Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 30 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, così come modificato dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto nel nostro ordinamento il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
    tale reato, oltre che punire una condizione più che una condotta, in sede applicativa nei confronti dei migranti ha determinato la condanna dell'Italia da parte della Corte europea per i diritti dell'uomo per non aver rispettato il principio del non respingimento, contenuto nella Convenzione di Ginevra del 1951;
    secondo i dati di Famiglia cristiana, che riprende quelli elaborati dalla direzione generale della giustizia penale del Ministero di giustizia, paradossalmente, nel periodo in cui non esisteva il reato summenzionato, il numero di espulsioni per coloro che si trovavano in Italia in maniera irregolare era addirittura maggiore: 49 per cento nel 2003 contro il 28 per cento del 2012;
    i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all'espulsione;
    l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta legge «Bossi-Fini», prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento», «il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso» il CIE e che quindi tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione;
    dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (cosiddetto pacchetto sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi, rafforzando così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, caratterizzandosi come luoghi di detenzione amministrativa delle e dei migranti;
    secondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i CIE operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei CIE è incrementato di appena il 2,3 per cento, mentre rispetto al 2011, l'incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3 per cento): si conferma dunque la sostanziale inutilità dell'estensione della durata massima del trattenimento ai fini di un miglioramento nell'efficacia delle espulsioni;
    il citato articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 2, dispone che in tali centri lo straniero è trattenuto «con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità»;
    l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 specifica che le modalità del trattamento nei CIE «devono garantire, nel rispetto del Regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all'interno del centro e con visitatore proveniente dall'esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona» e che in tali centri devono essere presenti «i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto» e i «servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale»;
    all'interno dei CIE si sono verificate gravi violazioni dei diritti umani, come denunciato sia da inchieste ed articoli di stampa, sia dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni per la tutela dei diritti umani tra le quali anche Amnesty international e Medici senza frontiere, e fin dall'indagine interministeriale presentata dall'ambasciatore de Mistura nel 2007;
    in particolare, come risulta dall'indagine «Arcipelago CIE» realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani (MEDU) e pubblicata a maggio 2013 la struttura dei CIE è simile a quella dei centri di internamento. «L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri»;
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini MEDU evidenziano che «In generale all'interno dei CIE non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario»;
    in una lettera indirizzata al Ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri, e datata 11 luglio 2012 gli onorevoli Livia Turco e Roberto Zaccaria hanno riferito circa le visite ispettive, effettuate da parte di alcune delegazioni di Parlamentari, all'interno di diversi CIE presenti sul territorio italiano nel corso del mese di giugno 2012, al fine di avere una conoscenza diretta delle condizioni di permanenza dei migranti trattenuti;
    dalle visite effettuate sono emerse diverse criticità e primariamente un'altissima compressione dei diritti fondamentali: pur in presenza di un titolo di detenzione solo amministrativo, ai fini dell'identificazione, dell'espulsione o del rimpatrio, si e riscontrata la presenza di persone private della libertà personale per lunghissimi periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa, lavorativa, formativa;
    l'assenza di un regolamento «comune» per tutti i CIE presenti in Italia, e la presenza di soli regolamenti adottati dalle prefetture di competenza, determina un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle «ragioni di sicurezza»;
    altro dato preoccupante è costituito dalla forte eterogeneità e promiscuità delle persone presenti all'interno dei CIE: vi si trovano persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che, ad un certo punto, per le ragioni più diverse, hanno perso il permesso di soggiorno (cosiddetti overstayers); richiedenti asilo che hanno inoltrato la domanda dopo essere giunti al CIE e che dunque non sono stati trasferiti in un CARA; ex detenuti, a fine pena, che sono stati poi trasferiti nel CIE in attesa di identificazione o di rimpatrio; nonché numerose persone che sono state a lungo trattenute nei CIE, poi rilasciate e che, nuovamente fermate, vi rientrano;
    in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei CIE di un elevato numero di ex detenuti, che dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all'interno dei CIE, nonostante una direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, degli allora Ministri Amato e Mastella, stabilisse che, in linea con le indicazioni dell'allora rapporto De Mistura, l'identificazione per i detenuti dovesse avvenire in carcere, e non più negli allora centri di permanenza temporanea, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti. Riconoscimento che, comunque, si presenta problematico e che causa un considerevole impiego di forze dell'ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;
    tutte le criticità rilevate nel corso delle visite da parte di delegazioni di parlamentari, sono fortemente aggravate dall'allungamento del termine massimo di permanenza all'interno di un CIE che, senza riuscire a facilitare il problema dell'identificazione e dei rimpatri, ha finito per creare una sorta di limbo giuridico, caratterizzato dalla negazione di diritti – anche fondamentali –, nel quale i trattenuti possono permanere fino a 18 mesi e al quale occorre urgentemente porre rimedio;
    nel giugno del 2012, in concomitanza con l'emersione di lacune strutturali che avevano portato alla chiusura del «Serraino Vulpitta» di Trapani e del «Malgrado Tutto» di Lamezia Terme e di gravi inadempienze contrattuali emerse in numerosi centri, il Ministro dell'interno pro tempore, Anna Maria Cancellieri, ha istituito una task-force, con il compito di analizzare la situazione in cui versano i CIE, relativamente agli aspetti di carattere normativo, organizzativo e gestionale, al fine di elaborare proposte normative atte a migliorare l'operatività dei centri di espulsione ed assicurarne l'uniformità di funzionamento a livello nazionale;
    precedentemente, nel luglio 2006, con decreto dell'allora Ministro dell'interno, Giuliano Amato, venne istituita la Commissione De Mistura, il cui citato rapporto fu depositato il 31 gennaio 2007. Vale rilevare la diversa composizione delle due Commissioni: la Commissione del 2012 è stata composta esclusivamente da funzionari del Ministero dell'interno, mentre la Commissione precedente era composta sia da membri ministeriali che da appartenenti all'associazionismo (una commissione «mista»);
    la Commissione De Mistura operò visitando tutti i centri, incontrando le prefetture, le questure, ascoltando le associazioni dei vari territori, gli enti locali e le persone trattenute; esaminò inoltre i documenti che le venivano sottoposti e raccolse direttamente migliaia di dati, anche attraverso l'utilizzo di apposite schede di rilevazione;
    le conclusioni della Commissione De Mistura non trovarono attuazione, né paiono esser state tenute a riferimento nell'impostazione dell'indagine 2012. Le risultanze dei due rapporti appaiono estremamente diverse, così come le conclusioni. Infatti, mentre la commissione De Mistura, dopo avere analizzato tutte le criticità presenti nei luoghi di detenzione amministrativa, concludeva per il «superamento» degli allora C.P.T.A. attraverso il loro «svuotamento», la più recente task force ha elaborato un «Documento programmatico» che, pubblicato solo ad aprile 2013, e quindi in fase di dimissione del Governo, è volto ad implementare i centri di detenzione amministrativa, individuando le criticità prevalentemente condotta delle persone trattenute;
    le soluzioni prospettate nel progetto di revisione del «sistema Cie», tutto condensato in 27 pagine, più allegati, muove dal presupposto della necessità dei CIE e prevede numerose novità sia dal punto di vista amministrativo che del funzionamento vero e proprio;
    in tal senso, nel cosiddetto Rapporto Ruperto, si coglie una sorta di ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla Direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come «direttiva rimpatri»;
    infatti, ogni passo del Rapporto apre un elemento di problematicità: ad esempio, nel prendere atto del fatto che i CIE operano con capienza ridotta a causa del danneggiamento dei locali causato dai trattenuti, non si affronta il correlato tema per cui il forte ribasso dei corrispettivi previsti dalle convenzioni agli enti gestori ha portato ad una diminuzione del personale degli stessi;
    nel Rapporto si annuncia poi che molti immigrati senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i CIE, ma i CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza), che, con procedimenti spesso informali, comportano il rischio del ricorso alle espulsioni cosiddette collettive – la cui pratica è da ritenersi illegittima secondo l'articolo 4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo –, in violazione gli stessi accordi di Schengen;
    altro aspetto su cui il Rapporto si sofferma molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i «potenziali» rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali;
    a riguardo, la sentenza n. 1410 del 12 dicembre 2012 del tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel CIE di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le forze dell'ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per «legittima difesa» e la reazione degli stranieri alle «offese ingiuste» è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha infatti scritto che, nel caso dei CIE, si tratta di «strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza»;
    da ultimo, il caso Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, in un articolo pubblicato su L'Unità del 17 luglio 2013, «accade che la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo» e come, dunque, tale caso istituzionale «potrebbe rappresentare l'occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio: quante espulsioni espongono lo straniero al rischio di trattamenti illegali e crudeli?»;

impegna il Governo:

   a ripensare radicalmente l'attuale sistema di detenzione amministrativa, con l'obiettivo di limitarne al massimo la necessità e l'utilizzo:
    a) introducendo politiche migratorie atte a garantire effettive possibilità di ingresso regolare e di inserimento sociale;
    b) intervenendo sulla disciplina del periodo di permanenza, di modo che si eviti il trattenimento nei CIE di coloro che hanno bisogno di protezione sociale come le vittime di tratta, i minori, i richiedenti asilo o chi, nonostante un periodo di detenzione, non è stato identificato in carcere;
   fermo restando il diritto dello Stato di decidere chi e a quali condizioni possa permanere sul territorio nazionale, nonché il diritto dello Stato di effettuare trattenimenti ai fini dell'identificazione e dell'espletamento delle procedure di rimpatrio, a:
    a) garantire che tali pratiche avvengano nel massimo della trasparenza e, soprattutto, del rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona;
    b) rivedere il testo unico sull'immigrazione di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al fine di rendere più accessibili le regolarizzazioni e gli ingressi legali e, in osservanza della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come «direttiva rimpatri», disciplinare il trattenimento solo come «estrema ratio»;
    c) rivedere gli aspetti di carattere normativo, organizzativo e gestionale dei CIE, anche attraverso il confronto con le istanze della società civile, al fine di migliorare l'operatività dei centri di espulsione ed assicurarne l'uniformità di funzionamento a livello nazionale.
(1-00156) «Zampa, Martella, Civati, Villecco Calipari, Murer, Mogherini, Madia, Cenni, Bellanova, Gozi, Grassi, Lenzi, Carra, D'Incecco, Tullo, Amoddio, Blazina, Incerti, Iori, Carlo Galli, Fabbri, Giuseppe Guerini, Porta, Garavini, Piccione, Cinzia Maria Fontana, Laforgia, Malpezzi, Marco Di Maio, Ghizzoni, Marzano, Pes, Gadda, Senaldi, Gribaudo, Cimbro, Gnecchi, Quartapelle Procopio, Velo, Lattuca, Moscatt, Tentori, Antezza, La Marca, Fiano, Capone».


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuazione dei Trattati costitutivi dell'Unione europea e l'applicazione delle norme comunitarie e delle decisioni politiche e tecniche conseguenti non può che avvenire attraverso un'ampia partecipazione democratica, che renda l'Europa un progetto condiviso dai popoli e da ciascun cittadino e cittadina;
    le prossime elezioni europee del 2014 saranno in questo senso un appuntamento di particolare importanza, anche perché il Presidente della Commissione Europea verrà per la prima volta eletto dal Parlamento Europeo, tenendo conto del risultato delle elezioni;
    nel corso degli anni si è rafforzato il ruolo dei partiti politici europei, a cui i partiti politici nazionali, anche italiani, sono affiliati o con i quali hanno comunque rapporti assai stretti, non solo ai fini della costituzione di gruppi omogenei nel Parlamento europeo ma anche per iniziative e campagne transnazionali;
    la Commissione europea in data 12 marzo 2013, con propria raccomandazione sul rafforzare l'efficienza e la democrazia nello svolgimento delle elezioni del Parlamento europeo ha indicato che prima e durante le elezioni, i partiti politici nazionali dovrebbero indicare chiaramente a quale partito politico europeo sono affiliati «anche permettendo e incoraggiando l'indicazione di tali collegamenti sulle schede elettorali»; i partiti politici dovrebbero render noto quale candidato sostengono alla presidenza della Commissione europea; i partiti nazionali dovrebbero informare gli elettori durante la campagna in merito al loro candidato alla presidenza della Commissione;
    anche in sede di Parlamento europeo la commissione del Parlamento europeo, Affari Costituzionali, si è espressa in maniera simile, in data 28 maggio 2013, in particolare esortando gli Stati membri a prevedere sulla scheda elettorale i nomi e quando appropriato i simboli dei partiti politici europei, in attesa che su questo si esprimesse anche il Parlamento Europeo in seduta plenaria che effettivamente si è pronunciato con una risoluzione approvata il 4 luglio 2013;
    sarebbe atto di particolare valore ideale e rilievo istituzionale se l'Italia fosse il primo Stato membro ad accogliere tali raccomandazioni, secondo la tradizione europeista che nel tempo ha contraddistinto in maniera particolare l'impegno italiano in sede europea;
    l'esplicita indicazione sulla scheda elettorale e durante la campagna elettorale dell'appartenenza ai partiti europei dei partiti nazionali impegnati sarebbe un'opportuna informazione agli elettori, utile per scelte consapevoli e informate;
    i firmatari del presente atto di indirizzo che aderiscono formalmente e/o idealmente al partito del socialismo europeo, esprimono la ferma convinzione che l'impegno proposto sia di eguale utilità e opportunità per ogni forza politica italiana a qualsiasi partito europeo essa aderisca,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie e urgenti iniziative dirette a recepire la raccomandazione della Commissione Europea relativamente all'indicazione dell'affiliazione europea dei partiti concorrenti alle elezioni europee 2014 nelle schede elettorali.
(1-00157) «Di Lello, Scotto, Ragosta, Locatelli, Migliore, Del Basso De Caro, Di Gioia, Pastorelli, Boccadutri, Franco Bordo, Lavagno, Melilla, Nicchi, Paglia, Piazzoni, Quaranta, Ricciatti, Pilozzi, Giancarlo Giordano, Di Salvo, Kronbichler».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il Dipartimento per l'informazione e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia in corso un complesso di contatti per pervenire ad intese volte a risolvere una controversia che vede coinvolto l'onorevole Angelucci;
   la questione è emersa in particolare da recenti fonti di stampa, le quali rilevano che l'onorevole Antonio Angelucci, deputato del PdL, componente della Commissione finanze della Camera, patron di 25 cliniche private e, per finire, editore, avrebbe aggirato, con un escamotage, la legge che vieta ad un editore di chiedere i contributi pubblici per più di una testata giornalistica;
   a quanto si apprende, la legge italiana sarebbe stata violata dapprima con riguardo all'obbligo di comunicare il controllo delle società editrici dei quotidiani Libero e Il Riformista (almeno dal 2006 al 2010, per un ammontare di sanzioni sino ad ora comminate pari a circa 100.000 euro), mentre attualmente sarebbe stato avviato un procedimento penale anche per reati di falso e truffa aggravata avendo l'onorevole illecitamente percepito, secondo il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di Roma, fondi pubblici grazie ad una rete di società estere;
   si apprende anche che per le gravi condotte contestate la Guardia di finanza ha disposto il sequestro dei beni per un valore di 20 milioni di euro;
   in una nota riportata da Il Fatto Quotidiano del 27 giugno 2013 l'onorevole Angelucci, raggiunto dalla notizia, si è dichiarato sorpreso, rilevando «la tempestività dell'odierno provvedimento, tenuto conto dei numerosi e avanzati contatti con il Dipartimento dell'editoria, con la quale era in corso una intensa attività volta alla formalizzazione delle intese per la definizione della controversia» –:
   se non si intendano fornire chiarimenti, per quanto di competenza, in ordine ai numerosi ed avanzati contatti sviluppatisi tra il Dipartimento per l'informazione e l'editoria e l'onorevole Angelucci, che dalle notizie sopra riportate risulterebbero volti alla formalizzazione di intese per la definizione della citata controversia. (5-00789)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   sono state deliberate altre tredici chiusure di sedi consolari italiane all'estero. Non è noto come si possa definire tale intervento e d'altronde non c’è sorpresa eccessiva visti gli antefatti dell'ultimo decennio;
   continua lo smantellamento ad avviso dell'interrogante scriteriato della rete consolare senza che gli organismi elettivi dell'emigrazione vengano debitamente e preventivamente consultati come da legge istitutiva del Consiglio generale degli italiani all'estero;
   all'assemblea ordinaria del Parlamentino dell'emigrazione del giugno 2013 nessuno osò ipotizzare una simile decisione di piena estate;
   il Ministro degli affari esteri Bonino portò il saluto al Consiglio di cui è presidente, e affrontò il tema delle istituzioni italiane nel mondo ipotizzando un complessivo riordino della presenza istituzionale repubblicana all'estero;
   riordinare, ridisegnare, rivedere, aggiornare, ammodernare, i verbi della speranza per milioni di nostri cittadini che vivono il mondo portando ovunque il loro sapere e la loro professionalità;
   tra loro gli emigrati di un sessantennio di storia dell'emigrazione italiana del dopoguerra di cui l'Italia ha perso, spesso e ignobilmente, le tracce e le migliaia di nuovi arrivati che hanno alzato lo sguardo oltre le Alpi e il Mediterraneo per costruire altrove il loro avvenire;
   più che un riordino l'interrogante rileva solo uno smantellamento perseguito negli anni senza che fosse possibile analizzare e discutere assieme provvedimenti e prospettive con i rappresentanti della collettività italiana;
   la preannunciata chiusura delle sedi consolari di Neuchatel, Sion e Wettingen, nella Confederazione Elvetica, senza alcun serio correttivo, non è che l'ultimo atto di una politica miope. Fu preceduto dallo smantellamento delle sedi di Losanna e Coira nei Grigioni, attuato dal Governo Berlusconi;
   Losanna, capitale olimpica, massimo centro economico e commerciale dell'area francofona della Confederazione arricchita dalla presenza di oltre centomila cittadini italiani, fu privata, con una decisione dell'allora Sottosegretario Mantica, della sede consolare. E il tutto fu trasferito alla sede decentrata di Ginevra fra lo sconcerto del mondo italiano e delle autorità e istituzioni locali;
   le responsabilità più complessive di una scelta sciagurata, non sono mai state chiarite; così come la chiusura di Coira, capitale dei Grigioni, perla del turismo internazionale, di interesse di tanti nostri cittadini;
   riordinare, ridisegnare è l'opposto di smantellare, è necessario riaprire le sedi di Losanna e Coira indebitamente chiuse;
   sarebbe un atto di forte impatto negli interessi della Nazione e dei suoi cittadini;
   sanerebbe i guasti di una decisione irresponsabile del passato, creerebbe il clima di fiducia indispensabile per un civile rapporto tra lo Stato e i suoi cittadini, giustificando, oltretutto, anche le dolorose e preannunciate chiusure;
   così si può affermare per Tolosa, la città europea che guarda alle stelle con tanti nostri ricercatori impegnati a realizzare il protagonismo europeo nel campo dell'aeronautica e dello spazio;
   o Mons, in quella terra belga ove l'emigrazione italiana ha vissuto l'epopea più drammatica e funesta;
   è necessario che si sospenda ogni decisione, e si riapra il confronto con i rappresentanti della collettività italiana e con i suoi eletti nel Parlamento Repubblicano;
   sarebbe il segnale di un nuovo rapporto, di un clima positivo, di una Italia, finalmente, vicina ai suoi cittadini in Europa e nel mondo –:
   se intenda riconsiderare le decisioni assunte e se intenda procedere alla riapertura delle sedi consolari secondo quanto auspicato in premessa. (4-01489)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   reali sono le difficoltà dei comuni marchigiani colpiti dagli eventi calamitosi, in considerazione delle insufficienti risorse finanziarie individuate dai decreti emanati per calamità naturali di cui alla legge stabilità 2013 (articoli 1, commi 290, assegnazione risorse finanziarie per eventi alluvionali del 2011 e precipitazioni nevose del febbraio 2012 per altro non ancora assegnati a seguito di un quesito posto dalle Regioni al Ministero dell'economia – comma 548 assegnazione di risorse finanziarie per gli eventi alluvionali del mese di novembre 2012;
   l'Anci ha richiesto il ristoro agli enti territoriali e alle strutture operative del servizio nazionale della protezione civile delle spese sostenute nell'arco temporale compreso tra il 1° e il 24 febbraio 2012 e non ricomprese nel novero di quelle autorizzate dal dipartimento della protezione civile a seguito dell'emanazione del decreto di dichiarazione dell'eccezionale rischio di compromissione degli interessi primari dell'8 febbraio 2012;
   durante l'incontro sull'emergenza neve svoltosi il 9 febbraio dello scorso anno, il Governo allora in carica assunse l'impegno di provvedere al ristoro di tutte le spese straordinarie sostenute per fronteggiare l'emergenza (nolo mezzi sgombraneve, riparazione automezzi, straordinari al personale dipendente, acquisto sale, catene, e altro);
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2013 contenente la ripartizione delle risorse assegnate alle regioni di cui ai commi in oggetto;
   se sia intenzione del Governo garantire il ristoro delle predette spesse ed onorare gli impegni assunti, riconoscendo, almeno in parte, le spese sostenute dai Comuni per tutte le attività straordinarie, sopra indicate, poste in essere per affrontare le suddette emergenze e comunque a comunicare tali dati ai comuni entro i primi giorni del mese di novembre in modo che le suddette entrate possano essere iscritte nei relativi bilanci di previsione. (4-01500)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE MENECH e CIVATI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   entro l'autunno l'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) deve ridefinire i termini dell'accordo con il CONAI (Consorzio nazionale imballaggi), costituito dalle imprese produttrici e utilizzatrici di imballaggi. Tale accordo, se opportunamente rinegoziato, potrebbe portare ingenti risorse economiche ai comuni per finanziare i servizi di raccolta dei rifiuti;
   i comuni italiani si trovano in condizioni di grande difficoltà economica: da un lato i continui tagli dei trasferimenti erariali e regionali rendono sempre più difficile garantire livelli accettabili di servizi ai cittadini, dall'altro le norme di indirizzo europee e nazionali, anche nel settore della raccolta differenziata, indicano correttamente la necessità di raggiungere obiettivi minimi di intercettazione e riciclo di materia dai rifiuti. Questi servizi hanno evidentemente dei costi importanti che, se non compensati da adeguati corrispettivi per vendita degli imballaggi, rischiano di ricadere unicamente nelle bollette di famiglie e imprese;
   l'associazione nazionale comuni virtuosi, in collaborazione con la ESPER (Ente di studio per la pianificazione ecosostenibile dei rifiuti), ha elaborato uno specifico dossier che entra nel merito dei conti del settore e indica dieci proposte che potrebbero garantire rilevanti entrate nelle casse dei comuni;
   gli imballaggi costituiscono il 35-40 per cento in peso e il 55-60 per cento in volume della spazzatura che si produce ogni anno in Italia. Per ogni imballaggio prodotto e immesso nel mercato, il produttore versa ai consorzi un contributo ambientale che dovrebbe essere trasferito ai comuni quando l'imballaggio, passando per la raccolta differenziata, viene riconsegnato ai consorzi. Si tratta di cifre importanti, che dovrebbero essere destinate a coprire i costi di raccolta e, se ben utilizzate, contribuire concretamente a diminuire la tassazione sui rifiuti a carico dei cittadini e delle imprese;
   delle centinaia di milioni di euro all'anno che sono incassati dal sistema Conai, solo poco più di un terzo viene girato ai comuni e queste risorse spesso non entrano neppure nelle casse comunali poiché vengono in gran parte utilizzate per pagare le piattaforme private che si occupano della preselezione dei flussi di rifiuto;
   secondo gli ultimi dati disponibili, riferiti al 2011, i comuni avrebbero beneficiato di circa 297 milioni al lordo dei costi di preselezione (si stima che, al netto di tali costi, rimanga ai comuni circa la metà) a fronte del ricavo totale annuale del sistema Conai di 813 milioni di euro. I corrispettivi che i comuni ricevono rappresentano, dunque, solo una piccola quota dei costi che la raccolta differenziata degli imballaggi comporta. Nel resto d'Europa la situazione è diversa e i contributi versati dalle imprese sono molto più elevati e comprendono il rimborso dei costi di preselezione. È necessario allineare i contributi nazionali a quelli degli altri Paesi europei al fine di ottenere una gestione efficiente e sostenibile di questi servizi anche in Italia. Infatti, aumentando le quote di riciclo, si crea un mercato per le materie prime seconde. Si calcola che una raccolta differenziata efficiente e diffusa potrebbe generare almeno 200.000 nuovi posti di lavoro distribuiti capillarmente in tutto in tutto il Paese;
   le esperienze estere in materia indicano come una diversa ripartizione dei costi del sistema determini ampi miglioramenti di tutta la filiera del riciclo e benefici economici per i comuni e gli utenti del servizio; di fatto gli enti locali si trovano ad affrontare con scarsissime risorse e strumenti molto ridotti una situazione difficile, in cui non hanno la possibilità di incidere nel processo di formazione dei rifiuti da imballaggi (i comuni non possono, infatti, influenzare le modalità di consumo e progettazione degli imballaggi o rendere obbligatorio il vuoto a rendere);
   la crisi ha comportato una minore immissione al consumo di imballi ed un minor gettito per il contributo ambientale Conai: si ritiene che questo mancato introito non debba penalizzare i comuni che sostengono i costi per i servizi di raccolta e rischiano di non ricevere un corrispettivo adeguato alla spesa sostenuta (nel 2011, in media, solo un terzo dei costi delle raccolte era sostenuto dai corrispettivi Conai per un campione in cui veniva raggiunto il 35 per cento di RD mentre nei comuni dove si raggiunge il 65 per cento di RD il tasso di copertura dei costi è pari al 20 per cento circa);
   tale dato è confermato dall'Osservatorio rifiuti della provincia di Torino che ha effettuato un accurato monitoraggio dei costi di raccolta fin dal 2007, dal quale risulta che nel 2011 la quota di costi di raccolta dei soli imballaggi coperta grazie ai corrispettivi riconosciuti dal Conai risulta pari al 28,7 per cento;
   è evidente che la compensazione dei costi della RD deve essere allineata a quella degli altri paesi europei e deve provenire sia da una riduzione dei costi di struttura del sistema Conai che da un deciso aumento del contributo ambientale Conai (CAC), che deve essere commisurato in base alla effettiva riciclabilità degli imballaggi, penalizzando fortemente le frazioni perturbatrici del riciclaggio e favorendo gli imballaggi totalmente riciclabili con bassi costi ambientali, energetici ed economici;
   infatti, si sta assistendo ad un aumento della complessità nella produzione di imballaggi che determina delle criticità di gestione, dalla fase di corretta differenziazione nelle case fino a quelle successive di raccolta-selezione-riciclo. Soprattutto per quanto riguarda la plastica sono le stesse associazioni di riciclatori, come Plastic Recyclers Europe, che identificano in un marketing orientato soprattutto all'impatto estetico, a discapito della riciclabilità, una possibile minaccia al raggiungimento degli obiettivi di riciclo europei. Da qualche anno importanti quantitativi (in costante aumento) di plastiche nobili, a causa di etichette coprenti o additivi opacizzanti, vengono dirottate nella frazione del plasmix (plastiche miste) invece di andare verso un riciclo meccanico ecoefficiente;
   va sottolineato che l'articolo 11 della direttiva 2008/98/CE (Riutilizzo e riciclaggio), al paragrafo 2, fissa obiettivi di riciclo e non di raccolta differenziata e testualmente recita: «Al fine di rispettare gli obiettivi della presente direttiva e tendere verso una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse, gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire i seguenti obiettivi: a) entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici, sarà aumentata complessivamente almeno al 50 per cento in termini di peso» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno farsi parte attiva nella prevista rinegoziazione dell'accordo ANCI-CONAI e, in particolare, non ritenga di assumere le iniziative necessarie ad adeguare agli standard europei i contributi versati dalle imprese per l'immissione sul mercato degli imballaggi e i corrispettivi che i comuni ricevono per la raccolta e la riconsegna degli imballaggi ai consorzi, estendendo e riconoscendo loro i contributi per tutti i materiali plastici effettivamente riciclabili;
   se il Ministro interrogato non ritenga inoltre opportuno a questo fine assumere iniziative per assegnare ad un soggetto terzo, in grado di garantire le parti (comuni e consorzi), le verifiche sulla qualità dei materiali, aumentare l'entità dei contributi CONAI, garantire un riallineamento del CAC (ora siamo al 25 per cento circa della media europea) ed eliminare qualsiasi contributo del CONAI destinato all'incenerimento, destinando i contributi a sostegno di cicli chiusi di recupero della materia, con particolare attenzione alle frazioni plastiche residue;
   se il Ministro interrogato non ritenga inoltre necessario, per favorire una filiera efficiente del recupero della materia, mettere in atto ogni azione di competenza possibile perché sia rimodulata l'entità del contributo ambientale conai (CAC), che deve essere commisurato in base alla effettiva riciclabilità degli imballaggi, penalizzando fortemente le frazioni perturbatrici del riciclaggio e favorendo gli imballaggi totalmente riciclabili con bassi costi ambientali, energetici ed economici.
(5-00788)


