Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 12 settembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il sostegno finanziario erogato dagli strumenti della politica agricola comune (PAC) rappresenta per le aziende agricole un contributo indispensabile a garantire adeguati livelli produttivi, a fronteggiare la concorrenza dei Paesi terzi i cui costi di produzione sono molto inferiori a quelli comunitari e a sviluppare pienamente le straordinarie potenzialità di un settore primario che assegna al nostro Paese la leadership mondiale delle produzioni di eccellenza e di qualità;
    l'accordo sulla politica agricola comune per il periodo 2014-2020, raggiunto dalle istituzioni comunitarie nel mese di giugno 2013, definisce gli elementi chiave della riforma che si articola su quattro regolamenti principali riguardanti: i pagamenti diretti, l'organizzazione comune di mercato unica, lo sviluppo rurale e il finanziamento, la gestione e il monitoraggio della politica agricola comune;
    rispetto alle proposte di regolamento presentate dalla Commissione europea nell'ottobre 2011, le modifiche più significative apportate nel corso del negoziato riguardano: l'introduzione del pagamento ridistributivo, la convergenza interna, l'assegnazione di nuovi titoli, il pagamento ecologico o «greening», l'agricoltore attivo e il regime dei pagamenti accoppiati;
    con riferimento alla componente verde dei pagamenti diretti, le novità introdotte escludono dall'obbligo del greening le colture permanenti, quali vigneti, uliveti, frutteti e agrumeti oltre che i prati e pascoli permanenti, prevedono la modulazione dell'obbligo di diversificazione delle colture in base alla superficie aziendale ed introducono l'equivalenza di inverdimento per la quale le pratiche favorevoli all'ambiente già poste in essere, quali quelle biologiche, sostituiscono gli obblighi di sostenibilità ambientale prescritti dal greening;
    al fine di tenere conto della struttura delle rispettive economie agricole, l'accordo politico relativo alle proposte di regolamento sulla nuova politica agricola comune, demanda agli Stati membri una serie di scelte riguardanti l'applicazione della riforma tra cui: l'ampliamento della lista dei soggetti che non possono essere considerati agricoltori attivi, i requisiti minimi per beneficiare dei pagamenti diretti, le percentuali di riduzione dei pagamenti il cui importo supera i 150.000 euro, l'entità del trasferimento delle risorse tra i pilastri, nel rispetto dei massimali stabiliti, l'adozione di un valore medio dei pagamenti diretti a livello nazionale o regionale, i criteri per la prima assegnazione dei diritti all'aiuto, la costituzione di riserve regionali in alternativa alla riserva nazionale, la quota di finanziamento del pagamento ridistributivo, l'entità del sostegno accoppiato,

impegna il Governo:

ad attuare, nell'ambito delle decisioni demandate agli Stati membri, le misure più idonee ad assicurare che l'applicazione della riforma, sia in linea con le peculiarità e le caratteristiche del sistema agricolo italiano e in particolare ad assumere iniziative per:
   adottare un modello di convergenza interna che consenta di uniformare, entro il 2019, i pagamenti diretti agli agricoltori verso il livello medio nazionale, attraverso la fissazione di percentuali fisse decrescenti di anno in anno (dal 2015 al 2019) del massimale da assegnare ai titoli storici e di percentuali fisse crescenti, per i corrispondenti anni, da assegnare ai nuovi titoli, al fine di non penalizzare eccessivamente gli agricoltori con titoli di valore elevato;
   stabilire che il 5 per cento delle risorse del I pilastro sia trasferito a valere sul piano nazionale per la gestione del rischio, a fronte del fabbisogno stimato pari a circa 220 milioni di euro riferito ad avversità ed epizoozie;
   innalzare a 250 euro/azienda la soglia minima per l'accesso al pagamento diretto anche al fine di rendere conveniente l'aiuto rispetto al costo burocratico da sostenere per l'istruzione della pratica;
   valutare gli usi collettivi delle risorse idriche come rilevanti ai fini del greening, in quanto consentono un uso più razionale e ridotto dell'acqua;
   fissare al 25 per cento la percentuale di reddito derivante da attività agricola necessaria per essere considerati «agricoltori attivi» e salvaguardare gli enti pubblici che fanno attività di ricerca e/o didattica;
   attivare il pagamento ridistributivo portando il limite degli ettari ammissibili a 10 in considerazione della dimensione media delle aziende agricole italiane che è pari a 8 ettari;
   attivare il pagamento «flat» per i piccoli agricoltori;
   destinare l'intero massimale del 15 per cento al finanziamento del sostegno accoppiato assicurando che almeno il 2 per cento sia destinato al sostegno della produzione delle colture proteiche;
   con riferimento al cofinanziamento di programmi specifici, destinare, nel settore vitivinicolo, maggiori risorse del piano nazionale di sostegno alle assicurazioni sul raccolto in considerazione della esiguità degli importi previsti pari a circa 20 milioni di euro e ad utilizzare gli importi assegnati al comparto dell'olio per la promozione dell'informazione al consumatore;
   nell'ambito del partenariato europeo per l'innovazione, promuovere la costituzione di gruppi operativi tra enti di ricerca ed agricoltori al fine di rimuovere gli ostacoli ai processi innovativi e a colmare la distanza tra i risultati della ricerca e l'adozione di nuove pratiche e tecnologie da parte degli agricoltori e delle imprese agricole;
   incentivare la diffusione di contratti preliminari attraverso adeguate azioni informative riguardo alle caratteristiche di tali strumenti contrattuali largamente utilizzati in Europa;
   valutare l'opportunità di inserire nel contratto di partenariato linee guida per i piani di sviluppo regionali volti a potenziare la realizzazione di opere innovative nel settore dell'irrigazione e ad incrementare l'occupazione in agricoltura attraverso il finanziamento prioritario di progetti che creano opportunità di impiego;
   escludere dal calcolo dell'ammontare oggetto di riduzione progressiva nell'ambito del «capping» le spese relative ai salari legati all'attività agricola, incluse le tasse e i contributi previdenziali;
   coinvolgere le competenti Commissioni parlamentari nella definizione delle misure di attuazione demandate agli Stati membri al fine di orientare le scelte «politiche» in maniera rispondente alle esigenze degli operatori del settore;
   ridurre la complessità delle procedure nell'ottica di mitigare gli effetti di una politica comunitaria che, concentrata sulla spesa e sul controllo, è più orientata alla conformità alla normativa piuttosto che alla performance e al rendimento, anche al fine di scongiurare un incremento dei costi di gestione per lo Stato, oltre che un onere burocratico complessivo a carico dei beneficiari che potrebbe risultare anche maggiore dell'ammontare del finanziamento concesso.
(1-00182) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Spessotto, Carinelli, Nesci, Ciprini».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    nel settembre del 2000 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato gli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM), sottoscritti dai 191 membri delle Nazioni Unite, tra cui l'Italia, come impegni per la comunità internazionale sui quali improntare l'azione di aiuto pubblico allo sviluppo e che da allora rappresentano il più importante quadro di orientamento per la cooperazione internazionale allo sviluppo;
    si tratta di 8 obiettivi generali che l'intera comunità internazionale si è impegnata a raggiungere entro l'anno 2015: sradicare la povertà estrema e la fame; garantire l'educazione primaria universale; promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; migliorare la salute materna; combattere l'HIV/AIDS; garantire la sostenibilità ambientale; sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo;
    a meno di 1000 giorni dalia data fissata per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, il 1o luglio 2013 è stato presentato a New York il Millennium Development Goals Report 2013, il quale dà conto dei progressi compiuti nel raggiungimento di molti dei target fissati, e soprattutto dei gap che separano dalla meta finale. L'obiettivo di dimezzare la povertà estrema è stato raggiunto: la povertà estrema (legata al reddito) è scesa da oltre 2 miliardi di persone (47 per cento) nel 1990 a meno di 1,4 miliardi di persone (24 per cento) nel 2008. Dal 2010, la povertà legata al reddito è diminuita in tutte le regioni in via di sviluppo nel mondo, inclusa l'Africa subsahariana, che registra ancora i tassi più elevati. L'obiettivo di accesso sostenibile all'acqua potabile è stato ugualmente raggiunto e i miglioramenti delle condizioni di vita dei 200 milioni di abitanti delle baraccopoli hanno superato l'obiettivo corrispondente. Altri obiettivi sono a buon punto, come la fame, la nutrizione e la parità di genere nell'educazione primaria, mentre l'ineguaglianza di genere persiste in generale e le donne continuano a subire discriminazioni;
    in vista del 2015, il segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon ha ricevuto, nel corso del vertice sugli OSM del 2010, l'incarico di lanciare un processo consultivo su un quadro di riferimento per il periodo post-2015. Le Nazioni Unite stanno lavorando in collaborazione con i Governi, la società civile e altri partner alla messa a punto di un'agenda per lo sviluppo post-2015, che tenga conto delle acquisizioni e delle lezioni fin qui apprese e che continui, nel solco tracciato dal vertice di sviluppo del millennio, nella ricerca di prosperità, equità, dignità e pace per tutti;
    in questa prospettiva l'appuntamento dell'Expo 2015 a Milano, dedicato al tema «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», può essere colta dal nostro Paese per proporre in quella sede una iniziativa internazionale di riflessione e confronto che ospiti gli esponenti delle Nazioni Unite e i Governi ai fini dell'elaborazione di un'agenda post-2015 per gli obiettivi del millennio;
    i settori della sicurezza alimentare, dello sviluppo rurale, dell'agricoltura e della nutrizione sono, peraltro, da sempre prioritari per la cooperazione italiana che ha avuto, anche nel tempo, soluzioni e approcci innovativi e rivolge attenzione particolare alle tematiche di genere e all’empowerment delle donne, alla promozione della piccola e media impresa, all'intensificazione sostenibile dell'agricoltura e della zootecnia, a un approccio di filiera o geografico (area-based), alle questioni commerciali, nutrizionali e sociali generalmente collegate all'agricoltura e allo sviluppo rurale;
    Roma è la sede delle principali organizzazioni delle Nazioni Unite che si occupano di sicurezza alimentare, agricoltura e sviluppo sostenibile, quali l'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), il programma alimentare mondiale (WFP) e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), alle quali ci si riferisce anche come il polo agro-alimentare romano;
    la III Commissione della Camera dei deputati ha avviato nel 2008 un'indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del millennio, conclusasi nel 2011, il cui documento conclusivo ha evidenziato lo scostamento del nostro Paese dagli impegni internazionali in tema di destinazione di una percentuale sufficiente di prodotto interno lordo all'aiuto pubblico allo sviluppo (0,19 per cento a fine 2007 a fronte della media dello 0,28 dei Paesi OCSE) di eccessivo sbilanciamento della cooperazione italiana verso il canale multilaterale (circa il 68 per cento a fine 2007) e, a livello generale, ha riscontrato un'elevata frammentazione degli aiuti e una marcata imprevedibilità delle risorse reperite per la cooperazione allo sviluppo a causa, soprattutto, dell'inadeguatezza dell'attuale legislazione a riguardo;
   a questo riguardo, lo sforzo per una riforma ampia, organica e innovativa della cooperazione italiana rimane urgente; d'altra parte, un testo di legge di riforma era stato approvato nella precedente legislatura dalla Commissione esteri del Senato e nell'attuale lo stesso testo è stato di nuovo incardinato nell'altro ramo del Parlamento, in attesa però di un testo governativo che tarda ad arrivare;
    è in corso la periodica Peer Review dell'OCSE sulla efficacia e sull'adeguatezza del nostro sistema di cooperazione internazionale e già si sa che, oltre a ricevere nuovamente l'invito a concludere il processo di riforma della normativa oramai antiquata, l'Italia dovrà constatare di essere ancora lontana dal raggiungere la quota dello 0,7 per cento del reddito nazionale destinato agli aiuti, impegno preso dal Governo italiano a livello internazionale nel 2005, dal momento che nel 2012 il nostro Paese ha investito in assistenza ufficiale allo sviluppo solo lo 0,13 per cento;
    pur avendo il documento di economia e finanza previsto un percorso di graduale riallineamento agli standard internazionali, esistono timori che la legge di stabilità possa tornare indietro rispetto al piccolo ma politicamente significativo incremento dei fondi avvenuto lo scorso anno, mentre è essenziale, per la credibilità dell'Italia, che venga continuato quel percorso di riallineamento e venga rilanciata l'azione di cooperazione internazionale;
    il raggiungimento degli obiettivi del millennio entro la scadenza del 2015, non è solo un imperativo etico di solidarietà verso chi è più svantaggiato ma anche un investimento strategico, per tutti coloro che vi concorrono, a favore della pace, della stabilità e sicurezza a livello globale,

impegna il Governo:

   a verificare attivamente la possibilità che si organizzi in seno ad Expo 2015 uno spazio di riflessione e confronto tra gli esponenti delle organizzazioni internazionali e dei Governi che sia un momento conclusivo del dibattito sulla definizione dei futuri obiettivi di sviluppo del millennio, in collegamento coi seguiti della Conferenza di Rio sullo sviluppo sostenibile, che si svolgerà nel corso di quello stesso anno;
   a rappresentare la necessità che nelle sedi internazionali si rafforzi l'applicazione dei principi di coerenza ed efficacia degli aiuti, nel solco degli obiettivi del millennio, proponendo forme di razionalizzazione e coordinamento tra le azioni dei diversi donatori e aumentando il monitoraggio degli interventi, l'analisi dei risultati e dell'impatto effettivo sullo sviluppo, anche al fine di innalzare l'ancora insufficiente grado di trasparenza e accountability dell'aiuto pubblico internazionale;
   a concentrare e a rafforzare gli sforzi su alcuni specifici settori e obiettivi, nonché su alcuni Paesi mantenendo la leadership e l'attenzione nel campo della sicurezza alimentare sia con il rilancio del polo alimentare a Roma, che con lo sviluppo delle tematiche di Expo 2015;
   a mantenere nella prossima definizione della legge di stabilità l'impegno al graduale riallineamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano agli standard internazionali escludendo in ogni caso una riduzione delle risorse destinate a questo fine rispetto a quelle stanziate lo scorso anno e anzi provvedendo all'atteso e necessario graduale incremento;
   a favorire, per quanto di competenza, la definizione di una riforma organica della legge sulla cooperazione allo sviluppo portando avanti l'iniziativa governativa annunciata ovvero collaborando con il Parlamento nell’iter di indispensabile definizione di una normativa innovativa e moderna del settore;
   ad assicurare comunicazioni periodiche al Parlamento in materia di aiuto pubblico allo sviluppo attraverso una definizione degli indirizzi strategici e delle priorità di azione, una programmazione pluriennale degli investimenti, un puntuale rendiconto delle risorse stanziate e dei risultati operativi conseguiti, così da garantire una valutazione della coerenza e dell'efficacia delle politiche in materia di cooperazione allo sviluppo e, più in generale, di promozione degli obiettivi di sviluppo del millennio.
(7-00092) «Quartapelle Procopio».


   La V Commissione,
   premesso che:
    il Ministro dell'economia e delle finanze dal G-20 di Mosca e lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri hanno ufficializzato che il Governo procederà alla messa sul mercato delle residue quote pubbliche delle grandi imprese ENI, ENEL, FINMECCANICA: ma le intenzioni di privatizzazione riguardano anche POSTE, FERROVIE, FINCANTIERI, le reti del gas e della luce di Snam e Terna (la prima già ceduta alla Cassa, la seconda oggi quotata e in parte sul mercato), i binari di Rfi, i fili e i tubi della Telecom;
    tale svendita di ciò che resta del patrimonio pubblico italiano serve secondo il Governo ad abbassare radicalmente lo stock del debito, come già fatto a partire dagli anni ’90, ma senza alcun apprezzabile risultato. In realtà si tratta di una regalia ai cosiddetti mercati, affinché si astengano da ulteriori speculazioni;
    questo patrimonio sarà acquistato dagli stessi soggetti finanziari e imprenditoriali che controllano il debito pubblico italiano e che su di esso hanno speculato;
    tali grandi aziende costituiscono il tessuto connettivo dell'economia del paese e sono tutte strategiche per la loro funzione attuale e per quella che potranno svolgere in futuro nella ristrutturazione ecologica, civile e tecnologica del sistema economico italiano. Esse sono state costruite con il lavoro e le tasse di 4 o 5 generazioni di italiani lungo il corso di oltre un secolo: i proprietari delle quote residue in mano allo Stato sono dunque i cittadini italiani che non possono essere espropriati della possibilità di decidere sul loro assetto attuale e futuro;
    società pubbliche predette sono strategicamente rilevanti per il posizionamento dell'industria nazionale, in un quadro di definizione degli equilibri di mercato interno e internazionale;
    il bilancio dello Stato è positivamente ristorato dagli tali derivanti dalle profittevoli attività dei gruppi di imprese facenti capo alle succitate attività;
    la cessione di tali asset va, senza dubbio alcuno, a detrimento dei rispettivi indotti, i quali vedrebbero sottrarsi il proprio mercato a favore di non meglio precisati equilibri internazionali, con conseguenze drammatiche per i livelli occupativi del paese;
    l'autorevolezza e la credibilità nonché la stabilità dell'intero comparto industriale manifatturiero dipende dalla possibilità dello Stato di influire sulle scelte strategiche operate in seno a FINMECCANICA;
    il controllo della politica energetica nazionale operato attraverso ENI ed ENEL è assolutamente imprescindibile ai fini della razionalizzazione sia delle politiche di sviluppo industriale che di tutela e uso del territorio,

impegna il Governo:

