Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 30 settembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso, prima di confluire nel Piave, e dell'omonima diga costruita fra il 1957 e il 1960 lungo il corso del torrente;
    la storia di questo territorio e delle sue comunità venne sconvolta la sera del 9 ottobre 1963 – fra pochi giorni ricorre il 50o anniversario di quella data –, quando un'enorme frana (tutta la costa del monte Toc, larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi coltivati ed abitazioni) affondò nel lago artificiale sottostante, creando due enormi ondate d'acqua che superarono i 100 metri di altezza: la prima, a monte, sfiorò l'abitato di Erto e spazzò via le frazioni lungo le rive del lago – Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino –, la seconda, scavalcando la diga, precipitò nella vallata sottostante radendo al suolo i paesi di Longarone, Pirago, Maè, Villanova e Rivalta, e danneggiando profondamente gli abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna; vi furono 1910 vittime, di cui 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e quasi 200 originarie di altri comuni;
    la catastrofe del Vajont fu dunque provocata da una frana, ma, come è stato sottolineato in passato dalle più alte cariche istituzionali, la consapevolezza che vi fu colpa dell'uomo «rese più tragico il dolore per le morti, per la devastazione e le rovine, per la scomparsa di intere famiglie»: venne aperta un'inchiesta e i processo si concluse con il riconoscimento di responsabilità penali a carico di chi aveva deciso di costruite la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico, di innalzare a quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza, di non dare immediatamente l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione;
    la storia del disastro del Vajont, tuttavia, è anche la storia dello straordinario esempio di solidarietà e di virtù civiche, da molti posto alla base della nascita del sistema di protezione civile italiano, di quanti accorsero – alpini, vigili del fuoco, forze dell'ordine, volontari di tutta Italia – per portare soccorso alle popolazioni; la storia del Vajont è anche la storia di una positiva esperienza di ricostruzione, che ha permesso di recuperare territorio e tessuto socio economico per le rinate comunità;
    il modo migliore per tornare con la memoria alla tragedia del Vajont a quell'immane «disastro evitabile», è riconoscere, dunque, nella sua storia un monito perenne e, al tempo stesso, un valore di riferimento per ogni iniziativa concernente la salute e la sicurezza del territorio e delle comunità che in esso sono radicate per ogni azione che implichi incidenze ambientali e territoriali;
    poche settimane fa, nella seduta del 26 giugno 2013, la Camera dei deputati ha approvato, con il parere favorevole del Governo, le mozioni nn. 1-00017 Speranza, Brunetta, Matarrese ed altri, 1-00112 Zan ed altri, 1-00114 Segoni ed altri, 1-00117 Grimoldi ed altri e 1-00124 Giorgia Meloni e Rampelli, che hanno posto con forza i temi della manutenzione del territorio, della pianificazione territoriale come strumento di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico, delle politiche di sostegno alla residenza nelle comunità montane e rurali come elemento fondamentale dell'azione di contrasto dei fenomeni di abbandono e di degrado del territorio, dell'ammodernamento della legislazione in materia di difesa del suolo e del riordino del relativo sistema di competenze e di responsabilità, impegnando, fra l'altro, il Governo:
     a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, salvaguardando la centralità della pianificazione territoriale integrata di scala vasta nelle scelte in itinere di ridefinizione dei livelli istituzionali esistenti, privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
     ad adottare iniziative normative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, al fine di rendere finalmente operative le autorità di bacino distrettuali secondo una governance che tenga conto delle esigenze di riequilibrio istituzionale sostenute dalle regioni, di una delimitazione più funzionale dei distretti e di un sistema di governo in grado di riconoscere e valorizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze delle strutture tecniche di bacino esistenti a livello regionale e locale, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
     a valutare l'opportunità di introdurre forme di assicurazione da rischi naturali che vedano comunque il coinvolgimento obbligatorio dello Stato anche solo nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza;
     a prevedere, nell'ambito delle proprie competenze e in stretto coordinamento con gli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, individuando idonee forme di agevolazioni finalizzate alla loro delocalizzazione, prevedendo contestualmente il divieto assoluto di edificabilità in dette aree;
     ad adottare e sostenere opportune iniziative volte a prevedere una normativa in materia di pianificazione urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi, in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni, con particolare riferimento alla necessita di riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata, perseguendo l'obiettivo di limitare il consumo del suolo, anche attraverso il contenimento della diffusione urbana, disincentivando a tal fine nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali e favorendo il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti;
     ad incentivare e sostenere la piccola agricoltura nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottate pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo;
     ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da ridurre nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto;
     ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di Iva agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e il miglioramento del drenaggio, o sismico, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di bilancio;
     ad assumere iniziative per prevedere contributi al finanziamento delle reti di monitoraggio pluviometriche, nivometriche, idrometriche, sismiche, molto spesso dismesse dagli enti pubblici territoriali per carenza di fondi, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di finanza pubblica;
     ad intraprendere specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a prevedere il rifinanziamento del fondo regionale della protezione civile, ovvero l'istituzione di un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, finalizzato alla concessione di indennizzi e per il risarcimento dei danni provocati dalle calamità naturali connessi al dissesto idrogeologico del territorio, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di finanza pubblica;
     a valutare la possibilità di assumere iniziative di competenza, anche normative, finalizzate a prevedere che i comuni possano concedere crediti edilizi in favore di soggetti che procedono alla delocalizzazione dei propri immobili, non abusivi, situati in aree classificate a rischio, verso siti sicuri e ad adottare provvedimenti concreti contro l'abusivismo edilizio e per la demolizione degli immobili abusivi in aree soggette a rischio idrogeologico, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di finanza pubblica;
    oggi, in vista dell'emanazione da parte del Governo e dell'esame parlamentare del disegno di legge di stabilità per il 2014, è giusto riaffrontare il tema della manutenzione e della messa in sicurezza del territorio, a partire dalla riproposizione di alcuni dati essenziali relativi alla «fragilità» del territorio italiano e alla forte incidenza del rischio idrogeologico (oltre a quello sismico);
    in Italia, infatti, le aree ad elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie del territorio nazionale (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l'89 per cento dei comuni (6.631); in esse vivono 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione nazionale), per un totale di 2,4 milioni di famiglie; in tali aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici e più di 2/3 delle zone esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive;
    inoltre, la pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall'elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano (oltre il 60 per cento degli edifici – circa 7 milioni – è stato costruito prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica per le costruzioni e, di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici); dall'abnorme consumo di suolo vergine (tra il 2001 e il 2011 il suolo consumato è cresciuto dell'8,8 per cento e oggi si consumano circa 8 metri quadrati di suolo al secondo: questo vuol dire che ogni 5 mesi viene cementata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quella di Milano e Firenze), nonché dai gravi fenomeni di abbandono dei terreni montani, di incontrollato disboscamento, di costruzione spesso abusiva di immobili sul versanti a rischio, di mancata pulizia dei corsi d'acqua e di cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti;
    il progetto IFFI (inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito ad oggi oltre 486 mila fenomeni franosi e il 68 per cento delle frane europee si verifica in Italia e, dal 1900;
    inoltre, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulla base dei dati dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo del danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno e, complessivamente, più di quanto servirebbe per realizzare l'insieme delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico e quantificate in 40 miliardi di euro;
    la gravità del problema appare altresì evidente, se si pensa che, a partire dall'inizio del secolo scorso, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi in Italia sono stati oltre 4.000 e hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma, soprattutto hanno provocato circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila;
    gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni ’90, a 4-5 l'anno,

impegna il Governo:

   a considerare la manutenzione del territorio e la difesa idrogeologica una priorità per il Paese, in quanto finalizzata a garantire la sicurezza del cittadini;
   a prevedere nel disegno di legge di stabilità per il 2014 stanziamenti pluriennali certi, pari ad almeno 500 milioni annui, per la realizzazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i soggetti istituzionali territorialmente preposti, di un piano organico con obiettivi a breve e medio termine per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale vera e propria «grande opera» infrastrutturale, in grado non solo di mettere in sicurezza il fragile territorio italiano, ma anche di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
   ad assumere iniziative affinché l'utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, da parte di regioni ed enti locali, per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, che finisce per rappresentare un fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
   a garantire la possibilità per il sistema della protezione civile di operare in modo tempestivo ed efficace nel campo del contrasto ai danni provocati dal dissesto idrogeologico, ivi compresa la garanzia del buon funzionamento del sistema di allerta nazionale costituito nell'ambito del sistema nazionale di protezione civile.
(7-00111) «Realacci, Matarrese, Zan, Gadda, Tino Iannuzzi, Mazzoli, Rosato, De Menech».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ABRIGNANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 24 luglio 2013 la Corte dei Conti ha inviato al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali una comunicazione circa l'idoneità nella permanenza del ruoto di direttore generale del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura (CRA), del dottor Giuseppe Ambrosio colpito 11 dicembre 2012 da un provvedimento di custodia cautelare, nell'ambito di un procedimento in cui sono stati coinvolti altri dirigenti del Ministero delle politiche agricole e forestali;
   in seguito a tale vicenda, il consiglio di amministrazione del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura, ha sospeso il dottor Ambrosio da direttore generale e tale decisione è stata anche confermata da due recenti sentenze del tribunale del lavoro di Roma a cui il lo stesso dottor Ambrosio aveva fatto ricorso;
   sulla vicenda è intervenuto anche il sindacato della UIL ricerca facendo riferimento al fatto che il dottor Ambrosio era stato prescelto a seguito di un bando pubblico del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura del 7 febbraio 2012;
   al citato del 7 febbraio 2012 per la nomina di direttore generale del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura, ha partecipato anche la dottoressa Ida Marandola, la quale è stata selezionata – delibera Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura n. 45 del 23 marzo 2012, come rammenta il ricordato comunicato della UIL ricerca nella terna di nominativi all'interno della quale è stato prescelto il direttore generale dell'ente;
   la dottoressa Marandola fa parte della fondazione Nuova Italia con l'incarico di responsabile della Consulta pubblica amministrazione ed ha partecipato al suddetto bando nonostante quest'ultimo, all'articolo 2, comma 2, lettera d), prevedesse l'esclusione per chi fosse impegnato in formazioni politiche o sindacali nei tre anni precedenti alla candidatura;
   la dottoressa Marandola ricopre il ruolo di responsabile della pubblica amministrazione dell'organizzazione politica fondazione Nuova Italia e in questa veste ha partecipato come relatore a diversi convegni (20 maggio 2011, consulta pubblica amministrazione: «Onore al merito: l'efficacia dopo l'efficienza»; 18 ottobre 2011 «Al servizio dell'Italia»); il 30 ottobre 2012 è intervenuta alla presentazione del libro «Manager politico o politico manager o entrambi ?»: per quanto riguarda quest'ultimo evento, la dottoressa Marandola ha tenuto una relazione come responsabile della consulta della pubblica amministrazione della fondazione Nuova Italia);
   della terna di nominativi faceva parte anche il dottor Salvatore Petroli, già dirigente del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e direttore generale dell'Istituto per la nutrizione, coinvolto nella stessa inchiesta che ha colpito il dottor Ambrosio nel dicembre del 2012;
   in data 12 giugno 2012, sempre la dottoressa Marandola, ha affidato alla società Obiettivo Lavoro spa un contratto per l'affidamento di lavoro a tempo determinato. A quella data la dottoressa rivestiva la carica di direttore centrale degli affari giuridici che avendo sotto di sè gli uffici di gestione del personale non poteva ad avviso dell'interrogante, assolutamente occuparsi di questo contratto –:
   in merito alle vicende sopra esposte, quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine:
    a) di accertare, in relazione al dottor Giuseppe Ambrosio, per quale motivo il ricordato bando del 7 febbraio 2012 per la nomina di direttore generale del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura, non riporti, stranamente, alcuna clausola circa l'assenza di procedimenti penali a carico dei partecipanti, tenuto conto che il dottor Ambrosio era interessato da cinque rinvii a giudizio all'epoca, così come riportato dai giornali e così come era stato segnalato anche da interrogazioni parlamentari (cfr. atto n. 4-04652 Senato della Repubblica, presentato il 1° marzo 2011, seduta n. 511) e che la clausola dell'assenza di procedimenti penali veniva pretesa dal Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura per altri bandi pubblici relativi ad altre nomine: si veda – a questo proposito – l'avviso per direttore del dipartimento di biologia del 7 febbraio 2012 e l'avviso per un co.co.pro dell'Istituto di Casale Monferrato del 18 gennaio del 2012;
    b) verificare, in merito alla vicenda della dottoressa Ida Marandola, se sussistano i presupposti per assumere provvedimenti a carico della stessa in conseguenza di quanto esposto in premessa con riferimento agli incarichi ricoperti;
    c) se la dottoressa Ida Marandola possa rivestire il ruolo di direttore generale facente funzione, così come da delibera del consiglio di amministrazione del 18 dicembre 2012, n. 65, e quello di direttore centrale degli affari giuridici, quando l'articolo 53, comma 1-bis, del decreto legislativo 165 del 2001 prevede che non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto degli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni, considerato altresì che tale incompatibilità è prevista anche dalla vigente normativa anticorruzione, di cui agli articoli 49 e 50 della legge n. 190 del 2012;
    d) di accertare, a proposito dell'affidamento da parte della dottoressa Marandola alla società Obiettivo Lavoro spa di un contratto per l'affidamento di lavoro a tempo determinato:
     1) il costo del contratto e l'effettiva esigenza da parte del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura del servizio sopra evidenziato, alla luce di una consistente fascia di ricercatori in servizio al medesimo CRA in forma precaria, anche da decenni, come ricorda la menzionata nota della UIL ricerca;
     2) le persone che sono state beneficiate da tale contratto;
     3) la compatibilità di tale contratto con il comma 4 dell'articolo 12, della legge 135 del 2012, che prevedendo l'unificazione dell'Inran nel Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura, ha previsto la riduzione del 10 per cento del personale del medesimo Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura posto che il contratto sottoscritto dal C.R.A., ad avviso dell'interrogante contraddice le finalità della spending review andando in controtendenza rispetto ai sacrifici richiesti agli italiani;
     4) quali siano stati gli effettivi criteri di ingresso del personale adottati dalla società Obiettivo Lavoro e se abbiano seguito delle indicazioni del Consiglio di amministrazione;
     5) perché tale decisione, come altre, non sia stata debitamente comunicata dal presidente del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura al Ministro, così come prevede lo stesso statuto del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura (articolo 8, comma 3, lettera g));
   quali tempestive iniziative, inoltre, il Ministro competente intenda avviare:
    a) per accertare quale sia la situazione dei conti del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura tenuto conto che la nota della UIL Ricerca sembra adombrare l'assenza di fondi per il pagamento dei precari;
    b) per verificare quale sia la reale redditività delle attività di ricerca, in particolare se confrontate all'Ente Risi;
    c) per controllare quale sia la capacità di remunerazione del patrimonio, a fronte delle risorse impiegate per la sua manutenzione;
    d) per accertare la remunerazione della superficie agricola a disposizione dell'ente;
    e) per appurare quale sia il costo di affitto della sede centrale del Consiglio nazionale della sperimentazione e ricerca in agricoltura e per quale regione tale sede non venga trasferita in un immobile di proprietà dello stesso ente. (3-00352)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha espresso, pur tardivamente, la volontà di far applicare il decreto interministeriale (sottoscritto dai Ministri, pro tempore dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, e da quello delle infrastrutture e dei trasporti Passera) emesso in data 2 marzo 2012 che, per la laguna di Venezia, vieta il transito delle navi di stazza superiore alle 40.000 tonnellate nel bacino di San Marco e nel canale della Giudecca;
   tale divieto è rimasto finora lettera morta in attesa della soluzione alternativa che lo stesso decreto demanda alla autorità marittima con il risultato che a tutt'oggi il traffico delle grandi navi crociera di oltre 130.000 tonnellate di stazza (oltre 300 metri di lunghezza, 40 metri di larghezza, 60 metri di altezza) non solo continua, ma sta addirittura aumentando («record» di 12-13 navi in transito, nel giro di 48 ore, nei giorni scorsi);
   le soluzioni progettuali attualmente al vaglio del Governo comporterebbero, secondo quanto riferito dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e dalla stampa locale, l'escavo in laguna di nuovi canali navigabili e di considerevoli dimensioni;
   l'ordinanza n. 23 del 2012 della capitaneria di porto di Venezia stabilisce che: «la larghezza dei convogli non deve mai essere maggiore della terza parte della larghezza minima dei canali da percorrere» mentre il magistrato alle acque, in tema di disegno delle rive lungo i canali navigabili, ha fissato il parametro di un metro di altezza ogni tre di larghezza, dello stesso canale, per la risalita graduale alla profondità originaria (è il modo per ridurre e ammortizzare gli effetti di pressione e depressione che si generano al passaggio di un natante soprattutto quando il natante è piuttosto ingombrante, come nel caso delle grandi navi. Disegnate così le rive subiscono certamente un processo di erosione ma non precipitano come succede se lo scavo è verticale);
   ebbene, se la larghezza delle navi da crociera è di circa 40 metri e il loro pescaggio 9 significa che il nuovo canale ipotizzato dietro la Giudecca dovrà essere pari almeno a 180 metri di larghezza (40 x 3 = 120 + 30 + 30 = 180) anziché di 150 come dichiarato. E se ci si basa sulle profondità e dimensioni dei canali esistenti (quelle effettive), la realizzazione di quel canale, per una profondità di 10/11 metri, comporterà uno scavo lungo circa 6.000 metri e l'asporto di circa 7 milioni di metri cubi di fango;
   ciò causerebbe, inevitabilmente, rilevanti problemi di carattere morfodinamico nella laguna ed una conferma di tale assunto si è già avuta in passato con la realizzazione del canale dei Petroli, inaugurato l'8 aprile 1970, il quale ha cagionato una modifica dei fondali lagunari, in termini soprattutto di erosione, e modifiche nelle correnti di marea;
   in pratica, attraverso il profondo canale entra una maggiore quantità d'acqua in laguna e quindi pare si sia aggravato il problema dell'acqua alta, mentre, ed è sicuro, la velocità vorticosa con cui l'acqua entra spazza tutta la laguna sud che è rimasta infatti senza più barene e velme, cancellate dalla corrente causata dal canale (nel 1600 le barene erano stimabili in 255 chilometri quadrati, oggi sono rimasti appena 47 chilometri quadrati). Nuovi canali indurrebbero un ulteriore effetto accelerante sia sul fenomeno dell'acqua alta sia su quello dell'erosione dei sedimenti;
   tali pesanti interazioni fra il campo di moto locale indotto dalla navigazione, i fondali, le sezioni del canale stesso, la circolazione secondaria e i bassifondi che lo affiancano non sarebbero annullate neppure con costose opere di neutralizzazione e/o mitigazione;
   tali interventi, in conclusione, comportanti la creazione di nuovi canali marittimi navigabili all'interno della laguna, appaiono in netto contrasto con le disposizioni e/o la ratio di molte norme della cosiddetta legislazione speciale per Venezia. Si vedano in particolare:
    a) l'articolo 1, comma 2, della legge 16 aprile 1973, n. 171, «Interventi per la salvaguardia di Venezia» che recita: «la Repubblica garantisce la salvaguardia dell'ambiente paesistico, storico, archeologico, artistico della città di Venezia e della sua laguna, ne tutela l'equilibrio idraulico, ne preserva l'ambiente dall'inquinamento atmosferico e delle acque e ne assicura la vitalità socio-economica...»;
    b) l'articolo 3 stessa legge che, riferendosi alle direttiva del piano comprensoriale da osservare per la redazione degli strumenti urbanistici, parla di «limitazioni specificamente preordinate alla tutela dell'ambiente naturale, alla preservazione dell'unità ecologica e fisica della laguna, alla preservazione delle barene ed all'esclusione di ulteriori opere d'imbonimento, alla prevenzione dell'inquinamento atmosferico e idrico...»;
    c) l'articolo 3 della legge 20 novembre 1984, n. 798, che prevede lo stanziamento di fondi per «studi, progettazioni, sperimentazioni ed opere volte al riequilibrio idrogeologico della laguna, all'arresto e all'inversione del processo di degrado del bacino lagunare e all'eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all'attenuazione dei livelli di maree in laguna...»;
    d) l'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 139, «Interventi per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna», sempre in materia di stanziamento fondi per opere di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, pone, tra i vari interventi, quelli di «ripristino della morfologia lagunare» e di «arresto del processo di degrado della laguna»;
   nel contesto normativo sopra ricordato s'inserisce lo strumento del «piano morfologico e per la qualità dell'ambiente della laguna» di competenza del magistrato alle acque il quale, per il suo aggiornamento, ne ha delegato la stesura al Consorzio Venezia Nuova. In un suo parere, l'ufficio di piano del magistrato scrive solennemente che «l'obiettivo generale del Piano Morfologico non può essere che quello dell’“ arresto e inversione ”» del degrado lagunare. Vanno quindi individuati e rimossi gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di tale obiettivo». Tale piano «deve anche essere in linea con la direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) e con la direttiva Habitat (92/43/CEE) istitutiva della rete di aree protette Natura 2000. Si rende quindi necessario un Piano che integri gli interventi già definiti per la difesa delle acque alte eccezionali con una strategia per il ripristino di forme e funzioni della laguna secondo un suo modello sostenibile dal punto di vista fisico, ecologico ed economico-sociale». A tale piano deve accompagnarsi la valutazione ambientale strategica (VAS) «non già come una procedura distinta e separata, ma come processo integrato nell’iter decisionale del Piano, in grado di influenzarne le scelte e i contenuti... Inoltre, data l'esistenza di alcune aree SIC e ZPS che interessano ampia parte della Laguna di Venezia, è necessario sottoporre il Piano a Valutazione di Incidenza Ambientale ai sensi della direttiva 92/43/CEE» (sempre lo stesso parere del 2005);
   un similare parere del 2012 dell'ufficio di piano del magistrato alle acque, volto sempre a fornire raccomandazioni all'estensore circa la stesura finale del suddetto piano morfologico, afferma, significativamente, che: «...una serie di attività economiche ad oggi in discussione nel contesto veneziano non trovano attenzione nel Piano Morfologico pur essendo potenzialmente impattanti sulla morfologia ed anche se la loro realizzazione mostra in certi casi alti livelli di incertezza. Ci si riferisce tra l'altro a: porto off-shore, nuovo canale Malamocco-Marittima (canale S. Angelo Contorta) per navi da crociera, scolmatore del Brenta, idrovia Venezia-Padova, evoluzione del polo petrolchimico. Queste attività, oggi solo in fase di ideazione, non è escluso saranno un giorno realizzate; ed è certo che la loro realizzazione avrà effetti diversi sulla morfologia lagunare. Si ritiene pertanto che il Piano Morfologico dovrebbe analizzare i possibili effetti della realizzazione di tali interventi morfologici rispetto alle mutazioni degli scenari produttivi, sia come vincolo agli scenari di sviluppo economico compatibili con il mantenimento della morfologia lagunare»;
   è superfluo ricordare che a tale piano morfologico dovrà attenersi, peraltro, anche il piano regolatore portuale atteso da quasi 20 anni, a giudizio dell'interrogante, per grave negligenza dell'autorità portuale e del comune di Venezia e in relazione alla cui mancanza pare che neppure il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si sia più di tanto preoccupato;
   la «capacità di carico turistico» della città di Venezia (misura che indica il numero massimo di persone che possono visitare la città senza compromettere le sue caratteristiche ambientali, fisiche, economiche e socio-culturali e senza ridurre il «satisfaction degree» dei turisti stessi) è stata quantificata nel 1988 in circa 7 milioni e mezzo di visitatori all'anno (valore ottimale) e 12 milioni (valore massimo inderogabile). Tale ricerca è stata effettuata dal COSES e firmata dai professori Paolo Costa, attuale presidente dell'Autorità portuale di Venezia ed ex sindaco della città, e Jan van der Borg. Ebbene, nel 2011 il numero di turisti è stato stimato da alcuni in 30 milioni (Italia Nostra) e da altri in 24 milioni (lo stesso Costa); è indubbio comunque che la soglia dei 20 milioni è stata abbondantemente superata –:
   se l'analisi delle alternative al transito delle navi lungo il canale di San Marco-Giudecca terrà nella debita considerazione lo spirito e il disposto delle varie norme di legislazione speciale sopra ricordate (leggi dello Stato tuttora vigenti) e, quindi, se accanto alla «vitalità socio-economica» della città saranno adeguatamente tutelati e garantiti gli obbiettivi di «ripristino della morfologia lagunare» e di «arresto del processo di degrado della laguna»;
   se, come raccomandato dall'ufficio di piano del magistrato alle acque (parere del 4 giugno 2012), il Governo non reputi necessario che lo strumento del piano morfologico comprenda pure l'intero panorama di possibili alternative al passaggio delle cosiddette grandi navi e su tale complesso siano poi formulate valutazioni ambientali strategica e valutazioni di incidenza ambientale;
   se, nella procedura di valutazione, non debba necessariamente essere coinvolto anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la sua funzione di salvaguardia della laguna di Venezia sotto i profili ambientale e paesaggistico;
   se non si ritenga opportuno, come reputa l'interrogante, che per la stesura definitiva del ricordato piano morfologico, come anche per la scelta definitiva sulla questione del transito delle grandi navi da crociera nella laguna (sia o meno compresa nel citato piano), ci si avvalga di un ente terzo (rispetto al Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la costruzione del sistema Mo.s.e.) che garantisca un buon livello di attendibilità scientifica quale il dipartimento di ingegneria civile edile ambientale (D.I.C.E.A.) dell'università di Padova, vista la consolidata e più che trentennale esperienza nel campo della modellistica numerica applicata all'idraulica e alla morfodinamica, esperienza ben nota e riconosciuta in campo nazionale ed internazionale e che per la laguna di Venezia costituisce punto di eccellenza della ricerca;
   se, inoltre, nell'ottica della piena trasparenza amministrativa non si reputi opportuno pubblicare in una sezione del sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti tutti i progetti finora presentati e al vaglio governativo;
   se, nella prospettiva di una maggior partecipazione dei cittadini alle grandi scelte pubbliche, considerata l'enorme eco mediatica che ha la vicenda delle grandi navi a Venezia e il periodo di «ferma» delle medesime, non sia opportuno avviare fin da subito un procedimento di «debàt public»;
   se e quali misure di riduzione/mitigazione dell'inquinamento, prodotto dalle grandi navi (inquinamento elettromagnetico, da polveri sottili, da zolfo), il Governo intenda porre in essere per soddisfare l'obbiettivo, posto dal legislatore a carico dello Stato, di «prevenzione dell'inquinamento atmosferico..:», considerata anche la stretta vicinanza della stazione Marittima al quartiere di Santa Marta.
(5-01099)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il teatro Valle di Roma è occupato da oltre due anni (dal giugno del 2011) da un gruppo di persone che ne ha preso possesso, senza titolo, al fine di gestirne le attività, sia con riferimento alla messa in scena di spettacoli, che all'organizzazione di corsi e dibattiti, utilizzando a tal fine il materiale tecnico, elettrico e fonico della struttura;
   il teatro Valle è un bene pubblico di proprietà del Ministero per i beni e le attività culturali, ma sembrerebbe che neanche più la Soprintendenza di Stato abbia accesso al teatro al fine di condurre le regolari verifiche, come fa nelle altre strutture;
   l'occupazione ha impedito la realizzazione di una stagione ponte, preparata dal teatro Argentina, dalla quale, in seguito al passaggio di gestione dall'ETI a Roma capitale, sarebbe dovuto dipendere il Valle;
   oltre a determinare i mancati incassi del teatro, gli occupanti non hanno mai provveduto né al pagamento delle utenze di acqua, luce, rifiuti, riscaldamento, telefono e internet, né al versamento del corrispettivo per i diritti SIAE, e il danno erariale complessivo ammonterebbe, ad oggi, a circa due milioni di euro;
   inoltre, la gestione degli occupanti sarebbe di fatto priva di agibilità, in quanto non vengono pagati i contributi ENPALS che ne permettono il rinnovo;
   gli artisti chiamati a esibirsi o a dibattere sulla scena del teatro Valle nel corso dell'occupazione sono stati scelti dagli stessi occupanti attraverso criteri del tutto discrezionali;
   il bene in oggetto dovrebbe essere assegnato attraverso un bando pubblico e trasparente che garantisca a tutti pari opportunità di accesso, anche attraverso la nomina di un direttore artistico che valuti la qualità degli spettacoli messi in scena;
   lo storico teatro versa in un evidente stato di degrado;
   la mancata risoluzione della questione del teatro Valle rischia di dare luogo ad un pericoloso precedente, in seguito al quale chiunque potrebbe ritenersi autorizzato ad autoproclamarsi «gestore» di un teatro, o di qualsivoglia altra struttura pubblica, solo ed esclusivamente in forza di una arbitraria occupazione della stessa;
   il 18 settembre 2013, il sedicente comitato occupante ha rilasciato una dichiarazione con la quale ha annunciato la nascita della «Fondazione Teatro Valle Bene Comune» che, a sua detta, «rappresenta l'uscita dall'illegalità, cessando da questo momento di essere occupanti»;
   una Fondazione, nella sua forma giuridica, deve essere ratificata e verificata dal prefetto e presuppone la proprietà dell'immobile e non può chiamarsi con il nome di un bene che non sia di proprietà dei fondatori –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere affinché la gestione del teatro Valle sia riportata alla regolarità formale ed amministrativa. (4-02009)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in applicazione delle ormai note norme della cosiddetta spending review, con le quali è stato predisposto un piano di revisione dell'assetto organizzativo degli uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate, il 30 settembre è prevista la chiusura definitiva dell'ufficio territoriale di Mirandola;
   l'ufficio territoriale di Mirandola è il riferimento per un bacino d'utenza esteso: ad esso, infatti, si rivolgono non solo i «contribuenti» residenti dei nove comuni dell'area nord modenese (Camposanto, Cavezzo, Concordia, Finale Emilia, Medolla, Mirandola, San Felice Sul Panaro, San Prospero, San Possidonio), ma anche i residenti dei confinanti o vicini comuni della provincia di Mantova che, tradizionalmente, gravitano su Mirandola per i servizi erogati e per la presenza delle scuole medie superiori;
   recenti dati dimostrano che l'ufficio territoriale di Mirandola ha svolto una mole di lavoro considerevole: nel 2011 le pratiche relative agli atti privati sono state più di tremila;
   la chiusura di tale servizio penalizzerà pertanto i cittadini dell'area nord modenese, che da oltre un anno e mezzo affrontano peraltro tutti i disagi provocati dal drammatico sisma del maggio del 2012; nel suddetto periodo, l'ufficio ha comunque continuato a funzionare: provvisoriamente trasferito all'interno della sede dell'Ufficio territoriale di Carpi (a partire dal 26 maggio 2012), ha successivamente riaperto a Mirandola (dal 16 gennaio 2013), sistemato all'interno di un container messo a disposizione gratuitamente dal comune, che ne metterà a breve a disposizione un altro, per ampliare gli spazi a favore degli impiegati e degli utenti;
   nel corso del 2014 il Provveditorato regionale opere pubbliche effettuerà i lavori di ripristino della originaria sede dell'Agenzia delle entrate, sita in piazza Conciliazione, cioè nel cuore della città storica di Mirandola: la riapertura dell'ufficio territoriale in quella sede avrebbe anche sicuri effetti positivi per il centro storico, profondamente ferito dal sisma del maggio 2012 e che, con ogni sforzo, si cerca di riportare alle condizioni di funzionalità e vivibilità precedenti al terremoto;
   nei giorni scorsi, si sono svolti incontri tra i sindacati di categoria e la direzione regionale e provinciale dell'Agenzia delle entrate per trovare ogni utile soluzione a consentire che l'ufficio delle entrate di Mirandola possa continuare a erogare i propri servizi ai cittadini dell'area nord modenese –:
   se il Ministro interrogato non ravveda la necessità di intervenire affinché i residenti dei nove comuni dell'area nord modenese (82.000 abitanti), che da oltre un anno e mezzo sopportano i gravi disagi provocati dal sisma del maggio 2012, possano continuare a ricevere i servizi erogati dall'Agenzia delle entrate sul loro territorio non solo come sportello decentrato, ma con tutte le funzioni e le attività che ha sempre svolto. (5-01097)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7 della legge 11 novembre 2011, n. 180, «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese» prevede che i regolamenti ministeriali o interministeriali, nonché i provvedimenti amministrativi a carattere generale adottati dalle amministrazioni dello Stato, al fine di regolare l'esercizio di poteri autorizzatori, concessori o certificatori, nonché l'accesso ai servizi pubblici ovvero la concessione di benefici, devono recare in allegato l'elenco di tutti gli oneri informativi gravanti sui cittadini e le imprese introdotti o eliminati con gli atti medesimi e sono pubblicati sui siti istituzionali delle amministrazioni;
   nell'allegato A del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 novembre 2012, n. 252, «Regolamento recante i criteri e le modalità per la pubblicazione degli atti e degli allegati elenchi degli oneri introdotti ed eliminati, ai sensi dell'articolo 7, comma 2, della legge 11 novembre 2011, n. 180, “ Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese ”», è stabilito che gli atti e gli elenchi di cui all'art 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri devono essere pubblicati sul sito web istituzionale dell'amministrazione competente in un'apposita area denominata «Oneri introdotti ed eliminati», all'interno della sezione «Come fare per ...»;
   ai fini del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, la stessa area deve essere raggiungibile dalla sezione «Trasparenza, valutazione e merito». Per assicurare la massima fruibilità delle informazioni, ciascuna amministrazione è tenuta a consentire sia la visualizzazione dell'intero documento che quella del solo elenco allegato;
   sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, all'interno della sezione «Oneri informativi per cittadini ed imprese» non è presente nessun documento;
   la trasparenza dell'attività amministrativa costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all'articolo 11 del decreto legislativo n. 150 del 2009;
   la legge non richiede di specificare se la mancata pubblicazione dei documenti sia dovuta all'assenza di provvedimenti che abbiano introdotto o eliminato oneri informativi –:
   quali siano le ragioni dell'assenza dei documenti;
   nel caso siano stati introdotti o eliminati oneri, se non intenda provvedere alla tempestiva pubblicazione delle informazioni succitate nelle modalità stabilite dalla legge. (5-01096)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FURNARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, il Presidente dell'associazione di promozione turistica «Tarantovola» recandosi all'aeroporto civile «Marcello Arlotta» di Grottaglie ha trovato l'ingresso di accesso al pubblico sbarrato e ha ricevuto notizia che l'accesso, in base alle nuove disposizioni, deve essere effettuato tramite pass;
   il direttore di Aeroporti di Puglia, rispondendo, sempre attraverso un'intervista su un quotidiano, ha fatto sapere che la società Aeroporti di Puglia si è adeguata ad una recente disposizione del Ministero dell'interno che «deriva dalla necessità di tutelare beni pubblici, come sono appunto le strutture aeroportuali nazionali, quando non c’è attività continua e costante. Di conseguenza come nel caso di Grottaglie le porte devono restare chiuse e sotto sorveglianza giacché non può esserci il posto fisso di Polizia»; «Non c’è assolutamente da parte di APD alcuna volontà di contrasto all'aeroporto grottagliese» conclude il Presidente Aeroporti Puglia;
   l'aeroporto in questione è registrato come Aeroporto Civile Nazionale e Comunitario;
   in base al piano regionale dei trasporti della Puglia, il suddetto aeroporto risulta facente parte di un sistema aeroportuale (insieme agli aeroporti Gino Lisa di Foggia, aeroporto del Salento di Brindisi e Karol Wojtyla di Bari);
   nel caso degli Aeroporti Pugliesi la definizione di sistema aeroportuale non è applicabile (a differenza del sistema aeroportuale Linate-Malpensa di Milano o Fiumicino-Ciampino di Roma, ad esempio) poiché i 4 aeroporti servono città differenti poste a notevole distanza l'una dall'altra e con un bacino di utenza molto elevato, così come riportato nell'articolo 2 del decreto legislativo n. 18 del 1999, che definisce sistema aeroportuale «un raggruppamento di due o più aeroporti che servono la stessa città o lo stesso agglomerato urbano, come indicato nel regolamento (CEE) n. 2408 del Consiglio del 23 luglio 1992»;
   l'aeroporto di Grottaglie, peraltro, vanta la presenza della pista aerea più lunga della Puglia, con i suoi 3,2 chilometri di lunghezza, risultando particolarmente idonea ad accogliere l'atterraggio di velivoli di grandi dimensioni;
   nel 2006, a seguito dell'insediamento del gruppo Alenia-Aeronautica presso il citato scalo per la produzione delle fusoliere della Boeing, lo scalo è stato adeguato per consentire l'atterraggio dei pesantissimi Boeing Cargo, risultando a fine lavori una delle piste più lunghe d'Italia;
   nonostante l'investimento di 130 milioni di euro per i lavori effettuati per gli adeguamenti strutturali, previsti dall'articolo 31 del PRT Puglia – capitolo 5 – commi a) e b) secondo cui sono previsti «gli interventi di adeguamento/potenziamento sugli assi stradali di connessione all'aeroporto di Grottaglie al fine della sua integrazione nella rete di collegamento regionale/nazionale, prioritariamente per la connessione con l'area portuale di Taranto», rimane ad oggi chiuso ai voli civili, sia di linea che charter, rimanendo aerostazione a vocazione prevalentemente cargo, ma senza collegamento diretto con la vicinissima strada statale 7 (SS7) o l'altrettanto vicina linea ferroviaria;
   lo «Studio per lo sviluppo della rete aeroportuale nazionale» elaborato da One Works, KPMG e Nomisma per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Enac (Ente nazionale per l'aviazione civile) stima che l'aeroporto di Taranto ricopra un bacino di utenza territoriale che si estende per ben 12.800 chilometri quadrati e che risulti raggiungibile in soli 90 minuti da più di 3 milioni di passeggeri potenziali provenienti dalla provincia di Taranto, dalla Basilicata e da parte della Calabria;
   dal piano regionale dei trasporti – piano attuativo 2009-2013 della regione Puglia si evince che l'aeroporto di Grottaglie, ferma restando la possibilità di sviluppare traffico passeggeri a servizio della domanda generata dal proprio territorio di riferimento è chiamato principalmente ad integrarsi nel sistema logistico-portuale dello Ionio, costituendone uno dei punti di forza grazie alle caratteristiche dei suoi impianti e alla sua elevata accessibilità ulteriormente migliorata attraverso la previsione dell'adeguamento dello svincolo sulla SS7. L'aeroporto potrà costituire un ulteriore incentivo per attrarre investimenti privati nel Distripark completando il network di feederaggio multimodale a supporto del sistema portuale; dallo stesso piano si apprende che l'accessibilità stradale dell'aeroporto di Grottaglie è stata migliorata attraverso il collegamento diretto con la viabilità di interesse nazionale. La realizzazione dei numerosi potenziamenti stradali previsti in Salento consentono di migliorare i collegamenti dell'aeroporto con il porto di Taranto e le principali aree produttive e turistiche della zona;
   Taranto è collocata in un'area strategica per le comunicazioni intermodali, a ridosso di due regioni (la Calabria e la Basilicata) che, non avendo aeroporti vicino, potrebbero sostenere la domanda di una notevole utenza per i voli civili;
   l'utilizzo a pieno regime dello scalo grottagliese, unitamente al porto di Taranto, rappresenterebbe il volano per lo sviluppo economico, turistico e sociale di tutta la terra ionica;
   il territorio ionico sarebbe fortemente avvantaggiato da un incremento dei flussi turistici nell'area essendo una delle principali mete turistiche della regione;
   la valorizzazione delle locazioni naturali, della cultura, delle tradizioni con i partner pubblici e privati che perseguono i medesimi obiettivi rappresenta un'efficace forma di sviluppo sostenibile del territorio;
   nel piano ENAC (febbraio 2012), l'aeroporto «Arlotta» è stato inserito nella Rete nazionale degli aeroporti per il trasporto delle merci, come scalo di macroarea, insistente in una piattaforma logistica pianificata, a supporto dei distretti produttivi locali e a servizio delle esigenze espresse dalle imprese del territorio, per l'accesso diretto ai mercati;
   l'aeroporto di Grottaglie è considerato altresì «scalo con sviluppo correlato», il cui traffico, in ragione dei condizionamenti e delle relazioni esistenti all'interno dei bacini di utenza, deve essere, appunto, correlato per rispondere con maggiore efficacia all'esigenza del territorio;
   di conseguenza per quanto riguarda il complesso degli aeroporti pugliesi si evidenzia, nel piano sopra citato, che l'aeroporto di Bari si configura come aeroporto strategico della costa meridionale adriatica dedicato al traffico di linea e merci; l'aeroporto di Brindisi svolge il ruolo di scalo primario a supporto di Bari, specializzato in traffico low cost e attività complementari a servizio della zona turistica salentina; per l'aeroporto di Foggia è indicata una vocazione relativa al segmento di traffico corrispondente all'Aviazione Generale (commerciale e privata), ai servizi elicotteristici e di servizio al turismo locale; infine, lo scalo di Taranto Grottaglie si configura attualmente come uno scalo che svolge un servizio di trasporto speciale intercontinentale, per il quale è indicato a medio termine il ruolo di polo del traffico aereo merci;
   inoltre, si evidenzia sempre nel piano ENAC, l'aeroporto di Grottaglie per la posizione geografica strategica in relazione all'area Mediterranea e per le caratteristiche dimensionali e prestazionali della pista di volo, presenta anche interessanti potenzialità e pertanto, nel lungo periodo, potrebbe svolgere il ruolo di riserva di capacità dei traffici aerei dell'Italia meridionale –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto in premessa, al fine di garantire in tempi celeri, la completa riapertura dell'aeroporto «Marcello Adotta» di Grottaglie-Taranto al traffico civile e commerciale alla stessa stregua di quanto accade negli altri aeroporti della regione Puglia, poiché non identificabili come sistema aeroportuale.
(4-02006)


   SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Napoli, e più in particolare nella municipalità 6, quartiere di Ponticelli, furono costruiti dopo il terremoto del 1980 dei containers con pavimenti, travi e soffitti in amianto, che dovevano fungere da abitazioni provvisorie prefabbricate per accogliere parte degli sfollati della città;
   tali costruzioni, denominate Bipiani e costruite con coibentazione di amianto, ospitano circa 400 persone, sia italiane che di diversa nazionalità;
   i Bipiani erano originariamente divisi in due villaggi (detti A e B) ai lati della parallela di via Volpicella, e, dopo l'abbattimento del Villaggio B avvenuto nel 2003, resta in piedi solo il Villaggio A;
   queste abitazioni, nella disponibilità del comune di Napoli, versano in stato di gravissimo degrado, oltre che per l'assenza di ogni requisito di sicurezza negli impianti, anche per l'avanzato stato di deterioramento delle lastre di amianto;
   esse costituiscono pericolo non soltanto per chi abita all'interno del Villaggio A, ma anche per le popolazioni abitanti nelle immediate vicinanze, considerato che il capo insiste al centro di un municipio di circa 119.000 abitanti;
   il comune di Napoli ha sì effettuato l'abbattimento di parte dell'insediamento iniziale, ma non riesce ad ultimare le opere a causa della cronica mancanza di fondi che gli impedisce di ricollocare le famiglie che lì risiedono;
   lo stesso comune di Napoli ha riconosciuto a dodici nuclei familiari il diritto alla casa, collocandolo nelle graduatorie di assegnazione, ed ha individuato nel corso degli anni svariate soluzioni alternative per poter ricollocare i residenti, ma ogni ipotesi è naufragata per la mancanza di copertura finanziaria;
   la vicenda in oggetto riveste, per dimensioni, collocazione geografica ed eco mediatico, un'importanza di rilievo nazionale, trattandosi di un ennesimo sito particolarmente pericoloso dal punto di vista ambientale presente in Campania;
   il comune di Napoli negli ultimi due anni non ha più posto in essere alcuna azione concreta per ricollocare in una situazione abitativa più sicura chi ora vive lì e procedere con l'ultimazione dell'abbattimento del campo Bipiani di Ponticelli, scongiurando il drammatico rischio per la salute della cittadinanza legato alla presenza di amianto;
   il Governo ha recentemente assunto iniziative per favorire il recupero delle aree urbane degradate ad esempio mediante il piano nazionale per le città –:
   se non sia opportuno assumere un'iniziativa anche normativa per far fronte alla problematica descritta in premessa. (4-02007)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Monterotondo (Roma), insistono degli edifici, destinati a civile abitazione siti in via Gramsci 78, complesso «le terrazze» ed in via Salaria 123, condominio «la dogana», che sono stati definitivamente confiscati alla criminalità organizzata, nell'ambito di un procedimento penale pendente presso la corte d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto;
   questi edifici sono gestiti e amministrati dall'A.N.B.S.C. (Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) ed elencati in una apposita lista pubblicata nel sito dell'Agenzia stessa;
   l'attuale provvedimento restrittivo impedisce l'acquisizione di detti immobili al patrimonio comunale;
   con il passare degli anni le palazzine sono state occupate abusivamente da un certo numero di nuclei familiari. Detti immobili non essendo mai stati terminati non hanno collaudo statico, insistono ancora in un'area di cantiere e non hanno l'allaccio alla rete fognaria comunale, determinando disagi di non poco conto visto che gli scarichi del complesso immobiliare finiscono per riversarsi nel suolo. Per cui l'area in questione è costantemente interessata da cattivi odori;
   in questo stato di continua illegalità gli abitanti del complesso si sono resi artefici di opere abusive di varia natura (demolizioni di parti murarie, chiusura di porte e realizzazione di nuove aperture verso l'esterno, chiusura di balconi e montaggio di pergolati di ogni forma e fattezza). Tali lavori hanno prodotto macerie che venivano depositate e accumulate all'interno di detto complesso creando una vera e propria discarica abusiva. Un camion a disposizione degli abitanti del sito in questione alimentava questa discarica con altro materiale di risulta di provenienza ignota;
   più di una volta per eliminare definitivamente il materiale della discarica abusiva, gli abitanti del complesso succitato si sono resi artefici di alcuni giganteschi falò alimentati per lo più da oggetti di plastica che hanno sprigionato nell'area fumi inquinanti pericolosamente vicini ad un'area di parcheggio privato;
   per tutte queste ragioni l'area in esame presenta un forte degrado ambientale che produce fastidio sensoriale (cattivi odori), rischio sanitario e presenza concentrata di animali quali zanzare e topi;
   la prefettura, dopo insistenti richieste del sindaco di Monterotondo, Mauro Alessandri, interverrà coordinandosi con le forze di polizia locale per attivare uno sgombero forzato –:
   se il Ministro interrogato, nell'esercizio della propria attività di vigilanza ex articolo 110, comma 1, del decreto-legge 6 settembre 2011, n. 159, (Gazzetta Ufficiale n. 226 del 28 settembre 2011) sull'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, intenda assumere iniziative, rapide e solerti, per verificare lo stato del caseggiato e assicurare attraverso monitoraggi specifici la salubrità e la sicurezza del patrimonio immobiliare e ambientale locale, contestualmente verificando nel dettaglio quale destinazione d'uso avranno i beni immobiliari, quale sia lo stato del procedimento amministrativo su detti beni confiscati nonché quali siano i provvedimenti necessari per la tempestiva assegnazione e destinazione dei citati beni confiscati;
   se intenda sollecitare la prefettura nelle operazioni di sgombero sopra richiamate al fine di ripristinare una condizione di legalità all'interno del complesso immobiliare, e agevolare con le autorità competenti, precedentemente allo sgombero forzato, una sistemazione alternativa per i nuclei familiari realmente bisognosi.
(4-02003)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Campania esistono a tutt'oggi numerosi siti in cui sono stoccate da anni milioni di ecoballe;
   tali ecoballe creano da sempre allarme e preoccupazione per eventuali danni alla salute che sono suscettibili di cagionare alle popolazioni dei territori dove sono site;
   tali preoccupazioni riguardano anche i danni che potrebbero essere arrecati alle colture agricole ed ai prodotti della terra;
   nei giorni scorsi si è verificato l'ennesimo incendio di ecoballe, all'interno del sito di stoccaggio posto in località Fragneto Monforte, in provincia di Benevento;
   l'incendio è durato per oltre 48 ore e il tempo necessario per domarlo ha certamente causato gravi danni all'ambiente;
   l'incendio sembra essersi verificato per lo stato di abbandono nel quale giacciono le ecoballe all'interno dei siti, e ha posto nuovamente l'accento su una problematica che da anni colpisce ed umilia la regione Campania;
   lo scorso 26 settembre l'assessore all'ambiente della regione Campania, Giovanni Romano, ha dichiarato alle agenzie di stampa: «se un incendio di tale portata dovesse verificarsi presso i siti di stoccaggio di ecoballe di Giugliano in Campania o di Villa Literno quanti giorni ci vorrebbero per domarlo e quale sarebbe il danno ambientale ?» –:
   quali siano le misure e gli strumenti di sicurezza attualmente posti in essere dalle forze dell'ordine per il controllo delle aree nelle quali sono depositate le ecoballe. (4-02005)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di numerose sollecitazioni circa la correttezza amministrativa del bando attivato nel maggio del 2012 presso il convitto nazionale di Arezzo, avente ad oggetto il reperimento di esperti esterni con particolare riguardo al profilo E «esperto di musica», la polizia Giudiziaria di Arezzo (Guardia di finanza, nucleo di polizia tributaria) ha acclarato in via definitiva che il rettore è intervenuto a posteriori su alcuni documenti «nel tentativo di regolarizzare formalmente lo svolgimento di un bando per l'assegnazione di un incarico per esperto esterno di musica»;
   i documenti in argomento (due fogli aventi stessa data e stesso protocollo ma contenuto diverso) riguardavano la nomina dei componenti la commissione incaricata di formare la graduatoria per l'assegnazione dell'incarico;
   da quanto riscontrato dalla Guardia di finanza si è arrivati alla conclusione che l'atto di nomina i componenti la commissione è un «atto materialmente falso» cui conseguirebbe anche il fatto che «la formale costituzione della commissione non sarebbe quindi mai avvenuta ed i due predetti documenti sembrerebbero essere stati prodotti solo successivamente a detta data della pubblicazione del bando (31 maggio 2012, protocollato al numero 3081/C14), allo scopo di regolarizzare formalmente lo svolgimento del bando, dovendo inoltre attribuirgli, per coerenza temporale, un numero di protocollo antecedente»; sul punto si osserva poi che «nella falsa attribuzione del protocollo il suo esecutore materiale ha prestato anche attenzione ad attribuirgli un titolano, il “C07”, coerente con lo specifico comparto, in luogo del diverso titolano», precisamente il «C03»;
   dalla stessa relazione della polizia giudiziaria si evince anche che «Commissione presieduta dalla professoressa Salvadori ha svolto i lavori di sua competenza nella sola giornata del 24 settembre 2012 verbalizzandone l'esito»;
   tuttavia, alcuni genitori hanno dichiarato, tramite lettera, che in una pubblica riunione avvenuta in data 22 settembre 2012 la stessa professoressa Salvadori aveva già presentato il vincitore del concorso per il profilo di musica;
   in risposta ad una interrogazione in consiglio provinciale (19 novembre 2012) il rettore afferma che le graduatorie erano già pronte «fin dall'estate», contraddicendo quanto riscontrato dalla stessa PG che evidenzia come, per il profilo in oggetto, la commissione si fosse riunita solo a fine settembre;
   nella risposta sopra richiamata, inoltre, si affermava che il «contratto è partito dal primo ottobre, data dalla quale il maestro ha iniziato ufficialmente il suo lavoro», mentre nel sito dell'Istituto la graduatoria provvisoria era stata pubblicata solo in data 4 ottobre, e si dava tempo fino all'8 ottobre per presentare gli eventuali ricorsi;
   in seguito all'accoglimento di uno dei ricorsi presentati, sono state disposte la rimozione della Commissione presieduta dalla professoressa Salvadori (dicembre 2012 e ciò senza revoca) e la costituzione di un'altra commissione, composta da sole due persone, che nel febbraio del 2013 avrebbe reso nota una nuova graduatoria, riconfermando, tuttavia, lo stesso vincitore già presentato il 22 settembre 2012 ad alcuni genitori;
   di tutte queste discrasie temporali, che la polizia giudiziaria avrebbe valutato come rilevanti sotto l'aspetto penale, risulta siano stati messi al corrente sia il componente il consiglio di amministrazione del Convitto nominato dalla provincia di Arezzo, che ha sempre sostenuto (anche dopo gli accertamenti della polizia giudiziaria) la regolarità delle procedure, sia il comune di Arezzo (anch'esso rappresentato nel consiglio di amministrazione) che non ha mai dato risposta nel merito, sia il difensore civico regionale che pur avendo fatto richiesta di chiarimenti non ha ottenuto risposta né dal rettore del convitto né della provincia di Arezzo, sia dal direttore dell'ufficio scolastico regionale che ha inviato una ispezione che dopo 9 mesi non ha ancora depositato i propri esiti (agosto 2013), esiti a questo punto «superati» dalle indagini della polizia giudiziaria;
   il Rettore del convitto è stato peraltro, già rinviato a giudizio per rifiuto di atti d'ufficio, ed è stato querelato per falso ideologico avendo fornito elementi per la risposta ad una interrogazione provinciale (che è atto ispettivo anche tenuto conto che la provincia è rappresenta nel consiglio di amministrazione) con date che contrastano con altra documentazione ufficiale;
   l'ufficio scolastico regionale della Toscana, pur essendo stato informato di tali e tante irregolarità, non si è mai attivato nell'ambito delle proprie specifiche competenze a tutela delle famiglie (che hanno richiesto un colloquio senza successo) e del buon nome dell'istituto;
   anche a seguito degli accertamenti della polizia giudiziaria, parrebbe all'interrogante che l'USR intenda aspettare gli orientamenti della procura di Arezzo che, semmai, possono riguardare la posizione penale dell'indagato ma non certo la sua posizione di pubblico amministratore circa le forti e gravi carenze ormai acclarate in via definitiva;
   l'USR della Toscana non ha ritenuto di allontanare in via prudenziale il Rettore dal Convitto, nonostante il fatto che le indagini sono ancora in corso e che la sua presenza in loco potrebbe in ipotesi essere elemento «inquinante» di altra documentazione utile –:
   quali provvedimenti intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di ripristinare la legalità nell'istituto scolastico di cui in oggetto, anche attraverso eventuali procedimenti disciplinari a carico del rettore, e se non ritenga di disporre un'ispezione al fine di verificare le motivazioni poste a base dell'apparente inerzia dell'Ufficio scolastico regionale territorialmente competente.
(4-02010)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Phard Spa, società operante nel settore dell'abbigliamento tessile, in seguito alla cessazione parziale dell'attività del suo stabilimento di Mosciano Sant'Angelo (Teramo), ha avviato nel corso del 2011 una procedura di mobilità che si è conclusa con un accordo sottoscritto dalle parti sociali in data 6 dicembre 2011 presso la provincia di Teramo;
   tale accordo prevede il ricorso allo strumento della Cassa integrazione guadagni straordinaria per 60 addetti allo stabilimento, per la durata di 24 mesi a partire dal 12 dicembre 2011;
   il 22 dicembre 2011 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla presenza delle parti sociali interessate, ha autorizzato la Cassa integrazione guadagni straordinaria per i dipendenti della Phard ed ha approvato un piano di interventi per la gestione delle eccedenze occupazionali dell'azienda;
   in quella stessa data, la regione Abruzzo e la provincia di Teramo si sono impegnate a promuovere azioni di riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori espulsi dai processi produttivi, secondo le modalità richieste dal Fondo sociale europeo;
   contrariamente a quanto stabilito in sede ministeriale il 22 dicembre 2011, i lavoratori sospesi hanno percepito la cassa integrazione per il solo primo anno, fino al dicembre del 2012, e si sono pertanto trovati privi di reddito a partire dal gennaio del 2013;
   a causa dell'inaspettato e prolungato blocco della Cassa integrazione guadagni straordinaria gli ex-dipendenti della Phard e le loro famiglie versano attualmente in condizioni di gravissima difficoltà economica –:
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda disporre con urgenza l'erogazione della seconda annualità (gennaio-dicembre 2013) della Cassa integrazione guadagni straordinaria in favore degli ex-lavoratori dello stabilimento Phard di Mosciano Sant'Angelo (Teramo), così come stabilito nell'accordo sottoscritto con le parti sociali il 22 dicembre 2011;
   se il Ministro intenda altresì convocare tempestivamente un tavolo di concertazione tra la regione Abruzzo, la provincia di Teramo ed i rappresentanti sindacali interessati, finalizzato all'attuazione urgente di interventi volti alla ricollocazione dei lavoratori ex Phard presso aziende operanti in settori affini nel territorio abruzzese. (5-01098)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TINAGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 236 del 1993 dispone in merito alla lista di mobilità riferita ai lavoratori licenziati da aziende con meno di quindici dipendenti, ed è applicabile in virtù di provvedimenti normativi appositi che ne prorogano di anno in anno le previsioni;
   dapprima il decreto legge n. 185 del 2008 e successivamente la legge n. 183 del 2011 (stabilità 2012), ha prorogato fino a tutto il 31 dicembre 2012, l'iscrizione alle liste di mobilità per i lavoratori licenziati da aziende con meno di quindici dipendenti, ed i conseguenti incentivi (sgravi contributivi) per le aziende che li assumono;
   purtroppo, la legge n. 228 del 2012 (stabilità 2013) non ha previsto il rifinanziamento dei benefìci di cui all'articolo 19, comma 13, del decreto-legge n. 185 del 2008, come invece aveva fatto, da ultimo, l'articolo 33, comma 23 della legge n. 183 del 2011;
   la circolare INPS 137/2012 ha disposto che: «Gli incentivi per l'assunzione dei lavoratori iscritti nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento individuale rimangono attualmente applicabili alle assunzioni, proroghe e trasformazioni effettuate entro il 31 dicembre 2012, ai sensi dell'articolo 33 comma 23, legge 12 novembre 2011, n. 183 (cosiddetta legge di stabilità 2012; cfr. circolare n. 49 del 29 marzo 2012); l'applicazione degli incentivi per le assunzioni, trasformazioni o proroghe effettuate fino al 31 dicembre 2016 è subordinata alle eventuali proroghe legislative della disposizione citata»;
   in conseguenza di ciò, dal 1o gennaio 2013, i lavoratori licenziati da aziende con meno di quindici dipendenti, non sono più iscritti alle liste di mobilità previste dalla citata legge n. 236 del 1993, e le aziende che assumeranno lavoratori iscritti in via residuale a tali liste non avranno più diritto agli sgravi contributivi;
   inoltre, le aziende che hanno assunto nel 2012 lavoratori iscritti alle liste di cui alla legge n. 236 del 1993 potranno fruire dello sgravio fino a scadenza naturale del contratto ma non per le proroghe stipulate nel 2013 (esempio assunto 1o novembre 2012 fino al 30 aprile 2013 e successivamente prorogato al 30 giugno 2013: sgravio dal 1o novembre 2012 al 30 aprile 2013 – nessuno sgravio dal 1o maggio 2013 al 30 giugno 2013);
   se a ciò si aggiunge che manca anche la copertura degli oneri per il finanziamento delle relative misure incentivanti; ne consegue che, per l'anno 2013, non sarà possibile fruire delle agevolazioni previste dalla legge n. 223 del 1991;
   in seguito, con il messaggio n. 4679 del 18 marzo 2013, l'INPS ha precisato che, in attesa dei chiarimenti da parte del ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via cautelare deve intendersi anticipata al 31 dicembre 2012 la scadenza dei benefìci connessi ai rapporti agevolati instaurati con i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità. A partire dal periodo di paga di gennaio 2013, nella procedura di controllo degli Uniemens compare un errore, non bloccante, che consentirà all'istituto di agire di conseguenza non appena il chiarimento ministeriale avrà avuto luogo. Per il momento le agevolazioni non vengono negate, ma vengono semplicemente segnalate;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con decreto direttoriale n. 264 del 2013 ha previsto il riconoscimento di incentivi all'assunzione di lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo da parte delle piccole e medie imprese. È stato stabilito un limite di spesa di 20 milioni di euro; gli incentivi saranno concessi secondo l'ordine cronologico di presentazione, a seguito di apposita circolare dell'Inps riguardante la modalità di presentazione della domanda;
   con 20 milioni di euro del fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al fondo sociale europeo, quindi sono stati sbloccati, per le imprese che riescono a presentare la domanda in tempo secondo l'ordine cronologico di invio, dei bonus economici per chi assume dei lavoratori licenziati;
   in particolare, gli incentivi consistono in una cifra fissa mensile, riproporzionata per le assunzioni a tempo parziale, per i datori di lavoro che, nel corso del 2013, assumano a tempo indeterminato o determinato, anche part-time o a scopo di somministrazione, lavoratori licenziati, nei dodici mesi precedenti l'assunzione, per giustificato motivo oggettivo;
   tuttavia, non essendo possibile l'iscrizione nelle liste per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo decorrenti dal 1o gennaio 2013, consegue che, per eventuali iscrizioni – comunque avvenute – gli incentivi non possono essere riconosciuti –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda porre in essere per venire incontro ai lavoratori in mobilità citati in premessa e che sono tra i più colpiti dalla crisi, non avendo più la possibilità di portare con sé almeno l'agevolazione contributiva all'assunzione da parte di una nuova azienda e se non ritenga opportuno rifinanziare i benefici di cui all'articolo 19 comma 13 del decreto-legge n. 185 del 2008;
   se sia a conoscenza, o in caso contrario, se non ritenga opportuno effettuare le dovute rilevazioni finalizzate ad individuare il numero dei lavoratori che hanno goduto delle agevolazioni citate in premessa, specificandone puntualmente costi ed efficacia, per un eventuale ricorso in futuro. (4-02002)


   NESCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 12 settembre 2013, per causa di un'esplosione avvenuta nello stabilimento della Ilsap Biopro di Lamezia Terme, hanno perduto la vita gli operai Daniele Gasbarrone di Latina, Alessandro Panella di Velletri e, successivamente, il collega Enrico Amati di Sinalunga in Val di Chiana, secondo la cronaca del quotidiano nazionale La Repubblica, edizione del 13 settembre 2013;
   nella predetta ricostruzione giornalistica si fa riferimento a precedente, analogo episodio, contenuto, secondo l'articolista Giuseppe Baldessarro, grazie ai sistemi di sicurezza;
   l'impianto in cui è avvenuta la suddetta esplosione, seguita da incendio, produce o tratta oli raffinati, biomasse, glicerina e biodiesel; l'area geografica in cui si trova la succitata azienda è da tempo interessata da azioni della ’ndrangheta –:
   quali iniziative, secondo le rispettive competenze, intendano adottare per accertare le cause della tragedia e verificare il rispetto, da parte dell'azienda, delle norme e delle autorizzazioni sulla sicurezza nel lavoro;
   se e quali iniziative azioni possano adottare per garantire, a conclusione delle indagini, i diritti dei familiari delle vittime;
   di quali elementi dispongano in ordine alle conseguenze ambientali dell'accaduto e come, all'occorrenza, intendano intervenire per impedire o limitare eventuali danni;
   se risultino interessi o intimidazioni della criminalità organizzata circa l'attività della fabbrica. (4-02008)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 Ore, sabato 28 settembre 2013, i segnali provenienti dalla Confìndustria, in tema di contrasto alla contraffazione, sono positivi ma non sufficienti nel fronteggiare un fenomeno particolarmente penalizzante per l'economia italiana, se si considera che il fatturato del falso e le conseguenze negative che ne derivano da esso, sono stimati a circa 7 miliardi di euro, con una perdita di entrate fiscali pari a 5 miliardi di euro ed un aumento nelle dogane del ritrovamento di merce contraffatta tra il 2000 ed il 2010 pari al 1.700 per cento;
   la principale associazione degli industriali italiana, evidenzia come sia necessario potenziare il sistema dei controlli e della trasparenza, in maniera uniforme in tutti e 28 gli Stati comunitari, anche attraverso l'istituzione a livello comunitario di un Authority per la contraffazione, i cui profili di criticità, includono ambiti differenti: dalla produzione, alla sicurezza, all'ambiente;
   l'interrogante evidenzia, come nella scorsa legislatura, attraverso la proposta di legge presentata sul fenomeno degli illeciti nel settore agroalimentare, avesse sostenuto la necessità di estendere alla lotta alla contraffazione alimentare gli stessi metodi di indagine utilizzati nel contrasto per i reati di mafia, al fine di debellare un fenomeno come quello della falsificazione dei prodotti agroalimentari, che mette a repentaglio la qualità e la sicurezza alimentare dei prodotti alimentari, con la vendita di prodotti, da parte delle associazioni criminali, spacciati come produzioni nazionali, ma ottenuti in realtà con materie prime importate, spesso di bassa qualità –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, anche in ambito comunitario intendano intraprendere, al fine di intervenire attraverso l'introduzione di norme più incisive e rigorose, per contrastare un fenomeno grave e penalizzante per l'economia italiana, quale la contraffazione dei prodotti commerciali ed agroalimentari del made in Italy, che danneggia in maniera rilevante il sistema produttivo nazionale con ripercussioni negative anche in ambito occupazionale. (4-02004)

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   PAOLA BRAGANTINI, D'OTTAVIO e MATTIELLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   sabato 30 marzo 2013 un gruppo di oltre 150 persone, precedentemente ospitate nei centri di accoglienza allestiti per l’«emergenza nord Africa» all'interno del territorio comunale di Torino, ha occupato due palazzine della zona nota come ex Villaggio Olimpico, sita in via Giordano Bruno, a Torino. Oggi già si contano oltre 400 occupanti, cui se ne stanno aggiungendo altri, provenienti anche da altre regioni;
   i finanziamenti ministeriali erogati per affrontare questa emergenza sono purtroppo terminati, e centinaia di profughi, ormai privi di riferimenti, costituiscono per il comune di Torino fonte di grande preoccupazione;
   le amministrazioni locali non possono essere lasciate sole ad affrontare la gestione sociale di questi fenomeni migratori –:
   con quali modalità e con quali risorse i Ministri intendano affrontare questa emergenza, affiancando, per quanto di competenza, le amministrazioni locali coinvolte. (4-00131)

  Risposta. — Nella mattinata del 30 marzo 2013, circa 150 cittadini stranieri di origine africana hanno occupato una palazzina disabitata, sita in via Giordano Bruno a Torino. Nelle ore successive sono stati occupati altri due edifici vuoti, situati nella stessa via Giordano Bruno e in corso Giambone.
  L'occupazione degli immobili è stata condotta con il sostegno di circa cinquanta attivisti dei centri sociali, della federazione anarchica torinese e del coordinamento «Non solo asilo» (composto da numerose associazioni impegnate nell'assistenza a rifugiati e richiedenti asilo), che hanno coordinato l'ingresso degli stranieri negli immobili.
  Nel corso delle riunioni di coordinamento che si sono svolte in prefettura con i rappresentanti delle forze di polizia e dell'amministrazione comunale, sono state approfondite le modalità dell'occupazione e le misure da adottare. In primo luogo, è stata sottolineata la necessità di mettere urgentemente in sicurezza gli stabili del comprensorio che risultano tuttora inabitati, per prevenire il rischio di ulteriori occupazioni, anche da parte di soggetti provenienti da altre province. Inoltre, l'amministrazione comunale sta valutando le possibilità di nuove sistemazioni per gli occupanti.
  Per quanto riguarda, più in generale, la gestione sociale dei fenomeni migratori, si precisa che, con ordinanza del capo del dipartimento della Protezione civile n. 33 del 28 dicembre 2012 è stata stabilita la chiusura dello stato di emergenza umanitaria relativo agli eventi eccezionali verificatisi nei Paesi del Nord Africa e, pertanto, è stato regolato il rientro nella gestione ordinaria, da parte del Ministero dell'interno e delle altre amministrazioni competenti, degli interventi concernenti l'afflusso di cittadini stranieri sul territorio nazionale.
  In particolare, il Ministero dell'interno è stato individuato quale amministrazione competente, in via ordinaria, a coordinare le attività, già svolte dal commissario delegato di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3933 del 13 aprile 2011; il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è responsabile del coordinamento delle attività rivolte ai minori stranieri non accompagnati; mentre ai prefetti delle province dove insistono i cittadini stranieri che sono stati accolti durante la fase dell'emergenza umanitaria, è affidata la responsabilità di attuare le iniziative necessarie per la prosecuzione, in regime ordinario e nei limiti delle risorse disponibili, delle iniziative finalizzate all'accoglienza e a favorire percorsi d'uscita.
  Inoltre, l'esperienza maturata nel corso dell'emergenza ha evidenziato l'importanza degli strumenti di governance istituzionale messi in atto finora, sia attraverso il tavolo di coordinamento nazionale – a cui partecipano rappresentanti delle regioni, dell'Anci, dell'UPI, del dipartimento della protezione civile, del Ministero del lavoro e del Ministero dell'interno – sia, al livello locale, attraverso tavoli di coordinamento regionali, dove gli interventi adottati a livello nazionale sono stati di volta in volta condivisi.
  Nel corso della riunione del tavolo di coordinamento nazionale che si è tenuta l'8 maggio 2013, è stato elaborato un «Documento di indirizzo per il passaggio alla gestione ordinaria dei flussi migratori non programmati», che individua le linee di intervento da seguire: in primo luogo, proseguire e accelerare il percorso per uniformare i sistemi di accoglienza per richiedenti/titolari di protezione internazionale presenti in Italia; e poi, rendere permanenti i tavoli di coordinamento regionali e il «Tavolo di coordinamento nazionale», per il quale si prevede l'integrazione dei componenti attraverso la partecipazione di un rappresentante del Ministro per l'integrazione.
  Inoltre, a seconda delle materie trattate, altri soggetti potranno essere invitati a partecipare ai tavoli, che costituiscono la sede di confronto tra i diversi livelli istituzionali, di elaborazione delle linee di indirizzo, di individuazione dei programmi e di verifica degli esiti degli interventi.
  Infine, con particolare riferimento alle risorse finanziarie destinate al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), si ricorda che gli enti locali che partecipano alla rete territoriale dell'accoglienza possono accedere al fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (FNPSA). Per il triennio 2011-2013, grazie a tale fondo, sono stati finanziati 3.000 posti. Successivamente, nel corso dell'emergenza Nord Africa, lo SPRAR è stato incrementato di 702 posti, portando la ricettività complessiva a 3.702 posti.
  In seguito agli sbarchi che si sono succeduti sulle coste italiane nell'aprile scorso, sono stati attivati altri 1.700 posti. La disponibilità attuale, pertanto, è di 5.402 posti, tutti occupati. A questi si aggiungono ulteriori 3.000 posti, di cui 1.810 sono già stati resi disponibili per le esigenze di Lampedusa e degli altri luoghi di sbarco, per i quali è stata avanzata al Ministero dell'economia e delle finanze la richiesta della necessaria copertura finanziaria. È obiettivo del Governo conseguire un ulteriore consistente aumento, che porterà lo SPRAR ad accogliere complessivamente oltre 8.400 stranieri.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Battipaglia (SA) è, ormai da tempo, al centro di una preoccupante e delicata vicenda riguardante il piano di ristrutturazione del personale operata dalla multinazionale Alcatel Lucent;
   nel 2010 l'azienda ha attuato una strategia mirata a spostare le attività produttive verso paesi del nord Italia, impegnandosi però a mantenere e rilanciare il centro ricerca e sviluppo della zona industriale di Battipaglia;
   come riportato da organi di stampa locali e nazionali, nel giugno 2010, Alcatel Lucent avrebbe sottoscritto con il Governo, gli enti locali e i sindacati un accordo di programma per il mantenimento delle attività produttive, l'assunzione di 10 unità nell'ambito della Ricerca e Sviluppo e il mantenimento dei livelli occupazionali del sito di Battipaglia;
   nel luglio 2012, però, rinnegando l'accordo preso, la multinazionale francese avrebbe stipulato un ulteriore accordo quadro, che prevedeva la cassa integrazione straordinaria per 31 lavoratori su un totale di 120 dipendenti, un quarto della forza lavoro, con la motivazione del profondo stato di crisi aziendale seguito all'andamento generale dell'economia mondiale;
   l'azienda, inoltre, avrebbe messo in atto un piano di razionalizzazione logistica finalizzata allo spostamento delle attività di ricerca presso il sito Alcatel di Vimercate, in Brianza;
   la migrazione forzata di un certo numero di lavoratori verso la sede di Vimercate e il contestuale avvio della procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per le restanti unità lavorative coinvolte ha comportato un indebolimento sistematico del sito di Battipaglia;
   ad oggi, quelli che avrebbero dovuto essere solo provvedimenti di cassa integrazione straordinaria, finalizzati a una ricollocazione interna del personale, rischiano di diventare esuberi strutturali;
   come denunciato dagli stessi sindacati, infatti, lo smantellamento del sito di Battipaglia sembrerebbe essere dovuto esclusivamente a una scelta dell'azienda di favorire altri siti e altre regioni piuttosto che tener fede agli accordi sottoscritti;
   stando al piano industriale che il neo amministratore delegato della multinazionale francese dovrà presentare entro la metà di luglio, ci saranno pesanti tagli e ristrutturazioni in tutti i siti italiani e, in particolare, per il sito di Battipaglia si prevedono nuovi tagli e una rotazione della cassa integrazione che coinvolgerà i 114 dipendenti, tecnici e ingegneri specializzati, rimasti in servizio;
   tale preoccupante vicenda sta mettendo in discussione una delle più importanti presenze produttive di Battipaglia e dell'intera provincia di Salerno;
   il Centro ricerca e sviluppo di Battipaglia rappresenta un'assoluta eccellenza, tra le poche nel Meridione d'Italia, da sempre fiore all'occhiello dell'industria della piana del Sele;
   il personale impiegato nel sito di Battipaglia è altamente qualificato e potrebbe fornire, anche ricollocato in altri settori aziendali, un grande contributo alla crescita della multinazionale francese;
   l'ennesimo vertice tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico lo scorso 21 maggio si è concluso in un nulla di fatto, con il rinvio della problematica al prossimo incontro, probabilmente a giugno;
   in occasione di tale ultimo incontro l'Alcatel, rifiutando la richiesta di avvio di una nuova procedura di cassa integrazione straordinaria per i lavoratori in esubero, avrebbe, tra l'altro, proposto di sostituire l'accordo firmato nel 2012 con un nuovo, che preveda la cassa integrazione ordinaria per sei mesi, estesa anche a nuove unità lavorative battipagliesi, a conferma della reale volontà dell'azienda di chiudere il sito;
   la vicenda ormai si prolunga da tempo, con accordi sindacali non rispettati e promesse sempre disattese, che vedono i lavoratori perdere ogni speranza per il proprio futuro lavorativo;
   è indispensabile definire con celerità la trattativa in corso con il Governo per l'adozione di ogni iniziativa a tutela dei lavoratori e dei livelli occupazionali nella fabbrica Alcatel di Battipaglia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuta la risoluzione della problematica prioritaria per le sorti del territorio della provincia di Salerno, quali iniziative ritengano opportuno adottare per porre fine al processo di desertificazione del tessuto produttivo di quello che fu uno dei principali poli industriali del Mezzogiorno, anche attraverso l'individuazione di soluzioni occupazionali alternative. (4-00713)

