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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 24 settembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 183, comma 1, lettera cc), del codice dell'ambiente, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, reca la definizione di combustibile solido secondario: «il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l'applicazione dell'articolo 184-ter, il combustibile solido secondario, è classificato come rifiuto speciale»;
    nella Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2013, n. 62, è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», che prima dell'emanazione è stato preventivamente notificato alla Commissione europea ed è stato approvato decorso il termine di «stand still»;
    come indicato nel titolo, il regolamento attua, dunque, l'articolo 184-ter (rubricato «Cessazione dalla qualifica di rifiuto») del codice dell'ambiente, stabilendo, nel rispetto degli standard di tutela ambientale e della salute, le condizioni alle quali alcune tipologie di combustibile solido secondario cessano di essere rifiuti e sono da considerare, a tutti gli effetti, un prodotto (la cosiddetta end of waste ai sensi della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti);
    nel regolamento sono, dunque, definite le condizioni e i requisiti in base ai quali, dalle operazioni di trattamento di specifiche tipologie di rifiuti, si ottiene il prodotto denominato combustibile solido secondario, nonché le relative condizioni di utilizzo in alcune specifiche tipologie di impianti industriali (cementifici e centrali termoelettriche) ritenute idonei, al fine di rispettare gli standard di tutela dell'ambiente e della salute umana;
    in particolare, sotto il profilo della tutela dell'ambiente e della salute, il decreto n. 22 del 2013 stabilisce che il combustibile solido secondario può essere utilizzato solo in impianti che rispettano le condizioni di esercizio stabilite nel decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, in materia di co-incenerimento di rifiuti, che ha recepito nell'ordinamento nazionale la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2000, 2000/76/CE, sull'incenerimento dei rifiuti;
    pertanto, l'utilizzo del combustibile solido secondario deve, comunque, rispettare i valori limite di emissioni in atmosfera indicati o calcolati secondo quanto descritto nell'allegato 2 del citato decreto legislativo n. 133 del 2005;
    per poter procedere all'utilizzo del combustibile solido secondario, inoltre, gli impianti devono rispettare anche le prescrizioni, più restrittive, contenute nella rispettiva autorizzazione integrata ambientale: ai sensi dell'articolo 13 del decreto n. 22 del 2013, infatti, possono utilizzare combustibile solido secondario solo gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, obbligati, come tali, al rispetto delle migliori tecnologie disponibili (best available techniques, bat);
    in materia di emissioni dei cementifici e di eventuali variazioni della loro tipologia, numerosi sono gli studi che analizzano gli effetti dell'utilizzo di combustibili alternativi nei cementifici; da ultimo, nel 2011, uno studio condotto dal «Network for business sustainability» (Canada) in collaborazione con il Politecnico di Bari (facoltà di ingegneria meccanica) ha raffrontato le pubblicazioni internazionali in materia. Sono stati giudicati rilevanti ai fini dello studio più di 110 articoli tecnici, rapporti di associazioni internazionali di ricerca e organizzazioni governative, pubblicazioni di ricercatori universitari, life cycle analysis, la maggior parte dei quali conclude che le emissioni dai camini di anidride carbonica, ossido di azoto, diossido di zolfo, metalli, diossine e furani sono generalmente inferiori rispetto a quelle generate con l'utilizzo di combustibili fossili;
    sulla questione, in particolare delle diossine generate nel processo di combustione, i processi di combustione che avvengono a temperature molto elevate, quali quelli dei cementifici, e l'utilizzo del combustibile solido secondario con dosaggi e proporzioni prestabilite e controllate non favoriscono la formazione di diossine, quanto, invece, la distruzione e la completa ossidazione delle molecole inquinanti di natura organica eventualmente presenti; con riferimento agli ossidi di azoto, l'istruttoria del decreto ministeriale si è basata su esperienze tecniche condotte in Italia e in tutta Europa che evidenziano una diminuzione dei livelli emissivi in caso di utilizzo di combustibile solido secondario, come rilevato anche dal Politecnico di Torino (Genon, Brizio, 2008) e dalla provincia di Cuneo (settore tutela ambiente, atti Forum PA 2009);
    il bilancio emissivo e ambientale preso a riferimento per la stesura del decreto ministeriale n. 22 del 2013 è risultato, complessivamente, a favore dell'impiego del combustibile solido secondario nei cementifici, sia sotto l'aspetto del miglioramento dell'impatto emissivo degli stessi rispetto alla normale conduzione con combustibili fossili, sia sotto l'aspetto dell'eliminazione delle emissioni del processo di incenerimento, sia, in particolare, per quanto riguarda gli impatti della messa in discarica dei rifiuti altrimenti non impiegati nella filiera di produzione ed utilizzo del combustibile solido secondario;
    inoltre, è necessario ricordare che la produzione e l'utilizzo del combustibile solido secondario sono soggetti non solo a tutte le attività di controllo previste dall'ordinamento, ma anche a una serie di ulteriori e specifici controlli previsti nello stesso decreto ministeriale n. 22 del 2013;
    la produzione dei rifiuti ha mostrato, negli ultimi decenni, una crescita vertiginosa: dalla metà degli anni ’90 ad oggi, quella italiana è quasi raddoppiata, con conseguenze naturalmente molto gravi dal punto di vista ambientale e della salute, in particolare perché la maggior parte dei rifiuti prodotti è sottoposta a smaltimento in discarica; nel 2010, in base ai dati Ispra, oltre 17,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani sono stati smaltiti in discarica; nel 2009, sono stati prodotti 128,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali totali e la quota di rifiuti speciali destinata al recupero di energia rappresenta solo l'1,5 per cento, mentre il 9,6 per cento è la quota di rifiuti speciali destinata allo smaltimento in discarica;
    in Italia, tra l'altro, alla questione della produzione e dello smaltimento dei rifiuti si lega un problema molto grave, quello dello smaltimento illegale di rifiuti industriali, che rappresenta un pericoloso campo d'attività delle ecomafie e uno tra i business illegali più redditizi; naturalmente, ciò ha gravi ripercussioni nel campo della sicurezza ambientale e sanitaria, dal momento che i rifiuti, anziché essere trattati e gestiti secondo le norme di legge, finiscono per essere fonte di inquinamento dell'aria, di contaminazione delle acque sotterranee, di inquinamento dei fiumi e delle coltivazioni agricole, rischiando di contaminare con metalli pesanti, diossine e altre sostanze cancerogene anche i prodotti alimentari;
    il problema dello smaltimento dei rifiuti in Italia e le emergenze che in molti casi vi sono connesse richiedono la predisposizione di una politica complessiva in materia, con le soluzioni integrate che tengano in debita considerazione gli obiettivi fissati anche a livello europeo e la «gerarchia» indicata nella normativa in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti, in particolare, la direttiva 2008/98/CE: dalla prevenzione, alla preparazione per il riutilizzo, al riciclaggio, al recupero (tra cui, appunto, il recupero di energia) e, infine, come soluzione ultima, lo smaltimento;
    è compito di ciascuno Stato membro adottare quelle misure che favoriscano il miglior risultato ambientale complessivo e, a tale fine, ai sensi dell'articolo 4, secondo comma, della stessa direttiva, può essere necessario che flussi di rifiuti specifici «si discostino dalla gerarchia laddove ciò sia giustificato dall'impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti»;
    l'enorme produzione di rifiuti, in particolare nella situazione italiana, richiede dunque la gestione di un regime transitorio che permetta lo sviluppo compiuto delle politiche e delle azioni necessarie a garantire la soluzione di lungo termine al problema, attraverso la riduzione della produzione di rifiuti, il riuso, l'aumento della raccolta differenziata e del riciclo, consentendo di risparmiare materie prime e ridurre l'uso delle discariche – e, quindi, anche lo sfruttamento e l'inquinamento del suolo – ed effettivamente costruire un ciclo dei rifiuti integrato, virtuoso e sostenibile;
    pur essendo prioritario massimizzare il riciclo e le politiche di prevenzione nella produzione, è altresì importante iniziare ad utilizzare il combustibile solido secondario in parziale co-combustione negli impianti industriali esistenti, proprio al fine di sostituire una parte dei combustibili fossili e inquinanti utilizzati fino ad oggi, tra i quali petroleum coke, polverino di carbone ed altri;
    tale scelta permette, tra l'altro, di limitare il ricorso alle discariche e agli inceneritori, evitando di inchiodare il ciclo dei rifiuti all'opzione meno preferibile (smaltimento) con il rischio di bloccare le possibilità di sviluppo del riciclaggio o delle politiche di prevenzione;
    in concreto, l'effetto dell'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non ha tali effetti negativi sullo sviluppo della raccolta differenziata: da un lato, la disciplina europea e quella nazionale impongono comunque obiettivi minimi di raccolta differenziata che devono essere rispettati; dall'altro, la raccolta differenziata della frazione umida potrebbe, al contrario, essere incentivata. In tal senso, l'articolo 6, secondo comma, del decreto ministeriale n. 22 del 2013 richiama espressamente l'articolo 179 del codice dell'ambiente, proprio al fine di evitare che la produzione del combustibile solido secondario avvenga nel mancato rispetto della gerarchia indicata a livello europeo nella gestione dei rifiuti;
    il ciclo integrato dei rifiuti prevede che il recupero energetico si effettui a valle del processo di corretta raccolta e riciclo dei rifiuti, ovvero sulla percentuale del 25-30 per cento restante;
    tale percentuale va poi trattata: il combustibile solido secondario è, infatti, un tipo di combustibile prodotto dai rifiuti non pericolosi e ottenuto attraverso un complesso e controllato processo di produzione. Per essere classificato come combustibile solido secondario, il combustibile da rifiuti deve possedere determinate caratteristiche e parametri qualitativi, che sono prescritti nelle norme tecniche europee che regolamentano il suo processo produttivo;
    l'utilizzo di rifiuti nei cementifici è una pratica largamente diffusa ed è riconosciuta a livello europeo come best available technique, favorendo la riduzione delle emissioni di gas serra nonché di anidride carbonica prodotte dalle discariche; nei Paesi europei più avanzati, il tasso di sostituzione termica dei combustibili fossili con i combustibili solidi secondari nelle cementerie ha raggiunto nel 2011: l'83 per cento in Olanda, il 62 per cento in Germania, il 63 per cento in Austria, il 40 per cento in Polonia, il 30 per cento in Francia, il 22 per cento in Spagna (dati aggiornati al 2011 in base alle fonti ufficiali Aitec). Nel 2012, solo il 10 per cento dell'energia termica necessaria per la produzione del cemento in Italia proviene da fonti energetiche alternative, il restante 90 per cento circa è ottenuto con l'utilizzo di combustibili fossili non rinnovabili;
    la gestione dell'utilizzo del combustibile solido secondario ha alimentato, insieme ad un ampio dibattito, alcune preoccupazioni riguardo all'impatto delle emissioni sui livelli di tutela dell'ambiente e della salute, in particolare nelle comunità locali più prossime agli impianti,

impegna il Governo:

   ad effettuare un'approfondita comparazione in merito alle condizioni tecnologiche ed operative che disciplinano l'impiego del combustibile solido secondario in altri Paesi europei;
   ad avviare approfondimenti tecnici multidisciplinari per verificare se e a quali condizioni l'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non determina rischi per la salute e per l'ambiente, con particolare riferimento alle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma anche dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti, fuori servizio e gestione dei transitori;
   a fornire, a seguito di tali accertamenti preliminari, un quadro aggiornato sull'attuazione, da parte dei settori industriali coinvolti, del potenziale costituito dal combustibile solido secondario, fornendo anche informazioni circa i processi autorizzativi avviati a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 22 del 2013, nonché a rendere alle competenti Commissioni parlamentari ogni necessario elemento informativo relativo alle verifiche tecniche attuate e al vaglio dei risultati di tali verifiche, nonché ai dati di utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base delle comunicazioni annuali previste dall'articolo 14 del decreto ministeriale n. 22 del 2013 a carico dei produttori e degli utilizzatori di combustibile solido secondario;
   ad adottare tutte le iniziative necessarie a tutela della salute e dell'ambiente, anche integrative, o, se necessario, di modifica del decreto ministeriale n. 22 del 2013;
   a prevedere adeguati strumenti di informazione e consultazione in relazione ai progetti di utilizzo, nell'ambito dei singoli cementifici, dei combustibili alternativi, tra cui i combustibili solidi secondari, in luogo dei combustibili tradizionali (carbone, petroleum coke ed altri), in particolare prevedendo forme di coinvolgimento delle regioni interessate a tali processi;
   a garantire la completa e verificata applicazione della normativa ambientale relativa all'esercizio degli impianti di produzione di cemento a ciclo completo, nonché ad assumere iniziative normative ad hoc per garantire, altresì, la completa trasparenza e aderenza alle severe norme comunitarie in materia di emissioni, nei processi di autorizzazione, che, nel caso di istanza da parte del gestore dell'impianto di utilizzo, dovranno essere considerati dall'autorità competente uno ad uno;
   a procedere rapidamente alla costituzione del comitato di vigilanza e controllo previsto all'articolo 15 del decreto ministeriale n. 22 del 2013, avente il compito di garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del combustibile solido secondario ai fini di una maggiore tutela ambientale – nonché la verifica dell'applicazione di criteri di efficienza, efficacia ed economicità, di intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza del pubblico informazioni utili o opportune in relazione alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base dei dati trasmessi dai produttori e dagli utilizzatori di cui all'articolo 14 del medesimo decreto, nonché di assicurare il monitoraggio sull'attuazione della disciplina dettata dal decreto, garantire l'esame e la valutazione delle problematiche collegate, favorire l'adozione di iniziative finalizzate all'applicazione uniforme e coordinata del regolamento e sottoporre eventuali proposte integrative o correttive della normativa;
   a rafforzare con ogni strumento a disposizione, in particolare in materia di emissioni inquinanti, il processo di costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali in tempo reale, al fine di garantire ai cittadini effettive ed efficaci forme di tutela della salute e assieme dell'ambiente, anche attraverso iniziative dirette a perseguire precise procedure tecniche che impongano agli operatori l'obbligo di rendere disponibili on line i dati raccolti;
   a definire linee guida atte a verificare che gli impianti utilizzatori del combustibile solido secondario posseggano tecnologie di processo e di trattamento degli effluenti gassosi, liquidi e solidi, tali da garantire la qualità e la quantità delle emissioni nel rispetto delle normative di settore;
   nel rispetto del decreto ministeriale n. 22 del 2013, a mettere in atto misure che evitino che gli standard di qualità ambientali definiti dalle vigenti normative siano raggiunti attraverso meri effetti di diluizione del combustibile solido secondario con i tradizionali combustibili.
(1-00191) «Borghi, Matarrese, Carrescia, Arlotti, Mariastella Bianchi, Braga, Bratti, Cominelli, Dallai, Decaro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Moretto, Realacci, Giovanna Sanna, Zardini, D'Agostino».


   La Camera,
   premesso che:
    il 14 marzo 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni»;
    per combustibile solido secondario si intende «il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l'applicazione dell'articolo 184-ter, il combustibile solido secondario, è classificato come rifiuto speciale» (articolo 183, primo comma, lettera cc), del codice dell'ambiente, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
    il citato regolamento, in applicazione dell'articolo 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce:
     a) i criteri specifici da rispettare affinché determinate tipologie di combustibile solido secondario cessino di essere qualificate come rifiuto;
     b) le procedure e le modalità affinché le fasi di produzione e utilizzo del combustibile solido secondario, ivi comprese le fasi propedeutiche alle stesse, avvengano senza pericolo per la salute dell'uomo e senza pregiudizio per l'ambiente e, in particolare, senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora; causare inconvenienti da rumori e odori; danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente;
     c) le condizioni di utilizzo del combustibile solido secondario in alcune specifiche tipologie di impianti industriali (in primis cementifici e centrali termoelettriche), al fine di rispettare gli standard di tutela dell'ambiente e della salute umana (in particolare, quelle stabilite dal decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, in materia di co-incenerimento di rifiuti);
    l'articolo 13 del decreto n. 22 del 2013 stabilisce, inoltre, che possono utilizzare combustibile solido secondario solo gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, obbligati, come tali, al rispetto delle migliori tecnologie disponibili (best available techniques, bat);
    la questione dei combustibili solidi secondari non può prescindere dalle problematiche inerenti alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti nel nostro Paese che ha mostrato, negli ultimi decenni, una crescita vertiginosa, con gravi conseguenze dal punto di vista ambientale e della salute, in particolare perché la maggior parte dei rifiuti prodotti è tuttora smaltita in discarica;
    la quantità di rifiuti costituisce un problema ambientale e territoriale comune a tutti i Paesi industrializzati, ma con connotati più gravi per l'Italia e, in particolare, per alcune aree del nostro Paese che fanno ancora ampio ricorso allo smaltimento in discariche, di cui molte, fra l'altro, in via di esaurimento;
    la prassi dello smaltimento in discarica rappresenta – come ricordato dal Sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare Cirillo, in occasione dell'omologo dibattito già svoltosi al Senato della repubblica sui combustibili solidi secondari il 12 settembre 2013 – non soltanto un potenziale rischio ambientale, ma anche un enorme spreco di risorse materiali ed energetiche quali sono i materiali che possono essere ottenuti, previa effettuazioni di recupero, dai rifiuti;
    una seria politica complessiva in materia deve tener conto degli obiettivi fissati anche a livello europeo e della «gerarchia» del trattamento dei rifiuti indicata nella direttiva 2008/98/CE, al fine di favorire il miglior risultato ambientale complessivo, anche discostandosi, ove necessario, dalla citata gerarchia «laddove ciò sia giustificato dall'impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti»;
    l'obiettivo di garantire una soluzione al problema dei rifiuti, costruendo un ciclo dei rifiuti integrato, virtuoso e sostenibile – attraverso la riduzione della produzione degli stessi, il loro riuso, l'aumento della raccolta differenziata e del riciclo che consenta il risparmio di materie prime e la riduzione dell'uso delle discariche – non è in contrasto con l'utilizzo di combustibile solido secondario in parziale co-combustione negli impianti industriali esistenti che soddisfino stringenti requisiti tecnici, con lo scopo, da un lato, di sostituire una parte dei combustibili fossili e inquinanti utilizzati fino ad oggi e, dall'altro, di limitare il ricorso alle discariche e agli inceneritori, senza incidere negativamente per questo sullo sviluppo della raccolta differenziata (per la quale la disciplina nazionale e comunitaria impongono obiettivi minimi di raccolta);
    da un corretto processo di raccolta e riciclo dei rifiuti non pericolosi è possibile un forte recupero energetico dalla percentuale restante (25-30 per cento), purché opportunamente trattata attraverso un complesso e controllato processo di produzione, che consenta di ottenere un combustibile con determinate caratteristiche e parametri qualitativi rigidamente prescritti nelle norme tecniche europee;
    l'utilizzo di rifiuti nei cementifici è una pratica largamente diffusa ed è riconosciuta a livello europeo. Nel 2011 nei Paesi europei più avanzati, il tasso di sostituzione termica dei combustibili fossili con i combustibili solidi secondari nelle cementerie ha raggiunto l'83 per cento in Olanda, il 62 per cento in Germania, il 63 per cento in Austria, il 40 per cento in Polonia, il 30 per cento in Francia, il 22 per cento in Spagna (dati aggiornati al 2011 in base alle fonti ufficiali Aitec);
    in Italia esiste un mercato per la produzione e l'utilizzo di determinate tipologie di combustibili solidi secondari, ma ad oggi solo il 10 per cento dell'energia termica necessaria per la produzione del cemento in Italia proviene da fonti energetiche alternative, il restante 90 per cento circa è ottenuto con l'utilizzo di combustibili fossili non rinnovabili;
    è necessario promuovere la produzione e l'utilizzo di combustibili solidi secondari di alta qualità da utilizzare, a determinate condizioni, in sostituzione di combustibili convenzionali per finalità sia ambientali che economiche, con l'obiettivo di contribuire alla riduzione delle emissioni inquinanti, all'incremento dell'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili mediante l'utilizzo sostenibile a scopi energetici della biomassa contenuta nei rifiuti, ad un più elevato livello di recupero dei rifiuti, nel rispetto della «gerarchia di trattamento» come disciplinato dalla normativa comunitaria;
    il dibattito sulla produzione e l'utilizzo del combustibile solido secondario ha destato, in particolare nelle comunità locali più prossime agli impianti, forti preoccupazioni riguardo all'impatto delle emissioni sui livelli di tutela dell'ambiente e della salute. Risulta, pertanto, necessario adottare tutte le iniziative volte ad aumentare la fiducia in relazione all'utilizzo di detti combustibili e fornire, con riferimento alla produzione e all'utilizzo di combustibile solido secondario, chiarezza giuridica e certezze scientifiche, in particolare riguardo alle emissioni dei cementifici e alle eventuali variazioni della loro tipologia,

impegna il Governo:

   ad avviare approfondimenti tecnico-scientifici multidisciplinari volti a verificare se e a quali condizioni l'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non determini rischi per la salute e per l'ambiente in tutte le fasi d'esercizio degli impianti, tenendo conto anche delle esperienze degli altri Paesi europei;
   a valutare, anche sulla scorta degli approfondimenti sopra richiamati, se continuino a sussistere le condizioni per mantenere un iter procedurale semplificato nonostante l'oggettiva complessità della questione;
   ad adottare tutte le iniziative necessarie a tutela della salute e dell'ambiente, anche integrative, o, se necessario, di modifica del decreto ministeriale n. 22 del 2013;
   a fornire alle competenti Commissioni parlamentari ogni necessario elemento informativo relativo alle verifiche tecniche attuate e al vaglio dei risultati di tali verifiche, nonché ai dati di utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base delle comunicazioni annuali previste dall'articolo 14 del decreto ministeriale n. 22 del 2013, a carico dei produttori e degli utilizzatori di combustibile solido secondario, nonché un quadro aggiornato sui processi autorizzativi avviati a seguito dell'entrata in vigore del citato decreto n. 22 del 2013;
   a definire linee guida che specifichino le tecnologie di processo e di trattamento degli effluenti gassosi, liquidi e solidi degli impianti che utilizzano combustibile solido secondario, volte a garantire la qualità e la quantità delle emissioni nel rispetto delle normative di settore;
   a intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza delle popolazioni interessate tutte le informazioni relative alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario;
   a prevedere adeguati strumenti di informazione e consultazione in relazione ai progetti di utilizzo, nell'ambito dei singoli cementifici, dei combustibili alternativi, tra cui i combustibili solidi secondari, in luogo dei combustibili tradizionali (carbone, petroleum coke ed altro), in particolare prevedendo forme di coinvolgimento delle regioni interessate a tali processi;
   a garantire la completa e verificata applicazione della normativa ambientale relativa all'esercizio degli impianti di produzione di cemento a ciclo completo, nonché ad assumere iniziative normative ad hoc per garantire, altresì, la completa trasparenza e aderenza alle severe norme comunitarie in materia di emissioni, nei processi di autorizzazione, che, nel caso di istanza da parte del gestore dell'impianto di utilizzo, dovranno essere considerati dall'autorità competente uno ad uno;
   a procedere alla costituzione del comitato di vigilanza previsto dall'articolo 15 del decreto ministeriale n. 22 del 2013 con il compito di:
    a) garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del combustibile solido secondario ai fini di una maggiore tutela ambientale;
    b) garantire la verifica dell'applicazione di criteri di efficienza, efficacia ed economicità;
    c) promuovere la cooperazione ed il coordinamento tra tutti i soggetti interessati alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario;
    d) esaminare il livello qualitativo e quantitativo della produzione e dell'utilizzo del combustibile solido secondario;
    e) intraprendere idonee iniziative di informazione in relazione alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario;
    f) assicurare il monitoraggio sull'attuazione della disciplina vigente;
    g) garantire l'esame e la valutazione delle problematiche collegate;
    h) favorire l'adozione di iniziative finalizzate a garantire applicazione uniforme e coordinata del regolamento e sottoporre eventuali proposte integrative o correttive della normativa;
   a rafforzare con ogni strumento a disposizione, in particolare in materia di emissioni inquinanti, il processo di costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali in tempo reale, al fine di garantire ai cittadini effettive ed efficaci forme di tutela della salute e assieme dell'ambiente, anche con la prescrizione di precise procedure tecniche che impongano agli operatori l'obbligo di rendere disponibili on line i dati raccolti;
   nel rispetto del decreto ministeriale n. 22 del 2013, a mettere in atto misure che evitino che gli standard di qualità ambientali definiti dalle vigenti normative siano raggiunti attraverso meri effetti di diluizione del combustibile solido secondario con i tradizionali combustibili;
   a valutare l'opportunità, in coerenza con quanto affermato dal rappresentante del Governo in occasione dell'omologo dibattito sulle mozioni relative all'utilizzo dei combustibili solidi secondari, svoltosi al Senato della Repubblica il 12 settembre 2013, di procedere alla riduzione dell'utilizzo delle discariche, con particolare riferimento al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti in condizioni emergenziali.
(1-00192) «Alli, Vella, Latronico, Distaso, Castiello, Baldelli, Dorina Bianchi».

