Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 31 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 29 giugno 2013, L 181, è stato pubblicato il Regolamento (UE) n. 609/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo agli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, agli alimenti a fini medici speciali e ai sostituti dell'intera razione alimentare giornaliera per il controllo del peso e che abroga la direttiva 92/52/CEE del Consiglio, le direttive 96/8/CE, 1999/21/CE, 2006/125/CE e 2006/141/CE della Commissione, la direttiva 2009/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e i regolamenti (CE) n. 41/2009 e (CE) n. 953/2009 della Commissione. Tale Regolamento sarà efficace a decorrere dal 20 luglio 2016;
    l'applicazione di questa norma si inserisce in un dibattito che riguarda il futuro della legislazione inerente all'etichettatura alimentare ed in tal senso, in particolare, a norma dell'articolo 20, paragrafo 2 del Regolamento in questione, a decorrere dal 20 luglio 2016, verrà abrogato il regolamento (CE) n. 41/2009 riguardante la composizione e l'etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine;
    abolendo il regolamento (CE) n. 41/2009 per ragioni di semplificazione, la Commissione europea ha ritenuto sufficiente includere i prodotti senza glutine e con contenuto di glutine molto basso nella disciplina più generale del regolamento (CE) n. 1924/2006; in questo modo, però, la Commissione europea non tiene conto che il regolamento (CE) n. 41/2009 costituisce una normativa specifica, adottata sulla base della direttiva n. 89/398/CEE, e riguarda prodotti alimentari destinati a forme di alimentazione particolare, indispensabili per persone affette da determinate patologie;
    nella versione pubblicata del regolamento (UE) n. 609/2013, dal prossimo 21 luglio 2016, scomparirà dalle etichette dei prodotti alimentari la definizione di «prodotto dietetico» e si considererà la dicitura «senza glutine» come una indicazione generica, facendo venir meno una serie di controlli di qualità;
    nel nostro Stato, ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 111, recante «Attuazione della direttiva n. 89/398/CEE concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare», i prodotti senza glutine sono riportati in uno specifico registro nazionale di prodotti dietetici senza glutine e in applicazione della legge 4 luglio 2005, n. 123, recante «Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia», essi sono erogati gratuitamente in quanto posti a carico del Servizio sanitario nazionale;
    durante l’iter di approvazione del nuovo regolamento europeo, nel corso del Consiglio dei ministri della salute dell'Unione europea svoltosi il 2 dicembre 2011, il nostro Ministro della salute aveva tenuto a precisare che sia il Governo sia il Parlamento italiano non erano d'accordo circa l'esclusione dall'ambito di applicazione del regolamento in questione dei prodotti dietetici senza glutine, che sarebbero stati declassati ad alimenti di uso corrente, con la possibilità di riportare in etichetta l'indicazione «senza glutine» come una semplice informazione accessoria e volontaria;
    nella medesima sede comunitaria, il nostro Ministro della salute precisò inoltre che i celiaci rappresentano un gruppo di soggetti nutrizionalmente molto vulnerabili per l'assoluta esigenza di escludere il glutine dalla dieta per tutta la vita, il che impone la disponibilità di un'ampia gamma di prodotti dietetici sostitutivi degli alimenti con glutine, adeguati al piano e alle necessità organolettiche e nutrizionali attualmente erogati in Italia a carico del Servizio sanitario nazionale;
    in effetti, gli alimenti destinati a regimi dietetici speciali e quelli rivolti a lattanti e bambini con meno di 36 mesi sono stati sottoposti a una rigorosa disciplina europea a partire dal 1977; si tratta di regole consolidate in 35 anni di applicazione a tutela delle categorie più vulnerabili di consumatori;
    va ad ogni modo fatto presente che nella versione pubblicata del Regolamento (UE) n. 609/2013, seppure è stata confermata l'abrogazione del Regolamento 41/2009, vi sarà tuttavia il trasferimento delle indicazioni contenute nello stesso Regolamento 41/2009 all'interno del FIC (Regolamento «Food lnformation to Consumers», Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori);
    come ha fatto rilevare l'Associazione italiana celiachia, anche se gli intenti espressi nelle premesse del nuovo Regolamento sono quelli di mantenere le stesse condizioni garantite dal Regolamento 41/2009 e una corretta informazione al consumatore, in particolare sulla differenza tra alimenti di consumo corrente, «per tutti», senza glutine, e gli alimenti appositamente formulati per i celiaci, le garanzie per i celiaci di un corretto trasferimento restano comunque vaghe;
    la celiachia è una intolleranza permanente al glutine ed è riconosciuta come malattia sociale, che richiede, come unica forma di terapia specifica, l'eliminazione totale del glutine dalla dieta di chi ne è affetto. Tale malattia consiste in un'intolleranza permanente alla gliadina, componente del glutine, che costituisce un insieme di proteine molto diffuso, contenuto nel frumento, nell'orzo, nella segale, nel farro, nel kamut e in altri cereali minori. Pertanto, tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione devono essere considerati tossici per i pazienti affetti da questa malattia;
    per poter avere dei prodotti idonei al consumo dei celiaci è necessario che le aziende produttrici applichino un corretto piano di controllo delle materie prime e del prodotto finito; inoltre occorre monitorare costantemente il processo produttivo, gli ambienti di lavoro, le attrezzature, gli impianti e gli operatori ed il rischio di contaminazione accidentale da glutine è spesso presente nei processi di lavorazione dell'industria alimentare;
    secondo i dati riportati nella Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia, anno 2010 del Ministero della salute, in Italia, la prevalenza della celiachia, sia nei bambini che negli adulti, è attualmente stimata intorno all'1-1,5 per cento, per cui ne risulta affetta una persona su cento; i celiaci italiani, potenzialmente, sarebbero circa 600 mila, ma ne risultano diagnosticati solo 60 mila. Ogni anno vengono effettuate 5 mila nuove diagnosi ed ogni anno nascono 2.800 nuovi celiaci, con un incremento annuo del 9 per cento,

impegna il Governo:

   a promuovere, in sede comunitaria e nell'ambito delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie a tutelare una categoria di cittadini vulnerabili, come i celiaci, dai rischi alla salute connessi all'abrogazione del regolamento (CE) n. 41/2009, secondo quanto previsto dall'articolo 20, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 609/2013;
   ad attivarsi tramite gli opportuni strumenti di partecipazione, di controllo e di vigilanza in ordine all'attuazione della normativa comunitaria, affinché sia concretamente effettuato il trasferimento delle indicazioni del Regolamento (CE) n. 41/2009 all'interno del Regolamento (UE) n. 1169/2011 (Regolamento FIC), al fine di garantire il mantenimento delle tutele riconosciute sino ad oggi sui prodotti dietetici per celiaci.
(1-00158) «Mongiello, Albanella, Antezza, Biondelli, Michele Bordo, Capone, Carrescia, D'Incecco, Dal Moro, De Menech, Marco Di Maio, Lacquaniti, Lodolini, Magorno, Manzi, Oliverio, Pastorelli, Piccione, Rubinato, Marguerettaz, Vezzali, Zardini».


   La Camera,
   premesso che:
    la celiachia, che l'articolo 1 della legge n. 123 del 2005 riconosce come «malattia sociale», è una malattia autoimmune che si manifesta nei soggetti geneticamente predisposti a seguito dell'ingestione del glutine, componente proteica presente in alcuni cereali quali grano, farro, segale ed orzo;
    si stima che risulti affetto da tale patologia un individuo ogni 100/150 e di questi pazienti, solo una parte è consapevole della malattia. Infatti, vi sono in Italia poco più di 135.000 celiaci noti (dati della frazione annuale al Parlamento sulla celiachia 2011 – ex articolo 6 legge 4 luglio 2005, n. 123), contro un numero reale valutato in circa 500.000. Negli ultimi anni, lo sviluppo delle conoscenze, la maggiore consapevolezza da parte degli operatori sanitari e la disponibilità di adeguati test sierologici, hanno permesso di individuare soggetti celiaci che altrimenti sarebbero rimasti non diagnosticati;
    attualmente l'unica terapia disponibile per i soggetti affetti da celiachia è la totale e permanente esclusione dalla dieta degli alimenti contenenti glutine. Questa terapia, insieme ad una diagnosi precoce, non solo permette la scomparsa dei sintomi e delle malattie associate, ma previene lo sviluppo delle complicanze neoplastiche ed autoimmuni, che la continua e prolungata esposizione al glutine provoca nei soggetti celiaci;
    la completa esclusione del glutine dalla dieta, tuttavia, non è di facile realizzazione, in quanto i cereali non permessi ai celiaci si ritrovano in moltissimi prodotti alimentari ed il rischio di contaminazione è elevato. La produzione di alimenti idonei al consumo dei celiaci necessita, infatti, di un corretto piano di controllo delle materie prime e del prodotto finito; inoltre, le aziende produttrici devono monitorare costantemente le fasi del processo produttivo, gli ambienti di lavoro, le attrezzature, gli impianti e gli operatori al fine di eliminare il rischio di contaminazione accidentale;
    la normativa italiana prevede attualmente che i prodotti senza glutine siano elencati nel registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine (ai sensi del decreto legislativo n. 111 del 1992 «Attuazione della direttiva n. 89/398/CEE concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare») e sono erogati gratuitamente a carico del servizio sanitario nazionale in forza della legge n. 123 del 2005;
    il 12 giugno scorso 2013, il Parlamento europeo ha definitivamente approvato il Regolamento proposto dalla Commissione (Regolamento (UE) n. 609 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 29 giugno 2013, legge n. 181), riguardante gli alimenti destinati ai lattanti, ai bambini, ai cosiddetti «alimenti destinati a fini medici speciali» e ai sostituti dell'intera razione alimentare giornaliera per il controllo del peso. Con tale Regolamento le autorità europee hanno puntato a semplificare la materia con la cancellazione delle norme riguardanti i prodotti cosiddetti «dietetici», rivolgendo il proprio campo di applicazione ai prodotti giudicati «essenziali» per categorie «vulnerabili» della popolazione per tutelarne adeguatamente la salute;
    nel corso del dibattito, che ha impegnato per venti mesi il Parlamento europeo, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione, coinvolgendo varie istituzioni e organizzazioni sociali interessate tra cui l'Associazione italiana celiachia (AIC), grande spazio è stato dedicato alla scelta di includere o meno gli alimenti senza glutine (oggi compresi tra i «dietetici») in questo nuovo Regolamento;
   al termine del confronto il testo finale del Regolamento non ha incluso gli alimenti destinati ai celiaci fra quelli definiti come «essenziali per una categoria vulnerabile della popolazione», specificando – tuttavia – che i prodotti senza glutine di cui hanno bisogno, oltre a risultare chiaramente identificabili in etichetta, dovranno mantenere le stesse garanzie di sicurezza oggi previste dalla normativa vigente;
   la Commissione ha espresso tale ferma volontà con il trasferimento degli alimenti senza glutine e con contenuto molto basso di glutine disciplinati nel Regolamento 41/2009, ora abrogato, all'interno del FIC (Food Information to Consumers), cioè del Regolamento 1169/2011 dedicato alle informazioni ai consumatori sull'etichettatura dei prodotti, che dovrebbe essere completato prima che entri in vigore il nuovo regolamento garantendo, come esprime il testo del regolamento, le stesse garanzie che oggi la norma prevede per i prodotti senza glutine;
   le procedure europee prevedono che il nuovo Regolamento e la normativa da esso prevista trovi completa attuazione negli stati membri nel 2016, con l'abrogazione contestuale della direttiva 92/521CEE del Consiglio, le direttive 96/8/CE, 1999/21/CE, 20061125/CE e 2006/141/CE della Commissione, la direttiva 2009/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e i regolamenti (CE) n. 41/2009 e (CE) n. 953/2009 della Commissione. Durante tale periodo i prodotti senza glutine o a basso contenuto di glutine continueranno ad essere regolati dalle norme attualmente vigenti;
   il 2 dicembre 2011 il nostro Ministro della salute si era fatto portavoce nel corso del Consiglio dei Ministri della salute dell'Unione europea, della contrarietà italiana circa l'esclusione dall'ambito di applicazione del regolamento in discussione dei prodotti dietetici senza glutine, che sarebbero stati declassati ad alimenti di uso corrente, con la possibilità di riportare in etichetta l'indicazione «senza glutine» come una semplice informazione accessoria e volontaria;
   la Camera dei Deputati, con l'approvazione delle mozioni n. 1-00761 e n. 1-0798, N1 gennaio 2012, aveva impegnato il Governo a ribadire il proprio parere negativo all'abrogazione del Regolamento (CE) n. 41/2009; ad intervenire nelle competenti sedi comunitarie al fine di inserire i prodotti adatti alle persone intolleranti al glutine nella categoria degli alimenti a fini medici speciali; ad adottare le iniziative necessarie a tutelare la salute dei soggetti celiaci;
   come segnalato dalle associazioni dei malati di celiachia, una corretta attuazione del Regolamento comunitario deve portare, da una parte, a norme chiare per gli alimenti di consumo corrente, finalizzate ad informare correttamente il consumatore circa la presenza/assenza di glutine, dall'altra a dettare precise disposizioni relativamente ai prodotti destinati a quanti soffrono di intolleranza al glutine, gli «ex-dietetici», con chiare indicazioni che ne garantiscano la sicurezza e la qualità,

impegna il Governo:

   a vigilare, per quanto di competenza, affinché l'inserimento dei prodotti senza glutine nel FIC (Food Information to Consumers, Regolamento 1169/2011), assicuri pienamente i diritti dei celiaci;
   a mettere in atto tutte le iniziative e gli opportuni strumenti previsti dal diritto comunitario, coinvolgendo tutti i livelli istituzionali, le organizzazioni imprenditoriali, le associazioni che rappresentano i cittadini affetti da celiachia, le associazioni dei consumatori già sensibilizzate a favore dei diritti dei celiaci, al fine di rafforzare le procedure di controllo ufficiale e garantire la permanenza del Registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine introdotto dal decreto legislativo n. 111 del 1992. 
(1-00159) «Laffranco, Piso, Palese, Saltamartini, Bianconi, Giammanco, Elvira Savino, Bernardo, Bosco, Fabrizio Di Stefano, Mottola, Riccardo Gallo, Galati, Alli, Faenzi, Palmieri, Parisi, Squeri, D'Alessandro, Lainati, Misuraca, Minardo, Vignali, Gregorio Fontana, Centemero, Garofalo, Polidori, Leone, Sammarco, Palmizio, Cicu, Scopelliti, Ravetto, Francesco Saverio Romano».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei sei Paesi che con la firma dei Trattati di Roma, nel lontano 1957, contribuì alla creazione dell'Unione europea di oggi, dando vita a quello che si è rivelato come un vero e proprio «esperimento istituzionale» attraverso la costituzione di un organismo «sui generis» alle cui Istituzioni gli Stati membri hanno delegato nel tempo parte della propria sovranità nazionale;
    la costruzione europea si è realizzata tramite un processo in continuo divenire, slegato da qualsiasi modello statico e precostituito ed ha perciò segnato battute d'arresto ed accelerazioni senza tuttavia mai perdere di vista la finalità principale: la creazione di una unione politica federale che, purtroppo, dimostra di affievolirsi sempre di più a fronte dell'irruenza con cui procede invece l'integrazione economica;
    è evidente infatti che l'introduzione della moneta unica senza la realizzazione di una unione politica e fiscale provoca l'impoverimento dei Paesi cosiddetti «periferici» primi tra tutti Grecia, Spagna e purtroppo Italia, e genera un sistema, come gli eventi dimostrano ogni giorno, in cui alcuni Paesi acquisiscono crescenti surplus commerciali a scapito dei loro partner che, ancorché appartenenti alla stessa zona euro, accumulano invece crescenti deficit;
    tale situazione obbliga gli Stati più ricchi dell'eurozona ad imporre politiche di austerità in nome della difesa dell'euro, unico vero collante di una Unione che esige dai cittadini continui sacrifici con il risultato di favorire una integrazione sempre più vantaggiosa per alcuni e sempre meno per altri, posto che italiani e tedeschi hanno la stessa moneta unica, ma differenti contratti di lavoro, diversi sistemi di welfare e diverso grado di sviluppo economico;
    l'articolo 3 del Trattato di Roma disponendo che «la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche» elenca una serie di azioni comuni tra cui l'instaurazione di una Politica Agricola Comune (PAC), da intendersi come forma di partenariato strategico tra agricoltura e società in considerazione dei milioni di consumatori europei che richiedono un regolare approvvigionamento di alimenti sani a prezzi accessibili; tale politica ha però manifestato fin dagli inizi diverse criticità per l'Italia, il cui potenziale agricolo intensivo e di qualità avrebbe richiesto accordi più adeguati alle proprie peculiarità produttive e al proprio fabbisogno interno;
    la distanza tra cittadini ed «entità» Europa è particolarmente evidente ed allarmante proprio nel settore dell'agroalimentare nel quale la richiesta generalizzata da parte dei consumatori di tracciabilità ed informazione riguardo alle materie prime utilizzate negli alimenti è costantemente disattesa da normative comunitarie che tendono a favorire la grande distribuzione, la quantità al posto della qualità;
    il settore primario è estremamente penalizzato da politiche comuni che, tendendo all'omologazione, limitano il potenziale di sviluppo delle eccellenze e delle tipicità locali sia con riguardo alle produzioni che alle peculiarità delle comunità rurali e delle risorse e contribuiscono ad accrescere le asimmetrie economiche e sociali tra Paesi;
    notevoli disparità tra Stati membri si ravvisano altresì in relazione ai rapporti finanziari che ciascuno di essi ha con l'Unione europea e che per l'Italia mostrano un sensibile aggravamento della condizione di contribuente netto nella quale il nostro Paese si trova ormai da tempo;
    come evidenziato dall'ultima relazione annuale della Corte dei conti riferita all'esercizio 2011, l'Italia, nel 2011, ha versato all'Unione europea, a titolo di risorse proprie, la complessiva somma di 16 miliardi, importo che rappresenta il massimo storico del settennio 2005-2011 e costituisce un rilevante incremento (+4,9 per cento) rispetto al precedente esercizio, che aveva già mostrato una forte crescita (+6 per cento) nei confronti del 2009;
    se sempre nell'anno 2011 l'Unione europea ha accreditato complessivamente al nostro Paese la somma di 9,3 miliardi di euro con un aumento dell'1,2 per cento rispetto all'esercizio precedente, il contestuale aumento dei versamenti del nostro Paese all'Unione europea ha causato il peggioramento del «saldo netto negativo» nazionale, giunto per l'esercizio in questione a 6,6 miliardi secondo un rapporto di mera differenza aritmetica tra i rispettivi totali;
    nel settennio 2005-2011 secondo il computo desumibile dall'elaborazione fatta dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato, il totale dei «saldi netti negativi» ammonta per l'Italia a 39,3 miliardi di euro;
    si rileva altresì che i paesi con i maggiori saldi positivi riferiti al periodo in parola risultano, secondo la Commissione, in ordine decrescente: Polonia, Grecia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Repubblica Ceca, Lituania, Romania, Slovacchia e Irlanda; ad eccezione di quest'ultima, si tratta di alcuni degli Stati membri beneficiari del Fondo di coesione, istituito per assistere i Paesi aventi un Reddito Nazionale Lordo (RNL) pro capite inferiore al 90 per cento della media comunitaria;
    è noto come le resistenze nazionali si traducano spesso in vere e proprie «clausole di favore», recepite nei Trattati a vantaggio di quei Paesi che altrimenti non avrebbero firmato gli accordi rallentando o interrompendo il processo di integrazione;
    il quadro innanzi delineato è certo influenzato da alcuni particolari facilitazioni riconosciute nel tempo a singoli Stati come la Decisione del Consiglio Euratom 2007/436/CE sulle risorse proprie che ha accordato, per il periodo 2007-2013, ad Austria, Germania, Paesi bassi e Svezia il diritto di beneficiare della riduzione delle aliquote di prelievo della risorsa IVA e l'ulteriore facoltà dei Paesi bassi e della Svezia di usufruire di una riduzione lorda del contributo RNL annuo;
    tra i suddetti benefici va annoverata la tradizionale revisione degli squilibri di bilancio denominata «correzione britannica» («UK rebate»), che consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio Ue e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio comportando, di riflesso, un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri (limitato tuttavia, solo per alcuni di loro, quali la Germania, i Paesi bassi, l'Austria e la Svezia, a un quarto del valore normale) tra cui l'Italia;
    il meccanismo di «sconto a favore della Gran Bretagna» che non ha data di scadenza, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25/26 giugno 1984, con la quale si stabilì, accogliendo le richieste del Regno Unito, che «... ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»;
    le conseguenze che derivano agli interessi italiani da tale disposizione sono rilevanti non solo dal punto di vista finanziario, considerato che Roma e Parigi da sole contribuiscono a versare a Londra la metà dell'importo complessivo del «rebate» ma anche in punto di principio in quanto, nonostante il dichiarato carattere generale della decisione del Consiglio di Fontainebleau, di fatto, fino a tempi recenti, la correzione è stata applicata solo a favore del Regno Unito;
    gli accordi presi a Fontainebleau erano motivati da un consistente stanziamento di risorse comunitarie a titolo dell'allora nascente Politica agricola comune e tali da poter giustificare particolari agevolazioni concesse ai Paesi con scarsa vocazione agricola come la Gran Bretagna, nel corso del tempo, come noto, la spesa agricola dell'Unione europea si è notevolmente ridotta;
    l'accordo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 raggiunto lo scorso febbraio riducendo ulteriormente lo stanziamento a favore della politica agricola comune, conferma che gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi;
    seppur vero che i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall'appartenenza di un Paese all'Unione europea non si esauriscono in valutazioni di natura contabile, è evidente che la questione del saldo negativo dell'Italia impone una riflessione circa una urgente riforma dei criteri di formazione del bilancio al fine di introdurre correttivi adeguati ad eliminare lo squilibrio a carico del nostro Paese la cui economia è più in crisi di quella di altri membri che non sono contribuenti netti;
    sebbene il nostro ordinamento non consenta di sottoporre a referendum l'appartenenza dell'Italia all'unione economica e monetaria è indubbio che, anche alla luce della clausola di recesso volontario di uno Stato membro sancita dall'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea, una consultazione popolare sull'utilità dell'attuale costruzione europea darebbe esiti allarmanti in considerazione dello scostamento fortemente negativo tra risultati ed attese che alimenta la percezione da parte dei cittadini di una Europa in piena crisi di legittimità,

impegna il Governo

ad intervenire con determinazione nelle opportune sedi comunitarie affinché, anche in considerazione della prossima presidenza di turno italiana dell'Unione europea, si avvii fin da ora la riforma dei criteri di formazione del bilancio comunitario e in particolare si proceda alla revisione del meccanismo dello «sconto inglese» stabilito dagli accordi di Fontainebleau del 1984, posto che l'entità della spesa agricola è diminuita nel corso degli anni e che la nuova programmazione della Politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per il nostro Paese.
(1-00160) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Nuti, Nesci».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 30 maggio 2012, n. 67, recante disposizioni urgenti per il rinnovo dei Comitati e del Consiglio generale degli italiani all'estero, ha stabilito che le procedure di rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero (COMITES) e del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) dovranno avere luogo entro la fine dell'anno 2014;
    già l'articolo 10, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14) e, successivamente, l'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 28 aprile 2010, n. 63 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2010, n. 98) aveva disposto il rinvio del rinnovo, che avrebbe dovuto svolgersi nel marzo 2009 alla naturale scadenza quinquennale, prima al 2010 e poi al 2012, nelle more di adottare una riforma di tali organismi, anche a seguito della sopravvenuta elezione dei parlamentari della «Circoscrizione estero»;
    durante l'esame di conversione del decreto-legge 30 maggio 2012, n. 67, si è tenuto conto del fatto che non esiste ancora un quadro normativo aggiornato sulla riforma dei COMITES e del CGIE;
    nel rinviare le elezioni, il Parlamento ha introdotto nel testo del provvedimento in esame le garanzie richieste dall'Unione europea nei sistemi di voto elettronico e per consentire anche di predisporre seggi elettorali nelle sedi dei consolati e degli uffici italiani all'estero per lo svolgimento delle operazioni di voto, in modo tale da garantire i principi costituzionali dell'esercizio del diritto di voto;
    il Consiglio generale degli italiani all'estero, riunito a Roma il 26 giugno 2013, ha sottolineato che «il rinnovo è necessario anche per tener conto dell'evoluzione generazionale che si è verificata nel lasso di tempo che intercorre dall'insediamento di questi organismi»;
    il decreto-legge 30 maggio 2012, n. 67, ha autorizzato la spesa di 2 milioni di euro per il solo 2014, circoscrivendo di fatto lo svolgimento delle consultazioni elettorali per il rinnovo degli organi di rappresentanza degli italiani all'estero nell'ambito di tale arco temporale,

impegna il Governo

a predispone gli strumenti necessari affinché si possano tenere le elezioni per il rinnovo del CGIE e dei COMITES il prima possibile o come termine ultimo in concomitanza con lo svolgimento delle elezioni europee del 2014.
(7-00077) «Picchi, Centemero».


   Le Commissioni VII e XI,
   premesso che:
    l'attuale sistema di formazione dei nuovi insegnanti per la scuola secondaria, conosciuto come TFA (tirocinio formativo attivo), ha abilitato in quest'anno accademico quasi 11.000 docenti che, per accedervi, hanno dovuto superare tre dure prove di accesso, pagare una lauta tassa di iscrizione (circa 2600 euro in media), frequentare corsi disciplinari e pedagogico-didattici, affrontare un tirocinio di 475 ore e sostenere un esame finale;
    l'accesso al tirocinio formativo attivo è stato articolato attraverso il superamento di tre prove, svoltesi fra il luglio ed il novembre del 2012, così distinte: a) preselettiva (composta da n. 60 test a risposta multipla su argomenti disciplinari relativi alle diverse classi di concorso) da ritenersi valida con il raggiungimento minimo di punti 21/trentesimi; b) prova scritta (relativa a domande aperte concernenti la disciplina in esame) da ritenersi valida con il raggiungimento minimo di punti 21/ trentesimi; c) prova orale (con domande inerenti argomenti riguardanti la disciplina in oggetto) da ritenersi valida con il raggiungimento minimo di punti 15/ventesimi;
    il percorso formativo ha poi contemplato la frequenza di corsi disciplinari e pedagogico-didattici e il superamento dei relativi esami, concludendosi con un esame finale di abilitazione concernente l'esposizione di un progetto didattico su un argomento disciplinare estratto a sorte da ciascun candidato e la discussione della relazione finale sul tirocinio svolto in classe;
    sulla base del decreto ministeriale n. 249 del 2010, e dei successivi regolamenti ministeriali ad esso connesso, l'abilitazione conseguita tramite la frequenza del TFA (Tirocinio formativo attivo) risulta declassata rispetto a quella conseguita in passato con i cicli della SSIS (Scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario), ai cui abilitati era sempre spettato l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, unico canale utile per ottenere l'immissione in ruolo per scorrimento (legge n. 296 del 2006). A differenza di quanto avvenuto sempre in passato, quindi, al titolo conseguito con il tirocinio formativo attivo spetterebbe solamente l'inserimento nella seconda fascia delle graduatorie d'Istituto (GI), dalle quali è difficilmente ottenibile un incarico annuale, né si potrà mai ambire al posto di ruolo a tempo indeterminato;
    con l'emanazione in data 27 giugno del decreto ministeriale 572 del 2013, poi, le graduatorie ad esaurimento (GaE) vengono integrate solo per chi ha conseguito il titolo di abilitazione all'estero e per chi ha congelato la SSIS dell'ultimo ciclo 2007-09 e, iscrittosi con riserva all'epoca, ha completato la formazione e ottenuto il titolo frequentando il nostro stesso corso di TFA appena concluso;
   il suddetto decreto perpetra una discriminazione tra chi si è abilitato con il tirocinio Formativo Attivo (ai sensi del decreto ministeriale n. 249 del 2010) e chi ha conseguito il medesimo titolo equipollente presso gli altri Paesi UE o chi, dopo avere interrotto la SSIS, si è abilitato frequentando lo stesso corso di tirocinio formativo attivo durante questo anno accademico;
   il vulnus del decreto ministeriale n. 572 del 2013 opera una disparità di trattamento tra titoli di abilitazione equipollenti, violando la Direttiva 2005/36/CE e sancendo il paradosso normativo per cui i docenti abilitati nei Paesi UE possano accedere alle GaE, e quindi, in prospettiva, al ruolo, mentre quei docenti che hanno conseguito lo stesso titolo entro i confini nazionali vengono relegati alla seconda fascia delle Graduatorie d'Istituto, dalle quali è possibile ottenere supplenze saltuarie e temporanee, senza con ciò poter ambire ad una collocazione a tempo indeterminato;
    è facile trarre dal decreto ministeriale n. 572 del 2013, infatti, l'implicita affermazione del principio di equivalenza legale tra i corsi SSIS e quelli del tirocinio formativo attivo, che risiede nell'attribuzione al tirocinio formativo attivo di quel valore giuridico che consente ai congelati SSIS di ottenere l'abilitazione mediante la sua frequenza;
    il decreto ministeriale n. 249 del 2010, vieppiù, annoverava tra i suoi principi cardine la corrispondenza tra i posti messi in palio per l'accesso al TFA e il fabbisogno di personale scolastico calcolato sulla base dei futuri pensionamenti;
    nonostante la riduzione strutturale di questi ultimi, dovuto agli effetti della riforma Fornero, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha varato con il decreto ministeriale n. 81 del 2013 l'ennesima sanatoria (PAS, percorsi abilitanti speciali) che abiliterà ope legis 80000 docenti aventi un'anzianità di servizio pari a tre anni scolastici, senza alcuna verifica delle loro conoscenze didattico-disciplinari, derogando in tal modo al principio del fabbisogno reale di docenti sancito nel decreto ministeriale n. 249 del 2010;
    molti di coloro che si abiliteranno attraverso questo percorso speciale, infatti, potendo vantare un alto punteggio di servizio, rischiano di scavalcare gli abilitati con merito del TFA nelle graduatorie d'istituto (GI) e di ottenere incarichi di supplenza pur non avendo dimostrato in alcun modo di possedere le conoscenze e le pratiche didattiche necessarie ad un proficuo processo di insegnamento-apprendimento;
    l'ex ministro Profumo, nel corso degli ultimi mesi del suo mandato al Ministero della pubblica istruzione, ha stabilito nella bozza di modifica al regolamento del decreto ministeriale n. 249 del 2010 datata al 12 giugno del 2012, che i titoli di abilitazione conseguiti al termine del T.F.A. costituiscono requisito di ammissione alle procedure concorsuali, che, come è ben noto, danno, in caso di superamento, diritto al ruolo, mentre diversamente non viene riconosciuta l'idoneità all'insegnamento, come per i vecchi concorsi, e quindi l'accesso alle graduatorie ad esaurimento;
    si è così creata una disparità di trattamento, non conforme al Dettato Costituzionale,

impegnano il Governo:

   ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad intervenire:
    a) per equiparare il titolo conseguito tramite tirocinio formativo attivo a quello ottenuto nel periodo 1999-2009 dagli abilitati SSIS sulla base del medesimo riconoscimento di quel valore di prova concorsuale che spettava a questi ultimi (ai sensi dell'articolo 1, comma 6-ter, del decreto-legge 28 agosto 2000 n. 240, convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 2000 n. 306), in modo da ottemperare all'articolo 97 della Costituzione, che prevede l'assunzione previo concorso nella Pubblica amministrazione;
    b) per la riapertura e l'inserimento nella terza fascia delle Graduatorie ad esaurimento dei docenti abilitati tramite la frequenza del TFA ordinario, con un punteggio pari a quello conferito negli anni precedenti agli abilitati SSIS, in virtù della direttiva 2005/36/CE che sancisce l'uguaglianza dei titoli abilitanti professionali nel territorio dell'Unione Europea e attribuendo al medesimo titolo quel valore di prova concorsuale che consente l'assunzione in ruolo ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione tramite il doppio canale di reclutamento tuttora vigente;
   per l'inserimento contestuale nella prima fascia delle graduatorie d'Istituto come da sempre conferito agli abilitati SSIS prima del decreto di riapertura del 2009 o, quanto meno, nella Seconda fascia delle stesse, come previsto dalle note e dai regolamenti ministeriali, da attuare entro il prossimo anno scolastico 2013-14 in modo da rendere effettivamente usufruibile da subito il titolo di abilitazione del tirocinio formativo attivo come prescritto dalle note ministeriali del 29 aprile 2011 protocollo n. 1065 e del 17 aprile 2013;
   per attuare la distinzione meritocratica tra i tirocinio formativo attivo ordinari e i PAS, perseguibile dal punto di vista legislativo mediante il conferimento del valore concorsuale alle prove selettive di accesso e attuabile tramite una distinzione di fascia o di graduatoria e non di semplice punteggio, poiché nonostante le possibili maggiorazioni molti abilitati PAS supererebbero inevitabilmente gran parte dei docenti abilitati con TFA;
   per favorire la continuazione dell'esperienza formativa e meritocratica mediante l'emanazione del bando di un secondo ciclo di tirocinio formativo attivo ordinario rivolto ai neo laureati, alla luce della recente esclusione dalla possibilità di inserimento nella terza fascia delle Graduatorie d'Istituto, a chi non gode di un'anzianità di servizio utile ai PAS e in particolar modo per quei candidati risultati idonei ma non vincenti alle prove del primo ciclo, per i quali si chiede l'ammissione in sovrannumero.
(7-00076) «Di Lello, Labriola».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Governo, con proprie comunicazioni del 5 e 26 luglio 2013, ha annunciato la presentazione, rispettivamente, di un disegno di legge costituzionale di abolizione delle province, da sottoporre al parere della Conferenza unificata, e di un ulteriore disegno di legge ordinaria sui criteri per ridefinire le forme e le modalità delle relative funzioni;
   nell'ambito di questo iter, sembra importante tener conto già in partenza che le funzioni d'area vasta in campo ambientale (ad esempio: ciclo rifiuti, autorizzazioni paesistiche-VIA, gestione dei corsi d'acqua, gestione faunistica, pianificazione territoriale, e altro) attualmente svolte dalle province non possono per loro natura essere polverizzate a livello comunale, e che alle medesime funzioni devono restare esplicitamente connessi i compiti di polizia amministrativa e giudiziaria oggi espletati dai corpi e servizi di polizia provinciale esistenti;
   i progetti di riforme istituzionali e di riassetto delle autonomie locali non devono travolgere disordinatamente il personale delle amministrazioni provinciali che svolge significative funzioni di controllo nel campo della salvaguardia del territorio;
   sono circa 2650, secondo una recente ricerca dell'associazione italiana agenti e ufficiali di polizia provinciale, i poliziotti provinciali quotidianamente impegnati sul territorio, in particolare quello extra-urbano, per il rispetto di una vasta normativa nel campo della tutela dell'ambiente, della salvaguardia dei beni naturali e del patrimonio faunistico;
   il territorio rurale, le campagne e le zone di montagna non possono essere private di quella che è, spesso, l'unica presenza di polizia giudiziaria degli enti locali in queste zone, stante anche la peculiarità delle materie specialistiche oggetto d'intervento, e la sostanziale assenza delle forze dell'ordine in parti assai estese del territorio nazionale;
   al personale di polizia provinciale, con compiti che spaziano dai controlli su discariche abusive e trasporto di rifiuti tossici, lotta al bracconaggio, protezione civile, controllo dell'abusivismo e degli inquinamenti, polizia idraulica e tutela dei beni naturali, va scongiurata la possibilità che il trasferimento di alcune competenze provinciali ai comuni, possa far scomparire la professionalità di corpi e servizi di polizia provinciale strutturati da decenni per la vigilanza su aree comprensoriali molto grandi, non gestibile efficacemente a livello di polizia municipale. Un'attività che si accompagna alla sorveglianza nei grandi laghi interni, alla gestione faunistica, alla sicurezza stradale su circa 120.000 chilometri di strade provinciali, alla ricerca di persone disperse, all'accertamento di molte altre violazioni amministrative e penali in materia di caccia, pesca, circolazione fuoristrada, attività estrattiva nelle cave, violazioni paesistiche, prelievi di inerti e derivazione delle acque pubbliche;
   sono migliaia, ogni anno, le denunce inoltrate all'autorità giudiziaria dalle polizie provinciali;
   l'unitarietà e la specializzazione delle strutture di polizia provinciale devono, pertanto, essere comunque salvaguardate anche nel caso che le province vengano abolite o che restino enti intermedi, quali le Città metropolitane, anche con funzioni meno numerose –:
   quali iniziative intenda adottare per specificare il futuro assetto e destinazione del personale preposto alle funzioni di polizia ambientale e rurale attualmente alle dipendenze delle province;
   se i ministri interrogati non intendano valutare, tra le opzioni possibili, il mantenimento dell'attività di polizia faunistico-ambientale e stradale extraurbana in capo alle regioni o l'eventualità di un inserimento di tale personale con mobilità nel Corpo forestale dello Stato. (4-01511)


   BUSINAROLO, SILVIA GIORDANO, TERZONI, DA VILLA, AGOSTINELLI, CANCELLERI, D'AMBROSIO, D'INCÀ, DE ROSA, COZZOLINO, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, CECCONI, DE LORENZIS, TURCO, BENEDETTI, SPESSOTTO, BECHIS, ROSTELLATO e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 16 maggio 2013 un'alluvione ha travolto l'est veronese, in particolare i comuni tra Monteforte d'Alpone e San Bonifacio, causando danni enormi alla popolazione, agli agricoltori ed alle piccole e medie imprese;
   inoltre, un uomo, Giuseppe Marchi, è stato travolto e ucciso da un muro di sostegno mentre cercava di arginare la furia delle acque;
   una donna è stata sepolta viva, di notte, incastrata sotto la propria macchina, tradita dalla strada che percorreva ogni giorno per tornare a casa;
   l'evento calamitoso ha ricordato quello che è avvenuto il giorno di Ognissanti che due anni e mezzo fa devastò le stesse zone e in particolare i comuni di Soave, Monteforte d'Alpone e San Bonifacio, oltre che la città di Vicenza e la sua provincia;
   da domenica 31 ottobre a martedì 2 novembre 2010 il Veneto fu interessato da piogge persistenti, a tratti anche a carattere di rovescio, in particolare sulle zone prealpine e pedemontane, dove si superarono diffusamente i 300 millimetri complessivi, con punte massime locali anche superiori ai 500 millimetri;
   rappresentò una delle più tragiche alluvioni degli ultimi due secoli, che vide coinvolte circa 500.000 persone, molte delle quali costrette ad abbandonare le proprie abitazioni anche con mezzi anfibi e gommoni, e ben 262 amministrazioni comunali;
   la profonda sofferenza idraulica e le situazioni di dissesto geologico provocarono ingenti danni al patrimonio pubblico e privato; un livello di criticità elevato in molti corsi d'acqua causò numerose rotte e sormonti arginali, la sofferenza delle strutture idrauliche provocò allagamenti diffusi in diversi bacini idrografici, su una superficie complessiva di circa 140 chilometri quadrati;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 novembre 2010 fu dichiarato lo stato di emergenza per gli eccezionali eventi meteo del 31 ottobre 2010-2 novembre 2010, prorogato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 novembre 2011, è scaduto il 30 novembre 2012;
   gli esperti dichiararono che le cause furono molte: un repentino cambiamento di temperatura ha comportato il veloce scioglimento della neve sui monti sovrastanti, l'eccezionale quantità d'acqua piovana caduta sulle Prealpi in un arco di tempo così breve, nonché la mancata realizzazione di opere per la tutela del territorio previste già in passato e non ancora realizzate. Si aggiunga il vento di scirocco che aumentò la spinta del mare impedendo il deflusso delle acque, la cementificazione degli argini, la canalizzazione dei torrenti e la mancata manutenzione dovuta ai tagli ai finanziamenti;
   dalla relazione del prefetto di Verona datata 28 febbraio 2013 si evince che i danni principali furono conseguenti alle numerose rotte e ai vari sormonti arginali verificatesi nelle Province di Vicenza, Padova e Verona. Gli eventi più gravi per la provincia di Verona furono:
    a) la rotta sul torrente Tramigna, nel centro storico del comune di Soave, la rotta sul torrente Alpone;
    b) in comune di Monteforte d'Alpone, località Ponte Rezzina, la rotta sul torrente Aldegà nel Comune di San Bonifacio;
    c) il sormonto arginale sul torrente Chiampo in Comune di San Bonifacio;
   venne chiusa anche l'autostrada A4 in provincia di Verona per tre giorni, individuando percorsi alternativi sulle strade regionali circostanti, presidiate dalla polizia e dalla protezione civile;
   vennero finanziate 277 azioni di differenti tipologie, per un importo totale di 105 milioni di euro; in particolare le tipologie di azioni finanziate sono state le seguenti:
    a) lavori eseguiti in regime di somma urgenza (n. 212 interventi per un importo di circa 63 milioni di euro) mirati prevalentemente al ripristino di difese spondali danneggiate da frane, cedimenti, rotte, sifonamenti, sormonti arginali, nonché alla rimessa in efficienza di impianti idrovori che hanno subito guasti a seguito dell'alluvione;
    b) lavori urgenti e indifferibili (n. 58 interventi per un importo di circa 40 milioni di euro) mirati al ripristino delle difese spondali in muratura e risezionamenti diffusi per il ripristino dell'officiosità dei corsi d'acqua;
    c) studi e indagini (n. 7 interventi, per un importo totale di euro 680.000,00);
   dalla relazione del prefetto emerge che al 20 novembre 2012 risultavano ancora in corso alcuni lavori (circa il 10 per cento) ed altri invece erano da avviare: i cantieri ancora da avviare erano uno nella provincia di Belluno e due nella provincia di Vicenza, mentre i lavori in corso si concentravano per lo più nelle province di Verona e Vicenza, tra cui anche gli «interventi finalizzati alla messa in sicurezza del sistema Alpone-Chiampo-Aldegà e dalla disconnessione idraulica del torrente Tramigna» nonché il completamento di altri lavori definiti di somma urgenza nella zona di Soave e Monteforte;
   tali interventi dovevano essere ultimati entro settembre 2013, salvo eventuali imprevisti, caso in cui è gioco facile ipotizzare di ricadere dopo l'emergenza di maggio 2013;
   alcuni potrebbero pensare che la zona sia soggetta naturalmente a queste catastrofi, magari trovando analogie con alcune altre circostanze, come l'alluvione del Polesine nel 1951 o la rottura degli argini del Piave, avvenuta il 4 novembre 1966, quando il Piave in piena ruppe sia l'argine di sinistra sia l'argine di destra in due zone distinte e travolse campagne e paesi provocando morte e distruzione. Fu per l'Italia la più disastrosa alluvione del secolo, con Firenze e Venezia assurte a città simbolo del disastro e della tragedia;
   nel 2010, Beppe Grillo scriveva sul suo blog: «Tra l'alluvione del Polesine del 1951 e quella del 2010 ci sono alcune importanti differenze. Nel 1951 piovve per due settimane, nel 2010 ha piovuto per tre giorni. Nel 1951 avvenne in gran parte per cause naturali, nel 2010 è stata frutto dell'abbandono e della cementificazione del territorio»;
   considerando quindi l'alluvione del mese scorso, va ricordato come il torrente Aldegà abbia rotto l'argine destro attorno alle ore 15.00 di giovedì 16 maggio e si sia riversato sui campi; l'inondazione è arrivata improvvisamente, l'acqua era ovunque, saliva dai fiumi, dai torrenti, ha allagato campi e strade, ha allagato quartieri, ha reso gli insediamenti industriali inagibili, ha posto la popolazione nuovamente in ginocchio;
   nel comune di Monteforte d'Alpone, la rotta dell'argine destro dell'Aldegà attorno alle ore 15.00 del 16 maggio ha riversato, nei campi di Salmazza prima, e in via Santa Croce poi, un'enorme quantità d'acqua, allagando anche parecchi garage e cantine e coinvolgendo circa 100 residenti nella via, con danni stimati di circa 700.000 euro, per la cui procedura di erogazione la competenza è passata alla regione Veneto;
   tutte queste sono conseguenze del cedimento arginale accaduto dopo che il genio civile ne aveva praticato uno (ampio la metà) sulla sponda opposta, affinché l'Aldegà scaricasse nel bacino di San Vito;
   nel comune di San Bonifacio, l'Alpone è arrivato a sfiorare la spalletta superiore del viadotto in ferro del ponte della Motta, sfiorando la sommità degli argini, per poi scendere di livello nella serata di giovedì 16 maggio: intorno alle ore 14.00 toccava il suo massimo a 3,27 metri al ponte di piazza Martiri, tanto che anche a Belfiore, paese più a sud, si temeva che le acque fuoriuscite giungessero tra le abitazioni;
   a ciò si aggiungano i vari fontanazzi lungo gli argini che venivano tamponati di minuto in minuto dalla protezione civile con sacchi di sabbia;
   nella zona tra Monteforte e Soave sono stati aperti i bacini di San Vito e di San Lorenzo, lungo l'autostrada A4, e sono state chiuse le paratie mobili sul Tramigna realizzate solo dopo l'alluvione del 2010, grazie alle quali è stato parzialmente risparmiato il paese di Soave, eccetto alcune fuoriuscite dai tombini delle vie centrali del paese;
   la statale 11 che attraversa i due torrenti Tramigna e Alpone è rimasta comunque chiusa; l'acqua è stata riversata a sud della statale, con inondazione dei campi che vanno dalla statale 11 alla strada provinciale 38;
   anche l'esondazione del Fibbio nel comune di San Martino Buon Albergo in provincia di Verona può essere definita un vero e proprio disastro annunciato. Le abitazioni lungo il Fibbio sono infatti state recentemente ristrutturate nel rispetto dei vincoli definiti dalla soprintendenza ai beni culturali, per cui il livello originario del pavimento si trova tra i 60 e i 100 cm al di sotto del livello medio dell'acqua. Col passare degli anni il livello medio del fiume si è alzato, con conseguente aumento del rischio di fuoriuscita dell'acqua dagli argini;
   risultano quanto mai urgenti degli interventi, finora non realizzati, volti a dragare il fiume e abbassare di almeno un metro il livello di scorrimento, o in alternativa di alzare gli argini in misura sufficiente a far fronte a questi eventi sempre più frequenti nel nostro territorio;
   nella zona di Caldierino ed Illasi, inoltre, il perdurare delle condizioni meteo avverse non ha consentito di proseguire con i lavori di realizzazione del condotto che sottopassa l'Illasi. Se fosse stato concluso, avrebbe portato via l'acqua tracimata a Caldierino e l'avrebbe convogliata nel torrente Mezzane;
   le piogge abbondanti hanno messo a dura prova anche la situazione sul lago di Garda, dove l'azienda Gardesana Servizi e la comunità del Garda hanno richiesto ai tre prefetti di Verona, Mantova e Brescia di abbassare i parametri stabiliti dalla legge del 1965 per il livello delle acque del lago, almeno in via transitoria fino alla fine dell'emergenza, avendo cura di preservare da una parte il territorio e l'economia turistica e d'altra parte il settore agricolo dei consorzi mantovani. Alla data del 22 maggio 2013, ad esempio, il livello del lago era di 145,60 centimetri, ossia almeno dieci centimetri in più del valore previsto in media per il mese di maggio. In sostanza, circa 300 metri cubi di acqua entrano ogni secondo nel lago di Garda dal Sarca a nord, a dispetto dei circa 170 metri cubi al secondo che escono dal lago entrando in zona Salionze nel fiume Mincio. Fissare un nuovo livello massimo per le acque del lago permetterebbe anche di salvaguardare il sistema di collettamento e depurazione della acque, ed in particolare il lavoro svolto dal depuratore di Peschiera del Garda;
   in conclusione, si ricorda che con decreto del n. 68 del presidente della giunta regionale Luca Zaia ha dichiarato lo stato di crisi in tutta la regione, avviando l’iter per le segnalazioni di danno al patrimonio pubblico e privato, dichiarazioni da presentare entro il 22 giugno 2013, e che saranno verificate a responsabilità dei singoli comuni;
   ad oggi sono stati quantificati in 200 milioni di euro da Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, i danni complessivi riscontrati a seguito dell'evento eccezionale, di entità tale da chiedere la dichiarazione dello stato di emergenza;
   va precisato inoltre che le ingenti precipitazioni protrattesi nei mesi scorsi hanno causato enormi danni all'agricoltura, come risulta anche dall'appello formulato da tutti i sindaci della Bassa Veronese in data 27 giugno 2013 diretto tra gli altri anche a tutti i parlamentari veronesi, dove vengono denunciano danni consistenti superiori al 30/40 per cento dei bilanci delle stesse aziende agricole che ad oggi non hanno ancora ricevuto i contributi per la domanda di siccità per l'anno 2012 –:
   se, tra le cause che hanno prodotto il disastro, vi siano state anche l'abbandono, la mancanza di interventi strutturali e di rifacimento degli argini, quali la creazione di bacini di laminazione e casse di grande espansione per lo sfogo delle acque;
   quali siano le ragioni per cui non sia stata realizzata l'esondazione controllata in appositi vasi di espansione e tracimazione per tagliare le punte di piena nei punti strategici a monte del rischio;
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché i veronesi vengano rimborsati dei danni prodotti dall'incuria del territorio e dalla cementificazione;
   quali misure urgenti intenda intraprendere per evitare fatti e calamità naturali del tutto prevedibili, posto che nel programma di Governo presentato in Parlamento vi è un debole, quanto inconsistente, segnale sull'intenzione di assumere un «impegno alla prevenzione con piani straordinari di manutenzione contro il dissesto idrogeologico», ma che, al momento, non si è tradotto in adeguati finanziamenti per avviare gli interventi e le opere necessari per prevenire i ricorrenti disastri in territori devastati dalla cementificazione e dall'abbandono delle campagne da parte dell'uomo;
   se ritenga possibile escludere dal patto di stabilità gli interventi di messa in sicurezza del territorio per sanare i danni provocati da inondazioni e disastri, sfruttando così le risorse economiche che il comune aveva comunque accantonato per la difesa del territorio, ipotizzando anche un risparmio anche per lo Stato nella prospettiva di evitare di stanziare ex post fondi straordinari;
   quando sia prevista la conclusione dei lavori in corso alla data della stesura della relazione del Prefetto di Verona relativa all'alluvione del 2010, per l'effettiva messa in sicurezza del territorio;
   se non ritenga utile intervenire incisivamente e costantemente, di concerto con i consorzi di bonifica, per una mirata programmazione degli interventi di riduzione del rischio idrogeologico, ed una corretta pianificazione territoriale;
   se non ritenga opportuno potenziare il patrimonio agricolo e la disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento dell'attività agricola, evitando l'eccessiva cementificazione;
   se il Governo intenda fornire alla regione Veneto i fondi necessari per risarcire i danni provocati dall'alluvione di maggio 2013, nonché per erogare i contributi per le domande di siccità presentate dalle aziende agricole per l'anno 2012. (4-01518)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Aeroporto internazionale dell'Umbria «San Francesco d'Assisi», che esiste da oltre 50 anni, è stato da poco sottoposto ad un importante intervento di ammodernamento costato 42,5 milioni di euro di cui 27 milioni a carico della Presidenza del Consiglio, 3 milioni a carico Enac e 12,5 a carico della regione Umbria;
   sebbene si registri un netto aumento del traffico passeggeri nel 2012, con un incremento del 15 per cento che ha registrato un +8,7 per cento sulle rotte nazionali, +16,9 per cento su quelle internazionali e +19,7 per cento di passeggeri executive ed aviazione generale, suddetto aeroporto conta un traffico aereo di circa 200 mila passeggeri l'anno;
   non raggiungendo le 500 mila presenze annue, come disposto nel «piano aeroporti» messo in atto dall'ex Ministro dei trasporti Passera, l'aeroporto San Francesco d'Assisi sarà declassato da aeroporto internazionale ad aeroporto regionale;
   tale declassamento comporterà il mancato rinnovo della convenzione ventennale che garantisce vigili del fuoco, controllori di volo Enac, sicurezza ai varchi e dogana, i cui costi ora andranno a carico della regione Umbria;
   l'aeroporto è sotto il controllo di SASE spa società per il potenziamento e la gestione dell'aeroporto regionale umbro S. Egidio spa, che è stata costituita in data 14 dicembre 1977, su iniziativa del comune di Perugia, con un azionariato formato da enti locali, istituzioni pubbliche e privati;
   il bilancio di SASE spa vede per il 2012 un disavanzo di 748.131 euro, disavanzo che comunque segnala una riduzione della perdita di circa il 16 per cento rispetto all'esercizio precedente;
   da diverse fonti stampa si apprende che la regione Umbria vorrebbe intervenire per modificare il «piano Passera» e l'assessore Rometti, con deleghe ai trasporti, avrebbe già aperto un tavolo con il Ministro interrogato;
   la governatrice dell'Umbria Marini ha il compito di redigere il parere che deve essere approvato dal Comitato delle regioni dell'Unione europea nell'ambito dell’iter avviato dalla Commissione per la revisione delle linee guida per il finanziamento degli aeroporti e gli aiuti pubblici di avviamento alle compagnie aeree operanti su aeroporti regionali;
   nello scorso mese di giugno si è fatto avanti un nuovo socio pronto ad acquisire la SASE facendo un'offerta di un milione di euro, circa un terzo del capitale della società. Si tratta della famiglia Panerai, proprietaria dell'omonima azienda che produce orologi e protagonista anche del settore moda con il marchio marina militare;
   si tratta di una richiesta ufficiale di fronte alla commissione Bilancio del comune di Perugia, ma condizionata al rilascio da parte di Enac della concessione ventennale che Sase sta aspettando da molto tempo;
   da diverse fonti stampa emerge l'intenzione di assegnare nuove rotte aeree all'aeroporto di Perugia, ma non appare chiara la reale aderenza con le attività programmatiche dell'assessorato al turismo della regione Umbria –:
   quali siano le ragioni che hanno spinto ad un tale oneroso investimento per l'ammodernamento dell'aeroporto di Perugia, considerando l'insufficiente quantità annuale di passeggeri dichiarati che ne avrebbe, quindi, declassato la portata;
   quali siano le modalità di dichiarazione dei passeggeri da parte della SASE spa;
   quali siano le reali condizioni di bilancio della SASE spa, società a partecipazione pubblica della quale i cittadini hanno diritto a conoscere i movimenti economici. (4-01524)


   SEGONI, DAGA, BUSTO, TERZONI, TOFALO, ZOLEZZI, DE ROSA, MANNINO, GAGNARLI, BALDASSARRE, ARTINI e BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, si stanno sempre più cercando di progettare, sperimentare, costruire e vendere «medi» e/o «mini» impianti di incenerimento per lo smaltimento di rifiuti ricorrendo a varie tecnologie;
   la pericolosità e l'inutilità dell'incenerimento di rifiuti in generale è nota e documentata da 7 autorevoli fonti scientifiche;
   ad oggi non esiste un controllo sulla provenienza dei «materiali da smaltire», utilizzati per la produzione di energia e non sono previsti studi preliminari per determinare il livello di approvvigionamento, pertanto è possibile che tali impianti possano in maniera non del tutto corretta essere utilizzati per lo smaltimento e la distruzione di rifiuti considerati «scomodi»;
   tali impianti vengono impiegati direttamente soprattutto da aziende private per lo smaltimento dei rifiuti anche presso le loro sedi logistiche;
   la macro diffusione di simili impianti rende più difficoltoso il controllo;
   si evidenzia sia l'assenza di una normativa completa ed esaustiva che disciplini l'utilizzo di tali tecnologie, sia la necessità di un ente per il controllo del loro corretto utilizzo; conseguentemente un'azione del genere comporterebbe un impiego di mezzi e risorse molto superiore al «beneficio economico» che eventualmente potrebbero produrre tali impianti;
   un «cattivo utilizzo» (non certo, ma sicuramente non improbabile) comporterebbe danni alla salute e all'ambiente rilevanti, non immediatamente rilevabili, e che il solo monitoraggio delle immissioni potrebbe non essere esaustivo e sufficiente ad escludere il loro forte impatto inquinante considerando il meritevole principio precauzionale che la stessa legislazione Europea cerca di radicare negli Stati membri;
   nel recente passato è risultato difficile far funzionare correttamente pochi e grandi impianti, e che la proliferazione di piccoli impianti potrebbe rendere più difficoltoso un adeguato controllo sul loro funzionamento;
   le aziende di grandi, medie e piccole dimensioni vengono indotte ad usare tali tecnologie per lo smaltimento finale dei propri materiali di risulta piuttosto che essere incoraggiate alla prevenzione, alla preparazione al riuso e al riciclo in modo da ridurre costi (soprattutto di manodopera e smaltimento);
   emblematico il caso nel comune di Castelfranco di Sotto in provincia di Pisa, dove conseguentemente alla richiesta di un'azienda privata si sta sperimentando un impianto di incenerimento di rifiuti speciali «non pericolosi». Il suddetto impianto può trattare fino ad un massimo di 12.000 tonnellate annue pari al 0,38 per cento dei rifiuti speciali della sola provincia di Pisa. Ciò nonostante la giunta della regione Toscana ha considerato tale progetto «un'opera pubblica di interesse strategico regionale» e per tanto meritevole di beneficiare delle semplificazioni introdotte dalla legge regionale 35 del 2011 che disciplina le «Misure di accelerazione per la realizzazione delle opere pubbliche di interesse strategico regionale e per la realizzazione di opere private». Per tale impianto, in quanto considerato «piccolo», la normativa non prevede restrizioni nella messa in esercizio. Inoltre, l'impianto in questione eserciterebbe la propria attività in una zona già altamente sottoposta ad un carico inquinante (Comprensorio del Cuoio), che gli stessi enti preposti al controllo dell'ambiente definiscono «zona meritevole di attenzione» –:
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, in relazione a simili impianti e quale sia l'orientamento del Governo in merito al loro utilizzo, e ai controlli ai quali devono essere assoggettati. (4-01526)


