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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 24 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi occupazionale ed economica che interessa il nostro Paese ha creato non solo nuova disoccupazione ma ha anche negato eventuali prospettive alle nuove generazioni intese tra i 18 ed i 40 anni di età;
    numerosi giovani, in assenza di prospettive, hanno preferito sia acquisire una maggiore formazione recandosi a studiare all'estero, sia hanno preferito altri luoghi per finalizzare la ricerca di un impiego soddisfacente, affrontando tutte le problematiche relative a quel fenomeno che il nostro Paese ha già vissuto ampiamente nel dopo guerra detto emigrazione;
    anche altre nazioni ovvero altri Governi hanno creato le basi per favorire una nuova ondata di emigrazione italiana all'estero promuovendo una serie di offerte di impiego quale via d'uscita dei giovani italiani dalla crisi, non ultimo il Governo australiano;
    le associazioni riconosciute a livello regionale che si occupano di corregionali all'estero hanno avuto notizia di gruppi giovanili che si stanno organizzando, anche attraverso le nuove modalità via web, al fine, non solo di aiutarsi a vicenda ma anche in un'ottica di business to business privilegiato;
    è compito di ogni Paese cercare di evitare l'emigrazione o per lo meno favorire il rientro dei soggetti che abbiano deciso di operare scelte di distacco dai propri affetti e dalle proprie radici;
    la presenza storica ed attuale degli italiani all'estero, non è certificata e monitorata, se non sulla base di una loro eventuale iscrizione all'AIRE;
    gli interroganti sono convinti che il know how italiano all'estero e la presenza di nostri connazionali potrebbe essere il vero volano per trovare una via d'uscita dalla crisi, costruendo sviluppando nuove vie di business to business;

impegna il Governo:

   a richiedere agli Stati che ne pongano l'obbligo, il numero dei visti per studio e lavoro rilasciati a cittadini italiani negli ultimi 3 anni;
   a creare un gruppo di esponenti del mondo associativo dell'emigrazione, segnalati uno per ogni Gruppo parlamentare di Camera e Senato, coordinati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di valutare quali possano essere le politiche migliori per facilitare i rapporti tra lo Stato italiano ed i giovani emigranti anche al fine di creare una sinergia legata all’export ed alla promozione del Made in Italy attraverso i rappresentanti dell'Italia nel mondo;
   a creare una Cabina di regia, già proposta nella XVI Legislatura, delle eccellenze italiane nel mondo, di concerto con le realtà regionali, al fine di creare un'ulteriore sinergia anche economica tra lo Stato ed i Paesi ospitanti i soggetti rappresentanti delle eccellenze, quale opzione per una possibile via d'uscita dalla crisi.
(1-00153) «Dall'Osso, Tacconi, Lorefice, Cecconi, Baroni, Di Vita, Silvia Giordano, Mantero, D'Ambrosio, Dieni, Cozzolino, Lombardi, Di Benedetto, Manlio Di Stefano».


   La Camera,
   premesso che:
    è notizia degli ultimi giorni, come apparso nelle colonne della cronaca regionale in Friuli Venezia Giulia che lo stabilimento Ideal Standard di Orcenico di Zoppola, in provincia di Pordenone ha annunciato la decisione di chiudere il sito produttivo friulano, dove lavorano circa 480 addetti e dove vengono fabbricati sanitari, vasche, prodotti per il «wellness»;
    Ideal Standard Italia opera con tre stabilimenti nei quali lavorano poco meno di 1500 dipendenti: Trichiana nel Bellunese, Roccasecca in Ciociaria ed Orcenico;
    il Nord-Est in generale ed il Friuli Venezia Giulia, in particolare, vede una curva iperbolica crescente della crisi economica con le conseguenti chiusure di stabilimenti produttivi e la messa in cassa integrazione et/aut mobilità di centinaia di lavoratori;
    l'azienda, la cui sede principale si trova a Bruxelles, non ha palesato, se non negli ultimi giorni le intenzioni dell'azienda stessa;
    la suddetta decisione ha annullato lo svolgimento degli incontri presso il tavolo del Ministero per lo sviluppo economico;
    i 480 lavoratori della sede di Orcenigo, se messi in cassa integrazione, andrebbero ad incrementare negativamente la situazione, già difficile della destra Tagliamento, dove le chiusure delle aziende negli ultimi 24 mesi sono state all'ordine del giorno;
    è volontà politica trasversale della regione Friuli Venezia Giulia difendere la presenza dell'azienda sul territorio, come dichiarato sugli organi di stampa dalla presidente Serracchiani e dal consigliere Ciriani,

impegna il Governo:

   a porre in essere tutte le azioni al fine di garantire la presenza dell'azienda Ideal Standard sul territorio regionale del Friuli Venezia Giulia;
   a tutelare le aziende del Friuli Venezia Giulia che, sia per questioni geografiche che geopolitiche si trovano a fare da cuscinetto e stanno risentendo negativamente dell'allargamento dell'Unione europea ad Est e di sempre più frequenti delocalizzazioni;
   a dare risposte tempestive alla situazione creatasi.
(1-00154) «Rizzetto, Prodani, Sandra Savino, Rostellato, Baldassarre, Ciprini, Mucci, Brandolin, Brugnerotto, Tacconi, Ferraresi, Fantinati, Di Benedetto, Bonafede».


   La Camera,
   premesso che:
    il codice frontiere Schengen, entrato in vigore il 13 ottobre 2006, ha introdotto un codice comunitario contenente norme e procedure relative all'attraversamento delle frontiere esterne dell'Unione;
    il 12 giugno 2013 il Parlamento europeo ha approvato il «pacchetto governance di Schengen», già informalmente concordato con il Consiglio UE, composto da due regolamenti: un primo che istituisce un nuovo meccanismo di valutazione della conformità alle regole per far fronte a situazioni d'emergenza ed un secondo regolamento modifica il codice frontiere di Schengen e introduce regole comuni per la temporanea reintroduzione dei controlli alle frontiere interne in casi eccezionali. Questo pacchetto dovrebbe essere adottato formalmente dal Consiglio in autunno;
    nella dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione si legge che questi nuovi meccanismi costituiscono una risposta adeguata all'invito espresso dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 24 giugno 2011 di migliorare la cooperazione e la fiducia reciproca tra gli Stati membri nello spazio Schengen e creare un sistema di monitoraggio e di valutazione efficace e affidabile che garantisca l'applicazione delle regole comuni e il rafforzamento, l'adeguamento e l'estensione dei criteri in base all'acquis di Schengen, pur ricordando che le frontiere esterne dell'Europa devono essere gestite in modo efficace e coerente, in base a responsabilità comune, solidarietà e cooperazione pratica;
    inoltre si dichiara che la modifica del codice frontiere Schengen rafforzerà il coordinamento e la cooperazione a livello dell'Unione fornendo criteri per un eventuale ripristino dei controlli di frontiera da parte degli Stati membri e un meccanismo dell'UE per rispondere alle situazioni di autentica criticità, ove il funzionamento globale dello spazio senza controlli alle frontiere interne sia messo a rischio;
    la creazione di uno spazio in cui è assicurata la libera circolazione delle persone attraverso le frontiere interne è una delle principali conquiste dell'Unione europea. In tale spazio senza controlli alle frontiere interne, occorre dare una risposta comune alle situazioni che incidono gravemente sull'ordine pubblico o sulla sicurezza interna di questo spazio o di alcune sue parti o di uno o più Stati membri, che autorizzi il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne in circostanze eccezionali senza compromettere il principio della libera circolazione delle persone;
    il codice frontiere Schengen (Schengen Borders Code – SBC) già consente che controlli alle frontiere interne siano temporaneamente ristabiliti in circostanze eccezionali che potrebbero costituire una minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna. Il SBC così come modificato dal Parlamento europeo chiarisce che qualunque reintroduzione di controlli alle frontiere interne costituisce un'eccezione e può avvenire solo come misura di ultima istanza, per un periodo di tempo limitato, in base a specifici criteri oggettivi e a una valutazione monitorata a livello di Unione;
    il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne può eccezionalmente essere necessario in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna a livello di spazio senza controlli alle frontiere interne o a livello nazionale, in particolare a seguito di attentati o minacce terroristiche o di minacce connesse alla criminalità organizzata;
    secondo il pacchetto approvato, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone deve essere interpretata in modo restrittivo e il concetto di ordine pubblico presuppone l'esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società;
    il pacchetto di riforme prevede, inoltre, che in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna, i controlli possono essere ristabiliti per 30 giorni, termine che può essere prolungato per un massimo di sei mesi. Come si può quantificare il termine massimo di una condizione che di per se non è quantificabile;
    l'abolizione dei controlli alle frontiere interne presuppone una piena fiducia reciproca tra gli Stati membri per quanto concerne le rispettive capacità di dare attuazione completa alle misure di accompagnamento che consentono di abolire detti controlli;
    la politica dell'Unione europea nel settore delle frontiere esterne mira a una gestione integrata per garantire un livello elevato e uniforme di controllo e sorveglianza. A tal fine, dovrebbero essere istituite norme comuni in materia di criteri e procedure di controllo delle frontiere esterne, tenuto conto delle pressioni specifiche e sproporzionate cui sono sottoposti alcuni Stati membri alle rispettive frontiere esterne. Le norme dovrebbero essere governate dal principio di solidarietà tra Stati membri;
    il Parlamento europeo, nel pacchetto Schengen, ha specificato che la migrazione e l'attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di Paesi terzi non dovrebbero in sé essere considerate una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza interna;
    l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (Frontex) è un'istituzione che ha come scopo quello di coordinamento del pattugliamento delle frontiere esterne, aeree marittime e terrestri degli Stati della UE e l'implementazione di accordi con i Paesi confinanti con l'Unione europea per la riammissione dei migranti extracomunitari respinti lungo le frontiere;
    il commento dell'onorevole Peter Van Dalen (ECR) all'approvazione del pacchetto di riforme sia stato del tutto negativo segnalando come tramite Schengen sia diventata più difficile la lotta alla criminalità organizzata, condividendo così la posizione dell'eurodeputato Lorenzo Fontana (EFD) che ha parlato della necessità di controlli e di rimpatri nel caso di alti flussi migratori;
    tutte le previsioni macroeconomiche degli istituti ed organismi accreditati fotografano un Paese in una situazione di vera e propria recessione;
    la grave congiuntura economico-finanziaria che sta attraversando il nostro paese ha determinato e determinerà ancora di più nei prossimi mesi rilevanti ricadute negative sull'occupazione. I lavoratori più a rischio – anche per la tipologia delle loro mansioni e dei relativi contratti – saranno sicuramente i lavoratori stranieri. Tale situazione creerà rilevanti problemi non solo sotto il profilo strettamente occupazionale, ma anche dal punto di vista della sicurezza pubblica, considerato il rischio attuale che molti stranieri, perdendo il posto di lavoro – in assenza di altri ammortizzatori sociali quali la famiglia e la comunità di appartenenza – finiscano per incrementare le fila della criminalità;
    ormai il nostro Stato è diventato un territorio di passaggio per paesi più attraenti dal punto di vista delle possibilità di trovare un posto di lavoro;
    a parere dei proponenti il contrasto alla criminalità organizzata deve anche essere garantita facendo adeguati controlli alle frontiere sia interne che esterne si deve essere consci che le migrazioni irregolari rappresentano per le organizzazioni criminali una redditizia fonte di guadagno prontamente impiegata in altri traffici illeciti;
    con la bella stagione, ricominciano gli sbarchi di clandestini nelle regioni del sud. In un'informativa urgente il Ministro dell'interno, l'onorevole Alfano, ha confermato che gli sbarchi sono in evidente ripresa e che nel solo mese di giugno 2013 sono stati 35 gli sbarchi, a fronte degli 86 dall'inizio dell'anno, con l'arrivo di un totale di 2.670 persone che si vanno ad aggiungere alle oltre 4.300 arrivate nei primi cinque mesi dell'anno per un totale di circa 7.200;
    questi numeri confermano il trend che era già evidente nel 2011 e nel 2012 all'indomani degli sconvolgimenti provocati dalla cosiddetta «primavera araba». È assai probabile che gli sbarchi registrati negli ultimi giorni sulle coste del nostro stato siano destinati a continuare o addirittura ad aumentare;
    l'isola di Lampedusa, la zona più colpita da questi flussi migratori, non è solo una nostra frontiera esterna ma è anche la zona di confine tra l'Africa e l'Europa. Il nostro Paese infatti occupa una posizione strategica in Europa e nel Mediterraneo;
    secondo i dati dell'OIM tra le nazionalità più rappresentate nel corso degli sbarchi del 2013 si registrano soprattutto cittadini somali ed eritrei, seguiti da egiziani e pakistani. Immigrati giunti dalla Siria sono stati finora circa 600;
    alla luce di questi continui sbarchi come può il Parlamento europeo considerare che la migrazione e l'attraversamento delle frontiere esterne di un gran numero di cittadini di Paesi terzi non debba essere considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza interna;
    secondo i proponenti in linea di principio Schengen va bene ma se ci fosse un controbilanciamento ovvero se si possa dare l'opportunità concreta ai Paesi membri di poter rimpatriare i cittadini comunitari che si sono resi colpevoli di gravi reati e di attuare responsabili controlli alle frontiere;
    è necessario avviare uno studio sui flussi migratori che proceda: alla raccolta di dati ed all'elaborazione di statistiche sulle migrazioni internazionali, sulla popolazione dimorante abitualmente e sull'acquisizione della cittadinanza, sui permessi di soggiorno e sul soggiorno di cittadini di Paesi extracomunitari, nonché sui rimpatri; al monitoraggio del fenomeno della disoccupazione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno conseguente alla crisi economica in atto e alla formulazione di politiche attive di reinserimento di tali categorie di lavoratori; all'analisi della capacità recettiva del Paese, in rapporto alle singole realtà territoriali, in riferimento ai posti di lavoro disponibili nei diversi settori occupazionali, alla disponibilità di alloggi, alla disponibilità e al costo dei servizi garantiti; all'analisi dell'impatto dell'immigrazione sotto il profilo del rapporto tra costi e benefici con particolare riguardo ai pubblici servizi; all'analisi del grado di integrazione degli stranieri presenti sul territorio nazionale anche in rapporto ai paesi di provenienza; alla formulazione di proposte per la revisione del meccanismo dei flussi di ingresso di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, finalizzate ad includere nelle quote annualmente stabilite anche gli ingressi nel territorio dello Stato per motivi di rincongiungimento familiare;
    è necessario che il Governo italiano si faccia promotore e sia soggetto principale di una coerente e persistente iniziativa europea per fronteggiare un problema che investe tutta l'Europa,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, alla luce di quanto evidenziato in premessa, di una modifica dei regolamenti approvati dal Parlamento europeo il 12 giugno 2013 e ad adoperarsi affinché, in sede di Consiglio, non ci si limiti ad una loro adozione formale;
   a chiedere all'Unione europea e alle istituzioni europee un aiuto concreto indirizzandogli una richiesta urgente di intervento per gestire l'emergenza sbarchi, che il nostro Stato si troverà sicuramente ad affrontare, come accaduto anche negli anni precedenti, dovendo mettere in campo tutti i mezzi a sua disposizione con costi elevati, non delegando il problema alla sola Italia, che è il naturale porto di approdo delle disperazioni dei cittadini dei Paesi terzi, e che con molte difficoltà riesce ad accogliere le istanze dei propri cittadini;
   a chiedere nelle opportune sedi comunitarie che l'aiuto da parte dell'Europa non si limiti al solo campo finanziario, bensì l'Europa si impegni a rispettare il principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri nel suo complesso, così come prescritto dall'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativamente ai controlli alle frontiere, all'asilo e all'immigrazione;
   a richiedere un potenziamento della presenza nel Mediterraneo dell'Agenzia Frontex, anche attraverso l'adeguamento di mezzi ed uomini, e la previsione di una secondaria sede operativa sul territorio italiano o in alternativa se intenda istituire un’«Agenzia per l'organizzazione dell'immigrazione illegale» nel nostro Stato che svolga funzioni di coordinamento in collaborazione con Frontex e con gli altri organismi dei Paesi europei per una gestione consapevole dei migranti, tenendo in considerazione la posizione del nostro stato che si trova ad essere un territorio di frontiera di fronte agli sbarchi incontrollati da parte dei Paesi terzi;
   a chiedere nelle opportune sedi comunitarie che l'Europa si faccia promotrice di intese ed accordi multilaterali con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo per un pattugliamento congiunto delle coste;
   a considerare, qualora situazioni impreviste, connesse allo scoppio di disordini o conflitti sulla sponda meridionale del Mediterraneo, determinino afflussi eccezionali di migranti, la possibilità di coinvolgere anche l'Alleanza Atlantica nel contrasto del fenomeno;
   a trovare un intesa tra tutti i Paesi membri per garantire la distribuzione sul tutto il territorio europeo dei migranti così che il nostro Stato possa porre fine al suo ruolo di «sostituto dell'Europa» perché il problema dei flussi migratori è un problema globale che investe tutta l'Europa non solo l'Italia;
   ad assumere iniziative volte a contenere l'arrivo di nuova manodopera immigrata nel nostro Stato, anche assumendo le necessarie iniziative per sospendere l'adozione dei decreti che determinano i flussi di ingresso per i lavoratori extracomunitari.
(1-00155) «Prataviera, Allasia, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   considerato che:
    il TAR della Sicilia, Sez. 1 Palermo, con ordinanza n. 470 del 9 luglio 2013 ha negato la sospensione della delibera regionale Sicilia n. 61 del 5 febbraio 2013 e degli altri provvedimenti connessi, richiesta dal Ministero della difesa – ricorso 950/13 – in merito alla prevista installazione del sistema di comunicazione a banda stretta, denominato Mobile User Objective System (MUOS) a completamento della sostituzione dell'attuale flotta di costellazione di satelliti per le comunicazioni presso la base Usa di Niscemi;
    in data 12 luglio 2013 tramite l'ufficio di Palermo l'Avvocatura dello Stato su mandato del Ministero della difesa ha opposto ricorso in appello alla citata ordinanza n. 470 contro la giunta regionale siciliana, la presidenza della regione Sicilia, l'assessore regionale territorio e ambiente – dipartimento regionale ambiente, il comune di Niscemi, l'associazione Legambiente, l'associazione WWF Italia;
    si ritiene inopportuno proseguire in una disputa legale tra poteri dello Stato e movimenti ed associazioni che intendono far valere il diritto delle comunità locali a decidere del proprio territorio e che sia al contrario necessario avviare un confronto con la cittadinanza e gli enti locali evitando di assumere decisioni sopra le loro teste,

impegna il Ministro della difesa:

   a ritirare il ricorso contro l'ordinanza n. 470 del 9 luglio 2013 dando in questo senso mandato all'Avvocatura dello Stato sezione di Palermo;
   a ritirare il ricorso di merito rispetto ai provvedimenti della regione siciliana e del comune di Niscemi in merito alla costruzione del MUOS.
(7-00072) «Corda, Duranti, Rizzo, Palazzotto, Burtone, Piras, Artini».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    per fracking o fratturazione idraulica si intende la tecnica di estrazione di idrocarburi, come il petrolio ed il gas naturale conosciuto come shale gas, dalle rocce mediante l'iniezione ad alta pressione di acqua ed altri reagenti chimici nel sottosuolo, in modo da fratturare le rocce di scisto sottostanti incrementando in tal modo la liberazione e la migrazione in superficie dei fluidi contenenti idrocarburi liquidi o gassosi, per il successivo immagazzinamento;
    questa tecnica può determinare effetti anche di tipo ambientale, in quanto modificando la struttura e le caratteristiche fisiche di trasmissività del sottosuolo, si può determinare la messa in comunicazione di falde con differenti qualità delle acque, utilizzate nel processo di fratturazione idraulica, spesso addizionate a diverse sostanze pericolose, tra le quali naftalene, benzene, toluene, xylene, etilbenzene, piombo, diesel, formadeldeide, acido solforico, tiourea, cloruro di benzile, acido nitrilotriacetico, acrilamide, ossido di propilene, ossido di etilene, acetaldeide, ftalati, cromo, cobalto, iodio, zirconio, potassio, lanthanio, rubidio, scandio, iridio, krypton, zinco, xenon e manganese;
    la tecnica è stata utilizzata in diversi contesti geologici americani, di cui, la bibliografia scientifica ne riporta anche gli effetti negativi: sulla base di una casistica molto diffusa, e in particolare dei numerosi eventi accaduti nello Stato dell'Ohio il cui territorio ospita ben 177 pozzi di trivellamento, una parte della comunità scientifica ha maturato l'idea che vi possa essere una correlazione specifica tra le operazioni di indagine geologica per mezzo del fracking e l'aumento dei fenomeni sismici e ciò avrebbe indotto le autorità a regolamentare in modo più rigido l'utilizzo di questa tecnica;
    la IEA, l'Agenzia Internazionale per l'Energia, nel documento «Golden Rules for a Golden Age of Gas» del 2012, ha posto in luce possibili problemi derivanti da un eccessivo sfruttamento di questi idrocarburi;
    i molteplici effetti del fracking sono stati analizzati anche da un rapporto ordinato dalla Commissione ambiente del parlamento europeo, pubblicato nel luglio 2011 (Impacts of shale gas and shale oil extraction on the environment and on human health). La principale fonte di preoccupazione è la contaminazione delle falde acquifere – sotterranee e superficiali – dovute a fuoriuscite di fluidi di fratturazione contenenti additivi chimici o di acque reflue contenenti gas metano disciolto, fango e sostanze chimiche (ad esempio metalli pesanti) e radioattive eventualmente provenienti dal giacimento;
    sull'opportunità (economica, tecnica e ambientale) di esplorare i giacimenti non convenzionali di gas e petrolio la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica, con l'obiettivo di raccogliere opinioni e suggerimenti su questo tema controverso, coinvolgendo 25.500 cittadini dei Paesi membri, che hanno espresso le loro forti preoccupazioni sull'estrazione dello shale gas;
    lo Sachverständigenrat für Umweltfragen (Sru), il Consiglio consultivo per l'ambiente della Germania, al quale il governo di Angela Merkel ha chiesto un rapporto per determinare la sua posizione nel dibattito sulla fratturazione idraulica in corso nell'Unione europea, ha pubblicato la dichiarazione «Fracking per la produzione di gas di scisto – Un contributo alla sua valutazione nel contesto della politica energetica e ambientale», che «Sostiene un approccio più razionale per le opportunità ed i rischi connessi al fracking» e si sofferma anche sui rischi ambientali del fracking osservando: «Ci sono ancora notevoli incertezze e le lacune nella nostra conoscenza». Per gli scienziati tedeschi devono essere ancora chiariti molti aspetti citano i principali: smaltimento ecologicamente corretto delle acque reflue; sicurezza dei pozzi e dei sistemi di produzione, in particolare per quanto riguarda la salvaguardia delle acque sotterranee; gli impatti a lungo termine di tali operazioni; l'equilibrio climatico del gas da scisto»;
    il 15 giugno 2011, il Parlamento francese ha approvato una legge che vieta ogni tipo di attività legata allo sfruttamento sul territorio nazionale di giacimenti di gas non convenzionali con la tecnica della fratturazione, compresa ogni forma di sperimentazione;
    nei Paesi Bassi dal 2000 al 2013, il numero di terremoti risulta aumentato di ben 5 volte rispetto al decennio precedente, mentre la produzione di gas è raddoppiata. Lo scorso aprile, la compagnia petrolifera olandese Nederlandse Aardolie Maatschappij (NAM), attraverso un comunicato ha ammesso implicitamente di essere la causa scatenante di questi sismi, stanziando 100 milioni di euro di compensazione per tutti i cittadini che avevano riportato danni a seguito delle ultime scosse;
    con ordinanza n. 76 del 16 novembre 2012 il Presidente della Regione Emilia Romagna – in qualità di commissario delegato a sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 74 del 6 giugno 2012, convertito con modificazioni, nella Legge 1 agosto 2012 n. 122 recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012» – ha disposto «Istituzione di una Commissione tecnico-scientifica per la valutazione delle possibili relazioni tra attività di esplorazione per gli idrocarburi e aumento dell'attività sismica nell'area emiliano romagnola colpita dal sisma del 2012»;
    nelle priorità d'azione e risultati attesi al 2020, della Strategia energetica nazionale (ottobre 2012) viene espressamente dichiarato come il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di shale gas, dimostrando di essere a conoscenza e di ammettere la sua più o meno potenziale «pericolosità»;
    il Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, intervenendo in Senato il 21 maggio 2013, alla vigilia del vertice unione europea, ha sottolineato la necessità di «una politica realistica del cambiamento climatico dopo il 2020» ma anche «un atteggiamento aperto e non penalizzante per lo sfruttamento delle fonti di energia prodotte in Europa come lo shale gas»;
    il 22 maggio 2013, l'apertura allo sfruttamento di shale gas sarebbe stato oggetto di discussione anche nel Consiglio europeo, nel corso di una riunione che ha posto le basi per una regolamentazione della controversa tecnica del fracking, necessaria per estrarre gas non convenzionale,

impegna il Governo

a promuovere, l'istituzione di una Commissione tecnico-scientifica presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare composta da esperti di comprovata ed elevata professionalità, anche appartenenti alla comunità scientifica internazionale, al fine di valutare tutti i rischi ambientali connessi all'attività di esplorazione per gli idrocarburi attraverso la tecnica della fratturazione, compresa ogni forma di sperimentazione, in particolare per quanto riguarda la salvaguardia delle acque sotterranee, gli impatti a lungo termine di tali operazioni e possibili relazioni fra le attività di esplorazione finalizzata alla ricerca di campi di idrocarburi e l'aumento di attività sismica nelle aree interessate da dette attività e a disporre, secondo il principio di precauzione enunciato all'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la sospensione di ogni autorizzazione integrata ambientale in corso d'esame e future e di qualsiasi altra autorizzazione ambientale in merito a nuovi progetti di ricerca di idrocarburi mediante l'utilizzo della tecnica della fratturazione idraulica, fino a che non siano riferite al Parlamento le valutazioni e le risultanze conclusive del lavoro svolto dalla Commissione medesima.
(7-00073) «Zaratti, Zan, Pellegrino».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    l'8 luglio 2013, un orso bruno marsicano è stato ucciso a fucilate nel Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise: una vera e propria esecuzione, che ad una prima ricostruzione fa supporre l'utilizzo di diversi tipi di fucili, quindi l'intervento di diversi bracconieri;
    questo episodio – soltanto l'ultimo della serie – rappresenta un atto gravissimo inferto al Parco d'Abruzzo e alla specie dell'orso marsicano in particolare, una specie che nonostante l'ampia normativa nazionale ed europea volta a proteggerla e difenderla continua ad essere uccisa, a subire incidenti di varia natura e, quindi, a restare in un costante stato di rischio;
    neanche le importanti iniziative quali il protocollo di intesa costituito nel 2007, il tavolo tecnico, l'autorità di gestione e il PATOM (Piano d'azione interregionale per la tutela dell'Orso bruno nell'Appennino), che impegnano il Ministero, regioni, enti parco, CFS, province, associazioni e altro dimostrano di avere una reale efficacia a tutela degli orsi;
    il bracconaggio e la mortalità accidentale di origine antropica, diretta ed indiretta, rimangono, per l'orso bruno marsicano una minaccia concreta e il futuro di questa popolazione sembra essere in serio pericolo;
    nel luglio 2013, il TAR – accogliendo un ricorso del WWF e dopo aver sospeso le direttive del calendario venatorio – ha bocciato i contenuti e le procedure relative all'attività venatoria adottate dalla regione Abruzzo e dal tavolo tecnico (al quale hanno partecipato anche il Parco d'Abruzzo, l'diversità la Sapienza e l'ISPRA), ritenendoli poco incisivi per la tutela dell'orso marsicano dal momento in cui non normano in maniera stringente l'attività venatoria nelle aree di maggiore presenza della specie;
    a conferma di questo giudizio si leggano le eloquenti parole del TAR a conclusione della sentenza: «Da quanto sopra, consegue quindi l'accoglimento della censura sulla mancata protezione dell'orso marsicano nell'intero areale di distribuzione individuato nell'accordo PATOM»;
    in particolare, nella sentenza, il TAR ha chiarito che la regione Abruzzo, al contrario di quanto sostenuto dalla giunta, da anni non ha un regolare Piano faunistico venatorio, fatto che impedisce il corretto svolgimento della pratica venatoria; inoltre, sempre secondo quanto emerge dalla sentenza, il periodo di caccia per quasi tutte le specie è stato ampliato a dismisura senza tener conto del parere contrario dell'istituto superiore per la ricerca e la protezione dell'ambiente;
    la regione Abruzzo ha altresì illegittimamente concesso la pre-apertura della caccia per alcune specie e l'addestramento di cani in un periodo non idoneo; non ha, inoltre, assoggettato come avrebbe dovuto il calendario venatorio a valutazione di incidenza ambientale e non ha individuato nelle aree SIC/ZPS i principali punti di migrazione in cui vietare la caccia; 
    quest'anno la regione Abruzzo ha varato il calendario venatorio ben oltre il 15 giugno – data stabilita dalla legge – a pochi giorni dall'avvio della stagione della caccia, rendendo così più difficile per le associazioni esercitare in tempo una concreta azione di opposizione a tali scelte;
    la Ragione avrebbe, inoltre, subdelegato alle province la possibilità di allungare a febbraio la stagione venatoria violando così le normative che impongono una gestione coordinata del prelievo ed, infine, ha reso possibile illegittimamente l'uso delle munizioni di piombo;
    dalla sentenza del TAR emergono delle gravissime lacune nella normativa venatoria regionale dell'Abruzzo, che appaiono violare la normativa nazionale e comunitaria in materia, contravvenendo alle basilari regole di gestione dell'attività venatoria, ma soprattutto mancando di tutelare le specie maggiormente a rischio estinzione,

impegna il Governo:

   valutare, anche di concerto con la Regione Abruzzo, tutte le opportune azioni, anche normative, a tutela della sua specie simbolo, l'orso bruno marsicano;
   adottare iniziative, anche in collaborazione con la Regione Abruzzo e con l'Ente Parco, per prevenire il ripetersi di gravi episodi di bracconaggio anche a supporto all'attività investigativa e sanzionatoria;
   promuovere una campagna di monitoraggio atta a valutare la consistenza della popolazione «orso marsicano» nel parco nazionale d'Abruzzo.
(7-00074) «Daga, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gallinella, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, De Rosa, Segoni, Terzoni, Busto, Mannino, Zolezzi, Tofalo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il prezzo del latte bovino ai produttori è attualmente di circa 0,38 euro per litro a fronte di un costo del latte Spot nazionale di circa 0,46 euro per litro e di quello proveniente dalla Baviera di 0,475 euro per litro;
    il comparto dei bovini da latte ha perso circa 500.000 bovine da latte negli ultimi 10 anni con una riduzione drastica degli allevamenti di bovini da latte, mentre l'Italia importa ancora il 60 per cento dei prodotti lattiero caseari dall'estero;
    i formaggi tipici DOP italiani contribuiscono in larga parte all’export agro-alimentare italiano con circa 250.000 tonnellate all'anno di prodotto esportato ed in continuo aumento. Negli ultimi 10 anni l’export di formaggi è passato da circa 110.000 tonnellate a 250.000 tonnellate;
    la produzione italiana di latte bovino, nella campagna lattiero casearia 2012-2013, non ha raggiunto la «Quota Latte» attribuita dall'Unione europea alla nostra nazione di circa 10,9 milioni di tonnellate, cosa avvenuta solamente nel 2006-2007, causando una perdita di redditività dei nostri allevamenti;
    i consumatori italiani pagano mediamente 1,50 euro per litro latte fresco e quelli tedeschi 0,70 euro per litro latte fresco;
    il decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, 12 ottobre 201 recante «Norme applicazione dei Regolamento (CE) n. 1234 del 2007 per quanto riguarda le organizzazioni di produttori e loro associazioni, le organizzazioni interprofessionali, le relazioni contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari e i piani di regolazione dell'offerta dei formaggi a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta», all'articolo 9, dispone che le consegne di latte crudo ai primi acquirenti di latte devono formare oggetto di contratto scritto fra le parti, da stipulare prima della consegna, comprensivo di tutti gli elementi prescritti all'articolo 185-septies, paragrafo 2, lettera c), del Regolamento n. 1234 del 2007;
    al contrario, ad oggi in diverse Regioni il prezzo del latte bovino è stato stabilito in modo unilaterale da parte solo degli industriali, senza il coinvolgimento dei produttori di latte, in contrasto con quanto stabilito dall'articolo 9 del citato decreto ministeriale del 12 ottobre 2012;
    la Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (regolamento OCM – PAC) nel testo consolidato della presidenza del marzo 2013, ribadisce, in assenza di una legislazione dell'Unione sui contratti scritti formalizzati, la facoltà per gli Stati membri di rendere obbligatorio l'uso di contratti, ritenendo inoltre che nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, per garantire che vi siano norme minime adeguate per questo tipo di contratti e per assicurare altresì il corretto funzionamento del mercato interno e dell'organizzazione comune dei mercati, occorre stabilire a livello dell'Unione alcune condizioni di base per l'utilizzazione di tali contratti;
    in particolare la proposta di regolamento Organizzazione comune di mercato unica intende garantire lo sviluppo razionale della produzione lattiera e assicurare così un tenore di vita equo ai produttori di latte, rafforzandone il potere contrattuale nei confronti dei trasformatori, ai fini di una più equa distribuzione del valore aggiunto lungo la filiera;
   pertanto, per conseguire questi obiettivi della PAC, ai sensi dell'articolo 42 e dell'articolo 43, paragrafo 2, del Trattato, si prevede che anche le organizzazioni di produttori costituite da produttori di latte, o dalle loro associazioni, possano negoziare con le latterie le condizioni contrattuali, in particolare il prezzo, per la totalità o per una parte della produzione dei loro membri;
    nella proposta di regolamento Organizzazione comune di mercato unica si ribadisce l'opportunità che la Commissione europea adotti e presenti, entro il 30 giugno 2014 ed entro il 31 dicembre 2018, relazioni sull'andamento del mercato del latte che contemplino, in particolare, i possibili incentivi destinati a incoraggiare gli agricoltori a concludere accordi di produzione in comune al fine di rafforzarne il potere contrattuale;
    infine, il nuovo articolo 105-ter (dichiarazioni obbligatorie nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari), della citata Organizzazione comune di mercato unica, dispone che a decorrere dal 1o aprile 2015 i primi acquirenti di latte crudo dichiarano all'autorità nazionale competente il quantitativo di latte crudo che è stato loro consegnato ogni mese che dovrà essere notificato dagli Stati Membri alla Commissione;
    il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha manifestato l'intenzione di intervenire per «risolvere la questione» del prezzo del latte e sostenere i produttori,

impegna il Governo:

   ad attivarsi in tempi rapidi per convocare un tavolo tra industriali e allevatori per giungere alla definizione di un prezzo del latte bovino equo in linea con quanto disposto dal quadro giuridico nazionale ed europeo;
   a garantire, nell'ambito di quanto disposto dalla proposta di Organizzazione comune di mercato unica, all'articolo 104, un prezzo del latte bovino indicizzato, combinando vari fattori che possono comprendere indicatori di mercato che riflettono cambiamenti nelle condizioni di mercato, il volume consegnato e la qualità o la composizione del latte crudo consegnato, i costi delle materie prime e il costo finale di vendita del latte;
(7-00075) «Cova, Oliverio, Antezza, Marco Carra, Cenni, Ferrari, Lorenzo Guerini, Mongiello, Tentori, Valiante, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNETTA, COSTA e SISTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa risulta che è stata costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una Commissione in tema di lotta anche patrimoniale alla criminalità e che tale Commissione si stia occupando in particolare di norme in materia di reati contro la pubblica amministrazione, reati societari e reato di voto di scambio politico mafioso;
   risulta altresì che componenti di tale gruppo di lavoro abbiano criticato di recente aspramente sui giornali la legge di riforma dell'articolo 416-ter codice penale approvata all'unanimità da un ramo del Parlamento, senza che risulti che gli stessi abbiano segnalato preventivamente al Governo tali criticità; infatti l'esecutivo non ha mai manifestato contrarietà e specifiche osservazioni rispetto ai testi approvati in Commissione e in Aula né ha presentato emendamenti propri di correzione o integrazione o miglioramento del testo;
   risulta che presso il Ministero della giustizia siano stati costituiti vari gruppi di lavoro su tematiche anche in parte coincidenti con quelle del gruppo di lavoro insediato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri –:
   quali siano i componenti e l'effettivo oggetto di attività delle suddette Commissioni di studio istituite presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero della giustizia;
   se vi sia un coordinamento delle suddette Commissioni con l'Ufficio legislativo del Ministero della giustizia;
   se risultino essere stati depositati dalla Commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, alla Presidenza del Consiglio o al Ministro della giustizia durante l’iter parlamentare, scritti contenenti criticità e proposte di miglioramento al testo approvato all'unanimità in aula sul 416-ter, in questi giorni evidenziate invece su autorevoli quotidiani;
   quale sia l'utilità di Commissioni di studio che sottraggono magistrati dal loro lavoro giurisdizionale laddove non vi sia un adeguato rapporto, tramite l'Esecutivo, con i soggetti impegnati nella discussione dei provvedimenti in Parlamento. (5-00749)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI, NESCI, COZZOLINO, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO, BARONI, BRESCIA, SIMONE VALENTE, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA, BATTELLI, NUTI, CHIMIENTI, PESCO, BARBANTI, BASILIO, RIZZO, PARENTELA, BRUGNEROTTO, FANTINATI, COMINARDI, RIZZETTO, BALDASSARRE, SPADONI, D'AMBROSIO, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, BONAFEDE, CARINELLI, DI BATTISTA e SPESSOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema dei trasporti calabrese presenta numerose carenze: in particolare il versante ionico registra elevati gradi di congestionamento e di criticità relativamente agli standard qualitativi e di sicurezza dovuti al fatto che la superstrada 106 Jonica rappresenta, di fatto, l'unica arteria stradale per gli spostamenti sulle medie distanze, una strada che viene spesso definita come «strada della morte» data l'alta percentuale di incidenti e scontri che su di essa si verificano, a causa delle sue cattive condizioni;
   la rete ferroviaria calabrese è costituita da 253 chilometri a doppio binario ed elettrificati e da 602 chilometri a binario semplice, dei quali solo 149 chilometri sono elettrificati e, in particolare, la linea ferroviaria Jonica da Taranto a Reggio Calabria è caratterizzata da obsolescenza, bassi livelli di servizio, assenza di servizi dignitosi in termini di treni, orari, frequenze, informazione, assistenza del viaggiatore, treni sovraffollati e scomodi, caratterizzati da scarse condizioni igieniche, tanto che da un monitoraggio effettuato dall'Onf – Osservatorio nazionale federconsumatori sulla velocità di percorrenza delle principali tratte ferroviarie italiane, risulta la seconda tratta più lenta a livello nazionale con un tempo di percorrenza di 7 ore e cinque minuti per percorrere 473 chilometri; in queste condizioni gli utenti sono dissuasi dall'intraprendere un viaggio in treno con ripercussioni negative a livello turistico ed economico;
   a seguito delle scelte politiche e aziendali nazionali e regionali di qualche anno fa sono state isolate tra loro due regioni (la Calabria e la Puglia) passando nel giro di pochi mesi dall'avere quattro treni a lunga percorrenza tra Reggio Calabria e Taranto/Bari/Lecce al non averne più alcuno e, solo nel giugno scorso, è stato ripristinato il treno Reggio Calabria-Taranto; tale treno, che impiega ben sette ore per percorrere circa 470 chilometri, nei primi giorni di funzionamento ha registrato diversi ritardi e guasti tanto da essere sostituito con le littorine regionali, ma, nonostante ciò, la tariffa pagata è rimasta, inspiegabilmente, quella dell'Intercity, a cavallo tra i treni veloci e i regionali;
   negli ultimi anni sono aumentate le iniziative di protesta intraprese dalla società civile per denunciare lo stato drammatico della mobilità pubblica in Calabria, le politiche delle Ferrovie dello Stato che nel Mezzogiorno investono solo il 20 per cento delle risorse, l'immobilità e l'incapacità della classe politica del territorio, e sono aumentate le iniziative di proposta per rivendicare il diritto a servizi ferroviari su standard europei;
   i fatti esposti ad avviso degli interroganti sono gravi da richiedere un intervento urgente per dotare la Calabria di un trasporto ferroviario all'altezza dei tempi, creando così opportunità di sviluppo e di rilancio economico e occupazionale e favorendo il turismo nel nostro Paese; il che significherebbe una più equa distribuzione territoriale delle risorse, considerato che il processo di infrastrutturazione costante e progressivo del resto del Paese il quale prevede, fra le altre cose, la realizzazione in altri territori, di opere costose, spesso poco aderenti alle esigenze delle comunità e a basso impatto sociale, cozza con una politica di abbandono del sistema infrastrutturale della regione Calabria, un sistema in cui ad essere leso è il diritto alla mobilità di migliaia di persone –:
   se i Ministri interrogati condividano l'allarme per lo stato drammatico della mobilità pubblica in Calabria e quali iniziative di sua competenza, a fronte dei fatti esposti in premessa, il Governo intenda adottare nell'immediato. (4-01388)


   PAOLUCCI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 dicembre 2007 la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dei trasporti, il Ministero delle infrastrutture, il Ministero dell'università e della ricerca, il commissariato di governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque in regione Campania, la regione Toscana, la regione Campania, la provincia di Livorno, la provincia di Napoli, l'autorità portuale di Piombino, l'autorità portuale di Napoli, il comune di Piombino, il comune di Napoli, il circondario Val di Cornia e la Bagnolifutura spa firmavano l'Accordo di programma quadro (APQ) «per gli interventi di bonifica negli ambiti marino-costieri presenti all'interno dei Siti di bonifica di interesse nazionale di Piombino e Napoli Bagnoli-Coroglio e per lo sviluppo di Piombino attraverso la realizzazione di nuove infrastrutture;
   per il SIN di Napoli Bagnoli-Coroglio un dettagliato programma di interventi (articolo 3), Prima Fase:
    totale rimozione della colmata e della scogliera di Bagnoli e, previa eliminazione degli hot spot e ricaratterizzazione del materiale caricato sulle bettoline, conferimento dei materiali derivanti a Piombino;
    realizzazione della barriera soffolta in corrispondenza della batimetrica dei 5 metri;
    rimozione, per ragioni di messa in sicurezza di emergenza, dei sedimenti «pericolosi» presenti nello specchio d'acqua entro e oltre la batimetrica dei 5 metri, pari a 27.000 metri cubi, loro detossicizzazione in loco e successivo conferimento dei sedimenti non più «pericolosi», in cassa di colmata;
    rimozione, per ragioni di bonifica, dei 720.000 metri cubi sedimenti «non pericolosi» entro la batimetrica dei 5 metri, al fine di restituire il litorale alla balneazione, e loro conferimento a Piombino;
    ricostituzione dell'arenile antistante l'ex ILVA;
    realizzazione delle opere accessorie per il trasporto del materiale di Bagnoli al sito di Piombino;
   per il SIN di Napoli Bagnoli-Coroglio un dettagliato quadro finanziario con stima dei costi degli interventi relativi (articolo 4):
    alla Prima Fase pari a euro 115.600.000,00;
   per il SIN di Napoli Bagnoli-Coroglio la seguente copertura del complessivo fabbisogno finanziario (articolo 4):
    per gli interventi di Prima Fase:
     Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – Fondo investimenti, cap. 7082: euro 50.000.000,00;
     Articolo 1, commi 415 e 416, della legge 23 dicembre 2005, n. 266: euro 50.000.000,00;
     Regione Campania: euro 15.600.000,00;
   la seguente ripartizione delle competenze (articolo 7):
    interventi del commissariato di governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque in regione Campania nel sito di Napoli Bagnoli-Coroglio:
     eliminazione degli hot spot dalla colmata di Bagnoli e gestione in loco degli stessi;
     rimozione della colmata di Bagnoli e conferimento dei materiali a Piombino con prelievi di campioni sulle bettoline;
     realizzazione della scogliera soffolta in corrispondenza della batimetrica di 5 metri;
     messa in sicurezza d'emergenza, mediante rimozione e trattamento di detossicizzazione in loco e successivo collocamento in cassa di colmata, dei sedimenti «pericolosi» (27.000 metri cubi) presenti nei fondali antistanti la colmata e gli arenili di Bagnoli-Coroglio entro e oltre la batimetrica dei 5 metri;
     asportazione dei sedimenti «non pericolosi» presenti nei fondali antistanti la colmata e gli arenili di Bagnoli-Coroglio, entro la batimetrica dei 5 metri e loro conferimento al sito di Piombino;
     realizzazione delle opere accessorie nell'area di Bagnoli necessarie all'attivazione degli interventi cui ai punti precedenti, stimate in euro 3.000.000,00;
   il vincolo all'attuazione dell'Accordo di programma quadro per tutti i soggetti sottoscrittori (articolo 15);
   durata dello stesso fino al completamento delle opere (articolo 15);
   il commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque in regione Campania per sito di Napoli Bagnoli-Coroglio ha stipulato una convenzione con il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Campania ed il Molise che prevede l'affidamento al provveditorato stesso della funzione di stazione appaltante per le opere di competenza del commissariato stesso;
   il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Campania ed il Molise ha redatto un progetto preliminare che prevede un costo complessivo di circa 175 milioni di euro, ossia superiore alla disponibilità pari 115,6 milioni di euro;
   conseguentemente è stato concordato di procedere suddividendo il progetto in due stralci funzionali così sintetizzabili:
    a) bonifica dei fondali;
    b) rimozione della colmata;
   come riportato dal verbale della conferenza dei servizi decisoria, tenuta presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 30 giugno 2009, il direttore generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «sintetizza le conclusioni della conferenza istruttoria evidenziando che occorre realizzare il progetto per stralci per le seguenti motivazioni:
    insufficienza dei fondi economici;
    opportunità di restituire alla balneazione i tratti bonificati nel più breve tempo possibile;
    mantenimento della colmata durante i lavori del primo stralcio, reso possibile dagli interventi di messa in sicurezza idraulica già attivi sulla colmata, con finalità di utilizzare la colmata per ubicare le opere di stoccaggio provvisorio;
    possibilità di procedere alla rimozione dei materiali allocati sulla colmata, stante la loro bassa contaminazione, con modalità in grado di garantire la piena sicurezza di non contaminare nuovamente le aree bonificate;
   successivamente (gennaio 2010) il provveditorato interregionale ha redatto il progetto definitivo e bandito la gara per la progettazione esecutiva, il coordinamento della sicurezza in fase di progettazione e realizzazione per il lavoro di «rimozione della colmata a mare e bonifica dei fondali dell'area marino costiera del Sito di Interesse Nazionale Bagnoli-Coroglio del Comune di Napoli – primo stralcio Bonifica dei Fondali»;
   in data 12 giugno 2012 la stazione appaltante provvedeva all'aggiudicazione definitiva dell'appalto;
   ad oggi, trascorso un anno dall'aggiudicazione della gara d'appalto, i lavori non sono ancora iniziati –:
   se corrisponda al vero la notizia che una tranche del finanziamento, pari a 50 milioni di euro, sia stata cancellata e che il comune di Piombino, contravvenendo a quanto sottoscritto nell'Accordo di programma quadro, abbia revocato la disponibilità a ricevere i materiali provenienti da Bagnoli;
   se corrisponda al vero che il provveditorato interregionale alle opere pubbliche abbia proceduto alla sospensione delle procedure d'appalto (sottoscrizione del contratto, avvio dei lavori, e altro);
   qualora i fatti sopra esposti risultino confermati, quali iniziative il Governo intenda adottare per restituire alla balneabilità il litorale di Bagnoli, secondo l'accordo di programma sottoscritto nel 2007, e per evitare che l'aggiudicatario definitivo della gara d'appalto possa rivalersi nei confronti della stazione appaltante, provocando un forte danno finanziario. (4-01394)


   SCOTTO, BOCCADUTRI, PIRAS, PILOZZI, FRATOIANNI e COSTANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 27 giugno 1980 un aereo di linea Douglas DC-9 della compagnia aerea italiana Itavia, decollato dall'aeroporto di Bologna e diretto all'aeroporto di Palermo, si squarciò in volo all'improvviso e scomparve in mare presso le isole tirreniche di Ustica e Ponza;
   nell'evento persero la vita tutti gli 81 occupanti dell'aereo;
   molti aspetti di questo disastro, a partire dalle cause stesse, non sono ancora stati chiariti;
   nel febbraio del 2007 l'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, Presidente del Consiglio all'epoca della strage, ha dichiarato che ad abbattere il DC-9 sarebbe stato un missile «a risonanza e non a impatto», lanciato da un velivolo dell’Aéronavale decollato dalla portaerei «Clemenceau» e che furono i servizi segreti italiani ad informare lui e l'allora Ministro dell'interno Giuliano Amato dell'accaduto;
   il 10 settembre 2011, dopo tre anni di dibattimento, una sentenza emessa dal giudice civile Paola Proto Pisani ha condannato i Ministeri della difesa e dei trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di 42 familiari delle vittime della Strage di Ustica;
   alla luce delle informazioni raccolte durante il processo, i due Ministeri sono stati condannati per non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro e per aver ostacolato l'accertamento dei fatti;
   secondo le conclusioni del giudice di Palermo nessuna bomba esplose a bordo del DC-9: l'aereo civile fu abbattuto durante una vera e propria azione di guerra che si svolse nei cieli italiani senza che nessuno degli enti controllori preposti intervenisse; vi furono inoltre secondo la sentenza responsabilità e complicità di soggetti dell'Aeronautica militare italiana che impedirono l'accertamento dei fatti attraverso una innumerevole serie di atti illegali commessi successivamente al disastro;
   il 28 gennaio 2013 la Corte di cassazione, nel respingere i ricorsi dell'avvocatura dello Stato, ha confermato la precedente condanna, sentenziando che il DC-9 Itavia cadde non per un'esplosione interna, bensì a causa di un missile o di una collisione con un aereo militare, essendosi trovato nel mezzo di una vera e propria azione di guerra, e i competenti Ministeri furono dunque condannati a risarcire i familiari delle 81 vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli;
   il maresciallo Giulio Linguante nel 1980 era in forza al reparto del Sios Aeronautica presso l'aeroporto di Bari;
   Linguante fece parte della spedizione inviata la notte del 18 luglio per il recupero sulla Sila di un aereo militare Mig23 libico, ufficialmente caduto il giorno stesso;
   in un'intervista rilasciata al quotidiano on line L'Huffington Post e pubblicata il 27 giugno 2013, il maresciallo Linguante ha dichiarato che il Mig23 si era schiantato contro un costone di roccia a strapiombo su una pietraia, praticamente intatto;
   nel corso del sopralluogo Linguante rilevava che le condizioni del relitto non apparivano compatibili con la dinamica ufficiale dell'incidente, e che l'aereo mostrava dei fori sulla coda tipici dei colpi di cannoncino;
   il maresciallo Linguante ha inoltre dichiarato, come riporta l'edizione on line de L'Unità del 27 giugno 2013, che chi aveva assistito al recupero del corpo del pilota aveva constato un avanzato stato di decomposizione del cadavere, incompatibile con la versione ufficiale che affermava che l'incidente aereo era avvenuto solo poche ore prima;
   sempre nell'intervista rilasciata a L'Huffington Post, Linguante dichiara che «dopo un mese passato in quel posto, mi fu chiaro che quell'aereo non era caduto il giorno in cui avevano detto di averlo ritrovato. Era caduto molto prima, la stessa sera della strage di Ustica, era stato colpito e tutto quello che vedevo davanti ai miei occhi era solo una messinscena»;
   la strage di Ustica è tuttora una vicenda oscura della storia della nostra Repubblica, e merita di essere risolta per rispetto delle vittime innocenti e dei loro familiari che ancora dopo oltre trent'anni attendono giustizia;
   il giudice istruttore Rosario Priore ha scritto che il maresciallo Linguante risulta essere un teste che riferisce «fatti e notizie, mostrando ottima memoria e completo distacco dall'Arma di appartenenza», sottolineando la credibilità delle sue affermazioni in merito allo stato del cadavere del pilota e alle condizioni del relitto, come riportato da L'Huffington Post –:
   se e in che modo il Governo, per quanto di competenza, abbia intenzione di far luce sui fatti dichiarati dal maresciallo Linguante alla stampa e più in generale su quanto avvenuto il 27 giugno 1980 nei cieli di Ustica. (4-01416)


   DALL'OSSO, TACCONI, LOREFICE, CECCONI, LOMBARDI, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, D'AMBROSIO, DIENI, COZZOLINO, DI BENEDETTO e MANLIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la crisi occupazionale ed economica che interessa il nostro Paese ha creato non solo nuova disoccupazione ma ha anche negato eventuali prospettive alle nuove generazioni intese tra i 18 ed i 40 anni di età;
   si è appresa notizia di numerosi giovani che, in assenza di prospettive hanno preferito sia acquisire una maggiore formazione recandosi a studiare all'estero, sia hanno preferito altri luoghi per finalizzare la ricerca di un impiego soddisfacente, affrontando tutte le problematiche relative a quel fenomeno che il nostro Paese ha già vissuto ampiamente nel dopoguerra detto emigrazione;
   le Associazioni riconosciute a livello regionale che si occupano di corregionali all'estero hanno avuto notizia di gruppi giovanili che si stanno organizzando, anche attraverso le nuove modalità via web, al fine di aiutarsi a vicenda e reperire il know how dai soggetti che sono emigrati nel Paese antecedentemente al fine ultimo di evitare di incappare in situazioni di impasse;
   è compito di ogni Paese cercare di evitare l'emigrazione o per lo meno favorire il rientro dei soggetti che abbiano deciso di operare scelte di distacco dai propri affetti e dalle proprie radici –:
   se il Governo abbia monitorato i flussi migratori giovanili degli ultimi ventiquattro mesi;
   come il Governo intenda operare, di concerto con le associazioni dell'emigrazioni delle singole regioni, per far sì che il legame, non solo affettivo, dei giovani e non solo, emigranti venga rinsaldato. (4-01423)


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella frazione di Chiassa Superiore (sita nel comune di Arezzo) si sono verificate due importanti alluvioni in data 5 luglio 2009 e 10 agosto 2009 che hanno creato danni per molti milioni di euro ed indicibili sofferenze alla popolazione residente;
   l'alluvione è stata causata, tra l'altro da un intervento edilizio discutibile che ha deviato il corso del torrente Chiassa, dall'inadeguatezza delle fogne o dal continuo innalzamento del manto stradale che convoglia le acque piovano all'interno delle abitazioni; solo per circostanze fortunate è stata evitata una possibile strage;
   negozi, abitazioni, uffici e scantinati sono stati completamente invasi da acqua e fango; numerose aziende hanno perso documenti e macchinari; sono stati distrutti diversi impianti di riscaldamento, impianti elettrici od idraulici, oltre al danno morale e materiale della perdita dei beni e dei ricordi famigliari; sono stati segnalati anche casi di disabili al 100 per cento che sono rimasti al freddo; gravi danni hanno coinvolto anche la storica chiesa della frazione;
   la popolazione ha portato all'attenzione di tutte le autorità competenti la grave situazione creatasi attraverso una petizione con oltre 500 firmatari e la presentazione di oltre 100 denunce per i danni subiti;
   a distanza di quattro anni, le autorità competenti (in primis il comune) non hanno preso provvedimenti e non è ancora stata concessa alcuna forma di risarcimento, nonostante la grave situazione o il pesante danno economico, che ha superato i 3 milioni di euro;
   neppure ai feriti, di cui non era nota l'esistenza in quanto sembra che il comune non abbia trasmesso le denunce alla regione Toscana, è stato risarcito alcunché, e di fatto è stato così impedito anche qualsiasi intervento regionale;
   nonostante centinaia di segnalazioni di richieste di adeguamento delle fogne obsolete ed inadeguate presentate negli scorsi anni il comune e gli altri enti preposti non sono tuttora intervenuti;
   nessun lavoro di messa in sicurezza è stato fatto e ad oggi le alluvioni si sono ripetute altre due volte;
   i cittadini vivono in uno stato di perenne allerta e ad ogni minima precipitazione devono continuare a convivere con paratie davanti ai negozi ed alle abitazioni;
   la rete fognaria è vecchissima e piccola e senza manutenzione le fogne sono sempre intasate e le case si riempiono di liquami;
   è utile peraltro ricordare che nella frazione della Chiassa nei secoli non ci sono mai state alluvioni di nessun tipo –:
   se il Governo sia a conoscenza delle gravi alluvioni che continuano a colpire la frazione di Chiassa Superiore sita nel comune di Arezzo e se non intenda intervenire quanto prima, nei modi più opportuni, per tutelare la popolazione residente da queste calamità naturali ed evitare che la situazione possa nuovamente ripetersi. (4-01434)


   SEGONI, DAGA, DE ROSA, TOFALO, ZOLEZZI, TERZONI, MANNINO, COZZOLINO e CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (spending review), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 luglio 2012, n. 135, ha previsto una serie di disposizioni e misure per la revisione e l'abbattimento della spesa pubblica, tra le quali la riduzione delle piante organiche di gran parte delle pubbliche amministrazioni in misura non inferiore al 20 per cento degli uffici dirigenziali generali e non generali e, per il personale non dirigenziale, nella misura risultante dalla riduzione non inferiore al 10 per cento della relativa spesa;
   appare evidente che la ratio della norma sia quella di conseguire, attraverso la riduzione delle piante organiche, risparmi sulla spesa per le retribuzioni del personale pubblico e concorrere, quindi, all'obiettivo generale di revisione ed abbattimento della spesa pubblica;
   alla data del 31 ottobre 2012 risultavano emanati i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri concernenti dette riduzioni di pianta organica;
   nei giorni immediatamente precedenti e successivi al 31 ottobre 2012 si sono succedute numerose notizie a mezzo stampa sugli esuberi nella pubblica amministrazione e sulla loro eventuale ricollocazione;
   non è apparso sufficientemente chiaro se e sino a che punto l'applicazione di detti provvedimenti abbia consentito l'effettivo conseguimento degli obiettivi che l'Esecutivo si era prefissato in termini di riduzione della spesa per le retribuzioni del personale della pubblica amministrazione;
   l'applicazione della cosiddetta spending review alla spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione sembrerebbe non essere stata caratterizzata dalla necessaria omogeneità nei diversi enti ed amministrazioni pubbliche, specie di piccole dimensioni quali le autorità di bacino nazionali presiedute dal Ministro dell'ambiente, generando effetti paradossali quali l'aumento della retribuzione del personale dirigenziale in servizio senza quindi conseguire alcun risparmio rispetto alla spesa ante applicazione delle disposizioni previste dalla norma in testa citata –:
   se ritengano necessario chiarire come l'applicazione della spending review alla spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione) abbia contribuito al conseguimento del generale obiettivo di revisione ed abbattimento della spesa pubblica previsto al decreto-legge n. 95 del 2012;
   se ritengano necessario accertare che le disposizioni volte alla riduzione della spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione abbiano avuto omogenea applicazione negli enti e nelle amministrazioni destinatari e senza generare effetti paradossali come quello narrato in premessa. (4-01438)


   POLVERINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da troppo tempo le campagne del territorio del comune di Giugliano in Campania, insieme a quelle di molti altri comuni dell'area a Nord di Napoli, sono oggetto di uno sconsiderato e criminale abbandono di rifiuti di ogni genere, anche tossici, come lastre di amianto, copertoni, scarti tessili, residui di vernici;
   tali rifiuti vengono quotidianamente dati alle fiamme, usati anche come letto di combustione per sciogliere la plastica che avvolge i fili elettrici di rame, o altro materiale plastico, per recuperarne poi il residuo ferroso successivamente venduto;
   dalla stessa relazione del Prefetto di Napoli, sull'esito degli accertamenti ispettivi volti a verificare la sussistenza dei presupposti per l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 143, del decreto legislativo n. 267 del 2000, inviata al Ministero dell'interno, con nota Prot. n. 21647/Area II/EE.LL. del 5 aprile 2013, si evince che: «Il territorio del Comune di Giugliano in Campania è ricompreso, inoltre, nella c.d. “terra dei fuochi”, una vasta area della provincia di Napoli, che abbraccia, tra l'altro, i comuni di Qualiano, Villaricca e Giugliano, caratterizzata dallo sversamento illegale di rifiuti, anche tossici, da parte della camorra. In molti casi, i cumuli di rifiuti, illegalmente riversati nelle campagne, o ai margini delle strade, vengono incendiati dando luogo a roghi i cui fumi diffondono sostanze tossiche nell'atmosfera e nelle terre circostanti»;
   i recenti dati dell'Istituto per i tumori Pascale di Napoli hanno dimostrato che tale fenomeno sta lentamente ammalando la popolazione;
   le esalazioni di tali roghi tossici e l'odore acre e nauseabondo che essi sprigionano rendono l'aria irrespirabile, costringendo la popolazione a barricarsi in casa, specialmente nelle sere d'estate, con l'impossibilità anche di usufruire dei condizionatori, usando i quali entrerebbe nelle abitazioni ulteriore aria irrespirabile, rendendo così le notti insonni ed infuocate, con danni alla popolazione di natura anche psichica, oltre che fisica;
   le aree in cui avvengono i roghi tossici, che per quanto riguarda la città di Giugliano, riguardano in particolare la zona ASI, quella limitrofa l'ex discarica consortile di via Santa Maria a Cubito, la località Casacelle, via Santa Caterina da Siena, a poca distanza dal centro cittadino, via Madonna del Pantano e via Vicinale Recapito (nei pressi dell’ex Cava Micillo) a Varcaturo e la località Pacchianella, a Lago Patria, non sono state delimitate, né i proprietari sono stati invitati a farlo;
   devono essere intensificati i controlli da parte delle forze dell'ordine, di concerto con le varie polizie locali in tutta l'area interessata, al fine di contrastare realmente anche fenomeni connessi quali lo smaltimento illegale dei pneumatici o il commercio di parti metalliche di cavi elettrici e telefonici, spesso di provenienza illecita;
   le aree caratterizzate da terreni contaminati perché limitrofi a molte discariche di rifiuti, in particolar modo tossici come quelli attigui alla discarica RESIT di Giugliano, vengono tutt'ora utilizzati per le coltivazioni di ortofrutta, che poi data anche la non tracciabilità degli stessi prodotti agricoli finiscono, inconsapevolmente, sulle nostre tavole;
   un reale contrasto di questo fenomeno, non può e non deve essere rilegato ad una questione locale, rappresentando, bensì, un problema nazionale, data l'origine dei rifiuti sepolti in questo territorio, provenienti da industrie che preferiscono collaborare con le organizzazioni criminali piuttosto che con chi lavora onestamente, ed il fatto che la salvaguardia dell'ambiente è un tema di vitale importanza per la stessa coesione nazionale –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire:
    un maggior controllo del territorio Giuglianese, anche con l'ausilio dell'Esercito, per coadiuvare le forze dell'ordine già lodevolmente impegnate, al fine di debellare definitivamente il fenomeno dei roghi di rifiuti tossici;
    l'istituzione di una No Food Zone in quei terreni contaminati dai rifiuti tossici, delimitando le zone in cui non possono prodursi prodotti agricoli commestibili prevedendo, nel contempo, adeguati indennizzi per gli agricoltori. (4-01454)


