Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 19 settembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    fra i compiti fondamentali della scuola di ogni ordine e grado deve rientrare l'obiettivo di formare e educare i cittadini al senso civico, alla responsabilità individuale e collettiva, al rispetto della persona umana senza discriminazioni, ai valori di libertà, di giustizia, di bene comune che affondano le radici nella Costituzione e, in una situazione definita da più parti emergenziale per una chiara deriva diseducativa, è urgente che la scuola possa svolgere appieno questo tipo di formazione;
    nel «Quadro di riferimento europeo» allegato alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa alle competenze chiave per l'apprendimento permanente, si afferma tra l'altro che la «competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare appieno alla vita civile, grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitici a all'impegno a un partecipazione attiva e democratica»;
    nel nostro Paese la storia cinquantennale dei tentativi di istituire un insegnamento di educazione civica nella scuola ha mostrato successi, propositi nobili e soluzioni ragionevoli, ma anche parziali risultati. Introdotta nel 1958, la disciplina denominata «Educazione civica» (2 ore al mese obbligatorie, affidate al docente di storia, senza valutazione), è stata soppressa durante l'anno scolastico 1990/91, con motivazioni vaghe o comunque incoerenti, affermando che nella società ormai «evoluta» l'insegnamento di ciò che è o dovrebbe essere il comportamento di ogni singolo cittadino nei confronti della nazione che abita, a cominciare dallo studio approfondito di cosa sia la nazione, le sue istituzioni e la Costituzione, non fossero prioritari. Tentativi successivi di introdurre un'educazione alla convivenza civile, alla democrazia, alla legalità e alla cittadinanza attiva (direttiva 8 febbraio 1996, n. 58, legge delega 28 marzo 2003, n. 53 e decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, decreto ministeriale 31 luglio 2007) non hanno avuto applicazioni significative;
    una svolta da questo punto di vista è stata rappresentata dal decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169. Questo provvedimento, ha, infatti, previsto, all'articolo 1, l'istituzione per legge della disciplina denominata «Cittadinanza e Costituzione», nell'ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale, con una propria dotazione oraria di 33 ore annue e con voto distinto per tutti gli ordini e gradi di scuola;
    la sperimentazione di questo insegnamento è stata avviata nella scuola già a partire dall'anno 2008-2009 e ha comportato nell'immediato la scelta di concentrare l'attenzione da un lato sulla formazione dei docenti e dall'altro su contenuti che avessero per oggetto «le conoscenze e le competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione” nell'ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse»;
    l'insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione» è stato ribadito in una serie di regolamenti attuativi della riforma del sistema scolastico (decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 «Revisione dell'assetto ordinamentale organizzativo e didattico...», in particolare articoli 4, comma 9, e 5, commi 6 e 9; decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87 «Riordino degli istituti professionali» articolo 5, comma 1, lettera e); decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 88 «Riordino degli istituti tecnici» articolo 5, comma 1, lettera e); decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89 «Riordino dei licei», articolo 10, comma 7) e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, ha cercato di sostenere l'attuazione del citato articolo 1 attraverso note esplicative, documenti e iniziative;
    nonostante gli sforzi fatti e le molteplici iniziative messe in campo, la situazione appare ancora un lavoro in progress piuttosto che una realtà pienamente attuata;
    oggi come non mai è fondamentale valorizzare, all'interno dell'orario scolastico, la disciplina Cittadinanza e Costituzione potenziando la formazione degli studenti al rispetto delle persone, delle leggi, dell'ambiente e dei beni comuni, alla cultura della legalità, del senso dello Stato, della responsabilità individuale e dei diritti e doveri nei confronti della collettività,

impegna il Governo:

   a proseguire con maggior forza nel dare piena attuazione dell'articolo 1 del decreto-legge sopracitato affinché l'insegnamento della materia «Cittadinanza e Costituzione» trovi attuazione nel percorso scolastico sia in una dimensione specifica integrata alle discipline dell'area storico-geografica e storico-sociale sia in una dimensione educativa che attraversi e interconnetta l'intero processo di insegnamento/apprendimento;
   a implementare iniziative e azioni che contribuiscano alla sensibilizzazione e alla formazione degli insegnanti, affinché questi da un lato rafforzino la loro preparazione culturale sui temi della cittadinanza e della Costituzione e, dall'altro, siano stimolati e incentivati a potenziare il loro impegno nell'insegnamento di questa disciplina;
   ad avviare iniziative di monitoraggio costante sull'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, in modo da verificare in che misura esso viene impartito nelle scuole dei vari ordini e grado, al fine di poter individuare le eventuali criticità e predisporre le opportune misure correttive.
(1-00187) «Vitelli, Caruso, Capua, Matarrese, D'Agostino, Monchiero, Antimo Cesaro, Galgano, Vargiu, Vecchio, Causin, Fitzgerald Nissoli, Bombassei, Rabino, Molea, Dellai».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e VIII,
   premesso che:
    la legge 3 agosto 2013, n. 90, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 conosciuto anche come Ecobonus, prevede all'articolo 15 di estendere il meccanismo delle detrazioni fiscali al 65 per cento anche agli interventi di adeguamento antisismico su edifici (adibiti ad abitazione principale o ad attività produttive) ricadenti nelle zone sismiche 1 e 2 della classificazione sismica (alta e media sismicità);
    i comuni che ricadono nel cratere sismico del maggio 2012 rientrano sulla base dell'attuale classificazione sismica in zona 3, ovvero come aree a sismicità medio-bassa;
    la vigente classificazione sismica dei comuni dell'Emilia-Romagna deriva dall'applicazione dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003;
    nel 2006 viene pubblicata (OPCM 3519/2006) la nuova mappa di pericolosità sismica di riferimento per il territorio nazionale (MPS04), elaborata dall'INGV secondo i criteri dell'Allegato 1 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274/2003;
    nel 2008 vengono approvate dal Governo (decreto ministeriale 14 settembre 2008) le nuove norme tecniche per le costruzioni (NTC 2008);
    dopo l'entrata in vigore di queste norme, la mappa di classificazione sismica diventa uno strumento solo di natura amministrativa e non tecnico, ovvero tutti gli strumenti tecnici per la sicurezza sismica del territorio e dei cittadini (progettazione e recupero degli edifici esistenti) fanno riferimento alla carta della pericolosità sismica (MPS04) del 2006;
    la regione Emilia-Romagna è impegnata da alcuni anni in studi sull'assetto sismo-tettonico dell'Appennino emiliano-romagnolo e della pianura padana per comprendere i fenomeni sismici e a contribuire alla realizzazione di una nuova mappa di pericolosità sismica;
    attualmente la riclassificazione del territorio regionale può essere fatta solo in applicazione dei criteri proposti dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274/2003;
    la riclassificazione sismica del territorio regionale non risolverebbe l'oggettiva iniquità che esclude i cittadini del «cratere sismico» che non potrebbero comunque beneficiare del 15 per cento in più di detrazione fiscale come previsto dall'Ecobonus;
    fermo restando le leggi attuali, la soluzione per eliminare tale iniquità è quella di estendere, a livello nazionale, la maggiorazione per le ristrutturazioni anche a quelle aree che, seppur non ricadenti nelle zone 1 e 2 della classificazione sismica, sono attualmente interessate dallo stato di emergenza;
    diversi interventi, sotto forma di atti di indirizzo, sia alla Camera che al Senato, hanno, da più parti politiche, richiesto in tal senso l'intervento del Governo;
   sia la Camera dei deputati che il Senato della Repubblica hanno adottato un ordine del giorno, durante la discussione sul decreto-legge cosiddetto Ecobonus, che impegna il Governo, tra l'altro, ad: «adottare tempestivamente ulteriori iniziative normative volte ad estendere la misura agevolativa del 65 per cento anche ai Comuni colpiti da eventi sismici» e, in particolare: «ad estendere tali interventi di adeguamento sismico per le costruzioni site nei comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012»;
    l'assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna ha deliberato con voto unanime una risoluzione (protocollo n. 36196 dell'11 settembre 2013) in cui si chiede al Governo di estendere a livello nazionale, la maggiorazione dell'Ecobonus per le ristrutturazioni anche a quelle aree che, seppur non ricadenti nelle zone 1 e 2 della classificazione sismica, sono attualmente interessate dallo stato di emergenza;
    inoltre va considerato che in seguito del sisma del maggio 2012, per chi ha avuto l'abitazione distrutta o dichiarata inagibile con danni di tipo «E» o «F», si sono predisposte apposite unità prefabbricate abitative;
    sono complessivamente 760 i moduli prefabbricati realizzati in aree allestite in ambito urbano, che ospitano circa 2.300 persone: 72 a Cavezze, 44 a Cento, 95 a Concordia sulla Secchia, 264 a Mirandola, 125 a Novi di Modena, 84 a San Felice sul Panaro e 73 a San Possidonio; a questi si aggiungono circa 200 moduli abitativi collocati in area rurale, presso le abitazioni dei coltivatori, per un totale di circa 3.000 persone provvisoriamente alloggiate;
   terminata la moratoria concessa subito dopo il terremoto, anche per chi vive in queste unità abitative sono arrivate le fatturazioni per i consumi energetici, in particolare, per quanto riguarda l'energia elettrica, gli importi si sono rilevati particolarmente alti, fino a 2.000 euro per superfici di 30 metri quadrati;
    l'esosità degli importi fatturati è dovuta alla struttura stessa dei prefabbricati, troppo caldi d'estate e troppo freddi d'inverno, e dove ogni cosa climatizzazione, riscaldamento e cucina, funziona con l'alimentazione elettrica;
    tali bollette, benché riferite ai consumi da ottobre/novembre 2012 a giugno 2013, risultano decisamente troppo alte e difficilmente sostenibili da famiglie che già stanno pagando il prezzo della perdita della propria abitazione e, a volte, anche la precarietà del reddito del lavoro;
    con la delibera 6/2013/R/com del 16 gennaio 2013 «Disposizioni in materia di agevolazioni tariffarie e rateizzazione dei pagamenti per le popolazioni colpite dagli eventi sismici verificatisi nei giorni del 20 maggio 2012 e successivi», l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha introdotto agevolazioni per le utenze di energia elettrica, gas naturale e del servizio idrico integrato. Tali agevolazioni riguardano in particolare le tariffe, le modalità di pagamento delle fatture e i costi per eventuali nuove connessioni, subentri o volture richieste da titolari di utenze il cui immobile è inagibile. La delibera citata è stata successivamente modificata ed integrata dalla delibera 105/2013/R/com del 15 marzo 2013;
    per le utenze site nei comuni interessati dal sisma, Enel Energia ha sospeso l'emissione delle fatture a seguito della delibera dell'Autorità n. 235/2012/R/com che ha previsto la sospensione dei termini di pagamento a partire da 20 maggio 2012, con la ripresa della fatturazione da maggio 2013;
    per quanto riguarda le agevolazioni previste per l'energia elettrica, a tutti i clienti nel periodo dal 20 maggio 2012 al 19 maggio 2013 sono ridotti del 50 per cento i corrispettivi per l'utilizzo delle reti e gli oneri generali di sistema; nel secondo anno, cioè dal 20 maggio 2013 al 19 maggio 2014, la riduzione per i corrispettivi di rete sarà sempre del 50 per cento, mentre per gli oneri sarà del 40 per cento, sono quindi scontati i servizi di rete, non i servizi di vendita e le imposte;
    non è facilmente determinabile come questo si traduca in termini di sconto complessivo perché dipende dal consumo, in linea di massima, si suppone che le bollette di gas ed energia elettrica abbiano uno sconto del loro ammontare complessivo compreso tra il 9 e il 15 per cento, sconti che, per chi vive nei prefabbricati, non hanno garantito un costo per utenza paragonabile e proporzionato al consumo di una comune abitazione;
    la permanenza forzata nei moduli provvisori sarà prevedibilmente protratta nel tempo, forse per anni, e che di conseguenza l'attuale costo dell'energia non è equo né sostenibile per chi vi abita;
    si prospetta prevedibilmente una situazione di morosità forzata o di accollo dei costi da parte dei servizi sociali dei comuni,

impegnano il Governo:

   ad adottare le necessarie iniziative normative per il pieno riconoscimento della detrazione fiscale del 65 per cento anche per gli adeguamenti antisismici a tutte le famiglie e le imprese dei territori per i quali e stato dichiarato ed è ancora in atto lo stato di emergenza – e preferibilmente a tutti i comuni ricadenti in zona sismica 3 – nonché a farsi promotore di iniziative dirette a far sì che il costo dell'energia elettrica e il gas riduca il costo dell'energia elettrica fornita nei moduli provvisori abitativi siti nei territori interessati dal sisma del maggio 2012 sia ridotto e che tale riduzione sia permanente per tutta la durata della forzosa permanenza in tali strutture;
   a promuovere a livello nazionale un confronto tecnico-scientifico tra le regioni, il Dipartimento nazionale di protezione civile e l'Istituto nazionale di geofisica per la verifica della revisione della carta della pericolosità, non solo in base a criteri sismologici, ma anche in base alle condizioni geologiche strutturali e con criteri di massima salvaguardia della sicurezza dei cittadini.
(7-00105) «De Rosa, Pesco, Ferraresi, Dell'Orco, Nuti, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Toninelli, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Castelli, Caso, Cariello, D'Incà, Currò, Brugnerotto, Sorial, Villarosa, Dall'Osso, Spadoni, Paolo Bernini, Mucci, Sarti».


   La I Commissione,
   premesso che:
    la provincia di Modena è sempre stata, a livello nazionale, non solo un punto di riferimento in vari settori economici come quello automobilistico, ceramico, tessile, biomedicale, alimentare ma anche un esempio di buona amministrazione. Negli ultimi tempi, purtroppo, il trend sembra essere cambiato e la provincia è passata alla ribalta nazionale per fatti che dimostrano invece un affanno amministrativo a tutti i livelli, nonché per vere e proprie carenze governative. Solo per citare i fatti più eclatanti degli ultimi mesi vanno ricordati il taglio del 30 per cento di alcune tratte ferroviarie, il bilancio in rosso dell'azienda di trasporto pubblico SETA (Società emiliana trasporti autofiloviari), l'allarme ambientale causato dall'incendio dell'impianto rifiuti di Fossoli, la crisi delle numerose aziende che hanno fatto la storia d'Italia e, soprattutto, i lavoratori lasciati senza tutele nei confronti dei casi di mala politica industriale da un Governo che sembra sempre più assente, tra questi il caso Firem, che è stato recentemente alla ribalta su parecchie testate online e di carta stampata;
    l'aspetto che al momento desta però maggiore preoccupazione è quello riguardante la ricostruzione seguita al sisma del 20 e 29 maggio 2012, rallentata da problemi amministrativi di vario ordine e natura, a partire da quello della classificazione sismica dei territori, ferma al 2003 e non aggiornata neppure dopo il terremoto del maggio scorso, a quello inerente la difficoltà nelle prestazioni d'opera del corpo dei vigili del fuoco o ancora a quello della redazione delle white list presso la prefettura di Modena;
    il problema delle white list è stato pericolosamente sottovalutato, non considerando forse adeguatamente l'attrazione che i fondi per la ricostruzione possono costituire per le ditte legate alla criminalità organizzata. La prefettura di Modena, con l'istituzione delle white list, previste dall'articolo 5-bis del decreto-legge 6 giugno 2012 n. 74 introdotto dalla legge di conversione 10 agosto 2012 n. 122, si è trovata assolutamente impreparata al carico di lavoro che ne è conseguito. La situazione fuori controllo è stata denunciata dall'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) e nell'interrogazione n. 3-00249 a prima firma Dell'Orco, quando, a fine luglio 2013, vi erano circa 3300 domande in attesa di una valutazione definitiva e numerose ditte nelle liste provvisorie da oltre nove mesi;
    i primi di settembre, il prefetto di Modena ha comunicato di aver assegnato, con provvedimento urgente, nuovo personale sottratto da altri uffici alla sezione addetta alle certificazioni antimafia, in attesa dell'arrivo di nuovi impiegati che, come assicurato dalla regione, potranno essere assunti con contratti a tempo determinato. Non è però ancora chiaro quali saranno i tempi di normalizzazione della situazione che dovrebbe quanto meno essere monitorata da parte del Governo. La pericolosità di una tale situazione è stata tra l'altro ampiamente evidenziata anche dal presidente della provincia in un appello lanciato a tutte le istituzioni, il 1o luglio 2013, per far fronte alla presenza nella provincia di una ramificata rete di soggetti legati alla criminalità organizzata. Il presidente del Consiglio provinciale ha testualmente chiesto di: «aumentare i controlli sugli appalti pubblici e privati, sui passaggi di proprietà delle aziende, su imprese fittizie e su cooperative spurie, su banche e finanziarie. Controlli e verifiche che non sono un appesantimento burocratico ma la condizione per contrastare la presenza delle mafie e per valorizzare e proteggere il tessuto delle nostre imprese sane e oneste. Per questo serve un potenziamento degli organici e dei mezzi della magistratura, della prefettura, delle forze dell'ordine modenesi»;
    ai lavoratori costretti ad interrompere l'attività lavorativa a seguito degli eventi sismici sono inoltre venute a mancare quelle forme di sostegno al reddito già previste dal decreto-legge n. 74 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge del 10 agosto 2012 n. 122. Il decreto infatti con l'articolo 15 disponeva infatti la costituzione di un fondo di 70 milioni per il 2013, di cui 50 milioni di euro destinati ai lavoratori subordinati del settore privato e 20 milioni di euro destinati ai collaboratori coordinati e continuativi, ai titolari di rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, ai lavoratori autonomi, compresi i titolari di attività di impresa e professionali, iscritti a qualsiasi forma obbligatoria di previdenza e assistenza. La disposizione doveva essere attuata entro trenta giorni con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ma il decreto non risulta essere mai stato emanato. Tra l'altro sulla questione il 9 aprile 2013 era già stata presentata l'interrogazione n. 4-00170 che attende ancora risposta. La questione assume un carattere di urgenza se consideriamo che secondo quanto denunciato dalle numerosi associazioni locali e secondo i dati forniti dall'assessore alle politiche sociali di Carpi, solo nell'unione delle Terre d'Argine, che comprende i comuni di Campogalliano, Carpi, Novi di Modena e Soliera, tutti terremotati, sono 767 le famiglie che nel 2012 hanno superato la soglia della povertà;
    altra questione è quella riguardante il comando dei vigili del fuoco di Modena che è stato in prima in prima linea nelle prime fase post sisma ed è tuttora impegnato nei lavori per la ricostruzione ed in particolare nel recupero beni alla popolazione ed Enti locali, coperture dei tetti dei vari fabbricati e puntellamenti degli edifici pericolanti. Il comando, che con i suoi 260 operativi e 30 amministrativi, è il secondo per dimensioni in Emilia Romagna, lamenta da tempo, per mezzo dei sindacati, una difficoltà operativa dovuta a personale e mezzi ridotti che si è fatta insostenibile con il carico di lavoro dovuto al sisma con grave rischio per la sicurezza dei lavoratori e della cittadinanza;
    i vigili del fuoco sono notoriamente sotto organico in tutta Italia e costretti a sopperire con circa 4000 richiami giornalieri di vigili volontari che comportano una spesa ormai istituzionalizzata di oltre 100 milioni di euro all'anno per personale precario fondi che potrebbero essere invece meglio spesi per assunzioni. La situazione è stata aggravata dalla cosiddetta spending review (decreto-legge n. 92 del 2012 e sua successiva conversioni in legge) che prevedeva un importante taglio economico per il comparto sicurezza e un abbassamento della percentuale del meccanismo di turn over;
    la situazione del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è dunque critica in tutto il Paese ma è chiaramente fuori misura per il comando di Modena che, da oltre un anno, lavora alla ricostruzione garantendo sempre e comunque il servizio minimo di soccorso urgente. Tutto ciò è possibile solo con frequenti turni di straordinario di cui, tra l'altro, quelli relativi al 2013 attendono ancora di essere pagati. Ad aggravare la situazione operativa dovuta alle carenze di organico va aggiunto che, da oltre un anno, non è stato nominato un comandante, venendo così a mancare una programmazione delle attività a cui ogni comando provinciale e chiamato a rispondere e rischiando di lasciare spazio a soluzioni estemporanee e ad iniziative non appropriate. Secondo quanto denunciato dai sindacati, il dirigente incaricato pro tempore non ha l'autorità di prendere decisioni e impartire direttive senza consultarsi prima con il direttore regionale, ciò comporterebbe però quella mancanza di tempestività delle decisioni e dei provvedimenti necessaria al lavoro di soccorso quali ad esempio l'autorizzazione del richiamo di personale in straordinario;
    senza un comandante, mancherebbe inoltre un interlocutore che possa fungere da tramite con il corpo dirigente della Capitale per la segnalazione di tutti i problemi e le difficoltà gestionali quotidiane: l'emergenza legata al sisma ha comportato infatti un logoramento di molti mezzi di soccorso che andrebbero sostituiti perché non sono più in grado di garantire la sicurezza tempestiva di intervento e quella degli operatori. Inoltre durante l'emergenza sono stati utilizzati numerosi e vari mezzi di soccorso e di trasporto che hanno comportato un superamento del consumo ordinario di carburante è stato accumulato così un credito eccessivo verso i rifornitori di carburante all'ingrosso che, a marzo 2013, secondo fonti di stampa, aveva raggiunto i 130 mila euro. Il distributore ha interrotto dunque la fornitura di carburante a credito generando ulteriori problemi operativi al comando di Modena;
    l'articolo 8 del decreto-legge recentemente approvato dal Governo e ancora in fase di conversione, decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, prevede un incremento della dotazione organica dei vigili del fuoco di 1000 unità. Tale provvedimento potrebbe essere l'occasione per garantire un adeguamento degli organici a tutti i comandi che attualmente lavorano sulle grandi emergenze ed in particolare a quello di Modena,