Risoluzione in Commissione:


   La XII e la XIII Commissione,
   premesso che:
    il 19 giugno il dipartimento della salute britannico ha annunciato l'introduzione di un nuovo sistema volontario di etichettatura nutrizionale basato sulla colorazione semaforica (verde-giallo-rosso) del packaging dei prodotti alimentari;
    tale iniziativa britannica ha suscitato forti preoccupazioni nell'industria agroalimentare italiana poiché molti dei prodotti più rinomati del made in Italy, sulla base del contenuto di sale, zuccheri e grassi, verrebbero etichettati col bollino rosso con conseguenti evidenti danni economici e d'immagine;
    contro l'introduzione di questo sistema si sono espresse le maggiori sigle dei produttori alimentari italiani e anche associazioni di altri Paesi, in particolare del Sud Europa;
    il mercato britannico è il quarto nel mondo per la nostra industria alimentare e vale nel complesso 2 miliardi e 250 milioni di euro (dati 2012). Nei primi 5 mesi del 2013 l’export alimentare italiano nel Regno Unito sta già rallentando rispetto al 2012, mentre a livello mondiale segna un + 8-9 per cento. L'aspettativa del bollino rosso e la cattiva immagine da esso determinata influiscono sui prodotti italiani, ancor prima dell'entrata in vigore del provvedimento;
    ovviamente questo scenario vede penalizzati innanzitutto i prodotti alla base della dieta mediterranea, il cui valore come «patrimonio immateriale dell'umanità» è stato ufficialmente riconosciuto dall'Unesco nel 2010: un vero attacco alla tradizione agroalimentare del Sud;
    dal punto di vista nutrizionale il sistema di etichettatura britannico non trova alcun fondamento scientifico, poiché, introducendo codici di colore su confezioni di 100 grammi di prodotto, determina in modo semplicistico una divisione tra prodotti alimentari buoni (verdi) e cattivi (rossi), fornendo al consumatore una informazione distorta ed in contrasto con l'assunto che «non esistono alimenti buoni o cattivi ma regimi alimentari corretti e non corretti» da sempre sostenuto dai nutrizionisti;
    trasferendo le precedenti direttive sull'etichettatura nel regolamento (UE) 1169/2011 la Commissione europea ha razionalizzato e armonizzato la legislazione'europea sulle informazioni al consumatore, al fine di garantire il buon funzionamento del mercato interno. Alla luce di ciò lo schema britannico appare in palese contrasto con gli obiettivi di armonizzazione del suddetto regolamento dell'Unione europea e rappresenta un pericoloso precedente che potrebbe preludere alla proliferazione di una molteplicità di differenti schemi nazionali;
    la creazione di modelli nazionali di etichettatura creerebbe forti difficoltà economiche e logistiche alle aziende, che si troverebbero costrette a gestire etichette diverse per ogni Paese;
    il Governo britannico, peraltro, non ha notificato all'Unione europea l'introduzione del nuovo sistema di etichettatura;
    il Governo italiano ha formalmente espresso la propria posizione contraria all'iniziativa britannica con una lettera trasmessa il 29 luglio 2013 dal Ministro della salute Lorenzin al Commissario europeo per la salute e i consumatori, Tonio Borg;
    si è appreso che il Commissario Borg ha inviato una risposta deludente, in cui si nega il coinvolgimento diretto del Governo britannico quale «parte contraente» di un accordo relativo al sistema di etichettatura in questione, negando che esso costituisca una «regola tecnica de facto» (lo schema inglese è volontario, ma l'adesione dei distributori britannici è altissima) e dichiarando quindi l'inapplicabilità al caso di specie della direttiva (UE) 98/34 sulle «norme e regole tecniche»;
    sembra tuttavia che la Commissione intenda verificare che la misura in questione «non crei ostacoli alla libera circolazione dei beni, come previsto dall'articolo 35.1.g del Regolamento UE 1169/2011». In effetti, tale articolo del regolamento, relativo alle informazioni ai consumatori sui prodotti alimentari, stabilisce che le autorità degli Stati membri possano raccomandare ulteriori forme aggiuntive e volontarie di etichettatura nutrizionale solo se vengono rispettate le condizioni dettate dal sopracitato articolo, una delle quali è appunto di non creare ostacoli alla libera circolazione dei beni;
    il 4 ottobre 2013 è in calendario a Bruxelles un'importante riunione della sezione «General Food Law» dello «Standing Commitee on the Food Chain», competente per tutte le questioni relative all'implementazione del regolamento (UE) 1169/2011 sull'etichettatura nutrizionale,

impegna il Governo:

   ad intervenire presso la Commissione europea per una rapida verifica sia sulla compatibilità del suddetto sistema di etichettatura inglese con la normativa europea relativa alle indicazioni nutrizionali degli alimenti, particolarmente rigorosa, sia sul rispetto da parte del Governo britannico dell'obbligo di previa notifica previsto per l'introduzioni di nuove regolamentazioni in materia di etichettatura;
   a dare mandato alla rappresentanza permanente italiana a Bruxelles di sensibilizzare le altre rappresentanze europee per promuovere una seria valutazione dell'iniziativa inglese, in quanto suscettibile di determinare ostacoli alla libera circolazione dei prodotti alimentari, in primo luogo in sede di riunione della sezione «General food law» dello «Standing Commitee on the Food Chain», prevista per il 4 ottobre 2013;
   a tutelare in ogni modo l'immagine e il valore economico dell’export agroalimentare dei prodotti made in Italy, evitando che i sistemi di etichettatura volontaria siano utilizzati a fini discriminatori e distorsivi del mercato nei confronti delle imprese agricole e agroalimentari italiane.
(7-00108) «Taricco, Biondelli, Covello, Casati, Coccia, Manzi, De Menech, Mongiello, Ferrari, Dal Moro, Marchetti, Lenzi, Senaldi, Marantelli, Rughetti, Carra, Cinzia Maria Fontana, Arlotti, Cova, Rubinato, Tartaglione, Gribaudo, Bargero, Carbone, Marco Di Stefano, Fregolent, Capone, Zanin, Bobba, Taranto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'interno, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2013 il sindaco di Roma ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio chiedendo la sospensione degli sfratti; a Roma ci sono centinaia di famiglie che in esecuzione dello sfratto rimarrebbero senza alcun tipo di alloggio in un periodo di crisi economica;
   gli sfratti per le locazioni private si sommerebbero a quelle degli enti che hanno avviato procedure di alienazione del patrimonio;
   tale situazione potrebbe creare una vera e propria emergenza sociale, che si sommerebbe all'attuale crisi economica colpendo anche soggetti appartenenti a fasce disagiate che, tolta la casa, rimarrebbero senza alcun tipo di tutela –:
   se il Governo non intenda assumere al più presto iniziative normative per la sospensione degli sfratti per tutte le tipologie di locazioni abitative, con ciò permettendo a Roma Capitale di attuare in tempi compatibili una politica per la casa indirizzata alle fasce disagiate delle città;
   se il Governo intenda, nella prossima manovra finanziaria, procedere al rifinanziamento del fondo sociale per l'affitto.
(2-00220) «Campana, Argentin, Bonaccorsi, Madia, Mazzoli, Marco Di Stefano, Ferro, Miccoli, Stumpo, D'Attorre, De Maria, Morassut, Marroni, Cuperlo, Carella, Meta, Tidei, Orfini, Giachetti, Roberta Agostini, Gregori, Bossa, Speranza, Realacci, Causi, Verini, Mariano, Chaouki, Bellanova, Mogherini, Gasbarra».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il consiglio di amministrazione di Alitalia – Compagnia Aerea Italia spa guidato dal nuovo amministratore delegato Gabriele del Torchio, ha rinviato a fine settembre l'approvazione della relazione sui conti del primo semestre 2013; il rinvio, secondo fonti giornalistiche, potrebbe essere dovuto alla necessità di valutare meglio sia le ipotesi di ricapitalizzazione, sia la ricerca di rifinanziamenti dalle banche per circa 350 milioni di euro: pare infatti che i soci italiani siano restii a un nuovo esborso e che la compagnia abbia necessità di una liquidità di almeno 400 milioni di euro per poter scongiurare il fallimento;
   in particolare, nel primo trimestre 2013, le perdite sarebbero aumentate da 131 milioni a 157 milioni di euro; sarebbero inoltre finiti i 95 milioni di euro raccolti tra i soci con un prestito obbligazionario;
   i quotidiani riportano in questi giorni la notizia che Alitalia potrebbe essere acquistata da Air France – KLM attraverso prima un aumento di capitale da parte dei soci e poi una progressiva acquisizione del controllo della ex compagnia di bandiera, che verrebbe trasformata in questo modo in un vettore regional in particolare, sembrerebbe che Air France voglia aumentare la partecipazione in Alitalia rimanendo tuttavia sotto la soglia del 50 con una spesa di appena 100 milioni di euro, a patto di avere totale autonomia nella determinazione delle rotte e degli organici. I soci italiani, secondo la quasi unanimità degli osservatori sarebbero interessati esclusivamente a cedere le proprie quote azionarie quanto prima, scadendo il 28 ottobre 2013 il lock up che ha vincolato per cinque anni i soci entrati nella compagnia nel 2009;
   di recente, Alitalia – Cai spa ha abbattuto il proprio passivo a danno dei frequent flyers; dopo aver posto un limite temporale (30 giugno) alla possibilità di riscattare le miglia accumulate nel programma di fidelizzazione 2008-2012, ha reso nei fatti impossibile l'utilizzo delle stesse; contattando il call center, infatti, i biglietti premio risultavamo sempre esauriti; a ciò si aggiunga che le soluzioni alternative proposte (traslazione delle miglia al nuovo programma 2012 – 2015; conversione in un voucher), risultavano fortemente dannose per frequent flyers creditori: in caso di traslazione venivano decurtate della metà, in caso di conversione in un voucher lo stesso poteva essere utilizzato per un solo acquisto, con casi di voucher di migliaia di euro utilizzati per l'acquisto di un biglietto del valore di poche centinaia;
   la compagine azionaria di Alitalia vede tra gli altri, la presenza del gruppo Riva, che di recente ha dichiarato di voler chiudere i sette stabilimenti oggetto del sequestro preventivo da parte del GIP di Taranto nell'ambito dell'inchiesta sull'ILVA, nonché il gruppo Ligresti, rappresentato in Cda da Gioacchino Paolo Ligresti, attualmente latitante in Svizzera;
   a fine giugno 2013, con una conferenza stampa, Alitalia – CAI spa ha comunicato l'approvazione del nuovo piano industriale per il triennio 2013-2016; il suddetto documento, inaccessibile all'opinione pubblica e a questo Parlamento, traccerebbe, a detta degli estensori la road map per l'uscita dalla crisi dell'ex compagnia di bandiera; in particolare, in esso si parlerebbe della necessità di trasformare la controllata Air one in una compagnia low cost concorrente di Ryanair della trasformazione di Roma Fiumicino in un hub della compagnia, della necessita di rilanciare nuove tratte intercontinentali: tuttavia, pare che nulla sia detto a proposito del ruolo di Air France che già controlla il 24 per cento della Compagnia, della necessità di sviluppare nuove rotte verso il Sud Est Asiatico, della possibilità di rivoluzionare il timing di Fiumicino, rendendo le rotte intercontinentali appetibili a passeggeri provenienti da tutta Europa;
   il Ministro Zanonato ha di recente dichiarato che considera possibile e legittimo un intervento della Cassa Depositi e Prestiti per finanziare le imprese che hanno un valore strategico nazionale;
   ove la Cassa depositi e prestiti intervenisse per finanziare Alitalia – CAI spa si tratterebbe dell'ennesimo impiego di denaro pubblico in favore di un'impresa privata che è già costata ai contribuenti, secondo alcune stime, circa 8 miliardi di euro;
   come si ricorderà, infatti, Alitalia – Linee aeree italiane spa controllata dal Ministero del Tesoro, dopo aver ricevuto un prestito ponte di 300 milioni di euro, nel 2008 é stata trasformata in bad company; i soli asset produttivi (aerei e slot), del valore di circa 1,8 miliardi di euro, sono stati venduti alla «cordata» di imprenditori italiani per un prezzo stimato di circa 1,052 miliardi di euro, di cui solo 100 milioni (secondo fonti giornalistiche) risultano essere stati effettivamente sborsati;
   dalla suddetta cessione, oltre che i cittadini nel loro complesso, sono stati danneggiati i lavoratori di Alitalia, con la cancellazione di circa 7.600 posti di lavoro, e con l'assurdo del mancato transito dei lavoratori da Alitalia – Linee Aeree Italiane spa ad Alitalia – C.a.i. S.p.a.; si è proceduto, infatti, in violazione dell'articolo 2112 del codice civile, tramite il cosiddetto «lodo Letta», ad una nuova assunzione da parte della società cessionaria;
   il trasporto aereo rappresenta uno degli elementi principali necessari per rilanciare il Paese in ambito europeo e mondiale; l'Italia non può permettersi di avere una compagnia regionale mal gestita e continuamente in perdita, che la relega a un ruolo marginale rispetto a tutte gli altri Paesi;
   sul punto, il primo firmatario di questa interpellanza ha depositato una richiesta di Commissione di inchiesta parlamentare, ancora non presa in esame da questo Parlamento, con la quale si chiede che venga fatta finalmente chiarezza sul complesso degli avvenimenti che si succedettero dal 2007 al 2010, che hanno così pesantemente danneggiato l'immagine del Paese, gravato per miliardi di euro sull'erario statale e consentito che le passività di compagnie aeree private – prima tra queste Air One di Carlo Toto, fossero accollate alla fiscalità generale –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'esatta somma che la Compagnia aerea italiana S.p.a. ha pagato per poter acquisire gli asset produttivi di Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.a., tenendo ben distinto il dovuto dall'effettivamente sborsato e se ritenga in particolare, di poter confermare le fonti giornalistiche che sostengono che vi sia stato un esborso effettivo di soli 100 milioni di euro, a fronte di un prezzo di 1.052 milioni di euro e di un valore stima di 1,8 miliardi di euro;
   se il Governo sia conoscenza dei contenuti del citato piano industriale di Alitalia e quali elementi conoscitivi intenda fornire al Parlamento al riguardo, considerato che detto piano, nonostante sia stato annunciato alla stampa nazionale, risulta ancora del tutto sconosciuto sia ai cittadini che al Parlamento;
   quali informazioni il Governo intenda fornire al Parlamento sulla trattativa che il Cda di Alitalia – Cai Spa sta portando avanti con alcune compagnie estere – tra queste, pare Etihad degli Emirati Arabi Uniti e soprattutto Air France – per la cessione della stessa e, in particolare, quale ruolo l'Esecutivo intenda esattamente svolgere nell'ambito di tale negoziazione;
   quali provvedimenti urgenti intenda assumere il Governo per evitare che Alitalia – Compagnia Aerea Italiana spa fallisca, con danno enorme per i lavoratori e i cittadini venga trasformata in un vettore regionale, con grave nocumento per il sistema economico italiano;
   quali misure, in particolare, intenda assumere il Governo per evitare che la cattiva gestione di Alitalia – Compagnia Aerea Italiana spa ricada sulle spalle dei lavoratori e degli utenti;
   se sia nelle intenzioni del Governo, come dichiarato dal Ministro Zanonato, di sollecitare l'intervento della Cassa depositi e prestiti per erogare un finanziamento ad Alitalia CAI spa o per ricapitalizzare la stessa.
(2-00227) «Boccadutri, Di Lello, Airaudo, Pastorelli, Aiello, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Lavagno, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Zan, Zaratti».

Interrogazione a risposta scritta:


   DI GIOIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che negli ultimi anni la gestione del personale (dirigenziale e non) della Presidenza del Consiglio (PCM) è stata tale da determinare un copioso contenzioso che si è spesso concluso con esiti negativi per l'amministrazione;
   in particolare, si è appreso che, nonostante siano trascorsi quasi vent'anni dall'entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, che disciplina l'accesso agli atti, la Presidenza del Consiglio dei ministri rifiuta ancora l'accesso ai documenti e ciò in spregio al principio di trasparenza, intesa come «accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche» (articolo 1 del decreto legislativo 14 marzo 2013 n. 33, recante: «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni») costringendo spesso i dipendenti a ricorrere all'autorità giudiziaria per vedere riconosciuto il diritto all'accesso agli atti amministrativi necessari per la tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive;
   questo comportamento, sicuramente censurabile, oltre a comportare l'instaurarsi di un notevole contenzioso, con inutile aggravio di spese per lo Stato, è stato addirittura censurato, recentemente, dalla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi – peraltro istituita presso la stessa Presidenza del Consiglio dei ministri – che ha recentemente condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri per non avere dato esito – nei trenta giorni previsti dalla legge – all'istanza di un dirigente dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri volta ad ottenere l'accesso ai documenti ritenuti funzionali alla propria difesa processuale;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri, poi, negando sistematicamente ed in modo ingiustificato l'accesso agli atti amministrativi costringe gli istanti a ricorrere al TAR competente con aggravio di spese ed evidente danno erariale. Al riguardo e solo per citare uno degli innumerevoli casi in l'amministrazione citata ha violato i più elementari principi di trasparenza si segnala che recentemente i candidati idonei al concorso pubblico, per esami, per la copertura di 18 posti per il profilo di «specialista giuridico legale finanziario» (categoria A – parametro retributivo F1) di cui al decreto 11 novembre 2010, venuti a conoscenza della circostanza che la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva proceduto allo scorrimento della graduatoria della procedura selettiva, per complessivi 26 posti, per le progressioni verticali dalla categoria «B» alla categoria «A» indetta il 1o settembre 2010 omettendo di procedere all'assunzione, tramite analogo scorrimento della relativa graduatoria, dei suddetti idonei, hanno chiesto alla stessa amministrazione di aver accesso agli atti che avevano autorizzato l'assunzione degli «interni» idonei;
   in questo caso, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha respinto l'istanza di accesso con motivazioni che appaiono pretestuose e avverso il diniego all'accesso gli istanti hanno presentato ricorso al TAR Lazio che ha accolto il ricorso ordinando all'amministrazione di consentire l'accesso agli atti;
   a prescindere dalla sopra descritta palese violazione del principio di trasparenza risulta all'interrogante che in Presidenza del Consiglio dei ministri l'intera gestione del personale (dirigenziale e non) è stata caratterizzata, negli ultimi anni, da comportamenti la cui scorrettezza è stata rilevata dall'autorità giudiziaria competente ovvero riconosciuta dalla stessa amministrazione che, in corso di giudizio, vistasi «scoperta» ha rivisto precedenti decisioni che presentavano evidenti vizi di legittimità;
   solo per fare qualche esempio si segnalano i seguenti tre casi eclatanti sia per gli eventuali risvolti di danno erariale che vi sono connessi sia per il danno all'immagine dell'amministrazione centrale della Repubblica Italiana:
    a) la Presidenza del Consiglio dei ministri nel corso degli anni 2011 e 2012, ha provveduto all'assunzione di dirigenti di seconda fascia attingendo dalle graduatorie di idonei – non vincitori – dei concorsi espletati dalla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri negli anni 2005 e 2006. Nei mesi successivi gli idonei non assunti, preso atto che nell'attingere alle suddette graduatorie la Presidenza del Consiglio dei ministri non aveva seguito dei criteri corretti, proponevano ricorso al TAR Lazio avverso i suddetti provvedimenti di assunzione. La stessa Presidenza del Consiglio dei ministri chiamata in giudizio, consapevole di aver male operato, pur di far cessare la materia del contenere, provvedeva all'immediata assunzione dei ricorrenti con grave aggravio di spesa (e danno) per l'erario;
    b) a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (cosiddetto decreto spending review), in Presidenza del Consiglio dei ministri sono cessati – entro il 1o novembre 2012 – ben 32 incarichi dirigenziali di seconda fascia conferiti, ai sensi dell'articolo 19, commi 5-bis e 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a personale non dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri. In proposito, alcuni articoli di stampa hanno messo in risalto che nei mesi successivi la stessa Presidenza del Consiglio dei ministri, violando i principi di economicità che avevano ispirato il suddetto provvedimento normativo, ha ritenuto di dover rinnovare gli incarichi dirigenziali alle stesse professionalità esterne decadute. Il rinnovo dei suddetti incarichi dirigenziali a professionalità esterne alla stessa amministrazione, oltre a tradire lo spirito della cosiddetta spending review, è stato censurato da numerosi funzionari di ruolo della Presidenza del Consiglio dei ministri di altre amministrazioni centrali che, pur avendo una grande professionalità e essendo idonei concorsi da dirigente banditi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e le cui graduatorie sono ancora valide e pur avendo partecipato agli interpelli per la copertura delle suddette posizioni dirigenziali, non hanno visto riconosciute le proprie legittime aspettative di carriera. È inutile evidenziare che l'accoglimento, da parte dell'amministrazione, delle istanze dei suddetti funzionari volte ad ottenere l'assunzione nella qualifica dirigenziale attraverso scorrimento delle suddette graduatorie ovvero l'attribuzione di incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, avrebbe da un lato consentito di valorizzare professionalità interne con minor aggravio per la spesa pubblica considerato che si tratta di funzionari a tempo indeterminato appartenenti ai ruoli di amministrazioni centrali e, dall'altro, avrebbe evitato l'instaurarsi dell'ennesimo contenzioso;
    c) da ultimo si è appreso che recentemente, a seguito della riorganizzazione di alcune strutture, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha revocato l'incarico a un dirigente di seconda fascia dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'intervenuta soppressione della struttura (rectius: ufficio) affidatagli. Il suddetto dirigente ha impugnato il provvedimento di revoca ed il tribunale di Roma – sezione lavoro, con ordinanza del 18 gennaio 2013, ha ritenuto illegittima la revoca dell'incarico ed ha disposto il reintegro nell'incarico dirigenziale di cui era titolare. Nonostante l'intervenuta pronuncia del giudice del lavoro la Presidenza del Consiglio dei ministri, più volte sollecitata dal ricorrente vittorioso, si è rifiutata di dare esecuzione al provvedimento dell'autorità giudiziaria sostenendo, per iscritto, l'ineseguibilità dell'ordinanza cautelare;
   il predetto dirigente è stato, pertanto, costretto ad adire nuovamente il giudice del lavoro per ottenere l'esecuzione e la concreta attuazione della predetta ordinanza cautelare;
   con nuova ordinanza del 20 maggio 2013, il tribunale di Roma – sezione lavoro ha intimato alla Presidenza del Consiglio dei ministri di dare esecuzione alla precedente ordinanza, ribadendo l'obbligo di procedere al reintegro del – ricorrente nell'incarico dirigenziale di cui era titolare prima della rimozione e preso atto del rifiuto pretestuoso dell'amministrazione ha disposto che la reintegra del dirigente nel posto di lavoro avvenisse alla presenza di un ufficiale giudiziario, coadiuvato, se del caso, dalla forza pubblica;
   il dirigente-ricorrente, forte dell'ennesima pronuncia dell'autorità giudiziaria, è rientrato in servizio nella sede della Presidenza del Consiglio dei ministri sita in via della Fegatella in Laterano informando di ciò, con una nota scritta, il Cons. Alberto Stancanelli nuovo capo del dipartimento per le politiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali che, non solo si sarebbe rifiutato di dare esecuzione all'ordinanza citata ma avrebbe addirittura diffidato il più volte citato dirigente a non pretendere, l'esecuzione dell'ordinanza del tribunale di Roma – sezione lavoro che aveva disposto il suo reintegro nell'originario incarico dirigenziale;
   a questo punto il ricorrente, preso atto dell'ennesima inottemperanza dell'amministrazione all'ordine dell'autorità giudiziaria – in data 10 giugno 2013 – è stato costretto a presentarsi nella predetta sede della Presidenza del Consiglio dei ministri accompagnato dall'ufficiale giudiziario e dalla forza pubblica e solo a seguito di tale intervento è stata finalmente data esecuzione alle ordinanze in parola. Il tutto è stato ovviamente verbalizzato dall'ufficiale giudiziario –:
   se corrisponda al vero che negli ultimi anni il dipartimento per le politiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali ha adottato una serie di provvedimenti lesivi delle posizioni del proprio personale – dirigenziale e non – che ha avuto come conseguenza un aumento considerevole del contenzioso, specificando quale sia l'entità di detto contenzioso e, in particolare, il numero dei ricorsi proposti dal personale contro la Presidenza del Consiglio dei ministri negli ultimi cinque anni ed il relativo esito;
   se corrisponda al vero che il dipartimento parapolitiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali della Presidenza del Consiglio dei ministri rifiuta sistematicamente l'accesso agli atti, costringendo il proprio personale ad adire l'autorità giudiziaria per ottenere la documentazione richiesta;
   se corrisponda al vero che i vertici amministrativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, nel corso degli ultimi anni, hanno provveduto allo scorrimento delle graduatorie degli idonei nei concorsi espletati dalla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri per l'assunzione di dirigenti di seconda fascia, utilizzando criteri così poco oggettivi, da determinare l'insorgere di ricorsi giurisdizionali, ai quali è stato posto rimedio provvedendo «in corso d'opera» all'assunzione dei ricorrenti e ciò con evidente danno all'erario per l'inutile dispendio di risorse;
   se corrisponda al vero che recentemente i vertici amministrativi della Presidenza del Consiglio dei ministri si sono rifiutati di dare esecuzione ad un provvedimento giurisdizionale violando l'obbligo di applicare la legge (intesa sia come precetto normativo generale che come precetto specifico dettato dal giudice), con conseguente violazione del principio di buona amministrazione (come individuato nel provvedimento giurisdizionale) e del canone dell'imparzialità (in relazione ai propri dipendenti);
   quali siano i motivi per i quali, a causa cessazione dall'incarico di ben 32 dirigenti non appartenenti ai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri – a seguito dell'entrata in vigore del decreto spending review – la Presidenza del Consiglio dei ministri, malgrado la contestuale riorganizzazione delle strutture interne, si sia trovata in una situazione «emergenziale» di carenza di figure dirigenziali tale da indurla a ricorrere nuovamente agli stessi esterni decaduti, piuttosto che attingere alle professionalità interne, peraltro, inserite nelle graduatorie degli idonei dei concorsi espletati dalla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri per l'assunzione di dirigenti di seconda fascia graduatorie vigenti;
   se e quali provvedimenti il Presidente del Consiglio intenda intraprendere per garantire il buon andamento, l'efficienza e la trasparenza nella gestione e delle attività del dipartimento per le politiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali alla luce dei gravi fatti sopra riportati e, soprattutto, se e quali provvedimenti il Presidente del Consiglio intenda adottare nei confronti dei responsabili della gestione del personale che si sarebbero resi responsabili dei suddetti gravi comportamenti, che denotano ad avviso dell'interrogante una gestione in contrasto con i suddetti principi di buon andamento, economicità e trasparenza dell'azione amministrativa e che, addirittura, si sarebbero ripetutamente rifiutati di dare esecuzione ad un ordine impartito dall'autorità giudiziaria con grave danno all'erario e, soprattutto, con grave danno all'immagine dell'istituzione pubblica più importante della Repubblica italiana;
   per quali motivi i dirigenti di prima e di seconda fascia in servizio presso il più volte citato dipartimento che si sono resi responsabili delle suddette condotte siano stati confermati nei loro incarichi e non già assegnati ad altre funzioni come, peraltro, prevede l'articolo 3 del CCNL della dirigenza della Presidenza del Consiglio dei ministri che sancisce il principio della rotazione degli incarichi dirigenziali proprio al fine di evitare il consolidarsi nel tempo di posizioni di potere che, spesso, portano a condotte amministrative illegittime ed illecite. (4-01937)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO e FAVA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'organizzazione palestinese per i diritti umani Al Haq ha pubblicato un parere legale sul coinvolgimento di un'impresa italiana, la «Pizzarotti & C. S.p.A.» di Parma, nelle attività di traforo per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità A1 che dovrà congiungere Tel Aviv a Gerusalemme;
   secondo l'opinione legale dell'organizzazione palestinese, ci sono fondati motivi per determinare che la «Pizzarotti & C. S.p.A.» possa essere ritenuta responsabile «di atti che potrebbero procurare gravi violazioni del diritto internazionale, come i crimini di guerra di saccheggio e di distruzione e appropriazione di beni», sia ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra che dello Statuto della Corte Penale Internazionale (CPI), come riporta l'articolo pubblicato dall'edizione online de La Repubblica del 9 luglio 2013 intitolato «Israele, gli espropri per la ferrovia sui territori palestinesi occupati»;
   l'impresa italiana ha stipulato un contratto con le Ferrovie israeliane per l'escavazione di due tunnel destinati al passaggio della nuova linea ferroviaria ad alta velocità che collegherà Tel Aviv e Gerusalemme, attraversando per ben 6,5 chilometri i territori palestinesi occupati;
   la realizzazione di questi tunnel, uno dei quali sarà il più lungo mai scavato in Israele, ha già determinato la illegittima confisca di terre palestinesi a Beit Iksa, Beit Surik e Yalu, villaggi della Cisgiordania occupata;
   nel testo del parere legale approntato da Al Haq si legge che «i beni sono stati espropriati al fine di fornire un efficace sistema di trasporto ai cittadini israeliani e per favorire gli interessi economici degli appaltatori coinvolti nelle attività minerarie»;
   le attività compiute e configurabili quali crimini di guerra riguardano sia l'espropriazione delle terre confiscate che la sottrazione, «a vantaggio esclusivo della Potenza occupante e delle imprese che per questa operano sul territorio» del materiale estratto dagli scavi, contrariamente a quanto previsto dalle norme del diritto internazionale;
   la nuova infrastruttura danneggerà gli interessi della popolazione locale palestinese, la quale perderà una parte considerevole della propria terra;
   gli abitanti dei villaggi di Beit Iksa e Beit Surik, cui Israele ha già confiscato gran parte delle terre, sono perlopiù rifugiati del 1948 per la costruzione degli Insediamenti e del Muro;
   l'azienda, per questo motivo, è oggetto di una campagna di pressione portata avanti dalla coalizione italiana «Stop That Train», affinché «cessi di operare in violazione del diritto internazionale»;
   la «Deutsche Bahn», compagnia ferroviaria di stato della Germania, si è ritirata dal progetto proprio a causa del suo carattere problematico dal punto di vista del diritto internazionale;
   nel maggio del 2013 un gruppo di Ricerca di Who Profits ha visitato i cantieri della linea ferroviaria A1, descrivendo l'avanzamento dei lavori;
   un'indagine di «Electronic Intifada», riportata dal sito di informazione «BDS Italia» nell'articolo «Lavoratori palestinesi sulla ferrovia illegale israeliana derubati della metà dei loro stipendi» del 25 luglio 2013, ha rivelato che i circa 200 palestinesi che lavorano sulla linea ferroviaria ad alta velocità tra Gerusalemme e Tel Aviv sono sottoposti ad un forte sfruttamento;
   dalle testimonianze raccolte, risulta che la maggior parte dei lavoratori palestinesi siano stati reclutati da israeliani ingaggiati per fornire lavoratori al cantiere, che prendono la metà (talvolta anche di più) dei guadagni dei lavoratori da loro reclutati;
   ai lavoratori non verrebbe dato alcun permesso di lavoro per Israele, né garantita alcuna assicurazione;
   i lavoratori non sono registrati, ed in caso d'infortunio non avrebbero alcuna prova documentale per dimostrare che lavorano lì;
   secondo un progetto di ricerca della Coalizione delle Donne per la Pace, riporta sempre lo stesso articolo, il tracciato della linea ferroviaria solleverebbe almeno tre questioni legali: la costruzione di una struttura permanente nei territori occupati non accessibile alle persone del posto, l'appropriazione ingiusta delle terre palestinesi per il cantiere e la vendita del materiale estratto dalla scavo dei tunnel in terra palestinese, tutte azioni in evidente contrasto con le norme del diritto internazionale;
   i lavoratori che hanno parlato con «Electronic Intifada» a Beit Iksa hanno affermato che tutti i macchinari utilizzati per scavare i tunnel sono manovrati esclusivamente da russi e da italiani;
   Beit Surik e Beit Iksa sono i villaggi più colpiti dal percorso del treno, ed hanno già perso grandi estensioni di terra: Beit Surik ha perso più del 30 per cento della propria terra a causa del muro israeliano in Cisgiordania, mentre Beit Iksa ha perso circa il 60 per cento del suo territorio per i vicini insediamenti israeliani e per il muro;
   solo circa 600 dunum di terre del villaggio sono stati approvati per lo sviluppo (un dunum è di 1.000 metri quadrati), mentre circa 5.000 dunum ora rimangono bloccati in una «terra di nessuno» tra il paese e un insediamento israeliano nelle vicinanze;
   nel giugno 2010, l'ingresso principale di Bei Iksa è stato chiuso, ed attualmente il villaggio è accessibile solo attraverso un posto di blocco militare israeliano;
   Mohammad Gaith, membro del consiglio del villaggio di Beit Iksa, ha dichiarato di essere stato informato del progetto A1 appena un mese prima che la costruzione iniziasse, e di aver recentemente scoperto che altri 800 dunum, in gran parte terre agricole, verranno confiscati a Beit Iksa dalle autorità israeliane;
   la notizia della nuova confisca, in cui si indicava che gli interessati avrebbero avuto 60 giorni a partire dalla data di notifica della confisca per presentare ricorso, sarebbe stata scoperta per caso, riporta l'articolo di «BDS Italia», da un abitante del villaggio su Internet, ma nel frattempo il periodo previsto per il ricorso era già terminato;
   secondo Gaith, nessuna comunicazione ufficiale è stata data per questa confisca;
   in questo drammatico contesto, secondo il parere legale pubblicato da Al Haq e ripreso dal citato articolo de La Repubblica, Pizzarotti, pur avendo dimostrato di essere pienamente consapevole della problematicità del progetto, non avrebbe mostrato esplicitamente alcuna intenzione di fare un passo indietro;
   Al Haq afferma che l'Italia, quale Stato facente parte della Corte penale internazionale, «ha il dovere di esercitare la giurisdizione penale per quanto riguarda azioni compiute dai suoi cittadini (in questo caso i membri del consiglio di amministrazione e i dirigenti di alto livello della Pizzarotti) che possano ammontare a crimini di competenza della Corte», e sottolinea che «tutti gli Stati sottostanno all'obbligo, derivante dal diritto internazionale consuetudinario, di indagare e perseguire i responsabili delle infrazioni gravi delle Convenzioni di Ginevra»;
   «Libera il tuo Comune dalla Pizzarotti», lanciata dalla Coalizione Italiana Stop That Train, i consigli comunali di Napoli, Rho, Sasso Marconi, Corchiano ed il consiglio della municipalità 5 di Napoli Arenella-Vomero hanno approvato ordini del giorno e delibere e risoluzioni di condanna morale e politica sul tema, impegnandoci in alcuni casi (Napoli, ad esempio) a rivedere il regolamento del comune per escludere dalle gare comunali le ditte che violano il diritto internazionale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti, quali misure siano state prese in merito e quali azioni intenda intraprendere a riguardo;
   se la «Pizzarotti & C. S.p.A.» di Parma, attraverso il suo coinvolgimento nel progetto per la linea ferroviaria A1 e il suo rifiuto di ritirarsi dal progetto, che rappresenta una palese violazione del diritto internazionale, non abbia commesso l’«errore grave» nell'esercizio della propria attività professionale di cui all'articolo 38, comma 1, lettera f), del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), che, recependo una direttiva europea riguardante le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, prevede per simili casi l'esclusione da tali gare d'appalto. (5-01060)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati relativi alla spesa dei fondi comunitari ad inizio 2013 sono stati impiegati 1,8 miliardi di euro a fronte di un obiettivo che per l'anno in corso prevede di spendere 6,7 miliardi di euro;
   il ciclo di programmazione per il periodo 2007-2013 ha stabilito per l'Italia una dotazione finanziaria di 49,5 miliardi di euro di cui ne sono stati spesi finora poco meno di 21;
   i restanti 29,4 miliardi di euro dovranno essere spesi entro la fine del 2015: in pratica nell'arco dei 29 mesi che separano da quella scadenza l'Italia dovrà impiegare un miliardo di euro al mese;
   a fine ottobre 2013 è prevista la prossima certificazione per monitorare la capacità di impiego del nostro Paese, ma già alcuni programmi presenti nella certificazione di maggio 2013 o non hanno raggiunto il target di spesa o sono a rischio;
   mentre in Spagna ed in Germania esistono da tempo agenzie impegnate ad evitare ritardi nell'utilizzo dei fondi strutturali, in Italia la neonata Agenzia per la coesione territoriale, istituita per monitorare i programmi operativi e per assistere le amministrazioni centrali e regionali che gestiscono fondi europei, è ancora in attesa di vedere approvato il suo statuto;
   il ritardo nell'avvio delle attività dell'Agenzia sembrerebbe imputabile alle resistenze delle regioni, poco inclini a lasciare al nuovo organismo poteri sostitutivi in caso di inerzia o di incapacità dell'ente nell'impiegare i fondi strutturali a disposizione;
   vi è il fondato rischio che, con questo ritmo di spesa, il nostro Paese possa perdere una buona parte dei fondi dell'Unione europea a sua disposizione –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per uscire da questa impasse che rischia di danneggiare fortemente il nostro Paese in generale e soprattutto quelle regioni che potrebbero avere da questi fondi le risorse necessarie per effettuare investimenti e produrre nuova occupazione. (3-00330)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   i consorzi di bonifica svolgono la propria attività, disciplinata da regio decreto n. 215 del 13 febbraio 1933, in parte a carico di contributi dei proprietari obbligatoriamente consorziati e in parte di fondi erogati da enti pubblici, segnatamente dalle regioni;
   i commi 36 e 37 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, successivamente soppressi, e l'articolo 27 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, nel testo modificato dall'articolo 4-bis, comma 14, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, prevedevano un complessivo riordino dei consorzi, ivi compresa la soppressione o l'accorpamento; la norma prevedeva altresì il mantenimento delle «relative risorse, ivi inclusa qualsiasi forma di contribuzione di carattere statale o regionale» –:
   quale sia l'importo dei fondi erogati, a qualsiasi titolo, dallo Stato e se sia noto dalle regioni, a favore dei consorzi di bonifica nel corso dell'anno 2012.
(4-01928)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'interno, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
   organi di stampa locale (Corriere della Lombardia, edizione di Brescia) riportano la notizia, in questi ultimi giorni, secondo la quale la Guardia di finanza, su ordine del GIP, ha disposto la custodia cautelare a carico del sindaco di Montichiari (Brescia);
   accusa nei confronti del primo cittadino ipotizza i reati di tentata estorsione, abuso d'ufficio e falso in atto pubblico: la vittima della tentata estorsione sarebbe la Gedit, società che nella stessa Montichiari dal 2010 gestisce una discarica in cui finiscono scorie industriali e fanghi dei depuratori tanto da essere da tempo contestata da un comitato di cittadini;
   secondo la stessa accusa, il sindaco, ora agli arresti domiciliari, non avrebbe tentato di estorcere mazzette personali ma «compensazioni ambientali» a favore del paese, orchestrando una campagna denigratoria nei confronti dei titolari della discarica Gedit per costringerli a firmare una convenzione particolarmente onerosa;
   l'attenzione degli inquirenti si era già posata sulla questione mesi fa, e precisamente nel gennaio 2012, quando l'attuale sindaco, in quanto autorità a tutela della sicurezza pubblica nel suo comune, dopo il presidio di un gruppo di mamme contro i miasmi prodotti dalla Gedit, con un'ordinanza «contingibile e urgente» – a seguito di malori manifestati da bambini e genitori fuori dalla scuola e dai lavoratori della zona – aveva disposto la chiusura della discarica di Vighizzolo affinché Arpa e asl avessero il tempo di approfondire i controlli, ma lo stop durò solo un giorno in quanto dichiarato illegittimo dal Tar che accolse il ricorso dell'azienda;
   contro la discarica in questione, così come ribadito anche dallo stesso sindaco, da tempo è infatti in atto una mobilitazione popolare e tale protesta è capeggiata dagli abitanti, ed in particolare dalle mamme, nonne e figlie di Vighizzolo, esasperate dai miasmi mefitici di origine mai accertata, ed è stata cavalcata dal comitato Sos Terra che poi ha incassato il sostegno della giunta;
   negli scorsi mesi, a Montichiari era stato effettuato uno studio di impatto ambientale cumulativo disposto da un comitato locale e dall'amministrazione comunale il quale in soli 3 mesi ha permesso di raccogliere 1.500 segnalazioni riguardanti le discariche del luogo basato su un sistema che attraverso un modello matematico ha calcolato la correlazione delle segnalazioni con la direzione del vento indicando da dove arrivano gli odori sgradevoli e le sostanze nocive; tale studio, basato sulla partecipazione della cittadinanza, viene utilizzato anche in altre città ed altre nazioni, come Portogallo e Argentina;
   secondo gli inquirenti, i questionari sottoposti alla popolazione per denunciare le molestie olfattive e il sistema di segnalazione on line sarebbero stati ammaestrati a proprio uso e consumo dal primo cittadino, e sempre secondo gli inquirenti, il sindaco avrebbe attuato le «ritorsioni» dopo che la Gedit si è rifiutata di pagare una cifra triplicata per ogni metro cubo di rifiuti conferito in discarica, nonostante, di fatto, nel corso delle assemblee pubbliche e nelle sedi istituzionali si sia parlato in più occasioni di benefit pubblici per compensare la comunità dell'impatto ambientale della Gedit;
   la città di Montichiari, con 12,2 milioni di metri cubi di rifiuti stoccati, è tristemente nota per essere uno dei centri del Nord Italia dove maggiore è la presenza di rifiuti; già in passato molte società hanno compensato il disagio dei residenti finanziando opere pubbliche, così che il Paese ha ottenuto scuole, parchi e persino una caserma;
   i cittadini di Montichiari, a mezzo stampa, hanno esternato la loro incredulità per la vicenda giudiziaria esprimendo il pieno sostegno al sindaco e la vicenda è arrivata anche parlamento europeo, dove rappresentanti istituzionali hanno interessato della vicenda il commissario all'ambiente Janez Potocnik sul macroscopico caso di malagiustizia che ha investito un sindaco «colpevole» di aver sollecitato ad un'azienda ad alto impatto ambientale delle legittime compensazioni;
   con l'emanazione del decreto legislativo n. 267 del 2000, (TUEL, testo unico degli enti locali), sono state definite ed ampliate rispetto al passato le mansioni svolte da, sindaco in qualità di capo dell'amministrazione locale, e questo, quale ufficiale del Governo, interviene quando sia necessario prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini, così come stabilito dall'articolo 54, comma secondo, anche nei casi di emergenza, connessi con il traffico e/o l'inquinamento atmosferico o acustico o in altre circostanze straordinarie –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda, nell'ambito delle proprie competenze.
(2-00228) «Giancarlo Giorgetti, Borghesi, Caparini, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