   MASSIMILIANO BERNINI, BUSTO, DAGA, BENEDETTI, GAGNARLI, TOFALO, PARENTELA, CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI e LUPO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il bacino del lago di Vico è un importante complesso naturalistico e ambientale, costituito riserva naturale parziale dal 1982 con la legge regionale n. 47 del 28 settembre 1982;
   sulle sponde del lago si trova la cosiddetta Chemical City, un magazzino di materiali difesa NBC (nucleare, batteriologico e chimico) oggetto di fuga di elementi nocivi nonché di diverse bonifiche; in passato, infatti, si sono verificati incidenti che hanno causato la dispersione di alcune delle sostanze chimiche contenute nel sito militare;
   l'esistenza della Chemical City è rimasta per decenni nascosta, mentre, di fatto si tratta di uno dei più importanti bunker risalente addirittura al periodo fascista di conservazione, caricamento e scaricamento di armi chimiche: iprite mescolata ad arsenico, fosgene;
   le acque del lago sono utilizzate dagli abitanti dei comuni limitrofi per l'uso potabile e sanitario e associazioni quali ISDE e Legambiente hanno più volte segnalato agli enti preposti lo stato di degrado in cui versa attualmente il lago;
   è evidente che tale situazione potrebbe determinare (se non ha già determinato), nel medio e lungo periodo, gravi problemi sia per la salute umana che per l'ambiente;
   diversi studi sulle acque del lago hanno dimostrato che la concentrazione di metalli pesanti e altre sostanze chimiche nelle acque e nel terreno del sito del lago di Vico è al di sopra del livello di guardia –:
   se intendano fornire l'elenco completo di tutte le bonifiche fino ad oggi effettuate nell'area dell'oasi ecologica del lago di Vico, completo dei bandi di gara laddove ce ne siano stati e dei capitoli di spesa riguardanti costi sostenuti e stanziamenti totali, le bonifiche ancora da effettuare e come si intende procedere;
   se intendano fornire l'elenco completo di tutte le sostanze chimiche presenti, non più presenti e che hanno transitato anche per un periodo limitato all'interno della così detta Chemical City e il loro grado di pericolosità per la salute umana e per l'ambiente, nonché i dati completi circa le incidenze di malattie e patologie causate dall'esposizione umana alle sostanze presenti all'interno della Chemical City, degli abitanti dei comuni limitrofi e che usufruiscono delle acque del lago di Vico per uso potabile e sanitario ed una comparazione di questi dati con l'incidenza media nazionale delle stesse malattie e patologie;
   se siano a conoscenza di episodi relativi a versamenti di una qualunque delle sostanze contenute all'interno del sito militare;
   se vi siano o vi siano stati canali di scolo che dal sito militare immettevano o immettono acque di scarico di qualunque tipo all'interno del lago e se in qualche caso fortuito queste acque siano state contaminate da una qualunque delle sostanze contenute all'interno del sito militare;
   se siano in grado di valutare il grado di incidenza che abbia avuto il ruolo del magazzino materiali difesa NBC nei valori di metalli pesanti presenti nel sito del lago di Vico e come si intenda procedere per una bonifica dell'intera area naturalistica;
   se siano in grado di valutare il rischio per la salute umana non in base alla pericolosità singola di ogni sostanza chimica dispersa nella zona, ma tenendo in considerazione più recenti studi internazionali riguardo l'effetto cocktail di sostanze chimiche che, anche se assunte singolarmente in quantità entro i limiti, risultino nocive per la salute umana a causa del suddetto effetto;
   se intendano mettere gli interroganti a conoscenza dei risultati per quel che riguarda i possibili danni alla fauna o alla flora causati dalla possibile dispersione nella zona di sostanze chimiche o radioattive e qualora suddetti studi non siano mai stati effettuati, di programmare ricerche urgenti in tal senso;
   se esistano segreti di Stato o militari riguardo le attività svolte all'interno della Chemical City ed eventualmente se intendano rimuovere quelli che riguardano possibili conflitti con l'articolo 32 della Costituzione. (4-01455)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel tentativo di uscire dalla cronica situazione emergenziale relativa alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti, perdurante nel territorio della regione Campania dal 1994, le discariche in esercizio, fino ad allora interamente amministrate da privati, furono requisite e affidate in gestione temporanea all'ENEA;
   per i circa 400 addetti che lavoravano nelle discariche, la legge 608 del 1996 prevedeva il reimpiego nei nuovi impianti utilizzati per lo smaltimento;
   nello stesso anno venne poi predisposto il nuovo piano regionale dei rifiuti che assicurava il passaggio dal sistema di raccolta in vigore a quello differenziato degli RR.SS.UU. e da quello dello smaltimento in discarica a quello degli impianti definitivi;
   a tal proposito, nel 1999 venne elaborato e promulgato il bando per la raccolta differenziata, con l'assunzione di 2000 addetti nei consorzi di bacino della regione Campania e nel 2001 entrarono in esercizio gli impianti di produzione combustibile da rifiuto (CDR);
   in tale occasione, però, anziché assorbire parte dei 2400 lavoratori dei Consorzi, vennero effettuate nuove assunzioni;
   la successiva legge 87 del 2007, a tutt'oggi non caducata, all'articolo 4 prevedeva che i Comuni della regione Campania, per lo svolgimento del servizio di raccolta differenziata, dovevano avvalersi in via esclusiva dei consorzi di bacino, i quali dovevano utilizzare, per tale attività, i lavoratori assegnati in base all'ordinanza del Ministero dell'interno, delegato al coordinamento della protezione civile, n. 2948 del 25 febbraio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 2 marzo 1999;
   molti comuni non hanno rispettato quanto disposto dalla citata legge e, anche alla scadenza naturale dei contratti in essere, piuttosto che affidare i servizi ai consorzi hanno preferito bandire nuove gare di appalto, affidando il servizio ai privati che, a loro volta, hanno effettuato nuove assunzioni di personale locale in danno dei lavoratori dei Consorzi;
   ancora oggi nella solo provincia di Napoli ben oltre novanta comuni non hanno affidato il servizio al consorzio, né hanno provveduto ad impiegare i lavoratori di cui alla richiamata ordinanza 2948. E tanto, ovviamente, ha comportato mancati introiti ai consorzi, con relativo danno erariale da parte dei comuni, sanzionabile dalla Corte dei conti;
   con il decreto-legge del 30 dicembre 2009 (legge 26 febbraio 2010, n. 26) fu dichiarata la fine dell'emergenza rifiuti, stabilendosi espressamente che per i dipendenti dei consorzi fossero utilizzati gli ammortizzatori sociali, fossero attivate misure di politica attiva e si disegnassero norme per la riassunzione;
   l'articolo 13 del decreto-legge, infatti, prevedeva espressamente che «Il consorzio provvede alla copertura dei posti previsti dalla dotazione organica, mediante assunzioni, anche in sovrannumero con riassorbimento, del personale in servizio ed assunto presso gli stessi consorzi fino alla data del 31 dicembre 2008» e che «al personale dei consorzi di cui al presente articolo che risulta in esubero rispetto alla dotazione organica si applicano le disposizioni in materia di ammortizzatori sociali in deroga all'articolo 2, comma 36, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, e successive modificazioni, proroghe e integrazioni, ferma restando l'attivazione di misure di politica attiva, anche in applicazione dell'accordo fra Governo, regioni e province autonome del 12 febbraio 2009»;
   con lo stesso provvedimento, il Governo stabiliva, pertanto, che fosse approvata anche una pianta organica, che qualche mese dopo individuò 424 esuberi all'interno del consorzio unico (formato dall'unione dei consorzi della provincia di Napoli e Caserta), ma la norma è rimasta lettera morta;
   nonostante l'emergenza dei rifiuti sia stata dichiarata superata, sarebbe, quindi, un grave errore morale, ancor prima che politico, pensare che ciò sia vero;
   dal 2001 ad oggi le varie gestioni commissariali hanno operato esclusivamente per togliere i rifiuti dalle strade, senza però assolvere agli obblighi relativi alla costruzione della impiantistica di supporto alla raccolta differenziata, quali impianti di compostaggio per la frazione organica, isole ecologiche, impianti di selezione e recupero dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata e dalla impiantistica per lo smaltimento finale;
   la rete impiantistica di supporto alla raccolta differenziata è, infatti, ancora inesistente e mancano i piani industriali delle province, necessari alla organizzazione di un ciclo integrato dei rifiuti che consenta ai cittadini della Campania di vivere in maniera dignitosa e di pagare tariffe dei rifiuti omogenee;
   come riportato dagli organi di stampa, molti comuni avrebbero agito in violazione delle normative regionali e nazionali, svincolandosi dai consorzi senza assorbirne quote di personale;
   ciò è confermato dal fatto che nei giorni scorsi il commissario liquidatore Lorenzo Di Domenico avrebbe denunciato una quarantina di comuni delle province di Napoli e Caserta alla procura della Repubblica;
   il perdurare di tale situazione ha generato quella assurda, quanto criminosa, truffa ai danni dei cittadini contribuenti e dei lavoratori del settore, principalmente quelli alle dipendenze dei consorzi di bacino della regione Campania;
   la problematica è diventata ormai insostenibile, come ho già avuto modo di denunciare in più occasioni, a causa dei ritardi e delle morosità dei comuni che, pur riscuotendo regolarmente ieri la TARSU, oggi la TARES, non pagano i canoni del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento ai consorzi a utilizzano questi soldi in maniera irresponsabile, per feste e sagre;
   si tratta di un colossale paradosso se si pensa che da un lato c’è ancora il sistema della tassa sui rifiuti, salatissima, che dovrebbe rappresentare per i cittadini un elemento fondamentale per pretendere che si applichi la raccolta differenziata e dall'altro lato un enorme numero di onesti e capaci lavoratori, alle dipendenze dei consorzi di bacino e delle loro società partecipate, da mesi non ricevono lo stipendio, pur continuando a garantire il servizio;
   come se ciò non bastasse, il ciclo integrato dei rifiuti sarebbe stato riaffidato proprio a molti di quei sindaci della Campania che non avrebbero pagato i canoni del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento;
   nonostante le rassicurazioni ottenute, ad oggi la vicenda non ha ancora visto alcun esito e spesso le proteste dei lavoratori che manifestano per chiedere le retribuzioni da mesi non percepite e maggiore sicurezza sul loro futuro lavorativo sono sfociate in gesti estremi, dettati dalla disperazione e dall'esasperazione dei tanti cassintegrati –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità della inadempienza dei Comuni e, quali provvedimenti urgenti ritengano opportuno adottare, a favore dei lavoratori, per dare loro garanzia immediata degli stipendi e dei posti di lavoro secondo quanto disposto dall'articolo 13 della legge n. 26 del 2010. (4-01465)


   CARRA, GRASSI e BORGHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2013 l'agenzia di stampa Ansa ha pubblicato una inchiesta condotta in collaborazione con il sito www.vuotoaperdere.org nella quale si dà conto di alcune novità legate al caso Moro;
   in particolare, una testimonianza molto importante di Vitantonio Raso, il giovane antisabotatore che arrivò per primo in via Caetani, consente di rivedere gli orari dei fatti accaduti la mattina del 9 maggio, prima della telefonata delle Brigate rosse, giunta alla 12.13 a casa del collaboratore del presidente della DC, Nicola Tritto, con la quale Valerio Morucci avvertiva che il cadavere di Aldo Moro era stato lasciato all'interno dell'auto parcheggiata in quella via situata nel centro storico della capitale;
   Vitantonio Raso rivela oggi che la sua opera fu richiesta ben prima dell'ora di quella telefonata, divenuta poi tristemente famosa, e cioè alle ore 11 di quella mattina, e che lui arrivò davanti alla R4 amaranto in via Caetani poco dopo quell'ora;
   in un suo recente libro («La bomba umana») Raso aveva lasciato indeterminata la questione degli orari che ora, tuttavia, chiarisce dopo 35 anni con il giornalista Paolo Cucchiarelli e lo scrittore Manlio Castronuovo, spiegando anche che l'allora Ministro dell'interno, Francesco Cossiga, e un certo numero di alti funzionari assistettero, ben prima delle famose riprese televisive di Gbr, girate a cavallo delle 14, alla prima identificazione del corpo fatta proprio da Raso;
   l'inchiesta riferisce anche di una testimonianza dell'esponente socialista Claudio Signorile il quale si trovava nello studio del Ministro dell'interno Cossiga proprio la mattina del 9 maggio e lì arrivò una telefonata dal capo della polizia Parlato che annunciò a Cossiga l'uccisione di Aldo Moro, secondo Signorile l'episodio si verificò tra le 10 e le 11, ben prima della telefonata brigatista;
   dopo la pubblicazione dell'inchiesta, la procura di Roma ha aperto un fascicolo per valutare il valore investigativo della testimonianza di Raso;
   esistono tuttora molti documenti relativi al Caso Moro non disponibili perché secretati. In particolare quattro di essi – appunto: foglio manoscritto con note informative e mappa della zona di via Caetani, 11 maggio 1978; lettera: primo distretto di polizia al questore di Roma, 11 maggio 1978; fonogramma: ispettorato generale di pubblica sicurezza presso il Quirinale al Capo di Gabinetto del Ministero dell'interno, al capo della Polizia, al prefetto e al questore di Roma, 12 maggio 1978; appunto: informativa su una telefonata anonima ricevuta dal capo della Polizia, 12 maggio 1978 – potrebbero essere utili agli inquirenti romani per lo svolgimento dell'inchiesta in corso;
   il presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino, in una famosa intervista al settimanale Panorama (13 marzo 2008), parlò dell'esistenza di 27 faldoni relativi al caso Moro custoditi presso la «Segreteria speciale del Ministero dell'interno», di 60 faldoni che, pur non riferendosi direttamente al caso Moro, potrebbero tuttavia contenere atti di interesse: 22 faldoni sono riferiti a «Brigate rosse», 9 ad attentati, risoluzioni e sequestri di carteggio nei loro covi, 22 ad «Autonomia operaia», 7 a «Unione comunisti combattenti» e «Partito comunista combattente», e di altri 24 faldoni inerenti il rapimento e l'uccisione di Moro archiviati dal Servizio segreto civile (l'allora Sisde) –:
   se non intenda contribuire alla ricostruzione della verità con una grande operazione di trasparenza provvedendo a desecretare, per quanto di competenza, tutti gli atti esistenti relativi al caso Moro.
(4-01468)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta orale:


   TIDEI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 23 dicembre 2010 è entrata in vigore la Convenzione internazionale per la protezione dalle sparizioni forzate (International Convention for the Protection of All Persons from Enforced Disappearance), adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006. La Convenzione è stata aperta alla firma il 6 febbraio 2007 a Parigi e ha raccolto sinora 92 sottoscrizioni;
   l'Italia ha aderito alla Convenzione il 3 luglio 2007, ma non l'ha ancora ratificata, mentre già altri 39 Paesi hanno proceduto alla ratifica, tra cui, in Europa, Spagna, Francia, Germania, Olanda e Austria;
   la Convenzione ha colmato una lacuna del diritto internazionale ed è stata giudicata da molti giuristi come uno dei più efficaci strumenti in materia di diritti umani mai adottati dall'Onu. È infatti una delle nove Convenzioni centrali dell'ONU sulla protezione dei diritti dell'uomo e prevede per gli stati Parte l'espresso divieto di effettuare «sparizioni forzate», di garantire il diritto alla riparazione per le vittime di tale reato, di istituire garanzie rigorose a tutela delle persone private della libertà, compreso il divieto assoluto di detenzione segreta, di istituire in seno alle Nazione Unite un comitato di esperti col compito di controllare l'applicazione della Convenzione e di intraprendere azioni sui casi individuali;
   la sparizione forzata è stata riconosciuta crimine contro l'umanità dall'articolo 7 dello statuto di Roma del 17 luglio 1998 per la costituzione del Tribunale Penale Internazionale e dalla risoluzione delle Nazioni Unite numero 47/133 del 18 dicembre 1992;
   il fenomeno delle sparizioni forzate è universale e «ferisce» non soltanto le vittime dirette ma anche le loro famiglie, gli amici e l'intera società; al gruppo di lavoro competente delle Nazioni Unite per la lotta contro la sparizione forzata, attivo dal 1980, sono stati sottoposti oltre 52.000 casi accaduti in 90 Paesi. Fino ad oggi più di 42.000 non sono stati chiariti;
   la ratio della convenzione rispecchia la convinzione dell'Italia che si debba fare tutto il possibile per impedire questo grave crimine; l'ordinamento giuridico italiano risulta già conforme in molti punti agli obblighi sanciti dalla convenzione, ma richiede alcune modifiche di legge perché sia applicata integralmente, tra cui la creazione di un nuovo reato che sanzioni la sparizione forzata come fattispecie a sé stante;
   come illustrato nella relazione tecnica al disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione depositato dall'interrogante in Parlamento il 18 luglio 2013, l'entrata in vigore del nuovo accordo non comporta oneri finanziari, non prevede oneri organizzativi a carico di regioni o enti locali, né organizzativi e burocratici a carico dei cittadini e delle imprese –:
   per quali ragioni il Governo non sia ancora pervenuto alla presentazione di un disegno di legge recante ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la protezione dalle sparizioni forzate, firmata dall'Italia oltre 6 anni fa e se intenda farlo prima della fine di quest'anno. (3-00234)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 agosto 2009 il giovane connazionale Carlo Anselmi morì tragicamente a Cuba, durante una vacanza;
   la vicenda, tuttora poco chiara nonostante siano passati oramai 4 anni, nel suo approccio da parte dell'ambasciata e del Corpo consolare risulta essere sconcertante per i modi ed i tempi;
   il padre del ragazzo, signor Agostino Anselmi, ha intrattenuto, anche per mezzo del sindaco di Seregno (Monza Brianza), una fitta corrispondenza con l'ambasciata e con il consolato italiano di Cuba, dai quali non vengono date risposte soddisfacenti ma solo evasive e ripetitive;
   numerose missive sono state inviate anche al Ministero degli affari esteri, anche all'attenzione dell'unità di crisi, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, alla Presidenza della Repubblica; anche in questi casi, le risposte non sono esaustive;
   in particolare, il sindaco di Seregno ha inviato ben 154 lettere alle più alte cariche dello Stato per ricevere adeguate informazioni sulla vicenda; lo stesso Agostino Anselmi ha inviato più di 50 mail e lettere al Ministero degli affari esteri;
   con i suoi scritti, l'ambasciatore Marco Baccin conferma di fatto, quella che all'interrogante appare la totale negligenza dell'ambasciata e del consolato;
   infatti, vi sono, in questa vicenda, alcuni risvolti resi noti dal padre della vittima incredibili ed incresciosi quali ad esempio: la circostanza che il padre di Carlo Anselmi sia stato malmenato per essersi opposto al fatto che il figlio venisse posto in una bara già utilizzata, prelevando un'altra persona deceduta che già la occupava; la mancata consegna dei documenti ospedalieri dopo aver preteso sotto ricatto il pagamento di 22.000 USD per i «servizi» a favore del figlio, poi deceduto; la detenzione in prigione di un amico del figlio per aver effettuato una foto dell'ingresso dell'ospedale; l'asportazione di organi del deceduto senza autorizzazione, fatto che per il CTU della procura di Monza è vietato (come evidenziato nella relazione di consulenza tecnica collegiale medico-legale del 29 maggio 2010 che riporta: «la scelta da parte degli stessi di prelevare la totalità degli organi e delle strutture... risulta in prima istanza priva di giustificazione e non comune alla comune pratica settoria ed ai protocolli previsti in casi consimili, non solo nel nostro paese»); l'autopsia ad insaputa del padre e senza che l'ambasciata avesse trasmesso la sua richiesta di partecipazione di un medico anche locale ma di sua nomina; l'avvio di un indagine di polizia i cui risultati sono tuttora ignoti;
   l'ospedale di Santa Clara, nel quale era stato ricoverato Carlo Anselmi, non presentava nessuna garanzia di igiene ed efficienza; il nosocomio, oltre a mancare di attrezzature, era infetto e vi era presenza di topi e di sporcizia (come dimostrano le foto scattate e consegnate in procura);
   sul sito del Ministero degli affari esteri, alla voce unità di crisi, si legge l'elenco delle prestazioni il Ministero dovrebbe effettuare a favore degli italiani all'estero in condizioni di difficoltà: «Quando è possibile, l'unità di Crisi agisce direttamente con i mezzi a disposizione. Effettua diagnosi attraverso la telemedicina mobile, si occupa del rimpatrio di un malato in pericolo di vita, del coordinamento delle rappresentanze diplomatico-consolari nelle prime fasi dell'emergenza» (non il giorno 11 agosto 2009 dopo 9 giorni dal ricovero);
   si legge inoltre che: «le Rappresentanze diplomatico-consolari si assicurano che i cittadini ricevano adeguati trattamenti medici in loco, che vengano debitamente informati i familiari e che venga fornita ogni possibile assistenza in caso di necessità di trasferimento in Italia»;
   tutto ciò non è stato effettuato in alcun modo;
   ad avviso dell'interrogante la negligenza e l'approssimazione del consolato italiano a Cuba ha concorso pesantemente quale elemento di causa della morte di Carlo Anselmi –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questi fatti e se non intenda intervenire per far luce su questa gravissima vicenda e per prestare tutte le informazioni necessarie ai famigliari della vittima;
   se non ravvisi disfunzioni e negligenze del consolato italiano a Cuba.
(4-01441)


   SCOTTO e DURANTI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Isaias Afewerki è stato il primo Presidente dell'Eritrea dopo la lotta di liberazione, dell'ex colonia italiana, contro l'Etiopia terminata nel 1991;
   due anni dopo, la sua carica è stata confermata dall'assemblea nazionale eritrea e da allora non vi sono state più elezioni;
   nel 2009 il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha varato una serie di sanzioni contro il Governo eritreo, accusato di minacciare la sicurezza nazionale dello Stato di Gibuti e inoltre alimentare la guerriglia islamica in Somalia, dove tra i suoi referenti ci sarebbero i «signori della guerra», Ahmed Nuur, uno dei leader degli Al-Shabaab fondamentalisti, e Abdi Wal, coinvolto nelle attività di pirateria e nelle rappresaglie contro i caschi blu;
   in queste settimane un dossier a cura di ispettori delle Nazioni Unite ha accusato il regime eritreo di fornire tuttora sostegno ai miliziani e di aver allargato la sua rete d'influenza fino allo Stato dello Yemen, dell'Uganda e del Sudan;
   sempre secondo questo dossier l’intelligence del Governo di Asmara terrebbe anche le fila delle forniture di armi per i ribelli che si oppongono al neo Stato del Sud Sudan e per la resistenza in Ogaden contro l'Etiopia;
   questo «sistema» ha il suo centro nevralgico nella struttura chiamata «Dipartimento dei garage governativi», ad Asha Golgol, a nove chilometri dall'aeroporto internazionale di Asmara, che opera sotto la diretta supervisione di Afewerki e che in verità dovrebbe occuparsi di revisionare i veicoli statali, inclusi i trattori per l'agricoltura e gli autobus pubblici;
   secondo il dossier dell'Onu, in realtà, le officine del «Dipartimento dei garage governativi» servono soprattutto ad importare mezzi per l'esercito sfruttando la zona d'ombra del dual-use, ovvero il doppio uso civile e militare;
   già in passato in questo «sistema» erano risultati coinvolti italiani: in particolare, nel 2009 il consigliere regionale lombardo dell'allora partito di Alleanza Nazionale Pier Giorgio Prosperini veniva arrestato anche con l'accusa di avere venduto all'Eritrea visori notturni e silenziatori per fucili fatti passare come armi da caccia, oltre ad aver intascato una tangente di circa 230.000 euro;
   ora, secondo il dossier curato dal gruppo di monitoraggio della situazione somala ed eritrea delle Nazioni Unite, sarebbe Gianluca Battistini, considerato il principale collaboratore del colonnello Weldu, ad avere un ruolo chiave nella vicenda e ad essere la mente delle violazioni dell'embargo internazionale cui il regime eritreo è sottoposto dal 2009;
   Battistini è un uomo d'affari che opera tra Cesena, Dubai ed Asmara e che avrebbe avuto cariche in numerose società italiane, alcune delle quali registrate come fornitori di macchine agricole;
   proprio l'agricoltura secondo gli ispettori dell'Onu viene usata dal regime eritreo come copertura per importare materiali destinati agli armamenti, e grazie al Battistini il colonnello Weldu si sarebbe potuto procurare mezzi fondamentali per l'armata eritrea, inclusa una nave;
   lo stesso uomo d'affari italiano avrebbe anche sponsorizzato l'addestramento di una squadra di tecnici del regime eritreo, avvenuta a Palermo;
   l'attenzione degli ispettori delle Nazioni Unite si è concentrata sulle officine Piccini di Perugia, che avrebbero venduto equipaggiamenti al colonnello Weldu e manterrebbero legami diretti con il Presidente Afewerki in persona;
   le officine Piccini sono parte di un gruppo con seimila dipendenti che ha filiali in tutti i continenti e che si occupa di edilizia, grandi opere e macchine per cantieri;
   secondo gli ispettori uno degli azionisti delle officine Piccini è stato sotto inchiesta in Svizzera per riciclaggio di danaro, e la società umbra risulterebbe essere uno degli sponsor dell'istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo (Isiamed), che a sua volta promuove una serie di associazioni di cui fanno parte parlamentari, uomini d'affari e diplomatici;
   una delle associazioni affiliate all'Isiamed, l'Associazione parlamentare di amicizia Italia-Corea del Nord, presieduta dall'ex deputato Osvaldo Napoli, ha effettuato una visita nel dicembre 2012 al regime di Pyongyang;
   nel gruppo legato all'Associazione parlamentare di amicizia Italia-Corea del Nord che si era recato nel 2012 a Pyongyang vi era anche l'allora Ministro per lo sviluppo economico Paolo Romani, il cui dicastero era anche responsabile delle autorizzazioni per l'esportazione di programmi dual-use;
   proprio un'azienda statale della Corea del Nord, la Green Pine Associated Corporation, avrebbe a sua volta dato il principale contributo ai piani di riarmo della dittatura eritrea proprio attraverso il meccanismo del dual-use;
   la Green Pine Associated Corporation esporta, tra l'altro, Kalashnikov e componenti per missili balistici, e il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha proposto un anno fa di prendere provvedimenti contro tale azienda;
   nell'agosto del 2010 i funzionari della Green Pine Associated Corporation hanno incontrato il colonnello Weldu ed il presidente etiope Afewerki, e, secondo il dossier stilato dagli ispettori delle Nazioni Unite, stando ai testimoni di tale incontro era presente anche il dottor Battistini;
   gli ispettori dell'Onu hanno, inoltre, individuato due elicotteri italiani montati e messi a punto da tecnici del nostro Paese, il primo importato nell'ottobre 2010 per compiti di osservazione mineraria e ripartito nell'aprile 2012, mentre il secondo attivo nell'autunno 2012;
   questa vicenda sarebbe stata ricostruita in seguito alla testimonianza di alcuni disertori, che avrebbero raccontato come questo non sia stato l'unico caso di velivoli arrivati per scopi civili e poi utilizzati dalle forze armate;
   il «sistema» utilizzato dal regime eritreo per finanziare queste operazioni è parzialmente coperto dagli introiti garantiti dai numerosi giacimenti di oro, argento, rame, zinco ed altri minerali concessi a ventuno società straniere;
   altra fonte di guadagno per il regime eritreo risulta essere, secondo il dossier delle Nazioni Unite, un versamento annuale cui obbliga i suoi emigranti, chiamato «tassa del 2 per cento»;
   a chi non paga questa gabella, già denunciata dall'Onu nel 2011 perché considerata forma di estorsione, viene negato il rinnovo del passaporto o la possibilità di mandare soldi a casa;
   secondo fonti dell'Onu la discussione del rapporto davanti al Consiglio di sicurezza ha rischiato di slittare a causa delle pressioni fatte da Russia, Cina e Italia;
   gli ispettori dell'Onu affermano con durezza che il nostro Governo non ha mai fornito informazioni sul tipo di velivoli e sulle società coinvolte nelle forniture al Governo dell'Eritrea;
   l'11 luglio 2013 il nostro ambasciatore presso le Nazioni Unite, Cesare Maria Ragaglini, ha respinto le critiche degli ispettori scrivendo una lettera in cui affermava che l'Italia: non ha «autorizzato alcuna esportazione di armi o materiali correlati o di materiali dual-use», e che «non ci sono prove di qualsiasi assistenza militare dall'Italia che sostengano le accuse non documentate degli ispettori»;
   mentre il Canada e la Germania hanno posto in essere passi ufficiali nei confronti delle rappresentanze diplomatiche dell'Eritrea, predisponendo l'espulsione di un console, a causa delle vessazioni subite dai cittadini eritrei emigrati altri Paesi occidentali hanno promesso di prendere misure, senza però giungere a nessun atto concreto, e tra questi c’è anche il Governo italiano;
   in Italia diversi cittadini eritrei hanno denunciato questa «misura coercitiva» della «tassa del 2 per cento», venendo sistematicamente ignorati dalla Polizia di Stato con la motivazione che «non c’è nulla da fare»;
   al rapporto Onu è allegata anche una ricevuta del consolato eritreo di Milano che certifica un versamento cash 204 euro sotto la voce «tassa del 2 per cento», datata 31 marzo 2013 –:
   se i Ministri interrogati per quanto di competenza, siano a conoscenza dei fatti descritti, e in caso affermativo quali misure sono state poste in essere per verificare la veridicità;
   se corrisponda al vero quanto risulta da fonti dell'Onu che l'Italia avrebbe fatto pressioni affinché la discussione del suddetto rapporto innanzi al Consiglio di sicurezza dell'ONU slittasse, e in caso affermativo quali sono state le motivazioni diplomatiche che hanno portato a prendere tale decisione;
   quali misure si intendano assumere nei confronti delle aziende che utilizzando ambiguo meccanismo del dual-use, forniscono armamenti al regime eritreo scavalcando l'embargo internazionale cui esso è sottoposto;
   per quale motivo il Governo italiano non abbia fornito informazioni agli ispettori delle Nazioni Unite sui tipi di velivolo e sulle società coinvolte nell'esportazione al Governo dell'Eritrea;
   se tra le società concessionarie delle miniere eritree vi siano anche compagnie italiane. (4-01447)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO e BASSO. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 6 giugno 2011 in un incidente stradale in Francia, ha perso la vita il cittadino italiano Stefano Carobelli residente a Genova lasciando la convivente signora Karin Sandei, dalla quale ha avuto due figli, Micol Carobelli nata il 9 luglio 2008 e Stefania Sandei nata il 2 settembre 2011, dopo la morte del padre;
   secondo Van Ameyde Italia spa con sede in Milano, corso Porta Romana 89 che gestisce in Italia per conto della compagnia assicurativa francese, la liquidazione del danno morale derivante il grave fatto dovrebbe essere fatta secondo i criteri della giurisprudenza «francese» e pertanto hanno proposto la cifra di euro 22.000 per Karin Sandei quale convivente more uxorio e di euro 20.000 per la prima figlia Micol, mentre per la seconda figlia si attende il riconoscimento di paternità stante la premorienza del padre;
   la giurisprudenza italiana valuta tale tipo di danno in circa euro 300.000 e precisamente euro 308.000 tribunale di Milano o in euro 279.000 tribunale di Roma. Tali liquidazioni sono pacificamente riconosciute a livello nazionale da tutti i tribunali considerate le indicazioni date dai due ridetti importanti tribunali di riferimento;
   tali indicazioni e valutazioni di riferimento dei tribunali presi in esame, vengono giustamente considerate dalle compagnie assicurative italiane anche nel caso in cui il sinistro è subito da cittadini comunitari, appare pertanto assurdo che la compagnia assicurativa francese interessata possa liquidare il sinistro con meno del 10 per cento di quanto liquidato in Italia;
   il caso citato, fa emergere un quadro drammatico per le conseguenze umane ed economiche che hanno colpito la famiglia genovese, ma più in generale evidenzia una assurda ed enorme disparità tra l'agire delle compagnie assicurative all'interno della Comunità europea –:
   se si è a conoscenza di questa di questo diverso regime di valutazione da parte delle compagnie assicurative che operano dei singoli Paesi europei;
   quali iniziative si possono intraprendere in sede comunitaria per trovare un sistema omogeneo di valutazione e liquidazione dei sinistri da parte delle compagnie assicurative, in particolare in caso di incidenti mortali e/o con invalidità permanenti. (5-00725)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE MENECH, BIFFONI, PASTORINO, RICHETTI e FIANO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, nella seduta del 5 luglio 2013, ha esaminato uno schema di disegno di legge costituzionale per l'abolizione delle province, su cui deve esprimere un parere la Conferenza unificata;
   il riassetto dell'organizzazione territoriale della Repubblica deve prevedere un processo di ordinata e ragionevole riassegnazione delle funzioni delle Province, secondo i criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all'Articolo 118, primo comma, della Costituzione, nonché del personale delle amministrazioni provinciali, tale in particolare da non disperdere le competenze e specializzazioni professionali acquisite nel tempo;
   secondo una stima dell'Associazione italiana agenti e ufficiali di Polizia provinciale, i corpi di polizia provinciale contano, nel complesso, su un organico di 2.600 persone, che svolgono significative funzioni di salvaguardia del territorio, in particolare quello rurale, per assicurare il rispetto della normativa in materia di tutela dell'ambiente e del patrimonio naturale, della fauna e della flora –:
   se il Governo, nell'ambito del processo di revisione costituzionale per l'abolizione delle province, intenda assumere dei provvedimenti normativi volti a preservare l'unità e le competenze e specializzazioni professionali dei corpi di polizia provinciale, mediante l'inserimento con mobilità del loro personale nel Corpo forestale dello Stato ovvero mantenendoli in attività con funzioni di polizia ambientale in capo alle regioni. (5-00758)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la Northern Petroleum, compagnia petrolifera inglese, ha chiesto e avviato i procedimenti per l'esecuzione delle trivellazioni al largo delle coste del Mar Adriatico meridionale, nelle aree prospicienti le coste della Puglia, con relative procedure di VIA;
   in merito risulta formalizzato esito positivo delle verifiche tecnico-amministrative relative alla procedibilità dell'istanza di VIA da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la giunta regionale della Puglia, su proposta dell'assessore all'ambiente Lorenzo Nicastro, ha adottato una deliberazione che ribadisce la posizione contraria della Puglia nell'ambito dei procedimenti ministeriali di VIA per undici permessi di ricerca di idrocarburi nelle acque prospicienti le sue coste;
   anche il comune di Barletta, con deliberazione del 28 maggio 2012, ha espresso anch'esso parere sfavorevole a tali attività;
   già due sentenza del Tar del Lazio, n. 8209 e n. 8236 del 1o ottobre 2012, avevano annullato le due diverse autorizzazioni alle prospezioni geosismiche rilasciate alla Petroceltic Italia, accogliendo il ricorso presentato da WWF Italia, Legambiente nazionale, Csn, Lipu e Fai, annullando di fatto il decreto n. 126 del 29 marzo 2011 emesso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. La procedura ministeriale è stata definita illegittima a causa della mancata pubblicazione a norma di legge ed il mancato coinvolgimento della regione Puglia nella procedura del VIA;
   la popolazione locale non è stata debitamente informata circa tali attività di ispezione, prospezione ed estrazione, le loro modalità e il rilevante impatto ambientale;
   la vocazione turistica, l'attività di pesca e in ogni caso il decoro e le bellezze paesaggistiche del territorio interessato verrebbero compromessi irreversibilmente da un'eventuale attività estrattiva;
   il mare Adriatico in ogni caso mal si presta ad attività del genere, essendo un mare «chiuso», il cui ricambio delle acque richiede diversi decenni;
   nel caso di incidenti con relativi sversamenti in mare di idrocarburi, il ricambio delle acque del bacino adriatico richiederebbe addirittura secoli;
   il mare Adriatico è oggetto di rivalutazione da parte della popolazione pugliese che nel corso degli ultimi anni ha rilanciato, con sacrifici e investimenti, il movimento turistico e ambientale, basti pensare all’exploit, negli ultimi anni, della penisola Salentina e del promontorio del Gargano, nonché alle iniziative turistico-culturali nel nord barese;
   ad oggi molto si punta sul marchio Puglia, sinonimo di qualità, relativamente alle produzioni agroalimentari, con notevoli investimenti sul territorio;
   le attività estrattive sono in netto contrasto con tali realtà, e ne svilirebbero lo sviluppo, minando la solidità e la sostenibilità economica –:
   come il Governo, per quanto di sua competenza, intenda intervenire per scongiurare, sulla base delle premesse, l'installazione di piattaforme finalizzate alla ricerca di idrocarburi nel Mar Adriatico in quanto incompatibili con la sua vera vocazione.
(2-00160) «D'Ambrosio».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il 9 marzo 2006, con Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3504, è stato nominato commissario delegato Adriano Goio al fine di «fronteggiare la crisi di natura socio-economica-ambientale determinatasi nell'asta fluviale del bacino del fiume Aterno-Pescara» (Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3504 del 9 marzo 2006);
   per la finalità di cui sopra il commissario delegato avrebbe predisposto un apposito programma di interventi che prevedeva: la realizzazione delle opere di regolazione della portata del fiume al fine di assicurare il deflusso minimo vitale nonché consentire l'utilizzo di acque superficiali per usi multipli; la realizzazione delle opere di collettamento degli scarichi civili ed industriali e degli impianti depurativi, nonché l'adeguamento di quelli esistenti, al fine di ridurre il livello di inquinamento; l'espletamento, in via generale, di tutte le altre iniziative comunque necessarie al superamento del contesto emergenziale, con particolare riferimento a quelle funzionali alla sicurezza idraulica ed al ripristino ambientale;
   con riferimento agli aspetti qualitativi come emerge dal rapporto «Il monitoraggio e la prima classificazione delle acque ai sensi del decreto legislativo 152/99» della regione Abruzzo (2003), il bacino dell'Aterno Pescara può essere classificato come «ambiente inquinato» (III classe di qualità) ed in alcuni tratti anche molto inquinato (IV classe di qualità). Più in dettaglio i campionamenti effettuati sul fiume Aterno prima della confluenza nel Pescara hanno portato a classificare tale tratto in classe III. Una volta che il fiume Pescara riceve le acque dell'Aterno si determina, a valle di Popoli, una III classe di qualità, che rimane per tutto il corso del fiume fino a Ponte Villanova, dove subisce un ulteriore peggioramento, registrando uno stato ecologico di IV classe, fino a Pescara, appena prima di entrare nell'Adriatico (Fonte, sito regione Abruzzo);
   nel gennaio 2013 il commissario Goio presenta un progetto relativo alla messa in sicurezza di emergenza (Mise) della megadiscarica dei veleni di Bussi (Pescara). Il costo è di 4,2 milioni di euro ed è redatto dal professore Quintilio Napoleoni. Il progetto consiste nel posizionamento di una barriera (palancolata) metallica su parte di perimetro della discarica, che si spinge a circa 7 metri di profondità con il fine di impedire il contatto dei terreni inquinati con le acque del fiume Pescara e deflussi sotterranei;
   nel dicembre 2012 il Wwf comunica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le sue fondate preoccupazioni e successivamente i tecnici dell'ufficio rifiuti e bonifiche della regione Abruzzo hanno inviato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un testo per integrare il verbale della conferenza dei servizi del Ministero. I tecnici nella relazione esprimono le loro perplessità sulla mancanza delle necessarie informazioni specifiche su idrogeologia, stratigrafie e permeabilità. Inoltre nel testo si evidenzia come sia fondamentale definire la direzione di flusso della falda, misurare la conducibilità idraulica del cosiddetto «livello impermeabile» individuato nel sito, verificare il rapporto tra falda e fiume Pescara, escludere che l'infissione delle palancole possa mettere in comunicazione più falde sovrapposte con possibili fenomeni di contaminazione indotta. Nonostante questa netta contrapposizione tra ufficio commissariale e regione il commissario Goio è andato ugualmente avanti pur essendo un'iniziativa estremamente costosa e di dubbia efficacia in un sito molto delicato che meriterebbe ben diversa attenzione;
   da una indagine scientifica emerge che il 68 per cento dei corsi fluviali abruzzesi non rispetta gli obiettivi di qualità, fissati dalla Commissione europea, da raggiungere entro il 2015. Il dossier si basa su elaborazioni svolte sugli ultimi dati resi disponibili dall'Arta, relativi al 2011. Oltre 100 stazioni lungo i corsi d'acqua vengono monitorate dal 2004 e i tratti fluviali vengono classificati in cinque classi di qualità (pessimo, scadente, sufficiente, buono ed elevato);
   la maggior parte dei fiumi abruzzesi, nel 2011, è stata catalogata nelle categorie «pessimo», «scadente» o «sufficiente». In particolare tra il 2009 e il 2011 l'Aterno-Pescara ha visto peggiorare la qualità, passando da «sufficiente» a «scadente»;
   dunque dopo 7 anni di commissariamento si deve prendere atto di una situazione della qualità del fiume Aterno Pescara assolutamente peggiorata –:
   quali misure intenda adottare al fine di superare questo fallimentare commissariamento e far tornare agli enti competenti pieni poteri per poter intervenire con efficacia e urgenza sulla gravissima situazione del corso fluviale Aterno-Pescara.
(2-00161) «Melilla».

Interrogazione a risposta orale:


   OLIVERIO, ROBERTA AGOSTINI, ANTEZZA, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, LODOLINI, MONGIELLO, PALMA, VALIANTE e ZANIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il made in Italy agroalimentare, rappresentato dai prodotti e dai servizi offerti dalle imprese agricole, è un importante un valore aggiunto per il sistema economico nazionale. L'agricoltura italiana, oltre ad assicurare la qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari, svolge un ruolo insostituibile per la tutela della biodiversità, per il presidio dei territori, per la protezione dell'ambiente e per lo sviluppo delle zone rurali;
   in tale contesto, sono noti i rischi e le incertezze, sotto il profilo ambientale, sanitario ed economico, connessi all'impiego in agricoltura di organismi geneticamente modificati soprattutto in relazione al modello produttivo agricolo nazionale che privilegia e punta decisamente su produzioni di qualità elevata e tipiche, apprezzate e ricercate a livello internazionale e, proprio per tale motivo, oggetto di fenomeni contraffazione e di pirateria agroalimentare a fini speculativi;
   ad esempio si segnala come, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA) in un recente studio pubblicato individua gli impatti della coltivazione del mais MON810 sulle popolazioni di lepidotteri e sugli imenotteri parassitoidi; mentre, l'Istituto federale di tecnologia di Zurigo ha dimostrato i danni derivanti dalla coltivazione di OGM sulle larve di coccinella;
   la normativa comunitaria non assicura ancora agli Stati membri un'adeguata flessibilità per consentire agli stessi di vietare la coltivazione di OGM in considerazione di particolari esigenze regionali e locali, disciplinando solo gli aspetti ambientali e sanitari connessi all'autorizzazione all'immissione in commercio, all'emissione deliberata, all'etichettatura e agli aspetti economici, relativi alla coesistenza tra coltivazioni transgeniche e convenzionali;
   gli Stati membri, però, ai sensi dell'articolo 34 del Regolamento (CE) n. 1829 del 2003 del 22 settembre 2003, Regolamento relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, possono adottare le misure cautelari provvisorie previste dagli articoli 53 e 54 del Regolamento (CE) n. 178 del 2002 del 28 gennaio 2002, nel caso in cui sia accertato che prodotti autorizzati in conformità al Regolamento possono causare un grave rischio per la salute o per l'ambiente ovvero qualora, alla luce di un parere dell'Autorità, sorga la necessità di sospendere o modificare urgentemente un'autorizzazione;
   inoltre, agli Stati è riconosciuta la possibilità – ai sensi dell'articolo 26-bis della Direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001 sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE ed alle condizioni ivi stabilite – di adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea con ordinanza della, IX Sezione, 8 maggio 2013, causa C-542/12, pronunciandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE, ha affermato che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 dei regolamento (CE) n. 1829/2003 e dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio;
   con la medesima ordinanza la Corte di Giustizia ha affermato altresì che l'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2008, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture;
   a fronte di tale ordinanza lo scorso 15 giugno un agricoltore di Vivaro (PN) ha seminato, su un terreno di circa 6.000 metri quadrati, mais geneticamente modificato MON810 senza consentire agli agenti del Corpo forestale di effettuare i controlli necessari ad accertare la regolarità delle operazioni di semina, a causa del rifiuto, da parte dei titolari del terreno, di dare accesso ai luoghi e consentire il prelievo dei campioni di prodotto;
   il 12 luglio 2013 il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali hanno firmato un apposito decreto per vietare la coltivazione di varietà di mais MON 810 provenienti da sementi geneticamente modificate, nelle more dell'adozione di misure comunitarie ai sensi dell'articolo 54, comma 3 del regolamento n. 178 del 2002;
   l'adozione del decreto sul divieto di coltivazione OGM MON810 rende illegittime le operazioni effettuate, anche considerata l'incidenza dello stesso sull'articolo 34 del decreto legislativo 8 luglio 2003, 224, ai sensi del quale è sanzionata l'emissione nell'ambiente in violazione di provvedimenti che dispongono la sospensione o l'interruzione definitiva dell'emissione o prescrivono modifiche alle modalità dell'emissione;
   il Parlamento è intervenuto sulla questione approvando una risoluzione ed una mozione con cui il Governo si è impegnato – oltre al perseguimento di un radicale miglioramento della normativa comunitaria in materia di coltivazione di sementi transgeniche e di immissione in commercio di organismi geneticamente modificati – ad assumere iniziative immediate in relazione all'avvenuta semina di mais geneticamente modificato al fine di evitare ogni forma di possibile contaminazione ambientale e delle produzioni agricole locali –:
   quali iniziative, siano state assunte per assicurare l'effettività del divieto di coltivazione di OGM disposto nel decreto ministeriale adottato il 12 luglio 2013, con particolare riferimento alla illegittima coltivazione di sementi OGM avvenuta in Friuli Venezia Giulia e quali misure siano state adottate per tutelare l'ambiente ed i territori limitrofi da possibili danni e contaminazioni;
   come intendano garantire l'applicazione, si caso di specie, dell'articolo 34, comma 2, del decreto legislativo n. 224 del 2003, che, in attuazione della direttiva 2001/18/CE concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di OGM, punisce con l'arresto da sei mesi a due anni o con l'ammenda fino a 51.700 euro l'emissione che sia stata effettuata in violazione dei provvedimenti che dispongono la sospensione o l'interruzione dell'emissione o prescrivono modifiche alle modalità dell'emissione medesima;
   se intendano attivare le procedure previste per il risarcimento del danno ambientale, previste dalla Parte Sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, che, in conformità alla direttiva 2004/35 CE inserisce l'emissione deliberata nell'ambiente di OGM tra le attività potenzialmente pericolose per l'ambiente. (3-00235)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SANI, VELO, MANCIULLI, DALLAI e FAENZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali e la regione toscana, DEC/SCN/044 del 28 febbraio 2002, è stato istituito il «Parco tecnologico e archeologico delle colline metallifere grossetane»;
   gli enti preposti per legge alla gestione del parco (così come sancito dalla Legge istitutiva numero 338 del 2000, comma 14 dell'articolo 114) sono il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Toscana, la provincia di Grosseto, la comunità montana Colline Metallifere, il comune di Follonica, il comune di Gavorrano, il comune di Massa Marittima, il comune di Montieri, il comune di Monterotondo Marittimo, il comune di Roccastrada, il comune di Scarlino;
   in questi anni il parco è riuscito a rendersi motore di azioni volte al recupero, alla conservazione e valorizzazione del patrimonio geologico e minerario delle Colline Metallifere Grossetane, divenendo un punto di riferimento sia a livello locale che nazionale;
   il parco, che conta ogni anno circa 85mila visitatori, ha potuto quindi promuovere la realizzazione di varie attività svolte e gestite dai comuni tra cui la creazione di un circuito di musei, centri di documentazione, percorsi ed iniziative culturali. Progetti che hanno visto la collaborazione con prestigiosi atenei come quello di Siena e di Firenze;
   le attività del parco hanno inoltre permesso la formazione e l'impiego di circa 30 figure professionali specializzate;
   i sette comuni delle Colline Metallifere, dapprima in maniera isolata e successivamente grazie al coordinamento gestionale del Parco, hanno contribuito con una grande capacità di progettazione e programmazione all'acquisizione, al recupero ed alla valorizzazione del patrimonio minerario territoriale: un progetto che ha visto il coinvolgimento di molteplici istituzioni, enti e realtà locali, e che ha attivato investimenti (tra pubblici, privati e fondi comunitari) di circa 133 milioni di euro;
   queste attività hanno permesso al parco di ottenere prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale tra cui: quali l'adesione alla European and Global Geoparks Network under the Auspices of Unesco, l'inserimento nella rete dell'Eggn per l'eccezionale valore dei suoi geositi e del suo patrimonio geologico; la presenza di 4 siti di interesse comunitario, 5 siti di interesse comunitario, 2 riserve naturali, 4 biotopi ed un'area naturale protetta di interesse locale;
   tutto ciò testimonia la presenza di numerose e diversificate ricchezze naturalistiche, paesaggistiche, ambientali e di biodiversità che caratterizzano il sito;
   l'esistenza stessa del Parco e delle sue attività viene oggi messa a repentaglio, secondo quanto riporta in una lettera al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed al Ministro per i beni e le attività culturali, il presidente dell'ente Luca Agresti, dai drastici tagli dei contributi economici statali: questi finanziamenti rappresentano infatti l'unica fonte di ricavo per il Parco stesso;
   sempre secondo quanto reso noto da Luca Agresti «in termini percentuali, il trasferimento netto relativo al 2012 è pari al 22,40 per cento di quello dell'anno precedente, che si riduce ancora nel 2013 al 21,51 per cento rispetto allo stesso riferimento. Opportuno precisare che, relativamente al 2013, l'importo del trasferimento è stato ipotizzato pari a quello dell'anno precedente senza che a tutt'oggi se ne abbia conferma ministeriale». «Alla luce della sopra esposta situazione, pur avendo provveduto a limitare il più possibile gli interventi di costo, l'esercizio 2012 ha chiuso con un disavanzo di euro 376.697,60 che è andato ad erodere l'avanzo di amministrazione precedente che al 1o gennaio 2013 residua ancora per euro 685.609,02. Prevedendo, per il 2013, alla luce di altre contrazioni di costi predisposte, un disavanzo d'esercizio di circa euro 350.000,00, si avrebbe al 1o gennaio 2014 un residuo avanzo di amministrazione pari ad euro 335.000,00 circa che non riuscirebbero a coprire le necessità dell'anno 2014;
   si è passati, in sintesi, da un finanziamento «netto» (comprensivo delle «partite di ritorno allo Stato» come stabilito dall'articolo 61, comma 17, decreto-legge n. 112 del 2008, dall'articolo 6, comma 21, decreto-legge n. 78 del 2010 e dall'articolo 8, comma 3, decreto-legge n. 95 del 2012) di circa 433 mila euro del 2011 ai circa 97 mila euro del 2012 e circa 93 mila euro del 2013 (stimati);
   il bilancio di previsione del Parco del 2014, come disposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 97 del 2003, dovrà essere approvato entro il 31 ottobre 2013 e se non verranno attivati nuovi finanziamenti in tempi brevi, rimarca Luca Agresti, il «Parco sarà costretto, utilizzando l'ultima parte dell'avanzo d'amministrazione esistente, a disporre la cancellazione di alcuni servizi onde poter approvare il bilancio di previsione in pareggio come la legge prevede –:
   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritengano necessario, nei limiti della disponibilità delle risorse economiche presenti, attivare ulteriori finanziamenti per consentire al Parco tecnologico e archeologico delle colline metallifere grossetane, in virtù dell'attività svolta in questi anni e dei prestigiosi riconoscimenti ottenuti a livello internazionale, di poter mantenere anche per l'anno 2014 i servizi erogati fino ad oggi;
   quali iniziative urgenti intendano assumere i Ministri interrogati per assicurare ai parchi nazionali italiani, i cui bilanci sono stati drasticamente ridotti dalle recenti leggi dello Stato, quelle risorse finanziarie e gestionali capaci di consentire a tali enti una programmazione continua, efficiente e funzionale rispetto alle proprie caratteristiche, peculiarità e potenzialità anche per promuovere lo sviluppo occupazionale, sociale ed economico dei territori di riferimento. (5-00754)


   ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Fontanafredda (frazione di Cinto Euganeo in provincia di Padova) a ridosso del cimitero è stata già installata anni fa una stazione radio di telefonia mobile;
   la stessa stazione radio si trova a meno di 50 metri dalla scuola media e dalla scuola dell'infanzia;
   i residenti hanno sollevato preoccupate proteste sottoscrivendo una petizione condivisa da centinaia di persone;
   oggi in quella stessa postazione l'amministrazione comune di Cinto Euganeo (provincia di Padova) torna a concedere una nuova installazione sull'attuale impianto esistente (con delibera di giunta n. 11 del 26 marzo 2013);
   c’è una nuova petizione popolare con cui i residenti dell'area si dichiarano preoccupati per la facilità con cui si sono prese determinate decisioni senza il coinvolgimento e la condivisione della cittadinanza;
   i residenti chiedono che venga applicato il principio di minimizzazione delle esposizioni ai campi elettromagnetici in area urbana (vedi decreto-legge del 10 settembre 1998 n. 38) e il principio di cautela (previsto dal trattato di istituzione della CEE n. 1023 del 17 ottobre 1957) raccomandato anche dall'Ispesl (ex Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro ora INAIL) e dall'IARC /OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) che considera l'elettrosmog una delle grandi emergenze di questi anni, classificando le radiofrequenze come «possibilmente cancerogene» (classe 2B);
   la comunità scientifica internazionale indipendente ritiene che valori di cautela per l'esposizione della popolazione come indicati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 luglio 2003 non proteggono la popolazione dai possibili effetti biologici, ma che questi valori debbano essere contenuti almeno entro gli 0,5 v/m (anziché 6 v/m);
   l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa nel 2011 ha emanato una risoluzione (n. 1815) per invitare gli Stati membri ad applicare il principio di precauzione e politiche cautelative per quanto riguarda l'esposizione della popolazione alla radiofrequenze, con particolare attenzione nei confronti dei bambini, dei giovani e delle persone sensibili, dando indicazioni affinché gli Stati fissino soglie preventive per l'esposizione a lungo termine alle microonde che non superino gli 0,6 Volt/metro e che, nel medio termine, questo valore venga ridotto a 0,2 V/m;
   numerosi studi scientifici indicano che nelle aree limitrofe alla stazioni radiobase sono in aumento nella popolazione residente disturbi riferibili alla elettrosensibilità –:
   come il Ministro intende accogliere le raccomandazioni della comunità scientifica internazionale indipendente e delle organizzazioni internazionali e tradurle in atti concreti per l'applicazione del principio di precauzione anche con riferimento per quanto di competenza, al caso specifico di Fontanafredda. (5-00755)


