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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 8 agosto 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia i siti contaminati di interesse nazionale sono 57;
    di questi ben 20 sono situati al Sud. Si tratta di aree fortemente inquinate che con la loro presenza rappresentano rischi gravissimi per la salute dei cittadini e che hanno fortemente compromesso e inquinato l'ambiente;
    lo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento (SENTIERI), condotto e finanziato nell'ambito del programma strategico ambiente e salute del Ministero della salute, ha condotto un'analisi della mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di una serie di grandi centri industriali attivi o dismessi, o di aree oggetto di smaltimento di rifiuti industriali e/o pericolosi, che presentano un quadro di contaminazione ambientale e di rischio sanitario tale da avere determinato il riconoscimento di «siti di interesse nazionale per le bonifiche» (SIN);
    il progetto, iniziato nel 2007, è stato completato nel mese di dicembre 2010, mentre i risultati sono pubblicati in due supplementi della rivista Epidemiologia & Prevenzione rispettivamente nell'autunno del 2010 e del 2011;
    lo studio ha preso in considerazione 44 dei 57 siti oggi compresi nel «programma nazionale di bonifica», che coincidono con i maggiori agglomerati industriali nazionali;
    i siti di interesse nazionale per le bonifiche studiati sono costituiti da uno o più comuni; la mortalità è stata studiata per ogni sito, nel periodo 1995-2002, attraverso i seguenti indicatori: tasso grezzo, tasso standardizzato, rapporto standardizzato di mortalità (SMR) e rapporto standardizzato di mortalità corretto per un indice di deprivazione socioeconomica messo a punto ad hoc;
    gli indicatori di mortalità sono stati calcolati per 63 cause singole o gruppi di cause. La presenza di amianto (o di fibre asbestiformi a Biancavilla) è stata la motivazione esclusiva per il riconoscimento di sei siti di interesse nazionale per le bonifiche (Balangero, Emarese, Casale Monferrato, Broni, Bari-Fibronit e Biancavilla);
   in tutti i siti (con l'esclusione di Emarese) si sono osservati incrementi della mortalità per tumore maligno della pleura e in quattro siti i dati sono coerenti in entrambi i generi (maschi e femmine). In sei siti con presenza di altre sorgenti di inquinamento oltre all'amianto, la mortalità per tumore maligno della pleura è in eccesso in entrambi i generi a Pitelli, Massa Carrara, Priolo e nell'area del litorale vesuviano. Nel periodo 1995-2002 nell'insieme dei dodici siti contaminati da amianto sono stati osservati un totale di 416 casi di tumore maligno della pleura in eccesso rispetto alle attese;
    per quanto concerne il sito di interesse nazionale per le bonifiche Taranto questo è costituito da due comuni con una popolazione complessiva di 216.618 abitanti al censimento 2001. Sulla base dei risultati compatibili con la presenza di un eccesso/difetto di rischio sanitario relativi alle principali cause di decesso elencate alle cause per le quali vi è a priori un'evidenza sufficiente o limitata di associazione con le fonti di esposizioni ambientali del sito di interesse nazionale per le bonifiche si rileva il seguente profilo di mortalità: eccesso tra il 10 per cento e il 15 per cento nella mortalità generale e per tutti i tumori in entrambi i generi; eccesso di circa il 30 per cento nella mortalità per tumore del polmone, per entrambi i generi; eccesso, in entrambi i generi, dei decessi per tumore della pleura: eccesso compreso tra il 50 per cento (uomini) e il 40 per cento (donne) di decessi per malattie respiratorie acute, eccesso di circa il 15 per cento tra gli uomini e 40 per cento nelle donne della mortalità per malattie dell'apparato digerente, incremento di circa il 5 per cento dei decessi per malattie del sistema circolatorio soprattutto tra gli uomini; quest'ultimo, eccesso per la mortalità per condizioni morbose di origine perinatale 0-1 anno);
    ulteriori elementi di interesse sono stati forniti dalle stime globali della mortalità nell'insieme dei siti oggetto del progetto SENTIERI. In particolare, è emerso che la mortalità in tutti i siti di interesse nazionale per le bonifiche, per le cause di morte con evidenza a priori sufficiente o limitata per le esposizioni ambientali presenti supera l'atteso, con un rapporto standardizzato di mortalità di 115.8 per gli uomini (IC 90 per cento 114.4-117.2, 2 439 decessi in eccesso) e 114.4 per le donne (IC 90 per cento 112.4-116.5; 1.069 decessi in eccesso). Tale sovramortalità si riscontra anche estendendo l'analisi a tutte le cause di morte, cioè non solo per quelle con evidenza a priori sufficiente o limitata: il totale dei decessi, per uomini e donne, è di 403.692, in eccesso rispetto all'atteso di 9.969 casi (SMR 102.5 per cento; IC 90 per cento 102.3-102.8), con una media di oltre 1 200 casi annui;
    in Italia fino agli anni Novanta si è parlato di inquinamento facendo riferimento a singoli comparti ambientali (aria, acque sotterranee e superficiali, sedimenti, suolo), ma il concetto di sito inquinato, cioè porzione di territorio in cui più di una matrice ambientale risulta contaminata, viene introdotto per la prima volta con la definizione delle «aree a elevato rischio di crisi ambientale» dichiarate tali in base alla legge 8 luglio 1986, n. 349, e successive modifiche e integrazioni;
    nel decreto legislativo n. 22 del 1997 sulla gestione dei rifiuti, uno specifico articolo (articolo 17), che riguarda la bonifica dei siti inquinati, amplia il concetto di sito inquinato ricomprendendo non più solo vaste aree industriali in attività, bensì anche aree industriali dismesse o da dismettere, e aree di smaltimento rifiuti;
    con il decreto ministeriale n. 471 del 1999 relativo alle bonifiche dei siti inquinati, si ha la prima definizione di sito inquinato, e precisamente: «Sito che presenta livelli di contaminazione o alterazioni chimiche, fisiche o biologiche del suolo o del sottosuolo o delle acque superficiali o delle acque sotterranee tali da determinare un pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente naturale o costruito. È inquinato il sito nel quale anche uno solo dei valori di concentrazione delle sostanze inquinanti nel suolo o nel sottosuolo o nelle acque sotterranee o nelle acque superficiali risulta superiore ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti dal presente regolamento». Pertanto, un sito è considerato inquinato quando in una delle matrici considerate viene superata la concentrazione limite individuata nella normativa;
    il decreto legislativo n. 152 del 2006 (che ha sostituito con la parte IV – titolo V, il decreto ministeriale n. 471 del 1999) riporta una nuova definizione di sito inquinato, e precisamente: «Un sito nel quale i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) determinati con l'applicazione della procedura di analisi di rischio di cui all'allegato 1 alla parte quarta del presente decreto sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, risultano superati». Viene pertanto introdotto per la prima volta un importante concetto: un sito è definito contaminato quando esibisce un rischio igienico sanitario per l'uomo, cioè quando supera le soglie di accettabilità del rischio stesso, valutate attraverso una specifica procedura di analisi di rischio;
    con il decreto ministeriale n. 471 del 1999 e il decreto legislativo n. 152 del 2006 vengono individuate quelle condizioni che rendono un sito inquinato oggetto di intervento di interesse nazionale. In altre parole, vengono individuate le aree da inserire nel «programma nazionale di bonifica» come «siti di bonifica di interesse nazionale» (SIN), sulla base delle caratteristiche del sito inquinato, delle quantità e della pericolosità degli inquinanti presenti, dell'impatto in termini di rischio sanitario ed ecologico sull'ambiente circostante. L'inserimento di un'area tra i siti di interesse nazionale per le bonifiche avviene in base a criteri di ordine sanitario, come le evidenze di alterazioni dello stato di salute delle popolazioni residenti nell'area d'interesse; di ordine ambientale, come l'estensione dell'area potenzialmente inquinata, la compromissione di tutte le matrici ambientali (suolo, acqua, aria) oppure la presenza massiva di abbancamenti di rifiuti; di ordine sociale, quale una elevata percezione del rischio stesso da parte della popolazione, per motivazioni storiche, sociali, ambientali;
   è importante evidenziare che molti siti di interesse nazionale per le bonifiche sono stati definiti sulla base della presenza di grandi agglomerati industriali, che hanno avviato l'attività tra gli anni Cinquanta e Sessanta. In queste situazioni è verosimile ipotizzare che nel passato la via di esposizione prevalente della popolazione sia stata quella inalatoria, dovuta alle emissioni industriali in atmosfera;
    un'altra plausibile via di esposizione è attraverso le acque sotterranee contaminate, ove queste ultime siano state utilizzate soprattutto a scopo irriguo, con conseguente possibile contaminazione di prodotti agricoli locali. Inoltre, è da sottolineare un altro fattore relativo al consumo da parte della popolazione residente di prodotti agricoli potenzialmente contaminati attraverso le ricadute aeree, le acque e/o i terreni;
    i comuni inclusi nei siti di interesse nazionale per le bonifiche sono oltre 300, con circa 9 milioni di abitanti. Non c’è regione che non abbia nel suo territorio almeno un sito contaminato;
    è importante ricordare che oltre ai siti inquinati di interesse nazionale vi sono quelli di interesse regionale che sono enormemente più numerosi (di questi almeno cinquemila avrebbero necessità di bonifiche);
    non è noto, attualmente, quanti siano i cittadini italiani esposti agli inquinanti rispetto ai siti regionali contaminati;
    la mancanza di politiche serie di bonifiche delle aree contaminate, sta producendo danni ambientali e sanitari non quantificabili ma sicuramente enormi;
    tale mancanza è il segnale inequivocabile dell'indifferenza dimostrata, nel corso degli anni, dalla politica nei confronti della salute pubblica e della salvaguardia del territorio;
    lo sforzo economico per attuare le bonifiche non è solo un atto dovuto ai cittadini e ai territori che sono stati stravolti da scelte economiche scellerate ma può rappresentare il volano economico di un nuovo sviluppo fondato sulla green economy in grado di creare nuova occupazione salvaguardando il territorio, le risorse naturali e la salute dei cittadini;
    discorso a parte, non per differenza di inquinamento ma per le aree interessate, merita la questione dei poligoni di tiro, rispetto ai quali è ormai ampiamente riconosciuta l'esigenza di interrompere le attività militari nocive e altamente inquinanti in tutti i poligoni insediati sul territorio nazionale (con la Sardegna che occupa il triste primato dell'80 per cento delle aree utilizzate a tale scopo),

impegna il Governo:

   ad attivare e aumentare le risorse finanziarie pubbliche per far decollare il settore delle bonifiche;
   ad elaborare un piano nazionale per le bonifiche, con la tempistica cronologica degli interventi, che preveda nuovi investimenti produttivi con nuove infrastrutture ad alta sostenibilità ambientale;
   ad adottare un piano di sorveglianza sanitaria mirata, che coinvolga il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e gli enti locali e che sia affiancata da attività di ricerca e sistemi di monitoraggio e controllo della qualità ambientale;
   a prevedere, in accordo con gli enti locali, un piano per l'aggiornamento dei tecnici delle pubbliche amministrazioni in merito alla modalità di valutazione della qualità ambientale e alla potenzialità e limiti dei modelli di analisi a rischio;
   a definire, in accordo con gli enti locali coinvolti, in maniera concreta, i tempi e la strategia di utilizzo degli stanziamenti previsti per la bonifica dei siti inquinati nelle aree dei poligoni di tiro, definendo, come sarà necessario, un ulteriore implemento delle risorse previste per restituire dignità e un nuovo sviluppo economico alle aree interessate a livello nazionale;
   a predisporre gli strumenti, anche normativi, idonei a valutare in tutti i siti di interesse nazionale per le bonifiche il contributo all'esposizione derivante dal potenziale ingresso nella catena alimentare dei contaminanti riscontrati nelle varie matrici ambientali.
(1-00171) «Labriola, Pisicchio, Di Gioia, Furnari, Pelillo, Chiarelli, Pastorelli, Capelli, Di Lello, Ottobre, Plangger, Locatelli, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza femminile è un fenomeno sempre più esteso e, ancor più grave, una donna su quattro è tuttora vittima di violenza in gravidanza; la violenza domestica è la seconda causa di morte in questa fase della vita femminile; tutta la letteratura medica internazionale attesta lo stretto legame tra gravidanza e violenza domestica; la «gravidanza violenta» è da considerare a tutti gli effetti «gravidanza a rischio»; tutte le istituzioni concordano sull'urgenza di fermare una violenza che tende a replicarsi, una malattia sociale che provoca ripercussioni intergenerazionali con conseguenze negative per la salute, le crescita e il benessere dei figli, ma che ha ripercussioni sociali ed economiche sull'intero sistema sociale;
    il rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla violenza femminile, presentato dall'Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna (O.N.Da) presso Palazzo Chigi (Roma, 3 luglio 2013) per la prima volta traccia un quadro chiaro della diffusione di questa emergenza pubblicando i dati di incidenza della violenza sulle donne e i conseguenti effetti sulla loro salute, su quella dei nascituri e sul benessere dell'intera società; i suddetti dati dell'Organizzazione mondiale della sanità indicano che oltre 1 donna su 3 è vittima di violenza fisica e/o sessuale da parte del partner o di sconosciuti; il 38 per cento dei femminicidi avviene per mano del proprio compagno; gli abusi fisici sono accompagnati da patologie del sistema riproduttivo; le donne che subiscono violenza sono una volta e mezzo più a rischio di contrarre malattie sessualmente trasmesse (infezioni del tratto urinario, HIV, sifilide, clamidia e gonorrea); tra le donne vittime di violenza domestica aumentano i comportamenti a rischio (fumo, alcool e utilizzo di droghe) e raddoppia il rischio di depressione;
    la maggior parte dei dati disponibili sulla violenza in gravidanza provengono dagli USA dove già da tempo esiste un'attenta sorveglianza sui danni a breve, medio e lungo termine sulla salute fisica, mentale, sessuale delle donne e sui figli (Women Women's Health Development Development, Family and Reproductive Health, 1996, Violence Against Against, WHO Consultation); il 30 per cento dei maltrattamenti alle donne ha inizio durante la gravidanza; il 69 per cento delle donne maltrattate in precedenza continua a subire maltrattamenti; il 13 per cento assiste a un intensificarsi degli episodi durante la gravidanza (The American College of Obstetrician and Gynecologist); la probabilità di subire un abuso fisico da parte del partner è più elevata rispetto alla probabilità di soffrire di disturbi della gravidanza;
    in Italia il fenomeno è ancora scarsamente monitorato; secondo i dati Istat pubblicati nel documento «La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia» più dell'11 per cento delle donne subisce violenza dal partner in gravidanza; la medesima indagine mostra che il 13,6 per cento di questi abusi inizia in gravidanza; nel 52,5 per cento dei casi la violenza perpetrata in precedenza permane immutata durante la gravidanza, mentre per il 17,2 per cento aumenta (e solo per il 15,9 per cento diminuisce);
    secondo l'Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (AOGOI) per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni, la violenza domestica è una delle principali cause di morte in gravidanza, seconda solo all'emorragia; il 30 per cento dei maltrattamenti ha inizio proprio in gravidanza, specie nel secondo e terzo trimestre; un partner «potenzialmente abusante», inizia ad esercitare violenza durante la gravidanza; il partner già abusante aumenta le violenze sulla donna: il 69 per cento delle donne maltrattate prima della gravidanza continua a subire maltrattamenti e nel 13 per cento dei casi si assiste a un intensificarsi e aggravarsi degli episodi (Claudio Mencacci, direttore dipartimento di neuroscienze A.O.Fatebenefratelli-Oftalmico, Milano e presidente della Società italiana di psichiatria); la violenza in gravidanza può spingersi fino all'omicidio; diverse ricerche mostrano che per molti padri la nascita di un figlio (soprattutto in caso di gravidanza indesiderata) suscita emozioni negative, gelosia o rabbia che si traducono in comportamenti violenti verso la madre e ostilità verso il nascituro;
    nelle madri aumentano i rischi di aborto, scarso aumento di peso in gravidanza, parti pretermine (6,5 per cento), rottura d'utero, distacco di placenta, infezioni genito-urinarie, traumatismi (gli esiti da trauma, sono la seconda causa di morte), oltre a disturbi psichici, depressione, abuso di fumo (32 per cento contro 12 per cento), sostanze e alcool, tentativi di suicidio, dissociazione durante le procedure mediche;
    ogni volta che una madre viene abusata anche i nascituri ne soffrono; aumentano le nascite di feti morti, le nascite di bambini con basso peso neonatale; si modificano alcune aree cerebrali (Insula, Amigdala); i bambini esposti a violenza domestica mostrano una erosione del Telomero che è indice di invecchiamento cellulare (come se fossero bambini più vecchi di 5 anni) (McCrory Current Biology, Volume 21, Issue 23, R947-R948, 2011);
    le gravi conseguenze nei figli sono riscontrabili dalla fase fetale all'età adulta con un 50 per cento di probabilità in più di abusare di alcol e droga, manifesta depressione, difficoltà scolastiche, un rischio 6 volte maggiore di suicidio, più alte probabilità di comportamenti delinquenziali e di essere a loro volta oggetto o soggetto di violenza (V. Dubini, 2008); inoltre la metà dei mariti violenti lo è anche con i figli; il 60 per cento delle mamme di bambini ricoverati per maltrattamento aveva subito violenza dal partner; i figli di uomini violenti hanno una probabilità 6 volte maggiore rispetto agli altri di diventare a loro volta violenti;
    la violenza in gravidanza è un problema globale che solleva questioni riguardanti i servizi sanitari nazionali, la parità dei sessi e i diritti umani in tutti i Paesi e gli strati sociali; i danni si ripercuotono sull'intero tessuto sociale; la risposta è innanzitutto educativa e formativa; è un tema ambiguo e complesso di cui è difficile parlare, poiché mette in luce l'esistenza di una realtà quasi indicibile e scabrosa per una condizione dell'esistenza considerata intima e «sacrale»; lo stesso partner maltrattante non è sempre violento, spesso alterna fasi di prevaricazione a fasi di fragilità e dipendenza dal rapporto affettivo instaurato; questi comportamenti contraddittori contribuiscono a confondere sempre di più la donna, dibattuta tra la speranza che la violenza non si ripeta e la sensazione di essere stata colpevole; per la vittima il desiderio di essere una buona mamma e il desiderio di prevenire l'abuso infantile sui figli possono essere forti motivazioni per cambiare la propria vita;
   i danni sulla salute fisica e psichica che la violenza determina sono prevenibili se si attivano risorse e soluzioni innovative in grado di fermare questo fenomeno; è necessario prevedere l'intervento di professionalità differenti, che garantiscano un intervento anche psicologico e sociale, spesso di lungo periodo (Alessandra Kustermann, Direttore di Pronto Soccorso Ostetrico Ginecologico, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano); occorre fornire aiuto secondo un approccio interdisciplinare e scientifico che includa e integri la medicina, l'epidemiologia, la sociologia, la psicologia, la criminologia, l'educazione («World Report on Violence and Health Health», 2002);
    gli operatori sanitari più «vicini» alla violenza devono essere primariamente coinvolti, e precisamente: i medici di base (per i contatti con tutti i membri della famiglia), i ginecologi e le ostetriche (per le occasioni che hanno di incontrare la donna, attraverso gli screening preventivi o percorsi gravidanza e di suscitarne la fiducia e le confidenze), il personale dei pronto soccorso e degli ambulatori ostetrico-ginecologici (ospedalieri e territoriali); è possibile individuare una donna vittima di violenza attraverso alcuni indicatori di rischio: gravidanza indesiderata (rischio > di 4 volte), età materna molto giovane (16-19 anni, rischio = di 3 volte); donna nubile, multiparità; ritardo nell'accesso alle cure prenatali; abuso di sostanze; dimenticanza degli appuntamenti fissati; vi sono sintomi specifici nella donna (ansia, depressione, eccessiva preoccupazione per la gravidanza; diffidenza, lesioni in vario stato di guarigione) e nel partner (eccessiva sollecitudine, controllo, non lasciare mai la donna sola con il medico, rispondere al posto della donna) (V. Dubini, 2008);
    l'approvazione rapida e unanime da parte del Parlamento della legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Istanbul, è stato il primo atto della XVII legislatura e, al fine di renderla applicabile, occorre aiutare le madri a trovare la forza di reagire, potenziando la prevenzione e la formazione, riconoscendo la violenza maschile sul corpo e sulla mente delle donne;
    il Ministero dell'interno ha istituito l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), impegnandosi nel contrasto e nella prevenzione della violenza di genere; è stata recentemente istituita una task force interministeriale per fornire una risposta di sistema per rendere gli interventi esistenti più efficaci e per diffondere una cultura educativa e formativa di prevenzione;
    il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha affermato: «i Pronto soccorso sono la frontiera in cui la violenza si evidenzia e si manifesta come epifenomeno. Abbiamo intenzione di rendere nazionale il codice rosa, un approccio integrato tra medici, psicologi, operatori sociali e forze di polizia per sollecitare la denuncia degli abusi e dei maltrattamenti e accompagnare le vittime in percorsi anche fuori dall'ospedale»;
    l'Osservatorio nazionale sulla salute della donna (O.N.Da) ha realizzato una guida per operatori sanitari, Donne e violenza domestica: diamo voce al silenzio già diffusa negli ospedali lombardi con i «bollini rosa» in 62 strutture premiate per i servizi dedicati alla violenza e che hanno un protocollo di pronto soccorso violenza per la formazione degli operatori sanitari; diversi ospedali che hanno strutturato servizi di assistenza sanitaria, psicologica e sociale come la Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, il Centro Riferimento Regionale Violenza dell'A.O.U. Careggi di Firenze, lo Stabilimento SS. Annunziata di Tranto, l'Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli di Palermo, il Presidio Ospedaliero Azienda Ospedaliera Universitaria di Modena, l'Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, l'Ospedale Sandro Pertini di Roma ed altri;
    per fornire un'assistenza adeguata alle vittime, l'Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente pubblicato le nuove Linee Guida cliniche e politiche, che evidenziano la necessità di formare in maniera più specifica gli operatori sanitari su come intervenire, in caso di violenza contro le donne; l'Organizzazione mondiale della sanità auspica che tutti i Paesi si impegnino a combattere questo problema di dimensioni epidemiche, grazie al sostegno dei singoli sistemi sanitari nazionali;
    per combattere la violenza domestica subita prima, durante e dopo la gravidanza è necessario un processo formativo degli operatori professionali, delle strutture sanitarie coinvolte, un processo politico delle istituzioni che devono pianificare, organizzare e facilitare gli interventi di ciascun operatore; un ruolo importante spetta al medico di assistenza primaria, al ginecologo, al pediatra di libera scelta, ma essi devono interagire con altre figure professionali, enti e associazioni del terzo settore,

impegna il Governo:

   ad adottare urgentemente le linee guida indicate dall'Organizzazione mondiale della sanità, investendo sulla prevenzione affinché il servizio sanitario nazionale possa offrire una migliore assistenza alle donne vittime di violenza in gravidanza;
   ad effettuare interventi in ogni ambito perché la violenza in gravidanza non rimanga un argomento «rimosso» dalla pratica professionale per scarsa conoscenza o incapacità;
   a promuovere l'aggiornamento delle conoscenze degli operatori sanitari, sociali ed educativi sulle ricadute di questa violenza, a breve e a lunga distanza, sulla salute dei cittadini;
   a dare corso, secondo le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità e con un adeguato coinvolgimento degli enti territoriali interessati, ad alcune pratiche indispensabili quali:
    a) formazione obbligatoria del personale sanitario nell'aiutare le vittime di abusi, nel riconoscere le donne che sono a rischio e nel fornire interventi adeguati (prima assistenza, ascolto empatico, attitudine a non giudicare, riservatezza, collegamento agli altri servizi di assistenza); coinvolgimento degli ospedali che si occupano di assistenza prenatale o di test per HIV affinché offrano sostegno alle donne dotandosi dei requisiti minimi specifici, nell'assicurarsi che ci sia un sistema di sinergie tra diversi servizi;
    b) strategie di prevenzione e cura verso la gravide che subiscono violenza che prevedano: identificazione delle vittime nella fase prenatale, perinatale e postnatale; cure cliniche (prima assistenza, profilassi per STI e HIV); interventi negli ambulatori di ginecologia, esami strumentali e di laboratorio; corsi preparto; ricovero per parto; visita ginecologica (40 giorni); predisposizione di percorsi ad hoc nei consultori e tramite associazioni femminili;
    c) integrazione tra servizi e interventi di assistenza sanitaria, sociale ed educativo-formativa già esistenti, senza creare un servizio a sé stante ma privilegiando un lavoro di rete tra i servizi per la realizzazione di best practice in risposta a questa emergenza che è innanzitutto sanitaria, ma non può essere risolta senza un forte investimento sociale e formativo.
(1-00172) «Iori, Speranza, Rosato, De Micheli, Grassi, Velo, Fregolent, Pollastrini, Bellanova, Sereni, Rossomando, Valeria Valente, Vargiu, Lenzi, Sbrollini, Miotto, Amato, Amoddio, Argentin, Arlotti, Beni, Berlinghieri, Mariastella Bianchi, Binetti, Biondelli, Bonaccorsi, Boschi, Bressa, Bruno Bossio, Capone, Carbone, Carnevali, Carra, Casati, Casellato, Castricone, Cenni, Chaouki, Cimbro, Civati, Coccia, Cominelli, Coppola, Cova, Crimì, D'Attorre, D'Incecco, D'Ottavio, De Menech, Ermini, Fabbri, Famiglietti, Fedi, Fioroni, Cinzia Maria Fontana, Fontanelli, Fossati, Fragomeli, Gadda, Carlo Galli, Gandolfi, Gasparini, Gelli, Ghizzoni, Giacobbe, Ginoble, Giorgis, Gnecchi, Gozi, Gregori, Giuseppe Guerini, Lorenzo Guerini, Guerra, Gutgeld, Iacono, Incerti, Laforgia, Lattuca, Locatelli, Lotti, Madia, Maestri, Magorno, Malpezzi, Manfredi, Manzi, Marchi, Martelli, Marzano, Melilli, Miccoli, Mogherini, Mognato, Montroni, Morani, Moretti, Moscatt, Murer, Orfini, Pagani, Paris, Parrini, Patriarca, Petitti, Piccione, Piccoli Nardelli, Giuditta Pini, Preziosi, Realacci, Richetti, Rocchi, Rotta, Rughetti, Santerini, Scalfarotto, Scuvera, Senaldi, Simoni, Tentori, Tidei, Valiante, Vecchio, Villecco Calipari, Zampa, Zanin».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 26 giugno 2013 il Parlamento europeo, il Consiglio europeo dei ministri dell'agricoltura e la Commissione europea hanno raggiunto un accordo politico sui quattro dossier legislativi componenti la riforma, della politica agricola comune post-2013, ovvero: norme sui pagamenti diretti agli agricoltori; sostegno allo sviluppo rurale; organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli; finanziamento, gestione e monitoraggio della politica agricola comune;
   la politica agricola comunitaria (Pac), che negli ultimi vent'anni è stata caratterizzata da un lungo percorso di riforma, attiverà nel prossimo periodo di programmazione risorse finanziarie per un importo superiore ai 372 miliardi di euro (rubrica 2 del bilancio dell'Unione europea) di cui circa 278 miliardi di euro a valere sui pagamenti diretti e le misure di mercato;
   per l'Italia, le risorse finanziarie disponibili saranno mediamente pari a circa 3,9 miliardi di euro annui per i pagamenti diretti agli agricoltori. Le dotazioni finanziarie del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale per la politica di sviluppo rurale, ammonteranno invece a 9,2 miliardi di euro per l'intero periodo di programmazione (2014-2020). A quest'ultima cifra, si deve aggiungere il cofinanziamento nazionale che porterà le risorse pubbliche per lo sviluppo rurale a circa 18,5 miliardi di euro;
   i contenuti dell'accordo politico del 26 giugno 2013, introducono una serie di modifiche e novità rispetto all'impianto originariamente proposto dalla Commissione nell'autunno 2011, con l'obiettivo di rimettere al centro della prossima politica agricola europea le imprese, il lavoro e, in generale, la sostenibilità economica del tessuto agricolo europeo, salvaguardando e valorizzando, al tempo stesso, la sostenibilità ambientale e i territori rurali;
   in particolare, l'accordo politico sul nuovo regolamento sui pagamenti diretti:
    consente un passaggio al nuovo sistema (convergenza interna) graduale e con limitati impatti economici;
    include una definizione di agricoltore attivo semplificata e adattabile alle diverse situazioni degli Stati membri, con l'obbligo di escludere una lista di soggetti giuridici che non svolgono attività agricola se non in modo marginale (aeroporti, campi da golf, compagnie assicurative eccetera);
    delinea una componente ambientale (greening) meno burocratica e più flessibile attraverso l'esclusione delle aziende medio-piccole, la rivisitazione degli impegni e la valorizzazione del ruolo ambientale delle colture mediterranee (ulivi, frutteti e vigneti) e delle colture sommerse;
    modifica il sostegno accoppiato elevando la percentuale di risorse finanziarie utilizzabili, portandola in un intervallo compreso tra l'8 per cento e il 13 per cento (più un 2 per cento dedicato alle colture proteiche);
    conferma l'obbligatorietà del regime per i giovani agricoltori, includendo alcune modifiche tra cui la possibilità di integrare il pagamento di base accordato ai giovani agricoltori (di età inferiore a 40 anni) al loro primo insediamento da un ulteriore 25 per cento per i primi cinque anni di attività;
    aumenta l'incentivo per i «piccoli agricoltori» il cui valore sarà compreso fra 500 e 1.250 euro (il limite massimo nella proposta della Commissione era di 1000 euro);
   nell'ambito della prossima programmazione di sviluppo rurale:
    sono stati confermati i tre obiettivi strategici di lungo periodo (economico, ambientale e sociale) che si traducono più concretamente in sei priorità, con una maggiore enfasi ad alcuni temi principali: innovazione, ambiente e cambiamento climatico;
    gli Stati membri o le regioni avranno anche la possibilità di mettere a punto sottoprogrammi tematici alcuni dei quali sono stati introdotti nel corso del negoziato;
    gli Stati membri saranno tenuti a riservare almeno il 30 per cento degli stanziamenti provenienti dal bilancio dell'Unione europea per lo sviluppo rurale a determinate misure di gestione delle terre e alla lotta contro i cambiamenti climatici, e almeno il 5 per cento all'approccio leader;
    per gli Stati membri a programmazione regionale potrà essere istituito un organismo di coordinamento per garantire la coerenza nella gestione del fondi e fornire un collegamento tra la Commissione e le autorità di gestione nazionali;
   in merito alle future misure di mercato, l'accordo politico del 26 giugno 2013:
    ha rivisto nel loro funzionamento (più reattivi, efficaci ed efficienti) i sistemi vigenti di intervento pubblico e di aiuto all'ammasso privato;
    ha modificato il funzionamento, gli obiettivi e le misure degli aiuti per l'olio di oliva (programmi triennali gestiti dalle organizzazioni di produttori e dall'interprofessione);
    nell'ambito degli aiuti per il settore ortofrutticolo, ha prodotto il rafforzamento del ruolo delle associazioni di organizzazioni di produttori che potranno gestire fondi di esercizio, nell'ambito dell'attuazione di parziali programmi operativi, con la possibilità di portare l'aiuto finanziario dell'Unione fino al 4,75 per cento del valore produzione commercializzata;
    ha consentito una definizione più efficace dei programmi di sostegno nel settore vitivinicolo, sia negli obiettivi sia nelle attività. Tra le misure viene inclusa «l'innovazione nel settore vinicolo», mentre la misura della promozione potrà essere rivolta o al mercato extra-UE o al mercato interno (seppur limitatamente ad azioni informative sul consumo responsabile di vino e sul sistema UE delle denominazioni di origine e indicazioni geografiche);
    ha reintrodotto il Paese di origine in etichetta tra le condizioni obbligatorie di commercializzazione per i prodotti ortofrutticoli venduti come freschi;
    ha introdotto lo strumento di gestione e programmazione dell'offerta produttiva per i prosciutti certificati dop e igp;
    ha introdotto il rafforzamento del ruolo, maggiori certezze di funzionamento e un miglioramento dell'efficacia delle organizzazioni di produttori e delle organizzazioni interprofessionali;
    ha previsto per gli agricoltori la possibilità di negoziare collettivamente i contratti per la fornitura di olio d'oliva, carni bovine, cereali e altri seminativi, a determinate condizioni e garanzie;
   l'accordo politico maturato a Bruxelles il 26 giugno 2013 rappresenta l'architettura legislativa al cui interno le differenti agricolture europee dovranno identificarsi e svilupparsi;
   affinché le novità e risultati maturati negli ultimi due anni di negoziato e riportati in premessa possano tradursi in opportunità di crescita e di rilancio competitivo per il sistema agroalimentare nazionale e per i tenitori rurali italiani, è opportuno che nei prossimi mesi si avvii con successo un efficace percorso d'implementazione su scala nazionale delle nuove regole europee,

impegna il Governo:

   ad adottare nell'ambito delle opzioni previste dal quadro regolamentare sui nuovi pagamenti diretti (titolo III, capo I della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio COM(2011)625), un sistema di convergenza interna a tutela delle aree geografiche/settori dove una riduzione degli aiuti troppo repentina (rispetto al quadro attuale) potrebbe mettere i produttori agricoli in serio pericolo, riducendo drammaticamente i loro margini reddituali e determinando ricadute negative in termini sociali e occupazionali;
   ad utilizzare tutti i margini di flessibilità nazionali e gli strumenti legislativi necessari all'individuazione di una definizione di agricoltore attivo (di cui all'articolo 9 della proposta di regolamento sui pagamenti diretti agli agricoltori) che sia espressione del mondo produttivo nazionale, che premi i soggetti esclusivamente impegnati nell'attività agricola e che, al tempo stesso, possa concorrere all'alleggerimento del carico burocratico e amministrativo degli operatori;
   ad adottare tutti gli strumenti, normativi e la flessibilità prevista nelle nuove regole comunitarie, per l'applicazione della componente ambientale relativa ai nuovi pagamenti diretti (Titolo III, capo 2 della citata proposta) salvaguardando la sostenibilità ambientale del sistema agricolo nazionale ma senza comprometterne la sostenibilità economica e la funzione sociale-produttiva, il tutto in un'ottica di semplificazione amministrativa e burocratica;
   ad applicare in maniera efficiente ed efficace il nuovo supporto previsto per le giovani generazioni nell'ambito della normativa sui pagamenti diretti per gli agricoltori (titolo III, capo 4 della citata proposta) anche in stretta correlazione con le altre misure a disposizione dei giovani agricoltori nel quadro dei programmi di sviluppo rurale, tutto ciò con l'obiettivo di avviare con decisione e determinazione una politica agricola nazionale di rilancio delle giovani generazioni e di valorizzazione del ricambio generazionale in agricoltura;
   ad utilizzare efficacemente le risorse finanziarie disponibili per il sostegno accoppiato di cui al Titolo IV della proposta di regolamento sui pagamenti diretti agli agricoltori, al fine di salvaguardare quei settori produttivi particolarmente esposti alla volatilità dei mercati nonché le produzioni ad elevato impatto economico ed occupazionale e, al tempo stesso, ad attivarsi in sede europea per sensibilizzare l'esecutivo comunitario ad una rivisitazione dei settori oggetto del sostegno accoppiato;
   ad applicare in maniera efficace ed efficiente lo schema di sostegno per i piccoli agricoltori di cui al Titolo V della proposta di regolamento sui pagamenti diretti per gli agricoltori, utilizzando la flessibilità prevista per la scelta di una metodologia di calcolo del pagamento annuale che sia semplice e funzionale al raggiungimento degli obiettivi della misura;
   ad intraprendere un percorso strutturato e durevole di stretta condivisione e cooperazione con il Parlamento e le Commissioni parlamentari di merito per la realizzazione di tutti gli impegni sopra riportati necessari all'applicazione nazionale delle nuove regole sui pagamenti diretti per gli agricoltori;
   a predisporre del contratto di partenariato in condivisione con il Parlamento, al fine di concertare le criticità e le priorità strategiche che saranno affrontate nei prossimi sette anni con le risorse finanziarie dei fondi comunitari, con particolare riferimento al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e alla politica di sviluppo rurale;
   a condividere con il Parlamento e le autonomie regionali delle priorità strategiche dei futuri programmi di sviluppo rurale 2007-2013, anche tenendo conto delle raccomandazioni della Commissione europea all'Italia sulla necessità di affrontare quattro criticità: ambiente sfavorevole all'innovazione delle imprese; lacune infrastrutturali; basso livello di occupazione; amministrazione pubblica burocratica e inefficiente;
   a garantire alcune priorità della nuova programmazione di sviluppo rurale, quali: promuovere l'imprenditorialità; ridurre gli oneri amministrativi per le imprese; migliorare la dotazione infrastrutturale nel nostro Paese; sostenere la filiera corta e rafforzare le filiere agricole e agro-alimentari;
   a predisporre un programma di sviluppo rurale nazionale per la gestione di alcune misure particolarmente strategiche come ad esempio le misure di gestione del rischio, anche al fine di dare continuità e omogeneità nazionale alla positiva esperienza dell'articolo 68 del Regolamento (CE) 73/2009 sulla gestione del rischio in agricoltura;
   a predisporre un piano di coordinamento nazionale che armonizzi gli importi del sostegno a valere sulle misure dei futuri programmi di sviluppo rurale e che individui i principali fabbisogni infrastrutturali che limitano lo sviluppo e economico delle imprese agricole nelle aree rurali, al fine di orientare e indirizzare la redazione dei piani di sviluppo rurale regionali e la conseguente erogazione del sostegno, operando al contempo un importante coordinamento fra regioni;
   al rafforzamento della posizione negoziale degli agricoltori all'interno della catena agroalimentare, individuando e definendo, in stretta condivisione con il Parlamento, gli strumenti normativi necessari (inclusa la revisione dell'attuale quadro normativo nazionale) all'applicazione delle nuove regole di funzionamento delle organizzazioni di produttori (e loro associazioni) e degli organismi interprofessionali;
   a promuovere l'utilizzo efficace degli strumenti d'intervento pubblico e ammasso privato secondo le novità introdotte durante il negoziato comunitario nell'ambito del regolamento recante l'organizzazione comune di mercato unico e in stretta condivisione con il Parlamento e le Commissioni parlamentari di merito;
   a implementare, individuando e definendo gli strumenti normativi appropriati e con il coinvolgimento del Parlamento, le nuove regole e le novità contenute nel regolamento recante l'organizzazione comune dei mercati con riferimento agli aiuti previsti nei settori olivicolo, ortofrutticolo e vitivinicolo;
   ad applicare, in comune intesa con il Parlamento e le Commissioni parlamentari di merito, il nuovo sistema di autorizzazioni nel settore vinicolo che sostituisce l'attuale regime dei diritti d'impianto, tutto ciò con l'obiettivo di salvaguardare le produzioni ad elevato contenuto qualitativo e di consentire un passaggio al nuovo sistema che minimizzi gli eventuali impatti negativi lungo la filiera produttiva;
   a individuare, insieme al Parlamento nazionale e alle istituzioni comunitarie, un percorso e soluzioni efficaci che possano «accompagnare» e rilanciare il settore lattiero oltre il 2015, anno in cui cesserà il regime di contingentamento della produzione (quote latte);
   ad intraprendere, nell'ambito dei dettami del nuovo regolamento sull'organizzazione comune dei mercati, una politica di salvaguardia sociale e di valorizzazione del settore bieticolo-saccarifero nazionale, anche in vista della cessazione delle quote produttive (post-2017);
   ad applicare le nuove regole di commercializzazione introdotte con il regolamento recante l'organizzazione comune dei mercati e, in tale ambito, a farsi carico di una nuova e incisiva azione di sensibilizzazione in sede europea della tematica relativa all'indicazione di origine in etichetta nella vendita dei prodotti agricoli;
   a garantire un'applicazione efficace e funzionale dello strumento di gestione e programmazione dell'offerta produttiva dei prosciutti a denominazione di origine protetta introdotto dal negoziato comunitario nell'ambito del regolamento recante l'organizzazione comune dei mercati;
   a relazionare periodicamente alle Commissioni parlamentari di merito sullo stato generale di avanzamento dell'applicazione della riforma, in parallelo con la messa in atto e lo sviluppo di un percorso di piena condivisione e cooperazione interistituzionale.
(1-00173) «Oliverio, Sani, Luciano Agostini, Zanin, Venittelli, Covello, Valiante, Anzaldi, Antezza, Taricco, Mongiello, Carra, Cova, Dal Moro, Marrocu, Ferrari, Tentori, Terrosi, Palma, Fiorio».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il processo di programmazione comunitaria 2014-2020 prevede una serie di tappe. La Commissione europea dovrà approvare, in concomitanza con i nuovi regolamenti un quadro strategico comune (QSC) che tradurrà gli obiettivi generali e specifici delle priorità dell'Unione in azioni chiave per i Fondi del QSC (FEASR, FSE, FESR, FEAMP). All'interno del quadro saranno, inoltre, individuati i meccanismi di coordinamento tra i Fondi ed altri strumenti e politiche dell'Unione europea (ad esempio, gli strumenti finanziari della BEI, i programmi quadro in materia di ricerca, il meccanismo per collegare l'Europa e le reti transeuropee, il programma quadro per la competitività e l'innovazione);
    ogni Stato membro dovrà poi farsi approvare dalla Commissione stessa un contratto (o accordo) di partenariato (CP), che fisserà la strategia nazionale, gli obiettivi e le regole della programmazione nazionale. Tale Contratto costituirà un livello supplementare di programmazione che incoraggerà una spesa orientata ai risultati e agli obiettivi specifici condivisi. In concomitanza con il contratto di partenariato verranno inoltre predisposti gli specifici programmi operativi dei diversi fondi (nel caso del FEASR, i programmi di sviluppo rurale);
    la programmazione per lo sviluppo rurale 2014-2020, dunque, sarà per la prima volta sottoposta ad un iter politico ed amministrativo volto a favore l'integrazione con le altre azioni sostenute dall'Unione europea (politica di coesione, politica di sviluppo regionale, eccetera). Il QSC, declinato a livello degli Stati membri in un CP con la Commissione, avrà il compito di riunire gli interventi dei cinque fondi comunitari al fine di realizzare un forte coordinamento di tutte le politiche europee, indispensabile per l'attuazione della strategia Europa 2020;
    questo nuovo approccio per l'utilizzo dei Fondi del QSC è volto a garantire impatti economici, ambientali e sociali di lunga durata. Infatti, il forte allineamento con le priorità politiche dell'agenda Europa 2020, le condizionalità macroeconomiche ed ex ante, la concentrazione tematica e gli incentivi legati al conseguimento di risultati attuano principi che si traducono concretamente in una spesa più efficace. I Fondi QSC costituiranno quindi un'importante fonte d'investimento pubblico e fungeranno da catalizzatore per la crescita sostenibile e l'occupazione supportando gli investimenti in capitale fisico e umano;
    i programmi di sviluppo rurale dovrebbero iniziare ufficialmente a partire dal 1o gennaio 2014, seppure con una serie di problematiche. Nonostante il quadro giuridico comunitario non sia ancora definito, le regioni – che in Italia hanno la competenza sulla politica di sviluppo rurale – devono avviare da subito il processo di predisposizione dei PSR, consapevoli che si tratta di una programmazione molto importante, visto che avrà una durata di ben sette anni, dal 2014 al 2020. Infatti, molte regioni italiane stanno già lavorando nella predisposizione dei nuovi PSR 2014-2020, almeno per quanto riguarda le strategie;
    le dotazioni finanziarie del FEASR per l'Italia ammontano a 9,2 miliardi di euro per il periodo di programmazione 2014-2020, a cui aggiungere il cofinanziamento nazionale che porterà le risorse pubbliche a circa 18,5 miliardi di euro;
    la politica di sviluppo rurale prevede tre obiettivi strategici di lungo periodo (economico, ambientale e sociale) che consistono nel contribuire alla competitività dell'agricoltura, alla gestione sostenibile delle risorse naturali, all'azione per il clima e allo sviluppo equilibrato delle zone rurali. In linea con la strategia Europa 2020, i tre obiettivi generali del sostegno allo sviluppo rurale per il periodo 2014-2020 si traducono più concretamente in sei priorità, con una maggiore enfasi ad alcuni temi principali: innovazione, ambiente e cambiamento climatico:
     a) stimolare il trasferimento di conoscenze e l'innovazione;
     b) rafforzare la competitività in tutti i tipi d'agricoltura e la gestione sostenibile delle foreste;
     c) promuovere l'organizzazione, trasformazione e commercializzazione incluse, nonché la gestione del rischio della filiera agroalimentare;
     d) ripristinare, tutelare e migliorare gli ecosistemi;
     e) promuovere l'efficienza delle risorse e la transizione a un'economia a basse emissioni di CO2;
     f) promuovere l'inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali;
    gli Stati membri saranno tenuti a riservare almeno il 30 per cento degli stanziamenti provenienti dal bilancio dell'UE per lo sviluppo rurale a determinate misure di gestione delle terre e alla lotta contro i cambiamenti climatici, e almeno il 5 per cento all'approccio LEADER;
    nel nuovo periodo di programmazione gli Stati membri o le regioni avranno anche la possibilità di mettere a punto sottoprogrammi tematici per concentrarsi meglio sulle esigenze dei giovani e dei piccoli agricoltori, delle zone montane, delle donne nelle zone rurali, della mitigazione dei cambiamenti climatici e dell'adattamento ai medesimi, della biodiversità nonché delle filiere agroalimentari corte;
    vi sono possibilità di sviluppo dell'imprenditoria in ambito agricolo che spesso non vengono sfruttate dagli interessati poiché esse richiedono delle specifiche conoscenze e competenze che non sono di facile acquisizione;
    è in corso una notevole diversificazione e differenziazione delle attività agricole, sia in ambito Unione europea che extra-Ue, che può rappresentare uno spunto per lo sviluppo di nuove attività, nonché per il miglioramento di quelle già presenti, all'interno delle aziende agricole italiane;
    in Italia è presente un elevata dotazione di foreste e boschi ad elevato valore naturalistico e ambientale che possono rappresentare uno strumento per lo sviluppo e il miglioramento dell'attività imprenditoriale sotto diversi aspetti;
    l'Italia è un Paese caratterizzato da un elevato patrimonio di prodotti agroalimentari di qualità che contribuiscono in maniera considerevole alla formazione al PIL italiano. Questi vengono spesso copiati e contraffatti illegittimamente, con un danno che coinvolge sia i produttori che tutto il sistema economico ad essi connesso. Inoltre, i prodotti agroalimentari di qualità rappresentano uno strumento di valorizzazione della produzione agricola, nonché possono contribuire al miglioramento del reddito degli agricoltori;
    il territorio italiano è dotato di un'elevata presenza di territori svantaggiati, caratterizzati da una scarsa dotazione di servizi per le imprese e per la popolazione residente. Allo stesso tempo, tali territori rappresentano una risorsa soprattutto dal punto di vista turistico ed è essenziale quindi mantenerne la vitalità;
    i cambianti climatici che si stanno verificando nel corso degli ultimi anni provocano fenomeni meteorologici di notevole intensità, come alluvioni o allagamenti, che generano gravi danni sul territorio;
    il patrimonio boschivo italiano rappresenta una risorsa fondamentale per l'economia. Infatti, esso può essere sfruttato sia direttamente, attraverso un utilizzo sostenibile della risorsa, che indirettamente, tramite un'incentivazione dell'attività turistica ed escursionistica. Per sfruttare al meglio questa risorsa è essenziale mantenere i boschi ad un elevato livello qualitativo, evitando l'insorgere di fitopatie, infestazioni parassitarie, eventi catastrofici ed eventi climatici; in particolare, in Italia nel 2012 sono bruciati circa 46 mila ettari di bosco, con enormi danni per l'ambiente. Tali fenomeni spesso rischiano di minacciare anche le abitazioni nonché le attività produttive;
    è aumentato il rischio che si verifichino lunghi periodi di siccità durante la stagione estiva, che possono danneggiare in maniera gravissima le produzioni delle aziende agricole che non sono raggiunte sistemi di distribuzione dell'acqua o che non sono dotate di sistemi di stoccaggio privato;
    in seguito all'abbandono da parte dell'Unione europea della politica di garanzia, che mirava a mantenere una certa stabilità all'interno dei mercati dei prodotti agricoli, si è verificato il fenomeno della «volatilità» dei prezzi dei prodotti agricoli. Tale fenomeno ha generato, nel corso degli ultimi anni, notevoli problematiche per tutti gli operatori della filiera ed in particolare per gli agricoltori. L'Unione europea in seguito ai problemi che la politica di garanzia ha generato e agli accordi presi in sede di WTO, non intende ritornare alla vecchia politica di garanzia ma promuove, soprattutto attraverso la nuova Pac per il periodo 2014-2020, un maggior utilizzo degli strumenti che non intervengono in maniera diretta sul mercato ma sugli attori di questo;
    le richieste del mercato e della società in materia di prodotti di origine animale sono cambiate, dal momento in cui vengono sempre più richiesti prodotti che siano il più possibile rispettosi della vita degli animali e dell'ambiente; diviene essenziale adottare delle misure mirate alla tutela della qualità della vita degli animali. Tale approccio può essere anche una leva di mercato, poiché rappresenta uno strumento per la differenziazione dei prodotti;
    i rischi connessi all'attività agricola sono in continuo aumento e possono essere dovuti sia da avvenimenti di carattere climatico e atmosferico, sia da fattori di carattere sanitario. Tali rischi possono, in alcuni casi, minare la stabilità delle aziende agricole e l'integrità di determinati sistemi economici. Inoltre, l'incidenza dei rischi è aumentata nel tempo anche perché in ambito europeo si è cercato di orientare le aziende agricole al mercato, smantellando gli strumenti diretti di sostegno al reddito; diventa così fondamentale per le aziende realizzare prodotti con elevate caratteristiche qualitative che siano collocabili sul mercato;
    la remunerazione dell'imprenditore agricolo può essere estremamente variabile nel corso degli anni e non sono rari i periodi in cui si assiste ad una sottoremunerazione dell'attività. Considerando l'importanza di mantenere il presidio dell'uomo nel territorio e evitare un ulteriore innalzamento della disoccupazione, è fondamentale assicurare agli agricoltori degli strumenti in grado di assicurare una maggiore stabilità del reddito;
    la politica di sviluppo rurale, oramai identificata con il secondo pilastro della PAC, nel prossimo futuro intende ambiziosamente rilanciare le sfide della gestione sostenibile delle risorse territoriali e paesaggistiche ed della valorizzazione delle risorse endogene attraverso un diretto coinvolgimento delle popolazioni locali (approccio bottom-up);
    il compito della futura PAC sarà quello di offrire un'adeguata remunerazione agli agricoltori per la produzione dei beni pubblici garantendo così il mantenimento di una equilibrata vitalità socio-economica nei territori rurali europei;
    gli studi realizzati dall'Agenzia europea per l'ambiente attestano un degrado costante e accelerato della biodiversità agricola, una scomparsa di ecosistemi e una perdita di una parte del patrimonio genetico europeo che interessa in particolar modo le aree del bacino del Mediterraneo (Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo);
    un recente rapporto FAO ha evidenziato che la scarsezza d'acqua sta mettendo a rischio in tutto il mondo interi sistemi produttivi e l'agricoltura intensiva e industrializzata è una delle principali cause di questo fenomeno, poiché rappresenta il 70 per cento del consumo di acqua a livello mondiale, nonché al contempo rappresenta un settore strategico per un uso sostenibile delle risorse idriche;
    secondo l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), la desertificazione interessa già, nelle sue forme estreme, oltre 100 Paesi, e minaccia la sopravvivenza di più di un miliardo di persone e in particolare, il nostro Paese è soggetto, per oltre un terzo del suo territorio, al degrado del suolo, con situazioni di particolare rischio nelle regioni meridionali, ma con scenari preoccupanti anche al centro e al nord;
    una diversa gestione delle attività agricole è essenziale per contrastare la desertificazione, sia intervenendo sui rischi di contaminazione, che riducendo la pressione sul suolo e lo spreco delle risorse idriche e, inoltre, garantire la continuità dell'agricoltura, laddove sostenibile, può contribuire alla protezione dei territori, dal momento che il loro abbandono si traduce spesso in processi di degrado e di erosione;
    secondo le statistiche ufficiali italiane nel 2010 l'85 per cento dell'approvvigionamento in agricoltura (compreso il comparto agroalimentare) era da addebitare alla voce «energia fossile» e il 15 per cento alla voce «energia elettrica», mentre le biomasse partecipano con una copertura sui consumi totali di energia del 2,7 per cento (dati ENEA, ENEL, Coldiretti);
    anche l'agricoltura rilascia gas serra nell'atmosfera, anche se in misura minore rispetto ad altri settori economici, infatti le emissioni del settore primari dell'UE-27 rappresentano circa il 9 per cento delle emissioni totali di gas serra dell'Unione europea;
    l'agricoltura emette difficilmente CO2 – il gas serra più diffuso – poiché i terreni agricoli, che occupano più della metà del territorio dell'UE, possiedono ampie riserve di carbonio che contribuiscono a ridurre l'anidride carbonica nell'atmosfera;
    tutte le regioni dell'Unione europea sono sempre più soggette agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, ma alcune aree saranno più esposte di altre, come l'Europa meridionale e il bacino del Mediterraneo che subiranno l'effetto combinato di aumenti significativi della temperatura e di una riduzione nelle precipitazioni;
    i cambiamenti climatici aumenteranno le differenze regionali in Europa in termini di risorse naturali, la forte spinta all'urbanizzazione, causata dalla contemporanea presenza di attività produttive e insediative fortemente competitive nei confronti del settore primario, sottrae continuamente all'agricoltura risorse naturali, umane ed imprenditoriali;
    è necessario che le imprese agricole si attivino responsabilmente in difesa dell'interesse generale promuovendo una gestione delle risorse socio-economiche ed ambientali, in ottemperanza alla legislazione comunitaria e nazionale ma anche aderendo consapevolmente alla mission della PAC;
    gli imprenditori agricoli saranno chiamati a mettere in atto interventi per la conservazione dei beni pubblici ambientali, energetici, culturali, sociali e territoriali, in un contesto di cambiamento climatico che sta generando fenomeni di dissesto idrogeologico e di concentrazione di siccità e piovosità, creando ulteriori elementi di incertezza per il sistema produttivo primario;
    occorre condividere con l'Unione europea l'importanza attribuita alla politica agricola e ad uno sviluppo rurale rivolto sempre più al rispetto della sostenibilità e di un equilibrato sviluppo territoriale;
    è importante riconoscere all'imprenditore agricolo il ruolo di principale soggetto gestore del territorio e delle sue risorse naturali in un'ottica di equilibrio fra mondo urbano e rurale, a presidio della qualità delle risorse naturali e della vitalità socio-economica delle aree rurali; oggi, invece, la forte compressione della redditività delle imprese agricole accelera fenomeni di abbandono, degrado e dissesto in montagna e collina peggiorando la già grave situazione della pianura urbanizzata,

impegna il Governo:

   a predisporre del contratto di partenariato al fine di concertare le criticità e le priorità strategiche che saranno affrontate nei prossimi sette anni con le risorse finanziarie dei fondi comunitari, con particolare riferimento al FEASR;
   a condividere con il Parlamento e le regioni delle priorità strategiche dei futuri programmi di sviluppo rurale 2007-2013, anche tenendo conto delle raccomandazioni della Commissione all'Italia sulla necessità di affrontare quattro criticità: ambiente sfavorevole all'innovazione delle imprese; lacune infrastrutturali; basso livello di occupazione; amministrazione pubblica burocratica e inefficiente;
   a garantire alcune priorità della nuova programmazione, quali: promuovere l'imprenditorialità; ridurre gli oneri amministrativi per le imprese; migliorare la dotazione infrastrutturale nel nostro Paese; sostenere la filiera corta e rafforzare le filiere agricole e agroalimentari;
   a finanziare attività di informazione, consulenza e innovazione rivolte a coloro che intendono avviare o incrementare un'attività imprenditoriale in ambito agro-alimentare, attraverso una dotazione finanziaria pari ad almeno il 5 per cento dello stanziamento dei PSR, con l'intento di offrire un adeguato grado di conoscenze, di trasferimento della ricerca applicata e introduzioni di innovazioni tecniche e organizzative;
   a realizzare un fondo per il cofinanziamento di viaggi di istruzione e visite interaziendali, sia europei che non, con l'intento di individuare spunti per lo sviluppo dell'imprenditorialità agroalimentare in Italia;
   a investire maggiori risorse per un miglior controllo sulla contraffazione dei prodotti agroalimentari di qualità italiani;
   a cofinanziare per l'acquisto di attrezzature di nuova generazione destinate all'attività selvicolturale che siano rispettosi dell'ambiente, della risorsa boschiva e che contribuiscano al mantenimento nel tempo della risorsa;
   a incentivare le attività connesse ad uno sfruttamento sostenibile della risorsa boschiva per le attività ricreative realizzate da parte delle aziende agricole;
   a incentivare le misure operate da soggetti privati atte a contenere il rischio di fitopatie e parassiti che possono compromettere l'integrità dei boschi e quindi il valore del patrimonio boschivo;
   a incentivare i servizi per i territori svantaggiati, a vantaggio delle imprese e dei cittadini, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione con gli enti e con la pubblica amministrazione;
   a individuare adeguate risorse finanziarie per la costruzione di invasi artificiali all'interno delle aziende agricole da utilizzare nel caso di incendi e per l'irrigazione durante la stagione estiva, al fine di evitare elevate perdite produttive alle aziende agricole;
   a incentivare opere di riassetto idrogeologico di fiumi e torrenti a rischio di esondazione operate dalle aziende agricole con l'intento di ampliare le attività svolte dalle aziende agricole e di migliorare la sicurezza del territorio;
   a individuare una soglia minima dimensionale per le associazioni dei produttori, in relazione alle dimensioni del mercato del prodotto, con l'intento di conferire un maggior potere di mercato agli associati, evitando una troppo elevata polverizzazione del sostegno e una conseguente perdita di efficacia dello strumento;
   ad incentivare la produzione di prodotti di origine animale che garantiscano il benessere degli animali, anche attraverso l'adozione di opportuni riconoscimenti e marchi, in modo da comunicare al consumatore che il processo produttivo rispetta determinati standard e requisiti;
   a introdurre incentivi rivolti agli agricoltori per la sottoscrizione di assicurazioni sul raccolto, sugli animali e sulle piante, al fine di ridurre i danni che possono verificarsi per la presenza di avversità climatiche e fitosanitarie;
   a predisporre un programma di sviluppo rurale nazionale per le misure di gestione del rischio, al fine di dare continuità e omogeneità nazionale alla positiva esperienza dell'articolo 68 del Reg. 73/2009 sulla gestione del rischio in agricoltura;
   alla destinazione al suddetto programma di almeno 200 milioni di euro annui, pari a circa il 7 per cento delle risorse nazionali;
   a promuovere la costituzione di fondi di mutualizzazione, stimolando anche lo studio sulle modalità di applicazione e considerando anche un eventuale interazione con il sistema delle assicurazioni, con l'intento di andare ad interessare anche i settori per i quali non è prevista una copertura da parte delle compagnie assicurative;
   a predisporre un piano di coordinamento nazionale che armonizzi gli importi del sostegno a valere sulle misure dei futuri Programmi di sviluppo rurale azioni volte ad un miglioramento della redditività delle aree forestali di particolare rilevanza per la salvaguardia, il ripristino e la valorizzazione degli ecosistemi dipendenti dall'agricoltura e dalle foreste;
   ad adottare un programma nazionale, alla cui implementazione destinare un importo non inferiore al 5 per cento dello stanziamento della politica di sviluppo rurale, che individui i principali fabbisogni infrastrutturali che limitano lo sviluppo economico delle imprese agricole nelle aree rurali delle cinque principali macro-regioni nazionali (Nord-est, Nord-ovest, Centro, Sud, Isole), al fine di orientare e indirizzare la redazione dei Psr regionali e la conseguente erogazione del sostegno, operando al contempo un importante coordinamento fra regioni limitrofe;
   a finanziare un piano di monitoraggio dei costi aggiuntivi derivanti dall'attuazione del metodo di produzione biologica in Italia o dall'applicazione delle direttive 92/43/CEE, 2009/147/CE e 2000/60/CE su terreni agricoli e forestali, al fine di armonizzare l'importo del sostegno fornito agli agricoltori biologici che beneficeranno della specifica misura prevista nei prossimi Psr regionali, evitando laddove possibile di creare squilibri eccessivi fra i vari territori agricoli nazionali;
   a provvedere alla pubblicazione di linee guida nazionali che forniscano indicazioni di carattere generale nonché specifico a coloro che svolgeranno attività di consulenza ai beneficiari dei pagamenti agro-climatici-ambientali, al fine di operare un coordinamento nazionale delle conoscenze e delle informazioni necessarie per la promozione dell'uso efficiente delle risorse e del passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima nel settore agroalimentare e forestale.
(7-00087) «Oliverio, Luciano Agostini, Zanin, Venittelli, Covello, Valiante, Anzaldi, Antezza, Taricco, Mongiello, Carra, Cova, Dal Moro, Marrocu, Ferrari, Tentori, Terrosi, Palma, Fiorio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'emergenza delle discariche abusive costituisce un problema di grande rilevanza per il quale bisogna trovare soluzioni efficaci per la tutela del territorio e della salute umana;
   l'Italia, a seguito della procedura di infrazione n. 2003/2077 (causa C-135/05), il 26 aprile 2007 è stata condannata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari all'adempimento degli obblighi previsti dalle direttive 75/442/CE, 91/689/CE e 1999/31/CE relative ai rifiuti pericolosi ed alle discariche di rifiuti;
   con nota del maggio 2007, la Commissione europea ha chiesto di ricevere entro il 26 giugno 2007 informazioni sugli atti nazionali per dare esecuzione alla sentenza. A causa dell'immobilismo del Governo pro tempore la Commissione, con lettera di messa in mora, ha assegnato all'Italia il termine di due mesi a decorrere dal 4 febbraio 2008 per presentare osservazioni ed evitare sanzioni;
   dopo un'ulteriore richiesta di trasmissione delle misure per adempiere la sentenza, il 25 giugno 2009 l'organo comunitario ha adottato un parere motivato sulla permanenza in Italia del fenomeno dello smaltimento illegale e incontrollato di rifiuti e per la mancata esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2007;
   tra le discariche abusive per cui l'Italia è stata condannata dall'Unione europea – ben 255 presenti in 18 regioni – figura quella realizzata all'interno del marina turistica di Porto San Rocco, nel comune di Muggia (Trieste);
   la discarica in questione, composta da circa 18 mila metri cubi di rifiuti tossici e nocivi, è stata occultata dando vita a una collinetta artificiale adibita a parco con annessa area giochi per bambini;
   malgrado le numerose denunce dei cittadini e delle organizzazioni ambientaliste come Greenaction Transnational sulla pericolosità di quest'operazione – i rifiuti seppelliti sembrano contenere metalli pesanti, idrocarburi e PCB – le amministrazioni non hanno autorizzato e svolto nessun intervento di bonifica;
   l'Italia rischia un'ulteriore condanna dalla Corte di giustizia che potrebbe comminare una pesante sanzione pecuniaria che la Commissione europea ha già determinato in 284.800 euro al giorno –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare la pesante sanzione comunitaria, attraverso la bonifica dei siti inquinati a tutela della salute dei cittadini che risiedono vicino alle discariche abusive come quella di Porto San Rocco. (5-00905)


   CENNI, DALLAI e BINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   il settore termale rappresenta un comparto rilevante del sistema economico, turistico, produttivo ed occupazionale del paese;
   l'Italia, grazie alla diffusa presenza del fenomeno denominato «vulcanesimo secondario» è infatti la nazione europea che vanta una straordinaria risorsa termale, il maggior numero di stabilimenti, e vere e proprie città termali (Chianciano, Montecatini, Fiuggi e altri);
   il settore termale in Italia conta infatti circa 350 stabilimenti, distribuiti in 20 regioni e 170 comuni, con 17 mila addetti ed un fatturato di 380 milioni di euro, di cui 200 a carico del servizio sanitario nazionale (sono il 72 per cento i pazienti convenzionati);
   l'indotto del settore termale (considerando soprattutto il comparto ricettivo e ricreativo) può essere quantificato in 4,5 miliardi di euro di fatturato e 73 mila posti di lavoro;
   il settore termale italiano, negli ultimi 50 anni, ha attraversato numerose fasi di trasformazione, evoluzione, crisi, con un profondo cambiamento del profilo dell'utenza reale e potenziale. È mutata la domanda di mercato e conseguentemente l'offerta dell'attività termale, così come la concezione del termalismo. Dal secondo dopoguerra agli inizi degli anni ’80 la maggior parte delle presenze sono state legate al «termalismo sanitario sociale», nei centri convenzionali con il servizio sanitario nazionale e quindi dipendenti essenzialmente da una concezione sanitaria e terapeutica delle acque, con un contributo finanziario consistente in termini di spesa sanitaria pubblica. Dagli anni ’90, a seguito delle misure contenitive varate con il nuovo sistema sanitario nazionale, tali cure termali hanno registrato un calo di oltre il 30 per cento. Parallelamente è emersa una nuova concezione di benessere termale con il quale accanto al fondamentale apporto delle acque termali ed alla certezza validata delle cure, si sono affermate prestazione legate al relax, agli stili di vita, più distanti da vincoli di carattere sanitario, ma determinanti per la affermazione di nuove forme e destinazioni turistiche;
   lo sviluppo del comparto «benessere», che ha visto la nascita di interessanti esperienze pubbliche e private, importanti investimenti, pur non risultando risolutivo per le difficoltà che vive il settore termale più tradizionale (in modo particolare, grandi sono le difficoltà delle città nelle quali la risorsa termale è stata modello di sviluppo centrale e quasi assoluto) ha comunque mostrato le grandi potenzialità dell'integrazione fra le declinazione del «wellness» e quella «terapeutico-sanitaria» che secondo gli interroganti va salvaguardata e rilanciata;
   tale situazione evidenzia la necessità di un adeguamento della normativa nazionale che tenga conto delle varie dimensioni del settore, e probabilmente l'introduzione di una organica legge di riordino;
   nel 2000 è stata approvata la legge n. 323 sul riordino del settore termale: ad oltre 13 anni dalla sua promulgazione non sono però stati emanati i decreti attuativi capaci di consentire la corretta applicazione del provvedimento, che disciplina l'erogazione delle prestazioni termali al fine di assicurare il mantenimento ed il ripristino dello stato di benessere psicofisico e reca le disposizioni per la promozione e la riqualificazione del patrimonio idrotermale anche ai fini della valorizzazione delle risorse naturali, ambientali e culturali dei territori termali;
   la legge n. 323 del 2000 dispone infatti che le cure termali siano «erogate a carico del Servizio sanitario nazionale», definisce, tra l'altro, come patologie, le malattie che possono essere prevenute o curate, anche a fini riabilitativi, con le cure termali e prevede l'emanazione delle linee guida concernenti l'articolazione in cicli di applicazione singoli o combinati per ciascuna delle patologie individuate. Tale legge si pone inoltre l'obiettivo di promuovere il rilancio degli stabilimenti termali riconosciuti e di risolvere, in maniera chiara ed autorevole, il problema della validità scientifica delle prestazioni termali e del delicato rapporto con la classe medica e la terapia farmacologica;
   appare evidente, da quanto appena espresso, che sia l'introduzione di nuovi modelli di termalismo, sia l'emanazione di leggi quadro sul settore non abbiano, ad oggi, prodotto quelle azioni adeguatamente risolutive per promuovere il rilancio efficace di un comparto che avrebbe a livello nazionale ancora grandi potenzialità dal punto di vista economico ed occupazionale; infatti la risorsa termale, oltre a rappresentare una attività sostenibile rispetto alle peculiarità naturali ed a diversificare la qualità dell'offerta di benessere, terapeutica e sanitaria, potrebbe infatti contribuire a valorizzare l'intero settore turistico nazionale, uno dei comparti d'eccellenza del nostro Paese;
   il settore termale tradizionale italiano sta però continuando a registrare un trend negativo costante sia per quanto riguarda i flussi delle presenze della clientela pagante per i curandi assistiti dal servizio sanitario nazionale;
   secondo recenti dati si è infatti registrato nel 2012 in Italia un calo del 10 per cento rispetto all'anno precedente, nel numero delle persone che hanno fatto ricorso alle cure termali;
   si tratta di un calo legato essenzialmente a fattori strutturali nazionali e non registrato in altri Paesi europei: in Francia ad esempio, nello stesso arco temporale, si è avuto un aumento del 5 per cento;
   in questo contesto va ricordato che la crisi del settore termale incide soprattutto (da decenni) nei territori sede di stabilimenti denominati «ex Eagat» (la società pubblica nata negli anni ’60 del secolo scorso per gestire le concessioni). Tali comuni, dislocati su tutto il territorio nazionale, hanno infatti nella maggior parte dei casi, come sopra richiamato, sviluppato una economia monotematica, strutture ricettive e commerciali dedicate, e sono ad oggi in gravissime difficoltà sociali ed occupazionali a causa dei dati già ricordati sul «termalismo sanitario», aggravate peraltro da una evidente mancanza di risorse per investire in innovazione ed ammodernamento, sia strutturale che gestionale, nonché dall'assenza di misure mirate per la crisi delle imprese turistiche;
   politiche ed interventi efficaci per il rilancio del settore termale sono stati chiesti, in questi anni, non solo dagli operatori, dalle categorie del settore e dagli enti locali interessati, ma anche dalle regioni e da una vasta e diversificata componente del tessuto sociale, economico, produttivo ed associazionistico nazionale. Si tratta di richieste e di esigenze che sono state riconosciute dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni ma che non si sono quasi mai tradotte in interventi strutturali concreti e risolutori;
   appare evidente che la legge n. 323 del 2000, non pienamente applicata necessiti di un aggiornamento relativo al nuovo scenario del settore;
   tra le criticità evidenziate dalle associazioni e dagli operatori del settore termale si segnalano:
    la limitatezza delle risorse destinate al sistema sanitario nazionale, anche per l'innovazione e la ricerca;
    i ritardi nei pagamenti da parte delle asl per le prestazioni erogate ai pazienti negli stabilimenti in convenzione;
    la concorrenza sleale da parte delle cosiddette «spa» che utilizzano questa denominazione, pur non disponendo di acqua termale e dei necessari accrediti da parte del servizio sanitario nazionale;
    la carenza di una promozione adeguata, coordinata e non frammentata dell'offerta termale italiana;
    la mancata attuazione al riconoscimento della figura dell'operatore termale, che potrebbe rafforzare il profilo qualitativo e professionale dei servizi erogati;
   tra le proposte per la crescita del comparto termale, evidenziate al tempo stesso dalle associazioni e dagli operatori del settore si evidenzia la necessità di:
    dare concretamente maggiore impulso alle azioni di prevenzione certo orientate al contenimento della spesa sanitaria, attraverso specifiche sinergie tra strutture pubbliche e private, ospedaliere ed extraospedaliere;
    riconoscere e favorire lo studio e lo sviluppo di forme giuridiche ed istituzionali innovative di partnership pubblico-privato per l'organizzazione e la gestione degli stabilimenti termali, attraverso il coinvolgimento delle imprese e della organizzazioni no profit che possono contribuire all'innalzamento della qualità percepita del territorio da parte di fruitori delle prestazioni termali;
    elaborare un nuovo assetto legislativo che riconosca il valore scientifico delle cure termali e chiarisca il ruolo delle prestazioni termali nella prevenzione, nella riabilitazione e nel recupero di buoni stili di vita con adeguate forma di aggiornamento e formazione dei medici di base;
    dare pieno riconoscimento e definire il profilo dell'operatore termale, nonché la configurazione del marchio di qualità termale per gli stabilimenti e adeguato sostegno alle scuole di specializzazione di medicina termale;
    introdurre incentivi per la riqualificazione urbana e per la qualità dell'offerta turistica e ricettiva dei territori «termali»;
   va altresì evidenziato che la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) ha disposto un finanziamento di 10 milioni di euro in tre anni per la revisione delle tariffe dell'assistenza termale;
   si tratta di una prima azione efficace a sostegno del settore ma che dovrà essere accompagnata da politiche specifiche complessive e programmatiche per non risultare solamente una norma «tampone» una tantum;
   un fattore fondamentale per il rilancio del settore termale italiano è rappresentato dalla prossima entrata in vigore, nel mese di ottobre 2014, della Direttiva dell'Unione europea del 9 marzo 2011 concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera;
   questa direttiva si uniforma ad alcune sentenze della Corte di giustizia europea e mira a consentire, ai singoli pazienti che decidono di ricorrere a una assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità nell'Unione europea, di poterlo fare fuori dal proprio Stato, nel pieno rispetto delle singole competenze dei Paesi riguardanti l'erogazione delle prestazioni sociali di carattere sanitario;
   tale norma potrebbe attirare «curandi» termali da altri Paesi d'Europa, attratti dalla qualità e dalle storiche proprietà terapeutiche delle acque termali italiane sommati alla nostra offerta turistica, storica, ambientale incrementando importanti flussi turistici e divenendo elemento trainante e qualificante per la scelta dello stabilimento –:
   quali iniziative organiche, alla luce di quanto esposto in premessa il Governo intenda assumere, anche di concerto con le regioni, per il rilancio del settore termale italiano in relazione alle sue criticità attuali ed alla sua rilevante incidenza nel sistema economico, turistico, produttivo ed occupazionale del Paese, a partire dall'aggiornamento e dalla corretta attuazione della legge n. 323 del 2000;
   se nell'ambito dei piani promozionali dell'Enit – Agenzia nazionale del turismo, siano previste azioni specifiche dedicate all'offerta termale;
   se il Governo abbia previsto o intenda prevedere alcune azioni di sostegno alle imprese turistiche collocate nei principali sistemi termali italiani ed interessate da crisi;
   nello specifico quali iniziative il Governo intenda mettere in campo, in vista della prossima entrata in vigore della direttiva dell'Unione europea del 9 marzo 2011, per promuovere l'attrattività e la fruibilità degli stabilimenti termali italiani e conseguentemente incentivare i flussi di pazienti comunitari relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera. (5-00907)


   VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, MARZANA, CHIMIENTI, D'UVA, BATTELLI, DI BENEDETTO e BRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il Tribunale di Pescara in data 22 luglio 2013 ha condannato in primo grado Sabatino Aracu alla pena di anni 4 di reclusione e alla interdizione per anni 5 dai pubblici uffici;
   Sabatino Aracu attualmente è il presidente della Federazione italiana hockey e pattinaggio (FIHP);
   la Federazione italiana hockey e pattinaggio è una delle federazioni sportive aderenti al CONI; la natura e lo statuto delle federazioni sportive è regolamentato dal Decreto Legislativo 23 luglio 1999, n. 242;
   il presidente della Federazione italiana hockey e pattinaggio è membro di diritto del Consiglio nazionale del CONI;
   la Federazione italiana hockey e pattinaggio, per lo svolgimento delle attività internazionali, aderisce alla Federation international de roller sports (FIRS); per effetto di questa adesione Sabatino Aracu è membro della FIRS e ne è anche presidente;
   potrebbe risultare inopportuno che un condannato a 4 anni di reclusione per tangenti rappresenti l'Italia in ambienti e organismi sportivi internazionali;
   il CONI non ha intrapreso alcuna iniziativa nei confronti della Federazione italiana hockey e pattinaggio per avviare un processo che porti alla sostituzione del presidente;
   la condanna penale citata non è l'unico fatto riguardante la figura di Sabatino Aracu: come si apprende dal Fatto Quotidiano già nel 2008 una commissione interna del Coni accertò reati contabili perpetrati dall'ex deputato PdL ai danni della Federazione italiana hockey e pattinaggio che guida da vent'anni; Petrucci, l'allora Presidente del CONI, lo lasciò al suo posto;
   lo stesso procuratore generale della Corte dei Conti del Lazio, nella relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2012 dichiara che dopo una prima verifica amministrativa sulla Federazione italiana hockey e pattinaggio emergevano illiceità contabili per l'uso anomalo dei beni federali, per eccesso di spesa di rappresentanza, per spese di trasferta ingiustificate e per l'uso spregiudicato delle carte di credito federali;
   risulta all'interrogante che la commissione d'inchiesta nominata dal CONI ha riscontrato danni erariali per complessivi 380.861,78 euro e come dichiarato dal dottor Angelo Raffaele De Dominicis, presidente della Corte dei Conti del Lazio, tali poste dannose debbono essere addebitate in primo luogo al presidente e al segretario generale della Federazione, che con comportamenti gravemente colposi hanno direttamente o indirettamente permesso che tali sperperi fossero addossati alla Federazione in totale carenza dei presupposti di legge;
   l'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo n. 242 del 1999, stabilisce quanto segue:
    [la giunta nazionale] e) esercita, sulla base dei criteri e modalità stabilite ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera e), il potere di controllo sulle federazioni sportive nazionali, sulle discipline sportive associate e sugli enti di promozione sportiva riconosciuti in merito al regolare svolgimento delle competizioni, alla preparazione olimpica e all'attività sportiva di alto livello e all'utilizzo dei contributi finanziari di cui alla lettera d) del presente comma;
    f) propone al Consiglio nazionale il commissariamento delle federazioni sportive nazionali o delle discipline sportive associate, in caso di gravi irregolarità nella gestione o di gravi violazioni dell'ordinamento sportivo da parte degli organi direttivi, ovvero in caso di constatata impossibilità di funzionamento dei medesimi, o nel caso in cui non siano stati ottemperati gli adempimenti regolamentari al fine di garantire il regolare avvio e svolgimento delle competizioni sportive nazionali» –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda e se il CONI abbia esercitato o intenda esercitare ulteriori iniziative di competenza, ivi compreso il commissariamento. (5-00915)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'UVA, NUTI, NESCI, DIENI, DE ROSA, MARZANA e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 gennaio 2013, il decreto-legge n. 1 del 14 gennaio 2013 stabiliva che, in deroga a quanto disposto dal decreto-legge n. 59 del 2012, il termine temporale delle emergenze di natura ambientale attualmente in essere all'interno del territorio dello Stato veniva, per le sole situazioni ritenute dal Governo di particolare gravità, prorogato al 31 dicembre 2013;
   durante l'esame del decreto-legge n. 1 del 14 gennaio 2013 al Senato della Repubblica, nonostante l'espresso parere negativo del Governo, si accoglieva un emendamento presentato dal Popolo delle Libertà, a prima firma Bruno, il quale dispone che la proroga della situazione di emergenza ambientale venga disposta sino al 31 dicembre 2013 anche per l'emergenza idrica nel comune di Lipari;
   per far fronte a tale emergenza, la n. 3738/2009, dichiarata tale nel 2002 e prorogata già da oltre 11 anni, è stato nominato commissario l'avvocato Luigi Pelaggi, già oggetto di una proposta di revoca poi non attuata in sede di conversione di decreto-legge dal precedente Governo, il quale doveva cessare le funzioni del suo mandato al 31 dicembre 2012, ma che vedrà prorogato il suo commissariamento grazie all'approvazione di tale emendamento;
   l'emendamento alla decretazione d'urgenza, soggetto a forti critiche da parte di numerosi membri delle Camere, è stato oggetto di un ordine del giorno, il n. 9/5714/6, con cui si impegnava «il Governo a valutare attentamente l'opportunità dell'attuale proroga dell'emergenza idrica nelle isole Eolie e comunque di individuare iniziative volte a favorire il rientro, entro un breve termine, nel regime ordinario delle attività favorendo in tal modo la traslazione alla regione siciliana delle competenze correlate alla realizzazione delle opere in argomento in concertazione con l'ente locale di riferimento»;
   il commissario Luigi Pelaggi ha disposto e appaltato, nel corso del suo mandato, la realizzazione di un depuratore da realizzarsi in località Canneto (comune di Lipari), opera finanziata, contestualmente ad altre opere quali rimpianto di depurazione dell'isola di Vulcano, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con circa 50 milioni di euro, andando così a creare in un'area turistica, dove tra l'altro insistono coltivazioni e allevamenti, vasche di liquami che metterebbero a serio rischio il litorale di Unci a Canneto e l'area portuale di Sottomonastero;
   in particolare, con la determinazione n. 12 del commissario delegato OPCM 3738/2009 del 5 dicembre 2011, si è approvato il progetto definitivo sezione B – isola di Lipari, impianto di depurazione di Lipari ed opere fognarie accessorie, sull'albo pretorio on line del comune di Lipari ed il verbale di validazione del progetto definitivo del 5 dicembre 2011 a firma del RUP;
   il progetto del depuratore di Lipari, era stato già approvato con la determinazione n. 7 del 14 maggio 2011 e verbale di validazione del 4 maggio 2011, ma l'ufficio commissariale, a seguito della necessità di realizzare – oltre ai due impianti di depurazione (Lipari e Vulcano) già previsti – un nuovo impianto di desalinizzazione sull'isola di Vulcano, nel dicembre 2011 riapprovava e rivalidava i progetti con un nuovo quadro complessivo della spesa;
   il raffronto tra il quadro complessivo della spesa (cosiddetto quadro economico) tra il precedente verbale di validazione del 4 maggio 2011, ed il precedente provvedimento di approvazione del progetto (determinazione n. 7 del 14 maggio 2011) e quello del 5 dicembre 2011, nonostante i progetti relativi al depuratore di Lipari e di Vulcano non sono stati oggetto di modifica, presentava delle sostanziali differenze economiche, ad avviso degli interroganti, non giustificabili né giustificate;
   attraverso un'attenta analisi della documentazione alcune delle spese precedentemente riportate, con la nuova approvazione, nonostante si sia prevista la realizzazione non solo dei due depuratori di Lipari e Vulcano, ma anche di un desalinizzatore, anziché aumentare in maniera direttamente proporzionale all'aumento delle opere da porre in essere, diminuiscono;
   un esempio evidente è riscontrabile alla voce «Interventi sulla discarica di Lami – Malopasso», laddove nel precedente verbale di validazione ed approvazione del progetto l'importo messo a bando per la seguente voce era pari a euro 450.000,00, mentre nel successivo verbale di validazione del 5 dicembre 2011, e in assenza di alcun tipo di modifica, l'importo è di soli euro 150.000,00, con una differenza e un contestuale risparmio del 66,66 per cento;
   a fronte di medesimi ed immutati progetti di depurazione per le isole di Lipari e Vulcano, e con la realizzazione di un nuovo e ulteriore progetto, il desalinizzatore di Vulcano, vi è dunque una non giustificabile, allo stato degli atti, diminuzione di costi pari a euro 589.745,00;
   alcune voci presenti all'interno del quadro complessivo di spesa aumentano invece fino al 100 per cento, voci che però dovrebbero restare invariate dal momento che queste riguardano attività esterne o non strettamente collegate alle nuove opere, quali le spese per la pubblicità di gara che dalle 45.000,00 euro inizialmente previste arrivano agli attuali 90.000,00 euro;
   allo stato attuale appare del tutto incomprensibile come sia possibile che, a fronte dell'aumento delle opere in appalto, alcune voci direttamente collegabili alla realizzazione delle opere diminuiscano mentre altre voci di spesa subiscano variazioni in aumento fino al 100 per cento benché riguardanti la pubblicità della gara, spesa che non dovrebbe subire di norma alcuna variazione;
   non è dato sapere se tale situazione sia dovuta ad errore della precedente validazione ed approvazione ovvero se l'errore sia presente nella determinazione del dicembre 2011 comportando la relativa conseguenza che il progetto così come approvato e convalidato risulterebbe privo di copertura finanziaria;
   i dubbi circa l'assenza di una adeguata copertura finanziaria aumentano a seguito dell'analisi dell'articolo 1 del decreto di VIA del progetto, emanato dall'assessorato regionale del territorio ed ambiente della regione siciliana, si prevede che i materiali provenienti dagli scavi delle opere dovranno essere inviati presso impianti di trattamento e presso discariche autorizzate;
   il progetto, così come approvato, prevede che i materiali di scavo non saranno inviati presso impianti di trattamento o presso discariche autorizzate, ma smaltiti presso la vecchia discarica RSU di Lipari, chiusa ormai da anni, sita in Lami contrada Malopasso (relazione integrativa A.2.a. pagina 47) e dunque presso una discarica attualmente non autorizzata;
   l'articolo 1 della valutazione di impatto ambientale prevede altresì che i muri di contenimento dovranno essere rivestite con pietra locale, ma sempre nella relazione integrativa approvata ed allegata al progetto (A.2.A pagina 36 rigo 3) si precisa che non si provvederà ad alcun rivestimento dei muri con il materiale disposto dal decreto, stante l'elevato costo;
   appare evidente come il progetto dunque, così come validato ed approvato, si ponga in contrasto con la valutazione di impatto ambientale, così come rilasciata in data 21 febbraio 2011 dall'assessorato del territorio ed ambiente della regione siciliana –:
   se il Governo intenda provvedere per individuare iniziative volte a determinare la cessazione del regime di emergenza, così come prorogata dal decreto n. 1 del 2013 e, nel minor tempo possibile, ripristinare il regime ordinario delle attività attraverso la rimozione dell'attuale stato di commissariamento e con il contestuale riaffidamento alla Regione Siciliana delle normali competenze e prerogative;
   se il Governo intenda proseguire con il finanziamento di un'opera che sembra presentare caratteri di limitata trasparenza dal punto di vista del quadro economico per la sua costruzione;
   se il Governo intenda adoperarsi affinché venga fermata la costruzione di un'opera che rappresenta un evidente pericolo per il settore primario e turistico dell'isola di Lipari, dal momento che la località di Canneto, oltre a essere località soggetta a numerose coltivazioni e allevamenti, rappresenta per il comune il più importante centro balneare dell'isola, il quale verrebbe irrimediabilmente compromesso dalla costruzione di vasche per liquami e acque stagnanti. (4-01641)