  Risposta. — La situazione di Alcatel-Lucent, multinazionale leader nella telefonia fissa e mobile, a seguito di una serie di decisioni aziendali che hanno modificato la strategia del gruppo relativamente ai modelli di business, sta evolvendo molto rapidamente.
  Ciò si riflette fortemente sull'insieme dei siti italiani che svolgono sia attività di ricerca che attività produttiva in senso stretto.
  Il Governo segue con molta attenzione l'evolversi della situazione che interessa i siti italiani di Alcatel-Lucent. Già nello scorso anno, e precisamente nel gennaio 2012, l'azienda aveva dichiarato un esubero di circa 400 lavoratori annunciando l'intenzione di spostare l'attività svolta nei siti italiani nel Nord America. In quell'occasione il Governo aveva attivato un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico.
  Gli impegni assunti da Alcatel verso gli impianti italiani nell'accordo sottoscritto nel giugno 2012 – che prevedeva un sostanziale rovesciamento della strategia annunciata nel precedente mese di gennaio con importanti nuovi investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo – sono stati del tutto disattesi.
  Il nuovo piano di rilancio (shift plan), i cui contorni peraltro non appaiono ancora del tutto chiari, presentato nello scorso mese di giugno dal nuovo CEO Michel Combes, prevede di fatto una riduzione delle attività di ricerca e sviluppo in Italia.
  L'incontro previsto lo scorso 15 luglio fra l'amministratore delegato di Alcatel- Lucent e il Ministro Zanonato non si è svolto in quanto l'azienda ha chiesto più tempo per poter mettere a punto l'annunciato piano di rilancio e, pertanto, ha avanzato la richiesta di posticipare l'incontro alla fine del mese di settembre.
  Il Governo ha preso atto con favore dell'intenzione dell'azienda di predisporre questo nuovo piano di rilancio e ha cercato di anticipare almeno alla metà del mese di settembre l'incontro previsto, assicurando l'intenzione di esaminare con attenzione la situazione degli stabilimenti italiani, al fine di evitare innanzitutto la dispersione delle elevate competenze professionali e di tutelare adeguatamente gli attuali livelli occupazionali.
  Infine, si segnala che le misure in materia di agenda digitale contenute, da ultimo, nel decreto-legge n. 69 del 2013, in corso di approvazione al Senato, potranno rappresentare una preziosa occasione per affrontare anche la tematica relativa alle prospettive industriali degli stabilimenti italiani di Alcatel-Lucent.
  Resta, pertanto, l'impegno da parte del Ministero dello sviluppo economico a seguire con attenzione gli ulteriori sviluppi della vicenda, anche alla luce degli esiti dell'incontro che si svolgerà il prossimo settembre con il CEO di Alcatel-Lucent.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   FERRARA e SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Indesit è stata un'azienda italiana produttrice di elettrodomestici e di elettronica. Fu fondata nel 1953 a Torino con la denominazione Spirea e nel 1961 a Rivalta di Torino, assunse la ragione sociale definitiva. Nacque il marchio Indesit;
   Indesit produceva quasi tutti gli elettrodomestici come lavatrici, frigoriferi, congelatori, lavastoviglie e cucine, mentre nel settore elettronico, produceva televisori e registratori di cassa. L'azienda conobbe un rapido sviluppo produttivo e commerciale nel periodo del boom economico, divenendo la terza del settore a livello nazionale. Conquistò ampie quote sia nel mercato nazionale che estero degli elettrodomestici;
   negli anni sessanta e settanta, Indesit contava ben otto impianti produttivi, di cui cinque al Nord (sparsi tra Rivalta, None e Orbassano) e due al Sud (Teverola e Carinaro (CE)), dove vennero impiegati circa 12.000 addetti;
   Indesit partecipò per il 6 per cento nella Sèleco di Pordenone all'epoca in cui vi era Giovanni Mario Rossignolo che ne deteneva il controllo, cedendo impianti in disuso di fabbricazione di televisori. Zanussi e Rel erano i maggiori azionisti in Sèleco in quell'epoca;
   nel 1980, la Indesit andò in crisi e venne posta in amministrazione controllata, da cui uscì nel 1984, quando fu ricapitalizzata per 74 miliardi di lire e vi entrarono nuovi soci. Per l'azienda torinese la crisi continuava e la ripresa non avveniva, e perciò nel 1985 cedette la sua divisione elettronica alla Olivetti. Molte furono le trattative per trovare un partner industriale e finanziario, ma la situazione era talmente grave da portare, nello stesso anno, l'azienda all'amministrazione straordinaria in base alle legge Prodi e il tribunale di Torino nominò commissario il dottor Giacomo Zunino. Da tempo i posti di lavoro erano drasticamente diminuiti, ed erano ridotti a poco più di 7.000 addetti, la maggior parte dei quali in cassa integrazione;
   nonostante fosse commissariata l'azienda migliorò gradualmente i conti, e nel 1987 fu acquistata all'asta dalla Merloni Elettrodomestici fino ad allora principale concorrente della Indesit stessa. Nell'operazione il gruppo marchigiano investì ben 50 miliardi nell'acquisizione della società, e altri 100 miliardi ne furono previsti per la ristrutturazione e il risanamento. Indesit divenne il primo marchio dell'azienda, e furono mantenuti soltanto gli stabilimenti di None, Carinaro e Teverola;
   sotto la gestione Merloni, il marchio Indesit ritornò protagonista nel mercato degli elettrodomestici, tanto da permettergli, nel corso degli anni novanta, di divenire il secondo in Europa. Nel febbraio 2005 la Merloni Elettrodomestici viene rinominata Indesit Company. Oggi la Indesit Company usa i marchi: Ariston abbinato ad Hotpoint, assieme a Sholtes, e Indesit. Vi sono poi controllate e joint venture in Russia e Cina con marchi anche locali avendo effettuato nuove acquisizioni che hanno portato l'azienda ad essere tra i leader nei vari mercati;
   dalle agenzie di stampa e da alcuni articoli di giornale si apprende che il 4 giugno 2013, Indesit ha presentato a Roma ai sindacati un piano di salvaguardia e razionalizzazione per gli anni 2013/2016 dell'assetto del gruppo in Italia, con un forte impatto sia sull'occupazione che sulle produzioni oggi realizzate nei siti italiani. Per rispondere alla difficile situazione di mercato infatti il gruppo di Fabriano punterebbe ad accorpare gli attuali stabilimenti italiani in tre siti (Comunanza, Caserta e Fabriano) attraverso la chiusura di ulteriori due stabilimenti (Melano e Teverola) per concentrare nei tre poli italiani le produzioni top ad alto contenuto di innovazione e tecnologia, e a portare invece in Polonia e Turchia le produzioni italiane non più sostenibili;
   la riorganizzazione del gruppo, che attualmente impiega in Italia circa 4.300 addetti, coinvolge complessivamente oltre 1.400 persone tra dirigenti (25), impiegati delle sedi centrali (150) e operai e impiegati di fabbrica (1.250);
   i posti di lavoro a rischio sarebbero 230 nel sito di Comunanza (AP), 480 a Fabriano (AN) e 540 tra Teverola e Carinaro, entrambi in provincia di Caserta. In questo ultimo caso, secondo alcune stime dei sindacati i posti di lavoro che verrebbero a mancare, tra lavoratori Indesit e indotto sarebbero almeno un migliaio, che si aggiungerebbero ai già 400 posti di lavoro persi negli ultimi 4/5 anni;
   a detta della dirigenza del gruppo che fa capo alla famiglia Merloni una riorganizzazione sarebbe necessaria come risposta all'attuale scenario competitivo europeo, con un mercato ancora negativo rispetto ai volumi del 2007 (Europa Occidentale -10 per cento e Italia -25 per cento), e la pressione di nuovi competitor dai Paesi a miglior costo che con forte aggressività di prezzo e prodotto hanno portato al deterioramento di prezzi e margini e ad una sovraccapacità produttiva ormai strutturale;
   a parere degli interroganti il piano Indesit ha conseguenze gravissime sui livelli occupazionali, infatti i 1.425 esuberi dichiarati si aggiungono agli oltre 330 esuberi oggi ancora presenti in Indesit in conseguenza della riorganizzazione effettuata nel 2010 e nel 2012 e che ha interessato gli stabilimenti di Brembate Refrontolo e None. Inoltre, il piano della Indesit renderebbe ancora più drammatica la situazione in cui versa il settore elettrodomestico in Italia –:
   se non si ritenga necessario intervenire immediatamente coinvolgendo tutti i soggetti interessati e con il sostegno delle istituzioni locali, al fine di mettere in atto interventi di politica industriale atti a garantire in questo momento drammatico l'occupazione e a scongiurare il rischio della cancellazione del secondo settore produttivo per numero di addetti del nostro Paese, come quello elettrodomestico. (4-00777)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  In seguito all'annuncio dell'azienda di procedere ad una riorganizzazione della Indesit Company con la conseguente riduzione dell'organico in Italia per 1450 unità, il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto tempestivamente a prendere contatti con la direzione della società e con le segreterie nazionali delle principali organizzazioni sindacali, al fine di delineare un confronto sulle prospettive industriali del gruppo. Di conseguenza in data 11 giugno il Ministro ha incontrato i sindacati per un primo esame delle conseguenze produttive ed occupazionali scaturenti dal piano industriale della Indesit.
  A tale riunione erano anche presenti i rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'amministratore delegato della multinazionale, le istituzioni locali, i parlamentari delle regioni interessate (Marche e Campania) nonché le organizzazioni nazionali e territoriali dei metalmeccanici.
  Nel corso del confronto, il Ministro ha espresso la forte preoccupazione del Governo per il piano annunciato dall'azienda che, con i tagli previsti, finirebbe per acuire le sofferenze di aree già colpite da una pesante crisi industriale e dal fallimento della Merloni.
  Molti degli interventi hanno sottolineato, infatti, la situazione di criticità in cui si troverebbe il territorio, sia dal punto di vista occupazionale che sociale, se il piano dovesse essere attuato. In tale contesto, sentite le parti presenti e, in particolare, acquisita la volontà – manifestata dal management Indesit – di non voler abbandonare il Paese, il Ministro ha rivolto l'invito all'azienda a rivedere il piano di riassetto del gruppo, anche alla luce di elementi emersi durante il dibattito.
  Si è aperta così una nuova fase, grazie anche alla disponibilità del management della società e delle organizzazioni dei lavoratori che «hanno consentito di procedere nella discussione attraverso due tavoli tecnici e a metà settembre, si avrà un tavolo generale con il quale si tireranno le somme per verificare l'esistenza o meno delle condizioni per un accordo che salvaguardi produttività e occupazione».
  Il primo incontro del «tavolo tecnico» si è svolto il 23 luglio ed ha visto istituzioni e azienda affrontare il tema degli investimenti e di possibili interventi pubblici.
  In particolare si è stabilito di formare un gruppo di lavoro composto da Governo-Regioni per lo sviluppo di una piattaforma fisica di ricerca e innovazione capace di generare economie esterne e vantaggi competitivi di localizzazione per l'intero settore degli apparecchi domestici e professionali.
  Nel secondo tavolo tecnico tenutosi il 26 luglio 2013, in cui erano presenti anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le organizzazioni sindacali, si è discusso del tema degli investimenti e di possibili interventi pubblici a sostegno degli stessi. La Indesit ha confermato la volontà di voler investire 70 milioni di euro.
  Il 17 settembre 2013 il tavolo tornerà a riunirsi per valutare i risultati delle riunioni tecniche e sperando che con il contributo di tutti, si riesca a salvaguardare la produzione e l'occupazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   da circa un mese, secondo un articolo pubblicato in data 3 giugno 2013 dal quotidiano «La Repubblica», a firma di Chiara Spagnolo, sono decine i richiedenti asilo di varie etnie che sopravvivono per strada a Lecce, senza alcuna tutela, ossia in condizioni disumane;
   la questura di Lecce, in un documento inviato agli interessati, ha specificato che non è possibile accogliere nell'immediatezza presso un CARA (centro di accoglienza per richiedenti asilo) le persone succitate, per indisponibilità di posti;
   tale situazione costituisce ad avviso dell'interrogante una palese lesione dei diritti dei richiedenti asilo, in virtù dell'articolo 20, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 28 gennaio 2008: «...negli altri casi il richiedente è ospitato nel centro per il tempo strettamente necessario all'esame della domanda innanzi alla commissione territoriale e, in ogni caso, per un periodo non superiore a trentacinque giorni...»;
   la situazione appena descritta comporta rischi per l'incolumità dei richiedenti asilo e per la pubblica sicurezza, considerate le possibili tensioni che potrebbero crearsi a causa delle condizioni disumane in cui sono costretti a vivere;
   il Governo italiano, negli ultimi anni, è stato oggetto di moniti da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo rispetto alla mancata osservanza dei diritti dei migranti sul suolo italiano e al trattamento disumano e degradante degli ospiti all'interno dei centri di accoglienza;
   l'interrogante ha più volte pubblicamente denunciato la grave situazione di sovraffollamento dei centri di ospitalità per i migranti, e in particolare del CARA di Bari. Una situazione questa decisamente inaccettabile per i migranti ospitati e per gli operatori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione dei richiedenti asilo;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione all'interno dei CARA italiani, rispetto al numero effettivo delle persone ospitate e alle condizioni igienico sanitarie e sociali dei migranti;
   se i Ministri interrogati siano conoscenza del fatto che, come risulta all'interrogante, le presenze all'interno del CARA di Bari siano molto superiori rispetto ai numeri previsti nel contratto con l'ente gestore;
   se i Ministri interrogati siano conoscenza del fatto che i tempi di accesso alla procedura di domanda di protezione internazionale sono di gran lunga superiori da quanto stabilito dal decreto legislativo n. 251 del 2007 e successive modificazioni e integrazioni, nonché della recente circolare del Ministero dell'interno n. 400/C/2013 dell'8 febbraio 2013 che ricorda come la domanda di asilo si considera presentata a seguito dell'avvenuta «manifestazione di volontà dell'interessato», che vi deve essere contestualità tra detta manifestazione di volontà e la ricezione amministrativa della domanda tramite modulo «C3» e che la mancata applicazione di dette norme comporta il determinarsi di situazioni di «sospensione» dei diritti connessi alla richiesta di asilo, con conseguenze di particolare gravità nei confronti dei soggetti più vulnerabili;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda porre in essere affinché si giunga ad una immediata soluzione delle problematiche anzidette;
   se i Ministri intendano, e in quali forme, promuovere un processo di revisione dell'intero sistema di protezione internazionale dalla fase di accesso alla procedura dell'accoglienza. (4-00698)

  Risposta. — La situazione di criticità che ha interessato la provincia di Lecce nel maggio scorso è stata risolta in seguito a un incontro con tutti i soggetti interessati, che si è svolto il 4 giugno presso la locale prefettura. In quella sede è stato individuato un percorso di accoglienza temporanea dei richiedenti asilo, in attesa del trasferimento presso i Cara. Peraltro, le amministrazioni locali e le associazioni interessate hanno espresso apprezzamento per le modalità con le quali è stata definita la questione.
  Per far fronte alla situazione di sovraffollamento di alcune delle strutture dedicate all'accoglienza dei richiedenti asilo, è indispensabile il potenziamento dello Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati). Tale sistema – che costituisce una delle esperienze più significative realizzate in materia a livello europeo – si basa su una fitta rete di solidarietà, assicurata tramite convenzioni con gli enti locali, ed è in grado di promuovere un'ampia governance del fenomeno migratorio.
  Lo Sprar, unito ai centri di accoglienza dislocati sull'intero territorio nazionale, ha già dato ottima prova di sé durante l'emergenza nord-Africa ed è stato recentemente incrementato di 2.402 posti. La disponibilità attuale, pertanto, è di 5.402 posti, tutti occupati. A ciò si aggiunge la richiesta di ulteriori 3.000 posti, di cui 1.810 sono già stati resi disponibili per le esigenze di Lampedusa e degli altri luoghi di sbarco. È obiettivo del Governo conseguire un ulteriore consistente aumento, che porterà lo Sprar ad accogliere oltre 8.400 stranieri. Il piano ad oggi predisposto rappresenta dunque un valido strumento di gestione ed è in grado di soddisfare l'attuale richiesta di accoglienza.
  Sempre in relazione allo Sprar, è stato predisposto lo schema di decreto recante le nuove linee guida per l'accesso ai finanziamenti del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo da parte degli enti locali che prestano servizi di accoglienza per i richiedenti e i titolari di protezione internazionale o umanitaria. Nel provvedimento si introduce, tra l'altro, uno strumento importante di flessibilità, attraverso la previsione dell'obbligo, per gli enti locali che presentano domanda di contributo, di garantire l'attivazione di una percentuale di posti aggiuntivi, su richiesta della direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo, effettuata tramite il Servizio centrale della rete Sprar.
  Per quanto riguarda l'ulteriore problematica segnalata nel testo dell'interrogazione, relativa ai tempi di accesso alle procedure, si assicura che il Governo si è già impegnato a velocizzare le procedure di esame delle domande di protezione umanitaria e di richiesta di asilo.
  Al riguardo, lo scorso 8 luglio è stato approvato dal Senato il disegno di legge n. 587 recante «delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – legge di delegazione europea 2013». Tale disegno di legge prevede disposizioni che – una volta approvate anche dall'altra Camera – consentiranno di fronteggiare situazioni critiche di emergenza, con l'istituzione di 10 ulteriori sezioni, raddoppiando così le capacità operative delle commissioni territoriali già esistenti.
  Sono state inoltre individuate procedure operative più veloci, approntando un procedimento informatizzato di trasmissione delle istanze presentate davanti alle commissioni territoriali (Vestanet). In tal modo, si è proceduto alla dematerializzazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale (cosiddetto «modello C3»), attraverso l'acquisizione diretta per via informatica della domanda da parte degli uffici immigrazione delle questure e l'immediata trasmissione alla commissione territoriale competente.  La procedura verrà ulteriormente implementata grazie al collegamento con altri sistemi informatici.
  Infine, si ricorda che la legislazione nazionale in materia di protezione internazionale è di diretta derivazione comunitaria, in quanto costituisce attuazione delle direttive europee sul diritto di asilo. Recepisce quindi tutte le garanzie procedurali fissate a livello europeo, che devono essere assicurate al richiedente asilo. Tale processo continuerà con il prossimo recepimento delle ultime due direttive comunitarie in materia di asilo, inserite nel citato disegno di legge di delegazione europea 2013. Con tale recepimento si potrebbe procedere al riassetto dell'intero sistema, qualora ciò risultasse necessario, anche sulla base dell'esperienza maturata in questi ultimi anni.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   GIANCARLO GIORGETTI, INVERNIZZI, ALLASIA, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un medico di 44 anni di Trescore (Bergamo), Eleonora Cantamessa, e un indiano sono stati travolti e uccisi l'8 settembre 2013 a Chiuduno (Bergamo), a seguito di una rissa scatenatasi intorno alle ore 22.30 sulla ex strada provinciale 91;
   secondo una prima ricostruzione dei fatti, la dottoressa Cantamessa, mentre tornava a casa, ha visto la rissa fra gli indiani e poiché uno di loro giaceva a terra sanguinante si è fermata a prestargli soccorso;
   mentre era china sul ferito, l'auto degli aggressori è tornata indietro e ha falciato entrambi i corpi;
   l'inaudita violenza della notte scorsa è l'ennesima tragica testimonianza di quanto accade nella provincia di Bergamo nei luoghi dove la presenza degli immigrati è particolarmente nutrita e rappresentata da popolazioni ed etnìe molto diverse tra loro (indiani, pakistani, e altri), tanto da creare conflitti, spesso per motivi religiosi;
   le forze dell'ordine, pur svolgendo un lavoro esemplare, risultano essere in numero insufficiente, per garantire un pieno controllo del territorio bergamasco, anche per via della carenza di mezzi tecnici e strutturali –:
   quali misure intendano intraprendere per potenziare gli organici delle forze dell'ordine e le relative dotazioni economiche-finanziarie, al fine di salvaguardare la sicurezza dei cittadini bergamaschi.
(4-01778)