impegna il Governo:

   a verificare che arrivi tempestivamente il nuovo personale garantito dalla regione Emilia Romagna da destinare agli uffici per le certificazioni antimafia presso la prefettura di Modena e, soprattutto, che l'assegnazione del personale sia adeguata al fine di portare a regime il sistema delle white list nella provincia entro due mesi dall'approvazione della presente risoluzione;
   a prevedere che un congruo numero di personale assunto ai sensi del decreto-legge 31 agosto 2013, n 101, già in sede di conversione, o comunque con altro provvedimento ad hoc, sia destinato al comando di Modena e agli altri comandi che lavorano sulle grandi emergenze;
   in attesa dell'operatività del fondo previsto dall'articolo 11 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, a verificare e a garantire con ulteriori stanziamenti di fondi al Comando dei vigili del fuoco di Modena per coprire la carenza di risorse e mezzi dovuta agli interventi resi nell'ambito dell'emergenza terremoto e necessari all'operatività quotidiana;
   a dare immediata attuazione all'articolo 15 del decreto-legge n. 74 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge del 10 agosto 2012 n. 122 emanando il decreto previsto;
   a valutare la possibilità di reperire la copertura finanziaria necessaria ad adempiere agli impegni derivanti dal presente atto tramite un ulteriore taglio delle auto blu, rispetto a quanto già previsto ai sensi del decreto-legge 31 agosto 2013, n 101 e tramite eventuali ulteriori tagli mirati agli sprechi della pubblica amministrazione e ai costi della politica.
(7-00104) «Dadone, Dell'Orco, Ferraresi, Paolo Bernini, Brugnerotto, Cariello, Caso, Castelli, Cozzolino, Currò, Dall'Osso, D'Ambrosio, Dieni, D'Incà, Fraccaro, Lombardi, Mucci, Nuti, Sarti, Sorial, Spadoni, Toninelli, Villarosa».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    in Italia si contano 871 aree naturali protette, composte da 23 parchi nazionali, che da soli salvaguardano direttamente oltre 1,5 milioni di ettari (il 5 per cento del territorio nazionale), 27 aree marine protette, 147 riserve naturali statali, 3 altre aree protette di carattere nazionale, 134 parchi naturali regionali, 365 riserve naturali regionali e altre 171 aree protette regionali, per un totale di 3.163.000 ettari di superficie protetta, ossia più del 10 per cento del territorio italiano; questo risultato si deve principalmente alla «Legge quadro sulle aree naturali protette», n. 394 del 6 dicembre 1991, considerata una delle migliori leggi di carattere ambientale del nostro Paese, ma che alcune proposte presentate al Senato – per le quali è stata avviata una procedura d'urgenza – vorrebbero indebolire strutturalmente;
    all'inizio del 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Clini, presentando il rapporto sui parchi «parchi nazionali: dal capitale naturale alla contabilità ambientale», ha affermato quanto segue:
    «L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella sua risoluzione del dicembre 2010 (anno internazionale per la Biodiversità), ha dichiarato il periodo 2011-2020 decade ONU per la Biodiversità, al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi contenuti nel Piano Strategico 2020 e negli AichiTargets della Convenzione di Rio de Janeiro per la Diversità Biologica, adottati al X incontro della Conferenza delle Parti di Nagoya (Giappone) nell'ottobre 2010. Nello stesso anno, l'Italia ha definito la propria Strategia Nazionale per la Biodiversità 2011-2020, che fa riferimento agli impegni assunti e condivisi a livello globale e comunitario. Nel contesto della Strategia, è stato definito un sistema di “contabilità ambientale” nelle aree protette a partire da una ricognizione integrata e coordinata del patrimonio naturalistico noto e presente nei nostri Parchi Nazionali. Il risultato è di rilievo: i Parchi Nazionali sono rappresentativi delle peculiari ricchezze naturalistiche del nostro Paese; il livello di conservazione e salvaguardia naturale nei nostri Parchi è concreto ed effettivo, maggiore rispetto alle aree non tutelate. Ed è un risultato importante, perché l'emergenza dei cambiamenti climatici richiede di rafforzare ed estendere la “resilienza” dei sistemi naturali. E perché la crisi economica ci impone di adottare nuovi modelli basati sulla conservazione e valorizzazione efficiente delle risorse naturali, che sono il nostro “petrolio”»;
    la posizione di sensibilità e attenzione alle politiche di tutela delle aree protette è stata confermata dall'attuale Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Andrea Orlando, che ha recentemente sostenuto che la tutela e la difesa dell'ambiente rappresenta un’«asset che può consentire al Paese di giocare le proprie carte per il futuro, per uscire da una situazione di difficoltà economica» e ha affermato che «le aree protette, in questi anni, hanno rappresentato un elemento di trasformazione dell'economia» e anche una possibile via di uscita dalla crisi» e che «le aree protette – ha detto ancora Orlando – hanno stimolato un cambio nel turismo e nell'ambito dell'artigianato, valorizzando produzioni tradizionali e agricole»;
    a queste dichiarazioni purtroppo non segue un'adeguata azione di effettiva valorizzazione delle aree protette e lo stesso rapporto dianzi citato fornisce dati poco rassicuranti sullo stato di salute dei parchi in Italia; i parchi naturali generano ormai un fatturato diretto e indiretto superiore ai 9 miliardi di euro annui, con una ricaduta economico-sociale diffusa;
    i parchi nazionali e le altre aree naturali protette d'Italia generano un giro d'affari di 2 miliardi di euro all'anno e un fatturato pari a 9 miliardi di euro, con un'occupazione di 86 mila posti di lavoro (4 mila diretti, 17 mila per servizi, 65 mila per turismo, agricoltura, artigianato, commercio), con 2.450 centri visita, strutture culturali e circa 34 milioni in media di visitatori ogni anno;
    nei parchi nazionali si trova la maggior parte degli habitat importanti per la vita delle 56 mila specie di animali presenti in Italia, il Paese europeo con la maggiore varietà di specie viventi. Il 98 per cento sono insetti e altri invertebrati; i mammiferi sono rappresentati da ben 118 specie diverse. Tra le piante, le foreste più significative dei parchi nazionali sono faggete e querceti, che danno un valido contributo alla lotta contro l'effetto serra. I parchi nazionali frenano il consumo di suolo: se in Italia il 17 per cento dei boschi ha ceduto il passo a superfici artificiali, l'attenzione degli enti parco ha permesso di ridurre al 4,5 per cento l'urbanizzazione in queste aree protette;
    il «sistema parchi nazionali», sebbene ricopra soltanto il 4,8 per cento del territorio, rappresenta significativamente la peculiare eterogeneità ambientale italiana; nei 23 parchi nazionali ci sono 124 varietà di ambienti sulle 149 presenti in Italia. L'analisi della biodiversità condotta in termini di specie animali e vegetali, comunità, habitat ed ecosistemi dà conto dell'eccezionale capitale naturale presente;
    alcuni dati relativi all'enorme patrimonio naturale custodito all'interno delle aree protette permettono di rendersi conto del valore che rivestono per il Paese:
     i parchi nazionali (4,8 per cento del territorio) hanno il 12,8 per cento di diversi habitat: foreste (36 per cento), rocce e grotte (18 per cento) torbiere e paludi (28 per cento);
     il 7,1 per cento del territorio dei parchi è rappresentato da fiumi e da laghi;
     in Italia c’è la maggiore varietà europea di animali: 56 mila specie, che potrebbero raddoppiare con la scoperta di nuove specie oggi sconosciute soprattutto fra insetti e altri invertebrati che oggi rappresentano il 98 per cento del patrimonio faunistico; si contano inoltre 118 specie di mammiferi;
     il 21 per cento delle specie di flora e il 67 per cento delle specie di fauna tutelate vivono in un territorio che rappresenta il 4,8 per cento del territorio nazionale;
    un approfondimento è dedicato alla valenza e alla pluralità di servizi ecosistemici che svolgono le «foreste», con particolare riferimento all'immagazzinamento di carbonio, funzionale alla mitigazione dei cambiamenti climatici;
    nei territori dei soli parchi vengono accumulate 5,1 tonnellate di carbonio in più per ogni ettaro di superficie rispetto al territorio nazionale (6 tonnellate nel 2020): alcuni boschi hanno una capacità di accumulo doppia rispetto alla maggior parte degli altri habitat, le faggete contribuiscono per il 21 per cento del carbonio totale stoccato contro la superficie dell'11 per cento;
    i parchi frenano il consumo di suolo; a livello nazionale, circa il 17 per cento dei boschi si è trasformato in superfici artificiali, mentre nei parchi la percentuale è ridotta (4,5 per cento), grazie alla gestione degli enti parco;
    l'osservazione del cambiamento nel tempo (dal 1990 al 2006) del territorio dei parchi e delle aree ad essi circostanti mostra una tendenziale corretta perimetrazione dei parchi nazionali e la loro efficace azione di conservazione che si riflette positivamente anche sulle aree limitrofe, a differenza del trend nazionale;
    non bisogna dimenticare che un indebolimento dei parchi spalanca di fatto le porte alla speculazione edilizia; inoltre, gli enti parco hanno importanti prerogative in materia idrogeologica ed urbanistica;
    appare necessario iniziare a riflettere seriamente e avviare una politica di gestione delle aree protette che sappia discernere tra spese correnti e investimenti; mettere a disposizione fondi adeguati per i parchi nazionali significa investire su risorse umane, ambiente, biodiversità, legalità, difesa del suolo, cultura, lotta all'abusivismo, riduzione della CO2;
    la scorsa legislatura ha visto un'iniziale, consistente, riduzione del capitolo di spesa relativo alle «spese di natura obbligatoria per enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi» e solo con le ultime sessioni di bilancio è stato riportato ai livelli precedenti;
    sussiste l'esigenza, già sottolineata dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati, di garantire ulteriori risorse a favore delle aree protette,

impegna il Governo:

   a rafforzare il «sistema nazionale delle aree protette», inteso come un insieme organico e coerente di progetti e di programmi nazionali volti a sviluppare ed a rendere più efficaci le iniziative svolte dalle singole aree protette, e a consolidare le politiche di conservazione e di valorizzazione del patrimonio naturale del nostro Paese in funzione della rete ecologica nazionale ed in una prospettiva di tipo europeo;
   ad assumere iniziative volte ad accrescere adeguatamente, a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità, le risorse economiche destinate alle spese di funzionamento degli enti di gestione delle aree protette.
(7-00103) «Mannino, Terzoni, Busto, De Rosa, Daga, Segoni, Tofalo, Zolezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 4 giugno 2013 con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-00704 l'interrogante ha portato all'attenzione dell'Esecutivo alcune problematiche inerenti alla realizzazione dell'Hub Portuale di Trieste – piattaforma logistica;
   la realizzazione di questa opera riveste per lo scalo giuliano e per la stessa economia nazionale un'importanza strategica, riconosciuta anche a livello legislativo dal suo inserimento nell'elenco allegato alla legge Obiettivo (n. 443 del 2001) sul «Programma delle infrastrutture strategiche»;
   il progetto definitivo per la costruzione della piattaforma logistica nel porto di Trieste è stato approvato con delibera del Comitato interministeriale di programmazione economica (CIPE) del 30 aprile 2012, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 174 del 27 luglio 2012;
   l'autorità portuale di Trieste, a seguito del via libera del CIPE, ha avviato la procedura di gara articolata in due fasi: la prima in cui soggetti che posseggono i requisiti richiesti dal bando presentano domanda di partecipazione; la seconda in cui ai partecipanti è indirizzata una lettera d'invito a presentare l'offerta;
   per la realizzazione del primo lotto della piattaforma, la spesa prevista è di 132,4 milioni di euro, di cui 30 milioni provengono da fondi privati, 70,4 milioni dall'autorità portuale e 32 milioni sono stati attivati dall'assegnazione CIPE;
   il 5 ottobre 2012 è spirato il termine per la presentazione delle domande per la partecipazione alla gara e il 30 ottobre 2013 scadrà anche la presentazione delle offerte amministrative da parte delle imprese selezionate;
   ad oggi non è stato ancora concluso l’iter interministeriale necessario al fine di giungere all'emanazione del decreto necessario allo sblocco dei fondi stanziati dalla sopra citata delibera del CIPE;
   questo ritardo è legato alla decisione del Governo di verificare l'impatto della spesa dei 32 milioni di euro sul bilancio dello Stato;
   a seguito della conclusione della procedura di verifica sui saldi di finanza pubblica, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha già sottoscritto l'atto per l'assegnazione dei fondi, mentre manca ancora il via libera del Ministro dell'economia e delle finanze –:
   se il Governo intenda accelerare la procedura di approvazione del decreto interministeriale summenzionato, pervenendo alla sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze in tempi ragionevolmente brevi, in modo da evitare ulteriori ritardi. (5-01036)