   GOZI, MARZANO, LODOLINI, CIVATI e GIACHETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di atti di iniziativa parlamentare e sollecitazioni da parte della società civile e del mondo economico, il Ministero dell'economia e delle finanze adottava direttiva n. 14656 del 2013 del 24 giugno 2013, che ha definito modalità e criteri per la nomina dei rappresentanti di mano pubblica nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società partecipate;
   tali criteri e modalità vigono anche nel periodo transitorio, decorrente dalla predetta data del 24 giugno 2013;
   tra le modalità un ruolo centrale riveste la trasparenza dell’iter di nomina, e quindi il profilo curricolare del soggetto nominato, nonché quello degli altri partecipanti alla procedura e le motivazioni sottese;
   a decorrere dalla sopra indicata data, il Ministero dell'economia e delle finanze ha proceduto alla nomina di svariati amministratori e sindaci ( tra gli altri, Fondo Italiano Investimenti, Finmeccanica, Eur Spa, Anas), in assenza dell'auspicata pubblicità dei dati curricolari, tanto dei nominati quanto dei partecipanti alla procedura –:
   se non ritengono urgente procedere alla pubblicazione sul sito del Ministero, dei profili curricolari dei soggetti nominati e degli altri che hanno presentato la candidatura, nonché delle motivazioni a sostegno della scelta operata. (4-01530)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il FIP è stato il primo fondo di investimento promosso dalla Repubblica italiana nell'ambito di un più ampio processo di dismissione di patrimonio pubblico promosso dal Ministero dell'economia e delle finanze attraverso il trasferimento/apporto di beni immobili a fondi comuni d'investimento immobiliare;
   il patrimonio comprende 254 immobili ad uso non residenziale, con una superficie lorda di quasi 3 milioni di metri quadrati ed una valore di mercato di quasi tre miliardi;
   secondo le stime del rendiconto 2012 la Sardegna avrebbe una partecipazione al patrimonio pari al 2,5 per cento;
   la strategia di base di FIP è la massimizzazione del valore e del reddito a lungo termine prodotti dal Compendio attraverso una gestione degli immobili in relazione al contratto di locazione e ai mercati di riferimento, allo scopo di procedere alla dismissione dell'intero compendio entro i termini previsti dalla durata del Fondo. La manutenzione del compendio risulta ridotta a specifiche attività come previsto dal contratto di locazione;
   nell'ambito del piano di dismissione risultano inseriti i seguenti immobili ricadenti nella regione Sardegna:
    Cagliari Via Sassari 3 – metri quadrati 406 reddito 64.670 euro;
    Cagliari Via Trieste 159 – metri quadrati 1.210 reddito 155.435 euro;
    Cagliari Via Nuoro 46 – metri quadrati 3.002 reddito 351.715 euro;
    Cagliari Viale A. Diaz 164 – metri quadrati 25.209 reddito 1.111.875 euro;
    Cagliari Via Antonio Lo Frasso 2 – metri quadrati 6.709 reddito 806.677 euro;
    Cagliari Via Ottone Bacaredda 27 – metri quadrati 6.284 reddito 667.125 euro;
    Cagliari Viale Cristoforo Colombo 40 – metri quadrati 2.195 reddito 221.240 euro;
    Iglesias (Cagliari) Via XX Settembre snc – metri quadrati 2.560 reddito 163.377 euro;
    Cagliari Via Santa Gilla snc – metri quadrati 5.216 reddito 469.710 euro;
    Cagliari Strada Statale 554 chilometro 1,600 – metri quadrati 7.112 reddito 569.552 euro;
    Nuoro Via Convento 7 – metri quadrati 385 reddito 19.403 euro;
    Nuoro Via Pietrino Guiso Pilo 1 – metri quadrati 2.836 reddito 111.187 euro;
    Sassari Via Rockfeller 68 – metri quadrati 15.421 reddito 1.406.863 euro;
    Sassari Via Roma 53 – metri quadrati 5.037 reddito 499.209 euro;
   l'intero patrimonio FIP in Sardegna ammonta a 83.582 metri quadrati;
   il canone annuo complessivo che lo Stato deve versare a FIP è pari a 6.618.038 euro;
   i contratti di affitto in essere vanno da una durata minima di nove ai diciotto anni;
   rispetto ai 14 immobili che lo Stato ha trasferito al Fondo Immobili pubblici per la loro vendita, alcuni risultano già messi in vendita, per i quali è stata individuata anche la società che in esclusiva deve procedere alla collocazione nel mercato e la conseguente vendita;
   tutti questi immobili, sia quelli già posti in vendita, quello venduto di Nuoro, e quelli inseriti nell'elenco del patrimonio del FIP non potevano in alcun modo essere ceduti a tale fondo e tantomeno potevano essere posti in vendita a terzi in quanto si tratta di una violazione dell'articolo 4 dello statuto autonomo della Sardegna;
   un atto di una gravità inaudita, non solo per l'ammontare del patrimonio che si è inteso sottrarre alla regione autonoma della Sardegna in virtù del proprio statuto ma anche e soprattutto per la violazione delle reiterate sentenze della Corte costituzionale in materia;
   un processo di dismissione che risulta ancor più grave perché posto in essere in modo surrettizio e subdolo, in assenza di qualsiasi trasparenza nell'adozione degli atti stessi;
   l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58 dispone:
    a) la regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo;
    b) i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della regione;
   la Corte costituzionale con sentenza n. 383 del 1991, in merito al ricorso proposto da altra regione a statuto speciale, la regione Valle d'Aosta, aveva sostenuto l'automatico passaggio dei beni alla stessa regione anche in virtù del seguente esplicito riferimento alla regione Sardegna: «Del resto l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) mentre stabilisce, al primo comma, che la regione, nell'ambito del suo territorio, succede allo Stato nei beni demaniali e, al secondo comma, che restano allo Stato i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale, da rilievo alla sopravvenienza, in quanto prevede che la detta causa di esclusione possa cessare, con l'effetto in tal caso che la successione si realizza, in un momento posteriore all'entrata in vigore dello statuto»;
   la Corte costituzionale nella stessa sentenza, per il bene militare le cui funzioni di difesa erano venute meno proprio dall'intenzione dello Stato di vendere il compendio, disponeva: «Va dunque dichiarato che non spetta allo Stato porre in vendita a privati, con l'impugnato avviso d'asta, l'immobile in questione, appartenendo questo al demanio della regione Valle d'Aosta»;
   le disposizioni contenute nei primi due commi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna di rango costituzionale dispongono che la regione succeda, nell'ambito del suo territorio, nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare, regola generale esplicitata nel primo comma;
   il secondo comma del citato articolo 14 introduce un'eccezione: la successione non avviene e i beni restano di proprietà dello Stato quando sono utilizzati (connessi) per servizi di pertinenza statale;
   l'eccezione, però, ha un limite ben preciso: l'utilizzazione deve essere attuale, di guisa che se tale utilizzo viene a cessare cade il presupposto della medesima eccezione ed i beni non più utilizzati ricadono nella regola generale e seguono la sorte degli altri beni statali e, cioè, la loro proprietà è trasferita «ope legis» alla regione;
   la chiara e univoca statuizione dell'articolo 14, secondo cui «i diritti patrimoniali connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato “finché duri tale condizione”» non può dare luogo a dubbi interpretativi;
   la congiunzione temporale «finché» attribuisce, infatti, un sicuro valore dinamico allo norma. Nel senso che transitano nel patrimonio regionale non solo i beni che, alla data di entrata in vigore dello statuto speciale, non erano più connessi a servizi statali, ma anche quelli la cui connessione sia venuta meno successivamente;
   l'applicazione di tale disposto si rileva nella nota n. 2/20680/10-1-20-20/89 dell'aprile 1989, quando l'allora Ministro della difesa, Zanone, comunicava al presidente della regione di aver impartito disposizioni agli organi tecnici della difesa, per l'avvio della procedura prevista per la cessione all'amministrazione finanziaria dei beni demaniali non più necessari alle Forze armate;
   il significato proprio dato dal legislatore alla norma porta sicuramente a dare rilievo alla sopravvenienza e, cioè, al sopravvenuto venir meno della connessione del bene con il servizio statale;
   tale sopravvenienza rappresenta il limite all'eccezione di cui al secondo comma dell'articolo 14 e fa, quindi, rivivere la regola generale della successione della regione Sardegna nella proprietà dei beni dello Stato;
   la cessazione della connessione dei beni immobili ai fini statali, come dispone la richiamata sentenza della Corte costituzionale, si è verificata proprio nel momento in cui l'amministrazione dello Stato ha posto in vendita o attivato forme di concessione e comodato a soggetti privati o pubblici del bene stesso;
   con riferimento alla regione Sardegna non esiste nessuna disposizione normativa che possa configurarsi come ostativa al trasferimento dei beni statali alla regione stessa, quando la «dismissione» avvenga in data successiva all'entrata in vigore dello statuto sardo;
   il Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere della terza sezione del 12 febbraio 1985, n. 158, ha espresso formale parere su richiesta del Ministero della difesa proprio sull'applicazione dello statuto sardo;
   l'organo consultivo in quel parere, – in estrema sintesi – si è pronunziato nel senso che l'articolo 14, secondo comma, dello statuto sardo stabilisce che i beni immobili connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato soltanto finché duri tale condizione, riconoscendo, così, allo Stato la funzione di uso e non anche di disposizione degli immobili stessi –:
   se non ritenga opportuno recedere dal passaggio di quel patrimonio ricadente nel territorio regionale della Sardegna alla FIP e provvedere contestualmente alla cessione dello stesso alla regione autonoma della Sardegna;
   se non ritenga di dover risarcire la regione autonoma della Sardegna per gli anni in cui quel patrimonio è risultato di fatto e formalmente dismesso dalla Stato ma non ceduto alla regione Sardegna in base all'articolo 4 dello Statuto;
   se non ritenga di dover attivare un'immediata verifica dell'intero patrimonio dello Stato in Sardegna e attivare le relative procedure per provvedere al suo trasferimento a quello della regione al fine di evitare ulteriori e reiterati tentativi di svendita dello stesso patrimonio;
   se non ritengano necessario avviare un'urgente e puntuale ricognizione dei beni ancora in capo allo Stato, e che non abbiano più alcuna funzione connessa con quelle originarie, per procedere ad una rapida cessione degli stessi alla regione autonoma della Sardegna in base ai dettati dello statuto autonomo della Sardegna, articolo 14, che si rammenta essere legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga di dover procedere con propria comunicazione a tutti i soggetti, in particolar modo all'Agenzia del demanio, che dispongono del patrimonio statali a rammentare la piena vigenza dell'articolo 14 dello statuto della regione autonoma della Sardegna. (4-01532)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel quadro della diffusa riduzione della rete consolare dovuta ai diversi provvedimenti assunti negli ultimi anni dal Ministero degli affari esteri, il consolato generale di Ginevra si segnala per una condizione di particolare congestione dell'attività amministrativa;
   questo consolato, dopo aver ereditato le funzioni di quello di Losanna, chiuso nel 2011, serve attualmente una collettività di italiani superiore a 108.000 residenti, destinata a crescere ulteriormente a seguito della recente decisione di accorpare a Ginevra l'agenzia consolare di Sion;
   il personale attualmente in servizio presso il consolato di Ginevra ammonta a 20 dipendenti, con un rapporto pro capite con l'utenza che, già prima dell'accorpamento dell'Agenzia consolare di Sion, arrivava a 5,419, un livello superato nel mondo solo dal consolato di Buenos Aires;
   in termini di comparazione nello stesso ambito geografico, nel consolato generale di Zurigo il rapporto addetti/utenti è inferiore di 700 unità;
   il numero dei dipendenti, entro il prossimo agosto, si ridurrà di due unità e non si sa entro quanto tempo esse potranno essere sostituite;
   nonostante la dedizione e la professionalità dimostrate dal personale, la congestione di lavoro tende a riversarsi sulla qualità del servizio, che è condizionata altresì dal tipo di sede utilizzata, che rende ancora più difficile lo svolgimento del lavoro e non garantisce la sicurezza del personale e del pubblico;
   l'ufficio passaporti, ad esempio, ospita nella stessa stanza di 40 metri quadrati quattro addetti che devono servire contemporaneamente un certo numero di utenti; nello stesso locale, poi, sono in funzione 24 apparecchiature elettroniche, con un esito di inquinamento acustico ed elettromagnetico che è facile immaginare;
   la struttura non dispone di una idonea sala di ricezione né di un ascensore per l'accesso agli uffici anagrafe, notarile, cittadinanza e scuole, ubicati ai piani superiori, con ovvie difficoltà e disagi per anziani e portatori di handicap;
   la mancanza di spazi rende problematica, se non fisicamente impossibile, l'acquisizione e l'archiviazione della documentazione proveniente dall'Agenzia consolare di Sion, a testimonianza del fatto che l'abolizione di sedi consolari, se non commisurata alle esigenze dei cittadini residenti e alla concreta organizzazione dei servizi crea spessa problemi di difficile soluzione –:
   se non intenda disporre, come gli stessi dipendenti del consolato richiedono, un'ispezione ministeriale volta ad accertare la veridicità delle situazioni rappresentate;
   se non preveda di favorire un'integrazione del numero degli addetti al consolato al fine di fronteggiare almeno le esigenze operative già esistenti e di prevedere un assetto organizzativo adeguato, in vista della non augurabile annessione dell'Agenzia di Sion;
   se non ritenga di programmare una più adeguata logistica affinché un consolato come quello di Ginevra, oggettivamente oberato da un eccezionale carico di lavoro, possa far fronte alle sue responsabilità verso gli utenti. (5-00795)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in questi giorni gli organi di informazione hanno dato risalto all'ipotesi di realizzazione di una discarica, in sostituzione di Malagrotta nel municipio Roma IX, nelle aree comprese tra la via Laurentina la via Ardeatina ed in particolare in località Selvotta e località Falcognana;
   tale circostanza ha determinato particolare allarme da parte della cittadinanza, dei comitati e delle associazioni del territorio per le ripercussioni che si possono avere;
   la vigente normativa europea, recepita dalla legislazione italiana, impone agli Stati membri processi progressivi di riduzione dei rifiuti;
   la stessa normativa indica come elemento determinante la limitazione al ricorso alle discariche per rifiuti;
   l'articolo 13 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti è che abroga alcune direttive, prevedendo che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all'ambiente ed in particolare:
    a) senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, la flora o la fauna;
    b) senza causare inconvenienti da rumori od odori;
    c) senza danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse;
   la Commissione europea ha già avviato nei confronti dell'Italia numerose procedure di infrazione riguardo la situazione di molte discariche presenti sul territorio nazionale;
   con la risoluzione n. 15/2012, approvata nella seduta del 2 agosto 2012, il consiglio del municipio IX ha già espresso l'assoluta contrarietà alla realizzazione di discariche di rifiuti nel territorio del municipio IX;
   il consiglio del municipio XII Eur, nella seduta del 21 marzo 2013, ha approvato all'unanimità l'ordine del giorno n. 2/2013 con cui è stato ribadita l'assoluta contrarietà alla realizzazione di discariche nel municipio e di altri tipi di impianti come quelli di compostaggio (richiesta in corso per via Canestrini);
   da quanto appreso da fonti giornalistiche, il commissario straordinario all'emergenza rifiuti del Lazio avrebbe incluso all'interno del piano la possibilità di realizzare una discarica per rifiuti e/o impianto per trattamento dei rifiuti nel quadrante Laurentina Ardeatina;
   gran parte del quadrante è stato sottoposto, nel gennaio 2010 a vincolo paesaggistico con la «dichiarazione di notevole interesse pubblico», emessa dal Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dell'articolo 136 decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modifiche, con decreto ministeriale del 25 gennaio 2010;
   gran parte dell'area in oggetto è ricompresa all'interno del parco regionale di Decima – Malafede, istituito con legge regionale n. 29 del 6 ottobre del 1997;
   nell'area sono presenti siti di altissimo pregio, quali, l'area monumentale del santuario del Divino Amore, nonché aree archeologiche e dimore storiche di valore;
   nel territorio del municipio Roma IX e specialmente nelle sue aree più periferiche sono già operanti numerose discariche: due a Porta Medaglia, due in via Ardeatina, una a Fioranello, una a Selvotta, nonché diversi recuperi ambientali tra via Laurentina e Santa Palomba ed una enorme discarica di rifiuti pericolosi a Falcognana;
   nei territori limitrofi, è presente la discarica di Albano, il previsto inceneritore del Roncigliano e la discarica di amianto di Pomezia;
   si ricorda la presenza nell'area di forti concentrazioni di gas radon che ha reso necessario un monitoraggio del gas sia indoor che outdoor avviato dopo l'approvazione dell'ordine del giorno n. 2 del 2010 collegato alla seduta di consiglio municipale del 4 febbraio 2010;
   vi sono numerosi insediamenti abitativi di decine di migliaia di cittadini nelle immediate adiacenze ai siti interessati (Castel di Leva, Divino Amore, Falcognana, Spregamore, Selvotta, Monte Migliore, Colle dei Pini, Santa Palomba, Santa Fumia, Palazzo Morgana, Paglian Casale);
   è in corso l'attuazione di diversi toponimi per il recupero delle periferie (alcuni già approvati ed altri in via di approvazione);
   vi è inoltre la presenza di importanti aziende agricole e vinicole;
   vanno tenute presenti le condizioni particolarmente critiche della viabilità del quadrante Ardeatina-Laurentina che è già al collasso ed è inadeguato a sopportare un ulteriore aggravio di traffico pesante;
   nello specifico:
    la via Laurentina a causa dei lavori di ampliamento fermi da un anno e mezzo, è in condizioni disastrate ed è motivo di continui incidenti, la via Ardeatina, unica senza svincolo a quadrifoglio del GRA, con un manto stradale pessimo da dicembre 2012 ha un divieto di transito per i mezzi pesati oltre i 3,5 metri di altezza e alle 6,5 tonnellate di peso (ordinanza della Provincia di Roma n. 35/2012);
    nel Municipio Roma IX è stata avviata la raccolta differenziata di rifiuti cosiddetta «porta a porta», unica soluzione percorribile per l'incremento dei livelli di riciclo e recupero dei materiali e presupposto per la costruzione di un ciclo virtuoso dei rifiuti;
    lo sforzo richiesto ai cittadini per la realizzazione della raccolta differenziata mal si concilia con le difficili conseguenze che derivano dalla presenza sul medesimo territorio di un sito di stoccaggio dei rifiuti;
    è necessario modificare l'approccio alla tematica dei rifiuti e, pertanto, superare la logica emergenziale attraverso un'ampia e approfondita pianificazione del ciclo dei rifiuti fondato sui principi di trasparenza, pubblicità e inclusione;
    lo stato di grande agitazione sociale tra la popolazione dei quartieri Selvotta, Schizzatilo, Trigona, Monte Migliore, Spregamore, Falcognana, Santa Fumia, Castel Di Leva, Santa Palomba rischia di innescare situazioni di pericolo per l'ordine pubblico –:
   se il Governo intenda chiarire in maniera inequivocabile, che nessuna discarica sarà autorizzata nel territorio del Municipio Roma IX.
(2-00174) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   MANNINO e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con legge n. 71 del 24 giugno 2013, si è realizzata la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, recante, tra l'altro, misure di contrasto ad emergenze ambientali e specificamente all'articolo 2 norme per evitare l'interruzione del servizio di raccolta e gestione dei rifiuti urbani nel territorio di Palermo;
   in relazione a tale legge, durante l’iter di conversione nella seduta n. 38, di venerdì 21 giugno 2013, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/01197/048 a prima firma della deputata Mannino che impegna il Governo «ad adottare ogni idoneo provvedimento volto a privilegiare il completamento e/o la realizzazione dell'impianto di selezione di Partanna Mondello, dell'impianto di trattamento degli sfabricidi dell'edilizia e dell'impianto di trattamento del percolato entrambi previsti all'interno della discarica di Bellolampo»;
   in data 26 giugno 2013, il commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3887/2010 come prorogata sino al 31 dicembre 2013 decreto-legge n. 43 del 2013, dottor Marco Lupo ha presentano domanda di Autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) al dipartimento acqua e rifiuti dell'assessorato regionale energia e servizi di pubblica utilità della regione Sicilia, diretto dal medesimo dottor Marco Lupo, per i «Progetti degli impianti della piattaforma logistica per la gestione integrata dei rifiuti sita in località Bellolampo del comune di Palermo» relativi alla gestione, stoccaggio e recupero dei rifiuti;
   in particolare, detta istanza riguarda, tra l'altro, «la realizzazione e la gestione di un impianto di biostabilizzazione aerobica previo trattamento di tritovagliatura e selezione del rifiuto per una capacità massima di 1000 tonn/giorno»;
   l'istanza richiamata a firma del commissario dottor Marco Lupo è assolutamente coerente con la relazione tecnica, recante il progetto definitivo predisposto dal medesimo commissario relativamente alla Realizzazione di un impianto per il trattamento meccanico biologico della frazione residua di rifiuti solidi urbani (RSU), in cui si prevede la produzione di CSS (combustibile solido secondario, pagine 9 e 10 del documento) che ha come unica logica conseguenza l'incenerimento dello stesso, dato che si tratta di un combustibile ad alto potere calorifero che in quanto tale non può, per legge, andare in discarica ma solo finire in inceneritori o cementifici;
   la stessa relazione richiamata prevede a pagina 33, paragrafo 6.3 relativo alla sezione di trattamento meccanico che «tale frazione troverà collocazione per i seguenti utilizzi: recupero di energia presso termovalorizzatori; invio ad impianti di recupero per la produzione di CDR; smaltimento in discarica»;
   in data 17 luglio 2013 il Movimento 5 Stelle, nella persona del deputato dell'Assemblea regionale siciliana, Giorgio Ciaccio, denunciava che, in base a quanto risultava dai documenti prodotti dal dipartimento della protezione civile Sicilia, nella discarica di Bellolampo è prevista la realizzazione di un inceneritore;
   in particolare nel verbale del 3 gennaio 2013, acquisito in forza di un accesso agli atti realizzato dal deputato Ciaccio, relativo alla «realizzazione degli impianti e delle infrastrutture di completamento della piattaforma integrata di Bellolampo» si può leggere come il responsabile unico del procedimento «rappresenta la necessità di determinare un quadro planimetrico dell'intera piattaforma di Bellolampo (...) individuando anche un'area per la localizzazione di un impianto di valorizzazione termica del rifiuto residuale da TMB» (le cosiddette ecoballe). In un verbale di qualche giorno prima, il responsabile unico del procedimento precisa che «l'impostazione progettuale (...) produrrà una frazione residuale secca che (...) dovrà essere inviata ad un impianto di valorizzazione energetica (esempio pirolisi o altro) da prevedere anche nell'ambito della medesima piattaforma di Bellolampo per il completamento del ciclo»;
   in data 19 luglio il commissario Marco Lupo, a mezzo stampa, ha smentito la circostanza che sia previsto un impianto di termovalorizzazione o pirolisi tra i progetti per la piattaforma di Bellolampo, a Palermo, in particolare ha detto categoricamente che «i termovalorizzatori non sono previsti a Bellolampo, non sono previsti nel piano regionale e la Regione siciliana non intende ritornare a discutere di questo argomento che ritiene definitivamente superato»;
   quanto affermato a mezzo stampa dal dottor Lupo lascia impregiudicata la questione sulla destinazione delle ecoballe (CDR o CSS) che verranno prodotte dal nuovo impianto di Bellolampo;
   la realizzazione e la gestione di un impianto di «biostabilizzazione aerobica previo trattamento di tritovagliatura e selezione del rifiuto per una capacità massima di 1000 tonn/giorno» risulta essere del tutto sproporzionata rispetto alle necessità di un impianto che prevedesse un serio e sistematico ampliamento del ciclo della raccolta differenziata dei rifiuti;
   la capacità massima di trattamenti pianificata per l'impianto di tritovagliatura costruendo è pari all'attuale tonnellaggio/giorno di rifiuti indifferenziato conferito (con una raccolta differenziata ferma al 6 per cento circa);
   il combustibile solido secondario (CSS) si utilizza con finalità il recupero energetico (energia elettrica e/o termica) prevalentemente nei cementifici (nessun impianto in Sicilia ha l'autorizzazione AIA necessaria), inceneritori (la regione Sicilia ne è sprovvista) e centrali termoelettriche (non è conveniente per la quasi totalità degli impianti perché non è un buon combustibile, sporca la camera e il camino e ha bisogno di notevole combustibile per essere bruciato e mantenere la temperatura di servizio);
   le abnormi dimensioni dell'impianto di tritovagliatura da costruire sono accompagnate dall'assenza di un verosimile programma di smaltimento delle ecoballe prodotte –:
   se non ritenga urgente intervenire, per quanto di competenza, per verificare la rispondenza dell'attività pianificatoria del commissario agli obiettivi fissati dal Governo, modificando gli interventi previsti affinché le risorse destinate alla realizzazione del sovradimensionato impianto di tritovagliatura e biostabilizzazione siano destinate prioritariamente all'ampliamento ed al miglioramento degli impianti e delle attrezzature per la raccolta differenziata, attualmente ferma al 6 per cento.
(5-00801)


   GRIMOLDI e RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'abitato di San Maurizio al Lambro è stato colpito in passato da diverse alluvioni e le più disastrose si sono verificate nel 1976 e nel 2002, mettendo a durissima prova i cittadini;
   attualmente sono in corso i lavori per la messa in sicurezza delle sponde del Lambro a San Maurizio; tali lavori rappresentano un singolo lotto di un progetto più ampio e mettono in sicurezza solamente la parte a monte dell'abitato di San Maurizio al Lambro; i tempi di realizzazione dei rimanenti lotti non sono tutti noti;
   il Lambro è in allerta con livello di allarme arancione; a creare tanta preoccupazione tra i cittadini sono i lavori di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria dell'intero complesso della diga di Pusiano, tra la provincia di Como e quella di Lecco;
   la diga è essenziale per la prevenzione delle ondate di piena del Lambro; durante tutta la durata del cantiere il Cavo Diotti resterà chiuso e il deflusso delle acque in determinate condizioni meteorologiche avverrà unicamente attraverso il Lambro;
   da quanto stimano gli ingegneri idraulici interessati alle opere, in caso di piena, 6.720 mila metri cubi di acqua si scaricherebbero a valle in modo incontrollato e ciò potrebbe provocare un'alluvione di almeno un metro d'acqua a San Maurizio, raggiungendo anche le zone di Cologno;
   l'allarme per i lavori sulla diga si aggiunge a quello già in atto dallo scorso anno per i lavori della messa in sicurezza delle sponde del Lambro a San Maurizio; il progetto prevede la realizzazione di un argine sulla riva sinistra del fiume a tutela di un'area adibita a deposito peraltro priva di abitazione o edifici con permanenza di persone;
   appena a valle di detta area è presente il ponte di via San Maurizio;
   tale sovrappasso al corso d'acqua provoca una sorta di vasca di laminazione che attenuerebbe l'impatto della forza dell'acqua sul ponte immediatamente a valle nel caso di importanti eventi di piena a cui il corso d'acqua è periodicamente soggetto;
   l'arginazione del fiume a monte del ponte, in caso di forti precipitazioni, causerebbe un aumento della velocità delle acque e quindi una maggiore potenza delle stesse che si riverberebbero poi sull'abitato di San Maurizio al Lambro e sulla stabilità del ponte stesso;
   l'argine già presente crea un'area golenaria (o vasca di esondazione) artificiale. All'arrivo della piena e riempita la vasca, le acque ritornano nell'alveo prima del Ponte di San Maurizio;
   in caso di piena, all'altezza del ponte autostradale, l'acqua eccedente devierebbe nella Roggia Molinara, la quale si ricongiunge al fiume prima del ponte di San Maurizio;
   tra gli interventi da attuare si prevede l'innalzamento degli argini a livello della strada con lastricatura della sponda sinistra fino al ponte di San Maurizio, al fine d'impedire la fuoriuscita nei campi di Brugherio;
   in caso di piena, all'altezza del ponte di San Maurizio arriverà sicuramente una quantità d'acqua superiore alla portata stessa del ponte. La portata del ponte è fissa, e quindi all'arrivo dell'acqua ci sarà un innalzamento del livello del fiume e conseguentemente lo scavalcamento del ponte stesso. Dal momento che il ponte è collocato nella parte più alta di San Maurizio e le vie si districano con forte pendenza in discesa, la conseguenza sarà l'inondazione completa di tutto l'abitato di San Maurizio al Lambro;
   la ragione del probabile disastro risiede nel fatto che l'opera è stata divisa in lotti separati, quindi si tratta di interventi parziali e non lotti funzionali. In teoria sono già stati previsti interventi correttivi a valle del ponte, che tuttavia hanno tempi di realizzazione differenti e posticipati. Nell'attesa che gli altri interventi a valle del ponte di San Maurizio siano portati a realizzazione, l'arginazione del fiume espone la popolazione a rischi molto elevati di esondazione;
   l'aggiunta dei lavori della diga di Pusiano che obbligano la chiusura del Cavo Diotti aggravano seriamente la situazione di allarme;
   sebbene le statistiche ufficiali delle esondazioni descrivano un tempo di ritorno dell'esondazioni di circa 20 anni, le mutate condizioni climatiche globali rendono tale stima non reale dato che le esondazioni, negli ultimi anni, avvengono più di frequente;
   si sollevano seri dubbi sulla circostanza che il progetto dell'arginatura del fiume, peraltro attuato per lotti separati, tuteli di fatto la sicurezza e l'incolumità fisica dei cittadini di San Maurizio al Lambro;
   una valutazione del progetto prevede l'arginatura del fiume Lambro a monte del ponte di via San Maurizio; si ritiene che potrebbe essere migliorativo per la situazione del bacino fluviale evitare l'arginatura della riva sinistra del fiume a monte del ponte e considerare l'area adiacente –:
   se non si ritenga opportuno intervenire per avviare un accurato approfondimento circa le perplessità sollevate in premessa e, nel caso, assumere iniziative di competenza, anche per il tramite della autorità di bacino del Po, per procedere all'interruzione immediata dei lavori di arginatura del fiume in questione e, comunque, garantire la sicurezza dei cittadini. (5-00802)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da notizie di stampa che alle 3:00 del 29 luglio 2013, un carico di materiale nucleare sarebbe stato trasportato dal centro ENEA della Trisaia di Rotondella, in provincia di Matera, all'aeroporto militare di Gioia del Colle dove un aereo americano ha provveduto a trasferirlo in America;
   le operazioni sarebbero state autorizzate dagli organi italiani preposti in accordo con le istituzioni americane competenti e si sarebbero svolte con l'ausilio di centinaia di agenti di pubblica sicurezza che avrebbero scortato il materiale pericoloso lungo il tragitto sulla strada statale 106 Jonica;
   le operazioni si sono svolte senza alcun coinvolgimento dei territori e delle autonomie locali interessati e senza che gli stessi fossero informati dei fatti;
   è necessario verificare quale materiale sia stato trasportato e le modalità del trasporto, anche al fine di tranquillizzare le popolazioni che vivono e operano attorno al centro ENEA di Trisaia, da tempo preoccupate delle condizioni di conservazione del materiale radioattivo e che sono interessate a conoscere l'avanzamento dell'attività di messa in sicurezza annunciate negli anni scorsi per elevare gli standard di salvaguardia dei lavoratori e dell'ambiente –:
   quali siano gli standard di sicurezza adottati nel prelievo e nel trasporto del materiale radioattivo. (5-00803)