   ZARDINI, CARRA, ROTTA, DAL MORO e D'ARIENZO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la ditta ADIGE AMBIENTE Srl, con sede legale a Polpenazze del Garda (Brescia), via Montecanale n. 19/21, ha comunicato di aver chiesto alla competente regione del Veneto l'attivazione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) con contestuale approvazione ed autorizzazione del progetto e contestuale rilascio dell'Autorizzazione integrata ambientale (AIA) ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e della legge regionale n. 10 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni, del Progetto per la realizzazione di un impianto integrato per operazioni di recupero e smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi costituito da impianto di smaltimento (D1), di sottocategoria lettera «c» ed impianto per la produzione di energia da fonte rinnovabile sito in località Ca’ Baldassarre;
   con la suddetta comunicazione sono stati trasmessi agli enti interessati e quindi alla provincia di Verona, gli elaborati relativi alla domanda di VIA, al progetto definitivo, allo studio di impatto ambientale e sua sintesi non tecnica, alle schede ed allegati relativi alla Procedura di A.I.A. come previsto dalla D.G.R.V. n. 668/2007, ai fini del deposito e della messa a disposizione del pubblico per la consultazione;
   nelle more dell'approvazione del piano regionale Veneto di rifiuti speciali, non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni all'esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale competente per il territorio, previo parere dell'osservatorio rifiuti dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Veneto, che accerti l'indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell'osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento prescritto dall'articolo 11, commi 1 e 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 e dall'articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   nel SIA (Sistema informativo ambiente), il proponente, nell'elenco dei comuni interessati riportati in progetto, non ha previsto l'inoltro a tre comuni confinanti, quali Sommacampagna, Sona e Castelnuovo del Garda. Si rammenta che nei comuni di Sommacampagna e Sona gravano tre discariche autorizzate e/o in esercizio con la presenza di materiali similari;
   l'area di intervento si estende su una superficie di circa 16 ha e comprende la fossa della cava esaurita (4,5 ha), dove saranno effettuate le operazioni di smaltimento di rifiuti misti non pericolosi con elevato contenuto sia di rifiuti organici o biodegradabili che di rifiuti inorganici con recupero di biogas. Saranno ubicate anche le strutture impiantistiche per l'alloggiamento dei rifiuti (6 ha), l'area servizi e di ingresso alla discarica (2 ha) e un'area per lo stoccaggio dei materiali per la costruzione della discarica (4 ha), mentre nell'area interessata dalla fascia di rispetto del metanodotto a sud e della cascina di Cà Baldassare e annessi non è previsto nessun intervento. Ad ovest dell'area servizi è prevista la localizzazione dell'impianto per la produzione di energia elettrica utilizzando il biogas prodotto dalla discarica;
   i codici CER richiesti (circa 280 diversi codici secondo l'Allegato 01 fuori testo alla Relazione tecnica del progetto definitivo) si riferiscono prevalentemente a rifiuti putrescibili cosiddetti «fuori specifica», ovvero che non potrebbero essere conferiti tal quali ai tradizionali impianti di compostaggio o altro;
   si sottolinea che l'area oggetto di intervento confina con altra discarica per rifiuti solidi urbani che ad oggi continua a produrre percolato, anche se i fondi per la gestione post-mortem sono terminati ed il comune di Valeggio ha aderito al fondo rotativo regionale per le emergenze ambientali, che il comune poi dovrà ricostituire e restituire;
   da un punto di vista idrogeologico, per effetto della presenza nel sottosuolo di alluvioni ghiaiose ad elevata permeabilità con valori variabili tra 1x10-4 e 1x10-3 m/s, si riscontra la presenza di una potente e pregiata falda freatica a ridotta soggiacenza rispetto al piano di imposta dell'argilla di tamponamento del fondo invaso, con franco di falda compreso fra un minimo di 2,5 metri ad un massimo di 5,5 metri a seconda dei diversi dati idrogeologici considerati. Tale conformazione idrogeologica è alla base dell'attribuzione del valore di elevata vulnerabilità idrogeologica dell'area di intervento, che risulta ulteriormente aumentato in funzione delle attività progettate ed, in particolare, in funzione del rischio di sversamento in falda del percolato (il volume ipotizzato di percolato di picco risulta pari a 10.000 mc/anno, corrispondente a circa 111 mc/giorno, calcolati a favore di sicurezza su 90 giorni di piovosità/annui). Tale falda è sfruttata a scopo idropotabile anche dal comune di Villafranca di Verona che, in località Quaderni a circa 1,5 km sottocorrente rispetto all'area di intervento, ha in esercizio un pozzo acquedottistico di proprietà. Si ricorda inoltre, che l'area di intervento ricade nella fascia di ricarica degli acquiferi per la quale la regione Veneto con delibera n. 952 dell'8 marzo 1994, ha chiesto al Ministero dell'ambiente il riconoscimento di area ad «elevato rischio di crisi ambientale» e quindi non idonea alle discariche. Pur osservando le precauzioni progettuali si ritiene che la presenza della ricarica degli acquiferi non consenta alla regione, che pianifica e decide sulla idoneità dei siti, di correre alcun rischio, né per il futuro prossimo né per quello che va oltre le garanzie di progetto, proprio perché si tratta di un bacino idrico di utenza molto ampio per la provincia di Brescia e anche per la provincia di Mantova;
   è dunque fondamentale effettuare in via preventiva alla realizzazione dell'impianto un'approfondita indagine allo scopo di valutare i potenziali rischi di contaminazione degli acquiferi nel lungo periodo e le prevedibili conseguenze sulla fruibilità delle risorse idriche sfruttate, con particolare riguardo a quelle utilizzate a scopo potabile»;
   è prevista l'installazione di un impianto di produzione biogas ed energia elettrica dove da un lato si evidenzia che tale impianto deve essere sottoposto e assoggettato a richiesta ed esame da parte del comando dei vigili del fuoco per i controlli di prevenzione incendi non presente nella richiesta; dall'altro lato non si capisce come la scarsità dei materiali presenti sul territorio, possa garantire un apporto di sostanza organica atto a sostenere il Piano economico-finanziario dell'impianto;
   non risulta incluso fra le «Amministrazioni interessate», ai sensi della legge regionale n. 10 del 1999 e s.m.i. e del DM 10 settembre 2010, l'ente ENAC. Lo stesso dovrebbe essere chiamato ad esprimersi su progetti relativi ad impianti, anche se per tipologia e/o ubicazione risultano, prevalentemente, di non interesse aeroportuale e/o aeronautico. L'area, per ragioni di sicurezza, è infatti sottoposta a vincolo aeroportuale per effetto della presenza dell'aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca;
   la zona coinvolta dall'intervento è interessata da produzioni di prodotti tipici di pregio, di qualità, di metodologia di coltivazione e di disciplinari di commercializzazione a cui i produttori sono tenuti a sottostare. Il progetto infatti non considera, come invece richiesto dal decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36: «Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti», verifica nell'allegato 1, punto 2.1 «ubicazione», la collocazione dei progetto di impianti per rifiuti non pericolosi. L'allegato, oltre a descrivere le aree in cui non è consentita l'ubicazione di discariche per rifiuti non pericolosi, specifica le condizioni locali di accettabilità che devono essere valutate per ciascun sito. I disciplinari di prodotto devono fornire tutte le indicazioni necessarie per il riconoscimento, costituendo la base essenziale per la dichiarazione di conformità dei prodotti. I regolamenti comunitari attribuiscono ai Consorzi di Tutela (strutture di controllo), le cui competenze sono state stabilite da ogni Stato membro, il compito di garantire che i prodotti recanti una denominazione protetta o attestazione di specificità rispondano ai requisiti del disciplinare. Nel territorio comunale di Valeggio sul Mincio e di Villafranca di Verona rientrano i seguenti consorzi di tutela:
    Formaggio Provolone Valpadana D.O.P.;
    Casatella Trevigiana D.O.P.;
    Formaggio Grana Padano D.O.P.;
    Olio extravergine di oliva «Garda D.O.P.»;
    Vino bianco di Custoza D.O.C.;
    Vino Bardolino D.O.C.;
    Pesca di Verona I.G.P.;
    Kiwi del Garda, prodotto inserito nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali del Ministero in attesa del riconoscimento comunitario;
   la valutazione dell'idoneità della collocazione del progetto deve tener conto degli aspetti citati anche in considerazione delle conseguenze sull'economia locale. Si fa presente che gli enti locali coinvolti, in particolare la provincia di Verona ha espresso parere contrario in merito alla necessità e prossimità come previsto dal già citato articolo 16 della legge regionale Veneto n. 11 del 2010;
   anche i Comuni limitrofi hanno espresso parere contrario;
   anche la provincia di Mantova ha espresso parere contrario;
   si fa presente che la commissione VIA della provincia di Verona ha dato parere contrario di compatibilità ambientale;
   si fa presente che di recente la regione Veneto ha nominato nella commissione VIA regionale il signor Nicola Dell'Acqua che avrebbe partecipato alla redazione del progetto sottoposto a VIA;
   se e come intenda rispondere alla richiesta della regione Veneto con delibera n. 952 dell'8 marzo 1994 in merito al riconoscimento dell'area «ad elevato rischio di crisi ambientale», anche alla luce delle nuove richieste di autorizzazione;
   se la presenza di un impianto per la produzione di biogas, associato alla discarica proposta, abbia visto i coinvolgimenti previsti delle articolazioni territoriali preposti del Ministero dell'interno e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti relativamente al processo di autorizzazione dell'impianto;
   se il progetto sia conforme alle linee guida per la costruzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda esprimersi in merito ai compiti di sorveglianza circa i disciplinari per la tutela dei prodotti agricoli di pregio. (5-00764)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il dossier sull'accordo Anci-Conai, prodotto dall'ACV – Associazione comuni virtuosi, ha avviato una discussione sulla «questione imballaggi in Italia» prospettando alcune possibili soluzioni alle problematiche esistenti;
   con sincrone dichiarazioni il direttore generale del Conai ed il delegato ANCI per i rifiuti ed energia hanno preso posizione a difesa del loro operato e commentato negativamente alcuni aspetti del Dossier;
   gli imballaggi sono sempre un costo: per l'ambiente (energia e materia sprecata), per i cittadini che sono costretti a comprare imballaggi eterogenei e difficilmente riciclabili e per i comuni (e quindi ancora per i cittadini) che se ne devono accollare i costi di raccolta e trattamento. L'obiettivo non può più essere quindi di produrre tanti imballaggi ma, come accade nel resto d'Europa, di penalizzare gli imballaggi inutili e difficilmente riciclabili facendo pagare un contributo ambientale (CAC) diversificato in relazione al reale impatto economico ed ambientale dell'imballaggio. Meno imballaggi in circolazione e progressivamente sempre più riciclabili;
   ricordiamo che in Italia il CAC, incide soltanto per lo 0,07 per cento sul costo dei beni alimentari all'ingrosso, mentre nel resto d'Europa incide in media per lo 0,3 per cento, dunque l'applicazione in Italia del CAC più basso in assoluto a livello europeo avrebbe dovuto garantire al consumatore italiano un costo dei beni di consumo inferiore alla media europea;
   nonostante questo innegabile vantaggio per le imprese italiane, l'Italia è diventata in pochi anni uno dei paesi europei con l'Indice di livello dei prezzi (PLI) più elevato in Europa secondo Eurostat poiché tali risparmi per le imprese non sono stati mai tradotti in minori prezzi per i consumatori;
   l'altra importante questione è: quanti soldi entrano al Conai e quanti ne arrivano ai comuni. Il direttore del Conai afferma che «nel 2012 i ricavi sono stati poco più di 500 milioni di euro di cui 312 sono andati ai comuni ed è l'85 per cento e non il 37 per cento come riportato nel dossier prodotto dall'ACV; mentre da parte dell'ACV si afferma che, in realtà, tra le entrate dei consorzi ci sono anche i ricavi per la vendita dei materiali e le quote versate dai soci che nel 2012 ammontavano a circa 250 milioni di euro. Nel 2012 quindi ai comuni è andato circa il 42 per cento del totale degli introiti (il 5 per cento in più rispetto al 2011). Nel 2011, anno preso in esame nel dossier, i consorzi del Conai hanno introitato 819 milioni di euro e di questi soldi sono andati ai comuni 297 milioni di euro, quindi poco più di un terzo degli introiti totali del 2011;
   i comuni sono liberi di gestirsi autonomamente il materiale vendendolo al miglior offerente approfittando delle finestre di entrata e uscita previste dall'accordo, ma che comunque va evidenziato che tale elemento favorisce esclusivamente il sistema Conai, che può trattenersi i ricavi del contributo ambientale per la gestione di quegli stessi imballaggi di cui però non rimborsa neppure i soli costi di raccolta. Cosa invece che accade all'estero secondo quanto stabilito dalle direttive europee di riferimento;
   un sistema che opera senza scopo di lucro come il Conai non dovrebbe avere alcuna difficoltà a riconoscere ai comuni sia i maggiori costi di raccolta (interamente e non solo per il 20 per cento come dimostrato dall'ISPRA e dall'ACV) che i ricavi per la cessione del mercato di quanto conferito ai consorzi di filiera;
   nell'ultimo rapporto ISPRA si legge infatti che, a causa «dell'incompleta e parziale informazione fornita dal Consorzio Conai... l'ISPRA non è in grado di monitorare in maniera efficace il ciclo di gestione dei rifiuti di imballaggio, validando i dati trasmessi dal CONAI, e soprattutto di verificare il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare circa le problematiche innanzi rappresentate inerenti la percentuale di utilizzo delle somme incassate dal Conai ed i rilievi dell'ISPRA. (4-01390)


   BRUNETTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come riportano dai quotidiani Repubblica e Il Tempo in data 6 luglio 2013, si fa riferimento a specifici incontri avuti dal presidente della regione Lazio, il commissario prefettizio, il sindaco di Roma e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di individuare entro la fine del mese di luglio, il nuovo sito per la realizzazione della discarica in sostituzione di Malagrotta;
   sarebbe state individuate due cave già autorizzate per inerti, ricadenti nel quadrante Ardeatina-Laurentina, nello specifico una in via della Selvotta l'altra tra Fonte Laurentina e Trigoria. Tali cave, appartenenti alla stessa società Seipa, hanno una capienza superiore al milione di metri cubi e alcune delle autorizzazioni richieste potrebbero essere già in possesso dell'operatore;
   già in passato c'era stato un interessamento del commissario ai rifiuti dottor Sottile, al quadrante in oggetto specificato e questo aveva allarmato tutti i residenti che avevano già manifestato la loro contrarietà a impianti di questo tipo –:
   come intenda il Governo porsi nei confronti della regione Lazio che sembra aver già manifestato la disponibilità all'individuazione della nuova discarica nel sito in oggetto;
   se e come intenda metter fine a quello che appare per l'interrogante come una vera prevaricazione perché tra gli oltre 10 luoghi proposti dai tecnici all'interno del territorio della provincia di Roma, sarebbero stati scelti i due siti sopra menzionati, ricadenti sullo stesso quadrante e tra l'altro appartenenti allo stesso gruppo di imprenditori. (4-01397)


   BORGHI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 sono state attribuite al Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di ambiente e di tutela del territorio;
   le vigenti disposizioni in materia di bonifica, messa in sicurezza d'emergenza e ripristino ambientale;
   la legge 9 dicembre 1988 n. 426 che istituisce il sito di bonifica di interesse nazionale di Pieve Vergonte;
   il verbale della conferenza di servizi decisoria del 27 ottobre 2011, all'interno del quale sono individuati gli interventi necessari per la bonifica del sito di interesse nazionale di Pieve Vergonte nonché i soggetti obbligati alla loro realizzazione;
   secondo le vigenti disposizioni in materia, i soggetti così individuati hanno l'obbligo di adempiere alle prescrizioni stabilite dall'amministrazione precedente;
   con decreto direttoriale il direttore generale ad interim dottor Renato Grimaldi ha decretato di «approvare e considerare come definitive tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza di Servizi decisoria del 27 ottobre 2011»;
   l'articolo 14-ter, commi 6-bis e 9, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., che prescrive l'adozione del provvedimento finale del procedimento conformemente alle determinazioni conclusive della citata conferenza dei servizi;
   il Progetto operativo di bonifica del sito di Pieve Vergonte (VB) presentato da Syndial e già oggetto di valutazione da parte della giunta regionale della regione Piemonte con delibera n. 28 – 5712;
   la legge 426/1998 all'articolo 1, definendo le modalità di adozione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, identifica tra i primi interventi di interesse nazionale quello di Pieve Vergonte;
   l'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che i progetti di bonifica riguardanti siti di interesse nazionale siano approvati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sentito il Ministero delle attività produttive, ora sviluppo economico;
   la lunghezza dell’iter autorizzativo legato alla procedura di bonifica (iniziato nel 1996), va considerata alla luce anche dell'estrema importanza che tale intervento di bonifica possa essere realizzato nel più breve tempo possibile;
   a seguito di numerosi incontri tra Syndial ed i comuni interessati dalla bonifica, si è giunti alla formulazione di una serie di opere complementari concertate con gli enti locali;
   all'interno di tali opere complementari concordate sono ricomprese opere essenziali per la sicurezza e la salvaguardia dei cittadini che abitano nei comuni interessati, quali ad esempio il rifacimento e potenziamento delle difese spondali nei comuni di Vogogna, Pieve Vergonte e Pallanzeno, opere che, vista la criticità in cui versa l'alveo del Fiume Toce, non sono più differibili –:
   se non ritenga di emanare con la massima celerità consentita, il decreto citato al fine di permettere l'avvio delle opere di bonifica del sito di Pieve Vergonte. (4-01398)


   PELLEGRINO, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i Comuni delle Valli del Natisone, hanno sempre perseguito la difesa delle qualità ambientali e paesaggistiche del territorio amministrato e, con la salute e il benessere della collettività, ne ha tutelato i valori culturali, affinché si salvaguardasse la qualità della vita e con essa le aspettative e i diritti delle generazioni future;
   siffatti propositi, ispirati alla pacifica e fruttuosa convivenza, sono stati, e tuttora vengano, regolarmente condivisi con la comunità dell'alta Valle dell'Isonzo;
   una volta profilatasi la volontà di realizzare una gigantesca linea elettrica aerea, attraverso le Valli del Natisone, proveniente da Okroglo e diretta a Udine ovest, le comunità locali hanno manifestato un fermo e motivato dissenso, sino a provocare una presa di posizione del consiglio regionale, in particolare attraverso l'ordine del giorno del 28 giugno 2005 con il quale l'amministrazione regionale si impegna a garantire il più ampio coinvolgimento delle istituzioni locali: all'uopo lo stesso presidente della giunta regionale, si impegnò a voler sospendere l'iniziativa, con l'esplicita dichiarazione a non dare luogo a decisioni di sorta senza un preventivo consenso delle comunità locali;
   successivamente, la Repubblica di Slovenia, ha elaborato il piano energetico nazionale 2011 che, in ossequio alle disposizioni della Comunità europea, ha trasmesso allo Stato italiano e da questi alla regione Friuli Venezia Giulia per le rituali osservazioni del caso;
   contemplando il medesimo Piano la realizzazione della linea elettrica Okroglo-Udine ovest, le comunità potenzialmente interessate dall'elettrodotto, non ne sono state al momento informate;
   prevedendo il piano energetico nazionale sloveno il raddoppio della centrale nucleare di Krsko, appare in tutta evidenza che la nuova linea Okroglo-Udine ovest, sarà asservita all'estrazione dell'energia nucleare e quindi finalizzata al potenziamento di una centrale nucleare troppo vicina alle comunità del Friuli Venezia Giulia per suscitare forti preoccupazioni, tanto più in considerazione dei recenti approfondimenti compiuti dall'ente francese in relazione alla sicurezza sismica;
   in particolare, l'elettrodotto in questione è stato fatto ricomprendere fra gli interventi di medio lungo termine presenti nel piano di sviluppo decennale della rete elettrica europea;
   si ravvisa pertanto l'obiettiva difficoltà di contrastare processi decisionali che possono causare una irreversibile decadenza delle potenzialità turistico-economiche e culturali del territorio, di ovviare a quelle deprecate compensazioni economiche che si fanno strada nelle odierne avverse condizioni finanziarie dei comuni –:
   per le ragioni sopra esposte, quali azioni intenda intraprendere relativamente all'attraversamento dell'elettrodotto aereo Okroglo-Udine ovest e se ritenga di farsi carico delle avversità manifestate dalle comunità slovene dell'Alta Valle dell'Isonzo per una comune azione di autotutela nei confronti delle rispettive nazioni di appartenenza. (4-01440)


   SEGONI, TERZONI, MANNINO, DAGA, DE ROSA, TOFALO, ZOLEZZI e COZZOLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il testo unico delle acque pubbliche di cui al regio decreto n. 1775 del 1933 norma il rilascio di concessioni di acque pubbliche;
   con decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (decreto Bassanini) le competenze sul demanio idrico sono state trasferite alle regioni;
   la procedura delle concessioni sfugge ai controlli, con pratiche inevase da anni e mancati introiti per la pubblica Amministrazione, così come evidenziato anche da alcune inchieste giornalistiche, tra le quali citiamo quelle pubblicata dalla «Repubblica» sezione «Le Inchieste» dal titolo «Un paese groviera: 10 milioni di pozzi. Troppi scavi abusivi per trovare l'acqua» di Margherita D'Amico del 2 ottobre 2012 e quelle pubblicate da «Goleminformazione» sezione «Approfondimenti», dal titolo «Regioni e risorse idriche: Le entrate (mancate) dell'acqua pubblica» di Mariangela Latella del 23 novembre 2012;
   la platea dei soggetti che richiedono concessione si è estesa a milioni di possessori di pozzi a seguito della pubblicità di tutte le acque sotterranee sancita con la legge n. 36 del 1994;
   il numero dei pozzi esistenti sul territorio nazionale, come risulta dalle suddette inchieste, viene stimato intorno ai 10 milioni di unità e per la gran parte non denunciati;
   l'estrazione incontrollata di acque sotterranee può produrre il prosciugamento dei corsi d'acqua alimentati dalle falde sotterranee, l'abbassamento del livello dei laghi, la riduzione della portata di sorgenti, il disseccamento dei fontanili, la contrazione delle aree umide con nocumento per la vita acquatica ed il paesaggio;
   con la legge n. 464 del 1984 viene fatto obbligo di comunicare al Servizio Geologico d'Italia – Dipartimento difesa del suolo (ISPRA) le informazioni relative alle indagini a mezzo di scavi e perforazioni spinti a profondità maggiori di 30 metri dal piano campagna, ma la banca dati dell'ISPRA risulta popolata soltanto da alcune migliaia di pozzi, evidenziando tutta la discrepanza tra il sommerso non denunciato e il denunciato non trasmesso;
   attualmente le tecnologie permettono perforazioni profonde a costi contenuti, tali perforazioni, se non correttamente eseguite, possono mettere in connessione falde sovrapposte con conseguente alterazione della circolazione sotterranea e propagazione di inquinanti anche negli acquiferi più profondi;
   non esiste un albo dei perforatori, né è noto se le ditte che operano nel settore dispongano di conoscenze adeguate alla corretta esecuzione delle opere ed alla prevenzione dei danni conseguenti alle estrazioni di acque sotterranee e/o se si avvalgano di professionalità adeguate;
   i canoni per le concessioni di acque pubbliche superficiali e sotterranee, stabiliti dalle regioni, non tengono conto dei costi ambientali;
   i canoni delle concessioni di acque superficiali e sotterranee sono determinati sulla base delle portate derivate piuttosto che sui quantitativi globalmente sottratti al corpo idrico, assumendo come unità di misura prevalente il modulo (pari a 100 litri secondo), unità di misura compatibile solo con alcune tipologie di derivazione e non con le acque sotterranee, dove la semplice estrazione di pochi litri al secondo può introdurre danni ambientali rilevanti;
   gli introiti dei canoni così calcolati non coprono i costi ambientali, non rispettano il principio «chi inquina paga» e non incentivano gli utenti all'adozione di misure per il risparmio idrico anche avvalendosi delle nuove tecnologie disponibili nel settore;
   l'approvvigionamento idropotabile in Italia deriva per il 90 per cento da acque sorgive di alta qualità e solo per il restante da acque di fiume opportunamente trattate;
   i gestori di cui al servizio idrico integrato spesso non dispongono di adeguato titolo concessorio per le acque addotte e immesse in rete e che le aree da cui si estrae non sono adeguatamente protette come stabilito all'articolo 94 del decreto legislativo 152 del 2006 e della direttiva 2000/60/EC, articolo 6 (registro delle aree protette);
   una tale situazione di governo incontrollato delle concessioni di acque pubbliche ha riflessi negativi non solo sull'ambiente ma sugli stessi costi di fornitura all'utenza, come dimostrano gli interventi in aree le cui acque contengono elevate concentrazioni di arsenico;
   il mancato controllo delle risorse derivate e conseguentemente dei reflui immessi vanificano ogni sforzo di raggiungere gli obiettivi fissati dalla direttiva quadro sulle acque sui corpi idrici superficiali e sotterranei;
   all'articolo 11 della direttiva quadro in merito alla gestione della acque (Direttiva 2000/60/CE) stabilisce che gli stati membri attivino «servizi sulla risorsa idrica» basati sul recupero dei costi e sul principio «chi inquina paga»;
   il 26 marzo 2012 la Commissione europea, nell'ambito della procedura di infrazione n. 2007/4680, ha emesso nei confronti dell'Italia un parere motivato per la non conformità della Parte III del decreto legislativo 152 del 2006 con la sopracitata direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque –:
   se il Ministro intenda a breve termine introdurre correttivi alla parte III del decreto legislativo 152 del 2006 ed al testo unico 1775 del 1933 affinché si istituiscano immediatamente anche in Italia i citati servizi sulla risorsa idrica basati sul recupero dei costi e sul principio «chi inquina paga»;
   se il Ministro in tali correttivi intenda destinare gli introiti dei canoni di concessione di acqua pubblica alla costituzione dei servizi stessi prevedendo in essi non solo le procedure amministrative circa la riscossione dei canoni, le volture, e altro, ma anche tutte le operazioni di controllo tecnico in corso e post-opera, la gestione dei flussi informativi delle letture dei contatori, i controlli sulle opere di dismissione e la repressione dell'abusivismo, al fine di disporre un quadro continuamente aggiornato dei prelievi e degli scarichi sul territorio nazionale;
   se il Ministro sia a conoscenza che un'adeguata rimodulazione dei canoni sui quantitativi realmente estratti e sui costi ambientali, come chiede la Commissione europea, possa produrre introiti atti a sostenere un'occupazione qualificata di migliaia di giovani;
   se il Ministro non intenda acquisire elementi in merito ai titoli concessori dei gestori del servizio idrico integrato e di quante e quali aree di salvaguardia siano state istituite per le aree di approvvigionamento idrico per il consumo umano, a tutela e garanzia dell'utenza e al fine di evitare che l'assenza di tali premesse si traduca in futuro in costi aggiuntivi destinati ad opere di potabilizzazione prevedibili ed evitabili. (4-01446)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la società «Tre Tozzi Renewable Energy» ha presentato un progetto per la realizzazione di un parco eolico offshore da installarsi nello specchio d'acqua antistante i comuni di Mazzara del Vallo (Trapani) e Petrosino (Trapani) e, specificatamente, nel tratto di mare compreso tra «Capo Feto» e «Punta Biscione»;
   la richiesta di concessione per la realizzazione del parco eolico avrà una durata di trent'anni e interesserà un'area di 21.555.540 metri quadrati, quale perimetrazione allargata, con la previsione di installare quarantotto aerogeneratori alla distanza di due miglia dalla costa;
   in data 31 ottobre 2012 il Consiglio nazionale delle ricerche, ha comunicato alla capitaneria di porto di Mazzara del Vallo (Trapani) l'esito del proprio parere in merito alla realizzazione dell'impianto offshore;
   in particolare, nel parere esposto dal CNR, in riferimento alla relazione integrativa presentata dalla società «Tre Tozzi Renewable Energy» per la realizzazione del parco eolico, si definiscono «non esaustive» le informazioni tecniche del documento prodotto dalla medesima società. Specificatamente, il parere del CNR solleva seri dubbi per quanto riguarda l'impatto ambientale e socio-economico che la realizzazione dell'opera potrebbe comportare al comparto della pesca nell'area interessata, poiché, a parere del CNR, le informazioni tecniche si basano su un numero alquanto limitato di dati e osservazioni;
   nella stessa relazione del CNR si fa esplicita menzione della mancanza di adeguate analisi tecniche-scientifiche in merito alla presenza nell'area di «habitat sensibili», e, in particolare modo, degli effetti che l'impianto eolico potrà avere su quest'ultimi;
   risulta evidente, dal parere del CNR, di come l'impatto sull'attività della pesca non sia evidenziato esclusivamente dalla messa a dimora dei piloni di supporto degli aerogeneratori, ma anche da altri fattori quali: rumore generato, trasmissione di corrente elettrica e i campi elettromagnetici che si genereranno;
   altrettanto rilevante appare l'osservazione tecnica del CNR, riguardante l'approssimazione delle analisi socio-economiche e ambientali dell'impatto dell'opera sull'area interessata. Difatti, oltre ad esprimere parere «non positivo» il parere del CNR evidenzia oggettivi limiti e carenze nella relazione fornita dalla società «Tre Tozzi Renewable Energy» –:
   quali atti urgenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di salvaguardare le specificità socio-economiche – attività di marineria – e ambientali – habitat sensibili – dell'area interessata dalla realizzazione del parco eolico offshore, alla luce delle criticità espresse dal Consiglio nazionale di ricerca nel suo parere alla relazione integrativa presentata dalla società «Tre Tozzi Renewable Energy». (4-01462)


   DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione della giunta regionale n. VIII/4215 del 28 febbraio 2007 la giunta della regione Lombardia ha promosso l'accordo di programma finalizzato alla realizzazione di un nuovo polo sanitario di ricerca e di didattica attraverso la localizzazione delle nuove sedi dell'Istituto nazionale neurologico «Carlo Besta» e dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano in un'area adiacente all'azienda ospedaliera Sacco;
   il 7 aprile 2009 regione Lombardia, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, comune di Milano, comune di Novate Milanese, fondazione IRCCS – istituto neurologico Carlo Besta, fondazione IRCCS – istituto nazionale dei tumori, azienda ospedaliera Sacco e università degli studi di Milano hanno sottoscritto l'accordo di programma finalizzato alla realizzazione della nuova città della salute e della ricerca in adiacenza all'ospedale Luigi Sacco di Milano;
   in data 20 dicembre 2011 l'assemblea dei consorziati ha deliberato lo scioglimento del consorzio Città della salute e della ricerca e nel collegio di vigilanza del 22 dicembre 2011 sono state evidenziate criticità legate alla localizzazione della città della salute e della ricerca nell'area di Vialba, ovvero alla necessità di realizzare nuovi interventi per il potenziamento dell'accessibilità pubblica e privata, per la protezione idrogeologica dell'area e per l'acquisizione delle aree di proprietà dell'INPS, implicando risorse aggiuntive rispetto a quanto già stanziato, pari a 80 milioni di euro e non oltremodo sostenibile dalla regione;
   nel collegio di vigilanza del 22 marzo 2012, sulla base delle risultanze degli incontri tecnici effettuati, finalizzati a verificare la possibilità di superare le criticità di cui al punto precedente, si è preso atto dell'impossibilità di realizzare la città della salute nell'attuale localizzazione di Vialba, concordando di risolvere l'accordo di programma sottoscritto nel 2009 relativamente all'ambito di localizzazione di Vialba e di approfondire nuove possibili localizzazioni alternative avanzate dalle amministrazioni locali quali, la piazza d'armi della caserma Perrucchetti di Milano proposta dal comune di Milano e le aree proposte dal comune di Sesto San Giovanni situate all'interno del progetto di riqualificazione delle aree dismesse dagli stabilimenti ex Falck;
   in data 28 maggio 2012 il sindaco del comune di Sesto ha trasmesso alla regione una lettera della Sesto Immobiliare spa (soggetto attuatore degli interventi previsti nel PII «Aree Ex Falck e Scalo Ferroviario), quale impegno unilaterale della società proprietaria dell'area a cedere gratuitamente le aree ove ubicare la città della salute all'interno delle aree già previste in cessione dal PII; a provvedere alla bonifica dei sedimi delle aree oggetto di cessione in tempo utile a consentire l'apertura del cantiere per la realizzazione della città della salute; ad assumere a proprio esclusivo carico tutti gli oneri correlati alle attività di implementazione progettuale del PII conseguenti alla scelta della regione Lombardia di allocare la città della salute nelle aree oggetto del PII; a valutare le potenziali sinergie tra le strutture private e le strutture pubbliche;
   in data 8 giugno 2007, è stato stipulato un accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Lombardia e comune di Sesto San Giovanni finalizzato all'utilizzo dei fondi messi a disposizione con legge 18 novembre 1996, n. 582, pari a circa a 12.911.422,47 euro, per la realizzazione di interventi di riqualificazione ambientale delle aree incluse nel sito di interesse nazionale e nelle aree pubbliche del comune di Sesto San Giovanni (sito di interesse nazionale Sesto San Giovanni) – legge 23 dicembre 2000, n. 388 – perimetrazione sito: decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 31 agosto 2001. Le indagini di caratterizzazione hanno evidenziato una rilevante situazione di compromissione ambientale dovuta a un diffuso inquinamento dei suoli da metalli pesanti, PCB, diossina e composti organici, mentre in riferimento alle acque di falda sussiste uno stato di contaminazione da nitrati, metalli (cromo totale, cromo esavalente, alluminio, ferro, nichel, piombo), toluene, idrocarburi e composti organo clorurati (cloroformio, 1,1-dicloroetilene, 1,2-dicloropropano, 1, 1,2-tricloroetano, tricloroetilene, tetracloroetilene);
   in data 21 gennaio 2013 è stato redatto da infrastrutture Lombarde per conto della regione Lombardia il rapporto ambientale ai fini della valutazione ambientale strategica e si suppone sia stato trasmesso per l'approvazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - direzione generale per le valutazioni ambientali;
   nel rapporto si evidenzia come l'area oggetto della valutazione ambientale strategica sia inserita totalmente nell'area definita come SIN;
   nel rapporto emerge che: la principale sorgente di rumore che influenza il clima acustico dell'area in cui sorgerà la CDSR è costituita dal traffico ferroviario della linea Milano-Chiasso e dal traffico veicolare lungo la nuova strada prevista dal PII Aree ex Falck che si sviluppa parallelamente alla ferrovia (via Acciaierie) e da via Gramsci. Il contributo principale all'emissione di CO, PTS, PM10, PM2.5 e NOx è dato dal trasporto su strada, mentre, per quanto riguarda gli NOx, è molto importante anche la produzione d'energia e trasformazione dei combustibili; i principali responsabili della formazione di SO2 in atmosfera, invece, sono il trattamento e smaltimento dei rifiuti e la combustione nell'industria Nel macrosettore del trattamento e smaltimento rifiuti, un contributo importante d'emissione di inquinanti è dato dall'incenerimento dei rifiuti; si evidenzia, in merito, l'esistenza sul territorio di Sesto San Giovanni di un impianto per la termovalorizzazione degli RSU finalizzato alla produzione di energia elettrica. La falda, sia superficiale che profonda, è interessata dalla rilevata presenza di alcuni composti alifaticiclorurati cancerogeni in concentrazioni superiori ai limiti di riferimento normativi peraltro spesso presenti in misura maggiore nelle stazioni di rilevamento, poste a monte dell'area in oggetto, e minore in quelle a valle della medesima. Per tale motivo nello Studio d'impatto ambientale redatto a corredo del PII considerato anche la quasi totale assenza nel terreno dell'area in oggetto dei composti rilevati nella falda, si afferma che la presenza dei suddetti composti nelle falde non sia da ascrivere alle attività svolte in passato sul sito, ma bensì sia attribuibile alla generale compromissione, nota da tempo, delle acque sotterranee del territorio di Sesto San Giovanni e, in generale, dell'area del milanese;
   la bonifica dell'area interessata dal PII in cui è insita l'area destinata alla costruzione della Città della salute sarà possibile in circa 6 anni;
   da vari articoli di stampa apparsi nel maggio/giugno 2013 (Il giorno 5 maggio 2013) si è potuto apprendere che: «Il Ministero dell'ambiente chiede una bonifica più radicale dei terreni ex industriali e dell'acqua di prima falda di Sesto San Giovanni. Ma i conti potrebbero non tornare: tanto da rimettere in discussione la sostenibilità dell'intero piano Falck (...);
   dopo una serie di consultazioni con gli interessati ed in particolare con l'amministratore delegato della società Sesto Immobiliare il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, ritiene di avere avuto tutte le assicurazioni possibili per procedere alla costruzione nell'area nel sito di interesse nazionale di Sesto San Giovanni e il 25 luglio intende procedere alla stesura dell'accordo di programma con le parti già citate tra cui si ricorda il Ministero della salute come parte in causa posto che le due fondazioni (istituto Besta ed Istituto Tumori) sono istituti di cura e ricerca (IRCCS) di diritto pubblico e in quanto tali debbono rispondere dei risultati ottenuti a fronte degli stanziamenti a loro erogati per la ricerca biomedica di base e finalizzata, nonché in quanto erogatore a suo tempo dei finanziamenti destinati dal decreto ministeriale del 7 luglio 2006 a beneficio dei due Istituti per complessivi 40 milioni –:
   se sia al corrente dei fatti sopracitati, se sia in grado di fornire un'evidenza effettiva dell'avvenuta opposizione alla procedura valutazione ambientale strategica in relazione a quanto evidenziato dall'esame del rapporto redatto dalla Regione Lombardia e quali misure intenda adottare per prevenire eventuali onerosità relative alle criticità sopravvenute. (4-01466)


   DE LORENZIS, COZZOLINO, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, SILVIA GIORDANO, CRISTIAN IANNUZZI, CECCONI, LIUZZI, D'INCÀ, MUCCI e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da documentazione pervenuta alla conferenza stampa del 22 luglio 2013 del Comitato «Cittadini e lavoratori Liberi e Pensanti» di Taranto, comitato formato da lavoratori Ilva e cittadini di Taranto e provincia, si viene a sapere che in merito alla visita dei Senatori delle Commissioni ambiente e industria effettuata nello stabilimento Ilva di Taranto della medesima giornata, da giorni un documento distribuito dall'Ilva ai propri dipendenti, impone ai lavoratori e ai capi-area di non usare, durante la visita della commissione, mezzi, sollevatori, camion e si prevede di fermare gli impianti, per poi riprendere dopo la visita delle commissioni parlamentari;
   il comitato sopracitato afferma anche che la visita dei senatori all'interno dell'Ilva non sarà effettuata nei luoghi e nei reparti dove saranno previsti i lavori per l'ottemperanza dell'AIA e per questo si dicono disponibili ad accompagnare i parlamentari della Repubblica nelle aree dove le prescrizioni dell'AIA dovrebbero essere effettuate e nei quali tra l'altro non sono ancora stati rilevati i lavori in merito contravvenendo alle prescrizioni stesse;
   lo stabilimento Ilva spa di Taranto è uno stabilimento di interesse strategico nazionale commissariato dallo Stato a seguito del decreto-legge n. 61 del 2013;
   la notte tra il 21 e il 22 luglio 2013 nel quartiere Tamburi di Taranto si è avvertito un forte boato tale da indurre gli abitanti del quartiere sopracitato che fosse esplosa un ordigno di grosse dimensioni, creando sconcerto e preoccupazione negli abitanti e da quanto riferito da fonti di Taranto e da operai dell'Ilva, il boato è si è creato con la messa in funzione dei Fog-Cannon all'interno dello stabilimento Ilva spa –:
   se e quando il Ministro interrogato intende riferire al Parlamento dello stato di attuazione dell'ottemperanza delle prescrizioni dell'AIA, ricordando che avrebbe dovuto già riferire entro fine giugno 2013 come stabilito dall'articolo 1, il comma 5 della legge 231 del 2012;
   se corrisponda al vero la sospensione delle attività sopracitate in occasione della visita dei senatori allo stabilimento Ilva;
   se il Ministro sia disponibile a svolgere un sopralluogo insieme ai parlamentari della Repubblica o a consentire ai parlamentari della Repubblica di visitare lo stabilimento Ilva di Taranto, commissariato dallo Stato Italiano in quanto stabilimento d'interesse strategico nazionale, accompagnati dagli operai del Comitato dei «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti» di Taranto che cortesemente si sono offerti di mostrare le incongruenze in merito alle prescrizioni AIA;
   se le apparecchiature Fog-Cannon in dotazione all'Ilva di Taranto siano a norma di legge e se il forte boato non corrisponda ad un'anomalia di funzionamento e se il Ministro interrogato ritenga opportuno consentire l'accensione di queste macchine, anche nel caso in cui non fossero a norma e che il boato corrispondesse ad un'attività regolare delle macchine in oggetto, provocando sconcerto e preoccupazione negli abitanti del quartiere
Tamburi quando azionate nel cuore della notte.   (4-01470)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIGONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sui principali organi di informazione della città di Roma si è data la notizia della comunicazione di sfratto per l'esercizio commerciale del «Caffè della pace», uno dei locali più caratteristici e famosi della città, la cui attuale gestione risalente al 1961, negli anni ’80 ottenne il riconoscimento di «Negozio d'epoca» da parte del comune di Roma. Recentemente, il 6 novembre 2012, il comune di Roma ha nuovamente insignito il locale con il titolo di Bottega storica di Roma;
   l'Associazione culturale locali storici d'Italia, operante sotto il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali in data 31 novembre 2011, ha conferito al caffè della pace il riconoscimento di locale storico;
   sempre secondo le notizie di stampa, l'amministrazione del Pontificio Istituto Teutonico Santa Maria dell'Anima, proprietaria dell'immobile in cui è sito detto esercizio commerciale, ha inviato ai locatori, una notifica di sfratto poiché sarebbe intenzionata a trasformare l'intero edificio in albergo;
   la famiglia Serafini, locatori da ben 52 anni, ha sempre e puntualmente provveduto al pagamento del canone di affitto e si è subito resa disponibile ad adeguare l'importo del canone per il rinnovo del contratto;
   la cessazione di attività del «Caffè della Pace» comporterebbe non solo gravi problemi economici alla famiglia Serafini che gestisce il locale ma soprattutto ai circa 30 giovani dipendenti con ripercussioni economiche disastrose sulle loro famiglie, facendo inoltre perdere alla città di Roma un pezzo della sua identità, del suo tessuto urbano e del vissuto quotidiano di cittadini e turisti;
   l'amministrazione comunale si è già attivata per scongiurare una tale ipotesi e per facilitare un confronto con la proprietà per individuare le soluzioni, anche di tipo contrattuale per garantire la continuità di una realtà come il bar della pace;
   il tema della tutela e valorizzazione delle attività storiche e tradizionali e degli antichi mestieri assume, in un Paese come l'Italia, un significato profondo e una valenza strategica fondamentale, rappresentando una sorta di «monumenti viventi», espressione dell'identità collettiva, della nostra civiltà urbana, oltre che una risorsa chiave per lo sviluppo dell'occupazione, dell'economia, degli scambi, della cultura e del turismo nel nostro paese, offrendo occasioni d'impiego in attività qualificanti volte alla produzione di beni di alta gamma;
   nel nostro ordinamento, ancora non trova accoglienza un'organica disciplina che consenta una specifica tutela per i locali storici, anche se nella passata legislatura furono depositate diverse proposte di legge al riguardo, finalizzate alla tutela e alla valorizzazione delle botteghe, delle attività storiche e tradizionali e degli antichi mestieri italiani e per il loro riconoscimento come beni culturali –:
   se non ritenga ormai maturo il tempo per l'adozione di una specifica iniziativa normativa che disciplini tali realtà del nostro patrimonio culturale, urbano ed economico, scongiurando l'impoverimento delle nostre tradizioni e lo snaturamento dei nostri centri storici, in modo che, ad esempio, la città di Roma non venga privata di una testimonianza importante come il bar della pace per il suo tessuto urbano, civile e culturale, così come di altre attività commerciali e artigianali che stanno rischiando di sparire definitivamente. (5-00720)


   BURTONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di qualche giorno fa che il manoscritto del primissimo romanzo di Giovanni Verga, «Amore e Patria» dedicato alla guerra di indipendenza americana che lo scrittore siciliano aveva scritto quando aveva solo sedici anni e che si pensava fosse andato disperso, è stato ritrovato;
   è stato recuperato dai Carabinieri dei beni culturali, a distanza di oltre 80 anni e con lui anche numerose carte autografe per un valore stimato in almeno 4 milioni di euro;
   la storia incomincia negli anni Trenta quando, morto da poco Verga (1840-1922), il figlio Giovannino affida ad uno studioso di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) una serie di manoscritti del padre senza mai più riuscire a riaverli indietro;
   a nulla valsero le richieste di restituzione, le pressioni, gli interventi delle istituzioni, persino le interrogazioni parlamentari presentate lungo vent'anni, dal 1957 al 1977, per chiedere l'esproprio di questo tesoro di carte in nome della pubblica utilità;
   nel 1975 il nipote dello scrittore, Pietro, figlio di Giovannino, in causa da anni con lo studioso di Barcellona, ottiene dal tribunale di Catania una sentenza che gli attribuisce il possesso legale di tutti i manoscritti del nonno;
   tre anni più tardi, ancora prima di entrarne in possesso, Pietro Verga, anche per cercare una sponda dalle istituzioni, offre in vendita al comune di Catania l'intero corpo delle carte del nonno, incluse le opere non ancora notificate;
   il comune di Catania con la regione Sicilia, accettarono l'offerta di vendita di tutto il fondo per 89 milioni di lire;
   va detto però che il comune entra in possesso solo di una piccola parte del Fondo verghiano, quella che era nella disponibilità degli eredi;
   da allora, sia il comune di Catania sia la famiglia hanno continuato la battaglia per riavere le carte dallo studioso di Barcellona, che si era sempre anche rifiutato di aprire la sua biblioteca per consentire un inventario e che nel frattempo era morto lasciando il tesoro in eredità alla figlia;
   la svolta arriva nel dicembre del 2012, quando la soprintendenza ai beni librari della regione Lombardia si accorge di un Fondo verghiano messo in vendita in una casa d'aste di Pavia proprio dalla figlia dello studioso messinese, A.P., oggi 76enne;
   a quel punto, insieme alle indagini, coordinate dalla procura della Repubblica di Roma e affidate al reparto operativo dei carabinieri dei beni culturali guidato dal maggiore Antonio Coppola, viene disposto lo spostamento e il deposito temporaneo del Fondo all'università di Pavia (dove è ancora custodito dopo il sequestro penale disposto dai Carabinieri Tpc);
   gli investigatori perquisiscono anche la casa della donna a Roma e lì trovano un'altra parte del tesoro, ancora carte e manoscritti di Verga, disegni e appunti, scatole e scatole di microfilm con le riproduzioni di lettere e manoscritti, oltre ad una serie di reperti archeologici del V-II secolo a.C. provenienti da scavi clandestini con conseguente denuncia della donna;
   il recupero del romanzo nonché di tutti i manoscritti di Verga rappresenta una importantissima notizia per il mondo della cultura;
   tutto ciò merita adeguata valorizzazione con una intesa istituzionale di alto profilo in cui l'azione della fondazione, del comune di Catania e della regione Siciliana sia coordinata a tale importantissimo obiettivo –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per quanto di competenza per velocizzare i tempi per l'arrivo a Catania dei suddetti lavori di Giovanni Verga e se intenda adottare una intesa istituzionale con relative risorse per la valorizzazione delle opere ritrovate al fine di dare nuovo e più significativo impulso alla Fondazione. (5-00724)


   RICCIATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente Olivieri gestisce in Pesaro dal 1793 una importante biblioteca ed un museo archeologico: la biblioteca ed i musei Oliveriani;
   si tratta della più consistente concentrazione di beni culturali non solo della provincia di Pesaro e Urbino, ma anche della intera regione Marche;
   il patrimonio della biblioteca è costituito da circa 355.000 opere a stampa che datano a partire dal XV secolo, tra le quali 380 incunaboli, 2.262 manoscritti, un fondo diplomatico di altrettante pergamene, migliaia di «cinquecentine» e «seicentine», carte geografiche, mappe, disegni e incisioni, nonché una cospicua raccolta di opere moderne;
   alla Biblioteca Oliveriana è affidato il deposito dell'Archivio storico del comune di Pesaro – città e contado – a partire dal secondo Quattrocento sino agli inizi del Novecento;
   l'ente Olivieri svolge un impegnativo lavoro di catalogazione del suo vasto patrimonio bibliografico con l'indispensabile supporto di personale esterno;
   l'ente Olivieri è sostenuto principalmente dai contributi del comune di Pesaro, della provincia di Pesaro e Urbino, dalla fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro;
   tali contributi, a causa della crisi economica che interessa il nostro Paese, si sono fortemente ridimensionati;
   dal 2004 l'ente accede al contributo annuale del Ministero dei beni culturali per il recupero del pregresso, inventariazione del patrimonio antico e moderno (Fondi storici), finalizzato al funzionamento e alle attività delle biblioteche non statali aperte al pubblico. Tale contributo ministeriale, inizialmente pari ad euro 15.000, è stato ridotto nel 2012 a soli euro 1.000;
   nel corso del 2013 sono state avanzate le seguenti richieste di finanziamento al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   l'ente Olivieri, in data 21 febbraio 2013, ai sensi della circolare n. 138 del 2002, ha presentato domanda alla direzione generale per le biblioteche, gli istituti culturali ed il diritto d'autore – Servizio II, acquisita con prot. 4301 del 6 febbraio 2013, al fine di accedere al medesimo contributo Fondi storici per il corrente anno;
   dopo aver approvato il progetto di riordino, inventariazione e digitalizzazione del fondo perticari della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, la soprintendenza archivistica per le Marche, con prot. 495 del 22 aprile 2013 ha trasmesso la relativa richiesta di contributo alla direzione generale per gli archivi per gli adempienti di competenza;
   dai programmi di finanziamento ricavati dai fondi del gioco del lotto, la soprintendenza archeologica per le Marche ha trasmesso con protocollo 780 del 7 febbraio 2013 alla direzione generale affari generali e bilancio la richiesta di finanziamento relativa ad interventi da effettuarsi sui locali del Museo Oliveriano;
   ad oggi tali richieste di finanziamento sono prive di riscontro da parte dei competenti uffici del Ministero;
   senza tali fondi l'ente Olivieri sarà costretto a ridimensionare fortemente, se non ad interrompere, l'opera di catalogazione del patrimonio bibliografico, nonché ridurre l'accesso e la fruizione del patrimonio culturale custodito –:
   se il Ministro non ritenga opportuno ripristinare il contributo annuale per il recupero del pregresso, inventariazione del patrimonio antico e moderno (Fondi storici) al valore iniziale pari ad euro 15.000;
   entro quanto tempo ritenga che possano essere definitive ed evase le richieste di finanziamento citate in premessa, considerata la necessità e l'urgenza di impedire che l'ente Olivieri sia costretto a sospendere le sue attività e i suoi servizi;
   quali ulteriori iniziative intenda promuovere al fine di salvaguardare, ed eventualmente sostenere, le attività culturali lodevolmente svolte dall'ente Olivieri, custode della memoria storica e del patrimonio culturale della provincia di Pesaro e Urbino. (5-00743)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 87 del giugno 2012, non convertito in legge ma poi sostanzialmente confluito nel decreto cosiddetto «Spending Review», si è dato il via al progetto «Valore Paese - Dimore d'Italia»;
   Invitalia, Agenzia del demanio, ed Anci con la collaborazione con il Ministro per la coesione territoriale, i Ministeri per i beni e le attività culturali, dello sviluppo economico, dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport, sono i soggetti promotori del progetto Valore Paese - Dimore orientato al rafforzamento dell'offerta culturale e della competitività del Paese attraverso la leva del turismo sostenibile;
   l'obiettivo del progetto è quello di recuperare e/o valorizzare il patrimonio pubblico dismesso che abbia valenza storico-artistica e paesaggistica: fortezze, castelli, palazzi, ville, fari, caserme, conventi, e altro. Tutto questo verrà realizzato mettendo a punto un programma imprenditoriale per la realizzazione di un network di strutture ricettive rispondenti a precisi standard di qualità che, accanto ai tradizionali servizi alberghieri, presuppone l'offerta di veri e propri servizi culturali, sotto un unico brand riconoscibile, simbolo di tutela, sviluppo, qualità e affidabilità;
   in definitiva, il recupero del predetto patrimonio storico e artistico pare avverrà attraverso una riqualificazione urbana e paesaggistica, che sostanzialmente consentirà di trasformare gli edifici interessati in servizi alberghieri –:
   se l'intento del Governo sia di proseguire su tale linea e come si intenda preservare, nell'ambito della prevista valorizzazione, le peculiarità storico-architettoniche dei beni interessati. (4-01387)


   DI LELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero per i beni e le attività culturali è azionista unico, detenendo il 100 per cento del pacchetto azionario, di ALES arte lavoro e servizio spa – costituita il 17 dicembre 1998 e impegnata da oltre dieci anni in attività di supporto alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale ed in attività di supporto agli uffici tecnico – amministrativi del socio unico;
   in data 16 dicembre 2012, è stato pubblicato da ALES spa un avviso per «la selezione pubblica per titoli e colloquio» del direttore generale della società da parte dello stesso Ministero per i beni e le attività culturali, cui spetta, per statuto, la nomina;
   entro il 4 gennaio 2013 i candidati avrebbero dovuto presentare la relativa documentazione;
   in relazione al bando per l'assunzione del direttore generale è stata presentata un'interrogazione parlamentare che lascia seri dubbi sulla correttezza di questa assunzione;
   le organizzazioni sindacali esprimono forti preoccupazioni per il futuro occupazionale dei lavoratori impegnati nelle varie strutture sull'intero territorio nazionale e denunciano, tra l'altro, situazioni di sprechi e di mala gestione della società indi per cui tale assunzione comporterebbe ulteriori spese di cui l'azienda non ha certo bisogno –:
   se il Ministero per i beni e le attività culturali abbia delegato ad ALES spa la selezione, e perché;
   se siano state presentate candidature;
   se sia stata costituita, e come, una commissione per la loro valutazione;
   se siano stati esaminati i titoli dei candidati e si sono svolti i previsti colloqui;
   se la procedura si sia conclusa e quale ne sia stato l'esito. (4-01442)

DIFESA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede d'interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   il poligono di tiro di Capo Frasca è il terzo d'Europa per estensione territoriale, sorto nella metà degli anni 50, si estende in un area di 14 chilometri quadrati, sul territorio del comune di Arbus, nella costa sud occidentale della Sardegna;
   il poligono di Capo Frasca è utilizzato da aeronautica e marina militare italiane, Nato e tedesche, per esercitazioni di tiro a fuoco aria-terra e mare-terra, dipende dall'aeroporto militare NATO di Decimomannu, situato a sud dell'isola, che rappresenta la base militare più attiva e trafficata d'Europa;
   vi sono situati impianti radar, eliporto, basi di sussistenza, ed impegna una vasta area di sicurezza a mare interdetta alla navigazione;
   la segnalata presenza di ordigni inesplosi a terra e soprattutto in mare fanno ricadere su ampia parte del territorio circostante il divieto di esercitare la pesca, coinvolgendo e penalizzando quindi in maniera diretta le popolazioni e i pescatori di Arbus, Guspini, Terralba, Arcidano, Marceddì, Pabras, Riola Sardo;
   il poligono viene utilizzato principalmente per l'addestramento di piloti di aerei supersonici, che effettuano le esercitazioni sparando da aria e da mare con cannoni e mitragliatrici a bordo degli aerei su appositi bersagli;
   il poligono ospita la 123a squadriglia radar remota, ente autonomo, che garantisce il funzionamento e la manutenzione della struttura della difesa aerea;
   l'indagine condotta dalla commissione parlamentare di inchiesta sull'uranio impoverito del Senato della XVI legislatura ha inserito all'interno delle sue indagini anche il poligono di Capo Frasca, soffermandosi in particolare sulle problematiche ambientali causate dalla presenza militare e sulle modalità di bonifica;
   nella relazione intermedia della sopracitata Commissione, si precisa che non sono state effettuate ricerche volte ad individuare inquinamento sul terreno e nella zona marina dato da residui metallici;
   di recente, è stato mutato l'orientamento del poligono per la direzione d'attacco, pertanto un'eventuale ricerca dovrebbe essere impostata sulla direttrice opposta;
   sarebbe opportuna un'indagine epidemiologica e ambientale nel territorio interdetto e circostante, poiché è risaputa la presenza di ordigni esplosi ed inesplosi a terra e nei fondali dell'ampia costa confinante con il poligono, da Arbus all'oristanese;
   il maresciallo Madeddu, in un'intervista rilasciata nel 2011, ha riferito che a Capo Frasca non è mai stata effettuata alcuna bonifica, nonostante la presenza di residui bellici in cinquant'anni di esercitazioni di forze armate di tutto il mondo;
   è frequente la presenza di capi di bestiame che pascolano all'interno della zona militare, con l'elevato rischio di contaminazione e trasmissione di malattie dovute dalla presenza probabile di metalli pesanti e nanoparticelle;
   non è mai stata effettuata alcuna analisi epidemiologica e ambientale su un territorio che da oltre 50 anni subisce i bombardamenti delle esercitazioni militari;
   all'interno del poligono sono presenti due importanti pezzi di cultura e storia come le villae maritimae romane, non visitabili e fruibili per uno sviluppo turistico e culturale in quanto ricadono nel territorio in concessione alla NATO;
   la Asl 6 del Medio Campidano non possiede dati storici, né si è mai attivata per raccoglierli, in relazione all'eventuale incidenza sui tumori che potrebbero avere la base militare (il riferimento è in tal caso al poligono di tiro aereo di Capo Frasca) e i siti minerari dismessi (Ingurtosu-Montevecchio), nonostante sia certa la presenza di decessi di personale civile e militare del poligono aereo, e sia certa l'alta incidenza di malattie tumorali nel territorio del Medio Campidano (Arbus, Guspini, Montevecchio, Gonnosfanadiga, Villacidro, Sanluri, San Gavino) e del basso oristanese (Terralba, Arcidano, Marrubiu, Arborea);
   l'indotto occupazionale dato dal poligono è ormai residuale, con circa 40 persone impiegate tra personale militare e ditte esterne che effettuano le pulizie;
   il comune di Arbus non riceve alcun vantaggio dalla presenza militare e dalla servitù su un'area vastissima, se non la poco più che simbolica compensazione di 1.400.000 euro circa ogni 5 anni;
   nei primi mesi dell'estate del 2013, alcuni turisti stranieri si sono recati negli uffici del comune di Arbus dopo essere scappati dalla spiaggia di Torre dei Corsari per la presenza di aerei militari che volavano a bassa quota vicino all'arenile, violando qualsiasi protocollo e penalizzando il turismo e la balneazione nel territorio;
   il comune di Arbus ha recentemente richiesto al comandante della base di Decimo e alla regione Sardegna la sovranità piena e l'istituzione di punti di balneazione sulle spiagge interdette di Salinedda, Cala Brigantino, e s'Enna e s'Arca, oltre ad aver istituito una commissione d'inchiesta nel consiglio comunale, facendo seguito alla richiesta dell'associazione «Cambiamo Arbus»;
   all'interno del territorio militare è presente il daino sardo, specie rara nella zona, presente solo a Capo Frasca;
   è penalizzato lo sviluppo locale e l'attività ittica a causa dell'interdizione di un ampio tratto di mare che collega la costa arburese a quella di Oristano e Cabras –:
   quali motivazioni geostrategiche spingano la difesa italiana e la NATO a mantenere in attività il poligono di Capo Frasca, istituito nella metà degli anni 50;
   quali siano precisamente le attività di esercitazione svolte attualmente all'interno del poligono;
   per quali motivazioni a Capo Frasca non siano state effettuate le dovute indagini epidemiologiche e ambientali e quale sia la volontà del Ministero in merito a questo tema, all'analisi dei terreni e delle acque, oltre al controllo dei fondali marini circostanti per verificare la presenza di materiale bellico;
   quali interventi si intendano attuare per la bonifica e riconversione del poligono di Capo Frasca, viste le indicazioni dalla Commissione difesa della XVI legislatura;
   se il Ministero, vista la mutata condizione della situazione politica internazionale, intenda porre fine alla ultracinquantennale servitù militare imposta a questo territorio.
(2-00163) «Piras».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   OTTOBRE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il perdurare della crisi economica internazionale ed il suo carattere strutturale impongono una razionalizzazione degli impegni di bilancio per le forze armate dei singoli Stati nazionali;
   l'Europa attualmente dispone di 27 forze armate nazionali, una per ogni Stato appartenente all'Unione europea, e le singole amministrazioni della difesa richiedono notevoli risorse ed investimenti pubblici;
   nel contempo e in modo sempre più impegnativo, diversi Paesi europei, e in primo luogo l'Italia, partecipano a importanti missioni di pace nei diversi scenari regionali di crisi ed a missioni di vigilanza dell'Unione europea;
   l'Unione europea, in ragione della mancanza di un esercito unitario e dell'assenza sostanziale di politica estera comune, appare in complessa condizione strategica –:
   quale si la posizione del Ministro sulla necessità di realizzare un esercito europeo unitari e sugli indirizzi da assumere, nelle sedi sovranazionali e di concerto con gli altri governi dell'Unione, affinché tale questione sia posta all'ordine del giorno del prossimo vertice dell'Unione europea e del confronto in sede europea. (5-00730)


   DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Esercito italiano ha in corso un programma di rinnovamento denominato Forza NEC (Network enabled capability) per la digitalizzazione dello spazio di manovra;
   tale programma prevede lo sviluppo e la realizzazione di una gamma molto vasta di progetti che riguardano soprattutto lo strumento operativo terrestre che vedrebbe, in una prima fase, la digitalizzazione di tre brigate medie oltre che della Forza di proiezione dal mare;
   nell'aprile 2009 le Camere hanno espresso parere favorevole al programma SMD 01/2009 concernente appunto la cosiddetta Forza NEC per un importo di 650 milioni di euro;
   recentemente, la sottosegretaria Pinotti, in risposta ad una interrogazione parlamentare, ha affermato che lo stanziamento per questo programma sarebbe di 800 milioni di euro;
   recenti articoli di stampa indicano in oltre 20 miliardi di euro la spesa che dovrà essere sostenuta nei prossimi anni per il completamento del programma;
   è di tutta evidenza che, data la vastità e complessità del progetto Forza NEC, il costo dello stesso è certamente più vicino a quest'ultima stima che alle cifre dell'autorizzazione parlamentare del 2009, o a quella fornita recentemente dal sottosegretario Pinotti;
   ne consegue che, di fatto, il Parlamento si trova ad aver autorizzato un programma la cui vastità e il cui impegno finanziario sono indeterminati ma certamente molto ampi, e di fatto si sta procedendo per fasi successive con la richiesta di singole autorizzazioni per sottoprogrammi senza che sia definito l'orizzonte economico e temporale del complesso;
   i progetti inseriti nel programma sono tecnologicamente ad altissimo rischio, come confermerebbe la dilatazione dei tempi di sviluppo di alcuni di questi o l'abbandono di altri, in taluni casi per la chiusura di aziende coinvolte in attività di primaria importanza. In tal modo si moltiplicano le già imprevedibili conseguenze sulla sostenibilità e sul costo finale –:
   se non ritenga di dover fornire un quadro di situazione del programma Forza NEC aggiornato sia in termini di obiettivi, che di costi, che di problematiche insorte, fornendo un quadro finanziario completo in base agli impegni già assunti ed in base a quelli da assumere dati i sottoprogetti già avviati, anche alla luce della ristrutturazione in corso nell'Esercito italiano. (5-00731)


   CORDA e ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'8 luglio 2012 il Ministro degli Esteri di Gibuti Mahmoud Ali Youssouf ha firmato un accordo con un rappresentante del Ministero della difesa italiano per la costruzione di una base militare italiana in quella enclave del Corno d'Africa. La notizia è stata resa pubblica del Ministro degli esteri etiope;
   negli ultimi anni si è rafforzata la collaborazione militare tra Italia e Gibuti. Nell'ambito del decreto sulle missioni all'estero nel 2012 venne ceduto al governo di Gibuti materiale militare per 430 mila milioni di euro (tra i quali 40 autocarri pesanti ACM-80 dell'esercito Italiano, 4 veicoli VM90T e vario altro materiale. L'anno successivo, sempre nel decreto omnibus sulle missioni l'Italia ha ceduto al governo di Gibuti materiali militari per 1,1 milioni di euro (tra cui 10 obici semoventi cingolati da 150mm M109L e 4 blindati Puma);
   a Gibuti c’è già oggi una folta presenza di militari occidentali. C’è Camp Lemonnier che ospita la statunitense Combined Joint Task Force Horn of Africa (CJTF-HOA). C’è la più grande base militare francese all'estero con la Forces Francaises Stationnées à Djibouti (FFDJ);
   entrambe le strutture citate sorgono a ridosso dell'aeroporto civile della capitale. Da qui gli Usa hanno fatto partire i raid aerei in Yemen, Somalia e Sudan;
   la base italiana dovrebbe nascere a ridosso delle due strutture alleate nei pressi dell'enorme deposito munizioni dei francesi, installato a nord est dell'aeroporto. Una breve bretella potrà mettere in comunicazione la base con la pista di volo, così da poter rendere ipotizzabili operazioni dei veicoli Predator o Reaper teleguidati dall'aeroporto pugliese di Amendola;
   secondo il sito web specializzato bruxelles2.eu, la base costerà all'Italia di solo affitto circa 30 milioni di euro –:
   considerata la veridicità di tali premesse, quale sia il motivo per cui è mai stata comunicata al Parlamento l'intenzione del Governo italiano di costruire una base militare a Gibuti, compatibilmente con il sistema di difesa italiano e il dettato della nostra Costituzione. (5-00732)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ARTINI, BASILIO, ALBERTI, CORDA, RIZZO, PAOLO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro della difesa dispone di una Scuola di formazione e perfezionamento del personale civile (indicata come CivilScuolaDife) ed ubicata in Roma, Via Mattia Battistini, n. 113-117, per lo svolgimento di corsi di aggiornamento e formazione per i dipendenti civili del predetto dicastero;
   la scelta di docenti dotati di adeguati titoli culturali e scientifici al fine della formazione di dipendenti pubblici deve costituire un obiettivo imprescindibile dell'intera pubblica amministrazione, onde assicurare l'aggiornamento professionale del personale, ivi compreso quello ad ordinamento civile incardinato presso il Ministero della difesa e deputato a coadiuvare, nel suo complesso, il sistema della difesa nazionale;
   il comitato direttivo costituito con decreto ministeriale 11 agosto 1970, deputato a fissare le direttive per il funzionamento della scuola nonché i criteri per l'organizzazione dei corsi, nel corso degli anni non si è mai più riunito, essendo venute meno parte delle figure che lo componevano con ovvia conseguenza che la tenuta di un albo docenti non ha avuto più, negli anni a seguire, il necessario e costante aggiornamento e attualmente l'attività dell'ex comitato direttivo, in via meramente surrogatoria, ma di fatto ormai costante, è svolta dalla divisione corsi e dall'ufficio corsi militari che provvedono all'acquisizione di personale docente, sulla base di curricula presentati dagli interessati e vagliati dai componenti uffici;
   nel corso degli anni le docenze sono state peraltro in massima parte attribuite a personale militare, a sua volta non sempre con titoli di docenze esterne all'amministrazione difesa, e ciò anche nel caso di docenti per corsi destinati al personale civile dipendente del Ministero della difesa;
   sulla scorta di quanto sopra: la scuola risulta non avere una struttura ad hoc deputata alla selezione dei docenti cui affidare lo svolgimento dei corsi di formazione per il personale civile, quale era l'ex comitato direttivo, organo del tutto distinto dagli uffici interni della scuola di formazione quali sono invece la divisione corsi e l'ufficio corsi militari che ora adempiono il suo ruolo;
   l'albo della scuola non solo non risulta più essere stato aggiornato costantemente, ma vieppiù risulta difettare di qualsivoglia forma di ufficializzazione, anche attraverso la sua ostensione pubblica;
   la scelta dei docenti risulta dunque avvenire in assenza di qualsivoglia procedura pubblica che garantisca la trasparenza ed imparzialità nell’iter attraverso la pubblicità di un bando di candidature, con relativa garanzia di pubblicità dei soggetti destinatari delle docenze attraverso la pubblicazione per via telematica del relativo albo docenti come avviene per altre scuole di formazione ministeriale, fra cui, per esempio, quelle del personale del personale dell'amministrazione dell'interno e del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Ministero della giustizia –:
   se il Ministro interrogato intenda o meno provvedere alla ricostituzione del comitato direttivo della scuola di formazione e perfezionamento del personale civile del Ministro della difesa (CivilScuolaDife), già istituito con decreto ministeriale 11 agosto 1970 e successivamente non più riunitosi, o comunque di altro organo collegiale, al fine di garantire che la scelta dei docenti affidatari di corsi avvenga da parte di corpo terzo ed indipendente dagli uffici interni della scuola medesima al fine di garantire la massima imparzialità nel vaglio delle candidature;
   se e quali iniziative intenda assumere ai fine di assicurare la costituzione di un formale ed aggiornato albo dei docenti della predetta scuola, anche attraverso la pubblicazione di un avviso pubblico per la presentazione di candidature, onde garantire la relativa massima partecipazione di candidature e la relativa selezione e scelta di docenti in possesso di adeguati curricula scientifico-professionali in relazione ai corsi formativi da somministrare al personale;
   se e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire la massima trasparenza in sede di scelta dei docenti per la predetta scuola, in conformità con il possesso di adeguati titoli culturali e scientifici degli affidatari ed anche al fine della pubblicazione per via telematica sulle pagine del sito della scuola del relativo albo docenti, ufficiale ed aggiornato. (5-00717)


   BURTONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il prossimo 15 settembre nell'ambito del processo di riorganizzazione delle forze armate verrà soppresso il 2o gruppo rifornimenti area Sicilia di Vizzini articolazione interna dell'11o deposito centrale AM di Orte;
   questa decisione segue quella presa negli anni scorsi quando dall'aprile del 2008 la struttura è stata declassata ad articolazione esterna del deposito centrale di Orte;
   è evidente all'interrogante che la soppressione non risponde a criteri di oggettiva economicità e funzionalità;
   pone inoltre enormi difficoltà agli operatori costretti a trasferirsi e determina la perdita di diverse decine di posti di lavoro in un comprensorio già particolarmente depresso –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per rivedere la decisione assunta per il prossimo 15 settembre 2013 e mantenere in vita la struttura di Vizzini. (5-00723)


   CASELLATO, RUBINATO e D'ARIENZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge delega n. 244 del 2012 ha previsto che il Governo proceda con propri decreti a razionalizzare lo strumento militare nel senso di un contenimento dei costi e di un efficientamento delle strutture e degli strumenti;
   il Parlamento ha impegnato il Governo pro tempore, attraverso l'approvazione dell'ordine del giorno 9/5569/22 nell'ultima fase della precedente legislatura, ad adottare detti decreti legislativi solo dopo averli sottoposti al parere delle nuove Camere così da consentire una piena e corretta partecipazione al processo legislativo, in particolare nel senso della verifica della rispondenza dei decreti attuativi ai principi e allo spirito della delega;
   pur non essendo ancora stati emanati i richiamati decreti legislativi, in data 26 marzo 2013, da parte del comando generale dell'Arma dei carabinieri è stata comunicata ufficialmente la decisione di trasferire il comando divisione unità mobili carabinieri da Treviso a Roma, che verrebbe rischierata nella capitale presso il sedime demaniale di «Tor di Quinto»;
   la divisione unità mobili carabinieri, posta alle dipendenze dirette del comando unità mobili e specializzate carabinieri «Palidoro», è stata istituita, con sede in Roma, il 1o febbraio 2001 ed in seguito trasferita a Treviso, allo scopo di realizzare un più agevole collegamento con molti reparti dipendenti a maggiore valenza operativa;
   la decisione di voler nuovamente spostare la sede da Treviso a Roma non produce risparmi tali da giustificarne l'azione, mentre crea gravi disagi personali e familiari ai circa 50 militari che operano in carico al comando;
   i costi di gestione della sede, sita in Villa Margherita a Treviso, non dovrebbero essere gravosi in quanto al comune di Treviso è corrisposta una cifra simbolica per la locazione di una parte dei locali, non demaniali, di proprietà dell'ente comunale;
   la divisione unità mobili carabinieri è una sede di prestigio per la città di Treviso e un presidio strategico per il coordinamento degli altri apparati collegati;
   l'amministrazione della città, anche nel suo rinnovato consiglio comunale, ha più volte ribadito l'importanza di mantenere nel proprio territorio il comando divisione unità mobili –:
   se vi sia stata un'analisi degli effettivi costi di gestione dell'attuale sede e una verifica sul conseguimento di una effettiva riduzione della spesa a seguito del disposto trasferimento, tenuto conto delle conseguenze operative e logistiche del riassetto in atto;
   se, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, ritenga l'opportunità di non aderire alla richiesta di trasferimento della sede del comando divisione unità mobili carabinieri da Treviso a Roma, riesaminando le ragioni alla base del provvedimento già assunto dal comando generale dell'Arma dei carabinieri, anche in considerazione del complessivo riassetto delineato con i decreti legislativi di cui alla legge n. 244 del 2012, assicurando oltre ad una effettiva spending review anche la procedura di consultazione delle Camere sui predetti decreti come previsto dal summenzionato ordine del giorno n. 9/5569/22. (5-00737)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti di stampa, dalle dichiarazioni del segretario della Siap di Roma, negli ultimi anni ci sono stati 3 miliardi di euro di tagli alle forze dell'ordine;
   ci troviamo in una situazione di drammatiche carenze di personale, manifestata numerose volte anche con manifestazioni pubbliche;
   i suddetti tagli hanno impedito il ricambio generazionale;
   lo stesso segretario Siap Roma Maurizio Germanò, ha anche confermato che se il Governo non avesse effettuato i tagli e anzi avesse investito nella sicurezza, si sarebbero potute effettuare bonifiche del territorio che hanno un costo in termine di agenti impiegati e ore di lavoro straordinario;
   quello che le forze dell'ordine richiedono non sono leggi speciali o poteri più vasti e arbitrari, ma una buona istruzione, un addestramento accurato e una direzione intelligente –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno porre fine ai tagli che incidono sulle risorse destinate alle forze dell'ordine e se intenda mettere a loro disposizione strumenti più adeguati. (4-01428)


   VARGIU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della difesa bandisce annualmente un concorso per la selezione di volontari a ferma breve per la durata di un anno (VFP1), da arruolare nell'Esercito;
   anche a causa della crisi economica ed occupazionale, particolarmente acuta e diffusa in Sardegna, l'interesse per l'arruolamento nell'Esercito da parte di giovani ambosessi residenti nell'isola è comprensibilmente crescente, per cui ogni anno sono migliaia le domande di partecipazione presentate dai candidati sardi;
   dallo scorso 26 giugno 2013, il centro di selezione VFP1 di Cagliari (istituito presso la caserma «Maggiore Carlo Ederle M.O.V.M.»), ove venivano abitualmente espletati gli accertamenti sanitari e psico-attitudinali, ha cessato la propria attività per cui da quella data gli stessi accertamenti degli aspiranti VFP1 sardi vengono effettuati nel centro di selezione di Roma;
   la chiusura del centro di Cagliari, pur essendo giustificata nell'ambito di un generale riordino delle attività di arruolamento e della razionalizzazione delle risorse, non tiene tuttavia in giusta considerazione i disagi e le gravose spese che i giovani candidati residenti in Sardegna devono sopportare per raggiungere la capitale per sostenere le prove concorsuali;
   le spese di trasporto e di soggiorno sono talmente elevate che molti giovani disoccupati sardi si vedono costretti a desistere, rinunciando a partecipare ai predetti concorsi e, di fatto, perdendo una preziosa opportunità occupazionale;
   al termine della ferma annuale, gli aspiranti al trattenimento in servizio che intendono accedere alla ferma quadriennale, vengono convocati per gli accertamenti concorsuali presso il centro di selezione nazionale di Foligno;
   tutti gli accertamenti sanitari e psico-attitudinali dei giovani candidati residenti in Sardegna potrebbero essere effettuati presso il DMML – Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari (l'ex ospedale militare) che possiede tutte le professionalità e le strutture tecniche indispensabili per l'espletamento degli accertamenti di legge;
   la esecuzione nel contesto del Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari di tutte le attività selettive ora svolte a Roma e Foligno comporterebbe un sicuro risparmio di tempo e di denaro per le famiglie sarde, senza nessun aggravio di costi per l'amministrazione militaresche riuscirebbe anzi a garantire un più ampio utilizzo delle strutture militari del Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari, oggi ampiamente sotto utilizzate rispetto alle proprie potenzialità –:
   se intenda prendere in considerazione, in deroga alle disposizioni vigenti, la possibilità di istituire in via sperimentale una sede selettiva distaccata per la Sardegna presso il Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari, dipendente dal centro di selezione di Roma, che gestisca tutta l'attività relativa alla selezione degli aspiranti VFB1 sardi, attualmente svolta a Roma;
   se intenda prendere in considerazione la possibilità di effettuare, presso lo stesso Dipartimento militare di medicina legale di Cagliari e sempre in via sperimentale, le prove selettive relative ai bandi per i volontari a ferma prefissata di quattro anni, in servizio e/o residenti in Sardegna, che attualmente vengono svolte a Foligno. (4-01453)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, avente per oggetto «Interventi, urgenti in tema di sospensione dell'imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo» è stato sospeso il versamento della prima rata dell'IMU 2013 –:
   se il Governo intende assumere iniziative, specificando eventualmente anche tempi e modalità, finalizzate alla restituzione dell'IMU pagata nel 2012 sulla prima casa e sui terreni e fabbricati agricoli.
(2-00158) «D'Ambrosio».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO e MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'indipendenza, il Governo eritreo ha deciso di tassare tutti i redditi ottenuti all'estero dai propri cittadini per un valore pari al 2 per cento di quanto guadagnato, indipendentemente da quanto i cittadini eritrei versino in termini di imposte nel Paese in cui il reddito è prodotto o dall'esistenza di accordi sulla doppia imposizione;
   l'imposta deve essere versata in contanti, a un ufficiale diplomatico del governo eritreo, in occasione della richiesta di rinnovo dei documenti necessari per il soggiorno all'estero o l'ingresso in patria;
   questo tributo, conosciuto anche come «diaspora taxation», pur essendo legale e legittimo, è stato oggetto di attenzione anche da parte delle Nazioni Unite che nella risoluzione n. 1907 del 2009, nella quale è stato imposto l'embargo all'esportazione di armi verso l'Eritrea, chiede che vengano attentamente controllate tutte le forme di finanziamento di questo traffico, inclusa possibilmente la diaspora taxation, la principale forma di raccolta di valuta pesante che ha il regime eritreo; nella risoluzione n. 2023 del 2011 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condanna inoltre l'uso della diaspora taxation come fattore economico che serve a destabilizzare la situazione nel Corno d'Africa;
   in merito alle modalità di raccolta della tassa, secondo le Nazioni Unite coloro che non sono in regola con il pagamento della tassa si sarebbero visti negare l'ingresso in Eritrea, nonostante la loro cittadinanza, gli sarebbe stato proibito inviare aiuti alla famiglia, e sarebbero inseriti in una sorta di «lista nera» del governo fino a quando non paghino la tassa del 2 per cento. Parrebbe inoltre, – da fonti a mezzo stampa – che ci siano stati dei casi di beni sequestrati o di familiari in Eritrea molestati per ritorsione, o casi di emigrati eritrei in visita in Patria a cui sia stato impedito di lasciare il paese perché non in regola con il pagamento della tassa;
   sempre la risoluzione 1907 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite invita gli stati membri a vigilare affinché nessuna raccolta di fondi da parte di autorità eritree all'estero avvenga usando «estorsioni, uso della violenza, frode o altri mezzi illegittimi»;
   alcuni paesi, sulla scorta anche delle osservazioni del rapporteur delle Nazioni Unite sulla situazione in Eritrea, hanno cercato di mettere sotto controllo il flusso di denaro contante raccolto attraverso questa imposta, chiedendo la tracciabilità dei versamenti. Il Canada nel maggio 2013 ha espulso il console generale a Toronto perché raccoglieva in modo illecito la diaspora taxation sul territorio canadese;
   a febbraio l'Italia ha accolto la visita del Comitato delle Sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha discusso anche del tema della diaspora taxation –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di raccolta della diaspora taxation da parte di autorità eritree anche sul territorio italiano;
   come si stia vigilando sull'eventuale raccolta della tassa visto il monito della risoluzione n. 1907/2009 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che invitano a vigilare su eventuali «estorsioni, uso della violenza, frode o altri mezzi illegittimi» utilizzati dalle autorità eritree per ottenere la riscossione della tassa. (5-00718)


   DE MENECH. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto interministeriale 5 luglio 2012 ha ridefinito gli strumenti di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici (cosiddetto quinto conto energia), prevedendo al comma 5 che il decreto medesimo cessi di applicarsi, in ogni caso, decorsi trenta giorni solari dalla data di raggiungimento di un costo indicativo cumulato di 6,7 miliardi di euro l'anno;
   il gestore dei servizi energetici, con lettera 6 giugno 2013, ha comunicato all'Autorità per l'energia elettrica e il gas che il costo indicativo cumulato annuo degli incentivi spettanti agli impianti fotovoltaici ha effettivamente raggiunto il valore annuale di 6,7 miliardi di euro;
   pertanto l'Autorità con la delibera 250/2013/R/efr, ha stabilito che il trentesimo giorno solare dalla predetta data, per gli effetti del citato articolo 1, comma 5, del decreto interministeriale 5 luglio 2012, è il 6 luglio 2013;
   tuttavia il comma 3 dell'articolo 1 del decreto interministeriale 5 luglio 2012 stabilisce che le nuove modalità di incentivazione, successive al raggiungimento del costo indicativo cumulato di 6,7 miliardi di euro l'anno, si applicano decorsi quarantacinque giorni solari dalla data di pubblicazione della deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
   il gestore dei servizi energetici non ha ritenuto di rispettare il dettato del citato comma 3 ed ha indicato la stessa data del 6 luglio quale termine ultimo per inviare le richieste degli incentivi statali previsti dal decreto ministeriale del 5 luglio 2012 per il quinto conto energia;
   sono molte le aziende in tutta Italia che avevano stipulato in tempo utile diversi contratti con i propri clienti e il termine dei trenta giorni previsto dal GSE è insufficiente all'adempimento dei contratti già chiusi a causa di un iter burocratico autorizzativo estremamente lungo e complesso basato su tempi la cui responsabilità è da attribuire al gestore dei servizi energetici, all'ENEL, all'Autorità per l'energia elettrica ed il gas e ai Ministeri competenti;
   in tal modo moltissimi utenti si vedranno negati gli incentivi legati alla realizzazione degli impianti solari fotovoltaici –:
   se i Ministri interrogati intendano consentire l'invio delle richieste per gli incentivi statali relativi al quinto conto energia, fino al termine di legge previsto dal comma 3 dell'articolo 1 del decreto ministeriale del 5 luglio 2012 e assumere iniziative dirette a prorogare la chiusura effettiva del quinto conto energia per un periodo utile a portare a termine le lunghe procedure burocratiche previste dalle normative vigenti. (5-00722)


   MAESTRI e GHIZZONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 141, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha introdotto per gli anni 2013 e 2014, per le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, un limite di spesa pari al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2010 per l'acquisto di mobili e arredi, salvo che l'acquisto non sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili;
   con deliberazione n. 244/2013/PAR del 25 giugno 2013 la sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna della Corte dei conti si è espressa con un parere al quesito posto dal comune di Bologna sulla portata del limite di spesa per l'acquisto di mobili e arredi per l'allestimento di opere di nuova costruzione o ristrutturazione comportanti un ampliamento anche se le stesse erano riferibili all'assolvimento di funzioni obbligatorie dell'ente quali l'arredo delle strutture scolastiche;
   la sezione regionale di controllo della Corte dei conti ha ribadito, dando un'interpretazione letterale della norma, la portata generale della stessa e la non previsione di deroghe al principio di contenimento della spesa pubblica complessiva in essa contenuto;
   l'amministrazione provinciale di Parma, nel bilancio di previsione 2013, ha già disposto uno stanziamento per l'acquisto di nuovi arredi per le scuole secondarie di secondo grado del territorio, in particolare in previsione dell'aumento della popolazione scolastica di oltre 340 unità;
   la provincia di Parma si è inoltre impegnata per l'allestimento della scuola secondaria di secondo grado afferente alla Scuola per l'Europa, la cui realizzazione rientrava nell'accordo di sede riferito all'insediamento in città dell'autorità europea per la sicurezza alimentare (ratificato con legge 10 gennaio 2006, n. 17);
   le scuole secondarie di secondo grado della provincia di Parma hanno avanzato all'amministrazione provinciale richieste di arredi (banchi, cattedre, sedie, tavoli da disegno) per una previsione sommaria di spesa di circa 90.000 euro;
   pur condividendo le necessità di contenimento della spesa pubblica è evidente che la limitazione introdotta con la legge di stabilità per il 2013 crea un grave pregiudizio nei confronti, non solo delle amministrazioni locali impegnate nel garantire servizi, soprattutto scolastici, efficienti e di qualità, ma anche nei confronti di un settore economico, quello degli arredi, che è attualmente in sofferenza tanto da aver indotto il governo, in un recente provvedimento di legge (decreto-legge n. 63 del 2013), ad estendere all'acquisto di mobili l'incentivo fiscale già previsto per le ristrutturazioni edilizie –:
   quali azioni i Ministri interrogati intendano, con estrema urgenza, porre in essere al fine di superare il limite di spesa per gli anni 2013 e 2014, introdotto con l'articolo 1, comma 141, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, almeno con riferimento agli arredi essenziali per il funzionamento del sistema scolastico. (5-00761)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la TERCAS-CARIPE è la più grande Banca regionale dell'Abruzzo con i suoi 1.250 dipendenti; da 14 mesi è stata commissariata dalla Banca d'Italia;
   in un momento di grave crisi economica e finanziaria desta seria preoccupazione la situazione di difficoltà in cui versa e che ha spinto tutte le organizzazioni sindacali a chiedere un intervento delle Istituzioni volto a ridare peso e ruolo al sistema bancario abruzzese e in particolare a questa Banca;
   il rischio è la scarsa chiarezza sulla strategia scelta dal vertice e dalla governance di questo istituto bancario al fine di salvaguardare il suo equilibrio e la funzione fondamentale che ha svolto da sempre a tutela del risparmio locale e dello sviluppo economico regionale;
   si rincorrono voci di ricapitalizzazione, esuberi occupazionali, acquisizioni da parte di altri Gruppi Bancari con conseguenti preoccupazioni a tutti i livelli istituzionali e sociali –:
   quali iniziative intende svolgere nell'ambito delle sue competenze istituzionali per il futuro della più importante banca abruzzese, a tutela dei livelli occupazionali. (4-01391)


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   grande interesse assume la questione della tassazione delle grandi imprese italiane che risiedono legalmente all'estero;
   non esiste una stima su questa realtà che spesso ricorre in modo spregiudicato all'elusione fiscale;
   nel 2008 gli economisti Harry Huizinga e Lue Laeven hanno tentato una stima sugli utili che le multinazionali spostano nei Paesi che hanno un regime fiscale più favorevole, e hanno sostenuto che l'Italia era al secondo posto dopo la Germania;
   il «profit shifting» (spostamento degli utili) delle aziende italiane incide notevolmente sulle entrate fiscali complessive tenendo conto che, negli ultimi 5 anni, la guardia di finanza ha scovato 49,7 miliardi di euro da operazioni all'estero di imprese italiane;
   l'aliquota effettiva pagata da alcuni famosi gruppi economici e industriali italiani è tra il 12 per cento e il 15 per cento;
   l'evasione fiscale non è quella classica ma quella moderna ben più insidiosa di massimizzare i benefici dall'occultamento dei profitti nei paradisi fiscali;
   tra elusione ed evasione, il rischio è che si apra un'area opaca di risparmio fiscale attraverso il trasferimento di parti delle aziende e dei ricavi tassabili all'estero beneficiando di aliquote inferiori alle nostre;
   fra l'Italia e Svizzera esiste un sistema sofisticato di risparmio fiscale che incentiva a non riportare più gli utili in Italia negoziando con l'autorità elvetica aliquote individuali rapportate all'occupazione che si crea e alla loro durata;
   un altro modo di evitare il fisco italiano coinvolge le «trading company» cioè imprese commerciali situate all'estero, dalla Svizzera ad Hong Kong, che si preoccupano di vendere i prodotti tassando gli utili in questi Stati esteri a condizioni vantaggiose;
   le società controllate che operano all'estero spesso sono solo «prestanomi» di imprese italiane che si spingono oltre ogni limite legale per non pagare le tasse dovute allo Stato italiano –:
   quali iniziative intenda assumere per contrastare l'elusione fiscale attraverso l'occultamento dei profitti nei paradisi fiscali all'estero. (4-01396)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della provincia di Monza e Brianza attualmente è sotto la competenza dell'ufficio delle dogane di Milano 2, con una sede distaccata a Concorezzo;
   è già stato istituito recentemente l'ufficio delle dogane di Linate, avente competenza sui comuni ad est di Milano e sulla provincia di Lodi;
   il territorio della provincia di Monza e Brianza sarà presto attraversato da una nuova infrastruttura primaria, la Pedemontana, lungo la quale sorgeranno nuove attività e magazzini, con un conseguente ulteriore incremento delle attività doganali –:
   se il Ministro non ritenga opportuno attivarsi, alla luce delle circostanze suddette, affinché venga istituito un ufficio delle dogane nel territorio della provincia di Monza e Brianza. (4-01426)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 64 del 6 giugno 2013 ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge n. 35 dell'8 aprile 2013 recante: «Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria»;
   l'articolo 1 del citato decreto-legge stabilisce a seguito di modifiche introdotte in sede di conversione del decreto-legge che: «Sono esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno per un importo complessivo di 5.000 milioni di euro i pagamenti sostenuti nel corso del 2013 dagli enti locali: a) dei debiti in conto capitale certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012; b) dei debiti in conto capitale per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il 31 dicembre 2012, ivi inclusi i pagamenti delle province in favore dei comuni; c) dei debiti in conto capitale riconosciuti alla data del 31 dicembre 2012 ovvero che presentavano i requisiti per il riconoscimento entro la medesima data, ai sensi dell'articolo 194 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000;
   il comma 1 dell'articolo 6 del citato decreto-legge stabilisce che «tra più crediti non oggetto di cessione pro soluto il pagamento deve essere imputato al credito più antico, come risultante dalla fattura o dalla richiesta equivalente di pagamento ovvero da contratti o da accordi transattivi eventualmente intervenuti fra le parti»;
   nelle intenzioni del legislatore il decreto-legge, definito non a caso «salva imprese», doveva essere funzionale al sostegno delle aziende che versano in condizioni di grave difficoltà derivanti dalla crisi economico-finanziaria che ha colpito l'Europa e il nostro Paese;
   nelle intenzioni del Governo il varo del decreto-legge avrebbe dovuto avere come conseguenza la immissione nel mercato nei successivi 12 mesi di circa 40 miliardi di euro che ammontano a circa 1/3 dell'intero debito che la pubblica amministrazione ha nei confronti delle aziende;
   in ragione dell'applicazione del criterio cronologico, individuato dal legislatore per procedere al pagamento dei debiti, in molteplici realtà italiane, il decreto cosiddetto «Salva imprese» non ha prodotto gli effetti sperati: a beneficiare delle risorse, infatti, sono stati in prevalenza gli enti sovracomunali e le aziende a totale capitale pubblico che, in molti casi, vantavano i crediti più datati;
   in ragione di quanto suesposto, molte delle risorse messe a disposizione degli enti locali sono finite nelle casse di enti pubblici mancando così l'obiettivo di sostenere le aziende private, molte delle quali sono ancora in attesa del pagamento dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione;
   a giudizio dell'interrogante il legislatore avrebbe dovuto imporre agli enti locali la predisposizione di due elenchi cronologici di creditori, uno contenente i soggetti pubblici e quelli privati, e avrebbe dovuto disporre il pagamento delle fatture in base all'ordine cronologico attingendo alternativamente ai due elenchi di creditori –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire il raggiungimento degli effetti auspicati con l'adozione del decreto cosiddetto «Salva imprese» e con la sua conversione in legge;
   se non ritenga il Ministro interrogato che il Governo debba adottare iniziative – anche attraverso lo strumento della decretazione d'urgenza – che pongano rimedio agli effetti distorti dell'applicazione delle disposizioni introdotte nel testo del decreto-legge in sede di conversione del medesimo, imponendo agli enti locali di predisporre due elenchi distinti di creditori, uno con soggetti pubblici e l'altro con privati, e di pagare i debiti attingendo alternativamente ai due elenchi. (4-01427)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Sogin e la Consip sono due società di cui è proprietario al 100 per cento il Ministero dell'economia e delle finanze;
   la Sogin ha il compito di mantenere in sicurezza e disattivare progressivamente gli impianti nucleari italiani, ormai non più operativi dal 1986;
   la Consip ha il compito di ottimizzare gli approvvigionamenti di beni e servizi della pubblica amministrazione;
   a tal fine la Consip è periodicamente attiva, per determinati oggetti e mediante gare pubbliche, convenzioni con imprese specializzate nella fornitura di tali beni e/o servizi;
   utilizzando le convenzioni Consip è possibile, per gli enti pubblici che aderiscono, acquistare prodotti di vario tipo e servizi in modo semplificato, non attraverso gare e a prezzi convenienti;
   nella relazione della Corte dei conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Sogin per l'esercizio 2011, si legge che la società gestione impianti nucleari sta attualmente utilizzando le convenzioni Consip in maniera sistematica (circa 41 milioni di euro contrattualizzati nel 2011 a fronte di circa 0,5 milioni nel 2010) e che la Sogin ha assegnato 7 contratti per manutenzioni e servizi vari nell'ambito della convenzione Facility Management 2 (FM2), per un totale di 30,1 milioni di euro in sostituzione dei circa 280 contratti precedenti per un importo complessivo di oltre 38 milioni di euro;
   la succitata relazione della Corte dei conti non specifica l'intervallo temporale di riferimento durante il quale Sogin ha provveduto a questi servizi utilizzando i circa 280 contratti;
   la durata della convenzione FM2 è di 4 anni;
   la convenzione Facility Management è stata predisposta per essere utilizzata per la manutenzione e/o la pulizia di immobili adibiti prevalentemente ad uso ufficio, e il capitolato tecnico annesso alla convenzione precisa che per immobili adibiti prevalentemente ad uso ufficio si intende quelli la cui superficie delle aree destinate ad uso ufficio a cui, eventualmente, accedono immobili o parti pertinenti e/o accessorie ed aventi una destinazione differente dall'uso sopra descritto, superi il 50 per cento della superficie netta totale;
   tra le strutture sottoposte a manutenzione dalla Sogin per mezzo della convenzione Consip FM2 risultano esservi anche molti edifici industriali che non rientrano fra quelli adibiti prevalentemente ad uso ufficio cui la convenzione è riservata (ad esempio nella centrale di Latina ci sono il deposito dei rifiuti radioattivi, il magazzino e l'edificio reattore), come riportato dall'edizione on line de «Il Fatto Quotidiano» in data 14 luglio 2013 nell'articolo «Sogin, per le convenzioni con Consip l'edificio dei reattori come un ufficio»;
   l'Rsa dirigenti Sogin ha spiegato in merito che è avvenuta la sostituzione di 160 procedure di gara (sulle circa 280 già citate) con la convenzione Consip, consentendo così alla Sogin di concentrarsi sull'attività principale dell'azienda, ovvero lo smantellamento degli impianti e la messa in sicurezza dei rifiuti nucleari;
   a parere dell'interrogante non si può accettare il principio che il fine giustifichi i mezzi, e che quindi si possa utilizzare una convenzione senza tener conto dei limiti di applicazione previsti nei documenti tecnici e dunque, di fatto, non applicando la vigente normativa in materia di appalti pubblici, solo per permettere ad un'azienda di concentrarsi sulla sua attività primaria;
   pur volendo ammettere la validità delle affermazioni dell'Rsa dirigenti Sogin, vi sarebbero seri dubbi sui risultati che la Sogin sta ottenendo nello smantellamento degli impianti e nella messa in sicurezza dei rifiuti nucleari, come dimostrano le recenti perdite di liquido radioattivo dell'area di stoccaggio della centrale di Saluggia, in provincia di Vercelli («Saluggia, fuoriuscite da vasca dell'impianto nucleare Sogin: “Nessun allarme”», edizione on line de «Il Fatto Quotidiano» dell'11 aprile 2013) e l'inchiesta avviata a fine novembre dal sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere Giuliana Giuliano su presunte irregolarità in materia di sicurezza nucleare nella centrale di Sessa Aurunca, provincia di Caserta («Sessa Aurunca, serbatoi di stoccaggio con radioattività superiore alla norma», edizione on line de «Il Fatto Quotidiano» datata 2 marzo 2013) –:
   se non si ritenga di accertare quali siano le motivazioni tecniche che hanno condotto Sogin ad equiparare questi edifici industriali con edifici adibiti prevalentemente ad uso ufficio;
   se la società Consip sia stata regolarmente e puntualmente informata ed abbia approvato l'adozione della convenzione FM2 per la manutenzione di edifici diversi da quelli previsti dal capitolato tecnico annesso alla convenzione;
   in quale intervallo temporale abbiano operato i circa 280 contratti citati nella relazione della Corte dei conti, in modo da stabilire la convenienza o meno dell'operazione attuata dalla Sogin;
   se i vertici della Sogin, in particolare presidente ed amministratore delegato, fossero al corrente delle modalità con cui è stata applicata questa specifica convenzione Consip. (4-01431)


   ROSATO, BLAZINA, BRANDOLIN, COPPOLA, MALISANI e ZANIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, impone nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni e che abbiano conseguito, nel 2011, un fatturato per il 90 per cento per prestazioni di servizi a favore di pubbliche amministrazioni, alternativamente, o lo scioglimento entro il 31 dicembre 2013 oppure l'alienazione delle partecipazioni detenute dalla pubblica amministrazione;
   escluse dall'applicazione di questa norma, ai sensi del comma 3, sono tutte le società che, nonostante abbiano le caratteristiche appena evidenziate, svolgano servizi di interesse generale;
   il comma 11 del medesimo articolo prevede, limitatamente alle società del comma 1, che a e decorrere dal 1° gennaio 2013, il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti non possa superare quello ordinariamente spettante per l'anno 2011;
   Insiel spa, è una società a capitale pubblico che opera per conto della regione Friuli Venezia Giulia e, ai sensi dell'articolo 1 dello statuto, svolge lavori nei settori relativi «allo sviluppo e alla gestione delle infrastrutture di telecomunicazioni e del sistema informativo integrato regionale, nonché delle reti trasmissive che costituiscono servizi di interesse generale». È quindi esclusa dall'applicazione del comma 1 dell'articolo sopra citato;
   a seguito di una delibera della Corte dei conti della Toscana, che ha applicato ad una società a partecipazione pubblica il comma 11, nonostante la stessa fosse esclusa dal comma 1, anche i vertici dirigenziali della società Insiel spa hanno deciso che a decorrere dal mese di giugno 2013 il trattamento economico individuale sarebbe tornato ai valori di dicembre 2011, ed inoltre che la differenza percepita nei primi cinque mesi dell'anno sarebbe stata restituita totalmente attraverso una trattenuta applicata direttamente nella busta paga di giugno;
   a tal proposito si tiene a precisare quanto segue:
    l'applicazione del comma 11 rischia di trasformarsi in un pericoloso precedente in quanto al personale della società Insiel spa viene applicato non il contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) della pubblica amministrazione, bensì il contratto collettivo nazionale del lavoro del settore dei metalmeccanici. Questo CCNL contiene elementi di sfavore rispetto a quello del comparto pubblico in merito all'orario di lavoro, al godimento delle ferie e dei permessi; quindi non si comprende come con legge si possa equiparare – peraltro per una limitata categoria di lavoratori – il contratto di lavoro privato a quello pubblico solo nelle parti che prevedono un trattamento in peius;
    l'applicazione del comma 11, inoltre, introduce una deroga ad un principio intangibile che è quello del rispetto dei diritti acquisiti attraverso la contrattazione collettiva e viola, anche, il principio dell'autonomia contrattuale delle società di diritto privato;
    peraltro, è controversa l'applicabilità del comma 11 alle società escluse dal comma 1: in una delibera della Corte dei conti della Puglia la norma è stata considerata da non applicarsi alle società escluse dal comma 1, in quanto il comma 11 è destinata «solo al personale dipendente delle società strumentali (non esercenti servizi di interesse generale) controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni». Del medesimo parere un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 aprile 2013 secondo il quale il comma 11 trova applicazione esclusivamente nei riguardi delle società previste dal comma 1, fatta eccezione per le società escluse dall'ambito applicativo, ai sensi del comma 3;
    il comma 11, poi, per come è formulato è di dubbia applicazione nei confronti dei lavoratori che nel 2012 hanno avuto un passaggio di categoria perché adibiti a mansioni superiori, il rischio è che nonostante continuino a svolgere mansioni di livello superiore, percepiscano una retribuzione non adeguata alla categoria, in forza del dettato normativo che riporta il trattamento economico individuale a quello percepito nel 2011: una simile interpretazione violerebbe il principio di parità di trattamento, in quanto si avrebbero lavoratori adibiti alle medesime mansioni che percepiscono due trattamenti economici di importo differente –:
   quale sia l'interpretazione corretta dell'ambito applicativo del comma 11, dell'articolo 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 135, e se sia nelle intenzioni del Governo emanare una circolare esplicativa in tal senso. (4-01437)


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale blocco dei trasferimenti che le scuole e i nidi associati della provincia di Rovigo ricevono annualmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, oltre che dalla regione del Veneto, sta creando notevoli disagi alle quindici scuole dell'infanzia paritarie che sono al servizio della comunità rodigina, come recentemente segnalato, tra gli altri, dalla Federazione italiana scuole materne (FISM) della provincia di Rovigo;
   tali enti di natura privata sono integrati nei servizi dell'istruzione pubblica e, come tali, il loro servizio è riconosciuto a livello comunale, provinciale, regionale e statale. Essi godono, quindi, in virtù di tale riconoscimento anche di contributi pubblici che permettono alle scuole di gestire le attività, con proprio personale, e di calmierare il valore delle rette per le famiglie che richiedono il servizio, dando continuità all'impegno educativo richiesto dalla legge n. 62 del 2000 «Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio è all'istruzione»;
   attualmente, nella sola Rovigo, le scuole dell'infanzia paritarie ospitano oltre 700 bambini ogni anno, un numero rilevante che le strutture della scuola pubblica non sarebbero in grado di assorbire qualora tali istituti cessassero la loro attività;
   fino allo scorso anno i contributi statali venivano trasferiti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca direttamente ai rispettivi uffici scolastici regionali e da questi a quelli provinciali. Per quanto riguarda l'anno in corso, risulta che il trasferimento sia sospeso a causa di un blocco del nuovo sistema informatico adottato a livello centrale, provocando di fatto una inaccettabile paralisi;
   il problema assume dimensioni ancora più preoccupanti se si considera che dai dicasteri coinvolti (Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) non si sono avute ancora notizie certe in merito a quali potranno essere i tempi di sblocco della situazione: tutto ciò rischia di rappresentare, per le scuole paritarie, un colpo durissimo e, per alcune di esse, somigliare addirittura una «sentenza» di chiusura definitiva –:
   se e quali iniziative il Governo intenda mettere in atto, riconoscendo tra le altre cose l'alto valore sociale delle scuole paritarie e il prezioso servizio che offrono al territorio, per arrivare ad una definizione positiva della questione e impedire, quindi, ulteriori perdite di posti di lavoro e disagi alle famiglie di Rovigo e del Polesine. (4-01460)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO e BASSO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a fine giugno ad un detenuto della casa circondariale di Genova Marassi è stata diagnosticata la tubercolosi e che per tale motivo il detenuto è stato ricoverato presso il centro clinico della struttura;
   a seguito di questo episodio si è sottoposto a controlli tutto il personale sia civile che di polizia al fine di verificare l'eventuale diffusione della malattia;
   a seguito dei controlli condotti tre agenti di polizia penitenziaria sono risultati positivi al contatto con il batterio; contatto che potrebbe essere avvenuto anche non in questo frangente;
   risulta comunque evidente che la situazione della sicurezza sanitaria presso la struttura penitenziaria del capoluogo genovese sia da non sottovalutare soprattutto in relazione all'ormai cronico sovraffollamento che rende gravoso il lavoro di tutti gli operatori di polizia e non –:
   quali provvedimenti intenda adottare in generale al fine di dotare tutte le strutture carcerarie di kit di protezione ai rischi biologici, fornire agli operatori adeguati momenti di formazione ed aggiornamento per i poliziotti impegnati nelle sezioni detentive, nonché se intenda valutare la fattibilità di una indagine epidemiologica condotta ad ampio spettro su tutta la popolazione carceraria;
   quali interventi possano essere immediatamente realizzati nel caso specifico di quanto accaduto presso la casa circondariale di Genova-Marassi a tutela sia della popolazione reclusa, che di tutti gli operatori che quotidianamente si adoperano per una corretta gestione delle numerose situazioni di rischio che si vengono a verificare. (5-00727)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155, recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1 comma 2 della legge 14 settembre 2011, n. 148», ha statuito, all'articolo 1, la soppressione dei tribunali ordinari, delle sezioni distaccate e delle procure della Repubblica, di cui alla tabella A allegata;
   tale previsione, che comporterà il taglio di 31 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace, acquisterà efficacia dal dodicesimo mese a far tempo dalla data di entrata in vigore del decreto e, dunque, dal prossimo 12 settembre 2013;
   tra le sedi ritenute «inutili», nell'ottica di una presunta razionalizzazione delle spese del settore giustizia, è stato individuato anche il tribunale di Sala Consilina, i cui uffici a breve saranno trasferiti in località Lagonegro;
   la sconcertante decisione assunta dal Governo Monti di un accorpamento del Tribunale di Sala Consilina con quello, fuori regione, di Lagonegro, penalizzerà certamente i vasti territori del Vallo di Diano e del Golfo di Policastro, che con il presidio salese perderebbero gran parte della propria economia;
   la misura soppressiva adottata dal Ministero della Giustizia creerà, inoltre, un vuoto di giustizia in comuni anche densamente popolati e aumenterà il disagio di coloro i quali per vedere riconosciuti i propri diritti, saranno costretti a lunghi spostamenti nelle poche sedi salvate dalla infausta riforma;
   il nuovo tribunale di Lagonegro, lungi dal rappresentare una razionalizzazione del sistema giudiziario utile a una, pur condivisibile, riduzione del costi, comporterà, paradossalmente, elevati oneri di spesa per consentire l'adeguamento delle strutture adibite a sede per l'esercizio delle funzioni giurisdizionali, quando, invece, sarebbe bastato potenziare il tribunale di Sala Consilina;
   una tale decisione appare, pertanto, in netto contrasto con i principi che hanno ispirato la riforma giudiziaria, primo fra tutti la revisione della spesa pubblica, posto che la Basilicata sosterrà importanti spese al fine di ospitare gli uffici del tribunale di Sala Consilina;
   per i lavori di ammodernamento dell'immobile, la regione Basilicata, con delibera n. 282 del 12 marzo 2013, ha, infatti, stanziato in favore del Comune di Lagonegro, la somma di 570 mila euro e con una seconda delibera di giunta, il comune di Lagonegro ha poi approvato il progetto preliminare per la ristrutturazione dell'ex municipio da adibire a nuova sede di uffici giudiziari per un importo di 1 milione e 600 mila euro;
   come riportato da notizie di stampa locale e nazionale, l'operazione di trasferimento del tribunale comporterà una spesa pari a quella necessaria per coprire i costi di 20 anni se il tribunale dovesse restare a Sala Consilina;
   inoltre, per il mantenimento del tribunale di Sala Consilina non scaturirebbero oneri finanziari aggiuntivi per lo Stato, rispetto al rendiconto approvato del 2012 che prevede spese per 175mila euro circa per tutti gli uffici, inclusi quelli della sezione distaccata di Sapri e dei giudici di pace, perché ubicato in un moderno edificio di proprietà del comune, il cui costo, sostenuto dalla collettività, è già stato ammortizzato da tempo;
   al contrario, se la decisione del ministro Severino venisse confermata si addosserebbero alle forze dell'ordine e, quindi, al relativi Ministeri, agli enti locali ed ai cittadini ingenti esborsi per il trasferimento del fascicoli, degli arredi, delle attrezzature e dell'archivio, per la dismissione dei relativi rifiuti speciali, nonché, soprattutto per la quotidiana trasferta a Lagonegro di migliaia di persone, tra cui dipendenti ministeriali e comunali;
   è, infine, di questi giorni la preoccupante notizia secondo cui il nuovo tribunale non rispetterebbe nemmeno i criteri antisismici e, pertanto, non sarebbe in grado di ospitare gli uffici del tribunale di Sala Consilina;
   è quanto emerge dalla relazione redatta dal perito che, su incarico della camera penale del tribunale di Sala Consilina, ha proceduto alla visione degli atti progettuali riferiti all'ampliamento del tribunale di Lagonegro;
   secondo il tecnico, la struttura è inadeguata dal punto di vista sismico, contrariamente a quella che attualmente ospita il tribunale salese in località Tressanti, dotata di tutte le certificazioni che ne attestano la sua staticità;
   il comune di Lagonegro avrebbe, inoltre, proceduto alla gara di appalto per i lavori di ristrutturazione e ampliamento del tribunale di Lagonegro, nonostante il progetto fosse carente del parere dell'Asl (obbligatorio per legge) sul progetto a farsi e della verifica sismica preventiva per edifici strategici, nonché del preventivo parere antincendio;
   lo stabile è stato, addirittura, ultimato nel 1980, quindi prima della dichiarazione di sismicità del comune di Lagonegro, avvenuta con decreto ministeriale del 7 luglio del 1981 e la struttura, che secondo il Ministro della giustizia dovrebbe ospitare anche il tribunale di Sala Consilina, non sarebbe stata soggetta nemmeno alla procedura prevista dalla legge n. 64 del 1974 relativa ai provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per aree sismiche;
   di fronte alla denunciata carenza di pareri e degli studi obbligatori, appare del tutto inverosimile che l'edificio in questione possa essere adeguato e pronto in sicurezza per ricevere utenza, avvocati, magistrati e personale entro il 13 settembre 2013;
   il rischio è che il comune di Lagonegro realizzi dei lavori su un immobile che poi risulti non idoneo all'uso, in quanto carente delle basilari verifiche per lo svolgimento delle attività giudiziarie in sicurezza;
   in assenza di assoluta certezza circa il rispetto della normativa a tutela della pubblica e privata incolumità, sarebbe irresponsabile permettere agli operatori del diritto e alla cittadinanza di accedere ai locali in questione;
   appare evidente, pertanto, come l'interrogato ha già avuto modo di dichiarare in numerose occasioni, che l'accorpamento del tribunale di Sala Consilina a quello di Lagonegro rappresenta un atto inutile, ingiusto e antidemocratico: inutile perché non apporterà alcun vantaggio all’iter della giustizia, posto che l'accorpamento provocherà, invece, una disfunzione in termini di efficienza; ingiusto, in quanto penalizzerà il territorio del Vallo di Diano, divenuto, grazie al completamento dell'A3, un importante crocevia e antidemocratico, perché, a differenza del doveroso confronto con le istituzioni del territorio salernitano, provincia e comuni, promosso dai Ministri Angelino Alfano e Nitto Palma, il Ministro Severino non ha sentito l'esigenza di consultare nessuno, affidando alla stampa la comunicazione –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti intendano adottare per scongiurare una riorganizzazione della geografia giudiziaria che si tramuterebbe in un grave danno al funzionamento della macchina della giustizia, nonché per verificare la legittimità e l'idoneità degli atti amministrativi e progettuali fino ad oggi posti in essere con particolare riferimento alla conformità dello stabile in questione alla normativa antisismica e alla relativa dotazione di sistemi di sicurezza. (4-01410)


   DALL'OSSO, LOREFICE, CECCONI, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, D'AMBROSIO, DIENI, COZZOLINO, LOMBARDI, DI BENEDETTO e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro della giustizia, Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 della legge n. 183 del 2010 in materia di trasferimenti vede spesso difficoltà nell'applicazione e lo stesso accade per quanto riguarda l'ex articolo 42-bis decreto legislativo n. 151 del 2001, in materia di distacchi per ricongiungimenti familiari;
   la mancanza di tutela dei diritti in favore dei disabili e dei loro congiunti da parte dell'amministrazione penitenziaria rappresenta un danno non solo agli utenti ma all'immagine stessa della giustizia e dell'amministrazione di questo Paese e si trova in aperto contrasto con le normative vigenti;
   i soggetti sofferenti da questa situazione, al fine di vedere tutelati i propri diritti, come da normative vigenti, si vedono costretti ad adire al giudizio da parte di un soggetto terzo deputato dalla legge a svolgere tale compito e, nel più delle occasioni, si vedono vincenti con conseguente indennizzo delle spese processuali oltreché del compimento dei trasferimenti e/o i distacchi con notevole esborso da parte della pubblica amministrazione, ovvero dei cittadini tutti –:
   se sia intenzione di codesto Governo verificare quanto prima tale situazione e come lo stesso esecutivo intenda operare alfine di risolvere lo status quo nel minor tempo possibile anche al fine ulteriore di scongiurare eventuali esborsi da parte delle casse dell'erario. (4-01422)


   GRIMOLDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la casa circondariale di Monza soffre di una gravissima carenza di personale di polizia penitenziaria della sezione femminile;
   tale carenza è stata sottolineata più volte anche dall'organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (OSAPP);
   il disagio crescente del personale si manifesta con turnazioni sempre esposte all'emergenza, benché massima sia l'attenzione da parte della direzione alle problematiche che le vengono sottoposte;
   nonostante l'impegno notevole profuso, il quadro che si delinea è a tinte fosche e necessita della giusta attenzione da parte del locale provveditorato –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche suddette e se non ritenga opportuno intervenire affinché vengano adottate misure atte a contrastare l'esiguità del personale della sezione femminile della casa circondariale di Monza. (4-01425)


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali, nella giornata del 19 luglio scorso si sarebbe consumato l'ennesimo grave episodio di violenza ai danni di quattro agenti in servizio presso il carcere di Bellizzi Irpino ad Avellino;
   come riferito dalla stessa segreteria provinciale dell'Ugl Penitenziari, i quattro agenti di polizia penitenziaria sono stati aggrediti da due detenuti protagonisti di una rissa, poi continuata con maggiore violenza nell'infermeria della casa circondariale;
   gli agenti, intervenuti per separare i due detenuti venuti alle mani all'interno della sezione detentiva, sono stati trasportati al pronto soccorso dell'ospedale cittadino per le lesioni e le escoriazioni riportate;
   purtroppo, questo episodio, come molti altri denunciati negli ultimi anni, rappresenta solo il culmine di una situazione gravissima ed insostenibile;
   le frequenti, quanto violente, aggressioni a danno del personale di polizia mettono, infatti, a nudo la grave carenza di personale, che, associato alla piaga sociale del sovraffollamento, rende difficile la gestione degli istituti di pena, costringendo i detenuti a vivere in condizioni di degrado e di rischio e il personale a un carico di lavoro eccessivo e poco sicuro;
   la vergognosa situazione delle carceri è già denunciata in numerose interrogazioni ed interventi in aula, che hanno messo in evidenza le eccessive carenze che ledono visibilmente i diritti dei carcerati e di coloro che lavorano negli istituti penitenziari;
   nonostante le incessanti denunce, negli ultimi anni si continua a registrare un’escalation su tutto il territorio nazionale di gravissimi atti di violenza ai danni degli operatori di polizia penitenziaria che purtroppo, però, non sembrano trovare adeguata risposta in ambito istituzionale;
   come segnalato dal Sindacato autonomo polizia penitenziaria SAPPE, «tutte le regioni italiane vedono presenti più detenuti rispetto alla capienza regolamentare, con tutti i conseguenti disagi ai detenuti ed all'operatività dei poliziotti» e ancora una volta la regione Campania, con ben 8.280 persone rispetto ai 5.974 posti, registra un triste primato, rientrando tra le prime tre regioni con il maggior numero di detenuti, insieme al Lazio e alla Sicilia;
   appare evidente che, nonostante lo stato di emergenza nazionale decretato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri tre anni fa, poco o nulla è stato fatto per risolvere le criticità;
   alla luce dei recenti episodi, anche le scelte dei «tecnici» possono dirsi essere state fallimentari e incapaci di risolvere i problemi penitenziari –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuta la gravità degli stessi, quali provvedimenti intenda adottare per garantire maggiore sicurezza al personale delle carceri, ripianando quanto prima le carenze organiche esistenti, frutto del blocco del turn-over e del cosiddetto decreto di spending review, anche attraverso l'impiego del precariato delle forze armate; nonché quali provvedimenti intenda adottare per porre finalmente rimedio all'ulteriore grave problema del sovraffollamento carcerario.
(4-01433)


   PALAZZOTTO e DANIELE FARINA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27 della Costituzione prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
   il complesso degli istituti penitenziari del nostro Paese versa in una grave situazione di sovraffollamento ed, in particolare, la casa circondariale di Palermo «Pagliarelli», che possiede una capienza regolamentare di 760 posti, attualmente ospita un numero di detenuti superiore a 1400 –:
   quali iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere per ovviare al sovraffollamento carcerario che caratterizza l'istituto di pena «Pagliarelli» di Palermo;
   quali provvedimenti intendano adottare i Ministri interrogati per migliorare le condizioni di detenzione del carcere «Pagliarelli» e per garantire il diritto alla salute. (4-01436)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento della INSO Spa – NUOVO PIGNONE di Porto Recanati (Macerata) è nato negli anni Sessanta (1962) come divisione prefabbricati del gruppo ENI, ed è appartenuto, sino al maggio 2002, alla società caposettore NUOVO PIGNONE (per il 60 per cento) all'AGIPPETROLI (per il 20 per cento) e alla SNAM (per il 20 per cento) per poi essere ceduto alla G.I.&E. – Ghergo Industry & Engeneering – Spa, azienda specializzata nell'esecuzione di impianti elettrici ed elettrostrumentali in complessi civili ed industriali;
   tra il 1962 e il 2002, la INSO Spa – NUOVO PIGNONE si è specializzata nel settore della costruzione di edifici prefabbricati in diversi settori, quali edilizia ospedaliera e sanitaria, edilizia scolastica, palazzi ed uffici per uso commerciale, edilizia civile, edifici industriali, stazioni di servizio eccetera, tutti realizzati con un metodo costruttivo integrato basato sulla progettazione multidisciplinare e sull'utilizzo di sistemi costruttivi modulari prefabbricati, adattabili a diverse esigenze;
   tra il 1962 e il 1998, lo stabilimento di Porto Recanati ha prodotto componenti e manufatti per il settore edile e industriale in amianto ed in particolare ha realizzato unità attrezzate e preassemblate, stazioni di servizio, chioschi, componenti edilizi semplici e complessi di carpenteria metallica, pannelli termoisolanti;
   il ciclo produttivo in quegli anni si svolgeva in tre distinti reparti dello stabilimento: LAPA (lavorazione pannelli), in cui si procedeva allo scarico delle pile di pannelli in amianto ed al taglio degli stessi secondo le dimensioni richieste, ALLU (lavorazione alluminio) in cui si procedeva alla lavorazione dei profilati in alluminio necessari per l'assemblaggio dei pannelli coibentati con lastre di amianto e LAFE (lavorazione ferro) in cui si procedeva alla saldatura dei manufatti, all'assemblaggio dei manufatti con lastre e stuoie in amianto e di guarnizioni in amianto su diverse strutture quali tubature, condutture, colonne e altro;
   nel 2003 una relazione del dipartimento prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell'azienda sanitaria unica regionale 8 di Civitanova Marche (Macerata), redatta dal responsabile dottor Roberto Calisti, ha attestato che negli anni ’60-’70-’80 dello scorso secolo nello stabilimento INSO – NUOVO PIGNONE gli operai addetti alla produzione dei manufatti furono sottoposti all'esposizione delle polveri di amianto;
   in base alla legge n. 257 del 1992, che prevede che per ogni anno lavorato in condizione di rischio amianto il lavoratore abbia diritto ad un incremento dell'anzianità contributiva in base ad un coefficiente di 1,5, nel 2007 gli operai della ditta INSO – NUOVO PIGNONE, hanno promosso ricorso presso i tribunali di competenza per vedere riconosciuti i propri diritti;
   gli ex dipendenti INSO – NUOVO PIGNONE residenti nella provincia di Ancona che dal 2007 hanno promosso ricorso presso il foro competente di Ancona hanno ottenuto già dal 2009 il riconoscimento dei propri diritti (l'ultima sentenza è del 2011, altri sono in attesa d'udienza);
   gli ex dipendenti residenti nella provincia di Macerata che, sempre nel 2007, hanno promosso ricorso presso il Foro competente (Macerata) sono ancora tutti in attesa di giudizio;
   la vicenda in esame rappresenta un caso emblematico di come la diversa organizzazione dei tribunali possa incidere sull'uguaglianza sostanziale nel trattamento dei cittadini –:
   quali iniziative intenda assumere, anche di carattere normativo, per una razionalizzazione ed omogeneizzazione dei tempi della giustizia in tutto il Paese.
(4-01444)


   DECARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 settembre 2013, in attuazione della legge 14 settembre 2011, n. 148, entrerà in vigore la nuova geografia dei tribunali, di cui ai decreti legislativi nn. 155 e 156 del 7 settembre 2012, che dispone la revisione della strutture giudiziarie territoriali;
   il decreto n. 155 procede alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie e detta la nuova organizzazione degli uffici giudiziari di primo grado sopprimendo 31 tribunali, tra cui la sede del Tribunale di Bari Sezione distaccata di Acquaviva delle Fonti;
   il decreto n. 156 opera analoga riorganizzazione in relazione agli uffici del giudice di pace, riducendone significativamente il numero;
   è noto che in merito sono state sollevate alcune eccezioni di incostituzionalità, accolte da diversi magistrati sparsi di tutta Italia e rimesse alla Corte costituzionale;
   i suddetti decreti appaiono problematici proprio in riferimento alla loro idoneità a dare attuazione della delega, nei quali i principi e criteri direttivi riguardano, in particolare:
    a) la riduzione degli uffici giudiziari di primo grado, fatti comunque salvi i tribunali ordinari attualmente esistenti nei comuni capoluogo di provincia;
    b) la ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici giudiziari, eventualmente trasferendo territori dall'attuale circondario a circondari limitrofi, anche al fine di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane. A tal fine il Governo deve tenere conto di «criteri oggettivi e omogenei» che comprendano alcuni parametri (estensione del territorio, numero degli abitanti, carichi di lavoro, indice delle sopravvenienze, specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, presenza di criminalità organizzata);
    c) la ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici requirenti, con la possibilità di accorpare più uffici di procura indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali;
    d) la soppressione ovvero riduzione delle attuali 220 sezioni distaccate di tribunale;
    e) il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale, caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni;
    f) la garanzia che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello comprenda non meno di tre degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica (cosiddetta regola del tre);
    g) la disciplina relativa alla destinazione del personale di magistratura e amministrativo in servizio presso uffici giudiziari di primo grado soggetti alla riorganizzazione territoriale;
    h) le regole specifiche per la riorganizzazione territoriale degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, da operare tenendo in specifico conto, in coerenza con i criteri generali, dell'analisi dei costi rispetto ai carichi di lavoro, della riassegnazione del personale amministrativo in servizio presso gli uffici soppressi, della possibilità per gli enti locali di ottenere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, facendosi carico delle relative spese;
    i) il divieto di maggiori oneri per la finanza pubblica;
   le citta di Acquaviva delle Fonti, Cassano delle Murge, Gioia del Colle e Santeramo in Colle (comuni di competenza territoriale della Sezione distaccata del Tribunale di Acquaviva delle Fonti), non possono rimanere sprovvisti di un presidio di legalità e l'ipotesi di accorpare tutto in un unico tribunale, che ancora prima di diventare definitivamente operativo avrebbe già al suo attivo, e suo malgrado, una serie di pratiche inevase e di udienze in attesa di essere calendarizzate potrebbe rendere ancora più gravosa la volontà di rendere più sicuro il territorio e più efficiente la macchina della giustizia;
   il Sindaco di Acquaviva delle Fonti, in una nota del 24 dicembre 2013. diretta al Ministero della giustizia e al presidente del tribunale di Bari, comunicava l'individuazione da parte dell'amministrazione di un immobile di proprietà comunale come sede deputata ad ospitare la sezione distaccata del tribunale di Acquaviva delle Fonti;
   l'immobile già ispezionato, è utilizzabile immediatamente essendo compatibile con le caratteristiche richieste dalla normativa vigente –:
   se la suddetta proposta, del Sindaco di Acquaviva delle Fonti, possa essere pressa in considerazione dal Ministro della giustizia, per una eventuale modifica della geografia giudiziaria, considerando, inoltre, che l'immobile destinano alla sede distaccata del tribunale di Acquaviva delle Fonti verrebbe corrisposto a costo zero, nel pieno del rispetto delle norme sulla spending review. (4-01452)