   a non procedere alla messa sul mercato delle residue quote pubbliche delle grandi società partecipate dallo Stato;
   ad adottare un piano di ottimizzazione delle società partecipate dello Stato al fine di valorizzarle e renderle competitive nel mercato interno ed internazionale.
(7-00094) «Caso, Vallascas, Castelli, D'Incà, Brugnerotto, Cariello, Currò, Sorial, Crippa, Della Valle, Da Villa, Fantinati, Mucci, Petraroli, Prodani».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    l'attività motoria è uno degli elementi più importanti per il benessere fisico della persona, prima ancora che negli adulti lo è in età evolutiva poiché segna un tassello fondamentale per uno sviluppo sano, fisico e psichico;
    l'attività motoria, legata ad una sana alimentazione, aiuta infatti il bambino ad un migliore sviluppo fisico e psicologico: favorisce la mobilità articolare, migliora la coordinazione, riduce il rischio di obesità, ha notevole importanza nella prevenzione primaria e secondaria. Educa anche ad un buon controllo emotivo, migliorando l'autostima, aumentando le capacità di socializzazione e di autonomia;
    l'attività motoria praticata dai bambini, in maniera corretta, previene, inoltre, molte malattie dell'età adulta (ipertensione, ipercolesterolemia, malattie cardiache, obesità, diabete, alcuni tumori), oltre a permettere di sperimentare appieno i vari stimoli sensoriali, orientamento e identificazione con l'ambiente in cui il bambino vive;
    in Italia, come in quasi tutti i paesi industrializzati, il numero dei bambini in sovrappeso è in costante aumento e non si può dimenticare che l'obesità infantile comporta conseguenze importanti: innanzitutto l'aumentato rischio di diabete, ma anche l'incremento della pressione arteriosa (che, contrariamente a quanto comunemente si crede, non risparmia affatto questa fascia d'età) e della patologia ossea ed articolare, oltre che, non ultime, conseguenze psicologiche deleterie, in quanto obesità e sedentarietà influenzano negativamente l'autonomia e la socialità del bambino;
    in Italia il 30-40 per cento della popolazione non pratica attività fisica, e tra i bambini la sedentarietà si aggira tra il 15 e il 20 per cento già nella fascia compresa tra i 3 e i 5 anni. Secondo i dati dello studio HBSC, in Veneto il 5 per cento dei ragazzi di 11 anni sono obesi e il 21 per cento in sovrappeso, quindi circa 1 bambino su 4 ha un peso superiore alla norma;
    è innegabile, quindi, che l'attività motoria rivesta un'importanza fondamentale nella vita di un bambino, è anche per tali ragioni che esistono corsi, quale il diploma di insegnante ISEF oppure la laurea in scienze motorie che preparano all'insegnamento dell'attività motoria, sportiva e adattata anche in rapporto alle diverse età di sviluppo dell'uomo;
    è interessante notare come solo il 26,55 per cento dei laureati in scienze motorie con titolo triennale, è impiegato in un settore pertinente col titolo di studio;
    nella scuola primaria – bambini che vanno da 6-11 anni – l'attività motoria settimanale è obbligatoria per i bambini, tuttavia essa non è spesso condotta da insegnati che abbiano una conoscenza ampia della materia;
    spesso, infatti, l'ora di attività motoria è gestita da insegnanti non specializzati nella materia che, pur impegnandosi per permettere ai bambini di svolgere al meglio le ore settimanali dedicate all'attività fisica, non hanno a disposizione tutti gli strumenti per fornire al bambino quegli input motori e fisici che solo un esperto della materia saprebbe dare;
    per ovviare a queste lacune spesso le scuole si organizzano in autonomia attraverso progetti che affidano la gestione delle ore di attività motoria a organizzazioni esterne alla scuola; tuttavia, sarebbe importante che personale laureato in scienze motorie o fisiche trovi collocazione all'interno della scuola primaria per l'insegnamento di quella che è un'attività fondamentale per il bambino,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a prevedere che le lezioni di attività motoria, specie nelle scuole primarie, siano svolte da professionisti della materia diplomati all'Isef o laureati in scienze delle attività motorie e sportive;
   ad assumere iniziative per prevedere che il diplomato ISEF o laureato in scienze motorie sia inserito nella scuola primaria come docente di ruolo;
   a promuovere anche in sede scolastica la conoscenza dei benefici derivanti dall'attività fisica sul bambino, sul suo futuro sviluppo nonché come prevenzione per molte patologie dell'età adulta.
(7-00095) «Simone Valente, Gallinella, Marzana, Brescia, Luigi Gallo, D'Uva, Battelli, Di Benedetto, Vacca, Chimienti, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Ciprini».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è ritenuta dalla comunità scientifica uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo e ne è dimostrazione pratica la frequenza dei terremoti che hanno storicamente interessato il suo territorio e l'intensità che alcuni di essi hanno raggiunto, determinando un impatto sociale ed economico rilevante;
    i terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economicamente consistenti, valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro, che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale e soprattutto la perdita di vite umane;
    in Italia, il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l'energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri Paesi ad elevata sismicità, quali la California o il Giappone. Ad esempio, il terremoto del 1997 in Umbria e nelle Marche ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32.000; danno economico: circa 10 miliardi di euro) confrontabile con quello della California del 1989 (14.5 miliardi di dollari USA), malgrado fosse caratterizzato da un'energia circa 30 volte inferiore. Ciò è dovuto principalmente all'elevata densità abitativa e alla notevole fragilità del nostro patrimonio edilizio;
    le conseguenze di un terremoto, tuttavia, non sono sempre gravi: molto dipende infatti, dalle caratteristiche di resistenza delle costruzioni alle azioni di una scossa sismica. Questa caratteristica, o meglio la predisposizione di una costruzione ad essere danneggiata da una scossa sismica, si definisce vulnerabilità. Quanto più un edificio è vulnerabile (per tipologia, progettazione inadeguata, scadente qualità dei materiali e modalità di costruzione, scarsa manutenzione), tanto maggiori saranno le conseguenze che ci si deve aspettare in seguito alle oscillazioni cui la struttura sarà sottoposta;
    infine, la maggiore o minore presenza di beni a rischio e, dunque, la conseguente possibilità di subire un danno (economico, in vite umane, ai beni culturali, e altro), viene definita esposizione (di vite umane, beni economici, beni culturali);
    il rischio sismico è determinato da una combinazione della pericolosità, della vulnerabilità e dell'esposizione ed è la misura dei danni che, in base al tipo di sismicità, di resistenza delle costruzioni e di antropizzazione (natura, qualità e quantità dei beni esposti), ci si può attendere in un dato intervallo di tempo;
    in Italia, possiamo attribuire alla pericolosità sismica un livello medio-alto, per la frequenza e l'intensità dei fenomeni che si susseguono. La Penisola italiana, però, rispetto ad altri la California o il Giappone, nei quali la pericolosità è anche maggiore, ha una per la notevole fragilità del suo patrimonio edilizio, nonché del sistema infrastrutturale, produttivo e delle reti dei servizi. Il terzo fattore, l'esposizione, si attesta su valori artistico e monumentale unico al mondo. In questo senso è significativo l'evento del 1997 in Umbria e Marche, che ha fortemente danneggiato circa 600 chiese e, emblematicamente, la Basilica di S. Francesco d'Assisi;
    l'Italia è dunque un Paese ad elevato rischio sismico, inteso come perdite attese a seguito di un terremoto, in termini di vittime, danni alle costruzioni e conseguenti costi diretti e indiretti;
    il primo obiettivo di un programma generale di protezione dai terremoti è la vita umana. Per questa ragione è molto importante valutare il numero delle ossia dei morti e dei feriti;
    i motivi che determinano la perdita di vite umane possono essere di diverso tipo: crollo di ponti e altre costruzioni, ma anche incidenti stradali, attacchi di cuore ed altro. A questi si quelli legati a fenomeni innescati dal terremoto, come cadute di rocce, frane, inondazioni e incendi. Da alcune statistiche effettuate sui principali terremoti nel è stato rilevato che circa il 25 per cento dei morti causati da un terremoto sono dovuti a danni non strutturali degli edifici e a fenomeni successivi al terremoto e innescati da questo;
    il rischio sismico, oltre quindi al verificarsi del fenomeno fisico, è uomo;
    poiché non è possibile prevedere il verificarsi dei terremoti, l'unica strategia applicabile è quella di gli effetti del fenomeno sull'ambiente antropizzato, attuando adeguate politiche di e riduzione del rischio sismico;
    la protezione civile ha stilato le norme di comportamento in caso di terremoto. Nel decalogo si trovano i comportamenti da tenere prima, durante e dopo il sisma. Ma viene anche spiegato il ruolo del singolo cittadino:
   «Prima del terremoto:
    informarsi sulla classificazione sismica del comune in cui risiedi. Informarsi sulle norme da adottare per le costruzioni, a chi fare riferimento e quali misure sono previste in caso di emergenza;
    informarsi su dove si trovano e su come si chiudono i rubinetti di gas, acqua e gli interruttori della luce. Tali impianti potrebbero subire danni durante il terremoto;
    evita di tenere gli oggetti pesanti su mensole e scaffali particolarmente alti. Fissare al muro gli arredi più pesanti perché potrebbero cadere addosso;
    tenere in casa una cassetta di pronto soccorso, una torcia elettrica, una radio a pile, un estintore ed assicurati che ogni componente della famiglia sappia dove sono riposti;
    a scuola o sul luogo di lavoro informarsi se è stato predisposto un piano di emergenza. Perché seguendo le istruzioni si può collaborare alla gestione dell'emergenza;
   Durante il terremoto:
    prima di tutto mantenere la calma e sapere come comportarsi;
    se si è in luogo chiuso cercare riparo nel vano di una porta inserita in un muro portante (quelli più spessi) o sotto una trave. Possono proteggere da eventuali crolli;
    ripararsi sotto un tavolo. È pericoloso stare vicino ai mobili, oggetti pesanti e vetri che potrebbero cadere addosso;
    non precipitarsi verso le scale e non usare l'ascensore. Talvolta le scale sono la parte più debole dell'edificio e l'ascensore può bloccarsi e impedire di uscirne;
    se si è in auto, non sostare in prossimità di ponti, di terreni franosi o di spiagge. Potrebbero lesionarsi o crollare o essere investiti da onde di tsunami;
    se si è all'aperto, allontanarsi da costruzioni e linee elettriche. Potrebbero crollare;
    stare lontani da impianti industriali e linee elettriche. È possibile che si verifichino incidenti;
    stare lontani dai bordi dei laghi e dalle spiagge marine. Si possono verificare onde di tsunami;
    evita di andare in giro a curiosare e raggiungere le aree di attesa individuate dal piano di emergenza comunale. Bisogna evitare di avvicinarsi ai pericoli;
    evitare di usare il telefono e l'automobile. È necessario lasciare le linee telefoniche e le strade libere per non intralciare i soccorsi;
   Dopo il terremoto:
    assicurarsi dello stato di salute delle persone attorno a te. Così si aiuta chi si trova in difficoltà e si agevola l'opera di soccorso;
    non cercare di muovere persone ferite gravemente. Si potrebbe aggravare le loro condizioni;
    uscire con prudenza indossando le scarpe. In strada si potrebbe rimanere ferito con vetri rotti e calcinacci;
    raggiungere uno spazio aperto, lontano da edifici e da strutture pericolanti. Potrebbero cadere addosso;

  Il ruolo del cittadino: norme di comportamento;
   conoscere e seguire alcune semplici regole di comportamento può aumentare la sicurezza nei confronti del terremoto. Il primo passo è guardarsi intorno e identificare nella abitazione tutto ciò che in caso di terremoto può trasformarsi in un pericolo. La maggioranza delle persone pensa che le vittime di un terremoto siano provocate dal crollo degli edifici. In realtà, molte delle vittime sono ferite da oggetti che si rompono o cadono su di loro, come televisori, quadri, specchi, controsoffitti. Alcuni accorgimenti poco costosi e semplici possono rendere più sicura la casa in cui si vive:
    allontanare mobili pesanti, come le librerie, da letti o divani o posti dove normalmente ci si siede;
    utilizzare per appendere i quadri i ganci chiusi, che impediscano loro di staccarsi dalla parete;
    mettere gli oggetti pesanti sui ripiani bassi delle scaffalature e fissare gli oggetti sui ripiani alti con del nastro biadesivo;
    fissare alle pareti scaffali, librerie e altri mobili alti;
    in cucina, utilizzare un fermo per l'apertura degli sportelli del mobile dove sono contenuti piatti e bicchieri, in modo che non si aprano durante la scossa;
    fissare gli apparecchi elettronici, stereo, computer, ai ripiani con del nastro di nylon a strappo;

  se si abita in zona sismica:
   è necessario conoscere quale sia la classificazione sismica del territorio in cui vivi chiedendolo all'Ufficio tecnico del tuo comune o alla regione. Tutte le nuove abitazioni, costruite dopo la data in cui il comune è stato classificato, devono essere state costruite rispettando la normativa antisismica;
   sapere se esiste un piano di protezione civile comunale e prendere visione di ciò che prevede (es. quale è l'area di raccolta per la popolazione, l'area degli insediamenti di emergenza, i mezzi a disposizione, e altro), altrimenti sollecitare il Sindaco a provvedere;
   conoscere come è stata costruita la casa in cui si abita e soprattutto verificare: se la casa è stata progettata e realizzata con criteri antisismici, se sono stati fatti interventi per renderla più resistente, se occorre intervenire per rinforzarla, anche utilizzando i fondi appositamente stanziati per il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio;
   in famiglia: È opportuno organizzare un piano di emergenza famigliare ed assicurarsi che: non vi siano oggetti pesanti su mensole o scaffali alti, gli arredi più pesanti siano ancorati al muro, in casa ci sia una cassetta di pronto soccorso, una torcia elettrica, una radio a pile, un estintore e che tutti sappiano dove si trovano, tutti sappiano dove sono e come si chiudono i rubinetti di gas e acqua e l'interruttore generale della luce;
   a scuola e lavoro: è opportuno, inoltre, sapere se a scuola e sul luogo di lavoro è stato un piano di emergenza e quale è il compito a assegnato ai responsabili e la condotta da tenere»;
   la riduzione del rischio sismico, quindi, passa anche attraverso il fornire una corretta percezione del rischio sismico alla popolazione al fine di consentire una corretta presa di coscienza del problema. Le misure per la mitigazione del rischio non devono e non possono essere totalmente delegate alle istituzioni e/o alle normative (che comunque dobbiamo impegnarci a migliorare di continuo). Tutti da semplici cittadini siamo chiamati prima di tutto a comprendere il fenomeno perché da una corretta conoscenza del fenomeno inizia la mitigazione del rischio sismico al quale siamo tutti esposti. L'azione dello Stato deve essere perciò accompagnata dalla funzione attiva dei cittadini, resi consapevoli delle caratteristiche di sismicità del territorio in cui vivono, per lo sviluppo di una efficace prevenzione degli effetti del terremoto, a partire dal recupero in chiave antisismica dell'edilizia esistente ed intervenendo sulla popolazione con una costante ed azione di informazione e sensibilizzazione;
   la consapevolezza si diffonde attraverso campagne di informazione, attività di didattica nelle scuole ed attraverso il recupero della memoria storica e tecnico-scientifica sulle conseguenze dei maggiori terremoti italiani. Fondamentale, inoltre, la conoscenza delle principali norme di comportamento da tenersi prima, durante e dopo un terremoto, che possono aiutare a mitigare le conseguenze del terremoto sulla popolazione,

impegna il Governo:

   con il concerto del Ministero dell'ambiente e del Ministero della Cultura, della protezione civile e dell'INGV, ad utilizzare lo strumento della «Pubblicità Progresso» attraverso le reti TV, Radio e siti web, per diffondere le norme di comportamento da tenersi prima, durante e dopo un terremoto;
   a utilizzare per la copertura economica di tale campagna informativa il fondo già a bilancio al cap. 563 «Finanziamento di progetti di comunicazione a carattere pubblicitario delle amministrazioni dello Stato, ritenuti di particolare utilità sociale o di interesse pubblico» inserito nel bilancio di previsione 2013 della Presidenza del Consiglio pubblicato nel S.O n. 5 della Gazzetta Ufficiale 16 gennaio 2013.
(7-00091) «Terzoni, Segoni, Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Tofalo, Zolezzi».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il 29 e 30 maggio scorso, sono state approvate una serie di proposte avanzate dal Commissario europeo per i trasporti, Siim Kallas, sulla nuova revisione delle linee guida, della rete transeuropea di trasporti unificata TEN-T, con l'obiettivo di migliorare i nodi europei attualmente esistenti di strade, ferrovie, aeroporti e canali;
    gli accordi raggiunti, in attesa di essere approvati dal Parlamento europeo, sono volti a realizzare una solida rete europea di trasporto nei 28 Stati membri, in considerazione dell'importanza che il medesimo settore rappresenta a livello continentale, essendo un «volano» fondamentale per la crescita economica europea;
    le suddette proposte, che intendono modificare la proposta COM(2011)650 di regolamento sugli orientamenti dell'Unione europea per la rete transeuropea di trasporto (TEN-T), presentata il 19 ottobre 2011, secondo quanto dichiarato dal medesimo responsabile europeo dei trasporti della Commissione europea, consentiranno di collegare Europa orientale e occidentale ed inoltre, a suo giudizio, costituiscono un passo importante verso la costruzione di una nuova rete di trasporto che costituirà la testa di ponte per incrementare la crescita e la competitività nel mercato unico europeo;
    all'interno delle misure presentate, ed in particolare negli allegati pubblicati dal sito internet dell'Unione europea, si rilevano tuttavia una serie di criticità e di ridimensionamenti nelle programmazioni delle attività connesse alla realizzazione delle infrastrutture di collegamento nel Mezzogiorno d'Italia ed in particolare nei confronti della Sicilia e della Calabria, che appaiono in netta controtendenza con le soddisfazioni espresse dal Commissario europeo Kallas;
    l'impostazione sviluppata a doppio strato della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) consistente in una rete globale («comprehensive network») e in una rete centrale («core network»), che costituisce la base essenziale della nuova rete di trasporti proposta, ha infatti previsto un depotenziamento complessivo ed una riduzione degli investimenti nei riguardi delle suddette regioni meridionali, i cui limiti strutturali più evidenti coinvolgono: l'attraversamento dello Stretto e le «autostrade del mare»;
    nell'ambito delle infrastrutture esistenti e di quelle programmate dai documenti riportati all'interno degli allegati relativi all'accordo tra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo, emergono infatti una serie di limiti all'interno della rete core e della rete comprehensive, che includono in maniera negativa la rete ferroviaria Bari-Napoli, la linea Salerno-Reggio Calabria, con il proseguimento Messina-Catania-Palermo;
    ulteriori previsioni di depotenziamento dei servizi di collegamento infrastrutturali nei confronti delle aree siciliane e calabresi, si evincono inoltre dall'assenza di misure relative ai nodi urbani per lo sviluppo sia nell'area dello Stretto, che nei riguardi delle città di Messina e di Reggio Calabria, nel cui capoluogo calabrese peraltro non è prevista la realizzazione neanche di un interporto;
    gli interventi di ridimensionamento infrastrutturali per lo sviluppo di tutte le modalità di trasporto nei riguardi della Sicilia ed in particolare nell'area dello Stretto, contenuti all'interno della nuova rete transeuropea di trasporto, appaiono tuttavia in contrasto con quanto dichiarato dal Sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti Rocco Girlanda, il quale in sede di risposta all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00113, il 3 luglio 2013, ha sostenuto che la pianificazione degli investimenti (ferroviari) nel Mezzogiorno è coerente con il nuovo assetto della rete transeuropea di trasporto in corso di definizione, anche nella prospettiva di sviluppo indicata a livello europeo sugli assi individuati come prioritari e che costituiranno la cosiddetta core network;
    le proposte approvate dalla Commissione europea lo scorso 29 e 30 maggio sulla nuova rete transeuropea di trasporto, con riferimento alle decisioni riguardanti le regioni meridionali dell'Italia, rischiano pertanto, di accrescere ulteriormente il divario esistente sia fra Nord e il Sud della penisola, ma anche fra il Mezzogiorno d'Italia ed il resto dell'Europa in particolare nei confronti dei Paesi euro-mediterranei;
    il documento di programmazione europea TEN-T, non considera infatti in maniera adeguata, gli obiettivi della politica di coesione economica, sociale e territoriali stabiliti dalla Strategia di Lisbona, tra le cui priorità, rientra il potenziamento delle reti infrastrutturali finalizzate soprattutto a creare omogeneità e integrazione tra territori, puntando proprio sull'integrazione della rete come attività di completamento;
    le decisioni stabilite in ambito europeo sulla nuova rete transeuropea di trasporto, non considerano pertanto, in modo idoneo ed equilibrato la Sicilia e l'intera area dello Stretto, che rientrano a pieno titolo nella programmazione pluriennale delle risorse da impiegare per la costruzione del corridoio 5 (Helsinki-La Valletta), per i collegamenti di alta velocità e alta capacità;
    il suddetto corridoio 5 rappresenta infatti, il nodo più meridionale della rete dell'intera area del bacino del Mediterraneo ed assolve all'importantissima funzione di raccordare aree periferiche del continente europeo;
    interventi radicali volti a rivedere le proposte di modifica di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (n. COM(2011)650), risultano in definitiva, necessari ed indispensabili nei riguardi del Mezzogiorno ed in particolare della Sicilia, che rappresenta storicamente una piattaforma logistica del Mediterraneo essenziale e fondamentale per lo sviluppo e la competitività del commercio e delle relazioni internazionali,

