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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 6 agosto 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'azienda Irisbus Italia Spa nasce nel gennaio 1999 dalla decisione di due importanti gruppi industriali e commerciali europei (FIAT Iveco e Renault) di unire le loro attività nel campo del trasporto pubblico attraverso la fusione dei rispettivi settori autobus;
    Irisbus, partecipata al 100 per cento da Iveco spa, (Gruppo Fiat), produce autobus in tutto il mondo, con stabilimenti in Brasile, India, Argentina, Cina, e cinque siti produttivi in Europa, a Annonay e Rorthais in Francia, Valle Ufita di Flumeri (Avellino) in Italia, Barcellona in Spagna e Vysoke Myto nella Repubblica Ceca;
    nel 2011 la FIAT ha attivato le procedure per la messa in mobilità e la cassa integrazione per tutti i lavoratori dello stabilimento, 700 dipendenti più altri 800 nell'indotto;
    dopo il taglio del personale, ridotto da 1.400 a 700 addetti, Fiat è passata direttamente alla chiusura dello stabilimento, sancendo la sua uscita, solo in Italia, dalle produzioni per il trasporto pubblico;
    le ragioni della chiusura sarebbero da attribuire agli effetti della grave crisi che ha colpito il mercato degli autobus urbani in Italia, le cui immatricolazioni hanno registrato una drastica riduzione, passando da 1.444 unità del 2006 a 1.113 del 2010, a 291 nel 2011. Nello stesso periodo la produzione complessiva dello stabilimento di Valle Ufita è scesa da 717 autobus nel 2006 a 472 nel 2010, mentre nei primi sei mesi del 2011 sarebbe arrivata a 145 autobus, dei quali meno di 100 per il trasporto urbano;
    non si può ignorare che la crisi dell'Irisbus di Flumeri si innesta nel quadro di default generale della metalmeccanica irpina, penalizzando ulteriormente un contesto produttivo già gravemente compromesso;
    la vicenda dell'Irisbus di Flumeri si intreccia con quella della BredaMenarinibus di Bologna, attualmente di proprietà di Finmeccanica spa, tra i primi produttori italiani di autobus;
    l'azienda rappresenta una realtà produttiva importante del territorio bolognese: attualmente essa impiega circa 290 persone ma negli anni 90 ne ha coinvolte fino a un migliaio;
    dal 1989 la BredaMenariniBus ha prodotto più di 7.000 autobus ed è in possesso di tutte le licenze europee questo tipo di veicoli;
    la Menarini è l'unica fabbrica ancora in grado di progettare e costruire autobus a basso impatto ecologico per il trasporto pubblico metropolitano. La crisi dell'azienda va avanti ormai da due anni, da quando nel 2011 la controllante Finmeccanica, esperito negativamente il tentativo di creare una partnership a livello internazionale per supplire al deficit dimensionale, ha dichiarato di volersi disfare del comparto pubblico del gruppo, BredaMenariniBus compresa;
    nel 2011 BredaMenariniBus ha costruito 300 mezzi, nel 2012 solo 30. Il calo complessivo è stato del 90 per cento;
    mentre chiudono le due più importanti aziende produttrici di autobus rimaste nel panorama industriale italiano, i cittadini sono costretti a viaggiare su mezzi vecchi, mal messi e, soprattutto, inquinanti;
    il trasporto pubblico locale nel nostro paese, è stretto da patologie annose che non trovano soluzione: tariffe basse (-40 per cento rispetto alla media dei principali Paesi Unione europea), costi gestionali alti (+30 per cento), risorse statali incerte, reti metropolitane, ferroviarie e tranviarie insufficienti, parco mezzi tra i più vetusti;
    le regioni che possiedono autobus più nuovi sono Lazio e Valle d'Aosta, mentre Sardegna e Sicilia hanno il parco veicolare più vecchio, con una età media di 13 anni; negli ultimi anni l'età media dei veicoli si è ulteriormente innalzata (oggi è vicina agli 11 anni) a causa dei tagli effettuati sugli investimenti per il rinnovo del parco mezzi;
    nel 2011 si sono venduti in Italia circa 2.000 veicoli, contro i 6.000 della Francia e i 4.400 della Germania;
    il parco veicoli italiano sconta una età media di circa 4 anni superiore a quella europea;
    secondo uno studio delle regioni, solo un veicolo su 4 di quelli attualmente circolanti rispetta le norme antinquinamento;
    forte è il rischio che l'Unione europea applichi delle sanzioni al nostro Paese per le numerose infrazioni della normativa antinquinamento;
    il 31 dicembre 2012 è entrata in vigore la nuova normativa europea «Euro 6», in base alla quale nuovi camion e autobus dovranno emettere l'80 per cento in meno di ossido d'azoto e il 66 per cento in meno di particolato rispetto ai livelli stabiliti dal precedente standard del 2008 (euro 5). In particolare, l'euro 6 è già operativo per le omologazioni dei veicoli pesanti, mentre lo sarà dal 2014 per le immatricolazioni;
    nelle intenzioni dell'Unione europea, gli standard tecnici fissati dovranno avere un impatto positivo non solo sull'ambiente e sulla salute ma anche sull'industria automobilistica europea;
    il 29 maggio 2013, in occasione dell'audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero presso la IX Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, ha rilevato che il trasporto pubblico locale deve essere una delle priorità del Governo, in quanto si connota come «un'emergenza reale», in termini di inefficienza, disorganizzazione e cattivo impiego delle risorse;
    in realtà il Ministro Lupi si è spinto oltre, definendo – sempre nella citata audizione – il trasporto pubblico locale come un'emergenza sociale, prima di tutto: in un contesto di prolungata recessione economica, infatti, il cittadino è spinto sempre di più ad andare verso il servizio pubblico;
    negli ultimi cinque anni, l'aumento nell'utilizzo dei mezzi pubblici per gli spostamenti è stimato in alcuni casi superiore al 25-30 per cento;
    è importante fornire all'utenza una risposta forte in termini di offerta di trasporto pubblico locale che sia efficace ed efficiente;
    assumono rilevanza a questo proposito le scelte operate in ordine alle risorse finanziarie messe a disposizione e ai criteri di distribuzione delle stesse nonché la spinta che deve essere impressa verso una vera liberalizzazione del settore;
    è infatti, necessario riflettere sulle possibili aree di ottimizzazione della spesa in un settore in cui oltre i due terzi della spesa sostenuta complessivamente per il servizio sono garantiti dall'intervento pubblico e solo un terzo deriva dai proventi del traffico. È, dunque, opportuno considerare se esistano servizi scarsamente utilizzati che possono essere adeguatamente riorganizzati, al fine di migliorare sia il beneficio per l'utenza sia il rapporto costi-benefici del servizio stesso. Questo obiettivo è in gran parte oggi affidato alla potestà regolamentare delle regioni e degli enti locali, chiamati a concorrere, assieme allo Stato, all'allineamento ai parametri economici, che garantiscono il rispetto dei vincoli per la stabilità economica del Paese;
    è, quindi, necessario riconsiderare le risorse complessive di cui il settore abbisogna per sostenere adeguati livelli qualitativi e quantitativi di offerta di servizi in un quadro di crescente processo di liberalizzazione dei servizi socialmente sostenibile e consentire uno sviluppo qualitativo e quantitativo delle infrastrutture e dei servizi finalizzato alla massimizzazione dei benefìci per gli utenti e per tutti i cittadini e da realizzarsi attraverso il riequilibrio e l'efficientamento del sistema;
    in questo quadro economico c’è l'esigenza di realizzare un metodo di programmazione nel settore del trasporto pubblico locale che è determinato dalla necessità di dare all'azione della mano pubblica un'ordinata coerenza con gli obiettivi più generali di sviluppo di un settore che assorbe risorse finanziarie sempre più rilevanti a tutti i livelli di spesa sia centrali che periferici;
    l'obiettivo principale, in questo contesto di crisi economica internazionale, che genera evidenti problemi sul bilancio dello Stato, è proprio quello di ridurre l'incidenza finanziaria in tale settore sul bilancio pubblico, anche favorendo una maggiore concorrenza fra operatori e, di conseguenza, migliorando l'efficienza dei servizi a disposizione dei cittadini; è in ogni caso anche da sottolineare che il trasporto pubblico locale è un settore in cui va valorizzata la procedura di gara ad evidenza pubblica per permettere un'effettiva concorrenza tra i soggetti affidatari in modo da ridurre gli sprechi e i costi di gestione. Sarebbe, quindi, importante anche intervenire normativamente attraverso la privatizzazione delle imprese pubbliche che gestiscono tali servizi, garantendo il superamento degli aspetti monopolistici, introducendo regole di concorrenzialità nell'affidamento dei servizi ed incentivando l'incremento della qualità, dell'efficacia, efficienza ed economicità;
    è, inoltre, opportuno, alla luce della crisi economica internazionale, imprimere nuovo slancio a processi di liberalizzazione socialmente sostenibili in un quadro di necessaria riconsiderazione delle risorse complessive di cui il settore debba poter disporre per sostenere adeguati livelli qualitativi e quantitativi di offerta dei servizi;
    a fronte delle sfide che attendono il Paese nel settore del trasporto pubblico locale, si deve rilevare che le risorse statali per l'acquisto e sostituzione dei mezzi di trasporto, nel corso degli ultimi 18 anni, hanno subito una brusca frenata. Si è passati, infatti, dagli oltre 2,3 miliardi di euro (quadriennio 1997-2001) a 1,2 miliardi di euro (quadriennio 2002-2006) previsti dalla legge n. 194 del 1998 e successivi rifinanziamenti sino ai 278 milioni di euro dell'ultimo quadriennio 2007-2011;
    agli stanziamenti sopra elencati si devono aggiungere i 110 milioni di euro previsti dal decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, direzione generale per le valutazioni ambientali, del 19 dicembre 2011, n. 735, il quale, anche in considerazione del deferimento – ai sensi dell'articolo 258 TFUE – dell'Italia alla Corte di giustizia europea per aver ecceduto per diversi anni consecutivi i valori limite per le particelle PM10 nell'aria ambiente, finalizza tali risorse al miglioramento della qualità dell'aria attraverso l'ammodernamento del parco circolante destinato al trasporto pubblico locale;
    da ultimo la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), ha disposto – ai sensi dell'articolo 1, comma 301, che ha sostituito l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012 – l'istituzione del nuovo Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, con una dotazione complessiva di 4,9 miliardi di euro (di cui 1,6 miliardi per il servizio ferroviario locale);
    il citato Fondo ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale. In particolare, in applicazione del citato articolo 16-bis, le regioni sono tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione sulla base di specifici obiettivi, il cui mancato raggiungimento comporta una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle regioni stesse;
    il comma 3 del citato articolo 16-bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi previa intesa in sede di conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto fondo;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2013, prevede che le risorse stanziate sul Fondo siano ripartite entro il 30 giugno di ciascun anno con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare, sentita la conferenza unificata. La ripartizione è effettuata per il 90 per cento sulla base delle percentuali fissate nella tabella 1 del decreto e per il residuo 10 per cento in base alle medesime percentuali ma subordinatamente alla verifica del raggiungimento degli obiettivi di: a) un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico; b) il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; c) la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata; d) la definizione di livelli occupazionali appropriati; e) la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica;
    a giudizio delle regioni, tuttavia, il citato Fondo, alimentato da una quota di compartecipazione al gettito derivante dalle accise sul gasolio per autotrazione e sulla benzina e dalle risorse stanziate dalle disposizioni previgenti, nasce con due criticità: una dotazione insufficiente (il fabbisogno complessivo del TPL a livello nazionale viene stimato intorno ai 6,3 – 6,6 miliardi di euro, con riferimento alle 15 regioni a statuto ordinario) e una impostazione ricentralizzatrice di ordine gestionale ed economica per quanto riguarda il riparto delle risorse stesse;
    in un documento del 13 giugno 2013 relativo al contributo statale sui mutui per la sostituzione degli autobus o altri sistemi di trasporto pubblico locale con particolare riferimento al problema del definanziamento del relativo capitolo di spesa (pari al 59,59 per cento nel 2011, a più del 90 per cento nel 2012 e a circa l'87 per cento nel 2013), le regioni hanno rilevato, altresì, che i tagli intervengono su somme già impegnate e, laddove non impegnate, impediscono alle regioni di effettuare investimenti necessari a garantire un sistema di trasporto pubblico locale più efficiente, sicuro e eco-compatibile,

impegna il Governo:

   a definire un piano di politica industriale nel settore dei trasporti che incentivi la ricerca e l'utilizzo delle modalità a più basso impatto ambientale, che non prescinda da un'efficace riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale, anche avvalendosi di strumenti quali l'osservatorio sul trasporto pubblico locale, istituto ai sensi dell'articolo 1, comma 300, della legge n. 244 del 2007;
   a procedere, nell'ambito di una politica di liberalizzazione e rilancio del settore del trasporto pubblico locale, all'attivazione di una politica industriale connotata dall'esigenza di determinare processi di aggregazione aziendale tali da assicurare una sufficiente competitività anche a livello europeo, anche al fine di superare l'attuale livello di parcellizzazione degli operatori del settore;
   a promuovere, nell'ottica sopradescritta, l'attivazione presso il Ministero dello sviluppo economico di un tavolo nazionale per l'unificazione della vertenza BredaMenarinibus di Bologna e Irisbus di Avellino, anche nella prospettiva di favorire la costituzione in un unico polo nazionale per la progettazione e costruzione di autobus e veicoli per il trasporto pubblico su gomma a basso impatto ambientale e di ampliare le possibilità di lavoro nell'ambito della ricerca e dell'innovazione tecnologica per la manutenzione e la messa a norma del parco autobus attualmente in circolazione.
(1-00165) «Carfagna, Minardo, Palmizio, Palese, Scopelliti, Vella, Costa, Calabrò, Bergamini, Castiello, Latronico».


   La Camera,
   premesso che:
    lo sfruttamento indebito in ambito internazionale delle denominazioni riconosciute alle produzioni agroalimentari italiane di qualità è sempre più ricorrente e la falsificazione dei nostri prodotti DOP e IGP fa registrare un giro d'affari di oltre cinque volte il fatturato realizzato dal mercato autentico;
    il fenomeno della contraffazione on-line è particolarmente allarmante posto che la rete offre anonimato, costi bassi e possibilità di una veloce e facile scomparsa dal mercato; dati aggiornati evidenziano che il commercio on-line nel settore alimentare risulta quello in maggior crescita, tanto che si stima, per il 2013, un balzo del 18 per cento;
    tale situazione genera ancor più preoccupazione alla luce delle nuove iniziative che potrebbero essere intraprese a breve dalla società americana ICANN, ovvero l'Autorità che genera il rilascio dei suffissi internet ed evidenzia la necessità di rivedere la governance di internet in cui il modello «multistakeholder», particolarmente rilevante nel tema dei domini di primo livello, fa sì che il ruolo dei Governi, come dimostrano le difficoltà negoziali nell'ambito del GAC, non sia determinante;
    come ormai noto, la citata ICANN, organizzazione privata di diritto californiano, ha attivato le procedure per assegnare, dietro pagamento, a soggetti privati e indipendentemente se siano – ad esempio viticoltori – o utilizzatori riconosciuti delle denominazioni, domini di primo livello generico, tra i quali «wine» e «vin», oltre a «food» e «organic»;
   i titolari dei suddetti domini potrebbero infatti, attraverso l'abbinamento a domini di secondo livello, registrare indirizzi come «baroloclassico.wine» o anche «prosciuttodiparma.food» e sovrapporli agli indirizzi dei prodotti originali generando totale confusione nelle piattaforme di commercio elettronico con danni incalcolabili per il sistema di qualità agroalimentare italiano;
    è indispensabile assicurare che l'assegnazione di nomi generici, accordati in via esclusiva a privati e senza particolari garanzie, quali domini di primo livello, sia improntata al rispetto delle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio, posto che il loro utilizzo, peraltro esclusivo, ha implicazioni commerciali, di relazioni tra Paesi e di immagine con effetti devastanti in ambito commerciale internazionale e in grado di attivare infiniti e costosi contenziosi;
    richieste di assegnazione di domini provengono da società stabilite in Paesi dichiarati «paradisi fiscali», coperte da anonimato societario e potenzialmente in grado di riciclare denaro di dubbia provenienza;
    l'iniziativa in parola contrasta con i principi della proprietà intellettuale che vietano la concessione di un diritto di privativa industriale che abbia ad oggetto un termine di uso comune,

impegna il Governo:

   ad intervenire con determinazione nelle competenti sedi internazionali e prioritariamente nell'ambito del Consiglio affari generali in sede di Unione europea, anche in collaborazione con gli altri Stati membri interessati e con la Commissione europea, per bloccare l'introduzione di nomi generici a dominio internet e la loro assegnazione a soggetti privati non utilizzatori delle denominazioni, a garanzia di tutela del sistema agroalimentare di qualità italiano;
   a promuovere, a livello di Unione europea, un'azione comune a difesa della posizione della «non concedibilità» dei nomi generici e della necessità di rivedere la governance di internet con la definizione di regole condivise a livello internazionale.
(1-00166) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Frusone, Cristian Iannuzzi, Nicola Bianchi, Paolo Nicolò Romano».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VII e VIII,
   premesso che:
    in data primo marzo 2013, è stato sottoscritto il disciplinare tecnico di attuazione del protocollo d'intesa fra il Ministero per i beni e le attività culturali e la regione Sardegna;
    il succitato disciplinare tecnico, che regolerà le modalità operative, i cronoprogrammi e i contenuti tecnici per lo svolgimento delle attività di verifica e adeguamento del Piano paesaggistico regionale per gli ambiti costieri, segna l'avvio del percorso che vedrà impegnata la regione nell'elaborazione del PPR anche per le zone interne;
    la parte terza del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, denominato codice dei beni culturali e del paesaggio, in particolare in riferimento alle norme di cui agli articoli 135, 143 e 156, detta prescrizioni precise, riguardo le quali, i giudici amministrativi e della Corte costituzionale si sono pronunciati numerose volte;
    sono numerosi gli interventi normativi della regione Sardegna impugnati dal Governo davanti alla Corte costituzionale – quali ad esempio la legge regionale n. 4 del 23 ottobre 2009 «Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo» (Piano casa), seguita da ben 3 modifiche e relative proroghe, la legge regionale n. 19, del 21 settembre 2011, «Provvidenze per lo sviluppo del turismo golfistico» e la legge regionale n. 20 del 12 ottobre 2012, «Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici» – che, in questi ultimi anni, hanno derogato, aggirato, se non addirittura violato, il Piano paesaggistico regionale, tuttora vigente e naturalmente sovraordinato;
    il 30 luglio 2013, il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato la proposta di legge n. 542, «Norme urgenti in materia di usi civici e in materia di beni paesaggistici», ennesima legge secondo l'interrogante palesemente incostituzionale per violazione delle competenze statali in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (articolo 117, comma 1, lettera s, della Costituzione), visto che le aree a uso civico sono tutelate ex lege con il vincolo paesaggistico, ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera h) del decreto legislativo n. 42 del 2004, codice dei beni culturali e del paesaggio, richiamato anche dall'articolo 8, comma 2, lettera b) delle NTA del Ppr. Secondo quanto previsto dagli articoli 135 e 143 dello stesso codice, inoltre, la disciplina di tali beni è affidata al piano paesaggistico e ogni modifica deve essere disposta attraverso l'attività di copianificazione tra gli organi del Mibac e la regione;
    la succitata legge, invece, rimette ai comuni, tramite delega conferita dalla sola giunta regionale, il potere di «documentare il reale sussistere dell'uso civico, [...] proporre permute, alienazioni, sclassificazioni e trasferimenti dei diritti di uso civico secondo il principio di tutela dell'interesse pubblico prevalente». Si precisa che «costituiscono oggetto di sclassificazione del regime demaniale civico in sede di ricognizione generale e straordinaria anche i casi in cui i terreni sottoposti ad uso civico abbiano perso la destinazione funzionale originaria di terreni pascolativi o boschivi ovvero non sia riscontrabile né documentabile la originaria sussistenza del vincolo demaniale civico». Non solo, «i comuni, previa intesa fra le parti interessate, possono attuare nell'ambito della ricognizione generale degli usi civici, processi di transazione giurisdizionale a chiusura di liti o cause legali in essere, articolo 1, comma 3, proposta di legge n. 357,

impegnano il Governo:

