dei siti da adibire a discarica temporanea. L'audizione – tuttavia – come scritto nella «Relazione territoriale delle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti della regione Lazio», approvata all'unanimità dalla Commissione il 3 luglio 2012 è stata definita «infruttuosa», non essendo state fornite risposte precise né in merito alla scelta dell'area né in ordine ai criteri e alle metodologie che utilizzate per l'individuazione della stessa;
   a Roma è stato individuato, in località Falcognana, il possibile sito in cui realizzare la discarica per lo stoccaggio dei rifiuti della capitale, dopo la decisione di chiudere il 30 settembre 2013 la discarica di Malagrotta per raggiunti limiti di capienza;
   secondo quanto riferito da organi di stampa tale decisione è stata presa nella tarda serata di giovedì 8 agosto 2013, durante un incontro avvenuto tra il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Andrea Orlando, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Ignazio Marino, che hanno dato incarico al commissario per l'emergenza rifiuti nel Lazio, Goffredo Sottile, di verificare ulteriori aspetti tecnici e logistici del sito stesso;
   con una nota del 18 settembre 2013 pubblicata anche sul sito istituzionale della regione son riportate le dichiarazioni del commissario Goffredo Sottile, ascoltato nella commissione Ambiente del Consiglio regionale del Lazio, con le quali si precisa che Falcognana sarà una piccola discarica, temporanea, dove verranno conferite solo 300 tonnellate di rifiuti al giorno, tutti trattati. Un quinto dei rifiuti che produce Roma ogni giorno»;
   secondo i più recenti dati pubblicati da ISPRA a Roma si producono ogni giorno circa 4.900 tonnellate delle quali, in base a quanto comunicato dal Presidente Zingaretti, almeno 3.600 tonnellate di rifiuto indifferenziato ogni giorno;
   con determinazione n. B2211 del 20 aprile 2010 della regione Lazio, la Ecofer Ambiente Srl ha ottenuto autorizzazione integrata ambientale, ai sensi del previgente decreto legislativo n. 59 del 2005 e successive modificazioni e integrazioni per la discarica per fluff sita nel comune di Roma, località Falcognana;
   la determinazione dirigenziale n. B5324 del 29 ottobre 2010 ha approvato un progetto per l'installazione e l'esercizio, in regime sperimentale, per un periodo di due anni, di un impianto per il trattamento del percolato prodotto dalla discarica situata nel comune di Roma, in località Falcognana, gestita dalla Ecofer Ambiente Srl, ai sensi dell'articolo 211 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni;
   con istanza della medesima Ecofer Ambiente Srl del 3 ottobre 2012 ed acquisita al protocollo regionale n. 184335 dell'8 ottobre 2012, avente ad oggetto le proposte di modifica, ai sensi dell'articolo 29-novies, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni sono state indicate: a) variazioni plano altimetriche di dettaglio sugli invasi dei lotti II e III della discarica; b) definizione delle aree destinate allo stoccaggio dei materiali tufacei provenienti dalla escavazione e dalla sagomatura del fondo del nuovo lotto III; c) sostituzione del Piano di ripristino ambientale vigente, al fine di ricomprendervi la realizzazione di un impianto fotovoltaico su una porzione della copertura finale del lotto I succitato; d) realizzazione di un impianto di evapotraspirazione per la depurazione delle acque reflue civili;
   sul sito istituzionale della regione Lazio è stata pubblicata la determinazione dirigenziale n. A03335 del 24 aprile 2013 che autorizza la proroga, ai sensi dell'articolo 211, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni per un anno dei termini utili all'esercizio, in regime sperimentale, dell'impianto di trattamento del percolato prodotto dalla discarica per rifiuti speciali, pericolosi e non;
   in data 13 settembre 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispondendo ad una interpellanza alla Camera dei deputati ha dichiarato che le autorizzazioni in atto per l'impianto di Falcognana andrebbero in parte integrate al fine di un completo adeguamento all'uso prospettato della discarica e per ricevere rifiuti con codice CER ancora non coperti dalle autorizzazioni in essere;
   nella stessa occasione il Ministro interrogato ha anche aggiunto di dover ipotizzare Falcognana o quale sarà l'altro sito che verrà individuato alla fine di questo iter come una discarica di servizio;
   in data 17 settembre 2013 il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, rispondendo ad una interpellanza alla Camera dei deputati, ha dichiarato che l'area dove dovrebbe sorgere la discarica di Falcognana rientra in un perimetro, dichiarato di notevole interesse pubblico con decreto del direttore generale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio del 25 gennaio 2010 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 25 del 1o febbraio 2010);
   il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha sottolineato, altresì, che le prescrizioni d'uso consentono, con riferimento alle discariche collocate in tale perimetro, la possibilità di procedere ad interventi modificativi e di recupero delle stesse solo previa valutazione di compatibilità con i valori riconosciuti del paesaggio agrario e subordinatamente alla realizzazione di misure ed opere di miglioramento della qualità paesaggistica del contesto e che la realizzazione di nuove discariche non è consentita;
   secondo quanto riportato da fonti della stampa il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, il 23 settembre 2013 durante il suo discorso al consiglio regionale sulla emergenza dei rifiuti avrebbe confermato il suo assenso alla discarica di Falcognana, come «l'unica discarica che offre garanzie per la salute dei cittadini e per l'ambiente»;
   secondo quanto riportato da organi di stampa e pubblicato in rete attraverso i social network la Ecofer ambiente avrebbe richiesto alla regione Lazio di «ampliare l'elenco dei codici CER conferibili integrandolo con i rifiuti speciali provenienti dalle diverse realtà produttive regionali»;
   tale richiesta sarebbe motivata dalla notevole riduzione dei volumi del fluff da rottamazione, anche in relazione alla forte riduzione del mercato automobilistico e alla conseguente riduzione della rottamazione delle auto;
   tra i rifiuti per i quali si è proposta l'integrazione rientrano i prodotti provenienti dalla produzione industriale di pelli, rifiuti provenienti da processi chimici organici e inorganici, rifiuti della raffinazione del petrolio, olii esauriti e residui di combustibili, terreni provenienti da siti contaminati;
   nella popolazione che vive nel quadrante sud della città di Roma sono in atto da diversi mesi iniziative tese ad ottenere informazioni e dettagli sul quadro delle autorizzazioni e sulle prospettive dell'impianto della Falcognana –:
   quale iniziative il Governo intenda assumere per informare la popolazione sull'effettiva e piena legittimità delle operazioni di smaltimento di rifiuti industriali nel sito della Falcognana;
   se siano state o meno rilasciate autorizzazioni a Ecofer ambiente srl per un ampliamento delle tipologie dei rifiuti trattabili e quali, eventualmente, siano i codici CER autorizzati;
   quale azione il Governo per quanto di sua competenza intenda assicurare e con quali tempi e modalità al fine di garantire che nella attuale discarica di Falcognana non sia conferito alcun tipo di prodotto derivante da terreni contaminati e/o da produzioni industriali inquinanti.