Interrogazione a risposta orale:


   BRUNETTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 17 giugno 2011 l'Unione europea ha avviato nei confronti dell'Italia la procedura di infrazione n. 2011/4021, chiedendo al nostro Paese di rimuovere le violazioni alla normativa europea riscontrate nella gestione dei rifiuti, con particolare riferimento alla discarica di Malagrotta;
   a partire dall'ordinanza n. Z0002 del 30 giugno 2011 della presidente della regione Lazio, Renata Polverini, il funzionamento della discarica di Malagrotta è stato più volte prorogato fino al 30 settembre 2013;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 luglio 2011, è stato dichiarato lo stato di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma fino al 31 dicembre 2012, in relazione alla imminente chiusura della discarica di Malagrotta e alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3963 del 6 settembre 2011, è stato nominato il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, commissario delegato per il superamento della situazione di emergenza ambientale, con il compito di garantire l'individuazione, la progettazione e la successiva realizzazione, mediante l'utilizzo di poteri straordinari e derogatori, di una o più discariche e/o l'ampliamento di discariche esistenti;
   alla fine di maggio 2012 il prefetto Giuseppe Pecoraro si è dimesso dalla carica di commissario delegato; al suo posto, con provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2012, è stato nominato il prefetto Goffredo Sottile;
   il 28 marzo 2012 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pubblicato un Memorandum sulla gestione dei rifiuti solidi urbani di Roma, Fiumicino, Ciampino e Stato della Città del Vaticano nel quale è chiaramente detto che: «al fine di prevenire la possibilità di una emergenza rifiuti a Roma che avrebbe effetti negativi difficilmente misurabili sulla credibilità dell'Italia, devono essere attuate in modo contestuale tutte le misure necessarie a programmare e garantire la gestione integrata del ciclo dei rifiuti di Roma»;
   nel Memorandum lo stesso Ministero dell'ambiente rileva come «la soluzione emergenziale prevista di realizzare nuovi impianti di discarica non fornirebbe, allo stato, adeguate garanzie di superamento della procedura di infrazione in corso, in quanto la stessa ha come punto fondamentale il conferimento nella discarica di Malagrotta di rifiuti non trattati»;
   nel medesimo documento sopra richiamato sono previsti due scenari il primo definito scenario di piano che prevede il raggiungimento al 2012 degli obiettivi di raccolta differenziata al 65 per cento e un secondo definito scenario di controllo che prevede che la gestione dei rifiuti urbani non consegua gli obiettivi di raccolta differenziata stabiliti per legge;
   nella città di Roma si è ben lontani da un livello di raccolta differenziata pari al valore previsto dallo scenario di piano;
   ancora il 4 maggio del 2012 lo stesso Ministero dell'ambiente in un aggiornamento del Memorandum sottolineava che nello scenario definito di controllo la capacità dell'impiantistica di trattamento meccanico biologico non è «assolutamente adeguata al trattamento dei rifiuti indifferenziati che verrebbero in maniera significativa avviati in discarica senza alcun preventivo trattamento» e dunque la capacità aggiuntiva di discarica dovrà essere capace di sopportare ”un deficit delle volumetrie disponibili a partire dall'anno 2013, in particolare il deficit ammonterebbe a 828.423 metri cubi nel 2013 ed arriverebbe a 6.859.956 metri cubi nel 2017;
   a Roma è stato individuato, in località Falcognana, il possibile sito in cui realizzare la discarica per lo stoccaggio dei rifiuti della capitale, dopo la decisione di chiudere il 30 settembre 2013 la discarica di Malagrotta per raggiunti limiti di capienza;
   secondo quanto riferito da organi di stampa – La Repubblica e il Messaggero del 9 agosto 2013 – tale decisione è stata presa nella tarda serata di giovedì 8 agosto 2013, durante un incontro avvenuto tra il Ministro dell'ambiente Andrea Orlando, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Ignazio Marino, che hanno dato incarico al commissario per l'emergenza rifiuti nel Lazio, Goffredo Sottile, di verificare ulteriori aspetti tecnici e logistici del sito stesso;
   in una lettera aperta del 2 settembre 2013 al Commissario Goffredo Sottile, pubblicata anche sul sito della società che gestisce la discarica di Malagrotta, riguardante problemi conseguenti alla imminente chiusura della discarica di Malagrotta il Consorzio Laziale Rifiuti scrive: – «Roma ha assoluto bisogno di una discarica di servizio capace comunque in ogni momento e per ogni evenienza oltre che di smaltire i rifiuti che per loro natura non possono essere industrialmente trattati, anche di far fronte a situazioni di emergenza che possono manifestarsi imprevedibilmente quali interventi per eventi straordinari, raduni, manifestazioni, pulizie campi rom, avarie impianti, scioperi, ecc. come l'esperienza passata ci ha insegnato e non di una Discarica Deposito a servizio dei rifiuti trattati dagli impianti per ricevere solo scorie e residui di lavorazione.»;
   con una nota sul sito istituzionale del Ministero il 2 febbraio 2013 è stata data notizia che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha disposto un accertamento da parte del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri (NOE) per accertare l'effettiva capacita degli impianti di trattamento meccanico e biologico (TMB) ed il loro funzionamento e che, con un rapporto del 1o febbraio 2013, i NOE hanno comunicato che nel 2012, la capacità dei TMB di Roma è pari a 935.000 tonnellate/anno;
   con la medesima nota pubblica si precisa che: – considerando il volume totale dei rifiuti della capitale (depurato del 30 per cento di raccolta differenziata), la quantità di rifiuti da trattare risulta pari ad almeno 1.400.000 tonnellate/anno, ovvero oltre 450 mila tonnellate in eccesso rispetto alla capacità dei TMB della provincia di Roma;
   secondo quando dichiarato ad organi di stampa dal Commissario Goffredo Sottile il 15 gennaio 2013: «i comuni di Roma capitale, Fiumicino, Ciampino e Città del Vaticano, producono al momento un'eccedenza di circa 1.500 tonnellate al giorno di rifiuto indifferenziato, rispetto all'attuale capacità di trattamento»;
   la determinazione dirigenziale n. B5324 del 29 ottobre 2010 ha approvato un progetto per l'installazione e l'esercizio, in regime sperimentale, per un periodo di due anni, di un impianto per il trattamento del percolato prodotto dalla discarica situata nel comune di Roma, in località Falcognana, gestita dalla Ecofer Ambiente S.r.l., ai sensi dell'articolo 211 del decreto legislativo n. 52 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni;
   sul sito istituzionale della regione Lazio è stata pubblicata la determinazione dirigenziale n. A03335 del 24 aprile 2013, che autorizza la proroga, ai sensi dell'articolo 211, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni, per un anno dei termini utili all'esercizio, in regime sperimentale, dell'impianto di trattamento del percolato prodotto dalla discarica per rifiuti speciali, pericolosi e non;
   con una nota del 18 settembre pubblicata sul sito istituzionale della regione son riportate le dichiarazioni del commissario Goffredo Sottile, ascoltato nella commissione ambiente del consiglio regionale del Lazio, con le quali si precisa che: «Falcognana sarà una piccola discarica, temporanea, dove verranno conferite solo 300 tonnellate di rifiuti al giorno, tutti trattati. Un quinto dei rifiuti che produce Roma ogni giorno»;
   il TMB è il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti indifferenziati, ormai obbligatorio prima del conferimento in discarica, con il quale si separano la frazione da riciclare (organico, carta, plastica, vetro, inerti ecc.) da altri componenti. La frazione non riciclabile in parte viene smaltita nei siti idonei e in parte può essere riciclata per produrre combustibile derivato dai rifiuti (Cdr) rimuovendo i materiali incombustibili;
   gli impianti di trattamento meccanico biologico sono tenuti (decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 25 marzo 2013) a una produzione minima del 35 per cento di CDR/CSS (combustibile da rifiuto e combustibile solido secondario);
   secondo i dati forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'effettivo potenziale di termovalorizzazione nella regione Lazio è di circa 25.000 tonnellate/mese;
   è del tutto evidente che il sistema di gestione dei rifiuti della capitale presenta una elevata criticità sia per l'insufficiente capacità di trattamento del rifiuto cosiddetto tal quale sia per la, concomitante, insufficienza di termovalorizzazione del rifiuto trattato;
   si arriva a stimare in circa 200.000 tonnellate di CDR/CSS la quantità di rifiuti trattati che mancano all'appello per il solo semestre da aprile a settembre del 2013 e che non risultano esportati fuori regione e, data la dimensione, difficilmente potrebbero essere conservati presso gli impianti in attesa di essere conferiti negli impianti del Lazio;
   è ragionevole sospettare che il progetto della discarica di Falcognana riguardi una discarica di servizio per il rifiuto non trattato diversamente da quanto dichiarato in diverse occasioni dal prefetto Sottile, dal sindaco Marino e dal governatore Zingaretti;
   la verifica sulla destinazione dei rifiuti è un obbligo preciso del commissario che è tenuto a comunicare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la destinazione di CDR/CSS prodotti acquisendo la relativa informazione presso le imprese titolari degli impianti, che sono tenute a fornirla entro due giorni dalla richiesta;
   in data 13 settembre 2013 il Ministro per i beni e le attività culturali e del turismo, rispondendo ad una interpellanza alla Camera dei deputati, ha dichiarato che l'area dove dovrebbe sorgere la discarica di Falcognana rientra in un perimetro, dichiarato di notevole interesse pubblico con decreto del direttore generale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio del 25 gennaio 2010 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 25 del 1o febbraio 2010);
   il Ministro ha sottolineato, altresì, che le prescrizioni d'uso consentono, con riferimento alle discariche collocate in tale perimetro, la possibilità di procedere ad interventi modificativi e di recupero delle stesse solo previa valutazione di compatibilità con i valori riconosciuti del paesaggio agrario e subordinatamente alla realizzazione di misure ed opere di miglioramento della qualità paesaggistica del contesto e che la realizzazione di nuove discariche non è consentita –:
   quale azione il Ministro interrogato intenda assicurare al fine di fugare qualsiasi dubbio circa la possibilità che a Roma e nel Lazio possano essere ancora smaltiti rifiuti non trattati;
   quali siano le capacità di trattamento e di termovalorizzazione dei rifiuti urbani nella provincia di Roma e nella regione Lazio, sia attuali che in prospettiva in base alle autorizzazioni richieste e/o rilasciate ai relativi impianti;
   quali siano le quantità di CDR/CSS prodotte negli ultimi sei mesi dagli impianti TMB della regione Lazio e dove siano state accumulate e/o trasferite; e, conseguentemente, quali siano le quantità che dovranno essere esportate al di fuori della regione Lazio sia nel breve che nel medio periodo. (3-00333)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 giugno 2013 la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha votato un innovativo testo di legge che rivede il regolamento europeo 842/2006 in materia di gas refrigeranti, questione di massima importanza per la lotta ai cambiamenti climatici ed altresì centrale per l'economia nazionale che produce più del 50 per cento del prodotto interno lordo europeo legato alla catena del freddo. Si evidenzia che tale documento introduce novità rilevanti quali la messa al bando dei gas brevettati a base fluoro, cosiddetti F-Gas, in tutti quei settori in cui alternative non climalteranti ed economicamente sostenibili siano già in essere, e la creazione di un mercato di quote di immissione, ispirato al principio «chi inquina paga» al fine di creare un fondo economico del quale beneficerebbero in particolar modo i cittadini dei Paesi del Sud e dell'Est Europa;
   dal dossier di Legambiente «I gas refrigeranti in Italia», in Italia, nel 2012 si stimano circa 100 mila tonnellate di gas stoccati in schiume ed apparecchi. Si tratta di un quantitativo di gas con un potenziale effetto serra di 250 milioni di tonnellate equivalenti, il 50 per cento circa del totale delle emissioni di gas serra annuali a livello nazionale. Mentre la maggior parte dei settori industriali riduce il proprio contributo di gas serra, le emissioni dei gas refrigeranti seguono pericolosamente il trend opposto e sono in costante aumento. In Italia l'incremento, per quanto riguarda gli HFC, negli ultimi dieci anni, rispetto a una diminuzione generale delle emissioni di gas serra del 9 per cento, è addirittura del 341 per cento;
   lo studio preliminare collegato al regolamento incaricato dalla Commissione europea dimostra che in moltissime applicazioni industriali, commerciali e domestiche i gas fluorurati non sono più necessari e in alcuni casi non sono neanche più uno standard di mercato;
   un recente rapporto internazionale dell'organizzazione non governativa «Eia International» e un'ampia ricerca dell'agenzia Shecco dimostrano ampiamente come le applicazioni a base di gas naturali, liberi da brevetti, prodotti anche in Italia e più economici dei gas fluorurati, sono in aumento in tutto il mondo ed in particolare in Europa;
   in Italia opera inoltre un gran numero di aziende manifatturiere e di servizio che sono leader di mercato nelle tecnologie basate sui gas naturali, quali l'anidride carbonica, l'ammoniaca e gli idrocarburi, e tali aziende si vedrebbero fortemente avvantaggiate dal testo di legge varato dal Parlamento europeo, che assegna loro un vantaggio competitivo in virtù del posizionamento che hanno saputo conquistarsi in questi mercati negli anni, aprendo la strada quindi per una stagione di investimenti e consolidamenti che tutelerebbe le migliaia di posti di lavoro del comparto produttivo che li impiega;
   la produzione dei gas fluorurati impiegati oggi nel condizionamento nel raffreddamento, negli spray e nelle schiume ritardanti è quasi integralmente realizzata in estremo Oriente sotto brevetti internazionali e tali gas rappresentano una voce di importazione netta per il nostro Paese, dove le aziende che li impiegano pagano tali prodotti a prezzi sostenuti;
   la predetta revisione del regolamento (UE) 842/2006 figura come un intervento tra i più concreti ed ambiziosi mai varati in Europa per il contrasto ai cambiamenti climatici, perché incide sostanzialmente in un settore che, diversamente, la Commissione europea prevede possa pesare fino al 20 per cento delle emissioni di gas serra continentali al 2050 –:
   quale posizione intenda mantenere il Governo per rafforzare la filiera delle aziende che hanno fatto del riciclo, recupero e riuso dei gas refrigeranti fluorurati e dell'impiego dei gas alternativi naturali la loro attività principale, e quale iniziative intenda intraprendere per agevolare la rapida transizione del mercato verso l'impiego di gas rigenerati e di alternative naturali; se il Ministro interrogato non ritenga di dover sostenere con forza a livello comunitario la rapida messa al bando dei gas fluorurati climalteranti e la previsione di una tassa di introduzione di tali gas per sostenere con misure a costo zero per le finanze pubbliche questo importante comparto della green economy che tanto rappresenta per il nostro Paese.
(5-01061)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese sono presenti numerosi cementifici che possono causare notevoli problemi di inquinamento, come quello insediato nel territorio del comune di Castel Focognano, in provincia di Arezzo;
   alcuni di questi cementifici sono inseriti nella categoria «Coincenerimento-Cementificio» e producono ingenti quantità di sostanze nocive quali anidride carbonica, ossidi di azoto e monossido di carbonio; sono altresì da considerare gli ossidi di zolfo e le emissioni dei contaminanti non principali quali metalli pesanti (arsenico, mercurio, cadmio, zinco, cromo, nichel rame, piombo) IPA (idrocarburi policiclici aromatici) PCDD/PCDF, cloro e fluoro inorganici, benzene;
   tutte queste sostanze sono connesse alla produzione di clinker, come risulta dal manuale ANPA delle emissioni, dall'inventario EPER dell'Unione europea (EPER, Emission Inventory Notebook, p. B3311-8, 2000) dal documento dell'European IPPC Bureau («References Document on BAT in the cement and lime manufacturing industries» marzo 2000) e dal documento ANPA sulle LCA («I-LCA, Banca dati italiana a supporto della valutazione del ciclo di vita» – versione 2 ottobre 2000): tra l'altro la produzione di cemento è definita dal decreto ministeriale del 5 settembre 1994 come lavorazione insalubre di prima classe ed è un'attività altamente energivora, essendo necessarie circa 970 Kcal. per produrre un chilogrammo di clinker;
   i cittadini che risiedono nelle zone interessate manifestano periodicamente preoccupazione per la loro salute –:
   quali iniziative, anche normative, nei limiti delle proprie competenze, il Ministro intenda intraprendere affinché siano salvaguardati gli interessi delle popolazioni che risiedono nelle zone interessate dalla presenza di cementifici e l'ambiente circostante. (4-01933)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:


   ROSSI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 56-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nell'ambito delle iniziative volte a favorire la dismissione degli immobili militari non più utili ai fini istituzionali, prevede la cessione alle amministrazioni locali, a titolo non oneroso, dei citati immobili che per tipologia o collocazione geografica non risultino «valorizzabili» ovvero utili per il soddisfacimento di altre amministrazioni dello Stato;
   il comune di Sesto Fiorentino avrebbe più volte manifestato interesse all'area della ex caserma Donati, che risulta da tempo destinata alla costruzione di alloggi a riscatto in cooperativa, ai sensi della legge n. 244 del 2007;
   risulta, altresì, che vi sia del personale militare già costituitosi in cooperativa e che con nota del 3 agosto 2011, protocollo n. 2/29424/10-3-9-2/2011, il gabinetto del Ministro della difesa aveva individuato nella cooperativa Delfino il soggetto attuatore;
   con la medesima nota il gabinetto del Ministro della difesa comunicava alla cooperativa Delfino di aver dato mandato a Geniodife di implementare la procedura attuativa per la definizione del progetto presentato;
   con nota del 04 luglio 2012, protocollo 0045439, il Segretario generale della difesa comunicava alla cooperativa Delfino che entro il 31 dicembre 2012 si sarebbe perfezionato l'atto di concessione in diritto di superficie alla cooperativa Delfino sulla ex caserma Donati;
   con nota del 15 ottobre 2012 la cooperativa Delfino comunicava al Segretario generale della difesa la prossima scadenza del finanziamento, già concesso dalla banca Cariparma e, quindi, la stessa cooperativa disponeva tutti gli atti di prenotazione alloggi ai soci facente parte del sodalizio;
   con questa operazione, definita giustamente dal Ministero della difesa «pilota», l'Amministrazione potrà recuperare 60 alloggi circa ed ottenere in permuta a titolo definitivo altri 24 alloggi da destinare al personale in servizio –:
   se il Ministri interrogato non ritenga necessario confermare la destinazione della caserma Donati per la costruzione di alloggi militari, definendo con urgenza la questione relativa all'assegnazione della caserma alla cooperativa Delfino anche per dare risposta a 120 famiglie di militari e forze di polizia in servizio o in pensione, residenti a Sesto Fiorentino che aspettano da anni l'unica opportunità offerta per costruirsi una casa nella sede definitiva di servizio. (3-00334)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   in attuazione del decreto legislativo n. 39 del 2010, recante la disciplina della revisione legale, sono stati emanati dal Ministero dell'economia e delle finanze i seguenti regolamenti: decreto ministeriale 20 giugno 2012, n. 144, regolamento concernente le modalità di iscrizione e cancellazione dal registro dei revisori legali, in applicazione dell'articolo 6 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, recante attuazione della direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati (Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2012); decreto ministeriale 20 giugno 2012, n. 145 regolamento in applicazione degli articoli 2, commi 2, 3, 4 e 7, comma 7, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 recante attuazione della direttiva 2006/43/CE in materia di revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati (Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2012); decreto ministeriale 25 giugno 2012, n. 146, regolamento riguardante il tirocinio per l'esercizio dell'attività di revisione legale, in applicazione dell'articolo 3 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, recante attuazione della direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati (Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2012); decreto ministeriale 24 settembre 2012 istituzione presso il Ministero dell'economia e delle finanze della Commissione centrale per i revisori contabili (Gazzetta Ufficiale n. 253 del 29 ottobre 2012); decreto ministeriale 24 settembre 2012, determinazione dell'entità e delle modalità di versamento del contributo annuale degli iscritti al Registro dei revisori legali (Gazzetta Ufficiale n. 253 del 29 ottobre 2012); decreto ministeriale 1o ottobre 2012, determinazione dell'entità e delle modalità di versamento degli oneri in misura fissa previsti dal decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di revisione legale dei conti e dei relativi regolamenti attuativi (Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 2012); decreto ministeriale 28 dicembre 2012 n. 261, regolamento concernente i casi e le modalità di revoca, dimissioni e risoluzione consensuale dell'incarico di revisione legale, in attuazione dell'articolo 13, comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 (Gazzetta Ufficiale n. 43 del 20 febbraio 2013); decreto ministeriale 8 gennaio 2013 n. 16 Regolamento concernente la gestione della «Sezione dei revisori inattivi», in attuazione dell'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 (Gazzetta Ufficiale n. 43 del 20 febbraio 2013);
   risultano invece ancora da emanare i regolamenti concernenti i seguenti aspetti della disciplina: esame di idoneità professionale, ex articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010; formazione continua, ex articolo 5 del decreto legislativo n. 39 del 2010; deontologia professionale, riservatezza e segreto professionale, ex articolo 9 del decreto legislativo n. 39 del 2010, indipendenza e obiettività, ex articolo 10 del decreto legislativo n. 39 del 2010; princìpi di revisione, ex articolo 11 del decreto legislativo n. 39 del 2010; elaborazione dei princìpi, ex articolo 12 del decreto legislativo n. 39 del 2010; indipendenza, ex articolo 17 del decreto legislativo n. 39 del 2010; controllo della qualità, ex articolo 20 del decreto legislativo n. 39 del 2010;
   in particolare, la mancata emanazione in particolare del regolamento di attuazione dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010, recante «Esame di idoneità professionale» determina, di fatto, l'impossibilità di accedere al registro dei revisori legali; infatti, al di là della salvaguardia dei diritti acquisiti alla data del 13 settembre 2012, data di entrata in vigore del decreto ministeriale n. 145 del 2012 che, all'articolo 17, disciplina la prima formazione del registro, fino all'emanazione del predetto regolamento non sarà più possibile accedere al Registro;
   a tale proposito giova ricordare che, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, del decreto ministeriale n. 145 del 2012, «hanno diritto all'iscrizione nel Registro dei revisori legali le persone fisiche e le società che, al momento dell'entrata in vigore del presente regolamento, sono già iscritti al registro dei revisori contabili di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88 e all'Albo speciale delle società di revisione di cui all'articolo 161 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Sono altresì iscritti, su richiesta: 1) coloro che, anteriormente alla data di entrata in vigore del presente regolamento, hanno acquisito il diritto di essere iscritti nel Registro dei revisori contabili di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88, a condizione che la relativa istanza sia prodotta entro un anno dall'entrata in vigore del presente regolamento; (il termine ultimo è previsto per il 12 settembre 2013); 2) coloro che, alla data di entrata in vigore del presente regolamento, hanno presentato istanza di partecipazione ad una sessione d'esame non ancora conclusa per l'iscrizione al registro dei revisori contabili di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88, ed hanno, alla data di presentazione dell'istanza di iscrizione al Registro, superato l'esame medesimo (la norma in questo caso non sembra porre termini decadenziali)»;
   il vuoto normativo creatosi per la mancata emanazione del regolamento attuativo dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010 è, ad avviso dell'interrogante, il frutto della errata interpretazione della disciplina dettata dal decreto legislativo n. 39 del 2010 nel quale sono incorsi il Ministero della giustizia e quello dell'economia e delle finanze; si osserva infatti che l'articolo 43 del citato decreto legislativo prevede, in base al combinato disposto dei commi 1 e 4, che è abrogata, ma resta in vigore fino all'emanazione dei regolamenti previsti dal predetto decreto legislativo, la previgente normativa e che, fino all'emanazione di tutti i regolamenti per revisore legale, per revisore legale si intende il soggetto iscritto nel registro dei revisori contabili ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88, e per società di revisione legale la società di revisione iscritta nell'albo speciale delle società di revisione previsto dall'articolo 161 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, o nel registro di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88»;
   appare dunque lecito domandarsi se dall'emanazione solo di alcuni decreti attuativi possa derivare l'abrogazione di tutta la previgente normativa. Se cioè una disciplina parziale ed inorganica possa sostituirsi alla complessa regolamentazione in materia di revisione legale formatasi e consolidatasi in numerosi anni di produzione legislativa e applicazione pratica della stessa; appare evidente, come dimostrano i fatti, che ciò non sia possibile e che assumere, contrariamente a quanto previsto dalla legge, la sostituzione di norme che non possono essere applicate alla compiuta disciplina previgente, determina (come ha determinato) un grave vuoto normativo, con incertezze e confusione in una materia tanto delicata quanto sicuramente è quella del controllo legale dei conti;
   per comprendere gli effetti dell'indirizzo interpretativo assunto dalla ragioneria dello Stato che nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze cura la materia della revisione legale giova presentare il caso di un giovane commercialista al quale, in data 7 agosto 2013, la Consip spa comunicava il diniego all'iscrizione nel registro dei revisori legali disposto con decreto del 23 luglio 2013 dell'ispettore generale di finanza. La motivazione indicata nel decreto a supporto del diniego di iscrizione al Registro è la mancanza dei requisiti di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 2010, che dispone che «Possono chiedere l'iscrizione al Registro le persone fisiche che: a) sono in possesso dei requisiti di onorabilità definiti con regolamento adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Consob; b) sono in possesso di una laurea almeno triennale, tra quelle individuate con regolamento dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Consob; c) hanno svolto il tirocinio, ai sensi dell'articolo 3; d) hanno superato l'esame di idoneità professionale di cui all'articolo 4». Nelle premesse del provvedimento di diniego viene rilevato dal direttore generale di finanza sia il mancato svolgimento da parte della giovane commercialista di un esame di idoneità professionale di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010 sia la mancata acquisizione, alla data del 13 settembre 2012, del diritto di essere iscritto nel registro ai sensi dell'articolo 17, comma 1, del decreto ministeriale n. 145 del 2012 in quanto la giovane commercialista in questione ha concluso il periodo del tirocinio triennale successivamente al 13 settembre 2012, data di entrata in vigore del suddetto decreto ministeriale n. 145 del 2012. Non si comprende come si fa a sostenere che la dottoressa in questione non ha superato l'esame di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010 se manca il regolamento che deve disciplinare l'esame;
   intanto, mentre la ragioneria generale dispone il rigetto delle domande d'iscrizione nel registro dei revisori legali per il mancato superamento dell'esame di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010, esame non ancora disciplinato dal Ministero della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la Consip introita i versamenti, ammontanti ad euro 50,00, effettuati dai richiedenti l'iscrizione a titolo di copertura delle spese di segreteria e lo Stato i circa 16 euro della marca da bollo che necessariamente deve essere apposta sulla domanda di iscrizione;
   è di tutta evidenza come il vuoto normativo determinatosi sta producendo effetti paradossali, la cui gravità evidenzia l'insensatezza di una interpretazione, che oggi appare chiaramente priva di fondamento normativo, fortemente voluta dai Ministeri della giustizia e dell'economia e delle finanze che in maniera a giudizio dell'interpellante gravemente miope hanno determinato la paralisi di un pubblico registro al quale non è più consentito accedere, tranne per chi ne aveva già acquisito il diritto –:
   se non si ritenga opportuno rivedere senza indugio l'errata interpretazione che ha prodotto questo vuoto normativo, ripristinando l'applicazione della «vecchia» disciplina fino all'emanazione di tutti i regolamenti attuativi del decreto legislativo n. 39 del 2010, come per altro risulta chiaramente rinvenibile dal disposto dell'articolo 43 del decreto medesimo;
   in subordine, se non si ritenga opportuno quanto meno procedere senza indugio all'adozione del regolamento attuativo dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010, disciplinando l'esame richiesto per l'accesso al registro e disponendo adeguate e ragionevoli equipollenze con l'esame di Stato per l'accesso alla professione di dottore commercialista e di esperto contabile, eliminando in tal modo l'incresciosa situazione generatasi, tale per cui un pubblico registro risulta oggi di fatto trasformato in quella che all'interpellante appare una casta chiusa a scandaloso svantaggio, una volta di più in Italia, dei giovani professionisti.
(2-00222) «Zanetti, Dellai».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», all'articolo 52 prevede nuove disposizioni in materia di riscossione mediante ruolo;
   nello specifico, la lettera a) del comma 1 del predetto articolo 52 consente al debitore che, per ragioni estranee alla propria responsabilità, si trovi in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la possibilità di richiedere una rateazione delle somme dovute, fino a un massimo di centoventi (120) rate mensili;
   in tale contesto il comma 3 del suindicato articolo, stabilisce, tuttavia, che «Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, sono stabilite le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall'applicazione del meccanismo di rateazione di cui al comma 1, lettera a)»;
   la rateazione, pertanto, diventerà operativa solo dopo l'emanazione del decreto che, alla data odierna, non risulta ancora essere stato adottato;
   va tenuto conto dell'approssimarsi della scadenza dei termini per l'adozione del citato decreto –:
   quando sarà adottato il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze previsto dal predetto comma 3 dell'articolo 52 del decreto-legge n. 69 del 2013, il quale risulta indispensabile per tutelare i contribuenti che si trovino in una situazione di comprovato disagio economico. (5-01055)


   BARBANTI, PISANO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere quale sia la ripartizione, per scaglione, dei redditi da pensione, sia pubblici sia privati, al fine di individuare il gettito dell'imposta Irpef correlato alle diverse aliquote, di cui all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. (5-01056)


   PAGLIA, BOCCADUTRI, LAVAGNO e RAGOSTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è tuttora vigente l'articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, che impone il trasferimento della proprietà della Banca d'Italia allo Stato e a enti pubblici;
   tale articolo, al comma 10, recitava: «Con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l'assetto proprietario della Banca d'Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici»;
   i tre anni previsti dalla norma citata sono stati abbondantemente superati;
   il dibattito relativo alle quote azionarie relative all'assetto proprietario di Banca d'Italia possedute dagli istituti di credito si è intensificato nelle ultime settimane –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in ordine alla citata norma, anche alla luce del notevole ritardo accumulato nell'approvazione del regolamento previsto, e alle proposte sulla rivalutazione delle quote azionarie relative all'assetto proprietario di Banca d'Italia possedute dagli istituti di credito. (5-01057)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MAESTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, disciplina il riconoscimento di specifiche agevolazioni fiscali in favore dei titolari di patente di guida A, B o C speciali. Tali agevolazioni sono state recepite anche dalla legge 22 dicembre 1986, n. 917 Testo Unico delle Imposte sui Redditi;
   sulla base delle interpretazioni fornite in più occasioni dall'Agenzia delle entrate, da queste agevolazioni fiscali sarebbero esclusi i quadricicli leggeri, cioè le cosiddette «minicar» che possono essere condotte anche senza patente;
   tali automezzi sono utilizzati frequentemente da persone con disabilità in quanto consentono loro di mantenere una certa indipendenza negli spostamenti –:
   per quale ragione non vengano riconosciute all'acquisto delle cosiddette «minicar» le agevolazioni fiscali già previste per tutte le altre autovetture e se non ritenga di intervenire al fine di superare questa forma di discriminazione.
(4-01923)


   SPESSOTTO, TOFALO, SEGONI, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, TERZONI e PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la guardia di finanza sta sperimentando, nei reparti del Triveneto, un nuovo sistema informativo denominato «NSI-SAP», della società SAP Italia spa;
   l'iniziativa dovrebbe essere volta a gestire, in via informatica e centralizzata, la produzione di documenti relativi al funzionamento dell'organizzazione e le informazioni sugli impieghi, sulla produzione e sulla qualità;
   in realtà questa piattaforma informatica, a seguito dell'uso sperimentato da parte degli stessi militari appartenenti ai reparti delle regioni interessate, ha evidenziato una serie di lacune e problematiche relative al suo utilizzo, che ne determinano l'eccessiva rigidità strutturale nonché la completa inadeguatezza alle esigenze del Corpo;
   in particolare, diversi finanzieri coinvolti nelle rilevazioni hanno lamentato, sia al Comando generale che alla ditta fornitrice del software, come il sistema assorba molto più tempo e molti più militari di quelli necessari con le attuali procedure. L'applicativo è stato infatti progettato per funzionare attraverso i «badge» ma, dal momento che si ritiene che i cartellini segnatempo non siano applicabili ad un organismo di polizia, per la guardia di finanza viene impiegata una maschera a formazione manuale molto più pesante e costosa in termini di rilevazione ed inserimento;
   il risultato è che la versione in via di sperimentazione sembra richiedere l'impiego di un numero elevato di «militari tornello», addirittura in proporzione di uno a cinquanta, incaricati di inserire, per tutto il giorno, uno ad uno, gli orari svolti e le informazioni relative a ogni singolo collega. Una procedura, quindi, non soltanto molto costosa, ma anche altamente alienante per il personale coinvolto;
   i militari della guardia di finanza hanno anche sottolineato l'assoluta contro-intuitività dell'interfaccia di sistema, ormai vecchia, che ne complica notevolmente l'utilizzo, nonché la dilatazione dei tempi durante le operazioni di data entry, rispetto ai sistemi attualmente utilizzati;
   il sistema appare inoltre molto disarticolato, dal momento che la procedura di inserimento ed implementazione dei dati risulta priva di una visione d'insieme ed altamente insicura, dal momento che permette di visionare sia le informazioni che le rendicontazioni riferibili ad altri reparti;
   la piattaforma NSI-SAP era già in uso ad altri forze militari che l'hanno abbandonata poiché risultata non aderente alle esigenze operative di un Corpo militare;
   è attualmente in uso presso la guardia di finanza, il sistema Ge. Serv., autoprodotto e sviluppato in proprio dallo stesso personale interno della guardia di finanza di Trieste;
   questo sistema, utilizzato da oltre tredici anni da tutti i militari del Corpo e dallo stesso Comando Generale, risponde pienamente, sotto il profilo qualitativo, alle esigenze di velocità ed interazione e può essere opportunamente modificato adattando la piattaforma stessa ad eventuali esigenze future, attraverso l'uso di risorse interne;
   inoltre, a differenza della piattaforma NSI SAP, il sistema Ge. Serv. risulta praticamente privo di costi di gestione e di qualsiasi onere di acquisto e essendo già da anni in uso presso la guardia di finanza, non richiede una formazione specifica da parte del personale per il suo corretto utilizzo –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e degli oneri conseguenti all'introduzione e all'adattamento del nuovo sistema informativo NSI-SAP;
   per quale motivo si sia proceduto all'acquisto per la guardia di finanza dell'applicativo NSI-SAP, sistema creato per una struttura privata e nativamente progettato per funzionare con i badge e si ritenga che i cartellini segnatempo non siano applicabili ad un organismo di polizia;
   se non ritenga opportuno prendere in debita considerazione le lettere di lamentela inviate dai militari che stanno sperimentando il nuovo applicativo, essendo il sistema NSI SAP un «cluster pilota» ancora in fase di sperimentazione nei Comandi del Triveneto;
   come si giustifichino i costi cui la guardia di finanza dovrà far fronte per acquisire, attraverso l'impiego di soldi pubblici, una nuova piattaforma informatica, rivelatasi lenta, antiquata e di difficile utilizzo, nonché altamente onerosa data la previa esistenza del Ge.Serv, un sistema informativo perfettamente funzionante, molto più veloce, molto più facile, molto più moderno e già sperimentato dai militari del Corpo;
   se non ritenga pertanto possibile implementare la piattaforma attualmente in uso presso la guardia di finanza, abbattendo in tal modo i costi di acquisto e gestione della piattaforma NSI-SAP, prodotto ancora alla sua fase iniziale di sviluppo e che richiederà ancora un lungo periodo di adattamento e sperimentazione, oltre ad un impegno maggiore per svolgere le stesse funzioni di un programma già in funzione;
   se intenda altresì attuare meccanismi di controllo per verificare la reale necessità da parte della guardia di finanza di acquistare un nuovo sistema informativo che si è rivelato inefficiente, obsoleto ed inutile, ciò per sostituire un prodotto, il Ge.Serv., perfettamente funzionante, apprezzato da tutti gli appartenenti al Corpo e soprattutto privo di oneri di acquisto e di gestione. (4-01934)


   BARBANTI, TOFALO, DE LORENZIS, LOREFICE e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria tramite la stazione unica appaltante (S.U.A.) ha pubblicato una gara avente ad oggetto la progettazione esecutiva, realizzazione del «Sistema di collegamento metropolitano tra Cosenza-Rende e Università della Calabria» e fornitura e messa in esercizio del relativo materiale rotabile (CIG: 501253176E);
   dopo una sospensione dei termini, con decreto del dipartimento dei lavori pubblici della regione Calabria del 12 agosto 2013, n. 11726, sono state disposte modifiche e integrazioni al capitolato speciale di leasing e al disciplinare di gara, recepite dalla stazione unica appaltante con decreto del 27 agosto 2013, n. 12095, unitamente al riavvio della procedura disposta il 28 agosto 2013 (data di invio del bando alla GUUE);
   il nuovo termine di scadenza per la presentazione delle offerte è dunque fissato per il 29 ottobre 2013, ore 12:00 (giusta nota del dipartimento dei lavori pubblici del 28 agosto 2013, n. 273955);
   l'opera dovrà essere realizzata, oltre che su terreni pubblici, su terreni privati per i quali non sono state neppure avviate le procedure espropriative;
   l'importo a base della gara è di 160 milioni di euro, in gran parte derivante dall'utilizzo di fondi FESR sui quali il Ministero dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico ha l'obbligo di vigilare;
   gli stati membri, al fine di poter usufruire dei fondi di cui sopra, devono rispettare quanto previsto dal regolamento (CE) n. 1080/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, relativo al fondo europeo di sviluppo regionale e recante abrogazione del regolamento (CE) n. 1783/1999:
   nell'espletamento di queste attività sono coinvolti vari organi facenti capo al Ministero dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico: il dipartimento per lo sviluppo economico (DPS – servizio fondi strutturali), l'ispettorato generale per i rapporti finanziari con l'Unione europea (IGRUE) della ragioneria generale ed altri ancora;
   occorrerebbe riesaminare l'effettiva sostenibilità economico-gestionale dell'opera, basandosi la sua fattibilità economica sulla previsione progettuale di 49.000 passeggeri al giorno, ovvero circa la metà dei cittadini cosentini e rendesi messi assieme, e se è vero che per altre città (Firenze, Venezia, Bergamo, Cagliari, Padova, e altre) l'utenza giornaliera si aggira fra il 2 e il 6 per cento della popolazione, è facile intuire con somma probabilità le conseguenze dannose di un errore previsionale di tale portata;
   dal punto di vista della sostenibilità urbanistico-ambientale, ripristinare i binari rimossi non molto tempo fa renderà il viale Parco una stretta e lunga aiuola spartitraffico, separata dal contesto circostante dalla barriera ferrata, producendo danni in termini di qualità ambientale e di vivibilità generale della città, si procederà in controtendenza rispetto a quella scelta urbanistica che voleva individuare nel Viale una funzione di ricucitura tra centro città e periferia, dov’è previsto uno sviluppo ed una riqualificazione urbanistica;
   per l'analoga esperienza di Messina, il sindaco Giuseppe Buzzanca ha dichiarato, lo scorso anno : «...Il tram è stato un fallimento, una scelta sbagliata. È inutile prendersi in giro, dobbiamo dire la verità. Una città è stata devastata, alcune zone hanno subito un danno notevole e non ci sono stati grandi vantaggi per il trasporto pubblico. Per non parlare dei costi: un bagno di sangue per le casse del Comune...», e ancora «...Al posto del tram ci sarebbe voluto il filobus che non avendo bisogno di rotaie non avrebbe intaccato la fisionomia delle strade...»;
   negli anni ’90, quando l'opera è stata pensata, a detta degli interroganti, aveva un senso ipotizzare una linea su rotaia, a trazione elettrica, visto che i mezzi su gomma funzionavano a gasolio (molto inquinante), mentre oggi il trasporto pubblico si orienta verso mezzi su gomma, a trazione elettrica o a metano, nella ricerca della massima flessibilità d'uso e di un veloce ritorno delle risorse impiegate;
   Cosenza ha già implementato un servizio di circolare veloce, aderente a questi principi, e basterebbe sperimentarlo sull'intera porzione di territorio dell'area urbana che dovrebbe essere servita dalla metropolitana leggera, per verificare i reali flussi di passeggeri giornalieri;
   nel bando modificato è previsto che l'offerente dovrà prevedere una ripartizione dei costi tra la programmazione 2007/2013 e la programmazione successiva, 2014-2020, come testualmente riportato: «...ai sensi del paragrafo 3.3 degli Orientamenti sulla chiusura della Programmazione 2007/2013 (Decisione CE n. 1573 del 20 marzo 2013) e nel rispetto delle modalità che saranno indicate dall'amministrazione regionale, al fine di assicurarne il completamento con risorse del ciclo di programmazione comunitaria 2014/2020, nell'eventualità che, per cause non previste, non possa essere rispettato il crono-programma di realizzazione contemplato dall'appalto...»;
   la citata decisione CE n.1573 di cui al citato paragrafo 3.3 dispone testualmente: «...La Commissione può accogliere le richieste di suddivisione di grandi progetti su due periodi se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
    il progetto prevede due fasi chiaramente identificabili per quanto riguarda i suoi obiettivi materiali e finanziari;
    la prima fase del grande progetto è pronta a essere utilizzata per lo scopo o la funzione precisati nella decisione della Commissione entro il termine di presentazione dei documenti di chiusura;
    la seconda fase del progetto è ammissibile al finanziamento dei fondi strutturali e/o del Fondo di coesione nell'ambito del periodo 2014-2020;
    la domanda di modifica di un grande progetto riduce la dotazione finanziaria nel periodo 2007-2013 (prima fase) mantenendo al contempo l'obiettivo generale originario da realizzare entro il periodo 2014-2020 e fa riferimento alla seconda fase del progetto...»
   la citata decisione CE n. 1573 stabilisce di identificare con due fasi «chiaramente identificabili» gli obiettivi materiali e finanziari del progetto che, invece, a detta dell'interrogante, non sono in alcun modo identificati nel crono-programma del progetto;
   la procedura, avviata con grave ritardo dalla regione Calabria, potrebbe comportare il mancato rispetto di queste norme e potrebbe comportare il mancato riconoscimento delle spese sostenute, con conseguente disimpegno di fondi FESR e obbligo di restituzione da parte dell'Italia all'Unione europea –:
   se i Ministri interrogati siano conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano assumere ogni iniziativa di competenza volta a:
    a) verificare la legittimità del bando attraverso gli organi e le procedure di sorveglianza demandate agli stati membri dalle norme comunitarie (Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, 11 luglio 2006; regolamento (CE) n. 1828/2006 della Commissione; regolamento (CE) n. 1080/2006 del Parlamento europeo);
    b) verificare il rispetto di tutte le norme statali e comunitarie, in tema di utilizzo dei fondi strutturali;
    c) verificare il rispetto della decisione CE n. 1573 del 20 marzo 2013;
   se la modifica al «grande progetto» sia stata notificata alla Unione europea, se sia stata accolta ed, in caso affermativo, di quanto sia stata ridotta la dotazione finanziaria 2007/2013 ai sensi del citato paragrafo 3.3 della decisione CE 1573/213. (4-01936)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata:


   VILLAROSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dai quotidiani online del 19 settembre 2013 di una rilevante indagine della procura della Repubblica di Roma, coordinata dal procuratore aggiunto Nello Rossi, estesa su tutta Italia in merito a una massiccia frode ai danni delle entrate erariali per la sospensione illegale di cartelle esattoriali di molti contribuenti;
   nel caso specifico i dipendenti infedeli di Equitalia avrebbero garantito vantaggi finanziari a imprenditori e professionisti dietro il pagamento di somme di denaro; sostanzialmente costoro avrebbero garantito, senza che vi fossero i requisiti, istanze di rateizzazione di cartelle esattoriali oppure avrebbero interferito nelle procedure di versamento dei contributi previdenziali, alterando sia la correttezza dei dati relativi al pagamento che la visibilità degli stessi;
   in anni recenti ci sono state numerose indagini svolte da molte procure della Repubblica, tra cui quelle di Roma, Frosinone e Caserta, nelle quali è risultata evidente la cancellazione documentale e/o informatica di cartelle esattoriali o di altre forme di debito esattoriale, anche di notevole rilevanza, con la compiacenza illegale di funzionari e dirigenti di Equitalia;
   non è finora mai trapelato nulla sul fatto che tra le centinaia di cartelle esattoriali modificate in Equitalia da funzionari corrotti non ce ne siano state alcune ascrivibili al crimine organizzato, cosa che appare più che verosimile;
   stando a notizie di stampa, in particolare del 10 marzo 2010, addirittura, nel caso di un'indagine giudiziaria romana del filone Mokbel/Phuncard si era appurato che soggetti privi di incarichi in Equitalia o in società da essa controllate svolgevano le loro funzioni di mediatori illegali, con la complicità di alcuni dipendenti;
   nell'aprile 2010 la trasmissione Rai Report davanti a milioni di persone – e il quotidiano Il Fatto due giorni dopo – presenta un lungo e dettagliato servizio, con molti supporti documentali, su procedure di sospensioni illegali e di favore avvenute a Roma nei confronti di contribuenti rilevanti e importanti, con tanto di nomi e cognomi; ma non si ha alcuna notizia di apertura di fascicoli di indagine a Roma per una notitia criminis così grave;
   il filone di indagine sul caso Mokbel/Phuncard, caratterizzato da gravissime lesioni di interessi dello Stato, inerente alla vicenda in Equitalia appare inopinatamente essere stato chiuso senza alcun rinvio a giudizio, cosa che, in considerazione del sottile e raffinatissimo livello criminale raggiunto, desta perplessità profonda, anche in connessione agli eventi malavitosi sottostanti;
   l'azione ad avviso degli interroganti carente della magistratura romana si è caratterizzata per non aver mai proceduto a un controllo sistematico con campioni significativi nelle data bank di Equitalia sul fenomeno delle sospensioni illegali informatiche;
   recentemente nel giugno 2013 il pubblico ministero romano Erminio Amelio ha condotto un'importante indagine che da Roma si dirama a Frosinone in merito a cartelle esattoriali truccate –:
   se non ritenga opportuno e urgente adottare ogni iniziativa di competenza, compreso l'invio di ispettori ministeriali, per verificare se esistano i presupposti per l'esercizio dell'azione disciplinare, a fronte di quella che appare agli interroganti una scarsa efficienza della procura della Repubblica di Roma nell'indagare sul fenomeno gravissimo della sospensione illegale di cartelle esattoriali, cosa che comporta, tra l'altro, che le inchieste recenti su questa piaga sembrano procedere come monadi in moto browniano, senza la consapevolezza della presumibile estensione e gravità del fenomeno corruttivo di specie. (3-00336)

Interrogazione a risposta orale:


   ZANETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 aprile 2013 si sono tenute, tra le altre, tre udienze avanti alla Corte di Cassazione aventi per oggetto la medesima questione di diritto tributario: la detraibilità o meno dell'IVA assolta «a monte» di operazioni attive effettuate in regime di reverse charge, per le quali è stata omessa l'emissione dell'autofattura;
   da queste udienze sono scaturite altrettante sentenze, di cui una (n. 20771 dell'11 settembre 2013) ha concluso che l'omessa emissione dell'autofattura determina la perdita del diritto alla detrazione dell'imposta assolta «a monte», con la conseguenza che il contribuente sarà costretto a versare l'imposta «a valle» relativa all'omessa autofattura, oltre alle sanzioni conseguenti; un'altra (n. 20486 del 6 settembre 2013) ha concluso che l'omessa emissione della autofattura non determina la perdita del diritto alla detrazione dell'imposta assolta «a monte», altrimenti si violerebbe il principio della neutralità dell'imposta;
   le due udienze da cui sono scaturite le due sentenze citate; oltre che essere state tenute lo stesso giorno, hanno anche presentato la perfetta identità del collegio giudicante, composto per entrambe dal dottor Adamo Mario (Presidente), dottor Valitutti Antonio, dottor Meloni Marina, dottor Perrino Angelina Maria e dottor Conti Roberto Giovanni;
   a queste due sentenze, ne va poi aggiunta una terza, emessa sempre nello stesso giorno (n. 20774 dell'11 settembre 2013), a cura del medesimo collegio giudicante, avente per oggetto la medesima fattispecie delle due precedenti ed addirittura lo stesso contribuente di una della due (la sentenza n. 20771): ebbene, gli stessi giudici, lo stesso giorno, per la stessa società e per la stessa fattispecie hanno emesso due sentenze diverse (favorevole al contribuente la n. 20771, favorevole agli uffici la n. 20774); l'unica cosa che cambiava era il periodo di imposta cui si riferiva la violazione;
   è noto che le operazioni soggette ad autofatturazione implicano che il cliente, in qualità di soggetto sul quale è traslato l'obbligo d'imposta, debba emettere un documento (autofattura) da annotare, nei termini di legge, nel registro delle fatture emesse e, ai fini dell'esercizio del diritto di detrazione, in quello degli acquisti. In assenza di limiti, oggettivi o soggettivi, all'esercizio della detrazione, l'operazione risulta fiscalmente neutrale in quanto l'imposta «a debito» è esattamente pari a quella «a credito». La Corte di giustizia, con la sentenza Ecotrade (cause C-95/07 e C-96/07), ha stabilito che la neutralità impositiva deve essere salvaguardata anche in caso di omesso reverse charge. L'autofattura, se non emessa non è neppure registrata, ma la violazione commessa si riferisce ad un obbligo formale. Come puntualizzato più volte anche dalla Corte di cassazione (sent. n. 20486/2013 e n. 8038/2013; sent. 17588/2010; sent. n. 10819/2010), il sistema del reverse charge determina la «compensazione» del tributo dovuto con il credito derivante dal diritto di detrazione maturato, per cui l'infrazione non ha natura sostanziale. Non solo. Ad ulteriore dimostrazione del carattere esclusivamente formale della violazione, la stessa Agenzia delle entrate, recependo i princìpi della sentenza Ecotrade, ha escluso che l'Ufficio possa negare il diritto di detrazione dell'imposta «a credito» solo perché è scaduto il termine previsto dall'articolo 19, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972) (risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 56/2009);
   ritornando alle sentenze dell'11 settembre, la n. 20771, riferita all'anno 1999, nega la detrazione, mentre la n. 20774, riguardante gli anni 2000 e 2001, la ammette, nonostante, come già sottolineato, non solo la fattispecie e la medesima, ma anche la società accertata, così come il collegio giudicante; a cambiare sono solo i periodi d'imposta oggetto di accertamento. La prima pronuncia nega la detrazione in considerazione della mancata annotazione dell'autofattura nel registro IVA degli acquisti. La seconda pronuncia, invece, riconosce la detrazione perché dalla decisione dei giudici d'appello è emerso che il costo sostenuto dalla società è stato contabilizzato. La società, in tutti e tre gli anni, ha annotato le fatture estere nel libro giornale. Ma, ai fini IVA, il documento oggetto di registrazione nelle ipotesi di reverse charge è l'autofattura, che, per essere rilevante agli effetti dell'IVA, deve essere annotata nel registro degli acquisti e non nel libro giornale. Questo errore, benché favorevole al contribuente, fa giustizia solo in parte. Se non commesso avrebbe verosimilmente portato giudici di legittimità a replicare la conclusione raggiunta nella sentenza n. 20771, che si pone in contrasto con il diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte UE;
   si è quindi in presenza di tre sentenze, aventi per oggetto la medesima fattispecie (due addirittura il medesimo contribuente), frutto di udienze tenutesi lo stesso giorno e a cura del medesimo collegio giudicante, che hanno però dato luogo a dispositivi diametralmente opposti nelle conclusioni: uno favorevole al contribuente, due favorevoli agli uffici finanziari (di cui uno relativo al medesimo contribuente cui altro dispositivo ha dato invece torto);
   a giudizio dell'interrogante occorre salvaguardare quella certezza del diritto che viene inevitabilmente meno in presenza dei livelli ingiustificati dell'alea del giudizio che sempre più spesso caratterizzano i giudicati della Corte di cassazione in materia tributaria –:
   quali iniziative di competenza, anche normative e in materia di formazione, intenda intraprendere, ferma restando l'autonomia della magistratura, al fine di scongiurare il verificarsi di situazioni come quella segnalata in premessa. (3-00342)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI, L'ABBATE, BRESCIA, CARIELLO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 155 del 7 settembre 2012 ha disposto la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 148 del 14 settembre 2011;
   tale nuova organizzazione prevede la soppressione di numerosi tribunali ordinari, sezioni distaccate e procure della Repubblica situate su tutto il territorio nazionale;
   tra le sedi soppresse dal decreto legislativo 155 del 2012 rientrano quelle di alcune sezioni distaccate del distretto di Bari e, più precisamente, quelle di Altamura, Bitonto, Modugno, Monopoli, Putignano, Rutigliano, Cerignola, Manfredonia, San Severo, Trinitapoli, Lucera, Apricena, Rodi Garganico, Andria, Barletta, Canosa di Puglia, Molfetta e Ruvo di Puglia;
   il presidente del tribunale di Bari, Vito Savino, stante l'incapacità del tribunale centrale di Bari di sopportare il nuovo carico di contenzioso proveniente dalle sedi distaccate soppresse, ha disposto con decreto 65 del 2013 la permanenza della loro operatività per le cause pendenti e per quelle di nuova iscrizione;
   il provvedimento del dottor Savino ha dato attuazione al decreto del Ministero della giustizia dell'8 agosto 2013 che ha autorizzato l'utilizzo per altri 5 anni delle sedi delle soppresse sezioni distaccate di Altamura, Modugno e Rutigliano;
   la deroga alla soppressione di alcune sedi giudiziarie ed il trasferimento presso di esse anche del nuovo contenzioso non rappresenta una soluzione per contrastare l'inefficienza dell'amministrazione della giustizia, ma rischia soltanto di spostare la paralisi dei procedimenti da una sede all'altra;
   le stesse criticità riguardano l'accorpamento delle sedi che ha portato alla protesta e alla mobilitazione di amministratori locali, avvocati e associazioni di categoria, come è avvenuto nel caso del trasferimento dei fascicoli dal tribunale di Cerignola a quello di Foggia, impedito dai manifestanti e sul quale pende un ricorso al TAR con udienza fissata, salvo rinvio, per il 3 ottobre 2013;
   la regione Puglia ha espresso la volontà, già manifestata da Abruzzo, Basilicata e Liguria, di promuovere un referendum per abrogare la riforma della geografia giudiziaria prevista dal decreto legislativo 155 del 2012 –:
   se il decreto ministeriale dell'8 agosto 2013, con cui è stato autorizzato l'utilizzo per altri 5 anni di sedi giudiziarie soppresse, sia stato preceduto dal controllo preventivo della Corte dei Conti e dal parere delle amministrazioni locali previsto dalla legge e, in caso affermativo, secondo quali criteri sia stato valutato il risultato di tali consultazioni;
   se il Ministro intenda promuovere una riforma organica dell'amministrazione della giustizia che consenta di superare pienamente l'inefficienza e gli sprechi che la contraddistinguono da decenni;
   se sia infine nelle intenzioni del Governo intervenire urgentemente sulla riorganizzazione della geografia giudiziaria di cui al decreto legislativo 155 del 2012 al fine di eliminarne le evidenti criticità. (5-01054)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale di Massa Marittima (Grosseto), con atto del consiglio comunale n. 100 dell'11 dicembre 2009, ha deliberato il riconoscimento di un debito fuori bilancio di 1.159.463,68 euro per le controversie intercorse con l'impresa Pizzarotti & C. di Parma nel corso della costruzione del locale carcere mandamentale, il cui progetto esecutivo fu approvato da quell'amministrazione locale con proprie delibere del consiglio comunale n. 190/87 e G.C. n. 774/87, ed infine approvato e finanziato ex articolo 19 della legge n. 119 del 1981 dal Ministero di grazia e giustizia – direzione generale per gli istituti di prevenzione e pena con proprio atto prot. n. 643906/422-3 del 4 agosto 1987;
   con propria nota del 27 novembre 2009, il comune di Massa Marittima ha richiesto al Ministero della giustizia – dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di fornire indicazioni in merito al rimborso delle somme anticipate dalla stazione appaltante, in considerazione delle disposizioni del predetto articolo 19 della legge n. 119 del 1981 che prevederebbe che lo Stato finanzi non solo «...l'esecuzione di nuovi edifici giudiziari...» (comma 1), ma anche i «...maggiori oneri derivanti da costruzioni...» dei suddetti edifici;
   il comune di Massa Marittima, con propria nota protocollo 7830 del 31 maggio 2010 a firma del sindaco, in replica alle comunicazioni protocollo GDAP-0194805-2010 pervenute dal suddetto dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, rinnovava la richiesta di rimborso del credito riconosciuto all'impresa Pizzarotti, specificando che in caso di mancato accoglimento della richiesta sarebbe stato costretto ad adire le vie legali;
   il comune di Massa Marittima motivava la propria richiesta con il fatto che esso avesse preso parte al procedimento con funzioni di mera stazione appaltante, individuando specifiche responsabilità a carico del Ministero della giustizia nella sospensione dei lavori e nell'approvazione della relativa variante in corso d'opera, sulla base dei contenuti di una lettera ministeriale prot. 659623/422-3 del 13 agosto 1990, che prospettava un'utilizzazione della struttura per fini diversi da quelli penitenziari o comunque per una diversa destinazione dell'opera;
   la nota del 31 maggio 2010 del comune di Massa Marittima non riferisce però dei contenuti di una nota inviata in data 19 aprile 2010 dalla procura regionale della Corte dei conti per la Toscana, che informava quel comune dell'apertura di un fascicolo (V2010/00132/MND) invitando il segretario generale a trasmettere entro 30 giorni copia di tutta la documentazione relativa al progetto ed all'esecuzione dell'opera, fornendo al contempo i dati anagrafici ed attuale residenza, privata e di servizio, dei componenti del consiglio comunale e della giunta che approvarono il progetto e la perizia di variante, nonché i nomi del progettista e del direttore dei lavori –:
   se il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero sia a totale conoscenza dei fatti espressi in premessa, con particolare riferimento alla nota inviata in data 19 aprile 2010 della procura regionale della Corte dei conti per la Toscana al comune di Massa Marittima;
   se si ritengano congrue e soprattutto legittime le motivazioni addotte dal comune di Massa Marittima per ottenere dal Ministero della giustizia – dipartimento dell'amministrazione penitenziaria il rimborso dell'intero importo del debito riconosciuto con delibera del consiglio comunale n. 100 dell'11 dicembre 2009, visto che lo svolgimento di funzioni di stazione appaltante da parte di quell'ente locale comporta comunque evidenti responsabilità in merito al controllo dell'adeguatezza degli atti propedeutici alla procedura di affidamento dei lavori (progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva dell'opera, perizie tecniche, capitolato speciale d'appalto), anche se affidate a soggetti esterni. (4-01931)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il progetto BBT SE prevede uno sviluppo dei transiti commerciali su gomma al valico del Brennero in costante aumento. Come risulta dal Rapport annuel Alpifret del 2013, queste previsioni non corrispondono più all'andamento del traffico reale fin dal 2008;
   il traffico merci sulla A22 non giustifica la costruzione di una nuova ferrovia veloce sia perché, vista la sua costante riduzione, si distanzia sempre più dalle previsioni più aggiornate dei promotori (in base ai dati del 2011, lo scarto era circa del 24 per cento e negli ultimi due anni il traffico merci è continuato a diminuire) sia perché la ferrovia storica ha ampie capacità di trasporto residuo;
   la direttiva europea 2008/50/CE prevede che fra circa 16 mesi deve essere rispettato il limite di emissioni di NO2 di 40 μg/m3 medio annuo. Secondo il Programma per la riduzione dell'inquinamento da N02 della Provincia di Bolzano nelle valli alpine questo limite viene ampiamente superato e la fonte principale sono gli autocarri sull'autostrada A22 (solo in Alto Adige sono circa 41.000 le persone coinvolte; a Bolzano 25.000 persone circa a Bressanone (Bolzano) 6.000 circa, e lungo l'autostrada 9.200 circa, che corrispondono a circa l'8 per cento della popolazione. In questa zona si registrano valori intorno ai 60 μg/m3 (70 μg/m3 a Bressanone) e l'emissione dell'autostrada è di circa il 68 per cento. Il territorio coinvolto ha una lunghezza di 116 chilometri per una larghezza di circa 420 metri intorno all'autostrada per un totale di 94 chilometri quadrati). Dal Programma per la riduzione dell'inquinamento N02 si evince che «le simulazioni hanno indicato che per poter ottenere il raggiungimento del valore limite di N02 (40 μg/m3) entro il 2015 sono necessarie riduzioni delle emissioni autostradali dell'ordine del 40-50 per cento. Tale obiettivo non appare raggiungibile senza una riduzione dei volumi di traffico»;
   nelle previsioni di BBT SE del 2008, quando nel 2030 la nuova linea sarà in funzione, il traffico merci su gomma sarà, secondo lo scenario di consenso (quindi con Galleria di Base del Brennero e tratte di accesso sud realizzate), di 31 milioni di tonnellate (superiore quindi a quello calcolato nel 2011 di 28,2 milioni di tonnellate) e il traffico sull'autostrada deve essere ridotto entro il 2015 del 40-50 per cento»;
   nell'accordo tra la Repubblica d'Austria e la Repubblica italiana, per la realizzazione di un tunnel ferroviario di base sull'asse del Brennero si prevede una suddivisione in parti uguali dei costi di realizzazione della galleria di base del Brennero, anche se la galleria in Austria copre più chilometri (32 chilometri) rispetto all'Italia (23 chilometri). La Corte dei conti austriaca nella Relazione al Parlamento sul bilancio statale 2010, ha imposto al proprio governo la scrittura a bilancio di 12 miliardi di euro, calcolando quindi il costo complessivo dell'opera in 24 miliardi. Il costo totale in Italia è invece stimato dalla delibera del CIPE 31 maggio 2013 in 9,7 miliardi senza oneri finanziari e senza considerare altre voci;
   da notizie di stampa si è appreso che il presidente dell'Italferr, società che coordina i progetti di costruzione dell'Alta velocità, è agli arresti domiciliari nell'ambito di un'inchiesta condotta per corruzione, abuso d'ufficio e associazione a delinquere –:
   se sia in programma un aggiornamento delle previsioni;
   se si siano prese in considerazione misure alternative (riequilibrio delle tariffe tra A22 e A13 austriaca, provvedimenti vari di contenimento del traffico, utilizzo della linea storica con una gestione di 350 giorni all'anno come avviene in Austria e Svizzera) che permetterebbero già oggi il trasferimento modale del traffico merci;
   se si sia individuato il ruolo della Galleria di Base del Brennero e delle tratte di accesso sud visto che non vi è nessuna garanzia dello spostamento del trasporto merci dalla strada alla ferrovia e in che modo si pensa di imporre questo spostamento a galleria terminata considerato che nel trattato europeo vi è una norma costituzionale a protezione dei vettori (articolo 94, ex articolo 74 del TCE «Qualsiasi misura in materia di prezzi e condizioni di trasporto, adottata nell'ambito dei trattati, deve tener conto della situazione economica dei vettori»);
   se siano in programma misure ulteriori volte alla riduzione delle emissioni di NO2 sulla A22 visto che la nuova linea non sarà in grado di diminuire il traffico dell'autostrada;
   se si conoscano i reali costi ed oneri finanziari preventivati per l'Italia e quelli per l'Austria ed inoltre se si possa fornire la copia del bilancio costi-benefici Kosten-Nutzen-Berechnungen zum BBT der BBT EWIV/GEIE von 2005/06 e dello studio degli impatti ambientali Public Health Studie des Sozialmediziners Dr. Peter Lercher zu den Umweltauswirkungen des BBT nella versione estesa;
   quali provvedimenti il Governo intenda assumere per garantire, per quanto di competenza, che le nomine, in un settore così delicato e di rilevante interesse pubblico, avvengano nel rispetto dei principi di imparzialità e correttezza.
(2-00221) «Fraccaro, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, Dell'Orco, Catalano, De Lorenzis, Dadone, Dieni, Lombardi, Toninelli, Cozzolino, D'Ambrosio, Turco, Sarti, Colletti, Bonafede, Ferraresi, Agostinelli, Businarolo, Corda, Rizzo, Frusone, Artini, Alberti, Basilio, Paolo Bernini, Luigi Gallo, Brescia, Simone Valente, Vacca, Di Benedetto, Marzana, D'Uva, Battelli».

Interrogazione a risposta orale:


   BRUNETTA. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 17 giugno 2011 l'Unione europea ha avviato nei confronti dell'Italia la procedura di infrazione n. 2011/4021, chiedendo al nostro Paese di rimuovere le violazioni alla normativa europea riscontrate nella gestione dei rifiuti, con particolare riferimento alla discarica di Malagrotta;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 luglio 2011, è stato dichiarato lo stato di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma fino al 31 dicembre 2012, in relazione alla imminente chiusura della discarica di Malagrotta e alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3963 del 6 settembre 2011, è stato nominato il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, commissario delegato per il superamento della situazione di emergenza ambientale, con il compito di garantire l'individuazione, la progettazione e la successiva realizzazione, mediante l'utilizzo di poteri straordinari e derogatori, di una o più discariche e/o l'ampliamento di discariche esistenti;
   alla fine di maggio 2012 il prefetto Giuseppe Pecoraro si è dimesso dalla carica di commissario delegato; al suo posto, con provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2012, è stato nominato il prefetto Goffredo Sottile;
   a Roma è stato individuato, in località Falcognana, il possibile sito in cui realizzare la discarica per lo stoccaggio dei rifiuti della capitale, dopo la decisione di chiudere definitivamente la discarica di Malagrotta, per raggiunti limiti di capienza, il 30 settembre 2013;
   secondo quanto riferito da organi di stampa tale decisione è stata presa nella tarda serata di giovedì 8 agosto 2013, durante un incontro avvenuto tra il Ministro dell'ambiente Andrea Orlando, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Ignazio Marino, che hanno dato incarico al commissario per l'emergenza rifiuti nel Lazio, Goffredo Sottile, di verificare ulteriori aspetti tecnici e logistici del sito stesso;
   con una nota sul sito istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 2 febbraio 2013 è stata data notizia che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha disposto un accertamento da parte del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri (NOE) per verificare l'effettiva capacità degli impianti di trattamento meccanico e biologico (TMB) ed il loro funzionamento. Con un rapporto del 1o febbraio 2013, il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri ha comunicato i risultati di tale accertamento: nel 2012 la capacità dei TMB di Roma è pari a 935.000 tonnellate/anno;
   con la medesima nota pubblica si precisa che: «considerando il volume totale dei rifiuti della capitale (depurato del 30 per cento di raccolta differenziata), la quantità di rifiuti da trattare risulta pari ad almeno 1.400.000 tonnellate/anno, ovvero oltre 450 mila tonnellate in eccesso rispetto alla capacità dei TMB della provincia di Roma»;
   secondo quanto dichiarato ad organi di stampa dal commissario Goffredo Sottile il 16 gennaio 2013: «i comuni di Roma capitale, Fiumicino, Ciampino e Città del Vaticano, producono al momento un'eccedenza di circa 1.500 tonnellate al giorno di rifiuto indifferenziato, rispetto all'attuale capacità di trattamento»;
   è del tutto evidente che il sistema di gestione dei rifiuti della capitale presenta una elevata criticità per l'insufficiente capacità di trattamento del rifiuto cosiddetto «tal quale»;
   la presenza di rifiuto «tal quale» in discarica attira stormi foltissimi di gabbiani, come peraltro è possibile verificare recandosi, o semplicemente acquisendo le immagini attraverso il sistema web, nei pressi di discariche in esercizio nelle vicinanze di Roma, come ad esempio a Guidonia, Borgo Montello, Colleferro o Bracciano;
   l'articolo 707 del codice della navigazione ed il capitolo 4, paragrafo 12, del Regolamento per la costruzione e l'esercizio degli aeroporti attribuisce all'Ente nazionale per l'aviazione civile il compito di identificare le attività presenti sul territorio che potrebbero essere potenzialmente pericolose per la navigazione e l'articolo 711 prescrive che, nelle zone di cui all'articolo 707, sono soggette a limitazioni le attività che, come lo smaltimento dei rifiuti costituiscono un potenziale richiamo per la fauna selvatica o comunque un pericolo per la navigazione aerea;
   al fine di garantire la sicurezza della navigazione aerea l'ENAC individua le zone da sottoporre a vincolo nelle aree limitrofe agli aeroporti e stabilisce le limitazioni relative ai potenziali pericoli per la navigazione e, in particolare, la realizzazione e l'esercizio delle attività di smaltimento dei rifiuti, fatte salve le competenze delle autorità preposte, sono subordinate all'autorizzazione dell'ENAC, che ne accerta il grado di pericolosità ai fini della sicurezza della navigazione aerea;
   i gestori aeroportuali sono tenuti alla valutazione dei rischi e alla predisposizione di un piano di prevenzione e controllo al fine di limitare i rischi di impatto di aeromobili con fauna selvatica e a comunicare all'ENAC le possibili fonti attrattive di fauna selvatica al di fuori del sedime aeroportuale;
   il paragrafo 7.9 del capitolo 7, parte 3 dell'ICAO (International Civil Aviation Organization) Airport Service Manual (Doc. ICAO 9137- AN/898) indica in 13 chilometri dal sedime aeroportuale il limite consigliato per l'insediamento di attività di smaltimento;
   l'area della Falcognana dista 4,7 km dall'aeroporto di Ciampino e non risulta, per quanto a conoscenza dell'interrogante, alcun coinvolgimento dell'Ente nazionale per l'aviazione civile nella individuazione e nella autorizzazione di una nuova discarica per i rifiuti urbani –:
   se gli uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e/o l'Ente nazionale per l'aviazione civile siano mai stati coinvolti dal commissario per l'emergenza dei rifiuti a Roma in fase di individuazione di una discarica dove portare i rifiuti urbani dopo la chiusura di Malagrotta;
   se siano stati preventivamente condotti studi in relazione ai possibili rischi per la navigazione aerea nell'ipotesi di realizzazione di una nuova discarica per i rifiuti urbani in località Falcognana e, nel caso, quali siano i loro risultati;
   quale azione il Ministro interrogato intenda assumere al fine di assicurare la piena ed efficace azione di prevenzione e gestione dei rischi da parte dell'Ente nazionale per l'aviazione civile nella individuazione di siti per impianti di discarica nei pressi di aeroporti civili. (3-00332)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 6 settembre 2013 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il decreto ministeriale 24 giugno 2013, n. 103, che interviene a parziale modifica del «Regolamento recante la disciplina del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali», di cui, originariamente, al decreto ministeriale 17 dicembre 2010, n. 256;
   le modifiche introdotte riguardano, in particolare, l'abolizione del tasso agevolato che le banche era previsto concedessero ai richiedenti – e che è stato semplicemente sostituito con la generica previsione che il tasso non dovrà essere «superiore al tasso effettivo globale medio sui mutui» –, l'aumento sia del reddito minimo percepito dai richiedenti, sia della metratura massima dell'immobile da acquistare, l'abrogazione della norma che recava il divieto di cartolarizzazione dei mutui garantiti dal fondo e altro;
   la modifica più eclatante, tuttavia, attiene al criterio che era stato individuato, alla stesura del primo regolamento, per far sì che il fondo andasse effettivamente a beneficio dei giovani precari, sostanziato nell'indicazione, tra i requisiti per avanzare la richiesta di mutuo a valere sul fondo, che «non più del 50 per cento del reddito complessivo imponibile ai fini irpef deve derivare da contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato»;
   con il nuovo decreto ministeriale tale criterio non costituisce più un requisito essenziale, ma solo un criterio preferenziale «in presenza di domande pervenute nella stessa giornata e di contestuale parziale indisponibilità delle dotazioni del Fondo»;
   appare evidente, quindi, come il fondo e il suo utilizzo siano stati distratti dalla loro originaria finalità, stravolgendone, secondo l'interrogante, l'impianto, a danno di quei soggetti che, proprio perché impiegati a tempo determinato, hanno difficoltà ad ottenere dei mutui –:
   quali siano i criteri che hanno ispirato la revisione della disciplina di cui in premessa e quali provvedimenti il Governo intenda porre in essere per continuare a garantire ai giovani precari la possibilità di accedere al mutuo per l'acquisto della prima casa. (3-00335)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la sera di domenica 22 settembre 2013 a Casale Monferrato tre associazioni ecclesiali, Alleanza Cattolica, Comunione e liberazione e Movimento per la vita, hanno organizzato nell'auditorium San Filippo un convegno dal titolo: Gender, omofobia, transfobia. Verso l'abolizione dell'uomo?, col patrocinio dell'Ufficio per la Pastorale della salute della diocesi di Casale. Presente un pubblico di 150 persone, l'incontro è stato aperto dal saluto di un sacerdote – don Luigi Cabrino – in rappresentanza della diocesi e dall'introduzione di una signora, Margherita Garrone, dei Centri di aiuto alla vita. Relatori l'avvocato Giorgio Razeto, dei Giuristi per la vita, e il professore Mauro Ronco, di Alleanza Cattolica. Prima dell'avvio relatori e pubblico sono stati accolti all'ingresso da un picchetto di persone che indossavano magliette e reggevano cartelli con rivendicazioni dei movimenti gay. Quando sono iniziate le relazioni, l'avvocato Razeto ha subìto le prime provocazioni, provenienti da una quarantina di molestatori nel frattempo entrati in sala. Costoro hanno poi ripetutamente interrotto l'intervento del professor Ronco, con urla, fischi, «buuu» alternati ai «vergogna!». Un loro esponente si è messo di fronte al tavolo del convegno con le braccia allargate e ha gridato al relatore che stava mentendo, e subito dopo una ventina di ragazze, reggendo dei cartelloni, sono salite sul palco e si sono disposte a cerchio attorno al tavolo stesso. Non potendo più proseguire, Ronco ha concluso in anticipo l'intervento e ha invitato il pubblico a lasciare la sala senza raccogliere provocazioni. Nel frattempo sono giunti due carabinieri, chiamati dal sindaco, e la loro presenza ha evitato ulteriori degenerazioni, pur essendosi il convegno chiuso anzitempo;
   era presente all'incontro un giornalista de Il Fatto quotidiano, Simone Badaucco, che ha filmato le scene dell'irruzione e le ha pubblicate sul sito del giornale;
   dal resoconto documentato si può apprendere che la contestazione è avvenuta da parte di attivisti e attiviste del Coordinamento Torino pride Glbt, unitamente al collettivo Altereva e ad Arcigay. «Nel corso dell'incontro – si legge nella cronaca che accompagna il video – i relatori, dopo aver affrontato il tema dell'estensione della legge Mancino ai reati di omofobia e transfobia, hanno difeso a spada tratta la naturalità dell'unione tra uomo e donna. Posizioni che hanno scatenato la contestazione del collettivo Altereva e di Arcigay che hanno bloccato l'incontro in segno di protesta». Dal che sembra desumersi che se qualcuno osa criticare l'applicazione della legge Mancino all'omofobia e alla transfobia e addirittura arriva a difendere la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio» fra uomo e donna, come recita l'articolo 29 della Costituzione, e così come hanno fatto i relatori del convegno di Casale Monferrato è giusto impedirgli di parlare. Particolarmente grave è che le molestie al convegno di Casale Monferrato abbiano raggiunto il massimo quando a parlare era il professor Mauro Ronco, ordinario di diritto penale all'università di Padova, già presidente dell'Ordine forense di Torino e già componente del C.S.M.: il che vuol dire che i contestatori non erano stati disturbati da frasi a effetto, non volevano proprio che venisse trattato il tema da chi non la pensa come loro, pur con ragionamenti fondati su logica e scienza giuridica;
   Alleanza Cattolica, Comunione e liberazione e Movimento per la vita organizzano con frequenza convegni e conferenze su questi temi; ultimamente siti dell'associazionismo gay li segnalano quasi ad additarli, come è accaduto il 22 settembre, per interromperli e per provocare. Il prossimo sarà quello che, promosso da Alleanza Cattolica, avrà luogo a Milano nel pomeriggio del 5 ottobre, ed è già stato pubblicizzato sui media nazionali;
   nella specie, oltre a essere stati consumati dei reati, si è impedito l'esercizio di diritti costituzionalmente tutelati, come la libertà di manifestare il pensiero, la libertà di riunirsi pacificamente, la libertà di ricerca. Diventa pertanto indispensabile conoscere le valutazioni del Governo sull'episodio, sapere se e quali interventi vi siano stati nei confronti degli autori di quanto accaduto, e soprattutto che cosa intenda fare in fase di prevenzione –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto riportato in premessa;
   quali iniziative siano state assunte dalle forze dell'ordine intervenute e quali misure siano state adottate nei confronti degli autori delle contestazioni;
   quali iniziative di prevenzione il Governo intenda adottare per evitare il ripetersi di episodi simili a fronte di iniziative pubbliche in difesa della famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna.
(2-00225) «Pagano, Roccella, Molteni, Squeri, Palmieri, Alli, Riccardo Gallo, Petrenga, Guidesi, Borghesi, Fitto, Polverini, Scopelliti, Elvira Savino, Marcolin, Garofalo, Cicu, Latronico, Galati, Biasotti, Chiarelli, Distaso, Dorina Bianchi, Saltamartini, Vella, Vignali, Allasia, Prataviera, Bosco, Centemero, Fucci, Sisto, Fabrizio Di Stefano».