   a vigilare sulla procedura di revisione del Ppr Sardegna, e a valutare l'opportunità di promuovere un tavolo di concertazione con il Mibac ed il Ministero dell'ambiente con il fine di:
    a) impedire che siano violate le prescrizioni di cui agli articoli 135, 143, 144 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che impongono l'effettiva partecipazione del Ministero e il reale coinvolgimento delle associazioni ambientaliste nel procedimento;
    b) impedire che la revisione comporti l'introduzione di norme contrastanti con la Costituzione, con le leggi dello Stato e con le pronunce giurisprudenziali;
    c) impedire che dietro il pretesto di sostenere settori come l'edilizia e il turismo (o ancora più ristretti, come il golf) siano giustificate deroghe sostanziali alle esigenze di salvaguardia dell'integrità paesaggistica e delle risorse naturali (in particolare suolo, diversità biologica e acqua) già gravemente depauperate da decenni di politiche e prassi dissennate;
    d) impedire che i beni paesaggistici finora individuati e pertanto sottoposti a tutela siano derubricati come mere «componenti del paesaggio», la qual cosa li renderebbe di fatto privi di adeguata tutela;
    e) garantire in particolare che siano scrupolosamente osservati gli obblighi di congrua indicazione della finalità d'uso relativa ad ogni singolo bene paesaggistico finora individuato, oltre che di quelli che fossero eventualmente riconosciuti in aggiunta ai precedenti;
    f) garantire l'applicazione dell'articolo 145, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio secondo il quale «le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell'adeguamento degli strumenti urbanistici», assicurandosi che le disposizioni di cui all'articolo 13 del cosiddetto Piano casa, come già chiarito dal giudice amministrativo, non siano applicate, perché in questo modo si creerebbe un conflitto tra la normativa regionale e quella statale (che riserva al piano paesaggistico la disciplina delle aree protette), (visto che la stessa formulazione letterale dell'articolo 13 – che detta «Principi e direttive», affidando ai piani paesaggistici l'indicazione delle «opere eseguibili sino all'adeguamento degli strumenti urbanistici comunali» – conferma che le norme regionali, per essere efficaci, devono essere recepite dal piano paesaggistico regionale);
    g) impugnare davanti alla Corte costituzionale quando ne ricorrono i presupposti le leggi regionali della Sardegna approvate in violazione alle norme statali di tutela aventi rango di riforma economico sociale;
    h) introdurre adeguati meccanismi che rendano impossibile, d'ora in avanti, la sospensione, la deroga o l'aggiramento delle disposizioni a tutela del paesaggio attraverso altri interventi che, disciplinando i più disparati settori, abbiano comunque riflessi sulla gestione del territorio in generale e sui beni paesaggistici in particolare.
(7-00085) «Di Benedetto, Segoni, Corda, Vallascas, Nicola Bianchi, Pinna, Battelli, Daga, Zolezzi, Parentela, Luigi Gallo, Vignaroli, Brescia, Simone Valente, Artini, Basilio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BOLOGNESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   suscita dubbi la procedura attraverso la quale Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, condannati ad almeno 7 ergastoli per vari delitti, tra i quali la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, hanno ottenuto il beneficio della liberazione condizionale;
   dubbi in proposito furono sollevati nell'immediatezza dall'Associazione familiari vittime della strage in cui persero la vita 85 persone, per il fatto che non risultavano essersi realizzati i presupposti previsti dalla legge, essendosi nel relativo provvedimento dato atto dell'intervenuto perdono di una sola delle parti offese della strage e tacendosi in proposito la mancata consultazione della predetta associazione, degli altri familiari delle vittime della strage e degli altri omicidi di cui i due terroristi furono ritenuti responsabili. E non avendo dato essi dato segno ad alcuna resipiscenza;
   la prova dell'avvenuto ravvedimento fu basata solo su un appello di varie personalità in relazione alla attività prestata dagli interessati a favore della associazione «Nessuno tocchi Caino», i cui promotori e molti dei cui sottoscrittori erano gli stessi che, a seguito di una campagna mediatica di disinformazione, secondo l'interrogante, abilmente orchestrata, precedentemente avevano sottoscritto l'appello «E se fossero innocenti» sempre a favore dei medesimi;
   attraverso questa identità di ruoli si sono poste le fasi di una confusione di motivazioni che, per quanto possa non essere stata colta dai giudici e da alcuni dei sottoscrittori degli appelli, oggettivamente determinava effetti gravemente distorsivi per la commistione tra i motivi di merito che avevano portato alla condanna e la strumentalizzazione dei mezzi di informazione e dell'istituto della liberazione condizionale, le cui logiche devono essere riferibili esclusivamente alla esecuzione della pena;
   successivamente le perplessità sembrano aver trovato altri supporti oggettivi, quando si è appreso che nel corso del processo penale a carico di Gennaro Mokbel, già componente della stessa banda dei NAR che aveva fatto capo a Valerio Fioravanti, sarebbero emerse a seguito di intercettazioni telefoniche le seguenti circostanze:
    che il Mokbel aveva affermato di avere speso un milione e duecento mila euro per la liberazione dei due terroristi Fioravanti e Mambro, facendo carico della relativa spesa alla cassa comune della associazione criminale formata dai proventi delle attività illecite per le quali era stato avviato il p.p. RG GIP/GUP n.6429/2006;
    l'entità della spesa certamente eccedeva il semplice costo delle spese legali di assistenza nella procedura relativa alla esecuzione della pena;
    è possibile supporre che questa erogazione potesse essere giustificata da un obbligo di solidarietà che alcuni degli associati ritenevano di dover manifestare nei confronti dei due ex sodali, anche se probabilmente non condivisa da tutti;
    è inevitabile per l'interrogante il sospetto che questa dazione possa essere stata rivolta anche a compensare il silenzio sempre mantenuto dal Fioravanti e dalla Mambro in ordine ai mandanti della strage;
    in altre intercettazioni si afferma che il Mokbel si sarebbe fatto carico anche di altre consistenti spese e della latitanza in Africa dell'ex NAR Antonio D'Inzillo, che sarebbe stato già in precedenza arrestato nel maggio 1994 a casa dello stesso Mokbel;
    il Mokbel per mantenere inalterato il proprio prestigio all'interno della associazione criminale, insidiato da una iniziativa dell'associato Augusto Murri, aveva ricordato agli associati – nel corso di una conversazione – di essersi reso già responsabile di una decina di omicidi («c'ho dieci omicidi sulla coscienza e non mi hanno mai beccato»), con evidente riferimento all'attività svolta allorché faceva parte del sodalizio egemonizzato dal Fioravanti;
    il rapporto della polizia giudiziaria evidenziava che egli sarebbe stato associato con altre persone in una associazione a delinquere che affondava le sue radici nella esperienza pregressa di alcuni degli associati che negli anni ’80 già avevano militato nei NAR e nella Banda della Magliana;
    dalle stesse intercettazioni emergevano riferimenti, anche ad altro appartenente ai NAR, Marco Iannilli, ad esponenti della «’ndrangheta» e della banda della Magliana, uno dei quali esplicitamente indicato nelle telefonate intercettate con «Nicoletti» che avrebbero ancora mantenuto una sorta di signoraggio sul gruppo criminale;
    desta perplessità che il Mokbel e lo Iannilli, nonostante i loro gravi precedenti penali e la natura delle relazioni mantenute, abbiano potuto intrattenere rapporti con società a partecipazione pubblica, tanto da ingenerare a parere dell'interrogante il sospetto che tali rapporti possano aver costituito una sorta di riconoscimento per l'attività precedentemente svolta nell'ambito dei gruppi eversivi di estrema destra;
    proprio in forza di tali rapporti essi avrebbero ricevuto mano libera da parte di soggetti responsabili di settori di tali società per costruire il castello dell'attività illecita loro contestata;
    da varie fonti e dalla stessa ordinanza di rinvio a giudizio sono state poste in evidenza le relazioni che gli associati tentarono di stabilire anche con la Lega Nord, le cui basi risultano essere state già poste agli inizi degli anni Novanta da Stefano Delle Chiaie e Licio Gelli, con il coinvolgimento anche del fratello di Francesca Mambro;
   risulta da varie indagini che già agli inizi degli anni ’80 Stefano Delle Chiaie si era prestato a mettere a disposizione di Fioravanti e Mambro un rifugio all'estero prima che essi fossero arrestati; un rifugio fu procurato tramite Elio Massagrande in Paraguay a Paolo Marchetti e Rita Stimamiglio (vedasi la missiva di costoro sequestrata dalla polizia tedesca a Bad Nauheim nel giugno 1984). Licio Gelli fu condannato in relazione ad un depistaggio posto in atto nel corso delle indagini sulla strage di Bologna rivolto ad allontanare l'attenzione degli inquirenti dai citati Fioravanti e Mambro mentre proprio il Marchetti e la Stimamiglio si erano adoperati per procurare un rifugio a Fioravanti e la Mambro in un appartamento di via Liberi 6 di Padova, ove il Fioravanti a febbraio del 1981 fu poi arrestato;
   il medesimo rapporto nel corso di un servizio del programma televisivo Report hanno riferito anche di incarichi, analoghi a quelli attribuiti a Mokbel e Iannilli, o rapporti economici stabiliti direttamente o tramite società controllate dalla ex-amministrazione comunale di Roma a favore di altri soggetti gravitanti nell'area dei NAR o della banda della Magliana, tra i quali Riccardo Mancini, già incriminato nel processo ad Avanguardia Nazionale, e Massimo Carminati, che fu complice insieme a Fioravanti di numerosi delitti nonché di rapporti tra Massimo Carminati, Ernesto Diotallevi ed Enrico Nicoletti, tra questi e il boss Carmine Fasciani, e tra questi e Gennaro Mokbel;
   è inevitabile trarre dall'insieme di tali fatti la necessità di verificare che i vari Nicoletti, Gelli, e gli ambienti di cui essi erano espressione, avessero l'esigenza di assicurarsi il silenzio degli ex NAR al fine di evitare loro coinvolgimenti nei delitti ascritti a Fioravanti ed alla Mambro;
   del pari sarà necessario verificare se quel milione e duecentomila euro, comunque risultante dal reato, sia stato utilizzato solo per attività di assistenza legale nella procedura di esecuzione della pena di Fioravanti e Mambro, ovvero per altre spese di cui dovrà essere accertata la natura;
   tali circostanze evidenziano la persistenza di rapporti del Fioravanti e della Mambro con ambienti criminali (nelle intercettazioni si fa riferimento a loro contatti diretti con Gennaro Mokbel e Giorgia Ricci) e pongono seri dubbi circa la fondatezza della l'affermazione dell'intervenuto perdono delle parti offese nonché sulla sussistenza di tutte le altre condizioni per l'applicazione dell'articolo 176 c. III c.p. («il condannato... che durante il tempo di esecuzione della pena abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale...») –:
   di quali elementi disponga sui fatti esposti in premessa anche con riferimento alle procedure amministrative che possono aver creato progressivamente nel tempo una situazione di copertura dei citati terroristi fino a determinarne l'attribuzione loro di incarichi che presupponevano ben altri requisiti morali e di affidabilità;
   se il Ministro della giustizia non intenda avviare iniziative ispettive, ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza. (3-00268)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 2 luglio scorso la Commissione europea ha trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso l'ambasciatore Peronaci, una nota circostanziata sulla «Procedura d'infrazione 2004/4926, riguardante la caccia in deroga in Veneto – Esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia dell'11 novembre 2010 nella causa c-164/09»;
   tale documento è stato protocollato dal dipartimento per le politiche europee – Presidenza del Consiglio dei ministri – struttura di missione per le procedure di infrazione in data 11 luglio 2013, ma non è mai giunto a conoscenza del Parlamento, nonostante fosse in piena discussione la legge europea 2013, che è stata approvata definitivamente alla Camera dei deputati il 31 luglio 2013;
   il documento della Commissione europea reca inequivocabili valutazioni, prescrizioni ed indicazioni sul percorso corretto per giungere a sanare e chiudere la Procedura d'infrazione 2131/2006, aperta nei confronti del nostro Paese soprattutto a causa delle ripetute violazioni della normativa europea in materia di deroghe (Direttiva 79/409 CEE, oggi 147/2009 sulla conservazione degli uccelli selvatici, articolo 9);
   tali violazioni hanno già visto la condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia il 15 luglio 2010;
   non avendo attivato l'applicazione di una serie di disposizioni relative alla condanna stessa, il nostro Paese ha visto una nuova messa in mora ai sensi dell'articolo 260, Trattato fondativo dell'Unione europea in data 25 novembre 2011;
   la nota della Commissione europea del 2 luglio 2013, in modo esplicito ed inequivocabile, ricordava e ricorda al Governo italiano le rigide condizioni in materia di deroghe stabilite dalla direttiva uccelli: motivazioni adeguate o dimostrazione di assenza di altre soluzioni soddisfacenti; la necessità di registrare i capi subito dopo l'abbattimento; l'obbligo che il prelievo in deroga sia esercitato da un numero assai ridotto di cacciatori specificamente autorizzati ed identificati, con previsione di specifici controlli in aggiunta alla vigilanza ordinaria; la necessità di disporre di dati certi sullo status delle popolazioni naturali prima della concessione di qualsivoglia deroga, e altro;
   sui punti sopracitati l'interrogante aveva presentato un congruo numero di emendamenti in sede di discussione della legge europea, ritenendo insufficiente quanto contenuto nell'articolo 26 del testo votato dal Senato: di tali emendamenti è stato chiesto il ritiro;
   tale testo, infatti, risponde in maniera estremamente parziale alle richieste dell'Europa, lasciando varchi pericolosi, ingiustificabili ed inaccettabili per le normative comunitarie alla caccia cosiddetta tradizionale, che colpisce piccoli uccelli protetti in tutta l'Unione (fringuelli, peppole, pispole, frosoni, e altro);
   in particolare è gravissima la conclusione del documento della Commissione europea che il Parlamento non è stato messo in condizione di conoscere, vale a dire che «se venissero adottate in Italia deroghe illegittime, e ove il Governo italiano non intervenisse in modo efficace e tempestivo per impedire che tali deroghe producano i loro effetti, la Commissione europea non avrà altra scelta che presentare un secondo ricorso dinanzi alla Corte dell'Unione europea proponendo l'imposizione di sanzioni pecuniarie contro la Repubblica italiana»;
   in base a quali motivazioni la Presidenza del Consiglio, ed in particolare il Ministero per gli affari europei, abbiano ritenuto di tenere all'oscuro il Parlamento del rilevante documento della Commissione europea, che avrebbe certamente indotto il Parlamento stesso ad assumere provvedimenti ben più stringenti e circostanziati nella discussione dell'articolo 26 della legge europea, tenendo in conto in modo particolare il profilarsi di sanzioni pecuniarie ai danni dei cittadini italiani;
   questa vicenda ad avviso dell'interrogante sia fonte di discredito e danno di fronte all'Europa e davanti all'opinione pubblica del nostro Paese –:
   se non si ritenga opportuno accertare ogni responsabilità ad ogni livello;
   quali provvedimenti intenda adottare il Governo per rispondere alle pesanti contestazioni avanzate dalla Commissione europea, nel doveroso intento di chiudere al più presto in modo soddisfacente e definitivo la procedura di infrazione n. 2131 aperta nel 2006. (4-01592)


   PALAZZOTTO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 229, della legge n. 228 del 2013, stabilisce l'ammontare delle risorse destinate al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per fronteggiare la crisi del settore della pesca; per l'anno 2013 è stato previsto uno stanziamento di 30 milioni di euro;
   la direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro e la direzione centrale dell'INPS ritengono lo stanziamento di 30 milioni di euro insufficiente a coprire il fabbisogno per l'anno in corso;
   a tutt'oggi, sono ancora inevase centinaia di richieste di liquidazione presentate dai lavoratori per la cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga per i periodi antecedenti all'anno 2013 e, tali somme, non possono essere anticipate dai datori di lavoro mediante il meccanismo del recupero delle somme liquidate al pescatore imbarcato con la compensazione con i contributi a debito, ma devono essere erogate direttamente al beneficiario;
   la legge n. 192 del 2012 ha introdotto la nuova «assicurazione sociale per l'impiego», che prevede un trattamento di disoccupazione anche per la piccola pesca (legge n. 250 del 1958), che è di fatto inapplicabile, considerato il requisito di un minimo di due anni di anzianità contributiva; tale istituto previdenziale non era prima riconosciuto alla predetta categoria di lavoratori;
   non è ancora prevista dalla legge una cassa integrazione strutturata, come accade per il lavoro agricolo, e non tutte le categorie di lavoratori della pesca possono ancora accedere alle indennità di malattia –:
   se il Governo intenda adottare le opportune iniziative per superare l'attuale insufficienza di risorse destinate agli ammortizzatori sociali in deroga per l'anno 2013;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per affrontare il tema del welfare nella pesca, predisponendo una precisa iniziativa normativa, con particolare attenzione al tema degli ammortizzatori sociali in tale settore, che miri al superamento dell'attuale regime retributivo della piccola pesca. (4-01602)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la chiusura in corso di svariate rappresentanze consolari ha generato in questi anni numerosi problemi sia per i cittadini italiani residenti all'estero che per gli interessi del nostro sistema economico e imprenditoriale, infatti i nostri connazionali residenti all'estero si ritrovano su un territorio senza più un punto di riferimento certo, come pure molte imprese perdono l'interlocuzione con il Consolato avente per giurisdizione il territorio sul quale hanno situato la loro attività estera;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», la cosiddetta spending review, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, prevede che non siano compromessi i servizi offerti ai cittadini. In tale quadro appare evidente che la riorganizzazione della rete diplomatico-consolare pur prevedendo la riduzione dei costi non può porre in secondo piano la qualità dei servizi da offrire ai connazionali all'estero ed alle imprese italiane nel loro percorso di internazionalizzazione;
   il dibattito sulla razionalizzazione della rete diplomatico-consolare è sfociato nella chiusura di 14 sedi consolari senza che vi fosse una concertazione con le comunità italiane all'estero ed i suoi rappresentanti e senza che il Parlamento stesso ne fosse informato; inoltre il dibattito sul riorientamento della rete diplomatico-consolare si sta volgendo ovunque tranne che nelle sedi istituzionali proprie;
   la rete consolare ha già subito, negli anni scorsi, tagli pesanti e chiusure di uffici mentre non ancora si vede l'operatività del cosiddetto «consolato digitale»;
   l'apertura di nuovi uffici consolari nelle aree del mondo dove si stanno orientando parecchi interessi economici italiani come Turkmenistan, Cina e Vietnam non può significare lo smantellamento degli uffici presenti nei classici territori di emigrazione e l'abbandono dell'assistenza a chi, emigrato, ha contribuito a costruire l'Italia dall'estero con notevoli sacrifici. Si tratta di quegli anziani delle vecchie generazioni verso i quali l'Italia ha un debito di gratitudine, fosse solo per le cosiddette rimesse che ci hanno aiutato a crescere economicamente ed a svilupparci;
   tra le sedi di prossima chiusura figura anche il consolato di Newark, la cui giurisdizione copre ben 13 contee dello Stato del New Jersey (USA), con circa 17.000 connazionali residenti, ovvero il centro Nord di questo importante Stato americano ivi compresa la capitale Trenton citata da Sciascia ne «Il lungo viaggio». Una terra nota alla nostra comunità sin dai primi tempi dell'emigrazione in America, infatti qui sono sorte numerose associazioni tra cui la gloriosa Unico National che è la terza associazione italoamericana, senza contare le organizzazioni facenti capo ai siciliani, ai pugliesi, calabresi, campani ed abruzzesi che sono di antica costituzione e che conservano la memoria storica della nostra emigrazione. Inoltre, oggi, numerosi ricercatori italiani hanno come punto di riferimento l'università di Princeton;
   la sede consolare di Newark è cruciale nel panorama italoamericano e per il ruolo di primo piano, in tutti i campi, degli italoamericani nel New Jersey, tra cui il Governatore, e per il suo posizionamento geostrategico, tra New York e Washington, al centro di adeguate reti di trasporto stradali, ferroviarie, aeroportuali e portuali con il porto di Elizabeth. Strutture fondamentali per la presenza delle aziende italiane negli USA;
   se l'intento dell'amministrazione degli affari esteri è quello di razionalizzare e promuovere il nostro Sistema Paese oltre che assistere i nostri connazionali non è possibile procedere alla chiusura del consolato di Newark per le ragioni sopra esposte –:
   quali siano stati i criteri adottati dal Ministero degli affari esteri nel riorientare la rete diplomatico-consolare e decretare la chiusura delle sedi consolari richiamate in premessa e della sede di Newark in particolare e se non ritenga di dover procedere all'istituzione di un'agenzia consolare a Newark. (4-01595)


   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il provvedimento sulla spending review contenuto nel decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito con modifiche dalla legge 6 luglio 2012 n. 94, ha previsto per il contingente scolastico da inviare per l'insegnamento della lingua e della cultura italiane all'estero una riduzione media di 80 unità all'anno al fine di raggiungere in cinque anni una riduzione complessiva di 400 unità;
   per l'anno scolastico 2013-2014 di fatto risultano vacanti o coperti da personale supplente 47 posti nelle scuole statali, 25 nelle scuole straniere, 4 nelle scuole paritarie, 69 nei corsi, per un totale di 145 posti;
   rispetto alle 833 unità (800 unità di ruolo tra docenti di ruolo e personale ATA e 33 dirigenti scolastici) previste dal decreto di contingente, per i quali è assicurata una copertura finanziaria di 60 milioni di euro circa, si registrerà un impiego effettivo di 688 unità;
   il contingente effettivamente impegnato, dunque, non è lontano dal numero di 624 unità previsto dalla spending review come limite da raggiungere nei cinque anni di applicazione e la spesa effettivamente impegnata, considerando il minor costo del personale a tempo determinato assunto in supplenza nei posti vacanti, è sostanzialmente quella finale prevista dallo stesso decreto;
   le conseguenze determinate dall'applicazione del decreto, per comune riconoscimento dei rappresentanti delle comunità, dei sindacati e della stessa amministrazione, sono state devastanti per la rete di diffusione dell'insegnamento della lingua e per la qualità del servizio, anche per l'automatismo seguito nell'eliminazione dei posti coperti, derivante dall'assenza di qualsiasi criterio di selezione delle situazioni concrete esistenti e delle esigenze in esse manifestatesi;
   gli esiti dell'applicazione della spending review in America Latina, una delle aree strategiche per la promozione della lingua e la cultura italiane, sono stati particolarmente pesanti per il fatto che la rete ivi presente è stata mutilata di 3 insegnanti nei corsi della scuola primaria in Argentina, di cinque insegnanti nei corsi della scuola secondaria di primo grado in Argentina, di due dirigenti scolastici in Argentina, di un addetto ATA in Cile, di due lettorati in Argentina, uno in Brasile, due in Cile, di un posto di scuola paritaria di livello primario a Bogotà, di un posto a Lima, di un posto in Argentina nel livello secondario di primo e secondo grado;
   in particolare, di incomprensibile lettura risulta la decisione di togliere l'unico dirigente scolastico esistente in Cile per attribuirlo a Miami (USA);
   alla luce di quanto detto, non esistono più ragioni, né sul piano organizzativo né su quello finanziario, per continuare a tenere bloccate le nomine dall'Italia, tanto più che le norme esistenti assicurano la possibilità di utilizzare 833 unità di personale nel 2013-2014 –:
   se non ritenga di promuovere iniziative normative, per altro annunciate nella relazione di Governo tenuta dal Viceministro Bruno Archi all'Assemblea plenaria del Consiglio generale degli italiani all'estero, lo sblocco dell'invio di nuovo personale diretto a coprire le esigenze evidenziate, al fine di non rendere irreversibile le fratture che si stanno determinando nella rete di insegnamento della lingua e della cultura italiane nel mondo;
   se non consideri necessario e urgente sollecitare da parte dei responsabili dell'amministrazione l'adozione di criteri selettivi nell'applicazione del decreto, in modo da non sguarnire le situazioni di eccellenza e di evitare che intere aree territoriali, come il Sud America, siano penalizzate in modo irreversibile. (4-01604)

AFFARI EUROPEI

Interrogazioni a risposta immediata:


   SPESSOTTO. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   sul funzionamento dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto è stata avviata dalla Commissione europea, già a partire dal marzo 2012, una procedura EU Pilot, sistema che, come noto, è stato concepito per la fase antecedente all'avvio formale di una procedura di infrazione;
   a seguito delle risposte, fornite dalle autorità italiane e regolarmente ritenute insufficienti dalla Commissione europea, l'ultima richiesta di aggiornamento relativa al funzionamento dello stabilimento Ilva è stata inoltrata dalla Commissione europea alla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 8 luglio 2013, ed è giunta a scadenza il 29 luglio 2013;
   nonostante le ripetute richieste indirizzate dal gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle alla segreteria del dipartimento per le politiche europee per conoscere gli elementi di risposta delle competenti amministrazioni italiane, non è stata trasmessa, ad oggi, alcuna replica dettagliata a tale domanda di aggiornamento, né tantomeno è stato concesso l'accesso agli atti;
   il testo di risposta del Governo all'ultima richiesta di informazioni non è stato pubblicato neanche sul sito del garante dell'autorizzazione integrata ambientale per l’Ilva, sito predisposto con il supporto tecnico dell'Ispra, in cui è contenuta e resa pubblica tutta la corrispondenza intercorsa tra la Commissione europea e il Governo in merito allo stabilimento Ilva di Taranto;
   la mancata risposta da parte del Governo a tale domanda di informazioni supplementari appare ancora più grave, poiché, per la prima volta, la Commissione europea ha ipotizzato, nei confronti dello Stato italiano, la violazione di ben quattro articoli della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
   in particolare, i quesiti sottoposti dalla Commissione europea alle autorità italiane vertono sulle possibili violazioni del diritto alla vita, del rispetto della vita privata e della vita familiare, del diritto di proprietà con riferimento alle abitazioni e alle attività commerciali situate nell'area interessata dalle emissioni tossiche prodotte dallo stabilimento, nonché dell'articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che inserisce il livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità tra gli obiettivi da integrare nelle politiche dell'Unione europea;
   è, inoltre, proprio di questi giorni la notizia che 52 cittadini di Taranto, di età compresa tra i 19 e i 67 anni, alcuni dei quali affetti da gravi patologie, hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, denunciando la violazione del diritto alla vita da parte dello Stato italiano per la vicenda Ilva –:
   quali informazioni il Ministro interrogato possa riferire in merito alla questione esposta in premessa, relativa agli ultimi sviluppi legati al caso EU Pilot 3268/12/ENVI, tenuto conto della gravità delle ipotesi di violazione degli articoli 2, 7, 17 e 37 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea da parte dello Stato italiano, nonché della mancata accessibilità telematica alla documentazione di risposta alle ultime richieste inoltrate dalla Commissione europea. (3-00263)


   GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI e RONDINI. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   secondo il quotidiano greco Politis, una nave oceanografica italiana, la Odin Finder, il 25 luglio 2013 sarebbe stata oggetto di una serie di gravi intimidazioni da parte di unità della Marina militare turca, mentre procedeva a rilevazioni propedeutiche alla posa di cavi sottomarini in fibra ottica nella zona economica esclusiva pertinente alla Repubblica di Cipro, per conto di una società americana;
   stando alla ricostruzione dei fatti, una nave militare turca avrebbe intimato alla Odin Finder di far rientro nelle acque territoriali cipriote, compiendo dei giri attorno alla stessa per indurla ad interrompere le proprie attività;
   esistono, tuttavia, ricostruzioni che parlano di atti più forti, che includerebbero addirittura il lancio di un razzo nei pressi del battello oceanografico italiano;
   per le autorità militari di Ankara, i fatti si sarebbero svolti nelle acque della piattaforma continentale turca, mentre, ad avviso della stampa greca e greco-cipriota, in realtà, la Odin Finder si trovava all'intersezione dei blocchi 1 e 7 della zona economica esclusiva cipriota;
   alla base dell'incidente vi è in effetti un contenzioso bilaterale tra la Repubblica di Turchia e la Repubblica di Cipro, Stato membro dell'Unione europea, che concerne lo sfruttamento delle risorse energetiche della zona economica esclusiva cipriota;
   il problema non è, quindi, solo nazionale, ma europeo, nella misura in cui sono in gioco gli intessi di uno Stato membro dell'Unione europea, colpito nella circostanza non meno del nostro Paese –:
   se risulti al Governo che effettivamente contro la Odin Finder sia stato aperto il fuoco e se il Governo intenda reagire in sede comunitaria alle intimidazioni della Marina turca nei confronti di una nostra imbarcazione civile, avvenuta nel contesto di un contenzioso che oppone la Repubblica di Turchia ad uno Stato membro dell'Unione europea, ad esempio subordinando il progresso dei negoziati per l'adesione turca all'Unione europea anche alla soluzione della controversia insorta sui programmi ciprioti di sfruttamento della propria zona economica esclusiva. (3-00264)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCUVERA e FIANO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio nazionale si sono verificati diversi casi di esclusione dei minori da servizi scolastici e, in particolare, da quello della mensa, motivati dai comuni che hanno posto in essere le relative deliberazioni con le difficoltà di bilancio determinate dalla rigidità del patto di stabilità;
   uno dei casi più eclatanti è stato quello del comune di Vigevano che, con una decisione che è balzata all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale, ha deliberato di risolvere il problema degli insoluti di tali mense non solo, come sarebbe normale, con procedure esecutive nei confronti delle famiglie morose, ma escludendo il minore appartenente a tali nuclei familiari dall'accesso al servizio, per arrivare poi all'eliminazione della fascia di esenzione, prima applicata tramite presentazione di ISEE, ai redditi inferiori a 22,000 euro annui; ciò ha portato, nell'anno scolastico 2012-13, all'esclusione dai servizi di ristorazione di circa 150 bambini, circa la metà dei quali (84) fino all'anno scolastico precedente aveva avuto diritto alla gratuità della mensa;
   nel caso citato addirittura si sono allestiti appositi locali, riservati ai bambini esclusi, in cui poter consumare un panino e niente di riscaldato, tant’è che ancora oggi si parla di classi «ghetto»;
   tale discriminazione — già contraria all'articolo 3 della nostra Costituzione — inoltre va contro l'articolo 3 della convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 1989 e ratificata dall'Italia nel 1991 secondo il quale «in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l'interesse del bambino/adolescente deve avere la priorità»;
   tale decisione del comune di Vigevano, inoltre, è in contraddizione con le «Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica» stabilite dal Ministero della salute secondo cui: «Un'alimentazione equilibrata e corretta, ma anche gradevole ed accettabile, costituisce per tutti un presupposto essenziale per il mantenimento di un buono stato di salute e, in età evolutiva, per una crescita ottimale. A scuola, una corretta alimentazione ha il compito di educare il bambino all'apprendimento di abitudini e comportamenti alimentari salutari. L'alimentazione del bambino deve essere considerata in un contesto più ampio, quale quello dell'ambiente, inteso non solo in senso fisico, ma anche socio-culturale e psicologico. (...) Il menù deve essere elaborato secondo i principi di una alimentazione equilibrata dal punto di vista nutrizionale, utilizzando anche alimenti tipici al fine di insegnare ai bambini il mantenimento delle tradizioni alimentari –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei casi in esame, o se non ritenga di avviare un apposito monitoraggio per verificare se siano garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale i diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, comma 2 lettera m) della Costituzione con particolare riferimento ai minori.
(5-00854)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia ha approvato, con delibera di giunta regionale del 18 aprile 2012, n. 9/3298, le «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER), mediante recepimento della normativa nazionale in materia» e in tali linee guida al capitolo 7.4 «Processi di biodigestione anaerobica» ha previsto una disciplina specifica volta a favorire gli impianti che utilizzano biomasse agricole/reflui zootecnici, consentendo loro di impiegare per il funzionamento dei biodigestori anche altre biomasse costituite da rifiuti quali, ad esempio, i rifiuti biodegradabili di cucine e mense quali la FORSU – frazione organica dei rifiuti solidi urbani – avente codice CER 20 01 08 proveniente dalla raccolta differenziata (si veda, a riguardo, il capitolo 7.4.2) senza contestualmente imporre, ai titolari dei relativi impianti, l'utilizzo di tutti i presidi impiantistici necessari ad evitare impatti negativi sull'ambiente come, viceversa, imposto dalla normativa vigente agli impianti che trattano esclusivamente biomasse costituite da rifiuti;
   in tali linee guida la regione Lombardia, nella fattispecie, ha ammesso lo spandimento come fertilizzante del digestato ottenuto utilizzando anche parzialmente rifiuti quali la FORSU come operazione di recupero (R10 – Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell'agricoltura e dell'ecologia) richiamando impropriamente, per lo spandimento, le norme imposte dal decreto legislativo n. 99 del 1992, che non sono applicabili, in quanto riferite esclusivamente allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione e l'applicazione generica del decreto legislativo n. 152 del 2006 che, a sua volta, non è applicabile in materia di spandimento di digestato da FORSU in quanto non prevede quali debbano essere le caratteristiche del digestato per la cessazione della sua qualifica di rifiuto e il suo spandimento in agricoltura, comportando quindi, nel caso del suo spandimento, impatti potenzialmente negativi sull'ambiente e sulla salute umana (l'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, prevede che un rifiuto soddisfi criteri specifici per essere ammesso alle attività di recupero, definendo anche valori limite per le sostanze inquinanti);
   correttamente, ai titolari degli impianti di digestione anaerobica che utilizzano esclusivamente rifiuti quali la FORSU è imposto, dalle autorizzazioni rilasciate dagli enti preposti, che il digestato che risulta dal processo di biodigestione anaerobica debba essere adeguatamente trattato al fine di depurarlo dalle sostanze potenzialmente inquinanti. Le procedure corrette prevedono di separare le acque di risulta dal materiale solido e di sottoporre quest'ultimo, previa sua miscelazione con materiale verde ligneo-cellulosico, ad un trattamento di compostaggio aerobico, al fine di ottenere, al termine del suddetto processo, un prodotto fertilizzante (compost) rispondente a tutti gli effetti ai requisiti imposti dal decreto legislativo n. 75 del 2010 (riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88) o, in alternativa, che lo stesso digestato sia sottoposto a un trattamento che risponda a quanto previsto dal decreto legislativo n. 75 del 2010;
   con l'emanazione delle suddette linee guida, la regione Lombardia, senza averne le competenze e l'autorità per farlo, si è illegittimamente sostituita ai Ministeri competenti nello stabilire i criteri che definiscono la fine della cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) di taluni tipi di rifiuto (in particolare il digestato ottenuto da FORSU). I criteri menzionati nelle linee guida in parola non sono secondo l'interrogante di fatto legittimi in quanto non soddisfano i requisiti previsti dall'articolo l84-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 (che ha recepito l'articolo 6 previsto dalla direttiva comunitaria n. 2008/98/CE) per l’end of waste. Tali criteri sono attualmente specificati nel decreto ministeriale 5 febbraio 1988 per i rifiuti non pericolosi e nel decreto ministeriale 12 giugno 2002, n. 61, per i rifiuti pericolosi. L'atto, adottato dalla Giunta regionale, non ha tra l'altro neanche assunto il preventivo parere della commissione consiliare competente, come impone l'articolo 42 dello statuto della regione Lombardia (legge regionale statutaria n. 1 del 2008);
   la regione Lombardia ha predisposto ulteriori linee guida, ancora in bozza ma già disponibili, rafforzative del precedente provvedimento, concernenti: «L.R. 12 dicembre 2003, n. 26, per il trattamento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque reflue (...) e il successivo utilizzo in agricoltura»;
   la sentenza della Corte di cassazione, sezione III, del 31 agosto 2012, n. 33588, in merito alla «definizione di rifiuto» ribadisce l'illegittimità di miscelare rifiuti e fanghi derivanti da impianti di biodigestione anaerobica per poi spandere il prodotto in agricoltura, con il seguente passaggio: «In materia di biodigestione anaerobica di materie prime vegetali la verifica circa la ricorrenza della nozione di rifiuto va fatta sia con riferimento alla massa liquida che a quella solida che residua dal processo di biodigestione. Se la sostanza liquida in questione è utilizzata nei limiti indicati e non vi sia contaminazione iniziale o successiva per la presenza di rifiuti, si deve escludere che possa essere definita rifiuto se non ricorrono le condizioni per ritenere che il detentore intenda disfarsene». In definitiva, la frazione liquida e solida derivante dal processo di biodigestione, se contaminate da rifiuti, come la FORSU, sono da ritenersi complessivamente rifiuti e come tali trattati, non certo spargendoli nei campi agricoli –:
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno valutare se vi siano elementi di contrasto tra le linee guida adottate dalla regione Lombardia e il quadro normativo comunitario e, in tal caso, quali iniziative intenda assumere al fine di ripristinare la coerenza del quadro normativo, in modo da prevenire possibili censure da parte della Corte di giustizia europea. (5-00856)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TARICCO, OLIVERIO, TENTORI, ZARDINI, COMINELLI, TARTAGLIONE, CARRESCIA, COVA e CAPONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   mediante decreti ministeriali, l'ex-Ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha nominato il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico previsto all'articolo 3 della legge 14 gennaio 2013, n. 10, Norme per gli spazi verdi urbani;
   le competenze del suddetto Comitato sono quelle di monitorare sull'attuazione della legge 29 gennaio 1992, n. 113, e di tutte le vigenti disposizioni di legge con finalità di incremento del verde pubblico e privato, di proporre un piano nazionale che fissi criteri e linee guida per la realizzazione di aree verdi permanenti, lungo le strade e intorno alle scuole, verificare le azioni poste in essere dagli enti locali a garanzia e sicurezza del verde pubblico. Tutte mansioni in cui necessariamente servono competenze specifiche e tecniche;
   il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, nominato sotto il Ministro Clini, era composto da figure di grande competenza tecnica, ma anche da personalità di altra formazione e competenza. Tali nomine, purtroppo, escludevano invece rappresentanti di categorie professionali specifiche quali quella dei periti agrari e periti agrari laureati e rappresentanti dei tecnici comunali di parchi e giardini, privandosi quindi delle importanti competenze di categorie impegnate da sempre nel settore del verde;
   per ragioni di urgenza, parrebbe che l'attuale Ministro in carica abbia, nell'immediatezza dell'insediamento, confermato tutti i componenti del Comitato, continuando purtroppo a privare detto Comitato delle suddette competenze specifiche –:
   se il Ministro non ritenga opportuno ora rinnovare la composizione del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, coinvolgendo per quanto possibile la più ampia rappresentanza delle categorie tecniche necessarie al fine di garantire una piena ed efficace realizzazione del progetto. (4-01600)


   COLONNESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   risulta agli interroganti che l'amministrazione comunale di Bacoli (Napoli), nell'attuazione della gestione di sua competenza, abbia causato una lesione dei diritti dei cittadini, ai quali viene negato il «corretto equilibrio tra aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili» di cui articolo 1, comma 254, legge finanziaria per il 2007; con decreto legislativo n. 85 del 28 maggio 2010 sul cosiddetto «federalismo demaniale», è stata attribuita la titolarità di gran parte dei beni del demanio dello Stato alle regioni, province, comuni e città metropolitane, ma detto decreto non ha cambiato nulla della disciplina delle concessioni demaniali marittime e dei canoni che vengono pagati per esse, in quanto il comma 1, dell'articolo 4 stabilisce che i beni del demanio marittimo non entrano a far parte del patrimonio disponibile delle regioni e che essi restano assoggettati al regime stabilito dal codice civile, dal codice della navigazione, dalle leggi statali e regionali comprese la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), che prevede gli attuali canoni di concessione, e tutte le leggi regionali che disciplinano il rilascio delle concessioni demaniali marittime;
   l'articolo 4 del regolamento comunale 2005 stabilisce la quota del «20 per cento della superficie complessiva della spiaggia esistente destinata alla finalità turistico-ricreative riservata alla libera e gratuita balneazione» e soddisfa quindi sulla carta la necessità di raggiungimento di quel «corretto equilibrio» prescritto dallo Stato (articolo 1, comma 254, della legge finanziaria 2007), mentre di fatto ciò non avverrebbe negando il diritto di libera fruizione della zona costiera –:
   quali iniziative concrete, per quanto di competenza, intendano assumere i Ministri interrogati al fine di avviare un monitoraggio con il coinvolgimento degli enti territoriali, sul rispetto del corretto equilibrio tra aree concesse a privati e arenili liberamente fruibili affinché non siano lesi i diritti dei cittadini. (4-01607)


   GAGNARLI e BALDASSARRE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la normativa vigente non regolamenta e non fornisce parametri per l'utilizzazione agronomica del digestato, sottoprodotto delle centrali a biogas che, in via cautelativa, viene equiparato agli effluenti zootecnici ed utilizzato nelle quantità massime di 170 chilogrammi/anno di azoto per ettaro, attraverso un piano di utilizzazione agronomica (PUA); mentre, la quantità eccedente l'utilizzo agronomico ammesso, deve trovare altre destinazioni coerenti con la vigente legislazione in materia di rifiuti;
   secondo diversi studi in materia, lo spandimento del digestato presenta delle criticità legata alle emissioni di ammoniaca in atmosfera, qualora lo spandimento non sia effettuato con le migliori tecniche disponibili, ed alla perdita di nitrati nelle acque di falda, qualora si ecceda negli apporti e si applichi in periodi non opportuni;
   l'applicazione al terreno agricolo del digestato deve corrispondere esattamente al fabbisogno di azoto della coltura, pena la perdita di azoto nelle acque superficiali e profonde; ma in realtà i digestati vengono normalmente sparsi, più volte l'anno, anche quando il terreno è nudo e le condizioni climatiche rallentano l'attività vegetativa delle piante e quella di trasformazione microbica nel terreno, che favoriscono la trasformazione dell'azoto ammoniacale (85 per cento di quello contenuto nei digestati) in nitrati, ed il loro assorbimento radicale;
   tale prassi comporta un grave rischio di depauperamento dei suoli agricoli che accolgono i digestati (ricchi di azoto e poveri di carbonio) e di eutrofizzazione delle falde acquifere;
   non vanno sottovalutati i rischi igienico-sanitari legati all'uso dei digestati: diversi lavori mettono in luce come il Clostridium perfringens (causa di tossinfezioni oltre che di aborti) non subisce alcuna riduzione nei digestati; gli enterococci risultano molto resistenti alla digestione anaerobica; Salmonella ssp. (causa della maggior parte delle tossinfezioni alimentari segnalate) è stata rilevata in un campione su quattro della frazione solida e in uno su tre di quella liquida del digestato, mentre Lysteria monocytogenes (causa di listeriosi, con esiti a volte mortali) in quattro su quattro e tre su tre campioni rispettivamente della frazione solida e liquida (Bonetta et al. «Rischio igienico associato all'impiego di digerito in agricoltura»);
   a Serboli (Subbiano), in provincia di Arezzo, un impianto di produzione di energia elettrica da biogas regolarmente realizzato nella azienda agricola San Luigi è stato sospeso da una ordinanza del sindaco (7–2013 del 17 giugno) a causa di quattro diversi sversamenti nel torrente Talla, da febbraio a giugno 2013, l'ultimo dei quali ha provocato una ingente moria di pesci;
   considerata la data di inizio attività dell'impianto, si presume che il digestato-concime prodotto e sparso nei campi delle località di Poggio D'Acona, Calbenzano, S. Mama, non sia stato sottoposto al ciclo di maturazione di 160 giorni, necessario per abbattere la carica microbica, Clostridi, E. Coli, Botulino, con conseguente rischio di epidemia di animali domestici e non, pesci nei torrenti contaminati, ed anche per l'uomo;
   i tecnici di ARPAT affermano che l'impianto non è in sicurezza e non è gestito correttamente ma, ciò nonostante, di recente si sta paventando la riapertura di tale impianto, senza che siano state fornite garanzie sui provvedimenti da adottare;  
   il comitato civico per Subbiano, a tutela del territorio, della salute delle persone e degli animali, ha chiesto al sindaco che la riapertura della centrale di Serboli a Calbenzano non sia concessa fino a quanto una commissione di esperti non abbia accertato che l'ordinanza sindacale n. 7–2013 sia stata soddisfatta nei punti 2-3-4-5, provvedendo ad una verifica dell'impianto;
   in data 11 luglio 2013 l'interrogante ha presentato una interrogazione a risposta scritta (n. 5-00585) per sollecitare l'emanazione del decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previsto dall'articolo 52, comma 2-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 convertito, con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, che dovrà finalmente definire le caratteristiche e le modalità di impiego del digestato equiparabile, per quanto attiene gli effetti fertilizzanti –:
   se i Ministri interrogati, al fine di evitare le criticità ambientali legate alla gestione del digestato, intendano emanare l'apposito decreto di cui in premessa, con cui si definiscono le caratteristiche e le modalità di impiego del digestato equiparabile, per quanto attiene agli effetti fertilizzanti ed all'efficienza di uso, ai concimi di origine chimica, nonché le modalità di classificazione delle operazioni di disidratazione, sedimentazione, chiarificazione, centrifugazione ed essiccatura, in modo da evitare casi di sversamenti e di utilizzo prematuro del digestato ad uso ammendante, come avviene nell'impianto a biogas di Serboli a Carbenzano di cui si paventa la riapertura. (4-01609)


   TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la salute e la tutela dell'ecosistema e dell'ambiente sono valori assoluti;
   si fa riferimento ai dati relativi al monitoraggio dell'ecosistema marino del golfo di Napoli, (progetto ministeriale SIDIMAR a cura di ARPAC e stazione zoologica di Napoli) e nuovo monitoraggio conforme al decreto legislativo n. 152 del 2006 a cura di ARPAC; dalla lettura delle tabelle nelle stazioni relative al tratto di mare prospiciente la foce del Sarno i valori di metalli pesanti e altri inquinanti sono estremamente elevati, in particolare il cromo sia nell'acqua che nei sedimenti marini, ad indicare la elevata compromissione della matrice abiotica (acqua e sedimenti) che immette nella catena trofica inquinanti che, attraverso il processo di biomagnificazione, concentra nei tessuti dei pesci quantità significative di queste sostanze;
   analizzando le criticità del progetto di disinquinamento PS3, in particolare della filosofia «ottimistica» e dell'approccio «tecnologico» che si è portato avanti fino ad oggi, si evince, invece, la necessità di mettere in campo una strategia biologico-ambientale e degli effetti sinergici indotti da questa;
   l'emergenza sanitaria dell'inquinamento del Sarno per le popolazioni che vivono nelle sue vicinanze, mette in evidenza come la presenza nell'acqua di microrganismi di origine fecale e di metalli pesanti, in concentrazione superiore a quanto stabilito dalla legge (decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni) determina l'aumento di infezioni quali febbre tifoide, diarrea infettiva, epatite A, ma soprattutto tumori;
   si deve considerare che dal 2003 all'inizio del 2013 la situazione dell'area è stata oggetto di gestioni commissariali governative, conclusesi con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 75 del 2013 –:
   come sia stato possibile realizzare opere senza adeguare tecnologicamente i progetti alla nuova normativa sull'ambiente, avvalendosi per contro di progetti risalenti al PS3;
   perché non si sia fatta una seria valutazione costi/benefici sulla costruzione di grandi opere inefficienti, costose e di difficile gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria, a fronte di piccoli interventi di depurazione, di collettamento con reti duali, di ripristino del reticolo idrografico e di mitigazione del rischio, o di ripristino degli habitat naturali, ad alta efficienza. (4-01610)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI, DI BENEDETTO, LUPO, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, DIENI, BRESCIA, LUIGI GALLO, D'UVA, BATTELLI e BARBANTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la città di Rosarno possiede un importante parco archeologico dell'estensione di 13 ettari, posto nella zona denominata Pian delle Vigne, famosa per gli scavi di Paolo Orsi (1912-1914), Salvatore Settis (1964-1966) e Maurizio Paoletti (2005), di proprietà del Ministero per i beni e le attività culturali per circa 6 ettari di uliveto; i restanti 7 ettari sono di proprietà della provincia di Reggio Calabria ad uso dell'Istituto professionale di Stato per l'agricoltura;
   il parco è considerato di rilevante interesse storico-archeologico poiché custodisce i resti dell'antica polis magnogreca Medma (VII sec. a.C. – I sec. d.C.), colonia di Locri Epizefiri, in parte portati alla luce grazie alla campagna di scavi effettuata dall'insigne archeologo Orsi, che rinvenne due gigantesche fosse sacre dove si trovavano accumulati migliaia di oggetti votivi del VI e V secolo a.C., nonché la necropoli situata in contrada Carozzo Nolio, di cui riuscì ad esplorare 88 tombe con relativi corredi funebri;
   i successivi scavi del professor Settis, dell'università di Pisa, portarono alla luce un piccolo deposito sacro ripieno di ex voto, tra cui un cavallino bronzeo di pregevole fattura, e le fondazioni di una fattoria di IV secolo a.c., con sovrapposto un modesto impianto di epoca romana;
   la stessa area di contrada Calderazzo venne esplorata nell'estate del 2005, e con risultati di valenza scientifica, dal professor Paoletti, dell'università di Cosenza, che rinvenne le fondamenta di abitazioni di età greca, su una delle quali era stata impiantata una successiva struttura di epoca imperiale romana;
   nel 2004 l'allora amministrazione comunale di Rosarno, sindaco Giacomo Saccomanno, ebbe a intercettare diversi milioni di euro dal Ministero dell'economia e delle finanze per la realizzazione del museo, l'istituzione di una scuola superiore di archeologia, la realizzazione di diverse strutture all'interno del parco per renderlo fruibile ai visitatori, oltre alla sua recinzione, con sofisticato impianto di videosorveglianza;
   per la realizzazione di tale progettazione fu sottoscritto un protocollo di intesa con la provincia di Reggio Calabria, con l'università mediterranea di Reggio Calabria e con la Sovrintendenza ai beni archeologici della Calabria;
   dopo l'esecuzione dei lavori di recinzione, di videosorveglianza (mai entrata in funzione) e di ristrutturazione dei locali ove realizzare il museo e la scuola superiore di archeologia, vi fu un fermo inspiegabile dei lavori;
   l'anno scorso, poi, si verificò un pesantissimo incendio nella zona di proprietà del Ministero, con la distruzione di un uliveto secolare e della zona degli scavi eseguiti dal Paoletti;
   la rimanente parte, di circa 7 ettari, gestita dalla locale scuola agraria, si trova invece in condizioni molto apprezzabili, tanto che nella stagione estiva viene utilizzata per rappresentazioni del teatro della Magna Grecia –:
   se sia a conoscenza che la zona di 6 ettari di proprietà dello Stato risulta abbandonata, soffocata da sterpaglie, erbacce e roveti, nel disinteresse delle istituzioni preposte alla salvaguardia e alla valorizzazione di un bene che appartiene all'intera umanità;
   se sia a conoscenza che tale zona, a causa dell'incuria dei luoghi, è stata interessata nella scorsa estate da un devastante incendio, probabilmente di natura dolosa, che ha provocato la distruzione di decine di alberi secolari di ulivo e trasformato quella parte di parco in landa desertica;
   se sia a conoscenza che le esplorazioni archeologiche effettuate nel 2005 dall’equipe del professor Paoletti sono state lasciate nel più inspiegabile abbandono, anch'esse soffocate dalle sterpaglie e compromesse dagli incendi;
   se sia a conoscenza che i 7 ettari di parco in uso all'Istituto professionale per l'agricoltura risultano coltivati in modo esemplare, con periodiche pulizie del terreno, tanto da assicurare la perfetta salvaguardia dell'area assegnata;
   se sia a conoscenza della richiesta avanzata dall'Istituto professionale per l'agricoltura alla Soprintendenza ai beni archeologici della Calabria per ottenere in gestione la parte di parco di proprietà dello Stato per curarla e coltivarla, a beneficio dei giovani allievi, e quindi preservarla da ulteriori possibili danneggiamenti, richiesta che non ha ancora trovato risposta, lasciando quella zona del parco in abbandono;
   quali iniziative intenda assumere perché venga tutelato tale bene, in modo da impedire che, per quelle che agli interroganti appaiono colpevoli negligenze, venga completamente distrutto;
   quali iniziative intenda assumere perché si proceda all'apertura del museo e della scuola superiore di archeologia e si provveda a definire le modalità per la gestione del parco;
   quali iniziative intenda intraprendere per consentire che un bene importante per lo sviluppo socio-culturale ed economico della città di Rosarno e del suo comprensorio venga tutelato, salvaguardato e al meglio valorizzato. (4-01596)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata:


   VITO e CICU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre 2012 ha indicato la necessità di rafforzare la collaborazione europea nella politica comune di sicurezza e difesa, sollecitando gli Stati membri a fornire capacità adeguate alle future sfide, sia nel settore civile che in quello della difesa;
   l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza e la Commissione europea sono stati invitati dal Consiglio europeo ad elaborare entro settembre 2013 proposte volte al rafforzamento della politica di sicurezza e difesa comune e al miglioramento delle capacità militari e civili;
   il rafforzamento della collaborazione è necessario per la situazione di ristrettezza finanziaria e per i potenziali benefici in termini di occupazione, crescita, innovazione e competitività industriale;
   in sede di dichiarazioni programmatiche di Governo, il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta ha parlato di «un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l'impegno per il consolidamento dell'ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze armate in prima linea, con una professionalità e un'abnegazione seconde a nessuno»;
   le Commissioni difesa, affari esteri e politiche dell'Unione europea del Senato della Repubblica hanno deliberato un'indagine conoscitiva sulle linee programmatiche e di indirizzo italiane in relazione al prossimo Consiglio europeo sulla difesa;
   la Commissione difesa della Camera dei deputati ha deliberato un'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa, in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013;
   il Consiglio europeo di dicembre 2013 procederà alla valutazione dei progressi compiuti e alla definizione di orientamenti, anche stabilendo priorità e termini —:
   quale percorso e quali strumenti siano stati adottati dal Governo al fine di giungere al Consiglio europeo sulla difesa con una visione politico-strategica chiara e condivisa in Parlamento e nel Paese.
(3-00265)


   DURANTI, MIGLIORE, PIRAS e MARCON. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'audizione alle Commissioni riunite affari esteri, difesa e politiche comunitarie del Senato della Repubblica, il Ministro interrogato ha affermato che: «si dice che se ci ritiriamo dal programma per i caccia F35 non avremo penali. Ma abbiamo già speso 3 miliardi e mezzo di euro per la portaerei Cavour – e ce ne sono solo due in Europa, l'altra è la francese Charles de Gaulle – che dovrebbe ospitare di F35 a decollo verticale. Allora non capiremmo per quale ragione abbiamo speso quei soldi»;
   secondo fonti della Marina militare, riportate anche dal Fatto quotidiano on line, nell'articolo a firma Enrico Piovesana del 31 luglio 2013, tale cifra non sarebbe esatta, essendo il costo complessivo di questa portaerei pari a 1,9 miliardi di euro;
   sempre secondo tali fonti militari tale cifra potrebbe riferirsi semmai alla spesa complessiva di acquisto e di esercizio della nave fino a oggi;
   la portaerei Cavour è stata commissionata a Fincantieri nel 2000 e la sua costruzione era finalizzata a sostituire la portaerei Garibaldi e per imbarcare gli Harrier Av-8B;
   il documento di accordo e impegno finanziario, tra i Paesi partner, per il Joint Strike Fighter F-35, è stato firmato nel luglio del 2012 e, a parere degli interroganti, appare avventato che sia stata progettata per gli F-35, anche se la sua progettazione sia avvenuta in parallelo con l'avvio del programma Joint Strike Fighter;
   le dichiarazioni del Ministro interrogato giungono in mancanza di un'informativa dettagliata e completa del programma e dei relativi costi;
   nell'assenza di tale informativa, tali dati appaiono agli interroganti come impropri e gonfiati, esclusivamente finalizzati alla giustificazione di una spesa che si presenta come inutile e problematica;
   nel corso della citata audizione il Ministro interrogato ha confermato quanto la società civile ribadisce da tempo e che per la struttura del programma F-35 non sono previste penali, argomento questo usato in passato per giustificare la percorribilità dell'abbandono del progetto da parte dell'Italia;
   il 26 giugno 2013 la Camera dei deputati ha approvato una mozione in cui si impegnava il Governo «a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244»;
   nel Paese, per via dell'elevato costo dell'operazione, è in corso un dibattito sulla necessità dell'acquisto di tali cacciabombardieri e la mancanza di una relazione dettagliata e completa sui costi preventivati non aiuta comprendere la strategicità di tale operazione per il Paese –:
   se il Ministro interrogato non intenda, anche alla luce di quanto esposto in premessa, sospendere questo tipo di dichiarazioni in mancanza di informazioni precise sui costi di tale operazione e, in particolare, quando intenda il Governo fornire tali informazioni al Parlamento.
(3-00266)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i dipendenti italiani delle basi militari statunitensi dislocate in Italia si trovano in una condizione anomala relativamente alla possibilità di scelta dell'organizzazione sindacale alla quale aderire, poiché il CCNL sottoscritto dai rappresentanti del Governo statunitense stabilisce all'articolo 2, comma 1, che, in materia di rappresentanza sindacale, i comandi intrattengono rapporti esclusivamente con le sigle sindacali FISASCAT-CISL e UILTUCS-UIL;
   a parere dell'interrogante la previsione normativa di cui sopra è in contrasto con il dettato costituzionale che sancisce la libertà di organizzazione sindacale, poiché – escludendo tutte le altre rappresentanze sindacali dal CCLN – priva i suddetti lavoratori della possibilità di scelta associativa, ponendoli in una condizione di inferiorità riguardo al godimento dei diritti civili e politici;
   tale situazione è stata più volte oggetto di denuncia da parte della CGIL e della Filcams di Catania e del coordinamento LIBU (Associazione dei lavoratori italiani basi USA), in riferimento soprattutto alle condizioni dei dipendenti della base militare di Sigonella;
   appare indispensabile sanare questa anomalia che, a parere dell'interrogante, rappresenta un vulnus democratico non più giustificabile, a maggior ragione dopo la pronuncia con la quale la Corte costituzionale, il 3 luglio 2013, sembra aver evidenziato l'esigenza del ricorso a una sempre maggiore democrazia sindacale; infatti, la stessa sancisce la libertà del lavoratore di farsi rappresentare da ogni sindacato, anche quando questo non è firmatario di contratto –:
   se non intendano assumere ogni iniziativa di competenza allo scopo di eliminare le restrizioni che impediscono alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale diverse da quelle indicate dal CCLN attualmente in vigore, di intrattenere rapporti con i comandi statunitensi e rappresentarne i lavoratori iscritti, anche al fine di dare piena attuazione al dettato costituzionale. (5-00848)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   negli Stati Uniti da tempo si discute di una legge per tornare ad una netta separazione fra due funzioni bancarie diverse: quella della banca di depositi che amministra il risparmio e quella delle merchant bank che investe in attività ad alto rischio;
   le prime gestiscono i conti correnti che sono assicurati dallo Stato contro il fallimento, le seconde investono e speculano a proprio rischio e pericolo;
   questa regola fu adottata negli Stati Uniti durante la grande depressione (la legge Glass-Stagall) ed è rimasta in vigore fino al 1999 quando venne abolita sotto la amministrazione Clinton in una fase politica dominata dall'egemonia culturale della deregulation neoliberista;
   la fine di quella netta separazione è considerata una delle cause principali dell'attuale crisi finanziaria internazionale;
   tra i più autorevoli sostenitori di questa riforma vi è l'ex governatore della Federal Reserve Paul Volcker;
   i più accaniti oppositori di questa riforma sono le grandi lobby bancarie e i colossi di Wall Street e dei mercati finanziari internazionali che dopo aver realizzato profitti e speculazioni gigantesche hanno affossato l'economia mondiale –:
   se non ritenga anche, in Italia, di assumere una iniziativa normativa per la separazione delle banche che amministrano il risparmio da quelle che investono in attività ad alto rischio.
(2-00180) «Melilla».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   ZANETTI, SOTTANELLI e SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   investire nell'innovazione costituisce una delle leve determinanti per superare la crisi che stiamo vivendo: non sempre, però, la pubblica amministrazione agevola adeguatamente le aziende innovative, anzi a volte sembra addirittura frenarle;
   il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, prevede il sostegno delle imprese maggiormente attive nello sviluppo di nuovi prodotti e servizi ad alto contenuto tecnologico: le start-up innovative;
   tra le misure previste due riguardano sostegni a favore delle citate imprese, costituite prevalentemente da giovani, in particolare, sono previsti:
    incentivi fiscali per chi decida di investire nelle start-up innovative (misura indispensabile per favorire il finanziamento nella fase di avvio delle nuove imprese);
    la regolamentazione della raccolta di capitale di rischio attraverso portali online (il cosiddetto crowd funding), strumento fondamentale per i nuovi imprenditori per raggiungere una larga platea di investitori;
    entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del predetto decreto-legge, il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe dovuto individuare le modalità di attuazione degli incentivi, mentre la CONSOB avrebbe dovuto regolamentare il crowd funding;
   allo stato, trascorsi ben otto mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, contenente le misure giudicate «urgenti», quelle citate non sono concretamente attuabili, anche se costituiscono incentivi di importanza centrale per dare impulso a nuove iniziative imprenditoriali: la situazione che si è venuta a creare, di sostanziale attesa del concretizzarsi di questi aiuti, determina come grave conseguenza un atteggiamento di immobilismo da parte degli investitori, che rimandano le loro decisioni nell'attesa di poter approfittare degli incentivi;
   i ritardi nell'attuazione delle citate misure rallentano la crescita di iniziative imprenditoriali che hanno nella novità e nel rapido sviluppo importanti fattori critici di successo e mortificano la determinazione ed il coraggio di molti nuovi imprenditori che, nonostante il momento difficile, stanno creando un futuro per sé e per altri –:
   se non ritenga di procedere alla emanazione delle norme attuative di queste e delle altre misure contenute nel decreto-legge n. 179 del 2012 in tempi rapidi e certi per dare un concreto stimolo all'economia del Paese. (5-00870)