(2-00250) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, VIGNAROLI, BUSTO, ZOLEZZI, DE ROSA, DAGA, MANNINO, SEGONI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la discarica in località Cà Lucio in provincia di Pesaro-Urbino è un sito che attualmente presenta diverse profili di criticità ambientali che interessano principalmente le matrici naturali suolo ed atmosfera;
   per quello che attiene al primo aspetto, il percolato prodotto attualmente dalla discarica viene trattato in un impianto ad osmosi inversa, che risulta sottodimensionato rispetto ai periodi piovosi, durante i quali si ricorre al trasporto e smaltimento in numerosi impianti di trattamento fuori provincia del percolato prodotto in eccesso. Testimonianze degli abitanti della zona affermano che l'impianto funziona saltuariamente e dopo numerose indicazioni da parte di associazioni e cittadini, ora anche ARPAM conferma che risultano contaminate sia le acque dei piezometri della discarica, che le acque di sottotelo e chiede, dopo 20 anni di coltivazione, uno studio idrogeologico;
   per quel che riguarda il secondo aspetto, l'impianto esistente di captazione del biogas prodotto dai rifiuti risulta essere sottodimensionato e i residenti intorno alla discarica riscontrerebbero un utilizzo della torcia ricorrente e frequente, non solo quindi in situazioni di emergenza (in contrasto con le autorizzazioni rilasciate); purtroppo non risulta tecnicamente possibile nel sito indicato provvedere alla captazione del biogas prodotto e quantità significative si disperdono in atmosfera con denegati effetti climalteranti per l'atmosfera e costringendo le popolazioni residenti limitrofe a respirare sostanze pericolose;
   come se non bastasse, la discarica in località Cà Lucio è attualmente interessata da un progetto di ampliamento che non può che indurre, alla luce delle considerazioni testé esposte, ulteriore preoccupazione presso le popolazioni residenti alla luce di un aggravio ulteriore delle condizioni ambientali e sanitarie dell'area interessata –:
   se il Ministro, non ritenga opportuno, nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali, disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al comando carabinieri tutela dell'ambiente (CCTA), in relazione all'oggettivo pericolo per la popolazione residente. (5-01198)


   ARTINI, SEGONI, DAGA, ZOLEZZI, BUSTO, TOFALO e RIZZO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dai quotidiani la procura di Pistoia avrebbe aperto un'indagine nei confronti di Publiacqua, «per il reato di appropriazione indebita» che vedrebbe coinvolti i vertici della società mista che gestisce il servizio idrico integrato (acquedotti, fognatura e depurazione) nella Toscana centrale;
   secondo quanto riportato dalla stampa locale e anche da un comunicato di Publiacqua spa l'indagine sarebbe stata aperta per la mancata restituzione della remunerazione del capitale, voce tariffaria abrogata dal referendum del 2011;
   nei mesi scorsi Legambiente, Confconsumatori e il comitato Acquabenecomune avevano presentato esposti per la mancata applicazione degli esiti referendari. Ai vertici viene contestato di essersi trattenuti una quota di circa il 13,76 per cento da restituire a tutti utenti su quanto dagli stessi versato con le bollette dell'acqua e mai restituito da Publiacqua;
   secondo i media la procura avrebbe «preso in considerazione anche un successivo esposto» che poneva «interrogativi sull'effettivo ammontare degli investimenti compiuti da Publiacqua nel 2012, dopo che Ginevra Lombardi, allora assessore all'ambiente del comune di Pistoia aveva chiesto spiegazioni del perché, sebbene fosse previsto che Publiacqua investisse 78 milioni nel 2012, ne risultassero invece rendicontati in bilancio solo circa 63»;
   il verbale di identificazione con la quale la società è stata informata delle indagini, riferisce Publiacqua, è stato recapitato all'amministratore delegato della società Alberto Irace;
   l'attuale sottosegretario ai trasporti, Erasmo D'Angelis è stato presidente di Publiacqua spa dal dicembre 2009 fino all'undici maggio 2013;
   il Tar della Toscana ha accolto il ricorso presentato dal Forum Toscano dei Movimenti per l'Acqua: le tariffe praticate dai gestori dopo il referendum sono illegittime, in quanto comprendono ancora la «remunerazione del capitale investito» abolita dal referendum del 12 e 13 giugno 2011. Il tribunale amministrativo in un passaggio della sentenza n. 436 scrive: «il criterio della remunerazione del capitale essendo strettamente connesso all'oggetto del quesito referendario, viene inevitabilmente travolto dalla volontà popolare abrogatrice»;
   il 13 settembre 2013 l'assemblea dei sindaci della provincia di Genova, ha deliberato la restituzione delle somme indebitamente pretese dai gestori del servizio idrico dal 21 luglio al 31 dicembre 2011;
   il giudice di pace di Chiavari, in Liguria ha disposto la restituzione del 22 per cento della bolletta di una cittadina, pari alla quota di profitto che i cittadini pagano sulle bollette dell'acqua, come «remunerazione del capitale»;
   con il decreto-legge n. 201 del 2011, il cosiddetto «Salva-Italia», sono state attribuite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas «le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici»;
   le tariffe determinate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e approvate in Toscana dall'assemblea dell'Ait (Autorità Idrica Toscana) ha reintrodotto la remunerazione del capitale investito sotto la voce «oneri finanziari»;
   con la deliberazione n. 38 del 31 gennaio 2013 l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha stabilito, dopo un parere del Consiglio di Stato, che la componente tariffaria del servizio idrico integrato relativa alla remunerazione del capitale sia restituita direttamente all'utente senza passare per un conguaglio di fine anno. Ha avviato un procedimento per la determinazione: «dei criteri attraverso cui gli Enti d'Ambito dovranno individuare, fermo restando il principio del full cost recovery, gli importi indebitamente versati da ciascun utente a titolo di remunerazione del capitale investito in relazione al periodo 21 luglio 2011 – 31 dicembre 2011, da restituire all'utente medesimo». Il termine di durata del procedimento è stato fissato in 120 giorni;
   con deliberazione n. 273 del 25 giugno 2013 ha definito i criteri per la determinazione dell'ammontare da restituire circa gli importi indebitamente versati da ciascun utente a titolo di remunerazione del capitale investito in relazione al periodo 21 luglio 2011 – 31 dicembre 2011. Tali criteri prevedono che dalla quota della remunerazione del capitale, determinata ai sensi dell'articolo 3.3 del metodo tariffario normalizzato ovvero in applicazione dell'articolo 8 del metodo tariffario Emilia Romagna, prevista da ciascun piano d'ambito o da altri documenti di pianificazione, devono essere detratte le seguenti voci di costo, riferite al solo servizio idrico integrato:
    a) gli oneri fiscali;
    b) gli oneri finanziari;
    c) gli accantonamenti per la svalutazione crediti;
   Publiacqua, ricorda che «per quanto riguarda il periodo che va dal luglio al dicembre 2011 siamo in attesa che l'Autorità idrica regionale ci comunichi quanto dobbiamo restituire agli utenti»;
   i criteri individuati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas inerenti alla determinazione dell'ammontare da restituire circa gli importi indebitamente versati da ciascun utente a titolo di remunerazione del capitale investito in relazione al periodo 21 luglio 2011 – 31 dicembre 2011, di cui al comma 3 dell'articolo 2 della deliberazione 273/2013, ad avviso degli interroganti non appaiono rispettosi e coerenti con l'esito del secondo quesito referendario del 2011 –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda a verità;
   se il Sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti, ex presidente di Publiacqua, Erasmo d'Angelis, sia coinvolto nell'indagine in corso da parte della procura di Pistoia;
   quali azioni si intendano mettere in atto per dare effettiva applicazione alla volontà popolare espressa con il referendum del 2011;
   quali azioni si intendano mettere in atto per favorire la ri-pubblicizzazione del servizio idrico;
   se si intendano assumere iniziative per superare, e con quali modalità, l'attuale regime transitorio della tariffa del servizio idrico integrato. (5-01201)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Corriere della Sera del 7 ottobre ed altri articoli di stampa locale e on line riportano la notizia del ritrovamento di un altro esemplare di orso marsicano morto nel Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm);
   si teme che il sopraddetto animale sia stato avvelenato. Dubbia appare l'ipotesi di morte naturale o di un combattimento tra orsi. Saranno gli accertamenti del centro veterinario specialistico di Grosseto a chiarire se si tratti di morte per veleno. Il corpo dell'orso, che aveva meno di due anni, si trovava nel bosco della Difesa, nel comune di Villavallelonga (L'Aquila), nella zona dei Prati d'Angro;
   questo ritrovamento avviene a circa tre mesi dopo quello dell'orso marsicano nominato Stefano ucciso a fucilate e per cui l'interrogante ha presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 4-01346 senza aver ottenuto, nonostante i solleciti, ancora risposta dal Ministro delegato –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sia a conoscenza dell'ennesimo grave fatto che vede la morte di un prezioso esemplare di fauna protetta, per cui se fosse chiarita la natura dolosa dell'avvenimento potrebbe configurarsi come un altro gesto intimidatorio nei confronti dell'Ente parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise;
   quali iniziative urgenti, di concerto anche con l'Ente parco, il Corpo forestale dello Stato e il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, intenda il Ministro interrogato mettere in campo per chiarire l'accaduto e, nel caso, favorire l'individuazione dei responsabili. (4-02139)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   BOSCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il poligono di Drasi, in provincia di Agrigento, si trova in uno dei tratti più suggestivi della costa siciliana, ma è sede di un'intensa attività di esercitazioni militari;
   la regione Sicilia ha inserito, con decreto dell'assessorato dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione del 13 aprile 2001, tale area tra quelle da proteggere e l'intera zona è ricompresa in un parco naturale, come si evince anche dalle restrizioni imposte dagli strumenti urbanistici;