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il mare Adriatico risale lungo i fiumi Brenta, Bacchiglione e Gorzone, anche per chilometri, soprattutto nei periodi di bassa portata idrica degli stessi coincidendo, normalmente, con la stagione estiva;
   questo fenomeno, meglio conosciuto col nome di cuneo salino di risalita, insinua l'acqua salata marina nelle falde freatiche «avvelenando» i terreni più bassi con grave nocumento per l'ambiente e soprattutto per l'attività agricola, interessando un'area di circa 20.000 ettari;
   per risolvere questa concreta situazione negativa, è stata progettata e finanziata un'opera di sbarramento anti-intrusione salina, da costruire alla foce del fiume Brenta, costituita di fatto da un nuovo ponte stradale sotto il quale verranno posizionate delle barriere mobili per trattenere l'acqua salata dalla parte del mare e quella dolce verso la pianura;
   l'iniziativa è stata del consorzio di bonifica Adige Euganeo che ha coinvolto la regione del Veneto, il comune di Chioggia ed il Magistrato alle acque che assegnerà l'esecuzione dei lavori tramite gara d'appalto. I lavori dovranno essere conclusi entro il 2014, termine imposto dai finanziamenti erogati dal Ministero coinvolto;
   la progettazione dell'opera garantirà la navigabilità del fiume anche con paratie di sbarramento chiuse, peraltro attivate solo con particolari condizioni idrauliche del Brenta;
   contro la realizzazione di quest'opera, importante e urgente, si sono espressi i titolari di sei darsene fluviali, che individuano proprio in questo ponte/sbarramento un ostacolo per la navigabilità del fiume Brenta, temendo un grave nocumento alla loro attività imprenditoriale;
   esistono già sul Brenta due ponti: uno stradale (Ponte Romea) e uno ferroviario, la cui altezza (2.34 e 3.07 m. s.l.m.m.) risulta inferiore a quella del ponte da realizzare (3.70 m. s.l.m.m.). Ciò non ha impedito la realizzazione e il funzionamento delle darsene e del transito dei natanti;
   alcuni esperti temono inoltre che quest'opera possa alterare e snaturare la idrodinamica della zona lagunare di Chioggia con il rischio di ristagno dei reflui fognari urbani nella stessa –:
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori o, se non ancora assegnati, quali siano le cause ostative che non ne permettono l'inizio. (5-00790)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto «Cimitero delle Gomme» di Scisciano (Napoli) si trova in via Cerqua Sant'Antonio in località San Martino (coordinate satellitari: 40o55'10.07”N – 14o29'34.48”);
   la superficie di tale sito, la cui destinazione urbanistica è in parte industriale e in parte agricola, è di circa 20.750 metri quadrati, vi sarebbero stoccati ben 11.150 metri cubi di pneumatici con la classificazione di rifiuti codice CER: 160103, 170504, 190112;
   i primi incendi di pneumatici in quest'area, risalgono al 1994 e già nel 2002 analisi dell'ARPAC evidenziavano un superamento dei livelli consentiti nel suolo;
   nel 2003 un'ordinanza del commissario di Governo per l'emergenza dei rifiuti aveva previsto il sequestro dell'area per la messa in sicurezza del sito;
   nel 2010 l'area è però stata dissequestrata per prescrizione del reato ambientale e attualmente è accessibile a tutti in quanto le lamiere della recinzione sono in più punti divelte, con grandissimo pericolo di contaminazione per la popolazione;
   questo sito è stato segnalato da tempo alle autorità competenti, tra cui il prefetto Donato Cafagna, commissario straordinario per i roghi di rifiuti in Campania, e al consorzio nazionale Ecopneus, che opera su tutto il territorio nazionale per il recupero di PFU anche da stock storici;
   in particolare, il prefetto Cafagna ha segnalato per iscritto lo scorso 22 maggio 2013 al sindaco del comune di Scisciano, al comandante della polizia municipale del comune medesimo e alla stazione dei carabinieri di San Vitaliano che «tale area in passato interamente recintata con lamiere, allo stato non è più protetta da tale recinzione poiché le lastre metalliche sono state in più punti divelte», raccomandando che «nelle more degli interventi volti alla messa in sicurezza ed al ripristino dell'intera area, si pregano le SS.LL. di porre in essere tutte le misure idonee ad impedire ulteriori accensioni di roghi di pneumatici, disponendo una periodica vigilanza della zona in questione», raccomandando altresì «di monitorare la situazione allo scopo di prevenire e contrastare eventuali ulteriori sversamenti anche di rifiuti, prevedendo comunque la recinzione dell'area»;
   il 20 giugno 2013 è stato firmato un protocollo per il prelievo straordinario di PFU in provincia di Napoli e Caserta, tra il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Andrea Orlando, i prefetti di Napoli e Caserta, il prefetto Donato Cafagna, il direttore di Ecopneus dottor Corbetta, il vicesindaco di Napoli Tommaso Sodano, in presenza delle cittadine senatrici Vilma Moronese e Paola Nugnes della Commissione ambiente del Senato, nel quale si finanziavano interventi di recupero di PFU per circa 1,5 milioni di euro;
   il deputato interrogante è venuto a conoscenza da Ecopneus che purtroppo il sito di Scisciano non rientrerebbe nel protocollo d'intesa appena firmato con le autorità locali, ma è stato inserito tra i «siti potenzialmente meritevoli di intervento di prelievo». Si ritiene assolutamente opportuno, invece, inserire questo sito nelle priorità assolute da bonificare, vista la pericolosità dell'accessibilità del sito senza alcuna messa in sicurezza a causa della distruzione della recinzione, la contaminazione dell'ambiente circostante e gli incendi dolosi e non che si sono verificati nel corso degli anni, così come si evinceva dai risultati delle analisi dell'ARPAC effettuate nel lontano 2002 –:
   quali ulteriori informazioni siano in possesso del Ministro interrogato in merito a questa inquietante vicenda;
   per quale ragione il sito di Scisciano non rientri nel protocollo d'intesa sopra citato e se il Ministro interrogato non ritenga opportuno che, invece, venga al suo interno ricompreso;
   quali ulteriori iniziative il Ministro interrogato ritenga di dover assumere e/o sollecitare affinché il sito in oggetto possa essere al più presto messo in sicurezza, prima di procedere nei tempi più brevi possibili alla relativa bonifica. (4-01488)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta immediata:


   DI BENEDETTO e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il «grande progetto Pompei», come spiegato sul sito istituzionale della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, nasce da un'azione del Governo italiano che, attraverso il decreto-legge n. 34 del 2011 (articolo 2), ha inteso rafforzare l'efficacia delle azioni e degli interventi di tutela nell'area archeologica di Pompei mediante la elaborazione di un programma straordinario ed urgente di interventi conservativi, di prevenzione, manutenzione e restauro;
   il «grande progetto Pompei» è un intervento rilevante ed impegnativo da 105 milioni di euro tra fondi del fondo europeo di sviluppo regionale e fondi nazionali, che mira alla riqualificazione del sito archeologico di Pompei entro dicembre 2015, attraverso:
    a) la riduzione del rischio idrogeologico, con la messa in sicurezza dei terrapieni non scavati;
    b) la messa in sicurezza delle insulae;
    c) il consolidamento e restauro delle murature;
    d) il consolidamento e restauro delle superfici decorate;
    e) la protezione degli edifici dalle intemperie, con conseguente aumento delle aree visitabili;
    f) il potenziamento del sistema di videosorveglianza;
   ancora sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è possibile prendere visione di una brochure dedicata al progetto che definisce il «grande progetto Pompei», che recita: «Un grande impegno collettivo di istituzioni e di persone diverse per avviare a soluzione il gravissimo problema di conservazione di un sito archeologico tra i più importanti del mondo»;
   sono sempre i siti istituzionali ad informare che il Governo italiano e la Commissione europea, tramite il varo del «grande progetto Pompei», nel tempo record di soli tre mesi, hanno dato prova «di poter costruire, valutare e approvare un intervento così rilevante e impegnativo come quello che determinerà, entro il 31 dicembre 2015, la riqualificazione del sito archeologico di Pompei». Il 5 aprile 2012, alla presentazione del progetto, sono intervenuti: Mario Monti, Presidente del Consiglio dei ministri; Anna Maria Cancellieri, Ministro dell'interno; Lorenzo Ornaghi, Ministro per i beni e le attività culturali; Fabrizio Barca, Ministro per la coesione territoriale; Francesco Profumo, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; Stefano Caldoro, presidente della regione Campania; Luigi De Magistris, sindaco di Napoli; Claudio D'Alessio, sindaco di Pompei;
   quanto agli interventi, essi si articolano su cinque linee d'azione: conoscenza (8 milioni e 200 mila euro); opere (85 milioni di euro); valorizzazione, fruizione comunicazione (7 milioni di euro); sicurezza (2 milioni di euro); rafforzamento della struttura organizzativa e tecnologica della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei (2 milioni e 800 mila euro): la fonte è sempre il sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   al solo consolidamento ed al restauro dell'area archeologica sono stati destinati 85 milioni di euro;
   la brochure poi elenca minuziosamente le opere in cantiere e i bandi di prossima pubblicazione;
   a questi dati si aggiungono le dichiarazioni del Ministro interrogato, rese nell'audizione del 23 maggio 2013 dinanzi alle Commissioni cultura di Camera e Senato, con cui ha definito il «grande progetto Pompei» come un'opportunità da tradurre in risultati concreti, posto che a due anni dal varo molto, anzi moltissimo, resta da fare;
   eppure, stando ad altre fonti, giornalistiche, in questo caso c’è poco di che star tranquilli;
   sono di novembre 2012 e di febbraio 2013 le notizie di crolli – ultimi di una lunga serie – di pezzi di pareti delle domus pompeiane;
   a febbraio 2013 la stampa ha informato del fatto che la procura competente aveva avviato un'indagine relativa all'assegnazione dei lavori dal 2008 ad oggi e che coinvolgeva, tra gli altri, D'Amora, direttore dei lavori durante la gestione commissariale, ed anche l'ex commissario Marcello Fiori (funzionario della protezione civile, secondo dei sostituti del soprintendente Guzzo), inviato dal Governo Berlusconi per salvare gli scavi di Pompei nei giorni dei crolli; a detta della procura, sono emersi – in particolare – profili di illegittimità in ordine all'utilizzo di procedure derogatorie nell'affidamento dei lavori ed all'emissione di fatture gonfiate relative all'acquisto di materiali ed all'esecuzione dei lavori e anomalie nelle procedure seguite per l'allestimento delle rappresentazioni affidate al teatro San Carlo;
   è recentissima la notizia di incredibili ribassi nelle aste tenute per l'assegnazione dei lavori previsti dal «grande progetto Pompei», addirittura di oltre la metà della base d'asta fissata, e tutte vinte dalla medesima società di costruzioni; ribassi talmente rilevanti da far temere per la qualità degli interventi che saranno posti in essere;
   a qualche giorno fa risale l’ultimatum con cui l'Unesco ha impegnato il Governo italiano ad adottare misure idonee a per il sito;
   Pompei rappresenta, fuor di retorica, un unicum nel panorama archeologico mondiale;
   sono stati assunti degli impegni precisi e stanziati ingenti fondi;
   a fronte di ciò la situazione reale di Pompei è fatta di crolli, indagini della procura e gestione delle assegnazioni dei lavori perlomeno discutibile;
   la realtà è talmente critica e il «grande progetto Pompei» tanto lontano dall'esser realizzato che l'Unesco è dovuta intervenire nel sollecitare il Governo italiano, fissando alla fine del 2013 la data ultima entro cui porre in essere misure di salvaguardia –:
   come il Ministro interrogato ritenga opportuno intervenire affinché si faccia chiarezza sulle vicende poco trasparenti relative agli appalti ed alle manifestazioni organizzate nell'area archeologica, in relazione – in particolare – ai ribassi assai sospetti delle basi d'asta, e se intenda dare piena e completa attuazione al «grande progetto Pompei», adeguandosi all'impegno che l'Unesco ha imposto al Governo e rilanciando, per quanto di competenza, il turismo nell'area di Pompei. (3-00240)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI LELLO e IMPEGNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il sito archeologico di Pompei, che comprende un'area scavata di circa 44 ettari, è patrimonio mondiale dell'umanità, così come deciso dall'Unesco nel 1997;
   ogni anno, oltre 2 milioni di turisti, si recano a Pompei per visitare le rovine della città romana;
   l'incuria nella manutenzione degli scavi sta comportando numerosi crolli e infiltrazioni di umidità ai reperti archeologici e case romane;
   la cancellazione delle visite notturne ha costituito un ulteriore danno al turismo del sito;
   le difficoltà economiche della soprintendenza ai beni culturali non permettono il pagamento degli stipendi ai dipendenti che sono ormai in arretrato da mesi;
   nonostante tali difficoltà si registrano gravi ritardi nella spesa dei fondi europei destinati al sito;
   la piccola criminalità di è insinuata fin dentro le mura romane con un aumento esponenziale degli scippi ai danni dei turisti;
   la stessa piccola criminalità che, in vista dello spettacolo previsto all'interno del sito archeologico dell'attore napoletano Alessandro Siani, ha con tutta probabilità venduto biglietti abusivi, con conseguente sovraffollamento e gara al miglior posto degli spettatori. Lo spettacolo a causa della confusione venutasi a creare è stato annullato, aggiungendo una nuova macchia alla già precaria immagine degli scavi –:
   quali misure urgenti ha intenzione di porre in essere il Ministro interrogato al fine di tutelare l'area archeologica di Pompei scongiurando ulteriori crolli e conseguenti danni irreparabili;
   quali iniziative intenda adottare per rilanciare l'immagine dell'importante sito archeologico coordinando anche, con il supporto del Ministero dell'interno, l'attuazione di misure che garantiscano la sicurezza dei visitatori e dei turisti;
   quali misure siano previste a sostegno dei dipendenti degli scavi, affinché possano veder pagati i loro stipendi;
   quali siano le soluzioni previste per investire in tempi brevi i finanziamenti stanziati dai Fondi europei. (4-01492)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'anno 2013, come peraltro già il 2012, prosegue nel segno dell'incertezza per i comuni, che a tutt'oggi non conoscono ancora le grandezze finanziarie necessarie per predisporre i bilanci, la cui scadenza, fissata al 30 settembre, è ormai imminente;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto la riduzione delle risorse destinate ai comuni di un importo pari al 2 miliardi e 250 milioni di euro per l'anno 2013; entro il 15 febbraio 2013 un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe dovuto disporre il riparto su base territoriale; tuttavia, tale decreto ministeriale non è stato adottato nei tempi previsti;
   il Governo, in sede di conversione del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, ha ulteriormente modificato la base di calcolo ma, ad oggi, non è stato ancora emanato il decreto di ripartizione del taglio delle assegnazioni statali: la conoscenza esatta di questo importo è propedeutica alla costruzione del bilancio di previsione, sia relativamente agli equilibri, sia al fine del rispetto del patto di stabilità interno;
   entro la data del 30 aprile 2013, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno e previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, si sarebbe dovuto emanare un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel quale stabilire la quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, per l'alimentazione del fondo di solidarietà comunale che integra le risorse a disposizione dei comuni: atto che, allo stato attuale non risulta ancora emanato;
   permangono inoltre, i problemi legati all'introduzione nel 2012 dell'IMU sperimentale che ha prodotto un'ulteriore riduzione delle risorse comunali per circa 400 milioni e della nuova TARES che potrebbe aumentare anche del 60 per cento il prelievo per diverse categorie di contribuenti;
   infine, è ancora irrisolto il tema del sistema di riscossione coattiva che i comuni dovrebbero prepararsi ad applicare e questo fatto genera grandi incertezze sull'equilibrio di parte corrente delle spese e sul mantenimento dei saldi programmati che dipendono, sempre di più, dal livello di entrate;
   il quadro esposto è fonte di grande preoccupazione sia per gli amministratori degli enti locali (sindaci) sia per i cittadini poiché l'impossibilità materiale di predisporre il bilancio di previsione non consente una adeguata programmazione della spesa e degli investimenti e rende incerto lo svolgimento di funzioni e servizi fondamentali –:
   se il Governo non ritenga necessaria l'adozione di un provvedimento urgente per fornire ai comuni, nel più breve tempo possibile, i dati necessari per approvare il bilancio di previsione ed evitare, in questo modo, di far ricadere tali enti nella condizione di cui all'articolo 163, comma 1, della legge 18 agosto del 2000, n. 267, che determinerebbe la conseguenza di poter effettuare, per ciascun intervento, spese in misura non superiore mensilmente ad un dodicesimo delle somme previste nel bilancio deliberato, con esclusione delle spese tassativamente regolate dalla legge o non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi.
(2-00165) «Rughetti, De Maria, Martella, Lorenzo Guerini, Verini, Giachetti, Boschi, Bonaccorsi, Anzaldi, Bini, De Menech, Pastorino, Guerra».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI e TARANTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una indagine della Banca d'Italia, pubblicata nel novembre del 2012, ha stimato in circa 15 miliardi di euro i costi sociali complessivi, in Italia, degli strumenti di pagamento: si tratta di un valore in linea con la media ponderata dei tredici Paesi partecipanti all'indagine europea; il 49 per cento di tali costi è sostenuto da banche e infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento a fronte del 54 per cento nella media europea, mentre il 51 per cento è a carico delle imprese a fronte del 46 per cento nella media europea; i costi per l'utilizzo del contante ammontano a circa 8 miliardi di euro, pari allo 0,52 per cento del PIL a fronte dello 0,40 per cento medio europeo;
   secondo la Commissione europea, il mercato dei pagamenti è attualmente troppo frammentato e troppo costoso, ed è pertanto utile intervenire con una revisione della direttiva sui sistemi di pagamento dei servizi che risale al 2007 (Direttiva 2007/64/Ce);
   lo scorso 24 luglio la Commissione ha presentato un progetto di legge che ha come obiettivo di rendere più trasparenti e quindi aumentare l'uso dei pagamenti elettronici nell'Unione;
   in particolare, la proposta prevede un tetto sulle commissioni bancarie (interchange fee) dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito; per i primi 22 mesi il tetto alle commissioni sarà in vigore solo per le transazioni internazionali, successivamente entrerà in vigore anche per quelle nazionali;
   secondo la relazione allegata alla proposta della Commissione, il calo dell’interchange fee dovrebbe ridurre i costi a carico dei commercianti di circa sei miliardi di euro all'anno e rilanciare l'uso del pagamento elettronico; attualmente, la commissione pagata dalla banca del commerciante alla banca del consumatore, può essere addirittura pari all'1,5 per cento del totale della transazione; si calcola che la media europea sia dello 0,9 per cento;
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevedeva, all'articolo 12, comma 9, che l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, la società Poste Italiana S.p.a., il Consorzio Bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale dovessero definire entro il 1° giugno 2012, ed applicare entro i tre mesi successivi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, nonché di promuovere l'efficienza economica nel rispetto delle regole di concorrenza;
   tuttavia, non si è pervenuti, secondo le modalità e nei termini previsti dal citato articolo 12, comma 9, all'elaborazione delle suddette regole condivise e pertanto, ai sensi dell'articolo 12, comma 10 del richiamato decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, tali regole devono essere fissate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   in data 23 maggio 2013, il Consiglio di Stato ha espresso il parere (numero 02503/2013) favorevole, con osservazioni, sullo schema di decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sulla riduzione delle commissioni dei beneficiari di transazioni con carta di credito, rilevando, tra l'altro, che risulta confermata «la necessità che la cornice relativa alla confrontabilità e alla trasparenza dei servizi bancari deve trovare in una fonte eteronoma i fondamentali punti di riferimento, idonei a garantire la fluidità del mercato e gli interessi dei risparmiatori e degli utilizzatori dei servizi bancari: in primo luogo potenziando la trasparenza, così da mettere l'esercente nella condizione di valutare la migliore offerta del mercato»;
   l'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2014, l'obbligo di accettazione dei pagamenti effettuati con carte di debito da parte dei soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi;
   il suddetto articolo 15 prevede altresì, al comma 5, che: «Con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, vengono disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, di attuazione della disposizione di cui al comma precedente. Con i medesimi decreti può essere disposta l'estensione degli obblighi a ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili» –:
   se per quanto di propria competenza, sia in grado di assicurare la pubblicazione dei decreti richiamati in premessa secondo una tempistica coerente con il termine di decorrenza del 1° gennaio 2014 per l'obbligo di accettazione dei pagamenti effettuati con carte di debito, e quali eventuali, ulteriori iniziative intendano assumere affinché – tanto sul piano informativo, quanto su quello strutturale ed organizzativo – possa essere assicurato il buon esito dell'operazione. (5-00781)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate, dopo l'approvazione del decreto-legge n. 95 del 2012 (decreto sulla spending review) ha deciso di chiudere alcuni uffici territoriali in Veneto, tra i quali anche quello di Thiene, e tale decisione segue di un solo anno la sospendere l'attività ad altri 17 uffici veneti;
   la chiusura dell'ufficio di Thiene avrebbe negative conseguenze sia sui cittadini che utilizzano tale servizio, con disagi legati alla maggiore distanza da percorrere per raggiungere l'ufficio più vicino, sia sugli impiegati che vi lavoravano, costretti a quotidiani lunghi spostamenti per raggiungere il posto di lavoro;
   tale problematica è particolarmente avvertita durante il periodo invernale, ovvero quando i collegamenti sono resi più difficoltosi da fenomeni meteorologici sfavorevoli alla circolazione, come le abbondanti nevicate, frequenti nell'alto Vicentino;
   l'ufficio dell'Agenzia delle entrate della città di Thiene serve un bacino di oltre 100.000 utenti in un territorio ad altissima densità industriale ed in una posizione, ovvero la pedemontana vicentina, baricentrica rispetto ad una provincia, come quella di Vicenza, policentrica e caratterizzata da un alta densità abitativa;
   la volontà di migliorare il rapporto tra il cittadino e il fisco ha nell'offerta di un servizio di gestione fiscale e nella costruttiva assistenza alle controversie, finalizzato a diminuire l'aggravio per cittadini e le imprese, uno dei pilastri fondamentali –:
   se, alla luce del riordino previsto dalla vigente normativa e che interessa anche alcune sedi dell'Agenzia provinciale di Vicenza, non ritenga opportuno chiarire quale siano le intenzioni del Ministero dell'economia e delle finanze relativamente all'ufficio distaccato dell'Agenzia delle entrate di Thiene. (5-00782)


   GEBHARD, ALFREIDER, SCHULLIAN e PLANGGER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha inserito l'articolo 16-bis nel Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introducendo a regime la detrazione dall'imposta lorda sui redditi delle persone fisiche pari al 36 per cento delle spese sostenute per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio;
   l'articolo 11 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», in materia di detrazioni per interventi di ristrutturazione e di efficientamento energetico, ha disposto, al comma 1, che per le spese documentate, sostenute dalla data di entrata in vigore del decreto fino a giugno 2013, con riferimento agli interventi di cui all'articolo 16-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, spetta una detrazione dall'imposta lorda pari al 50 per cento, fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 96.000 euro per unità immobiliare;
   l'articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, attualmente all'esame della Camera in prima lettura, ha peraltro prorogato al 31 dicembre 2013 la suddetta detrazione;
   dalla normativa non si evince chiaramente come debba applicarsi il tetto massimo di spesa nel caso di lavori di manutenzione eseguiti sulle parti comuni condominiali, posto che l'Agenzia delle entrate, con risoluzione 3 agosto 2007, n. 206/E, in occasione dell'interpretazione dell'articolo 1 della legge 27 dicembre n. 449 del 1997, ha stabilito che il limite di spesa che costituisce il tetto massimo su cui è consentito calcolare la detrazione percentuale deve essere riferito all'abitazione;
   nella stessa risoluzione, l'Agenzia delle entrate ha ritenuto anche che, in relazione al computo del limite massimo di spesa, «le spese relative ai lavori sulle parti comuni dell'edificio, essendo oggetto di un'autonoma previsione agevolativa, debbano essere considerate in modo autonomo»;
   l'Agenzia delle entrate, con la circolare 19 giugno 2012, n. 25, richiamandosi alla relazione illustrativa del suddetto articolo 16-bis, ha infine specificato che restano comunque confermati l'ambito, soggettivo e oggettivo, di applicazione delle disposizioni relative alla detrazione, introdotta dall'articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, così da consentire di fare salvo il consolidato orientamento di prassi formatosi in materia –:
   quali iniziative intenda assumere per chiarire che la detrazione per i lavori comuni di un edificio con il limite massimo di 48.000 euro, elevato a 96.000 euro fino al 31 dicembre 2013, è un'autonoma previsione agevolativa, che può essere sommata a quella per le parti interne dell'edificio con un analogo tetto massimo, al fine di facilitare l'applicazione della norma del decreto-legge n. 63 del 2013 e dell'articolo 16-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, consentendo così ai cittadini di conoscere l'esatta entità degli incentivi sui quali poter fare affidamento ancor prima della programmazione degli interventi.
(5-00783)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VIGNALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   molte aziende italiane beneficiarie dei Fondi della legge 100/90 di Simest per l'internazionalizzazione d'impresa si vedono le loro pratiche bloccate nella parte relativa al Fondo di Venture capital;
   ciò in quanto non essendo mai stato ricostituito dopo la scadenza il Comitato interministeriale, ente delegato a ratificare le delibere Simest relative a tale Fondo, le aziende non ricevono tale delibera;
   in un momento in cui tanto si parla di internazionalizzazione e di agevolare le aziende ad andare a investire all'estero, uno strumento utile ed operativo al riguardo come la legge 100/90 di Simest, si trova bloccato solo per la mancanza di tale organismo;
   tale comitato era formato da rappresentanti dei Ministeri dell'economia e delle finanze, del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero degli affari esteri; ad oggi nessuno di tali Enti si è adoperato per la ricostituzione del Comitato stesso;
   la mancanza di tale Comitato interministeriale le aziende italiane ancora una volta si trovano a lottare contro la burocrazia e le lungaggini dell’iter di deliberazione di un'agevolazione importante;
   non si comprendono le ragioni per le quali non si sia proceduto alla ricostituzione del comitato sopracitato da parti degli organismi competenti –:
   quale Ministero stia seguendo l'iter di ricostituzione del Comitato e con quali modalità;
   in quanto tempo si ritenga che tale Comitato potrà iniziare a riunirsi per adempiere alle richieste di deliberazione pratiche da parte di Simest. (5-00784)


   CICU. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11, comma 5-bis, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 6 giugno 2013, in materia di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione inserito nel provvedimento nel corso del suo esame al Senato, dopo aver fatte salve le previsioni recate dall'articolo 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, ancorché esso formi oggetto di impugnazione da parte della regione Sardegna – pone in termine ordinatorio di 120 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, per la definizione dell'accordo tra Stato-regione Sardegna – da adottare secondo le procedure delineate dall'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 – con riferimento alle modifiche da apportare al patto di stabilità interno, puntualizzando obiettivi e limiti normativi entro i quali deve intervenire l'accordo stesso;
   in sede di esame conclusivo del medesimo decreto-legge n. 35, è stato accolto un ordine del giorno (Cicu 9/676-B/8) recante l'impegno del Governo a dare attuazione all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, alla cui procedura il decreto- legge assoggetta l'eventuale modifica del Patto di stabilità interno della regione Sardegna, per adeguare il livello delle spese all'accresciuto livello delle entrate riconosciute alla regione, avendo riguardo, nella valutazione delle misure compensative da destinare ai territori svantaggiati e nella valutazione della congruità delle risorse spettanti alla Sardegna, oltre che delle funzioni esercitate e degli oneri ad esse connessi, del deficit infrastrutturale, dei costi derivanti dall'insularità e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano il territorio regionale;
   l'ordine del giorno prevedeva altresì l'impegno ad individuare, nel caso in cui l'accordo non venga raggiunto nei tempi stabiliti, idonee misure compensative per la regione Sardegna, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, a decorrere dall'esercizio in corso;
   il presidente della regione Sardegna ha avviato, nelle scorse settimane, il procedimento previsto dal decreto-legge n. 35, per la parte di sua competenza, con l'obiettivo di stabilire una interlocuzione con l'esecutivo nazionale ed in particolare con il Ministro dell'economia Saccomanni –:
   se non ritenga opportuno istituire urgentemente il tavolo di confronto tra Stato e regione Sardegna, ai sensi del comma 5-bis dell'articolo 11 del citato decreto-legge n. 356 del 2013, al fine di avviare per tempo le definizione della cosiddetta «vertenza entrate» tra Stato e regione Sardegna. (5-00792)