   PALAZZOTTO, FRATOIANNI e PILOZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Mineo è stato inaugurato il 18 marzo 2011 a seguito della proclamazione dello stato di emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dalle regioni del Nord Africa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2011;
   lo stato di emergenza cessava – a norma dello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2011 – in data 31 dicembre 2012; tale termine è stato posticipato al 31 dicembre 2012 con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2011 e, successivamente, con circolari del Ministero dell'interno, al 28 febbraio 2013 e poi al 31 marzo 2013;
   il CARA è ospitato presso il «Villaggio della Solidarietà» di Mineo (unica struttura del genere per dimensioni e destinazione d'uso), ovvero nelle 403 villette di quello che era il residence «Villaggio degli aranci», dismesso nel 2011 dai militari statunitensi allo scadere del contratto con la Pizzarotti spa di Parma, proprietaria della struttura; il residence è diventato il «Villaggio della Solidarietà», non in virtù di un contratto d'affitto, ma di un decreto di requisizione (esattamente il n. 16455 del 2 marzo 2011);
   il costo stimato di indennizzo che è stato pagato dallo Stato alla Pizzarotti spa è pari a circa 6 milioni di euro all'anno;
   la struttura è affidata al Consorzio siciliano di cooperative sociali Sisifo (LegaCoop), capofila di un raggruppamento composto da Sol.Calatino Caltagirone (aderente al Consorzio Sol.Co. Catania, rete di imprese sociali siciliane operante a Mineo dal 28 dicembre 2009), la coop-azienda di ristorazione Cascina di Roma, la Senis Hospes e la Domus Caritatis;
   il soggetto attuatore del CARA è la provincia di Catania, e precisamente nella figura del suo presidente, ed oggi sottosegretario onorevole Giuseppe Castiglione;
   i comuni di Mineo, San Michele di Ganzaria e Ramacca si sono costituiti in consorzio con la precisa intenzione di subentrare alla provincia di Catania quale soggetto attuatore della gestione del CARA;
   a pochi chilometri da Mineo si trova una struttura simile di proprietà pubblica, ovvero gli alloggi della ormai dismessa base militare di Comiso, già utilizzati in passato per ospitare i rifugiati durante «l'emergenza Kosovo» del 1999;
   l'accordo raggiunto con l'ente gestore prevedeva un costo di 46 euro per ogni rifugiato ospitato dal centro;
   la struttura di Mineo attualmente ospita circa 3400 migranti, a fronte di una capienza stimata di 2000 unità; a tal proposito, si rileva come l'incremento degli ospiti nella struttura sia riferibile al periodo in cui terminava lo stato d'emergenza e contestualmente il pagamento diretto dello stato dell'indennizzo alla Pizzarotti spa; l'ubicazione della struttura, lontana oltre 11 chilometri dal più vicino centro abitato, risulta essere un ostacolo per i richiedenti asilo nell'esercizio dei diritti propri del loro status. L'isolamento del Cara non permette ai migranti di circolare liberamente, anche al fine di integrarsi nel tessuto sociale. Gli spostamenti, a piedi o in bici, dei migranti espongono gli stessi a gravi pericoli e numerosi sono stati gli incidenti. L'unico pullman messo a disposizione per raggiungere Mineo è del tutto insufficiente;
   i tempi di evasione delle richieste di asilo sono estremamente lunghi e, nel corso di una visita, l'interrogante ha potuto constatare che nella struttura sono presenti richiedenti asilo che aspettano risposta alla loro richiesta da oltre 24 mesi, e ciò in contrasto con le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 2004 e al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, che fissano in 20 e 35 giorni il limite massimo di permanenza;
   fino a fine luglio 2011 le commissioni di valutazione delle richieste erano due: una a Siracusa e una sub-commissione a Catania; l'unica commissione attiva oggi è quella di Siracusa che, a detta degli operatori del centro, valuta una media di 8/10 richieste d'asilo al giorno;
   sono, quindi, costantemente disattesi i termini legali che richiedono la valutazione delle richieste entro quarantacinque giorni;
   il sovraffollamento, l'isolamento, i lunghi tempi di attesa unitamente alle pessime condizioni igienico sanitario generano emarginazione e, spesso, episodi di violenza, anche autolesionistica, all'interno della struttura, come dimostrato dai recenti accadimenti del 15 giugno 2013 e del 2 agosto 2013;
   i medici stabilmente presenti nella struttura sono solo due e gli ospiti lamentano gravi carenze nell'assistenza sanitaria –:
   quali siano i motivi per i quali sia stato deciso di ubicare il CARA di Mineo presso una struttura privata e situata in località del tutto inidonea allo scopo, anziché utilizzare eventualmente strutture pubbliche, quale la base dismessa di Comiso, come riferito in premessa;
   se non si ritenga di dover attivare al più presto strutture che possano garantire ai richiedenti asilo il pieno esercizio dei diritti connessi al loro status ed una maggiore integrazione nella società italiana, di minori dimensioni, più vicine e meglio collegate a centri abitati, evitando nel contempo l'ulteriore sperpero di risorse pubbliche in affitti infruttiferi, nonché il protrarsi dell'attività del CARA di Mineo, che si è rivelata fallimentare;
   quali siano, ad oggi, i costi di affitto della struttura, i termini, le scadenze contrattuali e le relative spese di gestione;
   se vi sia una rendicontazione delle spese sostenute dal consorzio che ha gestito la struttura dal marzo 2011 a fronte dei servizi offerti;
   se, alla luce delle evidenti inadempienze da parte del consorzio in termini di servizi offerti, il Ministro interrogato non ritenga di dover valutare azioni di rivalsa nei confronti dello stesso consorzio, in forza delle ingenti risorse di cui è stato destinatario dal marzo 2011, data dell'apertura del centro;
   non ritengano – come spesso affermato dai predecessori – di dover aumentare il numero delle commissioni di valutazione delle richieste d'asilo. (4-01665)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il consolato generale in Ginevra, a seguito della soppressione del consolato generale in Losanna, ne ha assorbito le competenze, registrando nel contempo una drastica riduzione del personale in servizio;
   le 20 unità lavorative attualmente in servizio sono chiamate a servire una collettività di 110.000 connazionali residenti nella circoscrizione, con una media pro capite di 5.429 utenti per ogni operatore consolare, media che non ha uguali in altri consolati di primaria importanza, fatta eccezione per il consolato generale in Buenos Aires;
   l'annunciata chiusura dell'agenzia consolare in Sion e il trasferimento delle sue competenze al consolato generale di Ginevra renderà ancora più gravoso il carico di lavoro per ogni operatore consolare, considerato anche che due unità di personale cesseranno dal servizio, una per trasferimento ad altra sede e una per dimissioni, senza che si sappia quando e se verranno sostituite;
   all'ingente carico di lavoro si aggiungono le pessime condizioni di lavoro degli impiegati, ai quali non viene garantito lo standard minimo previsto dalle vigenti norme di sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro con grave detrimento per la salute degli operatori e degli utenti e ricadute negative sulla qualità ed efficienza dei servizi resi;
   il personale del consolato generale, riunitosi in assemblea, ha elencato una serie di criticità relative all'inadeguatezza delle strutture e alla carenza di personale, auspicando anche che venga programmata in tempi rapidi un'ispezione ministeriale che possa verificare la fondatezza dei dati esposti al fine di ricercare soluzioni soddisfacenti –:
   quali azioni il Ministro degli affari esteri intenda intraprendere per rispondere alle giuste aspettative del personale del consolato generale in Ginevra relative sia all'adeguamento funzionale delle strutture, sia all'organico della sede. (5-00901)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZANIN e PELLEGRINO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   «se l'Occidente cerca il dialogo deve essere un dialogo alla pari»;
   sono queste le parole battute dalle agenzie nel giorno del giuramento del neo Presidente iraniano Hassan Rohani, che si è rivolto ai Paesi occidentali dichiarando che la politica delle sanzioni non è quella giusta per fugare il grande sospetto che grava su Teheran: quello che fabbrichi segretamente l'atomica;
   «lo dico apertamente: se cercate di ottenere risposte appropriate, parlate all'Iran con il linguaggio del rispetto, non con quello delle sanzioni» ha detto Rohani in Parlamento;
   «la trasparenza è la chiave della fiducia» ha inoltre sottolineato il Presidente «ma non può essere a senso unico. La distensione, la fiducia reciproca e costruttiva devono determinare il nostro cammino», parole che, ci si augura, rappresentino una svolta rispetto all'era Ahmadinejad e si rivolgono evidentemente alla comunità internazionale;
   ora però, proprio in ordine alla trasparenza, la tensione sulla questione nucleare non deve nascondere altre preoccupazioni che devono accompagnare le relazioni con l'Iran, con particolare riguardo alle note violazioni nel campo dei diritti umani;
   fonti autorevoli infatti, come ad esempio l'International Committee against Execution, documentano nel paese una situazione assai grave, con un numero veramente imponente di esecuzioni: 102 in soli 22 giorni, dal 19 giugno al 10 luglio 2013;
   in questi ultimi giorni, attraverso le relazioni intercorse con l'associazione Neda Day, i cui referenti sono noti alla cronaca tra l'altro per aver portato all'attenzione dell'opinione pubblica europea il caso Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio, gli scriventi hanno assunto nuove dolorose informazioni sulla situazione dei diritti umani in Iran, la cui recrudescenza sembrerebbe coincidere proprio con la stagione di supposto rinnovamento laico sostenuto dal nuovo presidente;
   dopo averli accompagnati ad un incontro con il Ministro Kyenge per un'informativa relativa tra l'altro al tema delle spose bambine, abbiamo infatti appreso di numerosi casi di altre prossime esecuzioni di cittadini iraniani per reati d'opinione. I loro nomi sono:
    a) Mohammad Ali Amouri Nejad, 33 anni, ingegnere della pesca arrestato nel febbraio 2011;
    b) Hashem Shaabani, 31 anni, sposato con un figlio, arrestato nel febbraio 2011;
    c) Hadi Rashedi, 37, single con una qualifica post-laurea in chimica, arrestato nel febbraio 2011;
    d) Jabar al-Boushokeh, 27 anni, sposato con un figlio, dipendente dell'impresa di macinazione del padre e coinvolto in attività di assistenza sociale, arrestato nel marzo 2011;
    e) Mokhtar al-Boushokeh, 25 anni, che aveva svolto un anno di servizio militare ed è il fratello di Jabar al-Boushokeh;
   si tratta di cinque ahwazi — minoranza etnica — autonomisti arabi accusati di inimicizia contro Dio, di corruzione sulla terra e di agire contro la sicurezza nazionale. La loro condanna a morte è stata confermata dalla Corte suprema. Secondo la stessa fonte, questi uomini sono stati torturati nel corso di un periodo di nove mesi, durante il quale è stato loro negato l'accesso alla rappresentanza legale e sono stati costretti a fare false confessioni;
   ci sono anche altri quattro attivisti arabi da Shadegan che sono stati condannati a morte per la guerra contro Dio e la corruzione sulla terra. Anche la loro condanna a morte è stata confermata dalla Corte suprema iraniana. I loro nomi sono i seguenti:
    Ghazi Abbas, figlio di Ahmed, nato nel 1361 del calendario islamico, sposato, senza precedenti penali;
    Khanafereh Abdul Amir, figlio di Giona, nato nel 1366, sposato, senza precedenti penali;
    Copertina Jassim, nato nel 1364, sposato, senza precedenti penali;
    Abdul Amir Mjdmy, figlio H., nato nel 1359, sposato, senza precedenti penali;
   il Comitato internazionale contro l'esecuzione, dopo aver reso noti ben ventisei nominativi nel mese di luglio, continua ogni giorno a segnalare nuovi casi di condanne a morte –:
   se il Governo sia in grado o meno di confermare tali informazioni, con riferimento particolare alle motivazioni per cui vengono condannati a morte gli oppositori;
   se e quali siano, nel caso di conferma delle informazioni di cui sopra, le azioni diplomatiche che il Governo intende promuovere per la salvaguardia dei diritti umani in Iran, con specifico riferimento alle condanne derivate da reati di opinione e perciò con la richiesta di sospensione delle esecuzioni;
   se vi siano già in atto azioni del nostro Governo tese a rappresentare presso il Governo iraniano le ormai tradizionali alte posizioni della nostra Repubblica a salvaguardia dei diritti umani quale orizzonte imprescindibile entro cui aprire una nuova stagione di dialogo e distensione tra repubbliche italiana e iraniana, così come auspicato dal nuovo presidente iraniano. (4-01651)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con decreto del direttore generale del 21 ottobre 2010 (rettificato con decreto ministeriale del 25 febbraio 2011) il Ministero dello sviluppo economico – dipartimento per l'energia – direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche – ha conferito alla società Italmin Exploration srl il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato «Nusco» (successivamente la quota dell'ottanta per cento della titolarità di tale permesso è stata trasferita ed intestata alla società Compagnia Generale Idrocarburi srl cui sono state anche trasferite, con decreto ministeriale 1o ottobre 2012, le funzioni di rappresentante unico);
   il permesso, che ha una validità di 6 anni, riguarda un'area di 698,50 chilometri quadrati, comprendente 47 comuni campani, di cui 46 ricadenti nella provincia di Avellino e uno nella provincia di Benevento;
   la società petrolifera, dopo aver eseguito indagini non invasive e studi geologici volti ad individuare possibili trappole contenenti idrocarburi all'interno dell'area assegnata, ha localizzato e definito gli interventi da realizzare nel comune di Gesualdo (Av) e, nel settembre del 2012, ha inoltrato – ai sensi della normativa vigente in materia – istanza di autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo «Gesualdo 1» al Ministero dello sviluppo economico – Sezione Unmig di Napoli – e di valutazione d'impatto ambientale alla regione Campania – Settore 02 tutela dell'ambiente –, attualmente ancora in fase di pre-istruttoria;
   ai sensi del decreto ministeriale 26 aprile 2010 (recante approvazione del disciplinare tipo per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale), l'autorizzazione in terraferma alla perforazione del pozzo esplorativo previsto nel programma dei lavori del permesso di ricerca, alla costruzione degli impianti e delle opere necessarie, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili all'attività di perforazione è accordata, con provvedimento della Sezione Unmig competente d'intesa con la regione, a seguito di un procedimento unico che ha una durata complessiva massima di 180 giorni e che prevede, tra l'altro, l'acquisizione dei pareri della regione, della provincia e degli enti locali coinvolti;
   le amministrazioni comunali irpine interessate dall'opera in questione – di concerto con le associazioni ambientalistiche locali e su sollecitazione del comitati civici «No Trivellazioni petrolifere in Irpinia» e «No petrolio in alta irpinia» – si sono prontamente mobilitate dichiarandosi contrarie al progetto, e hanno sottoscritto, in data 24 gennaio 2013, un documento d'intenti, con il quale si sono impegnate a formulare e a trasmettere alla regione Campania motivate osservazioni, al fine di ottenere, in vista dell'adozione della decisione VIA (valutazione di impatto ambientale), un approfondimento di tutta la documentazione tecnica depositata concernente, in particolare, gli effetti dannosi per l'ambiente e la salute conseguenti alle trivellazioni petrolifere;
   il comune di Gesualdo, con delibera di giunta n. 44 del 12 novembre 2012, presentando formale opposizione ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ha espresso la netta e ferma contrarietà a concedere qualsiasi autorizzazione alla società Italmin Exploration srl nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale; l'amministrazione provinciale di Avellino, con delibera di giunta n. 11 del 2 febbraio 2013, ha, tra l'altro, approvato le osservazioni del professore Valente (docente di «valutazione di impatto ambientale» dell'università del Sannio) allo studio di impatto ambientale redatto dalla società richiedente e proposto formale opposizione alla procedura VIA;
   il 12 marzo 2013, nel corso dell'audizione presso la VII Commissione ambiente del Consiglio regionale della Campania, lo stesso assessore Giovanni Romano ha espresso fondate perplessità sulle attività di perforazione che si intendono avviare e si è impegnato ad attivarsi al fine di garantire, in sede di procedura VIA, una proficua attività di raccordo istituzionale e un ascolto attento delle osservazioni critiche evidenziate;
   l'assemblea dell'Unione delle Terre dell'Ufita ha approvato all'unanimità, in data 25 giugno 2013, un documento in cui si esprime parere contrario ad ogni attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi nei comuni ricadenti nel comprensorio di riferimento;
   anche la regione Puglia e le autorità di bacino dell'area si sono formalmente espresse contro il progetto di perforazione del pozzo «Gesualdo 1» e hanno avanzato richieste di ulteriori approfondimenti tecnici, considerato che il principale bacino idrico che fornisce acqua all'acquedotto Pugliese (il più grande d'Europa) ricade proprio nell'area in cui è stato autorizzato il permesso di ricerca per idrocarburi;
   le forti preoccupazioni delle comunità locali derivano principalmente dalla circostanza che il cosiddetto permesso «Nusco» insiste su una delle zone a più elevata pericolosità sismica d'Italia: l'Irpinia, infatti, è una delle aree del nostro paese a maggior rischio sismico ed idrogeologico, per la frequenza dei fenomeni tellurici e franosi che hanno interessato ed interessano frequentemente il suo territorio;
   le aree interessate sono ad alta valenza paesaggistica-ambientale e turistica, data soprattutto la presenza di numerosi siti di importanza comunitaria, zone di protezione speciale (Sic, Zps) e parchi naturali; il comprensorio è, inoltre, caratterizzato da una agricoltura di qualità basata su prodotti certificati, e da attività agro-alimentari connesse alla valorizzazione delle produzioni locali;
   a ciò si aggiunge che l'intera provincia di Avellino riveste un ruolo strategico nell'ambito della gestione e del coordinamento dei diversi sistemi idrici che vengono alimentati dalle fonti in essa presenti, per cui alto è il rischio di possibili contaminazioni del sottosuolo;
   ad avviso dei firmatari del presente atto di sindacato ispettivo, l'attuale procedura autorizzativa in materia di attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi esige che vengano tenute nella dovuta considerazione le volontà fermamente contrarie espresse dalle istituzioni e dai comitati locali, in quanto attori principali delle politiche territoriali, anche per rispetto dei principi costituzionali –:
   se – considerata la motivata e comprensibile opposizione delle amministrazioni locali e delle popolazioni delle aree coinvolte dalla realizzazione dell'opera in questione – i Ministri interpellati non ritengano opportuno, fermo restando la competenza regionale a valutarne la compatibilità ambientale, prendere atto della volontà contraria espressa dalle istituzioni e dai comitati locali, e interrompere la procedura autorizzativa del progetto «Perforazione del pozzo esplorativo Gesualdo 1 nell'ambito del permesso di ricerca Nusco»;
   quali ulteriori iniziative di competenza, anche di vigilanza e di controllo, si ritenga necessario adottare alla luce della volontà contraria espressa dalle comunità locali, al fine di tutelare i principi di partecipazione, coinvolgimento e autonomia territoriale e la corretta tutela degli interessi in materia ambientale.
(2-00189) «Famiglietti, Paris, Giancarlo Giordano, De Mita, D'Agostino, Fabbri, Ermini, Faraone, Del Basso De Caro, Decaro, Valiante, Fioroni, Grassi, Rughetti, Scanu, Magorno, Richetti, Manfredi, Amendola, Bonavitacola, Gnecchi, Fiano, Fiorio, Valeria Valente, Gelli, Bellanova, Giuseppe Guerini, Lorenzo Guerini, Tino Iannuzzi, Ginato, Gianni Farina, Boschi, Bressa, Gadda, Bratti, Fedi, La Marca, Gasparini, Lotti, Garofani, Piccoli Nardelli, Gentiloni Silveri, Giorgio Piccolo».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   REALACCI, BRATTI, MAZZOLI e COMINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati del Rapporto Ecomafie di Legambiente il giro illegale di rifiuti in Italia è di almeno 4,1 miliardi di euro l'anno di cui 3,1 derivano da rifiuti speciali e un miliardo dagli appalti della gestione dei rifiuti solidi urbani nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa;
   al 31 dicembre 2012, le inchieste per traffico organizzato di rifiuti ex articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono ad oggi oltre 253, con 1.367 ordinanze di custodia cautelari, oltre 4.000 denunce e 698 aziende coinvolte;
   è urgente attivare un sistema di tracciabilità per la gestione e la movimentazione dei rifiuti da parte delle aziende che sia semplice, efficace e trasparente;
   il SISTRI – Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti – è un sistema informativo voluto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per monitorare i rifiuti pericolosi tramite la tracciabilità degli stessi trasferendo in formato digitale i previgenti adempimenti documentali precedentemente svolti in forma cartacea e basati sul MUD – Modello unico di dichiarazione ambientale sul registro di carico e scarico dei rifiuti e sul FIR – Formulario di identificazione dei rifiuti;
   il predetto sistema si basa sull'utilizzo di due apparecchiature elettroniche: una cosiddetta «black box», ovvero un transponder, da montare sui mezzi adibiti al trasporto dei rifiuti per tracciarne i movimenti e un token usb da 4 gigabyte equipaggiata con un software per autenticazione forte e firma elettronica che viaggia assieme ai rifiuti, su cui sono salvati tutti i dati ad essi relativi;
   sono obbligati ad aderire a tale sistema di tracciabilità: tutti i produttori iniziali di rifiuti pericolosi; tutti i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali, da lavorazioni artigianali, da trattamenti effettuati sulle acque, da trattamento di rifiuti e costituiti da fanghi da abbattimento delle emissioni in atmosfera con più di 10 dipendenti; tutti i trasportatori di rifiuti speciali prodotti da terzi; i trasportatori di propri rifiuti speciali pericolosi; i gestori di impianti di recupero e smaltimento, gli intermediari e i commercianti di rifiuti senza detenzione degli stessi; i comuni e gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti urbani nel territorio della regione Campania;
   il progetto SISTRI cominciò a prendere forma dal 2007 e che a maggio 2011, il cosiddetto «click day», cioè il collaudo generale del sistema voluto dalle associazioni imprenditoriali in vista dell'imminente partenza del sistema del 1o giugno dello stesso anno portò risultati al di sotto delle attese: un terzo delle imprese coinvolte registrò problemi nella gestione del sistema, a causa di malfunzionamenti delle apparecchiature elettroniche e di carenze del sistema informativo centrale che non è stato in grado di garantire l'accesso a tutti gli operatori;
   stanti le notevole difficoltà di implementazione del sistema, l'interferenza del SISTRI con sistemi informatici in uso alle aziende, l'importante impatto che il SISTRI ha nel sistema di gestione aziendale per i soggetti che trattano di rifiuti si è deciso, a più riprese, di rinviare l'entrata in vigore del sistema al 1o ottobre 2013, per le categorie relative ai rifiuti speciali pericolosi di cui al comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 83 del 2012 – decreto sviluppo, e al 3 marzo 2014 per tutti gli altri;
   a questo proposito pare opportuno fare esplicito riferimento all'ultima relazione sul redatta dalla «Commissione Parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti» della XVI Legislatura che sottolinea come un'ulteriore proroga, che non può essere esclusa in linea di principio, dovrebbe essere considerata con precauzione. Dalla teorica piena operatività completa del sistema SISTRI nel 2010, dopo 3 anni di rodaggio, vi è stato sufficiente tempo per apportare modifiche e correzioni al sistema: sulla materia SISTRI vi sono stati ben nove provvedimenti normativi e ministeriali;
   la sopraddetta Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti conclude la sua relazione con una presa d'atto del: «fallimento, almeno fino ad oggi, del SISTRI, per ragioni riconducibili non solo a una non corretta gestione delle varie fasi procedimentali, ma anche per un'opposizione più o meno esplicita dei vari operatori rispetto all'entrata in vigore del sistema»;
   le Conclusioni della consultazione delle organizzazioni delle imprese in materia di SISTRI sono state approvate all'unanimità dai rappresentanti delle 31 organizzazioni delle imprese – consultazione avvenuta in data 20 giugno 2013 presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – che sottolineano come il continuo rinvio della effettiva operatività del SISTRI è esso stesso prova della non funzionalità operativa di questo sistema a causa proprio del suo eccessivo sovraccarico organizzativo per le imprese ed il termine operativo del 1o ottobre 2013, qualora fosse confermato, comporterebbe notevoli disagi alle diverse decine di migliaia di imprese e di operatori che producono e gestiscono rifiuti pericolosi; i costi economici e organizzativi di tale avvio sarebbero rilevanti, in particolare in un momento di crisi e di difficoltà per le imprese –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano valutare una rapida iniziativa normativa per il superamento del SISTRI, sostituendolo con nuovi criteri da affidare poi a normativa secondaria e mantenendo nel frattempo il sistema preesistente, con eventuali piccole integrazioni che ne garantiscano una maggiore efficacia, compreso quello sanzionatorio, data l'urgenza di dare una soluzione efficace al problema del contrasto allo smaltimento illegale di rifiuti;
   se non ritengano utile censire e integrare i vari sistemi già esistenti sul territorio regionale;
   se intendano adottare per il nuovo sistema di tracciabilità informatizzata gli indirizzi indicati unanimemente dalle 31 organizzazioni delle imprese nella riunione del 20 giugno 2013;
   se non ritengano altresì utile che nella progettazione e sperimentazione del nuovo sistema siano coinvolte le organizzazioni delle imprese, che tale sistema non comporti oneri aggiuntivi, che si prevedano misure di semplificazione per determinate categorie sulla base della individuazione di esigenze obiettive e che il nuovo sistema entri in funzione solo dopo essere stato collaudato. (5-00913)


   MANFREDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1998 nel territorio del comune di Roccarainola fu realizzata, in una ex cava, una discarica non autorizzata di rifiuti di varia natura, conferiti mediante una condotta di accumulo ripetuta e costante nel tempo che ha determinato l'inquinamento del sito collocato su un'area di proprietà privata localizzata in via Difesa;
   in particolare, dalle analisi eseguite sui materiali rinvenuti nell'area, sono emerse concentrazioni di metalli pesanti, eccedenti i limiti stabiliti dal decreto ministeriale n. 471 del 1999 e quantità dosabili di idrocarburi aromatici Inoltre, dalle analisi eseguite sulle emissioni, gassose presenti sul sito, è emersa la presenza di ammoniaca, di monossido di carbonio, di acetato di etile, di xileni e di etilbenzene, mentre dalle analisi eseguite su campioni di acqua prelevate dai pozzi di Castel Fellino e, presso il confine ovest della discarica, è emersa la contemporanea presenza di metalli pesanti e decomposti organici cancerogeni;
   il commissario di Governo per l'emergenza rifiuti, con nota 11967 del 22 maggio 2007 ha trasmesso al comune di Roccarainola le risultanze di una indagine condotta sul sito da cui emerge che «il sito in oggetto non è adatto ad essere utilizzato come discarica controllata. Si precisa ancora che l'area in oggetto costituisce attualmente un sito fortemente inquinato che richiede un sollecito e radicale intervento di bonifica se non si vuole compromettere altre aree limitrofe e le falde della piana campana che hanno origine da massiccio carbonatico a monte della cava in oggetto»;
   con la sentenza n. 188/08 R.G. sentenza del 28 marzo 2008 il tribunale di Nola ha sancito gli obblighi di bonifica e messa in sicurezza ai sensi dell'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 in capo ai soggetti che hanno cagionato l'inquinamento;
   con la stessa sentenza il tribunale individua quali responsabili dell'inquinamento i locatari dell'area in questione, benché i reati ad essi ascritti risultino estinti per intervenuta prescrizione;
   su reiterati solleciti del Comitato per la difesa dell'agro nolano — parte civile costituita nel processo de quo — la prefettura ha inoltrato, tra settembre 2010 e marzo 2012 bei sei solleciti alle istituzioni competenti affinché procedessero alle azioni necessarie a consentire la bonifica e la messa in sicurezza del sito, senza ottenere alcun esito;
   infine, la provincia di Napoli, nel febbraio 2013 ha adottato la determinazione dirigenziale n. 1422 a sensi dell'articolo 244, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 in cui ingiunge ai responsabili dell'inquinamento di «provvedere alla bonifica del sito insistente sul territorio del comune di Roccarainola in località Pelvica — sito Difesa — (...) nei modi, nei tempi e secondo le procedure operative ed amministrative stabiliti dal titolo V del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152»;
   ad oggi non risulta avviata da parte del soggetto obbligato nessuna attività preordinata alla bonifica del sito in commento mentre le procedure previste dalla legislazione vigente in materia di bonifica di siti inquinati a carico delle pubbliche amministrazioni interessate risultano, di fatto ad un punto morto;
   il sito contaminato ricade in una zona estremamente inquinata, il litorale domizio flegreo ed agro aversano, prima classificata come sito di interesse nazionale (SIN), divenuto ora sito di interesse regionale a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale 11 gennaio 2013; tale zona come evidenziato nel piano per le bonifiche regionale, per estensione e livello di contaminazione rappresenta una delle zone maggiormente compromesse per l'insistenza contemporanea di più siti inquinati e potenzialmente inquinati con vaste aree che necessitano d'interventi di messa in sicurezza d'emergenza;
   il 7 giugno 2013 il comune di Roccarainola ha comunicato l'impossibilità di svolgere qualsiasi attività di caratterizzazione e bonifica del sito per mancanza di fondi, chiedendo al contempo che l'opera sia realizzata dalla regione Campania;
   ad oggi, dopo cinque anni dalla sentenza, ancora nessuna istituzione interessata sembra voler affrontare il problema della messa in sicurezza del sito che continua a scaricare in falda sostanze cancerogene nonostante anche le ripetute denunce pubbliche riprese dalla stampa locale e nazionale di attivisti ed associazioni, in particolare del gruppo Rifiutarsi –:
   se il Ministro non ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza, di concerto con la regione, affinché si possa procedere alle opere di bonifica e messa in sicurezza del predetto sito e se sia intenzione del Governo ripensare l'esclusione dai siti di interesse nazionale del litorale domizio flegreo e agro aversano, avvenuta con decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013, in considerazione della pericolosità della situazione e delle ripercussioni ambientali e sanitarie nel territorio interessato molto vasto e dedicato all'agricoltura e alla zootecnia. (5-00916)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con riferimento all'area di Crotone, si rende noto che la società Syndial ha incorporato, negli anni passati, la Pertusola Sud s.p.a Fosfotec s.r.l.;
   la citata società Syndial ha inoltrato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, una serie di richieste di approfondimento e di approvazione di progetti che attualmente costituiscono l'oggetto di procedimento in fase istruttoria e, di conseguenza, in attesa di determinazioni da parte del Ministero medesimo;
   nel dettaglio, con riguardo ai suoli dell'area ex EniChem Agricoltura s.p.a. (di derivazione Montedison) la Syndial è in attesa di ottenere da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'approvazione di un lotto del progetto di bonifica (POB), presentato nel mese di novembre del 2011, in relazione al quale, nell'aprile del 2013, la stessa società ha presentato delle integrazioni documentali allo scopo di fornire il maggior numero di informazioni utili per il raggiungimento della conclusione del procedimento;
   un'altra richiesta di approfondimento istruttorio presentata dalla società Syndal al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risale al mese di maggio 2013 e aveva come oggetto la discariche ex Pertusola ed ex Fosfotec, i cui progetti di risanamento (messa in sicurezza permanente) sono stati presentati nel triennio 2008/2011. Il parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risulta essere necessario allo scopo di portare avanti e attuare concretamente i già citati progetti di discarica;
   proseguendo, nell'elenco dei procedimenti pendenti, si rende noto, altresì, che, nel maggio del 2012, è stata presentata, su iniziativa del Consorzio industriale, una variante al progetto di bonifica della falda acquifera che la società Syndial considera una importante opportunità di valorizzazione delle risorse del territorio interessato. A riguardo, nel maggio del 2013, si è tenuta una conferenza istruttoria con precisa richiesta di approfondimenti trasmessi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ancora sono in attesa di risposta –:
   quali siano i motivi per i quali le richieste inoltrate da parte della società Syndial in riferimento ai procedimenti delineati in premessa, non abbiano ancora ottenuto una concreta risposta, impedendo, così, ai procedimenti medesimi di giungere ad una conclusione in grado di permettere alla Syndial stessa di attuare lavori di massima importanza e valorizzazione del territorio crotonese;
   sulla base del progetto presentato dal comune di Crotone ed approvato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, se vi siano rilevanti novità riguardanti la concreta possibilità che la società Syndial possa procedere all'attuazione degli interventi di bonifica sull'area archeologica di Crotone e quali siano i tempi previsti per tale operazione.
(4-01638)


   CANCELLERI e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   stando alle notizie pervenute, attraverso la lettura delle pagine online «il fatto nisseno», «avvenire» dal convegno «Miniere: problema o risorsa», emergerebbe che per gli abitanti dell'area aumenta il rischio di ammalarsi di tumore: almeno 9 decessi su 19 nell'ultimo anno a Serradifalco sono dovuti a malattie tumorali e neuro-linfatiche degenerative;
   come hanno rivelato due giovani reporter siciliani, Rosario Sardella e Saul Caia, nella video-inchiesta «Miniere di Stato», si evince che la documentazione degli enti ambientali incaricati di verificare l'eventuale presenza di radioattività, contiene affermazioni ambigue, il livello di radiazioni esterno alla miniera di Pasquasia, dunque in superficie, viene «verosimilmente» attribuito al tipo di potassio presente nel sottosuolo;
   un tempo fonte di ricchezza per l'isola, dagli anni ’90 considerate il punto nevralgico per lo smaltimento illecito di rifiuti, anche radioattivi, «impossibile dire con precisione che tipo di rifiuti — spiega Caia, giornalista freelance siracusano ma residente a Catania — nonostante i racconti passino di bocca in bocca tra gli abitanti, nessuno è mai andato effettivamente a controllare»;
   sulla questione, le procure di Palermo e Caltagirone hanno aperto delle inchieste, «L'Arpa (Agenzia regionale protezione ambiente) ammette di aver rilevato un alto tasso radioattività nelle zone, ma di non essere riuscita a capire se derivi dal potassio presente o da qualcosa che c’è sotto il terreno»;
   nessuno, però, ha svolto indagini sui corsi d'acqua e i terreni agricoli, quelle stesse radiazioni, così come sono in grado di scalare la miniera dall'interno, emergendo in superficie in quantità limitata rispetto all'energia originaria, possono spargersi ancora più in profondità, infiltrandosi nei corsi d'acqua e dunque nel ciclo vitale –:
   per quanto di sua competenza, il Governo intenda mettere in atto delle indagini circa l'uso della miniera, se non ritenga opportuno predisporre controlli approfonditi sulle condizioni delle falde acquifere. (4-01650)


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle province di Teramo e di Ascoli, il Ministero dello sviluppo economico ha rilasciato il permesso denominato «Colle dei Nidi» alle società Gas Plus Italiana, Medoilgas e Petrorep Italia per un progetto industriale di ricerca di idrocarburi sia liquidi che gassosi nei comuni di Bellante, Campli, Controguerra, Corropoli, Mosciano Sant'Angelo, Nereto, Sant'Omero, Torano Nuovo, Tortoreto e Spinetoli. L'area interessata è pari a 83,19 chilometri quadrati;
   la regione Abruzzo ha concordato con la scelta del Governo, la conferenza dei servizi del 16 aprile 2010 è andata deserta, è stata rilasciata l'Intesa il 24 gennaio 2013;
   l'Abruzzo è la regione verde d'Europa con oltre un terzo del suo territorio tutelato da parchi e riserve naturali nazionali e regionali, in provincia di Teramo sono presenti il parco nazionale del Gran Sasso Monti della Laga, un'area protetta marina nazionale, e varie riserve regionali;
   contro la scelta del Governo nazionale di fare in Abruzzo un distretto petrolifero nazionale si sono schierate le istituzioni regionali e locali, le forze sociali, ambientaliste con una forte mobilitazione popolare –:
   quale sia l’iter autorizzativo del progetto «Colle dei Nidi» nelle province di Teramo e Ascoli Piceno;
   se non intenda rivedere queste scelte energetiche centrate sugli idrocarburi e liberare l'Abruzzo da questa ipoteca negativa di regione del petrolio. (4-01652)


   MARIASTELLA BIANCHI, GINOBLE, MORASSUT, MARIANI, MAZZOLI, CARRESCIA, COMINELLI, GIOVANNA SANNA, ZARDINI, MANFREDI, REALACCI, TINO IANNUZZI, GADDA, D'INCECCO, DALLAI, CASSANO, DECARO, CASTRICONE, AMATO, BRAGA e GUTGELD. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l’iter di istituzione del parco nazionale della Costa Teatina è stato avviato con l'articolo 8, comma 3, della legge n. 93/2001. Un'area protetta che, sebbene formalmente prevista da ormai 12 anni, non è in realtà mai nata a causa della sua mancata perimetrazione;
   entro lo scorso 30 giugno 2013 la regione Abruzzo avrebbe dovuto formulare una proposta seria, partecipata e condivisa circa la perimetrazione del futuro parco nazionale secondo quanto stabilito dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, che all'articolo 1, comma 388, tab. 2, n. 27, ha stabilito la proroga, al 30 giugno 2013, del termine per l'attuazione delle disposizioni previste dall'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, n. 93, precedentemente prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto-legge n. 225 del 2010;
   la direzione generale per la protezione della natura e del mare, richiamando la sua precedente nota dell'11 ottobre 2012 con cui aveva già sollecitato la regione Abruzzo a predisporre una perimetrazione in accordo con i comuni, in una nuova nota del 28 marzo 2013 ha rimarcato che «si è dovuto rilevare che nessun riscontro è pervenuto da Codesta regione impedendo di fatto il superamento dello stallo in cui permane da tempo la procedura in atto»;
   secondo quanto stabilito dal comma 3-bis del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 in caso di inadempienza si sarebbe dovuto procedere alla nomina di un commissario ad acta che provveda alla predisposizione e attuazione di ogni intervento necessario e che ad oggi non risulta pervenuta da parte della regione Abruzzo nessuna proposta di perimetrazione;
   il parco della Costa teatina costituisce un rilevante progetto ambientale che valorizzerà il litorale e potrà avere riflessi positivi, oltre che per la tutela, anche per lo sviluppo turistico ed economico ecocompatibili dell'area interessata –:
   quali iniziative urgenti intende adottare al fine di dare al più presto risposta ai comuni interessati all'istituzione del parco, in attuazione di quanto previsto dalla legge 93 del 2001, per arrivare ad una definitiva perimetrazione del parco;
   se il Ministro interrogato sia in grado di stabilire una data certa entro la quale si giungerà ad una perimetrazione conclusiva del parco senza ulteriori proroghe. (4-01655)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BASILIO, RIZZO, FRUSONE, ALBERTI, CORDA, ARTINI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sul sito internet dell’Huffington Post in data 7 agosto 2013 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Elicotteri delle forze armate pieni di amianto: in esclusiva il carteggio tra la Difesa e Agusta Westland». Nell'articolo si legge: «La flotta di elicotteri delle nostre forze armate è a rischio contaminazione: innumerevoli modelli attualmente in dotazione a Esercito, Marina, Aviazione e Carabinieri sarebbero in pratica scatole volanti piene di amianto»;
   questa situazione andrebbe avanti da oltre quindici anni, nel sostanziale silenzio delle autorità coinvolte. L'articolo parla di un vivace scambio di lettere tra il Ministero della difesa e l'azienda che li ha fabbricati, l'Agusta Westland. Compagnia che, per prima, li definisce testualmente «inquinati»;
   il carteggio sarebbe adesso in possesso dei magistrati delle procure militari di Roma e Napoli, anche in seguito alla opportuna segnalazione del «Partito per la Tutela dei Diritti dei Militari»;
   dopo il ’92 (anno della legge che bandisce l'impiego dell'amianto) la controllata di Finmeccanica ha provveduto a informare la difesa su quali e quanti modelli di velivoli da loro prodotti contenessero asbesto, in quali e quante parti delle rispettive carlinghe. «Sin dal 1996 abbiamo trasmesso l'elenco di tutti i materiali pericolosi presenti sui nostri elicotteri», scrivono dall'Agusta Westland nella loro lettera del 6 giugno scorso al Segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti. Secondo l'azienda il Ministero era stato debitamente informato del problema come dimostrerebbe un dossier di oltre cinquanta pagine ricco di tabelle ed informazioni inviate alla difesa;
   secondo tali tabelle – su tutte citiamo quella datata 6 aprile 2006 – si legge che per quanto riguarda i modelli AB 206, AB 205, AB 212, AB 212 AS, AB 412: «L'amianto può essere contenuto in guarnizioni, condotti, tubi, nonché pastiglie dei freni». Negli elicotteri SH-3D; HH-3F: «L'amianto può essere contenuto nelle pastiglie dei freni, ruote e rotore, nella frizione e nell'APU». Nel CH47: «L'amianto può essere contenuto nelle pastiglie dei freni». Così per l'A129: «L'amianto è presente nelle guarnizioni delle paratie parafiamma», mentre per l'A109: «L'amianto può essere contenuto in guarnizioni, condotti, tubi, nonché pastiglie dei freni, rotore e ruote»;
   in un'altra tabella del 13 febbraio 1996 (dieci anni prima) viene indicata la presenza di amianto anche a bordo dell'AB204, dell'SH-3DTS e dell'HH 500;
   l'Agusta Westland avrebbe intrapreso sua sponte una prima bonifica su 14 di queste macchine in un cantiere presso la base di Grazzanise, in provincia di Caserta;
   gli equipaggi, non sarebbero stati informati della presenza dell'amianto a bordo di quello che è il loro luogo di lavoro: né dei rischi di salute nell'operarvi a stretto contatto, né delle misure di sicurezza che avrebbero dovuto prendere a titolo di prevenzione e a tutela della loro salute;
   l'articolo dell’Huffington Post riporta frasi virgolettate di due elicotteristi appartenenti a corpi diversi. «Sugli elicotteri è la prima volta che sento parlare di problematiche simili – racconta uno specialista della Marina Militare – noi non ne siamo certo stati informati. Qualche guarnizione la si sostituisce. Ma se il problema riguarda anche le tubazioni, queste non vengono cambiate quasi mai, e alcune si trovano in punti praticamente inaccessibili». «Neanche noi abbiamo mai avuto informazioni su questi rischi, né sulle precauzioni da adoperare nel maneggio e nell'ispezione di questi mezzi – conferma un elicotterista dell'Esercito – il pilota fa l'ispezione al mezzo, prima di salire a bordo. Ma lo specialista mette mano ai componenti, smonta e rimonta. E in tanti anni nessuno si è mai raccomandato perché usassimo cautela o precauzioni, entrando in contatto con questo materiale che sappiamo benissimo essere dannoso»;
   la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha fissato le norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto –:
   se le notizie riportate nell'articolo citato in premessa corrispondano al vero e in caso affermativo quale sia la ragione per la quale non sono state assunte iniziative organiche di bonifica dall'amianto degli elicotteri e non si sia informato il personale dei rischi concernenti la presenza di asbesto su molte parti di materiale a bordo;
   se quali e quanti siano i velivoli che risultino ancora non completamente bonificati, se siano ancora impiegati, per quali attività e quali siano le misure di prevenzione adottate per tutelare la salute degli equipaggi di volo e del personale militare comunque imbarcato a bordo nonché dei meccanici adibiti alla manutenzione degli stessi;
   se il Ministero abbia provveduto, a partire dal marzo 1992, a monitorare i casi di malattia del personale civile e militare tipici da avvelenamento o contaminazione da amianto e quanti casi risultino tra il personale impiegato intorno agli elicotteri in questione;
   se il conclamarsi di diversi casi di malattie asbesto correlate tra il personale delle Forze amate ha comportato risarcimenti per gli stessi e le loro famiglie e se comunque intenda assumere iniziative in questa direzione per i casi che si dovessero conclamare in futuro. (4-01654)


   DI LELLO, DI GIOIA, LOCATELLI e PASTORELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato è responsabile dell'integrità fisica di qualunque cittadino, italiano o straniero, che viene arrestato in via cautelare a seguito di controlli o accertamenti;
   in Italia i casi di morti in carcere a seguito di arresti sono fin troppo spesso presenti nelle cronache nere dei quotidiani;
   già in passato i casi di Uva, Cucchi e Aldrovandi hanno portato a conoscenza dell'opinione pubblica le violenze accertate che hanno subito in carcere o in caserma all'atto del loro arresto, in un momento dunque in cui erano completamente indifesi e impossibilitati a qualunque reazione, le cui conseguenze hanno condotto alla morte dei tre soggetti;
   il 6 giugno 2013 i Carabinieri della stazione di Santo Stefano al Mare (Imperia) arrestano l'immigrato tunisino Bohli Kayes a seguito di un'operazione antidroga, trovandogli in dosso qualche grammo di eroina e cocaina;
   durante tale operazione Kayes, che sarebbe caduto a terra in conseguenza a una tentata fuga, cerca di divincolarsi dai carabinieri provocando una colluttazione a seguito della quale i militari riescono a bloccarlo con una forte stretta ai torace che gli ha impedito di respirare;
   non risulta ancora accertato se il tunisino si è sentito male già nel tragitto verso la caserma o solo al momento del suo arrivo presso la stazione dei Carabinieri, ma la relazione del medico legale conferma che il decesso è stato causato per pressioni sul torace e altre parti del corpo comportando la morte per arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell'espansione della gabbia toracica –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo affinché: a) venga fatta chiarezza su questo decesso, indipendentemente dalla colpevolezza del cittadino tunisino, le cui responsabilità devono essere accertate nelle opportune sedi; b) le morti, e più in generale le violenze in carcere, a seguito di arresti o controlli non si abbiano più a verificare secondo il principio che la integrità fisica e psicologica del fermato è responsabilità dello Stato che opera per mano delle forze dell'ordine a tutela del cittadino. (4-01666)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, approvato dalla Camera dei deputati ed attualmente all'esame del Senato, ai commi 8, 8-bis, 8-ter, 8-sexies e 9 dell'articolo 18 rubricato come «Sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e fondo piccoli Comuni», prevede il finanziamento di interventi per l'edilizia scolastica e per investimenti nei comuni con meno di 5.000 abitanti;
   nello specifico, il comma 8, sostituito durante l'esame presso la Camera dei deputati, allo scopo di aumentare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, prevede che l'INAIL, destini fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016 per gli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici, previsto dall'articolo 53, comma 5, del decreto-legge n. 5 del 2012;
   il comma 8-bis, aggiunto dalla Camera dei deputati, ai fini della predisposizione del suddetto piano di edilizia scolastica, autorizza una spesa di 3,5 milioni per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, per l'individuazione di un modello unico di rilevamento e potenziamento della rete di monitoraggio e di prevenzione del rischio sismico;
   i commi 8-ter e 8-sexies, aggiunti durante l'esame del provvedimento alla Camera dei deputati, prevedono la destinazione di ulteriori somme da assegnare al Fondo unico per l'edilizia scolastica, ma da attribuire sulla base di una procedura specifica, per l'attuazione di misure urgenti per la riqualificazione e la messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali;
   il comma 9 destina contributi statali a favore dei piccoli comuni (con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti), e, in conseguenza della modifica introdotta dalla Camera dei deputati, a favore delle unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e dei comuni risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   gli interventi in materia di edilizia scolastica, oltre a soddisfare prioritarie esigenze relative alla messa in sicurezza degli edifici, rappresentano un importante contributo al raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita produttiva e occupazionale previsti dal Programma nazionale di riforma presentato alla Commissione europea nel quadro della Strategia Unione europea 2020;
   l'effettiva operatività di tali interventi ed il conseguente effetto di sblocco dei cantieri e degli investimenti in settori di straordinario rilievo quali la messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, e importanti interventi infrastrutturali, rischia di essere depotenziata se non vanificata dai vincoli del Patto di stabilità interno;
   per il particolare assetto contabile-finanziario dei comuni con popolazione fra i 1.001 e i 5.000 abitanti, l'applicazione dei vincoli del patto di stabilità interno oltre che essere insostenibile finanziariamente è anche tecnicamente ingestibile per enti con bilanci estremamente contenuti nelle dimensioni finanziarie, rigidi nella composizione della spesa, impossibilitati a compiere operazioni straordinarie di carattere patrimoniale e con un andamento dei flussi di cassa di parte capitale estremamente erratico e largamente eterodiretto –:
   se il Ministro interpellato, sia a conoscenza delle gravi problematicità di carattere contabile e finanziario che interessano i comuni con popolazione al di sotto dei 5000 abitanti, e quali urgenti ed incisive misure intenda adottare, anche in attuazione di un ordine del giorno (n. 9/01248-AR/022) sottoscritto dell'interrogante ed accolto dal Governo nella seduta del 24 giugno 2013, al fine di escludere i pagamenti riferiti ai finanziamenti di cui in premessa dai limiti del Patto di stabilità interno dei comuni con popolazione al di sotto dei 5000 abitanti, per la quota di rispettiva competenza.
(2-00187) «Guerra».