  Risposta. — L'8 settembre scorso, lungo la strada provinciale di Chiuduno (Bergamo), un gruppo di cittadini indiani ha fermato due autovetture sulle quali viaggiavano alcuni connazionali, che hanno poi subito una violenta aggressione a colpi di bastoni e coltelli. Diverse persone sono rimaste ferite sul selciato e sono state immediatamente soccorse dai passanti, tra i quali la dottoressa Eleonora Cantamessa. Improvvisamente, una delle vetture coinvolte ha fatto ritorno a forte andatura sul luogo dei tafferugli e ha investito sia i contusi che i loro soccorritori, provocando il decesso di uno dei feriti e della dottoressa che stava prestando le prime cure mediche.
  Il personale dell'Arma dei carabinieri è immediatamente intervenuto sul posto per avviare le indagini. Il giorno successivo è stato individuato uno dei responsabili: un cittadino indiano che è stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto per omicidio e condotto presso la casa circondariale di Bergamo. Inoltre, sia l'Arma che la questura stanno svolgendo ulteriori e approfondite indagini per verificare la ricostruzione dei fatti e per identificare le altre persone coinvolte nell'efferato omicidio.
  Nella provincia di Bergamo risultano regolarmente residenti circa 130.000 immigrati, tra i quali è consistente la presenza di cittadini di nazionalità indiana (circa 11.900 persone). Questi ultimi, impiegati prevalentemente nel settore ortofrutticolo e zootecnico, sono bene inseriti nel contesto sociale, non si sono mai resi protagonisti di particolari fenomeni criminali e pertanto la loro presenza non ha finora destato allarme sociale.
  Con riferimento agli organici della polizia di Stato nella stessa provincia, si rileva, effettivamente, una sensibile carenza di appartenenti ai ruoli operativi, dovuta principalmente agli effetti della revisione della spesa pubblica sul turn over del personale di tutte le forze di polizia. Presso gli uffici a presidio del capoluogo e del territorio provinciale risultano infatti in servizio 491 unità, rispetto alle 567 previste dall'organico.
  Per ovviare a tale deficit, il reparto prevenzione crimine Lombardia garantisce un adeguato rinforzo nei servizi di controllo dell'intero territorio. Inoltre, in occasione delle prossime immissioni in ruolo – previste per l'inizio del prossimo mese di ottobre – è stato disposto un potenziamento dell'organico, grazie all'assegnazione di cinque unità alla questura e di tre unità per le esigenze dell'ufficio di polizia di frontiera presso lo scalo aereo di Orio al Serio. Peraltro, il presidio delle forze dell'ordine nel territorio è costituito anche da 876 appartenenti all'Arma dei carabinieri e da 384 militari della guardia di finanza, i quali contribuiscono efficacemente all'attività di controllo e prevenzione.
  Nel comune di Chiuduno, dove è avvenuto il tragico delitto, il controllo del territorio è assicurato dalla stazione dei carabinieri di Grumello del Monte, con un organico complessivo di 18 unità, che pattuglia il territorio garantendo una copertura costante durante le 24 ore giornaliere. In caso di necessità, partecipa ai servizi di vigilanza il personale in servizio presso le stazioni limitrofe di Calcinate, Sarnico e Trescore Balneario. Inoltre, almeno una volta al giorno, la compagnia di Bergamo invia a Grumello del Monte una pattuglia che non sia già impegnata nel capoluogo.
  In base ai dati forniti dalla prefettura di Bergamo, risulta che il numero complessivo dei delitti consumati, nel territorio di competenza della stazione dei carabinieri di Grumello del Monte, è rimasto costante negli ultimi tre anni, mentre si registra una crescita del numero delle perlustrazioni effettuate (947 servizi nei primi 8 mesi del 2011; 1.105 nei primi 8 mesi del 2013).
  Per quanto riguarda le dotazioni economico-finanziarie, nell'anno in corso è stato finora possibile assegnare 12.200 euro alla questura e 8.000 euro alla polizia stradale di Bergamo, per garantire la manutenzione del parco veicolare.
  Si assicura, infine, che, pur nel rispetto delle limitazioni imposte dalle esigenze di contenimento della spesa pubblica, il Ministero dell'interno riserva la massima attenzione alla situazione delle forze dell'ordine impegnate nel territorio della provincia di Bergamo, affinché venga sempre garantita l'operatività dei presidi che assicurano il mantenimento della sicurezza e dell'ordine pubblico, a tutela di tutti i cittadini.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GIULIETTI e LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 l'Antonio Merloni spa a Fabriano e Nocera Umbra entra in crisi e a partire dal 2008 l'azienda è in amministrazione straordinaria. Nel 2012 subentra alla vecchia proprietà la JP Industries;
   al primo accordo di programma del 19 marzo 2010 è seguita la sottoscrizione di un atto integrativo del 18 ottobre 2012 siglato tra Ministero dello sviluppo economico, regione Umbria e Marche per la «rimodulazione» degli interventi con l'obiettivo di riassorbire il maggior numero possibile di personale diretto attualmente in cassa integrazione guadagni straordinaria; favorire la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Antonio Merloni, con particolare riferimento alla quota parte dello stabilimento di Gaifana, oggetto del diritto di opzione alla vendita o alla locazione concesso dalla società J&P Industries spa; sostenere il rilancio della piccola e media impresa dell'indotto;
   la crisi ha interessato tutte le aziende del gruppo coinvolgendo circa 3000 dipendenti e 73 comuni delle regioni Marche e Umbria;
   a quanto sopra esposto si aggiunge, nello scorso giugno 2013, la decisione assunta dalla proprietà Indesit Company che ha presentato ai sindacati il piano di salvaguardia e razionalizzazione, comunicando esuberi per 1425 dipendenti su un totale di 4000 addetti in tutta Italia e prevede la chiusura di due stabilimenti in Italia e precisamente a Melano di Fabriano e a Teverola (Caserta);
   in tutti gli altri stabilimenti del gruppo è prevista una razionalizzazione della produzione spostando all'estero le produzioni delle linee più economiche, lasciando in Italia le produzioni di alta gamma;
   pericolosa risulta la tendenza di delocalizzazione delle produzioni nazionali, che rischia di compromettere definitivamente la vocazione industriale di interi territori e che, a parere degli interroganti, appare in contrasto con la credibilità del made in Italy;
   la difficoltà della Indesit Company aggraverebbe ancora di più la pesante situazione economica nella zona di Fabriano, con la crisi non ancora risolta della ex Antonio Merloni e dell'indotto che gravitava attorno ad essa;
   l'estensione dell'ecobonus al comparto degli elettrodomestici può rappresentare un piccolo segnale di attenzione a uno dei settori trainanti della economia italiana –:
   quali iniziative si intendano promuovere per risolvere positivamente la difficile situazione del comparto degli elettrodomestici;
   cosa si intenda fare per il settore suddetto con particolare riferimento alla situazione dell'ex Antonio Merloni spa e dell'Indesit Company che interessa i territori di Marche e Umbria e che riguarda la vita di migliaia di famiglie. (4-01123)


   LODOLINI, GIULIETTI e PICIERNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Indesit Company ha annunciato 1.425 esuberi, dei quali 25 dirigenti, 150 impiegati e i restanti operai suddivisi tra le fabbriche di Caserta (540) in Campania, Fabriano (480) e Comunanza (230)nelle Marche;
   il piano di «salvaguardia e razionalizzazione dell'assetto in Italia» sarebbe nato dalle difficoltà di mercato di Indesit e avrebbe l'obiettivo di concentrare nei tre poli italiani le produzioni ad alto contenuto di innovazione e tecnologia, mentre sarebbero destinate a Polonia e Turchia «le produzioni italiane non più sostenibili»;
   Indesit avendo chiuso il 2012 con un utile di 60 milioni di euro, non risulta essere azienda in crisi –:
   se il Governo non ritenga necessario intervenire per chiedere non la modifica del Piano ma il suo definitivo ritiro.
(4-01201)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame, rappresentando quanto segue.
  In seguito all'annuncio dell'azienda di procedere ad una riorganizzazione della Indesit Company con la conseguente riduzione dell'organico in Italia per 1450 unità, il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto tempestivamente a prendere contatti con la direzione della società e con le segreterie nazionali delle principali organizzazioni sindacali, al fine di delineare un confronto sulle prospettive industriali del gruppo. Di conseguenza in data 11 giugno 2103 il Ministro ha incontrato i sindacati per un primo esame delle conseguenze produttive ed occupazionali scaturenti dal piano industriale della Indesit.
  A tale riunione erano anche presenti i rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'amministratore delegato della multinazionale, le istituzioni locali, i parlamentari delle regioni interessate (Marche e Campania) nonché le organizzazioni nazionali e territoriali dei metalmeccanici.
  Nel corso del confronto, il Ministro ha espresso la forte preoccupazione del Governo per il piano annunciato dall'azienda che, con i tagli previsti, finirebbe per acuire le sofferenze di aree già colpite da una pesante crisi industriale e dal fallimento della Merloni.
  Molti degli interventi hanno sottolineato, infatti, la situazione di criticità in cui si troverebbe il territorio, sia dal punto di vista occupazionale che sociale, se il piano dovesse essere attuato. In tale contesto, sentite le parti presenti e, in particolare, acquisita la volontà – manifestata dal management Indesit – di non voler abbandonare il Paese, il Ministro ha rivolto l'invito all'azienda a rivedere il piano di riassetto del Gruppo, anche alla luce di elementi emersi durante il dibattito.
  Si è aperta così una nuova fase, grazie anche alla disponibilità del management della società e delle organizzazioni dei lavoratori che «hanno consentito di procedere nella discussione attraverso due tavoli tecnici e a metà settembre, si avrà un tavolo generale con il quale si tireranno le somme per verificare l'esistenza o meno delle condizioni per un accordo che salvaguardi produttività e occupazione».
  Il primo incontro del «tavolo tecnico» si è svolto il 23 luglio 2013 ed ha visto istituzioni e azienda affrontare il tema degli investimenti e di possibili interventi pubblici.
  In particolare si è stabilito di formare un gruppo di lavoro composto da Governo-Regioni per lo sviluppo di una piattaforma fisica di ricerca e innovazione capace di generare economie esterne e vantaggi competitivi di localizzazione per l'intero settore degli apparecchi domestici e professionali.
  Nel secondo tavolo tecnico tenutosi il 26 luglio 2013, in cui erano presenti anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le organizzazioni sindacali, si è discusso del tema degli investimenti e di possibili interventi pubblici a sostegno degli stessi. La Indesit ha confermato la volontà di voler investire 70 milioni di euro.
  Il 17 settembre 2103 il tavolo tornerà a riunirsi per valutare i risultati delle riunioni tecniche e sperando che con il contributo di tutti, si riesca a salvaguardare la produzione e l'occupazione.
  Infine, allo scopo di combattere la crisi che investe il settore degli elettrodomestici anche puntando su prodotti altamente innovativi, si è tenuta il 1° agosto scorso un primo incontro al quale hanno partecipato il Presidente della regione Marche, rappresentanti del Ministero del lavoro e di quello dell'università e ricerca.
  Sullo sfondo vi è l'idea messa a punto da alcune regioni (Marche, Lombardia, Friuli, Veneto, Emilia Romagna e Campania) di un istituto per l'innovazione.
  La riunione si è conclusa con la costituzione di un gruppo di lavoro ristretto che, oltre a Dicasteri, regioni e CNR, comprenderà le principali università italiane e avrà il compito di elaborare un progetto di fattibilità che verrà poi discusso.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Capiago Intimiano, situato in provincia di Como, ospita cinque profughi africani: due nigerini, due nigeriani ed un ciadiano. Un sesto, ciadiano anch'egli, ha invece recentemente lasciato il Paese;
   i profughi avevano ottenuto ospitalità in una struttura appositamente posta a loro disposizione, in seguito agli eventi connessi allo scoppio della Primavera Araba e del conflitto di Libia, pur essendo già soggiornanti in Italia;
   dei profughi citati, due, i nigerini, lavorano da tempo come panettieri a Como, mentre i nigeriani, di confessione cristiana, si starebbero organizzando con altri connazionali per reperire una nuova sistemazione;
   non è conseguentemente detto che tutti costoro si trovino in condizione di oggettivo bisogno;
   ciò nonostante, stando almeno a quanto riportato dalla stampa locale, per incoraggiarne l'uscita dalla struttura messa a loro disposizione, i profughi dovrebbero beneficiare di un contributo economico, di entità variabile a seconda delle singole esigenze, ma comunque significativa: oltre ai 500 euro già ottenuti da ciascuno dalla prefettura di Como lo scorso anno, in vista dell'imminente chiusura del sito loro concesso, lo stesso comune di Capiago Intimiano ha stanziato ulteriori 4mila euro, a valere sulle risorse di un fondo a destinazione vincolata, che si afferma proveniente dal Ministero dell'interno;
   la ripartizione del contributo tra i singoli profughi sarebbe determinata discrezionalmente dal Comune di Capiago Intimiano ed il primo profugo a lasciare la struttura riceverà 1.500 euro –:
   se sia consentito impegnare i soldi messi a disposizione dallo Stato per fronteggiare l'emergenza profughi adesso, cioè in questa fase in cui viene considerata ormai superata, e per di più solo allo scopo di incoraggiare la più rapida uscita dei profughi da una struttura generosamente loro concessa in uso dal comune di Capiago Intimiano. (4-00251)

  Risposta. — In seguito al massiccio afflusso di cittadini nordafricani giunti in Italia nel periodo dell'emergenza umanitaria, la prefettura di Como ha invitato gli enti locali a individuare sul proprio territorio le necessarie strutture di accoglienza. Il comune di Capiago Intimiano, in particolare, ha risposto provvedendo all'accoglienza di sei profughi e organizzando una struttura operativa con personale comunale, a cui sono stati assegnati i compiti di gestione previsti nell'atto convenzionale sottoscritto con il soggetto attuatore per la gestione delle strutture di accoglienza.
  In vista della cessazione dello stato di emergenza, la giunta comunale di Capiago Intimiano ha ritenuto autonomamente di stanziare quattromila euro – con risorse proprie – per far fronte alle particolari esigenze manifestate dai profughi, a integrazione dei cinquecento euro
pro capite corrisposti dalla prefettura di Como a ciascun soggetto assistito, quale misura di uscita, in conformità alle disposizioni del Ministero dell'interno (circolare n. 1424 del 18 febbraio 2013).
  La citata amministrazione comunale ha precisato come l'ulteriore contributo economico non fosse destinato a incoraggiare l'uscita dalle strutture di accoglienza, bensì a far fronte alla situazione di oggettivo bisogno e alle particolari esigenze manifestate dai profughi, che sono state valutate meritevoli di risposta. Inoltre, alcuni dei profughi hanno trovato un'occupazione in Italia, mentre altri si sono dovuti trasferire in diversi Stati europei, di conseguenza l'aumento delle spese di viaggio ha determinato anche una differenziazione dei contributi.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fino a pochi giorni fa, lo straniero richiedente la concessione della cittadinanza italiana doveva presentarsi presso gli uffici immigrazione della questura per un colloquio nel quale (tra le altre cose) veniva verificato il grado di conoscenza della lingua italiana, oltre a porre alcune domande di carattere generale;
   nei giorni scorsi con circolare del Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza – direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, ha comunicato alle questure un nuovo procedimento per la definizione delle istanze di conferimento della cittadinanza italiana ai sensi dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91;
   la nuova circolare dispone, infatti, che da ora non si dovrà più procedere al colloquio con l'interessato, e che quest'ultimo dovrà limitarsi a fornire esclusivamente tramite il sistema informatico in uso le informazioni riguardanti la regolare presenza sul territorio nazionale dello straniero richiedente la cittadinanza e dei familiari, la posizione giudiziaria, nonché ogni altra notizia rilevante sotto il profilo della sicurezza;
   con tale direttiva, eliminando il colloquio con il richiedente, si è escluso di fatto l'unico controllo su di una effettiva integrazione dello straniero e si è trasformato l'acquisto della cittadinanza ad un mero automatismo;
   invece, la legge attribuisce un ambito di discrezionalità nella valutazione degli elementi in possesso dell'amministrazione per la concessione della cittadinanza e il diniego può essere determinato, oltre che dai motivi inerenti la sicurezza della Repubblica o mancanza del periodo di residenza legale, da un insufficiente livello di integrazione e scarsa conoscenza della lingua italiana. (si veda http://www.prefettura.it/brescia/contenuti/17279.htm#Residenza);
   quanto sopra è avvalorato anche da precedenti circolari ministeriali sempre del Ministero dell'interno, quale ad esempio la circolare 5 gennaio 2007, che dispone che essendo l'atto di concessione della cittadinanza basato sulla permanenza sul territorio italiano, per concorde opinione della giurisprudenza, di natura «squisitamente discrezionale», «l'amministrazione deve verificare sia i requisiti previsti dalla legge, sia l'insieme di ulteriori elementi che motivino l'opportunità della concessione»;
   sempre con circolare 6 agosto 2009, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 94 del 2009, veniva esclusa la possibilità dell'autocertificazione; pertanto non sono applicabili a tale materia, come invece espresso nella citata circolare, i criteri dettati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, considerato anche che alla cittadinanza conseguono diritti e doveri di rango costituzionale;
   la verifica della reale integrazione nonché della conoscenza della lingua e cultura italiana da parte dello straniero è stata prevista per legge anche per i soggiornanti di lungo periodo, mediante l'introduzione nell'ordinamento della stipula dell'accordo di integrazione, e pertanto, a maggior ragione, ciò deve valere per lo straniero richiedente la cittadinanza italiana –:
   se si intenda ritirare la circolare in questioni il prima possibile e con effetto immediato, dando anzi indicazione alle questure di procedere ad un'attenta verifica di tutti i requisiti che possano dimostrare l'effettiva e reale integrazione dello straniero richiedente nel tessuto socio-economico nazionale e nella comunità locale;
   quale, sia lo stato di effettiva applicazione della normativa relativa all'accordo di integrazione ex articolo 4-bis del testo unico sull'immigrazione n. 286 del 1998, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 179, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 dell'11 novembre 2011, alla verifica dei test di lingua previsti dal cosiddetto «permesso a punti», nonché alle eventuali espulsioni conseguenti alla decurtazione dei punti. (4-00272)