Interrogazione a risposta scritta:


   RUOCCO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 7 giugno del 2013 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 la legge 6 giugno 2013, n. 64 recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria»;
   questo provvedimento era divenuto ormai indispensabile, non solo per l'intollerabile e crescente asimmetria che porta lo Stato a richiedere con inflessibile puntualità il saldo delle imposte mentre provvede al pagamento dei propri debiti in tempi del tutto incerti, ma anche per il l'entità insostenibile degli arretrati che ad oggi, anche al netto dei pagamenti previsti dalla legge 6 giugno 2013, n.64, non risulta ancora correttamente quantificata;
   secondo una stima della CGIA di Mestre, risalente al 13 luglio, sarebbe verosimile ritenere che i debiti della pubblica amministrazione italiana nei confronti delle imprese ammontino a circa 120 miliardi di euro, cifra di molto superiore rispetto ai dati forniti da Banca d'Italia nel marzo scorso, secondo i quali il debito della Pubblica amministrazione sarebbe pari a 91 miliardi di euro.
   sempre secondo la CGIA questo spaventoso cumulo di debiti avrebbe contribuito in modo consistente al forte incremento nel numero dei fallimenti delle imprese vittime dei ritardi o dei mancati pagamenti da parte dei committenti pubblici e privati che con un aumento del 114 per cento, tra il 2008 ed il 2012, sarebbe più che raddoppiato;
   per questa ragione il decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, così come modificato dal Parlamento, andava incontro alle aspettative del Paese per rilanciare la crescita, attraverso una consistente iniezione di liquidità nel sistema, che contribuiva a sanare parzialmente una situazione debitoria verso le imprese che si era fatta, col tempo, intollerabile;
   tale speranza, a quanto emerge da preoccupanti notizie pervenute dagli organi di stampa, sembrerebbe tuttavia destinata ad essere frustrata;
   nella sopracitata legge viene disposto che entro il 5 luglio 2013, le pubbliche amministrazioni avrebbero dovuto sul proprio sito internet l'elenco completo, per ordine cronologico di emissione della fattura o della richiesta equivalente di pagamento, dei debiti per i quali è stata effettuata comunicazione indicando l'importo e la data prevista di pagamento comunicata al creditore;
   tale era l'importanza della scadenza che viene previsto che la mancata pubblicazione è rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi del decreto legislativo 165/2001;
   i dirigenti responsabili sono assoggettati altresì ad una sanzione pecuniaria pari a 100 euro per ogni giorno di ritardo nella certificazione del credito;
   secondo il Sole 24 Ore, tuttavia, al 5 luglio 2013 solo sei Ministeri di spesa, nove regioni e 10 capoluoghi di regione avrebbero pubblicato online l'elenco dettagliato delle fatture per le quali è stata comunicata ai creditori la data di pagamento prevista;
   più specificamente in quella data si sarebbero trovati in regola solo la metà dei venti comuni capoluogo di regione interessati;
   tra le regioni, invece, sarebbero in regola con i tempi soltanto Piemonte, Liguria, Toscana, Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna;
   tra i Ministeri di spesa, al 5 luglio, sviluppo economico, infrastrutture, salute, istruzione, politiche agricole erano quelli in regola con la comunicazione online che deve contenere codice identificativo della fattura, importo e data di pagamento comunicata al creditore;
   paradossale risulterebbe a questo proposito proprio l'assenza del Ministero dell'economia;
   inoltre, secondo il Corriere della Sera dell'11 luglio 2013, l'Ance avrebbe citato «una circolare della Ragioneria generale dello Stato, secondo cui i crediti a valere sui cosiddetti residui passivi “perenti”, cioè le somme non spese in via di eliminazione dal bilancio pubblico, vanno pagati a un anno (un anno!) dalla presentazione dell'istanza»;
   secondo lo stesso articolo, la ragioneria, alle prese con le comunicazioni da inviare entro il 30 giugno alle imprese sulla data di pagamento prevista per gli arretrati, ha stabilito che «in caso di dubbio sulla data è meglio non effettuare alcuna comunicazione»;
   sebbene il Ministro dell'economia abbia comunicato il 22 luglio che sono già stati messi a disposizione delle amministrazioni 15,692 miliardi di euro su un totale di 20 miliardi, la stampa e le associazioni di categoria avrebbero più volte lasciato trasparire dubbi circa la capacità del complesso delle amministrazioni di rispettare le scadenze previste dal decreto –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se corrispondano al vero le notizie di stampa riportate in premessa circa i ritardi nella pubblicazione dei debiti della pubblica amministrazione e quale sia lo stato dell'attuazione delle misure previste dal decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria», come convertito dalla legge n. 64 del 6 giugno 2013. (4-01503)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   sembra ormai certa la chiusura della sede distaccata del tribunale di Cesena che, per effetto del decreto legislativo n. 155 del 2012 sul riordino della «geografia giudiziaria», deve cessare l'attività entro il 13 settembre;
   tra i criteri e principi direttivi stabiliti nella legge delega si fa riferimento «alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b)» e cioè «ridefinire anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»;
   dati alla mano, appare evidente che la soppressione della sezione di Cesena e il suo accorpamento al tribunale di Forlì non rispetta i criteri relativi al numero degli abitanti, all'estensione del territorio, ai carichi di lavoro e alle sopravvenienze;
   infatti, il circondario di Cesena che dovrebbe essere soppresso, comprende un numero di abitanti non solo uguale ma addirittura superiore di oltre ventimila unità a quello della sede cui si intenderebbe accorpare, oltre ad avere una maggiore estensione territoriale (249,47 chilometri quadrati, rispetto ai 228 chilometri quadrati del comune di Forlì) servendo un territorio assai ampio che si estende dal confine con la Toscana fino al mare Adriatico;
   inoltre, per limitarsi al processo civile, dalle statistiche ufficiali del tribunale si ricava che di totali 5.129 processi pendenti al 31 dicembre 2012 (relativamente al contenzioso unificato), presso la sezione di Cesena pendono ben 2.862 processi, mentre gli altri 2.267 pendono dinanzi al tribunale di Forlì; allo stesso modo, la prevalenza del numero delle iscrizioni nella sede centrale non è preponderante rispetto alla sezione staccata, ma è spiegabile con l'attribuzione di talune materie ad una esclusiva cognizione;
   l'ordine forense, consapevole del gravissimo danno che la chiusura della sezione distaccata di Cesena comporta anzitutto per i cittadini e poi per l'intera comunità socio-economica del territorio, ha più volte richiesto, a fronte della soppressione della sezione distaccata, che venisse disposta l'istituzione del tribunale di Forlì come ufficio unico avente però una dislocazione territoriale dei suoi uffici anche nella città di Cesena (che insieme a Forlì è il capoluogo della provincia Forlì-Cesena);
   a causa della soppressione della sezione distaccata, la città sarà completamente priva di ogni ufficio giudiziario, in quanto anche il giudice di pace (per la cui sede il comune, non essendo riuscito a garantire le risorse economiche sufficienti, ha proposto all'ordine degli avvocati provinciale un esborso di 170 mila euro), unitamente agli ufficiali giudiziari che svolgevano la loro funzione a Cesena, verranno accorpati negli uffici di Forlì;
   inoltre, la situazione già critica della funzionalità operativa del sistema giustizia del tribunale di Forlì subirà un grave peggioramento determinato dall'afflusso del carico di lavoro proveniente da Cesena (nonostante siano stati già disposti trasferimenti presso la sede di Forlì di determinati ambiti della giurisdizione, quali la volontaria giurisdizione, i ricorsi per ingiunzione, le separazioni e i divorzi);
   la chiusura della sede di Cesena non comporterà ad avviso degli interpellanti alcun risparmio sotto il profilo economico, in quanto gli uffici sino ad oggi utilizzati rimarranno comunque per i prossimi cinque anni nella disponibilità del Ministero di giustizia che intende utilizzarli come archivio (che non rappresenta un servizio di interesse pubblico o comunque al servizio della collettività): una contraddizione questa, rispetto alle esigenze di concentrazione, risparmio di spesa e incremento di efficienza prospettate dalla riforma;
   al contrario, il comune di Forlì vedrà aumentare proporzionalmente i propri costi, dovendo trovare i locali dove far confluire gli uffici chiusi a Cesena: mancano infatti le strutture dal punto di vista logistico per ricevere dipendenti da Cesena, emergono serie difficoltà nella programmazione delle udienze, risultano inadeguati gli spazi per gli archivi dei faldoni, nonché gli accessi per l'utenza (i disagi sono concreti e facili anche da individuare: basti immaginare gli abitanti di Sogliano o Verghereto che debbono recarsi al tribunale di Forlì per depositare un atto, contestare una multa oppure per discutere o sostenere una causa amministrativa);
   non si conoscono i vantaggi che si produrranno in conseguenza della chiusura ed appare, inoltre, assai grave che sia mancata qualsiasi possibilità di interlocuzione fra i soggetti che operano nel settore giustizia;
   un riassetto complessivo dell'organizzazione giudiziaria è necessario, ma, nel caso di Forlì-Cesena, il preventivato trasferimento presso il palazzo delle poste di Forlì di buona parte delle strutture ora presenti a Cesena deve aprire un'attenta riflessione. Innanzitutto sugli effetti che la decisione della soppressione degli uffici del giudice di pace di Bagno di Romagna e di Cesena avrà sulla collettività: penalizzazione delle zone periferiche del vasto territorio provinciale;
   inoltre, occorre effettuare una precisa valutazione delle effettive economie di scala dell'operazione e delle soluzioni che dovranno essere date al problema della concentrazione di traffico sulla città di Forlì, dovuta allo spostamento pressoché quotidiano di oltre 350 avvocati e dei loro assistiti: fenomeno, questo, che porterà gravi disagi, data l'inadeguatezza delle attuali infrastrutture;
   vanno considerate anche le preziose ore di tempo aggiuntive che perderanno ogni giorno gli agenti delle forze dell'ordine e della polizia municipale in servizio a Cesena, che in futuro sarebbero convocati sempre a Forlì per le udienze ed altre questioni legate a ricorsi, processi, e altro;
   eliminare questo importante servizio di prossimità a tutela dei diritti dei cittadini, comporterebbe, oltre al grandissimo disagio in termini di spostamento, sopra rilevato, un rallentamento dei tempi della macchina giudiziaria, la cui dilatazione costituisce un serio handicap per il nostro Paese. E anche le aziende, già fortemente provate da una dura crisi economica, non usciranno indenni da questa situazione –:
   se non intenda rivedere la decisione presa, mantenendo l'istituzione del tribunale di Forlì con uffici funzionanti anche presso la sede di Cesena posto che la soluzione auspicata restituirebbe alla gran parte dei cittadini della provincia interessata la fiducia di essere adeguatamente tutelati nei loro diritti da un tribunale efficiente e capace di dare adeguata risposta alla loro esigenza di giustizia.
(2-00170) «Molea, Causin, Sottanelli, Librandi, Sberna, Cera, De Mita, Cesa, Gigli, Andrea Romano, Oliaro, Vitelli, Matarrese, Vecchio, Schirò Planeta, Vargiu, Dambruoso, Pastorelli, D'Agostino, Rossi, Fitzgerald Nissoli, Marco Di Maio, Bombassei, Capua, Gianluca Pini, Lattuca, Rabino, Binetti, Monchiero, Santerini, Cimmino, Zanetti, Marchetti, Rosato, Losacco».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i consiglieri comunali di Sassari Manuel Alivesi, Giancarlo Carta, Antonello Desole, Giovanni Fadda, Luigi Pisanu, i consiglieri provinciali di Sassari Toni Faedda, Piero Fiori, Giuseppe Pilo, Ennio Ballarini, Giuseppe Mellino, Mariano Mameli, Grazia Onida, Michele Posadinu, Giovanni Moro, hanno rivolto al sottoscritto interrogante l'esigenza di un immediato intervento presso il Governo al fine di restituire alla città di Sassari della ex struttura carceraria di San Sebastiano;
   l'otto luglio scorso il carcere di Sassari nella centrale via Roma è stato definitivamente chiuso con il trasferimento di tutti i detenuti nella nuova struttura di Bancali;
   tale imponente struttura nel cuore della città di Sassari, realizzato nel 1871, fa parte delle strutture a unità radiale semplice, progettati dall'ingegnere Polani tra il 1859 e il 1863;
   la rilevanza storico, architettonica e immobiliare dell'edificio impone una imponente opera di rifunzionalizzazione dell'edificio in grado di salvaguardare il prestigio architettonico e strutturale e dall'altra pianificare il suo riutilizzo al servizio della Città;
   l'edificio è nella disponibilità dello Stato;
   l'articolo 14 dello Statuto speciale per la Sardegna legge Costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58 dispone:
   a) la Regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo;
   b) i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella Regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione;
   la Corte costituzionale con sentenza n. 383 del 1991, in merito al ricorso proposto da altra regione a Statuto speciale, la Regione Valle d'Aosta, aveva sostenuto l'automatico passaggio dei beni alla stessa regione anche in virtù del seguente esplicito riferimento alle Regione Sardegna: «Del resto l'articolo 14 dello Statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) mentre stabilisce, al primo comma, che la Regione, nell'ambito del suo territorio, succede allo Stato nei beni demaniali e, al secondo comma, che restano allo Stato i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale, da rilievo alla sopravvenienza, in quanto prevede che la detta causa di esclusione possa cessare, con l'effetto in tal caso che la successione si realizza, in un momento posteriore all'entrata in vigore dello Statuto»;
   la Corte costituzionale nella stessa sentenza, per il bene militare le cui funzioni di difesa erano venute meno proprio dall'intenzione dello Stato di vendere il compendio, disponeva: «Va dunque dichiarato che non spetta allo Stato porre in vendita a privati, con l'impugnato avviso d'asta, l'immobile in questione, appartenendo questo al demanio della Regione Valle d'Aosta»;
   le disposizioni contenute nei primi due commi dell'articolo 14 dello Statuto della regione Sardegna di rango costituzionale dispongono che la regione succeda, nell'ambito del suo territorio, nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare, regola generale esplicitata nel primo comma;
   il secondo comma del citato articolo 14 introduce un'eccezione: la successione non avviene e i beni restano di proprietà dello Stato quando sono utilizzati (connessi) per servizi di pertinenza statale;
   l'eccezione, però, ha un limite ben preciso: l'utilizzazione deve essere attuale, di guisa che se tale utilizzo viene a cessare cade il presupposto della medesima eccezione ed i beni non più utilizzati ricadono nella regola generale e seguono la sorte degli altri beni statali e, cioè, la loro proprietà è trasferita ope legis alla regione;
   la chiara e univoca statuizione dell'articolo 14, secondo cui «i diritti patrimoniali connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato «finché duri tale condizione» non può dare luogo a dubbi interpretativi;
   la congiunzione temporale «finché» attribuisce, infatti, un sicuro valore dinamico allo norma. Nel senso che transitano nel patrimonio regionale non solo i beni che, alla data di entrata in vigore dello Statuto speciale, non erano più connessi a servizi statali, ma anche quelli la cui connessione sia venuta meno successivamente;
   il significato proprio dato dal legislatore alla norma porta sicuramente a dare rilievo alla sopravvenienza e, cioè, al sopravvenuto venir meno della connessione del bene con il servizio statale;
   tale sopravvenienza rappresenta il limite all'eccezione di cui al 2o comma dell'articolo 14 e fa, quindi, rivivere la regola generale della successione della Regione Sardegna nella proprietà dei beni dello Stato;
   la cessazione della connessione dei beni immobili ai fini statali, come dispone la richiamata sentenza della Corte costituzionale, si è verificata proprio nel momento in cui l'amministrazione dello Stato ha posto in vendita o attivato forme di concessione e comodato a soggetti privati o pubblici del bene stesso;
   con riferimento alla regione Sardegna non esiste nessuna disposizione normativa che possa configurarsi come ostativa al trasferimento dei beni statali alla regione stessa, quando la «dismissione» avvenga in data successiva all'entrata in vigore dello Statuto sardo;
   il Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere della terza sezione del 12 febbraio 1985 n. 158 ha espresso formale parere su richiesta del Ministero della difesa proprio sull'applicazione dello Statuto sardo;
   l'organo consultivo in quel parere, – in estrema sintesi – si è pronunziato nel senso che l'articolo 14, 2o comma dello statuto sardo stabilisce che i beni immobili connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato soltanto finché duri tale condizione, riconoscendo, così, allo Stato la funzione di uso e non anche di disposizione degli immobili stessi;
   il carcere di San Sebastiano ha cessato la sua funzione l'8 luglio 2013 ponendo fine alla condizione di competenza e pertinenza dello Stato;
   appare improponibile e surrettizio il tentativo dello Stato stesso di dislocare all'interno di quella struttura degli uffici giudiziari perché tale evenienza, oltre che improponibile sul piano della funzionalità, contrasterebbe con le strategie statali in materia di spending review che prevedono accorpamenti di uffici e non la loro moltiplicazione;
   l'imponenza dell'immobile e la sua connotazione storico architettonica impediscono il suo utilizzo limitato come marginale funzione di uffici ministeriali;
   il bene dismesso dalla sua funzione deve essere immediatamente ceduto all'amministrazione regionale in base all'articolo 14 e lo stesso successivamente trasferito all'amministrazione comunale di Sassari;
   tale struttura, nelle more del trasferimento alla regione Sardegna, deve essere concessa in uso all'amministrazione comunale affinché la possa rendere fruibile ai cittadini al fine anche di un diretto coinvolgimento della popolazione nella valutazione delle possibili rifunzionalizzazioni dell'edificio –:
   se non ritenga necessario procedere ad una rapida cessione del carcere di san Sebastiano alla regione autonoma della Sardegna in base ai dettati dello Statuto autonomo della Sardegna, articolo 14, che si rammenta essere legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58. Perché possa essere poi assegnato al Comune di Sassari;
   se il Ministro dell'economia non ritenga necessario predisporre tutti gli adempimenti al fine di accelerare questa procedura anche per evitare il degrado ulteriore della struttura nella sua complessità strutturale e architettonica;
   se il Ministro della giustizia non ritenga utile favorire l'apertura della struttura a cittadini al fine di favorire un'ampia consultazione popolare della cittadinanza per la definizione di nuove funzioni da assegnare all'immobile stesso. (5-00786)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MAESTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli uffici giudiziari del distretto di corte d'appello di Bologna versano da oltre cinque anni in una condizione di grave sofferenza di personale amministrativo che vede punte di carenza oscillanti fra il 14 per cento e il 26 per cento nei diversi circondari (9 per cento del tribunale di Piacenza, 18 per cento del tribunale di Parma, 13 per cento del tribunale di Reggio Emilia, 14 per cento del tribunale di Modena, 20 per cento del tribunale di Bologna, 26 per cento della Corte d'appello di Bologna, 17 per cento del tribunale di Ferrara, 24 per cento del tribunale di Forlì, 14 per cento del tribunale di Ravenna, 15 per cento del tribunale di Rimini con percentuali analoghe presso gli uffici requirenti) su dotazioni organiche ridotte complessivamente nella misura del 13 per cento nel corso di quattordici anni (da 2300 unità nel 1999 si scende a circa 1990 unità nel 2011);
   tale sofferenza è ritenuta una delle maggiori criticità per l'andamento della giustizia nel territorio della regione Emilia-Romagna dalla denuncia emersa nelle relazioni dei Capi degli uffici giudiziari del distretto di Corte d'appello di Bologna in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2013;
   in particolare l'incidenza di processi di particolare rilevanza come quelli derivanti dalle inchieste sul crac Parmalat, in assenza di piani organizzativi adeguati e di potenziamento costante nel tempo degli organici di magistrati e di personale amministrativo ha contribuito a far incrinare il servizio giustizia in circondari un tempo considerati virtuosi come quello di Parma;
   sulla base dei dati estratti dalla relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2013 della Corte d'appello di Bologna, il tribunale di Parma figura tra i più carichi di movimento di affari civili, con una media degli ultimi due anni che va dai 14.000 ai 15.000 procedimenti;
   l'organico delle due sezioni civili, per un totale di dieci giudici, ha visto l'avvicendamento di diversi magistrati togati assegnati dal Consiglio superiore della magistratura per la copertura dei ruoli che dal 2008 sono ciclicamente scoperti per necessità di integrazione dei collegi per i processi Parmalat o per intervenuti trasferimenti;
   il personale amministrativo attualmente in servizio attivo presso il tribunale di Parma risulta essere composto da 62 unità a fronte delle 77 previste in pianta organica e dal 2010 è scoperto il posto del dirigente amministrativo;
   dal 1999 i tagli alla dotazione organica sono stati pari al 20 per cento (da 96 alle attuali 77), sono state ridotte le figure dei cancellieri e dei funzionari e aumentate le figure ausiliarie e operative che non possono rivestire compiti di assistenza qualificata alla giurisdizione;
   tra pensionamenti, trasferimenti, dimissioni dal 2009 sono state perse sedici unità in tribunale e sette presso l'ufficio requirente, scendendo le presenze attive a 28 unità sulle 35 previste. Altrettanto critica è la situazione dell'ufficio NEP dove oltre ai pensionamenti di ufficiali giudiziari e operatori giudiziari registrati nel 2012 continuano a gravare i distacchi e comandi di tre operatori giudiziari su otto previsti in organico;
   in tale scenario la revisione delle sedi giudiziarie come disposta dai decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012 rischia di tradursi in ulteriore fattore di appesantimento e di criticità per le carenze strutturali degli uffici accorpanti inadeguati a ospitare gli archivi delle sedi soppresse oltre che per le non risolte carenze d'organico;
   infatti alcun miglioramento si attende dai possibili effetti di un contestato accordo sindacale del 9 ottobre 2012 sulla mobilità del personale amministrativo perdente posto poiché sul primo interpello a carattere distrettuale bandito con circolare 5116 del 15 ottobre 2012 le domande per gli uffici del circondario di Parma sono state inferiori ai posti messi a concorso, né si comprende come in un secondo interpello pubblicato il 28 febbraio 2013 gli uffici giudiziari del circondario di Parma analogamente a molti altri uffici del distretto non appaiano inclusi fra le sedi messe a concorso nonostante il dato della scopertura superiore al 14 per cento della pianta organica;
   sulla base di quanto disposto in materia di turn over dal decreto-legge n. 78 del 2010 e da successive manovre economiche, il personale che cessa dal servizio non potrà essere sostituito se non nella misura dei due decimi;
   in tale scenario le uniche risorse per salvaguardare la funzionalità dei servizi amministrativi sono state quelle rese disponibili dall'attuazione di convenzioni con gli enti locali per l'impiego di lavoratori cassaintegrati o in mobilità per lavori di pubblica utilità presso gli uffici giudiziari. Tali convenzioni sono state siglate a partire dal 2010 in quasi tutti i circondari del distretto ed hanno coinvolto una media di trecento lavoratori;
   in emendamento approvato nell'ambito della legge di stabilità n. 228 del 2012, ha previsto la conclusione del ciclo di formazione a carico del Ministero della giustizia e uno stanziamento di 7,5 milioni di euro, per la prosecuzione della collaborazione di tutti i tirocinanti impiegati, dal 2010 all'interno degli uffici giudiziari;
   risulta che, pur sollecitato da reiterate richieste d'incontro, il Ministero della giustizia, rappresentato dal Capo dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, abbia costantemente negato il confronto con le organizzazioni sindacali rappresentative dei suddetti lavoratori pur essendo il trattamento in cassa integrazione e in mobilità regolato da accordi sindacali siglati in sedi istituzionali con le organizzazioni sindacali confederali;
   la circolare emanata in data 24 aprile 2013 dal Ministero della giustizia pare non risolvere i nodi connessi al trattamento e alle modalità del contributo richiesto e limita fortemente la portata dei progetti riducendo a 220 ore la disponibilità offerta per singolo lavoratore qualificato come tirocinante –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di difficoltà in cui versa il tribunale di Parma, anche a fronte della chiusura della sezione distaccata di Fidenza, analogamente all'ufficio requirente del circondario a causa delle ormai croniche insufficienze di organico in servizio che rendono tale realtà una delle maggiormente critiche di tutto il distretto, e di quali azioni intenda farsi promotore per farvi fronte;
   quali azioni si intenda porre in essere al fine di verificare lo stato di avanzamento dei procedimenti attivati dalle convenzioni stipulate livello periferico con gli enti locali e prevedere un confronto con le rappresentanze sindacali al fine di garantire continuità ed efficacia ai progetti per lavori di pubblica utilità intrapresi con il contributo di lavoratori cassaintegrati e in mobilità, nonché assicurare trasparenza e corretta attuazione alla definizione dei progetti formativi per i lavoratori indicati nell'articolo 1, comma 25 lettera c della legge 24 dicembre 2012 n. 228;
   se il Ministro interrogato intenda dar seguito al completamento e al finanziamento delle innovazioni tecnologiche garantendo le risorse per il potenziamento della rete informatica, la formazione e l'attuazione del PCT nonché per la diffusione e applicazione dei nuovi software ministeriali per il processo penale.
   (4-01494)