   LATRONICO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada provinciale ex SS 176, in provincia di Matera, arteria di collegamento della fondovalle «Valle dell'Agri» con la strada statale 407 «Basentana», è stata chiusa al traffico veicolare a seguito del crollo avvenuto in data 22 febbraio 2013 del ponte che collega Craco Peschiera a Pizzitello di Pisticci;
   la bretella stradale è un arteria fondamentale per la provincia di Matera e per l'intera regione;
   l'impraticabilità dell'arteria, oltre ad isolare la comunità di Craco, compromette la sicurezza stradale tanto che nell'agosto scorso è stata causa di un tragico incidente mortale;
   gli abitanti di Craco vivono gravissime difficoltà per l'accesso alle scuole, per la garanzia dei soccorsi in caso di necessità sanitarie e per i traffici ordinari con i vicini centri di Matera e di Pisticci (la comunità di Craco per raggiungere il comune di Pisticci, che dista appena dieci chilometri, deve percorrerne settanta, impiegando oltre quaranta minuti);
   il tratto stradale di che trattasi ricade, tra l'altro, nell'itinerario Murgia-Pollino ed è inserito nell'elenco delle infrastrutture strategiche individuate nel Piano nazionale per il Sud e oggetto di finanziamento in base alla delibera CIPE del 3 agosto 2011;
   è necessario attivarsi per ripristinare e mettere in sicurezza l'arteria stradale e qualificare un asse stradale di rilevanza strategica –:
   se ritenga opportuno dichiarare, a fronte di una eventuale richiesta in tal senso, lo stato di emergenza nel territorio descritto in premessa affinché la protezione civile intervenga per ripristinare il traffico, almeno dei veicolo leggeri, al fine di assicurare la mobilità essenziale ed il raggiungimento delle scuole e dei servizi dei vicini centri di Pisticci e Matera;
   quali iniziative intenda intraprendere per superare le condizioni di isolamento della comunità di Craco e ripristinare la sicurezza dell'arteria stradale ex SS 176, in particolare, considerato che tale arteria è inserita nel Piano nazionale per il Sud, se ritenga opportuno adottare le procedure, per quanto di competenza, per dare urgente attuazione all'intervento infrastrutturale relativo all'asse viario Murgia-Pollino reso ancora più necessario in seguito al crollo che ha interessato l'arteria ex SS 176 che ha compromesso la transitabilità e la sicurezza all'arteria. (5-01040)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIVELLARI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento delle comunicazioni cui fa capo il servizio postale nazionale è stato assorbito dal Ministero dello sviluppo economico;
   il servizio di recapito delle raccomandate da parte di Poste Italiane avviene di prassi con l'invio a domicilio della ricevuta;
   qualora il destinatario non riceva il plico, l'azienda provvede a un secondo invio (cosiddetto «avviso di mancata di consegna»);
   quando nemmeno questo ulteriore passaggio va a buon fine, il cittadino è invitato a contattare un numero verde con cui prenotare un appuntamento a domicilio per ritirare la raccomandata;
   il numero (verde) di cui sopra non è gratuito per chi chiama da utenze mobili, cioè ormai la maggior parte dell'utenza;
   a quanto segnalato da più parti negli ultimi giorni, tuttavia, nemmeno quest'ultimo passaggio appare definitivo, atteso che Poste Italiane tende a imporre giorni e orari all'utente in modo unilaterale, anziché concordare con il destinatario il momento più opportuno per il ritiro –:
   se il Governo sia a conoscenza di questo disguido e quali iniziative si intendano assumere per rendere più agevole un iter che appare a tutt'oggi insufficiente a soddisfare gli utenti del servizio raccomandate. (4-01879)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 28 della legge n. 1150 del 1942, al comma 5, stabilisce che l'autorizzazione comunale alla lottizzazione del terreno a scopo edilizio è subordinata alla stipula di una convenzione tra il proprietario delle aree e l'amministrazione comunale;
   lo stesso articolo 28 stabilisce che la convenzione deve disciplinare le obbligazioni a carico del proprietario concernenti la cessione delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ovvero l'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi;
   in base allo stesso articolo 28, la convenzione deve indicare i termini non superiori a dieci anni entro i quali deve essere ultimata l'esecuzione delle opere di urbanizzazione e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi;
   in attuazione di quanto previsto dall'articolo 28 della legge n. 1150 del 1942, i comuni adottano schemi di convenzione in base ai quali le modalità e la tempistica per il rilascio delle autorizzazioni necessarie alla realizzazione degli interventi edificatori privati sono strettamente correlate all'adempimento, da parte dei proprietari delle aree, degli obblighi convenzionali concernenti la cessione delle aree e la realizzazione delle opere di urbanizzazione;
   nelle convenzioni che i proprietari delle aree sottoscrivono con i comuni viene, altresì, quantificato, in funzione dell'edificabilità determinata dal piano urbanistico, l'importo dei contributi dovuti per il rilascio dei permessi di costruire, a scomputo totale o parziale del quale i proprietari si assumono l'onere di eseguire le opere di urbanizzazione primaria e di quota parte di quelle secondarie ovvero di quelle che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi;
   detta quantificazione avviene sulla base delle tabelle parametriche definite a livello regionale ovvero sulla base dei parametri per il calcolo degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria vigenti, che i comuni, in base all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, sono tenuti ad aggiornare, con una apposita deliberazione consiliare, ogni cinque anno;
   le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e quelle necessarie per allacciare le aree da trasformare ai pubblici servizi — oggetto di obblighi convenzionali e finanziate integralmente o in parte dai proprietari delle stesse aree — risultano comunque inserite nella programmazione delle opere pubbliche dei comuni;
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, all'articolo 30, comma 3-bis, stabilisce che il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31 dicembre 2012, sono prorogati di tre anni;
   la dilazione dei termini di efficacia delle convenzioni urbanistiche si concretizza in una rimodulazione delle obbligazioni a carico dei proprietari delle aree che hanno sottoscritto una convenzione urbanistica prima del 31 dicembre 2012, e dunque in un rinvio, fino a tre anni, dei termini entro i quali i proprietari delle aree si sono obbligati ad avviare ovvero a completare i lavori per la realizzazione di opere di urbanizzazione;
   il rinvio dei termini previsti dalle convenzioni urbanistiche comporta una inevitabile lievitazione dei costi, rispetto ai quadri tecnico-economici già approvati, di quelle opere di urbanizzazione che, con la sottoscrizione delle stesse convenzioni, i proprietari delle aree si sono impegnati a realizzare e successivamente a cedere alle amministrazioni comunali, a scomputo totale o parziale dei contributi dovuti, così come quantificati sulla base delle tabelle di calcolo vigenti al momento della stipula della convenzione;
   il rinvio dei termini previsti dalle convenzioni urbanistiche per l'ultimazione delle opere può comportare la sospensione ovvero il rallentamento dei lavori in corso per l'esecuzione di opere di urbanizzazione primaria, di quelle secondarie ovvero di altre opere pubbliche –:
   se siano a conoscenza degli impatti prevedibili di questa disposizione, e in particolare del numero delle convenzioni urbanistiche rispetto alle quali quest'ultima troverà applicazione, e del numero e del valore economico complessivo delle opere di urbanizzazione — già programmate dai comuni e affidate in esecuzione ai proprietari delle aree che hanno sottoscritto le relative convenzioni — delle quali si rinvia l'avvio ovvero l'ultimazione dei lavori;
   se dispongano di una stima attendibile della lievitazione dei costi, rispetto a quelli stabiliti nei quadri tecnico-economici già approvati, delle opere di urbanizzazione oggetto delle convenzioni urbanistiche stipulate prima del 31 dicembre 2012, che la dilazione, fino a tre anni, dei termini per l'avvio e l'ultimazione dei lavori può determinare;
   se non ritengano necessario promuovere iniziative urgenti volte a rivedere la norma in questione, al fine di prevenire e/o ridurre i contenziosi che si potranno verificare tra le amministrazioni locali e i soggetti convenzionati a causa dell'automatico rinvio dei termini previsti per l'adempimento degli obblighi convenzionali e per la realizzazione di opere pubbliche già inserite nella programmazione dei comuni, a causa del disallineamento tra i quadri tecnico-economici delle opere convenzionate già approvate e i costi delle stesse opere al momento nel quale verranno eseguite, nonché a causa del possibile rallentamento e/o sospensione dei lavori in corso per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria, di quelle opere secondarie e delle altre opere pubbliche oggetto delle convenzioni. (4-01883)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990, la segnalazione certificata di inizio attività non costituisce un provvedimento tacito direttamente impugnabile;
   l'interessato può, dunque, sollecitare l'amministrazione a compiere le verifiche di competenza e – solo in caso di inerzia – può chiedere al giudice amministrativo l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere in base all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104;
   in base al citato articolo 31 del decreto legislativo n. 104 del 2012, il giudice può pronunciarsi sulla fondatezza della richiesta solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione;
   con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, all'articolo 30, sono state apportate delle modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, e in particolare alla definizione delle categoria di intervento edilizio «ristrutturazione edilizia», di cui all'articolo 3 del testo unico, includendo in detta categoria anche gli interventi di demolizione e ricostruzione che comportano la realizzazione di un edificio con la stessa volumetria, ma con una sagoma diversa da quella dell'edificio preesistente;
   con la modifica apportata dal decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, all'articolo 10 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, viene stabilito che sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia comportanti la demolizione e la ricostruzione di un edificio con una sagoma diversa rispetto a quello preesistente, soltanto nel caso in cui abbiano come oggetto un edificio vincolato in base al codice dei beni culturali e del paesaggio ovvero limitatamente agli edifici all'interno delle zone territoriali omogenee «A», rispetto ai quali i comuni – con la delibera di cui all'articolo 23-bis dello stesso Testo Unico – escluderanno la possibilità di realizzare detti interventi mediante segnalazione certificata di inizio attività;
   con la modifica apportata dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, all'articolo 22 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, viene stabilito che sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, e non alterano la sagoma dell'edificio soltanto nel caso in cui abbiano come oggetto un edificio vincolato in base al codice dei beni culturali e del paesaggio ovvero limitatamente agli edifici all'interno delle zone territoriali omogenee «A», rispetto ai quali i comuni – con la delibera di cui all'articolo 23-bis dello stesso testo Unico – escluderanno la possibilità di presentare dette varianti mediante segnalazione certificata di inizio attività;
   con il decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, è stato inserito l'articolo 23-bis del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, con il quale è stato, altresì, stabilito che all'interno delle zone omogenee «A» per gli interventi o le varianti a permessi di costruire ai quali è applicabile la segnalazione certificata di inizio attività comportanti modifiche della sagoma rispetto all'edificio preesistente o già assentito, i lavori non possono in ogni caso avere inizio prima che siano decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della segnalazione;
   in seguito alle modifiche elencate in premessa, rientrano nel campo di applicazione della segnalazione certificata di inizio attività interventi di demolizione e ricostruzione che non comportano una «fedele ricostruzione» dell'edificio preesistente, ma che portano alla realizzazione di un edificio nuovo sia per caratteristiche tipologiche, sia per la sua collocazione all'interno del lotto;
   rientrano, allo stesso modo, nel campo di applicazione della segnalazione certificata di inizio attività anche le varianti ai permessi di costruire di cui all'articolo 22 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia;
   dette modifiche comportano l'inclusione all'interno del campo di applicazione della cosiddetta segnalazione certificata di inizio attività di interventi, la procedibilità dei quali comporta, per l'amministrazione, un'attività di verifica dei requisiti e dei presupposti del tutto analoga a quella da svolgere con riferimento agli interventi di «nuova costruzione» ovvero soggetti al rilascio del permesso di costruire;
   rispetto agli interventi di demolizione e ricostruzione finalizzati alla realizzazione di un edificio nuovo sia per caratteristiche tipologiche, sia per la sua collocazione all'interno del lotto – eseguibili in base alle modifiche al testo unico mediante la presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività – deve essere assicurato un trattamento dei diritti, che spettano ai soggetti a diverso titolo interessati all'intervento, analogo a quello previsto per gli interventi di nuova costruzione che lo stesso testo unico assoggetta al rilascio del permesso di costruire;
   alla luce di questa esigenza, con riferimento agli interventi di demolizione e ricostruzione da eseguire all'interno delle zone «A» l'articolo 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 prevede espressamente che i lavori non possono essere avviati – come ordinariamente stabilito – il giorno successivo, ma trenta giorni dopo la presentazione della segnalazione;
   la fissazione del termine sospensivo di trenta giorni, di cui all'articolo 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, non associata all'obbligo di dare pubblicità dell'avvenuta presentazione della segnalazione, non contribuisce in modo apprezzabile alla piena ponderazione degli interessi eventualmente presenti e al tempestivo coinvolgimento dei diversi soggetti coinvolti –:
   se e quali iniziative intendano assumere – nelle more dell'approvazione, da parte dei comuni, della delibera di cui all'articolo 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – affinché venga data notizia al pubblico, mediante affissione all'albo pretorio, della presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività che ha come oggetto la realizzazione di interventi di demolizione e ricostruzione comportanti la modifica della sagoma ovvero la presentazione di varianti ai permessi di costruire, e dell'avvenuto decorso del termine di 30 giorni, di cui all'articolo 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, per gli interventi da eseguire su immobili ricadenti all'interno delle zone A;
   se e quali iniziative intendano assumere affinché sia stabilito l'obbligo di pubblicare l'avvenuta presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività, che ha come oggetto la realizzazione di interventi di demolizione e ricostruzione comportanti la modifica della sagoma ovvero la presentazione di varianti ai permessi di costruire, anche nei casi rispetto ai quali non è stato stabilito il citato termine sospensivo di trenta giorni per iniziare i lavori e dunque quest'ultimi possono essere avviati il giorno dopo la presentazione della segnalazione;
   se non ritengano necessario assumere iniziative normative urgenti al fine di correggere e integrare la disciplina della segnalazione certificata di inizio attività, di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, stabilendo che le segnalazioni certificate di inizio attività – se hanno ad oggetto la realizzazione di interventi di demolizione e ricostruzione, con modifica della sagoma, nonché la presentazione di varianti ai permessi di costruire – costituiscono provvedimenti direttamente impugnabili, e che i comuni hanno l'obbligo di dare notizia, mediante affissione all'albo pretorio, della presentazione delle stesse segnalazioni certificate, al pari di quanto disposto dall'articolo 20, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 relativamente al rilascio dei permessi di costruire.
(4-01884)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i dati del dossier «Terra dei Fuochi» elaborato da Legambiente e presentato il 18 settembre 2013, in occasione del lancio della annuale campagna «Puliamo il mondo», dimostrano quanto sia perentorio contrastare da subito e con misure a carattere prioritario lo smaltimento illecito di rifiuti per tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini. Questione che interessa a vario titolo tutta l'Italia, anche se con maggiore drammaticità la Campania ed, in particolare, le province di Napoli e Caserta;
   si evince dal sopraccitato dossier che negli ultimi cinque anni tra le province di Napoli e Caserta sono stati compiuti ben 205 arresti per traffici e smaltimenti illegali di rifiuti, pari al 29,2 per cento del totale nazionale, e nei 20 mesi compresi tra gennaio 2012 al 31 agosto 2013 sono stati registrati migliaia di rifiuti, materiali plastici, scarti di lavorazione del pellame, stracci: ben 6.034, di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta;
   l'Istituto Pascale di Napoli ha recentemente pubblicato un rapporto sui casi di morte verificatisi dal 1998 a causa delle neoplasie e dalla ricerca emerge un aumento dei tumori stimato fino al 47 per cento e, soprattutto, la stretta correlazione tra inquinamento ambientale e patologie neoplastiche –:
   se i Ministri interrogati non intendano provvedere, con gli adeguati strumenti normativi e per quanto di loro competenza, affinché sia data maggiore forza all'attività di controllo, prevenzione e contrasto delle attività illegali di smaltimento dei rifiuti e dei roghi «tossici» nella «Terra dei fuochi», destinando ad essa risorse specifiche e adeguate;
   se non ritengano poi utile istituire un tavolo tecnico per l'emergenza roghi nella Terra dei Fuochi, anche ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali e con la regione Campania, per controllare l'impatto su salute e produzione agroalimentare dell'inquinamento; da ultimo se non si intenda dichiarare l'area della Terra dei Fuochi sito da bonificare di interesse nazionale al fine di arrivare rapidamente alla bonifica assumendo le iniziative di competenza per pervenire al risarcimento del danno ambientale da parte dei responsabili dei fenomeni di smaltimento illegale di rifiuti e per uscire dal regime di gestione emergenziale di gestione di rifiuti della regione. (4-01886)


   TIDEI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 settembre 2013 il relitto della nave Costa Concordia è stato disincagliato dal largo dell'Isola del Giglio e si prospetta il suo spostamento nella prossima primavera per effettuarne lo smantellamento;
   su proposta del Ministro pro tempore Clini, il Consiglio dei ministri dell'8 marzo 2013 ha autorizzato il dipartimento della protezione civile – in stretto raccordo con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – ad adottare i provvedimenti necessari a consentire il trasporto della nave Costa Concordia presso il porto di Piombino per lo smantellamento, utilizzando le risorse già stanziate ed effettivamente disponibili, in raccordo con il Ministero dell'economia e delle finanze;
   nonostante i vari solleciti dei rappresentanti istituzionali locali, dell'autorità portuale e del presidente della regione Lazio, l’iter che ha portato a tale decisione non ha visto coinvolta la città laziale ed il suo porto, che si sono per tempo candidati ad ospitare la nave per la realizzazione dei lavori;
   le distanze dei due porti dal luogo dell'incidente sono equivalenti (circa 39 miglia) ma, contrariamente a quello di Piombino, il porto di Civitavecchia è già pronto per ricevere la nave, disponendo di fondali adeguati (18 metri), banchine, un adeguato bacino interno ed ampie aree per le lavorazioni;
   la demolizione della Costa Concordia a Civitavecchia potrebbe essere quindi realizzata con un limitato impegno di spesa, cosa non di poco conto in un momento di così grave crisi finanziaria;
   la scelta del porto di Piombino comporterebbe, al contrario, una spesa ingente, di svariati milioni di euro, da reperire nelle pieghe del bilancio dello Stato, risorse che appaiono destinate più a soddisfare l'aspirazione di quel porto ad ampliare la propria infrastruttura che a risolvere il problema «Costa Concordia»;
   in data 13 settembre 2013 il capo dipartimento della protezione civile Franco Gabrielli in audizione presso l'VIII Commissione parlamentare Ambiente ha dichiarato che «appare chiarissimo come il porto non sia attrezzato, sia per la profondità inadeguata, pari a 7-8 metri di dragaggio, sia per le infrastrutture, inadatte ai successivi lavori di demolizione.»;
   la città di Civitavecchia aspira a veder sviluppato il proprio porto anche come polo industriale, segnatamente cantieristico, mirato alla promozione occupazionale ed alla diversificazione delle attività portuali –:
   se il Governo, alla luce delle ragioni descritte in premessa e di una decisione – quella del porto di Piombino – che appare inadeguata anche a detta del capo della protezione civile, non ritengano opportuno prendere nuovamente in considerazione la candidatura del porto di Civitavecchia per lo smaltimento del relitto della nave Costa Concordia. (4-01887)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SEGONI, ARTINI, BONAFEDE, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in seguito all'inchiesta sui lavori Tav a Firenze il giudice per le indagini preliminari Angelo Antonio Pezzuti ha deciso gli arresti domiciliari per Gualtiero (detto Walter) Bellomo, membro della commissione Via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Maria Rita Lorenzetti presidente di Italferr, ex presidente della regione Umbria (Pd); Furio Saraceno presidente di Nodavia; Valerio Lombardi, tecnico di Italferr; Alessandro Coletta, consulente, ex membro dell'autorità di vigilanza sugli appalti pubblici; Aristodemo Busillo, della società Seli di Roma, che gestisce la grande fresa sotterranea «Monna Lisa» per realizzare il tunnel alta velocità sotto Firenze;
   infiltrazioni della criminalità organizzata e precisi interessi affaristici di parte politica vengono in evidenza in questa delicata inchiesta giudiziaria che ha portato al blocco giudiziario dei cantieri;
   il sottoattraversamento Tav della città di Firenze è, a parere degli interroganti, anacronistico, per la mole di denaro pubblico che è stato e sarà ancora di più bruciato in questa grande opera che ha gravissime implicazioni ambientali e porterà alla rete ferroviaria italiana solo il risparmio di qualche minuto per i treni di Alta Velocità nella tratta Firenze-Roma;
   in particolare l'inchiesta evidenzia il tentativo degli indagati di condizionare l'esito dei pareri dei funzionari pubblici nazionali e della regione Toscana competenti in concessione di Via. In particolare una loro pressione avrebbe avuto successo per l'avvicendamento ad altro incarico dell'architetto Fabio Zita direttore dell'ufficio Via della regione Toscana che si era sempre opposto a far declassare i fanghi di risulta degli scavi da pericolosi ad inerti o materiale non nocivo. Tale materiale è destinato al riempimento delle ex miniere della città di Cavriglia. Appare evidente che i margini di guadagno da parte delle ditte interessate sarebbero stati enormi se, come è avvenuto, il declassamento di tali fanghi fosse stato autorizzato dagli organismi competenti per legge –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda assumere per ripristinare l'imparzialità degli uffici competenti alla concessione della valutazione d'impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed in particolare se non reputi necessario revocare tutte le autorizzazioni che hanno declassato i fanghi di risulta del tunnel Tav di Firenze da rifiuti pericolosi a inerti o sottoprodotto riutilizzabile in seguito ad autorizzazione ministeriale. (5-01043)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROCCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la nuova sede dell'archivio di Stato di Livorno fu, a suo tempo, individuata nell'ex convento, poi carcere, dei Domenicani, un grande edificio sorto ai primi del ‘700 accanto alla chiesa di Santa Caterina, nel cuore dello storico quartiere livornese della Venezia;
   la tormentata vicenda dell'edificio comincia nel 1984 con la chiusura del carcere dei Domenicani: il vasto edificio, esteso su ben 3.800 metri quadrati complessivi, venne individuato come nuova sede per l'archivio di Stato;
   adibito inizialmente a convento, fu trasformato in carcere durante l'epoca napoleonica passando in capo al comune di Livorno. Una parte dell'edificio tornò quindi ai padri Domenicani venendo in seguito assorbita nel demanio statale: ad oggi l'immobile appartiene per il 70 per cento al comune di Livorno e per il resto al Ministero per i beni e le attività culturali;
   l'immobile fu consegnato all'amministrazione archivistica già nel 1987 (un quarto di secolo fa) con atti formali l'ultimo dei quali risale al 2002;
   tralasciando il fatto che l'immobile, pur prestigioso, non fosse la soluzione più idonea ad ospitare un archivio per la presenza di celle sulle quali pesano vincoli storici posti dalla soprintendenza di Pisa, ipotesi alternative non furono trovate ed, in forza di necessità, fu deciso ed approvato il progetto di restauro e di recupero che, nel 2005/2006 vide l'appalto del primo lotto di lavori destinati al consolidamento strutturale dell'edificio;
   da allora la ristrutturazione è andata avanti fra lungaggini burocratiche e difficoltà nei finanziamenti ministeriali: si trattava di rinforzare la struttura interna con pilastri e solai in calcestruzzo armato tali da sostenere l'enorme peso degli svariati chilometri di scaffalature ricolme di faldoni contenenti i documenti storici di Livorno dalla fine del ’500 fino alla seconda metà del ’900: un patrimonio culturale di indubbio valore da salvaguardare e nel contempo da rendere consultabile;
   ad oggi, nonostante ripetuti annunci di prossima apertura, l'ultimo risale al 2007, la situazione del progetto del nuovo archivio di Stato di Livorno presenta un bilancio desolante:
    a) risultano spesi direttamente dall'amministrazione circa 6 milioni di euro, a cui si devono aggiungere quanto a suo tempo speso dalla soprintendenza di Pisa, che negli anni novanta curò il rifacimento del tetto, la gabbia di Faraday e la sistemazione degli appartamento all'ultimo piano;
    b) un prestigioso edificio storico sul quale sono stati apportati «discutibili» interventi di restauro ed attualmente, come l'interrogante ha personalmente constatato, in totale stato di abbandono;
    c) condizioni logistiche, gestionali, economiche e di fruibilità dell'immenso patrimonio dell'archivio di Stato di Livorno gravemente compromesse;
   dunque oggi, l'archivio di Stato di Livorno non ha una propria sede istituzionale ma risiede nel palazzo del Governo, con notevoli limiti di accesso, insufficienza di spazi ed impossibilità di ricevere nuovi materiali;
   la vecchia sede aggiuntiva è stata chiusa nel 2004 così circa metà dei fondi archivistici fu stoccato in magazzini a Perugia (circa 2.250 ml), presso la ditta Plurima (che vinse a suo tempo la gara di trasferimento e custodia); doveva essere una sistemazione provvisoria, in vista dei lavori per l'apertura della nuova che ancora si attende;
   questa grave interruzione del progetto sta producendo ingenti oneri aggiuntivi, disagi per l'utenza, e, di fatto, impossibile fruibilità e gestione di un materiale di enorme valore storico e culturale. Va inoltre messo in evidenza che l'impossibilità di accogliere nuovo materiale, stoccato presso gli uffici competenti, rischia di provocare il suo deterioramento;
   si ipotizza inoltre una situazione di nuovo stress dell'archivio già con la prossima chiusura delle tre sezioni distaccate di tribunale (Cecina, Piombino, Portoferraio);
   altri fondi archivistici dell'archivio di Stato di Livorno risultano sparsi fuori sede: una parte dell'ampio fondo Cantiere Navale Orlando è «provvisoriamente» presso l'archivio di Stato di Latina (dal 2008, 1.000 ml e con suo giustificato malumore); altro materiale è ospitato presso l'archivio diocesano di Livorno; altro ancora presso l'archivio dell'autorità portuale; con convenzione si è lasciato l'ex archivio delle società commerciali della cancelleria del tribunale alla camere di commercio industria e artigianato –:
   se il progetto di completamento dei lavori strutturali del nuovo archivio di Stato di Livorno, già destinatario di ingenti risorse, e della sua piena agibilità funzionale sia ancora concretamente attuabile e quali siano i tempi di attuazione;
   in caso contrario, se siano state esplorate e valutate ipotesi alternative che consentano alla città di Livorno di riappropriarsi e rendere fruibile l'enorme materiale che racconta la sua storia e connota la cultura di una città i cui caratteri di multietnicità e multiculturalità per eccellenza, dei quali, caso pressoché unico in Italia, sopravvivono documentazioni e importanti vestigia e ricchezza di chiese, cimiteri nazionali, palazzi, ville, opere di pubblica utilità indissolubilmente legate alle importanti comunità straniere che frequentarono il porto franco di Livorno fino alla seconda metà dell'Ottocento. (5-01042)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:


   CRIPPA. — Al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per gli affari europei, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sito individuato per la realizzazione del Centro eventi multifunzionale (C.E.M.) è individuato in riva al lago Maggiore, in un comparto di grande pregio ambientale e sul quale insiste la biblioteca civica con un parco di notevole rilevanza turistica;
   l'opera del Centro eventi multifunzionale di Verbania prevede una spesa di oltre 16 milioni di euro;
   i finanziamenti stanziati per il CEM sono inseriti nel Piano integrato di sviluppo urbano relativo alla riqualificazione di aree degradate di iniziativa della regione Piemonte;
   la città di Verbania, con i suoi appena 31.517 abitanti, non potrà sopportare i costi di gestione previsti in ben 900 mila euro annui;
   l'opera progettata prevede un'importante ed evitabile cementificazione oltre che un notevole impatto ambientale;
   l'area di riferimento, già risanata nel 1999 con un contributo di 1,327.811 milioni di euro dell'Unione europea nel quadro dei Fondi strutturali 1998-1999 obiettivo 2, quindi fortemente inquinata, che ha previsto la creazione di un parco urbano con la creazione di una spiaggia, piste ciclabili, parcheggi, bar ristorante e la costruzione di una Arena all'aperto con 1.200 posti a sedere, dopo poco più di dieci anni è oggi soggetta a demolizione totale;
   appare quantomeno inopportuno che in poco più di 10 anni il comune di Verbania possa essere finanziato per ben due volte tramite fondi europei per la riqualificazione della medesima area, demolendo completamente l'opera realizzata grazie al primo finanziamento e stravolgendo di fatto lo spirito dell'allora progetto di ristrutturazione del sito in questione;
   in questi anni ben 4.000 cittadine e cittadini hanno firmato una petizione per non effettuare l'opera e proponendo il riutilizzo di un vecchio teatro in disuso nella frazione di Pallanza Verbania;
   a seguito delle dimissioni dell'ormai ex-sindaco Marco Zacchera, diventate effettive in data 1o maggio 2013, a ricoprire le funzioni caratterizzanti di primo cittadino è il commissario prefettizio Michele Mazza –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'operato del commissario prefettizio Mazza, il quale prevede, come detto, di proseguire con la realizzazione del progetto in questione avviato dall'amministrazione cessata, che altra conseguenza non avrebbe se non quella di indebitare il comune. (4-01896)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   ZANETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del decreto legislativo n. 39 del 2010, recante la disciplina della revisione legale, sono stati emanati dal Ministero dell'economia e delle finanze i seguenti regolamenti: decreto ministeriale 20 giugno 2012, n. 144, regolamento concernente le modalità di iscrizione e cancellazione dal registro dei revisori legali, in applicazione dell'articolo 6 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, recante attuazione della direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati (Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2012); decreto ministeriale 20 giugno 2012, n. 145 regolamento in applicazione degli articoli 2, commi 2, 3, 4 e 7, comma 7, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 recante attuazione della direttiva 2006/43/CE in materia di revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati (Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2012); decreto ministeriale 25 giugno 2012, n. 146, regolamento riguardante il tirocinio per l'esercizio dell'attività di revisione legale, in applicazione dell'articolo 3 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, recante attuazione della direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati (Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 2012); decreto ministeriale 24 settembre 2012 istituzione presso il Ministero dell'economia e delle finanze della Commissione centrale per i revisori contabili (Gazzetta Ufficiale n. 253 del 29 ottobre 2012); decreto ministeriale 24 settembre 2012, determinazione dell'entità e delle modalità di versamento del contributo annuale degli iscritti al Registro dei revisori legali (Gazzetta Ufficiale n. 253 del 29 ottobre 2012); decreto ministeriale 1o ottobre 2012, determinazione dell'entità e delle modalità di versamento degli oneri in misura fissa previsti dal decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di revisione legale dei conti e dei relativi regolamenti attuativi (Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 2012); decreto ministeriale 28 dicembre 2012 n. 261, regolamento concernente i casi e le modalità di revoca, dimissioni e risoluzione consensuale dell'incarico di revisione legale, in attuazione dell'articolo 13, comma 4, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 (Gazzetta Ufficiale n. 43 del 20 febbraio 2013); decreto ministeriale 8 gennaio 2013 n. 16 Regolamento concernente la gestione della «Sezione dei revisori inattivi», in attuazione dell'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 (Gazzetta Ufficiale n. 43 del 20 febbraio 2013);
   risultano invece ancora da emanare i regolamenti concernenti i seguenti aspetti della disciplina: esame di idoneità professionale, ex articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010; formazione continua, ex articolo 5 del decreto legislativo n. 39 del 2010; deontologia professionale, riservatezza e segreto professionale, ex articolo 9 del decreto legislativo n. 39 del 2010, indipendenza e obiettività, ex articolo 10 del decreto legislativo n. 39 del 2010; princìpi di revisione, ex articolo 11 del decreto legislativo n. 39 del 2010; elaborazione dei princìpi, ex articolo 12 del decreto legislativo n. 39 del 2010; indipendenza, ex articolo 17 del decreto legislativo n. 39 del 2010; controllo della qualità, ex articolo 20 del decreto legislativo n. 39 del 2010;
   in particolare, la mancata emanazione in particolare del regolamento di attuazione dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010, recante «Esame di idoneità professionale» determina, di fatto, l'impossibilità di accedere al registro dei revisori legali; infatti, al di là della salvaguardia dei diritti acquisiti alla data del 13 settembre 2012, data di entrata in vigore del decreto ministeriale n. 145 del 2012 che, all'articolo 17, disciplina la prima formazione del registro, fino all'emanazione del predetto regolamento non sarà più possibile accedere al Registro;
   a tale proposito giova ricordare che, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, del decreto ministeriale n. 145 del 2012, «hanno diritto all'iscrizione nel Registro dei revisori legali le persone fisiche e le società che, al momento dell'entrata in vigore del presente regolamento, sono già iscritti al registro dei revisori contabili di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88 e all'Albo speciale delle società di revisione di cui all'articolo 161 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Sono altresì iscritti, su richiesta: 1) coloro che, anteriormente alla data di entrata in vigore del presente regolamento, hanno acquisito il diritto di essere iscritti nel Registro dei revisori contabili di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88, a condizione che la relativa istanza sia prodotta entro un anno dall'entrata in vigore del presente regolamento; [il termine ultimo è previsto per il 12 settembre 2013]; 2) coloro che, alla data di entrata in vigore del presente regolamento, hanno presentato istanza di partecipazione ad una sessione d'esame non ancora conclusa per l'iscrizione al registro dei revisori contabili di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88, ed hanno, alla data di presentazione dell'istanza di iscrizione al Registro, superato l'esame medesimo [la norma in questo caso non sembra porre termini decadenziali]»;
   il vuoto normativo creatosi per la mancata emanazione del regolamento attuativo dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010 è, ad avviso dell'interrogante, il frutto della errata interpretazione della disciplina dettata dal decreto legislativo n. 39 del 2010 nel quale sono incorsi il Ministero della giustizia e quello dell'economia e delle finanze; si osserva infatti che l'articolo 43 del citato decreto legislativo prevede, in base al combinato disposto dei commi 1 e 4, che è abrogata, ma resta in vigore fino all'emanazione dei regolamenti previsti dal predetto decreto legislativo, la previgente normativa e che, fino all'emanazione di tutti i regolamenti per revisore legale, per revisore legale si intende il soggetto iscritto nel registro dei revisori contabili ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88, e per società di revisione legale la società di revisione iscritta nell'albo speciale delle società di revisione previsto dall'articolo 161 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, o nel registro di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88»;
   appare dunque lecito domandarsi se dall'emanazione solo di alcuni decreti attuativi possa derivare l'abrogazione di tutta la previgente normativa. Se cioè una disciplina parziale ed inorganica possa sostituirsi alla complessa regolamentazione in materia di revisione legale formatasi e consolidatasi in numerosi anni di produzione legislativa e applicazione pratica della stessa; appare evidente, come dimostrano i fatti, che ciò non sia possibile e che assumere, contrariamente a quanto previsto dalla legge, la sostituzione di norme che non posso essere applicate alla compiuta disciplina previgente, determina (come ha determinato) un grave vuoto normativo, con incertezze e confusione in una materia tanto delicata quanto sicuramente è quella del controllo legale dei conti;
   per comprendere gli effetti dell'indirizzo interpretativo assunto dalla ragioneria dello Stato che nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze cura la materia della revisione legale giova presentare il caso di un giovane commercialista al quale, in data 7 agosto 2013, la Consip s.p.a. comunicava il diniego all'iscrizione nel registro dei revisori legali disposto con decreto del 23 luglio 2013 dell'ispettore generale di finanza. La motivazione indicata nel decreto a supporto del diniego di iscrizione al Registro è la mancanza dei requisiti di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 2010, che dispone che «Possono chiedere l'iscrizione al Registro le persone fisiche che: a) sono in possesso dei requisiti di onorabilità definiti con regolamento adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Consob; b) sono in possesso di una laurea almeno triennale, tra quelle individuate con regolamento dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Consob; c) hanno svolto il tirocinio, ai sensi dell'articolo 3; d) hanno superato l'esame di idoneità professionale di cui all'articolo 4». Nelle premesse del provvedimento di diniego viene rilevato dal direttore generale di finanza sia il mancato svolgimento da parte della giovane commercialista di un esame di idoneità professionale di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010 sia la mancata acquisizione, alla data del 13 settembre 2012, del diritto di essere iscritto nel registro ai sensi dell'articolo 17, comma 1, del decreto ministeriale n. 145 del 2012 in quanto la giovane commercialista in questione ha concluso il periodo del tirocinio triennale successivamente al 13 settembre 2012, data di entrata in vigore del suddetto decreto ministeriale n. 145 del 2012. Non si comprende come si fa a sostenere che la dottoressa in questione non ha superato l'esame di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010 se manca il regolamento che deve disciplinare l'esame;
   intanto, mentre la ragioneria generale dispone il rigetto delle domande d'iscrizione nel registro dei revisori legali per il mancato superamento dell'esame di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010, esame non ancora disciplinato dal Ministero della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la Consip introita i versamenti, ammontanti ad euro 50,00, effettuati dai richiedenti l'iscrizione a titolo di copertura delle spese di segreteria e lo Stato i circa 16 euro della marca da bollo che necessariamente deve essere apposta sulla domanda di iscrizione;
   è di tutta evidenza come il vuoto normativo determinatosi sta producendo effetti paradossali, la cui gravità evidenzia l'insensatezza di una interpretazione, che oggi appare chiaramente priva di fondamento normativo, fortemente voluta dai Ministeri della giustizia e dell'economia e delle finanze che in maniera a giudizio dell'interrogante gravemente miope hanno determinato la paralisi di un pubblico registro al quale non è più consentito accedere, tranne per chi ne aveva già acquisito il diritto –:
   se non si ritenga opportuno rivedere senza indugio l'errata interpretazione che ha prodotto questo vuoto normativo, ripristinando l'applicazione della «vecchia» disciplina fino all'emanazione di tutti i regolamenti attuativi del decreto legislativo n.  39 del 2010, come per altro risulta chiaramente rinvenibile dal disposto dell'articolo 43 del decreto medesimo; in subordine, se non si ritenga opportuno quanto meno procedere senza indugio all'adozione del regolamento attuativo dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2010, disciplinando l'esame richiesto per l'accesso al registro e disponendo adeguate e ragionevoli equipollenze con l'esame di Stato per l'accesso alla professione di dottore commercialista e di esperto contabile, eliminando in tal modo l'incresciosa situazione generatasi, tale per cui un pubblico registro risulta oggi di fatto trasformato in quella che all'interrogante appare una casta chiusa a scandaloso svantaggio, una volta di più in Italia, dei giovani professionisti. (3-00323)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 14 marza 2011, n. 23 recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale», all'articolo 10, tratta dell'applicazione dei tributi nell'ipotesi di trasferimento immobiliare, prevedendo che, «in relazione agli atti di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 1 del decreto legislativo medesimo, sono soppresse tutte le esenzioni ed agevolazioni tributarie» a decorrere dal 1o gennaio 2014;
   la legge regionale n. 25 del 1988 dispone che i comuni della regione Abruzzo debbano procedere alla verifica demaniale;
   i comuni hanno avviato le procedure per la sistemazione del demanio in ottemperanza alle disposizioni della richiamata legge regionale n. 25 del 1988;
   le suddette procedure non sono ancora giunte a conclusione né è presumibile che possano esser concluse entro la fine del 2013;
   un notevole numero di cittadini, possessori di immobili ubicati nei suddetti comuni, è interessato alla sistemazione del demanio attraverso il trasferimento coattivo della proprietà delle aree di sedime sulle quali insistono le loro abitazioni (secondo le risultanze della verifica demaniale effettuata);
   la complessità e l'onerosità dell'operazione, in una fase notoriamente critica per l'economia e per il settore edilizio in particolare, sta creando non poche difficoltà ai cittadini interessati –:
   se intenda effettuare un monitoraggio sullo stato di attuazione dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 23 del 2011 e qualora rilevasse problematiche simili a quelle descritte in premessa se non ritenga utile un rinvio del termine previsto per la decorrenza della soppressione delle agevolazioni sopra richiamate. (5-01037)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MAGORNO, COVELLO e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Rossano (CS) rientra nell'elenco dei circa mille uffici giudiziari che vengono soppressi a seguito della riforma giudiziaria;
   un decreto ministeriale ha stabilito una proroga di due anni in cui rimarranno aperti in via straordinaria, per definire i procedimenti pendenti, otto tribunali soppressi fra i quali quello di Rossano;
   il comune di Rossano e alcuni avvocati hanno presentato ricorso, al tribunale amministrativo regionale della Calabria, contro l'accorpamento del tribunale di Rossano a quello di Castrovillari (CS) richiedendo la sospensione del provvedimento del tribunale di Castrovillari con il quale era stato dato l'avvio alle procedure di trasferimento del personale amministrativo e dei fascicoli del tribunale di Rossano;
   il ricorso si fonda principalmente sulla «inadeguatezza» del tribunale di Castrovillari nell'ospitare il carico di lavoro del tribunale di Rossano;
   in data 18 settembre 2013 il TAR della Calabria ha accolto il suddetto ricorso e ha concesso la sospensiva, fissando la trattazione collegiale in camera di consiglio per il prossimo 17 ottobre 2013;
   nonostante la sospensiva del TAR, le operazioni di trasferimento continuano, fomentando così la protesta, già in atto da giorni, dei cittadini di Rossano e rendendo sempre più forte e esasperato il clima di tensione tanto che nel pomeriggio del 18 settembre 2013 si è registrato il ferimento di un manifestante, investito mentre cercava di impedire il passaggio a un'auto che trasportava i fascicoli da un tribunale all'altro –:
   se il Ministro non ritenga di dover intervenire e assumere le iniziative di competenza affinché si rispetti la decisione del tribunale amministrativo regionale della Calabria e il presidente del tribunale di Castrovillari sospenda le operazioni di trasferimento in corso fino al successivo pronunciamento del TAR fissato per il 17 ottobre 2013. (5-01041)


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge n. 85 del 2009, l'Italia ha aderito al Trattato di Prum, firmato da Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria il 27 maggio 2005. Tale trattato è volto a rafforzare la cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera ed all'immigrazione clandestina. La citata legge istituisce la banca dati del DNA presso il Ministero dell'interno e il laboratorio centrale per la banca dati del DNA presso il Ministero della giustizia. Vengono in particolare tenuti distinti il luogo di raccolta e confronto dei profili del DNA (banca dati nazionale del DNA) dal luogo di estrazione dei predetti profili e di conservazione dei relativi campioni biologici (laboratorio centrale presso l'amministrazione penitenziaria), nonché dal luogo di estrazione dei profili provenienti da reperti (laboratori delle forze di polizia o altrimenti specializzati, come i RIS di Parma);
   l'articolo 19 della suddetta legge pone inoltre a carico del Governo l'obbligo di inviare periodicamente al Parlamento una relazione sull'attività della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la medesima banca dati. Fino al 2011 a tale obbligo ha adempiuto il Ministro della giustizia; nel 2012 ha invece provveduto il Ministro dell'interno;
   l'articolo 16 della legge demanda a un regolamento di delegificazione, ancora non emanato, la disciplina attuativa della legge. Attraverso tale atto – che doveva essere emanato entro quattro mesi dall'entrata in vigore della legge – dovevano essere regolamentati: il funzionamento e l'organizzazione della banca dati e del laboratorio centrale; le modalità di trattamento, di accesso e di comunicazione dei dati; le tecniche e le modalità di analisi e conservazione dei campioni biologici; i tempi di conservazione dei profili del DNA e dei campioni biologici; le attribuzioni dei responsabili della banca dati e del laboratorio centrale; le competenze tecnico-professionali del personale addetto alla banca dati e al laboratorio centrale; le modalità ed i termini di esercizio dei poteri conferiti al Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie; le modalità di cancellazione dei profili del DNA e di distruzione dei relativi campioni biologici;
   in data 20 settembre 2012, il sottosegretario alla giustizia Antonino Gullo a seguito di interrogazione a risposta immediata in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati affermava che «è stata, infatti, predisposta la bozza di regolamento attuativo di cui all'articolo 16 della legge n. 85 del 2009, che è stata condivisa da tutte le Autorità partecipanti, eccezione fatta dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali. Peraltro, il Ministero della giustizia, sin dal 3 febbraio 2011, ha formalmente provveduto a trasmettere il parere favorevole sul testo approntato e, più di recente nel maggio 2012, ha confermato la propria immediata disponibilità a porre in essere tutte le attività necessarie per l'approvazione definitiva dello schema di regolamento da sottoporre al Consiglio dei Ministri. A sua volta, il Ministero dell'interno, con nota del 27 luglio 2012, si è riservato di convocare tra le Amministrazioni interessate una nuova riunione, allo stato non indetta»;
   l'articolo 18 della legge delegava il Governo ad emanare, entro un anno, uno o più decreti legislativi per provvedere alla integrazione dell'ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria mediante l'istituzione di ruoli tecnici nei quali inquadrare il personale da impiegare nelle attività del laboratorio centrale. Il Governo ha esercitato la delega con il decreto legislativo 162 del 2010. Le procedure concorsuali per l'assunzione dei ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria non potranno però essere avviate prima della definizione dei regolamenti attuativi da parte dei rispettivi ministeri;
   il sottosegretario alla giustizia Antonino Gullo, nella risposta all'interrogazione di cui prima, a proposito dell'articolo 18 della legge, affermava che «per quanto concerne le attività di stretta competenza del Ministero della Giustizia, si è già provveduto – a norma dell'articolo 18 della legge citata – a predisporre il decreto attuativo per l'istituzione dei ruoli tecnici in cui verrà inquadrato il personale di Polizia penitenziaria, impiegato nel laboratorio centrale della Banca dati del DNA. Il provvedimento è già entrato in vigore nel settembre 2010 (decreto legislativo 9 settembre 2010, n. 162) e sono stati predisposti anche i tre regolamenti attuativi previsti per la determinazione dei profili professionali dei ruoli tecnici del Corpo di Polizia penitenziaria, per le modalità di accesso alla qualifica iniziale dei ruoli tecnici del Corpo di Polizia penitenziaria e, infine, per la disciplina delle modalità di svolgimento dei corsi di formazione relativi alle suddette qualifiche. Per il primo regolamento si è in attesa, soltanto, del concerto del Ministero dell'Economia, per il secondo del parere delle associazioni sindacali, mentre per il terzo devono essere acquisiti i concerti prescritti per legge. Sottolineo, peraltro, che il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, per la parte di competenza, ha anche posto in essere numerosissime iniziative. Tra le altre, segnalo che sul capitolo 1752 del bilancio della Giustizia sono state finanziate risorse pari a euro 18.074.462,00, per la realizzazione del Laboratorio Centrale del DNA. È stato stipulato il contratto per la realizzazione dei lavori di ristrutturazione dell'immobile destinato a sede del Laboratorio Centrale, che sarà pronto a breve. È stata, inoltre, indetta una gara pubblica in ambito comunitario per l'approvvigionamento di «strumenti elettronici ed arredi tecnici da utilizzare presso il Laboratorio Centrale del DNA». La fornitura è stata aggiudicata per un importo pari a euro 4.198.000,00 ed è stata consegnata a dicembre 2011»;
   in data 7 dicembre 2012 in merito all'attuazione della legge, la Commissione europea, con la presentazione della relazione sull'attuazione della decisione 2008/615/GAI sul potenziamento della cooperazione, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera («decisione di Prüm») (COM(2012)732), ha lamentato il ritardo di alcuni Stati membri, tra cui l'Italia, nella realizzazione degli adeguamenti tecnici necessari allo scambio automatizzato di dati relativi al DNA e alle impronte digitali;
   in data il 31 gennaio 2013, il giornale «Il Fatto quotidiano» riportava che sono stati spesi sedici milioni di euro per la realizzazione del laboratorio centrale DNA e che «il 2 ottobre 2010, viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo che prevede l'istituzione dei “ruoli tecnici del personale del Corpo di polizia penitenziaria”: operatori, revisori, periti e direttori. Il numero delle persone necessarie a mandare avanti il Laboratorio è 37. Non centinaia appena 37. Eppure il Dap non riesce a bandire i concorsi, che devono essere aperti all'esterno»;
   in risposta al suddetto articolo il vice capo dap, dott. Luigi Pagano, comunicava al quotidiano che «al momento dell'attribuzione dell'incarico conferito dalla legge 85/2009 l'Amministrazione Penitenziaria ha iniziato tempestivamente il complesso iter che doveva portare alla creazione del Laboratorio centrale d'analisi del Dna e all'indizione dei concorsi riguardante i ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria delegata a condurre il laboratorio; secondo, la gestione dei fondi accreditati all'Amministrazione è stata estremamente oculata;
   sono stati realizzati, in tutti i 207 istituti della nazione, i gabinetti per il prelievo dei reperti biologici sia dei detenuti già presenti che degli ingressi futuri, formato il personale, creato, presso la C.R. di Rebibbia, il laboratorio centrale completandolo di attrezzature tecnologicamente all'avanguardia; terzo, il laboratorio allo stato non è fermo, bensì, sono in corso le procedure per l'accreditamento dello stesso che saranno avviate dai biologi della Università di Tor Vergata; quarto, le procedure concorsuali per l'assunzione dei ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria, infine, avranno inizio non appena saranno varati, dai competenti organi, i regolamenti attuativi; quinto, non mi sembra di vedere nelle altre forze di Polizia un desiderio di accaparramento del Laboratorio né, invero, il Dap sarebbe disponibile a «passare la mano»;
   da quanto è dato sapere, ad oggi circa cinquanta nazioni nel mondo si sono dotate di banca dati nazionale del DNA. Il Regno Unito ha avviato la banca dati nazionale del DNA nel 1995. Ad oggi il loro database include più di 5 milioni di profili. La Francia, invece, ha avviato la banca dati nazionale del DNA nel 1999. Ad oggi il loro database include 1.5 milioni di profili. Il tasso di crescita dell'adozione di un programma nazionale per la realizzazione di una banca dati del DNA aumenta esponenzialmente, si stima che nel 2015 il 60 per cento della popolazione mondiale vivrà in nazioni dotate di DNA database;
   i benefici derivanti dalla messa in funzione della banca dati nazionale del DNA aumenteranno all'aumentare dei profili genetici memorizzati nella stessa. Uno dei benefici più evidenti derivanti dall'adozione della banca dati nazionale del DNA è l'aumento fino al 60 per cento della probabilità di identificazione del colpevole a partire dal campione di DNA raccolto sulla scena del crimine;
   la ratifica del Trattato di Istanbul impegna il nostro Paese ad intensificare tutti gli sforzi per prevenire la violenza sulle donne ed in particolare il femminicidio. L'utilizzo della Banca dati nazionale del DNA ha dimostrato, nei Paesi in cui è stata attivata, di poter contribuire alla riduzione delle violenze sessuali grazie alla rapida identificazione del colpevole. Con conseguente effetto psicologico positivo in termini di propensione alla denuncia dei crimini di tipo sessuale da parte delle vittime. Per quanto riguarda le violenze sessuali, infatti, l'uso dell'analisi del DNA combinato con l'adozione di una banca dati nazionale del DNA aumenta enormemente la probabilità di identificare il colpevole. Non è raro, infatti, che chi si macchia di tale tipo di violenza sia recidivo, per cui l'uso della banca dati DNA rende le indagini decisamente più efficaci. Nel Regno Unito, ad esempio, nel biennio 2006-2007, oltre un terzo dei crimini di violenza sessuale sono stati risolti grazie al ricorso alla banda dati nazionale del DNA –:
   quale sia lo stato dei tre regolamenti attuativi previsti per la determinazione dei profili professionali dei ruoli tecnici del corpo di polizia penitenziaria, per le modalità di accesso alla qualifica iniziale dei ruoli tecnici del corpo di polizia penitenziaria e, infine, per la disciplina delle modalità di svolgimento dei corsi di formazione relativi alle suddette qualifiche;
   se il Governo sia intenzionato, e in quali tempi e modi, a dare piena attuazione alla legge n. 85 del 2009 e rendere, così, immediatamente operativa la Banca Dati Nazionale de DNA. (5-01044)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETITTI, ARLOTTI e PIZZOLANTE. — Al Ministro della giustizia. – per sapere – premesso che:
   la società Meta System Scrl è una società cooperativa, avente sede legale a Rimini, che svolge servizi prevalentemente per il tribunale di Rimini, Forlì e Ravenna;
   i servizi che la società fornisce all'autorità giudiziaria consistono prevalentemente nella trascrizione integrale di intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché audizioni e interrogatori resi da indagati, servizi pertanto da considerarsi, ai fini della liquidazione dei compensi, commisurati al tempo (legge n. 319 del 1980, articolo 4);
   i compensi commisurati al tempo vengono determinati a vacazioni: una vacazione corrisponde a due ore, il cui onorario è di euro 14,68 per la prima e di euro 8,15 per le successive (importi così variati con decreto ministeriale del 30 maggio 2002);
   l'articolo 10 della succitata legge n. 319 del 1980 prevede che ogni tre anni, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro del tesoro, possa essere adeguata la misura di tali onorari in relazione alla variazione accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati verificatisi nel triennio precedente;
   il contratto di lavoro applicato dalla Meta System è il CCNL del commercio in base al quale, il costo medio lordo di un'ora di lavoro (esclusi i costi di mantenimento della struttura ) supera euro 22,00;
   i compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria non sono stati aggiornati negli ultimi undici anni; inoltre i tempi di pagamento si sono notevolmente allungati, in alcuni casi fino a 14 mesi dalla consegna del lavoro –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare perché sia adeguata la misura degli onorari in relazione alla variazione accertata dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati verificatisi negli ultimi 11 anni, commisurando la tariffa oraria sulla base dei costi orari complessivi che scaturiscono dall'applicazione di un contratto CCNL;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per definire l'unità di misura a tempo come corrispondente a un'ora, e non «vacazione»;
   come intenda favorire una puntuale tempistica dei pagamenti che tenga conto delle regole del mercato – e non dei tempi dilatati degli iter processuali attuali –, anche nella prospettiva di un risparmio effettivo sui costi e l'ottimizzazione dell'organizzazione delle cancellerie.
(4-01877)


   MISIANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sezione fallimentare e la sezione lavoro del tribunale di Bergamo versano in una situazione di grave difficoltà;
   a fronte di un notevole aumento del contenzioso, la sezione lavoro ha visto il proprio organico ridursi di un'unità. Presso la sezione fallimentare sono in servizio solo tre giudici e uno dei tre sarà trasferito alla procura generale di Milano. Il presidente delle due sezioni è stato nominato presidente del tribunale di Mantova ed ivi trasferito;
   la crisi ha notevolmente incrementato il carico di lavoro della direzione fallimentare e di quella lavoro. La mole di attività ha visto un ulteriore, rilevante aumento anche a causa di recenti modifiche normative: la cosiddetta «riforma Fornero» ha previsto una nuova fase sommaria per i procedimenti attinenti all'impugnazione dei licenziamenti; è stato poi recentemente introdotto il concordato preventivo con riserva (cosiddetto «concordato in bianco») che ha provocato un forte aumento delle procedure concorsuali presso tutte le sezioni fallimentari dei tribunali italiani compreso quello di Bergamo. Nel 2013 si è registrato un sensibile aumento dei fallimenti (+43 per cento nel primo semestre rispetto allo stesso periodo del 2012) e dei concordati preventivi (+100 per cento);
   questo notevolissimo aumento del carico di lavoro, a cui si contrappone, purtroppo, una riduzione degli organici, determina gravi conseguenze e, inevitabilmente, frustra le legittime aspettative di giustizia di cittadini ed imprese, che vedono sempre più dilatarsi i tempi necessari ad ottenere la tutela a cui aspirano;
   di tali istanze si sono rese interpreti anche le organizzazioni sindacali della provincia di Bergamo presso il presidente del tribunale di Bergamo e presso il Consiglio superiore della magistratura –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere in relazione alla copertura degli organici presso la sezione fallimentare e la sezione lavoro del tribunale di Bergamo, e se si intendano tenere in debito conto le effettive esigenze del circondario del tribunale di Bergamo in occasione della rivalutazione delle piante organiche prevista per fine 2013. (4-01881)


   GAGNARLI e BALDASSARRE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 155 del 2012 (articolo 11) recante disposizioni attuative sulla soppressione dei tribunali e riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari a causa di misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria, ha previsto la soppressione di 31 sedi di Fori e delle relative procure della Repubblica, la soppressione di 220 sezioni distaccate, ed è entrato in vigore il 13 settembre 2013;
   tra le misure contenute nel decreto legislativo n. 155 del 2012, l'articolo 1, alla tabella A allegata, prevede la soppressione del tribunale di Montepulciano, che è già avvenuta;
   gli avvocati dell'ordine di Montepulciano si sono fatti promotori di una proposta di legge di iniziativa popolare tesa a bloccare l’iter del provvedimento, in quanto persuasi che «non si raggiungerebbe né l'obiettivo della riduzione dei tempi di giustizia né quello del risparmio. Anzi, su entrambi i fronti, si registrerebbe un peggioramento rispetto alla situazione attuale»; l'ordine sta anche lavorando ad un esposto alla Corte dei Conti e ad un ricorso a Strasburgo;
   il sindaco di Montepulciano ha recentemente dichiarato: «sappiamo che il trasferimento a Siena del Tribunale di Montepulciano avrà un costo, a regime, di circa 800.000 euro all'anno contro i circa 200.000 che aveva nel nostro Comune: dunque un incremento iperbolico della spesa che graverà sul bilancio pubblico e quindi sui cittadini. Quanto al funzionamento della macchina giudiziaria, basti ricordare che a Montepulciano mai nessun procedimento penale è finito in prescrizione per scadenza dei termini»;
   da ricerche effettuate dall'interrogante sono emersi una serie di dati, in accordo con le dichiarazioni dell'ordine degli avvocati e del sindaco di Montepulciano, che dimostrerebbero la consistente riduzione del servizio reso ai cittadini e l'aggravio dei costi che comporterebbe la chiusura del tribunale e della procura di Montepulciano, ed il loro conseguente accorpamento presso il foro di Siena in viale Franci;
   in particolare, il tribunale e la procura di Montepulciano, asservivano un circondario di 14 comuni (Chianciano, Pienza, Torrita di Siena, Sinalunga, Sarteano, San Casciano, Piancastagnaio, Abbadia San Salvatore, San Quirico, Radicofani, Castiglion d'Orcia, Chiusi, Cetona e lo stesso Montepulciano), su un territorio di circa 1.200 chilometri quadrati; pertanto i cittadini residenti in questi comuni ed i pubblici dipendenti, saranno costretti a percorrere distanze da 2 a 7 volte maggiori di quelle che percorrevano per raggiungere gli uffici giudiziari di Montepulciano;
   analogamente ai cittadini, anche i testimoni indotti dal pubblico ministero o ammessi direttamente dai giudici, dovranno percorrere maggiori distanze per raggiungere gli uffici giudiziari di Siena, comportando un aumento dei costi di indennità;
   il palazzo di giustizia di Montepulciano, posto in un fabbricato ristrutturato di recente, si è sempre mostrato perfettamente idoneo a fronteggiare le esigenze del bacino di utenza ed, inoltre, è una struttura i cui costi sono già stati ammortizzati, mentre il tribunale accorpante, che già a fatica smaltisce l'attuale carico, avrà un aumento del bacino di utenza di oltre il doppio, con ovvia ed intuibile paralisi delle attività, situazione ancor più grave se si considera che il tribunale di Siena dovrebbe ricevere anche la sezione distaccata di Poggibonsi;
   l'aumento dell'utenza nel tribunale di Siena, che diventa la circoscrizione più estesa della Toscana, a giudizio dell'interrogante, implicherebbe la necessità di apportare modifiche delle strutture lavorative, anche nell'ottica dell'adeguamento agli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008 (sicurezza sui luoghi di lavoro); ciò comporterebbe un ulteriore aggravio di spese o, addirittura, la necessità di locare dei nuovi immobili, opzione che appare in contrasto con il divieto di concludere nuove locazioni passive da parte delle amministrazioni pubbliche, sancita dall'articolo 3 del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012;
   il presidente ordinario del tribunale di Siena, come risulta da recenti lettere (del 27 agosto 2013 e del 2 settembre 2013) indirizzate al Ministero della giustizia, in cui si fa riferimento al decreto ministeriale 9 agosto 2013, in applicazione dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012, chiede ed ottiene la proroga dell'utilizzo dei soppressi locali del tribunale di Montepulciano, non avendo il comune di Siena provveduto alla messa a disposizione dei locali necessari al recepimento di personale e materiali provenienti dalle sedi di Montepulciano e Poggibonsi;
   la commissione istituita dalla legge valuterà gli effetti della riforma della geografia giudiziaria sui singoli casi in un anno di tempo e potrà anche decidere, in presenza di condizioni particolari, di rivedere la decisione di chiusura –:
   come intenda il Ministro interrogato far fronte all'attuale inidoneità strutturale e funzionale del tribunale centrale di Siena ad ospitare l'enorme contenzioso, civile e penale, rinveniente dalle soppresse sedi di Montepulciano e Poggibonsi;
   dove il Ministro interrogato ritenga di poter reperire le risorse economiche per fronteggiare le maggiori spese per l'affitto dei nuovi locali necessari e/o per l'adeguamento/ampliamento dell'attuale stabile del tribunale centrale di Siena;
   se gli uffici giudiziari di Montepulciano possano essere utilizzati in regime di prorogatio nel limite massimo dei cinque anni così come previsto dal decreto e come concesso per alcuni fori in Italia interessati dalla riforma della geografia giudiziaria. (4-01885)


   FUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 settembre 2013, in virtù dei noti provvedimenti del Governo per la razionalizzazione della rete degli uffici giudiziari, hanno cessato le loro attività le sedi distaccate di Barletta, Canosa e Ruvo di Puglia, nella provincia di Barletta-Andria-Trani;
   tale chiusura, in relazione alle specifiche esigenze della provincia di Barletta-Andria-Trani, rischia di creare seri problemi di funzionamento del sistema giustizia dato l'alto carico pendente di cause e la necessità, sentita forte dall'intero territorio, di avere una rete di uffici giudiziari in grado di servire un territorio caratterizzato da un'alta densità abitativa e dalla presenza di un gran numero di attività economico-imrpenditoriali;
   lo stesso 13 settembre, a testimonianza di quanto la tematica sia sentita e considerata importante, l'ordine degli avvocati di Trani ha annunciato il deposito di un ricorso, presso il competente TAR, di un ricorso avverso la chiusura dei citati uffici giudiziari;
   la razionalizzazione e l'uso efficiente delle risorse umane e strumentali a disposizione del sistema giustizia sono questioni molto importanti su cui, doverosamente, si discute da molti anni in Italia, tuttavia, a parere dell'interrogante, nel caso specifico è necessario analizzare con attenzione le esigenze dei singoli territori, i quali hanno ognuno priorità diverse –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in merito alle preoccupazioni emerse già da tempo nel territorio della provincia di Barletta-Andria-Trani;
   quali siano state le motivazioni che hanno portato all'inclusione delle sedi distaccate di Barletta, Canosa e Ruvo di Puglia tra quelle da sopprimere;
   quali eventuali iniziative ritenga di assumere per approfondire ulteriormente, aprendo una ulteriore istruttoria sulle conseguenze applicative della riforma degli uffici giudiziari, le vicende esposte in premessa. (4-01892)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE, GAGNARLI, ARTINI e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel Quadro strategico nazionale 2007-2013 approvato dalla Commissione dell'Unione europea il 13 luglio 2007 e promosso dal Ministero per lo sviluppo economico una delle priorità indicate riguardava «Reti e collegamenti per la mobilità» proponendo di accelerare la realizzazione di un sistema di trasporto efficiente, integrato, flessibile, sicuro e sostenibile per assicurare servizi logistici e di trasporto funzionali allo sviluppo contribuendo alla realizzazione di un sistema logistico nazionale, supportando la costruzione di una rete nazionale di terminali di trasporto e di logistica, integrata, sicura, interconnessa ed omogenea;
   con delibera della giunta regionale Toscana del 14 dicembre 1998 e successive deliberazioni si inseriva lo scalo merci intermodale ferro-gomma di Indicatore, sito nel comune di Arezzo, nel piano regionale trasporti della Toscana e la provincia di Arezzo individuava tale infrastruttura nel proprio piano di sviluppo triennale;
   le delibere del consiglio comunale di Arezzo n. 174 del 19 luglio 2000 avente per oggetto l'adozione del Piano Particolareggiato per la realizzazione dello scalo merci e la n. 12 del 19 gennaio 2001 – Approvazione piano particolareggiato per la realizzazione dello scalo merci sancivano la volontà di realizzazione dell'opera da parte dell'ente locale;
   il 5 agosto 2002 veniva indetta la gara pubblica per l'assegnazione delle opere e il 17 dicembre 2003 veniva stipulato un protocollo d'intesa tra comune di Arezzo e R.F.I. con la quale quest'ultima si impegnava a raccordare il nuovo scalo merci di Indicatore con la linea ferroviaria Firenze-Roma con modalità da perfezionare nei modi d'uso;
   il 13 marzo 2003 viene stipulata la convenzione tra la società ALI (Arezzo logistica integrata Srl) assegnataria del piano particolareggiato, e comune di Arezzo per la realizzazione dello scalo merci in località Indicatore. Nella convenzione si stabiliva la costruzione dello scalo merci su un'area complessiva, suddivisa in 4 macrolotti, di metri quadrati 290.000 di cui 26.990 metri quadrati di superficie coperta. Si stabilisce che la durata dei lavori fosse di 79 mesi al costo complessivo di 65 milioni di euro. Nel piano particolareggiato sono previste opere principali, opere accessorie ed opere di urbanizzazione;
   il progetto è già stato parzialmente finanziato dalla regione Toscana in base al patto per lo sviluppo locale stipulato il 18 febbraio 2004 tra provincia di Arezzo ed appunto regione Toscana con euro 1.507.090, di cui l'80 per cento erogato e saldo del 20 per cento da erogare al completamento delle opere;
   in data 25 gennaio 2007 la società ALI ha presentato a RFI il progetto delle opere ferroviarie ed in data 4 maggio 2007 RFI ha espresso parere di massima favorevole richiedendo alcune integrazioni ed affinazioni al progetto, dovendo questo essere sottoposto alla verifica di compatibilità di rete e di impianto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione su descritta;
   se il Ministro interrogato, per quanto di propria competenza e in virtù degli ingenti investimenti posti in essere dagli enti locali e dalla regione Toscana, possa fornire indicazioni precise circa la realizzazione finale dell'opera e le relative tempistiche previste. (4-01888)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MADIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo il comitato dei pendolari di Maccarese e Palidoro (frazioni del comune di Fiumicino) il territorio attorno alle stazioni ferroviarie dei due centri sarebbe stato colpito da una serie di furti e violenze aventi come obiettivo le abitazioni dei residenti;
   secondo quanto denunciano i comitati, che hanno già indirizzato una lettera al viceministro dell'interno vi sarebbero delle bande di criminali che, dopo aver effettuato sopralluoghi, assalgono le abitazioni anche in pieno giorno producendo anche danneggiamenti consistenti e atti di vandalismo;
   i locali commissariato di pubblica sicurezza e comando dei carabinieri si sarebbero detti non in grado di fronteggiare la situazione a causa della scarsezza di uomini e mezzi e dell'estensione del territorio;
   decine di abitazioni sarebbero state prese di mira a Maccarese (Il Tempo, 10 settembre 2013) –:
   quali siano gli intendimenti del Governo al fine di rafforzare il controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine per garantire la sicurezza e la tranquillità dei cittadini di Maccarese e di tutta l'area del comune di Fiumicino. (4-01880)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto appreso da fonti giornalistiche, in data 11 e 19 agosto 2013 due imbarcazioni con a bordo dei profughi giungevano rispettivamente a Monasterace (Reggio Calabria) e Aci Castello (Catania);
   dalle due imbarcazioni sbarcavano decine di persone di varie nazionalità, tra cui siriani, palestinesi ed egiziani (questi ultimi in totale 55) i quali venivano separati dagli altri profughi;
   il riconoscimento della nazionalità dei profughi egiziani avveniva tramite un'identificazione sommaria basata sull'accento, secondo quanto ricostruito dai funzionari della prefettura di Catania;
   l'organizzazione umanitaria CIR (Consiglio italiano per i rifugiati) denunciava di non essere stata autorizzata dalla prefettura di Catania a fornire assistenza legale ai profughi e che nessuna organizzazione umanitaria ha potuto esporre ai profughi le modalità amministrative con cui procedere alla richiesta d'asilo;
   a distanza di ventiquattrore dai due sbarchi, dagli aeroporti di Catania e di Lamezia Terme (CZ) i profughi egiziani venivano rimpatriati;
   è fondamentale sottolineare che tra il 12 e il 20 agosto si sono verificati gli scontri più cruenti in Egitto con centinaia di morti nelle strade e con il pesante intervento dell'esercito che ha proclamato lo stato d'emergenza;
   il 19 agosto 2013 il Bollettino informativo «viaggiare sicuri» del Ministero degli affari esteri recitava: «...in ragione del progressivo deterioramento del quadro generale di sicurezza, si sconsigliano i viaggi in tutto l'Egitto...»;
   il rimpatrio forzato, in danno dei profughi egiziani, si prefigura, ad avviso dell'interrogante, come una vera e propria espulsione che viola alcune norme del diritto internazionale e, precisamente, l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e l'articolo 4 del Protocollo n. 4 della citata Convenzione che proibisce la pratica delle espulsioni collettive;
   il rimpatrio forzato in un Paese in piena guerra civile contribuirà a esporre i profughi, in maniera significativa, a torture e a trattamenti inumani e degradanti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda suesposta;
   quali siano state le motivazioni e da chi sia partito l'ordine di impedire l'accesso alle organizzazioni umanitarie che avevano il compito di fornire assistenza legale ai profughi per l'espletamento delle pratiche amministrative per richiedere asilo all'Italia;
   chi abbia autorizzato il rimpatrio forzato dei profughi egiziani e per quali ragioni. (4-01890)


   BENEDETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Paolo Venuti, commercialista e revisore dei conti molto attivo in Veneto, è stato presente con cariche varie nelle seguenti società:
   socio della Trust Company Delta Erre, Maap di Padova (sindaco), Aps SPA (sindaco), in Fiera di Padova Immobiliare Spa (presidente dei revisori di conti e del collegio sindacale), in Telerete Nordest srl (sindaco supplente), in Ater Padova (revisore dei conti, ruolo assunto per decreto regionale), in Acegas-Aps service (sindaco supplente), in Aps Holding spa (sindaco), in Veneto Logistica (presidente del collegio sindacale), nella SPA partecipata dalla Regione Veneto e da otto istituti di credito Veneto Sviluppo (sindaco), in Metropolitana del Veneto srl (sindaco), in Venezia Terminal Passeggeri spa (consigliere) e in Veneto Strade spa (sindaco e revisore dei conti);
   attualmente è presente nelle seguenti società:
    Banca Padovana Credito Cooperativo - Società Cooperativa, con carica di sindaco supplente, Ugo Benettolo SPA (presidente del collegio sindacale), Mercato Agroalimentare Padova (sindaco effettivo), Pipinato Calzature SPA (presidente del collegio sindacale), Frescura SPA (sindaco supplente), Zilmet SPA (presidente del collegio sindacale), Padovafiere SPA (presidente del collegio sindacale), Palfin di Paolo Benettolo & C. Società in Accomandita per Azioni (sindaco effettivo), BH5 SPA (sindaco effettivo), BH4 SPA (sindaco effettivo), PVP SRL (amministratore), S.I.N.EST Società Consortile per Azioni (presidente del collegio sindacale), Arianna SPA (consigliere), Società Veneziana Edilizia Canalgrande SPA - in sigla S.V.E.C. SPA - (sindaco supplente), SAVE SPA (sindaco effettivo), Triveneto Sicurezza SRL (sindaco supplente), Nethun SPA (sindaco effettivo), Adria Infrastrutture SPA (presidente del collegio sindacale), Concessioni Autostradali Venete - CAV SPA (sindaco effettivo), AIREST SPA (presidente del collegio sindacale), Aristoncavi SPA (sindaco supplente);
   la funzione di revisore dei conti e di sindaco, tanto più in società pubbliche a partecipazione pubblica, richiede assoluti requisiti di indipendenza e di assenza di conflitti di interesse;
   dette cariche potrebbero rappresentare un problema di incompatibilità in ragione dei molteplici ruoli di revisore, sindaco e amministratore –:
   se si intendano assumere iniziative normative per evitare il determinarsi di situazioni caratterizzate dal cumulo di cariche come nel caso di cui in premessa. (4-01898)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni si sono appena svolti i test di ammissione alle facoltà di medicina, che quest'anno prevedono una graduatoria nazionale unificata;
   sono stati coinvolti più di 80 mila studenti, che ora attendono di sapere non solo se saranno tra i pochi fortunati (solo il 10 per cento) che potranno iscriversi effettivamente, ma anche in quale sede potranno o dovranno iscriversi;
   infatti, chi ha superato il test con una votazione piuttosto bassa saprà solo intorno al 30 settembre in quale ateneo italiano potrà frequentare i corsi;
   tuttavia, nel frattempo scadono i termini per le iscrizioni alle altre facoltà, obbligando così le famiglie all'esborso della prima rata per garantire al figlio almeno una opportunità di iscrizione concreta a costi non appesantiti da ulteriori tasse per ritardo; in tempi di crisi come quelli che il Paese sta vivendo, le famiglie vivono con grave disagio una situazione che appare loro ingiusta o per lo meno francamente mal organizzata;
   la questione esposta dipende dalla graduatoria nazionale e non dalle singole università e richiede una revisione della normativa legata al pagamento delle tasse di iscrizione e alle loro scadenze –:
   se non ritenga opportuno promuovere un adeguamento delle norme che riguardano le scadenze delle tasse di iscrizione e le successive tasse di morosità alla situazione che si è creata quest'anno per la novità stessa della graduatoria nazionale e se non ritenga utile assumere ini- ziative per posticipare la data di scadenza per iscriversi alle facoltà in modo da non obbligare gli studenti e le famiglie ad un esborso cospicuo e in alcuni casi a vuoto. (3-00324)


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la ricerca è il fiore all'occhiello di ogni Paese: ma in Italia non lo è ancora abbastanza, per cui le risorse disponibili si assottigliano e parimenti si riducono le possibilità di partecipare ai concorsi per dottorato di ricerca per i giovani laureati particolarmente capaci e motivati;
   le borse di studio negli ultimi cinque anni (dal 2008 a oggi) hanno subito una decurtazione pari a oltre 200 mila euro; sono dati ottenuti analizzando 21 tra le maggiori università italiane;
   sorprende che in tempi di crisi invece di investire, si tagli proprio in un settore che è considerato strategico per ogni Paese che scelga di guardare al futuro; si ignora in tal modo l'apporto delle scoperte scientifiche sullo sviluppo tecnico-scientifico del Paese e sulla vita dei cittadini; è una situazione dovuta ai carenti e inadeguati finanziamenti alla ricerca, che aggrava ulteriormente la condizione di precarietà di migliaia di ricercatori italiani;
   un quarto delle borse di dottorato di ricerca bandite per il 2013 sono senza borsa, concretamente: 3.030 posti di dottorato, su un totale di 12 mila attivati in media ogni anno: uno su quattro in pratica è gratis. Questo significa che potranno dedicarsi alla ricerca scientifica solo quei giovani che hanno alle spalle famiglie disposte a mantenerli ancora per parecchi anni, mentre i meritevoli non abbienti non potranno dedicarsi alla ricerca, in piena contraddizione con diversi articoli della Costituzione. Addirittura alcune università hanno aperto un numero di posti privi di copertura finanziaria superiori a quelli accompagnati da borsa; i giovani dottorandi senza borsa devono per di più pagare le tasse universitarie sulla base del modello ISEE e di quanto dichiarato sul modello di iscrizione; non c’è dubbio che questo appaia loro come una pesante ingiustizia, oltre che un freno enorme alla decisione di dedicarsi alla ricerca;
   il Ministro è certamente a conoscenza della situazione esposta –:
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, almeno per esentare i ricercatori privi di borsa di studio dal pagamento della tassa. (3-00325)

Interrogazione a risposta scritta:


   SIMONE VALENTE, BATTELLI, BRESCIA, LUIGI GALLO, D'UVA, MARZANA, DI BENEDETTO e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la fonte normativa primaria che ha autorizzato la ridefinizione dei curriculum vigenti nei diversi ordini di scuola, attraverso regolamenti di delegificazione, è l'articolo 64, comma 4, lettera b), del decreto-legge n. 112 del 2008, in quanto costituisce la disposizione legislativa che dispone l'esercizio della potestà regolamentare;
   in attuazione di tale previsione, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010 si è proceduto alla revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei, rinviando a successivo decreto del Presidente della Repubblica la riorganizzazione anche delle sezioni scolastiche ad indirizzo sportivo;
   in data 8 settembre 2011, il Consiglio dei ministri ha deliberato in via preliminare uno schema di regolamento recante l'istituzione dei licei sportivi. Lo schema attua parte della previsione recata dall'articolo 3, comma 2, del già citato decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010, con il quale si è proceduto alla revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei;
   dopo aver ricevuto i pareri della Conferenza unificata, del Consiglio nazionale della pubblica istruzione (CNPI), del Consiglio di Stato, delle competenti Commissioni parlamentari della Camera e del Senato, il regolamento è stato definitivamente deliberato nella seduta del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013. Tale provvedimento, il decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 2013 n. 52, avente ad oggetto il «Regolamento di organizzazione dei percorsi della sezione ad indirizzo sportivo del sistema dei licei a norma dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89» è stato poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 113 del 16 maggio 2013;
   puntando al ruolo educativo e formativo dello sport e sulla base dei dettami previsti dalla Strategia Europa 2020, finalità dei licei sportivi consiste essenzialmente nello studio delle scienze motorie e sportive, l'applicazione dei metodi della pratica sportiva, l'elaborazione dell'analisi critica dei fenomeni sportivi, la riflessione metodologica sullo sport; tale indirizzo scolastico è volto all'approfondimento delle scienze motorie e sportive e di una o più discipline sportive, all'interno di un quadro culturale che favorisce, in particolare, l'acquisizione delle conoscenze e dei metodi propri delle scienze matematiche, fisiche e naturali, nonché dell'economia e del diritto. Il percorso guida lo studente a sviluppare le conoscenze e le abilità e a maturare le competenze necessarie per individuare le interazioni fra le diverse forme del sapere, l'attività motoria e sportiva e la cultura propria dello sport, assicurando la padronanza di linguaggi, tecniche e metodologie relative;
   come da regolamento, le sezioni del liceo sportivo saranno 100 in tutta Italia; inoltre, sono previste discipline nuove come «Diritto ed economica dello sport»; l'iscrizione è aperta a tutti, anche ai disabili, e non sono previste prove selettive d'ingresso perché l'indirizzo si rivolge non solo a chi pratica attività sportive a livello agonistico ma anche giovani semplicemente interessati ai valori propri della cultura sportiva; il nuovo indirizzo non va a sommarsi alle tipologie liceali già note, ma sarà una sezione del liceo scientifico; non sarà obbligatorio il latino e l'orario settimanale sarà di 27 ore nel biennio e 30 nel triennio. La scelta degli sport da studiare e praticare è demandata all'istituto seguendo le richieste degli studenti e le esigenze del territorio;
   con la nota ministeriale n. 170/13 veniva annunciato il rinvio all'anno scolastico 2014/15 dell'attivazione del liceo sportivo nell'ambito del liceo scientifico. Successivamente, con la nota prot. 270 del 1° febbraio 2013, veniva comunicato il rinvio anche per le scuole paritarie. Tuttavia, solo per tale tipologia di istituzione veniva consentita l'attivazione in forma sperimentale di sezioni del liceo sportivo già a partire dall'anno scolastico 2013/14, sulla base di quanto previsto dall'articolo 10, comma 1, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89 (regolamento dei nuovi licei) che consente alle istituzioni scolastiche di utilizzare la quota del 20 per cento del monte ore annuale, tenuto conto delle richieste degli studenti e delle famiglie. Restano ferme le previsioni di mantenere in subordine l'attivazione di tale indirizzo scolastico nelle scuole pubbliche solo a partire dall'anno scolastico 2014/2015 –:
   quali criteri siano stati utilizzati nella decisione di attuare preliminarmente la sperimentazione sugli istituti paritari a svantaggio delle scuole pubbliche e in che misura si intendano rispettati i dettami costituzionalmente previsti (articolo 33 Costituzione, comma terzo);
   sulla base delle previsioni regolamentari, quanti istituti paritari abbiano aderito alla sperimentazione;
   se e in che misura esista una copertura finanziaria destinata ad agevolare l'avvio della suddetta sperimentazione o più in generale per l'istituzione dell'indirizzo nei licei pubblici e privati. (4-01891)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   si apprende dal primo rapporto di Terre des Hommes e Cisnai (coordinamento dei servizi contro il maltrattamento) che un bambino su 100 in Italia finisce sotto la tutela dei servizi sociali perché è vittima di maltrattamenti o abusi;
   la ricerca condotta ha coinvolto i servizi sociali di 31 comuni Italiani e i dati emersi sono a dir poco drammatici: le giovani vittime sarebbero almeno 100 mila;
   il campione della ricerca è particolarmente significativo perché basato su una popolazione di quasi 5 milioni di persone, di cui minori sono 758.932. Di questi, 7.464 (pari allo 0,98 per cento) sono bambini presi in carico dai servizi sociali. Principali vittime sono le bambine, 52,51 per cento, contro il 47,48 dei bambini;
   nella maggior parte dei casi i maltrattamenti riguardano la trascuratezza materiale e/o affettiva (52,7 per cento), seguiti da violenza (16,6), maltrattamenti psicologici (12,8), abusi sessuali (6,7), patologia delle cure (6,1) e maltrattamenti fisici (4,8);
   le cifre raccolte sono evidentemente una stima al ribasso considerando tutto il sommerso che non si riesce intercettare per mancanza di strumenti –:
   se non intenda intervenire, a partire da un sistema di raccolta di dati, per prevenire e contrastare i maltrattamenti sui minori.
(2-00216) «Melilla».

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le disposizioni in materia di aiuti de minimis nel settore agricolo, scadono il 31 dicembre 2013;
   pertanto, a tale data verrebbe meno la base giuridica per la concessione della agevolazioni per l'anno 2014;
   è in discussione una bozza di regolamento di proroga delle disposizioni, al fine di poter dare certezza al più presto alle imprese agricole italiane, in un momento di grave crisi economica e finanziaria;
   sembrerebbe però, che il regolamento non si applichi agli aiuti concessi alle imprese operanti nel settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli con la conseguenza che per queste imprese (cantine sociali, cooperative e organizzazioni di produttori ortofrutticoli e altro), si debba attendere l'emanazione di altro nuovo regolamento, con il rischio che non si riesca ad approvarlo in tempi certi e immediati;
   varie regioni hanno chiesto al Governo una rapida azione a favore delle imprese agricole in materia di aiuti de minimis –:
   se non ritengano che la cifra concedibile in regime de minimis alle aziende della produzione primaria, debba essere elevata dagli attuali 7.500 euro ad almeno 50.000 euro, per ridurre il dislivello rispetto alle imprese degli altri settori. (4-01882)


   MICCOLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale di economia agraria (Inea) è un ente pubblico di ricerca nel campo strutturale e socio-economico del settore agro-industriale, forestale e della pesca, e sottoposto, per competenza, alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   la domanda di ricerca e supporto all'INEA sui temi di competenza origina da una molteplicità di soggetti istituzionali pubblici (comunitari, nazionali e regionali) e, nel tempo, è andata intensificandosi per il crescente ruolo svolto dalle politiche comunitarie, sulle quali l'INEA ha sviluppato e consolidato una competenza specifica;
   le attività di ricerca e supporto dei ricercatori e del personale tecnico ed amministrativo dell'INEA hanno negli anni garantito efficienza ed efficacia nell'attuazione delle politiche comunitarie e nazionale e contribuito efficacemente alla definizione di piani e programmi necessari per il sostegno al settore;
   buona parte delle risorse finanziarie a disposizione dell'Inea deriva da progetti i cui risultati e tempi di attuazione sono determinati dalla quantità e qualità del personale che è impegnato in essi, e circa la metà di tale personale è precario e titolare di contratto a tempo determinato, anche da oltre 13 anni, sia in campo amministrativo che della ricerca e con rilevanti competenze e capacità acquisite nel tempo;
   sono ormai numerose le notizie di stampa che parlano di un utilizzo dei fondi dell'ente che sarebbero stati gestiti in modo privatistico e clientelare da parte del professore Alberto Manelli, direttore generale dell'INEA dal 2006 (La Repubblica, inserto Il Venerdì di Repubblica, 21 gennaio 2011; Lanotiziagiornale.it, 25 marzo 2013; Corriere della Sera, Cronaca di Roma, 29 e 30 marzo 2013; l'Espresso del 22 maggio 2013), motivo per cui, secondo le notizie di stampa, la procura della Repubblica di Roma ha iscritto nel registro degli indagati il direttore, professore Alberto Manelli, per il reato di abuso d'ufficio;
   in risposta ad interrogazione parlamentare del 2009 (n. 4-01277 ad iniziativa del senatore Elio Lannutti), il Ministro pro tempore Zaia precisava «Da ultimo, si evidenzia che, proprio nel rispetto dei principi di efficienza ed efficacia nell'uso delle risorse pubbliche, l'INEA ha, comunque ridotto il numero degli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa dalle 228 unità registrate il 31 dicembre 2007 alle 80 unità del 31 dicembre 2008» (Atto Senato – risposta scritta pubblicata nel fascicolo n. 044 a all'interrogazione 4-01277);
   a distanza di quattro anni dalla risposta del Ministro pro tempore Zaia, i sindacati denunciano che l'attuale amministrazione INEA sta procedendo al taglio dei lavoratori a tempo determinato a fronte di un continuo aumento della spesa per le consulenze esterne, il cui ammontare è cresciuto significativamente tra il 2008 e il 2012;
   le organizzazioni sindacali denunciano, inoltre, la ricorrente e contemporanea assenza del direttore generale e del dirigente dei servizi amministrativi per partecipare congiuntamente a missioni nazionali ed internazionali (CGIL, 2 febbraio 2012 e 17 maggio 2012; UIL, 25 maggio 2012) nonché la gestione «personalistica» (USB, 21 settembre 2012) della spesa, degli incarichi e delle responsabilità;
   sono in corso interrogazioni parlamentari presentate dalla deputata Maria Anna Madia (atto 4/00467) e del senatore Dario Stefano (atto 4/00259) aventi ad oggetto chiarimenti in merito alla gestione del professore Alberto Manelli;
   in un istituto di ricerca per ricercatori e tecnologi la formazione avviene prevalentemente attraverso la partecipazione a convegni e congressi, mentre, come denunciano i sindacati, la direzione generale ha in più occasioni negato al personale la possibilità di recarsi ad importanti convegni scientifici con la giustificazione del risparmio di spesa e della migliore organizzazione delle strutture coinvolte;
   in senso contrario e come denunciato dalle organizzazioni sindacali, si verifica da anni la contemporanea assenza del direttore generale e della dirigente dei servizi amministrativi che si impegnano in missioni nazionali ed internazionali, lasciando l'ente privo del vertice di gestione, anche per significativi periodi di tempo;
   in caso di missioni o partecipazione ad eventi di natura tecnico-scientifica, risulta inspiegabile la partecipazione della dirigente dei servizi amministrativi, che non ha competenza sulle attività di ricerca (articolo 15, comma 2, decreto legislativo n. 165 del 2001) tanto più che in Istituto, da settembre 2011 è presente un dirigente specificamente incaricato dei servizi tecnici della ricerca che, tuttavia, non ha mai partecipato alle missioni;
   i comportamenti descritti, ad avviso dell'interrogante, non sono coerenti con le esigenze di contenimento delle spese e migliore organizzazione della struttura che il direttore generale e la dirigente dei servizi amministrativi oppongono al personale quando richiede l'autorizzazione alle missioni –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sulle vicende descritte;
   se il ministro intenda acquisire elementi, anche ai fini delle valutazioni di competenza:
    a) sulle motivazioni addotte per la contemporanea assenza del direttore generale e della dirigente dei servizi amministrativi per recarsi in missioni nazionali e internazionali (Tel Aviv), lasciando l'ente privo del vertice di gestione, in assenza di deleghe anche temporanee delle funzioni e con un aggravio di spesa per la pubblica amministrazione;
    b) sulle motivazioni per cui il direttore generale, professore Alberto Manelli, non ha mai inteso impegnarsi nelle missioni nazionali e internazionali (tra cui Parigi, Tel Aviv, Palma di Maiorca, Pechino, Beirut, Bruxelles, Berlino, Tunisi) con il secondo dirigente amministrativo, specificamente incaricato dei servizi tecnici della ricerca, che pure possiede una maggiore anzianità professionale e curriculum di alto valore;
    c) sulle motivazioni per cui il direttore generale, professore Alberto Manelli, qualora reputi necessaria la presenza di un dirigente di sostegno, non ritenga di alternare tra i due dirigenti amministrativi l'impegno nelle missioni nazionali e internazionali;
    d) sulle motivazioni per cui il direttore generale, professore Alberto Manelli, non abbia mai inteso ricorrere a deleghe, anche temporanee delle funzioni, durante la sua assenza per missioni insieme alla dirigente dei servizi amministrativi, in favore del dirigente dei servizi tecnici e della ricerca;
   se il Ministro non ritenga opportuno inviare una segnalazione alla magistratura contabile per i profili di competenza.
(4-01897)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo uno studio del New England Journal of Medicine è risultato che, a livello mondiale, la celiachia colpisce l'1 per cento della popolazione, ma solo il 21 per cento dei casi è diagnosticato e riguarda per lo più le donne, con una prevalenza di 1,5-2 volte rispetto agli uomini e con il 10-15 per cento dei familiari di primo grado affetti dalla stessa patologia;
   la celiachia è una malattia moderna dalle radici antiche, il cui nome deriva dal termine greco koiliakos, ovvero «addominale», che colpisce l'intestino tenue ed è causata da una reazione alla gliadina, una prolammina (proteina del glutine) presente nel grano ed in altri cereali comuni, quali orzo e segale;
   nello specifico l'esposizione alla gliadina causa una reazione infiammatoria che conduce ad un troncamento dei villi che rivestono l'intestino tenue (atrofia dei villi). Ciò interferisce con l'assorbimento delle sostanze nutritive, di cui i villi intestinali sono responsabili;
   la celiachia dunque è un'intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, grano khorasan (kamut), orzo, segale, spelta e triticale e l'unico trattamento efficace conosciuto, secondo l'AIC (Associazione Italiana Celiachia), è una permanente dieta priva di glutine, in grado di garantire al celiaco un perfetto stato di salute;
   per curare la celiachia occorre escludere dal proprio regime alimentare alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche eliminare le più piccole tracce di glutine dal piatto. Ciò implica un forte impegno di educazione alimentare poiché l'assunzione di glutine, anche in piccole quantità, può provocare diverse conseguenze più o meno gravi;
   nella maggior parte dei bambini l'intolleranza si evidenzia a distanza di qualche mese dall'introduzione del glutine nella dieta, con un quadro clinico caratterizzato da diarrea, vomito, anoressia, irritabilità, arresto della crescita o calo ponderale;
   nelle forme che invece esordiscono tardivamente, dopo il secondo o il terzo anno di vita, la sintomatologia gastroenterica è per lo più sfumata e in genere prevalgono altri sintomi: deficit dell'accrescimento della statura o del peso, ritardo dello sviluppo puberale, dolori addominali ricorrenti, anemia sideropenica, che non risponde alla somministrazione di ferro per via orale;
   il problema riguarda dunque il modo di alimentarsi e quindi è necessario acquistare prodotti specifici che spesso costituiscono un aggravio di spesa per molte famiglie;
   una volta diagnosticata la malattia si ha la possibilità di ottenere un buono mensile del valore di circa 100 euro per acquistare i prodotti senza glutine che può essere però utilizzato soltanto in farmacia a prezzi piuttosto elevati nonostante si tratti di prodotti realizzati semplicemente con materie prime senza glutine naturale;
   tali prodotti, acquistabili in farmacia, sono presenti anche nei supermercati ed a prezzi più bassi ma dove i buoni non sono spendibili;
   secondo un'indagine dell'AIC, realizzata su oltre tremila pazienti, è risultato che i 135mila celiaci italiani spendono quasi 200 milioni l'anno per la propria dieta: in farmacia i celiaci spendono più di 140 milioni di euro, poco meno di 15 milioni nei negozi specializzati e 45 milioni nella grande distribuzione;
   circa 50 milioni di euro «sforano» i rimborsi coperti dal Servizio Sanitario Nazionale e devono essere pagati dai pazienti di tasca propria;
   a titolo di esempio l'AIC cita un paniere di dodici dei prodotti più spesso utilizzati in cucina (pane, pasta, farina e preparati per pizze, biscotti e merendine, prodotti pronti surgelati), che costa da 40 a 60 euro, a fronte di prezzi che si aggirano sui 25 euro nel caso di alimenti con glutine;
   la spesa elevata è ovviamente un deterrente all'acquisto, per cui, sarebbe senza dubbio opportuno calmierare i prezzi;
   in alcune regioni, tra cui la Lombardia, attualmente i buoni sono già spendibili nei supermercati –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere, per quanto di competenza, per promuovere campagne di sensibilizzazione sull'argomento descritto in premessa, affinché si consenta l'uso del ticket erogato dallo Stato non solo nelle farmacie, ma anche nei grandi supermercati dove i prodotti gluten free risultano economici. (5-01039)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i dati più recenti delle organizzazioni internazionali affermano che l'obesità e il diabete stanno aumentando rapidamente in tutto il mondo anche nei bambini;
   in questo contesto generale emerge anche il dato sull'Italia dove – come emerso da recenti ricerche rese note dalla stampa di settore – a 10 anni un bimbo su tre è in sovrappeso ed uno su dieci è obeso;
   si tratta in modo evidente di un problema grave relativo sia alla salute pubblica che alla necessità di prevenire, razionalizzare ed ottimizzare la cura dei pazienti –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa. (4-01893)