impegna il Governo:

   ad intervenire in tempi rapidi in sede comunitaria, al fine di modificare le proposte approvate lo scorso 29 e 30 maggio 2013 in ambito europeo, sulla nuova rete transeuropea di trasporto, con particolare riferimento alle decisioni intraprese nei confronti della regione siciliana e dell'area dello Stretto;
   ad adottare in conseguenza di quanto suddetto, ogni iniziativa al fine di evitare, che gli accordi raggiunti sulla definizione della nuova programmazione delle attività di sviluppo di interconnessione delle reti TEN-T indicati dalla Commissione europea, ove fossero approvati in via definitiva, possano accrescere ulteriormente il crescente gap infrastrutturale e socio-economico, fra l'area settentrionale e meridionale dell'Italia, ampliando inoltre il divario di una quota rilevante di aree del Mezzogiorno già sconnesse al resto d'Europa.
(7-00093) «Garofalo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati recentemente diffusi da Federturismo Confindustria, gli introiti dell'estate turistica italiana appena trascorsa sono salvi solo grazie all'affluenza degli stranieri;
   infatti il calo delle presenze e la contrazione della spesa pro capite del 7 per cento rispetto all'anno scorso hanno seriamente minacciato la stagione estiva 2013: il 30 per cento degli italiani ha preferito le località marittime della Sicilia, Puglia e Sardegna e all'estero ha scelto Grecia, Croazia e Baleari optando per un soggiorno di una settimana in strutture alberghiere;
   questa tendenza è già stata fotografata dalla Banca d'Italia nel rapporto mensile sul turismo internazionale del giugno 2013, in base al quale le spese dei viaggiatori stranieri in Italia, per 3.443 milioni, sono aumentate del 5,5 per cento mentre quelle dei viaggiatori italiani all'estero, per 1.721 milioni, sono cresciute del 6,6 per cento rispetto all'anno precedente;
   per la Federazione dell'industria turistica «è evidente che la situazione di crisi generalizzata e la minore capacità di spesa degli italiani richiedono urgenti provvedimenti da parte del governo per migliorare l'attrattività dell'Italia e dei suoi prodotti sui mercati internazionali, individuando quelle risorse indispensabili per sostenere gli attrattori fondamentali come la cultura e il paesaggio»;
   l'esecutivo presieduto dal Presidente Letta finora, secondo l'interrogante, non si è interessato seriamente al comparto turistico, volano per la ripresa economica del Paese, avendo esso contribuito nel 2012 al prodotto interno lordo (Pil) con oltre 130 miliardi di euro e con circa 2,2 milioni di persone occupate;
   il Governo in carica, infatti, si è limitato a trasferire, con l'articolo 1 della legge n. 71 del 2013 di conversione del decreto «omnibus» sull'emergenza ambientale (n. 43 del 2013), le funzioni del dipartimento del turismo dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (commi 2-8), congelando di fatto l'operatività amministrativa del dipartimento stesso;
   quest'intervento ha causato la paralisi delle attività per le complesse procedure di trasferimento al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo delle risorse umane, strumentali e finanziarie del dipartimento. I tempi del trasferimento, infatti, sono estremamente lunghi perché, dopo l'emanazione del previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, tutte le risorse allocate al dipartimento dovranno essere versate al Ministero dell'economia e delle finanze che successivamente dovrà ritrasferirle agli altri dicasteri sui quali ricadranno le azioni pianificate dal dipartimento;
   inoltre, dovrà essere creata una struttura apposita presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, circostanza che richiederà ulteriore tempo;
   la lentezza burocratica determinata dal provvedimento governativo rischia di bloccare per almeno 6 mesi oltre 100 milioni di euro di trasferimenti alle regioni per progetti di eccellenza, 8 milioni per le reti d'impresa, 10 milioni per i progetti innovativi degli enti locali, circa 5 milioni per gli ultimi 2 anni di contributi ad enti locali e associazioni per la promozione del turismo, quasi 5 milioni per i buoni vacanze, 3 milioni per circa 2000 pratiche di rimborso ai consumatori per il fondo di garanzia, 6 milioni per l'alta formazione professionale e 10 milioni per la programmazione di fondi strutturali;
   a rischio anche l'operatività dell'Agenzia per il turismo-Enit, con il «congelamento» delle risorse fondamentali per la realizzazione delle agevolazioni per il rilascio dei visti turistici (circa un milione e 600mila euro) e per la promozione dell'Expo 2015 (circa 3 milioni di euro);
   la mancanza di una strategia governativa per il settore turistico è evidente anche dal mancato utilizzo del primo piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia (noto come Turismo Italia 2020), previsto dal decreto «crescita-bis» (n. 179 del 2012) e presentato nel mese di febbraio 2013 dall'allora Ministro del turismo e lo sport del Governo Monti, Piero Gnudi;
   il documento presenta un'analisi approfondita e ambiziosa del settore, indicando sette linee guida e proponendo 61 azioni specifiche, da realizzare in un periodo compreso tra i 3 mesi e i 5 anni, per raggiungere l'obiettivo di cinquecentomila nuovi posti di lavoro e l'incremento di 30 miliardi del contributo al prodotto interno lordo del settore turistico (nello specifico da 134 a 164 miliardi);
   secondo le stime contenute nel piano, quest'ultimo obiettivo sarebbe raggiungibile con l'incremento dei ricavi relativi al turismo internazionale che passerebbero da 44 a 74 miliardi di euro, mentre si prevede una sostanziale tenuta del turismo nazionale che resterebbe a 90 miliardi di euro;
   il piano potrebbe essere operativo immediatamente, mediante l'adozione di quattro diversi tipi di iniziative: provvedimenti legislativi, assegnazione di finanziamenti a favore di strumenti già esistenti, azioni da parte del Ministro competente e azioni complessive dell'Esecutivo –:
   quali siano le misure che il Governo intenda promuovere a sostegno e per il rilancio del settore turistico;
   se s'intenda evitare che il piano turismo Italia 2020 diventi lettera morta, adottando le iniziative conseguenti;
   se l'Enit possa esercitare le sue funzioni correttamente senza ricevere adeguate risorse finanziarie e con il rischio della temporanea sospensione di una parte fondamentale di queste ultime. (5-00998)


   DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio agrario di Milano e Lodi nasce nel 1902 come società cooperativa per fornire servizi agli agricoltori. L'azienda in origine forniva ai suoi soci cereali, farine e foraggi per realizzare le prime miscelazioni. Il passo successivo ha riguardato la meccanizzazione agricola allora agli albori, con la costituzione della prima officina meccanica a Lodi. Negli anni ’30 si pensò di introdurre il concetto di «integratori» che spianarono la strada all'odierna mangimistica. Negli anni ’70 infatti nasce il Centro produzioni mangimi di Melegnano, tuttora attivo;
   oggi il Consorzio agrario di Milano e Lodi è una realtà commerciale con competenza in settori tipici per il sostegno ed il progresso del mondo agricolo: sementi, concimi, antiparassitari, macchine agricole, materie prime, mangimi, carburanti e lubrificanti, prodotti per l'hobbistica. Si tratta di un'azienda con un fatturato di oltre 100 milioni di euro, 14 sedi sul territorio delle province di Milano e Lodi e 1 sul territorio di Brescia, 4 negozi, circa 1.850 soci ed oltre 200 collaboratori fra diretti e indiretti;
   l'universo di questa grande cooperativa è poco conosciuto. Pochi sanno che nel corso degli anni il Consorzio agrario ha voluto ampliare la gamma di servizi rivolti agli agricoltori ed oggi infatti comprende le seguenti società partecipate, ugualitarie e strategiche: CONSORTER S.R.L. società che distribuisce macchine movimento terra e da cantiere in genere; AGRISICURA S.R.L società operante in tutti i rami assicurativi con prodotti FATA; CONSORZIO AGRISERVIZI LOMBARDO S.R.L. società che distribuisce macchine agricole a marchio diverso dalla New Holland; AGRICOLA SEMENTI S.R.L. società di servizio;
   il Consorzio agrario ha attualmente un passivo di oltre 45 milioni di euro; lo scorso aprile, i funzionari di Coldiretti, al vertice del Consorzio, hanno presentato ai giudici un piano di rientro con le indicazioni sul reperimento dei soldi da dare a «futuri ex dipendenti», banche e creditori. A quel punto il Consorzio di Milano cesserà di esistere;
   a segnalare già forti anomalie nell'amministrazione del Consorzio è stata Confagricoltura, tramite il presidente Antonio Boselli, che nel 2011 si rifiutò di firmare il bilancio che da anni si chiudeva in rosso, con milioni di crediti verso soci (padroni-clienti-coltivatori) – 18 milioni nel bilancio 2011 non recuperati – e intanto l'esposizione debitoria aumentava e il patrimonio veniva spolpato con vendite di immobili;
   per via della mutualità prevalente, i proprietari del Consorzio agrario, ovvero gli agricoltori facenti parte del Consiglio di amministrazione, rappresentano nel contempo il principale cliente del Consorzio stesso. Un conflitto di interessi che fa nascere ragionevolmente dei dubbi sulla reale efficacia del recupero crediti e dell'intera gestione aziendale;
   la dismissione più clamorosa è stata quella della sede storica di via Ripamonti 35/37. L'edificio è stato ceduto a un fondo immobiliare, Agris, in cambio della cessione di una ipoteca, quote del fondo stesso e scarsa liquidità. Svendita che avrebbe dovuto far entrare nelle casse denaro «fresco» per far fronte alla mancanza di liquidità, mancanza che non ha permesso però di pagare i fornitori che di conseguenza hanno bloccato i rifornimenti. Tale situazione ha portato al progressivo svuotamento dei magazzini di vendita ed al blocco dell'attività;
   a guidare l'azienda, il cui scopo è contribuire all'innovazione ed al miglioramento della produzione agricola nonché alla predisposizione di servizi utili all'agricoltura attraverso il sostegno ai 1.850 soci, da poco è stato chiamato Eugenio Torchio, delegato confederale di Cremona Coldiretti, a cui spetta il compito di portare a termine il concordato in bianco ed evitare il fallimento vero e proprio;
   nel declino irreversibile del Consorzio destinato a cessare di esistere dopo più di 110 anni di vita, la questione occupazionale è quella che desta le maggiori preoccupazioni di istituzioni e sindacati; il futuro dei 138 dipendenti e delle loro famiglie, deve avere la priorità su tutto, è inaccettabile che i lavoratori paghino il prezzo della cattiva gestione degli ultimi anni operata dai vertici, in maggioranza iscritti Coldiretti;
   oltre ai lavoratori diretti, subiranno la stessa sorte i lavoratori delle società controllate al 100 per cento del Consorzio agrario, l'Agrisicura e la Consorter di Melegnano che chiuderà presto. Attualmente i libri sono in tribunale, con 28 licenziamenti e senza alcun ammortizzatore sociale per i lavoratori;
   realisticamente il curatore venderà al prezzo di realizzo i tanti immobili rimasti e i possedimenti consortili, il cui valore sarebbe stato stimato dalla direzione in 40 milioni di euro circa; nel frattempo, nelle casse non dovrebbero essere rimasti più di 2 milioni di euro circa, cifra sufficiente a pagare gli stipendi e le spese vive per poco;
   il 27 giugno 2013 è stata avviata la procedura di «Concordato preventivo», numero 44/2013 PEC della procedura: cp44.2013milano@pecfallimenti.it –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per acquisire informazioni in merito alle effettive responsabilità delle passate gestioni amministrative del Consorzio;
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per tutelare un'azienda storica e prestigiosa come il Consorzio agrario di Milano e Lodi, il suo patrimonio immobiliare, i suoi lavoratori e le relative famiglie. (5-01001)


   PRODANI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati in possesso di Legambiente, in Italia il rischio frane e alluvioni interessa non solo tutto il Paese ma addirittura due comuni su tre, a causa di un diffuso dissesto idrogeologico che modifica il territorio con effetti spesso distruttivi per le infrastrutture, le opere, le attività produttive e la stessa vita dei cittadini;
   abusivismo edilizio, estrazione illegale di inerti, disboscamento indiscriminato, cementificazione selvaggia, abbandono delle aree montane, agricoltura intensiva sono solo alcuni dei fattori principali che contribuiscono in modo determinante a sconvolgere l'equilibrio idrogeologico di un territorio;
   il nostro Paese quindi, sia per incuria che per conformazione naturale, presenta una serie di criticità per le quali è possibile e si deve intervenire prevedendo meccanismi di intervento uniformi per tutto il territorio nazionale;
   la gestione di situazioni emergenziali con decreti ad hoc privi di una cornice normativa univoca, come è stato nel caso drammatico dei recenti terremoti in Emilia Romagna e Abruzzo, determina il ricorso a procedure di volta in volta differenti, che generano confusione e moltiplicano gli enti istituzionali coinvolti;
   il 21 giugno 2013 il Movimento 5 Stelle ha presentato l'ordine del giorno 9/1197/17 – nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto sulle emergenze ambientali (n. 43 del 2013, convertito in legge n. 71 del 2013) – per chiedere all'esecutivo la presentazione di una legge quadro sui disastri ambientali;
   durante la seduta il rappresentante del Governo, il Sottosegretario per lo sviluppo economico Claudio De Vincenti, non ha accettato l'atto d'indirizzo politico perché giudicato «ultroneo in quanto in realtà esiste già la Protezione civile, con tutte le norme necessarie a garantire quello che questo ordine del giorno propone»;
   questa posizione è in contrasto con la dichiarazione del 30 maggio 2013 del premier Enrico Letta che, visitando l'Emilia in occasione della ricorrenza del terremoto avvenuto nel 2012, ha sostenuto: «Dobbiamo elaborare una nuova legge quadro nazionale sulle emergenze, che indichi i binari, in cui ogni emergenza possa trovare immediatamente regole, limiti e incentivi che consentano di affrontarle nel modo giusto» –:
   se il Governo intenda adottare urgentemente, come preannunciato, un apposito atto normativo organico in materia di disastri ambientali che stabilisca, nello specifico, competenze istituzionali, procedure e responsabilità in caso di eventi calamitosi o incidenti. (5-01002)


   DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 5 novembre 2007 Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia, provincia di Milano, provincia di Lodi, CAL, ANAS e una rappresentanza dei comuni coinvolti hanno sottoscritto l'accordo di programma per la realizzazione della tangenziale est esterna di Milano (TEEM) e il potenziamento del sistema della mobilità dell'est milanese e del nord lodigiano;
   l'intervento autostradale collega l'autostrada A4 «Milano-Brescia» all'altezza di Agrate Brianza con l'autostrada A1 «Milano-Bologna» all'altezza di Melegnano, per uno sviluppo complessivo di circa 33 chilometri, oltre a circa 38 chilometri di opere connesse e compensative; l'intervento interessa principalmente il territorio della provincia di Milano (20 comuni) per circa 25,6 chilometri, nonché quello della provincia di Lodi (7 comuni) per circa 7,4 chilometri. Il territorio interessato dall'opera può essere individuato nell'area compresa tra i seguenti assi infrastrutturali primari o naturali:
    a nord il tratto Milano-Bergamo dell'autostrada A4 «Milano-Venezia»;
    a ovest la A51 «Tangenziale est di Milano»;
    a sud il tratto Lodi-S. Donato Milanese dell'autostrada A1 «Autostrada del Sole»;
    a est la sponda occidentale del fiume Adda. Sono previste 3 interconnessioni autostradali (autostrada A4 MI-BS, autostrada BreBeMi e autostrada A1 MI-BO) e 6 svincoli (Pessano con Bornago, Gessate, Pozzuolo Martesana, Liscate, Paullo e Vizzolo Predabissi);
   il 13 marzo 2012 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la delibera Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) n. 51/2011 del 3 agosto 2011 di approvazione del progetto definitivo della TEEM, che prevede una riduzione di 145 milioni di euro per le opere compensative concordate con i comuni e nessun investimento per il trasporto su ferro e le metropolitane M2 e M3 per Vimercate e Paullo;
   la piena efficacia del provvedimento ha portato, il 20 luglio 2012, all'avvio del procedimento espropriativo per i particellari compresi nella «dichiarazione di pubblica utilità» del 7 febbraio 2012 nonché a un'integrazione della stessa dichiarazione per le parti di TEEM e delle opere connesse oggetto di modifiche e adeguamenti (27 luglio 2012);
   alla fine del novembre 2012, Concessioni autostradali lombarde spa ha approvato il progetto esecutivo trasmesso dopo il via libera del consiglio di amministrazione di Tangenziale esterna spa;
   l'11 giugno 2012 sono stati inaugurati i cantieri della TEEM, nonostante manchino ancora i piani finanziari e non vengano rispettati pienamente i procedimenti, come evidenziato dai ricorsi contro le procedure esecutive e di esproprio a da una vasta mobilitazione popolare in corso;
   il 28 giugno 2013, il consiglio di amministrazione di Tangenziale esterna spa, società esecutiva della galassia TEM che ha prodotto, ad avviso dell'interrogante, solo una moltiplicazione di incarichi e consulenze, ha proceduto alla riformulazione del piano economico finanziario 2011 dell'opera, che il 2 agosto è stato sottoposto all'assemblea dei soci, allo scopo di armonizzare il piano sia alle mutate condizioni di credito (dal 6,8 al 7,5 per cento = +0,7 per cento) e di traffico (cali anche a due cifre registrati da alcune concessionarie nel 2013 al confronto con i flussi 2011) sia al recente «decreto del fare»;
   il 10 luglio 2013 è andata deserta la seconda asta per la vendita dell'82,4 per cento della società Milano Serravalle-Milano Tangenziali (di cui il 52 per cento è in mano alla provincia e il 18 per cento del comune di Milano);
   nessuno ha offerto i 660 milioni di euro necessari per acquistare le azioni detenute da ASAM spa (la holding della provincia di Milano), dal comune di Milano, dalla provincia di Como, dal comune di Como, dalla camera di commercio di Como, dalla provincia di Pavia, dal comune di Pavia e dalla camera di commercio di Pavia, dalla provincia di Lecco e dalla autorità portuale di Genova;
   per la realizzazione della nuova tangenziale est esterna è previsto un investimento di oltre due miliardi di euro, oneri finanziari esclusi. Soldi che dovrebbero arrivare dalla «finanza di progetto», senza alcun ricorso a finanziamenti pubblici a fondo perduto: a tal fine i soci del concessionario avrebbero dovuto «conquistare» le risorse sul mercato, a fronte della bontà del progetto. Poi avrebbero avuto 50 anni per «ripagare» l'investimento (tanto dura la concessione) grazie ai flussi di traffico;
   i lavori procedono a rilento (poco meno del 5 per cento al 31 marzo 2013, secondo il report trimestrale di Impregilo, una delle imprese attive sui cantieri), continuano ad aprire cantieri privi di finanziamento, le banche non mostrano di dare fiducia al progetto e i soci non hanno capacità di aumentare la propria esposizione. Nel frattempo procede la distruzione del parco agricolo sud Milano e di zone agrarie di grandissimo pregio;
   il bilancio 2012 di Tangenziale esterna spa, chiude con una perdita di 2.794.161 euro. A fronte di questo disavanzo, i «costi per servizi» di TE spa sono invece quasi raddoppiati in un anno. Si passa dai 1.417.298 euro del 2011 ai 2.261.487 euro del 2012, anno in cui Stefano Maullu, già assessore della giunta regionale lombarda di Formigoni, è stato nominato amministratore delegato;
   il «Decreto del fare», pubblicato il 21 giugno 2013 in Gazzetta Ufficiale, ha sbloccato 3 miliardi di euro per investimenti in infrastrutture, dei quali 350 milioni per la tangenziale est esterna di Milano, che sarà oggetto di specifica revisione della convenzione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, guidato dal lombardo Maurizio Lupi (articolo 18, comma 2, del decreto). I 350 milioni di euro stanziati dal Governo finiranno direttamente nelle tasche degli azionisti privati di TEM, perché l'azionista pubblico, Serravalle spa, ha perso il controllo tre mesi fa –:
   se il Governo sia stato adeguatamente e tempestivamente informato in merito alle gravi anomalie che caratterizzano tale progetto, che, a giudizio dell'interrogante, è ampiamente in contrasto con l'accordo di programma sottoscritto nel 2007 anche dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   se e quali provvedimenti il Governo intenda adottare per moltiplicare le attività di controllo sui cantieri e sulle cave di prestito, per verificare le condizioni di sicurezza e i rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata;
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per interrompere quello che all'interrogante appare un incosciente sperpero di denaro pubblico verso una nuova autostrada dannosa per il territorio e l'agricoltura, bloccando con urgenza tutti i cantieri privi di finanziamento, dirottando le risorse pubbliche stanziate su progetti per rilanciare il trasporto pubblico e la mobilità alternativa, l'agricoltura, l'edilizia scolastica e la manutenzione del territorio. (5-01003)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI, SIBILIA, CORDA, BASILIO, PESCO, CHIMIENTI, CANCELLERI e PISANO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico, è parte integrante del Sistema europeo di banche centrali ed agisce secondo gli indirizzi e le istruzioni della Banca centrale europea;
   la Banca d'Italia, nell'esercizio delle proprie funzioni e con particolare riferimento a quelle di vigilanza, opera nel rispetto del principio della trasparenza, riferendo del suo operato al Parlamento e al Governo con relazioni semestrali;
   il Governatore della Banca d'Italia è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d'Italia;
   il capitale della Banca d'Italia ammonta a 156.000 euro ed è costituito da 300.000 quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna;
   le quote della Banca d'Italia sono possedute al 94,4 per cento da banche private ed assicurazioni tra cui si vedono in testa Unicredit s.p.a., Intesa s.p.a. e Assicurazioni Generali, e il restante 5,6 per cento da INPS e INAIL per un totale di 60 soggetti;
   il fenomeno della «vicinanza» che si potrebbe anche definire «sovrapposizione» dei controllati e dei controllori potrebbe aver determinato il fenomeno del risparmio tradito con i crack finanziari e industriali che hanno colpito un milione di famiglie, bruciando almeno 50 miliardi di euro di sudato risparmio con i casi Cirio, Parmalat, Tango Bond, Lehman Brothers, le cui obbligazioni venivano pubblicizzate come sicure sul sito dell'Abi Patti Chiari, assieme ad altri 50 titoli tossici, come ricordato dal presidente dell'ADUSBEF, Elio Lannutti, in un intervista al Fatto Quotidiano del 20 giugno 2013;
   la legge n. 262 del 2005 all'articolo 19, comma 10, prevedeva la ridefinizione dell'assetto proprietario della Banca d'Italia, dove veniva sancito il trasferimento delle quote detenute dai soggetti privati o enti pubblici precedentemente citati entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ovvero nel 2008 –:
   quali siano le motivazioni per le quali dal 2008 ad oggi non è stata applicata la suddetta legge n. 262 del 2005, che prevedeva la cessione delle quote della Banca d'Italia da parte degli istituti privati come banche e assicurazioni, di fatto impedendo la riappropriazione pubblica, ovvero dei cittadini, della Banca d'Italia stessa.
(4-01805)


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea ha stabilito con la direttiva 60/2000/CE «acque» che entro il 2015 tutti i fiumi devono raggiungere lo stato ambientale definito «buono» entro il 2008 dovevano raggiungere almeno lo stato «sufficiente» e comunque non peggiorare il proprio stato di qualità;
   il monitoraggio dei corsi d'acqua viene svolto dal 2004 dall'Agenzia regionale per la tutela dell'ambiente (ARTA) che ha una rete di oltre 100 stazioni di campionamento lungo i fiumi della regione;
   nel 2011 l'Abruzzo non solo non coglie l'obiettivo già fissato per il 2008, con oltre il 35 per cento dei punti di campionamento al di sotto della classe «sufficiente» (quindi pessimo o scadente) ma vede aumentare in modo vertiginoso i casi classificati nella categoria peggiore sulle 5 possibili;
   ben il 10 per cento (12 su 118) delle stazioni monitorate nel 2011 è risultato nella classe «pessimo» mentre nel 2009 erano 3 e nel 2008 solo 1;
   rispetto al 2009, prendendo in esame esclusivamente le stesse 88 stazioni che sono state campionate in entrambi gli anni, il 38 per cento è stato declassato mentre solo il 4 per cento ha visto migliorare la categoria di qualità, il restante 58 per cento è rimasto invariato;
   tra il 2009 e il 2011 i due principali fiumi abruzzesi, il Sangro e l'Aterno-Pescara, hanno visto peggiorare la loro qualità, il primo da «buono» a «sufficiente» e «scadente» (significativamente il tratto che scorre nel Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise) e il secondo da «sufficiente» a «scadente» (tranne una sola stazione nella classe «sufficiente»);
   l'obiettivo di raggiungere lo stato «buono» entro il 2015 imposto dalla direttiva «acque» 60/2000/CE si sta allontanando sempre di più, visto che il trend è in peggioramento e ormai il 68 per cento delle stazioni di campionamento non è nella classe «buono»;
   la situazione dei fiumi abruzzesi è ormai un'emergenza che si fonda sui problemi connessi alla mancata depurazione degli scarichi e sull'eccessiva captazione delle acqua per scopi irrigui, idroelettrici e industriali;
   lo stato pietoso di molti fiumi nelle aree a maggior valore turistico della regione (Parco d'Abruzzo, costa della provincia di Teramo e di Chieti) è potenzialmente foriero di un gravissimo impatto sull'economia regionale;
   il piano di tutela delle acque ha visto incredibilmente il passaggio favorevole per la valutazione di incidenza ambientale in comitato CCR-V.I.A. nonostante la chiara insufficienza (e, per taluni aspetti relativi al deflusso minimo vitale e il cosiddetto hydropeaking, anche una evidente pericolosità) delle norme ivi previste per la tutela dei corsi d'acqua a maggiore importanza naturalistica della regione;
   appare agli interroganti discutibile il comportamento degli uffici del genio civile e dell'Autorità di bacino che continuano ad istruire, anche con pareri positivi, procedure amministrative per la concessione di nuove derivazioni e captazioni, anche su fiumi ormai ridotti praticamente al collasso;
   con ordinanza del 9 marzo 2006 il Presidente del Consiglio dei ministri ha nominato commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti necessari per il superamento della situazione di emergenza socio-economico-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno Adriano Goio;
   tra le finalità di tale ordinanza vi era la riduzione dei livelli di inquinamento;
   secondo la stessa ordinanza il commissario delegato doveva riferire trimestralmente al dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio sulle iniziative adottate per il superamento dell'emergenza;
   ad oggi le azioni del commissario delegato Adriano Goio non sembrano aver ottenuto risultati –:
   quale siano le attività poste in essere dal commissario delegato, riportate nelle relazioni trimestrali, per la riduzione dello stato di inquinamento;
   quali azioni intenda attuare il Presidente del Consiglio dei ministri di fronte alla palese inefficacia dell'azione del commissario Adriano Goio;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri intenda concertare, con la regione Abruzzo e con le amministrazioni locali, nuove soluzioni per la gestione dell'emergenza e per le bonifiche ambientali dell'Aterno, considerando il fallimento dell'azione di commissariamento. (4-01807)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TACCONI, SPADONI, DEL GROSSO, SIBILIA e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   i rapidi cambiamenti del mercato del lavoro ed in particolare il massiccio flusso di emigrazione che si sta registrando negli ultimi tempi richiedono risposte immediate per la tutela del lavoro umano sia per i fortunati che riescono a trovare in Italia un accettabile livello occupazionale, sia per quelli che l'attuale congiuntura economica spinge a lasciare il nostro Paese per cercare oltre confine il lavoro che qui manca. Le recenti statistiche sulla disoccupazione giovanile non fanno ben sperare che questa emorragia di risorse possa arrestarsi in tempi brevi. Proprio per questo è quindi necessario intervenire con tutti gli strumenti possibili per venire incontro alla richiesta di aiuto che questi nuovi migranti pongono alla sensibilità del Paese;
   si tratta soprattutto di giovani che, nonostante un'ottima formazione culturale e professionale (in molti casi si tratta di veri e propri «cervelli in fuga»), non sempre sono in grado, da soli, di far fronte alle sfide che il radicale cambiamento della loro condizione impone in termini di piena integrazione nelle società di accoglimento;
   resta imperativo per l'Italia far sentire ai nuovi migranti la vicinanza del Paese non soltanto per offrire loro aiuti concreti, ma anche, auspicabilmente, per far riscoprire in loro una ragione in più per sentirsi orgogliosi di appartenere ad un grande Paese. È attraverso tali sentimenti di appartenenza che si rinsaldano i vincoli, non solo affettivi, con il paese che, avendo investito sulla loro formazione, non vuole vedersi sfuggire importanti risorse umane e, in definitiva, economiche;
   rispetto al fenomeno della nuova emigrazione si è finora fatto poco o niente per conoscerlo a fondo e poter programmare interventi normativi ed operativi. In sostanza non si conosce nemmeno l'esatta entità del fenomeno, condizione essenziale per l'elaborazione di politiche che possano promuovere azioni tempestive e qualificate a favore dei soggetti interessati, alla luce di dati certi e di una lettura non lacunosa dei fenomeni che viviamo;
   si ravvede pertanto la necessità di un monitoraggio puntuale ed efficiente del fenomeno e delle dinamiche che vi sottendono che dovrebbe dotare le competenti amministrazioni di uno strumento conoscitivo che faccia stato dell'entità dei flussi migratori, delle caratteristiche della nuova emigrazione, delle fasce di età dei soggetti coinvolti, del titolo di studio posseduto, del tipo di lavoro di cui sono alla ricerca, dei paesi verso i quali si dirigono, e altro per la costituzione di una banca data immediatamente utilizzabile per l'elaborazione di politiche mirate –:
   se a fronte dei nuovi flussi migratori, il Ministro degli affari esteri intenda procedere ad un'anagrafe del fenomeno anche attraverso accordi di cooperazione bilaterale con gli Stati esteri interessati.
(5-01000)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 ottobre 2008 il comune di Tarquinia ed Enel hanno sottoscritto l'accordo che disciplina i reciproci rapporti tra l'amministrazione comunale e Enel spa;
   l'accordo si inserisce nel più ampio ambito definito «Accordo Quadro relativo alle iniziative per la tutela della salute, dell'ambiente e dello sviluppo territoriale nell'area» del 4 luglio 2008, tra regione Lazio, province di Roma e Viterbo, comuni di Civitavecchia, Allumiere, Santa Marinella, Tarquinia, Tolfa ed Enel;
   lo studio aveva una durata complessiva di cinque anni e doveva svolgersi, secondo le modalità definite nell'allegato tecnico, dal Consiglio per la ricerca e sperimentazione in agricoltura (CRA), Ente nazionale di ricerca e sperimentazione nel settore agricolo, posto sotto la vigilanza dei Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   l'Enel doveva predisporre, in accordo con il comune e con l'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione in agricoltura della regione Lazio (ARSIAL), un adeguato programma per la valorizzazione ed il sostegno delle produzioni agricole tipiche dei territorio;
   era prevista l'istituzione di un comitato tecnico formato da rappresentanti del comune, Enel, CRA e ARSIAL con lo scopo di monitorare l'andamento delle attività, verificare gli adempimenti contrattuali e approvare i rapporti tecnici;
   l'obiettivo dell'attività proposta mirava alla realizzazione di biomonitoraggio dell'area adiacente la centrale di Civitavecchia, che è stata sottoposta alla conversione da olio combustibile a carbone, al fine di verificare a lungo termine l'eventuale impatto legato al fall-out di elementi contaminanti sui suoli agricoli e sulle relative produzioni vegetali –:
   se il Governo sia al corrente dell'esito del biomonitoraggio, il cui scopo è di definire i valori di fondo/fondo antropico dei metalli/metalli pesanti, preesistenti nei suoli e nei prodotti agricoli coltivati, prima dell'avvio della centrale convertita a carbone, nonché i medesimi valori dall'avvio della conversione della centrale ad oggi e resi pubblici per mezzo dall'apposito Comitato tecnico formato da rappresentanti del comune di Tarquinia, Enel, CRA e ARSIAL con lo scopo di monitorare l'andamento delle attività, come previsto da contratto, e in che modo ci si intenda avvalere dei dati così ottenuti – anche attraverso eventuali ulteriori indagini – per disporre di un quadro aggiornato delle possibili conseguenze ambientali della conversione della centrale Enel di Civitavecchia. (5-00996)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva originaria (la 94/62/Ce) pur distinguendo, nelle definizioni (articolo 3), tra primari secondari e terziari, non opera alcuna distinzione quanto all'ambito di applicazione (articolo 2) e con riferimento ai sistemi di gestione (articolo 7);
   il decreto legislativo n. 22 del 1997 (cosiddetto decreto Ronchi) che ha recepito la citata direttiva originariamente disponeva all'articolo 38 (obblighi dei produttori e degli utilizzatori), tra l'altro, che i produttori e gli utilizzatori adempiono all'obbligo della raccolta dei rifiuti di imballaggi primari e degli altri rifiuti di imballaggi comunque conferiti al servizio pubblico tramite il gestore del servizio medesimo. A tal fine i produttori e gli utilizzatori costituiscono il Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all'articolo 41;
   successivamente con legge n. 426 del 1998 la disposizione è stata modificata, eliminando nel comma 2 il riferimento ai «primari», che così è riformulato nell'ambito degli obiettivi di cui agli articoli 24 e 37, i produttori e gli utilizzatori adempiono all'obbligo della raccolta dei rifiuti di imballaggi. A tal fine i produttori e gli utilizzatori sono obbligati a partecipare al Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all'articolo 41;
   la medesima operazione di restyling normativo fu operata con riferimento al contributo ambientale Conai: difatti – mentre l'articolo 41 originario prevedeva al comma 2, lettera h) che «...il CONAI svolge le seguenti funzioni: ...h) ripartisce tra i produttori e gli utilizzatori i costi della raccolta differenziata, del riciclaggio e del recupero dei rifiuti di imballaggi primari, o comunque conferiti al servizio di raccolta differenziata, in proporzione alla quantità totale, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell'anno precedente per ciascuna tipologia di materiale» – con legge n. 179 del 2002 il comma è stato modificato come segue: «Il Conai svolge le seguenti funzioni: (...) ripartisce tra i produttori e gli utilizzatori i costi della raccolta differenziata, del riciclaggio e del recupero dei rifiuti di imballaggi conferiti al servizio di raccolta differenziata in proporzione alla quantità totale, al peso e alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell'anno precedente per ciascuna tipologia di materiale»;
   pertanto se si può affermare che originariamente il decreto legislativo n. 22 del 1997 ha inteso recepire la direttiva imballaggi ponendo obblighi ed oneri principalmente a carico dei rifiuti di imballaggio primario (o comunque conferiti al servizio pubblico), si può parimenti affermare che successivamente il legislatore abbia esteso tali obblighi ed oneri anche ai produttori di imballaggi secondari e terziari;
   molto meno immediata è invece la lettura del vigente decreto legislativo n. 152 del 2006; difatti all'articolo 221 (che corrisponde al citato articolo 38 del decreto legislativo n. 22 del 1997), peraltro recuperando il testo originario del «decreto Ronchi», si stabilisce quanto a seguire: «1. I produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti. 2. Nell'ambito degli obiettivi di cui agli articoli 205 e 220 e del Programma di cui all'articolo 225, i produttori e gli utilizzatori, su richiesta del gestore del servizio e secondo quanto previsto dall'accordo di programma di cui all'articolo 224, comma 5, adempiono all'obbligo del ritiro dei rifiuti di imballaggio primari o comunque conferiti al servizio pubblico della stessa natura e raccolti in modo differenziato. A tal fine, per garantire il necessario raccordo con l'attività di raccolta differenziata organizzata dalle Pubbliche amministrazioni e per le altre finalità indicate nell'articolo 224, i produttori e gli utilizzatori partecipano al Consorzio nazionale imballaggi, salvo il caso in cui venga adottato uno dei sistemi di cui al comma 3, lettere a) e c) del presente articolo. 3. Per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all'obbligo del ritiro, su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi di cui all'articolo 224, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono alternativamente: a) organizzare autonomamente, anche informa collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull'intero territorio nazionale; b) aderire ad uno dei consorzi di cui all'articolo 223; c) attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l'autosufficienza del sistema, nel rispetto dei criteri e delle modalità di cui ai commi 5 e 6»;
   tuttavia, all'articolo 224, comma 3, lettera h), si stabilisce come siano ripartiti tra i produttori e gli utilizzatori il corrispettivo per i maggiori oneri della raccolta differenziata di cui all'articolo 221, comma 10, lettera b), nonché gli oneri per il riciclaggio e per il recupero dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio di raccolta differenziata, in proporzione alla quantità totale, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell'anno precedente per ciascuna tipologia di materiale. A tal fine si determina e si pone a carico dei consorziati, con le modalità individuate dallo statuto, anche in base alle utilizzazioni e ai criteri di cui al comma 8, il contributo denominato contributo ambientale Conai;
   una prima lettura induce quindi a vedere il CAC destinato a pagare le raccolte differenziate, anche se, al comma 8, si stabilisce poi che il contributo ambientale del Conai è utilizzato in via prioritaria per il ritiro degli imballaggi primari o comunque conferiti al servizio pubblico e, in via accessoria, per l'organizzazione dei sistemi di raccolta, recupero e riciclaggio dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari, così ammettendosi la legittimità dell'utilizzazione del CAC sui terziari e secondari, ma non, almeno altrettanto chiaramente, la legittimità del prelievo sui secondari e terziari;
   tutto ciò premesso, si evidenzia quanto segue:
    a) per espressa ammissione di COREPLA, secondari e terziari sono gestiti da operatori indipendenti senza alcun onere per i comuni e/o per il sistema consortile: (fonte: relazione gestione COREPLA anno 2012);
    b) la quantità di rifiuti da imballaggio secondari e terziari gestiti da COREPLA è residuale e minima, per non dire marginale: ovvero solo 9,9 Kton (fonte: relazione gestione COREPLA anno 2011);
    c) per quanto attieni i «terziari» è addirittura vietato il loro conferimento in raccolta differenziata e ciò ai sensi dell'articolo 226, comma 2, TUA «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 221, comma 4, è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura» –:
   se, alla luce delle su espresse considerazioni, non ritenga opportuno un'iniziativa, anche di carattere normativo, tesa a chiarire come non dovuto il CAC a carico dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari normativamente e di fatto non nella gestione del sistema CONAI-Corepla.
(4-01809)