  Risposta. — Le nuove procedure per la concessione della cittadinanza italiana sono finalizzate a una rapida definizione delle istanze già presentate finora, in vista dell'introduzione di una nuova procedura informatizzata. Le relative direttive sono state impartite alle prefetture con circolare del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del 27 marzo scorso e sono state trasmesse alle questure con circolare del dipartimento della pubblica sicurezza del 5 aprile scorso, a cui si fa riferimento anche nel testo dell'interrogazione. Tali direttive traggono origine principalmente da due esigenze: la prima, di carattere strettamente giuridico, è legata alla necessità di introdurre parametri di giudizio basati su elementi oggettivi; la seconda si inserisce in un complessivo percorso di modernizzazione della pubblica amministrazione ed è dunque connessa alla necessità di semplificare ulteriormente il procedimento amministrativo.
  In particolare, sulla base delle circolari diramate in passato, si era instaurata la prassi dell'acquisizione degli elementi essenziali ai fini dell'istruttoria attraverso la convocazione dell'interessato presso le autorità locali di pubblica sicurezza. In base alla nuova procedura, invece, le questure non dovranno più procedere al colloquio ma si limiteranno a fornire, tramite il sistema informatico, esclusivamente le informazioni riguardanti la regolare presenza dello straniero e dei familiari sul territorio nazionale, la posizione giudiziaria, nonché ogni altra notizia rilevante sotto il profilo della sicurezza, anche mediante attento controllo delle banche dati di polizia. Infatti, oggi gli uffici possono rilevare alcuni degli elementi essenziali del procedimento mediante la consultazione di banche dati quali il Casellario centrale del Ministero della giustizia e il «Punto fisco» dell'agenzia delle entrate, già collegate con il sistema informativo che governa i processi di acquisto e concessione della cittadinanza italiana (Sicitt).
  La convocazione dei richiedenti la cittadinanza presso le questure si basava sostanzialmente sulla necessità di acquisire informazioni, con l'invito a produrre la documentazione relativa a contratti di lavoro, redditi percepiti, contratti di locazione o di acquisto di immobili. A tal proposito, si richiama l'attenzione sulla circolare del 17 aprile 2012, firmata dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dal Ministro dell'interno, con la quale si chiarisce, tra l'altro, che le disposizioni in materia di autocertificazione introdotte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, come modificato dalla legge n. 183 del 2011, si applicano anche al procedimento relativo alla cittadinanza. Pertanto, nell'ambito di tale procedimento, l'amministrazione non può richiedere certificazioni relative a stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da soggetti pubblici in Italia.
  Di conseguenza, anche i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, regolarmente soggiornanti in Italia, possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di certificazioni, la cui veridicità potrà essere verificata con le modalità previste dall'articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000. Fermo restando che, ove gli elementi richiesti attengano ad atti formati all'estero e non registrati in Italia o presso un consolato italiano, si dovrà procedere all'acquisizione della certificazione prodotta dal Paese straniero, legalizzata e tradotta nei termini di legge.
  Peraltro, la prassi del colloquio era andata via via assumendo le caratteristiche di una valutazione del grado di integrazione dello straniero nella società italiana, condotta spesso attraverso test di cultura generale operati da personale della polizia di Stato o dell'arma dei carabinieri. Ciò aveva comportato un incremento del contenzioso, a causa della debolezza di motivazioni di diniego inevitabilmente basate su valutazioni discrezionali e su criteri non oggettivi. Tali provvedimenti, infatti, superano difficilmente il vaglio del giudice amministrativo, soprattutto nel caso in cui il richiedente viva e lavori ormai da molti anni in Italia con la propria famiglia.
  Il nuovo procedimento è quindi ispirato ai principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa, e mira al «ripristino del corretto svolgimento della funzione relativa ai procedimenti di concessione della cittadinanza italiana», che tra l'altro è oggetto di una
class action, tuttora in corso di definizione.
  Gli ulteriori, indispensabili elementi attinenti alla regolare presenza dello straniero sul territorio, la posizione giudiziaria e ogni altro elemento rilevante sotto il profilo della sicurezza sono tuttora demandati alla autorità di pubblica sicurezza, che in alcuni casi ha già attivato forme di semplificazione aggiuntive, eliminando fasi endoprocedimentali ancora espletate a mezzo corrispondenza ordinaria, che possono richiedere anche anni. Resta dunque ferma la necessità di segnalare – attraverso il sistema informatico – il verificarsi di eventuali situazioni penalmente rilevanti a carico dell'interessato (ad esempio revoca del permesso di soggiorno, notizie di reato, misure di sicurezza), suscettibili di valutazione prima dell'emanazione o della notifica del provvedimento finale.
  Inoltre, si sottolinea che la circolare di cui trattasi si inserisce in un percorso di modernizzazione dei processi che ha visto la sua prima importante realizzazione nella direttiva del Ministro dell'interno del 7 marzo 2012, la quale ha trasferito ai prefetti la competenza all'adozione dei provvedimenti di acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio, e che vede quale obiettivo futuro l'acquisizione «on-line» delle istanze.
  Come rilevato anche dagli interroganti, il decreto del Presidente della Repubblica n. 179 del 2011, recante il regolamento sull'accordo di integrazione (articolo 4-
bis del decreto legislativo n. 286 del 1998) richiede già la conoscenza della lingua e della cultura italiana per tutti gli stranieri che intendano soggiornare in Italia e presentino istanza per il rilascio del permesso di soggiorno pari o superiore a un anno. Tuttavia, tenuto conto dell'assenza di un'esplicita previsione normativa circa la conoscenza della lingua per i richiedenti la cittadinanza, l'applicazione di tale criterio dovrebbe presupporre l'introduzione di parametri di giudizio basati su elementi oggettivi, in sintonia con il cosiddetto «processo di integrazione», da valutare eventualmente nell'ambito di una riforma organica della materia.
  Per quanto riguarda lo stato di applicazione della disciplina che regola l'accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato, si comunica che dal 10 marzo 2012 (data di entrata in vigore del relativo regolamento di attuazione) al 13 maggio 2013, risultano sottoscritti 89.232 accordi. L'attività di verifica sull'adempimento degli accordi non è ancora stata avviata poiché gli accordi hanno durata biennale e, pertanto, i primi accertamenti avranno inizio nel mese di marzo del 2014.
  Infine, per quanto riguarda i test per la verifica della conoscenza della lingua italiana, dal 9 dicembre 2010 (data di entrata in vigore del decreto che ne fissa le modalità di svolgimento) al 22 maggio 2013, sono state presentate 379.091 richieste di partecipazione, con 206.600 prove superate e 44.602 esiti negativi.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   notizie rilanciate dagli organi di informazione riferiscono che i flussi migratori verso il nostro Paese sono aumentati in maniera esponenziale negli ultimi mesi e gli sbarchi sulle coste italiane hanno raggiunto negli ultimi giorni un numero allarmante;
   benché ne possa ospitare fino a un massimo di 300 persone, il centro di prima accoglienza di Lampedusa versa ormai in stato di emergenza, avendo superato la quota di mille presenze, tra cui numerose donne e minori, anche non accompagnati;
   tale situazione è destinata ad aggravarsi in brevissimo tempo: anche il trasferimento di 80 profughi verso il centro per richiedenti asilo di Mineo si è rivelato un semplice palliativo perché sull'isola solo tra la notte del 17 giugno e il pomeriggio del 18 giugno 2013 sono sbarcati oltre 344 migranti;
   nello stesso stato versa il centro di Roccella Ionica, dove sono ospitati momentaneamente circa duecento immigrati, la gran parte dei quali siriani e pakistani, tanto che dopo uno sciopero della fame la situazione è degenerata a tal punto che numerosi immigrati, oltre un centinaio, hanno lasciato la struttura facendo così perdere le loro tracce;
   nei centri di accoglienza sono all'ordine del giorno tumulti e fughe da parte degli ospiti che mettono a repentaglio non solo la sicurezza pubblica ma anche l'incolumità degli operatori di polizia, come anche testimoniato dalla lettera che il segretario generale del Sap ha inviato al Ministro il 19 giugno 2013;
   il preoccupante flusso di arrivi è destinato ad aumentare notevolmente, se si considera l'attuale conflitto in Siria, e dunque potrebbe assumere l'aspetto di una vera e propria emergenza umanitaria che non può essere lasciata a se stessa, né riversata interamente sul nostro Paese, bensì richiede il necessario intervento anche delle istituzioni comunitarie, presso le quali l'attuale Governo deve immediatamente attivarsi per chiedere l'avvio della procedura di cui alla direttiva 55/2001;
   essendo il nostro un Paese europeo di confine, ove più difficile è il controllo delle frontiere, in gran parte marittime, e dunque più facile meta dei flussi migratori clandestini, non è pensabile che la gestione di tutto il problema dell'immigrazione, anche quando derivante da vere e proprie emergenze umanitarie a seguito di eventi bellici, sia a carico solo del nostro sistema;
   l'attuale situazione di grave emergenza va gestita immediatamente con estremo rigore e con l'avvio di procedure celeri per l'identificazione dei soggetti sbarcati sulle nostre coste, onde distinguere i casi di chi può avere titolo per richiedere una qualche forma di protezione internazionale rispetto a chi non ne ha;
   invece, a fronte delle citate notizie, degli allarmi lanciati anche dalle autorità locali e dell'incremento degli arrivi di extracomunitari, di fatto incentivati anche dalle dichiarazioni quotidiane di esponenti del Governo in direzione di una completa apertura dell'Italia all'immigrazione, non si registra a giudizio degli interroganti una significativa attenzione da parte del Ministro interrogato;
   l'alto numero di clandestini e la continuità degli sbarchi comportano costi assai elevati, anche sotto il profilo della penalizzazione della tradizionale vocazione turistica del nostro Paese –:
   quali siano gli strumenti e le modalità con cui il Governo intende gestire la grave situazione in atto, quali siano i reali intendimenti del Governo in materia di contrasto all'immigrazione clandestina e, in particolare, se il Ministro interrogato non intenda ridare impulso alla cooperazione bilaterale con gli Stati rivieraschi di partenza dei clandestini, finalizzati a pattugliamenti congiunti e all'addestramento delle locali forze di polizia, e quali iniziative intenda avviare anche in sede comunitaria. (4-00978)

  Risposta. — La recente ripresa dei flussi migratori verso l'Italia è strettamente connessa alla difficile situazione del Mediterraneo e ai conflitti in corso nei paesi del nord Africa, che spingono le persone a fuggire da guerre civili o carestie. La popolazione immigrata, dunque, è rappresentata prevalentemente da richiedenti asilo e da coloro che sono interessati al rilascio di permessi di protezione umanitaria, piuttosto che da persone partite per motivi puramente economici.
  Il Ministero dell'interno – che dedica la più elevata attenzione alla complessa gestione del fenomeno migratorio – ha saputo gestire i recenti sbarchi sulle nostre coste coniugando il dovere di accoglienza con il diritto alla sicurezza. La politica del Governo in materia di contrasto all'immigrazione irregolare si dispiega su due piani: da un lato, si inseriscono le iniziative di collaborazione e scambio di informazioni con le autorità di frontiera dei Paesi membri dell'Unione Europea; dall'altro lato, si colloca l'intensificazione dei rapporti di cooperazione con i Paesi terzi considerati strategici nel controllo e nella gestione coordinata dei flussi migratori.
  Come ha affermato recentemente il Ministro Alfano, Lampedusa «è la via d'accesso all'intera Europa» e quindi deve essere considerata come una frontiera europea. Perciò, a partire dalla consapevolezza che il nostro è un Paese di transito, piuttosto che di destinazione, e che l'immigrazione non è un tema esclusivamente italiano, l'impegno del Governo è finalizzato a coinvolgere l'Unione Europea nella gestione del problema.
  Proprio nell'ottica della collaborazione con i Paesi comunitari, è stata recentemente decisa l'implementazione del progetto Eurosur (
European Border Surveillance System), avviato nel 2008 per creare un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere marittime meridionali. Tale sistema è finalizzato a dotare i Paesi membri che sono situati alle frontiere esterne dell'Unione europea – come l'Italia – di un quadro operativo e tecnico comune, che contribuirà a contrastare la criminalità transfrontaliera, a prevenire l'attraversamento non autorizzato delle frontiere e a diminuire i casi di morte di migranti in mare.
  Nella direzione della cooperazione con i Paesi terzi, si colloca il vertice con le autorità del governo libico tenutosi a palazzo Chigi il 4 luglio scorso. In quell'occasione, il vicepremier e Ministro dell'interno, Angelino Alfano, e il Ministro degli esteri e della Cooperazione internazionale, Mohamed Emhemmed Abdelaziz, hanno sottolineato l'importanza del livello di collaborazione già in atto e la comune volontà di rafforzare ulteriormente i rapporti bilaterali tra i due Paesi, per far fronte al fenomeno dell'immigrazione irregolare nel pieno rispetto dei diritti umani. In particolare, il Ministro Abdelaziz ha confermato la determinazione dell'autorità di Tripoli a un maggiore impegno nel controllo delle proprie coste, al fine di evitare il ripetersi delle tragedie del mare, mentre il Ministro Alfano ha assicurato la disponibilità a fornire corsi di addestramento per le forze di polizia libiche.
  Sono inoltre in programma ulteriori incontri con i leader politici di Paesi considerati altrettanto nevralgici per contrastare più efficacemente i flussi migratori illegali verso le nostre coste. Infatti, oltre alle intese raggiunte con la Libia, sono stati sottoscritti accordi bilaterali e
memorandum d'intesa con la maggior parte dei Paesi di provenienza dei migranti che giungono in Italia; si tratta in particolare di Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto, Grecia, Gambia, Ghana, Niger, Nigeria, Senegal e Gibuti. Inoltre, sono attualmente in corso di negoziazione intese con Sudan, Afghanistan, Malta, Azerbaigian, Turchia, Burkina Faso, Eritrea, Guinea Conakry, Iraq e Repubblica Sudafricana.
  La cooperazione con i Paesi terzi si realizza mediante lo scambio di personale e il distacco temporaneo in Italia di funzionari dei paesi firmatari; il consolidamento delle capacità operative, con programmi di assistenza tecnica a favore dei paesi firmatari, corsi di formazione, cessione gratuita di mezzi e tecnologie; il potenziamento delle forze di sicurezza, affinché pattuglino il mare e controllino l'entroterra per prevenire le partenze verso l'Italia; l'attivazione di canali diretti per lo scambio di informazioni operative e investigative. È prevista anche la costituzione di apposite
task force formate da personale specializzato, per acquisire notizie utili nell'immediatezza degli sbarchi (ad esempio su rotte seguite, provenienza dei natanti, paesi di origine degli stranieri, gruppi criminali dediti al traffico di esseri umani).
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   NICCHI, KRONBICHLER e PILOZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a partire dai primi mesi del 2011, le mamme e le famiglie di circa 500 migranti tunisini diretti verso l'Italia e l'Europa, e rispetto ai quali, salvo 14 persone di cui si è accertato l'arrivo nel nostro Paese, non si è avuta alcuna notizia, chiedono incessantemente di poter conoscere qualcosa sulla sorte dei loro figli, partiti via mare con imbarcazioni di fortuna a seguito della rivoluzione tunisina;
   appare indiscutibile, infatti, la necessità di individuare i dispersi, sia i morti, di cui non sono stati restituiti i corpi, sia quelli di cui non si hanno più notizie, per quanto alcune madri e famiglie abbiano riconosciuto i loro cari nelle immagini di alcuni servizi televisivi italiani e francesi relativi ai naufragi dei migranti nel Mediterraneo;
   dopo essersi rivolte con giustificata insistenza alle istituzioni del loro Paese al fine di sollecitare lo scambio delle impronte digitali con l'Italia, le famiglie tunisine non hanno ottenuto alcuna certezza rispetto all'effettuazione dello scambio, nonostante il prelievo delle impronte digitali ai migranti in arrivo nei Paesi europei costituisca un elemento essenziale delle politiche migratorie;
   il Governo italiano avrebbe concesso una protezione temporanea ai tunisini sbarcati in Italia entro il 5 aprile 2011, prevedendo un successivo rinnovo di sei mesi; chi è arrivato dopo quella data era chiaramente passibile di rimpatrio, poiché la Tunisia non è stata più considerata un paese a rischio per i diritti umani;
   per paura di essere identificati come tunisini, e quindi rimpatriati, è possibile tuttavia che molti di loro abbiano fornito false generalità, dunque se anche alcuni fossero stati trattenuti nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE), non necessariamente si sarebbe potuto procedere ad una loro individuazione;
   quelle mamme e quelle famiglie, a febbraio 2013, dopo numerosi appelli rivolti alle istituzioni italiane, rimasti per lo più inascoltati, hanno in ultimo predisposto un appello «Esigiamo i vostri saperi», indirizzato all'Unione europea, nel quale chiedono una collaborazione nella ricerca dei loro familiari e, in particolare, una commissione che preveda la partecipazione dei Governi italiano e tunisino, in quanto coinvolti nella vicenda, al fine di arrivare alla verità;
   il loro appello recita «Nemmeno noi conosciamo il numero esatto di quanti siano i dispersi» ma sono tanti, centinaia, per la sola Tunisia, senza contare i dispersi e i morti che in tutti questi anni hanno trasformato un così breve tratto di mare in un cimitero marino»;
   in questi anni le famiglie dei dispersi hanno raccolto informazioni sulle date e i luoghi di partenza, sul numero di persone per ogni imbarcazione, articoli di giornali italiani che danno notizia dell'arrivo delle imbarcazioni e per alcuni naufragi accertati nel Mediterraneo sono in grado di indicare i luoghi precisi nei quali si sono verificati;
   come noto, quel tratto di mare è osservato da strumenti altamente tecnologici che l'Unione europea con i suoi Stati membri e la sua agenzia Frontex dispiega tra le due sponde del Mediterraneo per il controllo delle migrazioni: radar, satelliti, motovedette, aerei, elicotteri e, dopo l'arrivo, la raccolta delle impronte digitali. Informazioni che, come intuibile, vengono debitamente archiviate –:
   quali iniziative siano state avviate dal Governo per fare luce sulla vicenda esposta in premessa che, a due anni di distanza dal drammatico evento, ancora non ha avuto risposta e, in particolare, se abbia provveduto a dar via al confronto delle impronte digitali dei dispersi avviando la necessaria ed auspicabile collaborazione con le autorità tunisine;
   se, al fine di offrire risposta alle più che condivisibili e giustificate richieste delle famiglie dei dispersi, il Governo intenda sollecitare l'Unione europea affinché si adoperi per la costituzione di una commissione che, a più di due anni dal drammatico evento, possa finalmente portare a conoscenza della verità le mamme e i familiari dei migranti tunisini. (4-00163)