   BARBANTI, CANCELLERI, PESCO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 febbraio 2009 è stato costituito un comitato promotore per la costituzione di una banca di garanzia, costituito dal presidente della provincia di Cosenza, dal presidente della camera di commercio di Cosenza, dal sindaco di Cosenza, dal presidente dell'ANCI e dal presidente della fondazione;
   la provincia e la camera di commercio di Cosenza ha stanziato 8 milioni di euro;
   il comitato promotore ha raccolto, altresì, circa mille sottoscrizioni di quote azionarie;
   a distanza di quattro anni dalla costituzione del comitato promotore, così come si apprende da fonti giornalistiche, sembrerebbe che il presidente della camera di commercio abbia dichiarato, all'esito di una recente riunione del consiglio direttivo, che la banca di garanzia non verrà più costituita;
   dalle stesse fonti giornalistiche si apprende che la Banca d'Italia abbia inviato un missiva al presidente della camera di commercio, Gaglioti, con la quale sembrerebbe abbia richiesto un ulteriore versamento pari a 2 milioni di euro ed ulteriori adempimenti, al momento, non resi pubblici;
   la provincia di Cosenza sembrerebbe abbia ritirato le quote, pari a 4 milioni di euro, per necessità di bilancio, approvato a fine luglio;
   oltre al comitato promotore è stato istituito un consiglio di amministrazione e sono stati nominati dei revisori dei conti;
   la costituzione della banca di garanzia risulta ormai estremamente complicata;
   non c’è trasparenza sui costi sostenuti dal consiglio di amministrazione e dai revisori dei conti –:
   quali siano i tempi e le modalità per la restituzione delle quote azionarie sottoscritte dai piccoli risparmiatori e se reputi necessario intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, anche in sede di CICR, in particolare segnalando la questione all'Autorità di vigilanza, la Banca d'Italia, al fine di garantire la suddetta restituzione. (5-00871)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate, sulla base delle disposizioni previste dal decreto-legge n. 95 del 2012 (decreto sulla spending review) ha stabilito la chiusura di alcuni uffici territoriali, e in Veneto tale decisione è ricaduta su sedi, tra le altre, come quelle di Badia Polesine, Castelfranco Veneto, Vittorio Veneto, Thiene ed Arzignano, dopo una prima chiusura, disposta già nel luglio 2012, di 17 uffici dello stesso territorio;
   tra le sedi che potrebbero essere oggi soppresse, figura anche quella di Thiene, la cui chiusura avrebbe negative conseguenze sia sui cittadini che utilizzano tale servizio, con disagi legati alla maggiore distanza da percorrere per raggiungere l'ufficio più vicino, sia sugli impiegati che vi lavoravano, costretti a quotidiani lunghi spostamenti per raggiungere il posto di lavoro;
   l'ufficio dell'Agenzia delle entrate della città di Thiene serve un bacino di oltre 100.000 utenti in un territorio ad altissima densità industriale ed in una posizione, ovvero la pedemontana vicentina, baricentrica rispetto ad una provincia, come quella di Vicenza, policentrica e caratterizzata da un'alta densità abitativa;
   tale problematica è particolarmente avvertita durante il periodo invernale, ovvero quando i collegamenti sono resi più difficoltosi da fenomeni meteorologici sfavorevoli alla circolazione, come le abbondanti nevicate, frequenti nell'alto Vicentino;
   la volontà di migliorare il rapporto, così come evidenziato in più occasioni dai rappresentati del Governo, tra il cittadino e il fisco, passa necessariamente attraverso l'offerta di un servizio di gestione fiscale disponibile al confronto e all'assistenza nelle controversie e che non costituisca ulteriore aggravio per cittadini ed imprese –:
   quali siano, ad oggi, nelle diverse regioni, le sedi dell'Agenzia delle entrate che sono state chiuse, specificando altresì quali verranno soppresse nel prossimo futuro ed indicando precisamente, sia per le sedi già chiuse sia per quelle da chiudere, i criteri sui quali è stata stabilita la cessazione dell'attività. (5-00872)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PLANGGER, ALFREIDER, GEBHARD, OTTOBRE e SCHULLIAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 63 del 2013 (cosiddetto «decreto eco-bonus») – che ha recepito la Direttiva 2010/31/UE sul risparmio energetico nell'edilizia –, recentemente approvato dalla Camera, contiene anche norme riguardanti le detrazioni fiscali per risparmio energetico;
   la provincia e la regione autonoma di Trento e Bolzano avevano provveduto, già prima dell'entrata in vigore del decreto, al recepimento della suddetta direttiva;
   il decreto ha lasciato, però, insoluti alcuni problemi riguardanti le detrazioni fiscali e gli eventuali rimborsi per coloro che, avendone titolarità, muoiano prima di aver ottenuto l'intero ammontare del rimborso;
   infatti, può accadere che una persona anziana, titolare di una pensione o di altri redditi – che abbia eseguito su un immobile di proprietà un intervento di efficienza energetica o un intervento di ristrutturazione edilizia (come previsto dal decreto n. 63 del 2013), anche in caso di acquisto di un nuovo immobile – pur avendo avuto riconosciuto dall'Agenzia delle entrate il diritto al rimborso, di fatto, in caso di morte, questo non potrà essergli corrisposto interamente;
   la legge attuale, infatti, non prevede che il coniuge sopravvissuto, a cui va in parte la pensione del coniuge defunto, o un figlio che erediti l'immobile ristrutturato o risanato, possano accedere, in questi casi, alle detrazioni fiscali –:
   se non ritenga di dover intervenire al fine di consentire anche ai successori di diritto (coniuge e figli) la possibilità di beneficiare delle suddette detrazioni sanando in tal modo quella che, a parere degli interroganti, rappresenta una incongruenza nonché una parziale lesione dei diritti di successione. (5-00850)


   FABBRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   un lavoratore presso una cooperativa sociale di tipo B con sede a Bologna vanta un debito nei confronti di Equitalia di poco superiore ai 6.000 euro;
   presso la cooperativa suddetta, lavorano persone appartenenti all'utenza cosiddetta «fragile» (ex-detenuti, ex-tossicodipendenti, disabili, e altri);
   gli uffici bolognesi di Equitalia hanno inviato un atto di pignoramento dei crediti verso terzi al titolare della suddetta cooperativa, indicandolo come responsabile dell'ordine di pagamento del suo dipendente. Atto che risulta essere poco chiaro e che lascia intendere che il datore di lavoro debba provvedere interamente e con unica soluzione al saldo del debito imputato nell'atto, mentre invece è possibile accedere ad una rateizzazione del pagamento;
   si ravvisa da parte dei soggetti interessati una certa difficoltà nel mettersi in contatto con gli uffici territoriali di Equitalia allo scopo di verificare la sussistenza di condizioni di pagamento alternative e meno opprimenti;
   l'articolo 52 del decreto-legge n. 74 del 2013 in vigore dal 30 giugno 2013 modifica e integra il decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad aiutare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità. La norma è volta a migliorare le relazioni con i debitori, anche in ragione dell'impegno assunto dal Governo con la risoluzione conclusiva di dibattito in Commissione VI finanze della Camera n. 8/00002 approvata il 22 maggio 2013. Tra le misure previste:
    a) l'ampliamento fino a dieci anni della possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, eventualmente prorogabile per altri dieci anni (la normativa previgente prevedeva che la dilazione potesse essere concessa fino a 72 rate, prorogabili per lo stesso periodo);
    b) l'impignorabilità sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti iscritti a ruolo;
    c) l'esclusione dal pignoramento presso terzi delle somme depositate sul conto corrente del debitore dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, relative all'ultimo emolumento accreditato;
   il difficile momento di crisi economica colpisce in maniera più drammatica proprio queste piccole realtà lavorative ed i loro lavoratori. Quest'ultimi in particolare hanno sempre meno la certezza di mantenere il proprio posto di lavoro e comunque sono più soggetti, proprio perché trattandosi di utenza «fragile», ad un alto turn over e con retribuzioni anche molto basse. Inoltre, nella maggior parte dei casi, questi lavoratori sono presi in carico dai servizi sociali dei comuni di residenza –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per avviare un percorso comunicativo facilitato tra Equitalia e i servizi sociali dei comuni nel caso di episodi come quello citato in premessa, al fine di garantire sia l'azione di recupero credito sia al contempo la sussistenza economica e sociale di un'utenza in carico ai servizi sociali e dunque bisognosa di supporto. (5-00862)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIVELLARI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 luglio 2013, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate dottor Attilio Befera, si disponeva la prossima chiusura di una serie di uffici territoriali, tra cui l'ufficio di Badia Polesine (Rovigo): una iniziativa che, sulla base delle previsioni della spending review, segue analoghi provvedimenti riguardanti di recente, soltanto nel Veneto, strutture come quelle di Pieve di Cadore e di Castelfranco Veneto;
   parte significativa degli uffici territoriali chiusi o da chiudere è localizzata in aree dove maggiore è il numero di partite iva, dichiarazioni fiscali, base imponibile, gettito ordinario e straordinario (derivante da contrasto all'evasione e all'elusione fiscale) e conseguentemente maggiore è anche la domanda di servizi fiscali e tributari. Tale criticità non può essere certo attenuata dalla chiusura degli uffici territoriali: ciò, oltre a comportare un incremento dei costi dei servizi per i cittadini-utenti, rischia di rappresentare un segnale di notevole arretramento per la presenza dell'amministrazione finanziaria sul territorio. Scelta più opportuna sembrerebbe quella di potenziare gli uffici locali, con l'inserimento di nuove risorse anche giovani, onde garantire un servizio quantitativamente e qualitativamente aggiornato;
   venendo al caso particolare dell'ufficio di Badia Polesine, si consideri che i numeri relativi agli uffici territoriali oggi presenti nella provincia di Rovigo sono i seguenti:
   a) ufficio territoriale di Adria: Adria, Ariano nel Polesine, Corbola, Loreo, Papozze, Pettorazza Grimani, Porto Tolle, Porto Viro, Rosolina, Taglio di Po;
   b) ufficio territoriale di Rovigo: Arquà Polesine, Bosaro, Canaro, Ceregnano, Costa di Rovigo, Crespino, Fiesso Umbertiano, Frassinelle Polesine, Gavello, Guarda Veneta, Polesella, Pontecchio Polesine, Rovigo, San Martino di Venezze, Villadose, Villamarzana, Villanova Marchesana;
   c) ufficio territoriale di Badia Polesine; Badia Polesine, Bagnolo di Po, Bergantino, Calto, Canda, Castelguglielmo, Castelmassa, Castelnovo Bariano, Ceneselli, Ficarolo, Fratta Polesine, Gaiba, Giacciano con Baruchella, Lendinara, Lusia, Melara, Occhiobello, Pincara, Salara, San Bellino, Stienta, Trecenta, Villanova del Ghebbo;
   da cui si evince, con riferimento all'ufficio territoriale di Badia Polesine (da chiudere entro la data del 9 settembre 2013), che il numero dei comuni di competenza per questa realtà è di ben 23 su un totale di 50, mentre la popolazione residente servita è pari a 76.602 abitanti su un totale di 242.167 dell'intera provincia rodigina;
   attualmente il numero dei dipendenti dell'ufficio territoriale di Badia Polesine è di quindici unità; l'ufficio è collocato in uno stabile di proprietà del comune di Badia Polesine, per il quale l'amministrazione finanziaria corrisponde un canone annuo pari ad euro 32.021,00 –:
   se e in che modo il Governo intenda agire per il mantenimento di un importante presidio, anche in considerazione della particolare conformazione territoriale della provincia di Rovigo, che vedrebbe i comuni dell'Alto Polesine particolarmente danneggiati in considerazione delle distanze con il comune capoluogo.
(4-01594)


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, e nella generalità delle Agenzie fiscali, risulta ampiamente diffuso il fenomeno degli incarichi dirigenziali conferiti a funzionari non in possesso della qualifica dirigenziale, in misura finanche superiore alla metà delle posizioni dirigenziali disponibili in dotazione organica;
   per oltre dieci anni una simile illegittima prassi ha trovato la propria giustificazione nell'articolo 26 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle dogane, che riproduce testualmente l'analogo articolo 24 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle entrate (nonché l'articolo 26 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia del territorio);
   infatti, l'articolo 26, comma 2, cit., stabiliva che «per inderogabili esigenze di funzionamento dell'Agenzia, le eventuali vacanze sopravvenute possono essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l'urgenza, con le stesse modalità di cui al comma 1, fino all'attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza disciplinate dall'articolo 14 del presente Regolamento, in conformità all'articolo 28, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e, comunque, fino al 31 dicembre 2011»;
   l'articolo 26, comma 1, prevede la copertura delle posizioni vacanti mediante stipula di «contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, con l'obbligo di avviare nei sei mesi successivi la procedura selettiva»;
   nonostante la declamata «temporaneità» degli incarichi in questione, gli stessi risultano espletati da circa dieci anni da funzionari della terza area senza che le Agenzie fiscali abbiano provveduto a bandire le procedure concorsuali per l'accesso alla qualifica dirigenziale se non per la copertura di un numero del tutto limitato (solo l'Agenzia delle dogane, le altre non hanno bandito concorsi per dirigenti);
   l'articolo 26, comma 2, del Regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle dogane, di volta in volta sostituito con apposite ulteriori deliberazioni (di cui si ignorano gli estremi e i contenuti di dettaglio) dal Comitato di gestione nel suo inciso finale (che veniva, quindi, sostituito con: «comunque fino al 31 dicembre 2006»; «comunque fino al 31 dicembre 2007»; «comunque fino al 31 dicembre 2008»; «comunque fino al 31 dicembre 2009»; «comunque fino al 31 dicembre 2010»; «comunque fino al 31 dicembre 2011») – perpetuandosi fino ad oggi la prassi del conferimento di quelli che, almeno in un primo momento, si volevano presentare come incarichi dirigenziali di provvisoria reggenza, ma che, in realtà, tale configurazione non avevano mai rivestito – è secondo l'interrogante illegittimo per violazione degli articoli 19 e 52 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive integrazioni e modificazioni;
   in particolare, le mansioni superiori alle quali è assegnato il prestatore di lavoro devono essere corrispondenti alla «qualifica immediatamente superiore» nell'ambito del sistema di classificazione del personale disciplinato dai contratti collettivi, per cui ad avviso dell'interrogante è illegittimo il conferimento di mansioni dirigenziali ad un funzionario non in possesso della relativa qualifica, dal momento che quest'ultimo, anche quando appartenente alla posizione più elevata del sistema di classificazione, appartiene ad una «diversa carriera» e non è in alcun modo paragonabile alla figura del dirigente, non avendone l'autonomia né gli obblighi di risultato, ciò con la conseguenza per cui, configurandosi il conferimento di un incarico dirigenziale in favore di un funzionario non dirigente alla stregua dell'assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, il relativo atto di conferimento deve considerarsi radicalmente nullo ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2011;
   come stabilisce l'articolo 52, comma 2, cit., «al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma la lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave»;
   sul punto, si è espresso anche il dipartimento della funzione pubblica con parere 5 agosto 2002, n. 151, secondo cui «la disciplina concernente le mansioni del lavoratore di cui all'articolo 52 del D.Lgs. n. 165 del 2011 si applica esclusivamente nell'ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, come espressamente previsto dalla stessa norma di riferimento e dalla contrattazione collettiva. È, dunque, escluso che tale disciplina possa estendersi alla ipotesi di assegnazione di mansioni superiori dirigenziali, che rientrerebbe, semmai, in presenza di determinati requisiti definiti dalla giurisprudenza della Corte dei Conti, nella fattispecie della “reggenza”. Nel caso, tuttavia, di assegnazione illegittima di mansioni superiori dirigenziali, va riconosciuta al funzionario incaricato, ai sensi dell'articolo 2126 c.c., la differenza di trattamento economico con la qualifica dirigenziale»;
   sotto questo profilo, occorre evidenziare che lo svolgimento temporaneo di incarichi dirigenziali è stato ricondotto tra i contenuti professionali di base propri della terza area funzionale, così come definiti dall'Allegato «A» del C.C.N.L. del comparto Agenzie fiscali, sottoscritto il 28 maggio 2004, per cui l'assegnazione dei predetti incarichi, non configurando esercizio di mansioni superiori dirigenziali, se contenuto nei ristretti limiti della temporanea reggenza, non comporterebbe il diritto al trattamento economico dirigenziale;
   pertanto, l'articolo 26 del regolamento di amministrazione, nel prevedere che l'incarico provvisorio deve essere conferito mediante la «stipula» di «contratti individuali di lavoro a termine ... con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti», non contempla affatto l'ipotesi di un incarico di temporanea reggenza ma il conferimento di un vero e proprio incarico dirigenziale, collocandosi, in questo modo, in rotta di collisione con i principi di cui agli articoli 19 e 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   naturalmente, i principi di cui agli articoli 19 e 52 ult. cit., non sono derogabili da fonti di natura regolamentare, per cui l'articolo 26 del regolamento di amministrazione, così come gli atti deliberativi che ne hanno modificato e/o sostituito il suo comma 2, sono illegittimi, mentre gli incarichi conferiti in applicazione della predetta disposizione regolamentare devono ritenersi ad avviso degli interroganti addirittura nulli ai sensi dell'articolo 52, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   la questione è già stata sottoposta al vaglio del giudice amministrativo, con riferimento all'articolo 24 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle entrate, il cui disposto è testualmente identico a quello di cui all'articolo 26 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle dogane;
   con sentenza 1o agosto 2011, n. 6884, la Sezione II del T.A.R. Lazio-Roma ha accolto il ricorso proposto dalla Federazione Dirpubblica e, per l'effetto, ha annullato la delibera del comitato di gestione n. 55 del 2 dicembre 2009, facendo proprie le deduzioni formulate in sede di ricorso introduttivo del giudizio;
   il giudice amministrativo, nel fare proprie le predette deduzioni, con la richiamata sentenza 1o agosto 2011, n. 6884, ha statuito che «configurandosi il conferimento di un incarico dirigenziale in favore di un funzionario non dirigente alla stregua dell'assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, il relativo atto di conferimento deve considerarsi radicalmente nullo ai sensi dell'articolo 52, co. 5 del D.Lgs. n. 165/2001»;
   infine, ha osservato il giudice amministrativo, «a prescindere dalla bontà» della ricostruzione delle ragioni che, nel tempo, avrebbero impedito all'Agenzia delle Entrate di provvedere alla copertura di un numero così rilevante di posizioni dirigenziali mediante l'indizione di concorsi pubblici «e dalla possibile individuazione di cause di una situazione di fatto anche riferibili a condotte e determinazioni di pertinenza dell'amministrazione», «rimane il dato indiscutibile del contrasto della scelta organizzativa del conferimento di incarichi dirigenziali, senza concorso, a funzionari privi della qualifica dirigenziale, con la puntuale disciplina di cui agli artt. 19 e 52 del D.Lgs. n. 165/2001. Una deroga così ampia sul piano quantitativo e temporale al principio del reclutamento del personale dirigenziale mediante il sistema concorsuale per la copertura delle posizioni dirigenziali è valsa ad introdurre e consolidare nel tempo una situazione complessiva di grave violazione di principi fondamentali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego e delle garanzie relative all'accesso alle qualifiche, alla selezione del personale e allo svolgimento del rapporto»;
   con sentenza 30 settembre 2011, n. 7636, il T.A.R. Lazio–Roma, sez. II, ha accolto anche il ricorso con il quale la Federazione Dirpubblica aveva impugnato il provvedimento n. 146687/2010 del 29 ottobre 2010, con il quale era stata bandita dall'Agenzia delle entrate una selezione «con modalità speciali» per il reclutamento di 175 dirigenti di seconda fascia, ai sensi del decreto ministeriale 10 settembre 2010 ed in applicazione dell'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ciò nel dichiarato intento, come rilevato dal giudice amministrativo, di «trovare una soluzione per “sanare” la posizione di una serie di suoi funzionari che da svariati anni – per l'esattezza: 80 funzionari da più di nove anni; 200 da più di cinque e altri 60 da più di tre anni – svolgono “egregiamente” (come specificato nella delibera n. 55 del 22.12.2009 del Comitato di Gestione), “incarichi dirigenziali” pur non rivestendo la corrispondente qualifica dirigenziale. Tale abnorme situazione si è determinata per effetto della sistematica e permanente applicazione dell'articolo 24 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia che attribuiva temporaneamente (ma che è stato via via sempre prorogato con delibere del Comitato di Gestione, ultima delle quali la n. 55 del 22.12.2009), la facoltà di coprire posti dirigenziali vacanti mediante il conferimento di incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica dirigenziale»;
   come è noto, a seguito delle richiamate sentenze del T.A.R. Lazio–Roma, sez. II, 1o agosto 2011, n. 6884, e 30 settembre 2011, n. 7636, è intervenuto l'articolo 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, secondo cui «fermi i limiti assunzionali a legislazione vigente, in relazione all'esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all'evasione di cui alle disposizioni del presente articolo, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all'articolo 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Nelle more dell'espletamento di dette procedure l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165. Ai funzionari cui è conferito l'incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti. A seguito dell'assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente comma si provvede con le risorse disponibili sul bilancio dell'Agenzia delle entrate, dell'Agenzia delle dogane e dell'Agenzia del territorio»;
   dalla lettura dell'articolo 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2012 secondo l'interrogante emerge confermata l'illegittimità della prassi da lungo tempo seguita del conferimento degli incarichi dirigenziali in favore di funzionari non dirigenti, dovendo le Agenzie fiscali avviare e concludere entro il 31 dicembre 2013 le procedure concorsuali per il reclutamento di personale dirigente, all'esito delle quali non potranno essere ulteriormente conferiti i predetti incarichi dirigenziali;
   risulterebbe che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli abbia richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze l'emanazione di un decreto ministeriale per consentire di bandire un concorso «con modalità speciali» con l'intento di sanare una parte delle cosiddette reggenze;
   tale procedura concorsuale sul modello del precedente concorso bandito dall'Agenzia delle entrate (e annullato dal T.A.R. Lazio con sentenza 30 settembre 2011, n. 7636) pare preveda una selezione per titoli ed esami (la legge prevede che i concorsi siano solo per esami) con una riserva a favore degli interni nella misura del 50 per cento dei posti messi a concorso (in luogo del 30 per cento previsto dalla legge); una sola prova scritta semplificata (in luogo delle due prove scritte), un successivo colloquio. Tra i titoli valutabili saranno presi in considerazione, in particolare, gli incarichi dirigenziali;
   tale emananda procedura concorsuale si caratterizza ad avviso dell'interrogante oltre che per l'illegittimità, anche per uno spreco di risorse visto che è attualmente in svolgimento una procedura concorsuale per il reclutamento di 69 dirigenti di seconda fascia bandita dall'Agenzia delle dogane secondo le modalità ordinarie e che, pertanto, prima di bandire un ulteriore concorso sarebbe più corretto attendere la conclusione di quello in essere –:
   quali siano le effettive intenzioni delle Agenzie fiscali con riferimento alla questione delle cosiddette reggenze e se, in ogni caso, si preveda che le prossime procedure concorsuali siano espletate in modo legittimo e trasparente, consentendo a tutti i candidati di potervi partecipare in condizioni di parità e senza in alcun modo favorire coloro che abbiano ricoperto incarichi dirigenziali sulla base di provvedimenti illegittimi come innanzi specificato. (4-01603)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a far data dal 13 settembre 2013, stante il riordino della geografia giudiziaria, introdotto con il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 156 («Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011 n. 148») che prevede la chiusura delle sedi distaccate di Jesi, Senigallia, Osimo e Fabriano avrà corso l'accentramento di tutta l'attività giudiziaria della provincia, presso il tribunale di Ancona, con inevitabili disagi organizzativi e non solo;
   è di tutti la consapevolezza della necessità di ridefinire il riordino della geografia giudiziaria (ivi comprese le sedi distaccate di tribunale sopprimende), ma non sulla base di un analisi meramente economica bensì secondo parametri di efficienza strutturale che ai tagli lineari antepongano criteri di scelta basati su valutazioni di funzionalità, di gravosità del numero dei procedimenti pendenti, di adeguatezza delle strutture e degli uffici oltre che di carattere socio-geografico, anteponendo l'esigenza di una giustizia che si ponga al servizio di tutti i cittadini e che abbia i requisiti per consentire alle categorie professionali che ne sono parte integrante di svolgere la propria funzione in condizioni di efficienza;
   vi è la necessità, stante anche l'inadeguatezza di molte sedi centrali di tribunale (incluso il tribunale di Ancona) ad accogliere e gestire il sovraccarico esponenziale di procedimenti utenti ed operatori, di disporre, nelle more della individuazione delle sedi distaccate di tribunale da mantenere, la proroga di un anno (fino al 13 settembre 2014) della chiusura delle sedi distaccate di tribunale, disposta con il provvedimento di riordino della geografia giudiziaria, ex decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156;
   è una necessità, avvertita dalle stesse Associazioni forensi della provincia di Ancona al fine di evitare ai cittadini disagi, insostenibili ed ingiustificati aumenti dei costi;
   l'articolo 3, comma 2, del citato decreto legislativo prevede che «.... gli enti locali interessati anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione [...] facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi»;
   or bene: sindaci di Jesi, Senigallia, Osimo e Fabriano, ex articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 156, hanno dato comunicazione al Ministro della giustizia, della volontà di mantenere nei comuni suddetti gli uffici di giudice di pace già ivi ubicati e dell'assoluta congruenza del mantenimento degli uffici giudiziari di prossimità all'efficienza connaturata alla dislocazione dei servizi all'interno di territori che rappresentano, per ragioni di varia natura, luoghi di composizione sociale ed interessi diffusi omogenei;
   sembra invece sussistere la volontà, da parte del Ministro della giustizia, di procedere ad un taglio lineare nella assoluta assenza di parametri utili a riorganizzare la geografia giudiziaria secondo criteri di efficienza di servizio pubblico essenziale, calibrato secondo il solo vaglio (e discutibile economicità) di bilancio dello Stato; non solo, vi è anche preoccupazione da parte degli enti locali per la norma che pone il mantenimento dei suddetti uffici giudiziari a carico delle casse dei comuni –:
   se il Ministro ritenga di assumere iniziative normative: a) per la proroga di un anno del termine di entrata in vigore del decreto legislativo n. 156 del 2012, al fine di consentire una riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari secondo criteri di funzionalità ed efficienza, che tenga conto di come i problemi dell'amministrazione della giustizia non siano di esclusiva pertinenza degli addetti ai lavori, bensì dell'intera collettività, incidendo nella vita personale ed economica di tutti i cittadini; b) per il mantenimento degli uffici N.E.P. e degli uffici del giudice di pace attualmente ubicati presso le «sezioni distaccate di tribunale» che saranno soppresse dalla norma in questione assicurando, nello specifico, per quanto riguarda la provincia di Ancona il mantenimento degli uffici del giudice di pace di Jesi, Senigallia, Osimo e Fabriano; c) per la soppressione dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 156 del 2012, laddove dispone l'obbligo, per i comuni che abbiano fatto richiesta di mantenimento degli uffici di cui sopra, di farsi carico dei costi relativi, ivi specificatamente indicati, con l'indicazione specifica che attribuisca l'onere di spesa, previsto per le suddette sedi di uffici di giudice di pace ed il mantenimento in carico allo Stato, al fine della corretta gestione del servizio pubblico della giustizia; d) per la revisione della normativa che disciplina l'attribuzione della competenza per materia e per valore dei giudice di pace, promuovendone un idoneo e qualificato ampliamento; e) per la ridefinizione dei criteri per l'assegnazione della funzione di giudice di pace, valorizzandone l'effettiva competenza giuridica, oggetto di periodiche valutazioni di merito stante l'auspicato mantenimento degli uffici ad esso assegnati da parte dello Stato e del compito di snellimento del carico giudiziario. (4-01599)