   è difficile la coesistenza di un parco naturale in corrispondenza di un'area addestrativa, dove, peraltro, non è difficile ritrovare reperti dell'attività svolta;
   la spiaggia di Punta Bianca consiste in uno sperone roccioso che si protende in mare, accogliendo nei suoi anfratti decine di calette sia sabbiose che di ciottoli, bagnate da un mare cristallino difficilmente ritrovabile in altre parti del Mediterraneo;
   la particolarità di questa spiaggia è data dalla trasparenza che la roccia calcarea riesce a creare digradando nell'acqua e la zona si caratterizza anche per la flora endemica e per la presenza di alcune specie molto rare di volatili;
   si rende urgente preservare l'area dalle vibrazioni causate dalle esercitazioni e dall'inquinamento acustico, nonché dal passaggio di mezzi militari che mettono a repentaglio la solidità della strada che conduce a Punta Bianca, anch'essa d'inestimabile valore paesaggistico;
   la situazione è a conoscenza del Ministero della difesa sin dal 1994, quando fu soppresso il distretto militare di Agrigento, ma fu conservato il poligono di Drasi in una delle zone più belle della fascia costiera siciliana;
   si dà atto al Ministero della difesa di avere dimostrato una certa sensibilità nell'aver sottoposto ad interruzione delle attività il poligono di Drasi dal 15 giugno al 15 settembre di ogni anno, in ottemperanza a quanto deciso dal Comitato misto paritetico della regione siciliana il 13 novembre 2008 e, dopo le esercitazioni, di aver fatto ripristinare la strada dall'Arma del genio militare dell'esercito;
   il 29 aprile 2013, il comandante della regione militare sud, il generale di corpo d'armata, Corrado Dalzini, ha affermato che, se la regione, in sintonia con i vertici dell'Esercito italiano, trovasse un'altra area per le esercitazioni, non ci sarebbe nessun problema a spostare il poligono –:
   se il Governo non ritenga opportuno, al fine della tutela ambientale, dello sviluppo socio economico e di quello turistico dell'area di Drasi (Agrigento), spostare il poligono di tiro in altro sito. (3-00375)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIVATI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 16 settembre 2013 l'Associazione bancaria italiana (ABI), dopo aver illustrato le condizioni economiche di scenario delle banche italiane, ha comunicato, con sua lettera raccomandata a/r firmata dal direttore generale Giovanni Sabatini, ai seguenti sindacati Dircredito-FD, Sinfub, Fabi, Fiba-Cisl, Fisac-Cigl, Ugl-Credito, Uilca, Unità Sindacale Falcri Silcea la disdetta unilaterale del contratto nazionale di lavoro per i dirigenti dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali;
   tale contratto, siglato il 29 febbraio 2012 e in scadenza il 30 giugno 2014, avrebbe portato a un aumento medio del trattamento economico pari ad almeno 170 euro a regime per il triennio 2012-2014, e che, a seguito di discussioni molto animate nelle assemblee dei lavoratori, aveva trovato l'approvazione da quasi il 60 per cento dei lavoratori;
   la disdetta unilaterale da parte di ABI è avvenuta con un anticipo di ben 10 mesi rispetto alla scadenza del contratto stesso, bloccando gli aumenti contrattuali automatici;
   nella lettera firmata dal direttore generale Sabatini, a seguito di una descrizione delle condizioni di scenario del comparto, si fa esplicito riferimento ad uno scenario che potrebbe portare a riduzioni del personale, descrivendo una situazione in cui «le banche si trovano [...] a dover gestire gli addetti in eccedenza, con una vita lavorativa che si è nel frattempo allungata per effetto della riforma delle pensioni, e le cui competenze e professionalità non risultano più coerenti con l'attuale modo di fare banca», senza ipotizzare alcun percorso alternativo di riqualificazione professionale;
   i sindacati hanno sottolineato come le banche siano già intervenute sul costo del personale tagliando, dal 2008 al 2012, nel complesso, 28.500 posti di lavoro e altri 40.000 sono stimati dai sindacati per i prossimi due anni;
   la disdetta unilaterale, nelle intenzioni di ABI, ha la finalità, utilizzando le parole del direttore generale Sabatini, di «favorire il più ampio, consapevole e approfondito contraddittorio tra le Parti sociali» ma, allo stesso tempo, mette in discussione in maniera unilaterale una storia fatta di relazioni dialettiche che hanno permesso di costruire posizioni condivise anche nelle occasioni di maggiore criticità;
   la disdetta del contratto nazionale apre a scenari inesplorati per il settore, non escludendo la possibilità di tendere a modelli di contrattazione che escludano modelli su scala nazionale per approdare a modelli su scala aziendale;
   la disdetta unilaterale da parte di ABI rischia di mettere a repentaglio il futuro del Fondo di solidarietà di settore, poiché segna un brusco rallentamento nella trattativa che avrebbe dovuto affrontare l'armonizzazione del Fondo stesso, e che avrebbe dovuto concludersi entro la scadenza imposta dalla legge (31 ottobre 2013). In assenza di tale accordo la categoria corre il rischio di non poter essere garantita dagli ammortizzatori sociali che in questi anni hanno permesso di fare fronte a processi di ristrutturazione, senza oneri a carico dello Stato;
   la disdetta unilaterale da parte di ABI del contratto collettivo nazionale di lavoro firmato a inizio 2012 pone nuovamente in risalto le criticità che gravano sul rapporto tra salario e occupazione nel nostro Paese –:
   se, alla luce di quanto sopra illustrato, il Governo non intenda assumere iniziative necessarie a garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, sanciti nella nostra Carta costituzionale, interessati dalla disdetta unilaterale da parte di ABI del CCNL per i dirigenti e i dipendenti delle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, firmato nel febbraio 2012, al fine di scongiurare una drammatica, dolorosa e copiosa perdita di posti di lavoro. (5-01194)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da un recente articolo pubblicato su «La Stampa» edizione di Cuneo del 4 settembre 2013 si è appreso che il comune di Cuneo, in applicazione della riforma della geografia giudiziaria che prevede l'accorpamento nella città di due tribunali soppressi, quelli di Saluzzo e Mondovì, si è rivolto all'Agenzia del demanio per avere in locazione circa 700 metri quadrati posti all'interno del palazzo degli uffici finanziari, di via Gobetti;
   il canone mensile richiesto dalla stessa Agenzia del demanio risulta essere pari a euro 9,20 al metro quadrato, oltre alle spese che il comune avrebbe dovuto sostenere per la sistemazione e messa a norma di locali ed impianti e le elevatissime spese condominiali;
   il palazzo degli uffici finanziari, ultimato nel 2001 e costato circa 90 miliardi di lire nel dicembre del 2004 è stato conferito, insieme ad altri 393 immobili di proprietà dello Stato dal MEF al Fondo immobili pubblici (FIP), gestito dalla società Investire Immobiliare SGR. Data l'ingente dimensione del portafoglio immobiliare, Investire Immobiliare SGR ha suddiviso gli immobili in ulteriori tre portafogli, delegando la gestione di due di essi rispettivamente a BNL Fondi Immobiliari SGR ed a Pirelli RE SGR;
   sempre nel dicembre 2004 FIP e Agenzia del demanio hanno stipulato un contratto di locazione e quest'ultima ha, a sua volta, stipulato con le singole pubbliche amministrazioni utilizzatrici dei disciplinari di assegnazione;
   risulta allo scrivente che il palazzo degli uffici finanziari rientri nel portafoglio immobiliare gestito da Pirelli RE SGr, a cui l'agenzia del demanio versa un canone annuo di oltre 3.500.000 euro;
   la citata struttura è occupata per circa il 60 per cento della superficie ed ospita gli uffici di: Agenzia delle entrate, Agenzia del territorio, Ispettorato del lavoro, ufficio esecuzione penale esterna, commissione tributaria, Agenzia delle dogane, ragioneria provinciale dello Stato ed ufficio del tesoro;
   per l'amministrazione della struttura, il demanio si avvale — sempre secondo le fonti giornalistiche — della società ALTAR IFM Spa, alla quale versa circa euro 400.000 all'anno di spese condominiali per la sola superficie attualmente sfitta. I restanti 600.000 euro annui sono invece versati dalle pubbliche amministrazioni ospitate;
   il costo totale della struttura, seppur inutilizzata per il 40 per cento della propria metratura — pari complessivamente ad oltre 47.000 metri quadrati, inclusa l'adiacente palazzina di 18 alloggi per custodi e dirigenti, mai utilizzati — ammonta quindi a quasi 4.000.000 di euro all'anno;
   nonostante tale, ingente importo i lavoratori — così come segnalato anche dai sindacati a mezzo stampa — lamentano numerosi disagi, legati in particolar modo all'incuria ed alla mancanza di sicurezza (ascensori spesso guasti, infiltrazioni d'acqua nei sotterranei e altri);
   il comune di Cuneo ha giudicato troppo onerosa la richiesta pervenutagli dall'Agenzia del demanio, anche alla luce dei valori riportati dalla banca dati delle quotazioni immobiliari dell'Osservatorio del mercato immobiliare (Agenzia delle entrate), secondo cui per gli immobili siti in quella zona della città il canone mensile varia da un minimo di euro 5,50 ad un massimo di euro 8,00 al metro quadrato. Si è rivolto, quindi, alla società immobiliare «Porta Rossa», la quale ha proposto un canone mensile di euro 6,00 al metro quadrato per la medesima metratura in locali posti nell'ex Palazzo Enel, sito in Cuneo via Pertini –:
   se non ritenga antieconomica ed incomprensibile la richiesta effettuata dall'Agenzia del demanio al comune di Cuneo, stante l'inutilizzazione di una cospicua percentuale della superficie usufruibile;
   se non ritenga di appurare con quale metodologia il Demanio abbia formulato tale richiesta che esula dai canoni suggeriti dall'Agenzia delle Entrate, controllata anch'essa dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda verificare gli effettivi benefici che avrebbe dovuto apportare la cartolarizzazione del 2004 e tutti i successivi provvedimenti tesi a valorizzare economicamente il patrimonio immobiliare dello Stato;
   se è dato sapere quanto il Ministero dell'economia e delle finanze abbia realizzato attraverso la cessione del palazzo degli uffici finanziari al FIP;
   chi siano i componenti del Fondo immobili pubblici;
   se non ritenga uno spreco lasciare inutilizzati locali per i quali, comunque, viene pagata una elevata cifra in termini di locazione, gestione e manutenzione.