   TACCONI, DE ROSA, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   è in corso da sabato 7 settembre 2013 una petizione promossa dalla LAV «Io sto con gli scoiattoli» per fermare lo sterminio in atto degli scoiattoli grigi secondo il progetto «EC-SQUARE» che prevede l'eradicazione totale degli scoiattoli alloctoni;
   le regioni che stanno già attuando il progetto EC-Square sono Liguria, Lombardia, Piemonte e Umbria. In Liguria lo sterminio viene condotto con la sterilizzazione di massa, mentre nelle altre regioni si ricorre all'uccisione diretta tramite anidride carbonica;
   l'assunto del programma «Ec-Square» è che gli scoiattoli grigi, di origine americana, minaccerebbero gli scoiattoli rossi in quanto più robusti e quindi in competizione vittoriosa per il cibo e in quanto portatori sani di un virus letale per gli scoiattoli rossi ed infine che gli scoiattoli grigi danneggerebbero i boschi e le coltivazioni;
   lo sterminio sarebbe giustificato dalla necessità di rispettare le indicazioni della Convenzione di Berna e quindi evitare pesanti sanzioni da parte dell'Unione europea;
   per contro la LAV, promotrice della petizione contro lo sterminio, precisa che recentemente, e precisamente il 22 maggio 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha presentato ufficialmente la «lista rossa» degli animali considerati a rischio di estinzione in Italia e lo scoiattolo rosso non vi figura affatto;
   lo scoiattolo rosso non è a rischio di estinzione ma semplicemente in calo, sia in Europa che in Asia, dove però lo scoiattolo americano è assente: la causa principale della diminuzione degli scoiattoli rossi è quindi da ricercare non nella competizione con altre razze ma nella distruzione del loro habitat operata dall'uomo;
   il virus non è mai stato osservato in Italia; al contrario una recente ricerca effettuata da zoologi londinesi ha dimostrato come gli scoiattoli rossi stiano cominciando a mostrare segni di immunità esattamente come gli scoiattoli grigi;
   eventuali violazioni della Convenzione di Berna non comportano alcuna procedura sanzionatoria da parte dell'Unione europea, come vorrebbero far intendere i fautori del progetto «Ec-Square». L'Unione europea ha invece già ripetutamente sanzionato l'Italia per le leggi in deroga sulla caccia approvate proprio da alcune di queste regioni –:

Quali iniziative per quanto di competenza i Ministri interrogati intendano adottare per porre fine allo sterminio in atto nelle regioni interessate per la realizzazione di progetti incruenti di controllo delle popolazioni animali in questione. (4-01813)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI, PARENTELA, VACCA, DI BENEDETTO, D'UVA, LUIGI GALLO, MARZANA, CHIMIENTI, SIMONE VALENTE, BATTELLI, BRESCIA, DIENI e COLONNESE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per gli affari europei, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Abbazia florense di San Giovanni in Fiore, che risale al 1200 è tra gli edifici religiosi più importanti della Calabria;
   l'architettura dell'edificio costituisce un unicum e rinvia al simbolismo medievale mentre la tavola XII del Liber figurarum di Gioacchino da Fiore in cui la struttura e inserita, trova corrispondenze urbanistiche nella fondazione di Puebla de los Angeles, secondo gli studi di Silvia Castellanos de Garcìa docente dell’Universidad National Autònoma de México;
   il monumento rappresenta la traduzione dell'opera, della spiritualità e dell'utopia gioachimita, che ebbero straordinario impatto, come ampiamente documentato da studi accademici, nella Divina Commedia di Dante Alighieri, nella struttura compositiva – michelangiolesca – della Cappella Sistina e nel pensiero filosofico europeo dei secoli XIX e XX;
   nonostante gravi modificazioni della struttura avvenute in epoca barocca e in seguito, l'Abbazia florense mantiene diversi elementi architettonici originari quali il portale e i rosoni lobati, espressione diretta della spiritualità di Gioacchino da Fiore, da anni sotto procedimento di beatificazione;
   per iniziativa dell'abate don Vincenzo Mascara e alla presenza del cardinale Ugo Poletti, l'Abbazia florense fu riaperta al culto religioso nel 1989 da lì divenendo riferimento calabrese per fedeli e turisti, fino a recente cospicua sottrazione di beni parrocchiali e ad un uso improprio di parti dell'edificio;
   nella chiesa pare che vi fossero tele di Mattia Preti, trafugate nei decenni precedenti, secondo testimonianze di Giuseppe Gentile, ex consigliere comunale del Movimento sociale italiano, riportate in un articolo di Vincenzo Tiano sul giornale on line la Voce di Fiore e in un'inchiesta sulla testata elettronica L'Infiltrato, all'indirizzo web;
   nel 2007 la stessa Abbazia fu oggetto di restauro con fondi europei del Pit Sila e nel 2009 di un sequestro cautelativo dalla procura di Cosenza come ricordato nell'interrogazione a risposta scritta dell'onorevole Angela Napoli n. 4-17625 del 13 settembre 2012, che non ebbe risposta;
   in ordine al predetto restauro, risultano sotto processo il responsabile unico del procedimento e i tre direttori dei lavori, nominati, secondo l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, in violazione delle regole e della separazione di legge fra politica e amministrazione;
   i direttori dei lavori furono incaricati con delibera di giunta municipale del Comune di San Giovanni in Fiore, con la quale l'organo recepì il conferimento d'incarico ai tre professionisti effettuato dall'allora parroco pro tempore dell'Abbazia florense, don Franco Spadafora;
   il predetto religioso patteggiò una pena per truffa e appropriazione indebita di beni parrocchiali, che in parte servivano al sostentamento di un'opera di carità della parrocchia, tenuta nel complesso badiale per comodato gratuito concesso dal municipio;
   nel maggio del 2006 – con l'avallo di don Leonardo Bonanno, vicario del vescovo di Cosenza, in seguito da questi fatto vescovo di San Marco Argentano-Scalea – don Spadafora cedette a privati la suddetta opera di carità poi trasformata in residenza sanitaria assistita, accreditata dalla Regione Calabria;
   a proposito della riferita cessione, dalla lettura dell'inchiesta giornalistica summenzionata emerge, invece, che la proprietà dei locali della casa di riposo è – secondo accertamenti dei carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio culturale di Cosenza – senza dubbio del comune di San Giovanni in Fiore;
   la stessa cessione avvenne per una situazione debitoria della parrocchia, che pertanto non poteva più farsi carico di condurre l'opera di carità in argomento, nonostante i ricavi, per centinaia di migliaia di euro, ottenuti da don Spadafora dall'accertata appropriazione di beni parrocchiali;
   Antonio Nicoletti, sindaco di San Giovanni in Fiore dal 2005 al 2010, avviò un'azione civile per il rilascio degli immobili occupati dalla residenza sanitaria per anziani, che però ricevette dagli uffici comunali l'agibilità, l'idoneità igienico-sanitaria e parere favorevole del dirigente dell'ufficio legale Gaetano Pignanelli;
   nell'anzidetto parere si afferma che la società titolare della residenza per anziani esercitava l'attività dal 1946, ma la costituzione della medesima società risale al 2006, contestuale alla data della ricordata scrittura privata;
   nella società in parola, registrata con lo stesso nome dell'opera di carità della parrocchia, risulta esserci un socio cui la ’ndrangheta inviò segnali intimidatori e che incontrò a San Giovanni in Fiore l'allora reggente della cosca Iona, Giuseppe Pizzuto, secondo quanto emerso da intercettazioni telefoniche dell'operazione antimafia Ciclone-bis;
   alcuni beni sottratti alla parrocchia, cioè venduti illecitamente, sono terreni ubicati in area geografica storicamente controllata dalla ’ndrangheta;
   come riportato dal settimanale Il Corriere della Calabria nel numero 115, l'autorità pubblica non sa ancora che fine abbiano fatto i soldi ricavati dalle predette vendite riferibili a don Spadafora, mentre le utenze della parrocchia non risultavano pagate da diversi anni, fatto noto al vescovo di Cosenza Salvatore Nunnari, edotto con lettere dal successore di don Spadafora, padre Santo Canonico;
   secondo una perizia tecnica dell'ingegner Francesco Bencardino, docente dell'Università della Calabria, per l'Abbazia florense «si rileva la presenza, sul lato est del complesso monumentale, di una lesione che dal rosone lobato prosegue in basso in direzione quasi verticale, sino ad interessare la zona fondale»;
   sulla vicenda del parere rilasciato da Pignanelli è stato trasmesso un esposto alla Procura della Repubblica di Cosenza e un esposto è stato inviato alla Corte dei conti – secondo il giornale L'Infiltrato – in ordine alla presenza della residenza per anziani in locali comunali;
   per il geologo Massimo Aita – è riportato in un articolo sul giornale on line la Voce di Fiore – negli atti progettuali del ricordato restauro «mancava lo studio geologico, obbligatorio per legge»;
   nella nota riassuntiva protocollo n. 595/M, la Soprintendenza per i beni archeologici e per il paesaggio (Sbap) di Cosenza richiamò sue direttive (del 21 gennaio 2009) alla direzione dei lavori per le quali «non bisogna tralasciare incuranti le deficienze di natura strutturale» dell'Abbazia florense, dando «priorità assoluta alle opere di consolidamento», purtroppo non ancora avviate;
   fino ad oggi non sono visitabili i cori notturni dell'Abbazia florense, poiché l'accesso sarebbe impedito da opere eseguite nella summenzionata residenza sanitaria, peraltro mancanti delle autorizzazioni delle Soprintendenze, come riportato dal giornale on line L'Infiltrato, in un articolo del 27 agosto 2012;
   la rammentata residenza sanitaria per anziani ha esercitato l'attività senza titolo di proprietà dei locali nell'Abbazia florense, secondo l'ex sindaco di San Giovanni in Fiore Antonio Nicoletti, e, a quanto pare, con una categoria catastale per magazzino;
   per quanto nell'agosto scorso riportato dalla testata elettronica la Voce di Fiore, senza che il Consiglio comunale di San Giovanni in Fiore ne abbia discusso, la residenza sanitaria per anziani ha ottenuto una variazione della categoria catastale, che di norma deve richiedere il proprietario dell'immobile –:
   se siano a conoscenza di quanto qui esposto;
   se risultano autorizzazioni delle Soprintendenze per i lavori effettuati nei locali in cui si trova la residenza sanitaria per anziani;
   quali provvedimenti, per le rispettive competenze, intendono adottare per verificare se nell'Abbazia florense furono rubate tele di Mattia Preti e, in caso di conferma, per ritrovarle;
   quali azioni, per le rispettive competenze, intendono sollecitare per la ripresa dei lavori di restauro con il rammentato finanziamento europeo, per la messa in sicurezza dell'edificio religioso e per la sua piena, naturale fruizione da parte di fedeli e turisti. (4-01815)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta di Mantova dell'8 settembre 2013, la Cgil ha denunciato la drammatica situazione nella quale si trovano circa 700 lavoratori e lavoratrici;
   tali lavoratori e lavoratrici sono dipendenti di circa 140 piccole imprese che hanno subito danni diretti o indiretti dal terremoto del maggio 2012 che ha colpito, tra le altre, la provincia di Mantova;
   per questi lavoratori e lavoratrici, le aziende hanno fatto domanda di cassa integrazione in deroga a causa del terremoto;
   questi stessi lavoratori e lavoratrici non ricevono alcun sostegno economico dal gennaio 2013 e, in ragione di questo, stanno vivendo, insieme alle loro famiglie, un periodo di grave difficoltà non più sopportabile;
   risulta all'interrogante che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali abbia firmato il decreto di autorizzazione della cassa integrazione in deroga per i lavoratori e le lavoratrici oggetto dell'interrogazione e che ora spetti al Ministro interrogato completare l’iter di tale atto –:
   se il Ministro intenda definire, in tempi rapidi, l’iter autorizzativo della cassa integrazione in deroga a causa del terremoto per i lavoratori e le lavoratrici richiamati in premessa, al fine di evitare un ulteriore aggravamento delle loro pesanti condizioni economiche. (5-00995)

Interrogazione a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel periodo 2002-2004 su proposta del Governo allora presieduto dall'onorevole Berlusconi (Ministro dell'economia e delle finanze il senatore Giulio Tremonti) venne approvata la legge n. 189 del 2002, il cosiddetto «condono tombale»;
   molti aderirono, viste anche le favorevoli modalità di pagamento;
   la Corte dei conti ha più volte segnalato la mancata riscossione di ingenti somme che, in sanatoria, gli aderenti al condono avrebbero dovuto versare;
   una delle cause del mancato gettito va cercata nella possibilità di rateizzazione delle somme dovute senza alcuna forma di garanzia fidejussoria a tutela del residuo credito erariale per cui molti hanno versato solo il primo acconto e mai il resto;
   già nel 2008 la Corte dei conti aveva certificato in 5,2 miliardi di euro le somme non ancora versate rispetto ai 26 miliardi dichiarati dai condonati, situazione agevolata dalla normativa che aveva anche stabilito che per gli importi superiori a 3.000 euro per le persone fisiche e 6.000 euro per le società era sufficiente versare la prima rata per rendere valido il condono;
   a seguito dell'intervento dei giudici contabili, sono state introdotte una serie di norme con l'obiettivo di rafforzare la riscossione coattiva delle somme dovute; è stato consentito al concessionario della riscossione di poter agire direttamente in via di espropriazione immobiliare per i debiti da condono iscritti a ruolo di importo superiore a 5.000 euro, senza dovere prima procedere all'iscrizione di ipoteca ed attendere ulteriori sei mesi per l'esecuzione (articolo 16-bis della legge n. 189 del 2002, introdotto dall'articolo 32 del decreto-legge n. 185 del 2008); è stato pure previsto che l'agente della riscossione, decorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale di pagamento, possa accedere all'anagrafe dei rapporti finanziari allo scopo di individuare beni da pignorare al contribuente moroso;
   ciò nonostante la situazione delle somme recuperate da Equitalia in questi ultimi anni è palesemente deludente rispetto alle aspettative se la Corte dei conti, nel Rapporto sul bilancio dello Stato, è tornata ad evidenziare il rischio concreto del flop fiscale e, come anche riportato da autorevoli fonti di stampa (Il Sole 24ore), le somme ancora da incassare ammonterebbero 4,1 miliardi di euro –:
   quale sia l'esatta entità delle somme che lo Stato deve ancora riscuotere da coloro che hanno presentato domanda di condono ma non hanno ancora saldato il dovuto e quali iniziative intenda assumere il Governo per il recupero delle somme non pagate. (4-01800)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 agosto 2013 il sottoscritto ha presentato l'interrogazione n. 4-01599, stante il riordino della geografia giudiziaria, introdotto con decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 156 («Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148») che prevede la chiusura, nelle Marche, anche delle sedi distaccate di Jesi, Senigallia Osimo e Fabriano con l'accentramento di tutta l'attività giudiziaria della provincia, presso il tribunale di Ancona;
   con la citata interrogazione si paventavano inevitabili disagi organizzativi e per il personale degli uffici, per gli avvocati e, soprattutto, per i cittadini;
   con la citata interrogazione veniva chiesto, fra l'altro, se il Ministro ritenesse o meno di assumere iniziative: 1) per la proroga di un anno del termine di entrata in vigore del decreto legislativo n. 156 del 2012, al fine di consentire una riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari secondo criteri di funzionalità ed efficienza, che tenesse conto di come i problemi dell'amministrazione della giustizia non siano di esclusiva pertinenza degli addetti ai lavori, bensì dell'intera collettività, incidendo nella vita personale ed economica di tutti i cittadini; 2) per il mantenimento degli uffici N.E.P. e degli Uffici del giudice di pace attualmente ubicati presso le «Sezioni Distaccate di Tribunale» soppresse dalla norma in questione; nello specifico, per quanto riguarda la provincia di Ancona il mantenimento degli Uffici del Giudice di Pace di Jesi, Senigallia, Osimo e Fabriano;
   il 28 agosto ed il 6 settembre scorsi il dirigente dell'ufficio NEP della corte di appello delle Marche ha prospettato, con articolate motivazioni, al presidente della corte di appello il grave rischio di disservizi o di blocchi dell'attività giudiziaria ricollegati all'accorpamento delle sedi distaccate;
   tale preoccupazione è stata condivisa anche dal Presidente dell'ordine degli avvocati di Ancona ed espressa con lettera del 10 settembre 2013 al presidente della corte di appello quanto sta accadendo rafforza i timori già espressi nella precedente interrogazione e la necessità di prevedere soluzioni diverse e comunque in tempi tali da evitare ulteriori disagi ai cittadini e agli operatori a vario titolo interessati al buon funzionamento del sistema giudiziario –:
   se sia a conoscenza di tale situazione e di altre simili e quali iniziative intenda assumere per eliminare i gravi disagi che i tempi previsti per la riforma stanno ovunque accentuando. (4-01802)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATTUCA, MARCO DI MAIO, PAGANI, MOLEA, ARLOTTI, DONATI e ASCANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 agosto 2001, la regione Veneto ha siglato con il Governo il primo accordo quadro nel quale si è impegnata a redigere, d'intesa con la regione Emilia-Romagna, il progetto preliminare per la realizzazione dell'asse autostradale E55 Ravenna-Venezia «Nuova Romea» e ad attivare tutte le procedure conseguenti necessarie per la sua realizzazione;
   nello stesso anno la delibera CIPE n. 121, intervenuta in attuazione della legge n. 443 del 2001 «legge obbiettivo», ha previsto, tra le opere strategiche da realizzare, l'E55, insieme alla riqualificazione della E45 e alla trasversale Orte-Civitavecchia;
   a giugno 2012, dopo un iter durato più di un decennio, il progetto del corridoio autostradale dorsale E55 Orte-Mestre è stato inserito dal Governo fra le opere prioritarie da realizzare attraverso lo strumento del project financing (il promotore concessionario privato è già stato selezionato con gara) con gli incentivi fiscali previsti dalla legge n. 183 del 2011, come riportato dalle linee guida all'allegato infrastrutture 2013-2015;
   i cittadini delle province di Forlì-Cesena e di Ravenna attendono da tempo lo sblocco di questo progetto, alla cui realizzazione sono legate importanti opportunità per il territorio interessato e la soluzione dell'annoso problema dell'E45 (che si trova in uno stato sempre più degradato e con una manutenzione assolutamente inadeguata, in parte tenuta in sospeso proprio in attesa del nuovo intervento strutturale), come più volte sollecitato dalla regione Emilia-Romagna al Governo;
   la mancata approvazione, da parte del CIPE, del progetto per l'autostrada E55 Orte-Mestre – diversamente da quanto sarebbe stato garantito il 29 agosto 2012 da dirigenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al presidente della provincia di Forlì-Cesena e al sindaco di Cesena – determina una forte preoccupazione per l'ennesima interruzione dell’iter già sin troppo travagliato (oltre un decennio) di realizzazione della stessa. L'ulteriore rinvio di questo progetto comporta, in questa difficilissima fase della vita del Paese, l'allontanarsi della possibilità di ripresa economica (in termini di lavoro, crescita, valorizzazione dei territori) ad esso legata e sulla quale il territorio romagnolo contava –:
   quali iniziative intenda porre in essere nei confronti del CIPE per superare l'inaccettabile ulteriore ritardo nella approvazione dell'opera che, dopo dieci anni di progetti e confronti, non può più attendere;
   quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché si giunga al più presto alla realizzazione della Nuova Romea Cesena-Mestre ed alla riqualificazione della E-45 Cesena-Orte, fondamentali per tutto il territorio dell'Emilia-Romagna e vitali per il collegamento nord-sud del Paese. (5-00997)