Interrogazione a risposta orale:


   ANTEZZA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'Unione europea a 15 membri la dimensione media aziendale in termini di superficie agricola utilizzata era di 25,2 ettari. In quella attuale, con 27 membri, tale dimensione è scesa a 22 ettari. Nei 10 nuovi Stati membri la dimensione media si riduce a 18,3 ettari, mentre nei due ultimi Stati aderenti (Romania e Bulgaria) è di 12,6 ettari per azienda;
   a livello nazionale, il peso della frammentazione fondiaria è segnato da un'indicativa media di 6,7 ettari, contro i citati 18,3 della media europea. La notevole contrazione dei trasferimenti di terreni agricoli, conseguente alle difficoltà di accesso al credito, e la quasi coincidenza del numero dei trasferimenti nel 2010 con gli ettari trasferiti, mostra la patologica polverizzazione delle unità produttive nel nostro Paese (175.963 atti per l'acquisto di 175.189 ettari);
   questi dati rispecchiano la distanza che, anche nei recenti trasferimenti fondiari, separa la dimensione media delle aziende italiane rispetto a quella delle aziende europee;
   i trasferimenti possono ritenersi solo in parte rivolti all'accorpamento o all'arrotondamento della superficie aziendale. Dall'esame dei dati relativi al trattamento fiscale applicato alla registrazione delle compravendite dei terreni risulta che solo il 7,3 per cento degli acquirenti ha beneficiato delle agevolazioni riservate agli imprenditori agricoli. Pertanto è evidente che gli atti relativi ai trasferimenti di superfici inferiori ad 1 ettaro possono ritenersi, per una quota prevalente, rappresentativi della progressiva erosione della superficie agricola utilizzabile che viene destinata ad altre finalità;
   infatti, i dati dell'Agenzia delle entrate per i quali risulta che la media di 3,5 soggetti destinatari dei diritti trasferiti, assieme a una dimensione media di appena 2 ettari dei terreni oggetto degli atti stessi (poco più di mezzo ettaro per destinatario), testimoniano l'alto grado di frammentazione che tuttora connota il mercato fondiario italiano;
   la ripartizione degli atti secondo le classi dimensionali dei terreni conferma, due tendenze di fondo: la frammentazione fondiaria e l'erosione della superficie agricola utilizzata; assumono, inoltre, rilievo due ulteriori tendenze, presumibilmente di medio e di più recente periodo quali la polarizzazione delle acquisizioni tra due raggruppamenti quasi paritetici tendenti l'uno alla dimensione media delle aziende italiane e l'altro alla dimensione media delle aziende europee e la progressiva riduzione dei prezzi dei terreni con l'aumentare delle superfici oggetto delle transazioni;
   oggi l'accesso alla terra risulta una vera barriera all'entrata per il giovane che vuole intraprendere un'attività agricola. Infatti, a differenza degli altri ostacoli che pure rendono difficoltoso l'accesso dei giovani al settore agricolo, la disponibilità di capitale fondiario non trova adeguati strumenti di agevolazione; l'acquisto della terra diviene un problema ancora maggiore nel caso di giovani che non si insediano in un'azienda familiare ma che provengono da altri settori produttivi o da una formazione agraria; una tipologia questa sempre più interessante ed in crescita;
   i giovani che desiderano intraprendere l'attività agricola sono scoraggiati dalle barriere economiche del settore che sconta redditi medi più bassi rispetto ad altri settori risultando poco attrattivo e dalle barriere di mercato quali le difficoltà di accesso al credito, di accesso alla terra e di adeguata formazione del capitale umano;
   dal 1° gennaio 2014, con l'entrata in vigore dell'articolo 10, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, saranno soppresse le agevolazioni tributarie per la piccola proprietà contadina previste dal decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 25;
   paradossalmente, mentre da una parte si studiano forme agevolate, anche di carattere fiscale, per incrementare l'occupazione in agricoltura, con particolare riferimento a quella giovanile, l'imprenditore agricolo si vede privato di un'agevolazione fondamentale per la crescita dimensionale dell'impresa, venendo accomunato a soggetti diversi nei cui confronti è stata addirittura disposta la riduzione dell'imposta;
   infatti, con riferimento alla ipotesi di trasferimenti immobiliari a seguito del predetto decreto legislativo n. 23 del 2011 sono state individuate due sole aliquote di imposta di registro. Nel dettaglio, da un lato è stata disposta la riduzione dal 15 al 9 per cento dell'imposta per i soggetti non professionali e d'altro lato per gli imprenditori agricoli si è prodotto un incremento della medesima imposta, che è passata dalla misura fissa al 9 per cento;
   oggi si paga l'1 per cento di imposta catastale fissa, più l'imposta di registro e l'ipotecaria fissa pari a 168 euro l'una. Dal 2014 ci sarà l'imposta di registro al 9 per cento;
   la soppressione delle agevolazioni per la piccola proprietà contadina, peraltro sempre presenti nell'ordinamento nazionale a favore degli imprenditori agricoli professionali, avrebbe un impatto negativo sul ricambio generazionale e la permanenza dei giovani in agricoltura –:
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente adottare iniziative in ordine alle agevolazioni fiscali sul trasferimento del capitale fondiario già riservato alle figure per le quali i terreni agricoli costituiscono strumento di lavoro e mezzo di sussistenza ed, in particolare, se intendano promuovere il ripristino delle agevolazioni tributarie per la piccola proprietà contadina previste dal decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 25. (3-00272)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 52 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, attualmente in via di conversione in legge, è intervenuto in tema di riscossione, modificando e integrando il decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 602, con una serie di misure finalizzate ad aiutare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità;
   in particolare il citato articolo 52 interviene nell'ambito della riscossione ampliando fino a dieci anni la possibilità di rateazione del pagamento delle imposte, nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, eventualmente prorogabile per altri dieci anni; ampliando a otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, a partire dal quale il debitore decade dal beneficio della rateizzazione del proprio debito tributario stabilendo l'impignorabilità sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti iscritti a ruolo e prevedendo per gli altri immobili del debitore che l'agente della riscossione possa procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro;
   la normativa introdotta, seppure sia finalizzata ad aiutare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità, non interviene tuttavia sulla modalità di determinazione delle somme inviate all'Agente della riscossione con la conseguenza che le somme iscritte a ruolo sono aggravate di sanzioni e interessi irrogate dall'Agenzia delle entrate;
   l'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, dispone, al comma 1, che le somme dovute per le comunicazioni di irregolarità (cosiddetti avvisi bonari) inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazioni di cui all'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 – ai fini delle imposte dirette –, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 – ai fini dell'Iva – o dei controlli formali di cui all'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, possono essere versate in un numero massimo di sei rate trimestrali di pari importo, ovvero, se superiori a cinquemila euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo;
   la normativa attuale prevede che per le comunicazioni relative ai controlli automatici il pagamento debba essere effettuato entro trenta giorni dal ricevimento della prima comunicazione affinché la sanzione del 30 per cento sia applicata in misura ridotta ad un terzo; per le comunicazioni relative ai controlli formali il pagamento deve essere effettuato entro trenta giorni dal ricevimento della stessa affinché la sanzione del 30 per cento sia applicata in misura ridotta a due terzi; per i redditi a tassazione separata, non sono dovuti né sanzioni né interessi se il pagamento avviene entro i trenta giorni dal ricevimento della comunicazione e in caso di tardivo pagamento o mancato pagamento è applicata la sanzione del 30 per cento;
   in sostanza le procedure di regolarizzazione delle posizioni previste dall'Agente di riscossione e quelle dell'Agenzia delle entrate si differenziano per alcuni aspetti sostanziali; in particolare nelle rateazioni le differenze rilevano nel diritto ad accedere al beneficio, nel periodo di rateazione, nei casi di decadenza dal beneficio e nelle sanzioni connesse al mancato rispetto del piano;
   le comunicazioni al contribuente non contenendo una pretesa tributaria definita non costituiscono atti impugnabili, essendo infatti un mero invito al contribuente a fornire in via preventiva elementi chiarificatori delle anomalie riscontrate in sede di liquidazione automatica; per tali ragione l'Agenzia delle entrate non utilizza metodi di notifica delle comunicazioni tali da ritenere che il contribuente sia a conoscenza dei fatti contestati;
   accade così che contribuenti ignari si vedono spesso recapitare cartelle esattoriali emesse dall'Agente di riscossione con l'iscrizione a ruolo di imposte non pagate maggiorate dagli interessi di mora a dalle sanzioni al 30 per cento dell'Agenzia delle entrate senza avere la possibilità di beneficiare della delle riduzioni previste nei trenta giorni dal ricevimento della comunicazione;
   le imprese e i singoli contribuenti si sono visti spesso recapitare richieste di pagamento di cifre irragionevoli, come nel caso delle cosiddette «cartelle pazze» che obbligano gli stessi a sostenere maggiori oneri in termini di tempo, risorse umane e finanziarie, molte volte dovute al solo fatto che il sistema informatico dell'Agenzia delle entrate non acquisisce rapidamente i versamenti effettuati in ritardo –:
   quale sia l'ammontare delle sanzioni incassate dall'Agenzia delle entrate nell'ultimo anno suddivise per tipologia di soggetto e dimensione delle imprese;
   se non ritenga utile intervenire al fine di attuare i necessari strumenti volti a dare certezza dell'avvenuta ricezione delle comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti prima di poter procedere all'iscrizione a ruolo e all'applicazione della sanzione piena;
   se non ritenga di intervenire al fine di dare supporto, in particolar modo alle micro e piccole imprese e liberi professionisti con regimi agevolati, a superare il momento di difficoltà dovuto alla crisi economica prevedendo una riduzione significativa delle sanzioni irrogate dall'Agenzia delle entrate nonché stabilendo una franchigia per importi minimi;
   quali misure di razionalizzazione intenda mettere in atto al fine di migliorare l'efficienza e l'efficacia degli uffici provinciali dell'Agenzia delle entrate in tal modo evitando l'invio di richieste di pagamento ai contribuenti che hanno tardivamente saldato i debiti;
   se non ritenga, nelle more di una complessiva riforma del sistema dell'accertamento e della riscossione, di prevedere, qualora il contribuente si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la possibilità di aumentare il numero di rate della dilazione di cui all'articolo 3-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 462 al fine di evitare l'affidamento dei carichi all'Agente della riscossione con un significativo aggravio delle somme dovute in termini di sanzioni, aggi e interessi. (5-00902)


   GINATO e CRIVELLARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la comunicazione del 29 maggio 2013 – protocollo 2013/6543 – il direttore dell'Agenzia delle entrate, in linea con le previsioni della spending review, ha disposto la revisione dell'assetto organizzativo di taluni uffici territoriali, allo scopo di razionalizzare l'impiego di personale in funzione della effettiva richiesta di servizi da parte dell'utenza e di economizzare i costi di gestione delle strutture interessate;
   in attuazione dello stesso piano, sono stati già chiusi, su tutto il territorio nazionale, gli uffici di Castelfranco Veneto, Chieri, Pieve di Cadore e Santhià e il piano per il 2013 prevede la chiusura di ulteriori 23 sedi territoriali dell'Agenzia –:
   quale sia il piano di riorganizzazione previsto dall'Agenzia delle entrate per la regione Veneto e, nello specifico, l'elenco degli uffici territoriali che si intendono chiudere, quali siano stati i criteri utilizzati nella definizione di tale piano, se le amministrazioni locali siano state coinvolte nella definizione di tale piano e, in particolare, se si sia considerata la possibilità di una riduzione dei costi di gestione delle strutture attraverso la collaborazione delle amministrazioni stesse. (5-00903)


   LODOLINI, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, MANZI e PETRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il legislatore nazionale vuole i comuni alleati con Agenzia delle entrate ed Inps nella lotta all'evasione fiscale e contributiva;
   per questa ragione ai comuni è riconosciuto il 50 per cento (100 per cento per il triennio 2012-2014) delle maggiori somme accertate e riscosse, a seguito di segnalazioni qualificate di elementi evasivi ed elusivi;
   i comuni sono quindi chiamati a rafforzare la loro azione di contrasto all'evasione fiscale;
   chi evade danneggia la comunità. Sottrae risorse, ma soprattutto diritti. Alle persone, alle famiglie e alle imprese;
   la lotta all'evasione fiscale, dunque, è innanzitutto una questione di equità sociale finalizzata al recupero di risorse impiegate per soddisfare bisogni collettivi e fornire servizi;
   oggi, nell'ambito di una politica nazionale sempre più orientata alla contrazione dei trasferimenti statali e al contenimento della spesa pubblica, assume importanza primaria l'implementazione di nuove attività e l'utilizzo di nuovi strumenti orientati a reperire risorse che possano alimentare le entrate dell'ente;
   questo coinvolgimento nel contrasto all'evasione fiscale stenta a decollare. Introdotto nel 2005, con una compartecipazione del comune alle somme effettivamente incassate, finora il meccanismo è stato utilizzato poco e con scarsi risultati. Solo alcune realtà regionali hanno mostrato una maggiore sensibilità;
   e proprio per invogliare i comuni a collaborare di più con l'Agenzia delle entrate l'incentivo, inizialmente pari al 30 per cento delle maggiori somme riscosse con il contributo dell'ente, è stato elevato al 100 per cento per il triennio 2012-2014;
   una scelta alla quale andrebbero comunque accompagnati ulteriori interventi. Serve anzitutto una moderna infrastruttura tecnologica e l'adozione di linguaggi comuni in grado di agevolare l'utilizzo delle banche dati. Inoltre, sarebbe opportuno orientare l'apporto dei comuni verso ambiti specifici legati al tessuto produttivo locale e alla conoscenza delle informazioni anagrafiche o del patrimonio immobiliare;
   i comuni possono inviare alle Agenzie delle entrate e del territorio, alla Guardia di finanza e all'Inps (per la parte previdenziale/assistenziale) le cosiddette «segnalazioni qualificate», cioè i nominativi in relazione ai quali vengono rilevati in loco elementi che evidenziano, senza bisogno di ulteriori elaborazioni logiche, comportamenti evasivi. Anzi, l'effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale figura anche se in modo generico, tra i criteri di «virtuosità» che determinano l'esclusione dai tagli di risorse e dall'inasprimento del patto di stabilità. In questo quadro l'Agenzia delle entrate, il destinatario istituzionale più rilevante, fornisce ai comuni, oltre ai dati delle dichiarazioni dei residenti, informazioni riguardanti: contratti di locazione, successione di immobili, contratti di somministrazione (acqua, luce e gas) con i relativi consumi e bonifici bancari per interventi di ristrutturazione edilizia;
   in specifici provvedimenti direttoriali dell'Agenzia delle entrate sono state individuate le fattispecie che possono essere oggetto di segnalazioni qualificate individuando per ognuna un destinatario istituzionale: soprattutto Agenzie delle entrate, ma anche Agenzia del territorio e, da quest'anno, Guardia di finanza e Inps;
   inoltre, al fine di adattare lo strumento alle condizioni locali, è prevista la possibilità di definire programmi locali di recupero dell'evasione mediante protocolli d'intesa tra i comuni interessati e le direzioni regionali dell'Agenzia delle entrate;
   l'incentivo è consistente ma i risultati, finora, non sono esaltanti, ma ci sono tutte le potenzialità per raggiungerne di significativi;
   nelle Marche sono 18 i comuni che per il 2012 hanno avuto l'erogazione del contributo da parte del Ministero. Sono significativi i risultati conseguiti dai comuni di Ancona, Grottammarre, Falconara Marittima e Gabicce Mare;
   infatti con decreto ministeriale n. 58677 del 19 luglio 2013 dal Ministero dell'interno è stata disposta l'erogazione in acconto, pari al 98,52 per cento, del contributo spettante per l'anno 2012 ai comuni per la partecipazione al contrasto all'evasione fiscale e contributiva. Il pagamento è stato effettuato in acconto, in quanto in sede di predisposizione delle previsioni di bilancio per l'esercizio finanziario anno 2013 il Ministero dell'economia e delle finanze ha previsto uno stanziamento sull'apposito capitolo di spesa che è risultato essere leggermente inferiore a quello necessario all'erogazione per intero del contributo complessivo assegnato agli enti beneficiari –:
   se sia intenzione del Governo impegnarsi affinché nel corso dell'esercizio finanziario 2014 si rendano disponibili le risorse necessarie all'erogazione del relativo saldo, anche in considerazione del fatto che gli importi attribuiti a ciascun ente sono stati comunicati dal Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento delle finanze – direzione studi e ricerche economico fiscali, al quale andranno richiesti eventuali chiarimenti che non riguardino l'aspetto finanziario. (5-00909)


   VENITTELLI e LEVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a più di dieci anni di distanza dagli eventi sismici verificatisi tra il 31 ottobre e il 2 novembre del 2002 in Molise, solo il 35 per cento degli interventi previsti dal programma di ricostruzione è stato realizzato;
   secondo dati ufficiali ci sono 420 persone nell'area del «cratere sismico» che ancora oggi vivono nelle casette provvisorie; 540 sono in sistemazioni autonome utilizzando il sussidio. Fuori dalla prima zona ci sono 70 persone in alloggi provvisori e 320 in sistemazioni autonome. In tutto circa millequattrocento sfollati ancora in emergenza. Senza ulteriori e adeguati interventi, questa situazione rischia di rimanere insoluta;
   l'articolo 6-bis del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, recante «disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015» convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25 giugno 2013 reca un allentamento dei vincoli del patto di stabilità interno per l'anno 2013, al fine di agevolare la definitiva ripresa delle attività e consentire la completa attuazione dei piani per la ricostruzione per il ripristino dei danni causati dagli eventi sismici dell'ottobre e novembre 2002 del Molise;
   in particolare, la norma stabilisce una riduzione degli obiettivi del patto di stabilità interno nell'importo di 15 milioni di euro nel 2013, da attuarsi con le procedure previste per il patto regionale verticale, disciplinato dai commi 138 e 140 dell'articolo 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220;
   tale ultimo riferimento però ne rende difficile e confusa l'attuazione poiché il rinvio alle procedure del patto regionale verticale «neutralizza» la specifica compensazione finanziaria degli effetti derivanti dalle maggiori spese concesse agli enti locali in deroga ai vincoli del patto di stabilità. Applicando la norma, infatti, gli oneri derivanti dalle maggiori spese degli enti locali dovrebbero trovare automatica compensazione nella contestuale rideterminazione dell'obiettivo di risparmio della regione Molise, da attuarsi mediante una riduzione delle spese della regione medesima di ammontare pari all'entità dei pagamenti in conto capitale autorizzati in favore degli enti locali, ai fini del mantenimento degli obiettivi complessivi di comparto;
   la norma appare agli interroganti inadeguata al perseguimento delle finalità previste dall'emendamento approvato al Senato che consistevano nel trovare risorse aggiuntive per l'obiettivo specifico della ricostruzione;
   non trova infatti una reale esplicitazione finanziaria il primo comma dell'articolo 6-bis teso ad agevolare «la ripresa delle attività e consentire l'attuazione dei piani per la ricostruzione», attraverso l'applicazione espressa della deroga delle risorse dedicate al patto di stabilità interno della regione Molise che consiste nel mantenimento degli obiettivi di patto in termini di impegno e di spesa e non in una riduzione che graverebbe esclusivamente sulla capienza di spesa regionale;
   la citata disposizione pertanto sembrerebbe in contrasto, nonostante le medesime premesse e lo stesso riferimento alla compensazione degli effetti finanziari, con l'articolo 6-quinquies del citato decreto-legge n. 43 del 2013 per le regioni Abruzzo, Veneto, Emilia Romagna e Lombardia alle quali viene garantito, nel ridurre gli obiettivi di patto degli enti locali, «il non peggioramento contestuale del proprio obiettivo di patto»;
   infine il Comitato per la programmazione economica – CIPE con deliberazione n. 62 del 3 agosto 2011, relativa all'individuazione ed assegnazione di risorse ad interventi di rilievo nazionale ed interregionale e di rilevanza strategica regionale per l'attuazione del piano nazionale per il Sud, alla tavola 9 – piano nazionale per il Sud, ha assegnato, in particolare alla regione Molise, 40,3 milioni di euro per i danni alluvionali e da eventi atmosferici, nonché 346 milioni di euro per il sisma del 2002;
   con successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 79788 del 2012, in sede di ripartizione del fondo per lo sviluppo e la coesione, una parte delle suddette risorse sono state trasferite sul capitolo 8396 dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico nella misura di euro 30.920.000 in conto competenza e nella misura di euro 20.000.000 quali autorizzazioni di cassa;
   allo stato attuale nessuna di tali risorse risulta ancora trasferita alla regione Molise –:
   se il Governo non ritenga urgente sbloccare le risorse per il Molise stanziate attraverso l'articolo 6-bis del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, recante «disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015» convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25 giugno 2013, e la deliberazione CIPE n. 62 del 3 agosto 2011. (5-00910)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORINO, TULLO, CAROCCI, BASSO, QUARANTA, GIACOBBE, OLIARO, BIASOTTI e VAZIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Genova è creditrice, nei confronti dello Stato, di una somma pari a 32.611.388,65 euro, in conseguenza di trasferimenti erariali mai erogati dovuti a norma delle nuove disposizioni sul regime di tesoreria unica, vigenti dal 2008;
   le province, in attesa di una riforma organica dell'organizzazione territoriale della Repubblica, vivono un momento di grave precarietà, che ha ripercussioni negative sui territori e le persone. In particolare, la grave compressione dell'autonomia finanziaria delle province mette a rischio la qualità e l'efficacia di quei servizi ai cittadini di cui gli enti provinciali sono ancora responsabili e impedisce il puntuale ed esatto pagamento dei debiti alle imprese;
   la provincia di Genova, che ha dato con responsabilità il suo contributo all'equilibrio complessivo della finanza pubblica, come richiesto dagli obblighi europei e nazionali, adottando una gestione finanziaria prudente e improntata al massimo rispetto della normativa vigente in materia di contabilità pubblica, si trova precisamente nella situazione di non poter più assicurare servizi pubblici essenziali, a partire dall'ambito vitale del trasporto, né garantire il pagamento dei propri debiti ai privati, in particolare enti e fondazioni non a scopo di lucro che operano nel campo della formazione professionale, delle politiche del lavoro e dell'assistenza agli studenti con disabilità;
   il commissario straordinario della provincia di Genova, Giuseppe Piero Fossati, ha ripetutamente sollecitato il Governo affinché provvedesse ai pagamenti dovuti. Pressato dall'emergenza, ha richiesto al tribunale di Roma che fosse emesso un decreto ingiuntivo nei confronti dei Ministeri dell'economia e delle finanze e dell'interno, cosa che è avvenuta il 20 giugno 2013. L'ingiunzione impone che i debiti siano pagati entro quaranta giorni dalla notifica –:
   se il Governo intenda provvedere con urgenza, e con quali tempi di preciso, al versamento della somma dovuta alla provincia di Genova, in modo da consentire all'ente, nel preminente interesse dei cittadini e del territorio genovese, di continuare a erogare i servizi che le competono e di onorare i propri debiti nei confronti dei creditori privati. (4-01633)


   LODOLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il settore orafo-argentiero, pur rappresentando da sempre uno dei comparti manifatturieri trainanti nella promozione del Made in Italy, vive oggi una prolungata fase di crisi;
   il fenomeno dei negozi che esercitano attività di compravendita oro, più semplicemente definiti «compro oro» si è considerevolmente diffuso anche nel territorio della provincia di Ancona e nelle Marche;
   il settore di compravendita di preziosi ha, complessivamente, un giro d'affari di circa 14 miliardi di euro derivanti dalla movimentazione di oltre 300 tonnellate di oro e di materiali preziosi. La crisi economica e sociale che vive oggi il nostro Paese ha ovviamente contribuito al boom del settore causato dal notevole aumento di vendite di gioielli e preziosi da parte di persone in gravi difficoltà economiche;
   c’è la necessità di regolare il settore dei «compro oro» tramite anche l'istituzione di un apposito registro delle attività di compravendita di oro, tenuto dalla Camera di commercio secondo modalità e criteri stabiliti dal Ministero dello sviluppo economico d'intesa con quello dell'interno; è necessaria la tracciabilità degli oggetti preziosi ai fini di facilitare le attività di controllo da parte degli organi di polizia e della magistratura in materia di ricettazione e riciclaggio; occorrono l'istituzionalizzazione di un borsino dell'oro usato aggiornato quotidianamente e misure per la tutela del consumatore e per la qualificazione del settore;
   articolate sono le normative di interesse per questo particolare comparto: pubblica sicurezza e contrasto alla ricettazione, antiriciclaggio, fiscalità e tutela del consumatore. I «compro oro» secondo quanto disposto dalla legge 17 gennaio 2000, n. 7, e dalle successive circolari della Banca d'Italia entrano in rapporto con quest'ultima solo attraverso l'apposita struttura dedicata al contrasto del riciclaggio (UIF);
   la difficoltà di indagine su questi reati risiede principalmente nella natura ibrida di questi esercizi commerciali i quali spesso ottengono licenze in assenza di adeguate verifiche. Meno trascurabili risultano i problemi legati all'evasione IVA quando gli oggetti vengono rivenduti;
   c’è comunque il rischio che intorno alla proliferazione dei «compro oro» si possano nascondere anche traffici illeciti di usura, ricettazione e riciclaggio;
   il Parlamento ha il dovere di tutelare gli onesti operatori del settore ma allo stesso tempo di prevenire i comportamenti che possono alimentare il mercato sommerso controllato dalla criminalità organizzata –:
   quale sia il quadro aggiornato, informativo e statistico delle attività di compravendita oro nella regione Marche e specificatamente nella provincia di Ancona;
   quali iniziative urgenti si intendano assumere al fine di potenziare i controlli di prevenzione e repressione da parte delle autorità preposte;
   se non si ritenga opportuno promuovere l'adozione di disposizioni concernenti la tracciabilità delle compravendite di oro e di oggetti preziosi usati, l'estensione delle disposizioni antiriciclaggio, l'istituzione del borsino dell'oro usato e misure per la promozione del settore orafo nazionale.
(4-01636)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA, CORDA, PAOLO BERNINI, BATTELLI, FICO, BUSTO, TOFALO e D'UVA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Si.P.Pe (sindacato polizia penitenziaria) ha più volte denunciato diverse aggressioni ai danni di donne e uomini della polizia penitenziaria consumatesi all'interno degli spazi contenutivi sia carceri che ospedali psichiatrici giudiziari (OPG). Tali atti offendono un corpo di polizia dello Stato che cerca di espletare al meglio un difficile e delicatissimo compito volto a contenere ed a rieducare il detenuto, nel caso del carcere, e a dare un aiuto all'internato nel caso degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   l'intero sistema penitenziario italiano appare impotente nel gestire questi eventi che possono pregiudicare l'integrità fisica nonché mentale dei poliziotti penitenziari. Numerosi sono gli eventi critici verificatisi negli istituti detentivi e negli ospedali psichiatrici giudiziari che denotano un allarmante fenomeno riportato da diverse testate giornalistiche;
   2012, un internato dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona P.G. stacca con un morso la falange della mano destra di un ispettore di polizia penitenziaria;
   2012, un detenuto nel carcere di Parma prende a pugni un agente di polizia penitenziaria colpendolo al volto, prognosi di 10 giorni;
   2012, un detenuto nel carcere di Spoleto procura la frattura del naso e dello zigomo ad un agente di polizia penitenziaria, prognosi di ben 75 giorni;
   2013, un detenuto nel carcere di Napoli Poggioreale aggredisce due agenti di polizia penitenziaria che necessitano di ricovero in ospedale, trauma cranico uno e frattura di un polso l'altro;
   2013, un giovane detenuto nel carcere di Udine aggredisce un agente di polizia penitenziaria con calci e pugni, anche in questo caso è necessario il trasferimento in ospedale;
   2013, un detenuto nel carcere di Torino colpisce con un violento pugno al volto un agente;
   2013, un detenuto e i suoi familiari durante un colloquio nell'area verde del carcere di Roma Rebibbia aggrediscono un agente di polizia penitenziaria;
   2013, nel carcere di Vigevano un agente di polizia penitenziaria subisce l'aggressione di un detenuto che ha utilizzato una caffettiera posta all'interno di un calzino, l'agente viene colpito alla testa ed anche in questo caso è necessario il trasferimento in ospedale per le cure mediche;
   2013, nel carcere di Sanremo, durante una protesta collettiva dei detenuti volta all'ottenimento dell'amnistia, un agente di polizia penitenziaria subisce una aggressione riportando ferite guaribili in 15 giorni;
   i detenuti, autori e responsabili di tali atti, subiscono un processo penale ma, frequentemente, non sono in grado di risarcire il danno causato poiché nullatenenti. L'agente di polizia penitenziaria, invece, porterà con se il ricordo e le cicatrici di tali atti violenti, così come è accaduto all'ispettore di polizia penitenziaria dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto che ha perso la falange della mano destra;
   c’è da riflettere sul fatto che reparti detentivi contenenti oltre 300 detenuti debbano essere gestiti da un solo agente di polizia penitenziaria che oltre a non avere strumenti di prevenzione spesso non è nemmeno a conoscenza di piani strategici atti a garantire l'ordine e la sicurezza all'interno degli istituti;
   l'amministrazione penitenziaria è tenuta – previa elaborazione di protocolli operativi dal contenuto normativo e tecnico – ad attuare una o più specifiche azioni tese a prevenire gli effetti dannosi sulle persone. Gli agenti di polizia penitenziaria operano quasi sempre in una condizione di emergenza e spesso le criticità, potenzialmente pericolose, vengono contenute grazie all'esperienza degli agenti stessi divenuti ormai abili professionisti della sicurezza sociale all'interno delle strutture carcerarie;
   formalmente esiste un protocollo operativo, però, nella realtà dei fatti, in molti istituti penitenziari non si conoscono i programmi che individuano preventivamente le risorse umane, le apparecchiature, gli strumenti, i materiali, i ruoli, le competenze e i tempi per organizzare una strategia di reazione che sia immediata ed efficace;
   va oltretutto segnalato che il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori e deve porre in essere tutte quelle procedure che di volta in volta si rivelino necessarie per tutelare l'integrità fisica e morale del lavoratore –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue competenze, intenda assumere iniziative al fine di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale degli agenti di polizia penitenziaria, spesso vittime del sistema penitenziario stesso che forse non riesce più a proteggere nemmeno i suoi operatori;
   se sia a conoscenza del livello di attuazione dei «criteri di massima per la predisposizione di piani operativi di intervento locali e regionali», indicati specificatamente nella lettera circolare del D.A.P, n. 0312188 del 17 agosto 2011 e se tali criteri siano stati portati a conoscenza delle Direzioni degli istituti e degli operatori penitenziari. (4-01634)


   PARISI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tra le misure contenute nel decreto legislativo n. 155 del 2012, l'articolo 1, alla allegata tabella A, prevede la soppressione del tribunale di Montepulciano;
   a giudizio dell'interrogante, sussistono dati empirici e numerici, idonei a dimostrare l'unità e la giustificazione della permanenza del tribunale di Montepulciano, pena l'aumento totale dei costi e delle inefficienze del sistema giustizia del Paese. In particolare: appare opportuno preliminarmente fornire i dati numerici, che rappresentano il necessario presupposto per ogni analisi costi/benefici che dovrebbe precedere l'adozione di un atto normativo e/o amministrativo:
    1) residenti nel circondario: oltre 81.000 in costante aumento;
    2) territorio superficie: 1.181,06 chilometri quadrati;
    3) comuni facenti parte del circondario: 14;
    4) personale addetto agli uffici del tribunale 22;
    5) personale addetto all'ufficio notifiche UNEP 6;
    6) personale addetto alla procura della Repubblica 13;
    7) magistrati di tribunale 6 più il presidente
    8) magistrati della procura due più il procuratore capo;
   ulteriori dati rilevanti, a giudizio dell'interrogante, sono quelli relativi al raffronto delle distanze e tempi di percorrenza tra i comuni facenti parte dell'attuale circondario del tribunale di Montepulciano e tra i medesimi comuni e Siena (dati schematizzati nella tabella):

Montepulciano Siena
Chianciano chilometri 10,5 17 minuti chilometri 86,9 h. 1,15
Pienza chilometri 13,5 18 minuti chilometri 69,5 h. 1,10
Torrita d S. chilometri 11,5 19 minuti chilometri 53,8 52 minuti
Sinalunga chilometri 17 27 minuti chilometri 46,8 42 minuti
Sarteano chilometri 19,2 30 minuti chilometri 83,8 h. 1,09
S. Casciano B. chilometri 35,2 55 minuti chilometri 104,00 h. 1,39
Piancastagnaio chilometri 40,9 55 minuti chilometri 81,8 h. 1,41
Abbadia SS chilometri 36,5 50 minuti chilometri 76,9 h. 1,34
San Quirico chilometri 23,2 29 minuti chilometri 47,3 58 minuti
Radicofani chilometri 32,2 47 minuti chilometri 74,5 h. 1,34
Castiglion d'O chilometri 23,3 29 minuti chilometri 47,3 58 minuti
Chiusi chilometri 23 35 minuti chilometri 81,2 h. 1,16
Cetona chilometri 23,9 40 minuti chilometri 87,2 h. 1,11
Montepulciano chilometri 63,7 h. 1,07

   in base ai dati statistici sulle tempistiche processuali, emerge con chiarezza che il tribunale di Montepulciano ha un'ottima performance sotto l'aspetto del rispetto dei termini indicati nei codici di rito, decisamente migliore di quella del tribunale accorpante (ad esempio la procura della Repubblica di Montepulciano conclude le indagini preliminari mediamente in un tempo di poco superiore alla metà del termine ordinario della durata delle stesse indagini preliminari così come previsto ordinariamente dal codice di procedura penale);
   l'ipotesi di accorpamento, che prevede la soppressione delle sedi distaccate e la revisione dei circondari dei tribunali sub-provinciali, comporterebbe per Siena, che già a fatica smaltisce l'attuale carico, un aumento del bacino di utenza di oltre il doppio, con ovvia ed intuibile paralisi di ogni attività;
   il palazzo di giustizia di Montepulciano è posto in un fabbricato di pregio recentemente ristrutturato (i cui costi sono già stati ammortizzati), capiente e sufficiente per le esigenze attuali ed anche maggiori;
   l'interrogante rileva inoltre che la sede del giudice di pace, anch'essa nuova, è da pochi anni insediata proprio nel palazzo seguente (lungo il corso principale di Montepulciano), per cui è ottimale la fruibilità di entrambe le sedi giudiziarie, anche con riferimento al parcheggio dedicato, raggiungibile dall'esterno del centro cittadino (peraltro senza alcun problema di traffico);
   l'accorpamento al contrario, imporrà di adeguare la nuova unica sede per sopportare il maggiore carico di personale, utenza e di servizi;
   le modifiche necessarie inoltre dovranno essere conformi a quanto disposto nel decreto legislativo n. 81 del 2008 (testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) al fine di garantire la sicurezza dei dipendenti e degli utenti. Nel caso in esame il problema è ancora più grave se si considera che il tribunale «accorpante» dovrebbe ricevere anche la sezione distaccata di Poggibonsi;
   a giudizio dell'interrogante la prevista modifica delle strutture lavorative del tribunale di Siena, anche nell'ottica dell'adempimento degli obblighi previsti nel citato decreto legislativo n. 81 del 2008, determinerà spese straordinarie, essendo impossibile qualsiasi ristrutturazione e riorganizzazione a costo zero;
   in considerazione della prossimità dell'entrata in vigore del decreto n. 155 del 2012, appare peraltro inverosimile a giudizio dell'interrogante che quanto suesposto possa attuarsi entro quella data;
   l'interrogante evidenzia inoltre che se si considera l'attuale edificio del tribunale di Siena che è già strutturalmente insufficiente per l'attuale carico di lavoro, a seguito dell'accorpamento, si determinerebbe la paradossale situazione di avere la necessità di locare dei nuovi immobili, opzione che peraltro appare in contrasto con il divieto di concludere nuove locazioni passive da parte delle amministrazioni (articolo 3 del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012 convertito dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012);
   l'entrata in vigore della riforma, a giudizio dell'interrogante determinerà un ulteriore esborso a carico per l'erario, per il rimborso delle indennità per i testimoni indotti dal PM o ammessi direttamente dal giudice. Infatti, come risulta dalla tabella di raffronto delle distanze, e tenuto conto delle modalità di rimborso che non prevede corresponsione del rimborso medesimo per importi inferiori ai 10 euro, la soppressione del tribunale di Montepulciano comporterà un consistente aumento di spesa per varie decine di migliaia di euro l'anno;
   oltre ai costi diretti suesposti vi sarebbero, in caso di soppressione, costi indiretti rappresentati dai maggiori oneri a carico delle finanze pubbliche per tutti i maggiori spostamenti di pubblici dipendenti che, nell'adempimento dei propri compiti istituzionali, dovranno recarsi presso il tribunale di Siena e non più presso quello di Montepulciano –:
   se, in considerazione di quanto esposto in premessa in cui emerge un saldo effettivo globale per l'erario pubblico derivanti dalla soppressione del tribunale di Montepulciano in netto passivo, intenda disporre, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012, che gli immobili già adibiti a servizio degli uffici giudiziari del tribunale di Montepulciano possano essere utilizzati per cinque anni dalla data di efficacia di cui all'articolo 11, comma 2, del predetto decreto. (4-01637)