(4-02149)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 53 del 1994 ha attribuito agli avvocati la facoltà di notificazione degli atti giudiziari, facendo venire meno l'intermediazione necessaria dell'ufficiale giudiziario e consentendo anche agli avvocati di svolgere questa funzione;
   con il decreto legislativo del 7 settembre 2012, n. 155 recante la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, che ha previsto la soppressione di un certo numero di tribunali ordinari, sezioni distaccate e procure della Repubblica, si è determinata anche l'unificazione degli sportelli degli ufficiali giudiziari, con la conseguenza che uffici che prima facevano riferimento ad una sola sede adesso devono gestire il carico di lavoro prima distribuito su tre o più uffici;
   alla luce di tale circostanza, che ha determinato un aggravio di lavoro insostenibile, determinando un pesante disservizio a carico della collettività e con ulteriori gravi conseguenze sull'efficienza del sistema giudiziario, la notifica in proprio – strumento fin qui poco utilizzato nella pratica – potrebbe certamente contribuire ad alleggerire il pesante carico di lavoro attualmente incombente sugli uffici giudiziari;
   tuttavia, la legge n. 53 del 1994 prevede che gli avvocati possano procedere a notifica in proprio solo se autorizzati dal Consiglio dell'ordine professionale di appartenenza, che deve verificare che il legale non abbia procedimenti disciplinari in corso e non abbia riportato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio professionale o altra più grave sanzione come la cancellazione o radiazione dall'albo, senza che sia riconosciuta in merito alcuna possibilità di auto-certificazione sul punto;
   la legge del 1994 prevede inoltre l'obbligo per l'avvocato di annotare – su un registro cartaceo che dev'essere vidimato dall'ordine – l'iter cronologico delle notifiche effettuate, mentre ad oggi non è ancora stata riconosciuta alcuna possibilità di compiere tale adempimento per via informatica –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati e quali iniziative intenda adottare al fine sia di rimettere mano all'organizzazione del servizio degli uffici giudiziari sia per rendere più agevole ed efficiente lo strumento della notifica in proprio. (5-01196)

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 1o agosto 2013 (da ora PCD) venivano pubblicati i criteri e le modalità di valutazione dei requisiti per la formazione delle graduatorie degli aspiranti ai trasferimenti a domanda del personale di polizia penitenziaria dei ruoli direttivi;
   con nota 9 agosto 2013, prot. n. 0281754, l'amministrazione penitenziaria diffondeva l'interpello nazionale per i ruoli direttivi, finalizzato a realizzare la mobilità annuale dei commissari di polizia penitenziaria, sulla base del PCD di cui al punto precedente;
   l'UGL-polizia penitenziaria con diverse note sindacali tuttora non riscontrate (note 14 agosto 2013, prot. n. 1256; 19 agosto 2013, prot. n. 1258; 21 agosto 2013, prot. n. 1260) ha stigmatizzato la scelta temporale e la scarsa chiarezza della procedura di mobilità dei funzionari;
   in particolare l'amministrazione penitenziaria non ha preventivamente comunicato le sedi e gli incarichi che avrebbe inteso coinvolgere concretamente nella mobilità, escludendo da essa le scuole di formazione e gli istituti penali per minori, impedendo ai funzionari una scelta congrua, ragionata e razionale, adottando procedure diverse da quelle del passato;
   in modo ancor più grave, l'amministrazione penitenziaria non ha spiegato quale ragione ha determinato il mancato coinvolgimento nella procedura di mobilità ordinaria degli incarichi da affidare ai funzionari dei ruoli direttivi del Corpo di polizia penitenziaria presso i provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria (PRAP), l'Istituto superiore di studi penitenziari (ISSP) e la sede centrale della stessa amministrazione, cioè il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP);
   per contro l'amministrazione penitenziaria, mentre pone in mobilità solo incarichi di tipo operativo presso gli istituti penitenziari (incarico di comandante, vice comandante e coordinatore NTP), evita di mettere a disposizione ambiti incarichi presso i più importanti servizi (PRAP, ISSP e DAP), riservandoli a funzionari sovente privi di congrua esperienza operativa e senza alcuna procedura amministrativa che garantisca trasparenza e merito;
   da un lato l'amministrazione penitenziaria nega l'accesso con procedure trasparenti ai posti di servizio presso PRAP, DAP e ISSP, ma allo stesso tempo consentirebbe solo ad alcuni funzionari di ricoprire tali incarichi, evitando di fatto una scelta rispettosa dei più elementari principi costituzionali e degli stessi provvedimenti adottati a garanzia del personale (il PCD 1° agosto 2013);
   l'amministrazione penitenziaria, quindi, continua a spostare commissari di polizia penitenziaria con provvedimenti provvisori, privando delicate sedi penitenziarie del prezioso contributo di queste unità, come accaduto in occasione della scelta dei tutor d'aula del terzo corso del ruolo direttivo ordinario, non ancora restituiti ai rispettivi istituti, ma lasciati all'ISSP di fatto senza incarichi di rilievo;
   appare corretto e rispettoso degli impegni assunti dall'amministrazione penitenziaria con le organizzazioni sindacali di comparto e con il personale dei ruoli direttivi che i posti di servizio e gli incarichi presso i servizi penitenziari centrali (DAP e ISSP) e periferici (PRAP) siano affidati mediante procedure trasparenti e regole chiare (interpello ex PCD 1° agosto 2013), evitando, ad esempio, quanto sta accadendo in alcune regioni, nonostante si ribadisca dai servizi periferici che la movimentazione sul territorio nazionale dei funzionari di polizia penitenziaria è prerogativa esclusiva della direzione generale del personale e della formazione presso il DAP (nota PRAP Puglia 14 agosto 2013, prot. n. 25007) –:
   per quali motivi i posti di servizio e gli incarichi riservati ai funzionari presso il DAP, il PRAP e l'ISSP non siano stati coinvolti nell'interpello bandito dall'amministrazione penitenziaria con nota 9 agosto 2013, prot. n. 0281754, consentendone la copertura mediante provvedimenti di mobilità temporanea sistematicamente reiterati (cosiddetti distacchi) o stabilizzati;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare che la copertura dei posti di servizio presso DAP, PRAP e ISSP sia affidata a procedura amministrative volte ad assicurare la selezione dei migliori.
(4-02143)


   COSTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la riforma della geografia giudiziaria produce i suoi effetti a far data dallo scorso 13 settembre 2013; il provvedimento legislativo manifesta la volontà di perseguire l'obiettivo di razionalizzazione della spesa e di risparmio di risorse. La lettera q) della legge delega stabilisce, tra l'altro, che dall'attuazione della riforma stessa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
   in particolare il provvedimento prevede un risparmio di 2 milioni 889.597 euro per il 2012, 17 milioni 337.581 per il 2013 e 31 milioni 358.999 per il 2014. 50 milioni in totale;
   da notizie di stampa è emerso che molti presidenti di tribunali accorpanti hanno manifestato l'assoluta impossibilità di dare corso alla riforma degli accorpamenti alla data del 13 settembre 2013 in quanto la sede assorbente non è in condizione di accogliere personale e strutture delle sedi assorbite;
   ai risparmi auspicati occorre sottrarre le risorse necessarie per adeguare le sedi di tribunali accorpanti ad accogliere personale e strutture delle sedi accorpate; in molti casi è impossibile reperire i locali nei palazzi di giustizia esistenti ed è necessario individuare nuovi edifici. I costi sono in ogni caso altissimi ed i comuni non sono in condizione di reperire le risorse necessarie;
   è il caso del tribunale di Cuneo, sede accorpante dei tribunali di Mondovì e Saluzzo che non può ospitare per intero il personale e gli uffici delle sedi soppresse. Il comune di Cuneo si è quindi, attivato per reperire locali sufficienti ed adeguati alla funzione;
   come si è, appreso dall'articolo pubblicato su «La Stampa» edizione di Cuneo del 4 settembre 2013 lo stesso comune di Cuneo si è rivolto, in prima battuta, all'Agenzia del demanio per avere in locazione circa 700 metri quadrati posti all'interno del Palazzo degli uffici finanziari, di via Gobetti;
   la citata struttura, occupata per circa il 60 per cento della superficie, ospita gli uffici di: Agenzia delle Entrate, Agenzia del territorio, ispettorato del lavoro, ufficio esecuzione penale esterna, commissione tributaria, Agenzia delle dogane, ragioneria provinciale dello Stato ed ufficio del tesoro. Il canone mensile richiesto per l'affitto dei metri quadri necessari è stato di euro 9,20 al metro quadrato, senza contare le spese che il comune avrebbe dovuto sostenere per la sistemazione e messa a norma di locali ed impianti e le elevatissime spese condominiali;
   il comune di Cuneo, giudicando troppo onerosa la suddetta richiesta, si è rivolto alla società immobiliare «Porta Rossa», la quale ha proposto un canone mensile di 6,00 al metro quadrato per la medesima metratura in locali posti nell'ex Palazzo Enel, sito in Cuneo via Pertini;
   per quanto concerne gli edifici in cui erano ospitate le sedi accorpate di Saluzzo e Mondovì si sottolinea che: la prima era sita in locali di proprietà statale, all'uopo costruiti, e la seconda ospitata in locali di proprietà del comune di Mondovì;
   la sede saluzzese, di proprietà, prevedeva i soli costi per la gestione e la manutenzione, costi che, peraltro, saranno da sostenere anche in futuro. La sede di Mondovì, invece, ha visto un costo di gestione per l'amministrazione locale di circa 854.000 euro per il triennio 2009/2011 ed un investimento di oltre 1.700.000 euro per lavori di riordino generale del palazzo di giustizia ultimati nel novembre 2003, sostenuti con fondi in parte comunali ed in parte con un mutuo a carico dello Stato –:
   se ritenga che, nonostante i fatti elencati in premessa, sia stata rispettata l'indicazione della legge delega che prevedeva non solo un risparmio nel triennio 2012/2014, bensì di non creare nuovi ed ulteriori oneri a carico dello Stato;
   se il canone di locazione e gestione condominiale per gli uffici dell'esecuzione penale esterna, già oggi ospitati nel palazzo degli uffici finanziari di Cuneo, corrisponda a quanto richiesto al comune di Cuneo dall'Agenzia del demanio per l'affitto dei locali necessari ad ospitare le sedi accorpate. (4-02150)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   TIDEI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con circa 4 milioni di passeggeri in transito ogni anno, di cui 2,5 milioni di crocieristi, il porto di Civitavecchia contende a quello di Barcellona il titolo di primo porto crocieristico del Mediterraneo. Oltre cento diverse navi da crociera attraccano in dodici mesi al porto di Civitavecchia, per un numero complessivo di circa mille attracchi l'anno, della durata media di oltre dieci ore ciascuno;
   poiché la produzione di energia elettrica a bordo è ottenuta da motori a combustione interna, alimentati da prodotti petroliferi, essa rilascia significativi quantitativi di sostanze inquinanti aeriformi;
   l'impatto ambientale dello stazionamento delle unità da crociera nel porto di Civitavecchia è quindi tutt'altro che trascurabile, e si somma agli analoghi impatti provocati dallo stazionamento dei traghetti, delle porta-container e delle altre imbarcazioni in ormeggio, nonché a quello di tutte le imbarcazioni in manovra, comprese le navi da crociera stesse nonché le carboniere in ormeggio lungo il molo della centrale ENEL Torre Valdaliga Nord;
   unitamente alla presenza di una delle centrali a carbone più grandi d'Europa, l'attracco dei cruise nel porto è di fatto una grave criticità ambientale e richiede di prendere in considerazione soluzioni drastiche;
   ad oggi grazie all'elettronica di potenza possono essere controllati i parametri di tensione e frequenza dell'energia elettrica anche per grandi potenze come quelle in gioco per l'alimentazione dei cruise e può essere quindi realizzata un'infrastruttura di elettrificazione delle banchine crocieristiche, finalizzata ad alimentare da terra i servizi di bordo delle navi in sosta. La pratica di fornire elettricità da terra è comune per le piccole imbarcazioni da diporto ed è già utilizzata in alcuni porti del mondo per navi di media taglia;
   la realizzazione di una tale infrastruttura presenterebbe ovviamente delle difficoltà, di natura logistica e infrastrutturale, di adeguamento di tecnologia a bordo delle navi e di costi dell'energia elettrica «esogena» rispetto a quella autoprodotta a bordo;
   tale investimento, già previsto, per una o due banchine pilota dall'autorità portuale di Civitavecchia nell'ambito della realizzazione, in corso, della nuova Darsena «Sant'Egidio», oltre ad abbattere drasticamente le emissioni inquinanti all'interno del porto di Civitavecchia, sarebbe pionieristico in vista di una futura elettrificazione generale delle banchine di tutti i porti crocieristici d'Italia e Mediterraneo, rilanciando con forza il tema dell'innovazione tecnologica in alternativa a modelli altamente inquinanti e già superabili con le attuali tecnologie –:
   se i Ministri interrogati, alla luce delle ragioni descritte in premessa non ritengano opportuno approfondire la fattibilità di tale opera di notevole beneficio ambientale oltreché di grande impatto sulla qualità del servizio crocieristico;
   se non ritengano plausibile prodigarsi a sostenerla ad esempio:
    a) supportando l'adeguamento del porto: con una regolamentazione specifica (ad esempio attraverso l'esenzione completa dalle tasse dell'energia elettrica fornita alle navi o con finanziamenti a fondo perduto);
    b) sostenendo gli investimenti necessari per l'adeguamento degli impianti di bordo delle navi da crociera, e, ove possibile, per le banchine;
    c) stabilendo un obbligo (opportunamente scaglionato negli anni futuri) per l'alimentazione da terra delle navi in sosta nei porti, almeno per le navi da crociera.
   (4-02138)


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la fascia jonica lucana, in particolare i comuni di Policoro, Scanzano Jonico, Bernalda, frazione di Metaponto, e Pisticci, frazione di Marconia, nella notte tra il 7 e l'8 ottobre 2013 è stata colpita da piogge alluvionali;
   l'ondata straordinaria di maltempo ha causato danni ingenti alle abitazioni civili e rurali, alle infrastrutture turistiche, gli allagamenti e gli straripamenti dei fiumi e dei canali hanno messo in ginocchio l'economia agricola dell'area;
   danni gravissimi sono stati registrati anche alle infrastrutture viarie;
   numerose arterie stradali della provincia di Matera sono state chiuse al traffico a causa di frane e smottamenti;
   l'evento calamitoso ha causato la morte di Pino Bianculli, infermiere 32 anni di Montescaglioso travolto dal fango al rientro dalla clinica dove prestava servizio;
   in particolare la strada statale SS 106, arteria di rilevanza strategica e di recente realizzazione, è stata chiusa al traffico all'altezza di Scanzano jonico a causa di una slavina di fango e di un fiume d'acqua che ne hanno determinato l'impraticabilità e ne hanno compromesso la sicurezza, mettendo in evidenza la mancanza di adeguate opere di presidio stradale e di manutenzione programmata della rete viaria;
   le precipitazioni abbattutesi nelle ultime ore in Basilicata riportano alla ribalta la questione della sicurezza idraulica ed idrogeologica già emersa nel corso dell'alluvione del marzo 2011 i cui danni, ad oggi, sono stati solo in parte ristorati;
   la manutenzione del territorio e la sua cura sono un'opera che non può essere trascurata ne ricordata all'indomani di emergenze, ma va calanderizzata come una primaria priorità in tutte le azioni di programmazione in una regione dal delicato assetto idrogeologico;
   appare sempre più indispensabile un'azione coordinata e programmata del Governo nazionale e della regione di corretta gestione del territorio per evitare che si verifichino disastri naturali (messa in sicurezza degli argini fluviali, pulizia dei canali e degli impianti consortili, e altro);
   è necessario monitorare la situazione per stimare i danni che sono stati arrecati al comparto agricolo e agli operatori turistici nonché alle infrastrutture urbane ed extraurbane;
   è opportuno individuare misure di sostegno alle aziende agricole che hanno visto pregiudicato il proprio lavoro per molte colture andate distrutte a causa dell'ondata straordinaria di maltempo;
   è altresì indispensabile verificare la sicurezza delle infrastrutture viarie e la presenza di adeguate opere di presidio per la protezione della rete viaria –:
   se ritengano necessario stimare i danni subiti e reperire le risorse necessarie per sostenere il comparto agricolo della zona del metapontino messo in ginocchio dagli eventi alluvionali degli ultimi giorni;
   se ritengano opportuno mettere in sicurezza le infrastrutture viarie danneggiate e verificare la presenza di adeguate opere di presidio della rete stradale;
   se ritengano opportuno, altresì, concordare con la regione Basilicata un'azione coordinata di manutenzione del territorio, di prevenzione e di riduzione del rischio di dissesto idrogeologico. (4-02141)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOLOGNESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 14 luglio 2013 a Orio del Serio, provincia di Bergamo, si è svolto un raduno della tifoseria della squadra di calcio dell'Atalanta durante il quale — come riportato dalla stampa nazionale — è stato usato anche un carro armato;
   dai filmati e dalle foto pubblicati dagli organi di informazione sembrava trattarsi di un carro armato modello M-26 Pershing, già in dotazione dell'Esercito italiano, che durante il raduno è stato usato per schiacciare due vetture dipinte con i colori di altre due squadre di calcio;
   l'interrogante — insieme ai colleghi Scanu, Villecco Calipari e D'Arienzo — il 17 luglio 2013 ha presentato un interrogazione parlamentare (atto n. 5-00638) al Ministro della difesa, con risposta in Commissione per sapere come sia possibile che il mezzo in questione, anche se radiato e fuori uso per le capacità di fuoco e comunque funzionante, possa essere finito nelle disponibilità di privati cittadini;
   il Ministro della difesa, in data 26 settembre 2013 ha risposto all'interrogazione citata dichiarando che il carro armato utilizzato nel corso della manifestazione sportiva potrebbe essere un veicolo statunitense della 2o guerra mondiale, modello M4 «Sherman» e non un M26 «Pershing» come invece indicato e che a seguito di approfondimenti condotti con gli enti dell'amministrazione militare responsabili delle alienazioni di materiali d'armamento non più in uso alla Forza armata, non risultano, agli atti, alienazioni di veicoli delle tipologie citate, autorizzate a favore di privati cittadini;
   al momento, quindi, non è dato sapere le modalità e le circostanze attraverso le quali il carro armato in questione è entrato nelle disponibilità di un privato cittadino –:
   se il Ministro sia in grado di riferire sulle modalità e le fonti attraverso le quali è avvenuta l'acquisizione, la detenzione e il trasporto del carro armato oggetto dei fatti avvenuti il 14 luglio 2013 ad Orio del Serio;
   se il mezzo militare risulti acquistato all'estero;
   se, considerando che l'uso improprio di un veicolo militare può arrecare danno alla sicurezza e all'incolumità dei cittadini, sia in grado di riferire sulle norme che regolano l'alienazione, la detenzione e il trasporto di carri armati da parte di privati e sulle misure e sulle attività di prevenzione, verifica e controllo attuate in merito dal Ministero dell'interno;