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   anche grazie alle cronache di questi ultimi giorni da parte di quotidiani locali, si è resa evidente la situazione di grave difficoltà della seziona fallimentare e della sezione lavoro del tribunale di Bergamo;
   a fronte di un notevole aumento del contenzioso, la sezione lavoro ha visto il proprio organico ridursi di un'unità, dopo il trasferimento della dottoressa Giuseppina Finazzi presso la corte d'appello di Brescia;
   presso la sezione fallimentare sono in servizio solo tre giudici e a settembre uno dei tre – il dottor Massimo Gaballo – sarà trasferito alla procura generale di Milano;
   il dottor Luciano Alfani, già presidente delle due sezioni, è stato nominato presidente del tribunale di Mantova ed ivi trasferito;
   la generale situazione di crisi ha notevolmente incrementato il carico di lavoro della direzione fallimentare e di quella lavoro del tribunale di Bergamo;
   a ciò si deve aggiungere che la mole di attività ha visto notevole incremento anche a causa di recenti modifiche normative: la cosiddetta «riforma Fornero» ha previsto una nuova fase sommaria per i procedimenti attinenti all'impugnazione dei licenziamenti; è stato poi recentemente introdotto il concordato preventivo con riserva (cosiddetto «concordato in bianco») che ha cagionato un notevolissimo aumento delle procedure concorsuali presso tutte le sezioni fallimentari dei tribunali italiani compreso quello di Bergamo;
   più in particolare, nel 2013 si è registrato un sensibile aumento dei fallimenti (150 al primo giugno, a fronte di 105 nel primo semestre del 2012) ed un aumento del 100 per cento dei concordati preventivi, che sono ad oggi 70, a fronte dei 69 registrati in tutto il 2012;
   la situazione venuta a determinarsi, caratterizzata da un rilevantissimo aumento del carico di lavoro, a cui si contrappone, purtroppo, una riduzione degli organici, determina gravi conseguenze e, inevitabilmente, frustra le legittime aspettative di giustizia di cittadini ed imprese, che vedono sempre più dilatarsi i tempi necessari ad ottenere la tutela a cui aspirano;
   di tali istanze anche le organizzazioni sindacali della provincia di Bergamo si sono rese interpreti presso il presidente del tribunale di Bergamo e presso il Consiglio superiore della magistratura –:
   quali iniziative il Ministro, per quanto di competenza, intenda assumere in merito alla copertura degli organici presso la sezione fallimentare e la sezione lavoro del tribunale di Bergamo, e se si intendano tenere in debito conto le effettive esigenze del circondario del tribunale di Bergamo in occasione della rivalutazione delle piante organiche prevista per fine 2013. (4-01608)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia ha emesso una concessione per la realizzazione e l'esercizio di un'autostrada regionale sulla tratta Broni-Mortara;
   tale autostrada regionale assume un senso unicamente se ampliata con il tratto Mortara-Stroppiana e quindi con un collegamento Lombardia-Piemonte che porrebbe in discussione la natura di autostrada regionale;
   numerosi comuni lombardi, oltre che la provincia di Pavia, hanno formalizzato su base tecnica la loro contrarietà all'opera;
   in data 19 gennaio 2012 il concessionario ha depositato domanda di valutazione di impatto ambientale ministeriale e, ad oggi, non risulta ancora assunto nessun atto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   risulta presentata nel luglio 2012 una richiesta di sospensione dell’iter amministrativo di valutazione di impatto ambientale da parte del concedente;
   l'opera andrebbe ad insistere su un territorio dalla consolidata vocazione agricola e con la presenza di numerose eccellenze ambientali;
   il tratto Mortara-Stroppiana – che vede la contrarietà di 5 dei sei comuni lombardi interessati oltre che della provincia di Pavia e di tutto il comparto associativo agricolo – verrebbe realizzato nell'ambito della ZPS «Risaie della Lomellina», andando a lambire tre siti di interesse comunitario con oggettivo rischio di infrazione comunitaria;
   le analisi dei flussi di traffico denotano un costante calo del traffico sulle infrastrutture autostradali e tale fatto rischia di comportare non solo la difficoltà di esercizio dell'ipotizzata autostrada ma anche il consolidato rischio di non completamento dell'opera una volta realizzata –:
   se non si intenda fornire informazioni sull’iter amministrativo della valutazione di impatto ambientale ministeriale del tratto Broni-Mortara, nonché assicurazioni sulla qualificabilità come autostrada regionale di un'opera che giustifica le condizioni minime di esercizio solo mediante collegamento interregionale Piemonte-Lombardia;
   se risulti che tecnici del concessionario e del concedente abbiano incontrato rappresentanti della commissione nazionale VIA;
   se non si ritenga strategica l'ipotizzata autostrada Broni-Mortara-Stroppiana;
   se non si intenda verificare il rischio di infrazione comunitaria in ambito ambientale qualora vengano concessi la realizzazione e l'esercizio del tratto Mortara-Stroppiana.
(2-00181) «Mazziotti Di Celso, Dellai».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRATAVIERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto «Progetto De Piccoli» che prevede di togliere il traffico delle grandi navi da Venezia e di formare una struttura con terminal passeggeri a ridosso della bocca di porto del Lido, sponda Punta Sabbioni, sta diventando sempre più una proposta concreta;
   la proposta prevede l'estromissione delle grandi navi crocieristiche dalla laguna di Venezia, sistemando una nuova stazione marittima alla bocca di porto del Lido, davanti alle opere del Mose, sul lato mare, ad una distanza che possa permettere il funzionamento delle barriere mobili, e a 100 metri dal molo foraneo;
   secondo gli articoli di stampa, il progetto prevede un terminal passeggeri protetto dalle «dighe di dissipazione» realizzate per il Mose, compresa la lunata del Lido, lo spazio per otto navi crociera e l'attracco di altrettante motonavi, una struttura di terminal removibile e in prefabbricato d'acciaio con annessi pannelli fotovoltaici per l'alimentazione energetica;
   su tutto questo progetto non è stato mai coinvolto il territorio ed in particolare il comune di Cavallino Treporti, né i cittadini né tanto meno le istituzioni;
   con una lettera datata 11 luglio 2013 il sindaco di Cavallino Treporti aveva chiesto alle autorità competenti e coinvolte quali il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il sindaco di Venezia, il presidente dell'autorità portuale di Venezia, e il comandante della capitaneria di porto di Venezia, di poter partecipare, anche solo come auditore, all'incontro convocato per il 25 luglio 2013;
   tale richiesta non è stata accolta –:
   se il Ministro intenda adottare le opportune iniziative affinché siano coinvolti nel dibattito, anche se solo a titolo di studio, tutti i soggetti interessati per territorio, ed in particolare il comune di Cavallino Treporti, e se non ritenga opportuno informare le competenti Commissioni parlamentari in merito al progetto cosiddetto De Piccoli. (5-00849)


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   risulterebbe all'interrogante che la CRAFT s.r.l avrebbe prodotto e sviluppato, tramite i propri laboratori, il software proprietario del sistema Sicve-TUTOR;
   il progetto realizzava un «sistema di sorveglianza e controllo del traffico veicolare su strade ed autostrade» (brevetto IT 01310318 depositato il 9 novembre 1999), e permetteva di monitorare tutta l'autostrada e non singoli punti di rilevamento come avviene con qualsiasi misuratore di velocità istantanea (autovelox);
   nel 2000, il progetto sarebbe stato presentato ad Autostrade per l'Italia s.p.a. (sede di Firenze) e alla polizia stradale;
   successivamente all'incontro di cui sopra, non vi sarebbero stati altri contatti tra le parti;
   secondo quanto si apprende dalla stampa, nel 2004, polizia stradale e Autostrade avrebbero annunciato di aver inventato e brevettato un sistema di controllo della velocità media (SICve) per il controllo dei veicoli su strade;
   tale sistema risulterebbe essere analogo a quello brevettato dalla Craft;
   il caso è stato oggetto di valutazione da parte dei tribunali, ed il giudizio è, ad oggi, ancora in corso;
   la vicenda, sebbene strettamente connessa a problematiche di royalty, presenta criticità relative al servizio offerto da ANAS s.p.a;
   dalla documentazione depositata dalla pubblica amministrazione si evincerebbe che l'apparecchiatura SICve (Sistema informativo controllo velocità)-VERGILIUS sarebbe stata omologata e approvata con decreto dirigenziale n. 3999 del 24 dicembre 2004 dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sulla base della relativa richiesta fatta da Autostrade per l'Italia s.p.a.;
   detto provvedimento di omologa si riferirebbe al sistema SICve-TUTOR con cui Autostrade per l'Italia s.p.a., ha operato, ed opera, sulle strade di sua pertinenza;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con decreti dirigenziali n. 1007 del 9 novembre 2006, n. 56082 dell'8 luglio 2008, n. 28251 del 29 marzo 2010, n. 97818 del 9 dicembre 2010, su richiesta di Autostrade per l'Italia s.p.a., ha esteso l'approvazione del sistema SICve a versioni con variazioni di software e di processori;
   con decreto dirigenziale n. 97818 del 9 dicembre 2010, dette omologazioni/approvazioni concesse alla Autostrade per l'Italia s.p.a., sarebbero state trasferite a nome della Autostrade Tech s.p.a., subentrata dal 1o gennaio 2010 ad Autostrade per l'Italia s.p.a. nelle attività ed in tutti i rapporti attivi e passivi relativi alla gestione di zone a traffico limitato ed ai sistemi di controllo della velocità (SICve);
   con i decreti Dirigenziali n. 1406 del 15 marzo 2011, n. 4411 del 5 settembre 2011, 4413 del 5 settembre 2011, n. 5183 del 21 ottobre 2011, n. 1254 del 6 marzo 2012, n. 1255 del 6 marzo 2012, l'approvazione/omologazione del sistema SICve sarebbe stata estesa a versioni con variazioni di software e di processori richieste da Autostrade Tech s.p.a.;
   in tutte le omologazioni/approvazioni non risulterebbe, però, l'omologa del sistema SICve-Vergilius;
   il trasferimento di dette omologazioni/approvazioni concesse alla Autostrade per l'Italia s.p.a. a nome della Autostrade Tech s.p.a., avvenuto con decreto dirigenziale n. 97818 del 9 dicembre 2010, dovrebbe ritenersi nullo a norma del comma 5 dell'articolo 192 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (omologazione ed approvazione) del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada, che recita testualmente «l'omologazione o l'approvazione di prototipi è valida solo a nome del richiedente e non è trasmissibile a soggetti diversi»;
   le omologazioni rilasciate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono esclusive del richiedente Autostrade per l'Italia s.p.a. e non possono essere trasmesse a soggetti diversi da essa quale la Autostrade Tech s.p.a., essendo la citata disposizione inderogabile. Quest'ultima società, infatti, pur facendo parte del gruppo Autostrade per l'Italia spa, è una società di servizi distinta dalla prima;
   a quanto consta all'interrogante Autostrade Tech s.p.a. non avrebbe mai richiesto, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, alcuna omologazione/approvazione a proprio nome. Pertanto, tutte le omologhe concesse per trasferimento dovrebbero ritenersi nulle;
   il controllo elettronico della velocità è fondamentale per garantire la sicurezza del sistema autostradale;
   qualora soccombesse nel giudizio in corso, ANAS non potrebbe utilizzare lo specifico servizio, con conseguente pregiudizio alla sicurezza della circolazione stradale;
   non essendo il dispositivo depositato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti completo in ogni sua parte, il processo verbale dovrebbe essere considerato nullo per difetto di omologazione dell'apparecchio SICve-Vergilius;
   i verbali emessi con il sistema Sicve-Tutor della polizia stradale che lo ha in uso potrebbero, quindi, essere nulli –:
   se il Ministro non intenda intervenire presso ANAS s.p.a. per garantire che, qualora soccomba nella causa in corso, sia in grado di garantire il servizio tutor finora offerto;
   se intenda verificare il procedimento di omologa succitato;
   quali iniziative intenda intraprendere per compensare gli ingenti danni economici per l'azienda che deriverebbero dall'accertamento della nullità dei verbali.
(5-00852)


   MALISANI, MARTELLA, ZOGGIA, MOGNATO e MURER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   martedì 7 maggio 2013, i comitati AmbienteVenezia, Medicina Democratica, Comitato NO Grandi Navi e Laguna Bene Comune hanno inviato una segnalazione al comune di Venezia, alla capitaneria di porto e all'Agenzia regionale protezione e prevenzione ambientale del Veneto (ARPAV), denunciando gli «evidenti e ripetuti episodi di inquinamento atmosferico provocato dalle navi da crociera in transito all'interno della laguna di Venezia e dentro la città di Venezia»;
   la stessa denuncia era partita il 23 marzo 2013 per MSC Divina, il 31 marzo per MSC Fantasia, il 2 aprile per Nave Zenith, il 7 aprile per MSC Fantasia ed il 21 aprile per MSC Fantasia;
   l'ultima segnalazione in ordine di tempo riguarda, invece, i molteplici casi d'inquinamento atmosferico avvenuti durante la giornata di lunedì 6 maggio 2013, provocati da navi in fase di entrata in laguna alla mattina, in fase di stazionamento alla Marittima e in fasi di uscita nel pomeriggio;
   i «palazzi galleggianti» mettono in pericolo il delicato equilibrio della Laguna e della fragile città di Venezia;
   è passato più di un anno dalla tragedia del Giglio, che ha indotto i ministri pro tempore delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a emanare ai primi di marzo del 2012 un decreto che, per Venezia, vieta il passaggio delle navi di stazza lorda superiore alle 40 mila tonnellate in Canale della Giudecca e in Bacino di San Marco. Tuttavia, l'attuazione di tale divieto rimane subordinato alla «disponibilità di vie di navigazione alternative a quelle vietate, come individuate dall'Autorità marittima con proprio provvedimento»;
   il sindaco di Venezia ha incontrato nei primi giorni di maggio a Roma il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ponendogli l'urgenza di affrontare il tema del passaggio delle «grandi navi» in Bacino di San Marco anche alla luce del richiamato «decreto rotte» del marzo 2012;
   Governo, magistrato alle acque, capitaneria di porto, comune, ciascuno per le proprie competenze sono chiamati in causa affinché siano presi provvedimenti a tutela della sicurezza della città, della salute dei cittadini, del recupero ambientale della laguna;
   è a rischio uno dei patrimoni culturali più rilevanti e significativi del mondo e deve essere interesse prioritario di tutta la nazione la sua tutela e conservazione;
   il 7-8-9 giugno 2013 si sono svolte le giornate di mobilitazione internazionale, con lo slogan «No Grandi navi a Venezia», a tutela della laguna, del patrimonio architettonico della città di Venezia, dell’habitat, della sicurezza degli edifici e delle persone;
   il drammatico incidente all'interno del porto di Genova ha evidenziato in tutta la sua gravità i rischi connessi alla navigazione e alla manovra di navi di stazza medio-grande all'interno dei bacini acquei;
   il passaggio, documentato con foto e video dai presenti, della Carnival Sunshine del 27/7 a pochi metri dalle Rive dei Sette Martiri e degli Schiavoni ha evidenziato in modo clamoroso che le preoccupazioni relative al passaggio delle grandi navi sono da tenere nella massima considerazione, così come evidenziato dal Ministro Orlando che ha dichiarato che l'episodio della nave da crociera Carnival Sunshine «conferma la presenza di un alto rischio»;
   la diffusione in tutto il mondo delle immagini del passaggio delle «grandi navi» e i rischi connessi determinano un grave pregiudizio per la credibilità del Paese, basti pensare a quali furono le reazioni e gli effetti che si produssero a seguito dei crolli di Pompei –:
   se non sia opportuno – a garanzia della sicurezza della navigazione e a tutela del contesto cittadino attraversato dalle navi – assumere una soluzione a breve termine, adeguatamente verificata, che preveda interventi immediati di riduzione del rischio, tenendo in debita considerazione quanto proposto dal comune di Venezia, in vista della individuazione della soluzione definitiva. (5-00853)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI, GIANCARLO GIORDANO, QUARANTA, NARDI, ZAN e PELLEGRINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2013, lungo l'autostrada A16 Napoli-Canosa, un pullman è precipitato da un viadotto tra Monteforte Irpino e Baiano, in provincia di Avellino;
   il pullman ha investito le auto in colonna, poi ha sfondato il guard-rail ed è precipitato dal viadotto Acqualonga nella scarpata sottostante facendo un volo di una trentina di metri;
   l'incidente ha causato la morte di trentotto persone;
   attualmente sono in corso le indagini per stabilire le cause della tragedia, ma l'ipotesi finora più probabile sembra essere legata a un guasto meccanico del pullman, peraltro molto vecchio, immatricolato nel 1995;
   sembrerebbe che il conducente, non riuscendo a frenare, abbia prima cercato di rallentare la corsa cercando volutamente il contatto con la barriera di protezione laterale e quindi, dopo aver urtato alcune macchine che lo precedevano, ha sfondato la barriera precipitando dal viadotto;
   quello che emerge dai sopralluoghi fatti sul posto, e che vi è stato un cedimento della barriera «New Jersey», con conseguente frana del bordo del viadotto a cui la barriera era «ancorata»;
   il 30 luglio «Autostrade per l'Italia» ha precisato che «le barriere laterali tipo “New Jersey” con mancorrente sono state concepite per ammortizzare al meglio gli urti delle autovetture, che costituiscono la stragrande maggioranza degli urti»;
   questa tragedia ripropone inevitabilmente il problema della sicurezza stradale, sia in termini infrastrutturali, e quindi anche di manutenzione e di efficacia dei sistemi di protezione, che riguardo alle modalità con cui vengono garantiti i controlli e le revisioni dei mezzi di trasporto soprattutto se dedicati al trasporto pubblico –:
   se non intenda avviare una verifica sull'adeguatezza e sulle condizioni delle strutture di protezione sulle principali reti stradali e autostradali;
   se non si ritenga necessario aumentare le risorse da destinare alla sicurezza delle infrastrutture stradali, e verificare gli investimenti finalizzati alla sicurezza stradale effettuati dai concessionari autostradali;
   se non sia necessario prevedere idonee attività di verifica e di ispezione sulle revisioni effettuate sugli automezzi, anche di società private, qualora dedicati al trasporto pubblico. (4-01591)


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha proposto, nel giugno 2013, un aggiornamento del regolamento SES, denominato SES 2+, volto ad accelerare l'attuazione della riforma dei servizi di navigazione aerea;
   tale aggiornamento imporrà a tutti i provider europei, e quindi anche ad ENAV, una drastica riduzione dei costi operativi, anche attraverso la possibilità di disarticolare l'attività per la fornitura dei vari servizi;
   gli operatori godranno quindi di una libertà di azione che dovrà essere monitorata ed espressamente orientata al fine di evitare che aziende controllate dallo Stato scelgano facili scorciatoie per ridurre i costi quali il taglio degli investimenti per la formazione professionale, la riduzione degli organici, l'utilizzo di tecniche di turnazione non rispettose dei contratti e della specificità e delicatezza del servizio, come per esempio per i controllori del traffico aereo (CTA), lo spin-off di attività senza garanzie per i lavoratori;
   l'elevata pressione sulla riduzione dei costi potrebbe avere gravi conseguenze in termini occupazionali e sulla qualità del lavoro nonché sulla sicurezza delle strutture;
   risulterebbe all'interrogante che ENAV non avrebbe raggiunto gli obiettivi pianificati di riduzione di sprechi ed inefficienze secondo i nuovi criteri stabiliti a livello europeo. Ciò avrebbe comportato:
    l'inserimento, per la prima volta nella storia aziendale, dell'istituto della cassa integrazione;
    la riduzione di retribuzioni e garanzie per il personale per effetto dell'eventuale unbundling (scorporo delle attività not core);
   risulterebbe all'interrogante che la gestione del personale in Enav avrebbe privilegiato l'assunzione dall'esterno di controllori del traffico aereo nonostante il numeroso personale «esperto di assistenza al volo» già in servizio da anni in azienda, stia aspettando da più di tre anni un corso di formazione interno;
   nel 2010 una selezione ad hoc ha individuato 60 giovani risorse interne da formare;
   il corso di formazione delle sopracitate risorse è stato continuamente rinviato e nello stesso periodo si sono registrate assunzioni dall'esterno;
   nell'ambito del generale processo di riorganizzazione dell'Aeronautica sono stati individuati 15 aeroporti militari (Ancona Falconara, Comiso, Napoli Capodichino, Treviso Sant'Angelo, Brescia Montichiari, Catania Fontanarossa, Rimini Miramare, Palermo Boccadifalco, Vicenza, Verona Villafranca, Udine Campoformido, Roma Ciampino, Brindisi «Papola», Cagliari Elmas, Capua) che movimentavano milioni di passeggeri all'anno e che dunque ricoprivano un importante ruolo nel piano nazionale dei trasporti civili;
   il Ministero della difesa ha dichiarato che per i 15 aeroporti italiani di cui sopra non sussisteva più l'interesse ad uso militare, autorizzando, quindi a precedere per un cambio di status da aeroporto militare a civile, previa cessione delle attività militari e il conferimento delle strutture e relativi servizi all'aviazione civile;
   dalla cessazione delle attività militari di cui sopra ne è derivato il trasferimento della gestione dei servizi di navigazione aerea (gestione delle piste, della torre di controllo, delle radioassistenze alla navigazione e del radar del controllo di avvicinamento) all'Enav, comportando non poche difficoltà in luce dell'elevata sofisticazione tecnologica dei sistemi d'arma aerei e in ragione dell'elevato livello di complessità del supporto tecnico e logistico, nonché di specializzazione dei sedimi e delle infrastrutture aeroportuali dedicate –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati al fine di garantire la reale riqualificazione del personale già operativo presso Enav prima di procedere all'assunzione di nuove unità di personale. (4-01601)

INTERNO

Interrogazione a risposta immediata:


   META, GASBARRA, ARGENTIN, BONACCORSI, CAMPANA, CARELLA, COSCIA, CUPERLO, FERRO, GAROFANI, GENTILONI SILVERI, GREGORI, MADIA, MARRONI, MICCOLI, MORASSUT, ORFINI, STUMPO, TIDEI e DE MARIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di sabato 3 agosto 2013 è stata organizzata dal comune di Roma capitale un'importante manifestazione per inaugurare la chiusura al traffico di via dei Fori Imperiali, nel tratto compreso tra largo Corrado Ricci e via Labicana, con la conseguente pedonalizzazione della strada;
   l'evento organizzato dal comune di Roma ha richiamato l'attenzione di tutti gli organi di informazione italiani e internazionali, numerose autorità, tra i quali rappresentanti diplomatici di Paesi stranieri, considerata la rilevanza dell'iniziativa;
   all'evento era annunciata la presenza della Presidente della Camera dei deputati, onorevole Laura Boldrini, la quale ha poi partecipato al taglio del nastro simbolico per celebrare la «Notte dei Fori», evento organizzato dal comune di Roma con numerosi spettacoli e iniziative gratuite, compresa l'apertura straordinaria di tutta l'area archeologica a ridosso del Colosseo e di piazza Venezia;
   il giorno precedente era stata annunciata una manifestazione, per la sera di sabato 3 agosto 2013, dei comitati di protesta contro l'ipotesi di localizzazione della nuova discarica di rifiuti trattati della capitale presso l'area, già utilizzata come discarica di rifiuti speciali, della Falcognana sulla via Ardeatina, alle porte di Roma;
   ai manifestanti era stata concessa per la loro manifestazione l'area di piazza della Bocca della Verità, a poche centinaia di metri da piazza Venezia, e al sit-in dei cittadini era presente anche l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno;
   i manifestanti dei comitati anti-discarica ad un certo punto della serata hanno cominciato a spostarsi verso l'area di via dei Fori Imperiali, dove si stavano per tenere le celebrazioni per la pedonalizzazione dell'area e dove la terza carica dello Stato, la Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, stava per partecipare al taglio del nastro insieme ad altre autorità ed al sindaco Ignazio Marino;
   ai manifestanti è stato concesso l'ingresso, non autorizzato dalla questura di Roma, nell'area dei Fori, mettendo in essere azioni di disturbo, ponendo a rischio la partecipazione di centinaia di migliaia di cittadini accorsi a via dei Fori Imperiali per l'evento, nonché l'incolumità delle autorità, a partire dalla Presidente della Camera dei deputati, del sindaco della città di Roma e delle delegazioni diplomatiche;
   nel corso della protesta è stata colpita alla testa dai manifestanti il vicecomandante della polizia municipale di Roma capitale –:
   se non ritenga di dover verificare presso la questura di Roma le modalità con cui è stata gestita la sicurezza della giornata del 3 agosto 2013 in riferimento all'arrivo dei manifestanti dei comitati anti-discarica, senza autorizzazione, nei pressi di via dei Fori Imperiali, al fine di accertare quali ordini siano stati impartiti per fronteggiare una contestazione violenta che ha messo a rischio l'incolumità delle autorità e dei cittadini accorsi all'evento. (3-00267)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a metà luglio del 2013 il giornalista Alberto Nerazzini ha subito un anomalo furto da parte di ignoti, nella sua casa sulle colline bolognesi;
   l'anomalia del furto è consentito nell'asportazione solo dei personal computer e di materiali per il montaggio video di interviste e servizi, mentre altri beni di valore non sono stati prelevati e analoga attrezzatura video del coinquilino non risulta sottratta dall'abitazione;
   l'anomalia di detto furto sembra apparire piuttosto come una grave forma di intimidazione;
   già nel 2002 Alberto Nerazzini aveva subito un anomalo incendio della propria abitazione a Roma;
   da anni Nerazzini è noto come giornalista coraggioso nella denuncia di misfatti del crimine organizzato;
   di recente Nerazzini è stato in Calabria, a Locri, a seguire un delicato processo di ’ndrangheta, effettuando interviste e riprese anche in aula;
   negli ultimi giorni di giugno, in prima serata la televisione pubblica canadese (trasmissione «Enquete») aveva mandato un'inchiesta sulle ramificazioni della ’ndrangheta in Canada, realizzata da un pool di giornalisti canadesi in collaborazione con Nerazzini;
   il suddetto lavoro giornalistico aveva avuto vasto risalto su giornali nazionali, come il Toronto Star, e sui telegiornali, suscitando largo scalpore a Toronto;
   uno degli obiettivi della suddetta inchiesta era quello di sottolineare il radicamento della ’ndrangheta nella regione di Toronto, sottovalutato dai media e dagli inquirenti, a differenza del Québec dove il Governo ha recentemente creato la Commissione d'inchiesta Charbonneau sull'infiltrazione della mafia italiana negli appalti pubblici;
   sul Toronto News, il 28 giugno 2013 si è data a Nerazzini notorietà per la ricostruzione della carriera di Giuseppe Bruzzese, arrestato nel 2011 per associazione mafiosa, tanto che il sottotitolo del giornale era, testualmente: «Trial of Thunder Bay's Giuseppe Bruzzese for alleged “Mafia association” highlights reach of ’Ndrangheta organized crime clan»;
   l'insediamento della ’ndrangheta in Canada è documentato da anni dagli inquirenti locali e, proprio agli inizi di luglio del 2013, sono tornate in auge le lotte di sangue tra bande malavitose calabresi, con l'omicidio di Salvatore Calautti, di cui hanno parlato a lungo tutti i giornali e le televisioni canadesi –:
   se il Ministro intenda dare luogo ad attività volte a garantire l'incolumità del giornalista Nerazzini e la sua possibilità di continuare a lavorare in una materia così delicata come il giornalismo d'inchiesta sul crimine organizzato anche transnazionale;
   se il Ministro intenda disporre monitoraggi più efficaci del territorio della provincia bolognese, dove di anno in anno la ’ndrangheta sta acquisendo spazi sempre più rilevanti nell'economia e nel controllo del territorio. (4-01597)


   ROSSOMANDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, stabilisce testualmente: «Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita, e da allora ha diritto a un nome, ad acquistare una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da loro»;
   la Convenzione sui diritti del fanciullo introduce un vero e proprio diritto del fanciullo all'immediata «registrazione», che nel nostro ordinamento consiste nella formazione dell'atto di nascita da parte dell'ufficiale di stato civile sulla base della dichiarazione di nascita effettuata da chi ha il dovere di farla;
   il vecchio ordinamento dello stato civile (regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238) prevedeva, all'articolo 67, che la dichiarazione di nascita fosse fatta nei dieci giorni successivi al parto dal padre o dalla madre, o dall'ostetrica o da qualsiasi persona che avesse assistito al parto (articoli 70 e 71), con un ampio intervallo temporale attribuibile alle difficoltà di collegamento esistenti all'epoca;
   il vigente regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, in attuazione della legge 15 maggio 1997, n. 127, ha previsto, all'articolo 30, un nuovo termine di tre giorni per le dichiarazioni fatte presso la direzione sanitaria dell'ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita, ma ha conservato il vecchio termine di dieci giorni fissato nella previgente normativa nel caso di registrazione della nascita presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto e nel caso in cui i genitori vogliano registrare il neonato nel comune di residenza (articolo 30, comma 7);
   il mantenimento del termine dei dieci giorni, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, potrebbe portare all'eventualità che le dimissioni della puerpera avvengano prima che la dichiarazione di nascita con contestuale riconoscimento sia stata effettuata, esponendo quindi il neonato al pericolo di divenire vittima della tratta di minori o di finire nel circuito delle adozioni illegali, anche attraverso falsi riconoscimenti di paternità –:
   quali iniziative intenda assumere affinché i termini per la registrazione e il riconoscimento dei neonati vengano aggiornati ed uniformati a quanto indicato dall'articolo 7, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, affinché i neonati non vengano dimessi prima che sia stata effettuata la dichiarazione di nascita, sia stato dato loro un nome e, se del caso, nominato un tutore provvisorio che ne risponda. (4-01598)


   COLLETTI, D'AMBROSIO e CASTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel primo pomeriggio di domenica 4 agosto 2013 alcuni operai hanno allestito un palco nel centro di Roma, precisamente in via del Plebiscito, ove alle ore 18,00 era in programma una manifestazione del Popolo della Libertà in favore di una persona recentemente condannata in via definitiva per un grave reato;
   il comune ha reso noto di non aver rilasciato alcuna autorizzazione (poiché non richiesta in tempo) per l'allestimento di detto palco che è pertanto risultato abusivo;
   stando a quanto riportato dai giornali, gli stessi operai incaricati dell'allestimento del palco avrebbero rimosso arbitrariamente alcuni cartelli stradali che ne avrebbero impedito la piena visuale;
   la manifestazione – per la quale non sembra essere pervenuta al comune alcuna richiesta di autorizzazione – ha arrecato notevoli disagi alla circolazione automobilistica e del trasporto pubblico a causa delle deviazioni e del transennamento dell'isolato;
   il presidente del primo municipio del comune di Roma ha successivamente inviato una pattuglia di vigili urbani per verificare l'accaduto e ripristinare la segnaletica stradale, oltre a verificare eventuali altre opere non autorizzate;
   gli organizzatori della manifestazione del Popolo della Libertà hanno riferito di aver richiesto ai competenti organi amministrativi tutte le autorizzazioni del caso –:
   se il Ministro intenda verificare, con il prefetto e la questura di Roma, l'avvenuto preventivo avviso di cui all'articolo 18 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza per la manifestazione e l'allestimento del palco del 4 agosto 2013 in via del Plebiscito. (4-01612)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   SANTERINI, CAPUA, MOLEA e VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i tirocini formativi attivi ordinari, recentemente conclusi, hanno selezionato, tra 200 mila concorrenti, circa 11 mila docenti attraverso un'apposita prova d'accesso sulle conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento della classe di abilitazione, secondo i programmi definiti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   i tirocini formativi attivi recentemente conclusi, o in procinto di concludersi, hanno specificatamente formato i suddetti docenti per svolgere l'attività di insegnamento;
   l'approvazione dei tirocini formativi attivi speciali abiliterà, senza alcuna procedura di selezione, oltre 100 mila docenti (in numero notevolmente superiore alle necessità evidenziate nel decreto del direttore generale n. 82 del 24 settembre 2012, oltre che nei bandi relativi all'avvio delle selezioni per i tirocini formativi attivi ordinari);
   attualmente gli abilitati dei tirocini formativi attivi ordinario e speciale potranno accedere alla medesima II fascia delle graduatorie di istituto, senza distinzione fra chi ha superato una procedura selettiva e chi acquisirà lo stesso titolo senza selezione alcuna;
   gli abilitati tramite tirocini formativi attivi ordinari risultano di gran lunga svantaggiati rispetto ai futuri abilitati tramite tirocini formativi attivi speciali, che possono vantare molti punti in più derivanti da titoli di servizio posseduti –:
   quali iniziative il Governo ritenga opportuno assumere per ovviare a tale situazione di squilibrio e in quali tempi preveda l'emanazione di un bando di un secondo ciclo per i neolaureati. (3-00260)


   DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale sistema di formazione dei nuovi insegnanti per la scuola secondaria, conosciuto come tirocinio formativo attivo, ha abilitato in quest'anno accademico quasi 11.000 docenti, che, per accedervi, hanno dovuto superare tre dure prove di accesso, pagare una lauta tassa di iscrizione (circa 2.600 euro in media), frequentare corsi disciplinari e pedagogico-didattici, affrontare un tirocinio di 475 ore e sostenere un esame finale;
   l'accesso al tirocinio formativo attivo è stato articolato attraverso il superamento di tre prove, svoltesi fra il luglio ed il novembre del 2012, così distinte:
    a) preselettiva (composta da n. 60 test a risposta multipla su argomenti disciplinari relativi alle diverse classi di concorso) da ritenersi valida con il raggiungimento minimo di punti 21/trentesimi;
    b) prova scritta (relativa a domande aperte concernenti la disciplina in esame) da ritenersi valida con il raggiungimento minimo di punti 21/trentesimi;
    c) prova orale (con domande inerenti argomenti riguardanti la disciplina in oggetto) da ritenersi valida con il raggiungimento minimo di punti 15/ventesimi;
   il percorso formativo ha poi contemplato la frequenza di corsi disciplinari e pedagogico-didattici e il superamento dei relativi esami, concludendosi con un esame finale di abilitazione concernente l'esposizione di un progetto didattico su un argomento disciplinare estratto a sorte da ciascun candidato e la discussione della relazione finale sul tirocinio svolto in classe;
   sulla base del decreto ministeriale n. 249 del 2010, e dei successivi regolamenti ministeriali ad esso connesso, l'abilitazione conseguita tramite la frequenza del tirocinio formativo attivo risulta declassata rispetto a quella conseguita in passato con i cicli delle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, ai cui abilitati era sempre spettato l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, unico canale utile per ottenere l'immissione in ruolo per scorrimento (legge n. 296 del 2006). A differenza di quanto avvenuto sempre in passato, quindi, al titolo conseguito con il tirocinio formativo attivo spetterebbe solamente l'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto, dalle quali è difficilmente ottenibile un incarico annuale, né si potrà mai ambire al posto di ruolo a tempo indeterminato;
   con l'emanazione in data 27 giugno del decreto ministeriale n. 572 del 2013, poi, le graduatorie ad esaurimento vengono integrate solo per chi ha conseguito il titolo di abilitazione all'estero e per chi ha congelato la scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario dell'ultimo ciclo 2007-2009 e, iscrittosi con riserva all'epoca, ha completato la formazione e ottenuto il titolo frequentando lo stesso corso di tirocinio formativo attivo appena concluso;
   il suddetto decreto perpetra una discriminazione tra chi si è abilitato con il tirocinio formativo attivo (ai sensi del decreto ministeriale n. 249 del 2010) e chi ha conseguito il medesimo titolo equipollente presso gli altri Paesi dell'Unione europea o chi, dopo avere interrotto la scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario, si è abilitato frequentando lo stesso corso di tirocinio formativo attivo durante questo anno accademico;
   il vulnus del decreto ministeriale n. 572 del 2013 opera una disparità di trattamento tra titoli di abilitazione equipollenti, violando la direttiva 2005/36/CE e sancendo il paradosso normativo per cui i docenti abilitati nei Paesi dell'Unione europea possano accedere alle graduatorie ad esaurimento e, quindi, in prospettiva, al ruolo, mentre quei docenti che hanno conseguito lo stesso titolo entro i confini nazionali vengono relegati alla seconda fascia delle graduatorie d'istituto, dalle quali è possibile ottenere supplenze saltuarie e temporanee, senza con ciò poter ambire ad una collocazione a tempo indeterminato;
   è facile trarre dal decreto ministeriale n. 572 del 2013, infatti, l'implicita affermazione del principio di equivalenza legale tra i corsi delle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario e quelli del tirocinio formativo attivo, che risiede nell'attribuzione al tirocinio formativo attivo di quel valore giuridico che consente ai «congelati» delle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario di ottenere l'abilitazione mediante la sua frequenza;
   il decreto ministeriale n. 249 del 2010, vieppiù, annoverava tra i suoi principi cardine la corrispondenza tra i posti messi in palio per l'accesso al tirocinio formativo attivo e il fabbisogno di personale scolastico calcolato sulla base dei futuri pensionamenti;
   nonostante la riduzione strutturale di questi ultimi, dovuto agli effetti della «riforma Fornero», il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha varato con il decreto ministeriale n. 81 del 2013 l'ennesima sanatoria (percorsi abilitanti speciali), che abiliterà ope legis 80.000 docenti aventi un'anzianità di servizio pari a tre anni scolastici, senza alcuna verifica delle loro conoscenze didattico-disciplinari, derogando in tal modo al principio del fabbisogno reale di docenti sancito nel decreto ministeriale n. 249 del 2010;
   molti di coloro che si abiliteranno attraverso questo percorso speciale, infatti, potendo vantare un alto punteggio di servizio, rischiano di scavalcare gli abilitati con merito del tirocinio formativo attivo nelle graduatorie d'istituto e di ottenere incarichi di supplenza, pur non avendo dimostrato in alcun modo di possedere le conoscenze e le pratiche didattiche necessarie ad un proficuo processo di insegnamento-apprendimento;
   l'ex Ministro Profumo, nel corso degli ultimi mesi del suo mandato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha stabilito nella bozza di modifica al regolamento del decreto ministeriale n. 249 del 2010, datata al 12 giugno del 2012, che i titoli di abilitazione conseguiti al termine del tirocinio formativo attivo costituiscono requisito di ammissione alle procedure concorsuali, che, come è ben noto, danno, in caso di superamento, diritto al ruolo, mentre diversamente non viene riconosciuta l'idoneità all'insegnamento, come per i vecchi concorsi, e quindi l'accesso alle graduatorie ad esaurimento;
   si è così creata una disparità di trattamento, non conforme al dettato costituzionale –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la riapertura e l'inserimento nella terza fascia delle graduatorie ad esaurimento dei docenti abilitati tramite la frequenza del tirocinio formativo attivo ordinario, con un punteggio pari a quello conferito negli anni precedenti agli abilitati delle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, in virtù della direttiva 2005/36/CE, che sancisce l'uguaglianza dei titoli abilitanti professionali nel territorio dell'Unione europea, e attribuendo al medesimo titolo quel valore di prova concorsuale che consente l'assunzione in ruolo ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione tramite il doppio canale di reclutamento tuttora vigente. (3-00261)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le cronache degli ultimi anni, supportate anche da audizioni svoltesi presso la Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, raccontano che in numerose scuole italiane viene disattesa la circolare emanata dall'ex Ministro Gelmini l'8 gennaio 2010, avente per oggetto «Indicazioni e raccomandazioni per l'integrazione di alunni con cittadinanza non italiana», riguardante l'equa distribuzione tra studenti italiani e studenti immigrati negli istituti scolastici nazionali. Secondo il rapporto nazionale dell'Ismu relativo all'anno scolastico 2011/2012, l'indicazione contenuta nella circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che prevede una percentuale massima pari al 30 per cento di studenti stranieri per ogni istituto scolastico, non viene applicata dal 4,3 per cento degli istituti, con un trend di crescita, in un solo anno scolastico, dello 0,4 per cento. Ancora più eclatanti appaiono i dati relativi ai contesti a forte pressione migratoria: in quelle realtà le scuole con tassi di incidenza da 30 per cento a meno del 40 per cento sono 1.506 nel 2011/2012, quelle con tassi dal 40 per cento a meno di 50 per cento sono 578, mentre quelle con tassi del 50 per cento e oltre sono 415. Queste ultime sono denominate «scuole a maggioranza straniera». Gli ordini di scuola più interessati dalla concentrazione degli alunni con cittadinanza non italiana sono quelli dell'infanzia e primaria, dove i plessi con tassi di incidenza consistenti (dal 40 al 50 per cento) sono aumentati in un anno, rispettivamente, del 25 per cento e del 39 per cento; allo stesso modo, seppure con un'intensità inferiore, è cresciuto il numero di scuole dell'infanzia e primaria a maggioranza straniera. In complesso, nell'anno scolastico 2011/2012, il 5,4 per cento delle scuole dell'infanzia e il 4,1 per cento di quelle primarie accoglie alunni con cittadinanza non italiana in misura almeno pari al 30 per cento. Se da una parte si registra un contenimento del numero di scuole secondarie di primo grado a forte concentrazione o a maggioranza straniera, che rappresentano il 2,5 per cento del totale dei plessi di questo ordine scolastico, da un'altra si deve verificare che tra le scuole secondarie di secondo grado è in forte aumento la concentrazione di presenza straniera, in quanto si registra un aumento del 20 per cento di scuole con percentuali tra il 30 e il 40 per cento, un aumento del 9 per cento di scuole con percentuali dal 40 al 50 e un aumento del 22 per cento di scuole a maggioranza straniera;
   tali dati confermano la tendenza di diverse direzioni di istituti scolastici che derogano con molta facilità alla circolare in questione. Si comprende certamente che in alcuni contesti territoriali la forte concentrazione di cittadini stranieri aumenta la presenza di studenti non italiani, ma la «manica larga» di alcuni dirigenti rischia di creare forti tensioni, soprattutto per quei cittadini italiani che si sentono ospiti, se non ghettizzati, a casa propria. Fratelli d'Italia crede che l'integrazione sia una cosa seria e un valore da perseguire per la sicurezza e il benessere di tutti i cittadini, ma non un'imposizione da subire passivamente, sia per gli italiani che per gli stranieri. L'istruzione rappresenta un veicolo straordinario di integrazione, purché essa avvenga in un quadro di regole da rispettare. La circolare dell'ex Ministro Gelmini puntava proprio a questo, a stabilire regole che garantissero tutti, ma la sua mancata applicazione in troppi casi ne vanifica scopi e obiettivi –:
   quali azioni intenda porre in essere il Governo affinché la circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dell'8 gennaio 2010 trovi finalmente piena applicazione e tutti gli istituti scolastici italiani rientrino nell'alveo di regole concepite per aiutare l'integrazione e la pace sociale. (3-00262)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia di belle arti di Bologna è un'istituzione di alta formazione artistica e culturale di rango universitario regolata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dovrebbe scegliere il nome del nuovo presidente del consiglio d'amministrazione, da una rosa di tre nomi che la stessa Accademia fornisce al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sarà impegnato nel lavoro di selezione e nomina del nuovo presidente dell'accademia;
   il Sottosegretario di Stato Gianluca Galletti ha di recente operato pubblica visita all'istituto durante l'incontro avuto con il suo direttore;
   nel merito dell'istruttoria per l'individuazione della terna da sottoporre a valutazione del Ministro sono stati ammessi diversi curricula;
   per accadimenti relativi alla presentazione al Ministro della terna all'interno della quale identificare la figura del nuovo presidente, vi è un'indagine istruita dalla presidenza nell'ambito delle sue funzioni statutarie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti e come intenda agire in merito. (4-01606)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XI Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, ROSTELLATO, BECHIS e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 giugno 2013 è stata depositata una interrogazione a risposta scritta (4-00822) ancora in attesa di riscontro, in cui si chiedeva ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico, in sintesi, quali misure e/o provvedimenti urgenti i Ministri intendessero assumere per promuovere il dialogo con la proprietà della Antonio Merloni allo scopo di predisporre un piano industriale efficace per salvaguardare la produzione e i livelli occupazionali, anche nella ipotesi in cui si dovesse pervenire all'annullamento della cessione per effetto dell'accoglimento dell'impugnativa pendente innanzi al tribunale di Ancona e quali altre misure e/o azioni i Ministri intendessero adottare per garantire il sostegno del reddito ai lavoratori che si trovano in cassa integrazione guadagni straordinaria e non assunti dalla J&P Industries spa e per favorire la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Antonio Merloni di Nocera Umbra e Fabriano, garantire prospettive economiche certe e salvaguardare i livelli occupazionali degli stabilimenti. Infine si chiedeva ai Ministri se intendessero comunicare la posizione assunta dal Governo in ordine alla controversia pendente innanzi al Tribunale avente ad oggetto la nullità/inefficacia della intervenuta cessione;
   in ordine alla vicenda del gruppo Merloni, nell'accordo di programma per la disciplina degli interventi di reindustrializzazione delle aree coinvolte dalla crisi del Gruppo Antonio Merloni del 18 ottobre 2012 siglato dal Ministero dello sviluppo economico e dalle regioni Marche e Umbria si legge che «Nel corso degli anni 2007 e 2008 una prolungata crisi produttiva e di mercato ha coinvolto il Gruppo delle aziende facenti parte della Antonio Merloni SpA. Il Gruppo Antonio Merloni, che ha impiegato circa 3000 persone e si è articolato in diverse società, ha svolto la sua attività in diversi settori produttivi facenti perno sulla produzione del cosiddetto “bianco” ed i suoi stabilimenti produttivi italiani sono localizzati nei territori delle Regioni Emilia Romagna, Marche ed Umbria. La crisi che ha coinvolto il Gruppo Antonio Merloni ha assunto peculiari ed emblematici caratteri di gravità nel quadro delle crisi industriali italiane, in quanto riguarda un settore di assoluta rilevanza del sistema italiano con ripercussioni sull'economia di più regioni ad elevata specializzazione manifatturiera. Nel territorio dei Comuni umbro-marchigiani ricompresi nell'accordo di programma Merloni si sono determinate nel corso degli anni le condizioni per lo sviluppo di un articolato sistema dell'indotto del Gruppo Merloni che, al manifestarsi della crisi dell'azienda, ha subito pesanti ripercussioni sui livelli di attività con un grave impatto sulla tenuta dell'occupazione»;
   la Merloni spa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria e i Commissari straordinari hanno presentato al Ministero un programma avente per oggetto la cessione dei complessi aziendali facenti capo al gruppo Antonio Merloni ai sensi dell'articolo 27 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270;
   in questo contesto le parti in data 19 marzo 2010 siglavano un primo accordo di programma di reindustrializzazione dell'area interessata definendo le risorse nazionali, comunitarie e regionali a disposizione; l'accordo del 19 marzo 2010 prevedeva i seguenti obiettivi: 1) tutelare l'apparato produttivo esistente; 2) assicurare il rilancio delle attività; 3) salvaguardare l'occupazione;
   con atto di cessione del 27 dicembre 2011 del «perimetro aziendale» del Gruppo Antonio Merloni alla J&P Industries s.p.a., la quale ha acquisito la proprietà di tutti gli stabilimenti della Merloni (compresi i complessi produttivi di Umbria e Marche), sono stati ricollocati una parte dei dipendenti del gruppo mentre altri 1510 lavoratori sono rimasti in carico alla azienda in Amministrazione Straordinaria e si trovano in CIGS;
   al primo accordo di programma del 19 marzo 2010 è seguita la sottoscrizione di un atto integrativo del 18 ottobre 2012 siglato tra Ministero dello sviluppo economico, regione Umbria e Marche per la «rimodulazione» degli interventi con l'obiettivo di: 1) riassorbire il maggior numero possibile di personale diretto attualmente in CIGS; 2) favorire la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Antonio Merloni, con particolare riferimento alla quota parte dello stabilimento di Gaifana, oggetto del diritto di opzione alla vendita o alla locazione concesso dalla società J&P Industries s.p.a.; 3) sostenere il rilancio della PMI dell'indotto;
   in tale contesto si prevedeva anche l'attivazione delle risorse del Fondo europeo per la globalizzazione (FEG) per corsi di riqualificazione e inserimento;
   tuttavia la vendita dei complessi produttivi (compresi gli stabilimenti di Nocera Umbra e Fabriano) della Merloni spa in Amministrazione Straordinaria alla società J&P Industries spa (Q.S. Group spa) è oggetto di una controversia pendente innanzi al tribunale di Ancona intrapresa dalle Banche creditrici nei confronti dell'acquirente Q.S. Group spa e della stessa Merloni spa in amministrazione straordinaria ed avente ad oggetto la nullità e/o inefficacia delle suddette operazioni di cessione nonché la valutazione economica dell'azienda ceduta all'atto del trasferimento;
   inoltre i rappresentanti del comitato dei lavoratori Metalmeccanici umbri della (ex) Merloni spa hanno segnalato forti preoccupazioni in riferimento alla ripresa della produttività degli impianti oggetto di cessione, ad avviso dei quali emergerebbe il progressivo «depauperamento» delle lavorazioni e «smantellamento» e «trasferimento» dei macchinari dei reparti di stampaggio plastica in altri siti (Turchia) con conseguente drastica riduzione dell'attività lavorativa;
   gli obiettivi dell'accordo di programma prevedevano la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Merloni spa; tuttavia emergerebbe un quadro di incertezza e preoccupazione delle sorti degli stabilimenti e dei lavoratori sia per la prossima scadenza della cassa integrazione guadagni straordinaria sia per la pendenza del contenzioso innanzi al tribunale in merito alla legittimità delle modalità della cessione del complesso produttivo;
   rimane forte e seria la preoccupazione che sia in corso una sorta di «delocalizzazione» della produzione e che la cessione della ex Merloni spa da parte dei commissari straordinari – tra l'altro impugnata davanti all'autorità giudiziaria – non sia finalizzata al rilancio produttivo bensì al ridimensionamento e conseguente «smantellamento» e/o delocalizzazione dei macchinari e/o dell'attività con effetti sociali ed occupazionali sul territorio facilmente immaginabili –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative e/o misure intenda assumere al fine di salvaguardare la produzione e i livelli occupazionali in vista della scadenza della cassa integrazione guadagni straordinaria in capo ai lavoratori non assunti anche in considerazione della gravità della situazione oggetto di esame dell'autorità giudiziaria. (5-00857)