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa nazionali e la trasmissione televisiva «Report» hanno riportato, nel dicembre dello scorso anno, una notizia relativa all'acquisizione di alcuni immobili, siti in diverse città italiane, da parte della società immobiliare An.To.Cri. Srl;
   tale società, costituita a Bergamo nel 2003 ed avente come oggetto sociale gli acquisti e le gestioni immobiliari, avrebbe acquisito tra il 2004 ed il 2009 circa nove immobili, di cui almeno due tra Roma e Milano, sottoscrivendo relativi contratti di mutuo bancario, attualmente ancora in essere;
   gli immobili in questione, secondo quanto riportato dalle medesime fonti, presenterebbero un valore commerciale di gran lunga superiore rispetto al capitale sociale della Srl, stimato in 50 mila euro, e sarebbero stati ceduti per diversi anni in locazione dalla An.To.Cri. Srl al partito politico «Italia dei Valori»;
   inoltre, da quanto sostenuto dalla stampa, gli amministratori ed i soci dell'immobiliare An.To.Cri. Srl avrebbero una correlazione immediata e diretta con i vertici del partito «Italia dei Valori», rapporti di parentela diretta o addirittura coinciderebbero con alcuni di essi;
   sembrerebbe che, proprio attraverso la suddetta correlazione, la An.To.Cri. Srl avrebbe fronteggiato il pagamento delle onerose rate dei mutui di acquisto degli immobili, beneficiando dei finanziamenti pubblici erogati negli anni al partito «Italia dei Valori»;
   tale vicenda avrebbe, pertanto, fatto emergere una anomala coincidenza tra gli acquirenti degli immobili per conto di An.To.Cri. Srl, i conduttori del rapporto di locazione degli stessi ed i destinatari dei finanziamenti pubblici erogati a titolo di rimborso elettorale al partito «Italia dei Valori»;
   la questione per molti versi appare da correlare a quella già esaminata nel corso di una seduta di interpellanze urgenti svoltasi il 25 febbraio 2010, nella quale il rappresentante del Governo allora in carica, rispondendo all'interpellanza n. 2-00585, concernente il regime fiscale applicabile ai rimborsi elettorali, nonché ai fondi percepiti dall'associazione «Italia dei valori», prospettava tra l'altro un complesso di verifiche che avrebbero dovuto essere oggetto di successivi approfondimenti, come segnalato dalla stessa Agenzia delle entrate –:
   se le verifiche prospettate siano state effettivamente svolte, quali ne siano stati gli esiti, se il Governo disponga, anche alla luce degli sviluppi considerati in premessa, di ulteriori elementi sulla questione, ed in particolare se risultino avviate indagini sulla specifica vicenda. (4-01456)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nel quadro di generale insufficienza delle infrastrutture nazionali di trasporto appare grave l'inadeguatezza funzionale della rete e del servizio ferroviario, in particolare nelle regioni Umbria e Marche;
   sia dal punto di vista quantitativo, per disponibilità di convogli e infrastrutture, sia per la qualità tecnologica delle reti, sia per capacità di servizio;
   i residenti, in particolare i pendolari – ma anche i turisti – sperimentano quotidianamente le enormi difficoltà di collegamento tra le diverse aree di tali regioni, anche all'interno di una medesima provincia o tra province contigue;
   del tutto insufficienti sono i collegamenti tra comuni, anche contermini, e con importanti centri e nodi ferroviari come Roma e Bologna;
   sistemi di comunicazione inadeguati scoraggiano l'utenza (soprattutto pendolari ed operatori economici che hanno bisogno di contare su un servizio regolare ed affidabile) sicché – considerato il basso livello di domanda, scoraggiata dall'inefficienza, dalla precarietà e dall'insicurezza del servizio – tendono ad essere sempre più sacrificati dai soggetti – quali Trenitalia – che danno impulso alla realizzazione di infrastrutture e a servizi efficienti solo se stimolati da una forte domanda dei potenziali utilizzatori di quel servizio;
   nel trasporto ferroviario dell'Umbria e delle Marche, si registra un grave taglio dell'offerta dei servizi; il trasporto pubblico locale di tali regioni si trova in una situazione di vera emergenza;
   da tempo si registra una grave violazione del diritto universale alla mobilità dei residenti delle regioni Umbria e Marche a causa del grave e del tutto irrazionale ridimensionamento del servizio;
   i residenti – i pendolari in particolare – subiscono il malfunzionamento del servizio dei treni: mancanza di puntualità, soppressione senza preavviso delle corse, carenza di informazione e guasti tecnici che affliggono l'ormai obsoleto materiale rotabile in linea; lunghi tempi di percorrenza, non garanzia di partenza delle coincidenze, e condizioni precarie delle infrastrutture ferroviarie e del materiale rotabile;
   nonostante l'insufficiente dotazione ferroviaria, per tali regioni le prospettive di adeguamento delle reti nelle tecnologie e negli standard di servizio risultano impostate su logiche incomprensibili, anche nella programmazione degli orari e del servizio; questo crea incertezza e precarietà dei collegamenti con gravi conseguenze sui flussi legati all'economia dei territori, al lavoro e al turismo;
   con lettera del 3 giugno 2013 inviata all'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Spa, l'ingegner Mauro Moretti, e per conoscenza al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, onorevole Maurizio Lupi, sottoscritta da 16 parlamentari marchigiani e 5 umbri, si segnala la situazione di grave degrado del trasporto pubblico su rotaia nelle Marche e nell'Umbria, in particolare per la tratta che va da Ancona a Roma, che attraversa entrambe le regioni;
   con i tagli e le sostituzioni di alcuni Eurostar con treni più lenti, e con le ipotesi di soppressione del treno Frecciabianca, il Ravenna-Roma in entrambe le tratte, si collegano le due città tramite lo snodo ferroviario di Bologna; in tal modo il treno non attraversa più le Marche e l'Umbria e si elimina, di fatto, l'ultima possibilità di collegamento «veloce» tra l'Adriatico ed il Tirreno, con gravi disagi e serie ricadute economiche sui territori esclusi;
   anche nel «periodo estivo» non sono previste fermate delle Frecce in partenza da Milano in alcuni importanti centri di attrazione turistica, come Senigallia nelle Marche; anche ad Orvieto, in Umbria, non sono previste fermate di treni ad alta velocità;
   l'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Spa, l'ingegner Mauro Moretti, con lettera del 20 giugno 2013 facendo seguito alla citata lettera dei parlamentari sulla situazione del servizio ferroviario in Umbria e nelle Marche, nel richiamare – in via preliminare – il contesto normativo in cui si trova ad operare Trenitalia, ha sottolineato che le disposizioni del decreto legislativo 8 luglio 2003 n. 188 – oltre a recepire il cosiddetto «Primo Pacchetto Ferroviario» dell'Unione europea – consolidano la precedente normativa che, a partire dalla direttiva 91/440/CEE, prevede l'autonomia e l'indipendenza gestionale delle imprese ferroviarie dallo Stato;
   la prevista autonomia e indipendenza implica, fra l'altro, secondo l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, l'impossibilità per queste ultime di ricevere risorse economiche pubbliche, se non nell'ambito di contratti di servizio o aiuti di stato autorizzati;
   nella medesima lettera l'ingegner Moretti afferma che, per quanto riguarda i servizi a mercato, Trenitalia può effettuare solo quelli che abbiano una giustificazione commerciale; nello specifico, ai sensi dell'articolo 4 del citato decreto legislativo n. 188 del 2003, «le imprese ferroviarie, stabilite o che si stabiliranno in Italia, devono possedere uno status giuridico indipendente per quanto riguarda la gestione, l'amministrazione ed il controllo interno in materia amministrativa, economica e contabile; il patrimonio, il bilancio e la contabilità della imprese ferroviarie devono essere distinti da quelli dello Stato, delle regioni, delle province autonome e degli enti locali» ciò comporta secondo l'amministratore delegato – che l'impresa ferroviaria «è tenuta ad effettuare le scelte relative ai servizi resi sulla base non di considerazioni di interesse pubblico ma di tutela del proprio patrimonio, nel rispetto dei principi del Codice Civile in materia di diritto societario»; nella medesima lettera si cita altresì il Regolamento (CE) 1370/2007 del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, che, nel prevedere i criteri di affidamento dei servizi pubblici di terra e le modalità di compensazione degli obblighi di servizio, dispone che l'impresa ferroviaria effettui servizi «al di fuori del proprio interesse commerciale» solo nella misura in cui ciò sia richiesto dall'Autorità affidante e remunerato attraverso un contratto di servizio;
   da questo quadro normativo deriva – conclude l'amministratore delegato – l'attuale organizzazione dei servizi ferroviari su tutta la rete nazionale, compresa quella dell'Umbria e delle Marche che sono – annuncia – destinati alla soppressione; la programmazione di tale servizio – compreso il numero e le caratteristiche dei collegamenti, nonché l'individuazione delle fermate da effettuare – afferma l'ingegner Moretti – è gestita dal Committente (Ministero delle infrastrutture e trasporti); dal medesimo quadro normativo consegue la programmazione dei servizi AV e delle «Frecce» – in regime di mercato – destinati a collegare rapidamente le città di maggiori dimensioni «che esprimono volumi di traffico rilevanti e che da queste caratteristiche traggono, in particolare, la loro competitività e redditività»;
   l'amministratore delegato di Trenitalia nella citata lettera afferma altresì che per i collegamenti ferroviari dei centri urbani di medie dimensioni – come è il caso di Senigallia e Orvieto – di cui si denuncia l'assoluta inefficienza – le ferrovie italiane applicano i criteri per i collegamenti di analogo livello seguiti in ogni parte d'Europa, oltre che dai competitors che operano in Italia a seguito della liberalizzazione del trasporto ferroviario;
   annuncia inoltre che il mantenimento, per il futuro, del collegamento Roma-Ravenna mediante i due treni «Frecciabianca» – come quello di tutti gli altri a mercato dipenderà dal suo risultato economico;
   relativamente ai finanziamenti in favore di Ferrovie dello Stato Spa, di cui all'articolo 25, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 185 del 2008, nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito un fondo per gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato Spa con una dotazione iniziale di 960 milioni di euro nell'anno 2009; il medesimo Fondo è destinato, a norma dell'articolo 25, all'acquisto di nuovo materiale rotabile per il trasporto pubblico regionale e locale;
   per assicurare i necessari servizi ferroviari di trasporto pubblico, al fine della stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e delle regioni a statuto ordinario con Trenitalia Spa, il medesimo decreto-legge n. 185 ha autorizzato la spesa di 480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, per complessivi 1440 milioni di euro; l'erogazione delle risorse è subordinata alla stipula dei nuovi contratti di servizio che «devono rispondere a criteri di efficientamento e razionalizzazione» per garantire che il fabbisogno dei servizi sia contenuto nel limite degli stanziamenti di bilancio dello Stato complessivamente autorizzati; si prevede però che eventuali ulteriori risorse siano messe a disposizione dalle regioni per i contratti di servizio di competenza, nonché per garantire che non vi siano aumenti tariffari nei servizi di trasporto pubblico regionale e locale; la relativa copertura è stata individuata mediante corrispondente riduzione del Fondo per le aree sottoutilizzate, a valere sulla quota destinata alla realizzazione di infrastrutture, che, come noto, ha un vincolo di destinazione territoriale dell'85 per cento al mezzogiorno e per la residua quota del 15 per cento al Centronord;
   il medesimo decreto-legge n. 185 obbliga Ferrovie dello Stato Spa a presentare annualmente al Ministro dell'economia e delle finanze una relazione sui risultati dell'attuazione dell'articolo 25, dando evidenza particolare al rispetto del criterio di ripartizione, in misura pari rispettivamente al 15 per cento e all'85 per cento, delle quote di investimento riservate al nord e al sud del Paese;
   come sottolineato dalla Autorità per la concorrenza e per il mercato, che ha formulato proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza per l'anno 2013, resta, tra l'altro, irrisolto il nodo della separazione proprietaria tra gestore dell'infrastruttura ed impresa erogatrice dei servizi di trasporto ferroviario; la direttiva n. 440 del 1991 prescrive infatti la separazione tra gestione dell'infrastruttura (da mantenere in monopolio) e gestione dei servizi (da aprire progressivamente alla concorrenza);
   la medesima Autorità sottolinea che non è possibile individuare correttamente l'area del servizio universale perché Trenitalia – l'operatore dominante – non rende noti i costi e i ricavi effettivi e potenziali per linea e tipo di servizio, in ragione del fatto che non è sottoposta ad un cogente obbligo alla contabilità regolatoria; senza questi dati è, infatti, impossibile calcolare il costo del servizio e i potenziali ricavi da traffico che permettono di definire l'onere complessivo delle obbligazioni sociali; dato il forte vantaggio informativo di cui gode Trenitalia, ogni finanziamento orientato al miglioramento del servizio per i collegamenti ferroviari dei centri urbani di medie dimensioni può risolversi in un intervento di ripianamento delle spese sostenute da Trenitalia, con il rischio di compensare eventuali inefficienze dello stesso operatore o di attribuire aiuti di Stato a servizi – come l'AV – oltremodo profittevoli –:
   quali misure intenda il Governo assumere alfine di:
   a) garantire, per quanto di competenza, servizi adeguati e una sufficiente copertura del territorio nelle regioni Marche e Umbria;
    b) assicurare il diritto alla mobilità in modo uniforme per tutti i territori – in modo particolare per le regioni Marche e Umbria – e il pieno rispetto degli standard qualitativi «europei» in merito a puntualità, affidabilità, affollamento, pulizia, comfort, decoro e informazione;
    c) adeguare e aggiornare il contratto nazionale di servizio con Trenitalia per vincolare la società al rispetto di tali standard qualitativi;
    d) condizionare l'assegnazione di ulteriori risorse a Trenitalia (sia sotto la forma di contributi di tariffe che di corrispettivi) all'effettivo ottenimento di miglioramenti qualitativi, accertati mediante specifici indicatori individuati ex ante nel contratto di servizio.
(2-00162) «Giulietti».

Interrogazione a risposta orale:


   BINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'area che, con vertice su Firenze, si sviluppa lungo la direttrice autostradale fino al mare, per seguire la costa fino a risalire lungo l'Arno fino al capoluogo toscano, rappresenta un territorio fortemente antropizzato e ricco di molteplici attività;
   attraverso questo anello si collegano su ferro, l'Alta Velocità, gli aeroporti e il mare utilizzando appunto la linea esistente con Livorno e Viareggio;
   la questione del raddoppio della ferrovia Pistoia-Lucca, si inserisce in una strategia di valorizzazione del trasporto su rotaia nell'ambito di questo anello, strategico per tutta la regione, sia per il trasporto passeggeri, sia per quello merci, anche nell'ottica di un alleggerimento del traffico su gomma;
   risale al 17 marzo 2003 la firma di un primo protocollo tra regione Toscana, Rete ferroviaria italiana spa, province di Lucca e di Pistoia e i comuni interessati, con il quale si assumeva l'impegno ad avviare la progettazione dell'opera utilizzando anche fondi regionali connessi al progetto alta velocità;
   il 17 novembre 2008 venne firmato un ulteriore protocollo tra i soggetti interessati, al quale intervenne anche l'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per prendere atto che Rete ferroviaria italiana aveva redatto il progetto definitivo, secondo quanto stabilito nel precedente protocollo del 2003, quantificando i costi dell'intervento;
   con tale protocollo la regione Toscana si impegnava a contribuire con circa 70 milioni di euro, sui 116 previsti per la realizzazione del primo lotto dell'opera (raddoppio della tratta Pistoia-Montecatini Terme), inserendo l'intervento nel POR «Competitività regionale e occupazione» FESR 2007-2013; mentre Rete ferroviaria italiana si impegnava a coprire la parte restante di tale investimento e a concludere il procedimento di realizzazione del progetto definitivo;
   i tempi di realizzazione prevedevano che la progettazione definitiva da parte di RFI fosse conclusa nel 2009, le procedure per appalto nel 2010 e l'avvio dei lavori avvenisse ad inizio 2011, con la conclusione ed il collaudo dell'infrastruttura alla fine del 2014, in tempi compatibili con l'attuazione del POR;
   nel corso dell’iter procedurale, è emerso già nel corso del 2010 un inadempimento da parte di Rete ferroviaria italiana, rispetto al cronoprogramma stabilito con la regione, che metteva già allora a repentaglio, in assenza di tempi precisi, la copertura finanziaria dell'intervento con i fondi europei, che la regione avrebbe dovuto rendicontare in sede comunitaria;
   in data 1o dicembre 2011 veniva firmato dalla regione Toscana e dalle Ferrovie dello Stato, un nuovo accordo finalizzato all'aggiornamento delle opere presenti nel protocollo d'intesa del 17 novembre 2008, che non modificava gli impegni assunti e sottoscritti pubblicamente fra Ministero delle infrastrutture, Rete ferroviaria italiana e regione Toscana il 18 novembre 2008 per il raddoppio della linea ferroviaria Pistoia-Lucca;
   nel frattempo il raddoppio della linea ferroviaria Pistoia-Lucca, a causa delle difficoltà riscontrate da RFI sul cofinanziamento a carico delle Ferrovie dello Stato e per lo slittamento dei tempi, non compatibili con l'attuazione del POR, non è più inserito nel piano finanziario del POR CReO FESR 2007-2013;
   la regione Toscana ha più volte confermato che metterà comunque a disposizione la quota per la realizzazione dell'investimento, nel momento in cui RFI renderà disponibile quella di propria competenza;
   il raddoppio della ferrovia Pistoia-Lucca si inserisce nella programmazione nazionale tra le infrastrutture prioritarie di cui all'allegato G del documento di programmazione economica e finanziaria 2008-2012;
   la progettazione del potenziamento della linea Pistoia-Lucca-Viareggio-Pisa è anche prevista nel contratto di programma 2007-2011 (Aggiornamento 2008), approvato dal CIPE e sottoscritto da RFI spa e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   l'intervento, oltre ad essere riconosciuto come prioritario dall'intesa tra regione e Governo del gennaio 2010, è stato classificato come priorità immediata di finanziamento nell'ambito dell'integrazione all'intesa firmata a giugno 2011, in quanto opera strategica per la modernizzazione e sviluppo del territorio pistoiese e regionale, per le imprese, per il lavoro, per i viaggiatori e per la sostenibilità ambientale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di stallo relativa all'attuazione dei progetti di cui in premessa e quali siano, ad oggi, i tempi per la realizzazione dei progetti di fattibilità da parte di RFI:
   se sia possibile prevedere penali molto pesanti per chi non rispetta i tempi e gli impegni sottoscritti, in modo tale da garantire tempi certi per la realizzazione degli interventi, a vantaggio degli altri soggetti coinvolti e nell'interesse del territorio e dei cittadini interessati. (3-00233)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRATAVIERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in conseguenza all'aumento della presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese si registra un progressivo aumento di circolazione di veicoli con targa straniera sulle nostre strade, immatricolati sia in Paesi dell'Unione europea che in Paesi extra comunitari;
   l'articolo 132 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 dispone che la circolazione dei veicoli stranieri che abbiano adempiuto alle formalità doganali è ammessa per la durata massima di un anno, in base al certificato di immatricolazione dello Stato di origine e che, oltrepassato tale termine, i veicoli devono essere immatricolati in Italia e muniti di carta di circolazione e targa italiane;
   il mancato rispetto delle disposizioni di cui sopra comporta, ai sensi del medesimo articolo 132, l'interdizione all'accesso sul territorio nazionale e una sanzione amministrativa col pagamento di una somma da euro 84 ad euro 335;
   i veicoli immatricolati in stati extracomunitari ed introdotti in Italia dai titolari che hanno la residenza fuori dallo Stato italiano possono circolare sotto un particolare regime doganale definito «temporanea importazione» che limita il periodo di permanenza dei predetti veicoli fino ad un massimo di un anno;
   presupposto per accertare il superamento del limite concesso alla permanenza del veicolo nel nostro Paese è l'esatta individuazione del giorno e della frontiera di ingresso;
   una persona che abbia la residenza in Italia e che acquisti un automobile all'estero, se la trasferisce in Italia attraversando la linea doganale senza provvedere al pagamento dei cosiddetti diritti di confine (il 10 per cento del valore dell'autovettura e l'Iva) spettanti allo Stato italiano compie il reato di contrabbando;
   il testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all'articolo 295-bis prevede che la violazione dei diritti di confine per un importo non superiore ai 4.000 euro sia considerato un «illecito amministrativo», punibile con una sanzione amministrativa (da due a dieci volte l'ammontare dei diritti) e per un importo superiore ai 4.000 euro si proceda a livello penale. In entrambe i casi è prevista comunque la sanzione accessoria della confisca del mezzo –:
   con quale frequenza e con quale esito sono stati effettuati nell'ultimo anno controlli sulle auto con targhe straniere circolanti sulle strade nazionali e in quanti casi siano stati riscontrati reati di evasione fiscale e contrabbando, illeciti amministrativi in materia di circolazione stradale nonché la mancata o irregolare assicurazione obbligatoria di veicoli. (5-00738)


   BURTONE, LAURICELLA, AMODDIO, PORTA, RIBAUDO, IACONO, CAPODICASA, ALBANELLA, CULOTTA, ZAPPULLA, PICCOLI NARDELLI, ROSTAN, MOSCATT, PICCIONE e GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Compagnia di volo Alitalia pratica ormai prezzi insostenibili per i voli che collegano la Sicilia a Roma;
   un volo preso da oggi a domani Catania-Roma con ritorno costa circa 400 euro e lo stesso vale anche da e per Palermo;
   se si rapportano queste tariffe a quelle praticate sul Roma-Milano è evidente che ci troviamo di fronte ad una discriminazione per i siciliani;
   per quella tratta esiste anche l'alternati del treno ad alta velocità di Trenitalia e anche della concorrente NTV;
   per la Sicilia non esiste neppure l'abbattimento del 30 per cento del costo per la cosiddetta continuità territoriale cosa che invece vale per la Sardegna;
   è evidente che questa situazione aggravata dall'assenza di concorrenza determina un grave danno al diritto di mobilità per i siciliani e a tutto il settore economico in primis quello turistico;
   senza gli slot siciliani Alitalia verrebbe la sua situazione economica precipitare;
   questo monopolio di fatto dovrebbe indurre la compagnia «nazionale» ad avere una maggiore attenzione verso l'utenza delle tratte in oggetto –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per aprire un tavolo di confronto anche con la regione al fine di raggiungere il risultato di una riduzione delle tariffe praticate lungo le tratte da Roma per la Sicilia e viceversa. (5-00739)


   COMINELLI, ROTTA, GALPERTI, BAZOLI, BERLINGHIERI e D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la regione Veneto, in data 9 luglio 2013, ha comunicato in via ufficiale e in modo unilaterale la soppressione, a partire dall'entrata in vigore del prossimo orario invernale (vale a dire il 15 dicembre), di 4 coppie di treni interregionali che oggi collegano Venezia con Milano. Nel dettaglio i treni 2090, 2098, 2106 e 2110 in partenza da Venezia, ed i treni 2089, 2095, 2107 e 2113 in partenza da Milano;
   si tratta degli unici treni di collegamento interregionali rimasti sulla linea (la direttrice 17), percorsa unicamente dai FrecciaBianca e dai FrecciaRossa di Trenitalia;
   le motivazioni fornite dalla regione Veneto su questa scelta riguardano una rimodulazione del servizio ferroviario interno regionale che non prevede più treni di collegamento a lunga percorrenza con le altre regioni. Tecnicamente la cosa si chiama «rottura di carico», e in pratica il trasporto regionale Veneto da dicembre si muoverà da Venezia per fare capolinea a Verona. Le conseguenze di questa decisione sono diverse e riguardano sia il Veneto che la Lombardia;
   da dicembre, dunque non sarà più possibile muoversi tra Milano e Venezia se non con i convogli di Trenitalia, passando dagli attuali 17 euro di un interregionale ai 70 euro di un FrecciaRossa. Inoltre, chi non abita nei capoluoghi di provincia dove fermano i Freccia di Trenitalia, dovendo muoversi dal Veneto verso la Lombardia e viceversa, non avrà più modo di farlo, se non cambiando treno e sobbarcandosi tempi e costi aggiuntivi;
   i centri che oggi usufruiscono di questi treni, importantissimi soprattutto per il trasporto pendolare nelle fasce della mattina e della sera – come Peschiera, Desenzano, Brescia, Rovato, Chiari, Romano e Treviglio – si ritroverebbero con una offerta di trasporto in alcuni casi quasi azzerata; migliaia di persone, lavoratori e studenti, lasciati a piedi dall'oggi al domani;
   la regione Veneto, comunicando alla regione Lombardia la propria scelta, si è detta disponibile a valutare possibili soluzioni, «purché queste non comportino alcun esborso per la regione Veneto stessa»;
   la decisione, come sottolineano le associazioni di pendolari e il gruppo regionale del Partito Democratico, appare profondamente sbagliata, non solo perché va a penalizzare i tanti cittadini, soprattutto le fasce meno abbienti della popolazione, che già quotidianamente sono costretti a fare i conti con un servizio ferroviario di pessima qualità, ma anche perché va a colpire ulteriormente la viabilità dell'area già congestionata dal traffico e dallo smog;
   inoltre in questo modo vengono vanificati anche gli investimenti fatti dalle comunità locali negli anni per favorire i pendolari, come ad esempio, il parcheggio di scambio di Rovato che ha risolto l'annoso problema della sosta selvaggia attraverso una politica di contenimento dei prezzi –:
   quali iniziative per quanto di competenza, intenda mettere in campo, di concerto con le regioni coinvolte, per trovare una soluzione a questa situazione, che di fatto appare in netto contrasto con la necessita di offrire un trasporto pubblico efficiente come modo concreto e immediato per migliorare la qualità della vita dei cittadini, per ridurre il traffico privato e l'inquinamento delle città. (5-00765)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   all'interno del cosiddetto «decreto emergenze ambientali» n. 43 del 2013, sul quale il Governo ha utilizzato lo strumento della fiducia, tra l'altro è contenuta la proroga al commissario straordinario per le opere d'integrazione dell'acquedotto del Sele-Calore di Valico Caposele Conza detta Pavoncelli Bis, cioè per la costruzione di una nuova galleria di valico alternativa all'esistente galleria Pavoncelli denominata appunto galleria Pavoncelli Bis;
   sin dall'atto della sua realizzazione, la galleria «Pavoncelli» è stata soggetta a fenomeni di dissesto, vuoi per le caratteristiche costruttive, vuoi per la tipologia di terreni attraversati. Negli anni si sono resi necessari una serie di interventi manutentivi che, ovviamente, potevano avere una durata di effettuazione limitata a soli due o tre giorni, data l'impossibilità di effettuare sospensioni dell'esercizio della galleria per tempi più lunghi, visto che il canale rappresentava l'unica fonte di approvvigionamento per molti cittadini pugliesi e lucani;
   già nel 1956, però, l'allora Ente autonomo acquedotto Pugliese (E.A.A.P.) si vide costretto a presentare al governo in carica un progetto di realizzazione di un nuovo canale che costituisse un percorso parallelo e sostitutivo rispetto alla galleria principale. Durante gli eventi sismici del novembre 1980 la galleria Pavoncelli ha subito danni gravissimi che hanno reso necessari interventi di durata ben maggiore rispetto ai soliti (circa quattro mesi) e, per consentire l'interruzione per tale durata del flusso idrico in galleria si giunse alla dichiarazione dello stato di emergenza con la nomina di un apposito Commissario. Sotto la sua autorità, furono realizzati una serie di interventi che consentirono alle popolazioni di sopportare, sia pure con pesanti disagi, la riduzione della disponibilità idrica connessa ad una così lunga interruzione nel funzionamento della galleria; tali interventi richiesero, tra l'altro, una spesa considerevole da parte dello Stato, per un ammontare di circa 1.300 miliardi di lire.
   L'Ente autonomo acquedotto Pugliese, per far fronte a questo status, si attivò allora per raddoppiare il canale. L'opera in questione avrebbe consentito di mettere fuori servizio la vecchia galleria, consentendone così una ristrutturazione efficace. In tal modo si sarebbe avuta la disponibilità di due gallerie per superare le zone fortemente sismiche, consentendo, quindi, di affrontare con maggiore sicurezza l'eventualità di nuovi movimenti tellurici. Per questo piano di sviluppo, l'Ente autonomo acquedotto Pugliese ottenne un finanziamento di poco meno di 145 miliardi di lire, ai sensi della legge n. 64 del 1986. Nel corso dei lavori, però, intervennero alcune problematiche idrogeologiche che ne condizionarono fortemente la prosecuzione, senza l'insorgere delle quali la galleria sarebbe da tempo in esercizio;
   ma, a causa della controversia insorta con l'impresa realizzatrice dell'opera nel corso dei lavori, l'EAAP, nel 1993, arrivò a rescindere il contratto ed al riappalto attraverso una nuova gara. Un nuovo contenzioso con la ditta vincitrice, però, portò ad una nuova risoluzione del rapporto contrattuale nel corso del 1997;
   al fine di ripartire celermente con i lavori, ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 135 del 1997, venne nominato con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un commissario straordinario, dopo breve tempo sostituito con altro Commissario. Quest'ultimo, inizialmente, ritenne di rivedere il progetto già disponibile, oggetto della procedura autorizzativa di si è detto, per poi demandare all'allora Provveditorato e alle opere pubbliche della Campania ulteriori attività progettuali;
   l'Acquedotto Pugliese, che con i suoi 21 mila chilometri di reti idriche e 4 milioni di utenti, è considerato una delle più imponenti opere di ingegneria idraulica del mondo –:
   se il Governo ritenga, dopo che sono trascorsi 60 anni e sono stati spesi molte centinaia di miliardi di lire senza ancora aver risolto definitivamente la questione, che la mera proroga della gestione commissariale, adottata nel cosiddetto «Decreto emergenze ambientali», rappresenti l'atto risolutivo per la definizione del problema in questione, e quali iniziative intenda assumere. (4-01385)


   SENALDI, MARANTELLI e GADDA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Cunardo (di seguito l'ente) risulta essere ammesso al piano di riparto delle risorse finanziarie del primo stralcio dell'intesa 28 gennaio 2009 tra il Governo, le regioni e le autonomie locali sulla messa in sicurezza degli edifici scolastici;
   con nota del 09 marzo 2011 – protocollo 1331 – l'ente trasmetteva al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sede di Milano, copia della convenzione protocollo n. 11611 del 19 luglio 2011 regolante i rapporti fra Stato ed ente per la realizzazione dell'intervento «Messa in sicurezza istituto comprensivo in Via Vaccarossi nel Comune di Cunardo (Varese)» inserito nel programma approvato dal CIPE con deliberazione n. 32 del 13 maggio 2010;
   l'ufficio centrale di bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze ha restituito vistato il decreto protocollo n. 16008 del 6 dicembre 2012 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con il quale è stata approvata la convenzione protocollo n. 11611 del 19 luglio 2011 stipulata tra l'ente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca relativa all'intervento n. 03210L0M142 «Messa in sicurezza istituto comprensivo in Via Vaccarossi nel Comune di Cunardo (Varese)»;
   con il decreto protocollo n. 16008 del 6 dicembre 2012 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha assunto l'impegno a favore dell'ente della somma di 250.000,00 euro a valere sul cap. 7384, pagina 1 con denominazione «programma di interventi finalizzati alla prevenzione e riduzione della vulnerabilità degli edifici scolastici» dello stato di previsione della spesa di questo Ministero;
   l'articolo 6 della Convenzione protocollo n. 11611 del 19 luglio 2011 (Modalità di erogazione del finanziamento) prevede da parte del Ministero l'erogazione all'ente l'importo attraverso due rate di acconto, pari ognuna al 45 per cento, ed una rata di saldo pari al 10 per cento, la prima rata entro 60 giorni dall'avvenuta stipula e registrazione della convenzione, la seconda rata di acconto alla positiva certificazione inviata al Ministero dall'ente della realizzazione di lavori pari, almeno, all'80 per cento dell'importo della prima, la rata di saldo su richiesta dell'ente contenente la delibera di approvazione da parte dell'ente attuatore degli atti di collaudo, la relazione Stato-ente e il parere sulla ammissibilità della spesa reso dal provveditorato;
   sulla base dell'articolo 6 della sopra citata convenzione l'ente ha provveduto a erogare alla ditta realizzatrice dell'opera (Ditta FONTANA Srl P.I. 01496400126) 64.777 euro il 3 agosto 2012 e 86.782 euro il 27 agosto 2012, pagamento che ha permesso alla ditta di pagare i dipendenti e non dover chiudere –:
   se e quando il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intenda ottemperare agli impegni sottoscritti con la stipula della convenzione suddetta, non avendo ad oggi, a due anni dalla registrazione della convenzione, erogato alcuna risorsa a favore dell'ente comune che ha appunto già provveduto a liquidare quanto dovuto alla ditta realizzatrice dell'opera e che rischia per questo di non rispettare i vincoli imposti dal patto di stabilità, subendo quindi le sanzioni previste dal mancato rispetto dello stesso. (4-01393)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 652 collega l'Abruzzo della provincia di Chieti, partendo da Fossacesia (Chieti) e percorrendo il Sangro, al Molise e alla Campania;
   in quella area vi è un'importante area industriale, quella di Atessa, in cui sono presenti grandi aziende industriali a partire dalla Sevel, la più grande fabbrica europea di veicoli commerciali e la più grande fabbrica italiana del Gruppo Fiat con 6.300 dipendenti, e anche tante altre imprese industriali e commerciali del Gruppo Fiat;
   decine di camion portano verso Napoli e Roma i veicoli commerciali prodotti dalla Sevel così come fanno tante altre aziende industriali;
   questa strada collega anche al più importante bacino sciistico dell'Appennino, quello di Roccaraso-Rivisindoli e al più conosciuto e frequentato Parco nazionale, quello d'Abruzzo, Molise e Lazio: è quindi enorme la valenza turistica di questa strada;
   infine questa strada collega tantissimi comuni montani dell'Appennino abruzzese e molisano ed è quindi utilizzata da decine di migliaia di cittadini;
   nonostante sia ormai una strada a scorrimento veloce, vi è inspiegabilmente una strozzatura derivante dai ritardi decennali nella mancata realizzazione di un pezzo di strada di appena 4 chilometri tra Quadri e Gamberale che costringe camion, autobus e macchine ad una fastidiosa e pericolosissima deviazione su una strada del tutto inadeguata con un disagio per le popolazioni, una insicurezza nella circolazione e un danno all'economia –:
   quali iniziative intende assumere per completare in tempi rapidi l'ultimo residuo tratto di strada suddetto tra Quadri e Gamberale e favorire così la mobilità delle persone e delle merci tra l'Abruzzo, il Molise e la Campania. (4-01420)


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in sede di conversione del decreto-legge n. 62 del 2013 il Capo III intitolato «Misure per il rilancio delle infrastrutture» prevede l'istituzione di un Fondo per il finanziamento di infrastrutture cantierate o cantierabili con una dotazione complessiva di 2.069 milioni di euro. Tra gli interventi finanziabili, con le risorse assegnate al Fondo quelle di carattere generico verranno individuate con uno o più decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; mentre tra gli interventi specifici non si rinvengono opere infrastrutturali da realizzare in Sardegna;
   la dotazione infrastrutturale è considerata come una precondizione dello sviluppo o, comunque un fattore che accompagna la crescita di un sistema economico;
   il sistema dei trasporti sardo, malgrado recenti interventi è ancora fortemente disarticolato e necessita di azioni organiche ed integrate;
   alle oggettive difficoltà derivanti dalla distanza dai mercati nazionali ed europei si assomma, sul fronte dei collegamenti e degli scambi all'interno dell'isola, la storica debolezza dei collegamenti ferroviari e della rete stradale, determinando un deficit di infrastrutturazione complessiva che incide negativamente sullo sviluppo «sistemico» dell'intera regione;
   ulteriore elemento di debolezza è rappresentato dalla vetustà di gran parte dei mezzi per i collegamenti interni ed esterni all'isola, del parco rotabile ferroviario e gommato, dalla debolezza della organizzazione «a rete» del trasporto pubblico, ed in particolare nelle grandi aree urbane, segnate da un ricorso pressoché generalizzato alla mobilità su mezzo privato, e da una costante condizione di congestione/alta incidentalità della rete viaria;
   la dotazione infrastrutturale della Sardegna, rispetto anche alle altre regioni del Mezzogiorno, è caratterizzata da una condizione di grave svantaggio dove perifericità, distanza dai mercati e marginalità costituiscono altrettanti fattori di ritardo per una politica di sviluppo sempre più fondata sull'integrazione dei mercati e sulla crescita degli scambi con i contesti nazionali, europei e mondiali;
   ancora incompleta e inadeguata risulta anche la strada statale 131: per la principale l'arteria stradale della Sardegna, di collegamento tra Nord e Sud dell'isola, e tra le maggiori realtà urbane (Cagliari, Oristano, Abbasanta-Macomer Ozieri-Mores, Sassari, Porto Torres) il progetto di messa in sicurezza ed adeguamento allo standard autostradale è stato sin qui realizzato soltanto sulla sezione meridionale dell'itinerario, sino all'altezza di Oristano (chilometri 119). Conurbazione Cagliaritana - Nuova strada statale 195-Nuova strada statale 554: i due itinerari ad elevata valenza metropolitana sono gravemente insufficienti rispetto al ruolo svolto;
   si deve poi evidenziare la difficile accessibilità di gran parte dei territori dell'interno (strada statale 128, strada statale 127, strada statale 133 e strada statale 1331-bis, strada statale 387, ed altre...) dove sarebbe necessaria una azione diffusa all'intera rete che preveda: allargamento tracciati, ripristino pavimentazioni e segnaletica, rettifica/eliminazione di curve, messa in sicurezza degli incroci, rivolta ad ottenere un sensibile miglioramento delle condizioni della circolazione, ottimizzando le velocità commerciali e la sicurezza delle percorrenze, la realizzazione della cosiddetta «Trasversale Sarda», meglio nota come Oristano-Tortolì Arbatax di cui è stato finanziato solo il progetto preliminare;
   nel quadro della mobilità regionale emerge anche lo stato di estrema debolezza del trasporto ferroviario sia nel settore delle merci che in quello passeggeri; basti pensare che le merci le ferrovie assicurano appena il 2 per cento del traffico pesante Ro-Ro, con una capacità di carico calata, nel decennio, del 65 per cento; il settore appare in forte crisi, conseguenza non tanto di una assenza della domanda, ma della progressiva dismissione delle navi traghetto e della conseguente, progressiva riduzione della quantità di carri ferroviari movimentabili. Per quanto riguarda le reti ferroviarie in generale e nello specifico la Oristano-Nuoro-Olbia è necessaria una piena riqualificazione e nuova pianificazione dal momento, che si evidenzia una condizione di storica trascuratezza susseguitesi negli anni;
   anche la situazione dell'import-export della Sardegna è particolarmente difficile, in particolare per i beni di maggiore valore aggiunto, riguarda le regioni del Centro-Nord: l'assetto dei traffici commerciali è sbilanciato verso il Lazio e le realtà del Nord-Italia, mentre risultano pressoché nulli gli scambi con gli altri porti del Mediterraneo ed estremamente deboli anche le relazioni con le altre regioni del Sud (per Napoli e Palermo sussistono collegamenti marittimi con cadenza mono o bisettimanale);
   il traffico di merci da e per le regioni del Centro-Nord, in costante crescita, si concentra sugli scali di Olbia, Golfo Aranci e Portotorres, dando luogo a un vero e proprio «cordone ombelicale» tra gli scali del Tirreno centro settentrionale (Livorno, Piombino, Genova, Civitavecchia), i porti del Nord Sardegna, e la parte meridionale dell'isola, ove si concentra la gran parte della popolazione. La gran parte dei flussi in transito sugli scali di Olbia/Golfo Aranci va quindi ad attraversare l'intera Sardegna, per ripartirsi sulle province di Oristano, Sulcis, Medio Campidano, e Cagliari, peraltro utilizzando, come detto in precedenza, una rete stradale per gran parte inadeguata, anche per la nota insufficienza della offerta di trasporto su ferro (la ferrovia è chiusa nelle ore notturne). Lo stesso discorso vale per il polo di Cagliari, costituito dal porto commerciale (interessato dal traffico passeggeri e, parzialmente, dal movimento merci su semirimorchi e rinfuse secche), dallo scalo industriale (noto come Porto Canale) dove è in forte crescita la movimentazione di container con un servizio di transhipment e dai terminal industriali di Assemini e di Porto Foxi (quest'ultimo comprende due terminal petroli, uno a servizio della Saras e l'altro dell'Enichem) e per il Polo di Arbatax, costituito dal porto commerciale e da quello industriale di Arbatax-Tortolì per i quali servono offerte integrate di infrastrutture e di servizi;
   a fronte della dichiarata carenza infrastrutturale della Sardegna si rinviene nelle Linee guida - Allegato infrastrutture 2013-2015 al DEF 2012 la conferma del Governo di un concreto impegno per gli «interventi relativi agli assi viari in Sardegna come l'asse 131 Carlo Felice o la Olbia-Sassari»;
   lo stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in una serie di incontri avuti a Cagliari lo scorso 22 giugno ha tenuto a confermare l'impegno a parlare con tutti, a cominciare dall'Anas, e dalle Ferrovie dello Stato, per ottenere che «nei confronti della Sardegna ci sia maggiore attenzione» per le strade e prima di tutto ci sono da risolvere le due strozzature sulla Carlo Felice, a Sanluri e Florinas. Poi chiederà lo stesso alle Ferrovie, che continuano a tagliare le corse, perché «anche la mobilità interna ai suoi sacrosanti diritti». Alla fine dell'ultima riunione a Villa Devoto, il Ministro ha annunciato anche di aver ottenuto dall'Europa l'inserimento di Cagliari fra i porti di prima fascia e questo vorrà dire poter puntare a nuovi finanziamenti comunitari –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, ai sensi del comma 2 dell'articolo 18 del decreto n. 62 del 2013, in sede di adozione dei decreti da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze hanno intenzione di adottare per la realizzazione di opere infrastrutturali nella regione Sardegna d'intesa con la stessa per l'adeguamento delle reti primarie allo standard nazionale al fine di un equilibrato sviluppo economico e sociale con il resto del Paese. (4-01421)


   BRAMBILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si inaugura in questi giorni una nuova struttura nell'Acquario di Genova, della società Costa Edutainment, denominata «Padiglione dei cetacei» o «Nuova vasca dei delfini»;
   secondo le deliberazioni del Comitato tecnico amministrativo del provveditorato interregionale alle opere pubbliche, sede coordinata di Genova, del comune di Genova, della regione Liguria, da recenti notizie di stampa (www.repubblica.it del 3 luglio 2013) il costo dell'opera è stato di 26 milioni di euro finanziato in massima parte con fondi pubblici diretti derivanti da contributi statali della legge n. 99 del 1991 «Genova Colombo ’92» – già utilizzato per la struttura Acquario nel suo complesso e contributi di regione Liguria, provincia di Genova, comune di Genova, porto antico di Genova Spa (controllata da comune, camera di commercio e autorità portuale);
   la struttura è profonda dai 5,8 ai 7 metri, mentre un delfino normalmente si immerge fino ai 100 metri e nuota per decine di miglia al giorno in mare aperto;
   il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 6 dicembre 2001, n. 469 reca disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops Truncatus, in applicazione dell'articolo 17, comma 6 della legge 23 marzo 2001, n. 93;
   il decreto ministeriale citato stabilisce che «devono essere rispettate le prescrizioni contenute» nel testo riguardo a educazione, gestione, manipolazione, rumore, e che «Il mantenimento di esemplari appartenenti alla specie Tursiops Truncatus è permesso solo nel caso in cui siano garantiti i programmi di educazione, ricerca e riproduzione di cui ai successivi paragrafi 1, 2 e 3» –:
   perché siano stati concessi fondi pubblici per così elevata entità a una società privata con finalità di lucro;
   se l'attribuzione dei fondi abbia sottratto risorse ad opere di pubblica utilità previste da leggi dello Stato e da programmi pluriennali oggetto d'intesa tra Stato e regione Liguria;
   quali siano le risorse effettivamente spese dalla Costa Edutainment rispetto alle risorse assegnate e quali siano stati i contributi pubblici erogati a tale società, e alle precedenti con la stessa ragione sociale, per l'attività dell'acquario di Genova e degli altri acquari della Costa nel resto d'Italia;
   se la detenzione dei delfini nell'Acquario di Genova risponda alle prescrizioni del citato decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con quali caratteristiche e quale sia la provenienza dei delfini detenuti nell'Acquario di Genova e nella nuova vasca;
   se la «nuova vasca dei delfini» sia entrata in funzione con le dovute autorizzazioni sanitarie e di sicurezza pubblica. (4-01429)


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da mesi i mezzi di informazione locali hanno reso nota la situazione di degrado e di pericolo del viadotto «Molino» (una struttura di circa 700 metri, composto da 25 campate) al chilometro 4 della strada statale Basentana;
   a seguito di una denuncia presentata da semplici cittadini il 12-13 luglio 2013, i carabinieri Vaglio Basilicata (PZ) hanno effettuato un sopralluogo rilevando a) due corsie di marcia chiuse al traffico sin dal 2009; b) avanzato degrado strutturale dell'intero impalcato; c) travi che cadono a pezzi; d) ferri scoperti arrugginiti e pensili; e) solette lesionate e forse collassate; f) rischio per la pubblica incolumità;
   nonostante le continue sollecitazioni la struttura è in uno stato di assoluta incuria, dovuta anche ai difetti realizzativi e alla scarsissima qualità dei materiali impiegati;
   il prefetto di Potenza, in una dichiarazione rilasciata alla stampa ha dichiarato che «per il viadotto Molino si sta facendo tutto il possibile»; il prefetto ha reso pubblica una nota del Ministero Infrastrutture (n. 1753 del 9 aprile 2013 a firma del Direttore Generale dottoressa Barbara MARINALI) che elenca alcuni interventi in corso di esecuzione;
   tuttavia la nota ministeriale in titolo non si riferisce ai lavori presso l'impalcato del viadotto Molino in provincia di Potenza, ma ai lavori presso le fondazioni del viadotto «Calciano 2» in provincia di Matera, dove peraltro gli interventi dell'ANAS, secondo le denunzie presentate dai cittadini, hanno ulteriormente compromesso la struttura: prova ne sia una serie di cedimenti successivi;
   giova ricordare che lungo la Basentana, un'arteria fondamentale per la Basilicata, sorgono circa 100 viadotti con circa 100 campate, la gran parte dei quali in pessimo stato di conservazione; numerosi altri di questi avrebbero bisogno di interventi di manutenzione, anche di natura straordinaria; l'intera tratta Caldano-Potenza è in pessimo stato di conservazione;
   sulla strada europea E847 la situazione è anche peggiore: vi sono tre viadotti già demoliti ed in attesa di ricostruzione. La tratta Balvano-Buccino è già da alcuni mesi interdetta al traffico pesante;
   si assiste pertanto ad un progressivo isolamento della Basilicata, aggravato dalle già segnalate soppressioni di treni a lunga percorrenza segnalato in altro atto di sindacato ispettivo dell'interrogante –:
   se non ritenga opportuno effettuare un sopralluogo urgente e avviare immediati lavori di ripristino di un minimo di sicurezza sul viadotto «Molino» al km 4 della strada statale Basentana;
   se non intenda avviare un'indagine sulle modalità con cui sono stati condotti i lavori sul viadotto Calciano 2 della strada statale Basentana;
   se non ritenga opportuno ordinare un approfondito sopralluogo lungo la strada statale Basentana e la E847, nei tratti che percorrono la regione Basilicata. (4-01430)


   D'ARIENZO, ZARDINI, COMINELLI, DAL MORO e ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   A) di sera Verona non è collegata con Roma. Il buco è sulla Bologna-Verona. Infatti:
    la linea ferroviaria Verona-Bologna è percorsa giornalmente da circa 12 (dodici) coppie di treni regionali/regionali veloci al giorno nelle due direzioni; a questi vanno aggiunte altre 6 (sei) relazioni di treni Freccia Argento per collegamenti veloci con Roma;
    in pratica, a parte le due fasce pendolari (mattina e sera quando c’è in più un treno regionale che ferma in tutte le stazioni) circola un treno da Bologna per Verona ogni due ore (è servita meglio la relazione Verona-Modena con circa 15 coppie di treni al giorno, con una relazione ogni ora;
    dopo le 18,15 nessun treno collega Roma con Verona. E dopo le 18,50 nessun treno collega Verona con Roma. Di fatto, una delle più dinamiche città dal punto di vista economico del Paese, è isolata dalla capitale;
    se l'offerta ferroviaria per Verona da e verso Roma – direttamente o indirettamente – è cadenzata nel corso della giornata, dopo le 18,15 da Roma e dopo le 18,50 da Verona cala il buio.
   Nel dettaglio, sebbene da:
    1. Roma verso Bologna dopo le 18,15 vi siano quattro treni con un'offerta variegata in partenza dalle 19,20 alle 20,20 e arrivo rispettivamente alle 21,35 e alle 22,35 (altri collegamenti Roma/Bologna sono 19,35/21,52 e 19,50/22,07), dopo l'ultimo treno da Bologna per Verona in partenza alle 21,10 non c’è null'altro;
    2. da Bologna verso Roma dopo le 18,50 vi siano treni con offerta variegata in partenza alle 19,43, 19,53 e 20,20 con arrivo rispettivamente alle 21,40, 22,10 e 22,35 a Roma, dopo l'ultimo treno da Verona per Bologna in partenza appunto alle 18,50 non c’è null'altro;
   il problema vero, quindi, è la mancanza di treni regionali o regionali veloci di collegamento fra Bologna e Verona dopo le 22,35 e da Verona con arrivo fino alle 20,20 a Bologna; intercettando le coincidenze, si eviterebbero, peraltro, possibili vuoti di passeggeri sulla tratta;
    la soluzione di un nuovo collegamento che copra il vuoto risolverebbe anche il buco dei collegamenti da Padova, stazione presso la quale i treni da Roma giungono anche nelle fasce orarie in interesse, infatti dopo le 20,17 da quella città non parte nulla verso Verona;
    altresì, si favorirebbe il prolungamento dei passeggeri verso Trento in ragione del fatto che verso quella destinazione da Verona l'ultimo treno parte alle 22,49;
    l'ulteriore nota stonata è certamente il sottoutilizzo di una linea a doppio binario con una tecnologia sofisticata e molto moderna e con una programmazione di soli 50 treni al giorno quando ne potrebbero circolare più di 120! (come sulle tratte Verona/Milano e Verona/Venezia, o sulla Verona/Trento-Bolzano). Praticamente i lavori di raddoppio del binario (durati più di trent'anni) hanno portato solo benefici in termini di orario: prima le due città erano lontane più di due ore, oggi la distanza temporale è minore di 80/90 minuti ma il numero di corse non è mai cambiato;
    questo accade solo sul territorio veneto. In Emilia Romagna, infatti, sono aumentati i treni ed anche le stazioni nell’hinterland del capoluogo. Nella tratta Bologna-Poggio Rusco (e quindi, esclusivamente, sul territorio della regione Emilia Romagna) circola un treno ogni ora e nelle fasce pendolari un treno ogni mezzora;
    considerata l'esperienza emiliana, per potenziare il servizio sulla linea Verona-Bologna sarebbe sufficiente un accordo fra le due Regioni, Veneto ed Emilia ed il servizio ferroviario potrebbe essere più che raddoppiato con sicuri benefici per il collegamento fra le due città e probabilmente anche per il territorio limitrofo (da Trento e dalla zona padana fino a Brescia);
    sarebbe opportuna una riflessione sull'anticipo della prima partenza da Verona, oggi prevista alle ore 6,50 per essere a Roma prima delle 9,40 e, quindi, in tempo per raggiungere nella capitale qualsiasi destinazione;
    appare urgente prevedere due nuovi collegamenti che offrano la possibilità ai veronesi di usufruire di un collegamento ferroviario da Bologna, e quindi, da Roma, con partenza successiva alle 22,35 in modo da favorire la permanenza in Roma fino alle 20,20 e, di contro da Verona verso Bologna e, quindi, verso Roma che arrivi alla stazione bolognese entro le 20,20;
   B) va rivisto l'aggravio di costi per i veronesi diretti o provenienti dalla Lombardia. Infatti:
    la Regione Veneto, in data 9 luglio, ha comunicato in via ufficiale e in modo unilaterale la soppressione, a partire dall'entrata in vigore del prossimo orario invernale (vale a dire il 15 dicembre), di 4 coppie di treni interregionali che oggi collegano Venezia con Milano. Nel dettaglio i treni 2090, 2098, 2106 e 2110 in partenza da Venezia, ed i treni 2089, 2095, 2107 e 2113 in partenza da Milano;
    si tratta degli unici treni di collegamento interregionali rimasti sulla linea (la direttrice 17), percorsa unicamente dai FrecciaBianca e ai FrecciaRossa di Trenitalia; Le motivazioni fornite dalla Regione Veneto su questa scelta riguardano una rimodulazione del servizio ferroviario interno regionale che non prevede più treni di collegamento a lunga percorrenza con le altre regioni. Tecnicamente la cosa si chiama «rottura di carico», e in pratica il trasporto regionale Veneto da dicembre si muoverà da Venezia per fare capolinea a Verona. Le conseguenze di questa decisione sono diverse e riguardano sia il Veneto che la Lombardia;
    da dicembre, dunque non sarà più possibile muoversi tra Milano e Venezia se non con i convogli di Trenitalia, passando dagli attuali 17 euro di un interregionale ai 70 euro di un FrecciaRossa. Inoltre, chi non abita nei capoluoghi di provincia dove fermano i Freccia di Trenitalia, dovendo muoversi dal Veneto verso la Lombardia e viceversa, non avrà più modo di farlo, se non cambiando treno e sobbarcandosi tempi e costi aggiuntivi;
    la decisione penalizzerà soprattutto le fasce meno abbienti della popolazione e inciderà ulteriormente sulla viabilità dell'area già congestionata dal traffico e dallo smog –:
   se non si ritenga urgente costituire un tavolo ministeriale, di concerto con le regioni coinvolte, per trovare una soluzione positiva per Verona ed i pendolari veronesi. (4-01457)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI e LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 21 luglio 2013, il quotidiano «Il Fatto Quotidiano» titolava: «Val di Susa, notte di scontri No Tav, io palpata dagli agenti. Sette arresti, 13 feriti. Una militante denuncia: «Picchiata e toccata nelle parti intime», più in là, nello stesso articolo «Mi hanno colpita alle spalle nei boschi e poi trascinata dentro al cantiere, dove mi hanno ancora colpita e toccata nelle parti intime. Marta Camposana, 33 anni pisana, è una dei due fermati e poi denunciati a piede libero per resistenza»;
   sempre sullo stesso episodio, il quotidiano «Il Tirreno» riportava «Da quando mi hanno fermato a quando mi hanno portato all'interno del cantiere sono stati dieci minuti di follia. Ho ricevuto una manganellata in faccia, mi hanno toccato nelle parti intime e mi hanno insultato». A parlare, durante la conferenza stampa organizzata dal movimento No Tav a Susa (Torino), è Marta Camposana, l'attivista pisana No Tav che è stata denunciata per resistenza. «Le forze dell'ordine – ha raccontato la 33enne – ci hanno chiuso con due cariche e bersagliato con una pioggia di lacrimogeni. Poi sono stata colpita da una manganellata alle spalle e trascinata a terra. Una volta nel cantiere ho detto che avevo bisogno di un medico, ma mi hanno di nuovo insultato e portato al pronto soccorso soltanto quattro ore dopo, alla fine delle procedure in questura, dove mi hanno denunciato solo perché avevo del Maalox e dei limoni per contrastare i lacrimogeni»;
   il giorno 20 luglio, l'Huffington Post pubblicava foto e video dei pestaggi ai danni degli attivisti NO-TAV riportando un'ulteriore testimonianza «Gli arrestati della scorsa notte sono degli eroi», ha sostenuto poi Nicoletta Dosio, portavoce del movimento No Tav, durante la conferenza stampa successiva agli scontri al cantiere di Chiomonte. «Ero presente anche io – ha aggiunto – e le forze dell'ordine hanno sparato lacrimogeni ad altezza d'uomo anche sulla gente che defluiva. È stata usata violenza inaudita. Oggi siamo qui per dire basta». Secondo Dosio, i pubblici ministeri Andrea Padalino e Antonio Rinaudo erano presenti all'interno del cantiere «soltanto per convalidare arresti già decisi» –:
   se non si reputi che il comportamento delle forze dell'ordine, schierate a difesa del cantiere di Chiamonte, sia stato eccessivo e al di fuori di ogni logica di contenimento del dissenso;
   in quale sede si sarebbe deciso questo cambio di strategia nel contrasto agli attivisti NO-TAV e a quale scopo;
   se nell'episodio specifico che ha coinvolto la signora Marta Camposana siano riscontrabili condotte molto gravi da parte di funzionari dello Stato e come si intenda agire per accertare tutta le verità nel merito ed eventualmente prendere tutti i provvedimenti del caso nei confronti di tutti i possibili responsabili anche mediante le necessarie comunicazioni all'autorità giudiziaria. (3-00236)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa, presso Cuveglio, in provincia di Varese esercita la professione di medico di base il dottor Gianantonio Valli, un medico chirurgo già protagonista in passato di un'aspra polemica con il rappresentante del Centro di documentazione ebraica contemporanea, il dottor Stefano Gatti, per un intervento pubblico fatto dallo stesso dottor Valli dal carattere marcatamente negazionista;
   il dottor Valli rappresenta infatti uno dei principali teorici, nel nostro Paese, delle tesi negazioniste dell'Olocausto, di cui ha fatto ampia e pubblica ostentazione in diverse occasioni, e si è più volte dichiarato in pubblico come un «fascista di ispirazione nazionalsocialista»;
   sempre da notizie a mezzo stampa risulterebbe che nello studio di Cuveglio, dove il dottor Valli riceve settimanalmente i suoi pazienti, figurerebbero in bella mostra scritti di Mussolini, articoli contro il «flagello dell'immigrazione», e vi sarebbe altresì esposto il manifesto di Franco Freda, fondatore del Fronte nazionale, un movimento politico che fra il 1990 ed il 1993, svolse un azione di propaganda riguardo alla cosiddetta «questione razziale», e il cui scopo principale era quello di opporsi all'immigrazione, considerata segno della decadenza delle «stirpi europee»;
   per l'ordinamento italiano il medico di famiglia costituisce un ufficiale sanitario di primo livello del Servizio sanitario nazionale –:
   quale sia la valutazione dei Ministri interrogati circa la compatibilità tra la manifestazione di idee apertamente e pubblicamente xenofobe, razziste e anti-semite con la professione di medico del Servizio sanitario nazionale e se, e quali, iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di impedire il ripetersi in futuro di episodi analoghi. (5-00752)


   AMODDIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i migranti sbarcati nel territorio italiano in ragione della normativa vigente dovrebbero: immediatamente essere identificati dalle forze dell'ordine, per essere successivamente trasferiti nei CPSA (centri di primo soccorso e accoglienza) gestiti dalle prefetture ed essere ivi accolti offrendo loro ogni assistenza alla persona necessaria e le informazioni dei loro diritti; essere trasferiti presso i CARA (centri accoglienza richiedenti asilo e rifugiati) nell'ipotesi in cui manifestino la volontà di richiedere la Protezione Internazionale e successivamente qualora venga riconosciuto il diritto alla protezione essere trasferiti all'interno dei progetti SPAR (sistema richiedenti asilo e rifugiati) gestiti dall'ANCI e dal Ministero dell'interno; qualora trattasi di minorenni non accompagnati essere presi in carico dal comune in cui si trovano e condotti nelle comunità per minori presenti nel territorio o affidati;
   è noto a tutti e lo dovrebbe essere in primo luogo al Ministro dell'interno, che da anni Siracusa è una «frontiera» del Mediterraneo; che i migranti che sbarcano nelle coste della provincia di Siracusa transitano verso altre città dell'Italia e dell'Europa per unirsi a parenti o amici che li attendono e con la speranza di trovare una «nuova vita»;
   nella provincia di Siracusa: a) nel mese di luglio 2013 sono stati registrati oltre 12 sbarchi con oltre 1200 cittadini extra comunitari dei quali circa 300 minorenni; b) nell'anno 2013 sono stati registrati 35 sbarchi con oltre 3000 cittadini extra comunitari dei quali circa 1000 minorenni; c) gli sbarchi registrati nel 2013 comparati a quelli del 2012 evidenziano un incremento di oltre due terzi di cittadini extra comunitari che approdano nelle coste della provincia di Siracusa;
   in nata 23 luglio 2013 sono sbarcati nelle coste della provincia di Siracusa altri 200 migranti dei quali 17 minorenni;
   in data 25 luglio 2013 sono sbarcati in località Fontane Bianche (Siracusa) 88 migranti di probabile nazionalità siriana tra i quali diverse donne e bambini e successivamente nella località denominata «Punta del Cane» (tra Ognina e Fontane Bianche – Siracusa) è stata rinvenuta, incagliata tra gli scogli, un'imbarcazione in legno di circa 15 metri e sono tutt'ora in corso le operazioni di rintraccio e di assistenza;
   i migranti che sbarcano nella provincia di Siracusa vengono condotti presso una struttura sita in Siracusa nella via Avola denominata «l'Umberto I» e spesso in massa lasciano la struttura per peregrinare in giro con neonati e donne incinte;
   l'interrogante si è recata personalmente nel mese di luglio 2013 a verificare le condizioni della struttura dove vengono accolti i cittadini extra comunitari;
   dalla visita è emerso che: a) la struttura è incapiente ed inadeguata a garantire un'accoglienza dignitosa all'elevato numero di cittadini extracomunitari che continuano a sbarcare sulle nostre coste; b) i migranti che sbarcano nel nostro territorio è gente stanca, confusa, che ignora le regole del nostro ordinamento; c) dai loro racconti emerge che sono persone che hanno vissuto in modo fortemente negativo l'impatto con il nostro territorio che hanno la sensazione di essere ancora in balia di «gente con la divisa» che gli richiede «cose» che non promettono «nulla di buono» (impronte digitali, richiesta dei dati personali);
   la struttura di Siracusa con le sue altissime sbarre verticali di ferro, con la presenza della polizia e dei carabinieri, il braccialetto che viene messo al polso dei migranti, giustifica il loro istinto di autoconservazione ed il desiderio di fuga perpetuando così la clandestinità;
   sebbene non sia chiaro in virtù di quale atto la struttura Umberto I, gestita da un ente non profit, accolga i migranti, di fatto potrebbe qualificarsi un centro di identificazione, e pertanto dovrebbe gestire il flusso dei migranti solamente per 24-48 ore, e questi, successivamente alla identificazione, dovrebbero essere destinati ad altre strutture destinate ad accogliere i migranti richiedenti protezione internazionale o destinati al rimpatrio;
   tuttavia i cittadini extra comunitari permangono nella struttura citata per giorni ed a volte mesi e pertanto risulta impossibile assicurare agli stessi le minime condizioni sanitarie, un'accoglienza dignitosa ed il trasferimento in altri luoghi in tempi brevi;
   la struttura menzionata diventa luogo di permanenza e sosta «forzata», una sorta di limbo dove per tempi infinitamente lunghi vengono in realtà parcheggiati esseri umani;
   le associazioni (ARCI Siracusa; ASGI Sicilia; Comunità Africana a Siracusa; Comunità Suore Francescane di Maria; Chiesa di Bosco Minniti; Amnesty Gruppo Italia 85; Comitato Cento Donne) che si occupano di tutela dei migranti nella provincia di Siracusa hanno già sollevato i gravi problemi di gestione nell'accoglienza dei flussi di migranti sulle nostre coste negli ultimi mesi ed hanno rivolto un appello alle istituzioni locali e nazionali affinché:
    a) si ponga fine alla logica degli interventi emergenziali;
    b) venga istituito con la predisposizione di un regolare bando di gara un centro di Primo Soccorso e Accoglienza in cui la permanenza massima sia di 48 ore;
    c) si privilegino forme di accoglienza diffusa e decentrata, con la creazione di centri con un limite massimo di 80 posti e con la promozione di forme di autogestione in linea con i Paesi Bassi;
   le medesime associazioni unitamente a numerose organizzazioni non governative operanti in loco, come Save the Children, Emergency hanno denunciato che la situazione è aggravata dal fatto che a Siracusa, transitano altresì minori non accompagnati che, per legge, dovrebbero essere invece destinati a strutture all'uopo destinate e assistiti adeguatamente in ragione dello stato di minorenni;
   nella provincia di Siracusa vi è uno stato di emergenza umanitaria e sanitaria;
   con nota del 26 giugno 2013 n. prot. 1981 la Prefettura di Siracusa ha avviato una ricerca per il rinvenimento di strutture adeguate ad accogliere l'afflusso di cittadini extra comunitari;
   il prefetto di Siracusa, il sindaco e l'assessore alle politiche sociali del comune di Siracusa hanno chiesto alle associazioni di creare una rete ai assistenza con le istituzioni per rispondere all'emergenza e creare un modello virtuoso di accoglienza;
   grazie ad Emergency ONG Onlus ed alla collaborazione della prefettura, dell'ASP e del comune di Siracusa, sulla base di apposito protocollo d'intesa da sottoscrivere il 26 luglio 2013, è stato approntato un ambulatorio mobile che assicurerà ai migranti ospitati all’«Umberto I» il servizio di medicina di base, il necessario orientamento ai servizi socio-sanitari presenti sul territorio provinciale ed il costante monitoraggio delle condizioni igienico-abitative del centro di accoglienza, segnalando alle autorità competenti le conseguenti misure d'intervento;
   l'ambulatorio mobile per il primo periodo opererà avvalendosi di un camper attrezzato fornito dalla protezione civile del comune di Priolo Gargallo e successivamente, il servizio sarà espletato all'interno di un «Polibus» messo a disposizione da Emergency ONG onlus;
   la recente visita del Papa a Lampedusa e gli interventi della Chiesa Siracusana hanno ricordato come l'immigrazione, ancorché irregolare, ha sempre a che vedere con diritti fondamentali degli esseri umani che, a prescindere dalle ragioni per le quali migrano – siano esse ragioni economiche o siano dettate dalla necessità di fuggire da torture, persecuzioni o carestie – richiedono innanzitutto una assistenza medica e psicologica adeguata e dignitosa;
   è noto che i migranti, nelle procedure di sbarco e nelle operazioni ed identificazione per timore o mancanza di conoscenza delle norme, oppongono resistenze alle procedure e non fanno la richiesta di asilo politico a cui potrebbero accedere date le terribili situazioni politiche che vivono i Paesi da cui provengono (Siria, Egitto, Somalia, Eritrea) e molti avrebbero diritto a godere della protezione sussidiaria;
   non possiamo far finta di non sapere che questi «uomini» e «donne» disperati con a seguito bambini e neonati «vivono» invisibili e senza alcun diritto tra di noi e che questo stato di cose non fa altro che aumentare le possibilità di lasciarli in balia degli sfruttatori e dei criminali;
   questo è il risultato dell'impreparazione dello Stato all'accoglienza ed all'accompagnamento verso una vita umana e nella legalità;
   occorre uno sforzo di reperire luoghi più idonei, che non diano l'impressione di prolungare le esperienze di reclusione già subite nei paesi di transito;
   questo modus operandi ci rende tutti responsabili di un decadimento morale e civile che distrugge il senso della dignità umana;
   occorre che si cominci fin da subito a pianificare e progettare un sistema capace di governare questo fenomeno assumendo come principio fondante quello della fratellanza assicurando agli uomini ed alle donne che sbarcano nel nostro territorio e specie in quei luoghi di frontiera come Siracusa, innanzitutto una assistenza alla persona adeguata e dignitosa;
   il Governo italiano e l'Europa devono saper «leggere» cosa succede a sud del Mediterraneo e in tutto il continente africano, perché è in discussione una porzione rilevante del significato della parola «civiltà» e della credibilità dell'Occidente;
   ad ogni modo il Ministro è chiamato a fronteggiare oggi questa emergenza che proseguirà per tutta l'estate e forse oltre –:
   per quale ragione nonostante sia chiaro da anni che Siracusa è una «frontiera» del Mediterraneo, il Ministro non abbia predisposto un piano di accoglienza che superi la logica degli interventi emergenziali;
   per quale motivo non sia stato avviato tempestivamente il procedimento per l'individuazione di uno o più centri di primo soccorso e accoglienza nella provincia di Siracusa;
   in ragione di quale titolo giuridico (affidamento diretto – gara pubblica – procedura ristretta) la struttura Umberto I accolga i migranti;
   se sia intendimento del Ministro privilegiare o meno forme di accoglienza diffusa e decentrata;
   se sia nella volontà del Ministro di sostenere l'insediamento del presidio sanitario di Emergency composto da medico, infermiere e mediatore culturale che sta fornendo l'assistenza sanitaria con un unità mobile;
   quali iniziative avvierà il Ministro affinché i minori che sbarcano nelle coste della provincia di Siracusa vengano accolti immediatamente nelle strutture destinate esclusivamente agli stessi e non tenuti in condizioni di promiscuità con gli adulti, senza alcun tipo di attenzione e servizio dedicato;
   se sia intenzione del Ministro individuare le risorse necessarie e sufficienti da assegnare ai comuni per gestire l'assistenza ai minori non accompagnati atteso che le risorse allo stato sono insufficienti;
   se sia intenzione del Ministro pianificare, progettare e finanziare un sistema capace di governare questo fenomeno assumendo come principio fondante quello della fratellanza assicurando agli uomini ed alle donne che sbarcano nel nostro territorio e specie in quei luoghi di frontiera come Siracusa, innanzitutto una assistenza alla persona adeguata e dignitosa. (5-00756)