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge n. 85 del 2009, l'Italia ha aderito al Trattato di Prüm, firmato da Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria il 27 maggio 2005. Tale trattato è volto a rafforzare la cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera ed all'immigrazione clandestina. La citata legge istituisce la banca dati del DNA presso il Ministero dell'interno e il laboratorio centrale per la banca dati del DNA presso il Ministero della giustizia. Vengono in particolare tenuti distinti il luogo di raccolta e confronto dei profili del DNA (banca dati nazionale del DNA) dal luogo di estrazione dei predetti profili e di conservazione dei relativi campioni biologici (laboratorio centrale presso l'amministrazione penitenziaria), nonché dal luogo di estrazione dei profili provenienti da reperti (laboratori delle forze di polizia o altrimenti specializzati, come i RIS di Parma);
   l'articolo 19 della suddetta legge pone inoltre a carico del Governo l'obbligo di inviare periodicamente al Parlamento una relazione sull'attività della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la medesima banca dati. Fino al 2011 a tale obbligo ha adempiuto il Ministro della giustizia; nel 2012 ha invece provveduto il Ministro dell'interno;
   l'articolo 16 della legge demanda a un regolamento di delegificazione, ancora non emanato, la disciplina attuativa della legge. Attraverso tale atto – che doveva essere emanato entro quattro mesi dall'entrata in vigore della legge – dovevano essere regolamentati: il funzionamento e l'organizzazione della banca dati e del laboratorio centrale; le modalità di trattamento, di accesso e di comunicazione dei dati; le tecniche e le modalità di analisi e conservazione dei campioni biologici; i tempi di conservazione dei profili del DNA e dei campioni biologici; le attribuzioni dei responsabili della banca dati e del laboratorio centrale; le competenze tecnico-professionali del personale addetto alla banca dati e al laboratorio centrale; le modalità ed i termini di esercizio dei poteri conferiti al Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie; le modalità di cancellazione dei profili del DNA e di distruzione dei relativi campioni biologici;
   in data 20 settembre 2012, il sottosegretario alla giustizia Antonino Gullo a seguito di interrogazione a risposta immediata in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati affermava che «è stata, infatti, predisposta la bozza di regolamento attuativo di cui all'articolo 16 della legge n. 85 del 2009, che è stata condivisa da tutte le Autorità partecipanti, eccezione fatta dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali. Peraltro, il Ministero della giustizia, sin dal 3 febbraio 2011, ha formalmente provveduto a trasmettere il parere favorevole sul testo approntato e, più di recente nel maggio 2012, ha confermato la propria immediata disponibilità a porre in essere tutte le attività necessarie per l'approvazione definitiva dello schema di regolamento da sottoporre al Consiglio dei Ministri. A sua volta, il Ministero dell'interno, con nota del 27 luglio 2012, si è riservato di convocare tra le Amministrazioni interessate una nuova riunione, allo stato non indetta»;
   l'articolo 18 della legge delegava il Governo ad emanare, entro un anno, uno o più decreti legislativi per provvedere alla integrazione dell'ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria mediante l'istituzione di ruoli tecnici nei quali inquadrare il personale da impiegare nelle attività del laboratorio centrale. Il Governo ha esercitato la delega con il decreto legislativo 162 del 2010. Le procedure concorsuali per l'assunzione dei ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria non potranno però essere avviate prima della definizione dei regolamenti attuativi da parte dei rispettivi ministeri;
   il sottosegretario alla giustizia Antonino Gullo, nella risposta all'interrogazione di cui prima, a proposito dell'articolo 18 della legge, affermava che «per quanto concerne le attività di stretta competenza del Ministero della Giustizia, si è già provveduto – a norma dell'articolo 18 della legge citata – a predisporre il decreto attuativo per l'istituzione dei ruoli tecnici in cui verrà inquadrato il personale di Polizia penitenziaria, impiegato nel laboratorio centrale della Banca dati del DNA. Il provvedimento è già entrato in vigore nel settembre 2010 (decreto legislativo 9 settembre 2010, n. 162) e sono stati predisposti anche i tre regolamenti attuativi previsti per la determinazione dei profili professionali dei ruoli tecnici del Corpo di Polizia penitenziaria, per le modalità di accesso alla qualifica iniziale dei ruoli tecnici del Corpo di Polizia penitenziaria e, infine, per la disciplina delle modalità di svolgimento dei corsi di formazione relativi alle suddette qualifiche. Per il primo regolamento si è in attesa, soltanto, del concerto del Ministero dell'Economia, per il secondo del parere delle associazioni sindacali, mentre per il terzo devono essere acquisiti i concerti prescritti per legge. Sottolineo, peraltro, che il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, per la parte di competenza, ha anche posto in essere numerosissime iniziative. Tra le altre, segnalo che sul capitolo 1752 del bilancio della Giustizia sono state finanziate risorse pari a euro 18.074.462,00, per la realizzazione del Laboratorio Centrale del DNA. È stato stipulato il contratto per la realizzazione dei lavori di ristrutturazione dell'immobile destinato a sede del Laboratorio Centrale, che sarà pronto a breve. È stata, inoltre, indetta una gara pubblica in ambito comunitario per l'approvvigionamento di «strumenti elettronici ed arredi tecnici da utilizzare presso il Laboratorio Centrale del DNA». La fornitura è stata aggiudicata per un importo pari a euro 4.198.000,00 ed è stata consegnata a dicembre 2011»;
   in data 07 dicembre 2012 in merito all'attuazione della legge, la Commissione europea, con la presentazione della relazione sull'attuazione della decisione 2008/615/GAI sul potenziamento della cooperazione, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera («decisione di Prüm») (COM(2012)732), ha lamentato il ritardo di alcuni Stati membri, tra cui l'Italia, nella realizzazione degli adeguamenti tecnici necessari allo scambio automatizzato di dati relativi al DNA e alle impronte digitali;
   in data il 31 gennaio 2013, il giornale «Il Fatto quotidiano» riportava che sono stati spesi sedici milioni di euro per la realizzazione del laboratorio centrale DNA e che «il 2 ottobre 2010, viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo che prevede l'istituzione dei “ruoli tecnici del personale del Corpo di polizia penitenziaria”: operatori, revisori, periti e direttori. Il numero delle persone necessarie a mandare avanti il Laboratorio è 37. Non centinaia appena 37. Eppure il Dap non riesce a bandire i concorsi, che devono essere aperti all'esterno»;
   in risposta al suddetto articolo il vice capo dap, dott. Luigi Pagano, comunicava al quotidiano che «al momento dell'attribuzione dell'incarico conferito dalla legge 85/2009 l'Amministrazione Penitenziaria ha iniziato tempestivamente il complesso iter che doveva portare alla creazione del Laboratorio centrale d'analisi del Dna e all'indizione dei concorsi riguardante i ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria delegata a condurre il laboratorio; secondo, la gestione dei fondi accreditati all'Amministrazione è stata estremamente oculata;
   sono stati realizzati, in tutti i 207 istituti della nazione, i gabinetti per il prelievo dei reperti biologici sia dei detenuti già presenti che degli ingressi futuri, formato il personale, creato, presso la C.R. di Rebibbia, il laboratorio centrale completandolo di attrezzature tecnologicamente all'avanguardia; terzo, il laboratorio allo stato non è fermo, bensì, sono in corso le procedure per l'accreditamento dello stesso che saranno avviate dai biologi della Università di Tor Vergata; quarto, le procedure concorsuali per l'assunzione dei ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria, infine, avranno inizio non appena saranno varati, dai competenti organi, i regolamenti attuativi; quinto, non mi sembra di vedere nelle altre forze di Polizia un desiderio di accaparramento del Laboratorio né, invero, il Dap sarebbe disponibile a «passare la mano»;
   da quanto è dato sapere, ad oggi circa cinquanta nazioni nel mondo si sono dotate di banca dati nazionale del DNA. Il Regno Unito ha avviato la banca dati nazionale del DNA nel 1995. Ad oggi il loro database include più di 5 milioni di profili. La Francia, invece, ha avviato la banca dati nazionale del DNA nel 1999, Ad oggi il loro database include 1.5 milioni di profili. Il tasso di crescita dell'adozione di un programma nazionale per la realizzazione di una banca dati del DNA aumenta esponenzialmente, si stima che nel 2015 il 60 per cento della popolazione mondiale vivrà in nazioni dotate di DNA database;
   i benefici derivanti dalla messa in funzione della banca dati nazionale del DNA aumenteranno all'aumentare dei profili genetici memorizzati nella stessa. Uno dei benefici più evidenti derivanti dall'adozione della banca dati nazionale del DNA è l'aumento fino al 60 per cento della probabilità di identificazione del colpevole a partire dal campione di DNA raccolto sulla scena del crimine;
   la ratifica del Trattato di Istanbul impegna il nostro Paese ad intensificare tutti gli sforzi per prevenire la violenza sulle donne ed in particolare il femminicidio. L'utilizzo della Banca dati nazionale del DNA ha dimostrato, nei Paesi in cui è stata attivata, di poter contribuire alla riduzione delle violenze sessuali grazie alla rapida identificazione del colpevole. Con conseguente effetto psicologico positivo in termini di propensione alla denuncia dei crimini di tipo sessuale da parte delle vittime. Per quanto riguarda le violenze sessuali, infatti, l'uso dell'analisi del DNA combinato con l'adozione di una banca dati nazionale del DNA aumenta enormemente la probabilità di identificare il colpevole. Non è raro, infatti, che chi si macchia di tale tipo di violenza sia recidivo, per cui l'uso della banca dati DNA rende le indagini decisamente più efficaci. Nel Regno Unito, ad esempio, nel biennio 2006-2007, oltre un terzo dei crimini di violenza sessuale sono stati risolti grazie al ricorso alla banda dati nazionale del DNA –:
   quale sia lo stato dei tre regolamenti attuativi previsti per la determinazione dei profili professionali dei ruoli tecnici del corpo di polizia penitenziaria, per le modalità di accesso alla qualifica iniziale dei ruoli tecnici del corpo di polizia penitenziaria e, infine, per la disciplina delle modalità di svolgimento dei corsi di formazione relativi alle suddette qualifiche;
   se il Governo sia intenzionato, e in quali tempi e modi, a dare piena attuazione alla legge n. 85 del 2009 e rendere, così, immediatamente operativa la Banca Dati Nazionale de DNA. (4-01498)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto, chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia ha emesso una concessione per la realizzazione e l'esercizio di una autostrada regionale sulla tratta Broni-Mortara;
   tale autostrada regionale assume un senso unicamente se ampliata con il tratto Mortara-Stroppiana e quindi con un collegamento Lombardia-Piemonte che porrebbe in discussione la natura di autostrada Regionale;
   numerosi comuni lombardi oltre che la provincia di Pavia hanno formalizzato su base tecnica la loro contrarietà all'opera;
   in data 19 gennaio 2012 il concessionario ha depositato domanda di VIA Ministeriale e, ad oggi, non risulta ancora assunto nessun atto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   risulta presentata nel luglio 2012 una richiesta di sospensione dell’iter amministrativo di VIA da parte del concedente;
   l'opera andrebbe ad insistere su un territorio dalla consolidata vocazione agricola e con la presenza di numerose eccellenze ambientali;
   il tratto Mortara Stroppiana – che vede la contrarietà di 5 dei sei comuni lombardi interessati oltre che della provincia di Pavia e di tutto il comparto associativo agricolo – verrebbe realizzata nell'ambito della ZPS «Risaie della Lomellina», andando a lambire tre siti di interesse comunitario con oggettivo rischio di infrazione comunitaria;
   le analisi dei flussi di traffico denotano un costante calo del traffico sulle infrastrutture autostradali e che tale fatto rischia di comportare non solo la difficoltà di esercizio dell'ipotizzata autostrada ma anche il consolidato rischio di non completamento dell'opera una volta realizzata –:
   se non intenda fornire informazioni sull’iter amministrativo della VIA ministeriale del tratto Broni Mortara, nonché assicurazioni sulla qualificabilità come autostrada regionale di un'opera che giustifica le condizioni minime di esercizio solo mediante collegamento interregionale Piemonte-Lombardia;
   se risulti che tecnici del concessionario e del concedente abbiano incontrato rappresentanti della commissione nazionale VIA;
   se non ritenga strategica l'ipotizzata autostrada Broni-Mortara-Stroppiana;
   se non intenda verificare il rischio di infrazione comunitaria in ambito ambientale qualora venga concessa la realizzazione e l'esercizio del tratto Mortara-Stroppiana.
(2-00169) «Mazziotti Di Celso».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'area industriale di San Salvo (provincia di Chieti) è tra le più dinamiche e ospita aziende che danno lavoro a migliaia di lavoratori;
   in particolare la Pilkington con le aziende satellite, è la più grande fabbrica di vetro per auto del mondo, con 2.500 dipendenti più 700 nell'indotto, e rappresenta in questo settore un'eccellenza tecnologica;
   la Pilkington ogni giorno utilizza 25-30 camion per spedire i suoi prodotti verso il Nord Europa. I camion arrivati in provincia di Modena si spostano sul treno;
   l'area industriale di San Salvo dispone di un anello ferroviario collegato con la ferrovia Adriatica e la Pilkington chiede un investimento di Trenitalia per allestire un treno merci al fine di risparmiare sul costo del trasporto che incide notevolmente sulla competitività dei prodotti e inoltre lo spostamento sul ferro consentirebbe un significativo risparmio energetico e una riduzione dell'inquinamento conseguente al trasporto su gomma –:
   quali iniziative intenda intraprendere per promuovere, per quanto di competenza, un servizio su rotaia per le merci prodotte nell'area industriale di San Salvo (Chieti) essendovi una domanda specifica in questo senso. (4-01490)


   TIDEI, FERRO, GREGORI e CARELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i pendolari che utilizzano quotidianamente il treno sulla linea FL5 Civitavecchia-Roma subiscono da anni notevoli disagi per il sovraffollamento delle vetture, per le carenti condizioni di pulizia, per i guasti agli impianti di riscaldamento delle carrozze, per l'assenza pressoché totale di servizi igienici;
   le precarie condizioni di viaggio diventano addirittura disastrose nel periodo maggio-ottobre quando migliaia di croceristi provenienti dal porto di Civitavecchia, spesso con al seguito pesanti valigie, raggiungono Roma in treno in orari già congestionati dalla presenza dei pendolari, trasformandoli in veri e proprie carri bestiame, privi delle più elementari norme di sicurezza;
   l'offerta di trasporto in direzione Roma, in particolare tra le 7.00 e le 9.00 del mattino, appare da anni del tutto insufficiente;
   Trenitalia non ha rispettato il programma di consegna del nuovo materiale rotabile previsto dal contratto di servizio in scadenza nel 2014; la consegna, nei giorni scorsi, di un unico Vivalto a sei carrozze è un primo segnale di attenzione, ma ancora largamente insufficiente;
   nonostante le proteste dei comitati pendolari, Trenitalia-Divisione passeggeri ha soppresso la fermata della stazione di Roma-Ostiense del Frecciabianca 9784 delle 18,29 da Roma Termini per Genova (già EC 9774 delle 18,07); ciò, nonostante la stazione Ostiense sia importante nodo di scambio servito dalla linea B della metropolitana e da numerosi autobus e la reintroduzione di detta fermata consentirebbe a un gran numero di pendolari che lavorano all'EUR e in zona Prati-S. Pietro-Trastevere di accedere al Frecciabianca 9784, tra l'altro alleggerendo l'affollamento sui treni regionali –:
   se il Ministro, per quanto di sua competenza, non reputi opportuno mettere in atto specifiche iniziative per invitare la società Trenitalia ad un miglioramento dell'offerta e delle condizioni di trasporto, anche attraverso l'attivazione di un tavolo di confronto con la stessa Trenitalia, la regione Lazio, i comuni interessati ed i comitati pendolari, che possa favorire una rapida e concertata soluzione delle problematiche proposte. (4-01496)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del 18 dicembre 2008, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale in data 14 maggio 2009, il CIPE ha approvato il Progetto Preliminare per la realizzazione dell'Autostrada Tirrenica;
   della realizzazione di questa infrastruttura, del valore di 3 miliardi e 200 milioni di euro, è stata incaricata la Società Autostrada tirrenica Spa (in seguito SAT), di proprietà di Autostrade per l'Italia Spa (24 per cento), Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (14 per cento), Vianco SpA (24 per cento), Holcoa Spa (24 per cento) e S.A.L.T. Spa (9 per cento) e, in misura percentualmente minima, delle Camere di Commercio di Grosseto e di Viterbo;
   l'atto con il quale è stata affidata questa concessione è la Convenzione unica stipulata tra ANAS S.p.A. e SAT in data 11 marzo 2009, divenuta efficace in seguito all'atto di recepimento delle prescrizioni impartite dal CIPE, stipulato fra ANAS e SAT in data 24 novembre 2010, ai sensi dell'articolo 2, comma 202, della legge n. 191 del 2009, che ha modificato l'articolo 8-duodecies del decreto-legge n. 59 del 2008;
   la concessione di costruzione e gestione dell'Autostrada Tirrenica, opera individuata come strategica ai sensi della cosiddetta legge obiettivo, è stata affidata direttamente, senza l'espletamento della benché minima procedura di evidenza pubblica, a favore di un soggetto (quasi) interamente privato;
   tutto ciò malgrado l'Autorità garante della concorrenza e del Mercato, nella segnalazione al Parlamento AS455 del 4 luglio 2008, intitolata «Schemi di convenzione con la società ANAS S.p.A. sottoscritti dalle Società concessionarie autostradali», abbia evidenziato che «l'affidamento delle concessione autostradali deve avvenire con l'ausilio di procedure ad evidenza pubblica [...]. Con l'approvazione ex lege [con l'articolo 8-duodecies della legge n. 101 del 2008, di cui si è chiesta la disapplicazione degli schemi di convenzione già sottoscritti tra ANAS S.p.A. e i concessionari autostradali [...] ancora una volta la costruzione e la gestione di nuove tratte autostradali viene sottratta al confronto concorrenziale derivante da un eventuale e alternativo ricorso a procedure ad evidenza pubblica. [...] L'Autorità auspica, pertanto, che il Governo ed il Parlamento riesaminino le normative vigenti in materia di regolazione del sistema autostradale alfine di: non eliminare del tutto i già esigui spazi lasciati alla concorrenza per il mercato, almeno per le tratte non ancora realizzate e per l'ampliamento della rete autostradale»;
   una volta ottenuta la concessione, SAT ha affidato la realizzazione dei lavori ad un soggetto di nuova costituzione, individuato come contraente generale ai sensi del decreto legislativo n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici), denominato SAT Lavori sx. a r.l., e anche questo contratto è stato affidato senza il preventivo esperimento di alcuna procedura ad evidenza pubblica;
   ciò sembrerebbe, prima facie, consentito dall'articolo 149, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, secondo il quale i concessionari che non siano amministrazioni aggiudicatrici, come nella fattispecie SAT, possono affidare direttamente appalti di lavori a favore di imprese collegate, per tali intendendosi, ai sensi dei successivi commi 4 e 5, anche le società, come SAT Lavori (della quale SAT possiede appena l'1 per cento del capitale sociale), sulle quali l'impresa concessionaria può esercitare un'influenza dominante, in quanto «può designare più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza» (l'articolo 6.4, lettera a), dello statuto di SAT Lavori conferisce infatti a SAT il diritto di nominare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione della Società);
   ad esito di una attenta riflessione, emerge chiaramente che la ratio del richiamato articolo 149, comma 3, è quella di consentire l'affidamento diretto dei lavori da parte del concessionario alle proprie società collegate, ma solo in quanto il concessionario stesso sia stato scelto attraverso una procedura di gara, e ciò, invero, trova piena conferma nello stesso articolo 149, il cui comma 6 stabilisce che «l'elenco completo di tali imprese [quelle, cioè, a favore delle quali il concessionario può disporre l'affidamento diretto dei lavori, in quanto sue controllate] è unito alla candidatura della concessione»;
   nel caso di specie – come già evidenziato – il concessionario, cioè SAT, non è stato scelto con gara, con la conseguenza che anche l'affidamento dei lavori in capo a SAT lavori risulta, quantomeno, di dubbia legittimità;
   da quanto esposto emerge un quadro quantomeno sorprendente, in base al quale sarebbe in corso di realizzazione un'opera di straordinaria importanza ed impatto sul territorio che verrà gestita in futuro, per tutta la durata della concessione, da soggetti che non hanno dovuto affrontare il minimo confronto competitivo con altre imprese;
   inoltre, la convenzione unica con la quale è stata assentita la concessione in favore di SAT, nonché il successivo atto di recepimento in seno alla medesima Convezione delle prescrizioni impartite dal CIPE per esigenze di contenimento delle finanze pubbliche, non risultano pubblicati in alcuna sede, e nessuno, a parte i diretti interessati, conosce il contenuto di questi atti e, quindi, le condizioni pattuite fra lo Stato e la Società concessionaria in ordine alla gestione dell'infrastruttura autostradale;
   il comune di Montalto di Castro e una Società Agricola che verrà ad essere espropriata per la realizzazione dell'Autostrada, hanno tentato e stanno ancora tentando, avvalendosi del diritto di accesso agli atti di cui alla legge n. 241 del 1990, di entrare in possesso di questi documenti, ma la SAT ha sempre opposto un secco rifiuto;
   allo stato, non si comprendono le ragioni di tanta segretezza relativamente ad atti che, in quanto propedeutici alla realizzazione e alla gestione di un'infrastruttura di rilievo nazionale, dovrebbero essere pubblici e accessibili da parte di chiunque vi abbia interesse;
   in considerazione di ciò, sorge il sospetto che il motivo sia da ricercarsi nelle clausole contrattuali della concessione, le quali potrebbero essere eccessivamente favorevoli per il concessionario e, di converso, assai gravose per lo Stato e per la comunità;
   ci si domanda, ad esempio, quale sarà il costo del pedaggio, quali i tempi e le modalità del suo aggiornamento, quali garanzie ha preteso lo Stato dalla Società concessionaria in ordine alla manutenzione dell'opera, quali sono i tempi di durata della concessione, domande alle quali si può fornire risposta solo consultando la convezione unica e l'atto di recepimento delle prescrizioni del CIPE;
   ci si domanda, ancora, se la realizzazione di questa infrastruttura, secondo le modalità che sono state descritte, corrisponda realmente all'interesse dei cittadini, ovvero soltanto all'interesse di alcune potenti lobby –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, se del caso, se non si ritenga di rendere accessibile al pubblico il contenuto degli atti citati;
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di verificare, nell'ambito delle proprie competenze, la conformità alle norme vigenti delle procedure relative sia alla concessione di costruzione e gestione dell'Autostrada Tirrenica in favore di SAT, sia al successivo affidamento dei lavori al contraente generale SAT Lavori, e quali provvedimenti intenda assumere nel caso si siano verificate delle irregolarità procedurali. (4-01504)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   BONOMO, NARDUOLO, SERENI, ASCANI, PATRIARCA, ROTTA, MADIA, GADDA, LENZI, BENI, CHAOUKI, BRAGA, MISIANI, BOBBA, MOSCA, TENTORI, QUARTAPELLE PROCOPIO, MARCO DI MAIO, COMINELLI, VENTRICELLI, LATTUCA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto del servizio civile nazionale affonda le radici nelle lotte per il diritto all'obiezione di coscienza che videro un primo riconoscimento con l'approvazione della legge n. 772 del 1972, «Norme in materia di obiezione di coscienza». Tale legge introdusse per i giovani richiamati al servizio di leva la facoltà di dichiararsi obiettore di coscienza per motivi morali, religiosi e filosofici ed istituì il servizio sostitutivo civile alternativo al servizio militare e parimenti rispondente al dovere di servire la patria;
   con la legge n. 230 del 1998 l'obiezione di coscienza fu finalmente riconosciuta quale diritto soggettivo del cittadino nell'ambito del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici. La stessa legge sancì che il servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, rispondesse parimenti al dovere costituzionale di difesa della patria e fosse ordinato ai fini enunciati nei «Principi fondamentali» della Costituzione. Il 6 marzo 2001, con la legge n. 64, nacque il servizio civile nazionale, a base volontaria, che ha convissuto con il servizio sostitutivo civile obbligatorio fino al giugno 2005;
   l'articolo 9 della citata legge n. 64 del 2001 prevede, inoltre, la possibilità per i giovani volontari di prestare servizio anche presso «enti e amministrazioni operanti all'estero, nell'ambito di iniziative assunte dall'Unione europea, nonché in strutture per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa Unione europea o da organismi internazionali operanti con le medesime finalità ai quali l'Italia partecipa». Dal 2001 ad oggi 3.782 volontari hanno operato in diversi Paesi dell'Europa, dell'Africa, dell'Asia, dell'Oceania e dell'America latina, prevalentemente nel settore della cooperazione, dell'assistenza e dell'educazione. Tali esperienze e un comune percorso sul servizio civile avviato in altri Paesi europei hanno portato nel 2009 ad elaborare il progetto sperimentale europeo «European civic service: a commom amicus», con lo scopo di stimolare la nascita di un modello europeo di servizio civile;
   la partecipazione all'interno del servizio civile nazionale crebbe dai 181 ragazzi e ragazze avviati nel 2001 fino ai 45.890 del 2006, grazie al corrispondente incremento delle risorse, mentre dal 2007 si è registrato un continuo ridimensionamento degli stanziamenti (299 milioni di euro nel 2008, 170 milioni di euro nel 2009, 100 milioni di euro nel 2010-2011, 68 milioni di euro nel 2012), fino alla mancata promulgazione del bando ordinario del 2012 ed alla previsione di soli 71 milioni di euro per l'anno 2013, che consentiranno il finanziamento di appena 15.000 volontari per i progetti nazionali e 450 per l'estero;
   come noto, il servizio civile nazionale ha dato, in diverse occasioni, un importante contributo a risollevare la situazione di zone colpite da catastrofi naturali, mettendo in campo volontari tramite bandi speciali (Abruzzo 2009, Emilia-Romagna 2012);
   il servizio civile è l'unica forma istituzionale di difesa della patria non armata e non violenta (articolo 52 della Costituzione) e il suo valore educativo porta i giovani a sperimentare e a praticare con maggior consapevolezza la cittadinanza attiva, sviluppando il senso civico ed una maggiore percezione dei valori democratici, ad aiutare la categorie più vulnerabili dei cittadini (persone con disabilità, cittadini stranieri, bambini in situazioni difficili, malati terminali e altri), nonché ad aiutare a salvaguardare il patrimonio artistico, culturale ed ambientale dello Stato;
   nonostante il ruolo strategico di strumento utile alla coesione sociale, all'educazione alla partecipazione delle nuove generazioni, alla formazione personale e professionale dei giovani, nonché ad un loro orientamento verso il mondo del lavoro, negli ultimi anni questo istituto della Repubblica non ha ricevuto un adeguato sostegno finanziario da parte dello Stato;
   le associazioni e i rappresentanti del mondo del servizio civile, in numerose occasioni, hanno evidenziato con forza quanto sia importante mantenere per il prossimo bando, atteso da migliaia di giovani da oltre un anno, almeno il medesimo numero di volontari previsto dal bando del 2011 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di restituire credibilità e ruolo al servizio civile nazionale, individuando le adeguate risorse finanziarie che consentano una reale programmabilità dei progetti e il soddisfacimento delle aspettative di migliaia di giovani che annualmente vorrebbero partecipare a questa fondamentale esperienza di vita.
(3-00239)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per l'integrazione, per sapere – premesso che:
   le associazioni della provincia di Siracusa, impegnate nella tutela dei migranti, denunciano da tempo le gravi carenze del sistema gestionale relativo all'accoglienza di minori stranieri non accompagnati;
   da gennaio ad oggi, sarebbero oltre 100 i minori identificati e portati presso il «Centro Umberto I» – le cui carenze sotto il profilo di tutela dei minori sono già state denunciate più volte - senza ricevere alcun tipo di informazione o forma di accompagnamento all'integrazione;
   a causa della gravissima inefficienza gestionale, alcuni dei minori sono scappati e risultano dispersi sul territorio, esposti all'elevato rischio di diventare vittime di sfruttamento o tratta;
   più volte le associazioni impegnate nella tutela dei migranti e i servizi sociali hanno denunciato i trattamenti inumani e degradanti a cui sono sottoposti i minori, e chiesto alla prefettura di Siracusa di far luce sulla natura giuridica del «Centro Umberto I», nonché di attivare con urgenza tutte le necessarie misure per garantire l'accoglienza dei minori in luoghi sicuri e rispondenti ai requisiti previsti dalla legge;
   la mancanza di una struttura sanitaria efficiente, in grado di garantire l'assistenza medica ai migranti, rimarca di fatto la necessità di intervenire con la massima urgenza per poter fronteggiare un fenomeno sociale in continua espansione;
   per garantire un sistema gestionale efficiente, nell'interesse superiore del minore, è necessario che gli interventi vengano realizzati da professionalità specifiche, in grado di attivare nell'immediatezza tutte le misure per la tutela dei minori, fornendo loro le informazioni sui diritti e sulle opportunità legali esistenti;
   ad oggi, sono i comuni a farsi carico delle spese connesse alle attività di accoglienza e sostegno con risorse proprie, divenute ormai insufficienti per poter far fronte ai continui arrivi sulle nostre coste;
   senza un adeguato stanziamento da parte dello Stato di risorse economiche destinate alle finalità enunciate, gli enti locali – già fortemente penalizzati dalle misure di contenimento della spesa pubblica – non saranno più in grado di fronteggiare le emergenze e quindi garantire ai minori le dovute forme di sostegno e tutela –:
   se non ritenga urgente adottare iniziative adeguate per affrontare in maniera efficace quello che sta diventando un fenomeno sempre più significativo, in specie misure che servano a fare in modo che ai minori stranieri non accompagnati venga fornita la giusta assistenza, e vengano rispettati i loro diritti, quali ad esempio quello di vedersi collocati in strutture adeguate, anche durante l'accertamento dell'età e la definizione del tutore, nonché quello di vedersi riservare un'adeguata quota nell'ambito del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, nonché se non ritenga di dover provvedere allo stanziamento di adeguate risorse finanziarie in favore dei comuni interessati, necessarie a fronteggiare le emergenze e quindi a garantire ai minori accoglienza e tutela.
(2-00171) «Beni, Zampa, Sbrollini, Scuvera, Cuperlo, Amato, Civati, Bobba, Bindi, Rubinato, Rosato, Villecco Calipari, Donati, Mogherini, Gelli, Orfini, Moscatt, Bini, D'Incecco, Velo, Coscia, Moretti, Giuseppe Guerini, Realacci, Verini, Tentori, Nardella, Manciulli, Ascani, Sereni, Folino, Marchi, Bressa, Ginefra, Tullo, Carlo Galli, Gianni Farina, Mosca, Cinzia Maria Fontana, Fontanelli».