   SARRO, RUSSO, CASTIELLO, DISTASO, VELLA, TANCREDI, SANDRA SAVINO, BIASOTTI, LATRONICO, GAROFALO, MINARDO, LUIGI CESARO, LAINATI, FAENZI, RICCARDO GALLO e FABRIZIO DI STEFANO. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Antonio Esposito, nella qualità di presidente della sezione feriale della Corte di Cassazione, ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano Il Mattino di Napoli, pubblicata con ampio risalto nell'edizione del 6 agosto 2013;
   nel corso della suddetta intervista, incentrata sul processo cosiddetto «Mediaset-Berlusconi», il dottor Esposito alla domanda: «Non è questo il motivo per cui si è giunti alla condanna? E qual’è allora?» rispondeva: «... Tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva. Tu non potevi non sapere, perché Tizio, Caio o Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po’ diverso dal non poteva non sapere»;
   ad oggi la sentenza relativa al processo in questione non risulta essere stata depositata conoscendosi il solo dispositivo reso pubblico nella udienza del 1o agosto 2013;
   conseguentemente le affermazioni a mezzo stampa del dottor Esposito rappresentano una significativa anticipazione dei contenuti della futura sentenza e sicuramente del suo ordine argomentativo;
   una simile condotta, oltre a costituire un ulteriore preoccupante elemento di anomalia del processo in oggetto, rappresenta una sicura violazione dei doveri di riservatezza e di imparzialità che sempre devono connotare l'operato di un magistrato sia in senso oggettivo sia nella percezione della pubblica opinione quando volontariamente si esternano convincimenti su delicate vicende giudiziarie –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere anche attivando il potere disciplinare in sua titolarità.
(4-01647)


   TOTARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   un articolo del periodico Panorama del 24 luglio 2013 rende conto di una vicenda che vede come protagonista un alto dirigente di polizia, il dottor Gilberto Caldarozzi, per anni direttore del servizio centrale operativo, distintosi, tra l'altro, per i duri colpi inferti alla mafia siciliana con le catture di latitanti del calibro di «Piddu» Madonia e Bernardo Provenzano, condannato per il reato di falso ideologico in relazione all'irruzione presso la scuola Diaz, in occasione del G8 di Genova, di ben 12 anni orsono;
   si evince dall'articolo in esame e da copie di documenti pubblici, che il tribunale di sorveglianza di Genova, chiamato a deliberare l'11 aprile 2013 sulle istanze formulate dal dirigente di affidamento in prova al servizio sociale per l'espiazione della pena residua di 8 mesi, avrebbe rigettato ogni richiesta relativa alle misure alternative ai sensi della legge n. 354 del 1975, applicando d'ufficio la detenzione domiciliare prevista dalla legge n. 199 del 2010 (cosiddetta legge «svuota-carceri»);
   ciò senza tenere nel debito conto l'esiguità della pena residua, dell'impossibilità di reiterazione del reato di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale, essendo il medesimo sospeso dal servizio a causa dell'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni inflitta dalla condanna, l'avvio di due distinte opere di volontariato, lo svolgimento di attività lavorativa temporanea presso un ente privato, la disponibilità espressa al risarcimento del danno verso le parti civili nei limiti delle personali possibilità, il non essere gravato da altri precedenti penali e, soprattutto, la positiva relazione socio-familiare, redatta dall'ufficio esecuzione penale esterna di Roma, favorevole alla concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale;
   la stessa ordinanza del tribunale di sorveglianza avrebbe poi inibito allo stesso dottor Caldarozzi «tenuto conto della scarsa significatività, sotto l'aspetto dell'emenda», l'effettuazione delle attività di volontariato e lavorative esterne, concedendo al dirigente di lasciare l'abitazione solo per due ore al giorno, per le sue personali esigenze;
   nel corso dell'udienza il rappresentante della procura generale della Repubblica di Genova, dottor Luigi Carli, risulterebbe aver richiesto il rigetto dell'affidamento in prova al servizio sociale, dichiarandosi però «non contrario» alla concessione del beneficio della detenzione domiciliare prevista dalle norme sull'ordinamento penitenziario;
   ma il tribunale di sorveglianza sarebbe andato oltre la severa posizione del pubblico ministero, in quanto «il mancato avvio del processo di emenda comporta un giudizio di non meritevolezza anche a fronte della richiesta di detenzione domiciliare»;
   il mancato avvio del processo di emenda sarebbe stato dedotto, nella motivazione dell'ordinanza, dal fatto che «il Caldarozzi ha escluso, oggi, di avere causato qualsiasi tipo di danno all'immagine dell'Amministrazione e, quindi, la disponibilità a dichiarazioni pubbliche», facendo riferimento alla necessità, prospettata dal pubblico ministero in udienza, che per accedere alle pene alternative il condannato avrebbe dovuto provvedere «...alla specifica riparazione del danno morale, di immagine, nei confronti delle istituzioni italiane, che potrebbe concretizzarsi in una posizione di pubblica ammenda...». Ed ancora scriverebbe il tribunale di sorveglianza «non si discute del diritto del condannatogli dichiararsi innocente anche dopo la pronuncia della sentenza irrevocabile di condanna, quanto piuttosto di riscontrare come il Caldarozzi non manifesti consapevolezza riguardo ai fondamentali valori violati... per la sorte delle persone presenti nella scuola Diaz, le cui sofferenze, tuttavia, semmai egli tuttora vive come un fatto indipendente dal suo operato e dalla sua volontà: l'indifferenza per le vittime sussiste perché queste ultime non sono riconosciute dal Caldarozzi quali vittime della sua condotta, del suo agire di quei giorni;
   tuttavia, appare difficilmente conciliabile per un dirigente, assolto peraltro in primo grado all'esito di un processo consistito in ben 172 udienze, archiviato per il reato di lesioni su richiesta degli stessi pubblici ministeri e sempre – legittimamente come afferma lo stesso organo giudiziario – proclamatosi innocente, evidenziare pubblicamente di aver provocato danno all'immagine della sua Amministrazione e sofferenze alle vittime con la sua condotta;
   lo stesso dottor Caldarozzi, tra l'altro, nella sua memoria depositata prima dell'udienza del successivo giorno 11, avrebbe espresso «tutto il suo dispiacere e rammarico per quanto accaduto ai presenti all'interno dell'istituto, che hanno subito violenze ingiustificate ed altri reati da parte di alcuni esponenti della Polizia di Stato. Stessi sentimenti prova per le sofferenze patite dalle persone all'interno della Caserma di Bolzaneto, anche se non coinvolto in questi altri gravi episodi. È consapevole di ciò e ha preso da tempo le distanze dai fatti»;
   nonostante la inusuale mancata concessione della misura alternativa alla detenzione, il 2 maggio 2013, comunque, per il dottor Caldarozzi avrebbe avuto inizio il periodo di detenzione domiciliare ex lege n. 199 del 2010 per la residua pena di 8 mesi e questi, da convinto servitore dello Stato, avrebbe accettato con coerenza, in rigoroso silenzio, le decisioni della magistratura, pur nella consapevolezza che le negate misure alternative sarebbero state solitamente accordate, a maggior ragione in presenza di così bassi residui di pena, anche a persone non incensurate e condannate per reati di grave allarme sociale;
   le contraddizioni sopra descritte non sarebbero peraltro rimaste isolate, considerato che l'11 maggio successivo la procura generale della Repubblica di Genova avrebbe proposto ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza del tribunale di sorveglianza, sostenendo che la detenzione domiciliare «prevista dall'articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199... è, per inequivoca e reiterata indicazione del legislatore, non solo in toto equiparabile alla detenzione domiciliare di cui all'articolo 47-ter legge 26 luglio 1975, n. 354, ma che ad essa sono pure applicabili le disposizioni dell'Ordinamento Penitenziario che la riguardano... Se ne deve concludere, pertanto che... va escluso qualsiasi automatismo nell'applicazione della legge 26 novembre 2010, n. 199 da parte del Giudice e, nel contempo va per contro affermato che, come per ogni altra misura alternativa, il giudice è tenuto ad apprezzarne presupposti e requisiti di concedibilità, di cui non solo quelli relativi al rammentato articolo 1... ma anche quelli in genere previsti per tutte le misure, compreso la meritevolezza dell'interessato»;
   in sostanza, nel ricorso firmato dal dottor Luigi Carli, che nell'udienza dell'11 aprile 2013 si sarebbe proclamato «non contrario» all'applicazione del beneficio della detenzione domiciliare di cui all'articolo 47-ter legge n. 354 del 1975, si sosterrebbe che il tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto valutare la meritevolezza del dirigente anche per l'applicazione d'ufficio della detenzione domiciliare prevista dalla legge n. 199 del 2010, senza procedere in «automatico»;
   tale interpretazione sarebbe già in aperto contrasto con quella espressa di recente nella circolare «criteri applicativi della legge n. 199 del 2010» della procura della Repubblica di Milano del 6 dicembre 2012 che, tra l'altro, afferma «...si può ritenere conclusivamente che la esecuzione della pena presso il domicilio di cui alla legge n. 199 del 2010 è misura estranea alla categoria delle «misure alternative» alla detenzione di cui all'ordinamento penitenziario...». Ed ancora «richiamato che, nel quadro di una doverosa ricognizione delle prassi applicative, è emerso che la soluzione interpretativa sopra proposta è stata condivisa alla unanimità; all'esito di un confronto che si è svolto in due successive riunioni (27 maggio 2011 e 30 giugno 2011) cui hanno partecipato le Procure...», e segue un elenco di nove Procure Generali della Repubblica, tra cui proprio quella di Genova;
   dall'11 aprile all'11 maggio 2013, senza che intervenissero fatti nuovi, la procura generale della Repubblica di Genova, attraverso lo stesso magistrato, avrebbe inasprito dunque la sua posizione, richiedendo in aggiunta alla Corte di cassazione di «annullare l'impugnato provvedimento... ordinandone peraltro interinalmente la sospensione»;
   il 28 maggio 2013, anche il dottor Caldarozzi, attraverso il suo legale, avvocato Marco Valerio Corini, avrebbe proposto ricorso in Cassazione avverso l'ordinanza del tribunale di sorveglianza di Genova dell'11 aprile 2013, per la mancata concessione, nonostante i ritenuti presupposti di legge, dei benefici dell'affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, della detenzione domiciliare previsti dallo legge n. 354 del 1975. Il medesimo, tuttavia, non avrebbe formulato alcuna istanza per la sospensione dell'esecuzione della pena, quando sarebbe stato, forse, l'unico legittimato a richiedere un provvedimento cautelare di sospensione per il principio del favor rei;
   nonostante il dottor Caldarozzi, a parte la ritenuta colpevolezza (peraltro come detto neanche risultata tale in tutti i gradi di giudizio) per un falso ideologico consumato 12 anni fa, per quanto consti non abbia mai commesso un reato né prima né dopo il G8, la Procura Generale della Repubblica, in data 11 maggio 2013, avrebbe richiesto ai sensi dell'articolo 666 del codice di procedura penale, con separata nota, la sospensione dell'esecutività dell'ordinanza dell'aprile 2013 anche allo stesso tribunale di sorveglianza del capoluogo ligure;
   l'organo giudiziario, nelle date 23-29 maggio 2013, in diversa composizione collegiale rispetto all'udienza dell'aprile precedente, avrebbe emesso ordinanza di accoglimento dell'istanza, pur ammettendo trattarsi di una eccezione alla regola generale dell'esecutività. Ciò nella considerazione che «sussiste pertanto il fumus boni iuris dell'impugnazione proposta... il pericolo nel ritardo deve essere ricercato, infine, nello stesso interesse della decisione della Suprema Corte, tenuto conto dell'entità della pena residua da espiare, dei tempi fisiologici per la trattazione, della prossima sospensione feriale dei termini, appare evidente il rischio che il decorso del tempo comporti l'espiazione dell'intera pena residua nelle forme decise dal TdS, cosicché il ricorso del P.G. verrebbe completamente vanificato»;
   non c’è stato alcun accenno all'interesse ed al diritto del dottor Caldarozzi – a cui non è stata accordata alcuna possibilità di interloquire – di espiare la pena nei tempi previsti e riprendere un normale percorso di vita;
   tutto ciò in contrasto con le pressanti esigenze di svuotare le carceri, da tutti paventate, in primis dai tribunali di sorveglianza d'Italia, ma il dottor Caldarozzi, – e forse lo stesso destino è riservato a tutti i poliziotti sub iudice nello stesso tribunale per i fatti del G8 – deve andare in carcere per otto mesi, che con la liberazione anticipata si ridurrebbero a sei mesi e 15 giorni;
   anche il tribunale di sorveglianza di Genova, pertanto, in breve tempo, contraddicendo sé stesso, avrebbe cambiato opinione in peius, sebbene stavolta in diversa composizione collegiale, sui criteri di applicazione della legge n. 199 del 2010, asserendo tra l'altro nel cennato provvedimento che «la questione di diritto è certamente nuova, poiché non risulta essere mai stata posta al giudice di legittimità». Cioè nessuno prima, era mai ricorso in tal senso alla Corte di cassazione;
   come naturale conseguenza, il 3 giugno 2013 successivo, al dottor Caldarozzi sarebbe stata notificata la sospensione della pena e la scarcerazione, dopo poco più di un mese di detenzione domiciliare;
   in merito a ciò, il 12 giugno 2013 lo stesso dottor Caldarozzi avrebbe inviato una lettera al signor presidente del tribunale di sorveglianza di Genova, dottor Giorgio Ricci, chiedendo di riconsiderare e revocare la decisione di sospensione e consentirgli così senza indugio l'espiazione della pena. In proposito, avrebbe offerto la disponibilità di proseguire l'esecuzione della condanna residua, sin da subito, anche da recluso in uno stabilimento penale militare, come previsto dall'articolo 79 della legge n. 121 del 1981;
   istanza parallela di revoca dell'ordinanza di sospensione dell'esecuzione pena, sarebbe stata formulata, il 17 giugno 2013, anche dal difensore di fiducia, avvocato Marco Valerio Corini;
   in data 4 luglio 2013, il tribunale di sorveglianza di Genova, in camera di consiglio, avrebbe immancabilmente respinto entrambe le istanze;
   il dirigente dovrebbe, quindi, attendere mesi o, forse, anni per scontare il residuo pena per il reato di falso ideologico di mesi 6 e giorni 28, suscettibile peraltro di liberazione anticipata per 45 giorni. Un danno gravissimo per sé e la propria famiglia;
   sembrerebbe quindi che la procura generale genovese abbia condizionato la concessione di misura alternativa alla detenzione ad una sorta di moderna «gogna» richiedendo la disponibilità al dottor Caldarozzi, ma anche ad altri dirigenti di Polizia condannati per i fatti della scuola Diaz, di effettuare «pubblica emenda» nei termini sopra specificati;
   appare quantomeno inusuale, per non dire contrario ai principi generali dell'ordinamento, richiedere ad un individuo, seppur condannato, una sorta di «confessione» con pubbliche scuse al fine di evitare il carcere;
   sembrerebbe, inoltre, che, sempre su richiesta della procura genovese, il predetto tribunale ligure, in diversa composizione, cioè con giudici diversi da quelli che avevano giudicato e sentito il dottor Caldarozzi, abbia sospeso, nell'interesse della sola Procura impugnante, il provvedimento di applicazione della legge svuota carceri, in attesa del giudizio della Cassazione che si dovrà pronunciare sulla restrizione in istituto di pena;
   dalla condanna definitiva è già trascorso più di un anno, e, a giudizio dell'interrogante, tra i diritti fondamentali dell'uomo rientra anche quello di scontare la propria pena con tempi certi, senza che l'incertezza sull'inizio di espiazione possa costituire una afflizione (o una velata forma di tortura psicologica) ancor più grave della pena stessa –:
   se risulti quante volte la Procura Generale di Genova abbia impugnato per Cassazione un provvedimento di applicazione della cosiddetta legge svuota carceri, nonché quante volte il tribunale di sorveglianza di Genova abbia sospeso, su richiesta della sola procura generale, un proprio provvedimento di applicazione della predetta legge;
   se risultino, sul territorio nazionale, essere mai stati impugnati provvedimenti di applicazione della legge svuota carceri da parte di qualche procura generale della Repubblica, e, se del caso, quante abbiano riguardato persone condannate per il solo reato di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale, e quante siano state relative a persone che prima della condanna erano incensurate e dopo la condanna non risultavano aver commesso alcun tipo di reato, né avrebbero potuto mai commetterne della stessa specie non ricoprendo più l'incarico;
   se non ritenga, nell'ambito delle sue competenze, di disporre un'ispezione presso gli uffici giudiziari di cui in premessa, al fine di accertare la correttezza del loro operato nell'ambito del procedimento di cui in premessa, e se non si siano verificate delle palesi disparità di trattamento. (4-01656)


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, RIZZETTO, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, COLLETTI, BUSINAROLO e AGOSTINELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con circolare n. 3645/6095 dell'11 giugno 2013 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha stabilito le regole del «nuovo» contratto di convenzione tra gli istituti dell'amministrazione penitenziaria e gli esperti di in psicologia e criminologia clinica prevedendo – tra l'altro – la durata di un anno dell'incarico non rinnovabile per più di quattro anni dalla data della sua sottoscrizione;
   nella predetta circolare l'amministrazione sottolinea «l'utile apporto sinergico degli esperti in parola» la cui collaborazione capillare soprattutto nel front office istituzionale si connota quale sostegno o verifica costante del comportamento dei detenuti o internati;
   la figura dell'esperto psicologo, prevista dall'articolo 80 della legge n. 354 del 1975, rappresenta un tassello fondamentale nel trattamento e osservazione comportamentale del detenuto; l'esperto psicologo è il fulcro per la realizzazione degli obiettivi delineati dall'articolo 27 della Costituzione in tema di rieducazione del condannato e del diritto fondamentale alla salute del detenuto;
   l'esperto psicologo – in base alla normativa vigente – è coinvolto – in maniera primaria – nell'ambito delle attività di osservazione comportamentale del detenuto, nelle procedure di valutazione per l'ammissione alle misure alternative alla detenzione e a tutti i benefici premiali penitenziari dei detenuti, nell'ambito degli uffici di esecuzione penale esterna (cosiddetti UEPE) per lo svolgimento delle attività di osservazione nei confronti di soggetti libero-sospesi, nonché nelle attività trattamentali nei confronti delle persone in misura alternativa, nelle procedure di osservazione psicologica svolgendo la valutazione psicologica di tutti i nuovi ingressi (nuovi giunti);
   a ciò si aggiunga che recentemente anche il Governo con il decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, approvato dal Senato della Repubblica il 24 luglio 2013, all'articolo 4, comma 1, lettera b-bis), ha previsto, tra i compiti del Commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie, il «mantenimento e promozione delle piccole strutture carcerarie idonee all'istituzione di percorsi di esecuzione della pena differenziati su base regionale e all'implementazione di quei trattamenti individualizzati indispensabili per la rieducazione e il futuro reinserimento sociale del detenuto»;
   tali provvedimenti normativi sono segno evidente della volontà del Legislatore di considerare – in maniera forte – l'importanza della rieducazione e inserimento sociale del detenuto e del trattamento rieducativo anche intramurario dello stesso quale strumento per realizzare gli obiettivi della nostra Carta costituzionale (articolo 27 della Costituzione) e per dare una risposta anche al gravissimo problema del sovraffollamento delle carceri e dei suicidi dei detenuti che nelle carceri italiane hanno raggiunto livelli preoccupanti;
   a fronte di tale volontà tuttavia non è corrisposta un uguale risposta in termini di dotazione di risorse finanziarie e di personale;
   infatti proprio gli esperti psicologi – figure cardine per il trattamento, l'osservazione, il sostegno psicologico, la prevenzione del rischio auto lesivo e suicidario del detenuto, nonché nelle procedure di ammissione alle misure alternative e a tutti i benefici premiali penitenziari – oggi vengono confinati in una posizione di incertezza professionale e instabilità lavorativa;
   l'esperto psicologo è soggetto a un monte ore che può arrivare a 64 ore mensili ma nei fatti non supererebbe le 20 ore mensili, svolge l'attività lavorativa in giorni feriali, festivi o notturni (senza alcuna maggiorazione retributiva), non è coperto da rischio professionale, maternità, ecc., è privo di qualsiasi strutturazione del servizio fornito ai detenuti, e infine deve sopportare un carico di lavoro (per rapporto tra numero detenuti e numero degli esperti) non tollerabile;
   da ultimo la suddetta circolare del DAP n. 3645/6095 dell'11 giugno 2013 ha stabilito che l'incarico degli esperti in psicologia e criminologia clinica ha la durata di un anno non rinnovabile per più di quattro anni dalla data della sua sottoscrizione con l'effetto di escludere e tagliare fuori numerosissimi esperti psicologi qualificati e con una esperienza straordinaria ventennale nel settore e che – esauriti quattro anni – non vedranno più rinnovarsi l'incarico –:
   se i Ministri, ciascuno per le sue competenze, sono a conoscenza della situazione descritta;
   se il Ministro intenda sospendere/annullare l'efficacia della Circolare del DAP n. 3645/6095 dell'11 giugno 2013 in quanto lesiva ad avviso degli interroganti essa appare, dei diritti degli esperti psicologi di cui all'articolo 80 della legge n. 354 del 1975, lesiva del principio costituzionale di rieducazione del condannato e degli standard di salute e benessere dei detenuti;
   quali misure concrete e urgenti intendano adottare – anche in termini di disciplina del rapporto di lavoro e/o di investimento di maggiori risorse finanziarie – per valorizzare il ruolo e l'apporto degli esperti psicologi anche in funzione della realizzazione degli obiettivi previsti dall'articolo 27 della nostra Carta costituzionale in tema di rieducazione e salute del detenuto così come previsto dalla legislazione vigente, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla normativa europea. (4-01663)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 25 giugno 2013 il treno intercity partito da Roma Termini alle ore 6:39 è arrivato a Taranto con oltre 120 minuti di ritardo; analogamente lo stesso treno intercity che sarebbe dovuto partire circa un'ora dopo il suo arrivo a Taranto e cioè alle ore 14:00, ha tardato la sua partenza di quasi 110 minuti;
   in stazione a Taranto, il personale preposto alla biglietteria ignorava le motivazioni di tale ritardo così come nessuno ha informato adeguatamente la cittadinanza e la clientela che aspettava spazientita la partenza del treno per la Capitale;
   alle 22:00 circa il treno in direzione per Roma si è fermato nuovamente nei pressi di Formia e il controllore ha informato i malcapitati viaggiatori che il treno si sarebbe fermato per altri 20 minuti e incalzato dalle domande della clientela il dipendente di Trenitalia affermava che il ritardo era stato causato da un incidente di un mezzo ferroviario adibito al trasporto delle merci avvenuto in mattinata nella stazione di Formia;
   a detta dell'interrogante Trenitalia non solo ha peccato da un punto di vista della comunicazione, non avendo fornito utili spiegazioni ai passeggeri, ma anche organizzativo non avendo predisposto alcun servizio sostitutivo, consentendo, così, che l'incidente avvenuto nella mattinata avesse ripercussioni sino a notte tarda quando sarebbe stato sufficiente istituire dei servizi navetta sostitutivi;
   il sopra citato intercity è arrivato a Roma dopo aver accumulato un ritardo finale complessivo di oltre 240 minuti;
   attualmente il servizio di Trenitalia offre solo 2 corse giornaliere senza cambio da Taranto a Roma e il loro ritorno, con gli intercity in partenza da Taranto alle ore 7:50 e in arrivo a Roma alle ore 14:21 e in partenza da Taranto alle ore 14:00 in arrivo a Roma alle ore 20:41;
   non esistono corse notturne senza cambio da Taranto verso Roma;
   a causa dell'esiguo numero di corse giornaliere, ogni ritardo rischia di trasformare il viaggio in una odissea per i passeggeri;
   le corse da e per Roma dal capoluogo Jonico prevedono 1, 2 o addirittura 3 cambi tra treni intercity, regionali, freccia argento, freccia rossa e perfino autobus senza nessun oggettivo risparmio di tempo nei confronti del treno intercity diretto Taranto-Roma e senza alcun risparmio su costi del biglietto che risultano essere persino superiori;
   negli ultimi anni la politica di tagli attuata da Trenitalia verso Taranto ha reso un servizio sempre più scadente e vincolato a poche alternative per lo spostamento da e per la capitale;
   neanche le rotte aeree costituiscono una valida alternativa per i cittadini che intendano spostarsi tra Taranto e Roma poiché l'esistente e ben fornito aeroporto «Arlotta» di Grottaglie è precluso a voli passeggeri di linea per cui un tarantino per spostarsi verso la capitale con l'aereo è costretto a partire dall'aeroporto di Bari o di Brindisi usufruendo o di un servizio trasporti che si articola in diversi cambi in treno per arrivare agli aeroporti pugliesi abilitati al trasporto passeggeri, con un tempo di percorrenza superiore anche all'ora o, in alternativa, dei pulmini diretti per gli aeroporti che spesso arrivano a destinazione anche diverse ore prima del volo;
   a detta dell'interrogante, dunque, e alla luce di quanto sopra descritto, il collegamento tra Taranto e la Capitale sembra essere più deficitario di quello afferente ad altri capoluoghi di provincia che, a differenza di Taranto, hanno sul proprio territorio aeroporti e stazioni ferroviarie;
   il territorio Tarantino, anche alla luce anche della delicatissima questione concernente l'Ilva, sta affrontando una fase di forte crisi economica che potrebbe essere attenuata, in parte, da uno sviluppo turistico della zona che richiede, però, la previsione e l'implementazione di infrastrutture di collegamento efficienti –:
   se il Ministro non ravvisi nel comportamento osservato da Trenitalia degli elementi di forte criticità, non ritenga tale atteggiamento lesivo dei diritti dei passeggeri e quali iniziative di competenza intenda adottare;
   quali iniziative intenda adottare affinché venga garantito un collegamento tra la città di Taranto e Roma più efficiente, più frequente e che non comporti, per gli spostamenti su rotaia, cambi di vettura;
   se non ritenga opportuno adottare, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative volte a rilanciare l'aeroporto Arlotta di Grottaglie per i voli civili. (5-00918)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2010 Rete Ferroviaria Italiana (RFI) ha consegnato alla Direzione infrastrutture della Regione Friuli Venezia Giulia il progetto preliminare dell'Alta velocità (TAV) da Venezia a Trieste, la cui realizzazione è stata fatta rientrare nelle «grandi opere» infrastrutturali, a completamento del «Corridoio paneuropeo multimodale V» dell'Unione europea;
   l'anno successivo RFI e la società attuatrice Italferr, hanno suddiviso in quattro tronconi (Mestre-Aeroporto M. Polo, Aeroporto-Portogruaro, Portogruaro-Ronchi dei Legionari e Ronchi dei Legionari-Trieste) il progetto di questa linea ferroviaria, avviando altrettante procedure VIA (Valutazione d'Impatto Ambientale) distinte. Questa pratica, nota come project splitting, è stata ripetutamente censurata dalla direzione generale ambiente della Commissione europea perché rende difficile sia la valutazione complessiva degli impatti ambientali, sia quella delle possibili alternative;
   l'infrastruttura in oggetto non solo costerebbe circa 5,7 miliardi di euro – somma insostenibile per le attuali condizioni finanziarie del Paese – ma avrebbe un impatto negativo proprio sul territorio che dovrebbe invece favorire;
   ad oggi è in corso la procedura di Valutazione Impatto Ambientale da parte della commissione valutazione impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulle quattro tratte, per le quali è stata chiesta un'integrazione della documentazione a Italferr, sebbene il progetto sarà valutato nel suo complesso;
   nel mese di luglio 2013, Italferr ha avviato le procedure di approvazione del progetto preliminare delle tratte ferroviarie Portogruaro-Ronchi Sud e Ronchi Sud-Trieste, inviando i relativi documenti ai Comuni interessati e alla Regione Friuli Venezia Giulia;
   in base alla procedura prevista, entro settembre dovranno pervenire alla regione i pareri sulle integrazioni alla VIA del progetto preliminare – presentate da ItalFerr su richiesta della Commissione valutazione impatto ambientale nazionale – pervenute agli enti locali il 19 giugno 2013;
   alcune perplessità sulla rapida realizzazione dell'infrastruttura sono state espresse il 2 giugno c. a. in un'intervista al quotidiano Il Messaggero Veneto dall'attuale commissario straordinario per la Tav Venezia-Trieste Bortolo Mainardi, nominato dall'ultimo Governo Berlusconi;
   secondo Mainardi sarebbe possibile, in luogo dell'Alta velocità, la quadruplicazione della linea ferroviaria esistente, un progetto a impatto zero e dal costo stimato di 800 milioni di euro;
   la presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha contestato questa posizione di Mainardi sostenendo, in un'intervista al quotidiano Messaggero Veneto del 3 giugno 2013, che «per il Friuli Venezia Giulia è fondamentale avere collegamenti ferroviari veloci ed efficienti, per i passeggeri e per le merci, e che la tratta Venezia-Trieste rientra tra le priorità su cui intervenire subito»;
   secondo la Presidente «bisogna che ci sia molta chiarezza quando si parla di questo argomento: il progetto cui si riferisce il commissario Mainardi risale al 2010 ed è ancora in attesa dell'esito della valutazione d'impatto ambientale, e non ha nulla a che vedere con il quadruplicamento della linea esistente, di cui lo stesso Mainardi è fautore, e per il quale invece non vi è traccia alcuna di progetti alternativi depositati»;
   i comuni interessati hanno recentemente auspicato un incontro tra la Presidente Serracchiani e Mainardi per chiarire le rispettive posizioni. Lo stesso commissario straordinario si è detto intenzionato a discutere con la Presidente, perché «è necessario discutere l'ipotesi avanzata dai sindaci della bassa friulana ancora a maggio. Solo se la Regione darà parere favorevole a quell'impostazione si potrà procedere con lo studio di fattibilità su un'ipotesi alternativa, come avvenuto in Veneto», altrimenti si procederà con il progetto 2010 –:
   se il Ministro interrogato condivida le esternazioni del commissario straordinario del Governo Mainardi;
   se non sia il caso di considerare seriamente un progetto di potenziamento della linea ferroviaria Venezia-Trieste alternativo a quello dell'Alta velocità, la cui realizzazione non solo risulterebbe molto difficile per motivi economici, ma anche per l'avversione di numerosi comitati spontanei di cittadini, di parti consistenti della società civile e di almeno 19 comuni interessati come quelli di Bagnaria Arsa (Udine) e Monfalcone (Gorizia). (5-00921)


   COLLETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la compagnia aerea «Air One», fondata nel 1983 dall'imprenditore abruzzese Carlo Toto, ha sottoscritto nel 2002 tre diverse convenzioni con l'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac), aventi ad oggetto i servizi di trasporto sulle rotte Cagliari-Milano, Alghero-Milano e Alghero-Roma;
   dette convenzioni prevedevano che per l'attività di collegamento tra la Sardegna e i due principali centri del continente, ogni anno, Air One ricevesse quasi tre milioni di euro di contributi pubblici;
   nel 2003, in seguito a presunti maggiori oneri sostenuti dalla compagnia aerea nell'effettuazione dei collegamenti sopra descritti – ed in virtù di alcune clausole contenute nelle convenzioni con l'Enac – Air One ha rivendicato il diritto a ricevere un ammontare di contributi di circa 15 volte superiore a quello originariamente pattuito;
   con tre domande d'arbitrato, previste dalle convenzioni in caso di contestazioni, Air One ha chiesto all'Enac il versamento di quasi 44 milioni di euro, oltre a interessi e spese;
   gli arbitrati si sono conclusi tutti a favore della compagnia Air One a cui è stato riconosciuto il diritto a ricevere dall'Enac oltre 36 milioni di euro;
   l'Enac ha impugnato i tre lodi davanti alla corte d'appello di Roma che ha confermato le decisioni arbitrali con la sentenza del 27 giugno 2007;
   la sentenza è stata successivamente confermata dalle sezioni unite civili della suprema, Corte di Cassazione che ha condannato l'Enac anche al pagamento di 20.000 euro per le spese di giudizio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e dei contenuti delle convenzioni sottoscritte dall'Enac ed Air One, in particolare delle clausole che hanno portato alla condanna dell'Ente a corrispondere oltre 36 milioni di euro alla compagnia aerea di proprietà di Carlo Toto;
   se si intenda inoltrare una segnalazione alla magistratura contabile in relazione alle tre convenzioni in favore di Air One contenenti clausole tanto onerose a carico dello Stato. (5-00923)

Interrogazione a risposta scritta:


   BOSSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei primi giorni di agosto 2013 a Poggiomarino, in provincia di Napoli si è verificato l'ennesimo incidente ad un passaggio a livello incustodito della ferrovia Circumvesuviana: un'auto è stata, infatti, travolta da un treno, la vettura è andata completamente distrutta, mentre il conducente ha riportato gravi ferite ma, per fortuna, non è in pericolo di vita;
   l'incidente si è verificato nello stesso punto, la masseria Izzo, dove esattamente un anno prima nelle stesse condizioni, fu travolto e ucciso un anziano di Scafati;
   il passaggio a livello in questione non è dotato di barriere di sicurezza, ma esclusivamente di segnali sonori e visivi che non sempre possono essere uditi in tempo;
   tutto il territorio di Poggiomarino, ma più in generale molti centri dell'area vesuviana, sono segnati da questa grave emergenza, visto che i passaggi avvengono spesso nelle zone abitate e senza adeguate segnalazioni;
   l'attuale conurbazione di comuni serviti dalle linee ferroviarie ha reso molti passaggi insufficienti rispetto alla mole di traffico che li attraversa e, anche se conformi alla legge, essi di fatto sono pericolosi e potenzialmente causa di incidenti;
   il passaggio di Masseria Izzo, infatti, non è l'unico dove si segnalano pericoli altissimi malfunzionamenti, tragedie sfiorate, spesso dovuti a disattenzioni degli automobilisti ma comunque rappresentanti, in mancanza di barriere più significative, un pericolo per molti;
   nei mesi scorsi, in concomitanza di altri incidenti, le autorità territoriali, dalla regione ai sindaci, si sono impegnate a risolvere questo problema; fu istituita una commissione composta da tecnici della Circumvesuviana, della regione e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   ad oggi, non si hanno notizie di esiti di tale lavoro mentre continuano gli incidenti e i gravi pericoli sul territorio;
   appare necessario intraprendere iniziative serie dirette a far cessare queste situazioni di rischio per la vita e la salute dei cittadini, dei viaggiatori e dei lavoratori;
   prioritariamente, a parere dell'interrogante, si considera fondamentale richiedere la trasformazione di tutti i SOA (passaggi a livello senza barriere) mediante un investimento concreto che preveda l'installazione di barriere anche comandate automaticamente dal passaggio dei treni, o in alternativa è necessario lavorare per l'eliminazione definitiva degli stessi attraverso la costruzione di sottopassi, sovrappassi o collegamenti laterali;
   oltre ad interventi mirati sui passaggi a livello incustoditi e protetti da soa, a parere dell'interrogante, con l'ausilio delle tecnologie moderne è possibile avviare l'attivazione del sistema di controllo della marcia del treno (SCMT), un innovativo sistema di sicurezza che attraverso delle boe impiantante lungo la sede ferroviaria, consentono al treno di conoscere preventivamente lo stato delle apparecchiature poste a protezione della sede stradale, e quindi conoscere il funzionamento dei passaggi successivi;
   l'articolo 2087 del codice civile dispone che «L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro»; un precetto che si sposa con quanto stabilito dall'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 753 del 1980 che stabilisce che «Nell'esercizio delle ferrovie si devono adottare le misure e le cautele suggerite dalla tecnica e dalla pratica, atte ad evitare sinistri» –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se intenda, e come, nell'ambito delle sue competenze, intervenire per garantire sicurezza a cittadini, automobilisti, viaggiatori e lavoratori in merito al tema dei passaggi a livello non custoditi della Circumvesuviana in molti comuni della provincia di Napoli. (4-01658)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Centro di identificazione ed espulsione (CIE) del capoluogo lombardo si trova nella periferia orientale di Milano, in via Corelli;
   si tratta di una struttura gestita dalla Croce rossa e controllata dal comando della polizia di Lambrate, nella quale attualmente sono trattenuti circa 90 immigrati;
   a partire dalla sua apertura, avvenuta nel 1998, il CIE «Corelli» di Milano è stato sempre gestito dalla Croce rossa italiana, dapprima tramite assegnazioni dirette e in seguito, negli ultimi dieci anni, per mezzo della partecipazione a bandi di gara fatti dalla prefettura di Milano che è il soggetto titolare del Centro per conto del Ministero dell'interno;
   l'ultima gara alla quale partecipò la Croce rossa si tenne nel 2009 e la vide aggiudicataria, sulla base di una offerta economica di circa 54 euro pro capitepro die: tale cifra si dimostrò già allora l'estremo limite necessario a rientrare nelle spese che il medesimo ente doveva affrontare per onorare i capitolati richiesti nel bando di gara;
   negli anni infatti i bandi hanno progressivamente e sempre più significativamente visto ridursi le risorse messe a disposizione dal Ministero, risorse che sono giunte, con l'ultimo bando di gara, a prevedere un'offerta al ribasso a partire da una quota pro capitepro die di 30 euro;
   cifre così basse non garantiscono di certo standard adeguati a strutture già per loro intrinseca natura così complicate, né per le necessità e la dignità dei soggetti trattenuti né per chi le deve gestire;
   la Croce rossa, ente pubblico non economico si è trovata nella situazione di partecipare all'ultimo bando, ma presentandosi con un'offerta economica, da loro considerata minima, assolutamente fuori budget per gli standard del Ministero dell'interno;
   la gara, alle condizioni date, è stata vinta dalla cooperativa Oasi, cooperativa che si è trovata più volte coinvolta in serie problematiche gestionali nei centri di Modena, Bologna e Trapani, tutte problematiche dello stesso segno, e cioè legate all'omesso pagamento degli stipendi dei lavoratori, anche a fronte di versamenti già effettuati dalla prefetture competenti, con gravi conseguenza alcune anche note alle cronache, sulla vita nei centri, a discapito, dunque, non solo dei lavoratori, ma anche dei trattenuti, con l'esplosione del disagio manifestatasi con scioperi e rivolte;
   in uno di questi casi la cooperativa in questione è stata sollevata dall'incarico dalla prefettura;
   da notizie di stampa, ad esempio, si apprende che la prefettura di Trapani ancora il 12 febbraio 2013 avrebbe diffidato la cooperativa l'Oasi a pagare gli stipendi arretrati, minacciando la revoca della concessione, mentre le prefetture di Modena e Bologna annunciavano l'intenzione di anticipare almeno una parte dei soldi necessari al pagamento degli stipendi dei dipendenti dei CIE che si trovano sul loro territorio;
   il personale del CIE di via Corelli ha avuto, nel tempo, uno scarso avvicendamento, ed attualmente conta una trentina di persone, quasi tutte rivestenti lo status di personale militare appartenente al corpo militare della Croce rossa italiana: gli altri sono lavoratori a tempo determinato, che però hanno lavorato senza soluzione di continuità da una decina di anni, mentre alcuni sono lavoratori autonomi (mediatori culturali, infermieri e medici);
   si tratta di personale difficilmente ricollocabile al di fuori della Croce rossa italiana, (per età e per estrema specificità della formazione) ma alle condizioni date è quasi impossibile che Croce rossa possa nuovamente vincere il bando;
   risulta che alla prefettura sia noto il problema di lavoratori che hanno comunque maturato una grande esperienza gestionale in un CIE oggettivamente difficile –:
   se il Ministro non ritenga necessario, nelle more di una ormai ineludibile sostanziale ed organica riforma del sistema dei CIE, adottare misure immediate che consentano l'immediato funzionamento dei centri già esistenti, quali quello di via Corelli a Milano, garantendo, al contempo, condizioni che rendano meno dolorosa ed inumana la permanenza dei trattenuti negli stessi, permanenza che, come si sa, si protrae ormai fino a diciotto mesi, nonché i diritti dei lavoratori che in essi lavorano correttamente da anni, assicurando dunque le risorse necessarie affinché questi minimi standard vengano rispettati ed evitando pericolose fare al ribasso. (5-00917)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DALL'OSSO, FRACCARO, COLONNESE, CORDA, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, GRANDE, DI BENEDETTO, CASTELLI, DA VILLA, GALLINELLA, PARENTELA, BENEDETTI, GRILLO, DIENI, DADONE, MARZANA, D'UVA e CANCELLERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli uffici di Polizia di Stato ormai da anni si assiste da un lato ad una lenta diminuzione delle risorse, in termini di uomini, mezzi e assegnazioni di fondi, mentre dall'altro all'aumento in quantità e qualità degli obiettivi da raggiungere in ambito sia centrale che periferico;
   in particolare in provincia di Ragusa l'attuale dotazione organica si rivela deficitaria per fronteggiare le esigenze dell'attività ordinaria, con la conseguenza che si attinge con una certa regolarità al personale addetto ad altre mansioni pur di assicurare i normali servizi di controllo del territorio e di ordine pubblico;
   alle ordinarie esigenze operative si aggiungono inoltre altre incombenze, come la presenza del centro di primo soccorso ed assistenza sito nell'area portuale di Pozzallo. Tale struttura, realizzata nel corso della cosiddetta «emergenza immigrazione dal nord Africa» per la primissima sistemazione dei migranti sbarcati clandestinamente, in attesa del loro trasferimento presso altri centri, ospita oggi gruppi di migranti trasferiti da altre province, in attesa del rimpatrio con voli charter dagli aeroporti di Catania e Palermo. È evidente come ciò possa comportare notevoli difficoltà operative e logistiche per il personale addetto alla vigilanza, poiché la struttura è stata realizzata con criteri riconducibili a tutt'altra tipologia di soggetti ospitati. I servizi di vigilanza, attivati con poche ore di preavviso, vengono assicurati interamente dal personale territoriale della questura e dei commissariati, spesso con inevitabili conseguenze negative sul controllo del territorio e sull'attività degli uffici. Il personale della questura assicura altresì anche i servizi di accompagnamento degli stranieri, che soprattutto nel periodo primavera-estate sbarcano numerosi clandestinamente lungo le coste di questa provincia, verso altre strutture;
   altra incombenza che grava sulle forze di polizia è sorta a seguito dell'apertura dell'aeroporto civile di Comiso, presso il quale i servizi di sicurezza aeroportuale e di polizia di frontiera sono attualmente assicurati da personale della questura e del commissariato p.s. di Comiso. Quest'ultimo, insieme a quello di Vittoria, è già oberato da tanto lavoro e può contare solo su 3 ispettori e 2 sovrintendenti nonostante il territorio sia considerato ad alta densità criminale;
   anche la sezione polizia stradale registra una preoccupante carenza di personale e non è possibile garantire una pattuglia in tutti i quadranti, nonostante la totalità delle merci venga trasportata su gomma date le carenze infrastrutturali della zona;
   la polizia postale e delle comunicazioni consta di un organico minimo, nonostante la crescita esponenziale dell'attività di polizia giudiziaria strettamente collegata con l'aumento dei reati commessi con l'utilizzo di internet e di tecnologie informatiche;
   negli ultimi anni i trasferimenti di personale verso la provincia di Ragusa si sono realizzati in quantità irrisoria rispetto i numerosi pensionamenti e trasferimenti verso altre sedi;
   la situazione dell'organico dei funzionari è emblematica data la mancanza di un primo dirigente (la divisione anticrimine ne è priva da tempo) e di numerosi direttivi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in merito alle vicende descritte e se intenda assumere iniziative volte ad assegnare a questa provincia un adeguato numero di operatori appartenenti a tutti i ruoli per poter soddisfare la sempre crescente richiesta di sicurezza dei cittadini e per poter garantire i servizi ordinari così come le emergenze in un territorio in cui la criminalità è elevata. (4-01653)


   MATARRELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'acuirsi della grave congiuntura economica ha comportato che il Governo italiano emanasse un provvedimento complesso denominato «spending review», recante una serie di consistenti tagli agli enti locali, che colpiscono anche e soprattutto le province italiane;
   in particolare, la provincia di Brindisi ha subito un taglio di risorse statali quantificabile in quasi 10 milioni di euro per il solo anno in corso, mentre le spettanze sono state considerevolmente decurtate, passando da oltre 12 milioni di euro ad appena 672 mila euro;
   tale stretta, colpisce in particolare l'erogazione dei servizi acquisiti dal cittadino, compromettendo notevolmente la qualità della vita sul territorio della provincia di Brindisi;
   il commissariamento prefettizio, attraverso cui si amministra la provincia di Brindisi, pare quindi costretto dalle circostanze ad una mera gestione ragionieristica, dando luogo a ulteriori disagi ed ingiustizie come nel preciso caso della difficoltà di onorare i contratti con i lavoratori della sola società in house denominata «Santa Teresa spa», colpita da tagli per 700 mila euro nel corrente esercizio finanziario;
   questo rischia di incidere pericolosamente sulla stabilità occupazionale di circa 150 lavoratori e dunque sulla serenità di altrettanti nuclei familiari –:
   se il Governo, anche alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda assumere iniziative al fine di ridurre il concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il comparto delle province nel 2013. (4-01657)


   BASILIO, ARTINI, CORDA, ALBERTI, FRUSONE, PAOLO BERNINI e RIZZO. —Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   risulta evidente che componenti del precedente Governo e persone che hanno rivestito in passato cariche istituzionali, ma che attualmente non ricoprono nessun ruolo, abbiano tuttora la possibilità di usufruire di auto blu e servizio di scorta senza che risultino particolari esigenze di tutela e senza l'esistenza di elementi di rischio conclamati così gravi e probanti tali da disporre di servizi di scorta;
   tale procedura, ritenuta dall'interrogante ingiustificata, costa ai contribuenti palesemente grandi sacrifici, un costo che si aggira intorno a svariati milioni di euro l'anno e impegna migliaia di agenti delle forze dell'ordine sottraendoli di conseguenza alla tutela della sicurezza dei cittadini;
   come si evince dalle dichiarazioni del Sindacato autonomo di polizia «Con la crisi e i tagli siamo arrivati al punto che il sistema sicurezza non può più permettersi di garantire 585 scorte con un enorme impiego di uomini delle forze dell'ordine impegnati a garantire la sicurezza di pochi». «Solo a Roma sono mille al giorno – spiega Nicola Tanzi, segretario nazionale del Sap –, finora mi risulta siano state tagliate 70 scorte di quarto livello, delle 174 scorte assegnate a parlamentari ed ex ministri, credo che queste debbano essere azzerate per andare, se necessario, a rafforzare, invece, quelle garantite alle più alte cariche dello Stato. La modulazione delle misure di tutela va da quelle di primo livello, indicato come rischio imminente ed elevato, che impiega fino a tre auto blindate e sei agenti, fino al quarto livello, di basso rischio, che prevede un'auto non blindata e un autista»;
   il disagio sociale nel Paese è forte, ed è giusto garantire sicurezza a chi è più esposto, ma l'attuale situazione appare incompatibile con l'esigenza di un rigoroso contenimento delle spese ed eliminazione di ogni spreco e contribuisce ulteriormente al discredito della classe politica, apparendo all'opinione pubblica come un privilegio ingiustificato –:
   quanto costi al contribuente il servizio di suddetta protezione e come si articoli;
   se sia disponibile un elenco delle personalità appartenenti ai precedenti Governi o a personalità che hanno ricoperto in passato alte cariche istituzionali che godono tuttora di un servizio di scorta o usufruiscono di mezzi e personale della pubblica amministrazione;
   quali siano i motivi che hanno finora consentito il perdurare di un servizio che appare agli interroganti ingiustificato;
   quali provvedimenti i Ministri interrogati intendano urgentemente assumere perché questa situazione sia il più possibile limitata, ovvero se possano essere resi pubblici i motivi per l'eventuale prosecuzione. (4-01659)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 agosto 2013, la stampa locale ha dato notizia dell'avvenuto arresto a Jesolo di cinque immigrati extracomunitari e tre agenti della polizia di Stato, ad opera della squadra mobile della questura di Venezia;
   i tre agenti, ovviamente sospesi dal servizio, ricoprivano incarichi delicati, trattandosi di un ispettore addetto al settore immigrazione, un sovrintendente della polizia scientifica ed un sovrintendente responsabile del foto segnalamento presso il commissariato di Jesolo;
   gli arresti sono stati originati dagli esiti di un'inchiesta condotta dalla magistratura, iniziata nel 2012 in seguito a segnalazioni concernenti casi di rilascio e rinnovo di permessi di soggiorno concessi dietro predisposizione di documenti falsi, in cambio di somme di denaro di varia entità;
   le accuse risultano pesanti: associazione a delinquere, corruzione continuata per atti contrari a doveri d'ufficio, corruzione continuata per esercizio della funzione ed accesso abusivo a sistema informatico –:
   se gli arresti di Jesolo rappresentino un fatto unico oppure rientrino in una casistica più ampia e, in questo caso, quanti rappresentanti delle forze dell'ordine siano stati colpiti negli ultimi due anni da provvedimenti adottati dall'autorità giudiziaria in ragione del loro presunto coinvolgimento nella commissione di reati connessi alla violazione della normativa di prevenzione e repressione dell'immigrazione clandestina. (4-01664)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   CHIMIENTI, BATTELLI, D'UVA, LUIGI GALLO, MASSIMILIANO BERNINI, MARZANA, VACCA, BRESCIA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale sistema di formazione dei nuovi docenti, denominato tirocinio formativo attivo, recentemente conclusosi o in procinto di concludersi, ha selezionato, fra circa 200 mila aspiranti, circa 11 mila docenti attraverso tre apposite prove d'accesso articolate in un test preliminare a carattere nazionale, una prova scritta e una prova orale vertenti sulle conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento della classe di abilitazione, secondo i programmi definiti dalle indicazioni nazionali;
   il suddetto percorso formativo ha poi contemplato la frequenza di corsi disciplinari e pedagogico-didattici, un tirocinio attivo di 475 ore in classe e il superamento dei relativi esami, concludendosi con un esame finale di abilitazione composto dall'esposizione di un progetto didattico su un argomento disciplinare estratto a sorte da ciascun candidato e dalla discussione della relazione finale sul tirocinio svolto in classe;
   l'iscrizione alla preselezione per ogni classe di concorso costava dai 100 ai 150 euro e dopo il superamento delle prove di accesso, la frequenza al percorso abilitante necessitava del pagamento di una tassa di iscrizione di circa 2.600 euro a testa in media;
   sulla base del decreto ministeriale n. 249 del 2010, e dei successivi regolamenti ministeriali ad esso connesso, l'abilitazione conseguita tramite la frequenza del tirocinio formativo attivo, risulta declassata rispetto a quella conseguita in passato con i cicli della SSIS (scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario), ai cui abilitati era sempre spettato l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, unico canale utile per ottenere l'immissione in ruolo per scorrimento (legge n. 296 del 2006). A differenza di quanto avvenuto sempre in passato, quindi, al titolo conseguito con il tirocinio formativo attivo spetterebbe solamente l'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto (GI), dalle quali è difficilmente ottenibile un incarico annuale, né si potrà mai ambire al posto di ruolo a tempo indeterminato;
   il suddetto decreto perpetra una discriminazione tra chi si è abilitato con il tirocinio formativo attivo (ai sensi del decreto ministeriale n. 249 del 2010) e chi ha conseguito il medesimo titolo equipollente presso gli altri Paesi dell'Unione europea o chi, dopo avere interrotto la SSIS, si è abilitato frequentando lo stesso corso di tirocinio formativo attivo durante questo anno accademico;
   il prossimo aggiornamento delle graduatorie di istituto è previsto per il 2014;
   l'imminente approvazione dei tirocini formativi attivi speciali, decisa a seguito dell'apertura da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per la violazione della direttiva comunitaria 1999/70 sulla reiterazione dei contratti a tempo determinato, abiliterà oltre 80.000 docenti aventi un'anzianità di servizio pari a tre anni scolastici –:
   quali iniziative intenda assumere per equiparare il titolo conseguito tramite tirocinio formativo attivo a quello ottenuto nel periodo 1999-2009 dagli abilitati SSIS sulla base del medesimo riconoscimento di quel valore di prova concorsuale che spettava a questi ultimi (ai sensi dell'articolo 1, comma 6-ter, del decreto-legge 28 agosto 2000, n. 240, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2000, n. 306), in modo da ottemperare all'articolo 97 della Costituzione, che prevede l'assunzione previo concorso nella pubblica amministrazione;
   quali misure intenda adottare per tenere in considerazione, al momento dell'inserimento in seconda fascia delle GI, del faticoso percorso seguito e della dura selezione constata di tre prove successive sostenute dagli abilitati con il tirocinio formativo attivo ordinario, e se non ritenga opportuno assegnare un punteggio aggiuntivo in virtù di quelle che sono state le modalità di accesso al suddetto corso abilitante;
   quali iniziative intenda intraprendere per dare vita a un percorso razionale di formazione-reclutamento del personale docente italiano che eviti il costituirsi di canali paralleli ed il proliferare di innumerevoli categorie di precari che vengono naturalmente portati all'antagonismo gli uni contro gli altri ma che, in realtà, sono vittime di un sistema irrazionale e dispersivo. (3-00271)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   viviamo in un mondo che è sempre più integrato e interdipendente, con scambi commerciali sempre più intensi tra tutti i luoghi del pianeta, con viaggi sempre più frequenti da parte di tutti noi, con crescenti migrazioni più o meno forzate, con società di conseguenza sempre più multietniche, con conflitti sociali e militari che ci riguardano sempre più da vicino, con la popolazione mondiale che continua a crescere a fronte dell'esaurimento delle risorse, con i cambiamenti climatici ormai in atto e con una compromissione irreversibile dell'ambiente naturale che sta erodendo il patrimonio genetico della Terra frutto di milioni di anni di evoluzione;
   l'Italia è tra le prime dieci potenze economiche mondiali e rappresenta una delle principali mete del turismo mondiale e la scuola deve formare studenti, non solo preparati, ma consapevoli della complessità del mondo odierno, e dunque appare necessario valorizzare maggiormente le discipline che cercano di studiare e interpretare le problematiche suddette;
   l'insegnamento della geografia, in questo quadro, è da considerarsi basilare: esso è prima di tutto un capitolo della formazione scientifica di base, che permette di capire le cause e la genesi dell'attuale aspetto del mondo, delle disparità economiche, delle diversità culturali, e pertanto non può considerarsi surrogabile o sostituibile da altri saperi. Del resto la sua importanza è stata dimostrata anche dalla scelta dei temi degli ultimi esami di Stato (Bric, Economia e democrazia, il viaggiare, e altro);
   è necessario improntare l'insegnamento di geografia ad una armonizzazione e continuità di obiettivi e di competenze tra i diversi ordini e gradi di scuola;
   l'insegnamento nelle scuole superiori dell'unica materia in grado di spiegare la complessità del rapporto uomo-ambiente-economia, è stato ridimensionato o eliminato in alcuni settori:
    a) Istituti Professionali. L'insegnamento di geografia non compare in nessun indirizzo ed in particolare: nel settore servizi, indirizzi: servizi per l'enogastronomia e l'ospitalità alberghiera e servizi commerciali;
    b) Licei. L'insegnamento di geografia è stato accorpato a storia per un totale di 3 ore settimanali;
    c) nella nuova articolazione «Relazioni Internazionali» del triennio degli istituti tecnici le discipline di «Relazioni Internazionali» e «Geopolitica» sono state affidate rispettivamente agli insegnanti di diritto ed economia aziendale e non ai docenti specialisti e abilitati per l'insegnamento, ossia della classe A039;
    d) l'insegnamento della materia in molte scuole è stato affidato alla classe A060, non avente titolo e non alla classe A039 avente titolo –:
   quali iniziative intenda assumere affinché ci sia una armonizzazione nell'insegnamento della disciplina di geografia nei diversi ordini e gradi di scuola e che abbia come fine l'acquisizione di competenze e conoscenze in quegli indirizzi del secondo ciclo in cui risulta necessario per la specificità del settore. (5-00900)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VELO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Inail – mediante determina n. 80 del 15 settembre 2010 – ha approvato la rideterminazione della dotazione organica dell'Istituto per il triennio 2010/2012, in ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge n. 194 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, il quale dispone per le pubbliche amministrazioni una riduzione del personale dirigenziale e non;
   tale provvedimento sta producendo rilevanti conseguenze sulla struttura e sull'organico di importanti direzioni provinciali ed uffici territoriali dell'Istituto, indirizzate verso un declassamento che rischia di provocare ripercussioni in materia di efficienza del servizio e di tutela dei livelli occupazionali;
   la sede Inail di Piombino potrebbe rientrare tra quelle oggetto di declassamento, e subire così una riduzione dei servizi erogati in favore della cittadinanza (lavoratori infortunati e tecnopatia) e delle imprese del suo territorio;
   a parere dell'interrogante, nell'attuale contesto socio-economico, caratterizzato da interventi volti allo sviluppo dell'economia locale – il più importanti dei quali è costituito dal decreto legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, che all'articolo 1, contiene disposizioni in materia di «Riconoscimento dell'area industriale di Piombino come area di crisi industriale complessa e disposizioni necessarie al suo rilancio» – un ridimensionamento della sede Inail di Piombino, se confermato, costituirebbe una scelta poco opportuna e controproducente;
   l'area in questione merita – in luogo di misure di ridimensionamento – ulteriori interventi volti alla valorizzazione delle risorse a disposizione – umane e strutturali – e alla promozione delle infrastrutture –:
   come intenda adoperarsi – nel caso in cui la notizia di cui in premessa corrispondesse al vero – allo scopo di evitare il provvedimento di declassamento della sede Inail di Piombino, un'area che, in coerenza con gli obiettivi di cui al citato decreto legge n. 43 del 2013, esige il coinvolgimento attivo di tutte le amministrazioni interessate. (5-00904)


   MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto Salvaltalia), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha apportato una radicale riforma del sistema previdenziale italiano, allo scopo – articolo 24, comma 1 – «di garantire il rispetto degli impegni internazionali e con l'Unione europea, dei vincoli di bilancio, la stabilità economico-finanziaria e a rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul prodotto interno lordo, in conformità dei seguenti principi e criteri: equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli; flessibilità nell'accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa; adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita; semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali»;
   le misure adottate, come noto, hanno in alcuni casi generato delle storture del sistema pensionistico – il caso più grave è rappresentato dai cosiddetti «esodati» – incidendo in maniera rilevante sulla vita di centinaia di migliaia di persone;
   tra le disposizioni contenute nel citato articolo 24, vi è quella – prevista dal comma 10 – relativa alla riduzione percentuale applicata ai lavoratori che maturino i requisiti di accesso alla pensione anticipata; tali soggetti, infatti, possono accedere al trattamento pensionistico se risulta maturata un'anzianità contributiva di 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti nell'anno 2012; tali requisiti contributivi sono aumentati di un ulteriore mese per l'anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dall'anno 2014; sulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1o gennaio 2012, è applicata una riduzione percentuale pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto all'età di 62 anni; tale percentuale annua è elevata a 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni;
   la portata della suddetta norma è stata parzialmente attenuata dall'articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, il quale ha stabilito che le disposizioni in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione, limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la predetta anzianità contributiva ivi prevista derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria;
   pur lodevole, l'intervento di esenzione dalle penalizzazioni – effettuato grazie alla intensa attività parlamentare svolta dai rappresentanti del Partito Democratico nel corso della passata legislatura – non è certo sufficiente a colmare alcune distorsioni che, purtroppo, continuano a persistere;
   emblematica, a tal proposito, la situazione in cui si trova il personale del comparto scuola: l'Inps, a seguito di chiarimenti provenienti da lavoratori interessati, ha affermato che nel caso in cui il personale scolastico maturi l'anzianità contributiva necessaria per l'accesso alla pensione anticipata nel periodo settembre e dicembre e possegga un'età inferiore ai 62 anni sarà comunque interessato dalla riduzione percentuale, in quanto il periodo intercorrente dal 1o settembre 2013 al 31 dicembre 2013 non può essere considerato quale periodo di prestazione effettiva di lavoro;
   tale disposizione appare gravemente pregiudizievole per i lavoratori della scuola, poiché non tiene conto del fatto che gli stessi possono andare in pensione un solo giorno all'anno, il 1o settembre, indipendentemente dalla data di maturazione dei requisiti; quindi, a causa dell'unica finestra di uscita esistente, per i soggetti in questione non è prevista la possibilità di lavorare nel periodo necessario a evitare l'applicazione delle penalizzazioni;
   nell'attuale contesto socio-economico, caratterizzato da un malessere diffuso, gli sforzi dovrebbero essere indirizzati all'attenuazione del disagio in cui versa una sempre più vasta fascia di popolazione –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative allo scopo di tenere in considerazione – in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici – la specificità dei lavoratori del comparto scuola, consentendo loro l'esenzione dalle penalizzazioni previste dall'articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011, nei casi esposti in premessa.
(5-00914)


   LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'applicazione delle quattro diverse riforme pensionistiche a cominciare dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 ha determinato e determinerà per molte persone la mancanza di reddito per un periodo consistente e variabile secondo la data di cessazione dal lavoro e la tipologia di penalizzazione;
   rimane ancora parzialmente non risolta la «questione esodati»;
   paradossalmente anche l'inserimento nel contingente dei salvaguardati previsti da uno dei decreti di salvaguardia non tutela delle difficoltà economiche perché la pensione verrà erogata solo al verificarsi delle condizioni previste dalle diverse normative succedutesi nel tempo e in particolare tenendo conto della finestra mobile introdotta dalla citata normativa dell'innalzamento dovuto all'aspettativa di vita;
   secondo le norme del decreto-legge n. 78 – articolo 12 comma 5-bis – per attenuare l'impatto dell'introduzione della finestra mobile veniva previsto un sostegno reddituale assicurato dal Fondo Sociale per l'occupazione e la formazione di cui all'articolo 18 comma 1, lettera a) del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, e attivato finora di anno in anno con appositi decreti ministeriali;
   attualmente sono stati emanati due decreti:
    decreto ministeriale n. 63655 in data 5 gennaio 2012 per l'anno 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 14 del 18 gennaio 2012;
    decreto ministeriale n. 68225 in data 2 ottobre 2012 per l'anno 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 249 del 24 ottobre 2012;
   il decreto ministeriale per l'anno 2013 è ancora da emanare con conseguente vuoto reddituale di 7 mesi ad oggi per i lavoratori esodati coinvolti;
   necessariamente si osserva che se il senso del decreto e dell'intervento del Fondo sociale per l'occupazione è quello di risolvere il problema della discontinuità reddituale, il ricorrente ritardo di circa un anno verificatosi tanto negli anni precedenti tanto per quello in corso, nei fatti si traduce in un motivo aggiuntivo di disagio per tante famiglie;
   per l'anno in corso si tratta di 4.455 lavoratori rimasti senza assegno e senza pensione per un costo già calcolato di euro 42.828.043, secondo il primo schema individuato e allegato al decreto 63655 a firma dell'allora Ministro Fornero del 5 gennaio 2012 –:
   per quali motivi il Governo non provveda ad emanare il citato decreto ministeriale lasciando tante famiglie senza reddito. (5-00920)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TACCONI, GRANDE, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, SIBILIA, DE LORENZIS e DI BATTISTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   i rapidi cambiamenti del mercato del lavoro ed in particolare il massiccio flusso di emigrazione che si sta registrando negli ultimi tempi richiedono risposte immediate per la tutela del lavoro umano sia per i fortunati che riescono a trovare in Italia un accettabile livello occupazionale, sia per quelli che l'attuale congiuntura economica spinge a lasciare il nostro Paese per cercare oltre confine il lavoro che qui manca. Le recenti statistiche sulla disoccupazione giovanile non fanno ben sperare che questa emorragia di risorse possa arrestarsi in tempi brevi. Proprio per questo è quindi necessario intervenire con tutti gli strumenti possibili per favorire, da una parte, un'inversione di tendenza rispetto alle politiche migratorie degli ultimi anni che, troppo preoccupate dell'aspetto ragionieristico del contenimento della spesa, hanno causato un progressivo smantellamento delle attività a favore delle nostre collettività di vecchia emigrazione, dall'altra per venire incontro alla richiesta di aiuto che i «nuovi migranti» pongono alla sensibilità del Paese;
   si tratta soprattutto di giovani che, nonostante un'ottima formazione culturale e professionale (in molti casi si tratta di veri e propri «cervelli in fuga»), non sempre sono in grado, da soli, di far fronte alle sfide che il radicale cambiamento della loro condizione impone in termini di piena integrazione nelle società di accoglimento;
   si tratta di persone sconosciute all'AIRE, che come punto di riferimento non hanno certamente i Consolati, o i COMITES e le associazioni locali, ma solo il web e i social network, con l'evidente solitudine che tali nuovi «interlocutori» generano al di là dell'apparente tentativo di coinvolgimento e di inclusione;
   resta imperativo per l'Italia far sentire ai nuovi come ai vecchi migranti la vicinanza del Paese non soltanto per offrire loro aiuti concreti, ma anche – è il forte e convinto auspicio – per far riscoprire loro una ragione in più per sentirsi orgogliosi di appartenere ad un grande Paese. È attraverso tali sentimenti di appartenenza, infatti, che si rinsaldano i vincoli, non solo affettivi, con l'Italia che, pur avendo investito sulla loro formazione, rischia invece, a causa di politiche migratorie inadeguate, di vedersi irrimediabilmente sfuggire importanti risorse umane e, in definitiva, economiche;
   rispetto al fenomeno della nuova emigrazione si è finora fatto poco o niente per conoscerlo a fondo e poter programmare efficaci interventi normativi ed operativi. In sostanza non si conosce nemmeno l'esatta entità del fenomeno, condizione essenziale per l'elaborazione di politiche che possano promuovere azioni tempestive e qualificate a favore dei soggetti interessati, alla luce di dati certi e di una lettura non lacunosa dei fenomeni che viviamo;
   si ravvede pertanto la necessità di un monitoraggio puntuale ed efficiente del fenomeno e delle dinamiche che vi sottendono che dovrebbe dotare le competenti amministrazioni di uno strumento conoscitivo che faccia stato dell'entità dei flussi migratori, delle caratteristiche della nuova emigrazione, delle fasce di età dei soggetti coinvolti, del titolo di studio posseduto, del tipo di lavoro di cui sono alla ricerca, dei paesi verso i quali si dirigono, eccetera, per la costituzione di una banca dati immediatamente utilizzabile per l'elaborazione di politiche mirate –:
   se, a fronte dei nuovi flussi migratori, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, e il Ministro degli affari esteri, ciascuno per le questioni di propria competenza e in raccordo tra di loro, intendano procedere ad un'apposita anagrafe del fenomeno sulle direttrici sopra accennate, anche attraverso la firma di accordi di cooperazione bilaterale con gli Stati esteri interessati. (4-01632)


   POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi giorni l'Ufficio I normativa della direzione centrale previdenza dell'INPS, valutando in maniera erronea lo status giuridico del personale dei ruoli tecnici del Corpo forestale dello Stato, sta ostacolando la fruizione del trattamento di quiescenza di detto personale disapplicando le norme pensionistiche vigenti relative al comparto sicurezza, difesa e pubblico soccorso;
   tale erronea valutazione sembra scaturisca dal fatto che il personale tecnico del Corpo forestale dello Stato sia stato «confuso» con personale ministeriale (cosiddetto pubblico impiego privatizzato) – impiegati civili dello Stato – anziché essere valutato per quello che è, cioè appartenente ai ruoli del personale del Corpo forestale dello Stato che espleta attività tecnica, nello specifico tecnico-scientifica, tecnico-strumentale ed amministrativa, analogamente alle altre Forze di Polizia ad ordinamento civile;
   il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 201, all'articolo 25 prevede, nell'ambito delle dotazioni organiche del personale del Corpo forestale dello Stato, l'istituzione dei ruoli del personale che svolge attività tecnico-scientifica, tecnico-strumentale ed amministrativa per le esigenze organizzative ed operative del Corpo, ne determina le dotazioni organiche e l'equiparazione agli omologhi colleghi della Polizia di Stato;
   con legge 11 marzo 2006, n. 81 (articolo 4, comma 1), agli appartenenti ai ruoli degli operatori e collaboratori del Corpo forestale dello Stato è attribuita la qualifica di agente di polizia giudiziaria e agli appartenenti ai ruoli dei revisori e dei periti del medesimo Corpo è attribuita la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, limitatamente alle funzioni esercitate. È previsto altresì che il Ministro dell'interno, su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali, possa attribuire a detto personale la qualifica di agente di pubblica sicurezza, limitatamente alle funzioni esercitate;
   con nota protocollo 6795 del 23 giugno 2010, su richiesta di chiarimenti avanzata dall'UGL Corpo forestale dello Stato, l'INPDAP precisò come il diritto al conseguimento della eventuale pensione di privilegio, spettasse anche al personale dei ruoli tecnici del Corpo Forestale, pienamente equiparato, dal punto di vista giuridico ed economico, al personale tecnico della Polizia di Stato, in virtù dello svolgimento dell'attività di contrasto agli incendi boschivi;
   nell'ambito del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, il personale delle Forze armate e dei Vigili del Fuoco non ha qualifiche di pubblica sicurezza e comunque accedono al sistema pensionistico al raggiungimento dei requisiti specifici di cui al alla legge 30 luglio 2010, n. 122, come recepito e comunicato dallo stesso INPS con messaggio n. 545 del 10 gennaio 2013 –:
   alla luce del fatto che il quadro normativo è molto chiaro e non può lasciare spazi ad interpretazioni difformi, quali urgenti iniziative intenda adottare al fine di risolvere tempestivamente l'incresciosa situazione che si è venuta a creare, che rischia di danneggiare oltremodo il personale dei ruoli tecnici del Corpo forestale dello Stato che, avendo già raggiunto i requisiti per l'accesso al sistema pensionistico, ha presentato per tempo istanza di pensionamento – motivo per cui è stato espunto dal sistema stipendiale del Ministero dell'economia – e non si vedrà riconoscere l'assegno mensile previdenziale. (4-01639)


   DI VITA, DALL'OSSO, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, BARONI, CECCONI, NUTI, DADONE, BRESCIA, SIMONE VALENTE, VACCA e DI BENEDETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia non esiste una modalità unificata di valutazione della disabilità come invece prevedrebbe la convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità (New York 2006);
   la procedura di accertamento dell'invalidità civile è stata radicalmente rinnovata dall'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, titolato «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», che attribuisce all'INPS nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità con l'intento di ottenere tempi più rapidi e modalità più chiare per il riconoscimento dei relativi benefici;
   le due principali novità introdotte, costituite dalla completa informatizzazione e dalla partecipazione del medico INPS alle CMA (commissioni mediche ASL), hanno di fatto determinato un risvolto sfavorevole generando concreti elementi di criticità;
   da metà del 2009 si è sviluppata sulla stampa, ed è tutt'ora in corso, una vasta campagna, l'ennesima (almeno la quinta/sesta da metà degli anni ’80) verso i cosiddetti «falsi invalidi», ovvero coloro che ricevono una pensione di invalidità senza possederne i requisiti di accesso, a seguito di truffe, magari con connivenze di funzionari di enti o medici delle commissioni competenti; una campagna che ha ben veleggiato sorretta dai venti della crisi e della moralizzazione;
   i titoli sui giornali si sono sprecati: «Napoli: falsi invalidi leggono e camminano», «È falso un invalido su 4», «Con i soldi dei falsi invalidi la camorra paga gli stipendi del clan», «Cieco e guida l'auto», «Ciechi che leggono i giornali. Paralitici che guidano e camminano. Quello dei falsi invalidi in Italia è un universo che non conosce confini», «...si risparmieranno miliardi»; si tratta di titoli in cui, oltre al tema della truffa, si annidano anche i luoghi comuni per cui i disabili non leggerebbero, non camminerebbero, non guiderebbero l'auto, non lavorerebbero;
   il I rapporto nazionale sull'invalidità civile di Cittadinanzattiva ha messo a disposizione delle istituzioni tutte, della politica, degli operatori socio sanitari, delle organizzazioni di cittadini e di pazienti, nonché dell'opinione pubblica, un quadro esauriente e attendibile di informazioni e dati sul procedimento di riconoscimento delle minorazioni civili (invalidità civile, accompagnamento), al fine di valutare lo stato di attuazione dell'articolo 38 della Costituzione italiana che garantisce il diritto all'invalidità civile e all'assistenza sociale: le evidenze raccolte e catalogate sono state lette in modalità integrata con i dati istituzionali prodotti dalla stessa Corte dei conti, che ogni anno svolge un'attività di controllo sulla gestione finanziaria dell'INPS. La più recente attività di controllo della Corte dei conti è riportata all'interno della «relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2011» approvata con determinazione n. 91/2012 (novembre);
   i dati emergenti dalle fonti ufficiali sono inequivocabili e preoccupanti: mentre si spende e si spande per la lotta ai falsi invalidi, il cittadino che prova a far domanda per l'invalidità si scontra con un percorso labirintico e ostile con la burocrazia e la scarsa informatizzazione del sistema e attende in media un anno per ottenere i benefìci economici connessi contro i 120 giorni stabiliti dalla legge;
   ad esser lento e farraginoso è tutto il percorso per l'accesso alla invalidità civile, con tempi più lunghi rispetto all'anno precedente: solo per essere convocati a prima visita passano in media 8 mesi rispetto ai 6 del 2011, 11 mesi per ricevere il verbale rispetto ai 9 dell'anno precedente;
   secondo la Corte dei conti (relazione 2012), si attendono in media, dalla presentazione della domanda alla chiusura dell’iter, 278 giorni per accertare la invalidità, 325 per la cecità civile, 344 per la sordità. I costi di tali ritardi ammontano nel solo 2011 a 24 milioni di euro; se a questi si aggiungono i 34 milioni di euro di spesa per medici convenzionati INPS, si è ad un totale di 58 milioni di euro di fatto «bruciati» dalla cosiddetta caccia ai falsi invalidi che, secondo il rapporto 2012 della Guardia di finanza, sono poco più di 1.000, pari allo 0,04 per cento degli aventi diritto;
   altrettanto inconfutabile appare il dato che i medici impiegati per le attività di verifica straordinaria siano stati di fatto sottratti alla attività ordinaria per la concessione della invalidità: nel 2011 essi sono stati regolarmente presenti nelle commissioni asl in poco più di un caso su tre (tasso di presenza del 37,7 per cento rispetto al 46 per cento del 2010). A tutto ciò si aggiunga la scarsa informatizzazione delle asl che hanno trasmesso in formato elettronico all'INPS solo il 56 per cento dei verbali. Il restante 44 per cento in formato cartaceo ha comportato un dispendio di risorse e tempo per l'inserimento nella piattaforma INPS. Per contro oltre il 45 per cento dei cittadini che avanza domanda di invalidità, si scontra con la lentezza dell’iter burocratico;
   è evidente dunque come il fenomeno sia davvero molto limitato e meno rilevante in termini numerici di quello che invece si vuole far apparire; è infatti certo il dato che la ricerca ossessiva dei falsi invalidi, strutturata così com’è, risulta controproducente, riuscendo a recuperare molto meno di quello che spende per stanare i «veri falsi invalidi» e complica la vita agli invalidi veri; peccato che sulla stampa italiana per più due anni abbia fatto notizia solo quello 0,04 per cento di «veri falsi invalidi» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno:
    a) fornire elementi sulle difficoltà che oggi vanificano il procedimento di riconoscimento delle minorazioni civili da parte dei cittadini, nonché sui provvedimenti che si intendono adottare per la loro risoluzione;
    b) avviare iniziative, anche di carattere normativo, più appropriate di quelle attualmente in atto, utili a garantire finalmente una concreta semplificazione dell'attuale iter amministrativo di riconoscimento dell'invalidità civile;
    c) avviare contro il fenomeno delle assegnazioni indebite delle indennità azioni ad hoc anche nei confronti dei funzionari che violano le norme e non soltanto controlli, in molti casi vessatori, nei confronti dei cittadini. (4-01640)