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 agosto 2013 in un quartiere estremamente popolato della città di Bari, si è consumato, in mezzo ai passanti, l'ennesimo omicidio di mafia nel quale ha trovato la morte il boss Felice Campanale. Tale evento ha scatenato l'ennesima guerra di mala per le strade del capoluogo pugliese mettendo in pericolo la sicurezza dei cittadini;
   in data 19 settembre nel quartiere San Girolamo di Bari è avvenuta l'ennesima sparatoria all'interno di una palazzina, nel quale un 67enne pregiudicato è stato vittima di un attentato utilizzando a sua volta una pistola illecitamente detenuta;
   nel nord barese i clan criminali oramai operano quotidianamente indisturbati arrecando danni alla popolazione e soprattutto agli agricoltori: alberi tagliati, coltivazioni incendiate, continui furti di mezzi agricoli e addirittura rapine a mano armata, così come appreso da una denuncia dell'organizzazione «Oliveti Terra di Bari»;
   il Ministro dell'interno Alfano, in occasione della sua visita a Bari di fine maggio, si era impegnato pubblicamente ad aumentare le unità di sicurezza, con altri 146 uomini, più specificatamente «con 60 nuove unità subito e a settembre con altri 86 uomini della polizia», assicurando l'applicazione del «modello Caserta per affrontare la criminalità organizzata, su tre direttrici: rafforzamento del dispositivo di vigilanza e controllo del territorio, potenziamento delle strutture organizzative e desk interforze per aggredire i patrimoni criminali». Impegno che tuttavia non è stato ancora mantenuto –:
   se e quando il Ministro interrogato ritenga di dover corrispondere alla pressante richiesta di adeguamento dell'organico di forze dell'ordine nella città di Bari e su tutto il territorio pugliese così da assicurare il contrasto dei fenomeni criminali e la sicurezza dei cittadini. (4-01926)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da notizie di stampa pubblicate su Retenews24, un allievo di tredici anni, affetto da disabilità dalla nascita, pare essere stato allontanato dalla classe della scuola media Ciccone di Saviano (Napoli) e mandato nella segreteria dell'istituto con la motivazione che l'insegnante di sostegno aveva, per quel giorno, completato le proprie ore di assistenza;
   il bambino avrebbe avuto comunque il diritto di rimanere in classe con gli altri alunni anche in assenza dell'insegnante di sostegno;
   il genitore del bambino ha denunciato l'episodio ai carabinieri della compagnia di Nola che stanno verificando eventuali responsabilità;
   a poche settimane dall'inizio dell'anno scolastico si sono, inoltre, verificati altri gravi fatti di discriminazione nei confronti di studenti con disabilità, su uno di questi – in particolare – è intervenuto il Ministro interpellato;
   il diritto allo studio degli alunni con disabilità si realizza, secondo la normativa vigente, attraverso l'integrazione scolastica, che prevede l'obbligo dello Stato di predisporre adeguate misure di sostegno, alle quali concorrono a livello territoriale, con proprie competenze, anche gli enti locali e il servizio sanitario nazionale;
   come si legge sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «la comunità scolastica e i servizi locali hanno pertanto il compito di “prendere in carico” e di occuparsi della cura educativa e della crescita complessiva della persona con disabilità»;
   tale impegno collettivo ha una meta ben precisa: «predisporre le condizioni per la piena partecipazione della persona con disabilità alla vita sociale, eliminando tutti i possibili ostacoli e le barriere, fisiche e culturali, che possono frapporsi fra la partecipazione sociale e la vita concreta delle persone con disabilità»;
   la legge n. 104 del 1992 riconosce e tutela la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nei luoghi per essa fondamentali: la scuola, durante l'infanzia e l'adolescenza (articoli 12, 13, 14, 15, 16 e 17) –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interpellato al fine di verificare eventuali negligenze o responsabilità rispetto all'accaduto succitato e quali altre iniziative intenda avviare in modo da evitare che si ripetano similari casi in evidente contraddizione con la legislazione vigente in materia di integrazione scolastica degli alunni con handicap e con le norme di buon senso e civiltà che stabiliscono che ogni ragazzo ha il diritto di esprimere e sviluppare al meglio le proprie potenzialità, soprattutto, nell'ambito delle esperienze scolastiche dove l'integrazione deve essere realizzata sul duplice versante degli apprendimenti e della socializzazione.
(2-00224) «Coccia, Ascani, Coscia, Malpezzi, Rampi, Carocci, D'Arienzo, Gadda, Damiano, Fossati, Garofani, Cominelli, Cimbro, Cassano, Sbrollini, Scuvera, Bargero, Zampa, Bonafè, Malisani, D'Ottavio, Vezzali, Santerini, Braga, Palmieri, Piccoli Nardelli, Garavini, Ghizzoni, La Marca, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Guerra, Laforgia, Incerti, Morani, Tidei, Lattuca, Giuliani, Iori, Tino Iannuzzi, Iacono».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, SEGONI, DE LORENZIS, TOFALO, NICOLA BIANCHI, TERZONI e PARENTELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999 aveva previsto che con uno o più regolamenti, su proposta del Ministro dell'università di concerto con il Ministro della giustizia venisse modificata ed integrata la disciplina dell'ordinamento professionale, relativamente alle professioni per il cui esercizio la normativa vigente già disponeva l'obbligo di superamento di un esame di Stato;
   in attuazione della predetta legge veniva emanato, col decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001 n. 328, il Regolamento che disciplina l'accesso alle professioni in correlazione ai nuovi titoli di studio; detto regolamento emanava, altresì, disposizioni in ordine alla professione di dottore agronomo e forestale; in particolare in ordine a quest'ultima ultima professione, il decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 prevedeva la ripartizione dell'albo in due sezioni A e B rispettivamente per possessori di laurea specialistica e di laurea; per gli iscritti alla sezione A il titolo professionale di dottore agronomo e dottore forestale; mentre, nell'ambito della sezione B venivano individuati tre distinti settori: agronomo e forestale, zoonomo, biotecnologico agrario, con l'attribuzione dei relativi specifici titoli professionali;
   nello specifico settore zoonomo era la prevista la possibilità di iscrizione all'albo per i laureati nella classe 40 di cui al decreto ministeriale n. 509 del 1999 e nella classe L38 di cui al decreto ministeriale n. 270 del 2004;
   l'istituzione di tele settore era oggetto di un ricorso al TAR del Lazio da parte della Federazione nazionale degli ordini dei veterinari italiani (FNOVI), che contestava l'attribuzione di alcune competenze ritenute di appartenenza alla propria categoria e l'individuazione di una nuova figura professionale, appunto quella di zoonomo;
   recependo le contestazioni della FNOVI, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1233 del 22 marzo 2005 ha annullato le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 relative alle attività professionali attribuite allo zoonomo, con soppressione della stessa figura professionale di zoonomo;
   come conseguenza di tale sentenza l'allora Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con ordinanza dell'8 giugno 2005, ha annullato l'esame di stato per l'abilitazione alla professione di zoonomo;
   detto annullamento in sede giurisdizionale ha trovato fondamento nella ricostruzione normativa della vicenda, rilevando che l'articolo 1, comma 18, della legge 14 gennaio 1999 n. 4 avesse previsto l'emanazione di uno o più regolamenti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che, con riferimento alle attività professionali per il cui esercizio la normativa vigente già prevedeva l'obbligo dell'esame di Stato, modificassero ed integrassero la disciplina del relativo ordinamento dei connessi albi, ordini o collegi, nonché dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove;
   in attuazione di tale disposizione il decreto n. 509 del 1999 relativa al «Regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei» definiva l'architettura dei nuovi corsi di laurea articolati su due livelli;
   con il Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 si provvedeva, poi, ad adeguare alla nuova architettura dell'ordinamento degli studi universitari lo sbocco professionale rappresentato dall'iscrizione agli albi delle professioni regolamentate, prevedendo quali requisiti per l'accesso all'esame di Stato, previsto dalla normativa vigente per ciascuna professione, i nuovi titoli di studio;
   in tale contesto, la professione di dottore agronomo e dottore forestale veniva innovata dal Regolamento che modificava i percorsi formativi specifici delle classi di laurea che consentono l'accesso all'albo professionale, individuando due nuove figure professionali, con competenze ricavate da quelle attribuite dalla legislazione vigente ai dottori agronomi e ai dottori forestali;
   il Consiglio di Stato, nella richiamata sentenza, annullava in parte qua il richiamato regolamento n. 328 del 2001 condividendo quanto formulato dalla Sezione consultiva per gli atti normativi dello stesso Consiglio di Stato, con il parere espresso nell'Adunanza del 21 maggio 2001 che sullo schema di regolamento aveva rilevato l'impropria introduzione nell'ordinamento di professioni nuove, rispetto a quelle esistenti. Detta sostanziale innovazione contrastava la finalità del regolamento che doveva limitarsi unicamente a collegare i nuovi titoli accademici con l'ordinamento delle professioni vigenti;
   la decisione del Consiglio di Stato ha, pertanto, fatto emergere un sostanziale vuoto di disciplina per i laureati in classe 40 e L38, cui è stato impedito uno sbocco nella libera professione;
   per la risoluzione di tale problematica si disponeva un tavolo tecnico tra il Consiglio dell'Ordine nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali (CONAF), la Federazione nazionale degli ordini dei veterinari italiani (FNOVI) e la Conferenza dei presidi delle facoltà di agraria e di medicina veterinaria;
   il 15 dicembre 2006 il tavolo tecnico raggiungeva un'intesa che prevedeva la reintegrazione della figura dello zoonomo con l'attribuzione di specifiche competenze, concordate tra le parti:
    a) la pianificazione aziendale e industriale nel settore delle produzioni animali, sia primarie che trasformate;
    b) la consulenza nei settori delle produzioni animali, sia primarie che trasformate – con esclusione degli aspetti sanitari – della loro commercializzazione e marketing;
    c) la formulazione di razioni e mangimi per le specie animali in produzione zootecnica;
    d) le attività di estimo relative ai settori zootecnico e faunistico;
    e) le attività di difesa dell'ambiente e del benessere animale limitatamente alla valutazione dei requisiti ambientali, strutturali e tecnologici delle tipologie di allevamento del settore delle produzioni animali, nonché la valutazione dell'impatto ambientale degli allevamenti zootecnici;
    f) le attività di assistenza tecnica, contabile e fiscale, alle aziende di produzione di beni e mezzi tecnici nel settore delle produzioni animali;
    g) la direzione di aziende zootecniche, faunistiche, venatorie e di acquacoltura;
    h) l'attività tecnica di analisi di laboratorio degli alimenti per uso zootecnico nonché delle produzioni animali sia primarie che trasformate;
    i) le attività di selezione e miglioramento genetico, la conservazione e valorizzazione della biodiversità animale e dei microrganismi di interesse tecnologico per la trasformazione dei prodotti di origine animale;
    j) l'inseminazione artificiale nelle specie animali in produzione zootecnica, esclusa quella equina;
   gli uffici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sollecitati più volte dalle parti interessate (Conferenza dei presidi, CONAF, Federazione italiana dei dottori in scienze della produzione animale), hanno condiviso l'opportunità di reintegrare la figura dello zoonomo, sulla base dell'intesa del 15 dicembre 2006, specificando, tuttavia, che ciò può essere ottenuto modificando la normativa vigente;
   allo stato, a distanza di oltre otto anni dall'avvento annullamento giurisdizionale, centinaia di laureati non possono ancora sostenere l'esame di abilitazione per poter svolgere la professione di zoonomo, pur avendo conseguito un titolo accademico riconosciuto –:
   quale iniziativa intenda intraprendere per colmare questo vuoto di disciplina e riconoscere il giusto futuro professionale ad una categoria di laureati in settori di grande specializzazione e notevole sviluppo tecnologico, il cui titolo di studio rappresenta, ad oggi, l'unico esempio di laurea tecnica priva di uno sbocco nella libera professione. (5-01052)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Roma ed in particolare all'istituto Simonetta Tosi di via Alessandro Volta, il 29 agosto è arrivata una comunicazione dalla provincia che annunciava la soppressione di due classi su sei tra i corsi di formazione rivolti ai portatori d'handicap tra i 18 e i 24 anni. Si è riusciti a salvare uno dei due corsi originariamente cancellati, grazie al dirottamento dei fondi stanziati per un altro istituto professionale per disabili ma per venti alunni non c’è stato nulla da fare: dovranno lasciare l'istituto;
   si tratta di corsi che in quattro anni, oltre alla formazione professionale, gli studenti vengono gradualmente inseriti nel mondo lavorativo, attraverso una serie di tirocini tra negozi, uffici postali e segreterie scolastiche. Occasioni a cui quest'anno in venti dovranno rinunciare;
   all'istituto comprensivo di via Padre Semeria, che mette insieme due scuole elementari ed una scuola media, a causa del taglio di fondi da parte del municipio, le ore di assistenza con operatori educativi-culturali sono passate in media da 20 a 5, gli alunni portatori d'handicap sono costretti ad uscire alle 13 anziché alle 16.30 in quanto affetti da disabilità talmente gravi da non essere in grado di restare in classe senza aiuto –:
   con quali criteri si siano selezionati i venti alunni disabili che dovranno rinunciare ai corsi di formazione dell'Istituto Simonetta Tosi;
   quali iniziative il Governo intenda prendere perché i ripetuti tagli di bilancio non vadano ad impattare su situazioni già particolarmente delicate ed a ledere i diritti di studenti e ragazzi disabili.
(4-01924)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 settembre 2013 è partito l'anno scolastico nella regione Lazio;
   si è appreso dagli organi di stampa che: «molti ragazzi disabili iscritti alle scuole superiori, in tutta Roma e provincia, hanno dovuto cominciare le lezioni senza i loro assistenti, e in molti casi non sarà possibile procedere all'affiancamento prima della metà di ottobre»;
   ad oggi nel solo territorio di Roma e provincia, circa 800 studenti non udenti e non vedenti e circa 2.400 ragazzi con altre disabilità sono sprovvisti di assistenti;
   la provincia di Roma è al momento senza guida politica e l'ente che dovrebbe raccogliere l'eredità delle competenze di Palazzo Valentini è la regione Lazio, che tuttavia non può assumersi tale incombenza non essendoci nessuna legge che la trasferisca alla direzione regionale scuola, né tantomeno all'assessorato alla scuola –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire per accelerare per quanto di competenza il processo di affiancamento a tutti i 3.200 studenti disabili aventi diritto. (4-01925)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   l'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011 «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, così come modificato dall'articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011 «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito con modificazioni dal legge n. 214 del 2011 ha introdotto, per le cosiddette «pensioni d'oro», un «contributo di solidarietà»;
   l'Inps ha applicato la trattenuta per il cosiddetto «contributo di solidarietà» istituito con il decreto-legge n. 201 del 2011 ai pensionati delle gestioni previdenziali confluite nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti e nel Fondo di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea;
   tutte le pensioni di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo Inps, pari per l'anno 2012 ad euro 2402,65 lordi, sono state assoggettate ad una trattenuta mensile che va dallo 0,3 per cento all'1 per cento in funzione dell'anzianità posseduta al 31 dicembre 1995;
   tale contributo è stato previsto per un periodo di tempo compreso tra il 1o gennaio 2012 e il 31 dicembre 2017, tuttavia, a causa del recupero degli arretrati dovuti per le sei mensilità trascorse da gennaio a giugno 2012, la trattenuta è stata applicata in misura doppia da luglio sino a dicembre del 2012;
   dalla lettura dell'articolo 24, comma 21, del citato decreto-legge n. 201 del 2011 il quale afferma che «L'ammontare della misura del contributo è definita dalla Tabella A di cui all'Allegato n. 1 del presente decreto-legge ed è determinata in rapporto al periodo di iscrizione antecedente l'armonizzazione conseguente alla legge 8 agosto 1995, n. 335, e alla quota di pensione calcolata in base ai parametri più favorevoli rispetto al regime dell'assicurazione generale obbligatoria», si evince che il legislatore non ha inteso assoggettare a contributo di solidarietà l'intero ammontare della pensione, ma solo quella parte di essa, prodotta dalla contribuzione antecedente l'armonizzazione di cui alla legge n. 335 del 1995, al contrario, secondo segnalazioni delle associazioni di categoria, sembrerebbe che il provvedimento attuato dall'INPS implichi l'applicazione del contributo di solidarietà sull'intero valore del trattamento pensionistico;
   altresì, sempre sulla base delle segnalazioni delle associazioni di categoria, sembrerebbe che l'Inps applichi il prelievo anche sulla quota di pensione capitalizzata all'atto del pensionamento, e per tal motivo risulterebbe violato l'articolo 53 della Costituzione che collega il prelievo impositivo alla capacità contributiva, rappresentata dal reddito maturato nel corso dell'anno solare interessato dal prelievo –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza delle modalità di applicazione del cosiddetto «contributo di solidarietà» e se ritenga opportuno chiarire l'interpretazione della normativa al fine di garantire una corretta applicazione della medesima da parte dell'INPS.
(2-00229) «Barbanti, Nuti».

Interrogazioni a risposta orale:


   CAUSIN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 2009 al 2012 il mercato motociclistico italiano è crollato da 500 a 250 mila pezzi venduti con un crollo dello scooter del 50,5 per cento delle moto del 45,3 per cento. Contestualmente quello europeo scende del 23,5 per cento nello scooter e del 24,4 per cento nelle moto, passando in 4 anni da 1,4 milioni di pezzi venduti a 1 milione;
   nel primo quadrimestre 2013 il mercato Italia segna altri dati preoccupanti: -36 per cento scooter e -20 per cento moto. Aprilia va peggio del mercato negli scooter di cilindrata superiore ai 50cc (-50 per cento contro il -36 per cento del mercato) e nelle moto (-30 per cento contro il -20 per cento del mercato): va meglio negli scooter 50cc -30 per cento contro il -38 per cento del mercato);
   Aprilia è una azienda motociclistica italiana fondata nel 1945 che fa parte del gruppo Piaggio e che occupa circa 720 lavoratori negli stabilimenti di Noale e Scorzè;
   Aprilia rappresenta per il territorio di Scorzè e Noale, e più in generale dell'area miranese, un'eccellenza industriale, un'azienda simbolo per i due comuni che ha saputo conquistare sempre maggiori fette del mercato degli scooter e del motociclo e importanti successi sportivi, l'ultimo festeggiato a Noale solo qualche mese fa;
   nei recenti incontri con le organizzazioni sindacali, alla luce del negativo andamento del mercato della motocicletta, l'azienda ha messo sul piatto un piano di mobilità riguardante soprattutto lo stabilimento di Scorzè, consistente in un taglio di 150 lavoratori dei 360 in organico. Si tratta di una vera novità, visto che negli anni scorsi il provvedimento ha riguardato soprattutto il sito di Noale, dove ora gli esuberi oggi sarebbero 45 su altri 360 dipendenti;
   la riduzione di quasi 200 unità rappresenta, in pratica, la riproposizione dei tagli prospettati un paio d'anni fa e scongiurati grazie al buon esito della trattativa condotta a buon fine con l'applicazione del contratto di solidarietà (in scadenza il 31 gennaio 2013), una soluzione individuata per scongiurare licenziamenti in una realtà di fabbrica in cui l'età media è molto bassa: il grosso dei dipendenti è sui quarantanni, età critica per riuscire a trovare un'altra collocazione e troppo distante per predisporre un percorso verso il pensionamento;
   l'attività dell'azienda non è proprio stagnante, dal momento che tra qualche mese dovrebbero entrare in produzione alcuni nuovi modelli e che la Banca europea per gli investimenti (Bei) e Piaggio hanno recentemente firmato un contratto da 60 milioni di euro per sostenere ricerca e sviluppo del gruppo;
   è doveroso – a parere dell'interrogante – aprire urgentemente un tavolo di concertazione presso il Ministero dello sviluppo economico che riguardi l'intera area del Miranese (da poco costituito come unione dei comuni) e della Riviera del Brenta, la più grande della provincia dopo il sito di interesse nazionale di Porto Marghera, e finalizzato a prendere urgenti e concrete misure verso i lavoratori delle suddette aree, dal momento che la perdita di posti di lavoro, specie in settori ad elevata specializzazione, rappresenta, oltre che un dramma occupazionale e sociale, un inaccettabile impoverimento di competenze del sistema industriale nazionale –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda porre in essere per affrontare la difficile situazione di crisi in Aprilia e se non ritenga necessario convocare urgentemente un tavolo di concertazione presso il Ministero dello sviluppo economico con le organizzazioni sindacali e rappresentative delle realtà produttive, e degli enti locali interessati dell'area miranese e della Riviera del Brenta, finalizzato a scongiurare la perdita occupazionale in un'area già pesantemente colpita da crisi, verificando in quella sede la reale situazione economico-finanziaria dell'area e le opportunità di sviluppo e impiego per chi, nell'ipotesi di chiusura degli stabilimenti, non farà più parte dell'azienda Aprilia, visto che le aziende oggi presenti nel territori o non sono in grado di assorbire gli esuberi. (3-00329)


   SBERNA, GIGLI e BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in un periodo storico di grave difficoltà sono state approvate norme che hanno modificato radicalmente il sistema pensionistico, recando – a parere degli interroganti – discriminazioni che violano il principio di equità di trattamento tra donna e uomo, tra sano e malato, tra pubblico e privato, e a discapito di alcune categorie già sufficientemente svantaggiate;
   si tratta di norme che penalizzano i cosiddetti lavoratori precoci che possono andare in pensione anticipata, ma che vedono allontanarsi il pensionamento a causa dell'aumento del numero massimo di contributi richiesti in corrispondenza dell'aumento della speranza di vita;
   nello specifico, in base all'articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, se il pensionamento anticipato avviene prima del compimento dei 62 anni di età è applicata, sulla quota di trattamento di pensione relativa all'anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 2011, una riduzione dell'1 per cento per i primi due anni mancanti al raggiungimento dei 62 anni ed elevata al 2 per cento per gli ulteriori anni mancanti alla suddetta età, a partire dalla data del pensionamento;
   paradossalmente, questa situazione si è aggravata con l'introduzione di una deroga alla penalità, deroga che vale per chi raggiunge i requisiti entro il 2017 senza avere i 62 anni di età. Infatti, l'articolo 6, comma 2-quater del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012, ha disposto che sopraddetta riduzione non trova applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la contribuzione ivi prevista derivi esclusivamente da «prestazione effettiva di lavoro», escludendo in tal modo: l'astensione facoltativa per maternità; i periodi di mobilità, di cassa integrazione straordinaria o in deroga, di disoccupazione; i permessi ex lege n. 104 del 1992; l'astensione dal lavoro per donazione di sangue e di emocomponenti; le giornate di sciopero; le aspettative senza assegni a qualsiasi titolo;
   escludendo, dunque dal computo la contribuzione figurativa, si sono aperte evidenti contraddizioni. Per coloro che potranno andare in pensione entro il 2017, le nuove regole dettate dalla riforma prevedono che chi ha usufruito di periodi di maternità facoltativa, di permessi della legge n. 104 del 1992, di periodi di disoccupazione o cassa integrazione straordinaria o in deroga o ha fatto scioperi e goduto di permessi sindacali, se non vuole subire una penalizzazione, deve allungare del corrispondente periodo «perduto» l'attività lavorativa. Perfino le maggiorazioni per invalidità superiore al 75 per cento, non verrebbero considerate utili per evitare le penalizzazioni;
   con queste nuove misure, vengono meno le misure a favore di maternità e lavoro, realtà non sempre conciliabili: lo dimostrano le statistiche, con un abbandono del lavoro femminile al primo figlio che aumenta a dismisura al secondo, in assenza di risorse interne familiari. A parere degli interroganti, con il prolungamento dell'età pensionabile, sarebbe stato opportuno prevedere nuovi strumenti di welfare, sostitutivi del lavoro parentale, come accade in altri Paesi europei;
   inoltre, la legge n. 104, istituita per assicurare una corretta tutela ai cittadini portatori di disabilità, prevede alcuni permessi lavorativi, definiti nelle modalità e nei tempi, per il disabile stesso o per il familiare che garantisce assistenza e sostegno. La riforma prevede, limitatamente ai lavoratori del pubblico impiego, il recupero dei permessi usufruiti, introducendo una grave discriminazione fra pubblico e privato;
   in sintesi, vengono escluse, da un adeguato computo dei contributi pensionistici, categorie già sufficientemente vessate dalla crisi e che, contrariamente a quanto avviene, dovrebbero poter contare sul supporto della società;
   in un momento di grave crisi occupazionale, con percentuali di disoccupazione giovanile preoccupanti, è davvero di difficile lettura strategica la scelta di chiedere un prolungamento della permanenza in servizio a lavoratori che già hanno subito – non per loro volontà – situazioni di lavoro insicuro –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per garantire un'adeguata tutela delle categorie che più hanno subìto gli effetti della crisi e se non ritenga opportuno promuovere una revisione della suddetta normativa relativa al calcolo del trattamento pensionistico, apportando le necessarie correzioni volte a superare le discriminazioni oggi esistenti. (3-00331)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con un comunicato stampa, la Fiom-Cgil ha reso noto che il 17 settembre 2013 si è svolto presso la regione Piemonte l'esame «congiunto» per la cassa integrazione degli stabilimenti della carrozzeria di Mirafiori, Maserati e Itca;
   tale esame «congiunto» è stato svolto negli uffici dell'assessorato al lavoro con l'azienda e le sigle sindacali con le quali è stato concluso l'accordo per la proroga della cassa;
   tuttavia, tra le associazioni sindacali mancava la Fiom-Cgil, la quale – pur presente insieme alle altre sigle per partecipare alla riunione – è stata esclusa dalla regione;
   la regione, infatti, ha convocato separatamente la Fiom-Cgil e – si ribadisce che la sigla sindacale era presente nei locali dell'assessorato per poter partecipare all'esame congiunto con le altre sigle sindacali e l'azienda e di questa sua intenzione aveva preavvertito la regione – non ha voluto saperne di svolgere un incontro unico, ricevendo la Fiom-Cgil solo al termine del confronto con le altre sigle;
   in tal modo la regione ha siglato l'accordo per la proroga della cassa con tutte le sigle sindacali e l'azienda, ma non con la Fiom-Cgil, con la quale l'incontro si è chiuso con un verbale nel quale la Fiom-Cgil ha ribadito di considerare irregolare la procedura stessa in quanto l'esame congiunto era stato già svolto in precedenza con solo una parte delle organizzazioni sindacali, tanto più che nel corso di questa riunione era già stato sottoscritto l'accordo;
   il mancato svolgimento di un esame congiunto che includesse anche la Fiom a giudizio dell'interrogante ha leso un principio, che va letto anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale, che impone alle istituzione di garantire pari dignità a tutti i soggetti sindacali, garantendo modalità di convocazioni uguali per tutti e la possibilità per ciascuno di incidere sugli accordi presi;
   il segretario provinciale della Fiom-Cgil, Federico Bellono, ha dichiarato: «siamo stufi, quando si parla di Fiat, di arrivare ai tavoli della Regione quando gli altri se ne vanno e dopo che hanno già siglato gli accordi. A nostro giudizio, la procedura rischia di essere illegittima e delle eventuali conseguenze la responsabilità è tutta della Regione, che avrebbe fatto meglio a non assumersi l'onere delle convocazioni separate» –:
   se non ritenga di assumere iniziative normative per affermare e ribadire il principio innanzi espresso, indicando puntualmente che corrisponde a comportamento anti-sindacale la modalità di convocazione separata di alcune sigle sindacali perché poco o per nulla gradite. (5-01058)