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro degli affari esteri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   in data 16 giugno 2013 è stato arrestato in attesa di essere estradato dal Centro nazionale anticrimine informatico (Cnaipic) della Polizia delle comunicazioni, NOORI Ahmad, cittadino afgano, ritenuto responsabile dell'omicidio della moglie, Fahezeh Ahmad;
   il signor NOORI Ahmed si è allontanato, dopo la morte della moglie, ed ha portato con sé la figlia di due anni Noora Asma nata il 13 giugno 2011, in Iran, cittadina afghana, residente in Norvegia;
   il giorno 16 giugno 2013 alle ore 20.00, presso l'Istituto «Linda Penotti» Suore Calsanziane Via Casalotti n. 73 Roma, la squadra mobile della questura di Roma, su disposizione orale della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, dottoressa Di Stasio, si è proceduto all'affidamento della minore a Scolastica Rosso nata a Giulianova (Teramo) l'8 gennaio 1943 residente a Roma in via Casalotti 73;
   in data 18 giugno 2013 la procura della Repubblica nella persona del sostituto procuratore della Repubblica dottoressa Anna Di Stasio pregava con puntualità gli uffici della questura di Roma squadra mobile CNAIPIC, e la direzione centrale della polizia criminale SIRENE di acquisire con urgenza informazioni in ordine alla cittadinanza ed alla residenza della minore, all'esistenza di parenti entro il quarto grado con la massima sollecitudine;
   in data 19 giugno 2013 il signor Ahmed NOORI ha negato il consenso all'estradizione, al solo fine espresso di poter attendere il rimpatrio della figlia mediante consegna ad uno dei suoi familiari residenti in Norvegia;
   in data 1o luglio 2013 la dottoressa Capranica, giudice del tribunale per i minorenni, proc. 1203/13 VG, ha depositato ed inviato in data 2 luglio 2013 copia del decreto con il quale il lo stesso tribunale composto dalla dottoressa Angela Rivellese (presidente), dottoressa Cristina Capranica (giudice relatore), dottor Christian Veronesi (giudice onorario), dottoressa Benedetta Biancalana (giudice onorario) ha ritenuto: «che, allo stato, devono essere emessi solamente provvedimenti urgenti di tutela ed assistenza della bambina per disporre contemporaneamente approfondimenti istruttori relativi alla cittadinanza e residenza abituale della minore – che si trova in Roma solo casualmente perché illecitamente condotta dal padre, in fuga dai provvedimenti delle Autorità norvegesi di restrizione della libertà personale per l'omicidio della moglie... – fermo restando che non risultano elementi per opporsi al rimpatrio della minore in Norvegia – territorio dove la minore risiedeva stabilmente da alcuni mesi insieme alla famiglia – dove l'Ufficio preposto potrà individuare l'esistenza di familiari o parenti che potranno prendersi cura della minore ovvero reperire altra sistemazione collocativa idonea alla sua protezione». Per questi motivi a tutela della minore il tribunale richiedeva «alla direzione centrale della Polizia Criminale del Ministero dell'Interno l'invio di nota di aggiornamento con l'indicazione della cittadinanza della minore e del luogo di residenza abituale prima della breve permanenza in Roma e dell'arresto del padre, Noori Ahmad, con il quale la bambina è stata trovata» e contestualmente dichiarava: «che, allo stato non risultano al tribunale elementi per opporsi alla richiesta di rimpatrio della minore formulata dalle autorità della Norvegia e richiede[va] alla direzione centrale della polizia criminale del Ministero dell'interno di aggiornare con urgenza il tribunale in merito all'esito della procedura di estradizione del padre del padre della minore e rimpatrio della bambina»;
   in data 2 luglio 2013 il Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza direzione centrale della polizia criminale inviava comunicazione a mezzo fax alla procura della repubblica presso il tribunale per i minorenni alla cortese attenzione del sostituto procuratore della Repubblica dottoressa Di Stasio, il cui contenuto segnalato come urgentissimo è del seguente tenore: «Il S.I.R.E.N.E norvegese ha comunicato di aver ricevuto da parte dell'ambasciata norvegese a Roma la copia del provvedimento emesso da codesta A.G. riguardante il rimpatrio della minore in argomento ed ha richiesto determinazioni circa l'attivazione delle modalità del suddetto rimpatrio. Premesso quanto sopra si rappresenta la dipendente DIVISIONE S.I.R.E.N.E. non ha ricevuto alcuna comunicazione in merito pertanto si invita codesta A.G. di voler far pervenire copia del provvedimento riguardante la decisione circa il rimpatrio della minore al fine di interessare per le previste procedure il collaterale ufficio norvegese». Si restava anche in quel caso in attesa di un «cortese urgente riscontro»;
   in data 9 luglio 2013 il Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza direzione centrale della polizia criminale, inviava comunicazione a mezzo fax al tribunale per i minorenni, sezione civile 2o collegio, all'attenzione della dottoressa Capranica il seguente urgentissimo testo: «Si comunica che il collaterale organo norvegese ha ricevuto per il tramite dall'ambasciata di Norvegia a Roma copia del provvedimento n. 1203/2013 relativo alla minore NOORI Asma nata il 13 giugno 2011 ed ha sollecitato determinazioni circa l'eventuale rimpatrio. Si precisa inoltre che le informazioni richieste nel suddetto provvedimento circa la cittadinanza e la sua residenza abituale antecedente la sua permanenza a Roma sono state già trasmesse il 17 giugno 2013 alla dottoressa Di Stasio (Sostituto Procuratore della Repubblica) che in precedenza aveva in carico il caso»;
   prosegue il testo a firma del F.to II direttore del servizio: «Ciò posto si rappresenta che a tutt'oggi non risulta pervenuto alcuna comunicazione da codesta AG circa il rimpatrio della minore e si resta in attesa di conoscere le decisioni adottate in merito al fine di poter informare il collaterale organo norvegese per l'eventuale attivazione previste procedure di rimpatrio». Si precisava di essere «in attesa di cortese urgente riscontro».
   in data 15 luglio 2013 il Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale polizia criminale, direzione centrale polizia criminale Prot. MI-123-U-B-5-4-2013-1263 si rivolge nuovamente al tribunale per i minorenni di Roma sezione civile II collegio, alla cortese attenzione della dottoressa Capranica nonché alla questura di Roma squadra mobile IV Sezione trasmettendo nota prevenuta dal collaterale organo norvegese si chiedeva «con preghiera di voler aderire a quanto richiesto»;
   la decisione dell'autorità norvegese è stata, vista la situazione della bambina, attualmente senza genitori, di dare in affidamento la minore Asma NOORI nata il 13 giugno 2011 al Servizio per la Cura e la Tutela dei bambini di Lister in Norvegia;
   la stessa minore, riferiscono le autorità norvegesi, è residente nel Municipio di LYNGDAL in Norvegia. La bimba va rimpatriata in Norvegia ed i responsabili dei servizi sociali di Lister hanno il dovere di affidare la stessa minore ad una struttura temporanea adeguata. Il personale addetto sarebbe stato pronto a mettersi in viaggio immediatamente su un volo diretto a Roma;
   le autorità norvegesi infatti (Norvegia S.I.R.E.N.E.) una volta avuta notizia della «conferma» del rimpatrio, avevano poi inviato una proposta di piano di viaggio del seguente tenore: «I rappresentanti del Lister Child Welfare Service si sarebbero rec[ati] in Italia: 1) signora Linn Gunhad SINOGBAKKEN, data di nascita 27 giugno 1965 telefono +4748511290/+4794532659 e 2) la signora Sedil Waager GLOMSER nata il 25 agosto 1971 avendo programmato di tornare in Norvegia con la minore venerdì 19 luglio 2013 con volo DY3731 (norvegese) da Roma Fiumicino alle ore 11:50 con arrivo a Copenaghen. Alle ore 14:10 da Copenaghen con volo WE207. Arrivo a Ktskareand Kjevik alle ore 17:25;
   in alternativa il giovedì 18 luglio 2013 con gli stessi voli». Quindi si pregava «di comunicare con urgenza se l'autorità competente p[oteva] accettare il questo viaggio.» Si chiedeva che venissero informate le autorità interessate e «Si prega[va] di inviare il nome di una persona di contatto con i recapiti che l'ambasciata/Lister Child Welfare Service era in grado di contattare in Italia. Si ringrazia[va] nuovamente «per la gentile collaborazione»;
   in data 16 luglio 2013 il Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale polizia criminale protocollo MI-123-U-B-5-4-2013-1275 (Oggetto: NOORI ASMA nata il 13 giugno 2011 inserita in SIS II dalla Norvegia come Minore scomparsa) scrive – al tribunale per i minorenni sezione civile 2° Collegio in specie alla cortese attenzione della dottoressa CAPRANICA (Rif.to 1203/13VG), alla questura di Roma squadra Mobile IV sezione, alla direzione centrale per la polizia stradale ferroviaria e per i reparti speciali della Polizia di Stato servizio polizia postale e delle comunicazioni, centro nazionale anticrimine informatico per protezione delle infrastrutture critiche – rappresentando con urgenza che «quest'Ufficio è costantemente sollecitato dagli organi di polizia giudiziari norvegesi (compresa anche l'ambasciata di Norvegia a Roma) al fine di comunicargli la soluzione della vicenda. A tutt'oggi non abbiamo ricevuto determinazioni utili per la riconsegna della minore in oggetto indicata.» Conclude la nota con la formula di cortesia di comunicare ogni utile notizia da inoltrare alle autorità della Norvegia;
   in data 17 luglio 2013 il tribunale per i minorenni nella persona del giudice dottoressa Capranica così risponde: «Si comunichi alla Direzione scrivente che questa Autorità Giudiziaria, trattandosi di minore con residenza abituale in altro Stato, non è attribuita la funzione di assumere determinazioni sulle modalità di “riconsegna” della bambina, se non quella di verificare che non vi siano ostacoli giuridici al suo rimpatrio reclamato dal Paese di provenienza. Tale provvedimento è stato da tempo (28 giugno 2013) emesso, sicché si è fatta contestuale richiesta di conoscere quando il rimpatrio sia avvenuto; nessuna altra determinazione è rimessa a questo Tribunale. Alla Cancelleria per l'invio urgente con fax»;
   in data 25 luglio 2013 II Giudice dottoressa Capranica del tribunale per i minori in risposta all'ennesima istanza depositata dal procuratore del padre della bambina nella quale una volta evidenziata l'incompetenza espressa dallo stesso tribunale ad effettuare la «consegna» della minore, si sollecitava l'affidamento presso l'ambasciata norvegese è contestualmente si chiedevano aggiornamenti in merito alle richieste istruttorie a suo tempo formulate dal collegio preso atto dei tempi lunghissimi oramai decorsi. Il giudice ribadiva per iscritto quasi contestualmente al deposito di aver adottato un provvedimento di natura provvisoria «in attesa del rimpatrio della bambina» e contestualmente si chiedeva la trasmissione via fax di quanto scritto al Ministero dell'interno polizia criminale IV sezione al fine di acquisire informazioni sull'avvenuto rimpatrio della bambina;
   in data 24 luglio 2013 l'avvocato del padre della piccola Asma informava la segreteria generale del Ministro dell'interno, Angelino Alfano, l'ufficio VII D.G.I.T. del Ministero degli affari esteri e l'ambasciata norvegese del quadro venutosi a creare attorno alla piccola Asma Noori: un tribunale per i minorenni incompetente come espressamente dichiarato dalla stessa A.G. a «riconsegnare» la piccola, un Ministero dell'interno che è costantemente e giustamente pressato dalle autorità norvegesi, ma che continua domandare informazioni all'autorità giudiziaria, ora alla procura per i minorenni, ora al II Collegio civile del tribunale per i Minorenni ed infine un Ministero degli esteri all'oscuro di tutta quanta la vicenda;
   il legale ha altresì inviato copie dei documenti degli zii che vivono in Norvegia presso il campo destinato ai rifugiati collocato in prossimità di Oslo. Lì vivono la sorella ed il cugino di Ahmed NOORI, sposato con la sorelle dell'arrestato: il primo si chiama Nazir TAJIK nato il 29 aprile 1989 in Afghanistan, la seconda con Aeida Noori. Si sono allegati i documenti di identità, il certificato di matrimonio rilasciato dall'ambasciata dell'Afghanistan in Teheran trasmessi al difensore dallo zio della piccola, il quale ha manifestato la propria volontà ad accudire la piccola Asma unitamente alla moglie –:
   se alla luce di quanto esposto in premessa i Ministri interpellati non ritengano necessario e opportuno fornire spiegazioni sulla vicenda, chiarendo in primis se alla data odierna si è proceduto al rimpatrio della bambina;
   per quali motivi non si sia proceduto alla consegna della minore i giorni 18 e del 19 luglio 2013 così come richiesto dalle autorità norvegesi, le quali avevano altresì indicato il numero di volo;
   perché una volta intervenuto il decreto del tribunale per i minorenni attestante la mancanza di ragioni ostative, non si sia provveduto immediatamente alla consegna della bambina adducendo la necessità di ulteriori accertamenti in merito alla residenza abituale ed alla nazionalità, informazioni già note al Tribunale a far data dal 20 giugno 2013;
   per quali ragioni il Ministero dell'interno una volta espressa l'incompetenza del tribunale per i minorenni, non abbia proceduto al rimpatrio della bambina, e per quali ragioni non ne fosse a conoscenza antecedentemente;
   per le quali motivi, pertanto, non si sia proceduto alla rimpatrio della bambina per il tramite degli zii;
   per quali ragioni non si sia ritenuto opportuno informare il Ministero degli affari esteri e se, a far data dal 24 luglio 2013, ricevuta l'istanza del difensore lo stesso dicastero abbia posto in essere qualche attività in merito;
   se, il Ministero della giustizia non intenda verificare se sussistano i presupposti per avviare iniziative ispettive presso il Tribunale per i minorenni.
(2-00164) «Lombardi».

Interrogazioni a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   i Centri di identificazione ed espulsione (CIE) hanno manifestato il loro totale fallimento;
   ad avviso dell'interrogante rinchiudere persone sino a 48 mesi oltre che un'inqualificabile forma di carcerazione è un enorme spreco di risorse pubbliche;
   nel 2012 sono state trattenute 7700 persone e ne sono state rimpatriate meno della metà;
   un numero insignificante se rapportato al dato ufficiale, e sicuramente sottostimato, di 326 mila immigrati senza documenti presenti in Italia secondo lo studio della fondazione ISMU;
   è grave, inoltre, la situazione sotto l'aspetto dell'ordine pubblico: sono ripetute e costanti le violazioni dei diritti umani dei «trattenuti», gli episodi di autolesionismo, le fughe, le violenze, le rivolte, le risse, le denunce di maltrattamenti;
   il sovraffollamento nei CIE è ormai a livelli impressionanti: a Lampedusa ve ne sono 977 in un centro al massimo ne potrebbe ospitare 300;
   i costi per la gestione dei CIE sono ormai insostenibili;
   anche i sindacati di polizia ritengono queste strutture, una sorta di «lager» per immigrati e poliziotti –:
   quali iniziative intenda assumere per superare in tempi rapidi i Centri di Identificazione e ed espulsione. (3-00247)


   SPERANZA, FOLINO, ANTEZZA, MARIANO, VENTRICELLI, BELLANOVA, CASSANO, MARIASTELLA BIANCHI, BORGHI, BRAGA, MARIANI, BRATTI, COMINELLI, REALACCI e GINEFRA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto ITREC è un impianto nucleare italiano, situato nel centro di ricerca Enea-Trisaia di Rotondella (Matera) e utilizzato per la conservazione e la sperimentazione del ritrattamento del combustibile nucleare;
   l'impianto ha ricevuto negli anni settanta svariati elementi di combustibile provenienti dal reattore americano «Elk-River» al fine di effettuarne il ritrattamento;
   alla fine degli anni ottanta le decisioni governative sull'annullamento del programma energetico nucleare italiano hanno determinato l'annullamento dei programmi relativi alle operazioni di ritrattamento;
   la Sogin SpA, società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività industriali, ha rilevato l'esercizio dell'impianto al fine di attuarne la disattivazione e lo smantellamento, limitandone le funzioni alla gestione delle materie nucleari presenti e dei rifiuti radioattivi;
   si è appreso da notizie di stampa che la notte tra il 28 ed il 29 luglio 2013, alle 3 e 10, un carico di materiale radioattivo è partito dal Centro Enea-Trisaia di Rotondella ed è stato consegnato all'Aeroporto militare di Gioia del Colle, intorno alle ore 6;
   circa 300, tra operatori della Guardia di finanza, dell'Arma dei carabinieri e della polizia di Stato, hanno scortato il carico e presidiato gli svincoli di Matera Sant'Eramo, Gioia del Colle e la strada statale 106 Ionica, nei tratti interessati dal trasferimento –:
   se corrisponda al vero che nella notte tra il 28 e il 29 luglio sia stato effettuato il cennato trasporto di materiale radioattivo proveniente da Rotondella, quale sia la reale natura di tale materiale e quale sia la finalità del trasferimento all'aeroporto militare di Gioia del Colle;
   qualora effettivamente l'operazione abbia avuto luogo, quali organi l'abbiano gestita e se siano state rispettate le norme di sicurezza pubblica, ambientale e di difesa civile;
   se l'operazione in parola era classificata come segreta o riservata, per motivi di sicurezza, come sia stato possibile per gli organi di stampa venirne a conoscenza;
   in ogni caso, quali iniziative siano state finora assunte dalla Sogin spa per attuare le attività cosiddette di «decommissioning» dell'impianto ITREC di Rotondella;
   se la Sogin spa assolva regolarmente ai prescritti obblighi informativi nei confronti delle amministrazioni e degli enti territoriali competenti;
   quale pianificazione di emergenza sia stata adottata dalla prefettura di Matera in relazione all'impianto ITREC di Rotondella. (3-00248)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, CASATI, CIMBRO, GIAMPAOLO GALLI, CHAOUKI, GIUDITTA PINI e GASPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso sul Corriere della sera il 24 luglio 2013 si evince che poco più di un mese fa il prefetto di Bologna ha rescisso il contratto con il consorzio siracusano L'Oasi, che aveva vinto un appalto per l'affidamento della gestione del Centro di identificazione ed espulsione (Cie), poiché le associazioni denunciavano condizioni degradanti per gli ospiti, e i sindacati segnalavano stipendi a singhiozzo per i dipendenti; attualmente il Centro di identificazione ed espulsione di Bologna è chiuso e permane uno stato di incertezza su quando la struttura verrà riaperta;
   sempre da notizie a mezzo stampa, si apprende che analoghi problemi si sarebbero verificati a Modena, dove i dipendenti de L'Oasi, da lunedì scorso sarebbero in sciopero a causa dei continui ritardi nei pagamenti degli stipendi oltre che per le condizioni di lavoro insopportabili; da più parti il prefetto di Modena sarebbe stato invitato a seguire l'esempio del collega di Bologna, interrompendo gli accordi con la cooperativa siciliana;
   anche a Milano si teme che possa verificarsi una situazione analoga per l'affidamento del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli che attualmente è gestito dalla Croce Rossa Italiana con un contratto in scadenza il 31 ottobre 2013: l'appalto è stato infatti affidato selezionando la migliore offerta con il criterio del prezzo più basso, partendo da un prezzo posto a base d'asta di 30 euro pro die/pro capite. La Croce rossa si è detta disposta a prendere nuovamente in carica il Centro di identificazione ed espulsione solo sulla base di un budget doppio in quanto non riesce ad offrire standard di accoglienza accettabili con un costo di 30 euro per ospite;
   da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che potrebbe rientrare nel tetto fissato dal bando solo il consorzio siracusano L'Oasi, che, nonostante i precedenti di Bologna e Modena, ritiene di poter contenere le spese fino a 27,50 euro al giorno a persona;
   come sottolineato recentemente dalla collega, onorevole Zampa nell'interrogazione n. 4-01063 nel 2012, infatti, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha modificato i criteri di aggiudicazione dei bandi di gara previsti per i contratti per la gestione dei Centri di identificazione ed espulsione, centri di soccorso e prima assistenza, centri di accoglienza e centri di accoglienza per richiedenti asilo, scegliendo l'opzione del prezzo più basso rispetto a quella dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con base d'asta di 30 euro al giorno per persona;
   l'adozione del prezzo più basso come criterio per l'aggiudicazione degli appalti desta grave preoccupazione, in quanto criterio assolutamente inadeguato ai fini della garanzia di condizioni dignitose sia per coloro che si trovano trattenuti all'interno dei Centri di identificazione ed espulsione, sia per coloro che vi lavorano all'interno –:
   se i fatti riportati corrispondano al vero, quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito all'adeguatezza del criterio del prezzo più basso per l'affidamento in gestione dei Centri di identificazione ed espulsione e quali iniziative intenda adottare, in vista della scadenza del contratto d'appalto per il Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano con la CRI il prossimo ottobre, al fine di evitare che il nuovo affidamento avvenga sulla base di tale criterio e quindi ad esclusivo discapito delle condizioni di coloro che si trovano o lavorano all'interno del Centro di identificazione ed espulsione. (5-00785)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   su internet è stata pubblicata una notizia (con relativo video) in cui si parla di un comportamento oltre i limiti di alcuni componenti dell'Arma dei Carabinieri (il titolo dell'articolo è «Carabiniere salta a gambe unite su un ragazzo»). Aprendo il link è possibile verificare, aldilà di ogni ragionevole ed inequivocabile dubbio il comportamento «non deontologicamente apprezzabile» dei «carabinieri» protagonisti della vicenda (che potenzialmente, oltre a risvolti disciplinari, potrebbe averne anche di penali – nel video sono ben udibili gli epiteti razzisti – soprattutto se esistesse in Italia il reato di «tortura») –:
   quali iniziative i Ministri intendano adottare per contrastare in futuro il ripetersi di simili episodi e quali direttive intendano impartire al comandante generale dell'Arma dei carabinieri e al Capo della Polizia (responsabile direttore generale della pubblica sicurezza) per ripristinare la legalità comportamentale in simili circostanze. (4-01501)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   nel 1982 nasceva ad Assisi il Centro italiano di studi superiori sul turismo CST che, tra i primi in Italia, sviluppò attività di formazione nell'industria dell'ospitalità, la prima collana di libri (Franco Angeli) in economia del turismo, didattica a distanza e multimediale, corsi specialistici, ricerche e modelli economici;
   nell'anno accademico 1993/94, grazie all'esperienza del Centro italiano di studi superiori sul turismo veniva attivato presso l'università di Perugia, il corso di laurea in economia del turismo (tra i primi in Italia) e, successivamente, la laurea triennale (L) e specialistica (LS), con un ampio numero di studenti e molte possibilità di occupazione (Assisi ospita 6 milioni di turisti all'anno);
   per rispettare i decreti ministeriali della «riforma Gelmini», nel 2010 l'università degli studi di Perugia, chiudeva la laurea specialistica e attivava, con l'università italiana per stranieri, la laurea in economia internazionale del turismo;
   a seguito dell'emanazione decreto ministeriale 30 gennaio 2013, n. 47, l'università di Perugia (facoltà di economia) ha deliberato, nel giugno scorso, di chiudere anche questo corso, malgrado 64 iscritti al primo anno (250 iscritti in totale) e le potenzialità che tale corso offre in termini di occupazione nel settore del turismo (in Italia, sino al 2020, 500.000 nuovi posti di lavoro);
   i principali punti di forza che hanno differenziato nel tempo il corso di laurea in Assisi e lo hanno reso unico rispetto alla restante offerta formativa universitaria sono:
    coinvolgimento diretto del mondo imprenditoriale nell'individuazione dei percorsi formativi e nella stessa erogazione di una parte delle attività di insegnamento;
    integrazione degli insegnamenti con laboratori professionalizzanti individuati tenendo conto degli effettivi processi operativi delle imprese turistiche;
    obbligatorietà di un periodo di stage presso imprese del settore supportato da una efficace azione di orientamento dei discenti e delle imprese ospitanti;
    una struttura didattica messa a disposizione dal comune di Assisi adeguata ad ospitare le attività formative e tecnologicamente all'avanguardia (palazzo ex Icap a S.M. degli Angeli e palazzo Bernabei ad Assisi);
    una biblioteca unica nel suo genere, completamente specializzata nel settore turistico gestita in partnership con il Centro italiano di studi superiori sul turismo di Assisi, con oltre 10.000 volumi e circa 300 abbonamenti a riviste di settore sia nazionale che internazionale;
   la prima più strutturata collana editoriale dedicata al turismo edita dalla Francoangeli di Milano e curata dal Centro italiano di studi superiori sul turismo di Assisi finalizzata a supportare le attività didattiche del corso di laurea «economia internazionale del turismo» ed utilizzata anche da molti altri corsi di laurea in Italia;
   supporto delle attività di formazione specialistiche da parte dei Centro italiano di studi superiori sul turismo di Assisi, agenzia capace di sviluppare un'attività di ricerca multidisciplinare nel turismo e di basare sulla stessa un'offerta formativa di livello manageriale adeguata a rispondere alle continue evoluzioni del settore turistico imprenditoriale italiano;
   il Centro italiano di studi superiori sul turismo CST di Assisi rappresenta un unicum nel panorama dell'offerta formativa e può diventare uno fra i più importanti centri di formazione sul turismo a livello internazionale, con la possibilità di attivarvi corsi di laurea, di laurea specialistica, corsi post laurea e di specializzazione anche legati all'organizzazione mondiale del turismo;
   il piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia presentato dal Governo Monti nel gennaio 2013 rileva che anche se l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo internazionale, stenta a tenere il passo della crescita del settore e tende a perdere quote di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei, evidenziando una notevole perdita di competitività;
   il turismo rappresenta per il nostro Paese un settore rilevante, con un peso significativo nell'economia nazionale, generando maggiori opportunità di lavoro rispetto ad altri settori industriali considerati prioritari (il turismo rappresenta circa il 9 per cento del prodotto interno lordo nazionale e impiega circa 2,2 milioni pari ad un lavoratore su dieci) –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e non se non ritenga di adottare ogni utile iniziativa di competenza per salvaguardare un'ultratrentennale esperienza di modelli didattici e manageriali fondamentali per il rilancio di un settore che offre grandi opportunità sia in termini di occupazione che di valorizzazione dello straordinario patrimonio storico e artistico italiano.
(2-00166) «Galgano».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRATOIANNI e PAGLIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comma 141 dell'articolo 1, della legge n. 228 del 24 dicembre 2012 (cosiddetta legge di stabilità) prevede che «negli anni 2013 e 2014 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (...) non possono effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi»;
   in un comunicato del 24 luglio 2013, l'assessore alle politiche scolastiche della provincia di Parma, Giuseppe Romanini, denuncia l'impossibilità di procedere all'acquisto di nuovi arredi per le scuole secondarie di secondo grado di Parma e provincia, nonostante la disponibilità di risorse, a causa dei vincoli di spesa imposti dalla legge di stabilità 2013;
   la popolazione scolastica nel Parmense, come in tutta l'Emilia Romagna, è in costante crescita: nell'ultimo decennio è aumentata di oltre il 20 per cento, e a settembre sono previsti 346 alunni in più nelle scuole superiori, il che comporta la necessità di adibire luoghi e spazi consoni e adeguati alle esigenze didattiche e di apprendimento degli studenti;
   con l'impossibilità di acquisire materiale di arredo e di attrezzare le aule in maniera adeguata e dignitosa per ospitare gli studenti, con l'imminenza dell'anno scolastico, potrebbero configurarsi l'interruzione di pubblico servizio e una lesione del diritto all'istruzione, come sancito dall'articolo 34 della Costituzione –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione nelle scuole della provincia di Parma e di altri casi analoghi nel territorio italiano e quali misure e correttivi intenda adottare per ovviare alla situazione rappresentata. (5-00774)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si è registrato un massiccio flusso di emigrazione che fa ricordare quello del secondo dopoguerra. L'attuale congiuntura economica fa prevedere che il fenomeno lungi dall'arrestarsi, tenderà ad intensificarsi con un numero di persone, specialmente giovani, che saranno spinte a lasciare il nostro Paese per cercare oltre confine il lavoro che qui manca. Stando alle ultime statistiche, infatti, la disoccupazione ha raggiunto l'allarmante percentuale del 12,2 per cento della forza lavoro, mentre è ancor più drammatico il dato sulla disoccupazione giovanile che, al 31 maggio 2013, registra il livello più alto dal primo trimestre 1977 attestandosi, nella fascia d'età fra i 15 e i 24 anni, al 42 per cento;
   le politiche dell'occupazione fin qui varate, si sono dimostrate del tutto inadeguate a fermare questa spirale perversa, anzi sembrano incoraggiare «una nuova mobilità internazionale» della forza lavoro, quasi che un «alleggerimento» della pressione sociale di cui la disoccupazione è al contempo causa ed effetto possa recare beneficio all'intero sistema. Sappiamo tutti, invece, che con la foga di tante risorse umane si avvera l'esatto contrario sia in termini economici che umani e sociali. Basti pensare che ogni persona che se ne va, specialmente se qualificata, porta fuori dal Paese un potenziale PIL di quasi 2 milioni di euro nell'arco della sua vita lavorativa (4000 euro mensili x 12 mesi x 40 anni) senza contare la perdita del capitale investito per la sua formazione.
   alla mancanza di adeguate politiche occupazionali si deve purtroppo aggiungere la miopia di alcune politiche migratorie che, nell'ambito delle varie fasi di spending review pur necessarie nell'attuale quadro economico finanziario, hanno perso di vista quelle attività qualificanti a favore delle nostre collettività all'estero, che, lungi dall'essere considerate una risorsa, sono spesso viste come un peso fastidioso. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito ad un progressivo assottigliamento delle risorse destinate agli interventi per la lingua e la cultura italiane, all'assistenza, all'informazione e alla formazione, con tagli lineari di oltre il 65 per cento. Per questi interventi le nostre rappresentanze diplomatiche e consolari sono difficilmente in grado di garantire un livello minimo di servizi, con il rischio che ciò comporti lo smantellamento di quanto costruito in passato anche grazie all'associazionismo locale.
   i connazionali che, loro malgrado, decidono di emigrare, anche se culturalmente pronti ad affrontare le nuove sfide che un cambiamento così radicale comporta, oggi spesso si trovano in grosse difficoltà nei loro primi approcci con la società di accoglimento, difficoltà a cui le nostre rappresentanze diplomatiche e consolari non sono in grado di dare risposte efficaci a causa delle ben note carenze di risorse umane e finanziarie sopra accennate. Si pensi, per esempio, alle difficoltà di trovare casa, di stabilire contatti con il mondo del lavoro, informazioni sull'assistenza sanitaria, sul patrocinio legale, di avere assistenza linguistica, servizi di traduzioni e interpretariato a costi accessibili, eccetera.
   il decreto del Ministero del lavoro 10 ottobre 2008, n. 193 che reca «Regolamento per il finanziamento degli istituti di patronato, ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 30 marzo 2001, n. 152» introduce tabelle di attività che danno luogo a punteggio utile per il riconoscimento del diritto e base di calcolo per il finanziamento. Le suddette tabelle sono state riviste ed aggiornate con decreto dello stesso Ministero del 20 febbraio 2013 –:
   se, a fronte dei nuovi flussi migratori, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, nelle tabelle allegate al decreto ministeriale del 10 ottobre 2008 n. 193, come modificato dal decreto dello stesso Ministero del 20 febbraio 2013 non possa inserire, per incentivare la qualità e l'ampiezza dei servizi offerti dagli istituti di patronato, la voce orientamento ed assistenza ai nuovi emigrati italiani, a cui attribuire un punteggio di 0,25.
(2-00167) «Tacconi, Grande, Sibilia, Spadoni, Scagliusi, Del Grosso, Manlio Di Stefano, Di Battista, Rizzetto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   durante la normale gestione delle pratiche relative alla vita aziendale, necessariamente, l'azienda o chi per lei, deve ricorrere, per una corretta interpretazione delle norme in tema di lavoro e previdenza sociale all'istituto previdenziale;
   l'unico modo per avere contatti con l'istituto, per una serie di privatizzazioni all'interno della struttura è il call-center integrato INPS-INAIL;
   il personale addetto alla ricezione dei quesiti nella maggior parte dei casi, non risulta preparato per far fronte a quesiti tecnici che riguardano nel pratico lo sviluppo delle questioni inerenti la gestione del rapporto di lavoro;
   gli operatori anzidetti, oltre a non essere sufficientemente preparati, non per loro volontà, non hanno accesso ai data base aziendali e quindi non possono che fornire una magra lettura delle norme già esposte sia nelle circolari che sul portale INPS –:
   quali siano stati i motivi dell'esternalizzazione del servizio di consulenza alle aziende e ai cittadini;
   quale sia stata la spesa complessiva per gli appalti e perché non si sia provveduto, anziché ridurre l'organico, al reimpiego dei lavoratori già alquanto preparati al servizio del cittadino e delle aziende;
   come intenda risolvere la problematica su indicata. (5-00791)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   L'INPDAP, dal 27 ottobre 1995, ha avviato a Pescara l'attività della casa albergo «La Pineta»; questa apertura avviene a fronte dell'esperienza acquisita con la casa albergo di Monteporzio Catone (Roma) in attività dal 1961;
   la casa albergo di Pescara è in grado di ospitare 119 persone. Una struttura moderna costruita per i pensionati autosufficienti (accertati da una commissione di valutazione geriatrica) iscritti al fondo di previdenza e credito per dipendenti civili e militari dello Stato;
   questa prestazione, così come tutte le altre prestazioni di welfare (creditizie e sociali), sono finanziate in via esclusiva dalla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali (il cosiddetto «Fondo credito»), alimentato dal prelievo obbligatorio – sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici in servizio – dello 0,35 per cento per quanto riguarda la gestione dipendenti pubblici (ex Inpdap); dello 0,80 per cento per quanto riguarda la gestione assistenza magistrale (ex Enam) e dello 0,40 per cento per quanto riguarda la gestione (ex Ipost); nonché dalla trattenuta dello 0,15 per cento per quanto riguarda i pensionati pubblici;
   la struttura offre integrazione sociale e sicurezza personale. La vita nella comunità è cadenzata da numerosi momenti durante i quali si svolgono attività ricreative, culturali e sportive ai fine di favorire integrazione e socialità fra gli ospiti. Particolare attenzione è rivolta all'attività fisica, seguita da personale specializzato. Accanto a ginnastica, cinema, teatro, conferenze e giochi di società anche assistenza medica e infermieristica. La casa garantisce vitto, alloggio, servizi comuni, assistenza sociale, medica, dietetica e infermieristica;
   per effetto del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011 «decreto salva Italia»), poi convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 27 dicembre 2011, dal 1o gennaio 2012 l'Inpdap è confluito in INPS e di conseguenza tutto il patrimonio di immobili e di servizi che venivano erogati;
   il 30 marzo 2012 il CIV riunito in seduta congiunta delibera (Del. n. 351) nel suo rapporto di fine mandato, le linee guida 2011-2013 indicando tra le priorità strategiche l'ampliamento dell'offerta nei confronti di anziani e giovani; riguardo alle case albergo sottolinea in un passaggio: «Il servizio rappresenta un esempio di eccellenza che non dovrebbe restare appannaggio di pochi utenti. Nell'ambito del più ampio progetto di valorizzazione del patrimonio immobiliare ad uso sociale, che ha subito un arresto a seguito della soppressione dell'INPDAP, una delle proposte è quella di utilizzare strutture di proprietà dell'ente che risultino a tutt'oggi inutilizzate o sottosviluppate. Viene sollecitata quindi la presentazione di un piano di razionalizzazione e valorizzazione delle strutture al fine di evitare il depauperamento del patrimonio stesso»;
   a fronte del quadro illustrato si evidenziano alcune preoccupanti criticità:
    1) dal luglio 2011 l'amministrazione cambia le spese a carico degli ospiti: non più con una quota fissa e uniforme per tutti ma con una quota mensile legata all'indicatore ISEE così da determinare maggiore equità contributiva e nel contempo una più adeguata correlazione tra costi e contribuzioni per gli utenti. (Determina n. 299 del 09 marzo 1999 del Presidente sull'adeguamento delle rette). Tuttavia il suddetto adeguamento e la differenziazione per fasce ISEE, ha generato negli ospiti un forte malcontento tanto da aprire un contenzioso ancora in corso che ha prodotto un abbandono di numerosi ospiti della struttura, al punto tale che lo stesso presidente del CIV ha dichiarato: «L'adeguamento delle rette è intervenuto con un approccio e metodo sbagliato dell'istituto in quanto avvenuto senza consultazione preventiva (verbale della seduta congiunta del CIV del 21 febbraio 2012);
    2) a fronte dell'aumento numerosi servizi (fisioterapia, ginnastica, animazione, elioterapia eccetera) dall'anno 2012 vengono sospesi e poi, solo alcuni, nuovamente erogati dopo lunghissime pause (anche sei mesi di attesa);
    3) il bando di accesso per la graduatoria 2013 non ancora viene pubblicato lasciando numerosi posti letto inutilizzati e danneggiando così numerosi anziani e le loro famiglie che potrebbero usufruirne;
   questi disagi destano preoccupazioni sia per i numerosi ospiti della struttura che per i lavoratori rispetto al futuro della struttura –:
   quali iniziative intenda mettere in campo per valorizzare e promuovere le case-albergo di Pescara e Monteporzio Catone (Roma) e se intenda aumentare l'offerta complessiva ad uso sociale come auspicato dal CIV recuperando e valorizzando il patrimonio immobiliare acquisito negli anni con i soldi dei contribuenti. (4-01491)