   CANCELLERI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dalla pubblicazione della legge di stabilità sono trascorsi quasi sette mesi e dalla pubblicazione del terzo decreto di salvaguardia («10.130 esodati», datato 22 aprile 2013 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2013) sono passati oltre 40 giorni, ma della circolare operativa dell'INPS, preannunciata nel messaggio INPS n. 8824 del 30 maggio 2013, relativa all'articolo 2 punto 1 lettera b) (contributori volontari), non vi è ancora nessuna traccia;
   il «Comitato Autorizzati alla Contribuzione Volontaria», ha appreso da notizie certe provenienti dall'INPS che, nel corso della riunione congiunta INPS-Ministero, tenutasi venerdì 28 giugno presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stata discussa la bozza di circolare operativa, e che, prima di emettere la predetta circolare, l'ufficio normativo INPS attende le conclusive determinazioni in merito da parte del Ministro Professor Giovannini per il tramite dell'ufficio legislativo del Ministero diretto dal dottor Contessa;
   purtroppo, dobbiamo registrare in questi giorni la pubblicazione da parte dell'INPS di messaggi e circolari su questioni di minore importanza (elenco delle strutture per cure termali, eccetera), ma per la disposizione normativa citata, fondamentale per la vita di migliaia di persone e famiglie, continua a permanere un assordante e preoccupante silenzio;
   questo inspiegabile silenzio dell'ufficio legislativo ministeriale diretto dal dottor Contessa, fa temere che si possa consumare un ulteriore danno nei confronti della categoria più debole degli esodati: i contributori volontari, già più volte fortemente e arbitrariamente penalizzati con i precedenti decreti attuativi dell'articolo 24, comma 14, e 15 della legge n. 214 del 2011;
   il danno è stato perpetrato, in particolare, nei confronti dei contributori volontari che non avevano stipulato alcun accordo all'esodo, ma che bensì hanno visto interrompersi bruscamente l'attività lavorativa, già diversi anni fa, ben prima della Legge Fornero, per fine di contratti a termine, per fallimenti aziendali, professioni stagionali;
   si tratta di ex lavoratori che, in gran parte, dopo l'autorizzazione alla contribuzione volontaria hanno avuto la ventura di accettare lavori a termine per mandare avanti la famiglia, pur nel pieno rispetto delle leggi vigenti sulla contribuzione volontaria che, come Voi ben sapete, non vieta la ripresa lavorativa dopo l'autorizzazione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che dopo 7 mesi si debbano avere risposte certe da Ministero e INPS su che fine ha fatto la circolare operativa Inps riguardante il terzo decreto di salvaguardia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2013 relativa all'articolo 2, punto 1, lettera b) o che venga emessa con una circolare al più presto e che soprattutto, sia rispondente alla corretta interpretazione della legge di stabilità contenuta nel parere delle Commissioni speciali parlamentari. (4-01649)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CENNI, FIORIO, ZANIN, LENZI, DAL MORO, VALIANTE, MONGIELLO, TERROSI, LUCIANO AGOSTINI, VENITTELLI, OLIVERIO, CARRA, COVA e FABBRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura rappresenta un settore fondamentale per lo sviluppo sostenibile, occupazionale, sociale ed economico del nostro Paese. Un comparto che registra, comunque da anni, nonostante la tenuta occupazionale segnali allarmanti per quanto riguarda il reddito agricolo, ed il ricambio generazionale;
   promuovere l'accesso dei giovani e sostenerne l'attività che per dare nuovo impulso al settore agricolo è un processo ampiamente condiviso da istituzioni e associazioni di categoria. Il progressivo abbandono da parte della campagne coltivate ha visto crescere, secondo le cifre diffuse da alcune associazioni di settore, sino a cinque milioni gli ettari sottratti all'agricoltura negli ultimi 40 anni. È inoltre emerso da uno studio elaborato dalla facoltà di agraria dell'università di Firenze che si è passati, negli ultimi 100 anni, da 23 a 13 milioni di ettari di terreni agricoli; sono stati abbandonati mediamente 100mila ettari di terreno all'anno;
   nel nostro Paese il tasso di ricambio generazionale, nel comparto agricolo, risulta particolarmente basso e difficoltoso. Le implicazioni in termini di produzione e competitività, in questo caso divengono tanto più stringenti se si considera che, secondo i dati dell'ultimo Censimento Istat, gli over 65 in Italia conducono un quarto della Sau (Superficie agricola utilizzata) in Italia e producono un quinto dell'intera produzione.
   in Italia, questo fenomeno è più grave rispetto agli altri paesi dell'Unione. Secondo l'Eurostat solo il 5 per cento delle aziende italiane è condotto da giovani under 35, mentre la stessa incidenza raggiunge il 9 per cento in Francia o più del 10 per cento in Polonia o in Repubblica Ceca. Se poi si guarda al tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra under 35 anni e over 55, viene fuori con maggiore evidenza la problematica strutturale sottesa al ricambio generazionale: nel 2010 in Italia il tasso di sostituzione era pari all'8 per cento contro il 20 per cento di Francia e Germania o il 52 per cento della Polonia;
   i dati relativi all'attività dei giovani nel settore agricolo testimoniano comunque che le aziende, in Italia, a conduzione «under, 40» registrano buoni risultati per quanto riguarda l'attività imprenditoriale, la promozione di nuovi sistemi produttivi e soddisfacente penetrazione nei mercati internazionali. Ciò che emerge con forza è quindi che le aziende condotte da giovani riescono ad impiegare in modo più produttivo entrambi i fattori, terra e lavoro, rispetto ai loro colleghi;
   altri fattori di criticità, secondo il rapporto Inea 2013 sullo stato dell'agricoltura, che scoraggiano il ricambio generazionale sono:
    le difficoltà di accesso al credito nonostante siano stati attivati protocolli d'intesa fra il sistema bancario e le organizzazioni professionali;
    la scarsa mobilità fondiaria dei terreni agricoli; l'entità delle compravendite in un anno difficilmente raggiunge il 2 per cento della superficie totale. Le motivazioni che sottostanno a questo fenomeno derivano da una forte segmentazione del mercato e dei prezzi, che sono influenzati a loro volta dalle dotazioni infrastrutturali e dalla produttività della terra, nonché dall'atteggiamento «attendista» qualora il fondo agricolo, anche solo potenzialmente, possa avere una variazione nella destinazione d'uso;
   secondo quanto reso noto da alcune associazioni agricole di categoria il costo medio della terra in Italia è nettamente superiore agli altri Stati europei: se in Francia un ettaro costa in media 5.500 euro e in Germania 6.500 euro, in Italia un ettaro di terreno viene quotato intorno ai 18 mila euro;
   va sottolineato altresì che in Italia il ricorso all'affitto dei terreni è piuttosto modesto soprattutto se confrontato con altre realtà agricole europee;
   è utile rimarcare, in questo contesto, l'esperienza della Francia che da sempre agevola e supporta l'insediamento dei giovani agricoltori intervenendo su tre fronti: l'accesso alla terra il subentro e le facilitazioni per il credito:
    per quanto attiene all'accesso alla terra, «Les sociétés d'aménagement fonder et d’établissement rural» (Safer), creata alla fine degli anni cinquanta, ha sempre supportato l'insediamento dei giovani agricoltori anche attraverso l'acquisizione di terreni. Ad esempio, nel 2010 Safer ha acquisito 74.800 ettari di terreno del valore di 791.000 euro;
    il «Programme pour l'Installation et le Développement des Initiatives Locales» (Pidil), aiuta al subentro di giovani agricoltori in azienda. Il programma viene gestito a livello locale dalle Camere per l'agricoltura, che si sono dotate di uno sportello per le informazioni sull'insediamento nell'impresa agricola;
    per migliorare le condizioni creditizie accordate ai giovani, lo Stato cofinanzia il prestito con la partecipazione dell'Unione europea. Il prestito erogato da una rete di banche autorizzate a livello nazionale. Può essere richiesto da un giovane agricoltore per finanziare l'acquisizione del capitale dell'impresa (immobilizzazioni e attrezzature), l'acquisto della terra e le spese di modernizzazione dell'azienda;
   sempre in Francia va citata l'esperienza delle «Terre des Liens»; un associazione impegnata a riattivare le zone rurali, ormai spopolate a causa della forte urbanizzazione, e a sostenere stili di vita e pratiche agricole rispettose dell'uomo e dell'ambiente. Due sono gli strumenti utilizzati: la Fondiaria Terre de Liens e la Fondazione Terre de Liens. La Fondiaria raccoglie i risparmi dei cittadini per acquistare terreni che vengono poi affittati ad agricoltori o imprese agricole. La Fondazione gestisce un fondo di dotazione, che permette di raccogliere donazioni da destinare a progetti agro-rurali;
   sono già presenti, nel nostro ordinamento, misure che promuovono il ricambio generazionale in agricoltura e l'utilizzo dei terreni non coltivati;
   l'approvazione della legge n. 183 del 2011 prevede infatti dismissioni di terreni agricoli dello Stato o di enti pubblici nazionali, attribuendo ai giovani un diritto di prelazione nel processo di alienazione. In particolare l'articolo 7 di tale legge dispone che l'Agenzia del demanio debba curare l'alienazione dei terreni agricoli di proprietà dello Stato non utilizzabili per altre finalità istituzionali, ricorrendo alla trattativa privata per gli immobili di valore inferiore a 400 mila euro, e mediante asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a 400 mila euro. Per le stesse finalità e con le medesime modalità anche le regioni, le province e i comuni possono vendere i beni di loro proprietà aventi destinazione agricola, anche avvalendosi dell'Agenzia del demanio. I proventi netti derivanti dalle operazioni di dismissione sono destinati alla riduzione del debito pubblico;
   in seguito con la legge n. 214 del 2011 sono state inserite ulteriori norme volte ad agevolare la vendita di terreni agricoli di proprietà dello Stato o di altri enti pubblici anche territoriali;
   successivamente con il decreto-legge n. 1 del 2012 è stata prevista all'articolo 66, una nuova disciplina per la dismissione; in particolare, al comma 1, è previsto che «entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con decreto di natura non regolamentare da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, anche sulla base dei dati forniti dall'Agenzia del demanio nonché su segnalazione dei soggetti interessati, individua i terreni agricoli a vocazione agricola, non utilizzabili per altre finalità istituzionali, di proprietà dello Stato non ricompresi negli elenchi predisposti ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, nonché di proprietà degli enti pubblici nazionali, da locare o alienare»; è utile ricordare che già in quella occasione fu il Parlamento ad intervenire per introdurre la forma dell'affitto, nella consapevolezza che pochi giovani sono in grado di acquistare superfici coltivabili;
   il Ministro interrogato, in data 12 giugno 2013, nel corso dell'audizione presso le Commissioni competenti del Parlamento ha dichiarato, nel suo intervento sulle linee programmatiche, che intende «dare concreta attuazione alle disposizioni contenute nell'articolo 66 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, in tema di dismissioni dei “Terreni demaniali”. A tal fine, ho attivato una verifica sugli immobili che possono essere messi a disposizione dei giovani e sto lavorando insieme alla Cassa depositi e prestiti per individuare misure di immediata applicazione»;
   secondo quanto è emerso da fonti stampa la Cassa depositi prestiti avrebbe la funzione di assegnare un prezzo ai terreni demaniali, di acquisirli consentendo allo Stato di fare cassa e di metterli successivamente sul mercato;
   se così fosse non risulterebbero affatto chiari i criteri, i tempi e le modalità con i quali si farebbe riferimento ai provvedimenti sopracitati ed in particolare della legge n. 183 del 2011, sia per l'alienazione che per l'affitto;
   proprio dalle agenzie stampa del 12 giugno 2013 si apprende dalle dichiarazioni del direttore generale Stefano Scalera che «per quanto riguarda i terreni agricoli, l'Agenzia del demanio ha individuato, per quanto di propria competenza, l'elenco dei terreni dalla stessa gestiti, assoggettabili alle procedure di alienazione o locazione. L'attuazione della norma è condizionata dall'emanazione da parte del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del decreto ministeriale che deve individuare, oltre ai terreni coinvolti (dello Stato e degli enti pubblici nazionali) anche le modalità di alienazione e locazione»;
   secondo alcune stime tale decreto, richiesto insistentemente anche dalle associazione agricole di categoria, «svincolerebbe» infatti circa 380 mila ettari, promuovendo potenzialmente la creazione di circa 50mila nuove imprese;
   sin dal 2008 vari Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali hanno annunciato provvedimenti utili ad incentivare l'avvio di nuove imprese agricole utilizzando terre demaniali o comunque non coltivate, conseguenti a censimenti e norme di assegnazione e puntualmente tali provvedimenti non hanno visto una loro concretizzazione –:
   se il Ministro interrogato possa fornire date e passaggi certi sulla tempistica di emanazione del decreto ministeriale previsto dall'articolo 66 della legge n. 1 del 2012, atteso inizialmente entro il 30 giugno 2012, nonché elementi sui contenuti di tale provvedimento;
   se non ritenga necessario prevedere, per le problematiche esposte in premessa, che una quota dei «beni terreni agricoli a vocazione agricola, non utilizzabili per altre finalità istituzionali, di proprietà dello Stato» venga affittata, messa a disposizione anche attraverso altre modalità e non solo venduta, ai giovani agricoltori che ne facciano richiesta;
   in cosa consisterebbe, nel dettaglio, la collaborazione della Cassa depositi e prestiti con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per la vendita dei beni demaniali annunciata dallo stesso Ministro, e se tale iniziativa sia in piena conformità con i principi e le finalità della normativa in materia ed in particolare della legge n. 183 del 2011;
   se non ritenga utile, al fine di promuovere il ricambio generazionale in agricoltura, intraprendere iniziative innovative anche normative sull'esempio di altri Stati europei come la Francia, riportati in premessa. (5-00906)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le quote latte sono state introdotte dal regolamento comunitario 856/1984 del 31 marzo 1984, sostituito poi dal regolamento 3950/92 del 28 dicembre 1992 ed infine dal regolamento 1788/2003 del 29 settembre 2003 che impone agli allevatori europei un prelievo finanziario per ogni chilogrammo di latte prodotto oltre un limite stabilito (quota latte). Le quote introdotte nel 1984, furono calcolate sommando i quantitativi di latte consegnati dai produttori alle imprese di trasformazione, sui dati dell'anno precedente: 8823 migliaia di tonnellate. Dato che venne fin da subito contestato dalle associazioni di categoria perché sottostimato rispetto alla reale produzione. Molti produttori hanno contestato l'attendibilità delle cifre relative alla produzione di latte nel 1981 sostenendo che è stata sottostimata la produzione effettiva, è probabile che tale rilievo di sottoproduzione, e non di eccesso rispetto al fabbisogno, sia dovuto alla tradizione italica di «fare in nero», cioè non dichiarare mai «il giusto»;
   dieci anni più tardi, il Consiglio Europeo a Lisbona ammise un aumento delle quote per l'Italia, alzando l'asticella a 9,9 milioni di tonnellate. Ma questo aumento era soggetto ad una verifica annua. In sostanza, un allevatore può produrre e commercializzare latte anche oltre la propria quota, salvo avere la consapevolezza di incorrere, così facendo, nel pagamento di un tributo (il prelievo supplementare) molto elevato, tanto da rendere fortemente anti-economica tale produzione e relativa commercializzazione. Sono stati molti gli allevatori a non attenersi al regime delle quote incorrendo nelle sanzioni;
   la Commissione Europea con il documento di costituzione in mora relativo alla procedura di infrazione n. 2013/2092, con cui si richiede allo Stato Italiano la riscossione presso gli allevatori delle multe attualmente esigibili attinenti all'applicazione del regime quote latte, afferma al paragrafo 45, che un rapporto del Comando Carabinieri Politiche Agricole (presumibilmente la Relazione di Approfondimento sui dati utilizzati per il calcolo del prelievo supplementare del 15 aprile 2010) ha «gettato dubbi sulla maniera in cui la produzione di latte è stata contabilizzata», precisando però che le contestazioni di detto rapporto sono state duramente contestate dal Ministero dell'agricoltura, da Agea e dal Commissario Straordinario di governo per le quote latte. Sul punto è da segnalare, agli atti del procedimento pendente presso la procura di Roma, una intercettazione ambientale fra l'allora Capo di Gabinetto del Ministero dell'agricoltura dottor Giuseppe Ambrosio, recentemente coinvolto in un'inchiesta giudiziaria, e posto agli arresti e il colonnello Mantile, l'ufficiale di polizia giudiziaria incaricato delle indagini sulle quote latte. Dalle parole captate al dottor Ambrosio risulta la incontrovertibile volontà dell'amministrazione e dei vertici del Ministero dell'agricoltura di richiedere ai Carabinieri delegati alle indagini di sovvertire le risultanze della relazione di approfondimento del 15 aprile 2010 in quanto non sostenibili politicamente anche in sede comunitaria;
   la relazione amministrativa di approfondimento del 15 aprile 2010 che nelle conclusioni poneva seri dubbi sull'attendibilità dei prelievi supplementari dalla campagna 1995/96 alla campagna 2008/09 è stata precursore delle successive indagini di polizia giudiziaria delegate dalla Procura di Roma con procedimento n.33068/2010 e da oltre 30 procedimenti pendenti presso altrettante procure sparse sul territorio nazionale;
   il pubblico ministero responsabile del procedimento di Roma con la propria richiesta di archiviazione presso il Gip e smentendo la possibilità di configurazione di episodi di rilevanza penale afferma: «si evidenziano in modo generico condotte truffaldine volte ad alterare i dati relativi alla produzione di latte senza tuttavia specificare in modo chiaro a quale soggetto ascrivere tali condotte»;
   si rileva che i tre enti citati dalla Commissione Europea oppostisi alla relazione amministrativa del 15 aprile 2010 sono stati oggetto recentemente di frequenti visite della guardia di finanza, avvisi di garanzia, arresti e più generalmente inchieste da parte della magistratura sulla gestione di tali enti;
   nelle copiose informative di polizia giudiziaria inviate alla Procura di Roma viene evidenziato come alcuni funzionari di Agea e dell'istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo, detentore dell'anagrafe bovina, si accordarono per alterare l'algoritmo di estrazione dalla banca dati dell'anagrafe delle vacche produttrici di latte, in maniera che il totale delle bovine nazionali risultasse compatibile con le produzioni di latte dichiarate alla Ue. In violazione dell'articolo 5 della legge 119/03 venivano falsati i parametri del numero delle vacche al fine di renderli coerenti con le produzioni individuali dichiarate affinché i controlli previsti dalla normativa risultassero senza segnalazioni. Gli organi di polizia giudiziaria hanno poi evidenziato come 300.000 vacche da latte su un totale di circa 1.600.000 avessero un età compresa fra i 10 anni e 88 anni; elemento impossibile da giustificare in quanto l'età media di una bovina da latte difficilmente oltrepassa gli 8 anni;
   un'altra anomalia evidenziata dalle informative, riguarda la mancata revoca delle quote latte non prodotte. In base alla legge un produttore che non utilizzava per almeno il 70 per cento la propria quota latte in un determinato anno, Agea doveva disporre la revoca della quota non prodotta. Le quote non prodotte avrebbero dovuto confluire nella riserva nazionale per essere poi riassegnate ai produttori con esuberi produttivi al fine di riequilibrare quota e produzione. È risultato dalle informative che questa disposizione è stata raramente attuata dall'amministrazione al punto che al 31 marzo 2006 sono risultati illecitamente assegnate (per mancate riduzioni di quote) quote per circa 700.000 quintali. Si rammenta che le quote latte assegnate al 31 marzo 2006 sono state oggetto della fissazione dei diritti Pac sul latte sino al 2015; per questo motivo le illegittimità poste in essere da Agea e dalle regioni non solo hanno procurato un danno irreparabile a quegli allevatori i quali legittimamente vantavano l'aspettativa di una riassegnazione delle quote revocate al fine di ridurre l'entità della propria multa ma hanno anche causato un danno all'erario comunitario in virtù dei contributi agricoli illecitamente attribuiti;
   emerge il dato che, ciclicamente, è stata data la possibilità da parte dei vertici politici del Ministero dell'agricoltura, di contestazione di tali risultanze proprio dai funzionari direttamente chiamati in causa dalle risultanze sopracitate. Queste contestazioni sono state utilizzate anche da alcuni partiti politici, così come più volte riportato dalla stampa e dai media e come visto sopra addirittura dalla Commissione Europea per screditare le investigazioni delle forze dell'ordine;
   l'applicazione del regime quote latte sarebbe costata all'erario 4407 milioni di euro, ma finora nessuno ha informato nel dettaglio importi e responsabilità. Le multe per esuberi produttivi dal 1989 al 1993, periodo di gestione del bacino unico della quota nazionale da parte di Unalat ammontano a 1870 milioni di euro così come da accordo Ecofin del 21 ottobre 1994. Sul punto la Procura della Corte dei conti del Lazio con atto di citazione del 3 settembre 1998 a Unalat imputa a quest'ultima la responsabilità del pagamento delle multe sopracitate in quanto avrebbe dichiarato alla Ue produzioni di latte palesemente sovrastimate in contrasto con i dati più contenuti e maggiormente attendibili dell'allora Aima;
   le multe per esuberi produttivi dal 1995 al 2001 periodo concernente l'accordo Ecofin del 16 luglio 2003, il quale ha concesso la rateizzazione dei prelievi in 14 anni senza interessi da parte dei produttori, ammontano a 1386 milioni di euro. La concessione della rateazione di cui sopra è risultata possibile previo accollo allo Stato italiano dell'intero debito del periodo verso la comunità così come previsto dalla decisione del Consiglio europeo del 16 luglio 2003 (2003/530/Ce). Lo Stato italiano si è addossato l'onere di tali importi anche se con sentenza della Corte di giustizia C-277/98 del 13 novembre 2001 si disponeva che la Commissione europea nulla poteva trattenere dai fondi Feoga nella eventualità di mancati versamenti dei prelievi sulle quote latte da parte di Stati membri nel caso questi prelievi fossero sospesi dalle autorità giurisdizionali dello Stato. Come si ricorda a luglio 2003 tutte le multe individuali erano sospese dai Tar e tribunali civili per cui risulta incomprensibile il motivo per cui lo stato italiano si sia addossato un onere talmente imponente in assenza di alcun rischio di decurtazione dei fondi spettanti allo stato italiano;
   per tutte le multe dal 1995 al 2008 ammontanti a 2537 milioni di euro, sia la relazione amministrativa di approfondimento del Comando carabinieri politiche agricole che le successive indagini di polizia giudiziaria hanno evidenziato che sono sfornite dei fondamentali requisiti di certezza e più generalmente calcolate su dati dubbi se non dolosamente artefatti;
   con la legge 228 del 2012 è stato previsto che Agea al fine della riscossione delle multe per esubero dalle quote latte si avvalga di Equitalia per la riscossione tramite ruolo. Recentemente la stessa Agea ha provveduto ad inviare agli allevatori migliaia di intimazioni di pagamento delle multe esigibili, atto precursore dell'inoltro della cartella esattoriale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati;
   se, visto il quadro di totale incertezza dei dati di produzione del latte alla base delle multe dal 1995/96 al 2008/09, non sussista l'opportunità di sospendere quantomeno le operazioni di riscossione esattoriale che, dati gli importi, costringerebbero all'automatica chiusura le aziende agricole interessate;
   se non reputino di procedere alla continuazione delle operazioni di controllo dei dati produttivi del latte, inopinatamente sospesi dall'ex presidente di Agea Dario Fruscio sotto il dicastero dell'Agricoltura retto da Mario Catania. (5-00912)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni nel mese di agosto si applica il fermo biologico della pesca a strascico;
   dal 2012 il fermo è stato prolungato dai 30 giorni iniziali, a 45 giorni con una disciplina post fermo molto penalizzante per alcune marinerie;
   il fermo 2013 divide in due la fascia costiera adriatica: alto Adriatico e basso Adriatico individuando due diverse date di inizio fermo;
   il periodo estivo risente della mancanza di pesce fresco soprattutto per la ristorazione nei luoghi a più forte impatto turistico;
   il settore ittico è attraversato da una forte crisi economica particolarmente accentuata dall'aumento del prezzo del carburante;
   da anni le marinerie e la comunità scientifica auspicano un fermo biologico fatto in maniera diversa, scegliendo un periodo diverso dall'attuale;
   il fermo pesca 2012 è stato pagato in tutta Italia tranne che per alcune marinerie delle Marche in particolare quella di San Benedetto del Tronto;
   il pagamento del fermo 2013 dovrà essere liquidato a tutte le marinerie nello stesso periodo evitando la discrezionalità come avvenuto in passato –:
   se il Ministro intenda aprire una discussione tra le marinerie e la comunità scientifica per modificare il fermo biologico 2014, anche in considerazione dell'entrata in vigore della nuova politica comune della pesca;
   se si intendano assumere iniziative per diminuire le difficoltà derivanti dalla situazione post fermo nella zona del basso Adriatico;
   perché non sia stato ancora pagato il fermo pesca del 2012 di alcune marinerie delle Marche;
   se per il 2013 saranno eliminate tutte le lungaggini relative alla liquidazione dell'indennità del fermo biologico, assicurando che questo venga fatto con criteri e modalità oggettivi e non discrezionali come avvenuto fino ad ora. (4-01642)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa riportate sui quotidiani italiani del 6 agosto 2013, si è appreso la notizia della morte di una donna di 40 anni, la signora Antonella Seminara, residente a Gangi, in provincia di Palermo, in seguito a complicazioni post-parto, durante il trasporto in elisoccorso all'ospedale di Sciacca (Agrigento);
   la signora Seminara, all'ottavo mese di gravidanza, era giunta all'ospedale «Basilotta» di Nicosia (Enna), dove era stata sottoposta ad un parto cesareo d'urgenza a causa del distacco della placenta;
   il bimbo era purtroppo nato morto e, a causa delle gravi complicazioni sopravvenute, si era reso necessario il trasporto in elicottero presso una struttura ospedaliera che disponesse di posti liberi nel reparto di rianimazione anche perché l'ospedale «Basilotta» non dispone di tale reparto;
   in quel momento non c'erano posti liberi in rianimazione negli ospedali delle province di Enna, Caltanissetta e Catania e pur disponendo il trasferimento della signora Seminara all'ospedale «Giovanni Paolo II» di Sciacca (Agrigento), con l'elicottero proveniente da Caltanissetta ciò non era stato immediatamente attuabile a causa di un guasto tecnico del mezzo sostituito solo dopo due ore con un altro proveniente da Palermo;
   ai primi accertamenti da parte delle autorità competenti, è emerso che dei 16 centri di rianimazione presenti in Sicilia, solo la metà risultano essere in funzione, ma in condizioni di sovraffollamento –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, al fine di accertare le cause dei tragici fatti richiamati in premessa e di verificare se vi siano stati ritardi o errori imputabili ai servizi o alle strutture sanitarie citate;
   come intenda verificare, nella salvaguardia delle competenze regionali in materia, se le modalità di erogazione del servizio sanitario in Sicilia avvengano nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza che devono essere assicurati alla collettività sull'intero territorio nazionale, anche con riferimento all'espletamento del servizio di soccorso ed emergenza del 118 tramite elicottero.
(2-00190) «Culotta, Iacono, Sbrollini, Giovanna Sanna, Moscatt, Albanella, Amoddio, Lattuca, Crivellari, De Maria».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BELLANOVA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la celiachia è un'intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente nel frumento, orzo, farro, segale, avena e kamut e, di conseguenza, in moltissimi alimenti quali pane, pasta, biscotti, pizza ed ogni altro prodotto contenente questi cereali; la malattia celiaca rappresenta una condizione clinica di ampia rilevanza sociale, che, se non diagnosticata o non trattata adeguatamente nei suoi molteplici aspetti, comporta un peggioramento nel tempo delle condizioni di salute e di vita dei pazienti con conseguente aggravio della spesa sanitaria;
   in Puglia, i dati ufficiali, confermati dall'Associazione italiana celiachia Puglia, indicano una prevalenza di oltre ottomila persone ed i dati sui soggetti affetti dalla patologia, purtroppo sono in continuo aumento;
   la norma statale (legge quadro 4 luglio 2005, n. 123), relativa alla protezione dei soggetti affetti da celiachia, fissa degli obiettivi da raggiungere ed affida allo Stato ed alle regioni una serie di interventi idonei, tra l'altro, a prevenire e monitorare le patologie associate; proprio per assicurare un management assistenziale «integrato» ovvero completo, al paziente celiaco, il 1o settembre 2006 viene attivato a Taranto, in via sperimentale, un ambulatorio integrato di celiachia presso la struttura semplice di fisiopatologia digestiva-celiachia del P.O. «SS. Annunziata». Si tratta di un modello unico ed innovativo (primo in ordine di tempo in Italia) di presa in carico del paziente, reso possibile grazie alla collaborazione dell'azienda sanitaria locale di Taranto con l'Associazione italiana celiachia Puglia, a mezzo convenzione (delibera del D.G. n. 1551 del 17 luglio 2006) con un costo complessivo di euro 36.000 (trentaseimila/00) anno. Tale collaborazione, attraverso le sinergie che è stata in grado di esprimere, ha rappresentato un modello operativo oggetto di attenzione sia a livello regionale che nazionale, anticipando i contenuti in tema di celiachia non solo della regione Puglia, ma anche delle regioni Liguria, Toscana, Trentino e altre. Nello specifico, il supporto di AIC Puglia integrandosi con le attività dell'ambulatorio di celiachia e fisiopatologia digestiva si è tradotto nel rispetto dell'articolo 3 della convenzione in parola, focalizzandosi principalmente sulle criticità indicate dal dirigente del servizio: prevenzione delle complicanze legate alla malattia; monitoraggio delle patologie associate; garanzia del follow up dei pazienti; sviluppo di attività di educazione sanitaria, educazione alimentare gluten free in particolare, ed educazione alimentare in generale;
   su indicazioni del dirigente ASL, le attività nutrizionali, fino a sospensione del servizio, si sono svolte nell'arco di 6 giorni settimanali di cui 5 sedute antimeridiane e 2 pomeridiane, di cui una il sabato – queste ultime nell'ottica di una demedicalizzazione, al fine di garantire l'accesso a utenti impegnati in attività lavorative o studentesche, quindi impossibilitati all'accesso antimeridiano;
   nel periodo di attività sono stati eseguiti su indicazione del dirigente e sotto la sua supervisione le seguenti attività: follow up nutrizionale, counselling sugli aspetti generali della gestione dietetica della celiachia, counselling sugli aspetti educazionali alimentari, attivazione di un centro permanente di ascolto giovani per la prevenzione dei disturbi alimentari nei celiaci nella fascia di età compresa fra i 12 e i 35 anni, attività di prevenzione delle complicanze e monitoraggio delle malattie associate alla celiachia; nell'ambito delle azioni integrate con l'ambulatorio, sono stati curati gli aspetti della dieta gluten free in eventi e seminari come sotto specificato: evento formativo sulla celiachia, strutturato su una serie d'incontri con pazienti celiaci e aperti alle famiglie evento realizzato ogni anno dal 2007 al 2011; seminari informativi sulla tematica celiachia destinato alle quinte classi degli istituti scolastici secondari della provincia di Taranto (di seguito elencati): nel 2007 (Pitagora, Quinto Ennio, Pacinotti, Righi), nel 2008 (Aristosseno, Cabrini, Maria Pia, Battaglini), nel 2009 (Pitagora, Quinto Ennio, Pacinotti, Righi), nel 2010 (Aristosseno, Cabrini, Maria Pia, Battaglini), nel 2011 (Perrone, Cacace, Einstein) e nel 2012 (Pacinotti, Perrone); collaborazione (2008) con il SIAN ASL TA per la realizzazione di corsi per la ristorazione rivolti al paziente celiaco presso gli istituti alberghieri di Maruggio e Leporano; attività di tutoraggio formativo pre-post laurea a beneficio di tirocinanti: uno nel 2007, due nel 2008, quattro nel 2009, 2010, 2011 rispettivamente e due nel 2012;
   suddetta sinergia con la struttura di fisiopatologia digestiva-celiachia ha contribuito in modo significativo alla ottimizzazione del management assistenziale del paziente celiaco, soddisfacendo le indicazioni in materia della legge quadro n. 123 del 2005. Non solo, tale esperienza, attraverso le attività di sopra specificate, ha espresso enormi potenzialità di collaborazione, altresì, con le strutture di reumatologia, medicina nucleare, allergologia. Quanto svolto da AIC, attraverso proprio personale, altamente qualificato nelle problematiche connesse alla celiachia, non può essere inteso (vista la quantità d'interventi e la consistente numerosità della platea di pazienti) come momento concorrenziale all'attività svolta da risorse umane interne alla azienda, ma semmai come una specificità, un valore aggiunto, suffragato dalle leggi in materia: articolo 2, comma 3, legge n. 123 del 2005, deliberazione della giunta regionale n. 502 del 2008, deliberazione della giunta regionale n. 1722 del 2012, piano regionale della salute 2008-2010, approvato con legge regionale 19 settembre 2008, n. 23. Infatti, il valore aggiunto e la specificità sono avvalorati dalla complessità della malattia celiaca, soprattutto nella componente gestionale della dieta, che richiede personale specializzato e formato, ma soprattutto dedicato ad hoc; il numero rilevante di pazienti ha ricevuto assistenza, informazione e risposte attraverso l'Associazione che garantiva, con proprio personale la continuità assistenziale integrata e «dedicata», con costi contenuti;
   su questo fronte, l'Associazione italiana celiachia è da sempre impegnata istituzionalmente nella formazione di figure professionali (dietisti) esperti nelle problematiche relative alla malattia celiaca, ruolo istituzionale ufficialmente riconosciuto dalla già citata deliberazione della giunta regionale n. 1722 del 2012, nel quale si fa esplicito riferimento in ordine alla collaborazione di AIC Puglia con le ASL per le attività correlate sul territorio; per quanto attiene all'esperienza dell'ambulatorio celiachia di Taranto, la collaborazione con l'AIC avviata nel 2006, ha consentito, come detto, una ottimizzazione della gestione delle problematiche connesse al regime gluten free, in stretta integrazione con le attività medico-assistenziali e di screening ed, inoltre, di strutturare un ambulatorio integrato di celiachia; i risultati, raggiunti attraverso la predetta collaborazione, sono stati materia di insegnamento nel master di 2o livello in dietetica e nutrizione clinica della facoltà di medicina e chirurgia dell'università degli studi di Siena nell'anno accademico 2010-2011;
   l'attività descritta è stata svolta ininterrottamente, attraverso rinnovi annuali della convenzione ASL/TA-AIC Puglia, dal 1o settembre 2006 al 31 luglio 2012. Data, quest'ultima, che segna l'interruzione della importante esperienza pluriennale di collaborazione con l'AIC;
   questo indirizzo decisionale viene intrapreso in netta contraddizione con quanto avrebbe asserito il management aziendale nel corso della conferenza stampa congiunta ASL-AIC del 20 aprile 2012 (relativa alla presentazione del bilancio dell'attività svolta dall'ambulatorio integrato di celiachia nell'anno 2011);
   siffatta decisione va decisamente in controtendenza agli orientamenti normativi della regione Puglia, che, proprio basandosi sulla pregevole esperienza tarantina, ha al vaglio una proposta di legge regionale sulla celiachia, recante all'articolo 5: «nell'ambito dei Centri di Riferimento delle province pugliesi per la celiachia, sono istituzionalizzati gli ambulatori integrati di celiachia che si avvalgono della figura professionale del Dietista, formato dall'Associazione Italiana Celiachia Puglia Onlus, esperto nelle problematiche della terapia gluten free, figura atta al controllo delle problematiche dietologiche con apposito Servizio»;
   lo smembramento dell'ambulatorio integrato di celiachia di Taranto, così come era stato concepito dalla delibera del D.G. 1551 (e successivi rinnovi), ha come unico, inevitabile riverbero, il ricorso dell'utenza alla sanità privata (cosa deprecabile, vista la congiuntura economica che costringe le famiglie ad enormi sacrifici); nell'ambito dell'aggiornamento dell'elenco dei centri di riferimento regionali per la celiachia, la deliberazione di giunta regionale risalente al 31 luglio 2012, n. 1597, non include la struttura semplice di celiachia di Taranto nell'elenco predetto (struttura riconosciuta dalla delibera di giunta regionale del 5 aprile 2006, n. 464, come centro di riferimento per la celiachia, operante in maniera continuata dal 2006 nella diagnosi e follow up dei pazienti celiaci, come si evince dal report di attività per l'anno 2011, inviato al centro regionale di riferimento e, per conoscenza, all'assessorato alla salute della regione Puglia), nonostante la responsabile regionale del coordinamento malattie rare abbia a suo tempo rassicurato il presidente dell'AIC Puglia della tempestiva correzione, poiché trattavasi di un refuso e che quindi nell'elenco succitato si sarebbe proceduto all'inclusione del centro di Taranto;
   ad oggi si ha notizia che, nonostante la vasta platea di pazienti celiaci, vi sia stata l'interruzione della collaborazione con AIC al termine della scadenza naturale della precedente Convenzione fissata per la data del 31 luglio 2012 e che la ASL di Taranto offra una attività consulenziale per un numero di ore limitate, non quantificabili nelle 38 ore offerte dall'AIC;
   si è a conoscenza che il 10 luglio 2013 AIC Puglia Onlus ha inoltrato al Management ASL Taranto formale richiesta di rinnovo/rimodulazione della convenzione, rispetto a quanto previsto dalla delibera del D.G. 1551 del 17 luglio 2006 e successivi rinnovi –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione a quanto esposto in premessa, se lo smembramento dell'ambulatorio integrato di celiachia sia connesso a esigenze di razionalizzazione della spesa imposte dal piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo nell'ottica di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza per i pazienti celiaci tarantini e pugliesi. (5-00908)


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, CECCONI, DALL'OSSO, MANTERO e DI VITA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'aspetto igienico sanitario che coinvolge l'intera area del bacino idrografico del fiume Sarno è stato, da sempre, sottovalutato;
   la coesistenza di scarichi industriali e civili, di una agricoltura dissipatrice di acqua e di una urbanizzazione priva di reti fognarie funzionanti ancora oggi costituisce una causa di danni ambientali e di rischio sanitario per la popolazione del bacino che recenti indagini epidemiologiche hanno messo in risalto;
   quello della popolazione che vive a contatto con il fiume Sarno è la storia di una popolazione che si nutre delle sue stesse eiezioni e di queste ne muore o a causa di malattie infettive o intossicata per i metalli pesanti per anni sversati nelle acque di superficie e ormai entrati nella catena alimentare;
   i monitoraggi effettuati dall'ARPAC rilevano la presenza di metalli pesanti, presenti in concentrazioni maggiori rispetto a quanto consentito dalla legge (decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento);
   l'emergenza sanitaria dell'inquinamento del Sarno, per le popolazioni che vivono nelle sue vicinanze, consiste nel fatto che la presenza nelle sue acque di microrganismi di origine fecale e di metalli pesanti, in concentrazione superiore a quanto stabilito dalla legge, è causa dell'aumento di infezioni quali febbre tifoide, diarrea infettiva, epatite A, ma soprattutto tumori;
   il 2 aprile 2003 il Senato della Repubblica ha approvato la deliberazione istitutiva della «Commissione Parlamentare d'inchiesta sulle cause dell'inquinamento del fiume Sarno», i cui lavori si sono conclusi nel 2006;
   la relazione alla proposta di istituzione della Commissione parlamentare, sottolineava come «la salute della popolazione è sottoposta a pericoli continui e, non a caso, nella zona esiste un tasso di malattie dell'apparato respiratorio e di malattie infettive, con altissime percentuali di carcinoma polmonare, che è il più alto d'Europa»;
   la Commissione parlamentare ha avuto occasione di verificare che un Rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità del 1997 già segnalava che nella zona del fiume Sarno risultava «un indice di mortalità per cancro e leucemia superiore del 17 per cento rispetto ad altre zone del mondo»;
   la Commissione Parlamentare ha, pertanto, considerato evidente la sussistenza anche di una emergenza sanitaria, probabilmente dovuta all'inquinamento del fiume;
   nonostante ciò nella sua relazione conclusiva rilevava che «nessuno, però, ha mai posto in essere un'indagine epidemiologica per analizzare possibili relazioni causa effetto tra inquinamento del fiume ed eventuali patologie specifiche, né alcun ente ha proceduto ad uno o più screening specifici da cui si potessero evidenziare eventuali nessi di causalità o con causalità tra l'inquinamento (accertato) del fiume e le condizioni sanitarie della popolazione» (12 aprile 2006);
   inoltre, con amarezza, bisogna rilevare che sono stati sperperati finora circa 800 milioni di euro senza ottenere un apprezzabile risultato –:
   se non si ritenga necessario un intervento, in attuazione dei principi di prevenzione e precauzione, al fine di limitare i rischi relativi all'incidenza di malattie tumorali, attivando uno stato di allerta della popolazione e finanziando ricerche statistiche e studi finalizzati alla riduzione del rischio derivante dall'inquinamento;
   se non si intenda avviare una indagine epidemiologica allo scopo di monitorare le relazioni tra causa ed effetto tra l'inquinamento del fiume Sarno e patologie specifiche. (5-00922)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI, DIENI, COZZOLINO e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Conferenza dei sindaci del comprensorio ex Asl della Piana di Gioia Tauro aveva scelto, il 3 ottobre 2007 e con 22 voti su 26, il sito per l'edificazione di un ospedale unico ubicato in posizione baricentrica e in possibile suolo della regione Calabria, nella prospettiva di una razionalizzazione della sanità tale da ridurre i costi e aumentare l'efficienza dei servizi;
   in difformità e senza motivazioni di ordine amministrativo – secondo quanto riferito dal sindaco di Gioia Tauro, Renato Bellofiore, in un'intervista inclusa nell'inchiesta video «Carte false» del giornalista Emiliano Morrone, disponibile sul web – la regione Calabria optava per la costruzione del predetto ospedale in altra area, individuata senza consultazione dei sindaci in una porzione di terreno utilizzato dall'istituto agrario Galileo Ferraris di Palmi (Reggio Calabria);
   il predetto spostamento implicava l'acquisizione in proprietà, da parte della regione Calabria, di terreni con vincolo di destinazione scolastica, pare non superabile in base alla normativa vigente;
   ciononostante, la provincia di Reggio Calabria procedeva, con delibera di giunta n. 295 del 23 ottobre 2008, a intestare a se stessa la proprietà dei predetti terreni nel comune di Palmi, richiamando la legge n. 1404 del 1956 in merito all'asserita soppressione dell'ente «Patronato Regina Elena», proprietario dei suoli in parola ricevuti dal Ministero dell'agricoltura;
   detto passaggio amministrativo avveniva per concomitante interpretazione della legge sull'edilizia scolastica, la 23 del 1996, sicché la provincia di Reggio Calabria, ritenendo suoi i riferiti terreni, li vendeva alla regione Calabria per 229.500 euro;
   su tale vendita la Corte dei conti valutava basso l'importo, poi invitando la regione a verificare l'effettiva proprietà dei beni, per quanto raccontato dal sindaco Bellofiore nella succitata fonte giornalistica;
   con una conferenza dei servizi convocata dall'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, veniva rimosso il vincolo di destinazione d'uso scolastico dei terreni;
   dai registri immobiliari non risultava altro, circa la titolarità dei fondi in argomento, sicché la Corte dei conti-sezione regionale di controllo per la Calabria, con deliberazione n. 364/2011, ricusava il visto e la conseguente registrazione in ordine all'ordinanza n. 38 del 5 luglio 2011 del commissario delegato, che aveva disposto l'acquisizione delle particelle di terreno atte alla costruzione del nuovo ospedale;
   i terreni dell'Istituto agrario erano stati ceduti con atto per regio notaio comm. dott. Francesco Guidi (rep. 41.344 del 2 luglio 1917) – e non per «Regio Decreto», come si legge nella succitata delibera della giunta provinciale di Reggio Calabria – dal Ministero dell'agricoltura;
   il Ministero dell'agricoltura era divenuto proprietario dei beni in argomento per averli acquisiti definitivamente il 9 luglio 1914 dai Fratelli Abbagnara, all'ente «Opera Nazionale di Patronato Regina Elena»;
   l’«Opera Nazionale di Patronato Regina Elena» aveva già ottenuto il possesso dei terreni di cui si tratta, avendo precedentemente versato alla Cassa depositi e prestiti il prezzo di stima, pari a lire 105.925,35 (dovuto per l'esproprio dei fondi disposto dal predetto Ministero nei confronti dei F.lli Abbagnara), per essere destinati a «podere dimostrativo» della colonia agricola per gli orfani dei contadini calabresi e messinesi;
   secondo il Ministero delle finanze, l'ente patronato Regina Elena non è stato soppresso dalla legge n. 1404 del 1956, per quanto scritto dal dottor Giuseppe Cavalluzzo, dirigente ministeriale dell'Ufficio XVI – I.G.F. (minuto 10,57, inchiesta video di cui sopra);
   con nota del 4 giugno 2013, n. 9384/2013, l'Agenzia del demanio di Reggio Calabria comunicava alla provincia di Reggio Calabria, alla regione Calabria e all'Agenzia del demanio direzione nazionale che dalle ricerche eseguite non esiste alcun atto che comprovi «il mutamento del regime proprietario» in ordine ai terreni dell'ente «Opera nazionale di patronato Regina Elena», volturati dalla provincia di Reggio Calabria;
   il 5 giugno 2013, la suddetta nota veniva trasmessa alla procura della Repubblica di Reggio Calabria dall'avvocato Giacomo Saccomanno difensore del Comitato spontaneo di cittadini per l'ospedale unico della piana di Gioia Tauro, legalmente rappresentato dal sindaco di Gioia Tauro e dal vicesindaco Jacopo Rizzo, quale documentazione integrativa nell'ambito del procedimento n. 1258/12 R.G.N.R. affidato al pubblico ministero dottor Mario Centini;
   l'anzidetto comitato si era precedentemente prodigato per rilevare e segnalare alla giustizia amministrativa e penale gli sprechi di danaro pubblico del caso e delle anomalie procedurali nelle varie fasi dell'iter amministrativo qui riassunto, anche riprendendo risultanze della DDA di Milano su presunti interessi malavitosi intorno all'ubicazione dell'ospedale della Piana di Gioia Tauro –:
   quali urgenti iniziative voglia assumere il commissario per l'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario della regione Calabria per rimediare a quelli che appaiono gravi sprechi di denaro pubblico avvenuti, per far rispettare le decisioni assunte nella ricordata Conferenza dei sindaci del 3 ottobre 2007 e per assicurare nella Piana di Gioia Tauro la più ampia tutela del diritto costituzionale alla salute. (4-01635)


   MICILLO, LUIGI DI MAIO, NUTI, DE ROSA, ZOLEZZI, SEGONI, TOFALO, MANNINO, GAGNARLI, L'ABBATE, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, SCAGLIUSI, SIBILIA, CATALANO, DI BATTISTA, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, MANTERO, LUIGI GALLO, PESCO, DI BENEDETTO, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, RUOCCO, CANCELLERI, CHIMIENTI, BATTELLI, COLONNESE, NESCI, CARINELLI, SPESSOTTO, PINNA, VIGNAROLI, LOMBARDI, SILVIA GIORDANO, COZZOLINO, DADONE, LOREFICE, GRILLO, DALL'OSSO, DI VITA, BARONI, CECCONI, SIMONE VALENTE, BRESCIA, VACCA, DELL'ORCO, CURRÒ, CASO, CARIELLO, SORIAL, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, FERRARESI, BONAFEDE, SARTI, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, COLLETTI, D'AMBROSIO, FANTINATI, MUCCI, BRUGNEROTTO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, PISANO e VILLAROSA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli inceneritori sono impianti utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti mediante un processo di combustione ad alta temperatura (incenerimento) che dà come prodotto finale un effluente gassoso, ceneri e polveri; gli impianti che consentono il recupero energetico del calore prodotto vengono comunemente definiti termovalorizzatori, termine del tutto assente nella normativa europea di riferimento, in si parla esclusivamente di «impianti di incenerimento»;
   Taverna del Re è una frazione di Giugliano in Campania in provincia di Napoli dove sono depositate circa 7 milioni di eco balle occupanti una superficie equivalente quasi a 360 campi di calcio;
   il 1o agosto 2013 il sito regioni.it informa che l'assessore regionale all'ambiente in Campania Giovanni Romano ha detto: «Il sopralluogo di oggi ha confermato, caso mai ce fosse ancora bisogno, la assoluta necessità di eliminare i rifiuti imballati durante il periodo emergenziale che, lo ricordo, sono di circa 6 milioni di tonnellate allocati su tutto il territorio regionale. I due terzi sono stoccati tra Villa Literno e Giugliano. Resta quindi una priorità la realizzazione dell'impianto di incenerimento previsto dalle leggi statali e dal Piano Regionale. Il commissario straordinario Alberto Carotenuto pubblicherà il bando di gara entro questo mese»;
   in data 18 gennaio 2012 il quotidiano Repubblica nell'edizione Napoli a firma di Conchita Sannino scriveva: «la Protezione civile ha comprato quei suoli (Taverna del Re – Giugliano) per 2 milioni (di euro), a emergenza già chiusa. Perché, visto che sarebbe intervenuto il capitale del futuro impianto? Non è tutto: i 4 milioni di balle sono ancora “patrimonio” di Impregilo. Vanno riscattate. Con quale denaro? Un impianto che costerà non meno di 500 milioni. Un inceneritore che, stando alle buone intenzioni, dovrebbe essere pronto entro il 2015 per cominciare ad abbattere i primi 4 milioni di ecoballe che, pure, insistono al momento nel “patrimonio” della vecchia proprietà Impregilo»;
   l'Unione europea (UE) dispone misure intese a prevenire o ridurre l'inquinamento dell'atmosfera, dell'acqua e del terreno provocato dall'incenerimento e dal coincenerimento dei rifiuti e i relativi rischi per la salute umana. Tali misure impongono in particolare l'ottenimento di un'autorizzazione per gli impianti di incenerimento o di coincenerimento e limiti per le emissioni di taluni inquinanti scaricati nell'atmosfera e nell'acqua;
   con la direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2000 sull'incenerimento dei rifiuti si stabilisce che «Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro un termine di due anni a decorrere dalla data della sua entrata in vigore. Essi ne informano immediatamente la Commissione. Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri;
   gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva»;
   nel 2012 il Parlamento europeo approva due rapporti su ambiente e biodiversità. Si tratta della relazione «sulla revisione del sesto programma d'azione in materia di ambiente e la definizione delle priorità per il settimo programma» (stragrande maggioranza) e di quella sulla «Strategia europea per la biodiversità 2020» (414 favorevoli, 55 contrari e 64 astenuti);
   il 24 maggio 2012 tra gli indirizzi della risoluzione del Parlamento europeo «un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse» nel punto 33 si legge che: «invita la Commissione Europea a razionalizzare l'acquis in materia di rifiuti, tenendo conto della gerarchia dei rifiuti e della necessità di ridurre i rifiuti residui fino a raggiungere livelli prossimi allo zero; chiede pertanto alla Commissione di presentare proposte entro il 2014, allo scopo di introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica a livello europeo e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l'incenerimento dei rifiuti riciclabili e compostabili; ritiene che queste iniziative debbano essere accompagnate da idonee misure transitorie, tra cui l'ulteriore sviluppo di norme comuni basate sul concetto di ciclo di vita; invita la Commissione a rivedere gli obiettivi per il riciclaggio per il 2020 della direttiva quadro sui rifiuti»;
   esiste una mirata quanto copiosa bibliografia italiana ed internazionale di testi e studi che mettono in guardia dagli effetti dannosi provocati sulla popolazione residente vicina alla zona di realizzazione di impianti di incenerimento;
   la letteratura medica segnala circa un centinaio di lavori scientifici a testimonianza dell'interesse che l'argomento riveste. Fra questi, diverse decine sono costituiti da studi epidemiologici condotti per indagare lo stato di salute delle popolazioni residenti intorno a tali impianti e/o dei lavoratori addetti e, nonostante le diverse metodologie di studio applicate ed i numerosi fattori di confondimento, sono segnalati numerosi effetti avversi sulla salute, sia neoplastici che non;
   sono stati descritti: alterazione nel metabolismo degli estrogeni, incremento dei parti gemellari incremento di malformazioni congenite, ipofunzione tiroidea, disturbi nella pubertà ed anche diabete, patologie cerebrovascolari, ischemiche cardiache, problemi comportamentali, tosse persistente, bronchiti, allergie. Un ampio studio, condotto in Giappone ha analizzato lo stato di salute di 450.807 bambini da 6 a 12 anni della prefettura di Osaka – ove sono attivi 37 impianti di incenerimento per rifiuti solidi urbani (RSU) – ed ha evidenziato una relazione statisticamente
significativa fra vicinanza della scuola all'impianto di incenerimento e sintomi quali: difficoltà di respiro, mal di testa, disturbi di stomaco, stanchezza;
   l'indagine francese «Etude d'incidence des cancers à proximité des usines d'incenèration d'ordures ménagerer» dell'Invs – Department Santè Environnement 2006 (32) ha esaminato 135.567 casi di cancro insorti negli anni 1990-99 su 25.000.000 persone/anno residenti in prossimità di inceneritori. In questo studio è stato considerato come indicatore l'esposizione alle diossine e passando dal minor al maggior grado di esposizione si registra un aumento statisticamente significativo (p=h0.05) di rischio per: tutti i cancri nelle donne dal +2,8 per cento al +4 per cento, cancro alla mammella dal +4,8 per cento al +6,9 per cento, linfomi dal +1,9 per cento al +8,4, tumori al fegato dal +6,8 per cento al +9,7 per cento; per i sarcomi il rischio passa dal +9,1 per cento al +13 per cento (p=0.1). Le neoplasie che più appaiono correlate all'esposizione ad inquinanti emessi da inceneritori sono i linfomi non Hodgkin (LNH), i tumori polmonari, le neoplasie infantili ed i sarcomi;
   la soluzione per lo smaltimento delle eco balle a Giugliano in Campania è stata ravvisata nella costruzione di un impianto di incenerimento il cui bando di assegnazione dei lavori partirà a ridosso del periodo ferragostano;
   gran parte del mondo scientifico afferma in modo unanime che gli inceneritori creano danni enormi alla salute ed all'ambiente;
   l'inceneritore rappresenterà un danno all'immagine di Giugliano già gravemente compromessa dalla presenza in questi anni delle piramidi di ecoballe;
   esistono soluzioni alternative all'inceneritore che consentirebbero di trasformare i rifiuti da problema a risorsa;
   alla notizia dell'assessore regionale all'ambiente della Campania circa l'imminente partenza del bando dei lavori stanno costituendosi sul territorio giuglianese numerosi comitati spontanei e le civili proteste dei cittadini si stanno manifestando in diverse forme, compresi i social network;
   la normativa europea prevede una scala di priorità strategica che non vede con favore la costruzione di tali impianti e favorisce e promuove invece soluzioni quali la raccolta differenziata, il riciclo e scomposizione di materiali e loro uso –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in merito alla realizzazione del termovalorizzatore a Giugliano;
   se, alla luce degli studi preliminari, il Governo sia in grado di garantire il pieno rispetto della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, recepita con il decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 155, come modificato dal decreto legislativo 24 dicembre 2012, n. 250, perseguendo l'obiettivo di cui all'articolo 1, lettera d), sull'esigenza di «mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi». (4-01648)