Interrogazione a risposta scritta:


   BIONDELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Città di Novara e la sua provincia stanno vivendo un periodo di particolare disagio e con apprensione i cittadini assistono preoccupati alle vicende burocratiche che lasciano intravedere un blocco o comunque un forte ridimensionamento del trasporto locale;
   la difficile situazione del trasporto pubblico locale novarese, nello scorso mese di agosto ha rischiato addirittura la paralisi;
   la problematica trae origine dal mancato trasferimento da parte della regione Piemonte delle risorse finanziarie necessarie per la gestione del servizio e dall'impossibilità di rinegoziare i contratti con le aziende incaricate;
   nonostante i ristretti margini di mediazione concessi al prefetto, grazie anche alle numerose riunioni tenute con l'amministrazione provinciale, con le aziende e con i rappresentanti della regione Piemonte, è stato possibile scongiurare la più volte paventata interruzione di detto servizio, la cui prosecuzione, allo stato, risulta, comunque, assicurata fino al 31 dicembre;
   la situazione desta preoccupazione anche per l'impatto negativo che potrebbe comportare sull'ordine e la sicurezza pubblica;
   il prefetto di Novara, con lettera del 5 settembre 2013 indirizzata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e per conoscenza al Ministero dell'interno, ha provveduto a riferire agli organi governativi centrali in merito alle problematiche del servizio di trasporto pubblico locale;
   questa gravissima problematica, che investe il sistema dei trasporti, vede coinvolti i diritti dei cittadini ed, in particolare, delle fasce più deboli ma anche di tutto il tessuto produttivo e scolastico;
   già in passato, più volte è stato segnalato che, alla base di tutto, sussistono i mancati trasferimenti regionali delle necessarie risorse finanziarie;
   nello scorso mese di agosto 2013, alla data di scadenza dei contratti, in assenza dell'effettivo impegno di spesa regionale, il servizio ha rischiato addirittura la paralisi, evitata grazie alla mediazione del prefetto, cosicché il servizio non ha subito interruzioni;
   la regione Piemonte, ha reso noto che con D.G.R. n. 11-6177 del 29 luglio 2013 è stato approvato un piano di rientro in materia di trasporto pubblico locale, nel quale è raffigurato il piano dei pagamenti dei debiti pregressi che consentirà, a seguito di approvazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'utilizzo da parte della regione Piemonte di 150 milioni di euro di risorse assegnate per il fondo di sviluppo e coesione, da imputare al concorso nel pagamento dei suddetti debiti pregressi;
   nelle more della citata approvazione ministeriale, alfine di garantire la copertura dei costi per la gestione dei servizi di trasporto pubblico locale, la direzione regionale trasporti e infrastrutture, con propria determinazione n. 106 del 22 agosto 2013, ha assunto l'impegno a liquidare alle province un acconto sulla competenza per l'anno in corso;
   vanno considerate la delicatezza della problematica, che vede coinvolti i diritti dei cittadini, specialmente di studenti e fasce deboli, come gli anziani, nonché la necessità di seguire con la massima attenzione gli sviluppi della questione, anche in ragione del forte impatto che potrebbe comportare sull'ordine e la sicurezza pubblica;
   dalle premesse si evince che la questione può essere contenuta nella sua gravità se solo venissero rispettati termini di pagamento da parte degli organi ministeriali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, tra cui quella di sollecitare gli uffici su cui ricade la competenza a procedere al trasferimento dei fondi, peraltro già stanziati, e quali iniziative abbia eventualmente già intrapreso, alla luce di possibili futuri scenari del tutto incerti, ma che possono incidere sull'ordine pubblico, e sulle regole minime del vivere civile. (4-01804)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CINZIA MARIA FONTANA, GUERRA, TENTORI, RUGHETTI, GASPARINI e LORENZO GUERINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 193 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Testo unico della legge sull'ordinamento degli enti locali) prevede, al comma 2, che «con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell'ente locale, e comunque almeno una volta entro il 30 settembre di ciascun anno, l'organo consiliare provvede con delibera ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi»; ciò al fine di garantire la salvaguardia degli equilibri di bilancio e del pareggio finanziario. Al comma 4 si dispone altresì che «la mancata adozione, da parte dell'ente, dei provvedimenti di riequilibrio previsti dal presente articolo è equiparata ad ogni effetto alla mancata approvazione del bilancio di previsione di cui all'articolo 141, con applicazione della procedura prevista dal comma 2 del medesimo articolo»;
   l'articolo 10, comma 4-quater, lettera b), punto 2) del decreto-legge n. 35 del 2013 stabilisce che «ove il bilancio di previsione sia deliberato dopo il 1o settembre, per l'anno 2013 è facoltativa l'adozione della delibera consiliare di cui all'articolo 193, comma 2, del citato Testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000»;
   l'articolo 3 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, dispone che il ristoro del minor gettito dell'Imu sulla prima casa «è ripartito tra i comuni interessati, con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in proporzione alle stime di gettito da imposta municipale allo scopo comunicate dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze». Il decreto di riparto dei contributi dovrà pertanto essere adottato entro il 30 settembre 2013;
   ad oggi, inoltre, non è ancora stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica previsto dall'articolo 1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012, n. 228, da adottare entro il 30 aprile 2013, relativo al Fondo di solidarietà comunale. Per gli enti locali sono stati sinora disposti anticipi su quanto presuntivamente spettante per il 2013 a ciascun comune;
   anche gli enti locali che hanno approvato il bilancio preventivo prima del 31 agosto 2013 si trovano perciò nella condizione di non avere a disposizione dati certi ed elementi fondamentali delle voci di bilancio in entrata e di essere quindi nell'impossibilità di verificare correttamente la sussistenza degli equilibri di bilancio e degli eventuali conseguenti correttivi da adottare –:
   se il Governo non ritenga di adottare iniziative normative urgenti per prorogare al 30 novembre 2013 l'approvazione della delibera di salvaguardia degli equilibri di bilancio di cui all'articolo 193, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 per gli enti locali che hanno deliberato il bilancio preventivo entro il 31 agosto 2013. (5-00999)


   MANFREDI, FORMISANO e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con i poteri della giunta comunale, in data 23 marzo 2012, il commissario straordinario del comune di Acerra (Napoli), dottor Marcello Fulvi, adottava la delibera n. 20, recante «Individuazione allocazione cantiere per collocazione mezzi strumentali alla Raccolta R.S.U. – Incarico al Segretario Generale per indizione Conferenza dei Dirigenti competenti per acquisizione pareri tecnici. Atto di indirizzo»;
   il provvedimento amministrativo nasceva dall'esigenza, espressa in modo compiuto e chiaro nella puntuale istruttoria, di fornire al comune di Acerra «certezza sulla vicenda del cantiere (inteso come allocazione logistica dei mezzi e dei veicoli utilizzati per il servizio R.S.U.), considerato che la società Falzarano s.r.l. (aggiudicataria del servizio di raccolta dei rifiuti) – a seguito di revoca del suolo all'ATR srl da parte del consorzio ASI – aveva presentato un'ulteriore richiesta per l'acquisizione di pareri per un nuovo cantiere sito ad Acerra di proprietà dei Fratelli Costa, sui cui – peraltro – era stata appresa nel frattempo la possibile inidoneità;
   la società Falzarano s.r.l., nel contesto della conferenza dei servizi tenutasi in data 20 marzo 2012, aveva chiesto al Comune «di verificare la possibilità di locarle, previa corresponsione di apposito canone di fitto, parte del terzo lotto PIP in località Marchesa di proprietà del Comune stesso»;
   con il provvedimento commissariale veniva demandato al segretario generale di convocare una conferenza dei dirigenti «al fine di acquisire i relativi pareri tecnici onde verificare la effettiva concretizzazione della proposta di allocazione del cantiere della Soc. Ecologia Falzarano in loc. Marchesa», quindi su aree comunali già espropriate in attuazione di un Piano di Insediamenti Produttivi (PIP);
   in esecuzione dell'atto di indirizzo del 23 marzo 2012, in data 28 marzo 2012, il segretario generale ha tempestivamente provveduto a convocare la conferenza di servizi, al fine di verificare la sussistenza di tutti i pareri tecnico-igienici necessari alla concretizzazione della concessione di fitto alla società Falzarano dell'area nel terzo lotto PIP;
   sulla scorta dei pareri favorevoli resi dai dirigenti e dalle autorità pubbliche, il segretario generale assumeva ulteriori atti consequenziali e il commissario prefettizio, coi poteri del consiglio, il 20 aprile 2012 adottava la delibera n. 12 nel perseguimento di rilevanti interessi pubblici, non ultimi gli indiretti e duraturi vantaggi economici e finanziari per il comune;
   nella primavera del 2012 si sono svolte nel comune di Acerra le elezioni amministrative;
   allo stato attuale non risulta che il cantiere oggetto della presente interrogazione sia stato localizzato in altro sito, permanendo le stesse condizioni che avevano indotto il commissario e gli uffici competenti ad assumere, nel perseguimento di rilevanti interessi pubblici, le iniziative amministrative citate, né tantomeno risulta – da parte della nuova amministrazione comunale – deliberata alcuna revoca degli atti commissariali citati;
   una specifica interrogazione presentata il 30 luglio 2013 dal gruppo del Partito Democratico in consiglio comunale all'assessore competente è rimasta priva di una risposta;
   vanno salvaguardati i fondamentali valori dell'ambiente, di sane iniziative economiche e di un adeguato uso delle aree di sviluppo industriale, della piena ed effettiva legalità e in considerazione della rilevante circostanza che la collocazione del cantiere del servizio di raccolta dei rifiuti nel comune di Acerra (Napoli) permane – continuando a generare a favore della ditta ATR srl cospicui guadagni grazie ai canoni di affitto – nel contesto precario di questa azienda, la cui compagine societaria afferisce ad un noto gruppo imprenditoriale di Acerra, i cui principali rappresentanti sono stati condannati dalla VI sezione penale del Tribunale di Napoli il 29 marzo 2013, nell'ambito del procedimento «Carosello Ultimo Atto, per gravi reati nel settore proprio del traffico e dello smaltimento illecito dei rifiuti» –:
   se il Ministero dell'interno intenda accertare se la società che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti nel comune di Acerra e quelle che intrattengono con la stessa rilevanti rapporti giuridici, tra cui l'affitto del cantiere, rispondano ai requisiti stabiliti dalla legge, con riferimento alla disciplina «antimafia»;
   se il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, intendano assumere le iniziative normative di competenza al fine di rendere più efficace e più sostenibile la gestione delle aree di sviluppo industriale. (5-01004)

Interrogazione a risposta scritta:


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, DI VITA, DALL'OSSO, BARONI, CECCONI, COZZOLINO, TONINELLI, LOMBARDI, DIENI, COLONNESE e TOFALO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 20 aprile del 1989 il comune di Salerno, con deliberazione della giunta, affidava ad uso gratuito dei locali in cui l'A.I.G. sezione di Salerno, avrebbe potuto svolgere attività di ostello per la gioventù, con l'affidamento ad una cooperativa sociale di tipo B denominata Livingstone;
   visti gli enormi flussi di giovani che frequentavano l'ostello, la suddetta cooperativa, fin dai primi anni, evidenziò la necessità di intervento, da parte dell'amministrazione comunale, verso una nuova localizzazione della struttura per dare dignità alla città in termini di sensibilità verso i giovani turisti al fine di porre delle basi per una crescita di possibilità lavorative legate all'incremento delle presenze. La giunta, in primo momento, recepì tale richiesta (Del. giunta n. 850 del 23 giugno 1999);
   in seguito, con deliberazione di giunta n. 669 del 5 giugno 2002, il comune destinava i suddetti locali per l'accoglienza di persone in stato di indigenza di nazionalità sia italiana che straniera ivi compresi persone di passaggio con gravi stati di disagio;
   nel corso degli anni l'ostello accoglieva flussi turistici sociali che vedevano intere comunità straniere integrarsi perfettamente con il tessuto sociale cittadino;
   oggi la cooperativa sociale Livingstone continua il suo operato attraverso il lavoro di 7 dipendenti. La prima accoglienza e l'integrazione tra le comunità rappresentano i punti di forza che, in una città come Salerno, non trovano alcun altro esempio. Anche la Caritas sezione di Salerno, l'organismo pastorale della Cei per la promozione della carità, affida la prima accoglienza di persone indigenti proprio all'ostello in questione;
   ultimamente, purtroppo, il comune di Salerno ha improvvisamente cambiato rotta rispetto alla solidarietà nei confronti dell'ostello. Nel recepire le disposizioni volte al contenimento dei costi della pubblica amministrazione, intende dismettere i fitti passivi senza ricercare, sembra stranamente solo in questo caso, alcuna soluzione che possa portare ad una soluzione soddisfacente per le parti;
   trasferire l'ostello in locali di proprietà del comune o tentare una trattativa con il proprietario degli attuali locali per una riduzione del costo di fitto, sarebbero i primi due passaggi obbligatori dettati dalla norma e soprattutto dal buon senso. Chiedere un impegno ancora maggiore, in termini di riservatezza di posti letto da destinare alla prima accoglienza, potrebbe costituire un equilibrio tra costi e benefici per la collettività;
   queste ed altre soluzioni sono proposte dalla cooperativa Sociale che chiede solo di poter mantenere i posti di lavoro e garantire i livelli minimi di accoglienza per le persone disagiate ancor più numerose in questo periodo di enorme crisi –:
   se non ritengano opportuno attivarsi, per le parti di propria competenza valutando se tra gli immobili confiscati alla criminalità organizzata ne sussistano di idonei a consentire alla citata cooperativa di continuare ad operare per una attività di prima accoglienza che è stata base positiva per creare integrazione attiva e sodale, tanto più importante in una fase di gravissima crisi economica. (4-01810)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da molto tempo, diverse associazioni di comuni si stanno muovendo per garantire, anche nei piccoli centri – specie quelli geograficamente più complicati da raggiungere e meno collegati con le grandi città – il diritto all'istruzione, almeno per quel che riguarda la scuola primaria;
   l'ANCI Umbria si è più volte fatta promotrice di iniziative a carattere nazionale su questo importante tema, tuttavia diverse sono le situazioni di emergenza scolastica nella regione, con moltissime sezioni chiuse negli ultimi due anni e con intere scuole che rischiano di scomparire, soprattutto perché l'aumento delle pluriclassi nei piccoli comuni fa aumentare proporzionalmente l'esodo verso i grandi centri;
   le pluriclassi attualmente sono circa 90 in Umbria e necessitano di organico aggiuntivo per garantire una didattica di qualità, anche se non vanno comunque misconosciute le capacità di quegli insegnanti che hanno saputo «fare scuola» anche nelle pluriclassi;
   un problema analogo si pone anche per le scuole d'infanzia, le cui liste d'attese spesso non vengono evase, favorendo in qualche modo la «fuga» dal paese di residenza nel momento delle future iscrizioni alla scuola primaria;
   è evidente che la chiusura di una scuola in un piccolo centro fa aumentare l'isolamento e la marginalità dello stesso, pertanto, specie in situazioni in cui le distanze tra un comune e l'altro sono considerevoli sarebbe auspicabile garantire la continuità e la qualità scolastica primaria anche nei paesi più piccoli;
   l'ANCI Umbria chiede che venga messa in atto una strategia per la scuola di montagna e delle zone svantaggiate, al fine di assicurare il diritto all'istruzione in maniera capillare e uniforme sul territorio nazionale;
   quello dell'Umbria non è certo l'unico caso per uno Stato, come l'Italia, che presenta realtà geografiche molto diverse; basti pensare ad alcuni paesi dell'entroterra calabro o lucano, che, tra le altre cose, presentano problemi analoghi anche dal punto di vista dell'assistenza sanitaria, con piccoli ospedali che vengono chiusi pur trovandosi in zone isolate e difficili da raggiungere;
   oggi le politiche scolastiche hanno privilegiato un accentramento, nella logica dei grandi numeri, che ha indebolito il sistema scolastico dei piccoli centri, svigorendo, di conseguenza quella «protezione» sociale primaria che, insieme alla famiglia, è fondamentale per la crescita e lo sviluppo del bambino, nonché del territorio stesso;
   in un documento redatto dall'ANCI Umbria ed inviato in questi giorni a diverse istituzioni, nazionali e regionali, si legge che salvare le scuole dei piccoli Comuni significa lasciare presidi territoriali, evitare congestioni a livello centrale, garantire una didattica ricca perché proporzionata e pluricentrica, salvaguardare gli investimenti fatti in termini di sicurezza e messa a norma degli edifici e di garanzia di servizi di qualità connessi al sistema scolastico;
   è evidente che, pur comportando non irrisori costi di gestione, mantenere un presidio scolastico su un territorio particolare come i piccoli comuni è fondamentale per garantire il diritto allo studio dei bambini, nonché la pluralità e valorizzazione dei territori minori che rivestono, comunque, grande importanza in merito alla gestione delle risorse naturali, alla qualità territoriale e alla coesione sociale –:
   se non si ritenga opportuno promuovere per le piccole scuole dei comuni montani una normativa specifica, non più limitandosi alla sola deroga, e assicurando nella dotazione organica assegnata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la copertura per le scuole montane, stabilendo priorità nella assegnazione dell'organico a cura degli uffici scolastici regionali;
   se ritenga opportuno abbassare i parametri per la costituzione delle cosiddette «pluriclassi» nelle scuole di comuni montani, che al momento è fissato in un massimo 18 alunni, per evitare la creazione di pluriclassi comprendenti più gruppi di alunni di età diverse, anche non contigue;
   se ritenga possibile abbassare il numero minimo di alunni per classe per i comuni montani – attualmente fissato a 10 alunni – portandolo almeno a 6-8 alunni;
   se, in base a quanto esposto in premessa, intenda valutare l'attivazione di sezioni per la scuola dell'infanzia con numero di 10 alunni nei comuni montani come previsto dal decreto ministeriale n. 176 del 1997 e allo stesso tempo se ritenga importante affrontare il problema delle liste di attesa alla scuola dell'infanzia anche nei piccoli comuni, spesso privi di altri servizi per l'infanzia;
   se, nell'ambito delle proprie competenze e di concerto con le competenti autorità regionali, possa definire l’«ottimale dimensionamento» della rete scolastica cercando di coniugare le istanze degli enti locali con l'esigenza di una qualità del servizio;
   quali opportuni investimenti intenda mettere in atto nell'ambito della formazione degli insegnanti che lavorano nelle pluriclassi, al fine di garantire un insegnamento di qualità e condizioni adeguate per l'innovazione didattica;
   quali strumenti intenda utilizzare al fine di garantire la «continuità» pluriennale degli insegnanti nelle scuole di montagna, legando la concessione di punteggi aggiuntivi ad una effettiva continuità di servizio, secondo criteri da concordare tra le parti sociali;
   se non intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, come già avviene in alcune parti di Italia, progetti innovativi volti a superare le «sofferenze» di organico (docente e personale ATA) nelle piccole scuole nell'ottica di sostenere, potenziare e valorizzare questi presidi educativi, strettamente legati al territorio;
   se intenda valutare la possibilità di istituire un gruppo di lavoro inter-istituzionale per «La scuola di montagna e la montanità», opportuno strumento per la programmazione educativa sul territorio. (4-01808)