   POLVERINI e PIZZOLANTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2003, n. 350, articolo 2, comma 11, ha istituito una addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sulle aeromobili pari ad un euro per passeggero imbarcato. Tale addizionale prevista in origine per il solo 2004, è stata poi resa strutturale;
   il decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, all'articolo 6-quater, comma 1, ha modificato la destinazione della percentuale della quota residua destinata ai comuni del sedime aeroportuale (40 per cento in luogo del 20 per cento originario) e alle misure di tutela dell'incolumità delle persone e delle strutture (60 per cento in luogo dell'originario 80 per cento). Il medesimo decreto-legge, all'articolo 6-quater, comma 2, ha, altresì, incrementato l'addizionale comunale sui diritti di imbarco di un euro, destinando tale incremento ad un fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo;
   la legge 27 dicembre 2006, n. 296, all'articolo 1, comma 1328, ha incrementato di ulteriori 50 centesimi l'addizionale comunale sui diritti di imbarco, destinando, a decorrere dal 2007, tale incremento ai servizi antincendio;
   il decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 2008, 252, ha modificato l'articolo 6-quater del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7; per effetto di tale modifica, l'incremento addizionale destinato al Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione del personale del settore del trasporto aereo è di tre euro (e non più di un euro) per passeggero imbarcato;
   la legge 28 giugno 2012, n. 92, all'articolo 4, comma 75, ha incrementato, a decorrere dal 1° luglio 2013, l'addizionale comunale sui diritti di imbarco di ulteriori due euro da versare all'Inps;
   la medesima legge 28 giugno 2012, n. 92, all'articolo 2, comma 48, ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, l'intero incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sia destinata alla Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali presso l'Inps;
   per effetto della misura contenuta all'articolo 2, comma 48, della legge 28 giugno 2012, n. 92, a decorrere dal 1° gennaio 2016, l'incremento della addizionale non finanzierà più gli ammortizzatori sociali per il settore del trasporto aereo –:
   se sia intenzione del Ministro interrogato, per quanto di sua competenza, assumere iniziative per rivedere la norma contenuta nella citata legge n. 92 del 2012, al fine di assicurare la copertura degli ammortizzatori sociali per il settore del trasporto aereo. (5-00858)


   PLACIDO, AIRAUDO e DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 18368 del 31 luglio 2013, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha confermato in via definitiva la sentenza della corte di appello di Potenza che ha sancito l'antisindacalità del licenziamento senza preavviso di tre operai della Fiat Sata di Melfi, iscritti al sindacato della FIOM;
   già la sentenza della corte di appello di Potenza aveva reintegrato i lavoratori nel proprio posto di lavoro, ma la Fiat Sata si era rifiutata di ricollocarli effettivamente in azienda e nelle proprie mansioni, comunicando di voler rinunciare alle prestazioni lavorative dei detti lavoratori originariamente licenziati provvedendo unicamente al pagamento della retribuzione;
   gli emolumenti da versare ai lavoratori non possono che essere la cosiddetta retribuzione globale di fatto;
   la mancata prestazione di lavoro derivante da atto o contegno del datore di lavoro ha determinato per il periodo in cui ha prodotto effetti il licenziamento e determina dal momento in cui persiste la volontà di rinunciare a dette prestazioni il diritto dei lavoratori ad una prestazione da parte del datore di lavoro consistente nel pagamento della retribuzione, in una entità almeno pari alla perdita del coacervo delle utilità che lo svolgimento della prestazione avrebbe comportato;
   in altri termini i lavoratori non reintegrati hanno diritto a percepire, secondo ciò che viene chiarito dalla giurisprudenza, una retribuzione pari al coacervo degli emolumenti, non eventuali, occasionali o eccezionali, ma aventi normale e continuativa connessione con le modalità proprie della prestazione lavorativa, ancorché eccedenti la retribuzione base;
   in questo modo è possibile conseguire per i lavoratori illegittimamente licenziati (in generale) il risultato di neutralizzare gli effetti di un provvedimento sanzionatorio illegittimo e, nel caso di specie, di impedire che una condotta dell'azienda tesa ad eludere una pronuncia della magistratura possa produrre risultati penalizzanti per i lavoratori licenziati e non reintegrati; immaginare un trattamento economico minore di quello che i lavoratori avrebbero percepito qualora avessero continuato a svolgere le loro consuete mansioni significherebbe addossare a questi ultimi le conseguenze negative di una scelta aziendale;
   da quello che emerge sugli organi di stampa: «La cosa certa è che i 3 lavoratori ad oggi non sono stati ancora reintegrati sul posto di lavoro, ma in maniera illegittima sono pagati dall'INPS con la Cassa Integrazione Straordinaria senza rotazione», come ha dichiarato il segretario generale della Fiom CGIL di Basilicata, Emanuele De Nicola;
   questo elemento, qualora dovesse risultare confermato, si rivelerebbe estremamente grave in considerazione del fatto che la scelta dell'Azienda circa il mancato reintegro dei lavoratori nel proprio posto e nelle proprie mansioni non può essere scaricata sulle casse dell'INPS e, in ultima analisi, sulla collettività;
   in altri termini i lavoratori non reintegrati devono essere pagati dall'Azienda con la retribuzione globale di fatto e non dall'INPS, avendo, la Fiata Sata, rinunciato alle prestazioni lavorative dei lavoratori in questione e non potendo, per conseguenza, collocarli in cassa integrazione;
   va precisato che, con la sentenza ormai definitiva della Cassazione, non v’è dubbio che i tre operai debbono poter tornare a svolgere effettivamente le proprie mansioni in azienda senza ulteriori ritardi e senza la possibilità che sia usata a pretesto del mancato reintegro il procedimento penale ora aperto a carico degli operai per violenza privata e turbata libertà dell'industria con riferimento ai fatti contestati nel 2010, la cui udienza si terrà a dicembre 2013. La Cassazione, infatti, ha definitivamente riconosciuto che l'azienda, li ha puniti per un comportamento che in realtà ha riguardato una quarantina di operai non sanzionati in alcun modo dalla Fiat –:
   qualora corrispondano al vero le informazioni di cui in premessa, quali misure il Governo intenda adottare per assicurare la corretta applicazione della legge, senza che all'INPS vengano addossati costi dovuti dall'Azienda. (5-00859)


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia battuta dalle agenzie di stampa del 16 luglio 2013 quella delle dichiarazioni del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Enrico Giovannini, in merito ai dati Inps 2013 che registrano un disavanzo di 9 miliardi di euro, secondo il quale trattasi di «squilibrio puramente finanziario», perché «la riforma ha messo in sicurezza i conti nel lungo termine»;
   tale disavanzo è dovuto all'accorpamento della gestione dei dipendenti pubblici ex Inpdap all'Inps, che pone ora a serio rischio le pensioni dei lavoratori del settore privato;
   si stima infatti che l'istituto possa pagare le pensioni sino al 2015, poi le casse saranno vuote e l'Inps al collasso;
   è inammissibile che errate scelte politiche di accorpamenti azzardati impediscano ai futuri pensionandi italiani di avere ciò che gli spetta di diritto dopo una vita di sacrifici e di contributi versati –:
   se ed in che termini il Governo si stia adoperando per ripianare il buco ex Inpdap e salvaguardare al contempo la pensione degli italiani. (5-00860)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GNECCHI, BELLANOVA, CINZIA MARIA FONTANA, SIMONI, INCERTI, MAESTRI, BERLINGHIERI, MARIANI, MURER, BOBBA, BARUFFI, PARIS e GIACOBBE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il testo unico delle leggi sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) entrato in vigore nel settembre 1998 ha previsto una generale parità trattamento, quanto al godimento delle prestazioni assistenziali, tra cittadino italiano e straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale; per la precisione l'articolo 41 della legge citata prevedeva testualmente quanto segue: «Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti»;
   il criterio originariamente seguito dal legislatore in tema di prestazioni assistenziali agli stranieri era dunque quello di un'equiparazione di trattamento con il cittadino, temperato dal requisito di una sufficiente stabilità nel rapporto dell'immigrato con il suolo nazionale;
   con la finanziaria per l'anno 2001 (legge n. 388 del 2000) è stato previsto all'articolo 80, comma 19, un forte ridimensionamento del principio di parità di trattamento. La novella ha, infatti, stabilito che «l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione in materia di servizi sociali» sono concesse soltanto agli stranieri titolari dello status di lungo-soggiornanti (acquisibile dopo diversi anni di residenza in Italia);
   la norma citata ha dunque escluso dalle prestazioni monetarie di assistenza la platea dei cittadini stranieri regolari sul territorio italiani, ma titolari soltanto di un permesso di soggiorno «semplice»;
   tale assetto normativo sopravvenuto è stato a più riprese stigmatizzato è giudicato illegittimo dalla Corte costituzionale;
   con un primo gruppo di sentenze (306/2008 e 11/2009) la Corte costituzionale ha censurato l'impostazione irragionevole dell'assetto normativo in subiecta materia; è parso infatti irragionevole alla Consulta subordinare l'accesso di prestazioni sociali destinate ai bisognosi, al possesso e alla titolarità di un titolo di soggiorno (quale quello destinato ai lungo-soggiornanti) per la cui concessione era a sua volta richiesta la disponibilità di redditi congrui e regolari;
   con un secondo gruppo di sentenze è stata poi stabilita ancora più apertamente, anche in armonia con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la perfetta parità di trattamento tra cittadino e straniero titolare di permesso di soggiorno con riguardo a numerose prestazioni assistenziali;
   nello specifico la sentenza 187/2010 ha stabilito la piena parità di trattamento nell'accesso e nel godimento dell'assegno mensile di invalidità previsto dalla legge n. 118 del 1971; la sentenza 329/2011 ha stabilito la parità di trattamento con riguardo all'indennità di frequenza per minori disabili disciplinata dalla legge n. 289 del 1990 e ancora con la sentenza numero 40/2013 la Consulta si è pronunciata, riconoscendo il diritto al pari trattamento, sulla pensione, di invalidità civile di cui alla legge n. 118 del 1971 e sull'indennità di accompagnamento di cui alla legge n. 18 del 1980;
   le pronunce indicate hanno stabilito in modo definitivo la possibilità di accesso alle prestazioni assistenziali degli stranieri titolari di permesso di soggiorno «semplice»;
   ciononostante si ha notizia del fatto che molte sedi dell'INPS (chiamate a registrare le domande, a condurre la relativa istruttoria e a disporre l'accredito delle somme spettanti) continuano a imporre agli stranieri l'esibizione del permesso di soggiorno di lunga durata. Si ha in sostanza una totale vanificazione del dictum della Corte costituzionale;
   come è facile immaginare in moltissimi casi la richiesta del requisito del titolo di soggiorno di lungo periodo ha l'effetto di scoraggiare il richiedente straniero, che rinuncia così a coltivare la propria istanza; spesso neppure l'intervento degli enti di patronato riesce a sortire effetti, se non quello di una maggiore formalizzazione della procedura, mediante l'adozione di provvedimenti espressi di rigetto delle prestazioni richieste, fondati sulla pretesa necessità di esibizione del titolo per lungo-soggiornanti;
   si è inoltre appreso che in caso di instaurazione di giudizi avverso i suddetti provvedimenti di rigetto, le relative controversie trovano regolarmente soluzione ancor prima della celebrazione dell'udienza di trattazione, in virtù di spontaneo adempimento dell'INPS, che rinuncia dunque a far valere le proprie ragioni nelle sede giudiziarie. Si comprende bene, dunque, che l'adozione del provvedimento di diniego della prestazione non ha in tali casi altro scopo che quello di determinare una dilazione nel pagamento o, peggio, di indurre l'istante a rinunciare alla propria richiesta (magari in attesa di poter ottenere dopo qualche anno la titolarità del permesso per soggiornanti di lungo periodo);
   più nello specifico, a titolo esemplificativo di un comportamento diffuso nelle sedi dell'Istituto, si citano solo alcune delle situazioni verificate: l'INPS di Milano rigetta le prestazioni nei casi in cui gli stranieri siano regolarmente presenti in Italia da meno di 5 anni; si rende pertanto necessario il ricorso al comitato provinciale. Questi ricorsi hanno tempi di definizione superiori ai tempi di prescrizione per l'azione legale, necessaria per la tutela del diritto, che avviata, si conclude con esito positivo per i ricorrenti;
   nelle sedi INPS di Padova, come a Oristano, il comitato provinciale respinge tutti i ricorsi, e si rende necessario procedere per vie legali;
   ad Asti è necessario presentare il ricorso al comitato provinciale. L'INPS in un incontro con la prefettura, nel quale è stato sollevato un problema di discriminazione, ha motivato come «problema tecnico» l'indispensabilità del ricorso al comitato provinciale per l'ottenimento del diritto;
   a Varese, Firenze, Bergamo in seguito all'accoglimento del ricorso da parte del comitato provinciale, il direttore della sede INPS, in via cautelativa, sospende il giudizio e rinvia il parere alla direzione generale. Anche in questo caso è necessario attivare la tutela legale chiamando in giudizio l'Istituto per ottenere la concessione della prestazione;
   le anomalie riscontrate e denunciate sono così numerose e distribuite sul territorio da indurre a pensare che non siano da ricondurre ad una estemporaneità quanto ad una precisa volontà dell'Istituto nel condizionare le proprie sedi ad adottare tali procedure;
   si reputa sia necessario e urgente porre riparo alla situazione sopra descritta –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per indurre l'INPS a conformarsi quanto prima e in modo inequivocabile ai ripetuti pronunciamenti della Corte costituzionale in tema di parità di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti, per accedere alle prestazioni di assistenza sociale e se non ritenga opportuno sollecitare l'INPS, affinché dirami disposizioni chiare e vincolanti per tutti gli Uffici periferici, così da evitare storture e comportamenti differenziati.
(5-00855)


   GREGORI, FERRO, MICCOLI e TIDEI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Santa Severa (Roma) è presente il Centro Boggi di riabilitazione, gestito dal Consorzio Ri.rei fino al maggio 2011, per poi essere dato in affitto di ramo d'azienda al Consorzio Unisan che è attualmente il gestore;
   nel 2010 è stata avviata, da parte della Ri.rei, una prima cassa integrazione in deroga che ha riguardato 36 dipendenti, con la firma di un accordo con la regione in base al quale gli operatori che si riqualificavano venivano reintegrati in servizio, cosa che non è mai avvenuta, nonostante l'acquisizione da parte di 5 dipendenti del Centro del titolo di operatori socio-sanitari;
   nel 2012, per ulteriori difficoltà economiche, è stata aperta una nuova procedura di cassa integrazione in deroga per altri 8 dipendenti, quindi, attualmente, risultano in servizio 26 operatori socio sanitari per 51 pazienti residenziali e 30 accessi semiresidenziali o diurni;
   tale situazione ha inoltre avuto gravi ripercussioni sui diritti dei lavoratori. Infatti, a quanto risulta all'interrogante, è dal 2012 che il Consorzio non riconosce il recupero delle festività non godute, rifiuta i giorni previsti per le festività soppresse e garantisce solo 15 giorni di ferie estive, facendo accumulare tra i 30 e i 40 giorni di ferie pregresse ogni anno. Inoltre, spesso, per garantire assistenza adeguata si ricorre a doppi turni. Ciò risulta più grave dalla presenza di un piano ferie fatto partire solo per evitare il blocco della cassa integrazione ma che non porta nessun beneficio perché i giorni fatti sono minori di quelli maturati in un anno;
   secondo quanto riportato dagli operatori, poi, la qualità alberghiera è notevolmente degradata. Basti pensare che prima agli ospiti veniva data acqua minerale in bottiglia sigillata, mentre ora viene erogata acqua del rubinetto presa da fonti interne, comprese i rubinetti dei bagni. Anche il sistema di distribuzione dell'acqua corrente risulta particolarmente precario, mancando spesso l'acqua calda. Analoghe criticità si verificano rispetto al servizio mensa e rispetto all'igiene personale degli ospiti, ma anche in tema di sicurezza dei lavoratori –:
   se il Ministro interrogato intenda o meno verificare la correttezza dell'erogazione della Cassa integrazione in deroga;
   se, in particolare, il mancato reintegro a seguito della riqualificazione professionale del personale, così come stabilito dall'accordo stesso, non costituisca inadempimento e giustifichi la necessità di verificare se altri soggetti, pubblici o privati, possano subentrare all'attuale gestore del centro, garantendo maggiori tutele ai lavoratori e agli ospiti della struttura;
   se s'intendano verificare la gli standard di qualità sanitaria e di igiene, così come stabilito dalla normativa regionale, nazionale e comunitaria, e altresì, se venga rispettata la normativa in tema di sicurezza sui posti di lavoro. (5-00863)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XIII Commissione:


   TERROSI, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FERRARI, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, SANI, TARICCO, TENTORI, VALIANTE, VENITTELLI, ZANIN e VERINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore agroalimentare è uno dei comparti produttivi nazionali più colpiti dalla contraffazione; i produttori stranieri di formaggio, di pomodoro e di pasta sfruttano la cultura gastronomica italiana per produrre alimenti che ricordano i prodotti italiani nella presentazione del contenuto, usando foto stilizzate del Duomo di Milano, del Colosseo e del Vesuvio, nel packaging o nella pubblicità e nomi come «Spicy thai pesto» statunitense; «Parma salami» del Messico; «salami calabrese» prodotto in Canada; «barbera bianco» rumeno; «provolone» del Wisconsin;
   la forma più diffusa di contraffazione del made in Italy è il cosiddetto italian sounding ovvero la pirateria agroalimentare internazionale che utilizza denominazioni, marchi, parole o simboli che richiamano l'Italia per pubblicizzare e commercializzare prodotti che non appartengono alla realtà nazionale;
   a contraddistinguere tali prodotti evocativi di una provenienza italiana non è certo la qualità dei prodotti agroalimentari made in Italy, ma il volume di affari di oltre 60 miliardi di euro che vi ruota intorno, a discapito dell'economia italiana;
   l'8 luglio 2013, sul Corriere dell'Umbria, è stato pubblicato un articolo dal titolo «Clonato» il nome di Parrano per battezzare un formaggio, che racconta l'insolito caso di omonimia tra una località geografica umbra, il comune di Parrano, e il formaggio Parrano, prodotto in Olanda dalla Uniekaas (Paesi Bassi);
   già il 20 maggio 2013, il sindaco del piccolo comune di Parrano di 600 abitanti (Terni), Vittorio Tarparelli, in una lettera indirizzata a diverse autorità indicava come il caso di omonimia fosse del tutto indipendente da un rapporto politico – culturale tra il comune di Parrano e l'azienda produttrice del formaggio olandese;
   è volontà dell'azienda l'esplicito richiamo all'italianità del prodotto, presentato con etichetta tricolore, nome italiano e generica descrizione degli ingredienti senza alcuna specificazione della loro provenienza (articolo 7, n. 1, lettera g) del regolamento (CE n. 207 del 2009);
   infatti, il formaggio olandese, che risulta commercializzato in particolare nel Regno Unito e negli Stati Uniti, viene pubblicizzato con la chiara intenzione di disorientare il consumatore inducendolo all'acquisto di un formaggio che di italiano ha soltanto il nome, violando l'articolo 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità;
   nel sito internet www.parrano.com, interamente dedicato al prodotto, si specifica che il Parrano presenta le caratteristiche e le qualità tipiche di un parmigiano stagionato miscelato al formaggio olandese Gouda. Sebbene prodotto in Olanda, secondo l'azienda, il formaggio Parrano costituisce la personificazione dello stile di vita italiano «Parrano is an unforgettable cheese with a distinctly Italian temperament. It has the alluring nutty flavor and buttery aroma of a fine aged Parmigiano-Reggiano with the smooth creamy texture of a young Dutch Gouda» –:
   se il Governo sia a conoscenza del fatto esposto in premessa relativo al formaggio olandese Parrano spacciato per prodotto italiano e se non ritenga urgente intervenire per mettere fine a tale frode a tutela dei prodotti nazionali e se si stia adoperando affinché la Commissione europea dia efficacia nei tempi più brevi possibili all'estensione ad altri alimenti dell'etichettatura di origine obbligatoria per la quale il Regolamento 1169 del 2011 definisce una procedura per ciascun alimento da concludere entro il mese di dicembre 2014. (5-00864)


   FAENZI e CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia della proposta, avanzata dalla regione Calabria in sintonia con le maggiori associazioni di rappresentanza della categoria dei pescatori, di dare una risposta all'emergenza delle «ferrettare», sistema di pesca utilizzato dalla pesca costiera e finito nel mirino dell'Unione europea;
   un comunicato della regione Calabria fa sapere che l'assessorato regionale alla pesca è in procinto di pubblicare un bando per il finanziamento della riconversione di quelle imbarcazioni dotate dell'attrezzo ferrettara con una dotazione prevista di 3,5 milioni euro;
   un altro bando annunciato ed in corso di pubblicazione, dotato di 1,5 milioni, prevederebbe il finanziamento di piani di gestione locali e di progetti pilota;
   l'attività della giunta regionale calabrese è meritoria, a giudizio dell'odierno interrogante, in quanto ha recepito il reale e concreto grido d'allarme della categoria altrimenti destinata all'abbandono del mestiere di pescatore senza alcun tipo di compensazione;
   la riconversione volontaria rappresenta un'alternativa reale e possibile che mitigherebbe l'impatto economico ed occupazionale di scelte politiche «comunitarie» slegate dalla realtà e con pochi benefìci alla tutela e alla salvaguardia della fauna marina;
   in alternativa e/o in abbinamento alla compensazione economica, un possibile sbocco potrebbe essere rappresentato dal ritiro dell'attrezzo «ferrettara» dietro l'assegnazione di quote tonno rosso, nei limiti delle quote assegnate all'Italia in aumento al precedente contingente sin dall'anno 2013 e seguenti;
   soluzione, questa, a costo zero per l'amministrazione, e risolutiva in materia di diversificazione e riconversione delle attività di pesca, in linea con la sostenibilità dello stock, in quanto ragionevolmente nei limiti del contingente assegnato allo Stato membro dall'ICCAT, risolvendo tra l'altro a monte il problema della pesca illegale e degli sbarchi clandestini di tonno rosso –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (5-00865)


   CAON. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 26 giugno a Bruxelles è stata raggiunta un'intesa politica tra la Commissione europea, il Consiglio dei ministri dell'Unione europea e il Parlamento europeo (cosiddetto «trilogo») in merito alla riforma della politica agricola comune (PAC) «Verso il 2020», la quinta degli ultimi 20 anni;
   la struttura del secondo pilastro della PAC nella sostanza non cambia, spetterà sempre agli Stati membri organizzare le varie misure in programmi di sviluppo rurale nazionali e/o regionali;
   una delle principali misure attivabili con il programma di sviluppo rurale è quella dell'insediamento dei giovani agricoltori. Questa prevede che accanto al premio di primo insediamento (sino a 70 mila euro) nell'ambito del business plan è possibile finanziare anche investimenti, formazione e servizi di consulenza;
   un generale invecchiamento della popolazione agricola, ormai da ritenere a carattere strutturale, e uno scarso ricambio generazionale accompagnano la diminuzione degli addetti all'attività agricola e soprattutto dei giovani imprenditori che, negli ultimi anni, si riducono drasticamente. I fenomeni di esodo e abbandono del settore in vaste aree sono causa di degrado delle aree rurali;
   una tale situazione è espressione delle difficoltà che hanno gli imprenditori più anziani ad uscire e di quelle che incontrano i più giovani imprenditori ad entrare nel mondo dell'agricoltura;
   se non ci saranno aiuti per i giovani non ci si potrà che aspettare una desertificazione delle campagne e un abbandono continuo dell'attività agricola, e verrà sicuramente a mancare una futura generazione di agroimprenditori, più importanti che mai nella gestione del territorio;
   è quanto mai indispensabile promuovere il ricambio generazionale in agricoltura, introducendo anche alcune misure agevolative di accesso al credito a favore dei giovani agricoltori;
   a causa della perdurante crisi economica che sta investendo il nostro Paese, l'interrogante ritiene urgente individuare soluzioni concrete volte a favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, in quanto l'agricoltura può costituire una valida opportunità occupazionale, essendo da sempre un settore strategico per l'economia italiana;
   l'interrogante ritiene che non sia più prorogabile una strategia volta alla rivitalizzazione dell'attività agricola, anche e soprattutto attraverso l'insediamento di nuove generazioni di imprenditori agricoli e la loro permanenza nel settore, assegnando allo spirito imprenditoriale giovanile una funzione centrale per lo sviluppo del settore;
   le misure effettive da cui si potrebbe attingere per dare una mano a questi giovani agricoltori sono considerate uno dei pilastri della nuova PAC;
   i giovani hanno bisogno di credere nei propri sogni e di tornare a credere nel futuro. Sono proprio i giovani agricoltori che hanno dato prova di saper scommettere ancora in questa attività. Dobbiamo però aiutarli e dare loro risposte concrete;
   il Nord Italia, dalla Liguria al Piemonte dalla Lombardia al Veneto, offre un'insieme di regioni più ricche d'Europa grazie anche all'agricoltura della pianura padana, che costituisce uno dei territori agricoli e gastronomici più straordinari del Paese;
   una delle funzioni fondamentali dell'agricoltura è la produzione di beni di qualità. In futuro, l'agricoltura dovrà giocare sempre più, un ruolo fondamentale nella gestione del territorio, e nella predisposizione di sistema di controllo della sicurezza alimentare;
   a parere dell'interrogante sarebbe opportuno definire programmi di attività d'uso delle terre pubbliche nell'ambito di accordi da stipulare con giovani agricoltori, prevedendo che l'accesso dovrebbe avvenire non solamente mediante affitti, ma anche favorendo le acquisizioni di proprietà a condizioni agevolate;
   sarebbe, altresì, opportuno agevolare i giovani agricoltori, anche dal punto di vista fiscale, introducendo un'imposta sostitutiva di quelle sul reddito delle imprese e delle relative addizionali –:
   se non ritenga opportuno prevedere misure agevolative per favorire l'ingresso dei giovani nel mondo dell'agricoltura che permettano, anche, di poter ridurre i costi sostenuti dalle aziende, facilitare l'accesso al credito e l'acquisto dei terreni, considerato che queste soluzioni potrebbero mettere in condizione il comparto agricolo di svecchiarsi sotto tutti i profili e i giovani di continuare un'attività tra le maggiori in Italia. (5-00866)