   ZAN, PLACIDO, DURANTI, PANNARALE, FRATOIANNI, SANNICANDRO, MATARRELLI, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'impianto Itrec, situato all'interno del Centro di ricerca Enea-Trisaia di Rotondella, in provincia di Matera, sono stoccati materiali nucleari risalenti agli anni ’60. Si tratta di 64 elementi di combustibile irraggiato del ciclo uranio-torio che arrivarono dal reattore americano Elk River (Minnesota), e che non possono seguire la via del riprocessamento, perché non esistono al mondo impianti industriali in grado di ritrattare questo tipo di combustibile;
   la Sogin (Società gestione impianti nucleari – società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi), come si legge nel sito internet della società medesima, è a tutt'oggi impegnata a ricercare e a supportare ogni iniziativa per il trasferimento del suddetto combustibile;
   l'11 luglio 2012, la Sogin preannunciava l'istanza generale di disattivazione per l'Itrec di Trisaia;
   nella notte tra il 28 e il 29 luglio scorsi, si è proceduto a un trasferimento di materiale nucleare dalla suddetta centrale di Trisaia di Rotondella (Matera) verso l'aeroporto militare di Gioia del Colle-Bari, e scortato da circa 300 rappresentanti delle forze dell'ordine;
   il trasferimento è peraltro avvenuto nella massima segretezza, e senza alcun coinvolgimento dei territori e delle istituzioni interessate, con la conseguente giusta protesta delle comunità e degli amministratori locali. Fatto ancora più grave in quanto i cittadini lucani hanno sempre chiesto un pieno e autentico coinvolgimento nelle attività di decommissioning dell'impianto nucleare della Trisaia;
   peraltro allo stato attuale non risulta ancora che il Governo abbia dato alcuna risposta agli interrogativi e alle legittime preoccupazioni dei cittadini su questa oscura vicenda –:
   di quali elementi disponga il Ministro con riferimento alla sicurezza ambientale del trasporto di tale materiale, al tipo di materiale nucleare che è stato trasferito e se gli sia noto chi abbia autorizzato tale trasporto, per quali ragioni e verso quale destinazione. (5-00804)


   BORGHI, SPERANZA, FOLINO, ANTEZZA, BRATTI, MARIANO e CENNI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto ITREC è un impianto nucleare, situato nel centro di ricerca Enea Trisaia di Rotondella (MT) e utilizzato per la conservazione e la sperimentazione del ritrattamento del combustibile nucleare;
   l'impianto ha ricevuto negli anni Settanta svariati elementi di combustibile provenienti dal reattore americano «Elk-River» al fine di effettuarne il ritrattamento;
   alla fine degli anni Ottanta le decisioni governative sull'annullamento del programma energetico nucleare italiano hanno determinato l'annullamento dei programmi relativi alle operazioni di trattamento;
   la Sogin spa società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività industriali ha rilevato l'esercizio dell'impianto al fine di attuarne la disattivazione e lo smantellamento, limitandone le funzioni alla gestione delle materie nucleari presenti e dei rifiuti radioattivi;
   si è appreso da notizie di stampa che la notte fra il 28 e il 29 luglio 2013, alle 3 e 10, un carico di materiale radioattivo è partito dal centro Enea – Trisaia di Rotondella ed è stato consegnato all'aeroporto militare di Gioia del Colle intorno alle 6;
   circa 300, tra operatori della Guardia di finanza, dell'Arma dei carabinieri e della polizia di Stato, hanno scortato il carico e presidiato gli svincoli di Matera, Santeramo, Gioia del Colle e la statale 106 Jonica nei tratti interessati al trasferimento –:
   quali siano le finalità, la natura del materiale e le modalità del trasferimento dal Centro ITREC di Rotondella all'aeroporto militare di Gioia del Colle, con particolare riferimento agli aspetti di sicurezza ambientale di tale trasporto e quali siano le condizioni di fatto del sito ITREC di Rotondella a seguito della suddetta operazione. (5-00805)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, TERZONI, ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, BUSTO, SEGONI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   più di 70 fusti tossici contenenti nichel e molibdeno non sono stati recuperati a fronte degli oltre 200 dispersi il 17 dicembre 2012, dalla portacontainer Venezia della Grimaldi al largo di Gorgona, nel cosiddetto santuario dei cetacei;
   nei fusti dispersi e non ancora recuperati sono contenute oltre 12 tonnellate di nichel e molibdeno. Si tratta di metalli altamente tossici che – se rilasciati nell'ambiente e trasportati dalle correnti – inquinerebbero, se già non lo stanno facendo, un vastissimo tratto di mare, causando un disastro di proporzioni inimmaginabili, destinato a fare sentire i propri effetti per molti anni. Con conseguenze economiche altrettanto devastanti;
   nichel e molibdeno finirebbero inevitabilmente nella catena alimentare di uomini e animali, con ulteriori costi dal punto di vista sanitario e sociale;
   tali fusti tossici sembrerebbero, però, destinati a restare in mare, lasciando quindi in grave pericolo di disastro ambientale i fondali del Tirreno centrale, una delle aree marine protette più importanti d'Europa, innescando una vera bomba ad orologeria che potrebbe avere effetti devastanti sia per la sopravvivenza degli abitanti del mare, sia per la salute dei cittadini;
   all'ex Ministro Clini sono state consegnate oltre 4000 firme di cittadini che richiedono che i fusti siano rimossi;
   i timori espressi dai cittadini sono da considerarsi più che legittimi oltre che condivisibili;
   i danni causati alla biodiversità marina avrebbero ripercussioni anche sulle attività turistiche e sulla balneazione;
   esistono sofisticati sistemi di indagine subacquea con strumentazioni idonee che consentono di identificare e recuperare oggetti a profondità superiori a quelle che si riscontrano nelle acque circostanti la Gorgona;
   la navigazione in pieno santuario dei cetacei dovrebbe essere maggiormente controllata, soprattutto se si trasportano sostanze tossiche, considerando gli obblighi previsti dagli accordi internazionali dei 3 Paesi contraenti che hanno istituito il santuario –:
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, così come appreso dai mezzi stampa, non intenda proseguire le ricerche, in quale modo intenda intervenire per evitare una catastrofe ambientale e garantire con ogni strumento il prosieguo della ricerca dei fusti per quanto complessa essa possa essere;
   se si intenda provvedere immediatamente a regolamentare in modo più rigido i trasporti di sostanze potenzialmente tossiche e dannose per l'ambiente, prevedendo rigidi protocolli tesi a garantire la sicurezza di tutto l'ecosistema e della biodiversità. (5-00806)


   MANNINO, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, NESCI e NUTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base alla direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, vengono classificati di importanza comunitaria i siti che, nella regione biogeografica di appartenenza, contribuiscono in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale in uno stato di conservazione soddisfacente e che possono, inoltre, contribuire in modo significativo alla coerenza della rete ecologica «Natura 2000»;
   la direttiva 92/43/CEE, all'articolo 4, prevede che la Commissione – sulla base degli elenchi trasmessi dagli Stati membri – adotta un elenco dei siti di importanza nei quali si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari, e che, di seguito, lo Stato membro deve riconoscere questi siti come zone speciali di conservazione, il più rapidamente possibile ed entro un termine massimo di sei anni, e assoggettarle alle misure di conservazione necessarie;
   la direttiva 92/43/CEE e il regolamento recante attuazione della stessa direttiva (decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357) prevedono che qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative sulle zone speciali di conservazione – singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti – forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza, sulla base delle risultanze della quale, le autorità nazionali competenti autorizzano la realizzazione dello stesso piano o progetto, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica;
   le norme comunitarie e nazionali sopracitate stabiliscono anche, che le regioni devono comunque assicurare opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali all'interno dei siti di importanza comunitaria inseriti negli elenchi proposti dagli Stati membri alla Commissione;
   all'interno del sito di interesse comunitario (Codice SIC ITA090010) denominato «Isola Correnti, pantani di Pineta Pilieri, chiusa dell'Alga e Parrino» – inserito nell'elenco dei siti di interesse comunitario della regione biogeografica mediterranea approvato dalla Commissione europea con decisione del 19 luglio 2006 – è stata rilasciata una concessione per l'apertura di un nuovo stabilimento balneare con annessi servizi bar e ristorazione sulla spiaggia antistante l'isola delle Correnti;
   l'assessorato regionale territorio e ambiente (Servizio 5 demanio marittimo) ha rilasciato la concessione demaniale n. 36 del 2013 per la realizzazione della struttura in questione, sulla base dei pareri e dei relativi nulla osta rilasciati dal comune di Porto Palo, dalla provincia di Siracusa, e dalla soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Siracusa, dalla capitaneria di porto, e dalla polizia doganale competenti;
   nella concessione, si richiama un parere della soprintendenza ai beni culturali e ambientali (Protocollo n. 5665 del 3 aprile 2012) che – da quanto risulta dagli esposti alla procura della Repubblica di Siracusa presentati dal comitato regionale Legambiente Sicilia – è stato reso esclusivamente per la stagione balneare 2012;
   il piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, approvato con decreto assessorile n. 970 del 10 giugno 1991, comprende la riserva naturale di «Isola delle Correnti» e dunque le aree comprese all'interno della stessa riserva sono soggette alle norme di salvaguardia di cui alla legge regionale;
   l'area all'interno della quale è stato realizzato lo stabilimento balneare, è assoggettata alla disciplina del piano paesaggistico della provincia di Siracusa adottato dalla regione con D.A. n. 98 del 2012, e risulta classificata con un livello di tutela 3;
   in base alla legge regionale vigente in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali (legge regionale 29 novembre 2005, n. 15), le attività e le opere consentite sul demanio marittimo, possono essere esercitate e autorizzate solo in conformità alle previsioni di appositi piani di utilizzo delle aree demaniali marittime, ma il comune di Porto Palo non ha ancora predisposto, adottato e trasmesso alla regione, per la sua approvazione, detto Piano, e dunque la concessione in questione è stata rilasciata in mancanza di uno strumento complessivo di gestione della fascia costiera ricadente all'interno di quel comune;
   nel servizio «Furti di mare», trasmesso all'interno dell'edizione del 21 luglio 2013 di «Speciale Tg1», a proposito del rilascio della concessione, vengono mostrate delle immagini dalle quali risulta che la struttura in legno amovibile sia appoggiata a strutture di fondazione in cemento ubicate a circa 1 metro dalla duna;
   nello stesso servizio giornalistico, il sindaco di Porto Palo ha dichiarato che l'amministrazione, per il profilo urbanistico di competenza comunale, ha espresso parere positivo in considerazione del fatto che la struttura è in legno ed è completamento amovibile, e che è stata condivisa una valutazione di incidenza ambientale;
   nel corso dello stesso servizio, è stata mostrata una copia della stessa valutazione di incidenza ambientale priva di data e di riferimenti di protocollo –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se, e in che modo, ritengano compatibile la realizzazione e la gestione dello stabilimento balneare in questione con le misure di conservazione che devono essere adottate per evitare il degrado degli habitat naturali presenti all'interno dei siti di importanza comunitaria;
   se – in che modo e con quali tempi – intendano procedere al riconoscimento del sito di importanza comunitaria «Isola Correnti, pantani di Pineta Pilieri, chiusa dell'Alga e Parrino» quale «Zona di conservazione speciale», affinché siano finalmente adottati le misure di conservazione e un piano di gestione appropriati alla straordinaria unicità del sito;
   su quali basi la capitaneria di porto abbia considerato ammissibile tale intervento. (5-00811)


   MANNINO, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, NESCI e NUTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base alla direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, vengono classificati di importanza comunitaria i siti che, nella regione biogeografica di appartenenza, contribuiscono in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale in uno stato di conservazione soddisfacente e che possono, inoltre, contribuire in modo significativo alla coerenza della rete ecologica «Natura 2000»;
   la direttiva 92/43/CEE, all'articolo 4, prevede che la Commissione – sulla base degli elenchi trasmessi dagli Stati membri – adotta un elenco dei siti di importanza nei quali si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari, e che, di seguito, lo Stato membro deve riconoscere questi siti come zone speciali di conservazione, il più rapidamente possibile ed entro un termine massimo di sei anni, e assoggettarle alle misure di conservazione necessarie;
   la direttiva 92/43/CEE e il Regolamento recante attuazione della stessa direttiva (decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357) prevedono che qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative sulle zone speciali di conservazione – singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti – forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza, sulla base delle risultanze della quale, le autorità nazionali competenti autorizzano la realizzazione dello stesso piano o progetto, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica;
   le norme comunitarie e nazionali sopracitate stabiliscono anche, che le regioni devono comunque assicurare opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali all'interno dei siti di importanza comunitaria inseriti negli elenchi proposti dagli Stati membri alla Commissione;
   all'interno del sito di interesse comunitario (Codice SIC ITA 02009) denominato «Cala Rossa e Capo Rama» – che è inserito nell'elenco dei siti di interesse comunitario della regione biogeografica mediterranea che, con decisione del 19 luglio 2006, è stato approvato dalla Commissione europea – è stata installata una struttura, denominata «Solarium», adibita a ristorante, punto di ristoro e di somministrazione di cibo e bevande e intrattenimento notturno;
   il costone roccioso di Cala Rossa, sul quale si trova la struttura in questione, è stato individuato, anche, come geosito e risulta inserito nell'inventario nazionale dei geositi dell'ISPRA, e nel piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico (P.A.I.) dell'area territoriale tra Punta Raisi e il bacino del fiume Nocella e del bacino idrografico del fiume Nocella ed area territoriale tra il bacino del fiume Nocella e il bacino del fiume Jato, è interessato da fenomeni di crollo lungo la falesia costiera;
   in data 29 maggio 2012 l'assessorato regionale territorio e ambiente (servizio 5 demanio marittimo) ha rilasciato alla società DUEGGI s.r.l. una concessione demaniale, per la durata di anni sei, avente come oggetto l'area di 2.995,6 metri quadrati – sottostante piazzale Terzo Millennio – per l'installazione della struttura in argomento;
   ai fini del rilascio della concessione, l'ufficio del piano di sviluppo economico del territorio e l'ufficio urbanistico del comune di Terrasini hanno espresso parere tecnico favorevole e, successivamente al rilascio della concessione, hanno autorizzato, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la realizzazione della struttura;
   la soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Palermo – chiamata a rendere il parere di competenza ai fini del rilascio della concessione – sebbene consideri l'area non antropizzata e ne riconosca il particolare pregio faunistico, con nota del 19 dicembre 2011, ha approvato il progetto ritenendolo compatibile con la valenza paesaggistica dei luoghi;
   nelle more del procedimento per il rilascio della concessione, l'ufficio circondariale marittimo di Terrasini della guardia costiera, con ordinanza 22/2012, ha comunicato che diversi tratti di costa a ridosso di falesie, nella zona di Terrasini, sono interdetti per pericolo di frane, tra cui anche quello di cui alla SIC ITA-02009;
   nel corso dello stesso procedimento, il gestore della contigua riserva naturale orientata «Capo Rama» ha prodotto osservazioni dalle quali si evince la pericolosità del progetto, e ha espresso parere negativo;
   in base alla legge regionale vigente in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali (legge regionale 29 novembre 2005, n. 15), le attività e le opere consentite sul demanio marittimo, possono essere esercitate e autorizzate solo in conformità alle previsioni di appositi piani di utilizzo delle aree demaniali marittime, ma il comune di Porto Palo non ha ancora predisposto, adottato e trasmesso alla regione, per la sua approvazione, detto Piano, e dunque la concessione in questione è stata rilasciata in mancanza di uno strumento complessivo di gestione della fascia costiera ricadente all'interno di quel comune;
   nel servizio «Furti di mare», trasmesso all'interno dell'edizione del 21 luglio 2013 di «Speciale Tg1», a proposito del rilascio della concessione, l'autore del servizio dice «è importante avere un tecnico di fiducia che firma una valutazione di incidenza ambientale con parere positivo» –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se, e in che modo, la realizzazione e la gestione di una struttura per la ristorazione e la somministrazione di cibo e bevande sul costone roccioso di Cala Rossa, possano essere considerate compatibili con le misure di conservazione che devono essere adottate per evitare il degrado degli habitat naturali presenti all'interno dei siti di importanza comunitaria;
   se – in che modo e con quali tempi – ritenga possibile pervenire al riconoscimento del sito di importanza comunitaria «Cala Rossa e Capo Rama» quale «Zona di conservazione speciale» in modo tale da poter dotare il sito stesso, e in particolare il costone roccioso di «Cala Rossa» di misure di conservazione e di un piano di gestione appropriati alla straordinaria unicità del luogo;
   quale seguito abbia avuto la segnalazione della guardia costiera in merito ai pericoli di frane che potrebbero compromettere l'ammissibilità di tali progetti.
(5-00812)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'episodio verificatosi lo scorso 27 luglio a Venezia, in cui si è rischiata la collisione tra una nave da crociera e una banchina del canale di San Marco, conferma come i rischi e i pericoli provenienti dal passaggio dei traghetti superiori a 500 tonnellate adiacenti le coste o addirittura il transito nelle aree più pregiate del Paese, nonostante la tragica esperienza del naufragio della nave da crociera Costa-Concordia, siano tuttora presenti ed evidenti stante i livelli di pericolosità che derivano;
   il decreto interministeriale 2 marzo 2012 recante: «Disposizioni generali per limitare o vietare il transito delle navi mercantili per la protezione di aree sensibili nel mare territoriale» cosiddetto «decreto-rotte», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 7 marzo 2012, n. 56, che obbliga le grandi navi da crociera a tenersi a due miglia dalle aree protette, stabilendo altresì che l'autorità marittima potrà variare il nuovo limite per assicurare l'accesso e l'uscita dai porti e per garantire la sicurezza della navigazione, nella realtà non ha avuto pieno compimento in considerazione di quanto precedentemente esposto;
   il passaggio tuttora consentito da parte delle navi da crociera che proseguono il transito nel canale San Marco a Venezia, per offrire ai turisti l'emozione di avvicinarsi il più possibile al campanile fra i più famosi al mondo, conferma infatti come il provvedimento entrato in vigore nel marzo del 2012, in realtà sia scarsamente efficiente in considerazione che il dispositivo entra nella pienezza dei suoi poteri soltanto quando sia individuata un'alternativa;
   a giudizio dell'interrogante appare urgente e necessario intervenire al fine di garantire sia la salvaguardia dell'ecosistema lagunare, che la sicurezza delle località abitative, presso le quali transitano in entrata e in uscita le navi da crociera la cui grandezza rischia di determinare gravi danni all'incolumità del territorio e degli individui –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano urgente e necessario, avviare ogni iniziativa al fine di rendere pienamente operative le disposizioni previste dal decreto ministeriale citato in premessa, posto che i ritardi e le deroghe previste rischiano di provocare danni anche irreparabili, come la tragedia del naufragio della Costa-Concordia ha purtroppo dimostrato. (4-01513)


   GINATO, CRIMÌ, SBROLLINI e MORETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   alcune situazioni particolarmente gravi, se confermate, dal punto di vista dell'inquinamento ambientale sono state portate a conoscenza dell'opinione pubblica, creando allarme e preoccupazione. In particolar modo la recente inchiesta sul sottofondo della Valdastico sud e il rilevamento di sostanze potenzialmente inquinanti in alcuni pozzi della provincia necessitano di interventi chiarificatori e risposte certe;
   per quanto riguarda il caso A31 Sud, un esposto presentato dall'associazione Medicina democratica e dall'Associazione italiana esposti amianto ha dato il via all'inchiesta seguita dalla direzione antimafia di Venezia che il 22 luglio conferirà l'incarico ai periti per l'analisi del terreno. Nel documento presentato dalle associazioni si denuncia un presunto inquinamento delle falde sotto il cantiere dell'A3 Sud causato dalla presenza di materiale tossico, in particolare rifiuti di acciaieria;
   sulla questione inquinamento delle acque, in base a recenti rilevamenti, la concentrazione di sostanze perfluoro-alchiliche in alcune zone del vicentino, sarebbe molto alta, si registrano infatti 1500 nanogrammi per litro a Brendola, Sarego e Lonigo, mentre in un pozzo del capoluogo si sfiorano i 2000. Non esiste in Italia una normativa che regoli con severità la presenza di tali sostanze nell'acqua, tali prodotti ad oggi sono infatti esclusi dalle tabelle delle sostanze inquinanti. La pericolosità di queste sostanze è in corso di accertamento. Nonostante il vuoto normativo italiano, esiste una Raccomandazione comunitaria del 2010 che chiede di monitorarne la presenza negli alimenti poiché tali sostanze sono associabili a un ampio spettro di effetti sulla salute. La Germania si è dotata di una normativa severa che fissa un tetto di 100 nanogrammi per litro. In questo preoccupante contesto, le sedi Arpav hanno un ruolo essenziale per monitorare e scongiurare le minacce alla salute dei cittadini e all'ambiente –:
   se, per la questione Valdastico Sud, il Ministro stia monitorando gli sviluppi dell'inchiesta e se in merito alla stessa intenda avviare verifiche sulla regolarità delle procedure di realizzazione dell'opera;
   se, per quanto riguarda l'inquinamento dei pozzi, sia a conoscenza del vuoto normativo sopra descritto e se non intenda intervenire fissando rigidi parametri nonché ponendo in essere azioni di messa in sicurezza e controllo delle acque. (4-01521)


   LUIGI GALLO, ALBERTI, D'INCÀ, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, DE LORENZIS, TOFALO, TERZONI, SPESSOTTO, PARENTELA, BECHIS, NICOLA BIANCHI, BRUGNEROTTO e AGOSTINELLI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Terzigno (NA) è ricompreso all'interno del territorio del Parco nazionale del Vesuvio-Riserva MAB-UNESCO dal 1997 (dunque area destinata a presentare la conservazione delle specie animali e vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche di formazioni paleontologiche di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici di processi naturali, di equilibri idraulici ed idrogeologici, di equilibri ecologici, nonché allo scopo di promuovere tutta una serie di attività di educazione, formazione, ricerca, restauro, e altro);
   nel 2008, proprio quest'area a mezzo della legge n. 123, veniva individuata come sede «ideale» di una discarica, sita in località Pozzelle, successivamente tristemente nota quale «Cava Sari», inaugurata nel maggio 2009 e chiusa perché stracolma, soltanto tre anni dopo, nel maggio 2012;
   nel corso degli anni, nonostante comitati cittadini e consiglieri comunali abbiano più volte richiesto informazioni circa la natura dei rifiuti interrati nella «Cava Sari», nessuna chiara e ufficiale risposta e giunta né dal commissariato gestione rifiuti, né dalla società affidataria della discarica, la ASIA Napoli spa, né tantomeno dal comune di Terzigno;
   la Asia Napoli spa in una nota del 12 luglio 2010, relativa ai monitoraggi effettuati ex decreto legislativo 36 del 2003 dei pedometri presso l'impianto di discarica Cava Sari, rendeva noto agli enti preposti il superamento delle concentrazioni superiori ai limiti consentiti dalla legge nella falda acquifera di elementi quali nichel, zinco, PCB, cadmio, aldrin, benzo(a)pirene ed altri, che avrebbero comportato un gravissimo e palese inquinamento della falda acquifera;
   con nota prot. N. 2415/SP del 25 ottobre 2010, la regione Campania convocava un tavolo tecnico presso la prefettura di Napoli per l'avvio di un piano di monitoraggio ambientale della discarica;
   sulla scorta di tale convocazione il comune di Terzigno incaricava un proprio tecnico di fiducia di assistere al prelievo di campioni di acqua tratte dai pozzi «spia» posti a monte e a valle della discarica Sari e, altresì, di relazionare sui risultati delle analisi effettuate dai tecnici dell'ARPAC;
   da tali analisi emergevano, nella falda acquifera, il superamento delle concentrazioni superiori ai limiti massimi consentiti di sostanze quali ferro, manganese, fluoruri, nichel, zinco, PCB e cadmio, diossine, prodotti derivanti da idrocarburi, pesticidi, cadmio, nichel ed altri;
   poche di queste sostanze possono essere riconducibili ed attribuibili alla natura geomorfologica vulcanica, tutte le altre sono di certo frutto di contaminazione causata dallo smaltimento scellerato dei rifiuti, scellerato sia nella scelta del luogo (Parco nazionale del Vesuvio) sia nelle modalità di trattamento dei rifiuti;
   con nota del 1o febbraio 2011, la Direzione Generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiedeva ai gestori della discarica di adottare entro 20 giorni idonei interventi di messa in sicurezza d'emergenza delle acque di falda contaminate a valle della discarica Cava SARI, sita nel comune di Terzigno, in località Pozzelle;
   da ciò si evince che le falde acquifere di Terzigno sono contaminate e che ciò è già noto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   vale la pena ricordare i disastrosi effetti che dette sostanze, accumulandosi nei terreni coltivati e nelle falde acquifere destinate all'irrigazione ed al consumo, possono avere sulla salute delle persone: patologie dei reni, ossa e sangue, disturbi della crescita, danni allo scheletro, carenze riproduttive, tumori al fegato, alla prostata ed ai polmoni, disturbi permanenti se si è fortunati, altrimenti mortali;
   a ciò si aggiunga che la discarica, allo stato, viene gestita dalla società Ecodeco srl, gruppo A2A, che ne cura la captazione dei biogas, ma la popolazione locale lamenta la cattiva gestione di tale impianto dal quale provengono continui miasmi, che costringono i residenti a rifugiarsi in casa, ben serrando porte e finestre, in ragione della presenza di una coltre di vapori sulla discarica;
   i danni causati dalla «Cava Sari» sono molteplici: la presenza di oltre 500 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati all'interno del Parco nazionale del Vesuvio, l'inquinamento di acqua, terreno e aria, l'aumento concreto di patologie tumorali tra la popolazione residente nella zona;
   ad oggi, l'unico «provvedimento» che è stato preso per tutelare la salute della popolazione residente nella zona consta all'interrogante che sia stato l'invito da parte del comune di Terzigno a non utilizzare l'acqua proveniente da detta falda né per il consumo quotidiano né per l'irrigazione delle colture;
   è evidente come si renda necessario, stante la gravità e l'emergenza della questione, un intervento diretto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché si faccia chiarezza sulla corretta gestione della discarica Cava Sari sita in Località Pozzelle, sul rispetto delle norme vigenti in materia di smaltimento dei rifiuti da parte dei gestori, anche a mezzo dell'ausilio del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) per la vigilanza e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente;
   è, altresì, evidente come si renda necessario, stante la gravità e l'emergenza della questione, un intervento diretto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché si prenda contezza dello stato dei luoghi e del reale inquinamento dei terreni, delle acque e dell'aria e, soprattutto, affinché nei luoghi suddetti vengano adottati tutti gli idonei e necessari interventi di messa in sicurezza delle aree inquinate per la tutela del salute delle popolazioni residenti –:
   Se e quali urgenti e improrogabili controlli del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenderà disporre per accertare i suesposti fatti e le eventuali condotte tenute in violazione delle leggi e in danno della salute della popolazione locale ed anche se e quali misure d'emergenza finalizzate alla messa in sicurezza e/o bonifica delle aree contaminate il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenderà prendere per salvaguardare la salute dei cittadini e degli abitanti delle zone limitrofe a Cava Sari a tutela della salubrità dell'acqua, del terreno e dell'aria. (4-01522)