   BARONI, CECCONI, DI VITA, DALL'OSSO, GRILLO, LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, ARTINI, FRUSONE, RIZZO, CORDA, BASILIO, ALBERTI, PAOLO BERNINI, PESCO, VILLAROSA, CANCELLERI, RUOCCO, CRISTIAN IANNUZZI, FICO, CARIELLO, TURCO, FERRARESI, AGOSTINELLI, BALDASSARRE, BECHIS, BRUGNEROTTO, CIPRINI, PRODANI, MUCCI, VALLASCAS, FANTINATI, DADONE, DIENI, COZZOLINO, VIGNAROLI, BRESCIA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   segnalazioni sono giunte all'interrogante in riferimento alla perequata permanenza delle strutture territoriali sanitarie in materia di assistenza sanitaria al personale navigante denominate SASN, individuate quali spese non rimodulabili dei Ministeri dalla legge 12 novembre 2011, n. 183, all'articolo 4 commi da 89 a 94, ed appartenenti alla competenza del Ministro interrogato, che ancora oggi operano ad avviso degli interroganti con una gestione impropria del denaro pubblico;
   il comma 89 dell'articolo 4 della legge 12 novembre 2011 recitava: «A decorrere dall'anno 2013 le competenze in materia di assistenza sanitaria al personale navigante ed aeronavigante, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1980, n. 620, sono trasferite alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano ed il decreto del Presidente della Repubblica abrogato»;
   tali strutture dislocate su gran parte del nostro territorio nazionale, contano 26 sedi nelle quali operano personale a convenzione e di ruolo nella misura di circa 350 e 129 unità rispettivamente, assorbendo una spesa complessiva di funzionamento pari a 50 milioni di euro l'anno, oltre quelle per i canoni di locazione che per sintesi analogica nella sede di Roma raggiunge quota euro 350.000 l'anno;
   si è di fronte ad una spesa oltre i 60 milioni di euro l'anno che già dal 1o gennaio del 2013 si sarebbe dovuta eliminare se solo si fossero rispettate le scadenze normative imposte dalla normativa vigente;
   ad oggi nulla è dato sapere in merito alle motivazioni che stanno impedendo il decretato trasferimento di questa competenza come anche dei responsabili che hanno e stanno ancora perpetuando questo illecito amministrativo, causando ulteriori sprechi di denaro pubblico sistematico a fronte di responsabilità gestionali consapevoli e che laddove fossero verificate/rilevate, darebbero seguito ad un'azione di risarcimento per danno patrimoniale allo Stato;
   la legge di stabilità entrata in vigore il 1o gennaio 2012 prevedeva la dismissione di settore pubblico entro il 1o gennaio 2013 ed ancora oggi vede i servizi di assistenza al personale navigante e aeronavigante operanti e regolarmente in capo al Ministero della salute;
   l'articolo 90, della legge di stabilità prevedeva che le operazioni di raccordo tra le amministrazioni titolari alla regolamentazione del trasferimento di competenza, dovevano assoggettarsi all'emanazione di un regolamento interministeriale su proposta del Ministero;
   la prima richiesta di nomina dei componenti la commissione interministeriale fu inoltrata dall'ufficio di gabinetto del Ministero della salute, soltanto il 23 marzo del 2012, sollecitata nel mese di maggio successivo ove si comunicava la data della prima seduta nel 23 maggio 2012, questo ad oltre 5 mesi dall'entrata in vigore della legge pubblicizzata sulla Gazzetta Ufficiale sin dal 14 novembre del 2011 (Gazzetta Ufficiale n. 265);
   le proroghe temporali, intervenute a difesa della non più evitabile ottemperanza attuativa, contenute già nel decreto legge 13 settembre 2012, n. 158 poi convertito dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 portano la prova di una possibile negligenza gestionale dell'alta dirigenza del Ministero della salute sulla quale è necessario giungere a chiarimenti;
   ogni mese in più trascorso senza definizione, comporta una spesa aggiuntiva di circa 5.000.000 di euro che a detta dell'interrogante non possono continuare ad essere addossati ai soli cittadini –:
   se non ritenga doveroso fornire la documentazione completa relativa all'operato del gruppo di lavoro interministeriale dalla data di insediamento ad oggi, nonché l'elenco dei funzionari nominati ed eventuali sostituti nel gruppo lavoro ed un suo rapporto ricognitivo;
   entro quale data preveda che le competenze in materia di assistenza sanitaria al personale navigante ed aeronavigante, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1980, n. 620, saranno trasferite alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, visto già il notevole e gravoso, per la collettività, ritardo nell'applicazione di quanto disposto dai comma 89-94 dell'articolo 4 della legge 12 novembre 2011. (4-01660)


   CENSORE, D'ATTORRE, BRUNO BOSSIO, STUMPO, OLIVERIO, MAGORNO e COVELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione per la ricerca e la cura dei Tumori «Tommaso Campanella» è un istituto scientifico, istituita ai sensi dell'articolo 21 della legge regionale 7 agosto 2002, n. 29, quale fondazione di diritto privato, che rappresenta un centro di eccellenza e un punto di riferimento per tutta la regione Calabria;
   con delibera n. 356 del 28 luglio 2011, poi divenuta legge regionale, la giunta della regione Calabria ha tentato di trasformare la fondazione Tommaso Campanella da ente di diritto privato in pubblico;
   puntualmente, con ricorso notificato il 25 novembre 2011 e depositato il successivo 29 novembre (reg. ric. n. 165 del 2011) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1 – commi 1, 2, 3 e 5 – dell'articolo 4 – comma 3 – dell'articolo 5 e 9 – comma 1 – della legge della regione Calabria 28 settembre 2011, n. 35 (Riconoscimento ex articolo 54, comma 3, della legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25, della «Fondazione per la Ricerca e la Cura dei Tumori ”Tommaso Campanella” Centro Oncologico d'Eccellenza» come ente di diritto pubblico);
   successivamente, con la legge 28 dicembre 2011, n. 50 (Norme di integrazione alla legge regionale 28 settembre 2011, n. 35), la regione Calabria ha modificato varie disposizioni della legge regionale n. 35 del 2011, ma con successivo ricorso notificato il 28 febbraio 2012 e depositato il 5 marzo (reg. ric. n. 52 del 2012), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge regionale n. 50 del 2011, in riferimento agli articoli 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione;
   con sentenza n. 214 del 18 luglio 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'intero testo delle leggi della regione Calabria n. 35 del 2011 e n. 50 del 2011;
   in seguito, con la legge regionale 13 dicembre 2012, n. 63, «Ridefinizione assetto giuridico della Fondazione Campanella», la Fondazione per la ricerca e la cura dei Tumori «Tommaso Campanella» è stata confermata, senza soluzione di continuità, ente di diritto privato, finalizzato a garantire l'assistenza oncologica di alta specialità, ambulatoriale ed ospedaliera, di prevenzione primaria e secondaria, di riabilitazione e di ricerca;
   a giugno 2013, nella sede del comune di Catanzaro prima dell'inizio dei lavori del consiglio comunale in programma sui temi della sanità nel capoluogo della regione Calabria, il presidente Giuseppe Scopelliti ed il rettore dell'università Magna Grecia Aldo Quattone hanno sottoscritto un protocollo d'intesa che ha ridefinito i rapporti tra Fondazione Campanella e azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini»;
   i punti principali del suddetto accordo erano la salvaguardia della Fondazione Campanella, l'attuazione della legge regionale n. 63 e il mantenimento dei posti di lavoro dei dipendenti della Fondazione Campanella;
   nonostante l'approvazione della legge regionale n. 63 del 2012 e la firma del protocollo di intesa tra Scopelliti e il rettore Quattrone che avrebbero dovuto definitivamente risolvere il problema, ad oggi non c’è’ alcuna certezza su ciò che doveva essere un grande polo oncologico di riferimento per tutta la regione;
   la legge regionale n. 63 del 2012 prevede che la Fondazione Campanella, «già provvisoriamente accreditata», debba concludere il contratto con l'ASP di Catanzaro per l'acquisto delle prestazioni oncologiche. È altresì previsto che le UU.OO, non aventi mission oncologiche, previa intesa università «Magna Graecia» – regione Calabria, dovessero transitare all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» (come tra l'altro previsto del DPGR n. 136 del 2011 che prevede il passaggio dal primo gennaio 2012). Ad oggi, però, le UU.OO. di cui sopra continuano a gravare sulla Fondazione che ne deve sopportare i costi per il loro funzionamento senza avere alcuna remunerazione per le prestazioni erogate da quest'ultime;
   tale situazione ha chiaramente creato un notevolissimo deficit finanziario che è a conoscenza di tutti. Peraltro, nel corso dell'anno 2013, la Fondazione a fronte di una assegnazione provvisoria pari ad euro 10.000.000,00 (comunque insufficienti) per le sole prestazioni oncologiche, non ha ricevuto alcuna erogazione per l'impossibilità di sottoscrivere il contratto con l'ASP dovuto al ritardo della Commissione Accreditamento di Crotone ad esprimere il parere di competenza;
   questa situazione di stallo ha portato alla mancanza assoluta di liquidità, ha causato il blocco da parte dei fornitori di farmaci antiblastici che per l'ingente credito vantato e il mancato pagamento di tre mensilità ai dipendenti, che hanno inscenato una dura protesta sul tetto del policlinico di Germaneto per rivendicare il loro sacrosanto diritto alla retribuzione;
   per salvaguardare un imprescindibile punto di riferimento per tutti i cittadini calabresi per quel che concerne la ricerca e la cura oncologica e per tutelare l'occupazione e le professionalità occorre, oltre al versamento del fondo di dotazione iniziale pari ad euro 25.000.000,00 o parte di esso, mai versato dalla regione Calabria (nonostante statutariamente obbligata) che potrebbe rappresentare una soluzione in questa fase emergenziale, un immediato accreditamento della fondazione «Tommaso Campanella» o un decreto di accreditamento provvisorio nelle more della conclusione dei lavori da parte della commissione accreditamento di Crotone, l'applicazione immediata della legge n. 63 del 2012 e del protocollo d'intesa università-regione Calabria per il trasferimento delle UU.OO. non aventi mission oncologica dalla fondazione «Tommaso Campanella» all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini», il riconoscimento e l'erogazione delle somme relative alla gestione della UU.OO. che sarebbero dovute transitare all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» e che hanno continuato a gravare sul bilancio della fondazione «Tommaso Campanella» il cui costo per il loro funzionamento è già stato determinato da una commissione paritetica università-regione Calabria che è pari ad euro 26.000.000,00 l'anno –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti della struttura commissariale per tutelare un punto di riferimento regionale per la cura delle patologie oncologiche e un inestimabile patrimonio di conoscenze scientifiche e professionali, e salvaguardare i livelli essenziali di assistenza. (4-01661)


   PICCIONE, MURER, SBROLLINI, BIONDELLI e IORI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento al grave episodio avvenuto in Sicilia, nella città di Nicosia che ha visto coinvolta ancora una volta una donna, Antonina Seminara, di 40 anni, morta di parto mentre un elicottero dell'elisoccorso la trasferiva tardivamente dall'ospedale di Nicosia, dove erano intervenute complicazioni dopo il taglio cesareo, al nosocomio di Sciacca presso il reparto di Terapia intensiva –:
   se il Ministero della salute sia a conoscenza dell’iter che ha portato a tale tragica conclusione;
   da quali cause sono state determinate le complicanze del dopo-cesareo;
   per quali motivi la donna sarebbe rimasta, come riferito dalla stampa, per due-tre ore sull'ambulanza che doveva trasferirla dall'Ospedale di Nicosia a quello di Sciacca;
   se, in considerazione del guasto dell'elicottero proveniente dall'elisoccorso di Caltanissetta, siano stati effettuati tutti i tentativi opportuni per soccorrere all'urgenza dell'evento;
   se, proprio in considerazione del guasto suddetto, sia stato richiesto, in alternativa, il servizio di soccorso dei vigili del fuoco di stanza a Catania, presso l'aeroporto di Fontanarossa, in analogia a quanto accaduto in altre Regioni con esito diverso e positivo rispetto a quanto accaduto in Sicilia;
   se, infine, il Ministero abbia avviato una verifica sull'accaduto. (4-01662)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato lo scorso martedì 6 agosto dal quotidiano: La Repubblica edizione di Palermo, la società Fincantieri avrebbe inviato al Ministero interrogato, un documento riservato all'interno del quale, sarebbe stata realizzata un'analisi elaborata su richiesta dello stesso dicastero, che illustrerebbe i tempi ed i metodi in cui il relitto della nave Costa Concordia, attualmente situata in prossimità della costa dell'Isola del Giglio, sarebbe prossima ad un trasferimento verso il cantiere navale di Palermo per le operazioni di smantellamento e di demolizione;
   il rapporto rileva inoltre che il porto di Piombino, il cui scalo marittimo rappresenta il principale concorrente del capoluogo siciliano per l'aggiudicazione della commessa milionaria, (circa 500 milioni di dollari) proprio per le iniziative di demolizione del relitto della nave da crociera, non è in grado di accogliere la parte restante della nave, a causa di gravi e oggettive carenze strutturali, per rimediare alle quali servirebbero almeno tre anni;
   le operazioni di smontaggio, evidenzia il medesimo dossier riservato, che indica tra l'altro i tempi contingentati con cui avverrebbero i lavori, precisano che il relitto della nave da crociera, dovrebbe essere raddrizzato, trainato verso il porto di destinazione, parzialmente smantellato e successivamente trainato in Turchia per la demolizione definitiva;
   la rotazione dello scafo dovrebbe infatti essere completata già a settembre, successivamente il sito destinato a ricevere il relitto dovrà concludere i lavori entro dicembre prossimo o gennaio 2014;
   l'articolo suindicato rileva inoltre, come tale vicenda attesti da mesi, una contrapposizione evidentemente sconosciuta fino alla pubblicazione della notizia, tra il porto di Piombino, logisticamente più vicino all'Isola del Giglio, ma sprovvisto delle necessarie infrastrutture per la demolizione della nave, ed il cantiere navale palermitano, che rappresenta l'unico bacino di carenaggio in Europa, a possedere una darsena così consistente per contenere un colosso della navigazione di circa 300 metri;
   ulteriori rilievi sfavorevoli nei riguardi dello scalo marittimo toscano, secondo quanto emerge dal dossier, sarebbero dettati dalla tempistica utilizzata per la realizzazione di un bacino e di infrastrutture utilizzate ex novo per il porto toscano, che si aggirerebbero in non meno di tre anni, tra completamento dello studio, esecuzione del progetto, tempi di approvazione del Genio civile ed altri enti preposti, inclusa la Corte dei conti;
   il medesimo quotidiano riporta fra l'altro, come sia elevata una determinata pressione politica, affinché la commessa sia aggiudicata direttamente al porto toscano, come risarcimento del danno causato alla medesima regione, a seguito dell'incidente del gennaio 2012, che provocò il naufragio della nave e numerose vittime;
   una sollecitazione così notevole, suggellata anche dal Governo, attraverso un finanziamento di 110 milioni di euro per i lavori di adeguamento peraltro non ancora avviati dal porto toscano, necessari ad accogliere la nave da crociera e per i quali Fincantieri ha stimato come in precedenza riportato in una durata di tre anni, periodo giudicato troppo lungo, in considerazione che, secondo l'azienda, una volta rotato, lo scafo dovrà entrare in porto entro tre mesi per evitare di subire ulteriori e nuovi danni;
   la soluzione migliore pertanto secondo Fincantieri, sarebbe rivolta verso Palermo, periodo in cui la nave sosterrebbe il tempo necessario per chiudere la falla e svuotare l'interno del relitto, operazione che consentirebbe di garantire occupazione per circa 200 operai dell'azienda attualmente in cassa integrazione;
   lo smantellamento definitivo avverrebbe invece presso un cantiere mediterraneo probabilmente turco, in cui i costi della manodopera sono notevolmente inferiori rispetto a quelli italiani e su questa operazione, ci sarebbe tra l'altro l'avallo di un'alleanza di assicuratori britannici, i quali gestirebbero l'intera operazione finanziaria di rimozione della nave;
   a giudizio dell'interrogante quanto suesposto, ove fosse confermato, desta sconcerto e stupore, in considerazione sia delle modalità di apprendimento della decisione, avvenuta dagli organi di stampa anziché nelle sedi istituzionali competenti, che da quanto contenuto dal dossier, che certamente penalizzerebbe in modo rilevante ed ingiustificato, il cantiere navale palermitano a differenza dello scalo marittimo di Piombino, il quale paradossalmente si aggiudicherebbe la rilevante commessa, nonostante il volume delle operazioni di demolizione del relitto della nave da crociera Costa Concordia, siano nel complesso pressoché in capo all'area dello scalo portuale di Palermo;
   quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intendano confermare, quanto riportato dal quotidiano: La Repubblica edizione di Palermo, sia dell'esistenza di un dossier riservato da parte di Fincantieri intenzionato a portare il relitto della nave Costa Concordia, al cantiere navale di Palermo, l'unico con un bacino da 400 mila tonnellate, in grado di garantire le necessarie operazioni di demolizione, anziché nel porto di Piombino come stabilito attualmente, che di una serie d'interventi incalzanti da parte del Governo, finalizzati ad aggiudicare la commessa milionaria a favore del porto di Piombino;
   in caso affermativo, se non convengano che tale decisione, la cui conoscenza avvenuta attraverso organi di stampa, anziché nelle competenti sedi parlamentari, oltre ad evidenziare uno scarso rispetto istituzionale, rischia di determinare evidenti squilibri finanziari a svantaggio dello scalo marittimo siciliano, oltre che arbitrarie ed ingiustificate ingerenze da parte del Governo nella vicenda;
   se non convengano altresì che la medesima scelta, risulta essere inoltre in evidente controtendenza rispetto ai recenti provvedimenti normativi, in considerazione che il decreto legge 26 aprile 2013, n. 43 convertito con modificazioni dalla legge 24 giugno 2013 n. 71, cosiddetto «emergenze ambientali» aveva attribuito il porto di Piombino quale: «area di crisi industriale complessa», definendo regole per l'ammodernamento dell'area portuale proprio in prospettiva delle operazioni di smantellamento del relitto della nave;
   se non ritengano infine urgente e necessario informare presso le sedi parlamentari competenti, in considerazione della complessità e dell'importanza della vicenda dal punto di vista economico, finanziario e della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema marino, dell'eventuale decisione da parte di Fincantieri d'indirizzare il relitto della nave Costa Concordia verso la città di Palermo.
(2-00188) «Garofalo, Misuraca, Bosco, Minardo, Riccardo Gallo, Pagano, Giammanco, Catanoso».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZAMPA, CIVATI, CARLO GALLI e PES. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la RAI – Radiotelevisione Italiana stipula con il Ministero dello sviluppo economico un contratto nazionale di servizio, su base triennale, avente in oggetto le attività che la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo deve svolgere per assolvere il compito di servizio al pubblico nel territorio della Repubblica italiana;
   il contratto di servizio, stipulato il 6 luglio 2011, copre il periodo 2010-2012 e deve pertanto essere rinnovato;
   all'articolo 2, comma 3, lettera d), del suddetto contratto se ne affermano i principi generali, secondo i quali la concessionaria deve: ”assicurare un elevato livello qualitativo della programmazione informativa, ivi comprese le trasmissioni di informazione quotidiana e le trasmissioni di approfondimento, i cui tratti distintivi sono costituiti dall'orizzonte europeo ed internazionale, il pluralismo, la completezza, l'imparzialità, obiettività, il rispetto della dignità umana, la deontologia professionale e la garanzia di un contraddittorio adeguato, effettivo e leale, così da garantire l'informazione, l'apprendimento e lo sviluppo del senso critico, civile ed etico della collettività nazionale, nel rispetto del diritto/dovere di cronaca, della verità dei fatti e del diritto dei cittadini ad essere informati;
   all'articolo 4, primo comma, il contratto afferma che «La Rai assicura la qualità dell'informazione quale imprescindibile presidio di pluralismo, completezza e obiettività, imparzialità, indipendenza e apertura alle diverse forze politiche nel sistema radiotelevisivo»;
   il 1o agosto 2013 Rai Uno ha trasmesso uno speciale della trasmissione «Porta a Porta», inizialmente previsto in seconda serata e poi anticipato nella fascia oraria del prime time, nel corso della quale è stato trasmesso il videomessaggio integrale dell'onorevole Silvio Berlusconi, della durata di 9 minuti, dove Berlusconi, commentando l'esito della condanna a suo carico confermata dalla Corte di cassazione, attaccava ripetutamente la magistratura;
   nel corso della serata lo stesso messaggio – seppur per stralci – è stato trasmesso successivamente da tutte le testate giornalistiche della RAI;
   ad avviso degli interroganti la trasmissione integrale del videomessaggio di Berlusconi contrasta fortemente con i principi che ispirano e regolano l'informazione pubblica –:
   a che punto sia la stesura del nuovo contratto di servizio;
   e se non ritenga opportuno inserire nel prossimo contratto disposizioni che garantiscano nei programmi di servizio una effettiva pluralità, rappresentatività delle varie forze politiche e rispetto delle istituzioni. (5-00911)


   SANDRA SAVINO e VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto siderurgico della Ferriera di Servola di Trieste, uno degli stabilimenti industriali del gruppo Lucchini attualmente commissariato e per il quale il Governo ha avviato il 22 gennaio 2013 un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico, occupa oltre 500 addetti e altrettanti nell'indotto;
   nel corso degli anni si sono rilevati preoccupanti ricadute negative sull'ambiente e sulla salute pubblica dovute all'attività dello stabilimento, che dista poche centinaia di metri dall'area urbana;
   come riportato dalla stampa locale, Giovanni Arvedi, patron dell'omonimo gruppo siderurgico cremonese, ha manifestato, fin dai mesi scorsi, il proprio interesse per l'acquisizione dell'impianto triestino, puntando – a quanto afferma l'azienda – a una siderurgia pulita, garantendo una continuità produttiva e occupazionale e prevedendo investimenti importanti sia nell'impiantistica che sul sito tali intenzioni si sono concretizzare con una manifestazione ai interesse inoltrata al commissario liquidatore della Lucchini, Piero Nardi;
   il commissario liquidatore della Lucchini aveva peraltro comunicato che, se entro il 31 agosto non si fosse insediata una nuova proprietà, l'attività dello stabilimento sarebbe stata sospesa sine die con le relative gravi conseguenze sul piano occupazionale;
   il 2 agosto 2013 è stato convocato a Roma, presso il Ministro dello sviluppo economico, il tavolo di crisi della Ferriera, alla presenza di Sottosegretari allo sviluppo economico e all'ambiente e dei rappresentanti della regione Friuli Venezia Giulia, del commissario straordinario della Lucchini, Piero Nardi, e del colosso industriale cremonese;
   al termine di tale riunione, in base alle dichiarazioni dei presenti, si sarebbe deciso di predisporre un accordo di programma volto a definire in tempi rapidi le modalità atte a consentire l'ingresso del gruppo Arvedi a Servola;
   la proposta del gruppo di Cremona – è emerso – è di subentrare entro il 15 ottobre 2013, inizialmente per sei mesi di affitto, «prova» per il successivo acquisto definitivo dell'attività e durante i quali il cavalier Arvedi ha annunciato di voler sistemare la questione ambientale, con un investimento stimato in qualche decina di milioni di euro;
   nell'ottica del rilancio del sito industriale nel suo complesso, il gruppo ha inoltre ribadito nelle scorse settimane di valutare positivamente il coinvolgimento della centrale termoelettrica di proprietà Elettra produzione nel perimetro della proposta imprenditoriale;
   Arvedi chiede agli amministratori in particolare due interventi nell'area – da inserire nell'accordo di programma – al fine di poter procedere dopo i primi sei mesi, all'acquisto definitivo dello stabilimento: la messa in sicurezza dei terreni e dell'acqua di falda e il prolungamento, in direzione molo VII, della banchina demaniale davanti alla cokeria, per rendere possibile lo sviluppo futuro delle attività portuali e di logistica;
   l'offerta del gruppo Arvedi dovrà dare delle soluzioni, al momento ancora non comunicate, in primo luogo sul piano dell'inquinamento ambientale a tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori, prevedendo consistenti investimenti e azioni su un impianto che dista poche centinaia di metri dalle abitazioni;
   il percorso iniziato dovrà svilupparsi con il coinvolgimento dei ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze e degli enti territoriali, che debbono impegnarsi ad operare affinché le procedure garantiscano al territorio un futuro in cui non si contrapponga come in passato il lavoro alla salute, in cui gli impegni di chi si offre a rilevare l'impianto debbono essere vincolati in un accordo che eviti il rischio che le istituzioni, messe in difficoltà dalla ristrettezza dei tempi imposti dalla Lucchini, ricoprano meramente un ruolo notarile;
   nel suo complesso, la siderurgia italiana si trova in una delle congiunture più sfavorevoli della storia dell'acciaio europeo. Secondo gli ultimi dati di World Steel Association, infatti, l'Europa a 27 ha prodotto a giugno 14,171 milioni di tonnellate di acciaio, con un calo del 3,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2012;
   l'11 giugno 2013 la Commissione Unione europea ha approvato il piano d'azione per la siderurgia europea predisposto dal vicepresidente responsabile per l'industria Antonio Tajani, che prevede interventi volti a migliorare la competitività delle industrie e agevolarne il processo di ristrutturazione, ad attuare azioni mirate a stimolare la domanda nei settori della fabbricazione di veicoli e delle costruzioni sostenibili, a sostenere le esportazioni di acciaio Unione europea, a contrastare le pratiche sleali e garantire l'accesso a materie prime essenziali, a garantire ai principali operatori siderurgici prezzi energetici accessibili, a promosse tecnologie rispettose dell'ambiente e attività innovative di R&S;
   il piano europeo, riconoscendo l'importanza strategica dell'acciaio per l'Europa e il suo ruolo di motore della crescita, potrà essere concretamente sfruttato dalla filiera nazionale, partendo dai casi Uva, Trieste, Piombino, Terni e fino alle piccole realtà, purché l'Italia abbia la forza e l'abilità di negoziale nelle trattative europee. In quest'ottica, la Ferriera può diventare un laboratorio delle crisi industriali complesse –:
   se i Ministri interrogati intendano fornire ogni utile informazione al fine di conoscere le reali intenzioni del gruppo Arvedi in ordine alla quantificazione dell'investimento per la complessa soluzione dell'impatto ambientale dello stabilimento sulla salute dei cittadini e dei lavoratori, compresi i dettagli degli interventi che verranno effettuati all'impianto e il piano industriale proposto dall'azienda;
   se risultino veritiere le notizie che vedrebbero, nel periodo dal 31 agosto sino al 15 ottobre 2013, come già definito per i mesi di luglio e di agosto, il gruppo cremonese continuare a contribuire direttamente alla prosecuzione dell'attività dello stabilimento;
   come nell'ambito di una strategia complessiva per il rilancio della filiera produttiva dell'acciaio, anche a seguito dell'approvazione in sede di Commissione europea del piano d'azione per la siderurgia europea, si collochi il destino dello stabilimento Ferriera di Servola. (5-00919)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AIRAUDO e RAGOSTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Firema Trasporti spa opera nel settore metalmeccanico e svolge attività di progettazione, costruzione e riparazione di veicoli ferroviari;
   l'azienda fino a luglio 2010 occupava oltre 900 dipendenti. Circa 600 unità erano dislocate nello stabilimento principale di Caserta e il resto dislocate nelle filiali di Milano, Spello, Potenza;
   a partire dal 2 agosto 2010, con decreto del Ministero dello sviluppo economico, la Firema è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, a norma dell'articolo 2 comma 2, decreto-legge 23 dicembre 2003 n. 347 ed è stato nominato commissario straordinario il professor Ernesto Stajano;
   con successivi decreti la società ha ricevuto proroga della procedura di amministrazione straordinaria. Precisamente, nel marzo del 2013, il Ministero dello sviluppo economico ha concesso la proroga fino al 17 marzo 2014, finalizzata alla vendita o al rilancio della Firema;
   in virtù dell'ulteriore periodo di commissariamento concesso l'azienda ha presentato in data 7 marzo 2013 istanza al Ministero del lavoro, ottenendo la proroga della cassa integrazione guadagni straordinaria fino a marzo 2014;
   durante il periodo di commissariamento la Firema ha ricevuto diverse commesse: dalla regione Lombardia (treni regionali TSR), metropolitane (Meneghino) per l'Azienda trasporti milanesi, metropolitane Metrocampania Nord Est e Sepsa per la regione Campania, nonché le commesse Fortaleza, Oslo, Viavalto e Metrogenova ricevute per conto di Ansaldo Breda;
   nonostante le difficoltà, Firema ha confermato l'alto patrimonio tecnologico e il know-how delle maestranze, ricevendo attestati di affidabilità e credibilità, riuscendo ad imporsi sul mercato nazionale ed internazionale, ribadendo di essere un'eccellenza del «made in Italy»;
   ad ogni modo l'esaurimento delle commesse sopracitate, per cui al momento viene impegnata circa il 50 per cento del totale della forza lavoro, mentre la restante parte è posta in cassa integrazione guadagni straordinaria, pone Firema in una condizione molto delicata;
   nelle scorse settimane pare siano arrivate 6 manifestazioni di interesse per l'acquisizione dell'azienda. Secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato del gruppo, Giovanni De Felice tre offerte omnicomprensive provengono da «un colosso indiano del settore, un gruppo brasiliano e un fondo di investimento svizzero-tedesco». Mentre le tre parziali riguardano l'impianto di Spello, Spello più i cantieri, e l'ultima lo stabilimento di Caserta più i cantieri;
   nel prossimo periodo si chiuderà la cosiddetta «data-room», ossia il processo investigativo che analizza il valore e le condizioni dell'azienda e dei singoli impianti, prima di arrivare alla valutazione finale e alle definitive offerte vincolanti, stimato per la metà di settembre. È forte il rischio che da tale operazione ne derivi lo smembramento e la chiusura di alcuni siti produttivi;
   Firema è il secondo produttore ferroviario e a parere degli interroganti l'inserimento della vertenza Firema nel più complessivo progetto ristrutturazione di Ansaldo Breda, appare come l'unica strada percorribile per rilanciare e dare competitività al settore ferroviario –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo a supporto del settore ferroviario e in particolare come il Governo intenda supportare la chiusura della procedura di cessione della Firema, per evitare la chiusura di strategici impianti produttivi per il Paese. (4-01643)


   FERRARESI, PAOLO BERNINI, DALL'OSSO, DELL'ORCO, MUCCI, SARTI e SPADONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Exploenergy S.r.l con sede a San Donato Milanese (Milano) ha presentato, al Ministero dello sviluppo economico, istanza di permesso di ricerca in terraferma, denominata Reno Centese, su di un'area di 646,9 chilometri quadrati, che interessa i comuni della regione Emilia Romagna di: Ferrara, Poggio Renatico, Mirabello, Sant'Agostino, San Giovanni in Persiceto, Bondeno, Cento, Vigarano Mainarda, Galliera, Crevalcore, Pieve di Cento, Finale Emilia, Camposanto, Ravarino, Medolla, San Felice sul Panaro, Mirandola, Bomporto;
   come si legge in rete, al sito dell'UNMIG, ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello sviluppo economico – direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, la fase del procedimento è attualmente: «In corso presentazione VIA dal parere CIRM alla presentazione della VIA (Operatore)»;
   in data 1o marzo 2013, nell'interlocutoria si legge che: «In precedenza la presente comunicazione era stata erroneamente classificata come «Comunicazione (da Operatore) avvenuta presentazione VIA»; la comunicazione della società riguarda invece l'invio alle regioni interessate di copia dell'istanza. Nella stessa nota la società ha inoltre comunicato di aver avviato gli studi di verifica ambientale. Si precisa comunque che la documentazione VIA non è stata ancora presentata»;
   questa erronea classificazione ingenera difficoltà nel seguire lo svolgimento regolare della procedura, anche in riferimento a quanto stabilito nell'ambito del disciplinare tipo (decreto ministeriale 26 aprile 2010 «Approvazione disciplinare tipo per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale») dove sono definiti i termini ed i tempi di presentazione delle richieste di pronuncia di compatibilità ambientale;
   dal medesimo sito si legge peraltro, nei principali eventi dell’iter amministrativo, che in data 28 giugno 2013 si entra in una fase interlocutoria in quanto risulta esservi una richiesta di sospensione della procedura di VIA;
   la regione Emilia Romagna, con propria delibera di Giunta n. 706/2013, del 3 giugno 2013, ha scelto di sospendere qualsiasi decisione in merito ai permessi di ricerca e coltivazione idrocarburi, che riguardino i territori colpiti dal sisma del maggio 2012, fino a che non sarà noto l'esito degli studi della commissione tecnico-scientifica istituita per la «valutazione delle possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento di attività sismica nell'area colpita dal terremoto dell'Emilia-Romagna nel mese di maggio 2012»;
   i comuni interessati nella ipotesi di ricerca di idrocarburi proposta dalla società Exploenergy Srl rientrano nel territorio interessato dal sisma di maggio 2012 –:
   se la società Exploenergy srl stia rispettando i tempi e le modalità di presentazione della richiesta di verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale e più in generale di richiesta del rilascio del permesso di ricerca;
   se la sospensiva di qualsiasi decisione in merito ai permessi di ricerca e coltivazione idrocarburi decisa dalla regione Emilia Romagna abbia influenza anche sulle scelte che vengono prese dai Ministeri interessati dalla procedura e se sì in che misura;
   se quanto si legge nell’iter amministrativo, e cioè che in data 28 giugno 2013 risulta: «Interlocutoria – da Soc: richiesta sospensione procedura di VIA», sia da riferisti o meno alla decisione della regione Emilia Romagna del 3 giugno 2013 di sospensione di qualsiasi decisione in merito ai permessi di ricerca e coltivazione idrocarburi. (4-01644)


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i vertici della Beta Spa, società proprietaria editrice dell'emittente televisiva marchigiana TVRS, hanno annunciato, sulla base di paventati e «prevedibili disavanzi futuri», di voler interrompere l'attività di produzione dei contenuti televisivi e di voler mantenere solo quella di operatore di rete, avviando l'11 maggio 2013 la procedura di mobilità per tutti i 21 dipendenti, dei quali 16 operatori tecnici e 5 giornalisti;
   tale ad avviso dell'interrogante inspiegabile decisione ha posto l'emittente al centro di roventi polemiche ed attacchi da parte dei sindacati, primo fra tutti il Sigim (Sindacato dei giornalisti marchigiani), oltreché dei rappresentanti delle istituzioni locali e del mondo politico;
   in passato il management dell'azienda aveva proposto un piano di ristrutturazione molto dettagliato che affidava la responsabilità dei canali 11 e 111, per poi ritirarlo frettolosamente e manifestare, nell'agosto del 2012, la volontà di voler continuare ad operare all'interno dei due canali non più come produttore di contenuti ma come operatore di rete, (un percorso peraltro in parte avviato), proponendo ai dipendenti un nuovo assetto aziendale che contemplasse la vendita agli stessi delle due frequenze che avrebbero potuto acquistare con gli emolumenti del trattamento di fine rapporto, per un valore pari a 240.000 euro per il canale 11 e 160.000 euro per il canale 111, oltre ad un canone mensile pari a 20.000 euro per la trasmissione dati;
   dopo una lunga trattativa nel settembre del 2012, con un ennesimo colpo di scena, la proposta, sollecitata dalla stessa proprietà e condivisa dai dipendenti, viene improvvisamente ritirata senza alcuna motivazione dagli stessi vertici aziendali che, nonostante il bilancio in utile, una invidiabile situazione patrimoniale ed una elevata liquidità, avviano la procedura di messa in mobilità del personale dipendente;
   la Beta Spa, dopo aver beneficiato per oltre trent'anni dei contributi statali per l'editoria, aveva di recente ricevuto, nell'ambito della ripartizione delle emittenze radiotelevisive e con il miglior punteggio della graduatoria regionale, la concessione dei canali Lcn 11 e 111, perché rispondente ai requisiti di legge in base ai quali è subordinata l'assegnazione stessa;
   infatti i suddetti contributi per la digitalizzazione degli impianti sono stati erogati sulla base di una graduatoria che prevedeva l'attribuzione di un punteggio con riferimento al numero dei dipendenti e dei giornalisti assunti;
   anche dalla regione Marche, con la quale ha stipulato una convenzione per la comunicazione istituzionale, l'emittente TVRS riceve contributi;
   le trasmissioni dell'emittente TVRS, una delle principali e storiche emittenti televisive della regione Marche, sono autoprodotte attraverso l'utilizzo di apparecchi per il montaggio di programmi televisivi, la sua programmazione prevede servizi sportivi, attualità, telepromozioni e telegiornali. Inoltre, grazie all'esperienza maturata in molti anni di attività nel settore, l'emittente televisiva TVRS si è guadagnata la concessione ministeriale per la diffusione televisiva, portandola al vertice nel panorama regionale;
   la decisione di conservare il solo status di operatore di rete, comporterà la modifica del piano editoriale che, insieme al numero di dipendenti, rappresentava il requisito fondamentale per l'assegnazione degli Lcn, facendo così decadere due importanti prerogative che dovrebbero appartenere ad un concessionario di frequenze –:
   se siano a conoscenza dei reali motivi che da una parte hanno spinto la società Beta spa a prendere una decisione così drastica che, a parere dell'interrogante, sembra invece nascondere ipotesi molto diverse dalle paventate difficoltà economiche, e dall'altra a rifiutare il ricorso nell'ultimo anno agli ammortizzatori sociali che gli avrebbe consentito di affrontare un'eventuale periodo di crisi economico-finanziaria;
   quali iniziative tempestive intendano intraprendere al fine di salvaguardare il futuro lavorativo dei 21 dipendenti della Beta spa;
   quali iniziative intendano intraprendere al fine di garantire la pluralità dell'informazione nell'ambito televisivo regionale, anche verificando la sussistenza in capo all'azienda delle condizioni che la legittimano ancora a trasmettere sulle frequenze Lcn 11 e 111;
   quali siano le motivazioni addotte dai vertici dell'azienda per giustificare il ritiro della proposta di vendita del ramo relativo ai contenuti al personale dipendente che, fortemente preoccupato per le proprie sorti lavorative, aveva in reiterate occasioni dato piena disponibilità all'acquisto.
(4-01645)


   ROSATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è ormai noto il periodo di crisi che stanno attraversando alcune categorie del commercio e alcuni settori produttivi stabiliti nelle aree di frontiera, alle prese con una concorrenza operata dai competitori d'oltre confine che compiono una gara al ribasso sul costo di vendita, potendo contare su una diversa e più vantaggiosa fiscalità e godendo di norme sul lavoro e sull'impresa che riducono al minimo il costo burocratico;
   questa problematica, che è stata segnalata in più circostanze anche con riferimento a precise categorie produttive, si è accentuata con l'ingresso dei paesi confinanti nell'Unione europea e con l'instaurarsi del mercato unico, che ha favorito gli scambi commerciali internazionali tra Stati membri, incentivando anche i cittadini a cogliere l'abbattimento dei confini come l'occasione per poter allargare la gamma di scelta su dove acquisire al miglior prezzo lo stesso prodotto;
   le potenzialità del mercato unico si scontrano con le oggettive difficoltà per i nostri imprenditori a poter instaurare, in certe aree del Paese, una sana concorrenza commerciale, perché si trovano «schiacciati» dalla non omogenea normativa in materia fiscale e amministrativa tra Paesi membri dell'Unione europea e quindi parte dello stesso mercato;
   la categoria delle officine sta attraversando una crisi di mercato per l'assenza di lavoro determinato anche dal calo registrato dal mercato dell'auto, al quale si aggiunge per alcune aree dell'Italia il calo del lavoro determinato dalla concorrenza effettuata dai paesi confinante, in particolare Austria e Slovenia, dove le medesime categorie, pur operando nello stesso mercato di crisi, possono sfruttare a loro vantaggio la diversa fiscalità, un costo dell'energia inferiore e un costo burocratico quasi inesistente;
   dalla presenza di questa variabile della concorrenza, assente in altre parti del Paese, deriva una oggettiva incongruenza degli studi di settore per la categoria commerciale ed artigiana auto moto, vendita e assistenza;
   si fra presente, inoltre, che risulta essere disatteso l'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito con legge 26 febbraio 1977, n. 39, e successive modificazioni, come integrato dall'articolo 23 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, il quale prevede che «Il danneggiato che ha ottenuto il risarcimento dei danni subiti dal veicolo è tenuto a trasmettere all'assicuratore la fattura, o documento fiscale equivalente, relativa alla riparazione dei danni risarciti entro tre mesi dal risarcimento.»;
   la mancata attuazione di questa disposizione, consente ancora oggi il ricorso alla mano d'opera presso officine dell'Austria o della Slovenia che non rilasciano alcun tipo di documento –:
   se sia allo studio del Governo una rivalutazione degli studi di settore per le aree di confine, atteso che alcune categorie subiscono una concorrenza più competitiva che in altre aree del Paese;
   quali iniziative il Governo intenda avviare per dare piena attuazione al succitato articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, così come integrato dalla legge 12 dicembre 2002, n. 273.
(4-01646)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Baroni n. 4-01029 del 26 giugno 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta De Lorenzis e altri n. 4-01117 del 3 luglio 2013 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-00918;
   interrogazione a risposta scritta Realacci e altri n. 4-01472 del 29 luglio 2013 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-00913;
   interrogazione a risposta in commissione Luciano Agostini n. 5-00881 del 7 agosto 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01642.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta orale Locatelli n. 3-00131 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 36 del 19 giugno 2013. Alla pagina 2385, prima colonna, alla riga quarantunesima, deve leggersi: «LOCATELLI. – Al Ministro della giustizia.» e non «LOCATELLI. – Al Ministro della salute.», come stampato.