   se dopo l'episodio del 14 luglio 2013 avvenuto ad Orio del Serio siano state assunte misure da parte dell'autorità di pubblica sicurezza. (5-01197)

Interrogazione a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 16 aprile 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 174 del 29 luglio 2009, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al fine di «dare una definitiva collocazione normativa ed un equo riconoscimento culturale al personale arruolato» nelle Forze Armate che «abbiano frequentato e completato con esito favorevole, i corsi di formazione generale, professionale e di specializzazione presso scuole ed istituti di formazione militari, presso i reparti di impiego o presso scuole e centri di specializzazione, qualificazione e aggiornamento professionale anche non militari, sono stati riconosciuti, a domanda, i corrispondenti diplomi di qualifica dei corsi di studio dell'istruzione professionale», secondo una tabella allegata al decreto in questione;
   come segnalato dalla Segreteria nazionale UGL polizia di Stato, dall'attribuzione del beneficio in argomento è rimasto escluso il personale della polizia di Stato che, conseguentemente, ne patisce un danno derivante dalla perdita di chance soprattutto in ambito concorsuale, poiché i titoli di studio in argomento avrebbero permesso ai poliziotti di accedere alle qualifiche funzionali superiori e così progredire in carriera;
   l'articolo 60-bis della legge 1o aprile 1981, n. 121, introdotto dall'articolo 2-quinquies del decreto-legge 20 giugno 2012 n. 79, come convertito dalla legge 7 agosto 2012 n. 131, dispone che: «Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con i Ministri dell'interno, del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze, è stabilita, sulla base degli insegnamenti impartiti, la equipollenza dei titoli conseguiti al termine dei corsi di formazione generale, di quelli di aggiornamento professionale e di quelli di perfezionamento e specialistici, frequentati dagli appartenenti ai ruoli non dirigenziali e non direttivi del personale della polizia di Stato, con quelli rilasciati dagli istituti professionali, ivi compresi quelli conseguibili con la frequenza dei corsi sperimentali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1970, n. 253, anche ai fini dell'ammissione agli esami di maturità professionale. In relazione al suddetto decreto sono rilasciati agli interessati i relativi titoli»;
   con nota del 9 aprile 2013, l'ufficio per l'amministrazione generale del dipartimento della pubblica sicurezza ha comunicato alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel comparto polizia di Stato che si stava procedendo all'istituzione di un gruppo di lavoro per l'individuazione dei titoli di studio da attribuire al personale della polizia di Stato;
   risulta considerevole il lasso di tempo trascorso dal momento in cui la segreteria nazionale UGL polizia di Stato ha chiesto di poter partecipare al suddetto gruppo di lavoro, nonché dello stato di attuazione dell'articolo 60-bis della legge n. 121 del 1981, senza che l'amministrazione della pubblica sicurezza fornisse informazioni in materia;
   dalla mancata attuazione della normativa de qua discende altresì l'impossibilità per il personale della polizia di Stato di accedere al concorso interno a 1400 posti per l'accesso alla qualifica di vice ispettore della polizia di Stato nonché alle future selezioni per l'omologa qualifica di vice perito tecnico del ruolo tecnico-scientifico e professionale –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di garantire l'attuazione della normativa sopracitata, garantendo l'equipollenza dei titoli conseguiti dal personale della polizia di Stato in occasione della frequenza dei corsi di formazione professionale per l'accesso alle diverse qualifiche, le eventuali tempistiche di definizione della questione ed assicurando, inoltre, la partecipazione di tutti i legittimi rappresentanti alla composizione del gruppo di lavoro per l'individuazione dei titoli di studio da attribuire. (4-02140)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   BENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 11 della legge n. 383 del 7 dicembre 2000, recante la «Disciplina delle associazioni di promozione sociale», è stato istituito l'Osservatorio nazionale dell'associazionismo;
   in particolare, il comma 6 del citato articolo, affida al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con le competenti Commissioni parlamentari, l'emanazione di un regolamento concernente le modalità di elezione dei membri dell'Osservatorio, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della suddetta legge;
   lo schema di decreto concernente il regolamento predisposto nel dicembre 2009, aveva ricevuto parere favorevole dalla Conferenza Stato-Regioni, mentre il Consiglio di Stato aveva dapprima fornito un parere sfavorevole, bloccando di fatto l'emanazione del regolamento, e successivamente un parere positivo, ma condizionato al superamento di una serie di criticità puntualmente evidenziate;
   con il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 264 del 20 dicembre 2012 è stato adottato il nuovo regolamento recante la disciplina delle modalità di elezione dei membri dell'Osservatorio nazionale dell'associazionismo, senza che si ritenesse necessario sottoporre nuovamente il relativo testo, totalmente difforme da quello valutato dalla Conferenza Stato-Regioni e dal Consiglio di Stato, al parere di tali organi, nonché delle competenti Commissioni parlamentari;
   le Associazioni del terzo settore, ritenendo inappropriate e illegittime le modalità di elezione dei membri dell'Osservatorio contenute nel nuovo testo del Regolamento, nonché la procedura che ha condotto alla sua emanazione, hanno presentato ricorso al TAR;
   in particolare, le Associazioni obiettano quanto previsto dall'articolo 2 del regolamento in merito al calcolo degli associati ai fini del giudizio di «maggiore rappresentatività», laddove vengono esclusi gli associati ai circoli affiliati e alle articolazioni territoriali della medesima associazione, iscritti ai registri di cui all'articolo 7 della legge n. 383 del 2000;
   stando, dunque, al meccanismo previsto dal regolamento grandi realtà associative come ad esempio le ACLI e l'ARCI devono dichiarare di avere poche centinaia di associati – ossia quelli appartenenti alla Direzione Nazionale a fronte dei milioni di soci realmente iscritti – per rispettare l'applicazione di criteri ritenuti assolutamente arbitrari;
   tale criterio determina, di fatto, la sottrazione della quasi totalità della base associativa nel calcolo degli aderenti alle associazioni nazionali, eludendo completamente la finalità del principio di «maggiore rappresentatività» riconosciuto alle associazioni stesse;
   la maggiore rappresentatività, dunque, non è quella reale determinata dal numero effettivo degli iscritti, ma quella determinata da criteri fortemente limitativi e penalizzanti;
   la circolare n. 1 del 13 settembre 2013, emanata dalla direzione generale per il terzo settore e le formazioni sociali con presunta funzione «esplicativa», introduce invece una disciplina che contrasta con quella dettata dal regolamento, consentendo a circoli affiliati e articolazioni territoriali delle associazioni nazionali di promozione sociale di partecipare autonomamente all'elezione dei dieci membri dell'Osservatorio eletti su base regionale, snaturando il carattere unitario dell'associazione nazionale e della sua «rappresentatività», o in alternativa di essere computati quali associati all'associazione nazionale;
   il conflitto tra le disposizioni della circolare e quelle del regolamento in ordine al criterio di computo degli associati è suscettibile di alterare i giudizi di reale rappresentatività delle associazioni di promozione sociale a carattere nazionale, nonché di determinare rischi di responsabilità penale a carico dei legali rappresentanti delle medesime, obbligati ad autocertificare il numero dei propri associati sulla base di parametri normativi incerti e contraddittori, al fine di poter concorrere all'elezione dei membri dell'Osservatorio;
   la predetta circolare prevede termini ristrettissimi per l'invio delle autocertificazioni del numero degli associati, fissati al 30 ottobre per le associazioni nazionali e addirittura anticipati al 15 ottobre da parte di alcune regioni per le associazioni regionali –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di salvaguardare quanto previsto dalla citata legge n. 383 del 7 dicembre 2000 per l'emanazione di un regolamento che garantisca nei criteri applicativi il pieno rispetto dei principi di effettiva rappresentatività e democraticità, propri delle associazioni di promozione sociale, e anche al fine di evitare il rischio dell'invio di autocertificazioni sul numero degli associati che siano oggetto di contestazione e genetiche di responsabilità a carico dei legali rappresentanti delle associazioni nazionali, a causa di un contesto normativo che allo stato si presenta obiettivamente incerto e contraddittorio;
   se non ritenga opportuno sospendere gli effetti del decreto n. 264 del 20 dicembre 2012 rinviando l'elezione dell'Osservatorio nell'attesa dell'emanazione di un nuovo regolamento più coerente con quanto previsto dalla legge n. 383 del 7 dicembre 2000. (3-00376)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CULOTTA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea sostiene la produzione agricola e lo sviluppo rurale dei Paesi membri attraverso l'erogazione di aiuti, contributi e premi. Tali erogazioni, finanziate dal FEAGA (Fondo europeo agricolo di garanzia) e dal FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale), vengono gestite dagli Stati membri attraverso gli organismi pagatori, istituiti ai sensi del Regolamento (CE) n. 885/2006 (articolo 18);