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dopo la vicenda esodati, un'altra altrettanto assurda sta emergendo quale conseguenza della dannosa riforma pensionistica attuata dalla ex ministra Fornero e che colpirebbe, questa volta, i donatori di sangue;
   sembrerebbe, infatti, che gli iscritti all'Avis in procinto di andare in pensione debbano lavorare ancora per circa dieci mesi per recuperare i giorni in cui, con regolare permesso, sono rimasti a casa per il prelievo;
   l'allarme è stato lanciato dalla sede dell'associazione a Cremona, comune che registra il maggior numero di iscritti (circa 6.000 che diventano 17.000 con la provincia);
   ipotizzando un iscritto che dona il sangue da quando è maggiorenne e con regolarità (cioè quattro volte l'anno), in quarant'anni di vita avrà accumulato 160 giorni di astensione dal lavoro, che si traducono in almeno sette mesi in più di servizio;
   l'alternativa, per costoro, stante la vigente normativa è di andare comunque in pensione ma con una decurtazione del 2 per cento sull'importo del trattamento;
   come spiegato dal presidente dell'Avis di Cremona, Ferruccio Giovetti, ai microfoni di Radio 24 lo scorso 23 settembre, il rischio di tale situazione è una drastica diminuzione del numero dei donatori di sangue, con rilevanti conseguenze per gli ospedali sulla disponibilità e reperibilità di un farmaco salvavita –:
   se il Governo non ritenga doveroso intervenire urgentemente sulla vicenda di cui in premessa, a tutela del diritto a pensione dei donatori di sangue, affinché non diventino per colpa della legge Fornero gli «esodati del sangue», nonché a salvaguardia della salute della collettività, che potrebbe esser compromessa dalla difficoltà di reperire sacche di sangue necessarie in sala operatoria. (5-01059)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COMINARDI, TRIPIEDI, ROSTELLATO, BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2013, il Presidente della Corte dei conti rilevava che la corruzione nel nostro Paese è divenuta un fenomeno politico-amministrativo-sistemico che sta pregiudicando il prestigio, l'imparzialità, il buon andamento della pubblica amministrazione nonché l'economia della nazione;
   da recenti notizie apparse sui quotidiani nazionali, risulta che in data 19 settembre 2013 la Guardia di finanza, nell'inchiesta avviata dalla procura di Roma che vedrebbe indagati per corruzione alcuni imprenditori e un dipendente di Equitalia, ha perquisito gli uffici della società di riscossione presso le sue sedi di Genova, Roma e Tivoli, perquisendo anche alcune sedi dell'Inps;
   dalle medesime fonti si apprende che gli indagati avrebbero accolto istanze di rateizzazione di cartelle esattoriali e avrebbero interferito nelle procedure di versamento dei contributi previdenziali, in cambio della promessa di denaro;
   le perquisizioni della Guardia di finanza sembrano essere confermate anche dalla nota di Equitalia che già sta collaborando con gli inquirenti affinché venga fatta piena luce sui fatti oggetto di indagine e sulle eventuali responsabilità;
   alla luce della grave crisi economica, considerati i preoccupanti dati relativi alla disoccupazione, e tenuto conto dell'instabilità finanziaria dell'Inps, è evidente che la vasta diffusione della corruzione, a tutti i livelli, stia ricadendo sui contribuenti che concorrono, responsabilmente, alla sostenibilità del sistema previdenziale italiano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se, nell'ambito delle proprie competenze, intenda avviare ogni indagine al fine di accertare se sussistano responsabilità in capo a taluni dipendenti e funzionari dell'ente previdenziale;
   se sia stato garantito il corretto esercizio delle attività proprie dell'ente di riscossione in relazione alla contribuzione gestita dall'Inps. (4-01927)


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto ILO (Global Employment Trends for Youth 2013) il tasso di disoccupazione giovanile continuerà incessantemente a crescere nei prossimi anni per raggiungere nel 2018 il 12,8 per cento;
   nel 2013 nel mondo ci saranno 73,4 milioni di giovani in cerca di un'occupazione. Il rapporto, dunque uno scenario inquietante: disoccupazione persistente, proliferazione di lavori temporanei, basse qualifiche e un aumento dei giovani scoraggiati;
   dal documento interlocutorio approvato dalla Commissione lavoro della Camera nel mese di luglio 2013 relativo all’«Indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile» emerge che nel nostro Paese il rischio di rimanere disoccupati è molto più alto per i giovani (sino a 4 volte) rispetto alle altre classi di età degli altri Paesi europei;
   la crisi occupazionale si lega soprattutto a una carenza di domanda di lavoro, in calo costante dall'avvio della crisi cui si deve aggiungere una precarietà sempre maggiore del rapporto di lavoro determinata dalla oramai ampia diffusione dei contratti di lavoro a termine e flessibile che inevitabilmente conducono da un lato ad una frammentarietà e discontinuità lavorativa e dall'altro all'avvilimento personale sul futuro professionale;
   in tale contesto generale si collocano il contratto di apprendistato, disciplinato dal decreto legislativo n. 167 del 2011 «testo unico dell'apprendistato» e l'accordo interconfederale che ne è seguito, sottoscritto da Confindustria, CGIL, CISL ed UIL, il 12 aprile 2012, dove si legge testualmente che «...il contratto di apprendistato rappresenta la strada maestra per l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro...», resta marginale e ancora non rappresenta lo strumento privilegiato di accesso al lavoro per i giovani;
   nonostante il decreto legislativo sopra citato preveda una serie di benefici economici, l'apprendistato resta sottoutilizzato rispetto alle sue potenzialità e i dati sembrano dimostrare che il ricorso a tale tipologia contrattuale da parte dei datori di lavoro avvenga principalmente per accedere ai benefici di cui sopra; al contempo la formazione in azienda, in un'ottica di investimento individuale finalizzata all'assunzione stabile del lavoratore, continua a rappresentare un elemento marginale;  
   in tale ambito poi si deve necessariamente porre l'attenzione sulla mancanza di un coordinamento normativo, cui si legano in particolare le difficoltà che derivano dalla competenza legislativa concorrente riconosciuta alle regioni e, conseguentemente, dalla coesistenza, sul territorio nazionale, di una pluralità di sistemi normativi differenziati;
   inoltre il fatto di non ricorrere a tale forma contrattuale deriva dalla mancanza di un sistema organico di raccordo con il sistema scolastico e formativo del Paese, diversamente da quanto accade ne sistemi duali (Germania e Austria), dove i due percorsi (scolastico e lavorativo) hanno pari dignità e l'apprendistato rappresenta effettivamente il canale di accesso al lavoro per la maggioranza dei giovani;
   nei sistemi duali, la fascia di età degli apprendisti è molto più bassa che nel nostro Paese e le retribuzioni sono più contenute (ciò che tuttavia si concilia con il fatto che si tratta di retribuzioni percepite da studenti contemporaneamente impegnati in un percorso scolastico);
   l'attuazione di un sistema duale analogo a quello tedesco o austriaco nel nostro Paese richiederebbe un generale ripensamento del sistema scolastico non realizzabile in tempi rapidi –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, alla luce della situazione sopra esposta, abbia intenzione di assumere al fine di prevedere, in tempi brevi, vista anche la crisi occupazionale che affligge il nostro Paese, un più esteso accesso alla formazione aziendale attraverso anche la valorizzare del ruolo di scuole e università per il collocamento degli apprendisti nel tessuto produttivo locale e per promuovere un più esteso ricorso a forme di alternanza scuola-lavoro. (4-01929)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il concetto di inquinamento irreversibile è previsto nella direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001 che, per l'emissione deliberata nell'ambiente degli organismi geneticamente modificati, al 4 punto dei considerando, riporta quanto segue: «gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili»;
   in materia di OGM l'obbligo comunitario, in virtù dei trattati di Roma, prevale sul limite costituzionale interno solo quando non tocca principi e diritti fondamentali previsti dalla Costituzione, come il diritto all'integrità dell'ambiente previsto all'articolo 9;
   sin dal mese di aprile 2013 il ministro della salute pro tempore a richiesto alla Commissione europea di effettuare una nuova valutazione del Mon810, ed ha definito adeguate le misure di gestione che avrebbero dovuto essere obbligatorie per tutti gli utilizzatori degli OGM;
   è noto che nel giugno 2013 in provincia di Pordenone è stata avviata la prima semina di mais geneticamente modificato; si è a conoscenza anche della presenza di altri campi seminati a mais OGM, senza tuttavia averne un quadro completo. I campi sono arrivati a fioritura e taluni anche a trebbiatura senza che alcuna azione preventiva o riparativa da parte delle autorità competenti sia stata effettuata;
   la mozione votata dalla Camera dei deputati nel mese di luglio 2013, impegna il Governo ad assumere iniziative urgenti in relazione all'avvenuta semina di mais geneticamente modificato, su tutto il territorio italiano, al fine di evitare ogni forma di possibile contaminazione ambientale e delle produzioni agricole locali;
   in seguito i Ministeri competenti annunciavano l'emanazione di un decreto interministeriale, sempre in forza dell'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 per vietare la coltivazione del Mon810 sul territorio nazionale, adducendo come motivazione anche un recentissimo approfondimento tecnico scientifico dell'ISPRA che evidenzia l'impatto negativo degli organismi transgenici sulla biodiversità, non escludendo rischi su organismi acquatici (già evidenziati da un parere dell'EFSA del dicembre 2011); tale divieto è così in vigore fino all'adozione delle misure previste dal regolamento comunitario 178/2002 e comunque per un periodo di massimo diciotto mesi;
   il decreto interministeriale, in vigore dal 12 agosto 2013, stabilisce che: «La coltivazione di varietà di mais MON810, provenienti da sementi geneticamente modificate è vietata nel territorio nazionale, fino all'adozione di misure comunitarie di cui all'articolo 54, comma 3 del regolamento (CE) 178/2002 del 28 gennaio 2002» senza fornire alcuna linea di azione a riguardo dei campi ove la semina è già avvenuta e ove fioritura e trebbiatura sono tuttora in corso;
   sempre i Ministeri competenti hanno sottolineato che le sentenze della corte di giustizia dell'Unione europea, cui l'Italia si conforma, ribadiscono la legittimità di misure di coesistenza che salvaguardino le colture tradizionali e biologiche, e che dovrebbero essere adottate dalle regioni conformemente alla sentenza n. 116 del 2006 della Corte costituzionale;
   nel rispondere ad una consultazione pubblica lanciata dal commissario europeo all'agricoltura, Dacian Ciolos, che ha riunito 45mila risposte di cittadini (il 96 per cento) e di addetti ai lavori in Europa, i partecipanti hanno confermato la loro «fiducia» nel biologico: lo acquistano più di otto consumatori su dieci in quanto i prodotti biologici sono privi di OGM e di residui di pesticidi. Nell'ottica della tutela ambientale i consumatori europei sono anche disposti a pagare un prezzo più’ elevato per portarli in tavola –:
   se per le coltivazioni di mais Mon810 ancora in essere sia in corso una qualche misura di controllo ai fini della tutela della biodiversità, prevedendo eventuali verifiche di contaminazione delle coltivazioni di mais circostanti;
   se non si ritenga urgente assumere iniziative per chiarire la normativa attinente agli organismi OGM e renderla finalmente univoca, senza lacune o contraddizioni con quanto disposto dalla normativa comunitaria;
   se il Governo intenda adoperarsi per l'adozione delle misure di coesistenza su tutto il territorio nazionale.
(2-00223) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Nuti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le «strade del vino» sono percorsi situati in territori ad alta vocazione vitivinicola caratterizzati, oltreché da vigneti e cantine di aziende agricole, da attrattive naturalistiche, culturali e storiche particolarmente significative ai fini di un'offerta enoturistica integrata;
   le «strade del vino» costituiscono quindi uno strumento di promozione dello sviluppo rurale e del suo territorio, con l'obiettivo di favorire e promuovere l'enoturismo», quale movimento inteso a valorizzare la produzione vitivinicola nell'ambito di un contesto culturale, ambientale, storico e sociale;
   sono ad oggi presenti in Italia, su tutto il territorio nazionale, circa 140 «strade del vino», percorsi che hanno anche contribuito a sostenere, in questi anni, lo sviluppo del turismo enogastronomico, e conseguentemente portato benefici, non solo al complessivo comparto agroalimentare, ma al sistema ricettivo, turistico, economico ed occupazionale territoriale;
   l'Italia può infatti vantare oltre 500 tipologie di vini a denominazione certificata, mentre il turismo enogastronomico, secondo le indagini delle associazioni di categoria, raggiunge un fatturato annuo di circa cinque miliardi di euro (risultando uno dei volani più rappresentativi della vacanza made in Italy);
   le «strade del vino» sono state costituite e disciplinate dalla legge 27 luglio 1999, n. 268. L'obiettivo della legge «consiste nella valorizzazione dei territori a vocazione vinicola, con particolare riferimento ai luoghi delle produzioni qualitative di cui alla legge 10 febbraio 1992, n. 164, e successive modificazioni, anche attraverso la realizzazione delle strade del vino»;
   risulta evidente come una cartellonistica uniforme, appropriata e visibile, relativa alle «strade del vino» rappresenti uno strumento fondamentale per far risaltare le tipicità locali, indirizzare con maggior chiarezza ed immediatezza i flussi turistici nazionali ed internazionali e promuovere tale settore nella sua interezza e varietà;
   l'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 1999, n. 268 dispone che le «strade del vino sono percorsi segnalati e pubblicizzati con appositi cartelli, lungo i quali insistono valori naturali, culturali e ambientali, vigneti e cantine di aziende agricole singole o associate aperte al pubblico; esse costituiscono strumento attraverso il quale i territori vinicoli e le relative produzioni possono essere divulgati, commercializzati e fruiti in forma di offerta turistica»;
   l'articolo 2, comma 1, lettera d), della suddetta legge consente alle regioni, nel definire la gestione e la fruizione delle «strade del vino», di prevedere strumenti adeguati per il «sistema della segnaletica»;
   l'articolo 3 della stessa legge, sancisce comunque che «le caratteristiche della cartellonistica sono definite, ai sensi dell'articolo 39, comma 1, lettera c), capoverso h), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, anche sulla base delle esperienze maturate nell'ambito dell'Unione europea, con decreto del Ministro per le politiche agricole, da adottare di concerto con i Ministri competenti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge»;
   alcune regioni, per adempiere ai contenuti dell'articolo 2, comma 1, lettera d), legge n. 268 del 1999, hanno quindi approvato provvedimenti specifici;
   la regione Toscana ha emanato la legge regionale n. 4 del 2013, Modifiche alla legge regionale 5 agosto 2003, n. 45 (disciplina delle strade del vino, dell'olio extravergine di oliva e dei prodotti agricoli e agroalimentari di qualità). Nel preambolo si riporta testualmente: «La presente legge interviene sul sistema della segnaletica delle strade del vino, dell'olio extravergine di oliva e dei prodotti agricoli e agroalimentari di qualità, per prevedere espressamente la possibilità di inserire nei segnali stradali turistici e di territorio destinati all'individuazione del percorso, l'indicazione del nome delle aziende agricole aderenti ad una determinata strada»;
   a ciò è seguito il decreto dirigenziale regionale attuativo n. 2630 del 4 luglio 2013, in cui vengono specificate le caratteristiche geometriche e cromatiche della cartellonistica stradale e del logo identificativo unico (come peraltro già stabilito nel precedente D.D. 5119 del 18 novembre 2011);
   conseguentemente, gli enti locali, ed in particolare la provincia di Siena, per le infrastrutture viarie di competenza, si sono attivate per recepire materialmente le indicazioni del sopracitato decreto ministeriale regionale;
   in data 18 giugno 2013 il Ministero delle infrastrutture e dei (trasporti (dipartimento per i trasporti terrestri, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici – direzione generale per la sicurezza stradale) ha inviato una lettera agli uffici competenti dell'amministrazione provinciale di Siena e della regione Toscana con oggetto: «Strade del vino». Legge Regione Toscana n. 4 del 6 febbraio 2013. Richiesta di parere in ordine alla sua applicazione;
   tale missiva riportava: «Premesso che, come previsto dall'articolo 117 della Costituzione e ribadito anche dalla Corte Costituzionale con sentenza del 29 dicembre 2004, n. 428: «la disciplina della circolazione stradale è rimasta attribuita alla competenza esclusiva dello Stato» e di conseguenza non è di competenza delle regioni, giova ricordare che l'articolo 38, comma 6, del Codice della Strada, prevede che la collocazione della segnaletica risponde a criteri di uniformità sul territorio nazionale nel rispetto della normativa comunitaria e internazionale vigente. Come già precedentemente espresso, per quanto attiene «il logo identificativo unico», in ossequio al criterio di uniformità della segnaletica stradale sull'intero territorio nazionale, esso è stato, a suo tempo, definito di concerto con il Ministero delle Politiche Agricole che avrebbe dovuto successivamente curarne la pubblicazione con decreto per la sua diffusione anche se, allo stato attuale, questo non è ancora avvenuto. Ciò stante, questo ufficio sconsiglia l'utilizzo di loghi non riconosciuti a livello nazionale ma consente esclusivamente iscrizioni per l'individuazione delle «strade del vino» mediante segnali stradali»;
   la lettera ribadiva poi che il «cartello definito dalla decreto Dirigenziale della Regione Toscana n. 5119 del 18 novembre 2011, e successivamente ribadito con decreto Dirigenziale n. 2630 del 4 luglio 2013, non può considerarsi segnale turistico e di territorio, in quanto per essere tale si deve eliminare sia il logo Regionale che il logo della Strada», e che per «l'installazione occorre rispettare le prescrizioni del comma 2, dell'articolo 134, del Regolamento del Codice della Strada. Qualsiasi altra tipologia di cartello, con loghi pubblicitari/regionali o specifici della singole aziende, rientra nella categoria di cartello pubblicitario di cui all'articolo 23 del CdS e agli articoli 4756 del Regolamento» e non può essere installato ”in corrispondenza delle intersezioni;
   appare evidente che le norme dell'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge n. 268 del 1999 non possono trovare una corretta applicazione fino a che non verrà pubblicato l'apposito decreto, sopracitato, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e tale ritardo, ad oggi grave ed ingiustificato, sta di fatto penalizzando il raggiungimento delle finalità stesse presenti nell'ordinamento nazionale sulla promozione, la gestione e la fruizione delle «strade del vino»;
   per la presenza diffusa e capillare di tali strutture in tutta Italia, si tratta evidentemente di una problematica di carattere nazionale;
   la corretta applicazione della legge n. 268 del 1999 è già stata oggetto, nella scorsa legislatura di un atto di sindacato ispettivo, al quale non è pervenuta risposta (interrogazione a risposta scritta n. 4/09531, a prima firma dell'interrogante);
   per completezza di informazione va inoltre segnalato che la corretta ed efficace segnaletica del «logo identificativo unico» riguarda anche altri itinerari similari come strade dell'olio e dei sapori –:
   per quali reali e giustificati motivi non sia stato ancora pubblicato il decreto ministeriale sul «logo identificativo unico» previsto dell'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge n. 268 del 1999, e in quali tempi si intenda procedervi. (5-01053)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il riconoscimento degli animali quali esseri senzienti, e quindi portatori di diritto, è uno dei capisaldi della politica dell'Unione europea; le fasi di trasporto e scarico degli animali, rappresentano uno dei maggiori fattori di stress per gli animali avviati al macello, influenzando in maniera significativa la qualità delle carni da esse derivate;
   in osservanza del Regolamento (CE) 853/2004 (Norme specifiche in materia di igiene degli alimenti di O.A.) allegato III, sezione I cap. I, chi effettua il trasporto degli animali vivi al macello deve accertarci che durante la raccolta e il trasporto, gli animali vengano manipolati con cura evitando inutili sofferenze;
   in osservanza del regolamento (CE) 1099/2009, applicativo dal 1° gennaio 2013 «gli animali feriti o malati devono essere macellati e abbattuti sul posto; il veterinario ufficiale può tuttavia, autorizzare il loro trasporto per la macellazione o l'abbattimento, purché non comporti ulteriori sofferenze»;
   lo stesso regolamento comunitario stabilisce che le condizioni relative al benessere degli animali di ogni partita devono essere valutate sistematicamente al momento dell'arrivo del responsabile della tutela del benessere animale o da una persona che renda conto direttamente al responsabile della tutela del benessere animale, al fine di individuare le priorità definendo in particolare quali animali hanno specifiche esigenze di benessere e le relative misure da adottare;
   secondo quanto si apprende da diverse fonti stampa e a seguito della denuncia della Lega Anti Vivisezione, dopo 56 giorni di controlli, effettuati dalla task force della polizia stradale, in collaborazione con Lav e Animals’ Angels, sulle strade e autostrade italiane di Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Lazio e Calabria, sono state riscontrate 534 violazioni su 650 veicoli controllati (8 veicoli su 10), per un totale di 345 mila euro di sanzioni;
   altre migliaia sarebbero le violazioni riscontrate, durante controlli di routine, dagli agenti formati dalla Lav;
   il trasporto degli animali vivi verso i mattatoi, si legge in una nota della stessa LAV, coinvolge ogni anno, solo in Italia, 500 milioni di animali, 5 milioni dei quali affrontano distanze incredibili, con viaggi che durano diversi giorni, in condizioni drammatiche, a temperature che d'estate superano i 40° C, a volte senza soste o cibo e acqua adeguati; condizioni che portano alla morte prematura molti animali, quasi sempre dopo una terribile agonia, e che configurano molte delle illegalità riscontrate nei controlli della task force;
   la Lav si batte da anni per portare alla luce la sofferenza degli animali trasportati, chiedendo, sia in sede nazionale che comunitaria, normative che mettano fine a queste inutili sofferenze –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, sia in sede nazionale che comunitaria, per migliorare la normativa sul trasporto animale introducendo limiti temporali massimi al trasporto degli animali su lunga distanza;
   se il Governo non intenda porre in essere iniziative volte all'adozione di politiche che non prevedano la sovvenzione, attraverso fondi pubblici, per l'apertura di grandi macelli industriali che richiedano la movimentazione di decine di migliaia di animali. (4-01930)


   GAGNARLI, GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   ai fini della programmazione dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020 l'accordo di partenariato – AP è un documento strategico di estrema rilevanza in quanto definisce precisi risultati da conseguire a livello nazionale attraverso la definizione di 11 obiettivi tematici;
   le criticità che si ravvisano in merito alla gestione dei fondi europei sono purtroppo note e vanno dalla incapacità delle istituzioni coinvolte di fare sistema, alla inefficienza delle strutture pubbliche preposte alla gestione dei programmi, dalle difficoltà dei programmatori pubblici di assicurare la fattibilità e la prevedibilità dei procedimenti competitivi per l'accesso a benefici ed incentivi fino alle enormi lacune nelle capacità tecniche dei soggetti ammissibili ai contributi;
   è evidente che per sfruttare al meglio i fondi messi a disposizione dall'Unione europea è necessaria un'azione sinergica da parte di tutte le istituzioni nazionali, affinché si concentrino le risorse su pochi ma strategici interventi e si predispongano, nel contesto delle politiche ordinarie, misure adeguate a massimizzare l'impatto delle azioni realizzate con il supporto dei finanziamenti europei per la coesione;
   tra le azioni previste per il conseguimento dell'obiettivo tematico 9, relativo all'inclusione sociale, è prevista la promozione, presso le aziende agricole, di progetti di agricoltura sociale, rivolti alla formazione e all'inserimento lavorativo e alla creazione di servizi alla popolazione;
   nel corso di questa legislatura la Commissione agricoltura ha avviato la discussione di diversi progetti di legge in materia di agricoltura sociale volti a regolamentare tale attività, senza che si sia ancora giunti all'approvazione di un testo condiviso;
   a parere degli interroganti, è assolutamente urgente l'approvazione di un testo normativo considerato che le azioni a sostegno dell'agricoltura sociale sono incluse nell'accordo di partenariato e che sono perciò considerate prioritarie dal Governo ed incluse nella strategia complessiva di utilizzo dei fondi europei –:
   se non intenda promuovere iniziative per definire, un quadro normativo chiaro indispensabile a programmare gli interventi di promozione dell'agricoltura sociale a valere sul FEASR. (4-01935)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il dibattito sulla prolungata crisi, che dal 2009 ha colpito la Vinyls Italia spa, è tornato d'attualità a seguito della protesta messa in atto dai lavoratori dell'azienda, il cui futuro occupazionale appare estremamente incerto;
   da circa una settimana, infatti, quattro operai hanno occupato la torcia dello stabilimento di Porto Marghera, a 150 metri di altezza, per protestare contro il mancato pagamento, dallo scorso mese di gennaio, degli stipendi che sono necessari per permettere agli operai di continuare a condurre i presidi di sicurezza presso gli impianti;
   il gruppo della Lega Nord ha presentato diversi atti di sindacato ispettivo sulla vicenda, da ultimo l'interrogazione n. 5-00156, a cui il Ministro dello sviluppo economico ha fornito, a giudizio degli interpellanti, risposte non esaustive in merito alla salvaguardia del posto di lavoro dei dipendenti, già in cassa integrazione;
   in questi anni di amministrazione straordinaria non sono stati individuati possibili acquirenti interessati alla continuazione dell'attività di Vinyls, unica produttrice in Italia di PVC; le manifestazioni di interesse hanno riguardato solo l'acquisto dei terreni, non comprensivi degli impianti PVC, ai fini di una riconversione industriale degli stessi;
   l'attuale offerta presentata dall'Oleificio Medio Piave, società che svolge attività di estrazione dell'olio vegetale da semi oleosi, a detta dei lavoratori, potrebbe aprire la strada alla realizzazione di un progetto occupazionale che coinvolga i dipendenti della Vinyls di Porto Marghera;
   esistono diversi ostacoli al perfezionamento della procedura di vendita a favore dell'Oleificio che rischiano di portare, se non risolti, ad un aggravamento delle vicenda, togliendo ai lavoratori della Vinyls ogni speranza di potersi velocemente reinserire nel mondo del lavoro;
   la crisi economica ha avuto un effetto dirompente sulla chimica, determinando una consistente perdita di fatturato per l'intero settore. È tuttavia impensabile che l'Italia rinunci al suo ruolo da protagonista nel settore della chimica, perdendo il valore strategico di questo importante comparto, fondamentale per riportare il Paese su più alti livelli competitivi;
   dopo gli interventi di politica economica funzionali ad evitare un avvitamento della crisi, è necessario adottare quanto prima strumenti di politica industriale che siano in grado di salvaguardare le imprese del territorio e l'occupazione –:
   se sia nelle intenzione dei Ministri interpellati partecipare attivamente alle trattative in corso affinché le stesse possano andare a buon fine, garantendo quanto prima la realizzazione di un progetto occupazionale per il reimpiego dei lavoratori della Vinyls di Porto Marghera;
   se intenda adottare le iniziative normative che si rendano necessarie per il rilancio della competitività delle imprese e dell'occupazione in tutti i compatti industriali strategici per il Paese, con particolare riferimento alla chimica italiana.
(2-00226) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».