   SCUVERA e BRAGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 18, comma 8-quater, del decreto-legge n. 69 del 2013 (cosiddetto decreto del fare) contiene una norma che autorizza la spesa di 150 milioni di euro al fine di attuare misure urgenti in materia di riqualificazione degli edifici scolastici in cui è stata censita presenza di amianto;
   il decreto stabilisce che «l'assegnazione agli enti locali è effettuata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca entro il 30 ottobre 2013 sulla base delle graduatorie presentate dalle regioni entro il 15 ottobre 2013. A tale fine gli enti locali presentano alle regioni entro il 15 settembre 2013 progetti esecutivi immediatamente cantierabili di messa in sicurezza, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli edifici scolastici. La mancata trasmissione delle graduatorie da parte delle regioni entro il 15 ottobre 2013 comporta la decadenza dall'assegnazione dei finanziamenti assegnabili» –:
   se tutte le regioni abbiano emanato i bandi per l'assegnazione dei fondi disponibili (o altri provvedimenti attuativi), quante domande siano state ricevute e se i plafond siano stati esauriti in tutte le regioni;
   se non si ritenga necessario – nei casi in cui mancassero tali provvedimenti attuativi da parte delle regioni o nel caso in cui non venissero esauriti i plafond disponibili – assumere iniziative per prorogare la scadenza oltre la data del 15 settembre 2013 o, scaduto tale termine, riaprire i termini di presentazione. (4-01814)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la triste vicenda dei lavoratori e delle lavoratrici ex IBM, poi Celestica, poi Bames – SEM di Vimercate è giunta a un punto di svolta, purtroppo negativo;
   l'8 agosto 2013 la direzione di Bames ha aperto la procedura di mobilità per 276 dipendenti su 291 e la procedura termina alla scadenza del periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria il 22 ottobre 2013, per cui se non si trova una soluzione alternativa la quasi totalità dei lavoratori verrà licenziata;
   a questi numeri vanno aggiunti quelli di SEM che attualmente sono 98 e quasi tutti in cassa integrazione guadagni straordinaria con scadenza della stessa il 22 febbraio 2014;
   per tutte e due le società, di quello che resta del comparto produttivo di IBM poi Celestica di Vimercate, le organizzazioni sindacali hanno presentato istanza di fallimento al fine di estromettere l'attuale proprietà dalla gestione delle aziende, di contro per le due società le stesse hanno presentato richiesta depositata presso il tribunale di Monza di concordato preventivo, dopo che sono state respinte dal tribunale di Milano (dove hanno la sede legale) le richieste di concordato preventivo in continuità;
   il tribunale di Monza ha fissato udienza per rispondere il 2 ottobre per Bames e il 29 ottobre per SEM;
   vi sono due urgenze da affrontare, la prima è quella di dare risposta occupazionale definendo un nuovo ammortizzatore sociale che scade il 22 ottobre per i 291 dipendenti di Bames a cui vanno aggiunti i 98 di SEM (febbraio 2014), la seconda è quella di iniziare un lavoro serio per evitare che nel sito di Vimercate vinca la logica della speculazione edilizia e per garantire che si faccia un vero percorso di re-industrializzazione volto a dare anche risposte occupazionali ai lavoratori che rischiano di restare senza lavoro;
   la vicenda interroga palesemente sui profili della responsabilità sociale d'impresa nonché sulle carenze delle politiche industriali del Paese negli ultimi decenni;
   per questi motivi ci saranno nelle prossime settimane iniziative di mobilitazione e di sensibilizzazione dei lavoratori e degli enti locali per individuare risposte ai problemi aperti, anche nell'ottica del rilancio di un distretto industriale tecnologico strategico per il Paese –:
   di quali informazioni siano in possesso i Ministri interrogati e quali iniziative intendano assumere. (4-01811)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   COVA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda delle «quote latte» ha interessato moltissime aziende agricole italiane e ha portato a ricorrere contro il prelievo per l'eccedenza delle produzioni;
   alcune aziende agricole hanno presentato ricorso presso il tribunale di Cassane D'Adda con la causa n. 15093/2003 che è giunta a sentenza definitiva da parte del giudice unico dottoressa Anna Landriani in data 12 dicembre 2008;
    tale sentenza dichiara che «Inibisce alla Agea di non richiedere ai ricorrenti e/o all'acquirente il versamento a titolo di prelievo supplementare per le annate in causa»;
   tale sentenza afferma «(...) Il Tribunale definitivamente pronunciando, integralmente conferma l'ordinanza del Dott. Manfredini del 19-12-2003: accerta il diritto delle aziende agricole ricorrenti di essere integralmente pagate per le consegne effettuate nel corso delle annate 1995/1996 alla presente 2002/2003 senza trattenute»;
   le annate di ricorso sono le campagne lattiero-casearie dal 1995 al 2003;
   AGEA ha provveduto a far riscuotere le fidejussioni bancarie per queste annate ad alcune aziende agricole ricorrenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questa situazione e se AGEA abbia agito nel rispetto della sentenza citata;
   se il Ministro intenda far rispettare questa sentenza a tutela degli agricoltori interessati. (4-01806)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   alcune sentenze emesse dai giudici di pace hanno condannato la Regione Puglia al risarcimento delle spese per gli esami PET TAC non effettuati agli ammalati oncologici della provincia di Lecce. Si tratta di quattordici pazienti che, affetti da patologie tumorali, sono stati costretti ad effettuare l'esame PET TAC a proprie spese in una struttura privata pugliese, a causa delle interminabili liste d'attesa esistenti nelle strutture pubbliche di Bari e Brindisi;
   testimonianze di noti professionisti, in prima linea nella lotta ai tumori, hanno confermato che il predetto esame è indifferibile e urgente, ma le liste d'attesta nelle strutture pubbliche costringono ancora oggi ad attendere molti mesi dalla data di prenotazione;
   è stata inoltre acclarata dai giudici la totale inerzia della Regione Puglia nell'attrezzare un centro che potesse eseguire la PET TAC, nonostante la presenza di fondi disponibili, così come dichiarato dal direttore generale della ASL di Lecce, al fine di garantire tale necessaria prestazione;
   la regione Puglia, in poco più di un anno, è stata così condannata a rimborsare le PET TAC sostenute da circa trenta ammalati oncologici –:
   se non si ritenga di intervenire, per quanto di competenza, per scongiurare questo tipo di situazioni che, per un verso, limitano il diritto alla salute dei cittadini, per l'altro causano lungaggini e danni, sia materiali che economici, sia ai cittadini che alle istituzioni.
(2-00206) «D'Ambrosio».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il comitato scientifico, nominato dal Ministro della salute e che doveva esprimersi sul metodo Stamina, che utilizza le cellule staminali (che secondo il suo ideatore, sarebbe efficace nella cura di varie malattie neuro-degenerative), ha consegnato al Ministero della salute il suo parere negativo sull'opportunità di iniziare la sperimentazione clinica;
   secondo il rapporto, mancherebbero i fondamenti scientifici tali da giustificare l'avvio della sperimentazione che, secondo il «decreto Balduzzi», sarebbe dovuta partire dal primo luglio 2013 e che invece ha rallentato, anche per il ritardo con cui è stata consegnata la documentazione al comitato. La relazione, che non è comunque vincolante, sarà adesso vagliata dal Ministro della salute;
   la comunità scientifica nazionale e internazionale ha preso nettamente le distanze dal metodo, contestando la decisione italiana di procedere alla sperimentazione;
   alla base delle perplessità espresse dalla Commissione c’è l'assenza di un protocollo che spieghi come produrre quel tipo di staminali e quali sono i presupposti in base ai quali dovrebbero riparare i danni neurodegenerativi e, dunque, essere valido per tante malattie;
   centinaia di famiglie, con figli e genitori in gravissime condizioni, nutrono ancora la speranza di poter accedere alle cure, si tratta di malati, in lista di attesa, autorizzati da diversi tribunali a ricevere le infusioni di staminali prodotte in un laboratorio del centro lombardo;
   la decisione finale spetta al Ministro della salute, ma ad oggi sembra svanita l'occasione di dimostrare che il metodo Stamina non è mera speranza, ma scienza –:
   quali efficaci e tempestive misure intenda adottare per venire incontro alle richieste di pazienti che attendevano da tempo di accedere ad un trattamento, unico in grado – allo stato attuale – di offrire una speranza a chi non ne ha, in assenza di cure alternative per la propria malattia. (3-00304)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI GALLO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, COZZOLINO, CECCONI, LOREFICE e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto n. 49 del 27 settembre 2010 emesso dal presidente della giunta regionale Campana, quale commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario regionale (pubblicato sul BURC il 28 settembre 2010), al quale fa riferimento l'articolo 1, comma 35, della legge regionale n. 14 del 4 agosto 2011, che ha introdotto il comma 237-bis all'articolo 1 della legge regionale n. 4 del 2011, ha annullato e sostituito integralmente i documenti approvati con i decreti commissariali 29/2010, 42/2010, 46/2010, con conseguente rimozione della legge regionale n. 16 del 2008, nella parte in cui disciplina la ristrutturazione ospedaliera e di tutti i provvedimenti in contrasto con il decreto stesso;
   l'obiettivo prefigurato col richiamato decreto n. 49 del 2010, con le conseguenti delibere attuative emanate nel corso dei mesi successivi dalla regione Campania e con il decreto n. 34 del 27 maggio 2011 che ha approvato il piano attuativo dell'ASL NA3 Sud, è quello di procedere ad un riassetto della rete ospedaliera e territoriale, prescrivendo interventi per la dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi non in grado di assicurare profili di efficienza e di efficacia, individuati secondo criteri prestabiliti nello stesso decreto; in buona sostanza, la necessaria riorganizzazione dell'offerta sanitaria ospedaliera regionale è finalizzata al contenimento dei costi ed all'ottimizzazione, in termini di efficacia ed efficienza, del servizio complessivamente considerato;
   il piano di rientro allegato alla legge regionale n. 16 del 2008 riportava numerose tabelle che indicavano il numero «attuale» dei posti letto (P.L.) delle aziende sanitarie ed ospedaliere e delle strutture private di tutta regione Campania (all'anno 2008). Con i piani allegati ai richiamati decreti n. 42/10 e n. 49/10, vengono riportate tabelle con il numero dei posti letto «attuali» inspiegabilmente discordanti rispetto a quelli della legge regionale n. 16 del 2008, sia per disciplina che per numero totale, relativamente ad ogni presidio ospedaliero. Alla luce di detta oggettiva discrasia, in effetti del tutto inspiegabile, appare davvero incomprensibile perché la regione Campania abbia presentato per lo stesso anno 2008 tabelle diverse nel numero dei posti letto totale e per disciplina degli stessi;
   dalle predette tabelle messe a confronto si evince che sono stati indicati, nei piani di rientro allegati alla legge regionale n. 16 del 2008 (prima) ed al decreto n. 49/10 (successivamente), come «esistenti», rispettivamente 268 e 237 posti letto in più, contrariamente a quanto indicato nelle deliberazioni dell'ASL NA3 SUD; in buona sostanza, con il decreto n. 49/010 compaiono 237 posti letto in più, contrariamente a 760 posti letto in precedenza registrati dalla stessa regione in pregressi atti determinativi. Detti dati vengono espressamente riportati nelle deliberazioni regionali n. 1053/10, n. 128/11 («Piano Attuativo Aziendale») e n. 347/2013 che confermano l'esistenza attuale di 763 posti letto, a fronte di una previsione del decreto 49/10 di 879 posti letto per acuti;
   in termini più strettamente economici, a detta alterazione dei dati numerici di partenza conseguirà una certa dichiarazione di «realizzato il rientro» del disavanzo sanitario regionale a cui l'alterazione dei dati di partenza è evidentemente strumentale; E difatti, tenendo per buoni gli stessi dati indicati nel decreto 49/10, se un posto letto per acuti richiede un costo medio di gestione annuo di 200.000 euro (decreto 49/10 pagina 76), con il numero dei posti letto in più riportati per la sola ASL NA3 Sud si avrebbe un risparmio (fittizio) di 237 x 200.000 = euro 47.400.000, che però non è un dato veritiero, ma prefigurato nell'ambito di risultati evidentemente predeterminati;
   i criteri di valutazione adottati per approntare il piano di rientro e per definire le sue modalità di attuazione (in particolare, nel decreto del commissario ad acta n. 42 del 14 luglio 2010, nel successivo decreto n. 49 del 29 settembre 2010 e della delibera del direttore generale n. 347 del 26 giugno 2013 che ha approvato, l'atto aziendale dell'ASL NA3 Sud) risultano fondati su dati incerti e non oggettivamente riscontrabili, incentrati su improbabili calcoli numerici inerenti alla valutazione delle schede di dimissioni ospedaliere (SDO) che non tengono però conto di oggettive realtà di fatto e che hanno portato ad una errata determinazione dei costi relativi ai raggruppamenti omogenei di diagnosi e che appaiono strumentali alla ridefinizione della rete ospedaliera;
   dal contenuto prescrittivo dello stesso decreto 49/2010 emergono evidenti dubbi e perplessità in ordine alla effettiva perseguibilità degli obiettivi annunciati, ed in particolare appare del tutto indefinito l'impatto economico-finanziario che effettivamente produrrà il riassetto ivi prescritto una volta che il sistema prefigurato verrà portato a regime e ciò anche volendo prescindere dalla naturale considerazione che la riorganizzazione del sistema sanitario debba essere determinata in funzione unicamente della salvaguardia della salute e del soddisfacimento dei LEA;
   ciò che emerge dalle disposizioni in parola è che il sistema sanitario che si sta approntando per la lascia costiera vesuviana risulta improntato al pedissequo rispetto dei parametri prescritti nel piano di rientro sanitario richiamato quale suo presupposto nell'ambito del decreto 49/2010, che a sua volta si fonda su dati errati e/o malamente interpretati, oltre che contrastanti con elementi di fatto precedentemente individuati ed indicati dalla stessa regione in propri atti deliberativi;
   alla luce di quanto sopra, resta del tutto teorico e concretamente non realizzabile l'obiettivo esplicitato del decreto di procedere ad un risparmio relativo attraverso la trasformazione di 907 posti letto per acuti in altrettanti posti di riabilitazione/lungodegenza e la dismissione di complessivi 1100 posti letto (760 pubblici e 350 privati), da cui dovrebbe ricavarsi una riduzione dei costi di circa 150 milioni di euro nei limiti temporali fissati dal cronoprogramma;
   detti dati non tengono in alcun conto il costo per i nuovi posti letto da istituire per riabilitazione ed al relativo conseguente rientro di spesa dal privato convenzionato;
   ancora, oltre che a risultare illogico e contrastante con dati oggettivi, il sistema che si sta approntando a giudizio dell'interrogante contrasta con i limiti normativi in ordine al numero dei posti, attestando l'offerta sanitaria per l'area costiera vesuviana ben al di sotto del limite di 1 posto letto per mille abitanti prescritto su tutto il territorio della nostra ASL NA3 Sud ed in buona parte della provincia di Napoli, di gran lunga inferiore al fabbisogno previsto dal «patto per la salute 2010-2012» e sin'anche inferiore ai limiti prescritti a livello nazionale dal decreto sulla definizione degli standard qualitativi redatto per il triennio 2013-2015 dal Ministro pro tempore Balduzzi durante il Governo Monti;
   pertanto, appare evidente che il piano di «rientro» viene approntato ad esclusivo discapito della qualità dell'offerta sanitaria per i cittadini campani, evidentemente penalizzati rispetto alle altre regioni ed in spregio dei principi di eguaglianza e pari dignità e del diritto alla salute costituzionalmente garantito e destinato ad incrementare il penoso fenomeno delle migrazioni sanitarie alla ricerca di un'assistenza sanitaria adeguata;
   nell'ambito di queste linee programmatiche e strumentalmente al perseguimento dei predetti obiettivi di riduzione di costi e rientro dal disavanzo, economico, col decreto n. 49, la regione ha prescritto tra l'altro, il declassamento del presidio ospedaliero Maresca di Torre del Greco (Napoli) a struttura riabilitativa e di lungodegenza, decidendo di utilizzare il presidio ospedaliero S. Anna di Boscotrecase come contenitore principale, ossia come ospedale di II livello emergenza-urgenza, e l'ospedale Maresca a contenitore secondario, ossia come ospedale di lungodegenza e riabilitazione, facendo confluire nel primo tutti i reparti dell'ospedale torrese, pur essendo quest'ultimo più grande in termini di metratura e cubatura, nonché in termini di posti letto e dall'accessibilità viaria sicuramente più agevole e diretta (basti pensare che il tenimento di Boscotrecase non ha nemmeno un accesso diretto all'autostrada A3 da cui si accede attraversando il comune di Torre Annunziata);
   il predetto presidio ospedaliero Maresca è una struttura ospedaliera situata in una posizione strategica per il servizio sanitario/ospedaliero di tutta l'area pedemontana vesuviana dall'altissima densità abitativa, con un bacino di utenza oltre 300.000 cittadini stanziali, ed a servizio di città numerosamente e densamente popolate, quali S. Giorgio a Cremano, San Sebastiano al Vesuvio, Portici, Ercolano, oltre che la stessa Torre del Greco;
   la struttura edile del presidio ospedaliero di Boscotrecase è ancora in fase di completamento, con reparti non ancora destinati alle sedi previste ed evidenti inadeguatezze sia delle aree ambulatoriali, sia degli spazi destinati alla degenza e di quelli destinati alla fruizione quotidiana di un'utenza che, a regime, dovrebbe essere quadrupla rispetto a quella attualmente servita dal nosocomio boschese;
   risulta fondata su presupposti di fatto travisati e/o alterati la decisione di far confluire sul nosocomio di Boscotrecase, privo di adeguate infrastrutture di collegamento e non perfettamente funzionante, tenuto altresì conto che è venuto meno un ulteriore presupposto sostanziale del decreto 49/2010, ovvero l'apertura del nuovo ospedale del mare;
   a detta carenza di presupposti va aggiunto che sono evidenti la inadeguatezza e l'antieconomicità delle scelte effettuate con il piano di rientro, la disparità di trattamento rispetto alla salvezza dei piccoli nosocomi allocati sulle isole regionali e di altre strutture tra loro accorpate e l'illegittimità di fondo che connota determinazioni fondate su ragioni di mera economia contenute nel piano di riassetto, che nulla prevede in riferimento alla rete della emergenza-urgenze, nulla motiva in ordine ai criteri di individuazione del numero di 100 posti letto individuati come soglia minima di congruità dimensionale e non tiene conto che la riduzione a 98 posti letto dell'ospedale Maresca è dovuta alla dismissione dei reparti, determinata con la legge regionale campana n. 16/08 senza che si sia contestualmente provveduto all'incremento dei posti letto per altri reparti, pure previsto dalla medesima legge regionale;
   la trasformazione del presidio ospedaliero Maresca in struttura polifunzionale per la salute comporterebbe di fatto la cessazione di ogni funzione ospedaliera di primo soccorso, con esclusione del nosocomio in parola dalla rete delle emergenza ed avverrebbe a dispetto proprio di quanto espressamente prescritto nella legge regionale n. 16 del 28 novembre 2008 che aveva previsto una ridotta diminuzione del numero complessivo di posti letto per trasferimento di alcune unità operative e del punto di nascita, neonatologia e pediatria e il successivo potenziamento di altre che avrebbe riportato il numero dei posti letto al di sopra della richiamata soglia limite (100 posti letto) individuata per discriminare le strutture pubbliche di ricovero per acuti tra quelle che assicurano adeguati profili di efficienza ed efficacia e quelle che non assicurando tali profili minimi sono sottoposte a procedure di ridimensionamento;
   pertanto, il completamento della dismissione del presidio ospedaliero Maresca a vantaggio della struttura di Boscotrecase implicherà la sostanziale scopertura, per tutta la citata fascia costiera vesuviana, di un presidio di emergenza-urgenza e ciò impone una sostanziale revisione delle determinazioni prescritte nel decreto n. 49 alla luce delle esperienze maturate dalla sua elaborazione alla sua effettiva attuazione;
   dette macroscopiche incongruenze risultano ancor più risaltate, se non addirittura accentuate, dalle disposizioni contenute nell'atto aziendale dell'ASL NA3 Sud, approvato con la delibera n. 347 del 26 giugno 2013, laddove vengono smentite le previsioni del piano ospedaliero e si prescrive la permanenza presso l'ospedale Maresca del pronto soccorso (ma la chirurgia dovrebbe essere assicurata da soli tre medici e la medicina da due); per converso, sempre l'atto aziendale prevede che all'ospedale di Boscotrecase, dove manca del tutto la diagnostica, resterebbe l'emergenza per cui i pazienti in urgenza dovranno prima andare a Torre del Greco per una Tac e poi tornare a Boscotrecase per la degenza;
   ciò che in realtà pare emergere da questo complessivo quadro di incongruenze ed oggettive contraddittorietà è un ben prefigurato piano di smantellamento della sanità campana che ad avviso dell'interrogante più che essere prodromico al rientro del disavanzo, non consente di far emergere le precipue responsabilità politiche e dirigenziali in ordine all'enorme buco economico già esistente prima della presidenza Caldoro e confermato con quest'ultimo –:
   se e quali iniziative abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere al fine di verificare se il riassetto dei presidi ospedalieri in Campania pregiudichi irrimediabilmente i livelli essenziali di assistenza (LEA) per i cittadini della fascia costiera vesuviana ed il loro diritto di ricevere prestazioni sanitarie in egual misura con gli altri cittadini;
   se intenda riscontrare, per quanto sopra esposto, se siano effettivamente perseguiti gli indirizzi di contenimento della spesa sanitaria fissati in sede di definizione dei piani di rientro dal disavanzo sanitario verificando se i criteri di nuova classificazione di riorganizzazione dei presidi ospedalieri territoriali siano effettivamente rispondenti agli obiettivi di contenimento della spesa, salvaguardando l'offerta di prestazioni sanitarie di sufficiente qualità e fruibilità per i cittadini vesuviani. (4-01812)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   dallo scorso mese di luglio è ufficialmente in corso il negoziato tra Unione europea e Stati Uniti per la conclusione dell'accordo di partenariato economico-finanziario noto come Transatlantic Trade and Investment Partnership o TTIP;
   la creazione di una zona euro-americana di libero scambio priva di frontiere interne comporta conseguenze estremamente significative per il quadro normativo globale in materia di commercio ed investimenti ed impone un'attenta riflessione in virtù delle ripercussioni che potrebbero derivare per il nostro Paese;
   se l'accordo in questione, come stimato da autorevoli centri studi di fama internazionale, porterà un beneficio economico di oltre 100 miliardi di euro l'anno per entrambe le sponde dell'Atlantico attraverso la rimozione dei dazi e delle barriere tariffarie da effettuarsi a costo zero, è bene evidenziare tutte le implicazioni di una iniziativa che unitamente agli obiettivi di rilancio dell'economia ha anche rilevanti finalità politiche;
   lungi dall'essere un progetto neutrale, la zona euroamericana di libero scambio lega in maniera definitiva le sorti dell'Europa e dell'euro a quelle degli USA e del dollaro limitando la residua autonomia di un'Unione europea sempre meno integrata al suo interno e rischia di sfociare in una annessione totale dell'Europa ai dettami finanziari e commerciali di Washington;
   è noto che le condizioni per la creazione di una TTIP vennero poste già nel 2007 con l'istituzione di un Consiglio economico transatlantico e cioè un anno prima dello scoppio della bolla speculativa che ha aperto la strada alla crisi finanziaria e alla attuale depressione economica, cosa questa che, considerata alla luce delle recenti indiscrezioni che vorrebbero la Federal Reserve intenzionata ad avviare una stretta monetaria i cui effetti provocherebbero un rialzo dei tassi di interesse statunitensi generando un consistente afflusso di dollari dal resto del mondo agli USA, rende meno inverosimile la possibilità dell'adozione del dollaro come moneta unica europea quale provvidenziale soluzione alla ormai irreversibile crisi dell'euro;
   il rialzo dei tassi di interesse americani non è senza implicazioni per la politica monetaria nell'eurozona ed impone alla Banca centrale europea di scegliere se svalutare l'euro o elevare il saggio di sconto spingendo verso la bancarotta alcuni degli Stati periferici come l'Italia, il cui debito pubblico ha recentemente toccato il 130 per cento del prodotto interno lordo;
   sul piano strettamente economico giova rilevare che mentre il mercato unico è il risultato di una omogeneità di regolamentazione senza precedenti, volta ad assicurare ai cittadini europei uguali condizioni di partenza per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, quello statunitense è frutto di anni di «deregulation» e i nostri operatori economici si troveranno a competere con concorrenti americani in un quadro caratterizzato dalla compresenza di assetti legislativi differenti, poiché difficilmente i negoziatori europei riusciranno a persuadere i colleghi d'oltreoceano sulla bontà delle pesanti normative in vigore nell'Unione europea;
   relativamente al comparto agricolo, per il quale i fautori dell'accordo vantano benefìci a doppio senso in considerazione delle enormi barriere tariffarie esistenti, le preoccupazioni maggiori riguardano le importazioni di OGM, posto che gli USA cercano sbocchi per grano e soia e, in assenza di opportune salvaguardie, il rischio di chiusura di molte piccole aziende, in quanto la frammentazione della proprietà agraria che caratterizza il nostro continente comporta una impari competizione con i grandi farmer statunitensi –:
   di quali ulteriori elementi dispongano i Ministri in relazione a quanto espresso in premessa e quali iniziative intendano intraprendere, presso le competenti sedi comunitarie, affinché il partenariato si articoli su assetti legislativi omogenei e preveda forti tutele per l'agricoltura comunitaria e come intendano salvaguardare gli interessi produttivi del nostro Paese qualora la BCE decidesse di innalzare i tassi di interesse dell'eurozona, posto che il mantenimento di un obiettivo di cambio con il dollaro in rivalutazione genererebbe difficoltà insormontabili per la nostra finanza pubblica.
(2-00205) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Spessotto».