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le cure palliative, secondo la definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità, si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione è la morte;
   nei giorni scorsi si è svolto a Bologna il congresso della Fondazione ANT durante il quale si è svolto un significativo dibattito sulla necessità di ampliare le cure palliative e in particolare l'assistenza domiciliare;
   le cure palliative, è emerso nei lavori in sintonia anche con i trend per il futuro disegnati dall'Organizzazione mondiale della sanità, sono indispensabili e lo saranno sempre di più per la tenuta dei sistemi sanitari, vista la tendenza all'allungamento medio della vita e al contemporaneo aumento della popolazione anziana con patologie tumorali che necessitano di assistenza domiciliare –:
   quali eventuali iniziative il Governo intenda programmare (o stia eventualmente già attuando) in merito a quanto esposto in premessa in relazione alle cure palliative e alle cure domiciliari. (4-01894)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   PINNA, CORDA, VIGNAROLI, SPESSOTTO, CARINELLI, COLONNESE, VALLASCAS e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   quello del Sulcis Iglesiente è uno fra i territori più devastati dalla grave crisi economica ed occupazionale che ha colpito l'Italia negli ultimi anni e che, nonostante i proclami volti all'ottimismo, non sembra essere ancora superata;
   in base ai dati relativi al 2012 e al primo periodo del 2013 l'economia della Sardegna ha registrato un ulteriore indebolimento dei principali indicatori congiunturali. Sono state rilevate una contrazione nella produzione e nel fatturato dell'attività della imprese industriali, nonché una sensibile riduzione degli investimenti, che hanno risentito del calo degli ordinativi provenienti dal mercato nazionale. Urge una programmazione di interventi di tipo strutturale che produca effetti duraturi, nell'ottica di uno sviluppo sostenibile e integrato;
   il 13 novembre 2012, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la coesione territoriale, la regione autonoma della Sardegna, la provincia Carbonia Iglesias e i comuni del Sulcis Iglesiente hanno siglato il protocollo d'intesa (ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241) sul cosiddetto «piano Sulcis», uno strumento che individua gli obiettivi e i relativi programmi per lo sviluppo del territorio;
   il «piano Sulcis», prevedendo l'avvio di importanti programmi di politica attiva del lavoro, collegati sia con le principali crisi aziendali e settoriali, sia con le nuove prospettive di sviluppo, ha l'obiettivo di dare soluzioni concrete di crescita al Sulcis. Tuttavia, è da ormai quasi un anno che il Sulcis e i suoi abitanti attendono tali soluzioni. L'apertura dei cantieri, la realizzazione di progetti, opere infrastrutturali e bonifiche sono presenti unicamente sulle carte e nei discorsi di propaganda politica;
   fra le linee guida del progetto «piano Sulcis» è presente la realizzazione di un centro di eccellenza «carbone pulito» nel quadro di un polo tecnologico di ricerca e produzione di energia ecocompatibile. Il 2 agosto 2013 è stato siglato il protocollo d'intesa per lo sviluppo di tale polo tecnologico per il carbone pulito nell'area del Sulcis Iglesiente, sottoscritto dal Sottosegretario per lo sviluppo economico pro tempore Claudio De Vincenti e l'assessore all'industria della regione Sardegna Antonio Angelo Liori. L'accordo prevede due fasi: la prima lo sviluppo di un centro di ricerca con un impianto a tecnologia evoluta di ossicombustione di potenza di circa 50 MWt, da realizzarsi entro 2/3 anni, e di altre tecniche di cattura e confinamento dell'anidride carbonica; la seconda fase prevede la realizzazione di una centrale elettrica con tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage);
   tali iniziative dovrebbero essere finanziate con le somme provenienti dal pagamento delle «multe» inflitte ad alcune aziende del Sulcis in seguito alla violazione della normativa europea sugli aiuti di Stato. Specificatamente, l'articolo 34, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012 (cosiddetto «decreto crescita bis») prevede che le somme ancora da restituire alla Cassa conguaglio per il settore elettrico — in attuazione delle decisioni della Commissione europea in merito ad aiuti di Stato erogati con regimi tariffari speciali per l'energia elettrica: decisione del 19 novembre 2009 relativa agli aiuti di Stato n. C 38/A/2004 (ex NN 58/2004) e n. C 36/B/2006 (ex NN 38/2006) a favore di Alcoa Trasformazioni e decisione 2011/746/UE del 23 febbraio 2011 relativa agli aiuti di Stato C/38/B/2004 e C13/2006, a favore di Portovesme Srl, ILA SpA, Eurallumina SpA e Syndial SpA — siano destinate ad interventi del Governo a favore dello sviluppo e dell'occupazione nelle regioni ove hanno sede le attività produttive oggetto della restituzione –:
   con riferimento alle somme previste all'articolo 34, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, a quanto ammonti la somma che ciascuna delle società dovrà restituire e quale sia la parte di tali risorse da destinare al «piano Sulcis» e, nel dettaglio, al polo tecnologico per il carbone pulito;
   se tali somme siano effettivamente pervenute presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, in caso contrario quando perverranno e quando saranno impiegate per la realizzazione degli interventi di tipo strutturale previsti dal piano per il rilancio economico del Sulcis Iglesiente. (3-00326)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENAMATI, BONOMO, BIONDELLI, D'OTTAVIO, BONIFAZI e BARGERO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Fabbricazioni Nucleari spa (FN) con sede a Bosco Marengo (AL) è stata fondata nel 1967 per operare nel campo della fabbricazione del combustibile per centrali nucleari;
   nel 1985 l'AGIP Nucleare entra a far parte dell'azionariato e ne acquisisce la maggioranza delle azioni;
   nel corso del 1989, a seguito della moratoria deliberata dal Governo circa l'utilizzo del nucleare da fissione quale fonte energetica, l'ENEA subentra come azionista di maggioranza in FN, indirizzando le attività nell'ambito delle tecnologie innovative, della progettazione e dello sviluppo di nuovi materiali (soprattutto ceramici avanzati);
   nel 1989 la gestione dell'impianto per la produzione di combustibile nucleare di Bosco Marengo è passata all'ENEA;
   nel maggio del 1996 la società diventa «FN - Nuove Tecnologie e Servizi Avanzati SpA» con l'attuale assetto azionario:
    98,85 per cento ENEA;
    1,28 per cento Deposito Avogadro srl;
    0,07 per cento Ansaldo Nucleare SpA;
   nel giugno 2003, in ottemperanza alle ordinanze del commissario delegato per la sicurezza dei materiali nucleari, le licenze e le autorizzazioni relative alla gestione dell'impianto sono trasferite alla SoGIN;
   nel 2005, SoGIN diventa proprietaria dell'impianto, assorbendo la parte nucleare del personale FN con l'obiettivo di realizzare la bonifica ambientale del sito;
   dal marzo 2010 FN possiede la sede operativa principale presso il Centro Ricerche ENEA di Saluggia e quella secondaria a Bosco Marengo;
   ad oggi ENEA è il principale committente di FN soprattutto nell'ambito delle attività di ricerca sull'energia e sui materiali avanzati (biomasse, fusione termonucleare);
   per quanto concerne la sede di Bosco Marengo, FN, dopo il parziale assorbimento da parte di SoGIN, è stata costretta ad abbandonare l'area produttiva nella quale si era insediata in origine ed ha proseguito la propria attività in un'area nelle immediate vicinanze, mantenendo in funzione il sistema termico per materiali ceramici, non trasportabili per motivi vari, fra cui la carenza di spazi e mancanza di strutture a Saluggia;
   la situazione economica negli ultimi periodi è andata via via peggiorando in quanto le entrate non sono sufficienti neppure a coprire le spese correnti e gli stipendi dei 14 dipendenti che da molti mesi vengono erogati con forte ritardo se non addirittura dilazionati in acconti. Sembra, inoltre, che siano intervenuti problemi anche nel pagamento dei contributi previdenziali;
   FN non ha ritenuto sino ad ora ricorrere ad ammortizzatori sociali speciali, cosa che comporterebbe l'impossibilità di portare a termine i programmi scientifici già contrattualizzati con gli enti finanziatori mettendo ulteriormente a rischio la già precaria situazione aziendale;
   l'assenza di liquidità comporta anche notevoli disagi nello svolgimento delle attività che sono rallentate dalla difficoltà di acquisire materie prime e dispositivi vari nonché di provvedere alla manutenzione degli strumenti;
   si deve tener presente che nel sito di Bosco Marengo, come più sopra riportato, è ancora locato uno dei forni (CVI) più usati da FN per il trattamento del materiale composito (ad esempio fibre di carburo di silicio) che è un punto di forza di FN in tutto il lavoro che viene svolto per conto di ENEA nel settore della fusione termonucleare; tale forno, d'altronde, non potrebbe essere spostato in quanto trattasi di materiale molto delicato ed il sito ENEA di Saluggia non ha spazi a disposizione per il suo posizionamento;
   da molte parti, aziendali e sindacali, è condiviso il fatto che una delle poche opportunità per scongiurare il collasso della società sia quello che essa venga assorbita dall'ENEA ritenendo che questa possa essere l'unica soluzione per continuare ad operare –:
   se quanto in premessa corrisponda al vero e se il Ministro sia a conoscenza in dettaglio della situazione di FN e quali misure di competenza intenda adottare per evitare il fallimento dell'azienda con perdita di posti di lavoro e di competenze tecnologiche. (5-01038)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICCHI e NARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi del settore siderurgico colpisce Piombino e la Val di Cornia a cui si aggiunge oggi la minaccia di licenziamento di 1.500 lavoratori appartenenti al gruppo imprenditoriale Riva Acciaio;
   il 10 settembre 2013 si è tenuto a Piombino un seminario organizzato da sindacati nazionali e regionali e dal comune di Piombino e incentrato sulle tecnologie Corex per la produzione di ghisa;
   erano presenti esperti del settore siderurgico e rappresentanti istituzionali: regione, provincia di Livorno, enti locali dei territori interessati, il commissario straordinario della Lucchini Piero Nardi, ricercatori della scuola superiore Sant'Anna;
   il grande assente è stato il Ministero dello sviluppo economico, seppur invitato;
   nel corso del seminario la Siemens ha presentato il progetto del Corex, tecnologia già sperimentata per la produzione di ghisa che risponde alla necessità di affrontare tre esigenze fondamentali: la riduzione della disponibilità di materie prime; la sempre maggiore richiesta di energia nei processi produttivi; il miglioramento delle condizioni ambientali;
   dal punto di vista economico, questa tecnologia presenta un crescente vantaggio ambientale ed economico dovuto alla riduzione dei costi per 1'utilizzo di carbone di grado inferiore;
   la scelta dell'impianto integrato con altri mette a disposizione le soluzioni per una siderurgia flessibile, ecocompatibile e più economica;
   tale tecnologia innovativa potrebbe rappresentare un'alternativa all'altoforno offrendo così nuove prospettive produttive ed occupazionali al territorio con un minore impatto ambientale;
   ciò può rappresentare un'occasione storica per Piombino che diventerebbe la prima in Europa a sperimentare la tecnologia del Corex;
   tutto ciò va in parallelo all'utilizzo di un forno elettrico per ridurre l'eventuale stand-by produttivo con le connesse sofferenze occupazionali;
   la siderurgia è settore fondamentale del Paese perché è il primo anello della catena industriale che ha bisogno di acciaio per tutta la filiera produttiva, ed in questo ambito ruolo strategico in Italia viene svolto da Piombino;
   la siderurgia italiana ed europea si salva solo con il ricorso importante all'innovazione tecnologica attraverso investimenti innovativi nelle tecnologie primarie;
   decisiva è la scelta di definire un piano industriale che metta al primo posto la salvaguardia occupazionale diretta ed indiretta con l'individuazione di un soggetto industriale pronto ad investire su di esso. Per raggiungere tale obbiettivo c’è bisogno di tempo ed è determinante anche poter costruire una relazione tra Taranto e Piombino che possa permettere l'allungamento dei tempi di attività dell'altoforno;
   1'azienda Siemens è pronta a collaborare come partner tecnologico per realizzare un impianto a Piombino che utilizzi la tecnologia Corex, in presenza di un partner finanziario o industriale che sia disponibile a investire i necessari capitali. Però dall'arrivo dei finanziamenti per lo studio di fattibilità alla costruzione sarebbero necessari oltre due anni;
   i rappresentanti istituzionali, gli esperti del settore siderurgico e i rappresentanti sindacali della Fiom, Firn, Uilm e Cgil, Cisl e Uil, hanno espresso grande apprezzamento per la tecnologia Corex e per il suo utilizzo negli impianti della industria Lucchini;
   per sostenere una positiva soluzione della vertenza Piombino, Fim, Fiom, Uilm, insieme a Cgil, Cisl e Uil organizzeranno per i primi giorni di ottobre 2013 una grande manifestazione nazionale con i leader sindacali nazionali;
   si preannuncia la fermata dell'altoforno a novembre e l'azzeramento delle risorse economiche della Lucchini;
   se passa la realizzazione del solo forno elettrico la riduzione del personale dello stabilimento sarà del 55 per cento con una perdita stimata di 1.200 posti di lavoro –:
   cosa intenda fare per fermare la chiusura dell'altoforno nell'immediato e quali iniziative progettuali e finanziarie si intendano mettere in campo per salvare l'azienda Lucchini, anche in relazione sinergica con la produzione siderurgica di Taranto e degli altri stabilimenti siderurgici;
   come intenda operare per il rilancio di politiche industriali indispensabili per l'uscita dalla crisi del nostro Paese. (4-01878)


   COPPOLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo della banda larga e ultralarga e l'infrastrutturazione dell'intero territorio nazionale sono e devono essere, una priorità per l'attuale Governo, non meno di quello precedente, senza dimenticare che la realizzazione di una adeguata infrastruttura digitale è alla base di uno sviluppo economico e sociale, soprattutto per i territori maggiormente colpiti dalla crisi in atto;
   il Friuli Venezia Giulia, tra questi, soffre ancora oggi di un digital divide strutturale pari al 9,1 per cento (dati Ministero dello sviluppo economico, aggiornati al 30 giugno 2013), cioè con velocità di connessione inferiore a 2 Mbps, mentre l'8,5 per cento della popolazione è raggiunta solamente da una copertura wireless, quindi in definitiva viene calcolato un divario digitale da rete fissa pari al 17,6 per cento dei residenti, su 114 comuni in area bianca; va tenuto conto che una parte dei comuni digitalmente esclusi della regione non si trova in aree remote del territorio ma in aree residenziali e/o di sviluppo turistico, come Colloredo di Monte Albano e Moruzzo, mentre altri come Pozzuolo del Friuli e Rive D'Arcano sono posti al centro dei distretti industriali e commerciali della provincia di Udine;
   ad ottobre 2011 è stato presentato dal Ministero dello sviluppo economico il piano nazionale banda larga, con un budget complessivo pari a 1,471 miliardi di euro per la realizzazione dell'opera di copertura nazionale, da suddividere in tre tipologie di azione (A, B e C), in base alla tipologia di area interessata (definite zone bianche e grigie);
   al piano nazionale banda larga, e senza che esso sia ancora portato a termine, viene ora affiancato il progetto strategico banda ultralarga che, a quanto si legge dal sito ufficiale, vuol essere «un decisivo segnale per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale europea, concernenti l'accesso a internet per tutti i cittadini ad una velocità di connessione superiore a 30 Mb/s” e, per almeno il 50 per cento della popolazione «al di sopra di 100 Mb/s”;
   al momento, per quanto concerne il piano nazionale banda larga, sono attivi ancora due bandi di gara (V e VI) per portare a termine il progetto iniziale ed azzerare così definitivamente il divario digitale. Nello specifico, il bando V, che riguarda le regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto, è stato chiuso il 31 maggio, con proroga rispetto alla data di chiusura che inizialmente era fissata per il 6 maggio 2013, per un importo complessivo di 95,424 milioni di euro IVA esclusa. Con il bando VI, che – si legge – «permetterà di azzerare definitivamente il digital divide anche nelle aree più remote del Paese», si è individuato un elenco di oltre 30 mila aree rurali, tra cui più di mille nel solo Friuli Venezia Giulia, con la possibilità data a portatori di interesse pubblici e privati di formulare osservazioni entro il termine del 21 aprile 2013;
   con il suddetto piano si è stabilito, al paragrafo 4, pagina 27 del testo, che «L'intervento sarà realizzato nel corso del periodo del triennio 2011-2013»; ad oggi, mancando meno di quattro mesi al termine del 2013, non si hanno ancora informazioni aggiornate sul prosieguo dei bandi V e VI;
   ogni euro investito sulla banda larga produce un ritorno economico di 4 volte superiore –:
   quale sia la tempistica per la conclusione dei bandi ancora sospesi e dunque per la conclusione dell'intero piano nazionale;
   quali iniziative il Governo intenda assumere, in particolare, per garantire:
    a) la permanenza in bilancio delle risorse necessarie per la realizzazione del piano, per l'intero importo inizialmente stanziato, operando, in particolare, affinché tali risorse non vengano utilizzate a copertura di altri interventi, come ad esempio l'eliminazione dell'IMU sulla prima casa;
    b) il pieno rispetto degli impegni assunti nei confronti delle amministrazioni territoriali e locali, in merito all'obiettivo di superare definitivamente il digital divide che ancora colpisce il Paese, soprattutto nelle aree rurali più remote, nella consapevolezza che la copertura a «banda larga» così come intesa, e cioè pari o superiore a 2 Mbps, nell'arco di poco tempo risulterà nuovamente essere insufficiente ai fini della competizione economica, perché già superata dalle reti di nuova generazione;
    c) tra le priorità dell'agenda digitale italiana, l'adeguamento dell'infrastruttura digitale in aree di particolare valenza strategica come il Friuli Venezia Giulia, che attualmente soffre, tra l'altro, il confronto competitivo con regioni e Stati più dinamici ed attenti quali Carinzia e Slovenia, anche in considerazione del fatto che tale adeguamento offre, alla regione e all'intero Paese, opportunità di sviluppo, investimento, e di attrazione di capitali dall'est dell'Europa. (4-01889)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, a seguito del referendum del 1987, ha abbandonato l'uso di energia nucleare, ma ad oggi non è ancora un Paese denuclearizzato, posto che il problema dello smantellamento delle centrali e dello smaltimento dei prodotti o rifiuti radioattivi è ancora presente;
   ai fini dello smaltimento delle scorie, i maggiori compiti spettano attualmente alla Società gestione impianti nucleari (Sogin) SpA, ai sensi del decreto ministeriale 7 maggio 2001. La Sogin è stata istituita nel quadro del riassetto del mercato elettrico disposto dal decreto legislativo n. 79 del 1999; con la trasformazione dell'Enel in una holding formata da diverse società indipendenti, le attività nucleari sono state trasferite alla Sogin, che ha pertanto incorporato le strutture e le competenze precedentemente applicate alla progettazione, alla costruzione e all'esercizio delle centrali elettronucleari italiane, ed ha conseguentemente acquisito le quattro centrali nucleari italiane di Trino, Caorso, Latina e Garigliano di Sessa Aurunca;
   nel 2000, in forza dello stesso decreto n. 79 del 1999, Enel ha trasferito l'intero pacchetto azionario al Ministero dell'economia e delle finanze, per cui Sogin spa è una società pubblica interamente partecipata dal dicastero citato;
   poiché con il referendum del 1987 è stata bloccata la possibilità di costruire nuove centrali nucleari, la Sogin, oltre ad essere impegnata in attività di ricerca, consulenza, assistenza e servizio in campo nucleare, energetico e ambientale, ha avuto come missione lo smantellamento (decommissioning) degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi. Nel 2003 le sono stati affidati in gestione gli impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di Enea, l'impianto EUREX di Saluggia (Vercelli), gli impianti OPEC e IPU della Casaccia (Roma), l'impianto ITREC di Trisaia di Rotondella (Matera), mentre nel 2005 è stato acquisito l'impianto di Bosco Marengo (Alessandria);
   nel corso del 2009, con l'entrata in vigore della legge 23 luglio 2009, n. 99, è cambiato il contesto normativo di riferimento di Sogin, avendo il provvedimento legislativo in questione previsto, tra l'altro: a) l'istituzione dell'Agenzia per la sicurezza nucleare (successivamente soppressa con il decreto-legge n. 201 del 2011); b) la definizione dei criteri per l'individuazione e la localizzazione dei siti per nuovi impianti nucleari connessi con la produzione di energia elettrica; c) la ridefinizione di ruoli e funzioni dei soggetti pubblici operanti nel settore nucleare, fra cui Sogin, di cui è stato previsto il commissariamento (articolo 27, commi 8 e 9, della legge n. 99 del 2009);
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 agosto 2009 sono stati quindi nominati, per la durata di 9 mesi, un commissario e due vice commissari e, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 maggio 2010, gli incarichi sono stati prorogati per ulteriori 2 mesi dalla data del decreto stesso;
   con l'entrata in vigore del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, Sogin è stata poi individuata come il soggetto responsabile della disattivazione degli impianti a fine vita, del mantenimento in sicurezza degli stessi, nonché della realizzazione e dell'esercizio del parco tecnologico e del deposito nazionale nucleare, comprendente anche il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi;
   il contesto normativo di riferimento è stato ulteriormente modificato con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. L'articolo 7, comma 23, di tale ultimo provvedimento ha, infatti, disposto la cessazione del periodo commissariale e la ricostituzione degli organi ordinari: un consiglio di amministrazione composto di 5 membri nominati dal Ministero dell'economia e delle finanze d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico;
   in attuazione di tale ultima novella, in data 13 ottobre 2010, l'assemblea ordinaria della società ha quindi nominato i nuovi componenti del consiglio di amministrazione;
   successivamente, il decreto legislativo 23 marzo 2011, n. 41, ha apportato correzioni al decreto legislativo n. 31 del 2010 relativamente ad alcune disposizioni in materia di parco tecnologico e deposito nazionale, prevedendo in particolare che i programmi di ricerca e le azioni di sviluppo condotti da Sogin e funzionali alle attività di decommissioning e alla gestione dei rifiuti radioattivi nell'ambito del parco tecnologico venissero finanziati dalla componente tariffaria relativa agli oneri connessi allo smantellamento (componente A2 della tariffa elettrica), prevista dall'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 25 del 2003;
   per effetto del referendum popolare tenutosi il 12 e 13 giugno 2011 sono state abrogate parti del decreto legislativo. n. 31 del 2010, come modificato dal decreto legislativo. n. 41 del 2011 e dalla legge n. 75 del 2011, di conversione del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34;
   le modifiche normative indicate hanno determinato, oltre alla totale abrogazione delle norme che avrebbero consentito la realizzazione di nuovi impianti nucleari, la conferma del ruolo di Sogin quale soggetto responsabile degli ulteriori compiti istituzionali concernenti la realizzazione e l'esercizio del deposito nazionale e del parco tecnologico, comprendente anche il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi;
   con l'articolo 24 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, sono stati rafforzati gli strumenti a disposizione di Sogin volti all'accelerazione delle attività di disattivazione e smantellamento dei siti nucleari e dell’iter per le autorizzazioni;
   su tutto il territorio italiano insistono, quindi, siti in cui sono presenti centrali ed impianti nucleari soggetti ad attività di disattivazione e messa in sicurezza (decommissioning), nei quali sono conservati temporaneamente rifiuti radioattivi di diversa categoria per un volume complessivo pari a di 14.925,79 metri cubi, ai quali occorre aggiungere, sia pure in quantità minore, quelli che continueranno ad essere prodotti sino a quando le operazioni di decommissioning non saranno portate a termine, poiché anche le attività necessarie per il mantenimento in sicurezza degli impianti, ancorché spenti, generano rifiuti;
   dalla relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella seduta del 18 dicembre 2012, si apprende che: «Secondo i dati forniti dal Ministro dello sviluppo economico nel corso dell'audizione del 2 marzo 2012 il lavoro sino ad allora svolto poteva essere quantificato intorno al 12 per cento del piano complessivo. In particolare, la centrale di Caorso era a uno stato di avanzamento del 16 per cento, quella di Trino del 14, quella di Garigliano dell'11, quella di Latina del 6. Eurex era all'8 per cento, Itrec al 13, Opec, in Casaccia, al 15 e infine Bosco Marengo al 57 per cento, ma si tratta in questo caso dell'impianto più semplice, scelto dalla SOGIN a stregua di progetto pilota che avrebbe dovuto essere portato a termine prima nel 2009, poi nel 2012. Se si estrapolassero questi dati si giungerebbe a ritenere i programmi della SOGIN largamente ottimistici»;
   nelle conclusioni della medesima relazione si evidenzia che: «La SOGIN avrebbe dovuto procedere al condizionamento dei rifiuti pregressi – circa ventimila metri cubi – presenti negli impianti nucleari dei quali è responsabile nell'arco di un decennio. Oggi il lavoro è giunto a poco più di un quarto di strada e anche i casi più urgenti, come i rifiuti liquidi ad alta attività che nell'impianto EUREX di Saluggia attendono da decenni di essere solidificati, dovranno attendere ancora diversi anni. Criticità in attesa di soluzioni da individuare o da attuare sono presenti anche in altri siti, ad esempio nella centrale del Garigliano, dove vi sono rifiuti a suo tempo sepolti in trincee che debbono ora essere recuperati e messi in sicurezza, o nella centrale di Caorso, dove vi è qualche migliaio di fusti di rifiuti già condizionati con un metodo che si è poi rivelato inidoneo, in quanto causa di corrosione dei fusti stessi»;
   numerose criticità sono presenti ovviamente anche in altri siti, come ad esempio nell'impianto locato nel centro ricerche Enea della Trisaia, a Trisaia di Rotondella, che ospita, stoccati in piscina, i 64 elementi Elk River rimasti degli 84 originariamente ricevuti dagli Stati Uniti, per un quantitativo di 1,7 tonnellate circa di combustibile. Tale combustibile, per la sua natura di combustibile del ciclo uraniotorio, non può essere riprocessato in un normale impianto di riprocessamento, per cui i 64 elementi sono destinati ad essere conservati a secco in due contenitori, che comunque non sono ancora in fase di realizzazione;
   una situazione anomala e di alto rischio si riscontra anche negli impianti di trattamento e deposito del centro della Casaccia, di proprietà Enea. Tale deposito venne originariamente realizzato per ospitare i rifiuti radioattivi prodotti negli impianti dello stesso centro della Casaccia. Dal 1985 la Nucleco (società mista di cui la Sogin è azionista di maggioranza), utilizza le strutture dell'Enea per l'attività di raccolta, trattamento e deposito dei rifiuti radioattivi prodotti dall'industria, dalla ricerca e dalla sanità. Sono custodite nel deposito anche sorgenti radioattive dismesse. Il deposito è inoltre destinazione di riferimento per le «sorgenti orfane», quelle sorgenti radioattive, cioè, che siano rinvenute al di fuori di impianti attrezzati per la loro manipolazione e delle quali non si conosca la provenienza. In esso sono oggi stoccati circa 6.600 metri cubi di rifiuti radioattivi, un quantitativo nettamente elevato in termini di volumi. Così, come si legge anche nella relazione della Commissione d'inchiesta, «un deposito localizzato all'interno del Comune di Roma, in una zona ormai raggiunta dall'espansione urbana e con strutture del tutto diverse da quelle di un vero e proprio deposito finale, ha finito col diventare di fatto, nell'ambito del servizio integrato e in assenza della soluzione appositamente studiata e decisa, il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e delle sorgenti di origine sanitaria e industriale e comunque di gran lunga il centro di raccolta più importante in Italia»;
   per garantire la tutela della salute dei cittadini e la loro incolumità, è evidente l'assoluta necessità di un radicale cambiamento dei ritmi con i quali le attività sono state sin qui condotte. I rifiuti radioattivi necessitano con urgenza di appositi interventi di messa in sicurezza attraverso la definizione di nuovi ed efficaci «cronoprogrammi delle attività» al fine di individuare le azioni da porre in essere per consentire lo smaltimento definitivo, in condizione di massima sicurezza, dei materiali radioattivi a tutt'oggi dislocati nelle centrali nucleari e nei siti di stoccaggio;
   i cronoprogrammi delle attività di smantellamento delle centrali nucleari e degli impianti avviati nel 2001 prevedevano il rilascio «a prato verde» dei siti nel 2020, a fronte di un costo previsto di 4,5 miliardi di euro;
   nella citata relazione si evidenzia che i cronoprogrammi delle attività sono stati rinviati di molti anni rispetto agli obbiettivi del 2020. Questo slittamento ha comportato un incremento dei costi previsti fino a 6,7 miliardi di euro;
   l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, nel corso dell'audizione del 31 gennaio 2012 tenutasi dinanzi alla stessa Commissione parlamentare, nell'elencare le cause della lentezza delle operazioni di decommissioning, ha affermato che: «vi sono ritardi dovuti alla SO.G.I.N. e molto è dovuto al fatto che in questo periodo non vi è stata una governance stabile e che ogni volta che è cambiata governance sono cambiate anche la strategia e le idee di lavoro»;
   nella determinazione n. 21/2013, recante la «Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Società gestione impianti nucleari (SO.G.I.N. S.p.A.), per l'esercizio 2011», la Corte dei conti, in Sezione di controllo sugli enti, ha precisato che: «Nel complesso, la SO.G.I.N. è passata dal 4 per cento di avanzamento delle attività di smantellamento a fine 2007 (0,6 per cento annuo), al 12 per cento a fine 2011, con una media di circa il 2 per cento annuo»;
   tale avanzamento appare, a giudizio degli interroganti, decisamente irrisorio rispetto ai programmi iniziali di smantellamento e agli indirizzi governativi in tal senso emanati dal Ministero delle attività produttive nel 2004 e integrati con successive direttive;
   sempre in riferimento allo stato di avanzamento delle attività affidate alla Sogin (attività che per il solo motivo di essere connesse ad insopprimibili interessi pubblici generali, legati alla tutela della salute e della sicurezza della popolazione ed alla salvaguardia dell'ambiente, dovrebbero essere condotte con la massima urgenza), occorre segnalare che, ai fini di una valutazione in termini di riduzione del rischio radiologico, nella percentuale di avanzamento precedentemente indicata è ricompreso lo smantellamento di edifici o strutture convenzionali, ossia non radioattivi, che diminuisce quindi il rilievo dei progressi effettivamente fatti sotto il profilo della sicurezza per la popolazione;
   a conferma di ciò, va ricordato che nel corso dell'audizione del 4 ottobre 2011, tenutasi dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, il presidente della Sogin ha dichiarato che, per dare un «segnale» della propria attività, la Sogin è giunta alla «scelta politica» di intensificare gli smantellamenti di parti convenzionali (cioè non «radioattive») degli impianti;
   accanto alle considerazioni relative alla tutela della salute e della sicurezza della popolazione ed alla salvaguardia dell'ambiente, occorre considerare anche l'aspetto economico connesso al mancato decommissioning delle vecchie centrali ed impianti di stoccaggio. I costi connessi allo smantellamento delle centrali elettronucleari, alla chiusura del ciclo del combustibile nucleare e alle attività connesse e conseguenti sono inclusi tra gli oneri generali del sistema elettrico. Tali oneri sono posti a carico dei clienti finali del sistema tramite una specifica componente tariffaria (A2), che alimenta un apposito conto istituito presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico. L'entità di tale componente è determinata e periodicamente modificata dall'Autorità per l'energia elettrica;
   a riguardo, una stima dei costi viene fornita dalla citata Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse, secondo la quale: «Essendo i consumi finali di energia elettrica mediamente dell'ordine di 300 miliardi di kWh, attraverso questo meccanismo di finanziamento si ottiene una raccolta annua media, oscillante intorno ai 300 milioni di euro. Di questi, come riferito dai rappresentanti dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (...), circa 90 milioni sono mediamente spesi ogni anno dalla SO.G.I.N. per costi di gestione e per il mantenimento in sicurezza degli impianti, indipendentemente cioè dal procedere delle attività di messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e delle operazioni di decommissioning»;
   come ricordato in precedenza, la Sogin è una società per azioni il cui capitale azionario è nella sua totalità di spettanza del Ministero dell'economia e delle finanze e svolge la propria attività nel rispetto degli indirizzi formulati dal Ministero dello sviluppo economico;
   le nomine dei componenti degli organi sociali delle società direttamente o indirettamente controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze sono definite da un recente pacchetto di norme organiche, con l'intento di stabilire processi trasparenti orientati a una selezione basata su merito e competenza nonché onorabilità e professionalità. Il Ministro designa i componenti sulla base di una procedura curata dal Dipartimento del tesoro con il supporto di società specializzate e previo parere del Comitato di garanzia;
   la nomina del consiglio di amministrazione della SO.G.I.N, inizialmente prevista per il 3 luglio 2013 è stata rinviata al 22 luglio 2013 e successivamente al 6 agosto 2013. Da notizie stampa l'assemblea prevista per la nomina del consiglio di amministrazione della società si svolgerà il 20 settembre 2013;
   nella direttiva ministeriale del 24 giugno 2013 si prevede che il Dipartimento del tesoro per la carica di amministratore delegato, dovrà tenere conto, tra gli altri parametri, anche della «autorevolezza adeguata all'incarico, verificabile sulla base della reputazione, dei risultati conseguiti nei ruoli apicali in precedenza ricoperti nel settore pubblico o privato e della riconoscibilità nei mercati di riferimento»;
   secondo la Corte dei conti (determinazione n. 21/2013 precedentemente citata): «la costituzione della Società stessa (ossia SO.G.I.N.) è da riconnettersi all'esercizio di un'attività di interesse generale, non avente carattere industriale o commerciale, né tantomeno finalità di lucro». In ragione della natura delle attività che la Sogin è chiamata a svolgere, dunque, la necessità di garantire la correttezza, la trasparenza e la migliore funzionalità degli organi sociali è imprescindibile, per cui il mancato rispetto dei «cronoprogrammi delle attività» da parte della medesima società, e la conseguente dilatazione dei tempi per il decommissioning e la messa in sicurezza dei rifiuti nucleari, non possono essere ulteriormente tollerati, in quanto suscettibili di mettere seriamente a rischio la sicurezza e la tutela alla salute di numerosi cittadini ed in particolare di quelli che vivono a ridosso dei siti nucleari;
   secondo quanto risulta agli interroganti sono altresì emerse nel tempo notizie di coinvolgimenti di parte del management di Sogin in episodi che, a prescindere dal rilievo giudiziario, appaiono senz'altro censurabili sotto il profilo dell'opportunità ed in grado di mettere a rischio non soltanto la credibilità e la serietà dell'intera struttura manageriale, ma soprattutto la correttezza delle delicatissime operazioni che la stessa società svolge;
   la situazione descritta e i ritardi e le inefficienze che hanno condotto agli scarsi risultati che le cifre indicate in premessa mostrano, pongono forti dubbi, a giudizio degli interroganti, sulle attività svolte dalla Sogin, nonché sul modus operandi seguito dalla medesima società, finanziata interamente con risorse pubbliche;
   è evidente che il necessario e urgente cambio di rotta nelle operazioni di decommissioning richiede lo sforzo di tutti i soggetti che, oltre alla Sogin, con differenti ruoli, partecipano o intervengono: dalle amministrazioni centrali e locali agli enti di controllo;
   da ultimo, proprio in riferimento alle funzioni di controllo, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha messo in evidenza un altro problema: «le risorse dedicate nell'ISPRA alle funzioni di controllo, già notevolmente ridimensionate nel corso degli anni precedenti, sono giunte ai livelli di guardia e sono oggi necessari provvedimenti urgenti, anche interni all'istituto, affinché questo non divenga un vero e proprio impedimento per le attività di sistemazione dei rifiuti radioattivi e di decommissioning che debbono essere svolte, o non venga addirittura resa inefficace l'indispensabile azione di controllo» –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri in indirizzo in merito a quanto riferito in premessa, sia relativamente alla gestione dei rifiuti radioattivi presenti sul territorio nazionale che sulle inefficienze e sui ritardi del programma di decommissioning imputabili alla Sogin;
   se intendano definire un quadro di misure volte ad accelerare i tempi per la messa in sicurezza dei rifiuti e il decommissioning degli impianti, tenuto conto che, come evidenziato nella Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse, il lavoro di decommissioning «è giunto a poco più di un quarto di strada» e anche i casi più urgenti, come i rifiuti liquidi ad alta attività dell'impianto EUREX di Saluggia, i rifiuti a suo tempo sepolti in trincee nella centrale del Garigliano, i fusti di rifiuti condizionati con metodo inidoneo di Caorso, dovranno attendere, rebus sic stantibus, ancora diversi anni;
   se intendano adottare specifiche misure di competenza al fine di rimediare al fatto che la maggior parte dei rifiuti radioattivi si trovi ancora allo stato in cui sono stati prodotti, senza aver subito le operazioni di condizionamento con le quali i rifiuti vengono inglobati o solidificati in matrici solide inerti, che costituiscono la prima e fondamentale barriera contro la dispersione della radioattività nell'ambiente, tenuto altresì conto che non è ancora stato avviato un serio programma di caratterizzazione dei rifiuti;
   se intendano intervenire, per quanto di competenza, per garantire che le funzioni di controllo in capo all'ISPRA o alle agenzie di protezione ambientale possano essere svolte in condizioni di massima efficacia, anche attraverso lo stanziamento di apposite risorse destinate alle funzioni di controllo in materia;
   se, alla luce dei fallimenti e dei ritardi nelle operazioni e dei conseguenti sprechi di risorse pubbliche di cui si è detto, nonché in ragione della natura delle attività che la Sogin è chiamata a svolgere, intendano garantire, in occasione del rinnovo del consiglio di amministrazione della medesima società, la massima trasparenza e qualità delle procedure di designazione dei componenti degli organi sociali, rafforzando i requisiti di onorabilità e di professionalità degli amministratori, al fine di assicurare, in discontinuità con il passato, una governance efficiente;
   se intendano valutare l'ipotesi di un profondo ripensamento delle attività affidate alla Sogin, nonché della stessa struttura della società, anche attraverso la rimodulazione delle competenze, limitandole alla mera gestione degli impianti, e la definizione di un nuovo metodo di finanziamento i cui oneri non siano posti a carico dei clienti finali del sistema elettrico tramite la componente tariffaria A2. (4-01895)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00184, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Locatelli.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Realacci e altri n. 7-00090, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Borghi, Arlotti.

  La risoluzione in Commissione Pizzolante e altri n. 7-00099, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Airaudo.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Miccoli e altri n. 3-00317, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piazzoni.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-00958 del 9 settembre 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Tartaglione n. 4-01498 del 30 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01044.