Interrogazioni a risposta immediata:


   AIRAUDO, FERRARA, MIGLIORE, DI SALVO, LACQUANITI, QUARANTA, AIELLO, BOCCADUTRI, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, LAVAGNO, MARCON, MATARRELLI, MELILLA, NARDI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIAZZONI, PILOZZI, PIRAS, PLACIDO, RAGOSTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, SCOTTO, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da informazioni circolanti nell'ambiente e da alcune agenzie riprese dalla stampa nazionale, Finmeccanica s.p.a. starebbe iniziando a ragionare su un piano per garantirsi qualche introito dalle dismissioni anche se la politica dovesse mettersi di traverso alla cessione degli asset civili a gruppi stranieri. In sostanza, l'obiettivo dovrebbe essere quello di portare a casa almeno qualcosa entro fine 2013. In particolare, per Ansaldo energia si starebbe pensando a una rete di protezione, che dovrebbe essere stesa dal Fondo strategico italiano s.p.a. istituito presso la Cassa depositi e prestiti. Il Fondo strategico italiano s.p.a., infatti, dovrebbe essere pronto a rilevare delle quote di Ansaldo energia entro fine 2013, anche se non si dovesse stringere un accordo con la coreana Doosan;
   qualche settimana fa il presidente di Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, ha ammesso che il dossier è sul tavolo, ma ora il fascicolo dovrebbe prendere una corsia preferenziale, per essere pronto in caso di accelerazione. Se si arrivasse a un accordo con i coreani, il Fondo strategico italiano s.p.a. potrebbe anche intervenire in un secondo momento, rilevando una quota direttamente da Doosan o dalla stessa Finmeccanica s.p.a. Se l'ipotesi coreana dovesse invece sfumare, allora il Fondo strategico italiano s.p.a. dovrebbe entrare in scena subito. Non solo, sembrerebbe pure che il Fondo strategico italiano s.p.a. potrebbe essere chiamato in causa anche su Ansaldo Breda;
   vi sono poi altri due elementi da rilevare che dovrebbero indurre il Governo a fare chiarezza sullo stato dell'arte relativo al piano di dismissioni di Finmeccanica s.p.a., che, secondo le intenzioni pubblicamente dichiarate dall'Esecutivo, non dovrebbe toccare gli asset civili:
    a) innanzitutto, nella giornata del 19 settembre 2013, l'agenzia di rete Moody's ha tagliato il rating di Finmeccanica s.p.a. da Baa3 a Ba1, livello «non investment grade». L’outlook resta negativo. La decisione dell'agenzia di rating riflette «una più lenta velocità nel miglioramento della performance operativa e il profilo di credito», considerati «alcuni vincoli che pesano in alcune aree» e «le vendite di asset in sospeso»’. Sempre secondo Moody's, attraverso la vendita del settore trasporto Finmeccanica s.p.a. «avrebbe risolto uno dei suoi più grandi problemi, fermando la pesante distruzione di liquidità di Ansaldo Breda»;
    b) in secondo luogo, deve anche essere preso in considerazione tutto il discorso relativo al percorso delle privatizzazioni delineati dal piano «Destinazione Italia», in cui il Governo deve chiarire in via definitiva che il discorso non deve riguardare nel modo più assoluto la cessione degli asset civili di Finmeccanica s.p.a.;
   considerato che la posta in gioco non è altro che la scissione, strategicamente immotivata, di un gruppo già sottodimensionato in due gruppi ridotti, depauperati, indifesi rispetto all'aggressione competitiva dei grandi player internazionali, cui l'azionariato pubblico di Cassa depositi e prestiti non mostrerà intenzione e capacità di resistere, soprattutto nei settori più attrattivi come energia e trasporti;
   se si osservano i principali player globali dell'alta tecnologia, si nota una correlazione tra dimensione e specializzazione. I gruppi minori sono più intersettoriali. Bombardier produce aerei e treni; Thales sistemi di difesa e sicurezza e di segnalamento ferroviario e metropolitano; Bae produce aerei da combattimento e autobus ibridi;
   qualsiasi player globale possegga tecnologie cross-section (intersettoriali e duali) le impiega con successo. Finmeccanica s.p.a. le mortifica e segrega nei comparti balcanizzati delle società storiche (Alenia, Selenia, Ansaldo, Agusta), addirittura preparandosi a frazionarle tra due holding eterogenee per azionariato e governance (Finmeccanica s.p.a. e Cassa depositi e prestiti). L'azionista fa peggio tenendo separate Finmeccanica s.p.a. e Fincantieri;
   in Finmeccanica s.p.a. le società specializzate in energia e trasporti (Ansaldo energia e Ansaldo sts) godono di risultati e prospettive strategiche migliori di quelle specializzate nella difesa (Oto, Wass, Mbda). Anche perché energia e sts hanno un azionariato internazionale, che contribuisce significativamente alla qualità del suo management;
   le partnership competitive possibili in Agusta Westland e Drs avrebbero anche l'effetto di qualificare e internazionalizzare il management di Finmeccanica s.p.a. La stessa prospettiva può interessare Alenia Aermacchi, Selex ES, Ansaldo Breda quando la necessaria riorganizzazione industriale e qualificazione manageriale lo consentiranno;
   Finmeccanica s.p.a. è storicamente una società duale (militare/civile) bilanciata 50/50 e tale resterà nel prossimo triennio, a fronte della crescita degli elicotteri civili, anche dopo l'eventuale uscita dai settori più promettenti come energia e trasporti. L'obiettivo dell'abbandono di questi settori al fine della specializzazione militare è, quindi, da considerarsi falso;
   la strategia vincente di Finmeccanica s.p.a. è, quindi, la specializzazione intersettoriale;
   l'insieme dei fatti citati dalla presente interrogazione e, quindi, la recente presentazione da parte del Governo del citato piano «Destinazione Italia», il taglio da parte di Moody's del rating di Finmeccanica s.p.a. da Baa3 e Ba1 e le insistenti notizie circolate in questi giorni su di un'accelerazione del piano di dismissioni, all'interno del gruppo di Finmeccanica, verso gruppi internazionali e con un possibile ruolo, più o meno temporaneo, della Cassa depositi e prestiti, destano altissima preoccupazione;
   se il Governo, contrariamente a quanto dichiarato pubblicamente alla stampa nazionale, avesse intenzione di fare cassa vendendo i pezzi più pregiati dell'industria italiana, come gli asset civili del gruppo Finmeccanica, e in assenza di una preventiva discussione in Parlamento, si rischierebbe di perdere un vero e proprio patrimonio professionale, occupazionale, tecnologico e industriale che il futuro del nostro Paese non po’ in alcun modo permettersi. Diversamente, sarebbe invece auspicabile intervenire investendo su processi, prodotti e rilanciando la progettazione, garantendo in Italia occupazione e, soprattutto, presenza in settori industriali fondamentali, come i trasporti ferroviari e l'energia;
   Sinistra Ecologia Libertà, come già chiaramente esplicitato in numerosissimi atti parlamentari precedenti, nonché nell'ambito della mozione sulla crisi del settore manifatturiero n. 1-00164, è completamente contraria a qualsiasi processo di depotenziamento e alienazione della tecnologia che si potrebbe verificare attraverso la cessione degli asset civili di Finmeccanica s.p.a. ai diretti concorrenti internazionali;
   il settore civile deve tornare, invece, ad essere un punto di riferimento strategico per il gruppo Finmeccanica, basti pensare al solo asset di Ansaldo energia, che appare cruciale per lo sviluppo, la riconversione industriale ed il rilancio produttivo di numerosissimi settori e risorse che rappresentano un fattore determinante per l'evoluzione economica del nostro Paese –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione, quali elementi conoscitivi intenda fornire al Parlamento in merito al citato piano di dismissione di Finmeccanica s.p.a., con particolare riferimento alle notizie recentemente diffuse dalla stampa nazionale in merito alla possibile cessione degli asset civili di Finmeccanica s.p.a. stessa, a partire da Ansaldo Breda, Ansaldo sts, Ansaldo energia e BredaMenariniBus e, infine, quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica s.p.a., per ribaltare il corso – che gli interroganti ritengono autodistruttivo – in atto del principale gruppo industriale italiano dell'alta tecnologia. (3-00337)


   ALFREIDER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fra le misure previste dal decreto-legge n. 102 del 2013 relativo alla cancellazione dell'acconto imu, che fa seguito al decreto-legge n. 54 del 2013, per le attività industriali diverse dall'agricoltura – settore per il quale la cancellazione della prima rata dell'imu riguarda i terreni agricoli e gli immobili strumentali alle imprese agricole – non è più stata prevista la deducibilità ai fini Irap del 50 per cento dell'imu pagata su capannoni, alberghi, negozi, laboratori ed altri immobili strumentali alla produzione;
   le associazioni di settore hanno manifestato le loro profonde obiezioni, ritenendo fondamentale dover cancellare l'imu sulle imprese, giacché ritengono impensabile che vi sia una tassazione così elevata nei confronti di beni strumentali alla produzione – che al momento con un importo di 9 miliardi di euro porta la tassazione sulle imprese al 68 per cento – oggi equiparati a beni di lusso, sostenendo, ad esempio, che, in attesa di un'esenzione dal pagamento dell'imu, sia prevista per le imprese la possibilità di rendere deducibile quanto pagato con la prima rata di giugno 2013;
   unica misura mantenuta ed adottata è stata l'esenzione dalla seconda rata dell'imu, giacché la prima rata è già stata pagata per gli immobili costruiti da imprese edili ed invenduti;
   il Ministro interrogato, l'8 luglio 2013, precedentemente all'emanazione del decreto-legge n. 102 del 2013 varato il 31 agosto 2013, ha sostenuto che «le prossime tappe sono definite: evitare l'incremento di un punto dell'iva e intervenire per ridurre l'imu sulla prima casa delle famiglie e sugli immobili strumentali delle aziende su capannoni, negozi e terreni, la prima casa» degli imprenditori;
   così come il Ministro dell'economia e delle finanze, Saccomanni, il 9 luglio 2013, in sede di riunione dell'Unione europea, ha affermato che «sull'imu il Governo lavora all'ipotesi di agire sui capannoni industriali, ma solo nel 2014, perché si guardano i redditi d'impresa dell'anno prossimo: ci stiamo lavorando nella preparazione degli interventi del 2014»;
   il Sottosegretario per l'economia e le finanze Baretta, il 31 agosto 2013, ha sostenuto che «recupereremo sicuramente la deducibilità con la legge di stabilità: riguarderà, infatti, l'anno di imposta 2013 e quindi sarà scaricata sulla dichiarazione del 2014»;
   il Viceministro per l'economia e le finanze, Fassina, secondo quanto riportato in un'intervista al quotidiano L'Unità del 19 settembre 2013, ha affermato che «basterebbe mantenere lo sgravio imu sul 90 per cento delle prime case per risparmiare due miliardi per abbassare l'iva ed escludere dall'imu i capannoni e i negozi»;
   fra le ipotesi che vanno nella direzione di minori oneri per le imprese vi sarebbe, al momento, l'impegno del Governo a rendere deducibile dal reddito delle imprese la service tax prevista dal 2014 –:
   quali orientamenti concreti il Governo intenda assumere, e in quali tempi, in ordine all'esenzione dall'imu per i fabbricati strumentali alle attività produttive e per gli esercizi alberghieri. (3-00338)


   VIGNALI e BALDELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.98, agli articoli 1 e 2, ha modificato significativamente le disposizioni riguardanti la cosiddetta nuova legge Sabatini (articolo 2 dello stesso decreto-legge n. 69 del 2013), riformulando l'ambito di operatività della disposizione, sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo;
   possono accedere ai finanziamenti e ai contributi a tasso agevolato, le piccole e medie imprese (comprese quelle agricole e della pesca), le microimprese, con riferimento non soltanto agli investimenti (e non più agli acquisti) in beni nuovi strumentali, ma anche in hardware, software e tecnologie digitali, anche mediante operazioni di leasing finanziario;
   i finanziamenti, fino a 2 milioni di euro, potranno avere durata non superiore ai 5 anni e potranno arrivare a coprire l'intero costo agevolabile, con l'assistenza del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (articolo 2, comma 100, della legge n. 662 del 1996);
   i citati articoli 1 e 2 del decreto legge n. 69 del 2013 prevedono una serie di atti applicativi e, in particolare:
    a) un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (articolo 1, comma 1), da adottare, entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto, per migliorare l'efficacia degli interventi del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (più ampio accesso, migliore copertura ed altro);
    b) un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per estendere gli interventi ai professionisti (articolo 1, comma 5-bis);
    c) un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, per estendere gli interventi alla microimprenditorialità (articolo 1, comma 5-ter);
    d) un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per stabilire i requisiti e le condizioni di accesso ai contributi finalizzati all'acquisto di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo (articolo 2, comma 5);
    e) una o più convenzioni tra il Ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Associazione bancaria italiana e la Cassa depositi e prestiti s.p.a. per individuare le condizioni e i criteri di attribuzione alle banche del plafond di provvista e dei contratti tipo di finanziamento (articolo 2, comma 7);
   la mancanza di emanazione di detti decreti rischia di costituire un freno agli investimenti, contrariamente alle finalità della norma in oggetto –:
   quale sia lo stato di attuazione delle disposizioni applicative degli articoli 1 e 2 del decreto-legge n. 69 del 2013 elencate in premessa e, in particolare, se sia prevista una data certa per la pubblicazione dei decreti. (3-00339)


   VELO, BENAMATI, MARTELLA, BASSO, BINI, CANI, CIVATI, DEL BASSO DE CARO, DONATI, FOLINO, GALPERTI, GINEFRA, IMPEGNO, MARIANO, MONTRONI, NARDELLA, PELUFFO, PETITTI, PORTAS, SENALDI, TARANTO, GADDA, COMINELLI, TENTORI, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore della siderurgia nazionale sta attraversando una fase di estrema difficoltà, con i due principali siti di Taranto e Piombino interessati da vicende e criticità che rischiano di comprometterne la continuità produttiva;
   secondo le anticipazioni fornite alle organizzazioni sindacali relativamente ai contenuti del programma industriale per le acciaierie Lucchini di Piombino, redatto dal commissario straordinario, sembra emergere che non ci sia un futuro per l'altoforno dell'impianto, visto anche il venir meno della prospettiva di una stabile «collaborazione» con l’Ilva di Taranto;
   le ipotesi che sarebbero alla base del citato programma elaborato dal commissario sconterebbero un forte ridimensionamento dell'impianto e della base occupazionale impiegata. Infatti, l'ipotesi del forno elettrico – dai costi molto più contenuti – determinerebbe un drastico ridimensionamento del numero degli occupati e una radicale trasformazione e limitazione della vocazione produttiva del sito, mentre la prospettiva dell'adozione della tecnologia basata sul processo Corex/Finex, che presenterebbe un potenziale equivalente per qualità produttiva alla fonderia e un limitato ridimensionamento della base occupazionale, comporta ingenti investimenti e tempi lunghi di realizzazione, ma al momento non si sono manifestate proposte di gruppi industriali disponibili a sostenerne gli oneri. Come extrema ratio non viene esclusa nemmeno la possibilità di uno «spezzatino» dello stabilimento, ovvero la vendita dei singoli laminatoi e impianti, attraverso procedure di evidenza pubblica;
   per il 3 ottobre 2013 è stato indetto uno sciopero generale nella città toscana e si terrà una manifestazione cui parteciperanno i tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil per denunciare e scongiurare la chiusura dell'altoforno in questione, l'unico impianto italiano in cui si realizzano prodotti «lunghi» come le rotaie ferroviarie;
   per quanto riguarda il polo Riva-Ilva, nonostante l'adozione di due specifici provvedimenti di urgenza volti ad assicurare le condizioni per la continuità produttiva degli impianti del gruppo siderurgico di Taranto, la recente decisione di cessare tutte le attività dell'azienda che non rientrano nel perimetro gestionale dell’Ilva, tra cui quelle produttive di sette stabilimenti situati in Veneto, Lombardia e Piemonte, a seguito del sequestro preventivo di beni, azioni e titoli per un valore di circa 1 miliardo di euro adottato dalla magistratura di Taranto, e la messa in libertà di circa 1.400 unità di personale sembrano riproporre l'inaccettabile alternativa tra la continuità operativa degli impianti e il rispetto di elementari principi del diritto;
   pur nella peculiarità delle problematiche che investono tali poli industriali, emerge il dato complessivo di un settore che risente delle conseguenze della prolungata assenza di una complessiva politica industriale e per il quale soluzioni dettate dalla sola emergenza, ancorché necessarie, non sono più sufficienti –:
   quali siano i tempi e gli strumenti per la realizzazione di una strategia industriale per l'industria siderurgica finalizzata al consolidamento della capacità produttiva degli impianti, al sostegno della qualità dei prodotti e dell'occupazione del settore e dell'indotto e all'incentivazione di investimenti in nuove tecnologie e in nuovi processi più efficienti nell'uso delle risorse e dell'energia. (3-00340)


   CAPARINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i siti produttivi del gruppo Riva collegati all’Ilva rispettano tutti gli standard qualitativi ed ambientali, per questo appare ancora più inaccettabile determinare sequestri ad aziende sane che non inquinano e sono in attivo con ordini da smaltire;
   dopo oltre due settimane dal blocco produttivo nell'indotto e nell'economia dei territori dove sono collocati gli stabilimenti, la situazione si aggrava di ora in ora, mettendo a rischio un gruppo che nel settore siderurgico é quarto in Europa e ventesimo al mondo;
   dal giorno del sequestro cautelativo disposto dal giudice per le indagini preliminari di Taranto ad oggi il Ministro interrogato ha più volte annunciato un provvedimento indispensabile alla ripresa della produzione nelle fabbriche del gruppo Riva;
   lunedì 23 settembre 2013 il Ministro interrogato ha annunciato agli industriali di Parma che «questo pomeriggio c’è un appuntamento molto importante in Consiglio dei ministri a Roma: approveremo il decreto sulla Riva acciaio», fornendo anche spiegazioni e dettagli: «Con la norma che approveremo, un sequestro deve avvenire tutelando l'attività produttiva». Si tratta «prima di tutto – precisava ancora – di un provvedimento utile per i lavoratori che operano negli stabilimenti ma anche per i fornitori, ma è alla fine un'azione a tutela di tutti, anche dei proprietari perché non serve a nessuno un'azienda morta»;
   agli annunci non è seguito alcun fatto concreto e da Palazzo Chigi tutto tace. A parere degli interroganti, il Governo sta perdendo tempo prezioso, dando la sensazione che non stia affrontando e risolvendo il problema pur riconoscendone l'effettiva gravità, dando l'impressione di essere al suo interno diviso e di, conseguenza, di non affrontare con la dovuta serietà una questione che interessa migliaia di lavoratrici e lavoratori, che sino ad ora hanno dato grande prova di maturità attendendo fiduciosi;
   Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ha sottolineato che: «L'approvazione del decreto annunciato dal Ministro Zanonato è di estrema urgenza. La paralisi dei sette stabilimenti di Riva acciaio sta comportando un costo economico e sociale ormai pressoché insostenibile». Gozzi ha ricordato, tra l'altro, che ci sono «1.400 addetti senza lavoro, fornitori e clienti sull'orlo della chiusura delle loro attività. Bisogna che gli impianti della Riva acciaio riprendano a funzionare in tempi rapidissimi e per questo contiamo sul senso di responsabilità e la sensibilità del Governo». Naturalmente, ha aggiunto, «ci saremmo augurati che non si dovesse giungere a questo decreto straordinario», tuttavia «nelle more dell'emergenza economica e sociale, crediamo che il decreto possa rappresentare comunque la soluzione più immediata e dunque efficace»;
   al momento, dunque, non è chiaro quando il Governo si deciderà ad intervenire e nemmeno quali saranno la natura, le modalità e i contenuti dell'intervento;
   secondo gli esponenti della Lega Nord non possono essere ammissibili, e la legge non dovrebbe permetterli se non nei casi in cui ci sia rischio per la salute o per l'ambiente, sequestri preventivi come quelli realizzati su una serie di siti del Nord che hanno portato al blocco totale della produttività, con la conseguente perdita di posti di lavoro. Pertanto, è imprescindibile l'estensione della qualifica di stabilimento di interesse strategico nazionale a tutti i siti produttivi di tutte le società collegate o comunque sottoposte all'influenza del gruppo dominante –:
   quando e come il Governo intenda adottare concrete iniziative per la ripresa dell'attività produttiva di tutti gli stabilimenti del gruppo Riva. (3-00341)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere, premesso che:
   il gruppo Riva, a seguito del sequestro preventivo di beni immobili, disponibilità finanziarie e di quote societarie per una somma di 916 milioni di euro, eseguito dalla Guardia di finanza nell'ambito dell'inchiesta della procura di Taranto sull'Ilva, lo scorso giovedì 12 settembre ha annunciato la decisione dell'immediata cessazione delle attività e la conseguente chiusura di sette stabilimenti e di due società di servizi e trasporti facenti capo a Riva Acciaio;
   sono circa 1.400 i dipendenti del gruppo che rischiano di perdere il proprio di posto lavoro, da qualche giorno costretti a restare a casa senza stipendio e senza alcun ammortizzatore sociale;
   i siti produttivi interessati, che non hanno alcun legame con le vicende giudiziarie dell'Ilva di Taranto, sono tutti ubicati al Nord del Paese ed in particolare a Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone di Brianza (Lecco); sono a rischio di chiusura anche le società Riva Energia e Muzzana Trasporti;
   secondo notizie di stampa, il provvedimento del Gip di Taranto impedirebbe al gruppo l'utilizzo degli impianti e dei conti correnti, con il conseguente blocco delle attività bancarie, facendo venir meno i presupposti operativi ed economici per la prosecuzione della normale attività;
   la chiusura dei suddetti siti industriali, oltre a mettere in stato di forte agitazione e preoccupazione i dipendenti dell'azienda, il cui futuro e quello delle loro famiglie appare molto incerto, rischia di avere conseguenze gravissime sia per le singole realtà territoriali locali, con particolare riferimento all'indotto, sia per l'intero comparto siderurgico italiano e per i settori collegati, specie in questo momento di crisi, economica ed occupazionale, che attanaglia il Paese;
   l'azienda, secondo quanto affermato dai lavoratori, ha una produttività in crescita e comunque tale da non giustificare l'improvvisa decisione della chiusura degli stabilimenti che, se rimanesse confermata, rappresenterebbe il suicidio della siderurgia italiana ad esclusivo vantaggio dei competitori esteri;
   è necessario un intervento del Governo affinché si giunga al più presto ad una soluzione della vicenda che abbia come primo obiettivo quello di garantire l'immediata tutela dei lavoratori, il cui posto di lavoro è a rischio –:
   se i Ministri interrogati intendano, ed in che modo, adoperarsi per l'adozione di misure immediate ed efficaci che consentano il ripristino delle condizioni operative ed economiche del gruppo Riva al fine di garantire la salvaguardia di migliaia di posti di lavoro e la ripresa della normale attività aziendale relativa ad un settore produttivo strategico per la competitività del nostro Paese. (4-01932)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Fratoianni e altri n. 1-00190, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pellegrino.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Zan n. 1-00188, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 82 del 23 settembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    nei mesi di gennaio e febbraio del 2013, a Camere ormai sciolte, l'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Corrado Clini, ha presentato al Parlamento per il parere uno schema di decreto del Presidente della Repubblica per l'utilizzo di combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime di autorizzazione integrata ambientale;
    dopo un parere favorevole con condizioni, espresso molto rapidamente dalla XIII Commissione parlamentare (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato della Repubblica il 16 gennaio 2013, senza peraltro che nessun senatore fosse intervenuto in discussione, la VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati, il successivo 11 febbraio 2013, ha invece espresso parere contrario al medesimo schema di decreto del Presidente della Repubblica;
    da quel momento, di detto decreto del Presidente della Repubblica sui combustibili solidi secondari si sono perse le tracce e non è più stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
    la mancata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del sopraddetto decreto del Presidente della Repubblica sull'utilizzo in alcune categorie di cementifici dei combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, nulla toglie alla sempre dichiarata ferma volontà dell'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Clini, di aver voluto proseguire nella scorciatoia dell'incenerimento dei rifiuti nei cementifici, bruciando rifiuti solidi urbani per alimentare i forni di cottura del clinker, cioè la componente principale del cemento;
    in Gazzetta Ufficiale, sono stati quindi pubblicati due decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: il decreto 14 febbraio 2013, n. 22, (Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2013), recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari, dove vengono stabiliti – tra l'altro – i criteri da rispettare affinché determinate tipologie di combustibile solido secondario cessano di essere qualificate come rifiuto; il decreto 20 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2013) che modifica l'allegato X della parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006, in materia di utilizzo del combustibile solido secondario, che recepisce i criteri contenuti nel sopraddetto decreto del 14 febbraio 2013, n. 22 che devono essere rispettati affinché determinate tipologie di combustibili solidi secondari cessino di essere qualificate come rifiuto e possono, quindi, essere riutilizzate;
    il decreto ministeriale n. 22 del 2013 stabilisce le condizioni e i requisiti in base ai quali dalle operazioni di trattamento di specifiche tipologie di rifiuti si ottiene il prodotto denominato combustibile solido secondario, nonché le relative condizioni di utilizzo a fini energetici nei cementifici soggetti ad autorizzazione integrata ambientale;
    il sopra indicato decreto n. 22 del 2013 riafferma, di fatto, la finalità dello schema di decreto del presidente della Repubblica, passato al Parlamento per il parere, di utilizzare il combustibile solido secondario come combustibile. La stessa premessa al decreto ministeriale n. 22 del 2013 sottolinea la necessità di incoraggiare la produzione di combustibili solidi secondari (CSS) di alta qualità, aumentare la fiducia in relazione all'utilizzo di detti combustibili e fornire, con riferimento alla produzione e l'utilizzo di detti combustibili chiarezza giuridica e certezza comportamentale uniforme sull'intero territorio nazionale;
    per i cementieri dell'Aitec (Associazione italiana tecnico economica cemento) si tratta di recupero energetico; per l'Associazione italiana medici per l'ambiente «la combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare di diossine e metalli pesanti»;
    utilizzare i combustibili solidi secondari è dannoso per la salute e, soprattutto, è superato in quanto esistono moderne tecnologie e soluzioni alternative alla combustione che creano maggiori posti di lavoro e sono più sostenibili a livello economico e ambientale;
    la scelta dell'incenerimento dei rifiuti (combustibili solidi secondari) nei cementifici non è condivisibile se si considera la diversità esistente fra i limiti delle emissioni di inquinanti pericolosi per la salute previsti per i cementifici: polveri totali: mg 30/Nm3; biossido di zolfo: fino a mg 600/Nm3; ossido di azoto: mg 500/Nm3 per i nuovi impianti; mentre i limiti per gli stessi inquinanti prodotti dagli inceneritori sono: polveri totali: mg 10/Nm3; biossido di zolfo: mg 50/Nm3; ossido di azoto: mg 200/Nm3;
    i sostenitori della co-combustione di rifiuti sono soliti affermare che l'utilizzo di combustibile da rifiuti nei cementifici può consentire una riduzione dell'uso di combustibili fossili e, di conseguenza, una riduzione della produzione di anidride carbonica. Ciò che di solito viene taciuto è che un cementificio produce di solito circa il triplo di anidride carbonica rispetto ad un inceneritore. La sola cementeria Colacem di Galatina (Lecce), ad esempio, nel 2007 ha prodotto 774.000 tonnellate di anidride carbonica, circa il triplo delle emissioni di un inceneritore di grossa taglia come quello di Brescia (228.000 tonnellate di anidride carbonica nello stesso anno);
    l'utilizzo di combustibili solidi secondari per alimentare i forni di cottura dei cementifici produrrebbe, tra l'altro, gravi conseguenze in diverse aree del Paese dove sono ubicati numerosi cementifici, in termini di inquinamento ambientale e di peggioramento degli attuali livelli di raccolta differenziata dei rifiuti;
    a ciò va aggiunta l'aggravante della mancanza nel nostro Paese, di un serio ed efficace sistema nazionale di controlli ambientali;
    l'Italia è, peraltro, la nazione europea con più cementifici, con i suoi 58 impianti (22 per cento del totale degli impianti europei);
    dal punto di vista strettamente sanitario (escludendo dunque ogni considerazioni di tipo economico e sociale), una corretta gestione del ciclo dei rifiuti non dovrebbe assolutamente prevedere il loro incenerimento. Che si tratti di inceneritori «classici», o di cementifici, tale pratica è dannosa per l'ambiente e per gli esseri umani che lo popolano, come documentato da ormai innumerevoli testimonianze scientifiche;
    considerata l'abnorme produzione annua nazionale di anidride carbonica da parte di questi impianti, una minima riduzione è, dunque, una goccia nel mare, per giunta pagata a caro prezzo, soprattutto se si considera la sottrazione di rifiuti alla raccolta differenziata, al riciclo e al riuso (la vera valorizzazione dei rifiuti);
    peraltro, continuare a bruciare rifiuti è uno spreco di risorse e un alto costo in termini ambientali, inoltre, non si rispettano le disposizioni europee sul recupero della materia che è prioritario nella gerarchia d'intervento, continuando a ignorare anche la direttiva 96/62/CE sulle polveri sottili, finanche dopo la condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea del 19 dicembre 2012;
    si ricorda che la direttiva 2008/98/CE, con l'obiettivo di ridurre l'impatto ambientale dei rifiuti, ha imposto una particolare attenzione da parte degli Stati dell'Unione europea al rispetto del principio gerarchico (le cosiddette «quattro r») previsto dalla medesima direttiva (riduzione, riutilizzo, riciclaggio e recupero energetico);
    la sopraddetta gerarchia dei rifiuti prevede che al primo posto, nell'ordine di priorità, vi siano la prevenzione individuata in una serie di misure finalizzate alla riduzione della quantità di rifiuti anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l'estensione del loro ciclo di vita – e la preparazione per il riutilizzo, ovvero le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui i rifiuti sono preparati per essere reimpiegati senza altro pretrattamento. Seguono poi il riciclaggio, il recupero e, a seguire, lo smaltimento;
    la direttiva 2008/98/CE è stata recepita nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo n. 205 del 2010, che ha conseguentemente apportato diverse modifiche al decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto Codice ambientale);
    è evidente, quindi, come l'utilizzo dei rifiuti come fonte di energia deve essere valutato come finalità residuale, mentre il ricorso all'incenerimento dei rifiuti va in tutt'altra direzione rispetto alla corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti e all'indispensabile incremento della raccolta differenziata;
    l'uso dei combustibili solidi secondari nei cementifici rischia di tradursi in un ulteriore freno all'aumento dei livelli della raccolta differenziata come richiesti dalla normativa nazionale e comunitaria, allo sviluppo della filiera industriale del riciclo e al radicamento di una cultura ambientale e di un costume civico basati sull'uso consapevole dei beni, compresi gli stessi rifiuti,

impegna il Governo:

   ad escludere definitivamente, per quanto di competenza, la prosecuzione dell’iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica sulla disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime di autorizzazione integrata ambientale, già presentato per il parere presso le Commissioni parlamentari competenti dal precedente Governo;
   a valutare attentamente – nella decisione di utilizzare in alcune categorie di cementifici i combustibili solidi secondari – gli effetti di tale scelta sulla salute pubblica, anche attraverso opportuni approfondimenti degli studi ambientali ed epidemiologici relativamente all'utilizzo di combustibili solidi secondari in determinati cementifici;
   ad assumere iniziative per escludere qualunque forma di riconversione dei cementifici in inceneritori;
   ad assumere, per quanto di competenza, iniziative per avviare adeguate forme di monitoraggio delle emissioni degli impianti di cui in premessa e gli opportuni controlli ambientali e sanitari nei territori interessati dagli impianti che utilizzano combustibili solidi secondari, anche al fine di un confronto di dati, laddove presenti, relativi alla qualità dell'aria e dell'acqua nelle aree interessate dai suddetti impianti prima dell'utilizzazione del combustibile solido secondario;
   a garantire, in raccordo con gli enti locali, adeguate e costanti modalità di informazione e pubblicità alle comunità locali, anche tramite i siti istituzionali dei comuni interessati, circa i risultati dell'attività di monitoraggio sanitario e ambientale in relazione alle emissioni conseguenti all'attività degli impianti che utilizzano combustibili solidi secondari;
   ad attuare, per quanto di competenza, opportune forme di controllo al fine di garantire che le caratteristiche del combustibile solido secondario, utilizzato dagli impianti di cui in premessa, rispondano effettivamente a quanto previsto dalla normativa vigente.
(1-00188)
(Nuova formulazione) «Zan, Zaratti, Pellegrino, Migliore, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Di Salvo».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta orale Zanetti n. 3-00323 del 19 settembre 2013.