   GALLINELLA, LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 20 giugno 2013 la Commissione europea ha «messo in mora» il nostro Paese chiedendo il recupero di multe a carico dei produttori di latte, che tra il 1995 e il 2009 hanno superato le quote loro assegnate, per un totale stimato in almeno 1,42 miliardi di euro, in gran parte ancora non riscossi;
   la messa in mora segnala l'avvio di una procedura di infrazione per l'Italia che, in caso di condanna, rischia una sanzione forfettaria minima di circa 8.854.000 euro, cui può aggiungersi una penalità di mora pari ad un minimo di circa 10.700 ed un massimo di circa 650.000 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della sentenza, a seconda della gravità dell'infrazione;
   il 17 luglio 2013, la Commissione europea ha dichiarato incompatibile con il mercato interno l'aiuto, sotto forma di pagamento differito, che l'Italia ha accordato ai produttori di latte – debitori verso lo Stato – per l'importo del prelievo sul latte che l'Italia ha versato all'Unione europea a loro nome nell'ambito di un aiuto approvato dalla decisione del Consiglio europeo 2003/530/CE;
   l'articolo 1 di detta decisione prevede che l'aiuto che la Repubblica italiana intende concedere ai produttori di latte – sostituendosi a questi nel pagamento degli importi (multe) dovuti alla Comunità a titolo di prelievo supplementare sul latte e sui prodotti lattiero caseari per il periodo 1995-1996 al 2001-2002 e consentendo agli stessi produttori di estinguere il loro debito mediante pagamenti differiti effettuati su vari anni senza interessi – è eccezionalmente considerato compatibile con il mercato comune a condizione che l'importo sia interamente rimborsato mediante rate annuali di uguale ammontare e che il periodo di rimborso non superi i quattordici anni a decorrere dal 1 gennaio 2004;
   la legge 26 febbraio 2011, n. 10 concede ai produttori di latte una proroga semestrale per il versamento di una delle rate. Secondo la Commissione europea, i produttori che si sono avvalsi di questa proroga hanno beneficiato di un aiuto equivalente a un prestito senza interessi che nessuna norma in materia di concorrenza permette di giustificare;
   secondo quanto dichiarato dalla Commissione europea il 17 luglio, l'Italia dovrà recuperare gli aiuti incompatibili maggiorati degli interessi dovuti, tuttavia, nella fase di recupero, gli aiuti conformi alle disposizioni del regolamento agricolo de minimis non saranno considerati come aiuti di Stato e non saranno pertanto recuperati;
   Guido Tampieri, direttore dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) attraverso la quale vengono distribuiti i fondi che l'UE destina all'agricoltura italiana e che gestisce, di fatto, l'intera partita delle quote latte in Italia, ha rassegnato le dimissioni alla fine di giugno 2013 segnalando «condizioni rese precarie da colpevoli trascuratezze e da pregiudizievoli attenzioni»;
   il Ministro De Girolamo ha annunciato l'imminente commissariamento dell'Agenzia –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti espressi in premessa, come intenda rispondere ai rilievi fatti dalla Commissione europea al fine di scongiurare l'avvio di un ulteriore contenzioso con l'Unione europea e quali azioni urgenti intenda intraprendere per risolvere definitivamente l'annosa vicenda delle «quote latte» anche in considerazione dell'imminente cessazione del sistema di contingentamento produttivo prevista per il 2015. (5-00867)


   PALAZZOTTO, MARCON e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012 (cosiddetta spending review) convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, all'articolo 12 si è disposto il trasferimento dell'Istituto nazionale ricerca alimentazione e nutrizione (INRAN) cui erano già stati trasferiti compiti, strutture e personale dell'Ente nazionale sementi elette (ENSE), al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   detto trasferimento di compiti e funzioni, strutture e personale, dell'INRAN al CRA è avvenuto, a norma delle disposizioni citate, a far data dal decreto interministeriale del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione ed il Ministro dell'economia e delle finanze, che è stato emanato in data 18 marzo 2013;
   il suddetto decreto interministeriale si è limitato a trasferire dall'INRAN al CRA personale, beni mobili e immobili e le risorse finanziarie come desunte da bilancio di chiusura al 7 luglio 2012, impegnando il CRA, a subentrare in tutti i rapporti attivi e passivi dell'ex INRAN e, tra gli altri, a far fronte «alle eventuali situazioni debitorie che dovessero riscontrarsi»;
   la situazione debitoria dell'INRAN, alla data di emanazione del decreto interministeriale, era tutt'altro che «eventuale» essendo stata puntualmente riportata dal Ministero dell'economia e delle finanze a seguito di una verifica amministrativo-contabile effettuata da un dirigente dei servizi ispettivi di finanza pubblica, trasmessa al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, oltre che alla procura regionale della Corte dei conti per il Lazio, in data 15 novembre 2012;
   la verifica ispettivo contabile disposta dal Ministero dell'economia e delle finanze evidenziava serie sofferenze gestionali ed in particolare nella situazione dei residui, che avevano reso necessarie operazioni di anticipazione di cassa (euro 23.612.943,58 alla data della verifica, con consistente aggravio di spesa per interessi) che, a detta dell'ispettore inquirente, «opprimono il bilancio», presentando la necessità di iniziative urgenti a fronte del concreto rischio di «non poter far fronte, nel prossimo futuro, alle proprie obbligazioni»;
   il trasferimento dei compiti dell'ex ENSE e dell'ex INRAN al CRA, che lo spirito della norma intendeva praticare con la finalità di garantire una più efficace azione amministrativa, migliorando l'erogazione dei servizi agli utenti ed ottenendo, a regime, la riduzione della relativa spesa, si è tradotta secondo l'interrogante in una semplice operazione contabile che trasferisce tout court la situazione debitoria di un ente nel contesto della gestione economico-finanziaria, sostanzialmente in equilibrio, propria di un altro ente. Il risultato di tale operazione è innegabilmente il deterioramento del servizio di tre enti nazionali di importante rilievo, tra cui il più grande ente di ricerca in agricoltura (il CRA);
   tale situazione, presentata anche alle organizzazioni sindacali dai vertici del CRA, mette a serio rischio l'erogazione della retribuzione al personale già nel breve periodo, oltre ad inficiare strutturalmente la missione istituzionale degli enti in parola –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e delle circostanze esposte;
   quali iniziative intendano intraprendere al riguardo, onde garantire sia la continuità nell'erogazione dei servizi cui l'ente in questione è preposto, sia la tutela dei lavoratori ivi impiegati. (5-00868)


   ZACCAGNINI e SCHULLIAN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea 2009/128/CE ha istituito un quadro per gli interventi comunitari sull'utilizzo dei pesticidi, prevedendo che entro il 14 dicembre 2012 tutti gli Stati membri avrebbero dovuto trasmettere alla Commissione un proprio PAN, piano d'azione nazionale sull'uso sostenibile dei pesticidi;
   la direttiva europea è stata recepita in Italia con il decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, che, all'articolo 6, prevede che «è adottato, entro il 26 novembre 2012, il Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari»;
   il PAN è uno strumento fondamentale per definire gli obiettivi quantitativi, le misure e i tempi di ciascuno Stato membro al fine di ridurre i rischi e gli impatti dell'utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente, e anche al fine di incoraggiare lo sviluppo e l'introduzione della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi per ridurre la dipendenza dall'uso di pesticidi, per questo dovrebbe essere considerato una priorità;
   allo stato attuale, risulta sia stata completata una bozza di piano d'azione predisposta dai Ministeri competenti. Tale bozza, nel dicembre 2012, è stata destinata alla consultazione pubblica – prevedendo il termine per la presentazione delle osservazioni al 15 gennaio 2013 – al fine di rendere partecipi enti o associazioni interessate per l'elaborazione di osservazioni o altre proposte di integrazione;
   16 organizzazioni ambientaliste – tra le quali Unapi, Upbio, Federbio, FAI, Slow Food Italia, Lipu – si sono concentrate in particolare su sette azioni prioritarie per rafforzare il PAN italiano: definire gli obiettivi del piano in modo concreto e misurabile; rafforzare il riferimento all'agricoltura biologica e definire una road map che permetta l'incentivazione del metodo biologico, ridurre i rischi concernenti l'uso dei pesticidi a qualsiasi livello; affrontare in maniera decisa il legame tra pesticidi e OGM, promuovere ricerca e formazione in questo contesto e infine, sostituire il termine «prodotti fitosanitari» con quello più corretto – e tra l'altro esplicitato dalla direttiva europea – di «pesticidi»;
   dei 27 Stati membri, 19 hanno già presentato il proprio PAN; all'appello, oltre l'Italia, mancano ancora Belgio, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Polonia, Portogallo e Svezia;
   i pesticidi sono tra le principali cause di inquinamento delle falde acquifere italiane, compromettendo sia la purezza delle acque superficiali che sotterranee e, di conseguenza, la vita degli organismi acquatici. Inoltre, l'uso indiscriminato dei pesticidi in Italia sta mettendo a rischio la vita delle api che impollinano il 50 per cento dei fiori, garantendo così la riproduzione della metà delle piante presenti sul pianeta –:
   in base a quanto esposto in premessa, a che punto sia l'esame delle osservazioni presentate e quali siano, quindi, i tempi per una revisione e predisposizione definitiva del piano d'azione nazionale da trasmettere alla Commissione europea. (5-00869)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a quanto consta all'interrogante alla ASL di Pescara non viene garantito il diritto ai LEA nel servizio di risonanza magnetica;
   infatti ad utenti affetti da gravi patologie che devono sottoporsi ad esame di risonanza magnetica vengono fissati gli esami a distanza di 8 mesi con una grave compromissione del proprio stato di salute;
   ciò costringe nei casi più disperati gli utenti a ricoverarsi per eseguire questo esame con un notevole aggravio della spesa sanitaria;
   il decreto del Ministro della salute 17 giugno 2006 stabilisce che afferiscono al Sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria (SIVEAS) le potestà di verifica presso le aziende sanitarie locali dell'effettiva erogazione dei livelli essenziali di assistenza, compresa la verifica dei relativi tempi di attesa, ai sensi dell'articolo 1, comma 172, della legge n. 311 del 2004 –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere per monitorare l'erogazione di questo servizio essenziale di assistenza presso le strutture sanitarie e pubbliche e, in particolare, presso la ASL di Pescara. (4-01593)


   BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella delibera n. 808 del 15 luglio 2013 della Asl RM-B, sarebbe previsto l'accorpamento di n. 5 presidi sanitari situati rispettivamente in via Giuturna 18 (Torre Angela), via Aldo Capitini (Ponte di Nona), viale Bruno Rizzieri 226 (ex Municipio X), via delle Canapiglie 100 (Torre Maura) e piazza Erasmo Piaggio, 35 (Villaggio Breda) accentrandoli tutti in Via Casilina 1665 (Grotte Geloni) nell'immobile proposto dalla società Lupi arl in risposta al bando di ricerca di immobili (unica offerta) come da deliberazione n. 89 del 23 gennaio 2013 dell'ASL RMB;
   verrebbe rilasciato il presidio sanitario di via Aldo Capitini (zona Ponte di Nona) situato in una zona in forte espansione demografica e che pertanto richiederebbe non la chiusura ma il potenziamento di detto presidio (nessuna offerta è giunta per la ricerca di un immobile nella zona di Ponte di Nona);
   verrebbe rilasciato il presidio sanitario di via Bruno Rizzieri ricadente nell'ex municipio X con conseguente riduzione del servizio in quel municipio;
   tra i centri che dovrebbero essere trasferiti vi è il presidio di via Giuturna che è un C.S.M. – CENTRO DIURNO il quale dovrebbe condividere spazi attigui con il materno infantile, contemperando le diverse esigenze dei fruitori dei due servizi;
   dal contratto di locazione di immobile strumentale con esercizio dell'opzione per l'assoggettamento all'IVA, si rileverebbe che il canone di locazione relativo ai nuovi locali risulterebbe pari a 130.260,00 euro (oltre IVA) per un totale di 157.614,60 euro, a fronte di canoni attualmente corrisposti pari a 119.615,85;
   i 5 presidi attuali occupano una superficie di 1379.87 metri quadrati lordi contro gli 835,00 metri quadrati lordi della nuova sede;
   tale accorpamento per quanto sopra esposto comporterebbe un peggioramento della qualità dei servizi ai cittadini che si troverebbero costretti a spostamenti più difficoltosi e ciò potrebbe comportare un aggravamento dei costi a carico dell'amministrazione per il trasporto dei disabili e nessun risparmio economico anche nell'ottica della «spending review»;
   non si comprende quale sia stato il principio del buon andamento della pubblica amministrazione – cardine della vita amministrativa e condizione dello svolgimento ordinato della vita sociale, come indicato dalla giurisprudenza costituzionale sin dalla sentenza n. 123 del 1968 – seguito, nell'accorpamento dei 5 presidi della ASL RM-B;
   non sembra all'interrogante che con la delibera n. 808 del 15 luglio 2013 siano stati adeguatamente applicati i criteri di economicità, efficienza ed imparzialità, tenuto conto che con il nuovo contratto che accentra 5 presidi sanitari in zone molto popolate, si spende una cifra pari a 157.614,60 euro al posto dei circa 120 mila euro annui dei canoni di locazione attualmente spesi;
   non si conoscono pertanto i motivi alla base dell'accorpamento di cinque presidi sanitari visto che il costo del canone di locazione è maggiore rispetto ai cinque canoni di locazione finora pagati –:
   se non intenda attivarsi nei confronti del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del deficit sanitario affinché si provveda a valutare i presupposti di congruità di tale decisione in relazione agli obiettivi del piano di rientro;
   come possano essere mantenuti livelli di servizi essenziali per i cittadini a fronte di un accorpamento che oltre a costare di più in termini di canoni di locazione impone la chiusura di presidi sanitari locali e di prossimità in zone densamente popolate. (4-01611)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   La direzione della Italcementi ha comunicato alle organizzazioni sindacali la sua decisione di voler chiudere entro il 2013 lo stabilimento di Scafa in provincia di Pescara e di ricorrere alla cassa integrazione straordinaria, decidendo unilateralmente di non rinnovare la concessione demaniale-mineraria;
   tale scelta significa l'azzeramento di 130 posti di lavoro diretti e indiretti e la fine di una storia industriale che ha caratterizzato dal secolo scorso l'intera Val Pescara che d'un colpo si ritrova senza il polo chimico di Bussi e senza quello minerario di Scafa;
   tale scelta contraddice gli impegni sottoscritti ripetutamente con le organizzazioni sindacali per un piano di ristrutturazione industriale di rilancio produttivo e occupazionale;
   le rappresentanze sindacali unitarie e i sindacati hanno proclamato un'ampia mobilitazione con l'adesione degli enti locali pescaresi e abruzzesi –:
   se non intendano convocare la proprietà e i sindacati per cercare una soluzione industriale condivisa e non traumatica dal punto di vista sociale e occupazionale. (3-00259)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BELLANOVA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa riportano la notizia secondo la quale cinque postine avrebbero fatto ricorso alle cure dei medici di pronto soccorso per una intossicazione da esalazioni di solventi acrilici. Queste lavoratrici operano presso il centro postale operativo in via Lequile a Lecce, che conta circa duecento dipendenti e soggetto da tempo a lavori «per l'adeguamento alla nuova collocazione logistica degli uffici della filiale». Da quanto si apprende i medici del pronto soccorso di Lecce hanno raccomandato alle cinque lavoratrici l'allontanamento dal posto di lavoro fino a che persisteranno queste condizioni di rischio della salute e della sicurezza;
   nella stessa mattinata, si legge, prima dell'ingresso dei dipendenti, erano stati pitturati i pavimenti e le esalazioni della vernice hanno causato i malori, come certificato dai medici. Qualche settimana addietro nello stesso centro postale operativo, al primo piano, un pannello della controsoffittatura si era staccato precipitando a pochi centimetri da una dipendente, forse a causa delle vibrazioni provocate dai martelli pneumatici;
   da quanto si apprende il cantiere nel centro postale operativo è stato aperto a seguito della vendita dello stabile che ospita Poste Italiane in viale Cavallotti a Lecce, destinando nella sede di piazza Libertini a Lecce solo gli sportelli. Per poter accogliere circa 70 unità, la struttura del centro postale operativo di via Lequile aveva necessità di modifiche strutturali ed il trasferimento degli uffici siti in via Cavallotti, a quanto pare, dovrà essere concluso tassativamente entro il 31 dicembre, pena il pagamento di una penale per mancato sgombero;
   per evitare disagi ai lavoratori, le organizzazioni sindacali avevano avanzato una proposta in merito, vale a dire spostare almeno l'ufficio che si occupa della consegna delle raccomandate all'interno di un container. Sembrerebbe che Poste Italiane a questa proposta abbia risposto negativamente per una questione di costi elevati. A seguito dell'accaduto si legge che l'azienda sceglierà di non spostare le lavorazioni in altro sito, le organizzazioni sindacali valuteranno l'opportunità di presentare un esposto alla procura della Repubblica –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto sopra esposto, non ritenga necessario intervenire con urgenza per esortare l'azienda Poste Italiane a trovare una rapida soluzione per il centro postale operativo di Lecce che ponga come priorità primaria la tutela della salute dei lavoratori. (5-00851)


   SIMONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Mape-Tecnol, leader nella produzione completa di cilindri e trattamenti termici inclusi, soffre da tempo la crisi che ha investito il settore, inasprita soprattutto da scelte aziendali sbagliate che hanno altresì causato una significativa mancanza di liquidità;
   i 90 dipendenti della sede di Barberino di Mugello, in contratto di solidarietà, non ricevono lo stipendio da oltre due mesi e da quasi un anno l'azienda non versa i contributi previdenziali sul fondo comune del settore metalmeccanico (contributi «Cometa»);
   data la gravità della situazione, le organizzazioni sindacali e gli enti locali hanno più volte sollecitato l'azienda a fornire chiarimenti sul rilancio dell'attività e sul futuro dei dipendenti, convocando incontri ai quali l'azienda non ha partecipato;
   negli ultimi quattro anni l'Azienda ha potuto avvalersi di tutti gli ammortizzatori sociali, dalla cassa integrazione ordinaria a quella in deroga, mediante l'erogazione di risorse effettuata sulla base di accordi sottoscritti dalla stessa per il rilancio dell'attività e sulla base della presentazione di un piano industriale;
   ad oggi, però, l'azienda, oltre a non aver fornito i chiarimenti richiesti e ad aver disertato ogni richiesta d'incontro, non ha provveduto a presentare il piano industriale annunciato;
   il mancato pagamento degli stipendi e dei contributi previdenziali, nonché il grave atteggiamento assunto dall'azienda di non presentarsi ai tavoli promossi dagli enti locali, hanno spinto i lavoratori a proseguire con lo stato di agitazione mediante uno sciopero ad oltranza e ad un presidio permanente davanti allo stabilimento;
   a fronte della forte mancanza di liquidità del gruppo, causa di morosità dell'azienda verso tutti i fornitori e i dipendenti, e della mancata presentazione di un piano industriale le organizzazioni sindacali e gli enti locali hanno richiesto che venga urgentemente attivato un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico per valutare tutte le soluzioni percorribili per il rilancio dell'attività e la salvaguardia dei livelli occupazionali, coinvolgendo anche le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Abruzzo, dove il Gruppo Mape è presente –:
   data la gravità della situazione sopraesposta, se e quali urgenti iniziative intenda attivare per istituire un tavolo di crisi al fine di valutare tutte le soluzioni percorribili per il rilancio dell'attività e la salvaguardia dei livelli occupazionali, con il coinvolgimento delle regioni in cui il gruppo Mape è presente;
   quali iniziative, di sua competenza, intenda attivare al fine di sollecitare l'azienda di Barberino di Mugello a presentare il piano industriale per il rilancio dell'attività, sulla base del quale la stessa ha usufruito in questi anni degli ammortizzatori sociali. (5-00861)

Interrogazione a risposta scritta:


   FERRARA e AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1o agosto 2013, l'amministratore delegato di Finmeccanica, Alessandro Pansa, riguardo ad Ansaldo Breda, ha avanzato l'ipotesi della creazione di una bad company per le attività legate al trasporto regionale e i tram;
   nel corso di un solo anno, sul futuro di Ansaldo Breda, sono state prospettate da parte dei vertici di Finmeccanica le più svariate soluzioni: dalla vendita totale, alla ricerca di una partnership industriale, alla chiusura di alcuni stabilimenti;
   ad avviso degli interroganti, l'unica cosa che emerge con chiarezza è la troppa semplicità con cui si ritiene che il vero problema di Finmeccanica sia rappresentato da Ansaldo Breda, senza considerare le opportunità di mercato che proprio il trasporto regionale e le reti tranviarie possono avere nel mondo;
   il piano annunciato da Pansa durante la presentazione dei risultati semestrali agli analisti prevede, in sostanza, di dividere in due Ansaldo Breda per far confluire in una bad company tutti i contratti da lui definiti «più complicati» per lasciare nella «nuova entità» le attività legate all'alta velocità ferroviaria e al trasporto metropolitano. In sintesi, ad avviso degli interroganti l'unica iniziativa straordinaria che l'amministratore delegato di Finmeccanica riesce a mettere in campo per risolvere le inefficienze strutturali e congiunturali dell'azienda sarebbe quella dello spacchettamento con la conseguente volontà del management di disfarsi di un settore strategico per il nostro Paese, salvaguardandone soltanto una minima parte definita «buona»;
   sarebbe auspicabile che il Governo non favorisca la strada tracciata dall'attuale amministratore delegato di Finmeccanica, Alessandro Pansa che vorrebbe concentrare l'attività di Finmeccanica sui settori dell'aerospazio e difesa, quando invece occorrerebbe un intervento deciso per rilanciare tutto il settore civile del gruppo Finmeccanica, da AnsaldoBreda a Ansaldo STS, a Ansaldo Energia, a BredaMenarini, che rappresentano una ricchezza professionale, occupazionale e industriale per il nostro Paese, investendo quindi su processi e prodotti e rilanciando la progettazione;
   il Governo, dunque, dovrebbe bloccare immediatamente qualsiasi processo di depotenziamento e alienazione della tecnologia che si otterrebbe attraverso la cessione degli asset civili o la creazione di bad company;
   concentrare l'attività di Finmeccanica nel solo settore militare e della difesa, provocherebbe, ad avviso degli interroganti, una forte penalizzazione per l'intero gruppo Finmeccanica ed il Paese rimarrebbe privo di un patrimonio industriale strategico di primaria importanza;
   per rilanciare Finmeccanica è necessario che il settore civile torni ad essere un punto di riferimento strategico per il gruppo e per il Paese;
   vi è ad esempio la necessità che il Governo metta in atto politiche industriali volte a ricomporre la filiera del settore ferroviario e, AnsaldoBreda nella costruzione dei treni, Ansaldo STS nel segnalamento e sistemi, Ansaldo Energia nella produzione di energia, turbine a gas e a vapore, generatori e centrali elettriche complete e BredaMenarini nella produzione di autobus, sono aziende di eccellenza, rappresentando nel mercato mondiale un settore in netta crescita e produttivo di utili;
   esattamente un mese fa il Governo, nel rispondere ad una interpellanza urgente presentata dal Gruppo Sinistra Ecologia e Libertà, (n. 2-00125) ha sottolineato: a) che l'amministratore delegato nei mesi scorsi ha fatto un lavoro molto importante di riorganizzazione dell'azienda stessa nel suo insieme; b) che il presidente nominato, Gianni De Gennaro, è persona di altissima qualità ed esperienza; c) che la nomina dell'ambasciatore Minuto Rizzo risponde esattamente ai criteri necessari a Finmeccanica; d) che il Governo stava seguendo con grande attenzione il processo di riorganizzazione del gruppo, nonché la focalizzazione degli investimenti del stesso Gruppo su alcuni settori strategici tra cui anche quello civile;
   il Governo, peraltro, ha auspicato che qualsiasi decisione riguardante il perimetro di azione di Finmeccanica avvenga salvaguardando il radicamento direzionale e produttivo delle società controllate nel nostro Paese, e puntando soprattutto a salvaguardare la presenza territoriale degli impianti, le competenze, i livelli occupazionali, il know-how;
   purtroppo, i dubbi degli interroganti di allora sono addirittura aumentati, perché se le uniche soluzioni proposte dal nuovo vertice sono solo legate a politiche di dismissione e «spacchettamenti», il tema di capire chi faccia la politica industriale in quel gruppo rimane e nel nuovo assetto continua a non essercene traccia;
   vero è che ci sarebbe bisogno di una riorganizzazione profonda, a partire da Ansaldo Breda, ma il processo di riorganizzazione dovrebbe avvenire dentro una logica di mantenimento, di difesa e di sviluppo di queste aziende e, soprattutto, dentro il perimetro di Finmeccanica;
   peraltro, dalle parole dello stesso Pansa emerge come sia sempre più evidente il fatto di voler utilizzare la Ansaldo Sistemi e Segnalamento per liberarsi di Ansaldo Breda. Infatti, un'altra ipotesi avanzata è quella di mettere sui mercato anche Ansaldo STS, sperando che, chi è interessato a quell'azienda, possa acquistare anche Ansaldo Breda, operazione che, ad avviso degli interroganti, sarebbe sicuramente sbagliata –:
   quali azioni urgenti il Governo intenda assumere, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, affinché Finmeccanica stessa modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti e anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile, fermando qualsiasi ipotesi di cessione degli asset civili o di creazione di bad company, a partire da AnsaldoBreda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarini, così da garantire che le scelte della società vadano nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti che rappresentano un'importantissima risorsa strategica per il Paese e se il governo non intenda convocare immediatamente un tavolo di confronto per esaminare sin da subito la situazione del gruppo Finmeccanica e discutere sul futuro di AnsaldoBreda. (4-01605)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Giancarlo Giordano e altri n. 1-00119, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dell'Orco.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00162, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 agosto 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ginoble.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in commissione Zaccagnini n. 5-00291 dell'11 giugno 2013;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini n. 4-00822 del 12 giugno 2013;
   interrogazione a risposta scritta Placido n. 4-01275 del 16 luglio 2013;
   interrogazione a risposta in commissione Fedriga n. 5-00640 del 17 luglio 2013;
   interrogazione a risposta in commissione Terrosi n. 5-00693 del 19 luglio 2013;
   interrogazione a risposta scritta Marcon n. 4-01474 del 29 luglio 2013;
   interpellanza Mazziotti Di Celso n. 2-00169 del 30 luglio 2013;
   interrogazione a risposta in commissione Santerini n. 5-00827 del 2 agosto 2013;
    interrogazione a risposta scritta Catanoso n. 4-01574 del 5 agosto 2013.