   VARGIU. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il «Decreto del fare» reca disposizioni volte alla semplificazione di specifiche procedure in materia di sicurezza sul lavoro, finalizzate a rimuovere obblighi di natura esclusivamente formale, che non hanno alcuna reale ricaduta sulla efficacia delle azioni di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
   le semplificazioni previste riguardano principalmente gli obblighi aziendali relativi alle figure del datore di lavoro, dei dirigenti e in alcuni casi anche del responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli stessi lavoratori. Nessuna semplificazione è invece presa in considerazione per quanto attiene alla figura del medico competente, titolare di compiti e obblighi fondamentali per la tutela della salute dei lavoratori, cui peraltro la legge attribuisce attualmente anche oneri burocratici di estrema difficoltà applicativa, assolutamente avulsi dalla necessità di creare la massima condizione di tutela della sicurezza del lavoratore;
   in particolare, l'articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede che entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento, il medico competente, esclusivamente per via telematica, trasmetta ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B;
   l'articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale 9 luglio 2012 recante «Contenuti e modalità di trasmissione dei dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori» ribadisce che la trasmissione dei dati utilizzabili a fini epidemiologici inerenti ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria debba essere effettuata unicamente in via telematica dal medico competente entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento;
   l'articolo 4, comma 1, del decreto ministeriale 9 luglio 2012, recante «Disposizioni transitorie e entrata in vigore» dispone che al fine di consentire una valutazione approfondita della rispondenza delle previsioni del presente decreto a criteri di semplicità e certezza nella raccolta e delle modalità di trasmissione delle informazioni, è individuato un periodo transitorio di mesi 12 a far data dall'entrata in vigore del presente decreto per la sperimentazione delle disposizioni previste (fino al 24 agosto 2013);
   esclusivamente con riferimento al periodo di sperimentazione, il termine per la trasmissione delle informazioni, di cui al citato allegato 3B del decreto legislativo n. 81 del 2008, è scaduto il 30 giugno 2013;
   l'articolo 4, comma 4, dello stesso decreto 9 luglio 2012, dispone in merito alla durata del periodo transitorio di sperimentazione, con riferimento a possibili difficoltà di raccolta e trasmissione telematica delle informazioni di cui al comma 1 dell'articolo 40, che la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro di cui all'articolo 58, comma 1, lettera e), sia sospesa sino al termine della sperimentazione;
   l'INAIL, solamente a far data dal 22 maggio 2013, ha reso attivo un applicativo web strutturato in maniera da rendere il più possibile standardizzate le operazioni di inserimento e trasmissione dei dati;
   l'utilizzo della piattaforma predisposta dall'INAIL risulta particolarmente complesso, mentre appare problematico lo stesso accesso al sistema: che il mondo sanitario e scientifico di riferimento ha ripetutamente e ufficialmente esternato le proprie perplessità sia nel merito della raccolta dei dati, che sull'efficacia degli indicatori selezionati per le trasmissioni finalizzate alla valutazione delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali;
   il 24 luglio 2013, il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/1248-AR/122 presentato dall'interrogante, nel quale si è impegnato a prevedere, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di modificare l'articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008, disponendo una proroga del termine della sperimentazione almeno sino al 31 dicembre 2013, con conseguente sospensione del pesante apparato sanzionatorio a carico dei medici competenti, nonché ad attivare un tavolo di confronto con le associazioni di categoria finalizzato a valutare ogni opportuna modifica delle disposizioni contenute all'articolo 4 del decreto ministeriale 9 luglio 2012 –:
   se intenda dare seguito all'impegno assunto in Parlamento e modificare le disposizioni normative citate in premessa, al fine di eliminare eventuali gravami burocratici per i medici competenti dai quali non discendono effettivi miglioramenti delle condizioni di tutela della salute del lavoratore. (4-01493)


   CIPRINI, BECHIS, COMINARDI, BALDASSARRE e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto diffuso dal Comitato spontaneo degli invalidi civili di Terni nel 2011, gli invalidi civili iscritti nelle liste di collocamento del centro per l'impiego della provincia di Terni risultano pari a 2.200 laddove il numero degli assunti ogni anno si attesterebbe intorno a quaranta unità;
   i dati resi disponibili dalla seconda relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 68 del 1999, predisposta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la collaborazione dell'ISFOL, evidenziano che i disabili iscritti agli elenchi provinciali risultavano essere nel 2003 oltre 475.000 (rapporto ISFOL «I servizi di inserimento lavorativo per i disabili nell'ambito dei sistemi di welfare locale» relativo all'anno di programmazione 2000-2006);
   nel 2011 sono stati oltre 22.023 i disabili avviati al lavoro in Italia. Gli iscritti alle liste speciali del lavoro risulterebbero poco più di 644 mila, di cui quasi 65.800 nuovi iscritti (ISFOL, Relazione sullo stato di attuazione delle norme per il collocamento obbligatorio e mirato delle persone disabili relativo al biennio 2010-2011);
   rimane forte il divario tra il numero delle assunzioni obbligatorie previste per legge e il numero dei disabili iscritti nelle liste;
   nella realtà le quote di scopertura, delle imprese potrebbero coprire buona parte dell'offerta lavorativa ma ciò non accade;
   la legge 12 marzo 1999, n. 68 riguardante «Norme per il diritto al lavoro dei disabili» ha come finalità la promozione dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Il comma 1 dell'articolo 3 di tale legge, stabilisce che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette con quote di riserva proporzionali al numero totale dei dipendenti dell'azienda. Le amministrazione provinciali, attraverso i centri per l'impiego, svolgono un ruolo fondamentale nell'attività di orientamento, tutoraggio e ricerca occupazionale dedicate specificatamente alle persone disabili;
   la legge prevede che in un'azienda che abbia tra i 15 e 35 dipendenti ci sia un disabile, due fino a 50 dipendenti e per le aziende più grandi sia riservato a loro il 7 per cento dei posti disponibili;
   il punto critico che emerge lungo il percorso di integrazione lavorativa riguarda dunque le opportunità di inserimento in termini di disponibilità di quota di riserva, cioè di posti riservati per legge ai disabili, nonché di compatibilità con le mansioni segnalate dalle imprese;
   i dati restituiti dalla seconda relazione al Parlamento, relativi a sole 72 province rispondenti, evidenziano che la quota di riserva totale era nel 2003 di 149.648 unità, con una netta preponderanza dei posti disponibili rinvenibile nella fascia dimensionale delle imprese con oltre 50 dipendenti. A fronte di questo dato le stesse imprese denunciavano una scopertura di 84.462 posti di lavoro corrispondente, pur tenendo conto della diversa distribuzione delle risposte, a circa il 56 per cento del totale della quota di riserva. È verosimile che oggi tali dati, con la crisi economica che morde l'Italia, siano peggiorati;
   accade che le aziende, anziché assumere un disabile, in base alla normativa specifica, preferiscono pagare le multe loro comminate;
   accade inoltre, come evidenziato da rappresentanti del comitato spontaneo degli invalidi civili di Terni, che spesso le assunzioni avvengano, ma i disabili siano poi assegnati a mansioni non compatibili con quelle segnalate dalle imprese;
   la legge n. 68 del 1999 appare – in tali casi – frustrata e recentemente – con sentenza n. C-312/11 del 4 luglio 2013 della Corte di giustizia dell'Unione europea – l'Italia è stata condannata per essere venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente la direttiva n. 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro;
   in particolare, nel sanzionare l'Italia, la Corte europea ha osservato che è compito degli Stati membri imporre a tutti i datori di lavoro l'obbligo di adottare provvedimenti efficaci e pratici (ad esempio sistemando i locali, adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro o la ripartizione dei compiti) in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a favore di tutti i disabili, che riguardino i diversi aspetti dell'occupazione e delle condizioni di lavoro e che consentano a tali persone di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione;
   l'insufficienza della legge n. 68 del 1999 mette in evidenza una grave discriminazione ai danni dei disabili che si vedono negato il diritto al lavoro –:
   se i Ministri, ciascuno per le sue competenze, siano a conoscenza della situazione descritta e dei dati aggiornati del numero dei disabili iscritti nelle liste speciali e del numero dei disabili avviati al lavoro in base alla legge n. 68 del 1999;
   quali azioni i Ministri interrogati intendano promuovere, adottare e sollecitare per rimuovere gli impedimenti al pieno inserimento lavorativo dei disabili;
   quali misure intendano adottare i Ministri interrogati – anche di tipo normativo/regolamentare – al fine di garantire pienamente alle persone con disabilità il diritto al lavoro ed evitare abusi nella fase del collocamento lavorativo del disabile così come previsto dalla legislazione vigente, dalla Convenzione per i diritti dei disabili e dalla normativa europea in materia, in particolare dalla direttiva n. 2000/78/CE. (4-01495)


   MELILLA. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 1o maggio 2011 CAI-Alitalia ha chiuso il centro di manutenzione Air One Tecnich dell'aeroporto regionale di Pescara, trasferendo la manutenzione a Napoli e determinando la perdita di 80 posti di lavoro altamente qualificati e con una capacità competitiva a livello europeo;
   le istituzioni locali, tramite la costituzione di una cordata di imprenditori abruzzesi, hanno avanzato una proposta per salvaguardare una rilevante presenza produttiva e gli 80 posti di lavoro, ma la risposta di CAI-Alitalia al piano industriale presentato, non risulta sia mai pervenuta, nonostante ripetute sollecitazioni;
   inoltre CAI-Alitalia non ha neanche «liberato» gli hangar utilizzati, al fine di metterli a disposizione della nuova società in via di formazione –:
   se non ritengano necessario convocare le parti sociali e imprenditoriali, le province di Pescara e Chieti, la regione Abruzzo per favorire il superamento dell'attuale situazione di stallo e favorire la realizzazione di un progetto industriale volto a qualificare l'aeroporto regionale di Pescara e tutelare 80 posti di lavoro.
(4-01499)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   CAON e PRATAVIERA. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i dazi antidumping sono miranti a scoraggiare la pratica del dumping, cioè l'esportazione di beni ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel Paese d'origine. Con questa azione il produttore si assicura un certo grado di penetrazione nei mercati grazie alla concorrenzialità dei suoi prezzi;
   la politica commerciale dell'Unione e il suo ruolo in seno all'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) riguardano la fissazione delle tariffe doganali per l'ingresso nell'Unione di beni prodotti in Paesi terzi, così come fatto con il regolamento della Commissione europea che istituisce i dazi antidumping sulle importazioni di fotovoltaici di provenienza della Repubblica popolare cinese;
   la globalizzazione, oltre ad alcune conseguenze positive, come l'apertura di nuove opportunità di mercato per il nostro tessuto produttivo, ne ha prodotte altre assai nefaste. Il venir meno, secondo le regole imposte dall'OMC, delle barriere di carattere protezionistico alla libera circolazione delle merci, specialmente nel settore agroalimentare, ha indubbiamente alimentato il diffondersi di fenomeni negativi;
   l'assenza dei necessari provvedimenti antidumping, a tutela del Made in Italy, penalizza le molte piccole e medie imprese, in particolare del Nord che hanno scelto di produrre prodotti di qualità sul proprio territorio, e che oggi sono seriamente minacciate dalla sleale concorrenza proveniente dai Paesi del Sud-est asiatico, dove i metodi di produzione sono difficilmente controllabili dall'Unione europea e la qualità dei prodotti non è sempre garantita;
   il tessuto produttivo del comparto agricolo si trova anche a dover affrontare la concorrenza di Paesi, come la Cina, che non osservano le regole di un mercato equilibrato e leale, che usufruiscono di manodopera a bassissimo costo e di politiche di dumping a discapito dei lavoratori e dei consumatori italiani ed europei;
   il 6 settembre 2012 l'Unione europea ha avviato il procedimento antidumping con riguardo all'importazione di pannelli fotovoltaici di provenienza dalla Cina e il 5 giugno 2013 (regolamento n. 513/2013) la Commissione ha imposto dei dazi provvisori nella misura dell'11,8 per cento per i primi due mesi, sino al 6 agosto 2013 e, successivamente, tra il 37,3 e il 67,9 per cento per i mesi successivi;
   non si è fatta, infatti, attendere la reazione da parte della Repubblica popolare cinese, che il 1o luglio scorso, ha ufficialmente aperto un'indagine antidumping e antisovvenzione nei confronti delle importazioni di vino provenienti dall'Unione europea che si concluderà il 1o luglio 2014;
   otto delle principali associazioni della filiera produttiva del settore vinicolo nazionale hanno chiesto al Governo italiano e ai Ministri competenti un maggiore impegno nella vicenda;
   il comparto vitivinicolo italiano non può essere sottomesso alle autorità cinesi nel confronto apertosi a seguito dei dazi che l'Unione europea intende applicare all'importazione di pannelli fotovoltaici prodotti in Cina;
   nel solo 2012 le imprese italiane del comparto vinicolo che hanno esportato in Cina sono state circa 1500 e l'Italia rappresenta il terzo Paese esportatore dell'Unione europea, dopo Francia e Spagna, con oltre 300.000 ettolitri esportati e un fatturato di 77 miliardi di euro, con un trend di crescita negli ultimi anni molto promettente, in termini sia di volume sia economici. L'iniziativa cinese rischia di frenare la crescita delle esportazioni di vino made in Italy, che nel primo trimestre del 2013 è stata da record, registrando un aumento di ben il 377 per cento rispetto ai livelli del 2008 e cioè ai livelli pre-crisi;
   i produttori di vino italiani ed europei dovevano registrarsi, entro il 20 luglio, in quanto aziende produttrici che esportano in Cina, in un apposito modulo messo a disposizione dal governo cinese, in seguito alla sua decisione di avviare un'indagine anti-dumping e antisussidi nei confronti dei produttori europei. Dopo la chiusura della fase di registrazione, le autorità cinesi sceglieranno un campione di imprese che dovrà essere sottoposto ad un'accurata indagine per verificare l'eventuale azione di dumping da parte europea, o di applicazione di sussidi pubblici;
   nel caso venisse verificato il danno derivante dal dumping nei confronti delle imprese cinesi, Pechino riconoscerebbe alle aziende registrate lo statuto di «cooperante», applicando loro dazi inferiori a quelli che verrebbero applicati alle altre aziende «non cooperanti»;
   l'interrogante si auspica che il Governo italiano arrivi ad un accordo con le autorità cinesi onde evitare la selezione delle aziende campione da inserire nella lista di realtà esportatrici che dovranno partecipare alla procedura cinese, al fine di evitare la creazione, sul territorio italiano, di aziende «cooperanti» e «non cooperanti», con rilevanti ricadute sul piano economico;
   la Repubblica popolare cinese sta facendo registrare interessanti margini di esportazione e si profila come un mercato di grande espansione per molte aziende vinicole europee, visto che gli acquisti di vino hanno raggiunto a livello nazionale quota 18 milioni di ettolitri. Un dato non molto lontano dai 20 milioni di ettolitri che rappresentano il volume dei consumi in un Paese di grande tradizione vitivinicola come l'Italia;
   la Cina svolge, quindi, per molte aziende italiane, un ruolo strategico, offrendo l'opportunità di nuovi e più ampi mercati alle produzioni vinicole nazionali –:
   se il Ministro intenda farsi portavoce in sede europea di una politica intesa ad applicare, quando possibile ed opportuno, le misure necessarie per impedire pratiche di concorrenza sleale a tutela prodotti agroalimentari made in Italy, e tutelare, nella fattispecie, le imprese italiane produttrici di vino dai rischi e dai costi della procedura sui dazi attivata dalla Cina.
(5-00776)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'utilizzo inappropriato in ambito internazionale delle denominazioni riconosciute alle produzioni agroalimentari italiane di qualità è sempre più ricorrente e la falsificazione dei prodotti italiani DOP e IGP fa registrare un giro d'affari di oltre cinque volte il fatturato realizzato dal mercato autentico;
   il fenomeno della contraffazione on-line è particolarmente allarmante posto che la rete offre anonimato, costi bassi e possibilità di una veloce e facile scomparsa dal mercato; dati aggiornati evidenziano che il commercio on-line nel settore alimentare risulta quello in maggior crescita, tanto che si stima, per il 2013, un balzo del 18 per cento;
   tale situazione genera ancor più preoccupazione alla luce delle nuove iniziative che potrebbero essere intraprese a breve dalla società americana ICANN, ovvero l'autorità che genera il rilascio dei suffissi internet;
   come ormai noto, la suddetta ICANN, organizzazione privata di diritto californiano, ha attivato le procedure per assegnare, dietro pagamento, a soggetti privati e indipendentemente se siano viticoltori o utilizzatori riconosciuti delle denominazioni, domini di primo livello generico tra i quali: «wine» e «vin», oltre a «food» e «organic»;
   i titolari dei suddetti domini potrebbero infatti, attraverso l'abbinamento a domini di secondo livello, registrare indirizzi come «baroloclassico.wine» o anche «prosciuttodiparma.food» e sovrapporli agli indirizzi dei prodotti originali generando totale confusione nelle piattaforme di commercio elettronico;
   è indispensabile assicurare che l'assegnazione di nomi generici dati in via esclusiva a privati e senza particolari garanzie, quali domini di primo livello, sia improntata al rispetto delle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio posto che il loro utilizzo, peraltro esclusivo, ha implicazioni commerciali, di relazioni tra Paesi e di immagine con effetti potenzialmente devastanti in ambito commerciale internazionale e in grado di attivare infiniti e costosi contenziosi;
   richieste di assegnazione di domini provengono da società stabilite in Paesi dichiarati «paradisi fiscali», coperte da anonimato societario e potenzialmente in grado di riciclare denaro di dubbia provenienza;
   l'iniziativa in parola contrasta con i principi della proprietà intellettuale che vietano la concessione di un diritto di privativa industriale che abbia ad oggetto un termine di uso comune –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto riportato in premessa e come intenda intervenire presso i competenti organismi internazionali al fine di assicurare la tutela dei diritti relativi ai prodotti indicati in premessa nel commercio on-line ed impedire che l'introduzione di nomi generici a dominio internet e la loro assegnazione a soggetti privati non utilizzatori delle denominazioni possa in qualsiasi modo danneggiare le produzioni agro alimentari italiane certificate. (5-00777)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 luglio 2013 la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un secondo ordine del giorno, (il primo è stato approvato il 7 ottobre 2010) in materia di organismi geneticamente modificati, che esprime forte preoccupazione per il rischio di contaminazione delle colture biologiche e convenzionali in seguito alle avvenute semine di mais MON8IO in Friuli Venezia Giulia;
   l'ordine del giorno della Conferenza delle regioni e delle province autonome sollecita il Governo all'adozione di provvedimenti che vietino la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale;
   in data 11 luglio 2013 l'Assemblea della Camera dei deputati ha approvato, pressoché all'unanimità e con parere favorevole del Governo espresso dalla Ministra per le politiche agricole alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, una mozione in cui, tra gli altri punti, impegna il Governo a perseguire in sede europea, con tutta la necessaria energia negoziale, «... una rigorosa applicazione del principio di precauzione in tutti i procedimenti di autorizzazione alla, coltivazione o al commercio di eventi transgenici...»;
   la stessa mozione impegna il Governo ad assumere iniziative immediate in relazione all'avvenuta semina di mais geneticamente modificato, su tutto il territorio nazionale, al fine di evitare ogni forma di possibile contaminazione ambientale e delle produzioni agricole locali;
   sempre in data 11 luglio 2013, a Bruxelles si è svolta la riunione del Comitato d'Appello previsto dal regolamento n. 182 del 2011 sulla «comitologia», riconvocato dopo la riunione del 10 giugno 2013, per esprimersi in merito all'autorizzazione per gli utilizzi alimentari/mangimistici di tre nuovi OGM e, specificatamente:
    a) mais MON89034x1507xMC>N88017x59122 e otto sottocombinazioni;
    b) mais MON89034x1507xNK603;
    c) polline derivante da mais MON810;
   la delegazione italiana in seno al Comitato d'Appello ha votato contro l'autorizzazione al polline derivante da mais MON8IO e si è astenuta, insieme a Germania e Bulgaria, nella votazione per gli
altri due prodotti;
   il suddetto voto è in netta contraddizione con quanto sostenuto e richiesto da due atti d'indirizzo e controllo parlamentare. Il primo ha riguardato l'approvazione di un ordine del giorno votato il 21 maggio 2013 dall'Assemblea del Senato della Repubblica, il secondo atto ha riguardato l'approvazione da parte dell'assemblea della Camera dei deputati di una mozione parlamentare votata in data 11 luglio 2013, a cui si aggiunge l'ordine del giorno approvato, sempre in data 11 luglio 2013, dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, nonché da quanto più volte dichiarato, in merito agli organismi geneticamente modificati, dalla Ministra delle politiche agricole alimentari e forestali;
   a seguito del voto espresso dall'Assemblea della Camera dei deputati, in data 11 luglio 2013 il Governo, nelle rispettive competenze delle deleghe ministeriali del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha adottato un decreto interministeriale in cui si vieta la coltivazione di mais MON8IO su tutto il territorio nazionale e che, il suddetto decreto, entra in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
   se il Ministro, per quanto di competenza, sia a conoscenza di quanto avvenuto in seno al Comitato d'Appello, in premessa richiamato e, in caso affermativo, se abbia condiviso le motivazioni e i comportamenti della rappresentanza italiana, per quali motivi il Governo, conseguentemente, non abbia trasmesso al Parlamento, così come previsto dal comma 3 dell'articolo della legge n. 234 del 2012, le relazioni informative relative alle riunioni del Comitato d'appello del 10 giugno e 11 luglio 2013 e per quali ragioni il decreto interministeriale, che reca l'adozione delle misure di urgenza relative al divieto di coltivazione di mais MON810 non è stato a tutt'oggi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, esponendo, di fatto, le coltivazioni del Friuli Venezia Giulia ad un rischio sempre maggiore di contaminazione da organismi geneticamente modificati.
(5-00778)