   VENTRICELLI, BELLANOVA, MICHELE BORDO, CASSANO, DECARO, GRASSI, LOSACCO e MARIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   così come riportato oramai quotidianamente dagli organi di stampa e, come è cronaca nota a tutti i cittadini delle zone interessate, da qualche anno a questa parte la zona dell’hinterland barese è soggetta ad una escalation di violenza che non accenna a placarsi;
   rapine, furti, atti intimidatori e attentati in cui viene utilizzato esplosivo ai danni di esercizi commerciali della zona coinvolta, sono sempre più il sintomo di una criminalità che sta prendendo possesso del territorio, evidentemente interessata a mettere le mani sul comparto produttivo dell'entroterra barese;
   ad Altamura, in provincia di Bari, oltre ai danni nei confronti di piccole e medie imprese, negli ultimi mesi si contano diverse rapine a mano armata ai danni di cittadini, furti aggravati, il ferimento di un benzinaio, saccheggi in banche, attacchi ai danni di diversi esercizi commerciali, rapine in supermercati, assalti criminosi a tabaccherie, furti di automobili con diversi casi in cui si verifica anche un'aggressione ai danni dei conducenti, esplosioni di bombe carta in pieno centro cittadino, l'esplosione di un autolavaggio, incendi di automobili, atti intimidatori nei confronti di un avvocato, furti in appartamento;
   a Bitonto, comune del nord barese, solo tra fine giugno e l'inizio del mese di luglio di quest'anno, si sono verificati tre episodi in cui malviventi hanno dato vita a sparatorie in pieno centro cittadino; l'ultima il 2 luglio, quando poco prima delle 22.00, a pochi passi dalla Villa comunale, otto colpi di pistola sono stati esplosi da due moto in corsa all'altezza di piazza Partigiani d'Italia, all'incrocio tra corso Vittorio Emanuele e via Verdi; tre degli otto bossoli sono stati trovati per strada, mentre gli altri cinque hanno raggiunto le vetrine e l'insegna di esercizi commerciali di via Verdi; i cittadini possono al momento contare esclusivamente su un rinforzo da parte della squadra mobile della Città di Bari, poiché è stata predisposta la presenza di un dirigente del commissariato di secondo livello (al pari di un qualsiasi quartiere di Bari) a cui rispondono un numero insufficiente di unità, e una stazione dei carabinieri retta solo da un luogotenente anziché un tenente che, se incaricato, avrebbe diritto di avere sotto di sé tre marescialli, i quali a loro volta potrebbero disporre di ulteriori unità;
   la città di Bitonto, inoltre, conta le frazioni di Palombaio e Mariotto, anche queste vittime di numerosi episodi criminali; motivo in più per dotare il territorio di una copertura ancora più consistente di forze dell'ordine, poiché quelle attualmente presenti non sono sufficienti a coprire la vasta zona bitontina;
   a Palo del Colle un imprenditore bitontino ha denunciato un atto di estorsione oramai divenuta tragica prassi nei cantieri edili della zona, permettendo agli investigatori della Squadra mobile di Bari di arrestare in flagranza di reato due uomini che avevano costretto l'imprenditore a versargli 5mila euro – dei 10mila richiesti –, portando alla luce un fenomeno capillarmente diffuso in molti centri del nord barese;
   a Gravina in Puglia, invece, dopo una escalation di atti violenti ai danni di commercianti e cittadini vessati da rapine e furti che si susseguono oramai quotidianamente, lo scorso 11 luglio è stato ucciso un giovane ventottenne a coltellate, probabilmente nel corso di una lite, avvenuta davanti alla sala giochi «Golden Gate» in via Reggio Calabria;
   a Toritto, lo scorso marzo il quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno ha riportato un dossier che riepiloga la triste escalation di violenze che si è verificata in città, a partire dal 9 ottobre 2010 con l'uccisione in una delle piazze principali di un giovane ventiduenne freddato a colpi di pistola, per giungere alle sei intimidazioni ai danni degli amministratori Comunali;
   in Puglia, secondo quanto scritto nella relazione della DIA al Parlamento, relativa al secondo semestre del 2011, si registrano dati elevati per i delitti di attentato, incendio doloso e danneggiamento a seguito di incendio;
   secondo quanto riportato, appare oramai evidente che la situazione in cui versa l'ordine pubblico all'interno della provincia richieda l'immediata azione di un pool operativo atto a svolgere al più presto un'azione unitaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti riportati e quali siano le sue valutazioni in merito alla sempre più grave situazione;
   se non ritenga urgente e necessario intervenire affinché, con una sinergia comune, istituzioni, magistratura e forze dell'ordine adottino le necessarie misure per impedire che si perpetuino i sempre più preoccupanti atti di violenza che stanno minando la sicurezza e la tranquillità dei cittadini;
   se non valuti l'esigenza di prevedere un rafforzamento e un potenziamento dei presidi di forze nell'ordine;
   se il Ministro intenda sollecitare l'intervento del commissario per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed anti-usura. (5-00757)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 38 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito con modificazioni, dalla legge n. 326/2003, ha profondamente modificato le procedure di affidamento in custodia dei veicoli sequestrati o fermati, in via amministrativa, per violazioni in materia di circolazione stradale;
   l'intervento del legislatore in materia si era a suo tempo reso necessario dalla lungaggine dei procedimenti sanzionatori in corso, nonché dalle difficoltà procedurali ed operative riscontrate per la vendita o per la radiazione dei suddetti beni, così come rilevato nella circolare n. 35 del 21 settembre 2007 del Ministero dell'interno - dipartimento per gli affari interni e territoriali, volta ad individuare il principio ispiratore della riforma degli articoli 213 e seguenti del decreto legislativo n. 285 del 1992) (Codice della strada) nell'intento di «ridurre gli ingenti esborsi che la custodia dei veicoli sottoposti a sequestro, fermo e confisca amministrativi per violazioni al codice della strada avevano causato alle casse dell'Erario»;
   alle già numerose problematiche correlate al comparto delle depositerie giudiziarie successivamente alla riforma degli articoli 213 e 214 del Codice della strada, se ne sono aggiunte ulteriori, legate all'introduzione della figura del custode acquirente;
   risulterebbe, infatti, che il numero di depositerie giudiziarie autorizzate dalle prefetture ufficio territoriale del Governo, dopo l'assegnazione delle gare inerenti l'individuazione del custode-acquirente, abbia subito una riduzione di circa il 50 per cento) rispetto alla precedente consistenza, stimata ad una perdita di 4.500 risorse umane operanti;
   con l'aggiudicazione delle nuove gare concernenti il custode-acquirente oltre alle 4.500 risorse umane già perse in un quinquennio, si andrebbero a perdere altre migliaia di posti di lavoro, favorendo in tal modo solo pochissime aziende sull'intero territorio;
   mediamente, solo il 20 per cento delle depositerie giudiziarie presenti sul territorio nazionale, individuate dalle prefetture ufficio territoriale del Governo, svolgono l'attività del custode-acquirente, mentre il restante 80 per cento rimane pressoché escluso, causando in tal modo un accentramento del lavoro e del guadagno nelle mani di pochissime ditte, comunque perennemente e consistentemente creditrici nei confronti dello Stato;
   nonostante tra gli obiettivi della riforma vi fosse anche quello di facilitare la vendita e la rottamazione dei veicoli sottoposti a vincoli ai sensi degli articoli 213 e 214 codice della strada, garantendo così un'entrata certa per le casse erariali e riducendo drasticamente le spese di custodia grazie all'eventuale riduzione dei tempi gestionali, sembrerebbe che, per stimolare la partecipazione alle gare di individuazione del custode-acquirente, il Ministero dell'interno e l'Agenzia del demanio abbiano stabilito di raddoppiare le tariffe applicate in favore del custode-acquirente relativamente ai costi di custodia, mentre per quanto concerne le tariffe di trasporto, queste siano state triplicate, rispetto alle tariffe individuate dai prefetti;
   allo stesso modo, considerando che i tempi di giacenza per ogni veicolo sono ancora oggi stimati intorno ai 400 giorni, risulterebbe altresì un continuo lievitare delle spese di custodia e contestualmente un aumento del debito pubblico;
   attualmente i veicoli giacenti presso i depositi giudiziari del custode-acquirente, ammontano a circa 90.000, con un costo giornaliero pari a euro 400.000,00;
   risulta evidente come il raggiungimento dell'obiettivo di un maggior incasso dalla vendita e rottamazione dei veicoli sia funzionale a coprire solamente il 19 per cento del quantum dovuto dallo Stato ai custodi-acquirenti, cifra che risulterebbe aggirarsi intorno ai 300 milioni di euro e che subirebbe quotidianamente un progressivo e significativo aumento (dai 250.000,00 ai 350.000,00 euro al giorno) –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle criticità esposte;
   se non ritenga che gli obiettivi prefissati con la riforma siano stati disattesi dalla nuova procedura, sia in termini di effettivi e maggiori introiti per le casse dello Stato, sia in relazione alla disparità di trattamento verificatasi all'interno del vasto ambito di depositerie giudiziarie;
   se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, intervenire ai fini di una uniforme revisione della materia, in considerazione dell'attuale disomogeneità applicativa e territoriale;
   se sia a conoscenza che il Ministero dell'interno e il MEF non hanno previsto nessun fondo per liquidare tutte le spese di custodia fatturate e maturate, come previsto dal decreto-legge n. 35 del 2013;
   se non ritenga opportuno evitare un eccessivo impegno da parte delle forze di polizia per dare assistenza al custode-acquirente nel recupero di veicoli, per un valore irrisorio che va dai euro 4,00 ai euro 65,00, confiscati e giacenti presso i proprietari;
   se non intenda, nelle more di una più efficace riorganizzazione del sistema, sospendere gli attuali bandi di gara, passibili delle medesime lacune e inefficienze sopra descritte, e contestualmente assumere iniziative per annullare i contratti in essere. (4-01389)


   OLIVERIO. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione provinciale di Vibo Valentia è stata presieduta dal 2008 dall'ingegner Francesco De Nisi ed amministrata da un'ampia coalizione di centrosinistra;
   il suo mandato elettorale doveva scadere nel 2013, le intervenute irrevocabili dimissioni del presidente De Nisi, presentate il 29 ottobre 2012 e divenute definitive il 18 hanno fatto anticipare la conclusione del mandato;
   nel periodo che ha preceduto le dimissioni del presidente, l'ente è stato interessato da vicende giudiziarie che hanno visto il presidente denunciare una dipendente per un ammanco di oltre un milione di euro;
   a seguito delle dimissioni del presidente De Nisi e dello scioglimento del consiglio provinciale, si è insediato il commissario prefettizio dottor Mario Ciclosi;
   lo scioglimento dell'ente è avvenuto proprio nel pieno della battaglia che, insieme a Crotone, Vibo Valentia stava conducendo per evitare la soppressione delle piccole province;
   il commissario prefettizio, dopo il suo insediamento, ha provveduto a nominare dirigente dell'area finanziaria e di altri settori il dottor Domenico Macrì;
   tale dirigente, secondo una copiosa rassegna stampa locale, viene da tempo messa in relazione ad una delle locali cosche del vibonese (Gazzetta del Sud del 31 maggio 2013 e del 4 giugno 2013);
   la vicinanza dello stesso dirigente ad ambienti notoriamente conosciuti nel vibonese collegati a realtà associative di diverse osservanze sembra ampiamente illustrata dai giornali locali;
   si evidenzia che il territorio di Vibo Valentia appare da sempre funestato da contrapposte associazioni criminali;
   a ciò aggiungasi, che nell'ultimo periodo l'amministrazione provinciale sta attraversando un periodo di gravi difficoltà finanziarie tanto da indurre il personale dipendente allo stato di agitazione permanente –:
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere tutte le necessarie iniziative per verificare l'attendibilità delle gravi e preoccupanti notizie sul dirigente nominato dal commissario prefettizio apparse sulla stampa locale in relazione a presunti fatti non compatibili con il ruolo che ricopre e con la posizione, anche di terzietà, del commissario prefettizio;
   se il Ministro interrogato non intenda, conclusa la fase di verifica dei fatti in premessa, procedere agli atti amministrativi conseguenti al fine di dare concrete ed univoche risposte ad una Comunità, come quella vibonese, e ai tantissimi giovani che vogliono emarginare ogni forma di illegalità e intendono incamminarsi sulla strada di un domani migliore.
(4-01399)


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale di Padova ha riportato ieri, 23 luglio 2013, un episodio di cronaca molto grave avvenuto nel comune di Agna, in provincia di Padova;
   i fatti si riferiscono alla mattina di lunedì 22 luglio 2013, quando un imprenditore locale di 39 anni, Albano Zanellato, è stato oggetto di un brutale pestaggio e di un sequestro di persona durato diverse ore;
   Zanellato, in sella alla propria bicicletta, veniva investito di proposito da un'auto alle ore 8.15 allo scopo di farlo cadere a terra. Riconosciuti gli occupanti dell'autovettura Zanellato si rialzava e scappava a piedi in direzione di un vicino distributore di benzina, nel cui ufficio/punto vendita si rifugiava chiudendo la porta;
   gli aggressori, raggiunto l'ufficio, aprivano senza difficoltà la porta e una volta entrati cominciavano a colpire Zanellato con calci e pugni, mettendo a soqquadro il locale;
   il gestore della pompa di benzina cercava di intervenire, almeno per recuperare il telefono cellulare lasciato all'interno dell'ufficio e avvertire le forze dell'ordine, ma veniva a sua volta colpito al volto da un pugno sferrato da uno degli aggressori che gli intimava di stare zitto e fermo;
   Zanellato veniva dunque portato a forza all'interno dell'autovettura usata dai malviventi, e le sue grida richiamavano sul posto diversi passanti che annotavano modello e numero di targa dell'auto, che risultava però appartenere ad altra autovettura;
   l'auto partiva a gran velocità in direzione Padova;
   poche ore dopo Zanellato veniva ritrovato nelle vicinanze di un centro commerciale nel comune di Albignasego, alle porte di Padova, stordito dai colpi ricevuti, e veniva ricoverato al nosocomio cittadino nel reparto di chirurgia, con una prognosi di 30 giorni;
   l'episodio ha suscitato in provincia di Padova grande clamore e preoccupazione in quanto in quel territorio non sono usuali aggressioni di tale violenza e sequestri di persona;
   l'aggressione e il sequestro sono avvenuti con modalità caratteristiche della criminalità organizzata di stampo mafioso e con evidenti finalità intimidatorie;
   l'episodio è stato preceduto da simili fatti accaduti di recente in provincia di Padova – l'ultimo in ordine di tempo nell'aprile 2013 a Galliera Veneta presso la ditta GS scaffalature – che sono stati oggetto del processo «Aspide» conclusosi con una sentenza di condanna per 25 usurai appartenenti al clan dei casalesi;
   l'episodio si inserisce in un contesto di crisi economica che sta favorendo l'infiltrazione della criminalità organizzata in Veneto e nella provincia di Padova, più volte denunciata dagli interroganti e dalle autorità giudiziarie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali provvedimenti di propria competenza il Ministro intenda assumere per agevolare al più presto l'individuazione degli autori dell'aggressione e del sequestro. (4-01401)


   FRUSONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 luglio 2013 è scoppiato un incendio, verso le 7:15, nel sito dell'inceneritore di Colleferro con il conseguente innalzamento di una densa colonna di fumo dovuta, almeno dalle prime indiscrezioni, all'incendio di uno dei nastri trasportatori;
   l'inceneritore di Colleferro era già salito agli onori di cronaca nei primi mesi del 2009 quando vennero arrestati 13 persone compresi i dirigenti della società che gestiva l'impianto che all'epoca si chiamava GAIA;
   in data 19 giugno 2013 in località Castellaccio, poco distante dall'inceneritore di Colleferro, è scoppiato un altro incendio nello stabilimento ACEA ARIA UL 2 (ex Snia) di Paliano in cui viene prodotto CDR;
   questi incendi che insistono entrambi su una medesima area geografica sembrano collegarsi l'uno all'altro quasi come una regia atta a condizionare la politica del ciclo dei rifiuti della zona –:
   cosa risulta ai Ministri interrogati sulle cause che hanno portato all'incendio presso l'inceneritore di Colleferro e presso lo stabilimento ACEA sito in Paliano;
   se risulta una presenza in quella zona di organizzazioni legate alle eco-mafie e segnatamente al traffico dei rifiuti;
   quali iniziative sono state assunte per monitorare i danni ambientali derivanti dagli incendi in questione e quali iniziative si intenda assumere per evitare che tali episodi possano ripetersi. (4-01403)


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la società Corio Antonino Il Detective srl ha svolto il servizio di sorveglianza presso l'azienda ospedaliera Policlinico G. Martino di Messina dal 1982 ai primi mesi dell'anno 2008;
   nel febbraio 2008 fu autorizzata una gara per il servizio di sorveglianza armata quinquennale, il cui capitolato prevedeva la salvaguardia dei livelli occupazionali del personale qualificato;
   tale gara fu annullata e il servizio temporaneamente affidato alla società KSM;
   dopo alcune proroghe alla KSM, il policlinico universitario di Messina bandiva l'11 marzo 2009 una sola gara d'appalto per diversi servizi da svolgere al nosocomio, tra i quali la custodia dei parcheggi e la sorveglianza. Trattandosi di un appalto multiservizi, la ditta Corio Antonino il detective non partecipò. La gara fu vinta, il 17 luglio 2009, dal Raggruppamento temporaneo di imprese di cui faceva parte la Mondialpol security;
   nel citato bando di gara del 2009 non era compresa la disciplina del cambio d'appalto come previsto dagli articoli 25 e seguenti del CCNL delle Guardie particolari giurate e nella circolare 15/4977/160105 del 20 marzo 2008 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   al fine di avviare la procedura per la salvaguardia dei livelli occupazionali, la società Il detective ha promosso presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione (UPLMO) un incontro con le organizzazioni sindacali e l'azienda subentrante, che non ha ritenuto di presentarsi. Al termine dell'incontro, tenutosi il 17 novembre 2009, l'uplmo ha messo a verbale che riteneva violate le norme contrattuali relative al cambio di appalto. Tale interpretazione è stata successivamente condivisa anche dall'ufficio territoriale del Governo;
   il 4 febbraio 2011 (11 febbraio 2011) veniva firmato presso l'uplmo un verbale di accordo tra le organizzazioni sindacali, la società Il detective, la società KSM e la società Mondialpol Spa, in base al quale le aziende subentranti comunicavano di essere disponibili all'assunzione di 43 unità su 70 dichiarate in esubero dalla Detective: 26 guardie particolari giurate e 17 addetti alla guardiania non armati. Il successivo 11 febbraio, nella medesima sede, venivano definiti i criteri per individuare le unità da assumere. E il verbale così si concludeva: «I lavoratori attualmente in forza al Detective ed interessati all'appalto, nel prendere atto che l'attuale procedura di cambio d'appalto comporterà un impiego di personale inferiore a quello precedentemente occupato, provocando la fuoriuscita di 27 lavoratori, in spirito di solidarietà, esprimono la volontà di consentire l'occupazione di tutta la manodopera attraverso una riduzione concertata dell'orario di lavoro per ciascun dipendente. Rivolgono l'invito alle aziende subentranti di agevolare tale procedura. Le due aziende prendono atto della richiesta dei lavoratori e danno la disponibilità a valutare la possibilità di un percorso che possa venire incontro alle esigenze di occupazione di tutti i lavoratori, tenuto conto delle proprie esigenze organizzative»;
   nonostante tali indicazioni, nessun lavoratore di quelli licenziati dalla Detective il 15 dicembre 2011 e non compresi nel succitato verbale d'accordo è stato finora riassorbito, mentre per un primo scaglione di ex dipendenti più giovani si avvicina la data di scadenza dell'indennità di mobilità (31 dicembre 2013) –:
   se in generale non ritenga opportuno, eventualmente anche con iniziative normative, evitare di disperdere la professionalità di guardie particolari giurate, che, ormai prive del porto d'armi concesso loro in qualità di dipendenti di istituti di vigilanza, possono custodire l'arma in casa ma non esercitare la propria attività;
   se, per quanto riguarda il richiamato caso di Messina, nello spirito di collaborazione manifestato nel 2010 con la firma del protocollo d'intesa «Mille occhi sulla città» tra ministero dell'interno, Anci e Organizzazioni rappresentative degli istituti di vigilanza privata, non sia possibile favorire a livello locale l'individuazione di sinergie tra soggetti pubblici e privati che consentano di valorizzare la professionalità delle guardie particolari giurate rimaste senza collocazione. (4-01407)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 luglio 2007 il Ministero della difesa bandiva il concorso pubblico, per esami, su base circoscrizionale a 111 posti per il profilo professionale n. 0106 di «collaboratore di amministrazione», area funzionale C (ora Area III – F1);
   a distanza di ben 2 anni, esaurita la fase concorsuale, consistita in una prova preselettiva, due prove scritte ed esame orale, il Ministero della difesa con decreto dirigenziale del dicembre 2009 approvava la graduatoria del concorso pubblico;
   nell'ottobre 2011 la direzione generale per il personale civile del Ministero della difesa presentava la richiesta di autorizzazione alle assunzioni al dipartimento della funzione pubblica;
   il termine per procedere alle assunzioni di personale a tempo determinato, dapprima previsto al 31 luglio 2012, veniva prorogato al 31 dicembre 2012 per effetto dell'articolo 14-bis del decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135/2012;
   l'approvazione del suddetto decreto legge n. 95 del 2012 di «spending review», nell'ottica di una razionale riconsiderazione delle dotazioni organiche del personale, disponeva all'articolo 2 («riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni») il taglio del 20 per cento degli Uffici dirigenziali (generali e non) e «la riduzione non inferiore al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico di tale personale» riferito al personale non dirigente;
   in applicazione di tale previsione e sulla base degli indirizzi contenuti nella direttiva n. 10 del 2012 diramata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento funzione Pubblica, il Ministero della difesa formulava, pertanto, la proposta di rideterminazione degli organici del proprio personale civile, includendo altresì i posti del concorso in questione;
   tale proposta veniva poi recepita dal Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 gennaio 2013, che quantificava la dotazione organica complessiva del personale civile di III area per il Ministero della difesa in 2681 unità, a fronte delle ben 2506 effettivamente in servizio;
   l'organico, così come rideterminato, risultava pertanto carente di 175 unità, tra le quali erano ricompresi anche i 111 collaboratori amministrativi del concorso bandito nel 2007;
   come si legge nel FLP difesa (sindacato dei lavoratori civili della Difesa) «rispetto alla dotazione organica attuale discendente dal decreto-legge n. 138 del 2011 convertito dalla legge, con modificazioni, n. 148 del 2011 (n. 30.283 di cui: n. 63 in area 1; n. 26.590 in area 2a e n. 3.630 in area 3a), la proposta della amministrazione in applicazione della legge n. 135 del 2012 prevede il taglio complessivo di n. 2.536 posizioni organiche, attestandosi la nuova dotazione organica del personale civile non dirigente a complessive n. 27.747 unità, così distribuite: n. 1.824 in area 1 (attualmente: n. 63); n. 23.230 in area 2a (attualmente: n. 26.590) e n. 2.693 in area 3a (attualmente n. 3630)»;
   ad oggi la richiesta di autorizzazione alle assunzioni non ha ancora ricevuto la firma della Presidenza del Consiglio dei ministri e i 111 vincitori rimangono in attesa di essere inseriti nell'organico del Ministero della difesa;
   la mancata assunzione di questi giovani rappresenta un enorme danno sia per le casse erariali, a causa dette spese sostenute invano per l'indizione di procedure concorsuali senza conseguire alcun utile, sta per i vincitori stessi, titolari di un diritto legittimo incomprimibile, imprescrittibile e assoluto, costituzionalmente garantito;
   tale comportamento risulta, altresì, contrario al principi di imparzialità, buon andamento, correttezza e buona fede tenuto dalla amministrazione pubblica;
   a ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione che altri concorsi non hanno subito lo stesso iter come, ad esempio, a concorso per l'assunzione di 26 funzionari di fascia F1 (stesso Ministero della difesa) bandito con decreto della Presidenza del Consiglio del ministri dell'11 novembre 2010, i cui vincitori sono in servizio già dal 16 aprile 20;
   per il concorso appena citato, dall'approvazione della graduatoria all'immissione nei ruoli sono trascorsi meno di 40 giorni, mentre i vincitori del concorso oggetto della presente interrogazione attendono l'automazione all'assunzione da più di due anni;
   tale anomala situazione, come molte altre analoghe denunciate dall'interrogante, crea uno stato di precarietà inammissibile, posto che, ad oggi, nulla è stato fatto per questi ragazzi, ancora in attesa di assunzione –:
   se i Ministri siano a conoscenza del fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare al fine di garantire l'assunzione, di coloro che sono risultati vincitori del concorso bandito dal Ministero della difesa lo scorso 27 luglio 2007, ponendo fine al grave danno conseguente al mancato inquadramento professionale.
(4-01409)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Ufficio Polizia di Frontiera Aerea presso lo Scalo «Falcone e Borsellino» di Palermo è diretto da più di 20 anni dal vice questore aggiunto Rosa De Gregorio. In tale delicato ruolo parrebbe non essere stata applicata la rotazione periodica che si suole utilizzare nelle forze di polizia;
   nel mese di febbraio del 2012 è stata denunciata un'irregolarità nel trattamento riservato ai mezzi di trasporto della società «Palermo Calcio», cui veniva regolarmente consentito l'accesso ad un'area interdetta al transito veicolare civile e sottoposta ad alta sorveglianza, da parte della polizia di frontiera. A tale denuncia non ha fatto seguito alcun provvedimento;
   la società «Palermo Calcio», coinvolta nell'indagine denominata «Grandi Eventi», ha di recente reso noto l'elenco dei beneficiari di biglietti omaggio per le partite di serie A della squadra e, tra questi, compaiono i nomi di 5 dei funzionari di polizia di frontiera in servizio proprio presso lo Scalo «Falcone e Borsellino» di Palermo –:
   se non intenda promuovere gli accertamenti di competenza in ordine al corretto comportamento delle forze di polizia con riguardo alla vicenda in oggetto ed, in tal caso, quale tipo di provvedimenti intenda adottare al riguardo. (4-01413)


   NICCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa sarebbero oltre 230 le truffe accertate nei giorni scorsi dalle forze dell'ordine nei comuni di Firenze, Sesto Fiorentino, Bagno a Ripoli, Scandicci, Calenzano, Campi Bisenzio, Signa, Lastra a Signa;
   le truffe sono state perpetrate nei confronti di cittadini ai quali è stato proposto, attraverso una falsa ordinanza del comune di Firenze che riportava tra l'altro la firma «il sindaco, Matteo Renzi», il pagamento di 10 euro in cambio di uno sconto sulla Tares;
   per la riscossione di tali somme sono stati reclutati oltre 25 postini, tutti molto giovani, da una società con sede a Prato, i quali ignari della truffa, sono stati a loro volta frodati;
   i portalettere avrebbero dovuto distribuire i plichi porta a porta e riscuotere gli importi rilasciando una quietanza. Questo particolare ha fatto insospettire i portalettere che hanno chiesto l'intervento delle forze dell'ordine;
   a seguito delle varie segnalazioni ne è nata una operazione congiunta di Polstrada, polizia postale e delle comunicazioni, polizia municipale di Firenze e Sesto Fiorentino e Carabinieri, che ha portato al recupero di tutte le somme illecitamente riscosse, oltre 2.000 euro, e al sequestro dell'attrezzatura fornita dalla sedicente società di portalettere, costituita da false pettorine della società TNT, falsi tesserini di riconoscimento e anche un vademecum con le istruzioni cui attenersi nel corso del lavoro;
   i postini sarebbero stati reclutati attraverso offerte di lavoro su internet;
   la crisi economica in atto determina una sempre più crescente disoccupazione, principalmente giovanile e molto spesso i giovani sono costretti ad accettare lavori ingannevoli che celano truffe. La ricerca del lavoro è divenuta per molti un calvario, spesso senza nessun risultato positivo, che lede sempre di più la dignità delle persone e la loro capacità di resistenza e di avere speranza nel futuro –:
   cosa intenda fare il Governo per prevenire in futuro tali episodi;
   in particolare quali azioni concrete intenda mettere in atto il Governo in modo da garantire l'autenticità delle offerte di lavoro, che sempre più spesso vedono internet come unico canale di informazione lavorativa e di reclutamento. (4-01432)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca quotidiana porta alla luce preoccupanti dati sull'immigrazione e lo sfruttamento del lavoro nero nel territorio della cosiddetta «Piana del Sele», a sud di Salerno;
   in tale territorio insistono infatti migliaia di lavoratori extracomunitari, di diverse etnie, molti dei quali assunti «in nero» e purtroppo costretti ad uno stile di vita disumano e degradante;
   un fedele spaccato di tale situazione si evince anche da alcuni libri scritti da autori locali. Tra questi, particolare rilievo assume la testimonianza di Salvatore Memoli, autore di «Fuori dalla clandestinità», toccante racconto di una tragedia personale, calata in siffatto contesto;
   nella narrazione, infatti, l'autore espone con lucidità la condizione di schiavitù e sofferenza in cui versano i lavoratori stranieri, tracciando con dovizia di particolari il profilo di un territorio che spesso è humus per criminalità ed in cui non si vorrebbe che il dovere dell'accoglienza ceda il passo al desiderio di giustizia e legalità;
   l'autore racconta alcune situazioni lasciando intravedere, peraltro, una economia sommersa di importanti proporzioni, a suo dire verificabili attraverso un puntuale incrocio di dati della direzione provinciale del lavoro;
   Memoli cita, ad esempio, 2.500 lavoratori indiani clandestini utilizzati negli allevamenti di bufale e sfruttati almeno 16 ore al giorno, alloggiati in roulotte senza servizi e, quindi in condizioni igienico sanitarie precarie o migliaia di maghrebini nelle aree di San Nicola Varco e Santa Cecilia. E ancora, l'autore si sofferma sui dati relativi alla differenza tra i permessi di soggiorno richiesti e quelli effettivamente rilasciati, chiedendosi che fine abbiano fatto gli immigrati che non hanno ottenuto il nulla osta: «Che ne è dei 6.324 immigrati che non hanno avuto il nulla osta? Esistono veramente sul nostro territorio? Se ci sono, di cosa vivono?» si chiede l'autore;
   inoltre sfogliando le pagine di «Fuori dalla Clandestinità» è possibile comprendere i meccanismi, esplicitamente raccontati e denunciati dall'autore, con i quali organizzazioni criminose sfrutterebbero alcune società costituite ad hoc per richiedere permessi di soggiorno, dietro pagamento di esosi compensi: un vero e proprio racket dell'immigrazione clandestina;
   lo Stato ha certamente sentito la necessità di intervenire in tale situazione permettendo, ad esempio, uno sgombero presso l'area di San Nicola Varco, località della Piana del Sele, il giorno 11 novembre 2009. In questa occasione si sono riscontrate condizioni igienico sanitarie preoccupanti e sacche di clandestinità in un quartiere ghetto oggetto addirittura di ispezioni anche da parte di rappresentanti di organismi internazionali;
   tuttavia la situazione di emergenza sociale nella Piana del Sele non è risolta dato che rimangono ancora senza risposta importanti questioni come integrazione e dignità del lavoratore –:
   se i dati citati nella pubblicazione in oggetto siano reali e, se veritieri, quali iniziative per quanto di competenza il Governo ritenga possibile adottare per pianificare un definitivo risanamento dell'area della piana del Sele, incentivando lo sviluppo socio-economico di questo territorio e l'integrazione, coinvolgendo gli enti locali e i soggetti economici interessati;
   se ritenga opportuno procedere ad una intensificazione dei controlli in ordine ai fenomeni legati all'immigrazione clandestina, al lavoro nero e al caporalato nel salernitano, anche al fine di recuperare, ai fini fiscali, ingenti capitali sommersi.
(4-01448)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Castello di Arechi è un castello medievale risalente al VI secolo situato ad un'altezza di circa 300 metri sul livello del mare, che domina la città ed il golfo di Salerno. È detto di Arechi perché la costruzione di questa fortificazione si associa, tradizionalmente, al duca longobardo Arechi II;
   attualmente di proprietà della provincia di Salerno, il castello offre una splendida panoramica sulla città e sull'intero golfo di Salerno ed è circondato da un parco con percorsi naturalistici immersi nella macchia mediterranea;
   nella zona restaurata, è stato creato un primo nucleo espositivo dei materiali del Castello, attraverso l'istituzione del «Museo delle ceramiche del Castello medievale di Arechi», dove sono attualmente esposte ceramiche, vetri, oggetti metallici e monete, oltre che reperti provenienti dal castello stesso;
   in particolare, l'esposizione museale ospita circa 400 frammenti di tre diverse classi di ceramica (a «bande rosse», del tipo spiral ware e protomaiolica) risalenti all'epoca dal VII al XIII secolo ed oltre, diversi oggetti metallici e numerose armi (cuspidi, punte di freccia e di dardo da balestra, lance) utilizzabili sia in battaglia sia per la caccia e la cui cronologia varia dal XII al XIV-XV secolo;
   nel museo medievale sono, infine, custodite numerose monete, tra cui si segnalano una preziosa tipologia d'argento, coniata tra la seconda metà del secolo XI e gli inizi del secolo XII e ventuno monete d'oro rinvenute in una brocca di creta e risalenti all'epoca di Ruggiero I (1072-1107) e Tancredi (1189-1194);
   la struttura ospita, oltre al suddetto museo, una sala per mostre e un salone per conferenze e congressi;
   da notizie provenienti da organi di stampa locali, emerge che nel corso della notte tra il 22 ed il 23 novembre 2012 alcuni ignoti, dopo aver distrutto le telecamere di videosorveglianza installate lungo il perimetro esterno del castello, avrebbero forzato il cancello di ingresso per introdursi all'interno della struttura;
   approfittando del buio della notte e della disattivazione delle telecamere, precedentemente da loro distrutte, i soggetti in questione si appropriavano furtivamente di 80 metri di fili di rame, sistemati in un angolo lungo un corridoio e da utilizzare per alcuni lavori da realizzare all'interno della struttura;
   la compravendita illecita del rame al mercato nero rappresenta un'attività molto diffusa in virtù del valore del metallo stimato in circa sette euro al chilo ed è probabile ritenere che gli autori del furto fossero a conoscenza della presenza del rame all'interno del castello;
   inoltre, i preziosi beni archeologici custoditi all'interno del Museo medievale possono rappresentare un potenziale oggetto di furto, di interesse analogo se non superiore rispetto al rame furtivamente sottratto, per il loro inestimabile valore storico, artistico e culturale;
   simili episodi meritano un adeguato controllo ed approfondimento, non solo per la pericolosità intrinseca del furto, ma anche per il valore storico, culturale e paesaggistico del sito archeologico preso di mira dalla condotta criminosa;
   negli ultimi tempi, come più volte segnalato dall'interrogante, la città di Salerno presenta fenomeni di criminalità diffusa sempre più frequenti;
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, una volta verificata la veridicità degli stessi, se non ritenga opportuno, vista la minaccia ai beni custoditi all'interno del Castello di Arechi, assumere provvedimenti urgenti finalizzati ad una maggiore tutela dei siti di interesse storico, archeologico e naturalistico presenti nel territorio della provincia di Salerno. (4-01449)


   BENEDETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 6 luglio 2013 la Direzione distrettuale antimafia di Venezia ha inviato 27 avvisi di garanzia nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta presenza di materiali non inertizzati (rifiuti di acciaieria molto inquinanti) interrati nel sottofondo dell'A31 Valdastico Sud. I reati contestati sono quelli di falso ideologico e traffico illegale di rifiuti in forma organizzata;
   dalle analisi effettuate in soli tre lotti della Valdastico Sud, tra Longare e Agugliaro, dal 2009 sarebbero infatti sversati al di sotto del fondo stradale 155.836 metri cubi di scorie di acciaieria non bonificati e quindi potenzialmente nocivi;
   tra gli indagati Attilio Schneck, presidente della A4 holding, società che controlla la Serenissima ed ex presidente della Brescia-Padova spa, Flavio Orlandi, presidente del consiglio di amministrazione, nonché amministratore delegato della Spa Serenissima Costruzioni, Valeria Caltana, presidente del consiglio di Amministrazione nonché amministratore delegato della Mestrinaro spa di Zero Branco, Antonio Beltrame presidente del Cda e amministratore delegato della società Acciaierie Beltrame spa di Vicenza, il costruttore Pierluca Locatelli, oggetto di inchieste analoghe in Lombardia, nonché Luigi Persegato amministratore della Coseco movimento terra SRL;
   molte delle persone coinvolte nell'inchiesta risultano essere titolari o responsabili del comparto tecnico relativo alle ditte che gestivano lavori, progetti, analisi dell'autostrada A31, parte sud;
   questo è solo l'ultimo episodio di una indagine che parte dal 2011 a seguito di un dettagliato esposto presentato dall'Associazione italiana esposti amianto e Medicina democratica alla Procura di Brescia, già titolare di un'inchiesta sui rifiuti interrati sotto il manto stradale della superstrada Brescia-Bergamo-Milano, che ha inviato, per competenza, il materiale relativo all'inchiesta, alla procura antimafia di Venezia;
   il problema sollevato dalle associazioni di cui sopra è principalmente quello dell'inquinamento delle falde sottostanti i comuni tagliati dalla grande opera; inquinamento aggravato nei periodi di pioggia intensa, riscontrato in più di un'occasione dai residenti e che può avere, in un arco di tempo relativamente lungo della vita umana, effetti altamente nocivi;
   durante i lavori di costruzione della Valdastico, infatti, le ruspe spianarono gli scarti di lavorazione industriale in mezzo alle coltivazioni, riversando, di fatto, sostanze pericolose nei canali di irrigazione del granoturco;
   il rischio, quindi, è che l'acqua sia stata contaminata in maniera consistente da diverse sostanze tossiche; dalle analisi realizzate, infatti, è emerso che l'arsenico e il piombo presenti nel terreno sono ben superiori ai limiti consentiti dalla legge e che anche altri metalli nocivi sforano i limiti di tollerabilità (il nichel, il cobalto, il cadmio, il cromo totale, il selenio, il mercurio e l'amianto);
   il 31 luglio 2012 la Commissione Europea è stata informata del rischio rifiuti sotto la cosiddetta Valdastico Sud, in quanto sotto il manto stradale dell'autostrada che collega Vicenza e Rovigo potrebbero essere presenti rifiuti tossici che metterebbero a rischio la salute di migliaia di persone –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intendano adottare, in base alle proprie competenze, al fine di avviare una seria e costante attività di controllo nell'affidamento degli appalti di tali imponenti ed invasive infrastrutture che, se gestiti in maniera irresponsabile ed anomala come appare per il caso Valdastico rischiano di compromettere l'incolumità della popolazione italiana;
   se non ritengano urgente avviare un'attività di monitoraggio della zona circostante l'infrastruttura così da verificare il reale impatto che la cattiva gestione dei lavori di costruzione dell'infrastruttura ha avuto sull'ambiente e, di conseguenza sulla salute dei cittadini della zona. (4-01458)


   MIGLIORE e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 9 maggio 1978, in via Caetani, Roma, in una Renault 4 rossa fu rinvenuto, a seguito di una telefonata delle Brigate Rosse effettuata alle 12:13 di quel giorno, il cadavere di Aldo Moro;
   in un'intervista all'Ansa dal titolo «Intervista a Vitantonio Raso: in via Caetani un'ora prima della telefonata delle Br» del 29 giugno 2013, uno degli antisabotatori che arrivarono per primi quel giorno di 35 anni fa, il sergente maggiore Vitantonio Raso, ha dichiarato che gli artificieri furono inviati in via Caetani tra le 10:30 e le 10:45 per verificare che l'R4 non fosse una trappola esplosiva, scoprendo così il corpo di Moro, che secondo Raso presentava ferite recentissime;
   sempre secondo Vitantonio Raso, l'allora Ministro dell'interno Francesco Cossiga, che in vita ha sempre dichiarato d'essere giunto in via Caetani poco prima delle 14, sarebbe giunto sul posto poco dopo le 11, senza manifestare alcuna sorpresa per il ritrovamento del cadavere;
   nella stessa intervista si afferma che Cossiga, insieme ad un certo numero di alti funzionari, assistette alla prima identificazione del corpo, effettuata proprio dal sergente maggiore Raso molto prima delle famose riprese di Gbr girate a cavallo delle 14, e che la R4 fu ripetutamente aperta dai due sportelli laterali;
   intervistato da «L'Huffington Post» nell'articolo «Aldo Moro, Giovanni Circhetta: “Qualcuno aprì l'R4 prima del nostro intervento”» del 29 giugno, il Maresciallo Capo Giovanni Circhetta, diretto superiore di Vitantonio Raso all'epoca dei fatti, ha confermato la versione del Sergente Maggiore;
   Circhetta ha aggiunto che dai segni riscontrati, l'auto risultava essere già stata aperta prima del loro arrivo, e che durante il sopralluogo aveva scorto sul sedile anteriore «una busta da lettera chiusa il cui contenuto era poco spesso, lasciava intendere fossero pochi fogli piegati similmente a come si fa per spedire una lettera», senza segni distintivi né scritte, con sopra poggiato un foglietto che ad un'osservazione più accurata si rivelò un assegno bancario;
   nei verbali di sequestro non si fa riferimento ad alcuno degli elementi indicati da Circhetta;
   al suo arrivo il maresciallo Capo indica presenti, oltre a Vitantonio Raso, anche alcuni poliziotti in borghese, un commissario dallo spiccato accento sardo ed un alto ufficiale dei Carabinieri che Circhetta identifica nel Colonnello Antonio Cornacchia;
   il 30 giugno 2013, nell'intervista «Aldo Moro, Antonio Cornacchia: “Sono giunto in Via Caetani alle 13,20. Gli artificieri sono arrivati dopo”», Antonio Cornacchia nega di essersi recato sul posto prima delle 13:30 e di essere stato il primo ad accedere all'interno della macchina, forzando il portabagagli con un piede di porco, e a vedere il cadavere di Moro;
   negli scorsi giorni sono state riaperte le indagini sul caso Moro dalla procura di Roma, e il pubblico ministero Palamara ha aperto un'attività istruttoria in merito, come riportato dal quotidiano online «La Repubblica» il 29 giugno 2013;
   l'omicidio di Aldo Moro è una vicenda oscura della storia della nostra Repubblica, ed è importante fare chiarezza per rispetto anche delle vittime innocenti della strage di via Fani e dei loro familiari che ancora attendono che giustizia venga fatta;
   le dichiarazioni di Vitantonio Raso e del suo superiore Giovanni Circhetta sono in contraddizione con la versione ufficiale dei fatti, anticipando il ritrovamento del cadavere di oltre un'ora rispetto alla famosa telefonata delle Brigate Rosse che annunciava l'uccisione di Moro ed il luogo dove il corpo era stato abbandonato;
   nonostante il loro ruolo fondamentale nelle operazioni di polizia di quel 9 maggio, il maresciallo Papo ed il sergente maggiore non sono mai stati interrogati;
   il colonnello dell'Arma dei carabinieri Cornacchia, che smentisce le dichiarazioni dei due artificieri e che nel 1978 comandava il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma, risulta avere avuto la tessera, numero 871, della P2 di Licio Gelli, come ricorda «L'Huffington Post» nella succitata intervista;
   coerente invece con le parole di Raso e Circhetta è quanto affermato da Claudio Signorile, ex parlamentare ed ex Ministro dei Trasporti del Governo Craxi, nell'intervista a «L'Huffington Post» del 30 giugno 2013 intitolata «Aldo Moro, Claudio Signorile: “Ero con Francesco Cossiga per un caffè e non per un aperitivo”», in cui dichiara che nella seconda parte della mattinata del 9 maggio 1978 si trovava a colloquio con Francesco Cossiga, e che proprio allora, tra le ore 10 e le ore 11, quest'ultimo aveva ricevuto la notizia del rinvenimento della Renault 4 –:
   se e in che modo il Ministero, per quanto di sua competenza, abbia intenzione di far luce sui fatti dichiarati dai due artificieri e dall'ex Ministro Signorile alla stampa, e più in generale su quanto avvenuto relativamente al caso Moro.
(4-01469)


   COZZOLINO, DIENI, FRACCARO e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 18 luglio 2013, il sindaco di Labico ha trasmesso agli esercizi commerciali situati nel territorio comunale un atto – la cui forma non è meglio specificata – regolarmente registrato al protocollo generale, ma non pubblicato sull'albo pretorio on line, così come stabilisce la normativa vigente – legge n. 69 del 2009 – in materia di obbligo di pubblicazione degli atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale;
   nell'atto del sindaco di Labico, dopo una breve premessa in cui si afferma che «in alcuni esercizi commerciali sono stati trovati in grande quantità giornali che non sono risultati a norma di legge, mancando qualsiasi autorizzazione e registrazione», si invitano «i titolari di tutti gli esercizi di Labico a non accettare ed esporre qualsiasi giornalino periodico o no stampato in modo non conforme alla attuale legge vigente, precisando che ogni violazione è punita secondo la legge n. 47 del 1948»;
   l'atto amministrativo conclude affermando che «in caso di accertata violazione, il comune sarà costretto a disporre ordinanza di confisca del materiale e ad applicare le sanzioni di legge»;
   ad una sommaria lettura dell'atto e al netto di una sintassi non esattamente impeccabile si ha l'impressione che si tratti di una comunicazione priva di qualsivoglia valore giuridico-amministrativo, ma dotata di un'indubitabile efficacia sul piano della «deterrenza» nei confronti degli esercizi commerciali, per i quali – onde scongiurare problemi di carattere legale – diventa molto più semplice evitare l'esposizione di materiale informativo;
   il sindaco di Labico non è nuovo a comportamenti finalizzati alla compressione dei diritti democratici dei cittadini e dell'opposizione consiliare, la quale, in diverse circostanze si è trovata costretta a chiedere l'intervento della prefettura per chiedere il rispetto della normativa vigente;
   l'atto ricordato può, ad avviso degli interroganti, costituire una forma di intimidazione nei confronti dei commercianti per impedire loro l'esposizione di materiale informativo di carattere politico, in piena violazione dell'articolo 21 del dettato costituzionale;
   risulta peraltro che l'atto sia stato portato a conoscenza degli interessati tramite, una forma irrituale e utilizzando personale non idoneo;
   ad avviso degli interroganti, il sindaco di Labico ha posto in essere un comportamento che esula dai suoi poteri e dalle sue competenze –:
   di quali elementi disponga sulla vicenda e, in particolare, se risultino iniziative della prefettura conseguenti alle istanze richiamate in premessa. (4-01471)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'attuale concorso per l'accesso alle specializzazioni mediche presenta notevoli criticità che non gli consentono di essere uno strumento efficace di selezione imparziale, che valuti le competenze dei singoli e premi il merito;
   questo ci rende molto distanti da altri paesi dell'Unione europea, dove sono presenti più validi strumenti di selezione e dove, anche per questo, il sistema sanitario è pari o superiore al nostro;
   la prova scritta del concorso valuta solo le capacità mnemoniche dei candidati, che devono rispondere ad una serie di domande a «quiz» scelte tra circa 5000 rese pubbliche tempo prima del concorso, e non è in grado di valutare la preparazione specifica e di operare una selezione tra i candidati. Infatti, la quasi totalità dei partecipanti risponde correttamente alle 60 domande;
   la prova pratica è quella che presenta le maggiori problematicità, avendo ad oggetto tracce elaborate dalle commissioni locali, diverse per ogni candidato, corrette secondo criteri discrezionali, poco garantisti e che lasciano molte perplessità sull'effettiva trasparenza della procedura. Tale prova è quella che più si presta ad favorire o penalizzare uno o più candidati, dal momento che la prova consente di assegnare a ciascuno fino a 15 punti;
   anche in sede di valutazione del curriculum sussiste una elevata discrezione da parte delle commissioni territoriali, non essendo stati individuati dei criteri uniformi e standardizzati, tra le diverse sedi, ai quali attenersi nell'attribuzione del punteggio relativo alla tesi di laurea, alle attività didattiche elettive e alle pubblicazioni presentate;
   non va trascurato che l'università italiana è tristemente nota per il fenomeno delle «baronie» e delle caste familiari, che sono in antitesi con il principio dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, nonché del riconoscimento del merito e della professionalità;
   per risolvere il problema rappresentato sarebbe utile prevedersi lo svolgimento di un concorso che si svolga per singola tipologia di scuola di specializzazione e dinanzi ad una commissione locale, ma che i candidati vengano inseriti in un'unica graduatoria valida sull'intero territorio nazionale, così come è stato previsto già dal decreto ministeriale del 12 giugno 2013, per i concorsi di ammissione dei candidati ai corsi di laurea in medicina odontoiatria, veterinaria e architettura;
   occorre eliminare o quantomeno ridurre al minimo il rischio che l'ammissione alla specializzazione non dipenda dal merito del candidato, ma da fattori casuali o di favore verso alcuni candidati. Come pure ha ricordato il Consiglio di Stato a proposito dei test di ammissione al corso di laurea in medicina nell'ordinanza del 18 giugno 2012 con cui ha sollevato una questione di costituzionalità sull'assenza di una graduatoria unica nazionale: «Una volta che il legislatore abbia, nella sua insindacabile discrezionalità, optato per il criterio meritocratico, esso deve essere portato alle estreme conseguenze e non può essere contraddetto da un metodo applicativo non meritocratico in cui i punteggi minimi di accesso varino da università a università –:
   se non ritenga di intervenire, se necessario anche mediante un'iniziativa normativa, per modificare il concorso di accesso alle specializzazioni mediche, istituendo una graduatoria unica nazionale e impartendo criteri maggiormente uniformi di valutazione delle prove dei candidati, creare al fine di premiare le competenze e il merito.
(2-00159) «Ragosta».