   con il decreto legislativo n. 165 del 1999 è stata istituita l'Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) per lo svolgimento delle funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore;
   l'AGEA ha competenza per l'erogazione di aiuti, contributi, premi ed interventi comunitari, nonché per la gestione degli ammassi pubblici, dei programmi di miglioramento della qualità dei prodotti agricoli per gli aiuti alimentari e per la cooperazione economica con altri Paesi;
   la struttura organizzativa dell'AGEA, in ottemperanza ai requisiti ed ai vincoli individuati dal Regolamento (CE) n. 885/2006, prevede tre distinte funzioni attribuite a tre diverse «unità organizzative»:
    a) funzione di autorizzazione dei pagamenti;
    b) funzione di esecuzione dei pagamenti;
    c) funzione di contabilizzazione dei pagamenti;
   secondo un articolo pubblicato sul quotidiano La Stampa il 6 agosto 2013, a firma dei giornalisti Guido Ruotolo e Michele Zatterin, sarebbero stati occultati circa 50 milioni di euro dai libri contabili dell'Agea. Un'inchiesta della Guardia di finanza avrebbe scoperto che una serie pluriennale di irregolarità «fra gli anni ’90 e il 2007-2008» nell'uso dei finanziamenti è stata identificata dall'Agenzia e non segnalata alla Commissione europea, omettendo di aggiornare il «registro debitori» e impedendo così che scattasse il meccanismo della richiesta di recupero dell'Unione europea, con relativa multa intesa a scoraggiare le truffe. Si consideri che dopo 4 anni le somme indebitamente percepite diventano praticamente inesigibili;
   anche gli ispettori dell'Olaf, l'organismo antifrode dell'Unione europea, hanno avviato le loro indagini, dal momento che l'omessa comunicazione è ragione sufficiente affinché la Commissione europea ritiri la «concessione» a intermediare gli aiuti, impedendo di fatto la loro erogazione ai tanti beneficiari onesti che, investendo sulle loro aziende, auspicano legittimamente di incassare al più presto quanto dovuto;
   negli ultimi anni l'AGEA ha cambiato più volte organi dirigenziali, avvicendamenti che a giudizio dell'interrogante hanno impedito una sana gestione, come sottolineato dalla Corte dei conti. L'ultimo direttore di Agea, Guido Tampieri (ex sottosegretario nel Governo Prodi), si è dimesso il 27 giugno dopo quasi un anno di attività, accusando «la cattiva politica che umilia lo stato di diritto nei luoghi che dovrebbero consacrarlo»;
   il penultimo commissario Agea, il generale di corpo d'armata Mario Iannelli, nominato a giugno 2010, nella relazione di fine mandato, ha rilevato «macroscopiche disfunzioni gestionali, artifici contabili, costi di gestione fuori controllo e spese prive di copertura finanziaria», il tutto per un buco stimato due anni fa in 17 milioni. Il disavanzo finanziario nel 2009-11, anche per i minori contributi centrali, è salito a 134 milioni, circa un terzo dei servizi appaltati all'esterno che la Corte dei conti ha invitato a moderare;
   sotto la gestione Iannelli è accaduto anche che Sin (la consociata che si occupa di gestire il sistema informativo agricolo nazionale) sia stata trasformata in una società per azioni, con il costo del consiglio di amministrazione passato da 280 mila a 600 mila euro, successivamente ridotto a 160 mila euro nel 2012;
   per il 2014-2020 un ruolo fondamentale per il futuro della nostra agricoltura sarà giocato dalla programmazione dei fondi comunitari, attraverso la politica agricola comune, che riserverà all'Italia circa 52 miliardi di euro;
   in tale periodo, l'Agea dovrà coordinare e vigilare sulla spesa oltre a svolgere la funzione di organismo pagatore;
   negli ultimi anni i «controlli deboli» di Agea sono valsi all'Italia, censure e multe da parte dell'Unione europea (78 milioni solo nel 2011) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di fatti nuovi rispetto a quanto descritto dall'interrogante e se non ritenga di adottare ogni utile iniziativa di competenza, per salvaguardare la certezza dell'erogazione degli aiuti in agricoltura ai beneficiari, valutando inoltre la possibilità di delegare alle regioni, in particolare quelle a statuto speciale, tale competenza. (5-01199)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, CATALANO, DE LORENZIS, TURCO, TANCREDI, TRIPIEDI e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   circa il 10 per cento della popolazione italiana soffre di una patologia devastante di cui si parla raramente sui mezzi di comunicazione di massa, denominata acufene, che genera dei suoni continui e costanti percepiti in un orecchio, in entrambi o nella testa;
   questa patologia non può essere definita semplicemente un «disturbo molto fastidioso», ma una vera e propria malattia invalidante in quanto influisce sull'assetto psicologico ed emozionale della persona, sul ritmo sonno-veglia, sul livello di attenzione e concentrazione, nonché sulla vita di relazione;
   tali fattori spesso generano nell'individuo affetto dalla patologia uno stato di grave depressione che culmina, in alcuni casi, in episodi drammatici quali la morte per suicidio;
   l'articolo 32 della Costituzione riconosce la salute come diritto fondamentale dell'individuo che lo Stato ha il dovere di tutelare e garantire –:
   se il Ministro interrogato intenda sollecitare l'avvio di studi e ricerche sulle cause e le possibili cure di questa patologia che è in grado di annientare lentamente la salute psico-fisica di chi ne è colpito. (4-02147)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TENTORI e COPPOLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione locale di Colle Brianza (Lecco) lamenta l'esistenza di seri problemi della copertura telefonica mobile da ormai 5 anni;
   nel 2001 l'operatore nazionale del tempo TIM installò un ripetitore che ha permesso il collegamento agli utenti in modalità EDGE presente tuttora, nonostante il progresso tecnologico oggi porti a parlare di 4G;
   il numero di persone che fa uso del cellulare per uso personale e/o professionale è aumentato notevolmente e la maggior parte di esse in questo territorio non utilizza l'operatore succitato, che un tempo aveva invece il monopolio, ma preferisce altri competitor;
   le apparecchiature installate allora, oggi ancora presenti, sono datate e mostrano segni di cedimento, oltre a non garantire un buon segnale con il rischio di un oscuramento totale del servizio;
   l'utenza servita sul territorio lamenta grosse difficoltà di ricezione nel segnale e quindi impossibilità di poter effettuare o ricevere telefonate da cellulare;
   il comune di Colle Brianza è situato nel cuore della Brianza zona altamente produttiva e all'avanguardia del paese e la mancanza di copertura telefonica crea enormi disagi anche dal punto di vista economico e lavorativo;
   a nulla è servito fino ad oggi contattare altri provider chiedendo loro di installare ripetitori sul territorio. Le risposte sono state diverse: poche utenze potenziali per giustificare la spesa per un ripetitore, il momento economico poco propizio per gli investimenti, la conformazione morfologica del territorio e altro;
   l'amministrazione locale di Colle Brianza con massimo spirito di collaborazione si è resa disponibile con i vari operatori a non applicare alcuna tariffa di affitto e a concedere le zone, individuate per l'installazione dei ripetitori, a costo zero;
   a parere degli interroganti la diffusione di internet attraverso la banda larga e ultra larga, agevolando il superamento del digital divide, è un passo determinante per sviluppare attività commerciali, imprese e crescita economica, oltre ad essere strumento per esercitare libertà di espressione e promuovere l'acquisizione di informazioni, competenze e diffusione della conoscenza;
   ad ottobre 2011 è stato presentato dal Ministero dello sviluppo economico il piano nazionale banda larga, con un budget complessivo pari a 1,471 miliardi per la realizzazione dell'opera di copertura nazionale entro l'anno 2014 –:
   come intenda intervenire, nel rispetto degli obiettivi dell'Agenda digitale europea e del sopra citato piano nazionale banda larga, affinché i cittadini della zona in questione possano beneficiare degli stessi servizi erogati dai provider telefonici come nel resto del Paese, evitando i grossi disagi denunciati, considerato che la diffusione delle risorse di connettività e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione influenza direttamente la qualità di vita dei cittadini, le condizioni di lavoro e la competitività dell'industria e dei servizi, contribuendo in modo significativo alla crescita economico culturale del territorio e dell'intero Paese. (5-01195)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2011, in via Francesco Gentile n. 135, nel quartiere Cinecittà Est di Roma (nuovo municipio VII, ex X), è stata installata, senza alcun preavviso, una stazione radio base per la telefonia mobile (Srb) a soli 20 metri dalle abitazioni, e a meno di 40 metri da un plesso scolastico che ospita 1.100 bambini in età compresa tra 3 e 13 anni;
   con riferimento all'installazione di impianti per la telefonia mobile, il municipio ha l'obbligo di informare i cittadini all'atto della presentazione della domanda da parte del gestore, prima che l'antenna venga installata, affinché essi possano prendere visione del progetto e, eventualmente, chiedere di aprire tavoli tecnici con l'amministrazione per individuare un sito alternativo, ma nel caso di specie, a causa di un errore nella trasmissione della documentazione, questo non è avvenuto;