   ZACCAGNINI e SCHULLIAN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con il Regolamento (CE) 1107 del 2009 relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, l'Unione europea ha messo al bando numerosi composti chimici ritenuti pericolosi per la salute umana — per gli effetti accertati, effetti tossici acuti e/o cronici (tumori, malattie neurologiche ed endocrine e altro) — e compromettenti per la qualità dei prodotti agricoli coltivati nel territorio europeo;
   in numerosi Paesi extra Unione europea, in particolare nei paesi latino americani, tuttavia non è in vigore lo stesso tipo di regolamentazione e, pertanto, alcuni pesticidi e particolari composti chimici sono utilizzati quotidianamente nelle produzioni agricole;
   in Brasile, ad esempio, sono registrati molti composti chimici vietati dall'Unione europea utilizzati normalmente per la produzione di soia esportata nell'Unione. Società multinazionali, come Bayer, Basf o Syngenta, producono, infatti, in terra brasiliana i seguenti pesticidi utilizzati per produzioni agricole poi esportate verso l'Unione europea: Acefato, Acifluorfen, Cianazina, Endosulfan, Fluazifope-P-butilico, Flufenoxuron, Formosafen, Imazetapir, Lactofen, Paraquat dicloreto, Parationmetile, Permetrina, Profenofos, Setoxidim, Tiodicarb, Tolifluamide, Triazofos;
   è utile ricordare che il Brasile è il Paese che detiene il record mondiale di produzione di soia e di consumo di pesticidi (12,5 litri/ha e 4,8 litri/abitante), dove la soia è responsabile del 51 per cento dei pesticidi commercializzati e che ha la terza flotta aerea a livello mondiale per la polverizzazione agricola;
   naturale conseguenza del Regolamento europeo succitato è che in Unione europea non dovrebbero essere importate derrate alimentari prodotte con pesticidi proibiti, ma non è chiaro all'interrogante quali siano i reali controlli messi in campo dall'Unione europea al fine di prevenire e/o ostacolare la diffusione di prodotti contaminati da tali pesticidi all'interno dell'Unione;
   il mercato mondiale della soia si regge soprattutto su cinque stati: gli Stati Uniti che detengono il 43 per cento delle esportazioni mondiali, il Brasile (22 per cento), l'Argentina (12 per cento) e il Paraguay (6 per cento);
   circa il 90 per cento della soia utilizzata negli allevamenti italiani — anche a causa dell'alto deficit proteico di cui soffre l'Unione europea: la produzione totale di colture proteiche dell'Unione europea occupa attualmente solo il 3 per cento dei terreni coltivabili dell'Unione e fornisce solo il 30 per cento delle colture proteiche utilizzate come alimenti per animali nell'Unione europea con una tendenza, negli ultimi dieci anni, all'aumento di tale deficit — viene importata dall'estero, in particolare da Argentina, Brasile e Paraguay. Questa soia è per la maggior parte coltivata in enormi monocolture e con semi transgenici (OGM) –:
   se esistano delle norme atte a controllare i prodotti importati nel nostro Paese coltivati in Paesi extra Unione europea, in particolare allo scopo di valutare realmente la contaminazione da pesticidi proibiti nell'Unione, al fine di garantire la sicurezza alimentare nel nostro Paese e tutelare la salute dei cittadini. (5-00779)


   OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FERRARI, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VALIANTE, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si è notevolmente accentuata la variabilità del clima, che determina ricorrenti periodi di siccità che si alternano a periodi di precipitazioni alluvionali;
   tale variabilità climatica determina uno scenario preoccupante per la carente disponibilità di risorse idriche e per la vulnerabilità del suolo;
   i problemi che tale situazione pone hanno grave incidenza sull'agricoltura in quanto, a causa della variabilità climatica, la distribuzione delle piogge non è conforme alle esigenze vegetative delle piante e determina gravi problemi per le produzioni con riguardo specifico anche ai livelli qualitativi che devono caratterizzare le produzioni per affrontare idoneamente la concorrenza dei mercati;
   l'irrigazione rappresenta l'indispensabile elemento tecnologico necessario ad attenuare le conseguenze negative discendenti dal clima e dalle precipitazioni;
   l'irrigazione è indispensabile non solo per superare gli ostacoli del clima e far fronte alla siccità ma anche per garantire l'elasticità nelle produzioni e rispondere alle mutevoli esigenze dei mercati;
   si valuta che più del 40 per cento del valore lordo della produzione agricola italiana dipende, sia pure in grado diverso, dall'irrigazione, mentre il restante 60 per cento si ottiene con le risorse idriche naturalmente derivanti dalle precipitazioni meteoriche;
   le esportazioni agricole italiane, a loro volta, sono costituite per i 2/3 del loro valore da prodotti ottenuti in territori irrigati;
   la sicurezza alimentare è strettamente subordinata alla disponibilità dell'acqua per l'irrigazione; per dare idonee risposte agli accresciuti fabbisogni connessi alla variabilità del clima, il sistema infrastrutturale irriguo del nostro Paese necessita di interventi di ammodernamento e completamento anche attraverso strumenti tecnologici innovativi che consentano una razionale utilizzazione delle acque con conseguente risparmio idrico, mentre nel contempo è necessario estendere l'irrigazione in molti territori che ancora non sono attrezzati;
   è indispensabile garantire la raccolta delle acque piovane evitando che si disperdano a mare, realizzando quindi bacini idonei a raccogliere le acque meteoriche;
   per dare idonea risposta a tali problemi è stato necessario nel nostro Paese un Piano irriguo nazionale, cui sono state destinate inizialmente le risorse finanziarie indispensabili;
   tali somme peraltro, sin dalla legge finanziaria 2006 hanno subito consistenti riduzioni sì che rispetto al fabbisogno di circa 7 miliardi di euro contemplato nel programma previsto dalla delibera CIPE 75/2004, sono state finanziate opere solo per un importo pari a 1.030 milioni di euro;
   in questa situazione la legge finanziaria 2008 autorizzò un finanziamento di 100 milioni di euro per 15 anni a decorrere dall'anno 2011, onde realizzare attraverso mutui una ulteriore tranche di interventi del Piano irriguo nazionale;
   peraltro le progressive riduzioni apportate con le manovre di finanza pubblica hanno determinato forti riduzioni di tale stanziamento fino a pervenire ad una assegnazione anziché di 100 milioni di euro, di 53.475 milioni di euro per 15 anni, con i quali si sono finanziati interventi soltanto per circa 595.484 milioni di euro. Tale cifra non è stata più integrata; la legge finanziaria 2013 non contempla nuove risorse per il Piano irriguo nazionale;
   è indispensabile garantire la realizzazione del Piano irriguo nazionale rinvenendo, sia pure gradualmente, le risorse necessarie tenendo conto che già esistono progetti cantierabili predisposti dai Consorzi di bonifica e di irrigazione;
   l'accordo di partenariato per i programmi operativi per la PAC 2014-2020, in corso di definizione, prende in considerazione anche il settore delle risorse idriche ed in particolare dell'irrigazione con riferimento all'ammodernamento delle reti, alla creazione di nuovi bacini di accumulo ad infrastrutture per l'utilizzo di acque reflue depurate, nonché per l'adesione di tecniche e metodi di irrigazione a maggiore risparmio idrico –:
   se non ritenga necessario garantire la prosecuzione del Piano irriguo nazionale attraverso la destinazione al settore delle necessarie risorse finanziarie ed intervenire in sede di definizione dell'accordo di partenariato per la PAC 2014-2020 affinché sia prevista espressamente, nell'ambito del secondo pilastro, la realizzazione di infrastrutture irrigue collettive destinate al completamento ed all'ammodernamento di reti e impianti, all'ampliamento dell'irrigazione, alla realizzazione di bacini di accumulo. (5-00780)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE e ANTEZZA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   anche quest'anno la provincia di Matera è oggetto di una pesante offensiva portata avanti da piromani;
   nel solo ultimo fine settimana di luglio si sono registrati tre gravi incendi che hanno distrutto vegetazione e messo a rischio anche l'incolumità delle persone;
   si tratta in particolare di due roghi che hanno interessato i comuni di Tirsi e Montalbano Jonico;
   nel comprensorio tursitano il vasto incendio è scoppiato nella zona a sud del comune , e hanno sfiorato le abitazioni del centro abitato;
   nel comprensorio di Montalbano Jonico invece le fiamme si sono propagate all'interno del bosco di Andriace un'area unica per la specificità di un bosco «mediterraneo»;
   occorre un segno di attenzione da parte dello stato per evitare che questa estate possa caratterizzarsi purtroppo per un incremento delle aree distrutte dalle fiamme –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare per migliorare le misure di controllo e protezione del patrimonio ambientale e boschivo della provincia di Matera rafforzando i presidi del Corpo Forestale dello stato e dei Vigili del fuoco in termini di uomini e mezzi. (5-00775)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 aprile 2006 la società agricola «Dirillo», in persona della legale rappresentante pro tempore, signora Carmela Cassarino, ha avanzato all'Ismea domanda di acquisto terreni siti in agro del Comune di Licodia EuBea (Catania), della complessiva estensione di ha 39.36.93, per avvalersi del regime di aiuti Ismea 11.110/2001;
   nonostante la predetta società avesse tutti i requisiti richiesti dalla normativa vigente al momento della domanda, la Ismea comunicava alla «Dirillo» il cosiddetto preavviso di rigetto;
   a tale preavviso la signora Cassarino rispondeva fornendo alla Ismea tutti i chiarimenti necessari;
   ciò nonostante in data 25 settembre 2007 l'Ismea comunicava alla «Dirillo» il rigetto della domanda di acquisto dei suddetti terreni sulla base degli stessi motivi del preavviso di rigetto;
   la «Dirillo» pertanto proponeva ricorso al TAR di Catania, il quale annullava il provvedimento di rigetto, in quanto assolutamente infondato ed immotivato, con sentenza n. 1444/09;
   successivamente l'Ismea presentava appello dinanzi il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, il quale annullava la sentenza del Tar di Catania;
   a seguito di tale ultima statuizione giudiziaria la «Dirillo» versa in uno stato di gravissima crisi economica;
   tale domanda era finalizzata all'acquisizione di terreni per la creazione di attività di impresa che avrebbe avuto una positiva ricaduta economica ed occupazionale in una zona della Sicilia particolarmente depressa;
   la questione in oggetto appare fondata sul tipo di regime normativo da applicare alla domanda avanzata dalla «Dirillo»;
   se non ritenga necessario intervenire, per verificare quali siano le motivazioni che hanno indotto l'Ismea a rigettare la domanda avanzata dalla «Dirillo» anche in considerazione del fatto che per suoi fini istituzionali «l'ISMEA affianca le Regioni nelle attività di riordino fondiario, attraverso la formazione e l'ampliamento della proprietà agricola, e favorisce il ricambio generazionale in agricoltura in base ad uno specifico regime di aiuto approvato dalla Commissione europea» –:
   quali eventuali iniziative di competenza intenda adottare per salvaguardare la predetta società dallo stato di gravissima crisi in cui versa a seguito del rigetto della predetta istanza. (4-01502)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   da mercoledì 23 luglio i fratelli Marco e Sandro Biviano assieme ad altri disabili gravi e gravissimi ed affetti da malattie infauste stanno manifestando in piazza Montecitorio davanti alla sede della Camera dei deputati;
   la presenza si è resa necessaria affinché non vengano negate le cure con le cellule staminali secondo la metodica stamina, ed affinché la sperimentazione venga effettuata secondo i canoni della imparzialità e della trasparenza;
   tra i presenti alla manifestazione vi sono malati privi di terapie efficaci e che hanno come unica prospettiva una morte certa e dolorosa;
   oltre alle sofferenze fisiche dovute alla malattia le cronache riportano come durante la protesta alcuni dei presenti siano stati colpiti da continui malori e ricoverati in ospedale dove attualmente si trovano –:
   se il Ministro interpellato essendo a conoscenza della situazione non intenda intervenire al fine di dare una risposta concreta a quanti come i fratelli Biviano chiedono di essere sottoposti alle terapie di cellule staminali mesenchiali secondo il metodo del professor Vannoni.
(2-00168) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Aiello, Cecconi, Borghese, Silvia Giordano, Dall'Osso, Lorefice, Di Vita, Baroni, Grillo, Sorial, Colletti, Mantero, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rizzo, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Tacconi, Vacca, Simone Valente».

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i 6 ospedali psichiatrici giudiziari dovevano essere chiusi il 31 marzo del 2013, ma i ritardi dello Stato e delle regioni nella realizzazione delle strutture alternative in cui curare e recuperare i mille detenuti malati di mente, hanno costretto il Parlamento a prorogare la loro chiusura di un anno;
   la Commissione di inchiesta della passata legislatura presieduta dal senatore Ignazio Marino ha documentato una inaccettabile violazione della dignità umana negli ospedali psichiatrici giudiziari –:
   quali siano:
    a) i piani dettagliati delle regioni per realizzare le strutture alternative agli ospedali psichiatrici giudiziari;
    b) le azioni del Governo per garantire che gli ospedali psichiatrici giudiziari siano effettivamente chiusi entro il 31 marzo 2014. (3-00238)

Interrogazione a risposta scritta:


   BONAFEDE e CECCONI. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'aspartame è una sostanza ad elevato potere edulcorante, a basso tenore calorico, circa 200 volte più dolce del saccarosio (zucchero da tavola), composto da acido aspartico (40 per cento), fenilalanina (50 per cento) e metanolo (10 per cento). È consumato nel mondo da oltre 200 milioni di persone e, secondo studi recenti, sarebbe utilizzato in oltre 6.000 prodotti i di varia natura, quali, ad esempio, bevande light, gomme da masticare, dolciumi, caramelle, yogurt, farmaci;
   la quantità giornaliera di assunzione di aspartame consigliata dall'EFSA (Autorità Europea per la sicurezza alimentare) e dalla Food and Drug Administration è pari a 40 e 50 mg/Kg di peso corporeo;
   alcuni studi sperimentali effettuati dall'Istituto Ramazzini hanno destato preoccupazione perché i risultati dimostrerebbero che l'aspartame è un agente cancerogeno in grado di indurre tumori maligni nei ratti, anche a dosi correttamente ammesse per l'alimentazione umana;
   parallelamente, nello stesso anno, un altro studio condotto tramite questionario alimentare su un campione vastissimo di donne danesi (quasi 60.000) e pubblicato sull’American journal of clinical nutrition, Halldorsson et al. (2010) suggerisce un'associazione tra il consumo di bibite zuccherate artificialmente (tra cui aspartame) e aumento del rischio di parto prematuro;
   i suddetti esperimenti sono stati oggetto della puntata della trasmissione televisiva Report andata in onda il 29 aprile 2012, in cui è stata messa in luce anche la pericolosità di un altro edulcorante, il sucralosio;
   nel 2009 e 2011, l'EFSA ha valutato questi studi identificando problemi metodologici e concludendo che i risultati non mettevano in discussione la dose giornaliera accettabile (Dga);
   tuttavia, è emersa la necessità di una specifica attenzione ai metaboliti dell'aspartame, in particolare la fenilalanina e il metanolo, sia per la tossicità che per la quantità che si può accumulare nell'organismo;
   le considerazioni di cui sopra sono state il motivo principale per richiedere all'Efsa una nuova valutazione entro il 2013;
   in particolare l'8 gennaio 2013 l'EFSA ha indetto una consultazione pubblica sulla bozza del proprio parere scientifico in merito alla nuova valutazione dell'aspartame (E 951) come additivo alimentare. Tutte le parti interessate sono state invitate a esprimere un commento sul parere in bozza tramite la consultazione pubblica online entro il 15 febbraio 2013;
   alla predetta consultazione pubblica ha partecipato anche il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare (Cnsa) il quale ha suggerito maggiore attenzione verso la tossicità dell'altro principale metabolita dell'aspartame il metanolo, e si è associato ai commenti relativi alla possibile riconsiderazione della Dga in senso più cautelativo, alla luce delle rimanenti incertezze scientifiche;
   le linee guida dell'Istituto nazionale per la ricerca alimentare e la nutrizione sconsigliano l'uso di dolcificanti fino al 3o anno di età e durante la gravidanza e l'allattamento. Particolare attenzione va riservata ai bambini di età superiore ai 3 anni, ai quali l'eventuale somministrazione di prodotti contenenti dolcificanti deve essere fatta con cautela –:
   quali urgenti misure abbia adottato o intenda adottare per tutelare la salute dei cittadini dagli edulcoranti contenuti in molti prodotti ad uso quotidiano;
   se ritenga opportuno promuovere ulteriori studi, al fine di possedere informazioni scientifiche più precise anche con ferimento alla pericolosità dei nuovi edulcoranti di cui non sono ancora state pubblicate ricerche scientifiche approfondite;
   se ritenga necessario adottare ogni misura utile a fare immediata chiarezza sui possibili effetti dell'aspartame in termini di salute pubblica. (4-01505)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   OTTOBRE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Fuji heavy industries di Tokyo aveva annunciato che la sede della Subaru Italia il 30 giugno 2013 sarebbe stata trasferita dalla città di Ala in Trentino Alto-Adige a Milano ed ha comunicato la chiusura dello stabilimento di Ala a tutte le concessionarie Subaru in Italia;
   il presidente della filiale italiana della Subaru, Tashiko Kageyama, ha comunicato a 40 dipendenti dell'azienda, ad eccezione dei 3 magazzinieri, l'obbligo di trasferirsi presso la nuova sede di Milano o, in alternativa, di presentare le loro dimissioni;
   la procedura unilaterale di trasferimento equivale ad un sostanziale licenziamento dei dipendenti dell'azienda, senza neppure che sia possibile attivare gli ammortizzatori sociali;
   Ala è la sede della multinazionale Subaru per l'Italia, per l'Austria, la Slovacchia, la Slovenia e la Croazia, ha un fatturato annuo di 200 milioni di euro ed ha visto, cinque anni fa, l'investimento di 7,5 milioni di euro per ampliare lo stabilimento, nel contempo sostenuto da investimenti a carico della provincia autonoma di Trento per opere infrastrutturali necessari allo sviluppo dello stabilimento di Ala;
   la decisione della Fuji heavy industries di trasferire la sede italiana a Milano è giustamente ritenuta immotivata, sia sotto il profilo industriale, sia in ordine ai costi, da parte di tutte le forze sociali, dalle organizzazioni imprenditoriali e sindacali e dalle istituzioni, che hanno contestato le motivazioni addotte dalla multinazionale giapponese, in particolare che il trasferimento di sede sia dovuto ad una perdita di bilancio della Subaru Italia nel 2012;
   secondo le organizzazioni sindacali la realtà è che «le quote di mercato di Subaru Italia sono costantemente cresciute», mentre sono diminuite negli altri stabilimenti europei, in Svizzera e Germania, della multinazionale giapponese e che un trasferimento della sede a Milano, non necessario sotto il profilo strategico, comporterebbe un forte aumento dei costi aziendali;
   dagli inizi del mese di marzo 2013 i lavoratori della Subaru Italia di Ala hanno intrapreso ogni iniziativa possibile a sostegno della loro occupazione, con scioperi ad oltranza, sostenendo come sia indispensabile e possibile rafforzare lo stabilimento di Ala acquisendo la gestione dei mercati del Sud Europa;
   la Fiom Cgil del Trentino ha chiesto in modo formale al presidente della Subaru Italia di recedere dalla decisione assunta in ordine al trasferimento e di valutare, di concerto con le organizzazioni imprenditoriali e sindacali presenti sul territorio, un'ulteriore valorizzazione dello stabilimento di Ala, con particolare attenzione alle attività di commercializzazione dei veicoli della multinazionale;
   la provincia autonoma di Trento ha condiviso e promosso le iniziative dei lavoratori dell'azienda a difesa del proprio posto di lavoro e delle ragioni, industriali ed economiche, contrarie ad uno spostamento della sede italiana della Subaru e tali semmai da rafforzare il carattere strategico dello stabilimento di Ala;
   il presidente della Subaru Italia e i dirigenti della multinazionale giapponese hanno sempre rifiutato, a quanto consta all'interrogante, senza alcuna motivazione, il confronto richiesto dalle organizzazioni sindacali ed economiche e dalle istituzioni provinciali e comunali;
   il 5 giugno 2013 sono state sospese le trattative tra la Subaru Italia e il sindacato sul trasferimento della sede aziendale da Ala a Milano –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere nei confronti dell'azienda giapponese, di concerto con le organizzazioni sociali e le istituzioni locali, e, in particolare, se intenda convocare, con assoluta priorità, il presidente della Subaru Italia, le parti sociali, la provincia autonoma di Trento e le istituzioni locali, presso il Ministero dello sviluppo economico, con l'obiettivo di pervenire a un riesame delle decisioni assunte dalla multinazionale giapponese e di difendere una realtà produttiva ed aziendale di assoluto rilievo come quella della Subaru Italia di Ala. (3-00241)


   AIRAUDO, LACQUANITI, FERRARA, MATARRELLI, DI SALVO, PLACIDO, LAVAGNO e COSTANTINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2008 la Romi Brasile ha rilevato dall'amministrazione straordinaria l'allora Sandretto costituendo la Romi Italia, impegnandosi a garantire l'occupazione e gli investimenti che avrebbero dovuto innovare le presse per stampaggio materiale plastico di cui la Sandretto è uno storico marchio italiano;
   da allora a marzo 2012 gli addetti sono passati nei due siti di Grugliasco e di Pont Canavese da 260 agli attuali 149 addetti attraverso lo strumento della mobilità volontaria. La proprietà brasiliana della Romi non ha mantenuto, complice la crisi, gli impegni atti a garantire l'occupazione e gli investimenti;
   nel marzo 2012 la Romi ha annunciato la chiusura delle attività produttive in Italia, con il conseguente licenziamento di tutti gli attuali 149 lavoratori e la chiusura dei due impianti piemontesi;
   per evitare questo a luglio 2012 i sindacati hanno firmato un accordo per una cassa integrazione per crisi respingendo la cessazione delle attività, con l'obiettivo di verificare, visti il valore del prodotto e il valore del marchio, l'esistenza di potenziali acquirenti. All'atto di quella intesa la Romi si era dichiarata disponibile a cedere l'attività;
   all'inizio di gennaio 2013 una cordata di imprenditori provenienti da più regioni italiane (Lombardia, Campania ed Abruzzo) ha presentato un impegno di acquisto, con un dettagliato piano industriale che garantirebbe la permanenza dell'occupazione e del prodotto nel nostro Paese;
   di questo piano e di questo impegno sono a conoscenza anche gli uffici competenti degli assessorati al lavoro e alle attività produttive della regione Piemonte;
   da allora la proprietà brasiliana della Romi non si presenta più agli incontri convocati presso la regione Piemonte, alimentando il sospetto di scaricare sul nostro Paese un'ulteriore perdita di posti di lavoro e di prodotto;
   sarebbe opportuno valutare da parte del Ministro interrogato se la Romi Brasile abbia ottemperato agli impegni assunti con l'amministrazione straordinaria al momento dell'acquisizione della società Sandretto;
   così come sarebbe opportuno un intervento del Governo italiano presso il Governo brasiliano affinché si solleciti quella proprietà ad un corretto rapporto con i cittadini lavoratori del nostro Paese e con gli imprenditori italiani –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per evitare l'eventuale chiusura degli stabilimenti piemontesi, in modo da non aggravare ulteriormente la crisi sociale ed occupazionale già molto forte in questa regione. (3-00242)


   CORSARO e NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 19 gennaio 2010 l'Italia ha chiesto all'Unione europea l'autorizzazione per un finanziamento pubblico di 15,8 milioni di euro (da corrispondere in tre rate tra il 2010 e il 2013) in favore della Fiat Powertrain di Verrone, in provincia di Biella, per un investimento iniziato nel 2008 e riguardante, in particolare, la costruzione di un nuovo tipo di cambio da realizzarsi appunto presso quello stabilimento;
   in cambio di tale finanziamento, la Fiat si impegnava ad assumere seicento persone, portando il totale dei dipendenti a quota 1083, ma nella primavera del 2011 l'aumento di personale sarebbe stato di sole cento unità, peraltro di lavoratori semplicemente trasferiti da un altro stabilimento del gruppo Fiat, quello di Mirafiori, sicché, sostanzialmente, non risulta esservi stata alcuna nuova assunzione da parte di Fiat;
   in esito alla seduta del 5 maggio 2011 del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) avente ad oggetto l'attuazione del programma delle infrastrutture strategiche (ex lege n. 443 del 2001) è stata approvata la sottoscrizione dal parte del Ministero dello sviluppo economico di tre nuovi contratti di programma nel settore della produzione di autoveicoli, con un investimento complessivo di 630 milioni di euro, e la creazione, auspicata da regione Piemonte, provincia di Biella e sindaco di Verrone e garantita da Fiat Powertrain mediante la sottoscrizione di un accordo, di circa 800 posti di lavoro;
   le agevolazioni pubbliche approvate dal Cipe ammontano a complessivi 52 milioni di euro, di cui 22,5 milioni di euro per il contratto di programma «Fiat Powertrain technologies s.p.a.», per investimenti da realizzarsi nel comune di Verrone (Biella);
   lo stesso sindaco del comune di Verrone ha lamentato la clamorosa inadempienza da parte di Fiat in relazione allo stabilimento del suo Paese, dandone comunicazione in modo estremamente determinato sulla stampa locale e coinvolgendo altri enti, quali la regione Piemonte e la provincia di Biella, i quali, avendo creduto agli intendimenti manifestati dall'azienda torinese, avevano fattivamente partecipato agli accordi formali intercorsi, ovviamente confidando nel puntuale rispetto degli accordi –:
   se, in esecuzione degli accordi di cui in premessa, risulti che la Fiat abbia incassato somme provenienti dall'Unione europea e dal Governo italiano e, in caso affermativo, a quanto ammontino i finanziamenti effettivamente già erogati, se l'azienda abbia mantenuto i citati corrispondenti impegni assunti, e, laddove questo non sia avvenuto, quali iniziative il Governo intenda assumere in merito.
(3-00243)


   LIBRANDI, GALGANO, VITELLI, ANDREA ROMANO, NESI, CAUSIN, ROSSI, SCHIRÒ PLANETA e MOLEA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a margine della sua visita in Grecia il Presidente del Consiglio dei ministri Letta ha annunciato un «importante» e «largo» piano di privatizzazioni che verrà presentato in autunno, confermando quanto già espresso la scorsa settimana al Senato della Repubblica quando aveva delineato la strategia messa a punto per tagliare il debito, attraverso la «valorizzazione del patrimonio immobiliare» e la cessione di «partecipazioni pubbliche nazionali e degli enti locali»;
   il tema delle privatizzazioni non può essere scisso da quello più ampio delle liberalizzazioni di cui il Paese ha fortemente bisogno per far crescere tutto il sistema economico;
   oltre ad una maggiore competitività e libertà d'impresa nei settori ora, di fatto, soggetti a situazioni di monopolio, un processo di liberalizzazioni e privatizzazioni avrebbe positive ricadute sulla spesa pubblica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga giunto il momento di riprendere il tema delle liberalizzazioni nei settori direttamente rientranti nel suo ambito di competenza, restituendo al mercato e alla società tutta una serie di ambiti che potrebbero contribuire alla ripresa economica del Paese. (3-00244)


   BORGHESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale belga Agfa, che produce lastre per il settore fotografico ed il settore medicale con 12 mila dipendenti nel mondo, sembrerebbe essere intenzionata a chiudere lo stabilimento di Manerbio, in provincia di Brescia, lasciando a casa, con molta probabilità, circa 123 dipendenti;
   le strategie dell'azienda rimangono al momento inspiegabili, anche alla luce del fatto che la stessa sembra trovarsi in stato di salute, avendo, ad esempio, soltanto da parte della regione Lombardia commesse per oltre 20 milioni di euro l'anno;
   la chiusura dello stabilimento contribuirebbe ad aggravare le condizioni economiche di molte famiglie che vedono nell'azienda l'unica fonte di sostentamento, comportando poi una grave perdita di know how maturato da oltre un centinaio di dipendenti;
   l'azienda riterrebbe il sito di Manerbio poco competitivo e, a detta dei lavoratori, sembrerebbe vi siano concrete possibilità di un prossimo spostamento della produzione all'estero, verso realtà dove i costi di produzione sono più bassi;
   sono molte, infatti, le aziende italiane che negli ultimi hanno cessato la propria attività, delocalizzando la produzione non verso siti produttivi asiatici o africani, ma a pochi chilometri, in Paesi e regioni confinanti, come il Canton Ticino, la Carinzia e la Slovenia, con gravi ripercussioni sull'economia del Paese;
   nello specifico, nel caso dell’Agfa, sarebbe opportuno da parte del Ministro interrogato, soprattutto nei confronti delle 123 famiglie coinvolte direttamente, chiarire se esista da parte del Ministero dello sviluppo economico la concreta volontà di convocare al più presto un tavolo di concertazione tra tutti i soggetti coinvolti, al fine di arrivare ad una soluzione il più possibile condivisa che impedisca la chiusura dello stabilimento di Manerbio ed il conseguente licenziamento dei dipendenti;
   è, inoltre, importante capire se, in generale, il Ministero dello sviluppo economico abbia approfondito in maniera adeguata il grave problema rappresentato dalla delocalizzazione delle aziende italiane in regioni confinanti in cerca di migliori condizioni fiscali, burocratiche e di mercato del lavoro –:
   se il Ministro interrogato possa fornire dati certi riguardo agli effetti della delocalizzazione di aziende dal territorio nazionale verso regioni confinanti, in termini di perdita di posti di lavoro, di punti di prodotto interno lordo e di gettito fiscale. (3-00245)


   VIGNALI e BALDELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 novembre 2011, n. 180, «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese», è stata salutata come «una rivoluzione copernicana nei rapporti tra stato e piccole e medie imprese» e prevede che l'intervento pubblico e l'attività della pubblica amministrazione debbano conformarsi alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese, in particolare a quelle giovanili, femminili e innovative;
   a questo scopo lo statuto, in perfetta aderenza con lo small business act comunitario, introduce il principio della progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, la «reciprocità dei diritti e dei doveri nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione », la garanzia di un sostegno pubblico «attraverso misure di semplificazione amministrativa da definire in appositi provvedimenti legislativi»;
   occorre ricordare che il Governo Berlusconi ha dato sollecita attuazione allo small business act con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010 e ha sempre offerto, nel corso del dibattito parlamentare, il suo pieno appoggio alla rapida approvazione della legge n. 180 del 2011;
   l'articolo 18 della legge prevede che, entro il 30 giugno di ciascun anno, il Governo debba presentare al Parlamento una «legge annuale per le micro, piccole e medie imprese», volta a definire gli interventi per la tutela e lo sviluppo di queste, le norme per l'immediata riduzione degli oneri burocratici a loro carico, misure di semplificazione amministrativa, deleghe al Governo in materia di tutela e di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese. Oltre a questo, al disegno di legge deve essere allegata una relazione:
    a) sullo stato di conformità della normativa vigente in materia di imprese rispetto ai principi e agli obiettivi dello small business act;
    b) sull'attuazione degli interventi programmati;
    c) sulle ulteriori specifiche misure da adottare per favorire la competitività delle micro, piccole e medie imprese, al fine di garantire l'equo sviluppo delle aree sottoutilizzate;
   per la definizione delle legge annuale per le micro, piccole e medie imprese, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 180 del 2011, il Governo è tenuto a consultare il tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria, costituito presso il Garante delle micro, piccole e medie imprese;
   in sede di dichiarazioni programmatiche di Governo il Presidente del Consiglio dei ministri Letta ha considerato centrali gli interventi in favore delle piccole e medie imprese –:
   quali attività abbia in corso il Governo per la definizione della legge annuale sulle micro, piccole e medie imprese, prevista dall'articolo 18 della legge 11 novembre 2011, n. 180. (3-00246)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BELLANOVA e CAPONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa riportano, purtroppo, per l'ennesima volta la notizia di ritardi e disguidi nel recapito delle raccomandate negli uffici postali del Salento. Ad essere interessato, questa volta, è l'ufficio di Calimera, definito nei giorni di calca e caldo «un girone dantesco»;
   il servizio di recapito ha subito una riorganizzazione a seguito dell'ultimo accordo nazionale che ha visto penalizzare fortemente il territorio salentino con una drastica riduzione del servizio universale. Ben 45 zone di recapito nella provincia di Lecce sono state soppresse e si è dato avvio ad una serie di accorpamenti che, da quanto emerge, non riescono a far fronte a tutte le esigenze territoriali;
   risulta che ad occuparsi del servizio di recapito sul comune di Calimera ci siano solo tre portalettere che peraltro, proprio a seguito degli accorpamenti attuati, hanno sede presso il comune di Vernole;
   nel periodo di ferie, come già sottolineato nei numerosi atti presentati nella scorsa legislatura, i disagi si acuiscono fortemente, poiché l'organico diminuisce e l'azienda Poste italiane non ha previsto o provveduto alcuna assunzione che possa supplire sul territorio del Salento;
   in questa situazione di acclarata difficoltà a farne le spese sono i cittadini salentini costretti a subire, tra le altre, ritardi nella consegna della corrispondenza, ma anche gli operatori postali spesso chiamati a dirimere o oggetto di numerose tensioni –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative affinché l'azienda Poste italiane copra il fabbisogno degli addetti al recapito negli uffici postali della provincia di Lecce, garantendo ai cittadini l'efficienza del servizio, attraverso una opportuna politica occupazionale che tenda ad azzerare i numerosi disagi a carico degli stessi e degli operatori di Poste italiane. (5-00787)


   CENNI e DALLAI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha esplicitato, sin dal suo insediamento, la volontà di concentrare i suoi sforzi e la sua azione a sostegno della ripresa economica ed occupazionale, sostenendo i settori che esprimono eccellenza e potenzialità ed incentivando l'innovazione;
   il comparto della produzione di camper in Italia rappresenta una fetta molto consistente dell'intero settore europeo;
   dopo oltre due decenni di ininterrotta crescita di mercato, con significativi incrementi di volumi di produzione, di fatturato e di occupati per le imprese della filiera, il settore italiano della produzione di «Camper» sta registrando da alcuni anni una sensibile inversione di tendenza. Tra il 2006 ed il 2011 si è passati infatti da circa 14.400 a circa 7 mila immatricolazioni annue; (i caravan sono 1.698 per un totale di 8.714). Nell'anno 2012 le immatricolazioni di camper in Italia sono state 4.731.
   il settore della camperistica genera in Italia oltre 600 milioni di euro di fatturato, di cui il 58 per cento destinato all'export, con oltre 7.000 dipendenti, 4.000 diretti e oltre 3.000 indiretti;
   nella zona della Valdelsa, (tra le province di Siena e di Firenze) è presente un distretto industriale della camperistica dove viene attualmente realizzato oltre l'80 per cento della produzione nazionale del comparto (nello specifico nei comuni di Barberino Val d'Elsa, Casole d'Elsa, Colle Val d'Elsa, Monteriggioni, Poggibonsi, San Casciano Val di Pesa, San Gimignano, Tavarnelle Val di Pesa). In tale territorio si registra un fatturato annuo di oltre 500 milioni di euro;
   sono qui presenti alcune delle aziende leader del settore a livello nazionale ed internazionale che, per le ragioni appena citate, hanno dovuto affrontare una forte riorganizzazione, fusioni, incorporazioni, con conseguenti crisi occupazionale, ricorso alla cassa integrazione e una forte riduzione del personale;
   ultima in ordine di tempo ad essere interessata l'azienda Rimor, azienda storica della Valdelsa, che conta circa 300 dipendenti dei quali 160 diretti e circa 120 indiretti (indotto). L'azienda in gravi difficoltà economiche e finanziarie legate ad esposizioni con istituti di credito e difficoltà nell'accesso al credito, pur avendo in portafoglio importanti ordini per i mercati internazionali quantificabili in circa 500 camper per un valore di circa 20 milioni di euro, ha annunciato nei giorni scorsi la messa in mobilità di tutti i dipendenti. Tale decisione è stata poi ritirata in seguito ad un tavolo di confronto che ha visto partecipare, oltre all'azienda, le parti sociali e le istituzioni locali fra cui la regione Toscana. È stato infatti raggiunto un accordo condiviso che prevede, in alternativa alla procedura di mobilità, la richiesta di apertura di cassa integrazione straordinaria. Negli ultimi giorni ha avanzato una richiesta di «concordato in bianco». Il Tribunale di Siena ha nominato un Commissario giudiziale;
   complessivamente dal 2007 ad oggi, dai dati resi noti dalle amministrazioni locali e dalle associazioni dei produttori, a fronte di un crollo delle immatricolazioni in Italia che supera il 50 per cento e di una diminuzione dei volumi prodotto nell'ordine leggermente inferiore del 40 per cento, l'occupazione del distretto della Valdelsa, riferita soltanto alle aziende produttrici e non alle imprese totali della filiera, è scesa di 400 unità (da 1700 a 1300 addetti). Negli ultimi 5 anni il numero dei veicoli prodotti è sceso da 20 mila a 12 mila unità;
   in questi anni la regione Toscana e le istituzioni locali hanno seguito con attenzione lo sviluppo e le problematiche del settore della camperistica, riconoscendone potenzialità e peculiarità e cercando di intervenire tempestivamente con politiche adeguate in grado di supportare soprattutto azioni tese ad accrescere la qualità del prodotto, la ricerca e l'innovazione, nonché la infrastrutturazione logistica sul territorio;
   si ricorda nello specifico che nel luglio 2007 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa fra regione Toscana, la provincia di Siena, la provincia di Firenze, i comuni dei territori interessati, le associazioni imprenditoriali e sindacali per la riqualificazione della zona produttiva locale e la nascita di una filiera strutturata del camper anche attraverso finanziamenti in settori strategici di intervento come le infrastrutture, la logistica, la ricerca e la formazione;
   in seguito sono state inoltre avviate le procedure per realizzare uno snodo ferroviario della Valdelsa, in località Zambra: una infrastruttura logistica, che comporta un investimento di 1,2 milioni di euro, necessaria per supportare l'attività delle industrie della zona;
   vanno inoltre segnalate le iniziative a sostegno della camperistica presenti anche nell'ambito del «Progetto integrato per la meccanica» che la regione Toscana ha approvato nelle scorse settimane. Il progetto prevede complessivamente in quattro anni risorse per circa 200 milioni di euro;
   le imprese Laika Caravans e Trigano hanno già attivato progetti di innovazione e di ricerca, cofinanziati con bando della regione Toscana che coinvolgono l'intera filiera ed i principali dipartimenti universitari dei tre atenei toscani (Pisa, Siena e Firenze) e che riguardano i consumi, materiali di costruzione più leggeri, tecnologia hi-tech e domotica;
   risulta evidente come tali sforzi rappresentino la volontà dei gruppi italiani ed europei di mantenere, e concentrare, in questa area il cuore e l'eccellenza della camperistica italiana, con l'intento di rendere più competitiva l'offerta nazionale;
   il mercato della camperistica risente non solo della crisi generalizzata economica e dei consumi, ma anche di una carenza di politiche fiscali ed infrastrutturali a sostegno del settore. La tassazione sui veicoli costituisce infatti la quinta voce di gettito erariale governativo e manca sul territorio italiano, a differenza di altri paesi europei, una efficace e moderna rete di strutture atte alla fruibilità del turismo all'aria aperta (come aree di sosta attrezzate e di accoglienza, e altro). Emerge da alcuni studi, con chiarezza, come per rilanciare il comparto sarebbe utile, in linea con la normativa già adottata da altri paesi europei, modificare l'articolo 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, per introdurre l'innalzamento della guidabilità, per la patente «B», dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate. Con questa modifica i camper potrebbero essere dotati di dispositivi ed accessori capaci di elevare i livelli di sicurezza e di comfort aumentando al tempo stesso la platea di potenziali clienti;
   va inoltre rimarcato che molto spesso i camper rappresentano per alcune categorie di soggetti disabili una delle rare opportunità ricreative e di vacanza. In alcune nazioni (come ad esempio in Inghilterra) sono state introdotte, per promuovere ed incentivare tale fruizione, specifiche agevolazioni fiscali per i disabili e gli invalidi. Sarebbe opportuno quindi prevedere, anche nel nostro ordinamento, detrazioni e aiuti finanziari equiparando gli autocaravan ai mezzi di uso precipuo degli stessi disabili (come ad esempio le carrozzine) estendendo quindi le disposizioni già previste dall'articolo 8 della legge 27 dicembre 1997, numero 449;
   all'industria del camper si devono inoltre importanti effetti indiretti sull'indotto turistico del nostro paese: nel 2012 sono stati 5,6 milioni i turisti «en plein air» che hanno scelto di visitare l'Italia, di cui 3,1 milioni italiani e 2,5 milioni stranieri (ricerca condotta dal CISET-Centro internazionale di studi sull'economia turistica dell'università Ca’ Foscari di Venezia), per un totale di 21 milioni di notti ed una spesa complessiva di 1,2 miliardi di euro (dati dell'Osservatorio della Banca d'Italia). I turisti italiani determinano una spesa complessiva di circa 1,4 miliardi di euro. Il turismo «en plein air», secondo i dati Istat, rappresenta circa il 6 per cento del movimento turistico straniero in Italia. Nonostante l'Italia sia la destinazione più ambita per la bellezza dei luoghi da visitare rispetto alle principali nazioni europee in cui è più diffusa la cultura del «camper style», come Germania e Francia, risulta carente per offerta di luoghi di sosta, facilità di accesso alle strutture ricettive e servizi offerti;
   questa mancanza di politiche, rispetto alle altre nazioni europee, è testimoniata soprattutto dai dati: se in Italia dal 2006 al 2011 si è passati, per le immatricolazioni di nuovi camper, da 14.400 a poco più di 7.000 unità, nello stesso lasso temporale in Francia si è passati da 20.200 a 19.300 nel 2011 e 17.786 nel 2012, mentre in Germania da 18.400 a 21.700 nel 2011 e ben 24.062 immatricolazioni nel 2012;
   alla luce di quanto esposto emerge quindi l'opportunità e l'utilità di un formale riconoscimento di questa filiera industriale della Valdelsa quale «distretto italiano della camperistica». In tale territorio è infatti concentrato oltre l'80 per cento della produzione italiana; qui si stanno già svolgendo importanti ricerche e potrebbe meglio caratterizzarsi uno spazio pubblico e privato di ricerca ed innovazione del prodotto, utilissimo a far camminare ulteriormente la camperistica, per tutelare i siti produttivi ed i livelli occupazionali, per far crescere fatturato, produzione e capacità di competere sul mercato;
   si è insediato da tempo in Valdelsa un tavolo di lavoro, a cui partecipano regione Toscana, la provincia di Siena, la provincia di Firenze, i comuni dei territori interessati e l'Associazione produttori caravan e camper (Apc), le imprese, le organizzazioni sindacali, che sta ulteriormente lavorando per affinare il funzionamento del distretto e per chiedere al Ministero dello sviluppo economico il riconoscimento formale di questo ambito quale «distretto del camper italiano»;
   il riconoscimento del «distretto italiano della camperistica» è già stato oggetto di atti di sindacato ispettivo nella XVI Legislatura ed in particolare di una risoluzione in Commissione Attività Produttive sottoscritta da più parti politiche, della Camera dei deputati la cui discussione era già stata avviata e non conclusa anche a causa delle elezioni anticipate;
   presso il Ministero dello sviluppo economico si sono svolti, durante la XVI legislatura, incontri relativi ai problemi ed allo sviluppo della camperistica, a cui hanno preso parte oltre alle istituzioni e ai soggetti interessati sul territorio, anche rappresentanti del dicastero del turismo e delle infrastrutture e dell'istituto del commercio estero;
   il Governo ha accolto come raccomandazione, il giorno 25 luglio 2013, un ordine del giorno al «Decreto del Fare» (numero 9/1248-AR/34 a prima firma del deputato Susanna Cenni) che lo impegna a valutare la possibilità di inserire, nei prossimi provvedimenti, iniziative urgenti utili anche a rilanciare con efficacia il comparto della camperistica italiana sostenendo concretamente le azioni, i progetti ed i finanziamenti già assunti dalle istituzioni territoriali (esposti in premessa). Nello specifico:
    norme finalizzate ad incentivare la ricerca e l'innovazione di prodotto nella camperistica, per tutelare i siti produttivi ed i livelli occupazionali, per far crescere il fatturato, la produzione e la capacità di competere sul mercato;
    norme a sostegno all'export ed in particolare per favorire l'accesso al credito delle aziende per le commesse destinate ai paesi esteri, dal momento che quasi il 60 per cento della produzione italiana di caravan è destinata ai mercati internazionali;
    norme ed agevolazioni fiscali nei confronti delle famiglie con soggetti disabili che usufruiscono del camper;
    la possibilità di modificare il Codice della Strada per introdurre l'innalzamento della guidabilità, per la patente «B», dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate;
    la promozione della realizzazione di una efficace e moderna rete di strutture atte alla fruibilità del turismo all'aria aperta;
    a riprendere, attraverso un tavolo con la regione Toscana, le province di Siena e Firenze ed i Comuni interessati, un lavoro organico teso al rilancio del comparto, alla sua innovazione, all'ipotesi o riconoscimento del distretto in oggetto quale produttore del Camper italiano per eccellenza –:
   quali iniziative urgenti intende intraprendere per far fronte agli impegni sopra richiamati, per supportare con efficacia il comparto della camperistica italiana sostenendo concretamente le azioni, i progetti ed i finanziamenti già assunti dalle istituzioni territoriali, coerentemente con quanto espresso in premessa ed in particolare con i contenuti dell'ordine del giorno numero 9/1248-AR/34; (5-00793)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2012 è stata portata a termine l'operazione di joint venture del ramo tv da parte di Philips a TPV Technology, finalizzata alla creazione di una controllata comune denominata TP Vision. Con tale operazione, già annunciata l'11 novembre 2001, il marchio olandese manteneva il 30 per cento del capitale, mentre il restante veniva ceduto all'impresa specializzata nella produzione di schermi Lcd e computer con sede a Hong Kong;
   nell'accordo, necessario viste le ingenti perdite del marchio olandese, si prevedeva, che dopo 6 anni Philips potrà vendere il 30 per cento delle sue quote a TPV. Le sedi di produzione dei televisori, i servizi commerciali e i dipendenti della divisione sono state interamente trasferiti in TP Vision;
   nell'occasione, TP Vision Italia annunciava di volersi porre in continuità con la decennale presenza di Philips nel settore dei televisori in Italia e si impegnava a proseguire la stretta collaborazione con i partner per il mercato retail;
   il Managing Director per TP Vision in Italia affermava che l'azienda si sarebbe focalizzata sul mercato dei televisori in cui è in grado di offrire ai consumatori una gamma di prodotti all'avanguardia e con un'ampia possibilità di scelta, con l'obiettivo di far crescere la quota di mercato del noto brand;
   nell'ambito dei Sistemi Informativi del Gruppo Philips la strategia per il rilancio dell'azienda è quella di passare da un'organizzazione per prodotti a una per processi, più vicina ai clienti e ai mercati;
   in questa complessa ristrutturazione, TP Vision ha ceduto alla ditta Teknema srl il ramo assistenza. Teknema, infatti, risulta essere specializzata nell'assistenza tecnica pre e post-vendita, in grado di rispondere alle esigenze complesse e diversificate della clientela;
   a sua volta, la citata ditta intende affidare senza vincolo di esclusiva il servizio di assistenza sia in garanzia che fuori garanzia per i prodotti di TP Vision a società con i necessari requisiti di professionalità ed esperienza tecnica;
   a quanto risulta all'interrogante, nei contratti che Teknema sottopone alle aziende affidatarie del servizio vi sarebbero clausole svantaggiose per le stesse che, vista la grave crisi del settore e, più in generale, dell'economia del nostro Paese, sarebbero comunque portate a sottoscrivere, con potenziale grave nocumento per la professionalità dei lavoratori;
   va comunque salvaguardato il principio costituzionale sancito dall'articolo 41, comma 1 della Costituzione –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione;
   se stia monitorando o intenda monitorare situazioni analoghe a quella riportata in premessa e sempre più frequenti in questo periodo di crisi, in cui la tutela dell'occupazione e della capacità tecnologica e produttiva rischiano di essere perseguite anche a scapito di leali rapporti fra le parti. (4-01497)


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006, con l'approvazione di tre regolamenti europei, anche il settore dello zucchero è stato interessato da una riforma comunitaria finalizzata alla riconversione del comparto bieticolo-saccarifero;
   in particolare, il regolamento n. 319/2006 ha previsto una specifica forma di aiuto temporaneo nazionale ai produttori di barbabietole da zucchero rimasti attivi, per un massimo di cinque anni consecutivi, destinata ad ammortizzare gli effetti del processo di ristrutturazione negli Stati membri che hanno rinunciato ad almeno il 50 per cento della propria quota produttiva;
   l'Italia ha posto in atto un processo di ristrutturazione a seguito dell'accordo dell'8 febbraio 2006, con il quale sono stati definiti gli impegni alla riconversione degli stabilimenti, e si è giunti alla dimissione di 15 dei precedenti 19 impianti attivi, con una riduzione della produzione nazionale del 70 per cento. Una riduzione in gran parte rivolta alla produzione di energia;
   al fine di accelerare la riconversione di tale comparto, è intervenuto, più recentemente, l'articolo 29 del decreto-legge n. 5 del 2012, il cui comma 2 è stato dichiarato illegittimo dalla Consulta in quanto non rispettoso della ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e regioni;
   sempre in questo ambito interviene anche il comma 4-bis dell'articolo 6 del decreto legge n. 69 del 2013 per il rilancio dell'economia, il cui disegno di legge di conversione, è attualmente all'esame del Senato;
   tra gli zuccherifici interessati dalla riconversione in impianti per la produzione di energia elettrica da biomasse, è compreso anche l'impianto di Campiglione nel comune di Fermo;
   come negli altri siti della Eridania-Sadam, e cioè Castiglion Fiorentino, Russi, Avezzano, Iesi, Villasor, anche a Fermo venne prospettato qualche anno fa un progetto che prevede la bonifica e la successiva costruzione di una centrale a biomasse da parte della ditta Powercrop una società nata nel 2006 da una joint venture tra il gruppo Maccaferri ed il gruppo Falck;
   la centrale di Fermo soddisferà l'1,5 per cento del fabbisogno energetico regionale, utilizzerà solo l'energia elettrica, e «sprecherà» tutta quella termica in quanto non è previsto alcun sistema di teleriscaldamento;
   peraltro, come risulta anche dai progetti, l'approvvigionamento delle biomasse, proverrà dall'est europeo, e anche se si riuscisse ad avviare la filiera corta per la produzione di colture locali, ciò comporterebbe togliere terreni dedicati alla produzione alimentare di qualità per destinarli alla produzione di combustibile (olio di girasole o legname);
   il polo energetico di Fermo, in realtà risulta costituito da due centrali a biomasse una ad olio vegetale e l'altra a cippato di legno. La prima utilizzerà l'olio prodotto dalla spremitura di 50.000 tonnellate annue di girasoli da cui ottenere 19.000 tonnellate annue di olio. In tutto occorrerebbero, secondo quanto riportato nel progetto, 20.000 ettari di terreno da coltivare a girasoli. L'altra centrale è invece a cippato di legno ed utilizzerebbe le 30.000 tonnellate di panello (residuo della spremitura di girasoli) e 18.000 tonnellate di legno ricavato dalla coltura di pioppi;
   a differenza di altri paesi come il Brasile o gli Stati Uniti esportatori di prodotti agricoli, l'Italia nonostante le sue potenzialità, è ad oggi un importatore. Pertanto il rischio più che concreto è quello dell'utilizzo di terreni agricoli per produrre combustibile, nella vana speranza di raggiungere un autosufficienza energetica, a discapito di aree agricole da destinare alla produzione alimentare;
   va peraltro ricordato che l'Italia è inoltre tenuta al rispetto delle normative comunitarie in termini di qualità dell'aria. Lo scorso dicembre la comunità europea ha quindi sanzionato il nostro paese per il mancato recepimento dei nuovi limiti di inquinamento imposti dall'Unione europea; un simile impianto, e le sue conseguenti emissioni in atmosfera, inserito in un contesto antropizzato peggiorerebbe quindi una situazione già gravemente compromessa da altri fattori come il traffico, e non consentirebbe il rispetto dei limiti che siamo tenuti ad osservare;
   a tutela della salute pubblica, l'amministrazione comunale e i cittadini di Fermo stanno contrastando con tutte le forze il posizionamento di un impianto di tale portata in un contesto fortemente urbanizzato. Il quartiere dove si colloca l'impianto, è infatti un quartiere densamente abitato, pieno di recettori sensibili, tra cui strutture commerciali e scuole, e che sarà sede del nuovo ospedale provinciale;
   peraltro l'impianto non rispetterebbe il regolamento d'igiene comunale di Fermo, che impone una distanza minima di 600 metri da queste attività;
   la stessa azienda sanitaria unica regionale (ASUR), chiamata a dare il suo parere ha sempre espresso dei dubbi circa la vicinanza al quartiere e all'ospedale;
   la provincia di Fermo nel giugno 2012, ha concluso il procedimento di Via con parere negativo, supportato dai pareri negativi del comune di Fermo e di tutti i comuni limitrofi e soprattutto dal parere negativo dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale Marche (ARPAM);
   lo scorso ottobre la ditta ha impugnato la sentenza di fronte al TAR ottenendo una sospensiva che ha concesso alla ditta la possibilità del riesame in provincia attraverso delle conferenze dei servizi con l'annessa possibilità di presentare ulteriori integrazioni e documenti;
   detto secondo riesame si e concluso con una seconda determina negativa della provincia, impugnata dalla ditta al TAR;
   la sentenza del TAR Marche ha quindi consentito di poter proseguire l’iter autorizzativi in regione senza avere un giudizio di merito sulla validità della Via negativa provinciale;
   dopo detta sentenza del TAR i cittadini hanno formalmente diffidato la regione dall'autorizzare questa attività senza una valutazione di impatto ambientale positiva;
   va altresì evidenziato come in un momento di crisi come quello che il Paese sta vivendo invece di ridare respiro alle piccole e medie imprese e agli artigiani, unica vera ossatura dell'economia del paese, si considerano «strategiche e prioritarie» opere che trovano sostenibilità economica solo nei contributi statali e che nulla hanno a che vedere con l'agricoltura o l'energia –:
   se, nell'ambito dei progetti di riconversione di cui in premessa, a tutela delle attività agricole, non si intendano assumere iniziative normative per incentivare gli impianti effettivamente sostenibili, alimentati da biomassa da scarto della produzione agricola forestale e non provenienti da terreni destinati a colture appositamente dedicate a finalità, energetiche;
   quali siano le valutazioni dei ministri interrogati, sulla realizzazione e la compatibilità dell'impianto di Fermo di cui in premessa con delle linee guida per la costruzione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. (4-01506)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Bergamini e altri n. 7-00061, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rigoni.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Realacci n. 5-00672, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mariani, Mannino.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Menech e altri n. 5-00758, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zappulla.

  L'interrogazione a risposta scritta Realacci e Bratti n. 4-01472, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mazzoli.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Ottobre n. 3-00014 del 2 aprile 2013;
   interrogazione a risposta scritta Zaccagnini n. 4-00218 del 16 aprile 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Airaudo n. 5-00480 del 1o luglio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Di Benedetto n. 5-00519 del 3 luglio 2013;
   interrogazione a risposta orale Nastri n. 3-00184 dell'8 luglio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-00549 dell'8 luglio 2013.