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la valutazione di impatto ambientale è una procedura che si effettua in via preventiva, per individuare, descrivere e valutare gli effetti diretti ed indiretti sull'ambiente (inteso come fauna, flora aria, suolo, acque, clima e paesaggio) di un progetto, di un'opera o di un intervento siano essi pubblici o privati. L'autorità competente per l'espletamento delle procedure di VIA viene individuata in base alla rilevanza del progetto da realizzare e valutando quale amministrazione pubblica (lo Stato, la regione o la provincia) sia titolare della maggior parte dei procedimenti autorizzativi, o comunque dei più significativi in campo ambientale. Il proponente l'intervento presenta la domanda all'autorità competente, che alla fine del procedimento emette l'atto finale di valutazione;
   il presidente della conferenza delle regioni Vasco Errani, in seguito anche ad una specifica richiesta della regione Marche, ha sollecitato un intervento normativo del Governo centrale sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale 93/2013;
   le regioni chiedono, del resto, che le procedure di impatto ambientale vengano uniformate su tutto il territorio nazionale;
   la sentenza 93/2013 della Corte Costituzionale che interviene in materia di valutazione di impatto ambientale ha dichiarato l'illegittimità di disposizioni regionali emanate in attuazione alla disciplina statale della VIA, definita dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e tuttora applicata in ampia parte del Paese, sulla base di norme comunitarie a cui lo stesso Stato non si è ancora adeguato;
   la sentenza crea seri problemi poiché analoghi progetti saranno assoggettati a differenti regimi normativi in materia di VIA in ragione del territorio regionale in cui dovranno essere realizzati, determinando disparità di trattamento e generando così una situazione di grande incertezza giuridica –:
   se sia intenzione del Governo evitare lo scenario di cui sopra, con un urgente intervento legislativo statale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, finalizzato ad uniformare l'applicazione della normativa sulle procedure di valutazione di impatto ambientale in tutto il territorio nazionale. (4-01523)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   BATTELLI, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA e D'UVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una delibera commissariale della SIAE, datata 15 novembre 2011, in presunta conformità al mandato presidenziale di risanamento economico della società, ha modificato il Fondo di solidarietà, interrompendo dall'oggi al domani l'erogazione degli assegni di professionalità dell'importo di 615 euro mensili;
   gli autori italiani avevano acquisito il diritto agli assegni di professionalità, accantonando i loro soldi versati negli anni con il 4 per cento dei proventi maturati;
   da decenni gli autori considerano i sussidi erogati dal Fondo di solidarietà un diritto acquisito, sul quale contare per compensare in età avanzata la mancanza di regolari entrate da lavoro – comunque precario ad ogni età – o l'assenza di pensione, a volte impossibile da ottenere per la difficoltà di raggiungere i requisiti per l'accesso alle prestazioni previdenziali;
   la condizione di insicurezza economica riguarda la stragrande maggioranza dei beneficiari del Fondo di solidarietà e, con la firma della delibera, il loro diritto ad un sostegno economico, per altro piccolo, è stato totalmente cancellato con effetto immediato. Con esso la polizza assicurativa collettiva collegata al Fondo;
   si tratta di autori di musica, teatro, radio, cinema, televisione, ma anche di vedove e orfani di professionisti che hanno fatto la storia della cultura e dello spettacolo italiani; ci sono anziani e disabili; alcuni sono personaggi noti ancora sulla cresta dell'onda, tanti sono coloro in prossimità di uscire dal mercato del lavoro;
   gli «artisti», si erano organizzati attraverso la Siae, che tratteneva una percentuale dai diritti d'autore costituendo un Fondo di solidarietà, alimentato in maniera più consistente dai più fortunati, per garantire un piccolo assegno mensile per gli anni più difficili, perché il mestiere dell'autore è fatto di alti e bassi; in tal modo sono riusciti ad accantonare ben 87 milioni di euro; considerato che il fondo che si erogava ammontava a circa 10 milioni di euro all'anno, erano disponibili fondi per la copertura di 9 anni, anche sufficienti nella gradualità per eventuali allargamenti della platea dei richiedenti;
   inoltre, gli autori criticano duramente che sia la sola gestione commissariale a decidere il nuovo utilizzo dei circa 87 milioni del Fondo di solidarietà, in quanto questi soldi, frutto del versamento di una percentuale dei diritti di ogni autore (il 4 per cento) e di ogni editore (il 2 per cento), a scopo solidaristico, debbano essere per decisione commissariale solo parzialmente usati a tale scopo e per il resto genericamente utilizzati a «favore degli autori»;
   sarebbe senz'altro più opportuno che spettasse a chi, per imposizione statutaria, ha versato questi soldi, decidere se chiederne la restituzione o stabilirne un differente e dettagliato utilizzo;
   pur comprendendo e condividendo le finalità di «risanamento e rifondazione» della SIAE contenute nel mandato presidenziale e concordando che il regolamento del Fondo vada riformato per non contravvenire alle leggi normative delle casse previdenziali, si contesta l'affermazione della gestione commissariale che l'erogazione dei sussidi, una volta estesa a tutti gli autori professionisti, non sia sostenibile dal Fondo stesso e dunque dannosa per la SIAE;
   la questione è stata a lungo vagliata da un comitato di autori ed esperti, in precedenza incaricato della stesura di un nuovo regolamento per il Fondo; regolamento oggi non accettato dagli organi di vigilanza, nonostante i loro rappresentanti seduti nel consiglio di amministrazione, per anni abbiano condiviso le discussioni sull'argomento senza mai sollevare eccezioni di illegittimità;
   sarebbe auspicabile che si tenga conto delle indicazioni fornite da questo regolamento, efficace in senso economico e rispettoso della finalità di mutua assistenza, per cui autori più fortunati offrono sostegno a colleghi professionisti, nella comune consapevolezza che si tratta di un lavoro precario e sempre suscettibile di alterne fortune; in attesa, ovviamente, che anche per gli autori arrivi finalmente il tempo di una legge che ne garantisca ammortizzatori sociali e welfare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione esposta in premessa e di come intendano adoperarsi affinché venga annullata la delibera relativa al Fondo di solidarietà e sia restituita validità al vigente regolamento finché organi sociali democraticamente eletti non provvedano tempestivamente alle modifiche più opportune, anche perché la SIAE ritorni al più presto alla gestione ordinaria, durante la quale le esigenze e i diritti degli autori vengano rispettati. (4-01507)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   LIUZZI, DE LORENZIS, TERZONI, TOFALO, BUSTO, DAGA, SEGONI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, BRESCIA, D'AMBROSIO, ALBERTI, SCAGLIUSI, CARIELLO, CASO, D'INCÀ, CASTELLI, FRUSONE, RIZZO, BASILIO, PESCO e ARTINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla denuncia del blog Toghe lucane dei giornalisti Nicola Piccenna e Ivano Farina e successivamente alle dichiarazioni degli aderenti dell'associazione No Scorie Trisaia, i quali hanno visto transitare sulla SS106 Jonica il convoglio con al seguito blindati delle forze dell'ordine, un tir motrice e due mezzi dei vigili del fuoco «di cui uno particolare», si apprende di un presunto trasporto di materiale radioattivo dal Centro Itrec di Trisaia di Rotondella verso l'aeroporto militare di Gioia del Colle con destinazione finale ignota avvenuta alle 3,10 della notte tra il 28 ed il 29 luglio 2013, con un imponente schieramento di forze dell'ordine, circa 300 tra poliziotti, carabinieri e finanzieri;
   a detta dell'interrogante, si tratterebbe dell'ennesimo allarme sociale generato in Basilicata dalla presenza del centro Itrec della Sogin, sito all'interno del centro di ricerca Enea di Rotondella in Basilicata, che contiene materiali radioattivi di seconda e terza categoria. La terza categoria è il livello più pericoloso nella gestione sia per lo stoccaggio che, in caso di contaminazione, per fuoriuscita di materiale radioattivo. Per le scorie di terza categoria, nessun Paese al mondo è ancora riuscito a trovare una soluzione definitiva e l'unico progetto di deposito geologico in profondità, studiato per molti decenni e Yucca Mountain, nel Nevada, è stato abbandonato. Neppure la strategia ipotizzata negli anni novanta, limitata ad un deposito superficiale temporaneo, si è rivelata realizzabile finora;
   nel centro di Rotondella sono presenti 84 barre di uranio-torio che, negli anni tra il 1969 e il 1971, ai sensi di un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano, giunsero dal reattore di Elk River, nel Minnesota (Stati Uniti d'America) all'allora Cnen, oggi Itrec. Occorre ricordare che la presenza delle barre americane ha, fra l'altro, impedito ogni ipotesi di trasformazione della struttura in un centro universitario di studi e di ricerca;
   l'impianto Itrec, ormai inattivo da molti anni, ha svolto attività di ritrattamento di combustibile nucleare irraggiato e presso di esso vengono attualmente svolte, oltre alle operazioni di mantenimento in sicurezza, operazioni propedeutiche alla disattivazione e alla sistemazione dei rifiuti radioattivi. Tra tali attività rientra il condizionamento di una soluzione acida di nitrati di uranio e torio (prodotto finito) fortemente radioattiva, risultante dal trattamento di 20 elementi di Elk River e di una soluzione nitrica di uranio-torio non irraggiata derivante da prove nucleari;
   i menzionati 64 elementi di combustibile irraggiato (ciclo uranio-torio) Elk River, constatata la non disponibilità da parte degli USA a riacquisirne la proprietà e la mancanza di impianti industriali adatti al riprocessamento di questo tipo di combustibile (come riferito nella risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 4/04942, presentato nella XVI legislatura, il 5 aprile 2011, presso il Senato della Repubblica) sono contenuti in una piscina all'interno dell'Itrec e raffreddate con acqua;
   a detta dell'interrogante, se il trasferimento non previsto di materiali ha riguardato sostanze radioattive, non può essere ignorato il rischio grave che sia avvenuta una perdita importante di acque contaminate delle piscine che raffreddano le barre di Elk River;
   la cittadinanza lucana e calabrese da tempo chiede di essere informata circa i rischi che la struttura di stoccaggio può generare soprattutto in relazione alla facilità con cui si propagherebbe un'eventuale contaminazione radioattiva;
   ai sensi dell'articolo 130 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, recante «Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom e 2006/117/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti», la popolazione che rischia di essere interessata dall'emergenza radiologica viene informata e regolarmente aggiornata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in caso di emergenza radiologica. Ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, si prevede che informazioni dettagliate siano rivolte a particolari gruppi di popolazione in relazione alla loro attività, funzione e responsabilità nei riguardi della collettività nonché al ruolo che eventualmente debbano assumere in caso di emergenza;
   secondo l'interrogante, sulla base di quanto precedentemente riportato, è evidente che le norme sopra citate non siano state assolutamente rispettate nel contesto della pianificazione dei trasferimenti di materiali avvenuti nel centro Itrec –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano assumere riguardo ai fatti di cui in premessa, alla luce dell'allarme che si sta diffondendo presso la popolazione a causa della mancanza di chiarezza ed informazione su quanto accaduto nella notte tra il 28 ed il 29 luglio 2013;
   se siano stati rispettati tutti i protocolli di sicurezza a tutela dell'ambiente e del territorio, qualora un carico di materiali sia stato effettivamente trasferito dal centro Itrec verso l'aeroporto militare di Gioia del Colle;
   quali iniziative si intenda intraprendere per assicurare la piena informazione e documentazione sul materiale presente, stoccato e trattato nell'impianto, ivi compresa la situazione e il destino delle barre di Elk River, al fine di garantire che la struttura non generi rischi per la salute e per l'ambiente;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover urgentemente valutare la possibilità di restituzione agli Stati Uniti d'America delle barre provenienti dalla centrale di Elk River, come già avvenuto in passato per i centri Itrec di Trino Vercellese e di Saluggia. (3-00253)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILOZZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la VI comunità montana del Velino, nell'alto Lazio consta di nove comuni (Accumoli, Amatrice, Antrodoco, Borbona, Borgo Velino, Castel Sant'Angelo, Cittareale, Micigliano, Posta) ed ha un territorio di circa 721 chilometri quadrati. Per continuità territoriale può esservi associato altresì il comune di Leonessa, avente un territorio di circa 204 chilometri quadrati, pur se facente parte della comunità montana del Montepiano reatino;
   il controllo del territorio è affidato principalmente alla compagnia dei carabinieri di Cittaducale con stazioni presenti anche ad Accumoli, Amatrice, Antrodoco, Borbona e Leonessa;
   eccezion fatta per i comuni di Antrodoco, Borgo Velino, Castel Sant'Angelo e Micigliano, che si trovano ad una distanza accettabile dalla sede del comando di compagnia (inferiore ai 30 chilometri) e raggiungibili in tempi celeri, gli altri comuni (Accumoli, Amatrice, Borbona, Cittareale, Posta e Leonessa) sono situati a distanze notevoli dalla sede del comando di compagnia e molte frazioni si trovano ad altitudini che superano i 1000 m dal livello del mare;
   si tratta di borghi montani con una densità di popolazione residente molto bassa e con età media avanzata, molti dei quali nel periodo invernale risultano completamente svuotati mentre nella stagione estiva triplicano gli abitanti;
   negli ultimi tempi, specialmente durante la stagione invernale, tali borghi sono stati oggetto di numerose azioni criminose da parte di malfattori. Le cronache locali riportano quasi tutti i giorni di furti nelle abitazioni, furti con scasso, sottrazione di materiale ferroso o rame, così come «semplici» razzie nei negozi di alimentari o nelle farmacie. Non è stato risparmiato nemmeno il cimitero comunale del centro di Accumoli, dove a sparire è stata la campana della chiesa. Un manufatto in bronzo pesante molte decine di chili, asportato e trafugato con maestria;
   situazione analoga vivono le zone contigue ed antropologicamente e geologicamente affini dell'Alta Valle del Tronto e dell'Alta Valle dell'Aterno, pur se politicamente facenti parte rispettivamente delle Marche e dell'Abruzzo;
   la presenza di direttrici stradali, importanti come la Salaria o la Picente, consentono ai malfattori vie di fuga in ogni direzione. Come dimostrano gli arresti compiuti dai carabinieri, si tratta di persone residenti sulla costa abruzzese;
   per controllare adeguatamente paesi e centri abitati occorrerebbero almeno il doppio delle forze presenti oggi nelle caserme locali, come pure maggiori mezzi a disposizione. A poco servono le installazioni di telecamere ed antifurti –:
   se non ritenga opportuno e necessario potenziare il controllo del territorio dell'alto reatino, in particolare dei comuni di Accumoli, Amatrice, Borbona, Cittareale, Posta e Leonessa (637 chilometri quadrati), da parte delle forze dell'ordine attraverso l'istituzione di un comando di compagnia dei carabinieri nel comune di Amatrice, così da favorire la prevenzione e la repressione dei fenomeni criminosi. (5-00794)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBERTI, BASILIO, PAOLO BERNINI, RIZZO, FRUSONE, ARTINI e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   presso la direzione generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa è stato istituito con decreto ministeriale 5 marzo 2010 il Gruppo di lavoro permanente sulla ottimizzazione energetica dei siti del Ministero della difesa;
   tale gruppo di lavoro denominato GLOE costituisce il referente unico del comitato di indirizzo strategico sulla ottimizzazione energetica dei siti del Ministero della difesa in materia di energia;
   il comitato di indirizzo strategico, secondo gli indirizzi del Ministro della difesa, concorre alla definizione della strategia di base e del quadro programmatico delle iniziative relative all'ottimizzazione energetica nel comparto difesa, promuove attività di armonizzazione per l'individuazione delle aree cui destinare le opere di approvvigionamento strategico dell'energia, fornisce consulenza sulle proposte di adeguamento delle normative regolamentari di settore;
   il gruppo di lavoro permanente rappresenta lo strumento operativo di cui si è dotato il Comitato di indirizzo strategico per perseguire lo sviluppo del settore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili mediante utilizzo razionale ed efficace delle risorse immobiliari disponibili. Esso fornisce supporto tecnico per la definizione del quadro strategico e programmatico relativo all'acquisto e alla produzione nonché per tutte le attività connesse al contenimento dei consumi;
   individua le soluzioni più economiche ed efficaci per la stipula e l'aggiornamento dei canoni di approvvigionamento di energia da parte di enti, comandi e unità della difesa;
   elabora ed aggiorna compatibilmente con le esigenze operative degli Stati maggiori delle forze armate la mappatura delle aree e dei siti idonei alla realizzazione di impianti di produzione, definendo per ciascuno di essi la tipologia e le potenzialità produttive degli impianti stessi;
   promuove lo sviluppo di specifici progetti di impianti di produzione da realizzare attraverso l'individuazione di promotori ovvero in forma diretta;
   promuove lo sviluppo di attività di audit energetico degli edifici in uso alla difesa e dei relativi progetti di efficientamento;
   fornisce consulenza sulle proposte di adeguamento delle normative regolamentari di settore, nonché per le esigenze ed i compiti connessi all'attività del comitato;
   propone gli schemi tipo di intese, accordi e altri atti negoziali di interesse con operatori pubblici o privati;
   vigila sullo svolgimento degli iter procedimentali degli atti negoziali in corso di perfezionamento;
   fornisce al Comitato un servizio specialistico in campo energetico relativamente ai meccanismi di incentivazione per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e da impianti di cogenerazione, ivi incluse le modalità e le condizioni di accesso agli stessi;
   la legge n. 99 del 23 luglio 2009 «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», ha individuato per il Ministero della difesa una serie di opportunità per agevolare gli interventi di riqualificazione e valorizzazione energetica degli immobili militari. Nello specifico, all'articolo 27 della citata legge n. 99 del 2009: il Ministero della difesa (ovvero un soggetto terzo mandatario dello stesso) può usufruire dello scambio sul posto per impianti alimentati da fonti rinnovabili di qualsiasi potenza (anche superiore a 200 kWp), senza tener conto dell'obbligo di coincidenza tra il punto di immissione dell'energia prodotta ed il punto di prelievo dell'energia consumata. Tale opportunità è prevista unicamente per il Ministero della difesa;
   in merito all'attività di consulenza sulle proposte di adeguamento delle normative regolamentari di settore, il gruppo di lavoro ha proposto un emendamento, tramite l'ufficio legislativo del gabinetto del Ministro, sul Nuovo conto energia 2011 (decreto ministeriale 6 agosto 2010), che disciplina l'incentivazione sulla produzione di energia elettrica mediante impianti fotovoltaici, al fine di prevedere un incremento dell'incentivo per la realizzazione di impianti fotovoltaici in sostituzione di coperture contenenti amianto: tale emendamento è stato approvato ed inserito nel Nuovo conto energia;
   dal resoconto del Gruppo di lavoro permanente sull'ottimizzazione energetica «GLOE» pubblicato sul sito del Ministero della difesa si evince che tra le attività future dello stesso saranno predisposti:
    il supporto tecnico gare impianti fotovoltaici su coperture e su superfici a terra;
    sopralluoghi congiunti presso fabbricati oggetto di valorizzazione;
    individuazione coperture e superfici a terra idonee all'installazione di impianti fotovoltaici;
    richieste agli enti dell'AD disponibilità di coperture ed aree a terra;
    effettuazione convenzione impianti FV lotto 2 –:
   quali siano gli esiti prodotti dal GLOE con particolare attenzione a:
    risultati ottenuti in termini di energia (termica e/o elettrica) risparmiata a fronte di interventi di efficientamento energetico, quali ad esempio l'isolamento delle facciate, la sostituzione di centrali termiche o la sostituzione di corpi illuminanti, e quindi al netto degli interventi di realizzazione di impianti da fonte rinnovabile;
    il costo di investimento e il bilancio economico di ciascun intervento svolto;
    risparmio economico ottenuto a fronte dell'attività di individuazione di soluzioni economiche per l'approvvigionamento energetico;
   se l'incarico al sopracitato gruppo di lavoro GLOE che come statuito dal decreto ministeriale 5 marzo 2010 avrebbe dovuto concludere le proprie attività il 31 dicembre 2010, sia stato successivamente prorogato;
   per quale ragione sia prevista unicamente per il Ministero della difesa l'opportunità di non dover tener conto dell'obbligo di coincidenza tra il punto di immissione dell'energia prodotta ed il punto di prelievo dell'energia consumata, in quale misura si sia fatto ricorso a tale trattamento e che benefici abbia prodotto. (4-01510)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 6 agosto 2012 il Ministero dell'economia e delle finanze ha pubblicato sul portale del federalismo fiscale le prime stime relative, tra le altre, all'aggiornamento del gettito annuale dell'IMU sulla base dei versamenti in acconto di giugno 2012;
   a giudizio di molti comuni le stime pubblicate non sembrerebbero in alcun modo confortate dagli incassi contabilizzati con la prima rata di giugno essendo, in molti casi, più del doppio di quest'ultima;
   il dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell'economia e delle finanze ha successivamente diffuso (31 maggio 2013) le nuove quantificazioni del gettito dell'IMU 2012 ad aliquota di base, unitamente alle conseguenti rettifiche delle attribuzioni del Fondo di sperimentale di riequilibrio (o dei trasferimenti statali, per i comuni delle regioni a statuto speciale);
   la revisione delle stime del gettito Imu ad aliquota di base è stata effettuata, come disposto dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 383), utilizzando, oltre che i pagamenti IMU comprensivi del saldo di dicembre, i dati relativi ai regimi di imposta deliberati dai singoli comuni raccolti e classificati dall'IFEL;
   purtroppo, la fruttuosa collaborazione tra ANCI, IFEL e Ministero dell'economia e delle finanze si è interrotta su due questioni che rimaste sostanzialmente irrisolte;
   la prima è nello scostamento tra l'ammontare complessivo della stima dell'IMU standard, valutata dal Ministero dell'economia e delle finanze in 12.252 milioni di euro, e il gettito standard effettivamente incassato, pari a circa 11.703 milioni di euro (-549 milioni di euro). Lo scostamento comprende, per un importo di oltre 300 milioni di euro, il gettito virtuale dell'IMU sugli immobili di proprietà comunale che non può in alcun modo essere considerato una risorsa sulla quale operare variazioni «compensative» a favore dello Stato;
   la seconda riguarda la differenza tra la provvisoria valutazione ISTAT dell'ICI 2010 – adottata dal Governo ai fini della quantificazione delle compensazioni ICI-IMU – e la valutazione revisionata dall'ISTAT nel maggio 2012, più elevata per ben 464 milioni di euro. La non considerazione del nuovo ammontare dell'ICI comporta per il comparto dei comuni una perdita complessiva di 464 milioni di euro;
   questa diversa impostazione ha comportato, a livello di singolo comune, delle variazioni inattese del fondo al ribasso che, a bilancio 2012 chiuso, condizionano l'equilibrio dell'esercizio 2013;
   proprio nel momento in cui l'Istat comunica una caduta del prodotto interno lordo si operano ulteriori tagli su enti che potrebbero essere, invece, un necessario volano per lo sviluppo –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per superare le criticità sopracitate ed evitare una ulteriore penalizzazione del comparto degli enti locali.
(2-00172) «Taricco, Oliverio, Giulietti, Mongiello, Carrescia, Guerra, Carra, Rughetti, Gribaudo, Biondelli, Antezza, Iacono, Terrosi, Valiante, Narduolo, Senaldi, Bruno, Parrini, Pastorino, Petrini, Rampi, Vazio, Borghi, Carbone, D'Ottavio, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Bratti, Cenni, Crimì, Gutgeld, Bolognesi, Giacobbe, Martelli, Montroni».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO e RUGHETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come noto, molti comuni, pur avendo subito i pesanti effetti del taglio dei trasferimenti statali, sono riusciti, con molte difficoltà e con il contributo dei cittadini, che hanno dovuto farsi carico della crescente pressione fiscale locale, a mantenere in ordine i propri bilanci e addirittura ad accantonare risorse per investimenti in opere di primario interesse;
   tra queste realtà, si segnala la particolare situazione del comune di Asolo (Treviso) che, fin dagli anni ’70, con gli ormai famosi decreti Stammati e con l'introduzione del cosiddetto criterio della «spesa storica» e la conseguente determinazione delle erogazioni statali sulla base della spesa sostenuta negli anni precedenti, ha subito per oltre 35 anni una significativa penalizzazione, senza che mai si sia proceduto all'alleggerimento del divario che si è venuto a determinare con altre amministrazioni comunali di pari fascia demografica;
   per avere un'idea di quanto esposto, basti pensare che nel 2003 i trasferimenti statali corrispondevano ad appena 138,47 euro pro-capite, ridotti nel 2007 a 94,37 euro a pro capite, mentre nel 2012 lo Stato intende addirittura recuperare per l'asserito maggior gettito IMU versato dai cittadini di Asolo un importo pari ad euro 259.873,52;
   tale condizione appare particolarmente penalizzante ed iniqua, in quanto il Comune di Asolo, dopo aver ricevuto minori risorse rispetto a comuni di pari dimensione per oltre 30 anni, ed essere quindi ricorso alla tassazione dei propri cittadini per autofinanziarsi, oggi si vede penalizzato perché i tagli conseguenti alle pesanti manovre economiche dal 2008 ad oggi sono stati lineari, cioè fatti in modo generalizzato e indistinto tra tutti gli enti locali;
   è in grave ritardo l'attuazione dei principi e criteri previsti dal federalismo fiscale, in particolare l'applicazione dei fabbisogni standard con la parametrazione dei costi dei servizi resi a livelli generali di efficienza ed economicità delle amministrazioni;
   nonostante la descritta penalizzazione derivante dal combinato disposto della spesa storica e dai tagli lineari e stanti le attuali difficoltà economiche, il comune di Asolo, che conta attualmente circa 9.000 abitanti, attraverso la valorizzazione delle proprie risorse, è riuscito ad accumulare una somma tale da consentirgli di realizzare un nuovo plesso unico scolastico per la scuola primaria, dove concentrare tutti gli alunni delle attuali quattro sedi nelle frazioni, con ricadute positive nei prossimi anni in termini di qualità del servizio scolastico, efficienza della gestione e riduzioni di spesa;
   il progetto, approvato in via definitiva nel 2007 dall'allora amministrazione comunale, è divenuto un obiettivo primario dell'Amministrazione in carica anche a seguito dei recenti eventi sismici che hanno colpito varie parti della penisola, per mettere in sicurezza gli alunni del Comune di Asolo, che risulta essere uno tra quelli a più alto rischio sismico;
   a tal fine l'ente ha ottenuto nel 2007 (DGR 2397 del 31.07.2007) un finanziamento regionale di 923.165,55 euro a fronte di una spesa di 2.780.000,00 euro per la realizzazione di un primo stralcio funzionale, con 20 aule oltre a spazi comuni e di servizio, per accogliere tutti e 4 i plessi esistenti;
   la realizzazione del primo stralcio ha incontrato delle difficoltà notevoli in quanto i lavori, appaltati nel 2008, sono stati oggetto di ordine di sospensione in data 24 agosto 2009 da parte del direttore lavori, nonché di risoluzione contrattuale nei confronti dell'appaltatore inadempiente (DGC 235 del 16 settembre 2009). A seguito del contenzioso insorto tra le imprese e l'amministrazione comunale, i lavori sono stati sospesi per un lungo periodo; parte delle risorse sono state poi utilizzate per far fronte ai lavori di riparazione della struttura in legno che è rimasta per quasi due anni allo scoperto;
   attualmente sono in via di conclusione i lavori riappaltati e l'Amministrazione ha già pagato importi per oltre 2.700.000,00 euro mentre ne restano da finanziare ulteriori 570.000 euro circa per poter completare i lavori relativi al 1° stralcio funzionale, ovvero il blocco dei servizi igienici; i controsoffitti dei corridoi e delle aule; i pavimenti, rivestimenti e battiscopa; le porte interne e tagliafuoco; i pavimenti su marciapiedi esterni; il completamento degli impianti elettrici, idrotermosanitario, antincendio; l'allacciamento dei sottoservizi; l'intonachino di finitura esterna;
   la quantità delle opere non realizzate e il considerevole costo è giustificato, in parte, per le spese che si sono dovute sostenere nell'ambito dei lavori di riparazione e ripristino delle struttura a seguito della risoluzione contrattuale e del conseguente blocco prolungato del cantiere, e, in parte, per delle migliorie apportate al progetto in corso d'opera;
   con ulteriori due stralci successivi si prevede di completare in seguito l'intero edificio scolastico, di complessivi 5.300 metriquadri;
   pur disponendo delle correlative risorse, grazie ad una dismissione del patrimonio dell'Ente (nel Conto di tesoreria del comune di Asolo vi sono oltre 5 milioni di euro), le regole del patto di stabilità impediscono tuttavia al Comune di Asolo di procedere con tale investimento utilizzando le risorse già conseguite, attualmente depositate, in forma infruttifera, presso la Banca d'Italia, imponendo invece a tal fine il reperimento di altrettante entrate nell'annualità in corso;
   in particolare risulta fortemente condizionato dai vincoli imposti dal patto di stabilità anche il solo completamento del 1° stralcio funzionale di lavori, oltre a rallentare ulteriormente la realizzazione dell'intero plesso, con evidenti ricadute sul prezzo finale – già significativamente aumentato rispetto alle previsioni iniziali – cui si aggiunge il rischio di perdere il contributo regionale di 923.165,55 euro, in scadenza il prossimo giugno 2014, in buona parte già incassato dall'ente per oltre 525.000 euro;
   il Governo ha previsto nel recente decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 specifiche disposizioni per il finanziamento di progetti per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, interventi che sono stati incrementati e rafforzati nel corso dell'esame parlamentare e che consistono nell'erogazione di contributi a favore di enti locali per la messa in sicurezza di edifici scolastici, ma nulla è stato disposto a favore di quegli enti, come il Comune in oggetto, che già dispongono di adeguate risorse proprie per la costruzione, l'adeguamento e la messa in sicurezza di immobili scolastici;
   il Comune di Asolo si trova pertanto nella paradossale situazione per cui, pur avendo dismesso parte del proprio patrimonio immobiliare al fine di reperire le risorse per mettere in sicurezza l'edilizia scolastica, è addirittura penalizzato rispetto ai comuni che accederanno ai contributi stanziati nel decreto-legge n. 69 del 2013 –:
   quali iniziative urgenti intendano assumere al fine di addivenire ad una significativa riforma della disciplina dei vincoli del patto di stabilità volta ad assicurare, pur nel rispetto dei principi di sana ed oculata gestione dei bilanci pubblici, gli adeguati margini di autonomia ed operatività per le amministrazioni pubbliche che si trovano in condizioni analoghe al comune di Asolo, per quanto attiene alle spese di investimento nell'edilizia scolastica, a fronte della verificata disponibilità di risorse proprie anche se riferite ad annualità precedenti all'esercizio in corso, stante la necessità di garantire agli alunni di frequentare il servizio scolastico in condizioni di sicurezza, oltretutto in presenza di un elevato rischio sismico e altresì in considerazione del concreto rischio di revoca dei finanziamenti regionali e di ulteriori aumenti dei costi. (5-00810)

Interrogazione a risposta scritta:


   LODOLINI, PETRINI e MARCHETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 488, della legge n. 228 del 2012, al punto a), abroga il punto n. 41-bis della tabella A parte II del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 che riguarda i beni e i servizi soggetti all'aliquota agevolata del 4 per cento, che includeva: «Prestazioni socio-sanitarie, educative, comprese quelle di assistenza domiciliare o ambulatoriale o in case di riposo e simili od ovunque rese»;
   contemporaneamente vengono assoggettate all'Iva al 10 per cento le stesse prestazioni se fornite dalle cooperative sociali e dai loro consorzi nell'ambito di un appalto o di una convenzione. Considerato che queste prestazioni, grazie a una norma interpretativa (legge n.  296 del 2006, comma 331) ora abrogata dalla legge di stabilità, potevano essere assoggettate all'aliquota Iva del 4 per cento, si capisce come questa disposizione provochi un aumento dei costi per gli enti locali, su prestazioni di grande impatto finanziario e di notevole rilevanza sociale;
   il comma 490 della legge di stabilità aggiunge che queste disposizioni si applicano alle operazioni effettuate sulla base di contratti stipulati dopo il 31 dicembre 2013. Da quella data l'ente locale non potrà più detrarre l'Iva sugli acquisti relativi a queste prestazioni (salvo una limitata detrazione applicando il pro rata) in quanto i corrispettivi incassati sono esenti, e l'incremento Iva dal 4 per cento al 10 per cento andrà a ridurre ulteriormente le risorse a disposizione degli enti. Inoltre l'aliquota al 10 per cento si applicherà a quelle prestazioni, quando sono rese da cooperative sociali e dai loro consorzi, mentre prima l'aliquota applicabile era al 4 per cento per le prestazioni rese da tutte i tipi di cooperative e consorzi;
   la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) aumenta l'aliquota Iva applicabile ad alcune prestazioni socio-sanitarie come la gestione di asili nido, case di riposo, l'assistenza domiciliare e le prestazioni educative, rendendo più costoso per gli enti locali fornire servizi;
   è un colpo durissimo ed insopportabile per gli enti locali, per le cooperative sociali e per le famiglie in un momento dove i comuni sono in prima linea a fronteggiare le ricadute della crisi sui cittadini, a garantire il welfare territoriale e i livelli essenziali di assistenza e ad investire su modelli innovativi di gestione dei servizi;
   ancora più insostenibile perché si inserisce in un contesto di drastica riduzione dei fondi nazionali per le politiche sociali, operato in questi anni ed aggravato dalla riduzione di spesa per gli enti locali prevista dal patto di stabilità;
   è una misura che penalizza il welfare municipale, che garantisce i servizi sociali più vicini ai bisogni delle famiglie;
   gli enti locali non sono in grado di mettere in campo maggiori risorse per garantire la copertura di un aumento del 150 per cento dell'IVA sui servizi resi dalle cooperative sociali;
   ciò richiederebbe una maggiore spesa che i comuni non sono in grado di sopportare. L'unica soluzione possibile sarà quella di fornire meno servizi ai propri cittadini o gravare ulteriormente sui bilanci delle famiglie, già in difficoltà. Si dovranno ridurre i servizi di inclusione sociale rivolti alle fasce più deboli della popolazione, a chi ha pochissimo o niente –:
   se sia intenzione del Governo mantenere l'IVA per le prestazioni di servizi socio-sanitari ed educativi resi dalle cooperative sociali al 4 per cento assumendo iniziative per abrogare i commi 488, 489 e 490 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2013. (4-01516)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione del decreto legislativo n. 156 del 2012 sulla «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, in attuazione dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», è stata disposta la chiusura dei tribunali di Ariano Irpino e Sant'Angelo dei Lombardi, entrambi in provincia di Avellino;
   la soppressione dei due plessi, necessaria secondo il Governo ai fini della spending review, danneggia fortemente i cittadini dei circondari di Ariano Irpino e di Sant'Angelo dei Lombardi che saranno costretti a subire l'accentramento presso le città di Avellino e Benevento dei servizi giudiziari prima esplicati nelle sedi locali;
   saranno particolarmente gravose le difficoltà di quei cittadini che vivono nelle zone montane, costretti nei mesi invernali a raggiungere Avellino o il capoluogo sannita attraverso strade non sempre praticabili;
   a giudizio dell'interrogante, nell'adottare determinate scelte, il Governo avrebbe dovuto considerare non solo il pur ineludibile criterio della riduzione dei costi, ma anche la dimensione socio-economica delle due realtà interessate dalle soppressioni e le specificità di un territorio come quello irpino impervio e distante dal capoluogo Avellino e dalla città di Benevento;
   con deliberazione numero 158 adottata in data 9 luglio 2013, la giunta comunale di Ariano Irpino ha approvato un ordine del giorno condiviso dal comune di Sant'Angelo dei Lombardi, dai consigli degli ordini degli avvocati di Ariano Irpino e di Sant'Angelo dei Lombardi, con il quale le citate amministrazioni propongono di modificare il decreto di soppressione dei tribunali di Ariano Irpino e di Sant'Angelo dei Lombardi prevedendo la fusione di entrambi i plessi sub-provinciali in un unico nuovo tribunale;
   tale richiesta è stata trasmessa al Ministro della giustizia, prefetto Anna Maria Cancellieri, al Presidente della Commissione Giustizia del Senato, senatore Francesco Nitto Palma, al Presidente della Commissione Giustizia della Camera, onorevole Donatella Ferranti;
   a giudizio dell'interrogante, la proposta avanzata dalle amministrazioni comunali di Ariano Irpino e Sant'Angelo dei Lombardi, e dal consiglio dell'ordine degli avvocati dei rispettivi comuni, è ragionevole, ben ponderata e degna di valutazione in quanto, unendo le due realtà, si coniugherebbero le esigenze di contenimento e di revisione dei costi con il diritto alla giustizia degli abitanti dei due circondari interessati dai tagli;
   in caso di soppressione, il diritto alla giustizia dei cittadini residenti in Alta Irpinia sarebbe fortemente limitato, se non del tutto azzerato –:
   come il Ministro interrogato valuti la richiesta avanzata dalle amministrazioni comunali di Ariano Irpino e Sant'Angelo dei Lombardi e quali provvedimenti intenda adottare per garantire il diritto alla giustizia dei cittadini abitanti nei circondari interessati dalla soppressione dei tribunali di Ariano Irpino e Sant'Angelo dei Lombardi. (4-01515)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   CAUSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   due giorni fa a Venezia si è verificato un nuovo rischioso e mal controllato avvicinamento alla riva Sette Martiri presso piazza San Marco della nave da crociera Carnival Sunshine, di oltre 100.000 tonnellate di stazza, ben oltre il limite di 40.000 stabilito dal decreto Clini-Passera del 2011;
   il passaggio delle cosiddette navi giganti nel bacino di San Marco e nel canale della Giudecca è sempre più frequente e problematico rispetto alla complessità dei beni culturali e ambientali della città di Venezia;
   il turismo da crociera rappresenta per la città di Venezia il 10 per cento del pil ed è un indotto considerevole per un settore, quello crocieristico, che rinnova la propria richiesta di grande attenzione e investimenti adeguati per non perdere nemmeno una di queste grandi navi che portano a Venezia possibilità di uno sviluppo economico su cui puntare con decisione e con forza in tempi di recessione come questi;
   quello delle crociere è un comparto economico che significa 5.500 posti di lavoro diretti con una spesa diretta che supera i 180 milioni di euro annui –:
   quali iniziative, in tempi brevi, si ritenga opportuno prendere, in sinergia con gli enti locali, al fine di giungere alla definizione e all'avvio dei lavori per la realizzazione di un transito alternativo delle grandi navi fino all'attuale stazione marittima passeggeri. (3-00252)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nonostante numerose interrogazioni parlamentari, lettere che hanno segnalato il gravissimo stato in cui versa il servizio ferroviario nel collegamento Ancona-Roma nulla è stato fatto per migliorare il numero delle corse e la qualità delle prestazioni agli utenti;
   sia i treni regionali veloci sia il servizio Intercity sono contraddistinti da guasti, ritardi e cancellazioni che sono all'ordine del giorno a causa principalmente di:
    a) ritardi nella preparazione del treno in partenza (mancanza del personale di bordo, mancanza delle carrozze o del locomotore);
    b) problemi al blocco porte (porte che non si chiudono, porte che non si aprono, porte che si aprono quando non devono);
    c) guasti alla motrice;
    d) mancanza di un numero adeguato di scambi per gli incroci nei tratti a binario unico;
   i ritardi medi delle due coppie di Intercity sulla Orte-Falconara superano i 15 minuti il che significa che per ogni treno che arriva puntuale ce n’è un altro che arriva con un ritardo di 30 minuti;
   di fatto si hanno tempi di percorrenza paragonabili a quelli dei regionali veloci ma al doppio del prezzo;
   questa tipologia di servizio è del tutto inaffidabile ed è il segno inequivocabile del disimpegno di Trenitalia sulla linea in questione;
   il «servizio pubblico» non può rispondere solo ed esclusivamente a logiche di sostenibilità economica legata, nel caso del trasporto ferroviario, ai risultati di alcune tratte; se così fosse stato, mai in piccoli comuni, sarebbe arrivata la ferrovia, la luce elettrica o lo stesso servizio idrico;
   va sottolineato che il contratto di servizio sottoscritto dal Ministero dei trasporti con Trenitalia considera puntuali tutti i treni che arrivano a destinazione entro i 30 minuti: per treni che hanno tempi di percorrenza sulla carta di 3 ore e 20 minuti quali quelli tra Roma e Ancona tale soglia appare del tutto inaccettabile perché pari ad un ritardo del 10 per cento del tempo di viaggio;
   a mero titolo esemplificativo del disservizio si segnala quanto accaduto in data 28 luglio 2013 all'Intercity 541: dalle 18:36 fermo a Terni per un guasto al treno, ripartito con 121 minuti di ritardo, è arrivato a destinazione (Roma Termini) con 150 minuti di ritardo;
   altri eclatanti disservizi dell'IC 541 nel corso dell'anno:
    29 luglio: 40 minuti di ritardo a destinazione;
    20 luglio: 33 minuti di ritardo a destinazione;
    30 giugno: 120 minuti di ritardo a Orte dove il treno viene cancellato;
    3 giugno: 35 minuti di ritardo a destinazione;
    2 giugno: 34 minuti di ritardo a destinazione;
    27 maggio: soppresso in partenza da Ancona;
    29 aprile: 52 minuti di ritardo a destinazione;
    2 marzo: 37 minuti di ritardo a destinazione;
   chiaramente l'elenco dei disservizi può essere esteso anche agli altri tre Intercity della linea Ancona-Roma e ai treni regionali veloci –:
   quali iniziative intenda assumere nei confronti di Trenitalia per porre fine a questi disservizi e se ritenga ormai necessaria un'inchiesta sulle condizioni del servizio ferroviario della linea Roma-Ancona. (4-01517)


   TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione regionale n. 231 del 6 febbraio 2008, per la gestione del territorio, si individuavano le linee guida per la programmazione in materia di edilizia residenziale pubblica (ERS) si evince «Va ad ogni modo precisato che i Programmi complessi che scaturiscono da tale approccio integrato conosceranno specifiche differenziazioni – per modalità di intervento trasformativo e dunque per contenuti urbanistici – in funzione dell'area geografica di appartenenza, fermo restante l'impegno da perseguirsi con ogni legittimato espediente urbanistico, ad evitare la trasformazione urbanizzativa delle parti ancora vergini del territorio» ovvero ferma restante l'esclusione, per la realizzazione del Programma ERS, di aree ricadenti in zona di verde pubblico/attrezzato e di verde agricolo;
   a seguito del D.D. n. 376 del 28 luglio 2010 DEL A.G.C. 16 che ha come oggetto: Avviso per la definizione del Programma regionale di edilizia residenziale sociale di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009 «Piano Nazionale di Edilizia Abitativa», la società AUTOCLASS srl presentava un progetto di intervento ERS in Castel San Giorgio, alla via Cav. D'Auria, denominato «San Giorgio Housing» in un terreno codificato, dal Piano regolatore generale vigente, Zona Agricola e ricadente nella fascia di rispetto cimiteriale e veniva poi ammesso dalla giunta comunale;
   per la realizzazione del suddetto progetto, che il consiglio comunale di Castel San Giorgio provveda ad una variante urbanistica di trasformazione del terreno da Agricolo a Edificabile ed alla riduzione della fascia di rispetto cimiteriale da 200 a 50 metri, provocando oltre ad un enorme consumo del suolo, anche problemi;
   ai sensi dell'articolo 9 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009 «i programmi di intervento di cui al comma 1 dell'articolo 8 devono pervenire al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 3, comma 1»;
   spetta inoltre al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il monitoraggio sull'esecuzione del piano ai sensi dell'articolo 13 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009 –:
   se non intenda chiarire il motivo per cui questo progetto, inserito nell'ambito del programma regionale di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009, interamente previsto in zona agricola, non sia stato escluso, come previsto dalle linee guida, e sia arrivato alla fase negoziale propedeutica alla realizzazione e cosa si intenda fare per la difesa e la tutela del territorio ormai saturo di cemento. (4-01528)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   DELL'ORCO, FERRARESI, MUCCI e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   presso la prefettura di Modena, con apposito decreto del prefetto, è istituita la cosiddetto white list prevista dall'articolo 5-bis del decreto-legge 6 giugno 2012 n. 74, introdotto dalla legge di conversione 1o agosto 2012 n. 122. Si tratta di un elenco di fornitori di beni e prestatori di servizi, non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, cui possono chiedere di essere iscritti, su base volontaria, gli esecutori dei lavori oggetto di contratti pubblici e successivi subappalti e subcontratti che intendono proporsi per i lavori di ricostruzione post sisma nella provincia di Modena. Per le imprese iscritte nella white list non è necessario richiedere la certificazione antimafia per la stipula dei contratti, subappalti e subcontratti per la ricostruzione post sisma;
   l'iscrizione avviene alla conclusione delle verifiche antimafia effettuate da parte della prefettura ma secondo la norma, per l'affidamento e l'esecuzione di lavori, anche nell'ambito di subcontratti, basta comprovare quantomeno l'avvenuta presentazione della domanda di iscrizione;
   il prefetto può differire la conferma dell'iscrizione nell'elenco per un periodo non superiore a trenta giorni quando le verifiche da svolgere siano di particolare complessità ma, attualmente, negli elenchi in attesa della provincia di Modena risultano molte ditte che attendono l'iscrizione anche da oltre 9 mesi. L'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ha lanciato l'allarme sulla evidente difficoltà amministrativa della prefettura di Modena che ha subito un notevole impatto di carichi di lavoro determinato dalle suddette disposizioni legislative;
   la prefettura di Modena come riportato anche dalla stampa avrebbe confermato che sono oltre 3.300 le richieste di iscrizione nelle white list e circa 2.300 di esse sono state inserite nella prima parte nell'elenco e quindi in grado di poter ricevere affidamenti e partecipare ad appalti ma, benché ciò sia possibile a livello normativo tuttavia per il timore che i controlli delle prefetture diano alla fine esiti negativi con conseguente blocco dei fondi pubblici né le pubbliche amministrazioni né i privati affidano i lavori a ditte nell'elenco provvisorio;
   la situazione rischia non solo di bloccare la ricostruzione ma anche di creare un effetto distorsivo del mercato, tra le aziende che sono già nelle liste certificate antimafia e quelle ancora in attesa –:
   considerato che è molto importante escludere dai lavori della ricostruzione le imprese collegate alla criminalità organizzata ma che problemi di natura amministrativa non possono bloccare la ricostruzione e penalizzare ulteriormente cittadini, quali siano i tempi attualmente previsti per portare a regime il sistema delle white list nella provincia di Modena;
   se, considerata l'inadeguatezza delle risorse rispetto alla mole di lavoro prevista per la prefettura di Modena, per dare luogo ad un'accelerazione dei tempi nella valutazione delle domande, si possa prevedere un adeguamento temporaneo delle risorse umane, strumentali e finanziarie in deroga al comma 7 dell'articolo 5-bis del decreto-legge 6 giugno 2012 n. 74, così come convertito con modificazioni dalla legge 1o agosto 2012, n. 122;
   se sia vero quanto riportato dalla stampa in merito alla effettiva esclusione dagli appalti pubblici e privati delle imprese inserite nelle liste provvisorie;
   quali provvedimenti intenda prendere il Ministro per garantire un'adeguata informativa presso i cittadini e una direttiva alle pubbliche amministrazioni affinché procedano all'apertura degli appalti anche a ditte presenti negli elenchi provvisori dei richiedenti la certificazione e che siano tutelati qualora a seguito della conclusione delle verifiche disposte dalla prefettura, emergano situazioni di controindicazione all'iscrizione definitiva dell'impresa appaltante nella white list. (3-00249)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LACQUANITI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 della Costituzione sancisce il pieno rispetto dell'autonomia e libertà religiosa;
   parimenti l'articolo 9 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, riconosce il diritto di libertà di religione;
   già durante la XVI Legislatura risultava essere in stato avanzato la procedura per la sottoscrizione di una convenzione tra il Ministero dell'interno e la Conferenza evangelica nazionale, volta a regolare i rapporti tra i due soggetti. E che tuttora risulta essere stata sottoposta al Ministero medesimo una rinnovata istanza di stipula di convenzione;
   il Consiglio di Stato, con parere 00561 del 2 febbraio 2012, richiesto dal Ministero dell'interno, dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, ha affermato che l'autorizzazione al ministro di culto, in riferimento alla legge n. 1159 del 24 giugno 1929, debba essere concessa solo se la dimensione della comunità di fedeli raggiunga un valore tale da far ritenere possibile l'esigenza di celebrazioni di culto produttivi di effetti giuridici nel nostro ordinamento, quali i matrimoni;
   tale dimensione dovrebbe aggirarsi intorno alle 500 unità;
   la produttività di effetti giuridici nel nostro ordinamento non può essere considerata come il requisito principe su cui incardinare detto parere in quanto confligge con quanto normato nel regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289, e cioè i «privilegi e prerogative» del ministro di culto ravvisabili nell'articolo 5 (autorizzazione a frequentare luoghi di cura), 6 (assistenza ai carcerati), 8 (assistenza ai militari) e 23 (assistenza religiosa scolastica), da cui si deduce che l'assenza di detto riconoscimento osta in modo determinante e assoluto con l'esercizio di funzioni attinenti all'espressione dei diritti costituzionali in material religiosa;
   dalla data del pronunciamento non risultano all'interrogante nuove nomine di ministri di culto con decreto ministeriale;
   tali soggetti sono gli unici autorizzati allo svolgimento dei riti, all'assistenza spirituale all'interno delle strutture sanitarie pubbliche e delle case circondariali –:
   quali siano gli ostacoli che impediscono una convenzione tra Ministero dell'interno e Conferenza evangelica nazionale, che permetta alla medesima Conferenza l'esercizio del proprio ufficio.
(4-01509)


   PARISI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 25 luglio nel corso dello svolgimento dell'ordine dei lavori del consiglio comunale di Pisa, l'attività consiliare è stata inizialmente interrotta e poi definitivamente sospesa, a causa delle proteste inscenate da un gruppo di sedicenti appartenenti al cosiddetto movimento «No Tav»;
   tali rimostranze, secondo quanto confermato dai presenti, si sono svolte in modo molto turbolento tanto che le azioni di disturbo da parte dei manifestanti si sono concluse con l'occupazione della sala consiliare del comune, il tutto accompagnato da gesti intimidatori, minacce ed ingiurie nei confronti dei consiglieri presenti che sono tra l'altro successivamente proseguite;
   a giudizio dell'interrogante appare evidente in considerazione di quanto esposto, come non sia accettabile che una esigua minoranza di facinorosi determini nella città di Pisa, un clima di intimidazione e d'intolleranza nel tentativo di impedire le manifestazioni di pensiero e lo svolgimento del confronto democratico anche all'interno delle istituzioni locali;
   l'interrogante rileva inoltre, come nel corso dei tentativi di aggressione e di molestie da parte delle suddette frange, del suddetto movimento «No Tav», vi sia stata una presenza insufficiente da parte delle forze dell'ordine e delle autorità preposte alla sicurezza, in grado sia di garantire il regolare andamento dell'ordine dei lavori del consiglio comunale, che di fronteggiare gli interventi violenti e minacciosi degli appartenenti al suindicato movimento di protesta –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali siano i motivi per i quali le forze dell'ordine presenti all'interno del palazzo del comune di Pisa, non sono intervenute per ripristinare il regolare svolgimento dei lavori del consiglio comunale, né tantomeno per allontanare i facinorosi soggetti;
   se non ritenga infine urgente ed opportuno, che siano individuati i soggetti responsabili dei gravissimi atti intimidatori esposti in premessa, al fine di evitare che episodi violenti di tale gravità, che hanno determinato addirittura la sospensione dell'attività democratica ed istituzionale dell'ordine dei lavori del consiglio comunale di Pisa, possano in futuro ripetersi.
(4-01527)


   GOZI, PALMIZIO, AMODDIO, CHAOUKI, GALGANO, BERLINGHIERI, PASTORELLI, LACQUANITI, ZARDINI e MARZANO. — Al Ministro dell'interno, Al Ministro della giustizia. Per sapere – premesso che:
   il diritto all'attivazione degli istituti di democrazia diretta, a partire dal referendum nazionale abrogativo previsto dall'articolo 75 della Costituzione, rappresenta una delle principali forme con cui i cittadini possono concorrere alla vita civile e democratica del Paese;
   dallo scorso 7 giugno è in corso una raccolta firme su 12 referendum abrogativi che hanno riscontrato consenso e attenzione nell'opinione pubblica;
   in data 5 luglio 2012 il segretario di Radicali italiani, Mario Staderini, ha scritto al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia per segnalare loro «una situazione di assoluta gravità rispetto all'onere di autenticazione delle firme dei cittadini che la legge pone in capo ai promotori dei referendum. Ad oggi, infatti, le Istituzioni non garantiscono un adeguato servizio pubblico di autenticazione e ciò rende la raccolta delle 500 mila firme proibitiva per i promotori che non dispongano di una propria rete di consiglieri comunali e provinciali diffusi in tutto il Paese. L'unico servizio assicurato dallo Stato – ma non pubblicizzato in alcuna forma, tantomeno dalla Concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo – è quello di rendere possibile l'autenticazione delle firme all'interno degli uffici comunali in orari molto limitati e ad esclusione del sabato e della domenica. Come noto, la raccolta firme è invece efficace solo se i banchetti sono posti nelle principali piazze delle nostre città e in particolare nel fine settimana. Né i Comuni né le Provincie organizzano però un servizio di autenticazione all'esterno degli uffici solo a volte consentendolo ai funzionari che ne facciano richiesta e comunque mai informando e incentivando lo svolgimento di tale funzione, al punto che centinaia di migliaia di potenziali autenticatori neanche sono a conoscenza del ruolo loro riconosciuto dall'ordinamento. Per quanto mi risulta, inoltre, non esiste presso gli altri Uffici pubblici cui appartengono gli ulteriori soggetti individuati dalla legge come autenticatori (ovvero notai, giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle Corti di appello, dei Tribunali di segretari delle Procure della Repubblica) alcuna misura organizzativa per fornire un vero e proprio servizio di autenticazione, non rimesso alla semplice buona volontà di singoli funzionari abilitati dalla legge. Tale situazione in molte città limita o impedisce la raccolta delle firme. I cittadini e le forze sociali che volessero organizzarsi per raccogliere le firme sui referendum non hanno così alcuna possibilità di reperire con certezza autenticatori disponibili alla raccolta delle firme nelle piazze italiane e nei fine settimana, in particolare se non rappresentano un partito che disponga di una vasta rete di consiglieri comunali e provinciali. In pratica, lo Stato italiano pone un onere per la presentazione dei referendum ma non fornisce gli strumenti affinché questo onere possa essere adempiuto. La possibilità dei cittadini di partecipare alla raccolta delle firme necessarie alla richiesta di referendum è inoltre ostacolata dalla mancanza di trasparenza che affligge tutte le fasi della procedura. In particolare, insufficienti sono le informazioni fornite ai soggetti che rivestono la qualifica di autenticatori in merito alle facoltà che la legge riconosce loro, e sono spesso i promotori del referendum a dover faticosamente individuare gli autenticatori e ad informarli della loro qualifica. Non essendo dubitabile la natura amministrativa dell'attività di autenticazione, questa deve essere improntata al rispetto del principio di trasparenza imposto dall'articolo 1 l. n. 241/1990, oltre che da un ormai consolidato orientamento normativo che mira a rendere quanto più possibile trasparente l'attività delle pubbliche amministrazioni (si vedano, per citare solo le disposizioni più recenti, il decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 e il decreto legislativo n. 33 del 2013). Peraltro, a seguito degli ultimi interventi legislativi, la platea degli amministratori locali potenziali autenticatori si è di gran lunga ridotta: nei Comuni, infatti, la legge ha ridotto il numero di consiglieri e assessori, mentre nelle Province i cui consigli non sono stati rinnovati sono venute meno entrambe le figure. In definitiva, la complessità del procedimento di autenticazione, la carenza di servizi di autenticazione, la difficoltà nel reperire autenticatori e la mancanza di trasparenza frustrano di fatto l'alto valore di democrazia diretta insito nello strumento referendario, più volte affermato dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione»;
   nella medesima lettera Staderini chiedeva al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia «di provvedere con la massima urgenza – con riferimento alle competenze di ciascun Ministero – al fine di rimuovere gli ostacoli all'esercizio dei diritti civili dei cittadini, in particolare:
   di fornire indicazioni precise a Comuni, Province, Tribunali, giudice di pace e notai circa la necessità di garantire un adeguato servizio di autenticazione delle sottoscrizioni, anche in luoghi pubblici;
   di avvisare con una Vostra comunicazione tutti i funzionari competenti e gli amministratori locali della possibilità di offrire il servizio di autenticazione e di sensibilizzarli nelle forme ritenute più efficaci, affinché si rendano prontamente disponibili ad eseguire, ove richiesto anche all'esterno delle proprie sedi di lavoro, le autenticazioni delle sottoscrizioni dei cittadini, secondo la normativa vigente e la prassi amministrativa sopra ricordata, ispirati dai principi di trasparenza, pubblicità e buon andamento dell'amministrazione;
   di formare un Albo degli autenticatori a cui i promotori di iniziative popolari possano attingere, così da permettere l'espletamento dell'onere della sottoscrizione;
   di sollecitare i Comuni ad informare la cittadinanza delle iniziative popolari e referendarie in corso e dare risalto agli uffici dove i cittadini possono firmare, ad esempio creando una pagina dedicata e un link ad essa sulle homepage dei propri siti istituzionali;
   di sollecitare la RAI a trasmettere informazioni anche all'interno dei telegiornali per dare conoscenza ai potenziali autenticatori di questa loro facoltà e agli italiani della possibilità di sottoscrivere presso le segreterie comunali»;
   i Comitati promotori dei referendum comunicano che in molte città italiane i cittadini che si vogliono organizzare per la raccolta delle firme non sono messi nelle condizioni di poterlo fare a causa dell'assenza di autenticatori disponibili;
   l'inoltrarsi del periodo estivo, in particolare del mese di agosto, rende pressoché certa un ulteriore riduzione della disponibilità di persone disposte ad autenticare in luoghi aperti al pubblico –:
   quale iniziative il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia abbiano assunto sino ad oggi e cosa intendono fare per garantire il rispetto del diritto dei cittadini a promuovere e sottoscrivere i referendum;
   se siano state prese dal Ministero dell'interno iniziative per informare gli oltre 150 mila consiglieri comunali e provinciali e le centinaia di migliaia di funzionari di province e comuni della facoltà riconosciutagli dalla legge di svolgere il servizio di autentica delle firme, sensibilizzandoli in tal senso;
   se siano state assunte misure organizzative volte a favorire il servizio pubblico di autentica, anche con riferimento alle altre categorie previste dalla legge quali giudici di pace, notai, cancellieri di tribunale, segretari delle procure della Repubblica;
   se il Ministro dell'interno intenda promuovere compagnie di informazione in maniera tale che i cittadini siano pienamente a conoscenza della possibilità di firmare i referendum presso le segreterie comunali;
   se siano state date indicazioni ai comuni affinché garantiscano adeguatamente ai cittadini la possibilità di firmare nelle segreterie anche durante il periodo estivo, dandone notizia delle modalità attraverso le homepage dei propri siti istituzionali. (4-01529)


   BRUNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 27 luglio un'agenzia di stampa batteva la notizia che durante una conferenza stampa il presidente della regione Calabria avrebbe dichiarato che esiste un'informativa della squadra mobile di Reggio Calabria sulla gestione dell'informazione da parte di alcuni giornalisti nella città dello stretto;
   il presidente avrebbe inoltre dichiarato che tale informativa è stata depositata e che riguarderebbe una manipolazione dell'informazione operata da «cinque o sei» giornalisti per danneggiare la sua immagine e, quindi, quella del modello Reggio Calabria;
   il presidente della giunta regionale avrebbe successivamente affermato di aver letto la notizia sul blog di un noto giornalista e di non esserne venuto a conoscenza tramite i canali ufficiali;
   l'ordine dei giornalisti calabresi ha subito chiesto al presidente e ai soggetti istituzionalmente coinvolti, di chiarire le sue parole e fare luce sui reali accadimenti;
   tutta la vicenda rischia di proiettare un'ombra inquietante sulla funzione dell'informazione, sulla libertà di espressione e sulla correttezza deontologica della stampa locale;
   eventuali manipolazioni fraudolente delle notizie sarebbero un fatto gravissimo, se dimostrato, così come allusioni e insinuazioni non riscontrabili finiscono per ledere diritti costituzionalmente garantiti e alimentare tensioni e rischi in una comunità, come quella di Reggio Calabria, già fortemente segnata dallo scioglimento dell'assise cittadina –:
   di quali elementi disponga il Governo circa tale informativa e quali risultino essere i soggetti istituzionali coinvolti.
(4-01531)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 605, lettera c) della legge 27 dicembre 2006 n. 296 aveva trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento (GaE) «al fine di dare adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico e di evitarne la ricostituzione, di stabilizzare e rendere più funzionali gli assetti scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l'età media del personale docente» e aveva fatto salvi «gli inserimenti nelle stesse graduatorie da effettuare per il biennio 2007-2008 per i docenti già in possesso di abilitazione, e con riserva del conseguimento del titolo di abilitazione, per i docenti che frequentano, alla data di entrata in vigore della presente legge, i corsi abilitanti speciali indetti ai sensi del predetto decreto-legge n. 97 del 2004, i corsi presso le scuole di specializzazione all'insegnamento secondario (SISS), i corsi biennali accademici di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), i corsi di didattica della musica presso i Conservatori di musica e il corso di laurea in Scienza della formazione primaria», aggiungendo come «la predetta riserva si intende sciolta con il conseguimento del titolo di abilitazione»;
   nonostante quanto previsto dall'articolato della legge n. 296 del 2006, Il Ministero non ha provveduto a chiudere i corsi in scienze della formazione primaria, e anzi ha continuato fino al 2010 ad attivare con identiche modalità percorsi formativi abilitanti attraverso l'emissione di bandi ministeriali annuali, basando la distribuzione dei posti disponibili per tali corsi sull'esigenza e il fabbisogno di insegnanti negli anni futuri;
   l'articolo 14, comma 2-ter del decreto-legge 29 dicembre 2011 n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, pur ribadendo la chiusura delle graduatorie ad esaurimento, ha istituito una fascia aggiuntiva alle suddette graduatorie, ma ha contemporaneamente e restrittivamente ridotto l'accesso alle stesse per «i docenti abilitati dopo aver frequentato i corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), il secondo e il terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A, nonché i corsi di laurea in scienze della formazione primaria negli anni accademici 2008-2009, 2009-2010 e 2010-2011»;
   il decreto ministeriale 14 giugno 2012 n. 53, che ha dato attuazione all'articolo 14 comma 2-ter del decreto-legge n. 216 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012 ha stabilito i termini per l'inserimento nelle predette graduatorie aggiuntive a decorrere dall'anno scolastico 2012-2013 e ha, secondo l'interrogante inopinatamente, previsto la possibilità che presentino «domanda di inclusione in una fascia aggiuntiva alla III fascia delle graduatorie ad esaurimento, costituite in applicazione del decreto ministeriale 12 maggio 2011 n. 44, modificato dal decreto ministeriale 26 maggio 2011 n. 47, i docenti che negli anni accademici 2008/09, 2009/10 e 2010/11 hanno conseguito l'abilitazione dopo aver frequentato ... (omissis) il secondo e il terzo corso biennale di secondo livello, finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale (classi di concorso A031-A032) e di strumento musicale (classe di concorso A077) e i corsi di laurea in Scienze della Formazione Primaria»;
   secondo l'articolo 10 del predetto decreto le domande di inserimento nella nuova fascia andavano presentate «entro e non oltre il termine del 10 luglio 2012» escludendo con questa disposizione, di fatto, tutti quei docenti che avrebbero conseguito l'abilitazione successivamente a tale data presso le facoltà di Scienze della formazione primaria quadriennale;
   le disposizioni del suddetto decreto hanno determinato da una parte, l'inserimento nella fascia aggiuntiva (di fatto una coda) dei docenti aventi diritto all'inclusione nella III fascia delle graduatorie ad esaurimento e dall'altra l'esclusione senza alcuna ragione dall'inserimento nella predetta fascia di tutti quei docenti che, dopo marzo 2012, hanno conseguito sino ad oggi il titolo, e di tutti gli abilitandi che conseguiranno l'abilitazione, presso le facoltà di Scienze della Formazione Primaria, perché iscritti agli anni accademici 2008-2009, 2009-2010, 2010-2011, perpetrando un atto ingiustificato e discriminatorio –:
   quali urgenti iniziative di carattere normativo intenda assumere il Ministro affinché siano rimosse le disparità di trattamento rilevate nelle premesse e nelle constatazioni e affinché vengano inclusi nella III fascia graduatorie ad esaurimento gli abilitati e gli abilitandi iscritti negli anni 2008-09, 2009-10, 2010-11 al corso quadriennale di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, mettendo fine a una situazione iniqua riguardante circa 15.000 docenti. (3-00251)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRATOIANNI e DURANTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Taranto, circa 900 persone operano come addetti delle pulizie nelle scuole statali, sia come lavoratori dei cosiddetti appalti storici sia come ex lavoratori socialmente utili;
   fino all'inizio degli anni 2000, gli appalti per le pulizie delle scuole statali erano gestiti direttamente dagli enti comunali. Successivamente, il MIUR decise di accentrare tutti gli appalti comunali in un unico appalto di competenza ministeriale e già in quella fase sul territorio tarantino ci fu un pesante taglio di ore di lavoro colmato temporaneamente dalla introduzione di un ammortizzatore del comune della città di Taranto;
   la maggior parte dei lavoratori degli appalti pulizia lavorano per soli dieci mesi l'anno, sospesi senza retribuzione per i mesi estivi e con l'ammortizzatore sociale in deroga a coprire le ore di lavoro mancanti, calcolate solo per i mesi lavorativi;
   il comma 5 dell'articolo 58 del decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013 prevede, a copertura dei finanziamenti al sistema dell'università, che «a decorrere dall'anno scolastico 2013/2014 le istituzioni scolastiche ed educative statali acquistano, ai sensi dell'articolo 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, i servizi esternalizzati per le funzioni corrispondenti a quelle assicurate dai collaboratori scolastici loro occorrenti nel limite della spesa che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 119. A decorrere dal medesimo anno scolastico il numero di posti accantonati non è inferiore a quello dell'anno scolastico 2012/2013. In relazione a quanto previsto dal presente comma, le risorse destinate alle convenzioni per i servizi esternalizzati sono ridotte di euro 25 milioni per l'anno 2014 e di euro 49,8 milioni a decorrere dall'anno 2015»;
   l'applicazione di questi tagli comporterebbe secondo le organizzazioni sindacali, per la sola provincia di Taranto, la perdita di 500/550 posti di lavoro, con le immaginabili conseguenze su di un territorio già socialmente e economicamente molto provato –:
   se il Governo abbia effettuato stime e analisi preventive degli effetti che il comma 5 dell'articolo 58 del decreto-legge n. 69 del 2013 avrà sulla qualità dei servizi offerti nelle scuole e sulle condizioni di lavoro degli operatori. (5-00808)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'UVA, BRESCIA, DI BATTISTA, BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 201 del 6 agosto 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 235 del 6 ottobre 1999, che disciplina e regolamenta i corsi sperimentali ad indirizzo musicale nelle scuole secondarie di primo grado in Italia, non include tra le varie classi in cui è possibile l'esercizio e lo studio di numerosi strumenti musicali, al fine di acquisire le relative specifiche abilità tecniche, quella in cui si prevede l'utilizzo del trombone;
   il trombone risulta escluso dall'elenco di cui all'allegato A del decreto ministeriale n. 201 del 6 agosto 1999 nel quale si classificano i vari strumenti e le relative disposizioni circa gli obiettivi formativi che l'alunno dovrà raggiungere al termine del relativo corso, le finalità dell'apprendimento e il relativo studio strumentale, estromettendo di fatto il suddetto strumento dalla possibilità che questo sia oggetto di studi specifici all'interno dei corsi sperimentali ad indirizzo musicale delle scuole secondarie di primo grado;
   il decreto ministeriale n. 201 del 6 agosto 1999, in particolare, prevede all'articolo 9 l'istituzione della classe di concorso di strumento musicale «cl. N. 77/A» alla quale è possibile l'accesso mediante possesso di specifico diploma di conservatorio relativo alle diverse specialità strumentali, ma essendo nell'allegato del suddetto decreto escluso lo strumento del trombone consegue che questo non possa essere oggetto di specifico insegnamento nei corsi sperimentali ad indirizzo musicale delle scuole secondarie di primo grado, vedendo i professionisti diplomati in tale strumento esclusi dall'inserimento della classe di concorso «cl. N. 77/A» per l'assegnazione della cattedra di insegnamento;
   il trombone è strumento musicale distinto dalla tromba ma, come anche rilevato dalla giurisprudenza italiana in alcuni provvedimenti giurisdizionali, deve essere a questa equiparato dal momento che i due strumenti in questione non possono considerarsi come distinte specialità strumentali, in quanto compresi nello stesso settore disciplinare nonché appartenenti alla medesima categoria di strumenti a fiato con identica tecnica del suono;
   la disparità a cui il trombone è soggetto costringe i professionisti che ne hanno intrapreso il corso di studi ottenendone il relativo diploma, ad una sostanziale preclusione circa il suo insegnamento, dal momento che essendo disposta per legge la sola classe di tromba, questo viene consentito in via eccezionale solamente attraverso l'applicazione al caso concreto di un’analogia iuris, e in casi non omogenei all'interno dei vari istituti presenti nel territorio italiano;
   il regio decreto dell'11 dicembre 1930, n. 1945, in materia di norme per l'ordinamento dell'istruzione musicale ed approvazione dei programmi di esame, fonte normativa mai abrogata nel corso degli anni, ricomprende in un'unica scuola di insegnamento gli strumenti di tromba e trombone, dal momento che questi non possono essere considerati distinte specialità strumentali;
   il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, ha deciso con la sentenza n. 5451 dell'anno 2004, l'accoglimento del ricorso presentato proprio dall'allora Ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer, stabilendo come sia «irrilevante la stretta affinità dei due strumenti (tromba e trombone), così come è ininfluente la circostanza che ambedue gli strumenti siano insegnati nella stessa scuola, essendo decisiva la considerazione che, al termine degli studi, la scuola rilascia due distinti diplomi» e disponendo altresì come «sia irrilevante la stretta affinità dei due strumenti (tromba e trombone), così come è ininfluente la circostanza che ambedue gli strumenti siano insegnati nella stessa scuola, essendo decisiva la considerazione che, al termine degli studi, la scuola rilascia due distinti diplomi», certificando nei fatti l'impossibilità del riconoscimento del diritto all'insegnamento dei professionisti diplomati in trombone e, allo stesso tempo, la posizione ostile dell'allora Ministro proprio nei confronti di tale categoria –:
   se non ritenga di dover legittimare, attraverso l'introduzione di una apposita disciplina legale o, in alternativa, apportando una sostanziale modifica al decreto ministeriale n. 201 del 6 agosto 1999, lo studio e l'utilizzo all'interno dei corsi sperimentali ad indirizzo musicale nelle scuole secondarie di primo grado in Italia dello strumento trombone;
   se non ritenga di dover eliminare le gravi conseguenze che l'esclusione in esame comporta all'interno del nostro Paese, quali le discriminazioni subite dai diplomati in trombone per il mancato accesso all'insegnamento di tale strumento all'interno delle scuole secondarie di primo grado;
   se non ritenga doveroso consentire l'accesso allo studio e alla pratica, anche nelle classi della scuola secondaria di primo grado italiana, di uno strumento quale il trombone, completo e versatile, dalla tradizione centenaria e dal valore musicale indiscusso ed ancora assolutamente indispensabile, visto il suo attuale utilizzo nei più vari generi musicali, sia classici che popolari. (4-01514)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO, AIRAUDO e FERRARA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Autogrill spa in data 30 giugno 2013 ha proceduto alla chiusura del proprio deposito logistico di Pieve Emanuele (MI) a servizio dei punti vendita del centro-nord Italia;
   il deposito sopra descritto era gestito in regime di appalto dalla società SiLo, che, a sua volta, ha aveva incaricato della gestione operativa la cooperativa CLO Scrl;
   nel settembre 2012, la società cooperativa CLO Scrl ha dichiarato che non avrebbe mantenuto i livelli occupazionali e le condizioni economiche precedentemente in essere con i lavoratori, in difformità con le garanzie fornite in precedenza da Autogrill spa, che si era formalmente impegnata a mantenere tutti i lavoratori della piattaforma;
   nel mese di ottobre 2012, a seguito di trattative tra le parti coinvolte, era stato raggiunto un accordo sindacale che prevedeva l'assunzione piena a tempo indeterminato di tutti i lavoratori da parte della CLO Scrl;
   in data 30 giugno 2013 il magazzino è stato chiuso unilateralmente dalla CLO Scrl mediante la saldatura di porte e cancelli e la sostituzione delle serrature dei capannoni durante le ore notturne;
   nella seconda metà del mese di luglio 2013 si è provveduto allo svuotamento del deposito di Pieve Emanuele sotto pesante protezione da parte delle forze dell'ordine;
   Autogrill spa, controllata al 59,3 per cento dalla famiglia Benetton tramite la finanziaria Edizioni Srl, gestisce più di 5.300 punti vendita in oltre 1.200 località del nostro Paese dando lavoro, nel complesso, a circa diecimila dipendenti sul territorio nazionale, con un fatturato di 5,84 miliardi l'anno;
   il Gruppo industriale facente capo alla famiglia Benetton vanta diverse concessioni pubbliche, tra le quali, oltre quella per la cogestione con Ferrovie dello Stato delle principali stazioni ferroviarie del paese, spicca quella della società Atlantia, relativa alla gestione di un'ampia parte della rete autostradale nazionale;
   Autogrill spa ha dichiarato di aver valutato una «ridefinizione della struttura logistica alla luce di un cambiamento nel modello di business» a seguito di una situazione contingente che vede, secondo i dati forniti dall'azienda, un calo di vendite del 10 per cento nel 2012 sul canale autostrade e una flessione del traffico autostradale che nell'ultimo anno è stata del 7 per cento;
   nell'anno 2012 Autogrill spa ha avviato procedure di licenziamento per ogni singola regione, non affrontando la questione nel suo complesso a livello nazionale ma procedendo ad una serie di dismissioni e ristrutturazioni territoriali che stanno coinvolgendo oltre che i dipendenti diretti, aziende che lavoravano in regime di appalto per Autogrill spa, comportando ovunque una riduzione degli organici ed un peggioramento delle condizioni lavorative dei dipendenti;
   Autogrill spa rifiuta di essere coinvolta nei tavoli di confronto tra aziende e organizzazioni sindacali sulla questione del deposito di Pieve Emanuele, affermando che non si tratta più di dipendenti in forze ad Autogrill spa ed imputando ogni questione afferente i rapporti di lavoro alle aziende gestrici del servizio, le quali però sono vincolate completamente alle decisioni di Autogrill spa –:
   quali azioni di competenza, il Governo intende attivare per:
    a) chiedere ad Autogrill spa delucidazioni e chiarimenti rispetto a quella che è una totale ristrutturazione su base nazionale della struttura aziendale, che viene fatta attraverso singoli ma diffusi interventi su tutta la filiera in capo ad Autogrill spa;
    b) aprire un tavolo di confronto con Autogrill spa, in virtù delle concessioni pubbliche di cui gode, al fine di affrontare eventuali riassetti societari del proprio modello di business in armonia con la necessità di non aggravare la crisi socio-economica ed occupazionale del paese;
    c) verificare che siano rispettati i vincoli contrattuali, sindacali e legislativi;
    d) invitare Autogrill spa al rispetto degli accordi presi assieme alla società SiLo e Clo Scrl con le organizzazioni sindacali e i lavoratori del deposito di Pieve Emanuele. (3-00250)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CINZIA MARIA FONTANA, GNECCHI, BELLANOVA, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, COMINELLI, FABBRI, FAMIGLIETTI, FANUCCI, FARAONE, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MADIA, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, SIMONI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 ha disposto che sulla quota di trattamento di pensione relativa all'anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 2011 sia applicata una riduzione percentuale qualora il pensionamento anticipato avvenga prima del compimento dell'età di 62 anni. Tale riduzione è pari all'1 per cento per i primi due anni mancanti al raggiungimento dei 62 anni ed elevata al 2 per cento per gli ulteriori anni mancanti alla suddetta età calcolati alla data del pensionamento;
   l'articolo 6, comma 2-quater del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012 ha altresì disposto che la riduzione di cui sopra non trova applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la contribuzione ivi prevista derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, malattia e cassa integrazione guadagni ordinaria;
   non rientrerebbero nella fattispecie «prestazione effettiva di lavoro»: l'astensione facoltativa per maternità; i periodi di mobilità, di cassa integrazione straordinaria o in deroga, di disoccupazione; i permessi ex lege n. 104 del 1992; l'astensione dal lavoro per donazione di sangue e di emocomponenti; le giornate di sciopero; le aspettative senza assegni a qualsiasi titolo. Al fine di non subire penalizzazioni, il dipendente, per l'accesso alla pensione anticipata, dovrà incrementare il servizio effettivo con un periodo di lavoro aggiuntivo pari a quello considerato;
   le misure previste dispongono perciò una penalizzazione su istituti dall'indiscusso valore sociale e democratico, quali la tutela della maternità, dei cittadini portatori di disabilità, del diritto allo sciopero così come costituzionalmente garantito. Rischia, inoltre, di venire meno il riconoscimento della funzione civica e solidaristica che si esprime nella donazione volontaria, periodica, responsabile e gratuita del sangue ed emocomponenti;
   la normativa non prevede, altresì, misure per evitare la penalizzazione ai lavoratori precoci che abbiano diritto a maggiorazioni contributive (esposti all'amianto, lavoratori con invalidità superiore al 75 per cento, ...), rientranti cioè nella categoria di lavoratori con speranza di vita più breve rispetto alla generalità dei lavoratori –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative per rivedere la suddetta normativa relativa al calcolo del trattamento pensionistico, apportando le necessarie correzioni volte a superare le discriminazioni oggi esistenti. (5-00796)

Interrogazione a risposta scritta:


   PIAZZONI, NICCHI, AIELLO, COSTANTINO, MELILLA, PIRAS e RICCIATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il tasso di occupazione femminile in Italia, fotografato dai dati del Censis del 2012, è sensibilmente inferiore rispetto alla media europea, essendo pari al 46,7 per cento a fronte del 58,2 per cento dell'intera Unione;
   a determinare tale grave situazione di ostacolo all'ingresso e alla permanenza della popolazione femminile nel mercato del lavoro contribuisce in maniera rilevante la contrattazione atipica e l'assenza di servizi di supporto alla maternità, a seguito della quale, difficilmente è possibile per una donna tornare al precedente posto di lavoro;
   per provare ad arginare il fenomeno descritto, l'articolo 4 comma 24, lettera b) della legge n. 92 del 28 giugno 2012 (cosiddetto legge Fornero) ha previsto, in via sperimentale – per il triennio 2013-2105 –, un contributo statale alternativo al congedo parentale, per favorire al termine del periodo di congedo di maternità, il rientro al lavoro delle madri lavoratrici;
   il contributo in questione è costituito da un voucher spendibile per l'acquisto di servizi di baby-sitting, o per il pagamento dei servizi per l'infanzia pubblici o privati, di importo pari a 300 euro – secondo quanto stabilito dal Decreto del Ministro del Lavoro del 22 dicembre 2012 – per le dipendenti full time, erogabile per un periodo massimo di 6 mesi, pari a un valore complessivo di 1.800 euro per persona;
   a copertura dell'operazione, per il triennio sopra indicato, è previsto uno stanziamento annuo di 20 milioni di euro, capace di soddisfare, per l'anno 2013, una domanda di 11.111 contributi di importo pieno;
   la richiesta del contributo in questione doveva essere inoltrata in via telematica all'Inps nell'arco temporale compreso fra i giorni 2 e 11 luglio;
   in una intervista radiofonica rilasciata in data 4 luglio, il direttore centrale prestazioni a sostegno del reddito Inps, Sabatini Luca, affermava il successo della misura, essendo pervenute all'istituto oltre 3.000 richieste nei primi due giorni di apertura della procedura;
   allo scadere dei termini per la presentazione delle domande, ne venivano soddisfatte tuttavia solo 3.800 rispetto al potenziale sopra menzionato, non essendo chiaro inoltre il numero complessivo delle richieste pervenute e quante delle medesime siano state scartate per mancanza dei requisiti;
   considerando che l'attuazione della norma in questione della legge Fornero presentava già un aspetto di criticità, in quanto l'elenco degli asili pubblici e privati in cui spendere il contributo – predisposto mediante apposito bando dall'Inps – comprendeva solo 1.994 strutture sulle 8.200 tra pubbliche e private presenti in Italia;
   vanno considerati inoltre i rigidi termini e lo scarso tempo a disposizione per la presentazione delle domande, nonché la complessità delle procedure e la scarsa pubblicizzazione dell'iniziativa, essendo trascorso quasi un anno tra la sua istituzione e la predisposizione del bando, appare evidente che il mancato utilizzo di contributi a costo zero, soprattutto nell'attuale periodo di crisi economica, denoti il malfunzionamento delle procedure e delle modalità di erogazione della misura di welfare in questione –:
   quali iniziative intenda adottare per rendere efficienti le procedure e la fruibilità del contributo in esame, dati anche i finanziamenti già previsti per il 2014 e 2015 e come intenda utilizzare la quota stanziata e non spesa nell'annualità in corso. (4-01519)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, PARENTELA, LUPO e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi del settore cunicolo non si attenua e tende invece ad aggravarsi, nonostante l'attivazione del piano anticrisi che si è rivelato complessivamente inefficace;
   le quotazioni al ribasso segnalate dalle associazioni di produttori indicano una scarsa efficacia e trasparenza del nuovo strumento CUN, individuato nell'ambito del piano di settore, a fronte di una rarefazione degli allevamenti italiani e di una domanda pressoché stabile che in alcune regioni appare addirittura inevasa per carenza di prodotto; l'istituzione della commissione unica nazionale CUN è nata da un protocollo d'intesa tra tutti i principali operatori di mercato interessati e dall'esigenza di monitorare, tutelare e rendere trasparente il mercato nazionale, sotto l'egida del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   i prezzi all'origine sono ormai da diverse settimane cinquanta centesimi sotto il livello di costo medio (euro 1,9-2,0/chilogrammo), al fine di trasferire un costo ingiustificato sugli allevatori dovuto alle promozioni dei macellatori; tale indebita pretesa avviene mediante la diffusione di notizie false, esagerate e fuorvianti e con l'utilizzo strategico della leva import-export, così da alterare fraudolentemente il mercato cagionando danni al patrimonio zootecnico nazionale e ai consumatori;
   l'esigenza di tutela non vede ancora applicate le disposizioni al divieto di vendita sottocosto sancite dall'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» che l'Italia ha esteso ai prodotti agricoli, e che trovano una ratio anche nelle sentenze della Corte di giustizia europea la quale ha stabilito, per le vendite al dettaglio, che il divieto è contenuto nel concetto di «modalità di vendita» e non rientra nel campo di applicazione dell'articolo 34 TFUE se vale nei confronti di tutti gli operatori interessati e se incide in egual misura sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri;
   i patti del protocollo sottoscritti tra tutti gli operatori interessati della filiera e dal coordinatore del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali non vengono pertanto rispettati, compresa l'effettiva applicazione nei contratti dei prezzi indicati dalla CUN, senza che sinora l'attività di vigilanza abbia adottato alcuna misura;
   questa situazione di pratiche sleali si aggiunge al mancato rispetto dei pronunciamenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha inviato un parere alle Camere e al Governo con il quale ha rilevato, tra l'altro, come «la formazione dei prezzi alla produzione, basata ancora su regolamenti che riposano su logiche di decentramento delle contrattazioni (borse merci locali)», non sono più «compatibili con i princìpi della concorrenza», senza che siano stati sinora disapplicati i loro regolamenti;
   si assiste così ad un progressivo passaggio dei commissari delle borse merci locali di Verona e Padova nella CUN, che invece deve essere rappresentativa dell'intero mercato nazionale, che palesa una situazione di incompatibilità gravemente tollerata dal regolamento della CUN –:
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per assicurare un rapido e dettagliato adeguamento del regolamento CUN ai principi di neutralità e trasparenza sanciti dall'antitrust;
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per assicurare la «disapplicazione» obbligatoria dei regolamenti delle borse merci di Verona e Padova ed il divieto per i commissari di partecipare contestualmente sia alla borsa merci locale che alla CUN o, in subordine, demandare tale obbligo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per verificare se vi siano responsabilità nella mancata attuazione ed efficacia del piano e nel ritardo di avvio della CUN rispetto alla programmazione;
   per quanto di propria competenza, se non si ritenga necessario addivenire ad un ridisegno organico del settore cunicolo anche attraverso l'emanazione di norme cogenti da parte dello Stato e l'istituzione di un'autorità amministrativa indipendente, dotata di personalità giuridica e piena autonomia la cui attività di vigilanza sia rivolta alla tutela dei commissari delle CUN, all'efficienza, alla trasparenza e allo sviluppo del mercato delle merci agricole italiano;
   per quanto di propria competenza, se non si ritenga necessario addivenire, mediante una circolare del Ministero che asserisca anche se il divieto rientri tra le modalità di vendita dei prodotti agricoli, alla definizione di un indicatore di costo medio cui i commissari CUN non possono derogare nelle loro trattative, nel rispetto dei principi di buone prassi sancito dalla Commissione europea. (5-00807)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, da notizie di stampa si è appreso che presso la Commissione sanità della regione siciliana nell'ambito di una seduta dedicata alla Banca del cordone ombelicale di Sciacca si sono svolte delle audizioni volte a verificare l'utilizzo dei finanziamenti erogati negli anni passati;
   nel corso di tali audizioni sarebbe emerso, a detta del responsabile del Centro regionale sangue, che le ventimila sacche di sangue ivi conservate, raccolte nel tempo con dispendio di energie e di risorse pubbliche, sarebbero inutilizzabili a causa di una cattiva conservazione;
   la fondatezza di tale notizia apparirebbe in contrasto con l'esito, ormai definitivo, a cui è approdato proprio nei giorni scorsi, il processo al vecchio direttore nonché fondatore del centro, che invece, per sentenza, avrebbe accertato che le sacche crioconservate presso la Banca del cordone ombelicale siano in buono stato;
   durante i due anni (2010-2012) di commissariamento ad acta del responsabile del Centro regionale sangue, in base ad una valutazione documentale e a successivo sopralluogo, è stato giudicato possibile il recupero di 7.000 unità circa;
   ben due ispezioni disposte negli ultimi anni dal Ministero della salute, sembrerebbero non aver ravvisato alcuna irregolarità nella conservazione del sangue cordonale;
   lo stesso commissario ad acta nonché responsabile del Centro regionale sangue ne avrebbe disposto il trasferimento nel nuovo centro di stoccaggio, realizzato con enorme dispendio di risorse;
   le sacche si è continuato a conservarle fino alla data odierna, ad una temperatura di « -150 gradi, utilizzando azoto liquido il cui uso comporta oneri finanziari molto rilevanti a carico delle finanze pubbliche;
   nonostante nel frattempo siano mutati i protocolli scientifici, le sacche possono continuare ad essere utilizzate per le varie necessità di ricerca scientifica;
   in ogni caso sarebbe possibile fare una accurata attività di verifica delle caratteristiche fisiche e funzionali delle unità stoccate presso la Banca del cordone ombelicale di Sciacca per verificarne l'idoneità all'uso, senza preventivamente diffondere notizie allarmanti che ledono il buon nome di una struttura che ha contribuito negli anni passati al trapianto di diverse decine di pazienti;
   secondo notizie in possesso degli interpellanti, ad oggi sono state concluse tutte le azioni correttive richieste da codesto Ministero, e pertanto occorre inserire al più presto la banca nel circuito internazionale e contribuire così a salvare ulteriori vite umane;
   la diffusione di notizie la cui fondatezza è tutta da verificare, circa l'inutilizzabilità delle sacche conservate a Sciacca, sembrerebbero più protese a screditarne l'immagine al fine di provocarne il trasferimento ad altra struttura fuori dal contesto in cui è nata ed in cui, con l'unanime sostegno della popolazione e delle strutture sanitarie, ha raccolto così prestigiosi risultati –:
   se risultino a codesto Ministero elementi che possano confermare le notizie allarmistiche trasmesse alla Commissione sanità dell'Ars;
   se non ritenga opportuno disporre, d'intesa con la regione Siciliana, interventi scientificamente idonei a verificare lo stato di buona conservazione delle sacche, o quant'altro utile a raggiungere questo scopo e ricreare le condizioni di tranquillità in cui la banca, con l'impegno degli attuali operatori, possa continuare a svolgere la propria missione.
(2-00173) «Capodicasa, Iacono».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SOTTANELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le patologie degenerative neuromuscolari a prognosi infausta rappresentano oggi una drammatica emergenza sanitaria che coinvolge i pazienti e le famiglie, con problemi di gestione dei percorsi di cura che impegnano il SSN in nuove sfide di sostenibilità;
   diventa, dunque, indispensabile garantire ai pazienti e alle loro famiglie ogni possibile presidio a tutela della dignità dei malati;
   i pazienti affetti da SLA, nelle fasi avanzate della malattia, necessitano di supporti assistenziali e tecnologici che migliorino la loro capacità di relazione e la qualità della vita stessa;
   in tutte le regioni italiane è pertanto previsto l'intervento assistenziale del SSR per dotare di comunicatore ottico e alfabetico a puntamento oculare i malati di SLA che ne avessero necessità;
   nella regione Abruzzo, tuttora interessata dal piano di rientro dall'eccessivo disavanzo sanitario, una paziente affetta da SLA si è vista rigettare tale richiesta in quanto la Asl di Teramo «non avrebbe notizia della disponibilità di fondi dedicati, nella presente annualità»;
   la stessa Asl di Teramo, con triste umorismo involontario, avrebbe però garantito alla paziente «la facoltà di presentare in futuro ulteriori istanze», di fatto ignorando la gravità e la progressività della patologia in oggetto –:
   se non ritenga necessario intervenire perché siano garantiti i presidi assistenziali e tecnologici indispensabili per migliorare la qualità esistenziale dei pazienti affetti da SLA e da altre gravi patologie del motoneurone e quali iniziative, anche normative, intenda attuare al fine di poter esercitare un più attento livello di controllo sull'erogazione dei LEA e delle prestazioni integrative da parte delle regioni italiane, con l'obiettivo di garantire pari livelli di assistenza in tutto il territorio nazionale. (5-00797)


   BINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i trattamenti farmacologici per la degenerazione maculare rientrano tra i più importanti recenti successi della medicina;
   questo è il caso pratico di farmaci con un prezzo troppo alto per essere utilizzati negli ospedali italiani, con il rischio di vedere pazienti non trattati per motivi economici;
   la maculopatia è una malattia degenerativa della porzione centrale della retina (macula) che determina una perdita progressiva della visione centrale, e colpisce 1 persona su 3 dopo i 75 anni. Le principali terapie farmacologiche per la cura delle maculopatie sono Avastin e Lucentis;
   mentre Lucentis, prodotto dalla Novartis, ha l'indicazione registrata per la maculopatia, Avastin, prodotto dalla Roche, con indicazione per patologie oncologiche, era largamente utilizzato off label in quanto incluso nella lista della 648 del 1996 (soprannominata ex-legge Di Bella);
   intorno al 2005 l'azienda farmaceutica americana Genetech, controllata da Roche, mise a punto un anticorpo monoclonale per la cura del cancro del colon, il cui brevetto fu poi ceduto alla stessa Roche. Durante l'utilizzo di Avastin per il trattamento del cancro del colon, il farmaco si dimostrò efficace anche per il cancro del polmone, della mammella e del rene. La stessa Roche chiese l'allargamento delle indicazioni di registrazione ad AIFA, ottenendo tutte le autorizzazioni necessarie;
   contemporaneamente si evidenziò, come effetto secondario, un importante miglioramento della vista nei pazienti trattati con Avastin per il cancro ed affetti anche da maculopatia;
   il dosaggio di Avastin a scopo oncologico varia dai 5 ai 15 mg per Kg-peso, mentre in ambito oculistico è di circa 1 mg totale;
   pertanto la terapia oncologica risulta economicamente più vantaggiosa per l'azienda Roche, avendo il costo di 3,36 euro a 1 mg di Avastin. Così che non è mai convenuto a Roche immettere sul mercato un flacone ad uso oculistico, a maggior ragione se consideriamo che Novartis detiene ben il 30 per cento delle azioni di Roche;
   ma percepita la grande opportunità di fare introiti, Genetech sviluppa una molecola molto simile ad Avastin e cede questa volta il brevetto a Novartis, che lo registra come Lucentis con indicazione oculistica al costo di ben 900 euro a dose. È da considerare che un paziente affetto da maculopatia riceve da un minimo di 3 ad un massimo di 20-25 dosi nella storia della sua malattia. Nel frattempo si iniziano a fare studi clinici in tutto il mondo per comparare l'efficacia clinica dei due farmaci nell'ambito della maculopatia;
   nel 2011 è stato pubblicato, su un'importantissima rivista scientifica (New England), uno studio clinico (CATT) che dimostra la parità di efficacia clinica per le due terapie. Parliamo di uno studio clinico condotto su 1208 pazienti, mentre gli studi registrativi di Novartis per Lucentis sono stati condotti rispettivamente su 716 e su 423 pazienti, e cioè circa la metà dei pazienti arruolati nello studio CATT;
   l'utilizzo off-label (fuori indicazione di registrazione) di farmaci è legalmente permesso in Nord America, Europa ed Asia ed è una pratica comunemente accettata, quando necessaria ed utile, sia dai medici che dalle istituzioni sanitarie, ed anche da alcune assicurazioni (vedi Stati Uniti);
   l'Italia è un paese in cui la prescrizione off-label è consentita dalla legge n. 648 del 1996 oltre che da leggi regionali;
   questa procedura è sempre stata considerata anche un modo per migliorare le conoscenze ed offrire più precocemente nuove terapie ai pazienti;
   nell'assistenza garantita dal Sistema sanitario nazionale tutti i pazienti la cui patologia rientri nelle indicazioni di Lucentis, potrebbero essere trattati. Ma i costi proibitivi per molte ASL italiane le costringono al «non trattamento» o alla migrazione dei loro pazienti;
   la popolazione italiana, sta diventando sempre più anziana, questa patologia è un problema urgente da risolvere;
   in un periodo di risorse economiche definite, per offrire la possibilità del trattamento ad un numero maggiore di pazienti, molti ospedali e strutture sanitarie hanno valutato la possibilità di utilizzare Avastin off-label nonostante che Lucentis abbia l'indicazione ministeriale, ma i ricorsi fatti dalla Novartis scoraggiano ogni iniziativa;
   la regione Emilia-Romagna, con una specifica delibera, ha autorizzato gli oftalmologi della propria regione all'utilizzo di Avastin ad uso oculistico. Ma Novartis ha presentato ricorso al TAR, vincendolo e richiedendo i danni economici;
   altre indicazioni invece off-label sempre di Avastin (glioblastoma e carcinoma ovarico) approvate con delibere ad hoc da regioni come la Toscana ne permettono l'utilizzo senza subire, nessun ricorso;
   è paradossale che per alcuni vincoli normativi, il Sistema sanitario nazionale non possa utilizzare il meno costoso ma altrettanto efficace Avastin, solo per la mancata estensione delle indicazioni;
   nella precedente legislatura, la prima stesura del decreto Balduzzi, nell'articolo 11, comma 3, veniva autorizzato l'uso di farmaci off-label se il corrispettivo con indicazione registrata avesse avuto un costo superiore del 50 per cento rispetto al farmaco registrato, ma, ad avviso dell'interrogante incredibilmente, questa disposizione è stata abrogata in sede di conversione del decreto-legge;
   per di più a fine ottobre 2012 è stata diffusa una nota del direttore generale dell'AIFA in cui si ribadiva la natura off-label del trattamento con «Avastin intravitreale» e l'esclusione della lista di farmaci autorizzati nella 648 del 1996 che ne preclude la rimborsabilità per il Sistema sanitario nazionale;
   dopo circa 30 giorni da questa lettera è stato pubblicato in gazzetta l'allargamento delle indicazioni per Lucentis oltre che per la maculopatia senile anche nell'edema maculare diabetico e nelle trombosi retiniche concedendo a Novartis nuove fasce di mercato a scapito del Sistema sanitario nazionale;
   dopo circa un altro mese viene diffusa su tutti i media l'apertura da parte dell’antitrust di una procedura di infrazione per violazione del libero mercato da parte di Novartis e Roche con il sospetto che le due multinazionali si siano accordate –:
   se il Ministro, in attesa del pronunciamento dell’antitrust, non ritenga opportuno intervenire affinché sia reinserito nella lista dei farmaci off-label autorizzati dalla legge 648 del 1996 l'utilizzo di «Avastin uso oculistico». (5-00800)

Interrogazione a risposta scritta:


   SEGONI, DAGA, BUSTO, TERZONI, TOFALO, ZOLEZZI, DE ROSA, MANNINO, GAGNARLI, BALDASSARRE, ARTINI e BONAFEDE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Pisa, nella zona denominata «Comprensorio del Cuoio» (composto dai comuni di Santa Croce Sull'Arno, Montopoli Valdarno, Castelfranco di Sotto, San Miniato) sono presenti varie industrie conciarie e vari impianti industriali che esercitano una forte pressione antropica sull'ambiente;
   nel suddetto territorio sono previste la costruzione di altri impianti industriali come un impianto di incenerimento rifiuti speciali ed il potenziamento di impianti di depurazione anche in vista di un progetto denominato «Tubone», cioè un impianto che permetterà di far confluire nella zona gli scarichi fognari da altre zone della Toscana per un ammontare complessivo di circa 28 milioni di metri cubi di acque reflue l'anno come asserito il 16 aprile 2008 dal Bollettino Ufficiale della Regione Toscana – n. 16 (pagina 39, articolo 2, comma 2);
   è stato istituito un gruppo di lavoro/commissione composto da rappresentanti e membri dell'Arpat (ente protezione ambientale per la Toscana), Asl 11 e con la collaborazione di altri enti quali l'Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (ISPO) di Firenze, l'università di Pisa, la fondazione Monasterio – CNR, poiché nel 2008 molti medici di medicina generale segnalavano il decesso di molti soggetti, anche molto giovani, per leucemie nel comune di Montopoli Valdarno;
   la suddetta commissione ha presentato e pubblicato il proprio lavoro il 30 luglio 2012 e dalle conclusioni dello studio emerge che: «...nel comune di Montopoli tra le donne risulta in eccesso la mortalità per leucemie mieloidi negli anni 2000-2008 (7 osservati – di cui 5 nel 2004-2008 – e 1,8 attesi) in tutte le classi di età e specialmente in quelle giovani, mentre non risulta in eccesso l'incidenza. Tra gli uomini risulta elevata la mortalità per leucemie linfatiche nel periodo 2004-2008 (1.6 attesi e 5 osservati nel periodo 200-2008 di cui 4 nel 2004-2008). L'incidenza risulta in eccesso per tutte le leucemie nel 2004-2008 nella fascia di età 0-34 (SIR 795.9, osservati 4 contro 0.5 attesi) e anche per le leucemie linfatiche (SIR 856.2, 3 osservati contro 0.4 attesi)» e che, invece, «Tra gli uomini residenti a Santa Croce (dai dati del RTT) si evidenzia un eccesso di incidenza di leucemie nel 2004-2005 (casi 4 volte superiori all'atteso, basato su 8 casi osservati)»;
   il gruppo di lavoro ha concluso la propria analisi «...ritenendo che quanto realizzato costituisca il basamento di un sistema di sorveglianza in continuo, indispensabile per dare risposte in tempi brevi e con modalità adeguate sull'andamento corrente dei fenomeni indagati e, in questo contesto, per essere in grado di individuare e connotare per tempo ulteriori segnalazioni che dovessero provenire dai presidi di sorveglianza sanitaria sul territorio», e ha reputato necessario «...l'aggiornamento dei dati della mortalità e dell'incidenza delle patologie indagate su tutta la ASL e sugli ambiti territoriali e un approfondimento ulteriore sui casi in alcune limitate aree. Il lavoro svolto ha messo in evidenza alcuni limiti dei database correnti rispetto alla necessità di rispondere in maniera tempestiva ad alcune segnalazioni provenienti dal territorio ed ha individuato possibili correttivi.»;
   il principio di precauzione è un principio fondamentale come il diritto alla salute e come quello a vivere in un ambiente sano e salubre –:
   se il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, intenda effettuare uno studio per il tramite dell'Istituto superiore di sanità su aree sottoposte a forti pressioni antropiche al fine di verificare se sussistano correlazioni statistiche significative generalizzate tra tali condizioni ambientali e la compromissione della salute dei cittadini, ciò al fine di assumere ogni iniziativa, anche normativa, diretta a garantire ed assicurare il diritto alla salute dei cittadini anche in vista della costruzione di nuovi impianti che accentuino i fattori di rischio in tali aree. (4-01525)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PETRINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   SACE BT S.p.A. è una società assicurativa del gruppo SACE, vigilata dall'IVASS, che opera nei rami credito, cauzioni e ADB, specializzata nella gestione e copertura dei rischi sul mercato domestico e all'esportazione;
   la Compagnia di assicurazione affianca le imprese italiane che intendono cogliere nuove opportunità di crescita in mercati poco conosciuti e consolidare posizioni già raggiunte;
   nel mese di giugno la direzione commerciale e la direzione tecnica della Compagnia hanno inviato una lettera agli intermediari del ramo credito volta a individuare una lista dei massimali su cui effettuare cancellazioni a partire dal 1o luglio;
   l'intervento, volto al contenimento dei rischi sensibili, è dovuto – secondo quanto riportato dalla SACE BT – al permanere della difficile situazione economica e all'allontanamento delle prospettive di ripresa, che dovrebbero concretizzarsi non prima del 2014, che hanno reso necessario un contenimento delle insolvenze nella seconda parte di quest'anno e nel 2014;
   l'obiettivo è quello di prevenire e contenere i mancati pagamenti che potrebbero manifestarsi nei prossimi mesi; a tal fine la Compagnia ha posto in essere una profonda attività di verifica dei propri rischi volta ad intercettare le posizioni critiche;
   il Governo si è espresso in più occasioni la volontà di sostenere l'internazionalizzazione e l’export, delle imprese italiane attraverso l'incremento di risorse ed un miglioramento del funzionamento dell'Istituto del commercio estero (ICE);
   tale sostegno non può tuttavia prescindere dalla necessità di intervento anche sul piano del rilascio delle garanzie e delle coperture assicurative relativi ai rischi connessi al commercio sui mercati esteri;
   in data 9 novembre 2012 Cassa depositi e prestiti S.p.A. (CDP) ha acquistato l'intero capitale sociale di SACE dal Ministero dell'economia e delle finanze, avendo esercitato l'opzione di acquisto di cui all'articolo 23-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
   l'operazione di aggregazione si è concretizzata, lo scorso 3 luglio, con una nuova convenzione relativa al sistema «Export Banca» tra le società del gruppo Cassa depositi e prestiti (CDP), e l'Associazione bancaria italiana (ABI) che regola le operazioni a supporto dell'internazionalizzazione e delle esportazioni delle imprese italiane e prevede il supporto finanziario del sistema bancario (ABI) e di CDP, la garanzia di SACE –:
   quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati sui fatti espressi in premessa e, conseguentemente, quali interventi intendano mettere in atto al fine di migliorare le condizioni di accesso al credito, in particolare per le imprese di piccole e medie dimensioni, anche prevedendo azioni volte al potenziamento del rilascio delle garanzie e delle coperture assicurative relative ai rischi connessi al commercio sui mercati esteri in un'ottica di internazionalizzazione delle imprese.
(5-00798)


   TARICCO, CARELLA, RICHETTI, PATRIARCA, CARRESCIA, MONGIELLO, ANTEZZA, LUCIANO AGOSTINI, CARRA, RUGHETTI, COVA, TERROSI, AMODDIO, CASELLATO, MAESTRI, BOBBA, OLIVERIO, DE MENECH e GINOBLE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 1 del regio decreto n. 246/1938, tuttora vigente, è obbligato al pagamento del canone di abbonamento televisivo chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione e che la presenza di un impianto aereo o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio ricevente;
   il base all'articolo 47 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 e successive modificazioni, recante il «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici», il costo di fornitura del servizio pubblico generale radiotelevisivo è coperto dal canone di abbonamento, di cui al regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, ed il comma 3 dell'articolo 47, nel dettare i principi sul finanziamento del servizio pubblico generale radiotelevisivo, prevedo che, «entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni con proprio decreto stabilisce l'ammontare del canone di abbonamento in vigore dal 1° gennaio dell'anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società, come desumibili dall'ultimo bilancio trasmesso prendendo anche in considerazione il tasso di inflazione programmato e le esigenze di sviluppo tecnologico delle imprese»;
   l'ammontare dei canoni di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo è stato da ultimo adeguato, per l'anno 2013, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 20 dicembre 2012;
   alla luce delle modifiche normative introdotte il canone televisivo (canone RAI) si configura oramai a tutti gli effetti come un'imposta sull'accesso potenziale all'utilizzo di mezzi di informazione e comunicazione, un'imposta sulla detenzione di apparecchi atti od adattabili alla ricezione di radioaudizioni, indipendente dalla reale fruizione o dalla volontà di fruire del servizio;
   nell'interpretazione dei soggetti preposti al controllo è sufficiente a tutti gli effetti la presenza nelle civili abitazioni di una presa di antenna per visione televisiva o il possesso di un personal computer atto ad accesso internet per configurare la presenza dell'utilizzo potenziale e quindi l'obbligo di pagamento del canone, che in carenza legittima sanzioni;
   come evidenziato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) nella relazione di mandato 2005-2012 e nella relazione annuale 2012, i ricavi generati dalla riscossione del canone, pari a circa 1,6 miliardi di euro nel 2011 su un totale di ricavi Rai di circa 2,54 miliardi di euro, «continuano a rappresentare un elemento di criticità in ragione degli elevati livelli di evasione», creandosi pertanto un'oggettiva ingiustizia tra coloro che utilizzano il mezzo televisivo pagando il canone e chi no –:
   quale politica in materia il Governo intenda adottare;
   se non ritenga opportuna l'adozione di misure volte alla soppressione del canone di abbonamento RAI, previa individuazione di adeguate forme di copertura degli oneri di servizio pubblico radiotelevisivo maggiormente eque dal punto di vista sociale. (5-00799)


   BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   retItalia internazionale è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è interamente posseduto dall'ex Istituto nazionale per il commercio estero (Ice), attualmente Ice-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
   la società svolge analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'Ice, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, nonché di fornitura di assistenza qualificata al personale dell'Ice e alle piccole e medie imprese italiane;
   il Ministero dello sviluppo economico, nei mese di giugno dei 2011, ha assegnato alla società il progetto del portale «Made in Italy», un sistema di commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale, e, nell'aprile 2012, del progetto «International trade hub-Italia», un portale sponsorizzato dal «Tavolo strategico nazionale per la trade facilitation» che consente alle imprese italiane di accedere da un unico punto a i tutti processi relativi all'internazionalizzazione;
   dopo la decisione di sciogliere l'ICE, che possedeva al cento per cento il pacchetto azionario di rettali internazionale, e la costituzione dell'Agenzia ICE, la proprietà dell'azienda è stata trasferita all'Agenzia medesima e al Ministero dello sviluppo economico;
   nel mese di maggio del 2012, il Ministero dello sviluppo economico, nel periodo di gestione transitoria dell'ex ICE, ha dimezzato il contratto in essere tra ICE e retItalia internazionale (da 6.000.000 a 3.000.000 di euro IVA inclusa), con il risultato di spingere la società a mettere in atto una cassa integrazione ordinaria;
   a ottobre 2012, a seguito della «spending review» il Ministero dello sviluppo economico, ha dato indicazione di provvedere all'alienazione di retItalia internazionale e ha posto come prerequisito una severa ristrutturazione della società, attualmente costituita da 67 lavoratori, un Dirigente e un Direttore Generale, al fine di renderla appetibile per il mercato;
   nell'ambito della discussione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n, 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, è stato accolto alla Camera dei deputati l'ordine del giorno 9/5626/33 che impegnava il Governo a valutare, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'opportunità «di procedere all'integrazione del personale a tempo indeterminato appartenente alla società RetItalia Internazionale S.p.a. nei ruoli dell'Agenzia per l'Italia digitale previa procedura selettiva, finalizzata al collocamento del personale all'interno dell'Agenzia»;
   tale impegno veniva rinnovato dal Governo nell'ambito della discussione della legge di stabilità per il 2013, con raccoglimento dell'ordine del giorno 9/5534-bis-B/36, in cui veniva evidenziato che, alla luce degli incrementi di risorse destinati all'ICE-Agenzia previsti dalla legge di stabilità per il 2013, «sarebbe ipotizzabile che parte di quelle risorse potesse essere utilizzata al fine di garantire il mantenimento di quel patrimonio di know how ed expertise rappresentato dalla società RetItalia Internazionale S.p.a. e messo al servizio della pubblica amministrazione»;
   il 10 aprile 2013 la dirigenza di RetItalia internazionale SpA ha evidenziato alle rappresentanze sindacali unitarie la necessità di usufruire di un periodo di 12 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale;
   il 30 aprile 2013 si è svolto l'esame congiunto tra le parti, finalizzato al completamento della richiesta di cassa integrazione straordinaria avviata dalla società nei confronti dei 67 lavoratori operativi presso l'unità produttiva di Roma, in occasione del quale non si è giunti ad alcuna comune intesa, ma che ha previsto la sospensione a zero ore dei lavoratori senza rotazione;
   da maggio 2013 i dipendenti della società sono entrati in una cassa integrazione straordinaria, estremamente penalizzante, le professionalità e lo stesso patrimonio informatico in gestione a RetItalia internazionale SpA rischiano, in tal modo, di andare dispersi –:
   quali siano le motivazioni che hanno condotto l'Ice-Agenzia ad autorizzare l'alienazione della società con le modalità e le procedure previste dalla spending review, e se, a legittimazione della scelta, sia stato prodotto un parere dal Ministero dello sviluppo economico;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno specificare le motivazioni che hanno impedito alla società in house di rientrare nella deroga di cui al comma 3, dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012;
   quale sia la posizione del Ministro in indirizzo circa il futuro di RetItalia internazionale SpA e quali iniziative intenda intraprendere al fine di salvaguardare i 67 lavoratori di RetItalia internazionale, attraverso soluzioni alternative al procedimento di alienazione;
   se si intenda dar seguito agli impegni assunti dal Governo, prevedendo l'eventuale integrazione del personale della società in house nelle strutture della pubblica amministrazione, al fine di salvaguardare le conoscenze maturate e la tenuta dei progetti già avviati, nonché di garantire un'opportuna continuità operativa segnatamente sul versante della integrazione ed interconnessione dei servizi e dei sistemi informativi con i sistemi esterni. (5-00809)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VELO e BINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il tema di un puntuale ed efficiente servizio postale universale deve tornare a rivestire centralità nella programmazione di un moderno sistema di servizi ai cittadini e alle imprese, quale contributo per il rilancio dell'economia e per il miglioramento della qualità della vita. Tali obiettivi, in un quadro di economicità della gestione, dovrebbero costituire la «mission» della società Poste italiane, soggetto economico interamente controllato dallo Stato;
   non tutte le scelte compiute dalla società Poste italiane nel corso degli ultimi anni sembrano corrispondere con tale impostazione e meritano un'attenta verifica circa le conseguenze che ne discendono dal punto di vista della qualità del servizio, dell'economicità, della razionalità gestionale e delle ricadute occupazionali, basti pensare al piano di riordino del servizio di recapito dell'aprile 2012;
   anche le modalità con le quali sono stati gestiti negli ultimi anni i rapporti con le Agenzie di recapito, imprese private operanti nel settore della distribuzione, del recapito e dei servizi postali, destano più di qualche perplessità e interrogativo;
   queste imprese, fino al 1999, operavano sulla base di concessioni rilasciate dal Ministero delle poste, e a fronte del versamento del 30 per cento del corrispettivo del servizio, erano autorizzate al recapito di tutti i prodotti postali;
   l'articolo 40 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (provvedimento collegato alla legge finanziaria 1999), ha delegato il Governo ad adottare un apposito regolamento (cosiddetto di delegificazione) di modifica del codice postale, volto ad assicurare la prestazione di un servizio postale universale con prezzi accessibili a tutti gli utenti, la determinazione dei servizi oggetto di riserva e la revoca delle concessioni di servizi postali previste dall'articolo 29 del codice postale, nonché a prevedere l'introduzione degli istituti dell'autorizzazione generale e della licenza individuale per l'espletamento dei servizi non riservati;
   con il decreto legislativo 22 luglio 1999, di recepimento della direttiva 97/67/CE, sono state pertanto revocate tali concessioni; le Agenzie di recapito sono state autorizzate al servizio di recapito delle raccomandate;
   l'articolo 23 del citato decreto, stabiliva che, in relazione a quanto disposto dal decreto del Ministro delle comunicazioni del 5 agosto 1997, le concessioni di cui all'articolo 29, numero 1, del codice postale e delle telecomunicazioni, decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, fossero valide sino al 31 dicembre 2000; al comma 5 del medesimo articolo 23, veniva altresì previsto che le Poste italiane potessero realizzare accordi con gli operatori privati, anche dopo la scadenza delle concessioni, al fine di ottimizzare i servizi, favorendo il miglioramento della qualità dei servizi stessi anche attraverso l'utilizzazione delle professionalità già esistenti;
   con «Memorandum» sottoscritto l'11 dicembre 2007 presso il Ministero delle comunicazioni, tra il Ministro competente, le agenzie di recapito e le Poste italiane, sono state delineate le fasi essenziali del processo di liberalizzazione del settore;
   l'anno successivo le Poste italiane, con appositi bandi di gara, hanno disposto l'assegnazione di una variegata tipologia di servizi oltre alle raccomandate, in linea con la prevista ristrutturazione del sistema postale;
   numerosi ex concessionari sono stati esclusi da tali gare a vantaggio di nuovi soggetti; nel complesso, si è ridotto sensibilmente il numero degli operatori partner di Poste italiane così come – anche a seguito di internalizzazioni del servizio, conseguenti a situazioni di vario genere (è il caso di alcuni grandi capoluoghi) – si è ridotto il novero delle città in cui essi operano;
   allo stato attuale le agenzie di recapito – escluse dal mercato dei servizi postali nel 1999 – risultano affidatarie di servizi diversi di Poste italiane quali il recapito di prodotti a firma, nonché la consegna dei pacchi;
   in circa dieci anni il valore degli appalti affidati da Poste italiane, in controtendenza con l'auspicato processo di liberalizzazione del servizio, si è segnatamente ristretto: da un valore di circa 70 milioni di euro all'anno nel 2000, a 58 milioni nel 2008, a meno di 40 milioni nel 2011; le gare bandite di recente da Poste italiane prevedono l'affidamento di servizi per un valore non superiore a 28 milioni di euro, con ricadute significative sulle imprese, anche in termini di occupazione;
   le agenzie di recapito hanno fatto fronte alla contrazione del mercato dei servizi postali con grande impegno e flessibilità, evitando tensioni occupazionali, anche grazie alla fattiva collaborazione con le organizzazioni sindacali. Nonostante ciò, non si può non registrare che, a tutt'oggi, diverse centinaia di lavoratori hanno perso il lavoro e attendono, anche da anni, l'apertura di una vera e propria trattativa nazionale che veda il coinvolgimento delle autorità competenti;
   gli operatori privati, circa 70 fino al 2000, si sono moltiplicati a dismisura; si calcola che oggi le imprese titolari di licenza siano oltre 2.500; l'autorizzazione all'esercizio del servizio viene concessa a fronte di un versamento poco più che simbolico, senza alcun controllo dei requisiti di solidità, tecnico-organizzativi, imprenditoriali delle imprese e degli addetti al servizio in un settore molto delicato che prevede anche il contatto con il pubblico, la sicurezza e la riservatezza della corrispondenza e degli utenti del servizio;
   allo stato attuale, risulta che sul territorio nazionale, operano numerose aziende in regime di subappalto che non applicano il CCNL di settore –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di verificare la coerenza delle strategie e delle scelte organizzative adottate negli ultimi tempi dalla società Poste italiane con gli indirizzi e con le finalità del servizio pubblico universale, con particolare riguardo alla gestione dei rapporti con gli operatori privati al fine di garantire elevati e omogenei standard qualitativi su tutto il territorio nazionale, procedure di selezione degli affidatari dei servizi che non penalizzino le piccole imprese e che prevedano l'applicazione e il rispetto del contratto nazionale di lavoro di settore, nonché la tutela dei livelli occupazionali;
   se non ritenga di dover attivare un tavolo di concertazione tra tutti i soggetti cointeressati, allo scopo di concordare e di avviare nell'immediato un piano per lo sviluppo del settore postale, prevedendo iniziative specifiche per le piccole imprese del recapito e per i lavoratori del settore.
(4-01508)


   GAGNARLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società per azioni, il cui capitale è posseduto al 100 per cento dallo Stato italiano, chiamata a gestire un servizio di pubblica utilità;
   sino al 2016 Poste italiane spa è tenuta ad erogare il cosiddetto «servizio universale» cioè assicurare una prestazione continuativa durante tutto l'anno che interessi tutti i punti del territorio nazionale, assicurando un adeguato numero di punti di accesso, soprattutto in area di disagio territoriale e sociale; per tali funzioni lo Stato assicura a Poste italiane spa un congruo compenso;
   nel comune di Ciggiano la società ha già disposto la chiusura dell'ufficio postale, lo scorso 18 dicembre, che serviva anche una ampia zona collinare del comune di Civitella in Val di Chiana;
   il territorio in questione presenta diverse criticità e particolarità sia da un punto di vista geografico sia sociale, in quanto caratterizzato da una vasta area collinare priva di altri servizi similari alternativi e con una forte presenza di anziani;
   in aggiunta a quanto già accaduto, la società Poste italiane spa ha di recente rimosso anche la cassetta postale, già in precedenza sigillata con del nastro adesivo e contenente per giunta lettere non ancora distribuite, senza nessun preavviso –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine evitare disagi ai cittadini nonché il pregiudizio all'efficienza che può derivare alle realtà produttive del territorio da questa decisione di Poste italiane;
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di aprire un confronto con Poste italiane spa per indurre l'azienda erogatrice del «servizio universale» a cessare questa politica di gestione unilaterale degli uffici postali, erogatori di servizi pubblici, senza il coinvolgimento degli enti locali e delle organizzazioni sociali e di categoria dei territori. (4-01512)


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 2006 a oggi Poste italiane spa ha effettuato tagli costanti per compensare le perdite. Nonostante un bilancio 2012 con 1.032 milioni di euro in attivo, i servizi postali continuano, infatti, a calare in termini di ricavo (-9 per cento nel 2011);
   Poste italiane, tra il 10 giugno 2013 e il 7 ottobre 2013, ha intenzione di togliere dal servizio altri 6.000 portalettere in tutta Italia, oltre 500 nella sola regione Lazio, di cui 385 a Roma, 46 a Frosinone, 49 a Latina, 22 a Rieti, 23 a Viterbo. Le modalità con cui effettuare tali tagli d'organico prevedono prepensionamenti, part-time, ricollocazioni e mobilità;
   Stefano Angelini, segretario regionale Uil Poste, denuncia una situazione disastrosa nella capitale e in tutto il Lazio, con un'elevata mole di corrispondenza non consegnata a causa dell'alto numero di esodati, dell'accorpamento di diverse zone di recapito e delle ferie estive;
   con la drastica riduzione dei portalettere e l'allargamento delle zone, diventa impossibile consegnare tutta la corrispondenza. Nelle province si prospetta addirittura la distribuzione a giorni alterni. La posta, inoltre, rimane in giacenza e, per quanto riguarda le raccomandate, vengono consegnati i soli avvisi di recapito, obbligando l'utente a recarsi nei pochi uffici principali nei quali queste possono essere ritirate;
   particolarmente critica è la situazione di Roma in cui verranno cancellate 258 zone di consegna a fronte dei 367 tagli a livello regionale. I tagli colpiranno in particolar modo la periferia, attualmente già nell'abbandono più completo, mentre il servizio rimane piuttosto regolare in centro città;
   non va meglio fuori dalla capitale: problemi si registrano ai Castelli e a Fiano Romano, mentre da diversi giorni non c’è nessun servizio nella provincia di Latina e a Rieti, Viterbo e Frosinone;
   la situazione viene sistematicamente occultata dall'azienda che avvia le procedure proprio nei mesi estivi, dandole così meno visibilità;
   per questo, nei prossimi giorni la situazione si aggraverà. È previsto, infatti, uno sciopero dei portalettere della durata di un mese: i postini non effettueranno turni straordinari e non si recheranno nelle ulteriori zone che sono state assegnate loro per coprire, temporaneamente, il turno di un collega in ferie. Quartieri e paesi interi resteranno a secco di corrispondenza –:
   se siano a conoscenza delle politiche di ridimensionamento adottate da Poste italiane spa e quali iniziative intendano mettere in atto per garantire livelli occupazionali idonei a evitare che si verifichino, nei confronti dei cittadini, disservizi e disagi nello smistamento e nella consegna della corrispondenza. (4-01520)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-00705, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   interrogazione a risposta scritta De Lorenzis n. 4-01325 del 19 luglio 2013;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   Interrogazione a risposta in Commissione Velo e Bini n. 5-00191 del 29 maggio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01508.
   Interrogazione a risposta in Commissione Battelli e altri n. 5-00255 del 5 giugno 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01507.
   Interrogazione a risposta scritta Bini n. 4-00809 dell'11 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00800.