Interrogazione a risposta orale:


   GIANCARLO GIORGETTI, CAPARINI, ALLASIA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'11 settembre i militari del gruppo di Taranto con l'ausilio di reparti sul territorio nazionale, su disposizione del giudice per le indagini preliminari di Taranto, hanno eseguito operazioni di sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, di beni immobili, disponibilità finanziarie e quote societarie per una somma complessiva di oltre 916 milioni di euro. Le attività di sequestro, che hanno riguardato altre 13 società a diverso titolo riconducibili al Gruppo Riva, sono state eseguite principalmente nella sede di Milano e Taranto ed hanno interessato anche le città di Roma, Genova, Cagliari, Modena, Parma, Reggio Emilia, Sondrio, Varese, Potenza, Bolzano, Savona, Bergamo, Brescia, Verona, Napoli, Salerno, Bari, Vercelli, Como, Massa Carrara, Lecco, Cuneo;
   in particolare, sono state interessate 9 società controllate in via diretta e indiretta in forma dominante, da Ilva spa, 3 società controllate in via diretta, in forma dominante, da Riva Forni Elettrici spa e 1 società controllata mediante influenza dominante da Riva Fire spa;
   all'esito di questa fase, sono stati sequestrati beni immobili per oltre 456 milioni di euro, disponibilità finanziarie per oltre 45 milioni di euro, azioni e quote societarie per circa 415 milioni di euro. Sono stati sequestrati altresì un centinaio di automezzi, il cui valore complessivo è ancora in corso di quantificazione;
   da notizie di stampa risulta che le attività giudiziarie scaturiscono da un ulteriore dispositivo che ha «esteso» il decreto di sequestro preventivo già emesso nello scorso mese di maggio, fino alla concorrenza della somma di 8,1 miliardi di euro, nei confronti delle società «Riva – FIRE», «Riva Forni elettrici» e «Ilva», tutte con sede a Milano. Tale «estensione», in pratica, ha riguardato le società «controllate, collegate o comunque sottoposte all'influenza dominante» dalle predette «ex articolo 2359 c.c.». L'importo di 8,1 miliardi di euro era stato commisurato al vantaggio economico goduto dal citato gruppo industriale, derivante dalla mancata messa in opera delle strutture necessarie all'ambientalizzazione della nota azienda siderurgica tarantina;
   il gruppo Riva Forni Elettrici conta su circa 5.000 dipendenti impiegati in 20 siti produttivi e di lavorazione, di cui 12 in Italia, tra cui il primo stabilimento produttivo con forno elettrico di Caronno Pertusella (VA) realizzato nel 1957, le acciaierie e ferriere del Tanaro a Lesegno in provincia di Cuneo, la officine e fonderie Galtarossa di Verona e fornisce mercati europei ed internazionali con particolari standard qualitativi per la meccanica e l'edilizia;
   a seguito della decisione della magistratura da oggi il Gruppo Riva terminerà ogni operatività con un incommensurabile danno economico, commerciale e occupazionale –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda seguire per ripristinare l'immediata operatività del gruppo. (3-00305)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   ha suscitato preoccupazione e un certo allarme la notizia recentemente anticipata da fonti giornalistiche locali, secondo la quale nello stabilimento «storico» di San Sisto (Perugia) si stanno producendo i famosi e noti cioccolatini «Baci» destinati al mercato francese senza lo storico marchio «Perugina» e senza qualsiasi riferimento allo stabilimento di San Sisto di Perugia. Infatti, secondo quanto riferito, sulle confezioni non viene neppure riportato come luogo di produzione Perugia, ma viene riportata solamente la dicitura «importati da Nestlé»;
   la commercializzazione dei «Baci», divenuti famosi in tutto il mondo con la denominazione e l'appellativo di «Baci Perugina» in omaggio alla città di Perugia alla quale i «Baci» sono indissolubilmente legati, avviene in Francia con il marchio Lanvin in forza di un accordo con Nestlé Francia;
   la notizia ha destato legittimo stupore poiché parrebbe che a fronte della nuova commessa per la vendita e la distribuzione dei «Baci» in Francia, nessuna informazione precisa ha riguardato la modifica del marchio «Perugina» – sostituito dal suddetto marchio «Lanvin» – sui cioccolatini «Baci», prodotti nello stabilimento di San Sisto di Perugia che è stato interessato nel recente passato da periodi di cassa integrazione ordinaria e dalla stipula di cosiddetti contratti di solidarietà difensiva;
   la Nestlé si è affrettata a chiarire che lo stabilimento Perugina di San Sisto ha avviato la produzione in esclusiva per la consociata Nestlé Francia, che venderà i Baci o più precisamente i cosiddetti «Bacetti» a marchio Lanvin – a detta della Nestlé – noto brand di pasticceria di alto livello;
   tuttavia tale scelta appare difficilmente comprensibile atteso che i «Baci Perugina» costituiscono marchio strategico conosciuto ed affermato in tutto il mondo;
   tale scelta commerciale è fonte di preoccupazione per la cittadinanza con riguardo alla difesa della specificità della produzione del cioccolato «Baci Perugina» nello stabilimento perugino di San Sisto nonché del marchio «Perugina» che rappresenta la storia della città nonché il made in Italy nel settore della produzione del cioccolato in tutto il mondo –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta;
   quali iniziative di competenza – anche di tipo normativo – intenda adottare il Governo per tutelare e preservare il prestigio e la specificità di marchi (come «Baci Perugina») e di produzioni commerciali italiane che hanno segnato la peculiarità e il successo del made in Italy. (4-01801)


   VALLASCAS, PINNA, DELLA VALLE, CRIPPA, MUCCI, PRODANI, DA VILLA, FANTINATI e D'UVA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale quadro normativo sulla regolamentazione dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico è riferibile alla legge n. 99 del 23 luglio 2009;
   la suddetta legge in ottemperanza all'articolo 37 prevede a suo tempo l'insediamento del commissario e dei sub commissari, avvenuto il 15 settembre 2009, allorquando prese avvio l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA);
   come previsto dal quarto comma dell'articolo suddetto, un apposito decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e sentite le Commissioni parlamentari competenti, concluderà il processo di definizione e di organizzazione dell'Agenzia;
   nelle more dell'emanazione di tale decreto ministeriale è stata imposta una struttura organizzativa commissariale ad avviso dell'interrogante assolutamente non idonea al conseguimento di alcuna configurazione strategica dell'ENEA e che a distanza ormai di 4 anni dall'emanazione del provvedimento definire transitoria pare un insulto alla ragione;
   allo stato dell'arte l'ENEA svolge attività di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico avvalendosi di competenze ad ampio spettro e di avanzate infrastrutture impiantistiche e strumentali dislocate presso i nove Centri di ricerca e cinque laboratori di ricerca e che tali infrastrutture, oltre ad operare nell'ambito dei programmi dell'agenzia, sono a disposizione del mondo scientifico e imprenditoriale del Paese con una notevole potenzialità di impatto sulle dinamiche di sviluppo industriale; un patrimonio di conoscenze spesso serbatoio di cervelli costretti a volare verso Paesi più sensibili al valore della ricerca;
   l'attuale configurazione ibrida dell'ENEA, divisa tra la sua peculiare missione di ricerca nell'ambito dell'energia e le attribuzioni di servizio che le sono state attribuite negli anni fino ad affievolire e a rendere assolutamente insufficienti le risorse ad essa destinate, ha dimostrato talvolta di non rispondere alle finalità proprie della ricerca scientifica per una evidente mancanza di visione strategica interna e cronica mancanza di risorse altrimenti destinate;
   da più parti arrivano segnali sulla volontà dell'attuale Governo di non pervenire a una soluzione di riordino che faccia uscire l'ENEA dall'ultradecennale impasse determinato dalla evoluzione di una strategia energetica nazionale sempre in balia di interessi e correnti trasversali che stenta a recepire gli indirizzi determinati da un quadro energetico profondamente variato dal punto di vista dell'innovazione tecnologica in atto;
   in alcuni dei centri di ricerca, come quello della Casaccia, l'invasività dalla SOGIN spa rende ormai impossibile l'operatività istituzionale del centro stesso e impossibile il suo rapporto con il territorio;
   malgrado i proclami di facciata, l'attuale Governo ha continuato, allineandosi al passato, nel percorrere la strada del taglio delle risorse e nella mancata riorganizzazione del sistema complessivo della ricerca Italiana –:
   quali iniziative, nell'ambito della propria competenza, intendano intraprendere volte:
    a) alla definitiva uscita dell'ENEA dalia condizione di commissariamento ormai ultradecennale;
    b) alla riorganizzazione dell'ENEA attraverso una determinazione funzionale definita e definibile delle sue funzioni di ricerca da un lato e di supporto amministrativo e tecnico-consulenziale dall'altro;
    c) alla salvaguardia delle eccellenze scientifiche e dei programmi nei diversi campi di ricerca in cui l'ENEA è impegnata;
    d) alla definizione di una specifica missione dell'ENEA legata da una parte alla visione strategica della politica energetica nazionale e dall'altra alla necessità che essa allacci i suoi rapporti con le realtà industriali che ad essa si rivolgono in un rapporto di interscambio tecnico-operativo;
    e) alla disposizione per l'ENEA di adeguate risorse finalizzate alla ricerca, distinte da quanto è necessario per il sostenimento della sua attività amministrativa e tecnico-consulenziale istituzionale;
    f) alla ridefinizione delle prerogative dell'ENEA in rapporto all'operatività della società SOGIN spa per quanto attiene al sito della Casaccia;
    g) al riordino del quadro complessivo normativo in un ottica di riorganizzazione del sistema della ricerca italiana e delle sue molteplici strutture operanti spesso in palese competizione tra loro nell'aggiudicarsi le scarse risorse a disposizione. (4-01803)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Lenzi e Manfredi n. 5-00920, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 agosto 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Quartapelle Procopio.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione Bianconi n. 5-00990, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 75 dell'11 settembre 2013 deve intendersi «interrogazione a risposta immediata in Commissione « e non «interrogazione a risposta in Commissione», come stampato nell'indice e alla relativa pagina.