  Risposta. — A partire dal luglio 2011, le associazioni che rappresentano i familiari dei cittadini tunisini dispersi, insieme all'ambasciata e ai consolati tunisini in Italia, hanno interessato le istituzioni italiane per verificare l'eventuale approdo sulle nostre coste di 1.900 loro connazionali, dei quali non si hanno più notizie dal 14 gennaio 2011.
  Dalla consultazione degli archivi di polizia, è emerso che ottantaquattro persone, individuate tra coloro che erano già stati fotosegnalati, potevano corrispondere ai nominativi dei quali erano state fornite le generalità. Al fine di rendere più attendibile la ricerca e di escludere eventuali casi di omonimia, è stato chiesto all'ambasciata della Tunisia di inviare i cartellini fotosegnaletici dei cittadini tunisini scomparsi.
  I risultati dei riscontri svolti dalla polizia scientifica sui trecentotrentuno cartellini ricevuti sono i seguenti: duecentoquarantaquattro appartengono a persone che non sono mai state fotosegnalate, perciò si ritiene che non siano mai giunte sul territorio nazionale; sessantanove sono di scarsa qualità, pertanto non è stato possibile effettuare riscontri certi; diciotto cartellini, invece, appartengono a cittadini tunisini dei quali è provato l'arrivo in Italia, perché risultano censiti nel casellario centrale d'identità.
  Tra questi diciotto cittadini tunisini, solo sei sono sbarcati dopo il 14 gennaio 2011; in base alle verifiche effettuate, risulta che cinque di essi sono stati rimpatriati mentre uno si è allontanato dal Cie di Trapani rendendosi irreperibile.
  La presenza in Italia degli altri dodici cittadini tunisini è stata registrata prima del 14 gennaio 2011, nel periodo compreso tra il 30 novembre 1990 e il 3 agosto 2010. In particolare, sei di essi sono stati rimpatriati, due sono stati espulsi con l'intimazione a 15 giorni, tre sono stati espulsi con l'ordine del questore a lasciare l'Italia entro 5 giorni, mentre uno è stato respinto in Grecia.
  Per due cittadini tunisini sono stati forniti, in tempi diversi, dei cartellini fotosegnaletici con gli stessi nominativi, che sono risultati sia positivi che negativi nel casellario centrale d'identità; pertanto, si resta in attesa di conferma da parte delle autorità tunisine.
  Si assicura comunque che il Ministero dell'interno continua a monitorare la vicenda con la massima attenzione. I dati dei migranti tunisini dispersi, infatti, sono stati inseriti nelle banche dati del sistema d'indagine interforze (Sdi), qualora in futuro venissero rintracciati in Italia. Inoltre, è stato richiesto più volte all'ambasciata tunisina a Roma di interessare l'Interpol di Tunisi, per estendere le ricerche a livello internazionale, poiché non si può escludere che i cittadini tunisini si trovino attualmente all'estero.
  La particolare sensibilità del Governo italiano è confermata anche dall'istituzione – nel settembre del 2012, su iniziativa del Ministro dell'interno
pro-tempore – di un apposito gruppo di lavoro italo-tunisino, finalizzato a far luce sul naufragio registrato il precedente 7 settembre tra Lampedusa e Lampione, terminato con il salvataggio di cinquantasei cittadini tunisini. Nei giorni successivi al naufragio sono stati rinvenuti in mare i corpi di quattordici persone che, tuttavia, non possono essere ricondotti con certezza all'evento in questione. L'obiettivo del pool è di accertare la reale dinamica dell'evento e di rintracciare i migranti tunisini scomparsi, nel rispetto delle prerogative proprie della Procura della Repubblica presso il tribunale di Agrigento, titolare delle relative indagini.
  Il Ministero dell'interno ha, altresì, favorito l'incontro tra i membri della delegazione tunisina e i cinquantasei superstiti del naufragio, di cui solo quarantuno sono stati riconosciuti come connazionali. Di tali quarantuno cittadini tunisini, otto sono stati rimpatriati, quindici si sono allontanati dai centri in cui erano ospitati, undici sono stati dimessi dai centri stessi su disposizioni dell'autorità giudiziaria, uno ha ottenuto asilo, due hanno ottenuto la protezione umanitaria, uno ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di giustizia, uno è stato arrestato e due sono risultati minorenni.
  Inoltre – sempre nell'ottica della collaborazione finalizzata a rintracciare i cittadini tunisini dispersi – un componente della delegazione tunisina che esercita le funzioni di magistrato è stato accompagnato ad Agrigento, per uno scambio di informazioni con il pubblico ministero e il procuratore capo che stanno svolgendo l'inchiesta.
  Infine – nell'ambito delle iniziative intraprese al fine di prevenire i flussi migratori illegali e di evitare il ripetersi di ulteriori tragedie del mare – lo scorso 6 maggio, l'agenzia europea Frontex, in coordinamento con le autorità italiane, ha avviato l'operazione Hermes, che prevede l'attivazione di un dispositivo aereo e navale di pattugliamento marittimo nel tratto di mare che va da Lampedusa alle coste meridionali della Sicilia, al fine di intercettare i natanti provenienti dalle coste nordafricane (Tunisia, Libia ed Egitto). I pattugliamenti sono coordinati sotto il profilo strategico dal Ministero dell'interno e si avvalgono dei mezzi aeronavali della guardia di finanza e della capitaneria di porto, a cui si aggiungono quelli messi a disposizione dagli Stati membri. In caso di necessità, il dispositivo di controllo potrebbe essere esteso anche al canale di Sardegna, a protezione delle coste meridionali dell'isola.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1° gennaio 2013 è stata costituita la Selex electronic systems attraverso la concentrazione delle attività di Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi Integrati, tre società controllate da Finmeccanica spa;
   tale operazione è stata effettuata con la finalità di ridefinire la missione e il posizionamento del business dell'elettronica per la difesa e sicurezza e per raggiungere questo obiettivo, Selex ha avviato un percorso finalizzato a una politica di investimenti e alla realizzazione di economie di scala, ritenute necessarie per poter competere sul mercato globale, che prevedono un piano di riorganizzazione aziendale;
   come già dichiarato dal Viceministro dello sviluppo economico in risposta all'interpellanza urgente (n. 2-00074), che sottolinea che l'azienda si impegna a non intraprendere alcuna azione unilaterale senza il preventivo confronto con i sindacati e che, nel caso in cui la vicenda non pervenisse ad una soluzione positiva e condivisa, in termini di produttività ed occupazione, il Ministero è a disposizione per svolgere un ruolo più attivo per favorire la ricerca di una soluzione a tutela dell'occupazione e della competitività dell'azienda e del settore nel suo complesso;
   la Selex electronic systems ha presentato il 6 giugno 2013 un piano industriale per la razionalizzazione dei siti ed il dimensionamento degli organici che prevede la chiusura di 22 stabilimenti, la cassa integrazione per due anni a zero ore per 1.822 dipendenti e 4 ore di cassa integrazione settimanali per altri 10 mila lavoratori del gruppo in Italia;
   dal piano di razionalizzazione la città più colpita è Roma, con 470 esuberi su 2.700 dipendenti; subito dopo vengono le attività genovesi: 303 esuberi su nemmeno 2.000 addetti;
   il continuo ricorso agli esuberi sembrerebbe finalizzato più al contenimento dei costi che non al perseguimento di un chiaro indirizzo industriale con un conseguente impoverimento di competenze e centri di eccellenza che metterebbe a rischio anche la competitività dell'azienda;
   i lavoratori genovesi hanno scioperato lunedì 10 giugno 2013 per la difesa dell'occupazione negli stabilimenti del gruppo;
   i sindacati dei lavoratori propongono soluzioni alternative che prevedono processi di alleggerimento dell'organico attraverso pre-pensionamenti e contratti di solidarietà;
   il 14 Giugno le rappresentanze sindacali unitarie genovesi hanno incontrato i parlamentari liguri al fine di impostare una discussione più ampia relativa alla presenza delle aziende di Finmeccanica sul territorio ligure, finalizzata al mantenimento dell'occupazione e degli investimenti;
   è necessario che il Governo si prenda in carico questa situazione, vista la fase di crisi che attraversa il nostro Paese, per evitare la perdita di altri posti di lavoro –:
   se il Governo non ritenga di intervenire aprendo al più presto un tavolo di trattativa con azienda e parti sociali affinché venga discusso seriamente un Piano industriale che offra garanzie sul fronte della tenuta occupazionale e della competitività dell'azienda. (4-01015)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo si rappresenta quanto segue.
  Il 1o gennaio 2013 è stata costituita la Selex Electronic Systems (Selex ES) attraverso la concentrazione delle attività di Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi Integrati.
  L'obiettivo della sua costituzione è il perseguimento di un miglior posizionamento competitivo nel settore di riferimento.
  La dichiarata
vision della nuova azienda è costituita dall'essere un forte punto di riferimento per i clienti e i partner offrendo eccellenza tecnologica nei sistemi elettronici e soluzioni per costituire una «comunità» più sicura e intelligente.
  Per raggiungere quest'obiettivo Selex ES ha avviato un percorso finalizzato a:
   una politica d'investimenti mirata allo sviluppo di nuovi prodotti e al mantenimento di quelli «core»;
   la realizzazione di economie di scala necessarie a raggiungere la «massa critica» per competere sul mercato globale;
   un piano di riorganizzazione aziendale orientato a creare un'azienda snella, efficiente e maggiormente competitiva.

  L'azienda, al fine di realizzare gli orientamenti strategici suindicati e per supportare quanto previsto dal piano industriale, sta già intervenendo sulle seguenti aree:
   1. razionalizzazione del portafoglio prodotti per aumentare la profittabilità, la competitività e la crescita sostenibile della società;
   2. ottimizzazione dell'ingegneria e della produzione focalizzandole su centri di eccellenza e internalizzando le attività pregiate;
   3. efficienza negli acquisti;
   4. ottimizzazione delle strutture di staff attualmente distribuite in 39 siti in Italia;
   5. razionalizzazione dei siti per evitare la dispersione e le sovrapposizioni esistenti che riducono sensibilmente la capacità competitiva dell'azienda;
   6. dimensionamento degli organici, in Italia, con un intervento in due direzioni:
    riduzione strutturale delle risorse indirette (-1.098 unità);
    efficienza operativa dei diretti (-840 unità).

  In particolare, il piano di ridimensionamento degli organici con le previste eccedenze è condizionato, a giudizio dell'azienda, dal raggiungimento dei target di acquisizione degli ordini nel periodo di piano 2013-2017 (circa 4 miliardi/anno).
  In conformità con tali orientamenti, è iniziato con le organizzazioni sindacali un serrato e costruttivo confronto che a oggi ha prodotto i seguenti risultati:
   
a) accordo di protocollo firmato all'inizio del confronto con le organizzazioni sindacali sul piano industriale (20 febbraio 2013) nel quale l'azienda si è impegnata a non intraprendere nessuna azione unilaterale senza il preventivo confronto con i sindacati;
   
b) accordo con Federmanager e la RSA dei dirigenti per la riduzione di 120 dirigenti in tre anni;
   
c) accordo per la collocazione in mobilità di 810 unità;
   
d) accordo per la chiusura di 4 siti in Italia.

  L'azienda, parallelamente al confronto nazionale, sta effettuando incontri sindacali a livello territoriale per illustrare nei dettagli il piano industriale.
  Relativamente alla gestione delle eccedenze la stessa, pur in un quadro giuslavoristico che riduce di fatto, gli ammortizzatori sociali, è interessata a concordare con i sindacati, l'utilizzo di tutte le leve che consentano di limitare significativamente il disagio sociale dei dipendenti interessati.
  Nello specifico, si informa che in data 27 giugno 2913 è stata siglata un'intesa con tutte le organizzazioni sindacali e i responsabili di Selex, circa la gestione degli esuberi. Si tratta di un accordo quadro, all'interno del quale vengono impiegati un
mix di strumenti per coniugare le esigenze e le difficoltà emerse a seguito della fusione tra Galileo, Elsag e Sistemi Integrati.
  Sulla base dell'intesa e nell'ambito della riorganizzazione del gruppo sono stati contemplati una serie strumenti innovativi quali la «mobilità volontaria» per accompagnare alla pensione e i «contratti di solidarietà».
  A latere il management di Selex e i sindacati, d'intesa con il Governo, si sono impegnati nell'individuare scelte di politica industriale nel settore dell'elettronica, della sicurezza e della difesa finalizzate alla crescita dell'azienda, anche a seguito della programmata chiusura di 22 siti produttivi in Italia – ne rimarranno attivi 26 – e dei conseguenti risparmi, destinati a nuovi investimenti per l'espansione del mercato dell'azienda, nonché rivolti all'adeguamento dell'innovazione del sistema Paese, in un settore considerato strategico.
  Si continuerà, comunque, ad assicurare ogni disponibilità a intervenire, per quanto di competenza, ove le parti lo richiedano.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   PASTORELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale Alcatel-Lucent, uno dei leader mondiali nel campo delle telecomunicazioni, possiede in Italia centri di sviluppo software a Vimercate, Rieti, Battipaglia, centri industriali a Trieste e commerciali a Roma, per un totale di circa 2.000 addetti in Italia;
   nel giugno 2012, dopo un incontro tra il Ministro dello sviluppo economico pro tempore ed il CEO di Alcatel-Lucent, fu sottoscritto un accordo che prevedeva la realizzazione di un piano strategico per nuove attività della suddetta società in Italia, a fronte di determinati impegni del Ministero sull'Agenda digitale e la concessione di 245 casse integrazioni guadagni straordinari;
   successivamente, il 19 aprile 2013 in un altro incontro, Alcatel-Lucent Italia ha dichiarato la non applicabilità del suddetto accordo, a fronte di un cambio di scenari globali;
   nello stesso incontro, il dottor Castano, in rappresentanza del Ministero ha dichiarato che il Governo avrebbe dovuto incontrare il nuovo CEO, Michael Combes, riconvocando le parti per fine maggio 2013;
   nel successivo incontro, tenutosi il 21 maggio, Alcatel-Lucent ha chiesto di prorogare la parte riguardante le casse integrazioni guadagni, senza però fornire piani strategici per la produzione né prometterne;
   Alcatel-Lucent ha dichiarato nuovi esuberi «strutturali», per la maggior parte individuati a Rieti, dove rappresentano il 25 per cento della forza lavoro lì impiegata;
   nell'incontro del 21 maggio il Ministero dello sviluppo economico, attraverso il dottor Castano, ha chiesto nuovamente un incontro con il CEO, da realizzare in tempi rapidissimi;
   il 19 giugno il CEO Alcatel-Lucent ha illustrato ai dipendenti il proprio piano mondiale a medio termine;
   nel successivo incontro del 21 giugno, Alcatel-Lucent ha annunciato la volontà di procedere anche unilateralmente alla cassa integrazione guadagni;
   nella stessa riunione, è stato annunciato che l'incontro con il CEO avverrà nella seconda metà di luglio 2013;
   il 27 giugno il CEO ha comunicato ai sindacati europei che «è necessario definire un nuovo piano/progetto per l'Italia ed è per questo motivo che presto verrà in Italia per incontrare colleghi, clienti e governo» –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se e come il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di limitare le conseguenze negative derivanti da un eventuale progetto di smantellamento, o forte ridimensionamento, delle attività dell'Alcatel-Lucent sul territorio di Rieti;
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative affinché sia sospesa l'iniziativa di cassa integrazione proponendo ad Alcatel-Lucent un nuovo incontro per quando le scelte strategiche globali di quest'ultima saranno più chiare e vi sarà, auspicabilmente, una definizione temporale più precisa degli impegni del Governo per quanto riguarda l'Agenda digitale. (4-01101)

  Risposta. — La situazione di Alcatel-Lucent, multinazionale leader nella telefonia fissa e mobile, a seguito di una serie di decisioni aziendali che hanno modificato la strategia del gruppo relativamente ai modelli di business, sta evolvendo molto rapidamente.
  Ciò si riflette fortemente sull'insieme dei siti italiani che svolgono sia attività di ricerca che attività produttiva in senso stretto.
  Il Governo segue con molta attenzione l'evolversi della situazione che interessa i siti italiani di Alcatel-Lucent. Già nello scorso anno, e precisamente nel gennaio 2012, l'azienda aveva dichiarato un esubero di circa 400 lavoratori annunciando l'intenzione di spostare l'attività svolta nei siti italiani nel nord America. In quell'occasione il Governo aveva attivato un tavolo di crisi presso il Mise.
  Gli impegni assunti da Alcatel verso gli impianti italiani nell'accordo sottoscritto nel giugno 2012 – che prevedeva un sostanziale rovesciamento della strategia annunciata nel precedente mese di gennaio con importanti nuovi investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo – sono stati del tutto disattesi.
  Il nuovo piano di rilancio (
shift plan), i cui contorni peraltro non appaiono ancora del tutto chiari, presentato nello scorso mese di giugno dal nuovo CEO Michel Combes, prevede di fatto una riduzione delle attività di ricerca e sviluppo in Italia.
  L'incontro previsto lo scorso 15 luglio fra l'amministratore delegato di Alcatel-Lucent e il Ministro Zanonato non si è svolto in quanto l'azienda ha chiesto più tempo per poter mettere a punto l'annunciato piano di rilancio e, pertanto, ha avanzato la richiesta di posticipare l'incontro alla fine del mese di settembre.
  Il Governo ha preso atto con favore dell'intenzione dell'azienda di predisporre questo nuovo piano di rilancio e ha cercato di anticipare almeno alla metà del mese di settembre l'incontro previsto, assicurando l'intenzione di esaminare con attenzione la situazione degli stabilimenti italiani, al fine di evitare innanzitutto la dispersione delle elevate competenze professionali e di tutelare adeguatamente gli attuali livelli occupazionali. Al riguardo, si segnala che le misure in materia di agenda digitale contenute, da ultimo, nel decreto-legge n. 69 del 2013, in corso di approvazione al Senato, potranno rappresentare una preziosa occasione per affrontare anche la tematica relativa alle prospettive industriali degli stabilimenti italiani di Alcatel-Lucent.
  Resta, pertanto, l'impegno da parte del Ministero dello sviluppo economico a seguire con attenzione gli ulteriori sviluppi della vicenda, anche alla luce degli esiti dell'incontro che si svolgerà il prossimo settembre con il CEO di Alcatel-Lucent.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   RAMPI, MOSCA, MAURI, CASATI, LAFORGIA, CIMBRO, QUARTAPELLE PROCOPIO e GASPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Alcatel-Lucent Italia impiega in Italia 2.045 dipendenti di cui 686 nel campo della ricerca e dello sviluppo delle reti di trasmissione ottica, reti di trasmissione wireless, sistema di gestione delle reti e delle reti fotoniche di nuova generazione indispensabili per l'implementazione della banda larga ed extra larga del nostro Paese e nel mondo;
   Alcatel-Lucent Italia ha guidato l'affermazione di Alcatel-Lucent come leader mondiale delle reti ottiche per molti anni, confermandola anche nel 2011 come il secondo fornitore mondiale di apparati per reti ottiche;
   a gennaio 2012 l'azienda comunicò un esubero di 490 lavoratori a seguito della decisione della nuova multinazionale di interrompere lo sviluppo degli apparati ottici in Italia, spostando l'attività nel Nord America e grazie all'intervento diretto del Ministro Passera nei confronti del CEO di Alcatel-Lucent Italia nel giugno 2012 si è sottoscritto un accordo al Ministero dello sviluppo economico che ha portato ad una significativa riduzione degli esuberi e dei costi, tutti caricati sulle spalle dei lavoratori con esuberi gestiti in vista di un rilancio dell'attività di Alcatel-Lucent Italia;
   ad oggi l'azienda non ha rispettato l'accordo, non ha presentato un nuovo piano industriale e ha continuato il trasferimento di attività delle reti ottiche sul Nord America proseguendo verso un disimpegno della sua presenza in Italia;
   in primo luogo le vite di diverse centinaia di persone sono messe in crisi dall'incertezza del proprio futuro e contestualmente esiste il rischio concreto di perdere competenze di prim'ordine in un settore strategico nello sviluppo del Paese –:
   quali siano le informazioni in possesso del Governo in merito;
   quali iniziative si intenda prendere per rilanciare questo settore strategico per il Paese;
   quali progetti di politiche industriali si intendano realizzare in questo campo;
   a che punto sia il finanziamento di «Agenda digitale», elemento chiave dell'accordo di giugno 2012. (4-00193)

  Risposta. — La situazione di Alcatel-Lucent, multinazionale leader nella telefonia fissa e mobile, a seguito di una serie di decisioni aziendali che hanno modificato la strategia del gruppo relativamente ai modelli di business, sta evolvendo molto rapidamente.
  Ciò si riflette fortemente sull'insieme dei siti italiani che svolgono sia attività di ricerca che attività produttiva in senso stretto.
  Il Governo segue con molta attenzione l'evolversi della situazione che interessa i siti italiani di Alcatel-Lucent. Già nello scorso anno, e precisamente nel gennaio 2012, l'azienda aveva dichiarato un esubero di circa 400 lavoratori annunciando l'intenzione di spostare l'attività svolta nei siti italiani nel Nord America. In quell'occasione il Governo aveva attivato un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico.
  Gli impegni assunti da Alcatel verso gli impianti italiani nell'accordo sottoscritto nel giugno 2012 – che prevedeva un sostanziale rovesciamento della strategia annunciata nel precedente mese di gennaio con importanti nuovi investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo – sono stati del tutto disattesi.
  Il nuovo piano di rilancio
(shift plan), i cui contorni peraltro non appaiono ancora del tutto chiari, presentato nello scorso mese di giugno dal nuovo CEO Michel Combes, prevede di fatto una riduzione delle attività di ricerca e sviluppo in Italia.
  L'incontro previsto lo scorso 15 luglio fra l'amministratore delegato di Alcatel- Lucent e il Ministro Zanonato non si è svolto in quanto l'azienda ha chiesto più tempo per poter mettere a punto l'annunciato piano di rilancio e, pertanto, ha avanzato la richiesta di posticipare l'incontro alla fine del mese di settembre.
  Il Governo ha preso atto con favore dell'intenzione dell'azienda di predisporre questo nuovo piano di rilancio e ha cercato di anticipare almeno alla metà del mese di settembre l'incontro previsto, assicurando l'intenzione di esaminare con attenzione la situazione degli stabilimenti italiani, al fine di evitare innanzitutto la dispersione delle elevate competenze professionali e di tutelare adeguatamente gli attuali livelli occupazionali. Al riguardo, si segnala che le misure in materia di agenda digitale contenute, da ultimo, nel decreto-legge n. 69 del 2013, in corso di approvazione al Senato, potranno rappresentare una preziosa occasione per affrontare anche la tematica relativa alle prospettive industriali degli stabilimenti italiani di Alcatel-Lucent.
  Resta, pertanto, l'impegno da parte del Ministero dello sviluppo economico a seguire con attenzione gli ulteriori sviluppi della vicenda, anche alla luce degli esiti dell'incontro che si svolgerà il prossimo settembre con il CEO di Alcatel-Lucent.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.