   la presenza nell'area di Cinecittà Est di elevate concentrazioni di onde elettromagnetiche (a causa della presenza di circa 300 impianti solo nel territorio dell’ex X municipio e di numerosi elettrodotti ad alta tensione) e l'eccessiva vicinanza dell'antenna rispetto ad abitazioni e siti sensibili, hanno suscitato allarme nella popolazione residente, con riferimento ai rischi derivanti da un'esposizione alle onde elettromagnetiche prolungata e continuativa, ad una distanza troppo ravvicinata, potendosi ravvisare nell'esposizione a tali rischi anche la violazione del protocollo d'intesa siglato, il 5 luglio del 2004, tra i principali gestori di telefonia mobile e il comune di Roma, che stabilisce una distanza di cautela di 100 metri degli impianti rispetto ai cosiddetti «siti sensibili» (scuole, asili, ospedali);
   riunitisi in un comitato spontaneo – il Comitato spontaneo «NO Antenna» – Cinecittà Est –, i cittadini hanno intrapreso una lunga e difficile battaglia burocratica e legale, riuscendo a mantenere l'antenna spenta fino ad oggi, ottenendo – primo caso a Roma – non solo un'ordinanza di sospensione cautelare da parte del TAR Lazio-Sez. II-bis per «accertata violazione dell’iter procedurale», ma anche: tre ordinanze di sospensione dell'attivazione da parte dell’ex Presidente dell’ex municipio per motivi di ordine pubblico; una risoluzione approvata all'unanimità dal Consiglio municipale e una mozione approvata all'unanimità dal consiglio di Roma capitale, in cui si esprime parere negativo sull’iter procedurale e si impegnano le relative giunte ad individuare siti alternativi e/o revocare il titolo autorizzativo in autotutela; un'ordinanza da parte del sindaco di Roma, che invita il dipartimento urbanistica del comune a verificare i presupposti per l'annullamento del titolo autorizzativo; l'avvio del procedimento di annullamento del titolo da parte del dipartimento urbanistica, successivamente sospeso dal dipartimento stesso in attesa della sentenza di merito del TAR;
   se l'antenna fosse accesa, bambini e adulti sarebbero esposti 24 ore su 24 a emissioni mediamente assai vicine al limite legale di 6 volt/metro, stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 luglio 2003, concernente l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici generati da tali sorgenti in tutti i luoghi con permanenza umana non inferiore a 4 ore giornaliere e nei luoghi all'aperto intensamente frequentati;
   si evidenzia, in proposito, come tale limite legale non possa essere equiparato ad una soglia di sopportazione biologica, senza prendere in considerazione fattori come l'età, il tempo di esposizione e il rapporto tra intensità delle emissioni e distanza dalla fonte di emissione;
   nel caso di via Francesco Gentile, ciò significherebbe che un'esposizione a 4,5 o 5,9 v/m, a 20 metri, 24 ore su 24, per tutta la vita, rientrerebbe nella norma, senza alcun rischio per la salute, mentre un'esposizione a 6,1 v/m, nelle stesse condizioni, sarebbe fuori norma, con gravi rischi per la salute;
   a seguito di quanto disposto dall'articolo 14 del decreto-legge n. 179 del 2012 (cosiddetto «decreto sviluppo-bis»), concernente i livelli di campo elettromagnetico generati da emittenti radiofoniche e radiotelevisive, da stazioni radio base per la telefonia mobile e da ponti radio, il limite legale di 6 v/m non è più calcolato in qualunque intervallo di 6 minuti, ma come media nelle 24 ore, comportando un notevole aumento del livello del campo elettromagnetico dentro e intorno alle abitazioni, alle scuole e ai luoghi di lavoro;
   sebbene non sia dimostrabile scientificamente la correlazione tra onde elettromagnetiche e insorgenza di gravi patologie, si evidenzia come non sia dimostrabile nemmeno il contrario, e cioè l'assenza certa di tale correlazione;
   l'Organizzazione mondiale della sanità, attraverso la propria Agenzia per la ricerca sul cancro (IARC), il 31 maggio 2011, ha annunciato, con il comunicato stampa n. 208 di aver inserito i campi elettromagnetici a radiofrequenza fra i «possibili agenti cancerogeni per l'uomo», di classe 2B, anche a causa dell'aumento del rischio di tumori cerebrali come il glioma;
   la legge quadro sull’elettrosmog n. 36 del 2001 prevede di attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all'articolo 191 paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   in ambito europeo, la risoluzione dal Parlamento europeo del 4 settembre 2008 «Valutazione intermedia del piano d'azione europeo per l'ambiente e la salute 2004-2010», denuncia l'aumento dei casi di elettrosensibilità e raccomanda di «ridurre l'esposizione alle radiazioni elettromagnetiche», mentre la risoluzione del Consiglio d Europa del 27 maggio 2011 invita i Paesi membri a fissare «limiti cautelativi di esposizione alle microonde per lungo termine (...), in accordo con il principio di precauzione»;
   numerose risoluzioni di scienziati indipendenti come l’International Commission for Electromagnetic Safety (ICEMS) e il Gruppo Bioinitiative, citati rispettivamente dal Consiglio d'Europa e dal Parlamento europeo come riferimenti scientifici indipendenti promuovono l'abbassamento dei limiti di sicurezza in quanto gli attuali standard non si basano sulle evidenze biologiche, e sempre più numerosi sono gli studi scientifici che dimostrano una maggiore incidenza di leucemie e linfomi nei bambini – e una maggiore mortalità per leucemia per tutte le età – in prossimità di fonti di emissione di onde elettromagnetiche;
   su impulso della Commissione europea, nell'ottobre 2011 è stato, approvato dal Ministero dello sviluppo economico il piano nazionale banda larga, ai sensi dell'articolo 1 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile», che attribuisce allo stesso Ministero il coordinamento di tutti i programmi d'intervento avviati nel territorio italiano volti all'implementazione delle reti a banda larga;
   il piano è mirato all'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre seimila località del Paese, i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato, poiché economicamente non redditizie;
   durante l'esame in Parlamento del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», il finanziamento di 150 milioni di euro, originariamente destinato alla realizzazione del piano è stato decurtato di quasi 21 milioni di euro;
   le reti via cavo in fibra ottica rappresentano ad oggi l'unica tecnologia per la trasmissione voce e dati efficiente, e allo stesso tempo priva di controindicazioni per la salute dell'uomo –:
   con quali tempistiche si intenda procedere alla piena attuazione del piano, e se non ritenga di estenderne l'applicazione anche alla sostituzione di vecchi impianti di trasmissione di dati, al fine di tutelare in modo compiuto tutta la popolazione dai rischi che derivano dall'eccessiva esposizione a campi di onde elettromagnetiche. (4-02145)


   RAMPI, MOSCA e FRAGOMELI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Alcatel Lucent ha presentato il piano di ristrutturazione «Shift Plan», annunciando per l'Europa 5.870 tagli su un totale mondiale di 15.000;
   l'Europa paga ancora una volta il prezzo più alto e questo è dovuto a precise scelte aziendali che localizzano gli investimenti nelle aree geografiche, dove l'andamento del mercato è più favorevole a discapito dei lavoratori europei ed italiani;
   il piano prevede la chiusura o cessione di numerose sedi in Europa. Per l'Italia sono a rischio le sedi della Field Force (Sesto Fiorentino, Padova, Bari, Napoli) e le sedi di Rieti e Battipaglia;
   la direzione ha comunicato i tagli occupazionali per Paese. Per l'Italia i 586 tagli occupazionali sono così ripartiti: IP Routing: 407 (su 893 addetti), IP Platform: 53 (su 148), Fixed Network: 4 (su 48), Wireless: 3 (su l6), COO: 67 (su 531), Sales: 14 (su 54), Strategic Industry: 9 (su 53), Finance: 16 (su 34), HR e Learning: 12 (su 29), Legal: 1 (su 8);
   in modo particolare, per il personale di ricerca e sviluppo pari a 550 addetti i tagli ammontano a 247 così articolati: ricerca e sviluppo Legacy: 144 (su 153 addetti), ricerca e sviluppo Growth: 103 (su 397);
   inoltre l'azienda ha comunicato una serie di esternalizzazioni totali o parziali di attività, che se aggiunte al piano presentato, aumenterebbero significativamente il numero di tagli previsti per il nostro Paese;
   le attività che sono sotto analisi per un potenziale outsourcing sono: sviluppi IT di applicazioni utilizzate dal gruppo (B&ITT), facility managment service, field force;
   la portata dei tagli e delle cancellazione di attività nel nostro Paese è enorme e senza precedenti. L'azienda ha deciso di disinvestire massicciamente in Italia sia sulle attività di ricerca e sviluppo che sulle attività e servizi di supporto ad essa correlate;
   il prezzo che dovranno pagare le lavoratrici ed i lavoratori italiani è altissimo;
   l'azienda ha annunciato che si terranno in tempi rapidi una serie di incontri in tutti i Paesi europei per approfondire e dettagliare gli annunci dati. L'incontro per l'Italia è previsto il 17 ottobre 2013 –:
   quali iniziative si intendano attivare per evitare la cancellazione di fatto della presenza industriale di Alcatel Lucent nel nostro Paese, anche in considerazione della portata strategica di queste attività nel campo della ricerca e dell'innovazione. (4-02146)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Scanu e Manfredi n. 3-00356, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Rubinato, Brandolin, Pes, Malpezzi, Mognato, Cenni, Casati, Tentori, D'Arienzo, Mura, Giuseppe Guerini, Grassi, Lenzi, Scuvera, Fanucci.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Chaouki e Fiano n. 5-01156, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Quartapelle Procopio, Tidei, Patriarca, Zampa, Marzano, Giuseppe Guerini, Rampi, Fedi, Gasparini, Gadda, Beni, Fratoianni, La Marca, Mariastella Bianchi, Gnecchi, Mariani, Cenni, Iori, Braga, Marco Di Maio, Albanella, Lacquaniti, Cimbro, Biondelli, Villecco Calipari, D'Incecco, Binetti, Pastorelli, Valiante.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Quartapelle Procopio e altri n. 5-01193, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mogherini.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Madia n. 5-01176 del 9 ottobre 2013.