Interrogazione a risposta orale:


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la riforma del secondo ciclo del sistema educativo decreto legislativo n. 226 del 2005 e il successivo regolamento dei licei ha fortemente penalizzato l'istruzione artistica attraverso una drastica riduzione delle attività laboratoriali con la conseguenza della perdita della titolarità dei docenti delle arti applicate (tab. «D») che sono risultati soprannumerari e, quindi, DOP;
   gli insegnamenti delle discipline presenti nei laboratori dei vecchi istituti d'arte hanno da sempre rappresentato la spina dorsale dell'istruzione artistica grazie alle attività laboratoriali tramite le quali gli studenti avevano la possibilità di esprimersi utilizzando linguaggi diversi ed appropriandosi di tecniche operative necessarie al mondo del lavoro;
   secondo il decreto-legge n. 211 del 2010, il laboratorio artistico svolge una funzione orientativa verso gli indirizzi attivi del terzo anno, ma qualora detto insegnamento viene assegnato ad insegnanti di materie comuni come ad esempio «Discipline geometriche». «Discipline plastiche» e altro con l'unico scopo di salvaguardare la titolarità e non, a discipline d'indirizzo, diventa poco credibile che gli insegnamenti possano consistere «nella pratica delle tecniche operative specifiche dei laboratori presenti negli indirizzi attivati» così come prevede la norma;
   alcuni dirigenti vorrebbero assegnare le ore dei laboratori alle classi di concorso della tabella A, «Discipline progettuali» a discapito delle classi di concorso della tabella D, ma stando alle indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento per il liceo artistico sembrerebbe logico che se il laboratorio «ha la funzione di contribuire in sinergia con le discipline progettuali, all'acquisizione delle tecniche e delle procedure specifiche secondo il settore di produzione» ed è caratterizza da una «operatività diretta», si riferisca alle discipline della tabella D «Arti Applicate» e non alla tabella A «Discipline Progettuali»;
   nella definizione del nuovo regolamento riguardante la revisione delle classi di concorso, previste dall'articolo 64 della legge n. 133 del 2008, che dovrà essere approvato il prossimo anno, sarebbe auspicabile che tutto ciò venga tenuto in considerazione e soprattutto che non vengano penalizzate quelle classi di concorso afferenti alle arti applicate –:
   quali misure intenda il Governo assumere al fine di:
    a) salvaguardare i laboratori tutelando così specificità e professionalità;
    b) prevedere norme transitorie di passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento che tutelino gli insegnanti delle discipline della tabella D, «arti applicate». (3-00231)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BLAZINA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la giurisprudenza della Corte costituzionale ha più volte affermato che la tutela delle minoranze linguistiche costituisce uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, e che questa speciale tutela concretizza il principio pluralistico ed il principio di eguaglianza «essendo la lingua un elemento di identità individuale e collettiva di importanza basilare» (sentenza n. 15 del 1996; confronta pure le sentenze n. 261 del 1995 e n. 768 del 1988);
   la legge n. 82 del 15 dicembre 1999, emanata in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei, afferma che la Repubblica, pur riconoscendo nell'italiano la lingua ufficiale, tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo;
   l'articolo 4, comma 1, della legge dispone che, nel territorio in cui sia presente una minoranza linguistica riconosciuta, nelle scuole dell'infanzia l'educazione linguistica preveda, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative, mentre nelle scuole primarie e in quelle secondarie di primo grado è previsto l'uso anche della lingua di minoranza quale strumento di insegnamento. Inoltre, «il Ministro della pubblica istruzione, con propri decreti, indica i criteri generali per l'attuazione delle misure contenute nell'articolo 4 e può promuovere e realizzare progetti nazionali e locali nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali degli appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta» (articolo 5);
   al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca è affidata la gestione del piano dei finanziamenti relativi alla tutela ed alla valorizzazione delle lingue di minoranza. Ogni anno, fino all'anno scolastico 2010/2011, prima dell'inizio delle attività scolastiche, con apposita circolare venivano resi noti alle scuole i criteri per la realizzazione di progetti nazionali e locali nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali appartenenti alle minoranze linguistiche storiche e le modalità per attuarne il monitoraggio;
   per quanto concerne l'organizzazione scolastica, l'articolo 19, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 dispone che, per acquisire l'autonomia, gli istituti comprensivi devono essere costituiti da almeno 1.000 alunni, ridotti a 400 per le istituzioni scolastiche site nelle piccole isole, nei comuni montani e nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, intendendosi per specialità linguistica quelle istituzioni nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera, come disposto dall'articolo 14, comma 16, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012 recante «Revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini»;
   la relazione tecnica che accompagna quest'ultima legge, motiva tale interpretazione con la circostanza che alcune regioni estendono il significato di «specificità linguistica» anche a territori dove si parla un particolare dialetto utilizzando la legge n. 482 del 1999, tra cui il friulano, l'occitano e il sardo;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in una direttiva all'ufficio scolastico regionale per la Calabria in data 20 giugno 2013, precisa che per dare corretta applicazione alla norma le minoranze di lingua straniera «devono essere intese nell'accezione più restrittiva possibile nel senso che le due lingue parlate siano parificate sul piano amministrativo e dell'uso quotidiano, e che siano attivamente parlate da una significativa fascia della popolazione»;
   tale direttiva crea una disparità di trattamento fra le minoranze linguistiche tutelate in Italia dalla legge n. 482 del 1999 che, pur non essendo state riconosciute da trattati internazionali per la reciproca tutela di comunità confinanti (minoranze di lingua francese, tedesca, slovena), sono storicamente radicate sul territorio italiano e tutelate dal diritto internazionale (la convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali ratificata con legge 28 agosto 1997, n. 302) e nazionale (legge n. 482 del 1999) nonché da diverse sentenze della Corte Costituzionale (sentenze n. 159 del 2009; n. 170 del 2010; n. 88 del 2011);
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, interpretando la legge in modo eccessivamente restrittivo, non ha attivato alcuno strumento a favore della tutela delle lingue minoritarie, anzi, ha emesso un comunicato del 28 settembre 2012 in cui avvisa che per motivi organizzativi, anche correlati alla legge n. 135 del 7 agosto 2012, la prevista pubblicazione del bando per la preiscrizione al Master di II livello/Corso di aggiornamento «Insegnamento delle lingue di minoranza» è rinviata a data da destinarsi;
   il gruppo di lavoro per le minoranze linguistiche presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, costituito nel 2001 in attuazione degli articoli 4 e 5 della sunnominata legge n. 482 del 1999, non è stato più convocato; sono state altresì interrotte le attività formative già avviate e non è stata emanata la circolare in cui vengono resi noti alle scuole i criteri per la realizzazione di progetti nazionali e locali approvati;
   la risoluzione CM/ResCMN(2012)10 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, relativa all'applicazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali da parte dello Stato italiano, segnala i progressi e i punti critici riscontrati nell'applicazione della Convenzione nella tutela delle minoranze linguistiche riconosciute;
   il predetto Comitato segnala con preoccupazione che, tra le altre cose, «gli sforzi per sviluppare e rafforzare l'insegnamento delle/nelle lingua minoritarie sono ostacolati dalla riduzione delle risorse e da investimenti insufficienti da parte delle autorità» e che «i sostanziosi tagli operati e i ritardi nel trasferimento dei fondi hanno causato problemi e ritardi nel rafforzamento delle garanzie legali relative all'uso pubblico delle lingue minoritarie, all'insegnamento di/in tali lingue, ai mezzi di comunicazione in lingua minoritaria e allo sviluppo culturale delle comunità di minoranza» e chiede che «il sistema di finanziamento e le procedure per la distribuzione delle risorse stanziate venga rafforzato e reso più stabile» –:
   se ai sensi dell'articolo 5 della predetta legge n. 482 del 1999, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca con propri decreti, intenda indicare i criteri generali per l'attuazione delle misure relative all'insegnamento/apprendimento delle lingue minoritarie, in attuazione dell'articolo 4 della legge nonché continuare a promuovere e realizzare progetti e locali nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali degli appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta;
   se sia possibile reintegrare gli originari stanziamenti di bilancio;
   se sarà mantenuta la regola che fissa come base di calcolo per le istituzioni scolastiche autonome il numero minimo di 400 alunni in ragione dell'appartenenza delle minoranze linguistiche tutelate dalla Costituzione. (5-00728)


   MANZI e CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni sindacali marchigiane del comparto scuola FLC-CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS Confsal hanno consegnato al garante per l'infanzia della regione Marche un esposto per denunciare la preoccupante situazione della scuola dell'infanzia nella regione;
   nelle Marche in sei anni si sono iscritti 2523 alunni in più nelle scuole dell'infanzia statali, ma sono stati assegnati 84 sezioni e 272 posti in meno, se si considera anche per le Marche l'opportunità di poter raggiungere la media nazionale di 24 alunni e due insegnanti per sezione, nel rispetto della richiesta delle famiglie di avere il tempo pieno;
   con i tagli del 2008/2011 ed oggi il sostanziale blocco degli organici è stato praticamente negato il processo di generalizzazione di questo settore così delicato che, come affermato dalla Commissione europea, nei suoi documenti, «costituisce la base essenziale per il buon esito dell'apprendimento permanente, dell'integrazione sociale, dello sviluppo personale e della successiva occupabilità»;
   la scuola dell'infanzia italiana da molti anni è considerata un fiore all'occhiello dell'istruzione del nostro Paese per l'alta qualità del modello organizzativo e didattico che si basa su un tempo scuola di 8 ore e due insegnanti per sezione che, nelle ore di compresenza del mattino, hanno la possibilità di intervenire con maggiore efficacia con gruppi più ridotti rispetto all'alto numero di bambini per sezione che, nella regione Marche nel 2012-13 ha raggiunto la media di 2,9 alunni per sezione, la più alta d'Italia;
   questo modello oggi viene messo pesantemente in discussione, oltre che a causa del crescente numero di bambini per sezione, anche in presenza di bambini con handicap e in edifici spesso non a norma, in quanto costruiti per accogliere al massimo 25 bambini per sezione, anche dal diffondersi delle sezioni antimeridiane, cioè funzionanti con un solo insegnante;
   questo tempo scuola ridotto a sole 25 ore settimanali, previsto dalla normativa vigente dovrebbe essere esplicitamente richiesto dalle famiglie, ma nelle Marche anche se le richieste sono molto esigue, da alcuni anni si è diffusa la prassi di assegnare sezioni funzionanti con un solo insegnante per assicurare a tutti i bambini la frequenza poiché diversamente, sarebbero costretti a rimanere in lista d'attesa, a causa dell'insufficiente organico assegnato alla regione;
   nelle scuole dove sono assegnate queste sezioni ridotte, anche se non richieste si verificano due situazioni: i collegi dei docenti decidono di farle funzionare solo di mattina ed in questo caso gli alunni escono alle 13,00, oppure cercano soluzioni organizzative per permettere che i bambini di queste sezioni possano fermarsi anche nel pomeriggio, allorché le famiglie insistono per avere il servizio che hanno richiesto per l'intera giornata, ma in entrambi i casi l'organizzazione didattica viene messa pesantemente in discussione con conseguenze negative sulla qualità del servizio;
   da tempo gli insegnanti denunciano le conseguenze di questa prassi organizzativa che sta diventando sempre più «normale» e diffusa in tutta Italia;
   a fronte di circa 3.500 alunni in più nelle Marche solo negli ultimi due anni in tutti gli ordini di scuola e l'organico bloccato, sono stati assegnati quest'anno 64 posti in più in organico di diritto, posti che risultano totalmente insufficienti per rispondere a tutte le situazioni di difficoltà;
   per la scuola dell'infanzia queste carenze hanno comportato l'assegnazione di ben 104 sezioni antimeridiane, non richieste dalle famiglie ed un elevato numero di bambini per sezione molto superiore alla media nazionale;
   rispetto all'inserimento degli anticipatari, molte scuole sono nella impossibilità di soddisfare la crescente richiesta delle famiglie a causa delle sezioni troppo affollate e della presenza in quasi tutti gli istituti di almeno una sezione antimeridiana;
   risulta che gli anticipatari non sono stati tutti considerati per la costituzione delle sezioni come invece previsto dalla normativa vigente, ma che sono stati segnalati ed inseriti solo quelli che le sezioni potrebbero assorbire utilizzando la redistribuzione fino a 29;
   le amministrazioni provinciali delle Marche hanno provato a diminuire il numero medio di bambini per sezione, che infatti si è ridotto di 0,5 passando dalla media di 25,9 del 2012-13 a quella di 25,4 del 2013-14;
   la situazione è ancor più pesante vista la mancanza di adeguate risposte sulla stabilità degli organici di tutto il personale, docente e ATA, figure indispensabili soprattutto in questo ordine di scuola e quelle sulla stabilità anche degli insegnanti di sostegno che per più della metà sono con contratto a tempo determinato e messi dunque nella impossibilità di garantire la continuità, elemento prioritario per la qualità dell'intervento educativo –:
   la recente assegnazione di 30 posti aggiuntivi di personale docente alle Marche, a fronte dei 50 auspicati, è esigua ed insufficiente in quanto consente di recuperare soltanto alcune delle situazioni di maggior difficoltà;
   se e quali iniziative intende adottare il Governo per assicurare nella regione Marche almeno i 104 insegnanti necessari per garantire il tempo pieno a tutte le famiglie che lo hanno richiesto, assicurare la stabilità degli organici di tutto il personale docente e ATA e assicurare la stabilità anche degli insegnanti di sostegno precari e quindi impossibilitati a garantire la continuità dell'intervento educativo. (5-00745)


   LUIGI GALLO, CATALANO, D'INCÀ, MARZANA, DE ROSA, NICOLA BIANCHI, PARENTELA, COZZOLINO, D'AMBROSIO, BECHIS, DI VITA, D'UVA, GRILLO, SEGONI, CECCONI, SPADONI, COLLETTI, LOREFICE, BALDASSARRE, CANCELLERI, AGOSTINELLI, L'ABBATE, SCAGLIUSI e GAGNARLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   già dallo scorso autunno si è appreso dalla stampa, dell'esistenza di un dossier di circa cento pagine ben circostanziate che raccontavano il così detto «sistema MIUR»; sistema criminoso, raccontavano i giornali del tempo, con il quelle numerosi funzionari, dirigenti, collaboratori e consulenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbero dirottato contributi statali e comunitari a fondo perduto destinati alla ricerca;
   la «cricca» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca secondo quanto raccontavano i giornali, sarebbe stata capace di infettare uno dei centri principali di spesa del Governo, la direzione generale della ricerca, influenzandone la gestione e l'impiego di 6,2 miliardi di euro di contributi comunitari a fondo perduto, 3 miliardi di budget statale e 1 miliardo di fondi ordinari per la ricerca, dirottando, pilotando o addirittura creando ad hoc per l'assegnazione degli stessi fondi a specifiche imprese;
   tra le sconcertanti informazioni contenute nel dossier, inoltre, emerge anche che ingenti risorse sarebbero state stanziate per le così dette «Pillole del sapere», quella serie di puntate prodotte e mandate in onda dal canale ABC del digitale terrestre;
   il canale 33, di proprietà della Interattiva s.r.l., società facente capo alla signora Ilaria Sbressa – moglie di Andrea Ambrogetti (responsabile relazioni istituzionali Mediaset, nonché presidente dell'Associazione digitale terrestre) – avrebbe dal 2008 ad oggi ricevuto incarichi e conseguenti fondi pubblici dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la realizzazione di video e spot educativi, senza alcuna gara o appalto e senza controllo alcuno sulla qualità dei contenuti didattici;
   nel 2008, il canale ABC è stato certificato dal Ministro, Paolo Romani, quale l'unico canale atto a offrire servizi per la pubblica amministrazione; il citato canale dispone di circa 60 milioni di euro di commesse pubbliche;
   il 22 dicembre 2011, inoltre, mentre il Governo si preparava a tagliare fondi a scuola e istruzione per centinaia di milioni di euro, Massimo Zennaro, ex portavoce del Ministro Gelmini, destinava 1,3 milioni alla realizzazione di video per la scuola prodotti dalla signora Stressa;
   questi video denominati appunto «Pillole del sapere», della durata di 2-3 minuti ciascuno, si apprende, abbiano avuto un costo di produzione variabile tra i 1.000 ed i 3.000 euro ciascuno e siano invece stati acquistati dal Ministero per euro 40.000 ognuno;
   il Ministero, a seguito di interrogazione pubblicata il 25 marzo 2013, dalla collega onorevole Ghizzoni, rispondeva, come già risposto ad altra interrogazione del 22 novembre 2012, di non conoscere i fatti relativi al dossier da cui è scaturito l'intero caso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ma di aver avviato varie procedure «conoscitive» tra cui l'istituzione di commissioni per la verifica della correttezza delle procedure amministrative;
   nella medesima risposta il Ministero rilevava la criticità delle questioni emerse che, pertanto imponevano – scrive il Ministero – «più stringenti procedure di controllo di gestione ed erogazione delle risorse assegnate» a tutela dell'interesse dei cittadini e dell'amministrazione;
   dalle agenzie del 24 giugno 2013 si apprende che, alla luce del dossier di cui sopra, la procura della Repubblica di Roma, verificata l'attendibilità della documentazione esaminata e preso atto della gravità delle condotte ivi descritte ha emanato numerosi avvisi di garanzia – ad oggi solo per il reato di abuso d'ufficio – nei confronti di alti dirigenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   si paventa l'ipotesi di una truffa colossale ai danni dei cittadini italiani ed europei da parte di funzionari, dirigenti, collaboratori e consulenti del Ministero che indebolisce la credibilità e autorevolezza delle istituzioni italiane, che mina e contraddice i princìpi fondamentali dello stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ossia «Trasparenza, valutazione e merito» e che, per tali ragioni, giustificherebbe – per lo meno – la sospensione da ogni incarico pubblico di tutte le persone coinvolte –:
   se e quali provvedimenti, misure ed interventi urgenti il Ministro intenda attuare nei confronti dei dirigenti, funzionari, collaboratori e consulenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca indagati al fine di tutelare l'interesse pubblico oltre che l'interesse e l'autorevolezza del Ministero coinvolto e delle istituzioni tutte. (5-00750)


   GIAMMANCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   recentemente nella stampa locale e nazionale Merano è stata definita come «La città con più bambini psichiatrizzati». In uno degli articoli infatti si affermava: «La città con il più alto numero di bambini psichiatrizzati e soggetti a trattamenti con psicofarmaci d'Italia è Merano. Basta pensare che in questo Comune di soli 38 mila abitanti, il consumo di anfetamine e simili nei minori è 13 volte superiore che nella vicina Provincia di Trento. E ben 4 volte più alto della media nazionale»;
   secondo le dichiarazioni della dottoressa Donatella Arcangeli, dirigente medico del centro di neuropsichiatria infantile di Merano, nel 2010 a Merano c'erano ben 160 bambini psichiatrizzati e 40 bambini soggetti a trattamenti con potenti psicofarmaci. In questo comune, quindi, i consumi di psicofarmaci per bambini erano ben 13 volte superiori alla vicina provincia autonoma di Trento (dove, secondo la risposta dell'Assessore alla salute e politiche sociali dottor Ugo Rossi alle interrogazioni n. 4020 e n. 4021 nel 2010 c'erano 63 bambini che assumevano psicofarmaci in tutta la provincia di Trento che conta più di 450.000 abitanti, e dove è in vigore una legge che protegge i bambini dagli abusi di psicofarmaci). Le cifre sui consumi di psicofarmaci per bambini del comune di Merano sono inoltre ben 4/8 volte superiori al resto d'Italia con circa da 30.000 a 60.000 bambini in trattamento (dati raccolti in un documento dell'onorevole Roberta Angelilli, Vicepresidente del Parlamento Europeo);
   per quanto riguarda il resto della provincia autonoma di Bolzano, non ci sono informazioni sul numero esatto di bambini sottoposti a trattamenti con psicofarmaci dato che l'assessore alla salute e politiche sociali dottor Richard Theiner, non ha saputo rispondere a ben due precedenti interrogazioni del partito Freiheitlichen. È preoccupante e intollerabile che queste informazioni non siano a disposizione dell'assessore e della comunità;
   la responsabile del centro di neuropsichiatria infantile di Merano, Donatella Arcangeli, ha confermato alla stampa che nel 2010 all'ospedale Tappeiner sono stati seguiti 160 bambini psichiatrizzati e 40 bambini soggetti a trattamenti con psicofarmaci, in particolare ragazzi che soffrono del disturbo da deficit di attenzione e iperattività;
   al quotidiano la dottoressa Donatella Arcangeli ha dichiarato che: «Le direttive dell'istituto superiore di sanità – stimano che a livello nazionale l'1 per cento della popolazione compresa tra i 6 e i 18 anni possa aver bisogno di farmaci per combattere il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Noi rientriamo ampiamente in questa percentuale»; secondo la dottoressa, il picco di casi riconducibile alla città di Merano, e in particolare all'ospedale Tappeiner è dovuto a un altro fatto. «Merano è una delle poche città – che dispone di un centro di riferimento accreditato per seguire questo tipo di disturbo e per questo motivo i numeri e le percentuali sono rilevanti, come del resto il consumo di farmaci»;
   la dichiarazione relativa alle percentuali non è esatta ma questa è anche una preoccupante e involontaria ammissione della dottoressa Arcangeli. Ha ammesso che la piena implementazione dei centri accreditati per l'ADHD potrebbe portare un aumento esponenziale dell'uso di psicofarmaci sui bambini;
   la percentuale dell'1 per cento sostenuta dalla dottoressa Arcangeli deriva da uno studio del 2000. Nel 2000 il Ministero della Sanità ha autorizzato l'avvio delle procedure per la nuova registrazione dello psicofarmaco Ritalin in Italia (prodotto dall'azienda Farmaceutica Novartis). Contemporaneamente è partito nelle scuole medie di sette città italiane il Progetto Prisma, sulla salute mentale degli adolescenti. Utilizzando liste di domande: se si risponde in un certo modo si ha o meno un disturbo mentale, hanno determinato che ogni 1.000 adolescenti, 90 manifestano patologia mentale. Ecco un estratto del progetto Prisma: «Ogni 1000 preadolescenti ci sono circa 90 soggetti con patologia psichica ed essendo patologia “minore” non è detto che siano riconosciuti o riconoscibili come tali, senza un percorso di valutazione clinica accurato. È un dato migliore rispetto ad altre nazioni, ma che rappresenta comunque un grave problema sociale»;
   quindi non una percentuale dell'1 per cento che ha bisogno di psicofarmaci come dice la dottoressa Arcangeli, ma una percentuale di bambini con patologie «minori»;
   per quanto riguarda le presunte percentuali alcuni critici come ad esempio la campagna Pensare Oltre affermano che: «I sostenitori dell'esistenza del Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, l'ADHD, parlano di un 2 per cento di bambini “malati”, per alcuni di un 4 per cento, ma per altri anche del 9 per cento, del 12 per cento e persino del 15 per cento, con una precisa strategia di marketing attraverso i Media e le Istituzioni che punta a incrementare il numero di diagnosi e di conseguenza “terapie e cure”. Infatti per il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività vengono prescritti ai bambini psicofarmaci come: Ritalin, Strattera e Adderai, anfetamine che sono catalogate come droghe»;
   la dottoressa Arcangeli sostiene di curare i bambini per una malattia che lo stesso Leon Eisenberg, padre scientifico dell'ADHD, ha dichiarato essere «il principale esempio di malattia inventata», e si dimentica di dire che nel corso del 1o convegno Erickson di Trento del 4 e 5 maggio 2012: «I disturbi di attenzione e iperattività», lei stessa ha affermato che la parte più difficile della terapia consiste nel convincere i genitori che il loro bambino è ammalato di ADHD. Secondo il dottor Eisenberg il motivo per cui i genitori non riescono a crederci è chiaro: è una malattia fittizia;
   ma certamente gli effetti collaterali di questi farmaci non sono fittizi. Recentemente un padre di Merano ha denunciato la dottoressa affermando: «La dottoressa Donatella Arcangeli mi ha informato di ritenere necessario un trattamento psicofarmacologico per D...». In questo incontro, come in altre occasioni, non mi ha mai informato degli effetti collaterali di questi farmaci ma mi ha descritto solo gli effetti positivi. La dottoressa ha parlato a lungo dei problemi di D... facendomi spaventare come papà al fine di farmi accettare gli psicofarmaci, ma non mi ha mai informato degli effetti collaterali»;
   ma non è tutto. Questo papà ha denunciato anche che: «C’è una chiara commistione tra la neuropsichiatria infantile e il “doposcuola”. Per esempio nel caso di mio figlio la dottoressa Arcangeli mi ha messo al corrente che [...] sarebbe dotato di un'intelligenza superiore alle attuali capacità intellettive che però visto il mio rifiuto di somministrargli il Ritalin questo gli comporta degli scompensi [...]. Mi chiedo come possa la dottoressa Arcangeli fare queste affermazioni dato che non le ho dato alcun consenso di visitare mio figlio. Mi chiedo se mio figlio e gli altri bambini stiano facendo il “doposcuola” oppure siano sottoposti a test e osservazioni da parte della neuropsichiatria infantile durante il periodo del “doposcuola” e se i genitori siano al corrente di quanto sta succedendo».
   la differenza tra Trento e Bolzano in merito ai consumi di psicofarmaci dipende anche dalle scelte politiche delle due province;
   nell'aprile del 2008 la provincia di Trento ha approvato la legge presentata dal consigliere PdL Cristano De Eccher «Disposizioni in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti» che vietava gli screening psicopatologici nelle scuole e prescriveva il consenso informato scritto per la somministrazione di psicofarmaci ai bambini, sebbene il consenso informato scritto sia stato poi annullato dalla Corte costituzionale per problemi tecnici di competenza, il divieto agli screening psicopatologici nelle scuole rimane in vigore;
   nonostante la legge, dal 2009 nelle scuole trentine si cominciavano comunque a fare dei test sui DSA a macchia di leopardo, come ad esempio il collegio arcivescovile «Dame Inglesi» di Rovereto e l'istituto comprensivo di Mori;
   purtroppo nell'ottobre del 2011 provincia di Trento ha approvato la legge «Interventi a favore dei soggetti con disturbi specifici di apprendimento» senza recepire alcuni emendamenti proposti da un consigliere volti ad impedire la medicalizzazione della scuola;
   e purtroppo c’è stato un aumento del 146 per cento in un solo anno dei minori che hanno assunto psicofarmaci da 63 nel 2010 a 92 nel 2011. Si ritiene che la legge numero 4 del 2008 insieme al registro nazionale sull'ADHD, abbiano contribuito a mantenere basso l'utilizzo degli psicofarmaci mentre l'introduzione dei test sui DSA stia già causando la medicalizzazione della scuola. La situazione potrebbe peggiorare negli anni a venire con una piena implementazione della legge 170 e dei centri accreditati con certe modalità e protocolli, ad esempio come prospettato dalla dottoressa Arcangeli. Infatti in tutti i paesi dove sono stati effettuati screening nelle scuole si è assistito a un aumento delle vendite di psicofarmaci per l'età pediatrica, senza una reale corrispondenza nel numero di bambini davvero «malati». Sebbene i test sui DSA non portino agli psicofarmaci perché non prevedono cure farmacologiche, potrebbero innescare un meccanismo di medicalizzazione che porta alla somministrazione di psicofarmaci ai bambini;
   in Provincia di Bolzano, di fatto, la riforma introdotta dalla legge 170 è in vigore da molto tempo;
   già nel decreto del presidente della giunta provinciale di Bolzano del 23 agosto 1989, n. 641/LH/III/X si afferma: «Attenzione particolare andrà posta nell'identificazione tempestiva di eventuali disturbi del linguaggio (difetti dell'udito, difficoltà di articolazione dei suoni, balbuzie, e altro) e di fenomeni di disgrafia e dislessia, per i quali andranno predisposte specifiche strategie didattiche»;
   nel documento del 2007 PROGETTO DISLESSIA che interessava gran parte delle scuole dell'Alto Adige, si sosteneva che «il Servizio Integrazione e consulenza scolastica ha avviato, fin dall'anno scolastico 1998/99, un progetto di ricerca sulle difficoltà di apprendimento». E più avanti: «I Servizi di Educazione alla Salute e Integrazione e Consulenza Scolastica, in collaborazione con l'Associazione Italiana Dislessia, hanno avviato nell'anno scolastico 2003/2004 incontri di sensibilizzazione rivolti a operatori scolastici e genitori delle scuole dell'infanzia, elementari e medie del territorio. Da questi incontri è scaturita la necessità di formare e aggiornare il personale docente sui disturbi di apprendimento e sulla dislessia in particolare, in stretto rapporto con gli specifici servizi sanitari del territorio e l'Associazione Italiana Dislessia in un'ottica di lavoro di rete, strumento indispensabile per una visione globale del problema con il coinvolgimento progettuale e operativo di tutti gli attori»;
   sul sito dell'intendenza scolastica della provincia di Bolzano è presente il progetto di individuazione precoce delle difficoltà di letto-scrittura/dislessia – Percorsi didattici sulle abilità di apprendimento per insegnanti delle classi prime e seconde e referenti per la dislessia della scuola primaria in cui si afferma: «Già negli anni scolastici precedenti questa Intendenza Scolastica ha promosso e sostenuto un progetto di prevenzione e individuazione precoce delle difficoltà di apprendimento della letto-scrittura nelle classi prime e seconde della scuola primaria. Nell'anno scolastico 2010/2011 il progetto si è ampliato coinvolgendo tutte le classi prime, seconde e quarte della Provincia»;
   nel documento del 2008 sul sito dell'intendenza scolastica della logopedista Graziella Tarter si parla di: «Invio mirato ai Servizi Sanitari per la diagnosi ed eventuale consulenza agli insegnanti»;
   sono quindi parecchi anni che la riforma introdotta dalla legge 170 è in vigore in provincia di Bolzano con screening generalizzati e invio dei bambini dal neuropsichiatra infantile. Si ritiene che l'implementazione della legge nei modi e nelle forme di cui sopra spieghi il motivo per cui, ad esempio, il comune di Merano con una popolazione di 38.229 abitanti, nel 2010 aveva ben 160 bambini seguiti dal centro di neuropsichiatria infantile con ben 40 di questi soggetti a trattamento con psicofarmaci;
   in base ai dati di cui sopra si ritiene che la legge di prevenzione «Disposizioni in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti» abbia degli effetti positivi per la tutela dei minori dagli abusi di psicofarmaci (sarebbe interessante valutare gli effetti di una legge simile approvata in Piemonte nel 2007 del consigliere PdL Gianluca Vignale). Si ritiene invece che la legge 170 e i centri accreditati ADHD, così come sono attualmente implementati a Merano, potrebbero avere degli effetti disastrosi di medicalizzazione delle scuole e di conseguente diffusione del consumo di psicofarmaci da parte dei bambini. L'esperienza di Merano e il recente aumento del consumo di psicofarmaci da parte dei minori in provincia di Trento sono dei chiari segnali dei pericoli insiti in queste impostazioni. Si ritiene sia urgente una ricerca che estrapoli i dati esatti sul consumo di psicofarmaci e sui percorsi che hanno portato i minori all'assunzione di queste sostanze con particolare attenzione agli screening sui DSA e alla successiva segnalazione ai servizi sanitari al fine di accertare e valutare le criticità qui esposte ed apportare i necessari correttivi sia didattici che organizzativi in ambito scolastico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato e, in caso affermativo, quali siano le loro determinazioni al riguardo;
   se intendano avviare un'indagine in tutta Italia al fine di avere un quadro esatto dei consumi di psicofarmaci sui bambini e di eventuali criticità anche con specifico riferimento alla situazione di Merano, della provincia autonoma di Trento e Bolzano e della regione Piemonte; se risulti quanti siano i minori separati dalle famiglie. (5-00751)


   CAROCCI, COSCIA, ROCCHI, COCCIA, GHIZZONI, MALPEZZI, BLAZINA, MALISANI, D'OTTAVIO, PES e MANZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i principi che sono alla base del nostro modello di integrazione scolastica – assunto a punto di riferimento per le politiche di inclusione in Europa e non solo – hanno contribuito a fare del sistema di istruzione italiano un luogo di conoscenza, sviluppo e socializzazione per tutti, sottolineandone gli aspetti inclusivi piuttosto che quelli selettivi;
   il modello diagnostico ICF (International classification of functioning) dell'OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale e che si fonda sul profilo di funzionamento e sull'analisi del contesto, consente di individuare i bisogni educativi speciali (BES) dell'alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni;
   in tal senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare bisogni educativi speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta;
   l'area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di certificazioni. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni;
   in tal senso, il 27 dicembre 2012 è stata firmata dal Ministro Profumo la direttiva recante Strumenti d'intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica, che delinea e precisa la strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare appieno il diritto all'apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà;
   la direttiva è importante perché accoglie una serie di orientamenti da tempo presenti nei Paesi dell'Unione europea, completando, in sostanza, il quadro italiano dell'inclusione scolastica. Com’è noto, infatti, il nostro sistema è stato il primo in Europa a introdurre l'inclusione scolastica generalizzata degli alunni con disabilità e ha di recente riordinato i princìpi della stessa, con le linee guida del 4 agosto 2009;
   a seguito poi della legge n. 170 del 2010, sono state emanate le linee guida del 12 luglio 2011, relative all'inclusione scolastica degli alunni con DSA (disturbi specifici d'apprendimento, ovvero dislessia, disgrafia, discalculia e disortografia);
   ora, con tale direttiva, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ridefinisce e completa il tradizionale approccio all'integrazione scolastica, basato sulla certificazione della disabilità, estendendo il campo di intervento e di responsabilità di tutta la comunità educante all'intera area dei Bisogni Educativi Speciali (BES), comprendente: «svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse»;
   alla tipologia sovraindicata, la direttiva del 27 dicembre estende i benefici della legge n. 170 del 2010, vale a dire le misure compensative e dispensative;
   tale direttiva estende, inoltre, a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell'apprendimento, richiamandosi espressamente ai principi enunciati dalla legge n. 53 del 2003;
   è compito doveroso dei consigli di classe o dei team dei docenti indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l'adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni;
   strumento privilegiato è il percorso individualizzato e personalizzato, redatto in un piano didattico personalizzato (PDP), che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare – secondo un'elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata – le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli apprendimenti per altro da formalizzare in modo puntuale anche nel piano dell'offerta formativa;
   la direttiva ben chiarisce come la presa in carico dei BES debba essere al centro dell'attenzione e dello sforzo congiunto della scuola e della famiglia;
   la direttiva, richiamando ulteriormente l'attenzione su quell'area dei BES che interessa lo svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale, ricorda che «ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta»;
   per questi alunni, e in particolare per coloro che sperimentano difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana – per esempio alunni di origine straniera di recente immigrazione e, in specie, coloro che sono entrati nel nostro sistema scolastico nell'ultimo anno – è parimenti possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati, oltre che adottare strumenti compensativi e misure dispensative (ad esempio la dispensa dalla lettura ad alta voce e le attività ove la lettura è valutata, la scrittura veloce sotto dettatura, e altro);
   la direttiva si inserisce nel solco tracciato da altre norme generali e specifiche tuttora vigenti che danno indicazioni di flessibilità e attenzione ai percorsi personali dei singoli alunni. Si richiamano in particolare:
    a) decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999 n. 394, articolo 46;
    b) circolare ministeriale n. 24 del 1o marzo 2006 «Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri»;
   documento ministeriale dell'ottobre 2007 «La via italiana per la scuola interculturale e l'integrazione degli alunni stranieri»;
   la Direttiva sopracitata sta generando non poche difficoltà interpretative, particolarmente in materia di valutazione finale;
   la valutazione degli studenti, infatti, è materia complessa che richiede approfondimenti e riflessioni e costituisce un tema particolarmente attuale nel dibattito scolastico. Se l'oggetto del valutare è uno studente con bisogni educativi speciali occorre fare riferimento a percorsi individuali, diversi da situazione a situazione, in sinergia con quanto sviluppato nel Piano Didattico Individualizzato e con una chiara definizione di quale ipotesi di uscita sia condivisa fra scuola, studente e famiglia, rispetto alla conclusione del percorso, in ottica di progetto di vita della persona;
   appare evidente come la normativa sulla valutazione contenuta nel DRR n. 122 del 2010 debba essere adattata alle singole situazioni. Infatti, l'eterogeneità delle condizioni difficilmente si presta all'individuazione di percorsi standardizzati per la realizzazione delle prove d'esame;
   la standardizzazione, in questo senso, vanifica il lavoro svolto dalle scuole per realizzare percorsi individuali che consentano allo studente l'apprendimento e l'integrazione nella realtà della scuola e della comunità consentendogli opportunità di crescita e di inserimento;
   in particolare, appare in contraddizione con le premesse sopraindicate il comma 9 dell'articolo 1 del DRP n. 122 del 2009 quando stabilisce che «minori con cittadinanza non italiana... sono valutati nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani»;
   un richiamo questo a un principio universalistico teso a escludere qualsiasi forma di discriminazione ma che rischia, se non correttamente interpretato appunto come norma anti-discriminazione, di non far considerare le specificità degli alunni NAI (neo arrivati in Italia);
   lo stesso regolamento prevede che la valutazione si ispiri ai criteri della «equità e trasparenza» e all'articolo 1 comma 4 stabilisce che: «Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano dell'offerta formativa»;
   tuttavia, non appare chiaro come possa essere equa una valutazione che ignori i punti di partenza e non consideri gli effettivi dei dispositivi di supporto messi in atto per gli alunni NAI;
   inoltre, nella direttiva nel capitolo denominato «Area dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale» si stabilisce che «Eventuali disposizioni in merito allo svolgimento degli esami di Stato o delle rilevazioni annuali degli apprendimenti verranno fornite successivamente» –:
   se non ritenga opportuno predisporre, come stabilito dalla direttiva ministeriale 27 dicembre 2012, tali disposizioni in un senso che tenga conto delle importanti novità introdotte dalla direttiva in questione e che permettano, in sede di valutazione finale o di rilevazioni annuali degli apprendimenti, agli alunni neo arrivati in Italia ed a tutti gli alunni con BES, di proseguire gli studi e realizzare – attraverso la scuola – una consapevole integrazione nella comunità. (5-00760)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli istituti paritari sono all'incirca 13.500 suddivisi fra i vari ordini e gradi (infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado);
   è noto che tali istituti – che godono della parità riconosciuta con legge n. 62 del 2000 – beneficiano di finanziamenti o contributi da parte dello Stato a patto che dimostrino e mantengano determinati requisiti fra i quali l'applicazione per i docenti che vi insegnano di un contratto collettivo nazionale di lavoro del settore e la sussistenza in capo ai docenti del titolo di abilitazione all'insegnamento;
   gli istituti paritari o non statali rilasciano titoli e diplomi giuridicamente equiparati a quelli rilasciati dalla scuola statale purché siano coerenti con la domanda formativa delle famiglie e siano caratterizzati da requisiti di qualità ed efficacia;
   tuttavia come è emerso nel recente passato e da alcune inchieste, alcuni istituti privati e paritari sono risultati veri e propri «fabbriche di diplomi», dove sembra sufficiente pagare alcune migliaia di euro per ottenere un titolo di studio;
   da una ricerca dell'Istat «Misura dell'occupazione non regolare», nel 2008 i dipendenti irregolari nel settore privato dell'istruzione erano 17.200 mentre nel 2009 si è passati a 19.000 (+10,5 per cento in un anno). Inoltre una ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulle dotazioni tecnologiche ha fatto emergere un sensibile «ritardo» delle scuole private e paritarie nella dotazione di laboratori tecnologici e multimediali rispetto alle dotazioni delle scuole statali;
   nello studio «Education at a glance 2011» dell'OCSE si rileva che, nonostante alcune realtà, di eccellenza, in Italia le performance tra studenti quindicenni frequentanti scuole private e scuole pubbliche è nettamente a favore dei secondi. Sempre secondo l'OCSE il clima disciplinare nelle scuole private è peggiore di quelle pubbliche (dati 2009);
   da una indagine dell'ufficio scolastico regionale della Lombardia è emerso che nelle 2.491 scuole paritarie lombarde, 3.864 insegnanti su 21.526 risultano privi dell'abilitazione necessaria ad insegnare. Infine il personale docente è spesso assunto con forme contrattuali atipiche cioè contratti a progetto ovvero a programma;
   in tali realtà si è utilizzato un gran numero di docenti precari che, pur di accumulare il punteggio necessario a mantenere una migliore posizione nelle graduatorie della scuola statale, accettano il compromesso di insegnare presso tali istituti privati con compensi irrisori, svilendo del tutto il proprio ruolo di insegnante;
   è evidente come tale situazione rappresenti una grave lesione per i diritti degli insegnanti e al tempo stesso la negazione del principio costituzionale che riconosce il diritto allo studio di ogni, cittadino, garantendo l'accesso a strutture idonee e di eccellenza per la propria formazione ed istruzione –:
   se il Ministro conosca i dati del numero degli insegnanti impiegati nelle scuole paritarie o private provvisti di idonea abilitazione all'insegnamento prevista dalla legge;
   quali misure, provvedimenti o verifiche il Ministro interrogato intenda intraprendere per intensificare i controlli in ordine all'applicazione dei contratti di assunzione degli insegnanti nelle scuole paritarie e private e per evitare abusi relativamente all'impiego di docenti con retribuzione risibili o sprovvisti di idonea abilitazione all'insegnamento;
   quali misure intenda adottare in tema di vigilanza sulle istituzioni scolastiche paritarie utili ad accertare il permanere delle condizioni richieste dalla legge per il riconoscimento della parità scolastica. (4-01406)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DALL'OSSO, LOREFICE, CECCONI, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, D'AMBROSIO, DIENI, COZZOLINO, LOMBARDI, TACCONI, DI BENEDETTO e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la casa-famiglia, in Italia, è una struttura destinata all'accoglienza di è una «comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni» la cui finalità è l'accoglienza di minorenni, disabili, anziani, adulti in difficoltà, persone affette da AIDS e/o in generale persone con problematiche psico-sociali;
   le prime case-famiglia hanno avuto origine tra l'inizio degli anni sessanta e la fine degli anni settanta, da esperienze di condivisione diretta con persone in situazione di handicap, che al tempo le stesse erano per lo più confinate in istituti nei quali l'attenzione era posta soprattutto sulla patologia e sulla sua terapia;
   nel 1964, a Pian di Scò, in provincia di Arezzo, nacque la prima casa-famiglia dell'Opera Assistenza malati impediti (OAMI), aperta da monsignor Enrico Nardi, per potere inserire i disabili in una piccola comunità, anziché in grandi strutture e nel 1973 a Coriano, in provincia di Rimini, sotto la guida di Don Oreste Benzi, nacque la prima casa-famiglia della comunità Papa Giovanni XXIII;
   le norme relative a tali strutture sono contenute nel decreto ministeriale del Ministro per la solidarietà sociale del 21 maggio 2001 n. 308 emanato ai sensi dell'articolo 11 della legge 8 novembre 2000 n. 328, che prevede, tra le altre clausole, di essere in possesso dell'autorizzazione del comune italiano sul cui territorio si sia presenti, rivolgendosi all'assessorato ai servizi sociali;
   non sono obbligate a ottenere la preventiva autorizzazione le case famiglia che ospitano fino a 6 ospiti, purché non si effettuino attività sanitarie;
   molte case-famiglia, si occupano dell'accoglienza di minori «per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia» e si pongono in alternativa agli orfanotrofi in quanto, a differenza di questi, dovrebbero avere alcune caratteristiche da renderle somiglianti ad una famiglia;
   in una stessa struttura potrebbero essere accolte anche minori fuori famiglia o comunque con disagi e difficoltà di diverso tipo;
   il decreto ministeriale stabilisce inoltre, all'articolo 3, che per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini, degli adolescenti, sono stabiliti dalle regioni;
   tra i criteri organizzativi, le regioni possono stabilire anche accorpamenti tra più comunità con la conseguenza che alcune strutture hanno una presenza di oltre 100 minori ospiti –:
   quale sia il costo di ogni minore ospitato nelle case famiglia;
   se sia monitorato il nascere delle stesse case famiglia e se sia il caso di creare un albo a livello nazionale;
   se sia stata valutata l'opzione di far richiedere l'autorizzazione anche alle strutture fino a 6 ospiti, ovvero modificare il decreto ministeriale del Ministro per la solidarietà sociale del 21 maggio 2001 n. 308 emanato ai sensi dell'articolo 11 della legge 8 novembre 2000 n. 328.
(5-00740)


   BELLANOVA, DAMIANO, GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, CASELLATO, GIACOBBE, INCERTI, MAESTRI e GIORGIO PICCOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le recenti proiezioni della Banca d'Italia sull'andamento del PIL prevedono un ulteriore aggravamento della congiuntura, passando dal –1 per cento al –1,9 per cento per il 2013, confermando le analoghe valutazioni di altre istituzioni di analisi economica, attribuendone le cause soprattutto al rallentamento degli scambi internazionali e al protrarsi delle tensioni sul mercato del credito che hanno ritardato l'uscita dalla fase recessiva;
   tali dati aggravano le prospettive per un allentamento della crisi occupazionale in cui versa l'intero territorio nazionale, con punte di vera e propria emergenza sociale in alcune aree del paese quali le regioni del mezzogiorno;
   tra i primi atti assunti dal Partito Democratico in questa legislatura vi è stata la mozione 1-00007, a prima firma dell'onorevole Speranza, volta a promuovere l'immediato rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per tutto l'anno 2013. Iniziativa che ha visto una prima e parziale risposta con l'emanazione del decreto legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito con modificazioni dalla legge 18 luglio 2013, n. 85;
   già in occasione dell'esame di detto provvedimento sono emerse, non solo da parte delle regioni e delle forze sociali, le preoccupazioni circa la congruità delle risorse in esso stanziate al fine di assicurare il finanziamento degli ammortizzatori in deroga per tutto il 2013, stante il protrarsi della fase recessiva;
   sin dalle prime settimane del mese in corso sono emerse, in forma sempre più pressante, le preoccupazioni circa il rapido esaurirsi delle disponibilità di risorse che, seppure ancora non erogate, risultano appena sufficienti a sanare una parte degli arretrati e non riusciranno ad esaudire le richieste relative ai mesi successivi;
   secondo i primi dati a disposizione, in tutte le regioni d'Italia vi è una situazione fortemente critica, i contesti più gravi ed urgenti riguardano in particolar modo le regioni del Piemonte, della Lombardia, dell'Emilia Romagna, della Toscana, del Veneto, della Sicilia e della Puglia;
   proprio in tale prospettiva, l'articolo 4, comma 2, del citato decreto legge, prevede che «Allo scopo di verificare gli andamenti di spesa, l'Inps, sulla base dei decreti di concessione inviati telematicamente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dalle regioni, effettua un monitoraggio anche preventivo della spesa, rendendolo disponibile al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed al Ministero dell'economia e delle finanze» –:
   quali siano i dati a disposizione del Ministero circa il grado di copertura delle domande di concessione degli ammortizzatori sociali in deroga sulla base delle risorse rese disponibili ai sensi del citato decreto legge n. 54 del 2013 e, qualora venissero confermate le preoccupazioni espresse dalle regioni e dai rappresentanti delle forze sociali, quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per assicurare i necessari stanziamenti aggiuntivi per affrontare l'emergenza occupazionale nell'anno in corso. (5-00744)


   L'ABBATE, ROSTELLATO, CIPRINI, TRIPIEDI, RIZZETTO, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, D'AMBROSIO, CARIELLO, DE LORENZIS, SCAGLIUSI e BRESCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 27 maggio 2013, durante la seduta n. 23, veniva presentata l'interrogazione a risposta in commissione 5-00177 a cui il Sottosegretario di Stato lavoro e politiche sociali Dell'Aringa si è limitato ad elencare solamente dati noti, relativi allo stabilimento di Monte Sant'Angelo (FG), mentre i quesiti oggetto della richiesta di informazioni riguardano non solo lo stato del Gruppo nel suo complesso, in riferimento alle sue attività economiche e strategiche, ma in particolare la situazione del solo stabilimento di Manfredonia (investimenti futuri, rifacimento forno, salvaguardia livello occupazionali) che, aderendo di fatto all'articolo 67 Legge Fallimentare, sta procedendo secondo piano di ristrutturazione del suo debito (pari a circa euro 130 milioni) formalmente presentato ad un'operazione di riorganizzazione aziendale «invasiva»;
   il gruppo Sangalli pare abbia utilizzato i conti operativi dell'insediamento industriale di Manfredonia, sottoposto ai vincoli del «Contratto d'Area di Manfredonia» (per il quale ha beneficiato di circa euro 67 milioni in passato) per acquisti afferenti lo stabilimento «Sangalli Vetro Porto Nogaro Spa» di Udine, mettendo in grossa difficoltà l'azienda della capitanata e ponendola in condizioni di grande vulnerabilità;
   oggi, la sfavorevole congiuntura economica, la riduzione degli ordinativi, il restringimento del credito unito alla fuga di capitali ed a fallimenti controllati di aziende finanziate ma mai insediate, hanno decretato di fatto il fallimento del «Contratto d'Area di Manfredonia». Una situazione che ha visto il Gruppo Sangalli lamentarsi delle difficoltà di mercato e delle perdite d'esercizio da un lato e, dall'altro, aprire attraverso la «Sangalli Vetro Manfredonia SpA – ex Manfredonia Vetro SpA» uno stabilimento identico, con identica gamma di prodotti, a San Giorgio di Nogaro (Udine), aumentando l'offerta di vetro e mettendo di fatto in crisi il mercato italiano;
   il 18 giugno 2013, i proprietari del Gruppo Sangalli (Giorgio Sangalli e i figli Giacomo e Francesco) hanno tenuto un incontro con l'assessore regionale al «Lavoro e Politiche del Lavoro» Leo Caroli, presso la Regione Puglia, in cui hanno dichiarato che per rilanciare l'attività dello stabilimento di Manfredonia occorrono euro 20 milioni. Una richiesta a cui la regione Puglia ha fatto sapere di poter far fronte sino a euro 6 milioni, finanziabili attraverso «Puglia Sviluppo», a patto di salvaguardare i livelli occupazionali e che ha visto l'opposizione del Gruppo Sangalli che pare orientato alla esternalizzazione di alcuni servizi operando inoltre, nel contempo, un significativo ridimensionamento aziendale attraverso procedure di mobilità;
   sempre il 18 giugno 2013, inoltre, la proprietà del gruppo Sangalli ha incontrato i sindacati ed i sindaci dei comuni di Manfredonia, Mattinata e Monte Sant'Angelo e ha reso noto l'accordo di «transazione strategica» (pari addirittura al 50 per cento del pacchetto azionario) con il neonato Gruppo GlassWall, del russo Dimitri Sulin che, attraverso la società STIS, è leader nella produzione, distribuzione, lavorazione e logistica del vetro float in Russia e nei paesi CSI;
   si richiama l'impegno del sottosegretario di Stato Dell'Aringa in occasione della risposta all'interrogazione 5-00177 «ad acquisire ulteriori informazioni che possano ulteriormente chiarire le vicende aziendali» –:
   se il Ministro intenda chiarire cosa abbia spinto la Sangalli ad aprire un identico stabilimento a San Giorgio a Nogaro mentre quello di Manfredonia lamentava difficoltà di mercato e presunte perdite;
   se si intendano approfondite le vere cause delle perdite e difficoltà della società «Sangalli Vetro Manfredonia Spa – ex Manfredonia Vetro Spa» e se non si siano scaricati su questa società sia gli acquisti fatti per conto dello stabilimento di Porto Nogaro (UD) sia il costo del personale in servizio presso lo stabilimento friulano, visti soprattutto i circa euro 70 milioni di finanziamento pubblico recepiti dalle aziende manfredoniane;
   quali siano le cause alla base del fallimento della società «Zadra Vetri Spa – ex Sangalli Vetro», e le azioni intraprese dalla «Sangalli Vetro Manfredonia Spa – ex Manfredonia Vetro Spa» per salvaguardare i livelli produttivi ed occupazionali. (5-00748)


   GAROFANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Acea è pezzo privilegiato delle aziende municipalizzate di Roma ma anche di tutto il Paese vista la sua presenza in borsa;
   l'Acea risponde a criteri di gestione di economia di mercato senza dimenticare la sua valenza sociale, peraltro tipica di tutte le aziende municipalizzate;
   Acea come tutte le municipalizzate europee deve – secondo la giurisprudenza europea ed i documenti dell'Unione europea, quelli approvati dal Consiglio d'Europa, dal Comitato delle regioni e dal Consiglio dei poteri locali, tenere conto della sua funzione sia economica che sociale e di servizio – in primo luogo ai cittadini-utenti che finanziario la sua attività e le sue strutture;
   Acea ha recentemente messo a bando i suoi servizi di call center e back office che garantisce attualmente l'occupazione di diverse centinaia di persone, nel comune di Roma;
   si tratta di risorse assunte a suo tempo dall'attuale fornitore del servizio, in ragione di una specifica condizione richiesta dal precedente bando di gara indetto da Acea spa, nel 2005;
   la nuova documentazione di gara (avviso di gara n. CLIE/CFA/008/13) non prevede alcuna tutela o garanzia per il futuro dei dipendenti in questione: non è prevista infatti – come d'uso per appalti di servizi – alcuna «clausola sociale» finalizzata all'utilizzo o al reinserimento delle risorse attualmente impiegate o alla localizzazione nel comune di Roma delle sedi destinate a svolgere, in tutto o in parte, i servizi in questione;
   anzi è prevista la possibilità per il soggetto «aggiudicatario, previa autorizzazione di Acea SpA, di delocalizzare il servizio, in tutto o in parte, in territorio extranazionale ed è del tutto verosimile che i soggetti partecipanti si avvarranno in larga misura di tale opzione al fine di abbattere i costi del servizio, tenuto conto che il criterio di aggiudicazione della gara è esclusivamente quello del miglior prezzo –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro al fine di esperire ogni possibilità consentita, per salvaguardare non solo i posti di lavoro attuali ma anche la qualità del servizio garantito ai cittadini utenti.
(5-00762)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRILLO, LOREFICE, DALL'OSSO, DI VITA, MANTERO, LOMBARDI, MARZANA, CECCONI, SILVIA GIORDANO, D'INCÀ, D'UVA, COZZOLINO, DI BENEDETTO, VILLAROSA, NUTI, MANNINO e BRESCIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Enpam, Ente nazionale di previdenza e assistenza medici, fu originariamente costituito con regio decreto n. 1484 del 1937 come Cassa di assistenza del sindacato nazionale fascista medici, per essere poi trasformato il 27 ottobre 1950 in ente di diritto pubblico, assumendo l'attuale denominazione;
   con il nuovo statuto, approvato nel 1958, l'attività dell'ente – originariamente concepita come attività assistenziale – fu riconfigurata come attività di previdenza e di assistenza;
   con la legge 20 marzo 1975 n. 70 (cosiddetta legge sul parastato) l'Enpam fu inquadrato tra gli Enti gestori di «forme obbligatorie di previdenza e di assistenza» e riconosciuto di «notevole rilievo» con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 1975;
   il patrimonio dell'Enpam ebbe così origine negli anni ’50 e per i primi decenni fu costituito quasi interamente da investimenti di natura immobiliare, sulla base della normativa che, a garanzia della solidità patrimoniale, imponeva, fino ai primi anni ’90, tale politica di investimento;
   nel 1993, a fronte di un patrimonio da «reddito» complessivo pari a 2,378 milioni di euro, gli investimenti mobiliari rappresentavano il 3,57 del totale, contro 96,43 di quelli immobiliari;
   tale patrimonio, come del resto quello di tutte le cosiddette casse professionali, ha da sempre una gestione alimentata da un consistente prelievo obbligatorio di contributi previdenziali a carico dei professionisti iscritti e per tale ragione l'Enpam è assoggettato alla vigilanza ministeriale e al controllo della Corte dei conti, anche in considerazione del perseguimento di fondamentali interessi pubblici di rilevanza costituzionale;
   l'Enpam viene trasformato in fondazione di diritto privato in virtù del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, ma conserva un carattere ibrido di ente formalmente privato e sostanzialmente pubblico, come confermato sia dalla normativa comunitaria (che lo qualifica come organismo di diritto pubblico), sia da quella nazionale e dalla consolidata giurisprudenza amministrativa;
   a partire dal 1995, anno della trasformazione dell'ente in Fondazione di diritto privato mutano però radicalmente – in assenza di indirizzi normativi specifici – le politiche di investimento, che «virano» decisamente verso il comparto dei titoli mobiliari;
   il patrimonio complessivo della Fondazione registra un progressivo e consistente aumento sia in termini nominali (per la rivalutazione dei cespiti immobiliari precedentemente iscritti al valore storico di acquisto) sia per l'afflusso di una crescente massa contributiva proveniente dalla corte dei medici nati nel cosiddetto periodo del baby boom (1959-1964) ed entrati nella professione fra il 1986 e il 1994;
   al 31 dicembre 2012 la ripartizione degli investimenti patrimoniali pone quelli immobiliari a una quota del 35,93 per cento e quelli mobiliari al 64,07 per cento del totale (Bilancio consuntivo Enpam 2012, pagina 11);
   oggi il numero totale di medici e odontoiatri iscritti è pari a 354.553 con 93.069 pensionati ma il rapporto tra medici in attività e pensionati è destinato progressivamente a invertirsi, soprattutto quando la coorte dei medici nati nel cosiddetto periodo del baby boom andrà in quiescenza (quindi a partire dal 2024);
   già nel 2012 il numero dei pensionati del fondo della libera professione ha avuto un incremento, in un solo anno, del 16,38 per cento (bilancio consuntivo Enpam 2012, pagina 217), mentre per il fondo dei medici di medicina generale, a fronte di un dato stabile di iscritti, la crescita del numero dei pensionati è stata in un anno del 3 per cento circa (bilancio consuntivo Enpam 2012, pagina 218);
   a fronte della complessità delle problematiche previdenziali, che pone soprattutto un grave ed evidente problema di equità intergenerazionale, emergono numerose vicende da cui si evince che l'ampia disponibilità di risorse economiche della Fondazione è stata strumentalizzata per finalità ad avviso degli interroganti non coerenti con la missione previdenziale della Fondazione;
   a più riprese, particolarmente a partire dallo scorso anno, l'Enpam è stato al centro di una serie di vicende a sfondo penale, che hanno investito, fra gli altri, l'allora Presidente ed ex deputato prima democristiano e poi di Forza Italia, Eolo Parodi, il componente del consiglio di amministrazione, professor Maurizio Dallocchio, consigliere ENPAM, docente di economia aziendale alla Bocconi, molto vicino alla famiglia Ligresti (è stato relatore della tesi di laurea di Ligresti Giulia, con la quale è coautore del libro «Brand Italiani» pubblicato da Egea) e alla famiglia Berlusconi (ha organizzato un convegno su etica ed economia con Barbara Berlusconi), l'ex direttore generale Leonardo Zongoli e il responsabile gestione investimenti finanziari, Roberto Roseti;
   le operazioni finanziarie sospette sono state molteplici, come quelle direttamente a favore di un fondo gestito dalla DGPA, società di cui Dallocchio detiene il 25 per cento assieme ad altri tre suoi colleghi universitari (i professori Girardi, Pieroni e Avanzini), l'acquisto dei titoli «Anthracite», e di 13 strutturati per un valore complessivo di 678 milioni, con advisor delle operazioni Gdp ovvero Géstion de patrimoines, società elvetica sbucata anche nella storia Alexandria-Mps, e altri quattro strutturati previa consulenza di Green Securities, per un controvalore di 90 milioni;
   su iniziativa del presidente dell'ordine dei medici di Bologna, dottor Pizza, che il 26 febbraio 2010 punta il dito sull’«eccessiva esposizione a titoli credit-linked» e sulla «presenza di titoli con profilo dei pagamenti particolarmente complesso», «di affidare alla società Srl Group Capital Advisers Ltd per un compenso pari ad 70.000,00 euro l'analisi del portafoglio mobiliare dell'Ente (...) e l'individuazione di eventuali criticità presenti nel portafoglio». Pizza è accontentato. Tant’è che alla vigilia delle elezioni annuncia pubblicamente di non essere più così preoccupato per il domani, perché «vedo attenzione da parte del Consiglio di Amministrazione e da parte dei Consiglieri Nazionali e condivido il loro ottimismo»;
   il 9 dicembre 2010, Gallazzi, bolognese come Pizza, presenta il suo «rapporto finale», 78 pagine fitte di analisi e dati;
   con interi paragrafi identici, parola per parola, a quelli dell'intervento di Pizza del 26 febbraio – a partire dal passaggio che criticava «l'eccessiva esposizione a titoli credit-linked». Il nome di Dallocchio non viene mai fatto, ma sono evidenziate svariate operazioni con commissioni agli intermediari ritenute eccessive e ingiustificate;
   le operazioni immobiliari che sono state, da ultimo, al centro delle inchieste della magistratura riguardano tre acquisti fatti dall'Enpam a prezzi, secondo gli inquirenti, gonfiati con un esborso complessivo di 590 milioni di euro;
   il primo acquisto ha ad oggetto il palazzo della Rinascente di Milano a Piazza Duomo, comprato dall'Enpam a fine 2010 per 472 milioni, tramite il fondo immobiliare Ippocrate, interamente partecipato da Enpam e gestito da FARE (First atlantic real estate) sgr; venditrice è la società Prelios (già Pirelli RE) che lo aveva acquistato il 28 maggio 2007 per 360 milioni e che con la vendita all'Enpam realizza, in piena crisi immobiliare, un'insperata plusvalenza di 108 milioni. Tale prezzo risulta il più alto mai pagato in Italia per un immobile: basti pensare che la Torre Velasca, simbolo di Milano, poco prima venne stimata 100 milioni di euro e Palazzo Broggi in Piazza Cordusio fu acquistato per 54 milioni di euro;
   gli altri due immobili concernono acquisti in Roma Via Serafico (zona EUR) dal «palazzinaro» Pulcini: il primo per 58 milioni dalla società venditrice Belgravia Invest srl che realizza una plusvalenza del 29,85 per cento (precedente acquisto pari a 29 milioni), il secondo, sempre in via Serafico, per 59 milioni, venduto dalla Coedimo che realizza una plusvalenza del 62 per certo (per acquistarlo aveva pagato pochi mesi prima 23 milioni); sia Belgravia sia Edimo sono collegate e organiche al Gruppo Pulcini dell'imprenditore omonimo;
   da ultimo, sul sito EnpamVeritas, è riportata una lettera aperta al presidente dell'Enpam Oliveti; a firma del professor Guido Caprio, nella quale testualmente si legge: «È pervenuta la notizia che il Direttore del Patrimonio Caccamo ha ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura della Repubblica di Roma. Chiedo che questa notizia gravissima sia immediatamente smentita e sia anche precisato che Caccamo sia tuttora in servizio nella sua carica dirigenziale»;
   oltre agli scandali finanziari e immobiliari di cui sopra, non si può dire che gli altri aspetti della gestione amministrativa eccellano per risultati e trasparenza, come dimostra il capitolo, riportato a titolo esemplificativo, della spesa per gli organi della Fondazione;
   dal confronto dei bilanci 2011 e 2012 emerge un'ulteriore crescita delle spese per gli organi della Fondazione, che, anziché essere incarichi di natura onoraria, sono ben retribuiti e finiscono per gravare sul bilancio della fondazione per importi sempre più consistenti e, oggi, rappresentano una vera e propria tassa di 15,21 euro annui per ciascun medico iscritto;
   tali spese, infatti (che nel 1993, prima della privatizzazione, erano pari a 215 mila euro equivalenti in euro correnti 2012 a 342.065) sono salite in un solo anno di mezzo milione di euro, passando nel 2012 a 4,8 milioni di euro a fronte di 4,3 milioni di euro del 2011, a cui si aggiungono 569.440 euro per gli organi della Enpam Real Estate – spese, queste ultime, per quanto consta agli interroganti, che costituiscono una sostanziale duplicazione essendo tale società solo un veicolo operativo – e senza considerare gli ulteriori importi presumibilmente goduti da una parte dei consiglieri di amministrazione della Fondazione che rivestono incarichi nel Fondo Ippocrate;
   oltre alle vicende sopra esposte, sussiste poi un evidente e più generale problema di trasparenza informativa riguardante la gestione del bilancio e le politiche previdenziali; al riguardo il Consiglio nazionale della Fondazione previdenziale dei medici, negli scorsi giorni, ha approvato il bilancio consuntivo dell'anno 2012, che registra un avanzo di gestione di 1,29 miliardi di euro e il presidente Oliveti ha dichiarato che «il risultato del saldo previdenziale registrato nel 2012, che misura la differenza tra entrate contributive e spese per le prestazioni previdenziali e assistenziali nell'anno, è stato superiore dell'8,9 per cento rispetto a quanto era stato prefigurato nel bilancio tecnico predisposto dagli attuari per calcolare la nostra sostenibilità a lungo termine»;
   in realtà, tale situazione, apparentemente florida, è il risultato puramente contingente e temporaneo di un elevato numero di medici attivi e di un numero ancora relativamente basso di pensionati, situazione destinata a capovolgersi nel giro di un decennio;
   infatti, nel 2012 si è verificata una situazione nuova nell'ambito delle gestioni previdenziali, che, pur in sé evidente, non risulta essere stata evidenziata nei vari comunicati stampa della Fondazione: se il saldo tra entrate-uscite è ancora ampiamente positivo, per la prima volta, è invece diventato negativo il trend della gestione: mentre nel 2011 il saldo delle variazioni intervenute rispetto all'anno precedente nella gestione previdenziale era ancora positivo (36,3 milioni di euro, pari al 3 per cento della spesa previdenziale, come si evince dal conto economico 2011 a pagina 37 del bilancio consuntivo stampato dalla Fondazione), nel 2012 tale saldo è diventato negativo per oltre 60 milioni di euro (60.131.834,00, pari al 4,8 della spesa previdenziale), dato che segna l'inizio dell'inesorabile declino della gestione previdenziale;
   per rendere sostenibile una spesa per pensioni che ha largheggiato con le corti più anziane (che, detenendo il potere decisionale, difficilmente abbandonano i propri privilegi) la Fondazione ha approvato nel 2012 una riforma pensionistica che, con forti sperequazioni intergenerazionali, aumenta le aliquote contributive per i medici giovani e ne riduce il coefficiente di rendimento in misura tale che ormai sarebbe più conveniente per i medici giovani versare i propri contributi non all'Enpam ma allo Stato sotto forma di prestito forzoso in titoli di Stato –:
   per quale ragione al conto consuntivo della Fondazione Enpam per l'anno 2012 sia allegato il bilancio della Enpam real estate e non quello del Fondo immobiliare Ippocrate;
   se il Ministro vigilante intenda assumere iniziative volte a garantire trasparenza informativa agli iscritti rendendo pubbliche, attraverso il sito internet, le delibere degli di amministrazione degli enti previdenziali privatizzati e delle società o fondi da essi partecipati in modo totalitaria;
   quali componenti del consiglio di amministrazione dell'Enpam rivestano cariche in fondi, società o altri veicoli finanziari (esempio Fondo Ippocrate) e quali ulteriori compensi percepiscano a tale titolo;
   se e quali iniziative siano state assunte o si intendano assumere riguardo alle questioni di cui in premessa, anche tenuto conto che sia nel consiglio di amministrazione sia nel collegio dei sindaci sono presenti componenti di nomina ministeriale;
   quando siano in scadenza i predetti incarichi di nomina ministeriale nei consigli di amministrazione e collegi dei sindaci degli enti previdenziali privatizzati e con quali criteri si intendano rinnovare tali incarichi;
   se risulti sussistere per tutti i componenti dei consigli di amministrazione e collegi dei sindaci degli enti previdenziali privatizzati l'obbligo del possesso dei requisiti di capacità professionale e indipendenza analogamente a quanto previsto per gli amministratori delle imprese assicurative;
   se il Governo abbia adottato o intenda adottare indirizzi puntuali per assicurare in futuro che gli investimenti mobiliari e immobiliari degli enti di previdenza, anche privatizzati, siano congrui rispetto alla finalità previdenziale, trasparenti e non siano attivati per finalità speculative;
   quale sia la ripartizione percentuale ad oggi degli investimenti patrimoniali versus quelli immobiliari dell'Enpam.
(4-01414)


   RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società SITT Srl (Società installazioni telefoniche e telematiche), costituita nel 1984, operava nel territorio della regione Marche nei settori relativi alla progettazione, realizzazione, fornitura di sistemi telematici e di sicurezza, impiantistica e reti dati, oltre che all'installazione chiavi in mano di ripetitori per la realizzazione della rete cellulare dell'epoca UMTS, offrendo prodotti rispondenti agli standard nazionali, europei ed internazionali, come tra l'altro richiesto da tutti i provider che avevano acquistato la licenza dallo Stato italiano;
   la società SITT sul territorio marchigiano aveva circa il 78 per cento degli ordinativi da tutti i providers per la rete cellulare;
   nel 2001 la regione Marche ha emanato una legge regionale sulle modalità di installazione degli impianti (legge n. 25 del 2001 in materia di impianti fissi di radiocomunicazione) che ha fissato una limitazione del campo elettromagnetico a 3 volt per metro quadrato rispetto ai 6 volt per metro quadrato previsti dalla normativa nazionale, pur sapendo, il legislatore regionale, di non averne la competenza;
   tutto ciò ha procurato forti ripercussioni economiche sulle aziende operanti nel settore della telefonia mobile, incapaci di poter realizzare la rete UMTS come da protocollo nazionale;
   tale impossibilità di realizzare la rete UMTS con i parametri della legge regionale n. 25 del 2001, avallato anche dal Ministero delle comunicazioni, ha determinato il ritiro di tutti gli ordini già emessi alle aziende operanti nelle Marche, tra le quali la SITT srl;
   la Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla vicenda, nel 2003 con sentenza n. 307 ha dichiarato incostituzionali le disposizioni della regione Marche che fissavano i limiti di esposizione della popolazione più restrittivi rispetto a quelli indicati dalla legge nazionale, dichiarando nel dettaglio l'illegittimità costituzionale degli articoli 3, commi 4 e 5, e 7, comma 3, della legge regionale delle Marche 13 novembre 2001 n. 25;
   conseguentemente all'applicazione della suddetta legge regionale (dichiarata poi incostituzionale), nel 2006 la società SITT, che era passata da un fatturato di svariati milioni nel 2000 a zero nel 2001, è fallita, non potendo più assicurare la continuità aziendale e procedendo così al licenziamento di circa 200 addetti;
   la curatela fallimentare della SITT srl ha citato in giudizio la regione Marche come responsabile del fallimento dell'azienda stessa;
   nel gennaio 2012 con sentenza n. 98 il tribunale di Ancona ha condannato la regione Marche a risarcire l'azienda SITT per i danni subiti, in quanto è stata accertata la responsabilità del suo dissesto nelle disposizioni della legge regionale n. 25 del 2001 che definiva limiti più restrittivi all'installazione dei siti per telefonia, determinando il blocco delle installazioni dell'azienda;
   per l'erogazione del risarcimento, tuttavia, occorre attendere il completamento dei tre gradi di giudizio, ma ciò comporterebbe la definitiva débacle dei titolari dell'azienda, che per sopperire alle esigenze dei creditori fallimentari hanno ceduto tutti i loro beni che a breve verranno venduti all'asta;
   inoltre, il pagamento dei danni come da sentenza del tribunale di Ancona riattiverebbe immediatamente 15/20 posti di lavoro ad Ancona con gli ex SITT srl poiché quest'ultima ritornerebbe in bonis;
   è stata altresì presentata una interrogazione al Parlamento europeo per il mancato rispetto delle norme comunitarie da parte della regione Marche e di conseguenza, in sostanza, del Governo italiano –:
   se non intenda promuovere ogni iniziativa, per quanto di competenza, per far fronte alle gravi conseguenze della situazione creatasi, con particolare attenzione alla tutela dei lavoratori interessati, nell'attesa che i tempi dell’iter giudiziario si completino e che l'azienda venga risarcita. (4-01417)


   GIULIETTI e LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprezza lo sforzo che le Regioni Marche ed Umbria stanno producendo per rendere praticabile e utilizzabile l'accordo e i 17,5 milioni di euro previsti per il rilancio dell'area e per dare risposte al dramma occupazionale delle zone, dove alla crisi del settore elettrodomestico si sommano quelli dell'edilizia, della ceramica e della metalmeccanica (basti pensare alla vicenda Faber);
   tale apprezzabile impegno di per sé, rischia di non riuscire a garantire però la risoluzione di una vertenza come quella della fascia appenninica, dove si sommano più emergenze sul terreno occupazionale, con un impatto devastante sul terreno della coesione sociale;
   la scadenza della cassa integrazione per la A. Merloni cade il 13 novembre 2013;
   è necessario che tutte le risorse destinate all'accordo di programma e i 5 milioni investiti dall'Unione europea nella formazione professionale vengano utilizzati in maniera produttiva ed intelligente;
   la crisi esplosa alla Indesit di Fabriano è ulteriore conferma delle difficoltà di tutto il settore degli elettrodomestici. Il nostro Paese non può abbandonare questo settore e la componentistica che vi è collegata;
   tutte le risorse dell'accordo di programma dell'Antonio Merloni vadano utilizzate per dare una risposta ai temi della reindustrializzazione della fascia appenninica delle Marche e dell'Umbria, evitando sovrapposizioni –:
   se il Governo intenda aprire quanto prima un tavolo per la difesa e il rilancio del settore;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per dar vita a un progetto concreto per tutelare l'occupazione e rilanciare gli investimenti strategici e la competitività del comparto;
   quali iniziative il Governo intende adottare per salvaguardare gli attuali livelli occupazionali e le prospettive industriali dello stabilimento agevolando la formulazione di un piano industriale volto, altresì, a recuperare la competitività necessaria sui mercati internazionali;
   se il Governo intenda allargare le risorse a disposizione per la difesa e la valorizzazione di un settore fondamentale come quello rappresentato dagli elettrodomestici, se il Governo intenda mettere in campo tutte le energie necessarie per una politica industriale vera, che valorizzi l'attrattività delle aree, con il riconoscimento dell'esistenza di una crisi complessa, e consenta alle regioni di valorizzare una delle sue caratteristiche fondamentali, ovvero l'industria manifatturiera. (4-01435)


   DE LORENZIS, D'INCÀ, MUCCI, CECCONI, SILVIA GIORDANO, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, NICOLA BIANCHI, LOREFICE, LOMBARDI e D'UVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 marzo 2013 è stato sottoscritto un accordo tra i sindacati e l'azienda Ilva di Taranto per i Contratti di Solidarietà che consiste nell'impiegare a rotazione una parte dei lavoratori nell'attività lavorativa;
   risulta da fonti interne allo stabilimento che molti lavoratori dell'Ilva stiano effettuando straordinari andando a ricoprire mansioni che non gli spettano per competenza e per esigenza di reparto;
   questa situazione rappresenta ovviamente un risparmio economico per l'azienda, che non retribuisce per intero tutti i lavoratori e oltre a ciò vi è il rischio che lavoratori che non siano preparati ad affrontare determinate mansioni che non spettano al proprio reparto, e quindi possano essere messi a rischio di incidenti sul lavoro –:
   come il Ministro intenda affrontare questa vicenda;
   se sia intenzione del Ministro interrogato intervenire, eventualmente tramite l'azione del commissario, per imporre all'azienda Ilva commissariata dallo Stato italiano con il decreto-legge n. 61 del 2013, il reimpiego degli operai che non stanno attualmente lavorando perché con contratto di solidarietà, e per impedire il ricorso allo straordinario ai lavoratori, già duramente provati da una regolare giornata di lavoro logorante;
   se il Ministro creda sia opportuno e doveroso chiedere chiarimenti e delucidazioni in merito a tale gestione al commissario. (4-01445)


   ZACCAGNINI, LABRIOLA e FURNARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto-legge n. 201 del 2001 il Governo Monti ha deciso di inglobare, gli enti evidenziali INPDAP e ENPALS all'interno dell'ente previdenziale INPS. Tutto questo per armonizzare il sistema pensionistico attraverso l'applicazione del sistema del metodo contributivo;
   in sostanza il nuovo Inps è subentrato in tutti i rapporti attivi e passivi dei due enti previdenziali. La scelta di tale unificazione è stata dettata dall'esigenza di realizzare un cospicuo risparmio delle spese di personale e di funzionamento attraverso il processo di razionalizzazione organizzativa che ne sarebbe conseguito. Le modalità di attuazione della misura sono contenute nell'articolo 21, commi da 1 a 9;
   in data 17 luglio 2013 il quotidiano Il Sole 24 ore in un articolo dal titolo: «L'Inpdap porta in rosso l'Inps il bilancio torna negativo (-9 miliardi) a causa della fusione». «La relazione più difficile in cinque anni di gestione». È quanto afferma, nell'articolo, il presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua, il quale partendo dagli effetti della crisi economica e finanziaria, che negli ultimi 4 anni ha fatto salire a 80 miliardi la spesa per la sola cassa integrazione e indennità di disoccupazione (coperta per circa il 57 per cento dai contributi sociali) denuncia una situazione di crisi. Poi passa ai risultati di bilancio e, spiegato che non dipende da questi numeri la stabilità finanziaria del sistema pensionistico messo in sicurezza dalle ultime riforme, annota: «Dopo quattro anni di conto economico in nero quest'anno l'Inps torna al rosso. Un disavanzo finanziario – dice Mastrapasqua – in tutto imputabile alla gestione dei lavoratori pubblici»;
   era stato previsto che l'incorporazione dell'Inpdap avrebbe avuto un impatto negativo è così è stato: quasi 9 miliardi di disavanzo finanziario di competenza contro i 7,9 miliardi di avanzo trovati nel lontano 2008. A pesare su questa gestione non è la crisi ma l'ormai annoso blocco del turn over nella pubblica amministrazione: meno dipendenti pubblici vuol dire meno contributi. E più pensioni da pagare;
   in data 16 luglio 2013 dal sito dell'ansa.it viene diramata la seguente dichiarazione: «Superinps: 9 mld rosso 2012 Dopo fusione con INPDAP (ANSA) – ROMA, 16 LUG – Nel 2012 il risultato finanziario di competenza del nuovo Inps è stato negativo per 8,996 miliardi di euro a causa dell'integrazione con l'Inpdap. L'incorporazione dell'ente pensionistico dei lavoratori della pubblica amministrazione, già rileva l'Inps, ha fatto scendere il patrimonio netto da 41,3 miliardi nel 2011 a 22 nel 2012»
   in base a tali dichiarazioni riprese dai maggiori organi di stampa emerge il dato che la previdenza privata viene spolpata: nel 2012 il risultato finanziario del nuovo Inps è stato negativo per 8,996 miliardi di euro – l'incorporazione dell'Inpdap ha dimezzato il patrimonio netto: dai 41,3 miliardi nel 2011 ai 22 nel 2012 dati ravvisabili anche ravvisabile anche sul sito internet dell'ente nella sezione «Relazione annuale del presidente»;
   in data 17 giugno 2013 si legge la seguente dichiarazione «La scelta di unificare INPS, INPDAP ed ENPALS, sulla quale abbiamo espresso sin dall'inizio le nostre perplessità e la nostra contraria fu motivata dal precedente Governo dall'esigenza di realizzare un cospicuo risparmio delle spese di personale e di funzionamento attraverso il processo di razionalizzazione organizzativa che ne sarebbe conseguito. Nel concreto, dopo circa mezzo dall'unificazione dei tre istituti, nulla di tutto ciò e ancora avvenuto»;
   queste le parole di Salvatore Chiaramente, Andrea Nardella ed Enrico Matteo Ponti, Segretari Nazionali rispettivamente di FP Cgil, Cisl FP e UIL pubblica amministrazione i quale aggiungono: «Nonostante la riduzione del numero dei componenti del collegio dei sindaci dell'INPS a tre unità, imposta dalla norma, l'organo di controllo risulta tuttora composto di ben 9 unità, tutti dirigenti generali di provenienza ministeriale, con un costo annuo complessivo di quasi 2.500.000 euro anziché di «soli» 750.000, cui si aggiungono altre ingenti somme per le auto di servizio, gli autisti, i corsi di lingua singoli per il presidente del Collegio, fino ad arrivare al buono pasto di 7 euro percepito a prescindere dall'orario ed alle regole stabilite per gli altri dipendenti»;
   «il paradosso», proseguono i tre sindacalisti «è che le 6 persone che hanno occupato le 6 posizioni aggiuntive nel collegio dei sindaci hanno lasciato liberi altrettanti posti di dirigente generale nei vari Ministeri, posti immediatamente occupati con nomine di diretta competenza del Consiglio dei ministri, con un ulteriore aggravio di spesa di circa 2 milioni di euro l'anno;
   ma non è tutto: ci sono sedi di proprietà dell'Ente semivuote mentre il personale è concentrato in palazzi per i quali si pagano fitti enormi. Il palazzo di viale Beethoven a Roma costa, sempre ai lavoratori, ai pensionati e alle imprese, la bella cifra di 10 milioni di euro l'anno di affitto! Cifra che sarebbe possibile risparmiare totalmente solo spostando gli uffici presso la semivuota sede di via Ballami, a pochi minuti di distanza, di proprietà dell'INPS. La stessa cosa succede a Napoli: due sedi vicine, una m affitto alla bella cifra di 800 mila euro l'anno, una di proprietà semi vuota;
   finora qualcuno ha pensato di porre in essere le procedure per tagliare questi sprechi, concludono Chiaramonte, Nardella e Ponti. Assolutamente no, tuttavia si è pensato bene di proporre un taglio di 96 milioni di euro del salario del personale dell'INPS. La situazione è resa ulteriormente negativa dal sostanziale rifiuto dei vertici dell'INPS di avviare un confronto, reale e concreto sui processi di riorganizzazione i cui effetti ricadono pesantemente tanto sull'utenza tanto sui lavoratori;
   è evidente che se si dovesse prendere in considerazione tale proposta mobiliteremo il personale e fermeremo l'INPS;
   tutto questo nonostante gli avvertimenti. Esattamente un anno fa, 11 luglio 2012, il comitato di indirizzo e vigilanza (CIV) dell'Inps lanciò un improvvido allarme: con l'integrazione di Inpdap e Enpals rischio di disavanzo di 6 miliardi, replicò Mastrapasqua: «La sostenibilità», dice il manager ai microfoni del Gr1, «è qualcosa che va oltre un bilancio che rappresenta dei numeri ma non rappresenta la tendenza quindi mi sento di poter dire che, a fronte di quello che sicuramente sono dei commenti tra il tecnico ma anche soprattutto politico, ci sono dei numeri incontrovertibili che sono dati dalla certificazione avvenuta dagli organismi europei della sostenibilità e delle buone riforme che sono state fatte nel nostro Paese» e da Fornero: «Il rischio pensioni denunciato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Istituto pensionistico e derivante dall'annessione dell'Inpdap «non esiste». Lo sostiene il Ministro del lavoro e politiche sociali, Elsa Fornero, per la quale il disavanzo «è conosciuto dallo Stato, sarebbe stato coperto e sarà comunque coperto adesso». Il Governo «ha cambiato le regole» e «le istituzioni internazionali certificano la sostenibilità dei conti», ha aggiunto;
   alla perdita corrente reale causata quest'anno da Inpdap-Enpals ai conti sani dell'Inps privata è più alto, infatti al disavanzo complessivo di SuperInps dobbiamo aggiungere il mancato avanzo che mediamente Inps da sola portava a casa ogni anno, un miliardo circa, che anno dopo anno avevano costituito un tesoretto da 42 miliardi, ora di colpo dimezzato –:
   se siano a conoscenza dei fatti narrati;
   se in base alla luce dei 20 miliardi di disavanzo di due anni che sono stati sottratti al patrimonio Inps, con un tale trend non ci sia il reale rischio che nel 1025 ci sia il completo azzeramento di tutto il patrimonio;
   se non intendano in base anche alle denunce dei sindacati intraprendere azioni che gravano sulle casse dell'Inps;
   quali azioni intenda intraprendere al fine di tutelare l'ente Inps e quindi le pensioni dei cittadini italiani. (4-01451)


   ZARDINI, D'ARIENZO, COCCIA, DAL MORO e ROTTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica e sociale che coinvolge l'Italia impegna il Governo a mettere in atto delle strategie che influiscano positivamente sul livello occupazionale del Paese, con particolare riguardo ai soggetti maggiormente coinvolti dall'emergenza sociale;
   tra questi rientrano i soggetti disabili, tutelati dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, avente la finalità di «promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro» (articolo 1); a tal fine, l'articolo 3, comma 1, della medesima legge disciplina le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili;
   l'Inps con determinazione n. 438 del 2 dicembre 2011 ha approvato lo schema di convenzione previsto dall'articolo 11 della citata legge – che stabilisce le finalità, la programmazione delle assunzioni, i criteri per la selezione dei soggetti disabili, le modalità di attuazione, la sottoscrizione del contratto individuale, la verifica dello stato di attuazione ed altro – autorizzando ciascun direttore regionale a stipulare lo schema di convenzione e approvando, per l'anno 2012, l'assunzione di n. 250 unità di disabili in area B/B1 da distribuire sul territorio nazionale; il prospetto informativo, parte integrante della determinazione, evidenzia una scopertura pari a 495 unità di disabili rispetto alle 250 assunzioni programmate; l'Inps, tramite i direttori regionali dell'Istituto, e le province hanno sottoscritto la predetta Convenzione;
   dopo la procedura di selezione dei soggetti disabili, l'Inps comunica ai candidati il risultato della selezione e richiede ai soggetti idonei e collocati in posizione utile nella graduatoria di assunzione la documentazione utile al fine di perfezionare l’iter di assunzione; a tale scopo i soggetti interessati all'assunzione presentano la documentazione richiesta;
   per il 2013 l'Inps ha sospeso cautelativamente il processo di assunzione relativo ai soggetti disabili ai sensi della legge n. 68 del 1999, a causa delle modifiche normative ed organizzative intervenute negli ultimi anni relative alla soppressione dell'Inpdap e dell'Enpals a decorrere dal 1o gennaio 2012 e l'attribuzione all'Inps delle relative funzioni (articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) e alla riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni (articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135);
   l'Inps, ai sensi dell'articolo 2 del citato decreto-legge n. 95 del 2012 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 gennaio 2013, ha successivamente rideterminato la dotazione organica dell'Istituto e rilevato la soprannumerarietà del personale in diverse aree rispetto al nuovo organico, tale da non consentire l'attuazione delle procedure di assunzione delle categorie protette nel limite della quote d'obbligo;
   inoltre, i tempi lunghi del processo di selezione e reclutamento dei soggetti disabili interessati non ha consentito l'assunzione essendo intervenute nel frattempo alcune disposizioni di legge che vietano alle pubbliche amministrazioni che presentano una situazione di soprannumerarietà e eccedenza di effettuare le assunzioni previste dalla determinazione dell'Inps n. 438 del 2 dicembre 2011;
   considerato l'impedimento di procedere all'assunzione dei soggetti disabili, risultanti idonei alle prove di selezione organizzate dall'Inps, nelle aree in cui sono presenti posizioni soprannumerarie, si ritiene urgente accelerare le procedure previste dalle disposizioni vigenti al fine di eliminare le posizioni soprannumerarie e le eccedenze di personale presso l'Inps e consentire l'assunzione dei soggetti in questione. In caso contrario l'obbligo prioritario di assunzione da parte dell'Inps delle quote di disabili diventa aleatorio –:
   se non ritenga necessario effettuare una ricognizione nelle pubbliche amministrazioni al fine di conoscere lo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68, rendendo accessibili le informazioni scaturite dall'accertamento stesso e di intervenire nel caso in cui venga rilevato che gli obblighi della legge a favore dei soggetti disabili non siano stati rispettati;
   se non reputi urgente accelerare nelle pubbliche amministrazioni ed in particolare nell'Inps le procedure di mobilità collettiva che presentano situazioni di soprannumero e di eccedenze di personale (articoli 6 e 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) e dare attuazione al piano di assorbimento dei soprannumerari entro il 31 dicembre 2014 (articolo 2, comma 11, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135) al fine di non disattendere le giuste aspettative dei soggetti disabili risultati idonei nel processo di reclutamento messo in atto dall'Inps;
   se non ritenga necessario valutare la possibilità di effettuare le assunzioni in questione in profili professionali appartenenti ad aree dell'Inps in cui vi sia disponibilità di posti e non posizioni soprannumerarie. (4-01464)


   SOTTANELLI e VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto di lavoro dei medici convenzionati addetti all'emergenza sanitaria territoriale (EST) 118 è regolato dall'ACN – Accordo collettivo nazionale di lavoro, avente forza di legge dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale;
   ulteriori accordi sono demandati ai tavoli tecnici regionali (AIR – accordi integrativi regionali) e pubblicati sui BUR;
   le parti sono tenute a rispettare gli accordi sottoscritti e, in caso contrario, sono passibili delle sanzioni previste dalla legge per comportamento antisindacale;
   tra le ASL e i medici convenzionati non esiste un rapporto di lavoro di tipo subordinato, bensì un rapporto su base paritaria, vincolante per entrambe le parti;
   risulta agli interroganti che, da oltre quattro anni, è in atto una grave forma di discriminazione nel trattamento economico a danno dei medici convenzionati EST 118 della provincia di Chieti rispetto ai medici convenzionati delle altre Province della regione Abruzzo (2.700 euro contro i 3.500 euro medi mensili);
   tale discriminazione si concreta nella decurtazione del 59,55 per cento dell'unica indennità peculiare degli addetti EST 118, alla quale si aggiunge un'ulteriore riduzione della tariffa prevista per gli straordinari;
   le differenze di trattamento coinvolgono anche l'aggiornamento continuo che la ASL dovrebbe garantire ai medici EST – ma che, di fatto, non garantisce – in base a quanto stabilito dall'accordo regionale e dall'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997 n. 281, aggiornamento fondamentale in un settore sanitario delicato come quello dell'emergenza;
   sono in corso diverse vertenze giudiziarie, alcune delle quali definite con sentenze di condanna a carico della ASL n. 02 di Lanciano-Vasto-Chieti;
   dato il gravissimo e perdurante comportamento antisindacale della ASL n. 02 di Lanciano-Vasto-Chieti, dallo scorso 1o giugno 2013 l'organizzazione sindacale medica S.N.A.M.I. ha proclamato lo stato di agitazione sindacale dei medici di emergenza sanitaria territoriale in convenzione della provincia di Chieti;
   i medici EST 118 oltre che salvare vite umane, contribuiscono ad evitare gli accessi impropri al pronto soccorso, prestando le prime cure ai pazienti che presentano bassa complessità assistenziale sul posto, assumendosene la responsabilità –:
   se, nell'ambito delle proprie competenze, intendano approfondire le criticità esposte in premessa con l'obiettivo di acquisire maggiori e dettagliati elementi informativi circa le inaccettabili discriminazioni che subiscono da anni i medici convenzionati EST 118 della provincia di Chieti e ripristinare al più presto e per intero quanto previsto dagli accordi nazionale e regionale, nonché dalla normativa vigente. (4-01467)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i cambiamenti climatici sono una delle sfide più importanti che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni. L'accentuata variabilità del clima che determina ricorrenti periodi di siccità alternati a periodi di precipitazioni alluvionali sono tutti sintomi di un mutamento climatico ormai in atto; tale variabilità climatica determina uno scenario preoccupante per la carente disponibilità di risorse idriche e per la vulnerabilità del suolo;
   molti settori economici dipendono direttamente dalle condizioni climatiche e, tra di essi, l'agricoltura risulta un settore particolarmente esposto in quanto, a causa della variabilità climatica, la distribuzione delle piogge non è conforme alle esigenze vegetative delle piante e determina gravi problemi per le produzioni con riguardo specifico anche ai livelli qualitativi che devono caratterizzare le produzioni per affrontare idoneamente la concorrenza dei mercati;
   l'irrigazione rappresenta l'indispensabile elemento tecnologico necessario ad attenuare le conseguenze negative discendenti dal clima e dalle precipitazioni. L'irrigazione è indispensabile non solo per superare gli ostacoli del clima e far fronte alla siccità ma anche per garantire l'elasticità nelle produzioni e rispondere alle mutevoli esigenze dei mercati;
   si valuta che più del 40 per cento del valore lordo della produzione agricola italiana dipende, sia pure in grado diverso, dall'irrigazione, mentre il restante 60 per cento si ottiene con le risorse idriche naturalmente derivanti dalle precipitazioni meteoriche;
   la sicurezza alimentare è strettamente subordinata alla disponibilità dell'acqua per l'irrigazione;
   per dare idonee risposte agli accresciuti fabbisogni connessi alla variabilità del clima, il sistema infrastrutturale irriguo del nostro Paese, e in particolare della Calabria, necessita di interventi di ammodernamento e completamento finalizzato ad un uso razionale dell'utilizzazione delle acque e al risparmio idrico, estendendo l'irrigazione nei molti territori ancora non attrezzati;
   con diversi interventi finanziati dalla Stato, ed in parte dalla regione Calabria, sono state realizzate le prime opere dello schema irriguo della Bassa valle del Neto, di competenza del consorzio di bonifica Jonio Crotonese. Gli interventi realizzati consistono nella grande Vasca di Calusia di 900.000 metri cubi finanziata dall'Agensud, nell'adduttore principale del diametro iniziale di 2 metri e dello sviluppo di oltre 13 chilometri, finanziato dalla gestione commissariale del Ministero, e la prima parte della rete di distribuzione su 1.300 ettari, finanziata dalla regione Calabria e dalla stessa gestione commissariale e non ancora realizzata perché non è stata ancora definita la competenza tra il consorzio di bonifica di Catanzaro e quello di Crotone, dopo il varo della legge regionale che ha previsto di unificare i due suddetti consorzi. L'intero comprensorio che può essere servito è di oltre 11.000 ettari;
   occorre completare l'intervento per riconvertire la vecchia e dispendiosa rete di canalette con un moderno impianto di irrigazione tubato e rendere pienamente fruibili le opere realizzate o in corso di realizzazione con finanziamenti pubblici per complessivi 40 milioni di euro –:
   se il Ministro interrogato intenda confermare l'impegno finanziario relativo ai lavori di costruzione della rete (IV stralcio), attualmente bloccati a causa di risoluzione contrattuale con l'appaltatore, così evitando il disimpegno delle risorse;
   quali strumenti il Ministro intenda porre in essere per completare tale importante infrastruttura fortemente attesa dagli operatori agricoli della zona, che renderebbe più sostenibile una agricoltura irrigua di qualità in un'area del Paese che, purtroppo, non offre tante altre occasioni di sviluppo;
   se il Ministro interrogato, in sede di definizione dell'Accordo di partenariato per la PAC 2014-2020, intenda sostenere, nell'ambito del secondo pilastro, la realizzazione di infrastrutture irrigue collettive destinate al completamento ed all'ammodernamento di reti e impianti, all'ampliamento dell'irrigazione, alla realizzazione di bacini di accumulo. (5-00719)


   BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agrumicoltura siciliana in queste settimane è sotto attacco della cosiddetta tignola denominata Prays citri o verme della zagara che di norma si riproduce per tre generazioni l'anno;
   purtroppo l'andamento climatico in Sicilia sta accentuando ancora di più questo problema con un parassita che sta distruggendo interi raccolti;
   in particolare la zona acese è duramente colpita con le catene di distribuzione che hanno bloccato la compravendita del prodotto proprio in relazione alla presenza di questo parassita;
   gli operatori economici e gli agrumicoltori, dopo la cenere lavica stanno affrontando anche questa emergenza compromettendo la sopravvivenza stessa delle attività economiche oberate da costi e debiti –:
   se e quali misure il Ministro intenda attivare unitamente alla regione Sicilia per affrontare la prays citri e sostenere gli agrumicoltori in difficoltà. (5-00753)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SOTTANELLI e MATARRESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i Consorzi di vigilanza campestre, che sono una peculiarità esclusivamente pugliese, sono associazioni tra agricoltori, senza scopo di lucro e rientrano nel novero degli enti non commerciali, senza personalità giuridica, sottoposte al controllo delle prefetture che ne rilasciano annualmente l'autorizzazione al prosieguo dell'attività;
   molte di queste realtà esistono da oltre novant'anni e danno lavoro in tutta la regione ad oltre 350 dipendenti, tutti inquadrati come OTI (operai a tempo indeterminato) nel settore agricolo;
   la contrattazione che regolamenta questi rapporti di lavoro è similare a quella agricola e comunque sotto l'aspetto previdenziale si avvale della stessa fiscalità;
   pertanto la previdenza agricola è quella applicata da queste strutture per il versamento contributivo all'Inps;
   molti di questi consorzi, per pagare gli stipendi ai propri dipendenti e continuare a vivere, hanno accumulato nel tempo ritardi nel versamento all'Inps delle quote trimestrali con gli F24, che ad oggi sono quasi tutte in Equitalia, appositamente rateizzati per un complessivo ammontare di circa 4 milioni di euro nell'intera regione;
   a seguito di richiesta dell'assessorato regionale alle politiche agricole nell'anno 2012, è stato emesso il 4 gennaio del 2013 dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali uno specifico decreto di calamità atmosferica, i cui benefici sono applicabili all'anno solare in corso;
   tra gli altri, uno di questi benefici prevede la sospensione del versamento della contribuzione previdenziale agricola per le aziende ricadenti nel territorio pugliese;
   i Consorzi, nonostante siano presenti in tale territorio ed esercitino un'attività strettamente correlata a quella agricola, come la vigilanza dei campi, non possono beneficiare di questi sgravi pur assumendo personale in agricoltura –:
   quali iniziative si intendano adottare affinché anche i Consorzi di vigilanza campestre possano beneficiare della stessa sospensione del versamento della contribuzione previdenziale agricola prevista per le aziende ricadenti nella regione Puglia, oltre che degli sgravi previsti dal citato decreto di declaratoria di calamità atmosferica;
   se non sia opportuno intervenire presso l'Equitalia, che recupera per conto dell'Inps il credito nei confronti dei Consorzi, affinché tali strutture possano ottenere un piano di rateizzazione più vantaggioso e meno vessatorio, dal momento che la sommatoria degli interessi e dei costi applicati porta, in alcuni casi, ad un tasso d'interesse superiore al 18 per cento annuo, posto che in caso contrario molte di queste realtà saranno destinate a chiudere con un grave danno sia per la sicurezza e l'ordine pubblico nel territorio regionale sia per una perdita considerevole di posti di lavoro. (4-01392)


   SOTTANELLI e MATARRESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, («Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della legge 7 marzo 2003, n. 38»), che istituisce le società agricole, disciplina all'articolo 7 il cosiddetto compendio unico e stabilisce, fra l'altro, le agevolazioni fiscali connesse alla conservazione dell'integrità fondiaria, fissando in dieci anni il periodo entro il quale i terreni e le relative pertinenze costituenti il compendio unico non posso essere frazionati;
   negli anni successivi le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 99 del 2004 hanno contribuito non poco ad avvicinare la struttura dell'agricoltura italiana a quella media europea, favorendo la nascita di società di capitali e la loro capitalizzazione anche attraverso l'accorpamento della proprietà agricola;
   il legislatore del 2004 non poteva peraltro prevedere che quella che era nata per essere una misura a favore di una agricoltura più moderna si sarebbe trasformata, negli anni della crisi, in un nodo scorsoio per molte società agricole nate o capitalizzate dopo il 2004;
   in presenza di posizioni debitorie elevate e spesso non sostenibili, molte di queste società agricole, infatti, non hanno che due alternative: a) proporre all'Agenzia delle entrate il pagamento delle imposte già oggetto di agevolazione, ivi inclusi gli interessi di mora e le sanzioni, al fine di sfuggire al vincolo del compendio unico e soddisfare i creditori (per lo più il sistema bancario) attraverso l'alienazione di parti dello stesso; b) alienare l'intero compendio unico a condizioni rese proibitive dallo stato attuale dei mercati fondiari;
   è evidente come sia nel primo che nel secondo caso il vincolo del compendio unico finisce per penalizzare oltremisura quegli agricoltori che vi si erano sottoposti in una prospettiva di crescita oggi vanificata dalla crisi;
   a partire dal 1o gennaio 2013 alle società agricole è stato imposto di abbandonare la tassazione su base catastale e di tornare alla redazione dei bilanci ed alla tassazione ordinaria –:
   alla luce di quanto sopra esposto, nel momento in cui viene eliminato un importante trattamento di favore per le società agricole, se non sia opportuno restituire loro margini di libertà, assumendo iniziative per ridurre il periodo di tempo entro il quale i terreni e le relative pertinenze costituenti il compendio unico non posso essere frazionati. (4-01400)


   TONINELLI, DADONE, COZZOLINO, DIENI e FRACCARO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il progetto TELAER – avviato nell'ambito del programma triennale di sviluppo del Mezzogiorno 1988/1990 – ha consentito la realizzazione di un sistema pubblico di telerilevamento aereo per la conoscenza, gestione e protezione del territorio;
   l'iniziativa operata dallo Stato (circa 71 milioni euro il valore complessivo dei beni prodotti) prevedeva il vincolo che «i beni... acquistati o prodotti durante la realizzazione del progetto saranno acquisiti... dalla Amministrazione od entità pubblica competente in materia a cui verrà trasferita gratuitamente ed indefinitamente la proprietà dei beni per la successiva loro conforme utilizzazione»;
   con la legge n. 268 del 24 settembre 2003, tale soggetto è stato individuato nell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura – AGEA (sottoposta alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), che ha quindi assunto l'obbligo di utilizzarlo e di salvaguardare così un importante e costoso «asset tecnologico»;
   i servizi assicurati dal sistema Telaer costituiscono un potente strumento di sviluppo dell'operatività della PA in materia di governo del territorio, rendendo disponibili dispositivi impiegabili in svariati contesti dell'agire pubblico: pianificazione territoriale, costituzione e aggiornamento dell'anagrafe immobiliare integrata, tutela del paesaggio e dei siti di interesse archeologico e artistico, monitoraggio dei siti di interesse nazionale, piani per il risanamento ambientale, prevenzione e mitigazione del rischio legato al dissesto idrogeologico, e altro;
   queste potenzialità costituiscono il naturale complemento all'attività ordinaria dell'AGEA che è tenuta a realizzare ogni anno – mediante l'utilizzo del telerilevamento – la copertura aerofotogrammetrica per il 33 per cento del territorio nazionale e a certificare lo stato dell'uso del suolo attraverso l'utilizzo di collaudate metodologie di analisi e fotointerpretazione nell'ambito dei procedimenti per l'erogazione dei contributi comunitari (circa 6 miliardi di euro anno);
   con delibera del 17 aprile 2008, n. 289, per come successivamente modificata ed integrata dalla delibera del 18 giugno 2008, n. 320, AGEA ha disposto di individuare, mediante una procedura concorsuale a livello europeo, un soggetto di comprovata professionalità esercente l'attività di lavoro aereo, idoneo ad assicurare le risorse professionali (piloti e tecnici) e strumentali (hangar, locali, e altro) per l'espletamento del servizio di gestione, manutenzione e aggiornamento tecnologico del sistema Telaer;
   in data 3 marzo 2010 è stata aggiudicata dalla stazione appaltante la predetta procedura di gara, consentendo così – a partire dal 1o giugno 2010 e fino a tutto il 31 maggio 2013 – alla società Telaer srl di disporre degli strumenti contrattuali necessari ad erogare tutti i servizi previsti da AGEA;
   in data 3 aprile 2013 (a soli due mesi dalla scadenza del precedente contratto) AGEA ha «ritenuto opportuno» bandire la nuova gara per la scelta del soggetto a cui assegnare la gestione del sistema Telaer per un periodo di 4 anni, prefigurando un modello di gestione del sistema differente rispetto alle clausole e alle prescrizioni del precedente affidamento, in particolare:
    a) è posto a carico dell'aggiudicatario la generica custodia e manutenzione del sistema, offrendogli, tuttavia, la possibilità di utilizzare senza onere alcuno aerei, sensori e sistemi di elaborazione dati per fini propri, opzione potenzialmente in contrasto con le finalità istituzionali e pubbliche normativamente previste e sottese al finanziamento, alla realizzazione e alla gestione del sistema Telaer;
    b) l'affidatario del servizio, pur dovendo prendere in carico il Sistema, non contrae alcun obbligo ad impiegarlo per le attività da svolgere in favore dell'amministrazione agricola – la copertura aerofotogrammetrica per il 33 per cento del territorio nazionale (100.000 chilometri quadrati di ortofoto digitali multispettrali alla scala 1:10.000 con risoluzione pixel 50 centimetri) – per l'esecuzione dei rilievi funzionali ai controlli in agricoltura;
    c) non sono previste attività di aggiornamento del sistema, circostanza quest'ultima che potrebbe comportare un «ammaloramento» di beni pubblici in questi anni mantenuti in perfetta efficienza grazie a scrupolosi piani programmati di manutenzione ed aggiornamento (con particolare riguardo ai sensori aviotrasportati);
    d) ad avviso dell'interrogante, è stato richiesto il possesso di requisiti di capacità economico finanziaria sovradimensionati rispetto al servizio commesso in appalto e al valore dello stesso, circostanza potenzialmente in contrasto con quanto previsto dall'articolo 42 del Codice degli Appalti e tali da violare gli ineludibili parametri di congruità, logicità, ragionevolezza e pertinenza precludendo la massima partecipazione degli operatori economici potenzialmente interessati alla procedura concorsuale in argomento;
   in data 8 maggio 2013, allo scadere del termine fissato per la presentazione delle offerte, nessuna proposta è pervenuta all'AGEA, evidenziando la sostanziale difficoltà da parte degli operatori del settore di predisporre una proposta industriale «credibile» stante il complesso dei requisiti tecnico/economici che l'Amministrazione ha posto alla base dei criteri di gara;
   in data 7 giugno 2013 Agea ha indetto una ulteriore procedura negoziata per l'affidamento della fornitura delle sole ortofoto tematiche scala 1:10.000 per l'anno 2013 al fine di «gestire» la mancata concretizzazione della precedente gara;
   la condotta fin qui evidenziata da parte di AGEA ha comportato il blocco dell'operatività del sistema TELAER, avendo come conseguenza immediata:
    a) la mancata erogazione, tramite il suo diretto utilizzo, dei servizi in precedenza già garantiti a supporto dell'esecuzione dei controlli in agricoltura per l'anno 2013;
    b) l'impossibilità di assicurare la custodia, gestione e manutenzione del sistema Telaer relativamente alle varie componenti del segmento di volo (aeromobili, sensori, eccetera) e del segmento di terra (sistemi di elaborazione dati e relativi software per la realizzazione di tutti i prodotti derivanti dall'utilizzo del «parco sensori» disponibile);
    c) il ricorso al mercato per l'approvvigionamento delle ortofoto necessarie alle proprie attività istituzionali, diversamente impiegando denaro pubblico utilizzabile per la gestione del sistema;
    d) il mancato concretizzarsi di iniziative di collaborazione tra amministrazioni pubbliche (in fase avanzata di valutazione) volte a razionalizzare la domanda di prodotti di telerilevamento, rinunciando a significative economie a livello di «sistema Paese» in grado di qualificare l'utilizzo delle sempre più critiche risorse pubbliche (rif. Agenzia delle Entrate – aggiornamento anagrafe immobiliare integrata, regioni – aggiornamento DB cartografici e catasto amianto Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – monitoraggio del territorio, CNR – cooperazione nel campo della telerilevamento, ASI – cooperazione nel campo del telerilevamento, eccetera) –:
   in merito alla gestione complessiva del sistema pubblico di telerilevamento TELAER affidato per legge all'AGEA (sottoposta alla vigilanza del Ministero), quali provvedimenti siano attualmente in corso di adozione da parte dell'Agenzia aventi l'obiettivo di scongiurarne la «non esercibilità», contrastando così il rischio, in caso di perdurante stato di inattività, di compromissione dell'operatività futura di un «asset strategico» realizzato grazie ad un ingente investimento di risorse pubbliche e in nome e per conto di tutta la PA;
   avendo a riferimento l'ormai pluriennale e consolidato rapporto esistente tra Agenzia del territorio (oggi confluita nell'Agenzia delle entrate) e AGEA in base all'Accordo quadro sottoscritto il 2 agosto 2011, quali siano gli sviluppi nell'utilizzo dei sistemi di telerilevamento per l'identificazione di fabbricati non censiti a catasto nelle aree extraurbane ed urbane, significativo esempio di collaborazione tra Amministrazioni del quale si è avvalsa l'azione pubblica finalizzata al recupero del gettito fiscale;
   in relazione al bando per la fornitura di dati e servizi per il potenziamento del sistema informativo del Piano straordinario di telerilevamento che il Ministero dell'ambiente e della tutela del mare ha pubblicato in data 16 maggio 2013 (oltre 12 milioni di euro per lavori programmati in un arco temporale di 24 mesi), se sia stata attivata ogni possibile forma di collaborazione tra le Amministrazioni competenti volta ad assicurare la realizzazione di prodotti indirizzati non solo al comparto Agricolo ma anche a supporto dei fabbisogni di altri enti della pubblica amministrazione, realizzando le migliori condizioni per un'incisiva azione di contenimento e qualificazione della spesa pubblica;
   avendo a riferimento il rapporto esistente tra il Consiglio nazionale delle ricerche e AGEA in base all'Accordo quadro sottoscritto il 18 giugno 2009, quali siano gli sviluppi nell'utilizzo congiunto del sistema TELAER nel settore della sicurezza e della protezione ambientale e a supporto della ricerca pubblica nell'ambito dei vari programmi nazionali ed internazionali inerenti da tecnologie di osservazione della terra;
   se siano allo studio precise linee di indirizzo da parte del Ministero vigilante aventi l'obiettivo di garantire compiutamente l'utilizzazione del sistema pubblico Telaer, introducendo, se necessario, opportuni correttivi rispetto agli attuali livelli di «governance» assicurati da AGEA, contemplando anche il trasferimento del controllo del sistema a le dirette dipendenze del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali stesse. (4-01415)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 27 maggio 1999, n. 165, sono state disposte la soppressione dell'Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA) e la contestuale istituzione, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura;
   con decreto interministeriale 18 febbraio 2009 è stato approvato il nuovo statuto dell'Agenzia, che ha sostituito quello approvato con il decreto interministeriale 14 giugno 2002;
   l'AGEA ha partecipazioni in diverse società, tra le quali Agecontrol Spa, SIN Srl e Telaer Srl, in liquidazione;
   AGECONTROL è l'Organismo di controllo che, per conto di AGEA, svolge le verifiche di conformità alle norme di commercializzazione applicabili nel settore degli ortofrutticoli freschi;
   la società SIN è stata istituita il 29 novembre 2005, ai sensi della legge n. 231 del 2005, ed ha il compito di gestire e sviluppare il Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), quale sistema di servizi complesso ed interdisciplinare a supporto delle competenze istituzionali del comparto agricolo, agroalimentare, forestale e della pesca;
   la SIN è partecipata per il 51 per cento dall'AGEA e per il 49 per cento da soci privati tra i quali Agriconsulting Sofiter, Auselda, Almaviva, IBM e altri;
   Telaer S.r.l. in liquidazione è una società partecipata per il 51 per cento da SIN e per il 49 per cento da AGEA;
   in particolare, Agecontrol è stata istituita dalla Comunità europea nel 1985 per i controlli e le azioni comunitarie sull'olio di oliva, cofinanziata dalla stessa Comunità europea e dallo Stato italiano fino al novembre del 2005, quando con la riforma della politica agricola comunitaria (PAC) è stata disposta la cessazione del sistema dei controlli e del relativo cofinanziamento in favore di tutte le agenzie preposte a tale compito;
   il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; durante la gestione del Ministro Alemanno, ha consentito alla società di continuare ad operare con nuove forme, funzioni ed incarichi prevedendone, con il decreto legislativo n. 99 del 2004, il passaggio sotto il controllo e la vigilanza dell'AGEA, e affidandole, con la legge n. 71 del 2005, nuove competenze in tema di verifiche nei controlli di conformità alle norme di commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli;
   negli ultimi anni una serie di sostituzioni ai vertici della società ha comportato pesanti oneri per la stessa e da allora si sono anche susseguite operazioni poco chiare nella gestione, che sono sfociate nel 2007, nella messa in liquidazione di Agecontrol Spa, atto poi dichiarato nullo dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sentenza del 9 giugno 2008;
   annullata la procedura di liquidazione, dall'allora Ministro Paolo De Castro furono nominati il nuovo consiglio di amministrazione ed il direttore Generale Claudio Versienti, uomo dal passato quantomeno poco limpido, già balzato agli onori della cronaca per torbide vicende legate alla Telecom e, che ad oggi risulta iscritto nel registro degli indagati del Tribunale di Roma per il reato di corruzione (atto n. 10/26079 R.G., RG GIP 29121/2010 sezione GIP – GUP) nell'ambito di un'inchiesta del dicembre 2012 che ha scosso il Ministero delle politiche Agricole con l'arresto di diversi funzionari di primo piano;
   a quanto risulta agli interroganti, il Versienti, appena nominato direttore generale, avrebbe fatto predisporre un contratto che disponeva l'aumento dei suoi emolumenti da 120 mila a 170 mila euro annui, oltre ad un premio di produzione pari a 20 mila euro ed altri benefit aziendali;
   questo contratto, rinnovato nel luglio 2012 dall'allora Ministro Catania, quasi un anno prima della scadenza, per altri quattro anni, è stato ancora aumentato, a quanto risulta all'interrogante, di circa il 15 per cento;
   i compensi degli amministratori, invece, fissati nel 2007, sono stati aumentati il 29 settembre 2011, con delibera n. 22, peraltro, ad avviso dell'interrogante, in contrasto con la norma di contenimento della spesa pubblica di cui all'articolo 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009, che prescriveva un taglio del 10 per cento ai compensi dei componenti il consiglio di amministrazione;
   l'aumento per i membri del Consiglio di Amministrazione risulta essere stato di circa il 20 per cento, il compenso del presidente Agecontrol sarebbe stato fissato in 120 mila euro lordi annui, mentre il compenso dei singoli consiglieri sarebbe di 25 mila euro;
   in data 24 aprile 2012 l'allora Presidente dell'AGEA, dottor Fruscio, ha rilevato che la suddetta delibera del 29 settembre 2011 era suscettibile di creare un danno erariale e ha adottato un provvedimento d'urgenza, successivamente ratificato dal consiglio di amministrazione Agea con atto n. 77 del 24 maggio 2012, con il quale sono stati ridefiniti i compensi dei consiglieri e del Presidente, rispettivamente in 19.440 e in 82.050 euro lordi annui, con effetto retroattivo a far data dal 6 settembre 2011;
   ad oggi, i costi complessivi degli amministratori e dei nove dirigenti, più direttore generale comprensivi di emolumenti, rimborsi spese, benefit e premi aziendali, risultano ancora poco chiari;
   in particolare, dalla lettura del bilancio non si evince in modo chiaro dove siano rubricati i costi per dirigenti e amministratori, che non sembrerebbero essere sotto la voce «costi per il personale» ma sotto una voce chiamata «altri costi per il personale», che a sua volta si trova nel capitolo di bilancio «costi per i servizi»;
   negli ultimi anni si è sviluppato un contenzioso con il personale di notevole entità e che risulta essere ancora in crescita, che, oltre a denotare una scarsa capacità di gestione del medesimo, desta non poche perplessità: le spese previste dalla dirigenza della società sono, infatti, notevolmente aumentati, passando da 860 mila euro del 2006 (di cui solo 10 mila utilizzati), ad 1 milione 397 mila euro nell'anno 2010, con un uso di circa 1 milione di euro tra il 2008 e il 2010, mentre nel 2011 il fondo è stato incrementato di ulteriori 521.655 euro, e a chiusura di bilancio ammontava ad euro 1.568.560;
   analizzando il bilancio 2012 si è invece constatato un cambio di politica per gli accantonamenti: al fine di non aumentare i fondi destinati al contenzioso già oggetto di precedenti interrogazioni parlamentari, visto l'ammontare decisamente inusuale, si è cambiata la politica e si è deciso di accantonare quanto necessario per far fronte alle vertenze in arrivo, un importo ulteriore vicino al milione di euro, in fondi per «imprevisti», avendo già preventivato un incremento, non di secondaria entità;
   tali incrementi sono stati necessari per far fronte alle spese legali relative ai contenziosi generati da licenziamenti dichiarati illegittimi di 60 dipendenti assunti con contratti a termine stipulati tra il 2005 e il 2009, per i quali è stata accertata giudizialmente la «mancanza della causale» o la «genericità» della stessa, e nei relativi giudizi Agecontrol è risultata sempre soccombente sia in primo grado che in appello;
   il legittimo giro di vite dei finanziamenti da parte di Agea ha obbligato la dirigenza Agecontrol a presentare bilanci sempre più limitati nelle risorse richieste al socio unico;
   tutti i reali risparmi sono stati operati tramite tagli unilaterali applicati, senza alcun accordo preventivo con le rappresentanze sindacali, ai rimborsi previsti per il personale, mentre dai vertici di Agecontrol nulla è stato risparmiato in altre voci del bilancio;
   attraverso continui comunicati sindacali (ultimo quello dell'8 luglio 2013), tre giorni di sciopero e numerose attività poste in essere dalle organizzazioni sindacali nazionali, è stata segnalata l'anomalia di tali disposizioni, che hanno reso difficile il raggiungimento degli obiettivi (numero di controlli) fissati per la società, obiettivi infine ottenuti esclusivamente grazie allo spirito di abnegazione dei dipendenti, che si sono trovati d operare con tagli lineari vicini al 40 per cento;
   nonostante tale grave situazione, l'attuale direttore generale, in accordo con il consiglio d'amministrazione, ha ritenuto di stipulare un accordo con i quadri aziendali (accordo del 17 aprile 2013) che prevede ulteriori elargizioni rispetto a quello ratificato con le rappresentanze sindacali, pratica quantomeno inusuale ed inopportuna;
   durante un'audizione in Senato svoltasi il 29 maggio 2012, lo stesso Presidente di AGEA avrebbe rilevato che il costo complessivo di amministratori e dirigenti della società Agecontrol appare eccessivo;
   in data 17 aprile 2013 la dottoressa Antonella Del Sordo, già componente dello staff dell'allora Ministro De Castro nel Governo Prodi, e dirigente a contratto del Ministro Catania nel Governo Monti, è stata nominata Presidente della società SIN S.r.l., in sostituzione dell'onorevole Ernesto Carbone;
   la nomina è stata accompagnata da polemiche e da dichiarazioni dell'esponente di SEL onorevole Di Stefano, del seguente tenore: «il Governo dovrà chiarire in Aula genesi e motivazioni delle nomine che il ministro uscente si è affrettato ad effettuare nelle società partecipate e negli enti vigilati», chiedendosi se tale nomina sia lecita ed opportuna;
   ancora con riferimento all'opportunità di nomine effettuate in società partecipate, lo stesso esponente di SEL, in data 18 aprile 2013, ha comunicato che un candidato non eletto alle ultime elezioni sarebbe entrato nel Consiglio di amministrazione di ISMEA, dichiarando che «quello che sta accadendo non è eticamente corretto, oltre che non consentito, poiché contravviene a disposizioni della Presidenza del Consiglio con cui si chiede di sospendere le nomine sino all'insediamento del nuovo Governo»;
   in data 15 maggio 2013 il presidente di SIN Antonella Del Sordo ha nominato l'ex titolare dell'ufficio monocratico di AGEA ed ex amministratore unico di Agecontrol S.p.a., Alberto Migliorini, attualmente in pensione, nuovo Amministratore Delegato della SIN –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   se non ritenga di disporre gli opportuni approfondimenti in merito all'operato dei vertici di Agecontrol Spa, valutando in particolare quale sia il costo complessivo di amministratori e dirigenti della società, anche alla luce delle citate dichiarazioni in merito fatte dal presidente di AGEA;
   se l'attuale direttore generale di Agecontrol, alla luce del fatto che risulta iscritto nel registro degli indagati in qualità di corruttore, sia idoneo a ricoprire tale ruolo, posto che l'Agenzia effettua controlli su milioni di euro di aiuti comunitari, o se non sia più opportuno che sia sospeso in attesa che la sua posizione giudiziaria sia chiarita, al fine di tutelare la stessa Agenzia;
   se non ritenga opportuno, alla luce delle attuali ristrettezze di bilancio, applicare quanto disposto dallo statuto di agecontrol Spa in merito alla possibilità di liquidare il Consiglio di amministrazione e nominare un amministratore unico facente funzioni anche di direttore generale, al fine di risparmiare non solo sugli emolumenti ma anche su tutti i benefit di cui godono gli attuali membri del consiglio di amministrazione, che peraltro non è mai stato pienamente operativo, non essendo ancora stato nominato, a distanza di anni, il quinto consigliere, la cui nomina, prevista per legge, compete alla Conferenza Stato regioni;
   se appare congrua la scelta dell'attuale presidente di istituire un organo di vigilanza precedentemente dichiarato superfluo dall'ex presidente San Mauro (essendo l'Agecontrol Spa completamente finanziata con fondi pubblici) e che rappresenta un costo, pari a quasi centomila euro;
   se il numero dei dirigenti in Agecontrol, aumentato del 30 per cento negli ultimi 4 anni, non appaia spropositato, soprattutto se paragonato alla attuale dotazione di personale dirigente di AGEA;
   se non ritenga, infine, di adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte al riordino della galassia di società collegate al suo dicastero. (4-01443)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, con legge 6 agosto 2008 n. 133 si era riusciti a produrre un taglio di circa 7.000 leggi. Il 17 febbraio 2009 è stata, inoltre, approvata la legge di conversione n. 9 del 2009 del decreto-legge n. 200/2008, che abroga quasi 29.000 leggi ritenute oramai obsolete. Dopo questa faticosa opera di semplificazione normativa, portata a termine nel 2010 con il decreto «taglia-leggi», la produzione legislativa ha ripreso a correre. È in netta crescita la produzione di atti amministrativi e delle regole descrittive, senza che siano attuate abrogazioni esplicite. Soltanto nell'ultimo anno della XVI legislatura, sono state pubblicate 101 leggi con i contenuti più vari;
   l'utilizzo sempre più insistente dei decreti-legge, fa lievitare enormemente il numero di nuovi provvedimenti, basti pensare ai decreti-legge presentati solo nel 2012: crescita, semplificazione, spending review, sviluppo. Decreti-legge contraddistinti dal così detto carattere di urgenza, che li rende esenti dall'analisi di impatto della regolamentazione, che dovrebbe valutare la necessità della norma e l'impatto sui cittadini e imprese;
   il problema principale, non è solo il numero in crescita di leggi, ma la modalità confusa e disordinata con cui questa spesso avviene. Si legifera per modificare una norma senza provvedere a corpose abrogazioni finalizzate ad una reale semplificazione. Caratteristica che contraddistingue anche i decreti-legge dell'attuale Governo. È quindi necessario avviare vere misure di semplificazione degli atti che rendano più semplice ed immediata, da parte dei cittadini, la comprensione della norma, magari attraverso l'adozione di «testi unici» –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, ed in caso affermativo con quali modalità e tempistiche, rispetto alla semplificazione normativa. (4-01386)


   DI LELLO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 maggio 2013 è entrato in vigore il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
   ai sensi dell'articolo 2 comma 1 del citato decreto legislativo le disposizioni in esso contenute si applicano agli incarichi conferiti nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001: «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale»;
   sembra dunque che ancora ad oggi assuma un rilievo centrale il principio dell'esclusività del rapporto di lavoro del pubblico dipendente, il quale ha, per la verità, radici antiche, legate ad un quadro normativo ispirato ad una concezione autoritativa del rapporto intercorrente tra amministrazione e pubblico dipendente;
   manifestazione tipica di tale autorità era il dovere di fedeltà il quale si estrinsecava nel divieto dei pubblici dipendenti di costituire rapporti di lavoro con altri soggetti pubblici e/o privati, di svolgere attività industriali e commerciali, di assumere cariche in società costituite a fini di lucro, nonché, l'esercizio di attività professionali;
   il principio di esclusività del rapporto di impiego del dipendente pubblico, affonda le proprie radici nelle norme contenute nella Carta costituzionale e segnatamente nel principio di imparzialità, di buon andamento, di efficienza della pubblica amministrazione (articolo 97 della Costituzione), di fedeltà alla nazione (articolo 98 della Costituzione) ma ciò non toglie che questo debba essere anche esteso all'assunzione di incarichi elettivi;
   l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 39 del 2013 ha già determinato alcune prese di posizione in particolare il caso si riferisce all'ufficio scolastico regionale della Puglia che, lo scorso 6 giugno, con una nota ha comunicato a tutti i dirigenti scolastici della regione che, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 39 del 2013, gli incarichi dirigenziali da loro svolti saranno del tutto incompatibili con cariche elettive all'interno dei consigli e delle giunte comunali, provinciali e regionali, intimandoli di cessare immediatamente dalle cariche elettive eventualmente ricoperte, ventilando l'adozione di provvedimenti disciplinari e la denuncia al responsabile anticorruzione;
   in tal senso l'articolo 12 del decreto legislativo n. 39 del 2013 presenta margini di ambiguità interpretativa ed in particolare appaiono fonte di criticità i commi 3 e 4 che stabiliscono incompatibilità fra «gli incarichi dirigenziali, interni ed esterni, nelle pubbliche amministrazioni (...) e quelli di componente della giunta o del consiglio di una regione, una provincia, un comune»;
   il testo potrebbe, dunque, prestarsi ad interpretazioni contraddittorie che andrebbero ad incidere su un diritto costituzionalmente garantito (articolo 51 della Costituzione) che, in tal modo, sarebbe negato ad un'intera categoria professionale –:
   se non ritenga opportuno intervenire per fornire una interpretazione autentica delle norme sia per quanto riguarda l'ambito di applicazione sia per quanto riguarda le incompatibilità tra incarichi al fine di tutelare i diritti costituzionali. (4-01463)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il consigliere del Tar del Lazio Giuseppe Chinè ricopra l'incarico di capo dell'Ufficio legislativo del Ministro interrogato –:
   se risulti che Giuseppe Chinè svolga l'incarico di cui in premessa in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tale incarico. (3-00232)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   LOREFICE e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   uno dei problemi di maggiore rilevanza in materia sanitaria per l'importanza degli interessi giuridicamente lesi e quello del contagio da sangue infetto;
   a partire dalla fine degli anni 70 si è registrata in Italia una massiccia diffusione dei virus dell'epatite B, C e dell'HIV in soggetti sottoposti a trasfusioni di sangue o che avevano fatto uso di farmaci emoderivati (cosiddetti salvavita) infetti;
   il diritto al risarcimento del danno da sangue infetto è sancito dalla legge n. 210 del 1992 che riconosce un indennizzo a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie o trasfusioni;
   notevoli sono stati i giudizi promossi nei confronti del Ministero della salute tesi al riconoscimento di una responsabilità dello stesso nella causazione del danno da contagio da sangue infetto;
   sin dal 2001 sono state avviate delle trattative tra un collegio di legali e il Ministero della salute per tentare di risolvere in via stragiudiziale il contenzioso introdotto da centinaia di emofilici per il risarcimento dei danni patiti;

   a seguito della costituzione di due commissioni nominate rispettivamente dal ministro Bindi e dal ministro Sirchia il Governo ha approvato il decreto legge n. 89 del 2003 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 141 del 2003 stabilendo i criteri in base ai quali avrebbero dovuto sottoscriversi gli accordi transattivi con i danneggiati e prevedendo come condizione necessaria per gli stessi l'instaurazione del contenzioso giudiziario;

   nel corso del 2007 il Ministero della salute, su impulso del Ministro Turco e del sottosegretario Gaglione, ha ripreso le trattative per la definizione transattiva delle posizioni relative ai numerosi soggetti danneggiati rimasti esclusi dall'accordo raggiunto nel 2003;
   con decreto ministeriale 28 aprile 2009, n. 132 vengono fissati i criteri per la stipula, nell'ambito di un piano pluriennale, delle transazioni con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie che hanno instaurato, anteriormente al 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento danni che siano ancora pendenti;
   a distanza di due anni nella Gazzetta Ufficiale n. 162 del 13 luglio 2012 è stato pubblicato il decreto ministeriale 4 maggio 2012 in materia di definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del suindicato decreto n. 132 del 2009 concernente il risarcimento danni nei confronti di soggetti danneggiati da sangue infetto;
   inaspettatamente quest'ultimo decreto stabilisce l'esclusione dalla transazione di tutti coloro che hanno promosso causa di risarcimento danni nei confronti del Ministero oltre i 5 anni dal riconoscimento del danno biologico, ovvero dalla data di presentazione in sede amministrativa dell'istanza di indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992 rispetto alla quale risulti documentata la piena conoscenza della patologia da parte del danneggiato, oppure oltre i dieci anni dal decesso del soggetto danneggiato, nel caso si tratti di eredi di soggetti deceduti. Non vengono altresì previsti dal decreto eventuali atti interruttivi della prescrizione, non conformemente alle norme di procedura civile e vengono esclusi dalla transazione i soggetti Per i quali risulti un evento trasfusionale anteriore al 24 luglio 1978;
   la giurisprudenza di merito e di legittimità ha in più occasioni chiarito che la responsabilità da contagio post-trasfusionale in capo al Ministero della salute sussiste almeno a decorrere dai primi anni 70, non mancando pronunzie che la fanno risalire alla fine degli anni 60;
   dopo anni trascorsi a lottare contro malattie orribili, ma anche nelle aule dei tribunali per veder riconosciuto il diritto al risarcimento sancito dalla legge n. 210 del 1992, cinque anni fa circa 6.500 persone contagiate avevano deciso di sospendere i procedimenti giudiziari scegliendo la strada della trattativa con il Ministero della salute, non avendo ottenuto ad oggi alcun indennizzo;
   dopo più di due anni dalla presentazione delle domande di adesione alla transazione il Ministero con un decreto attuativo nega il legittimo diritto al risarcimento a tutti quei cittadini che non rientrano nei requisiti sopra enunciati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario procedere alla modifica del decreto attuativo abrogando la norma nella parte in cui esclude la transazione di tutti coloro che hanno promosso causa di risarcimento danni nei confronti del Ministero oltre i 5 anni dal riconoscimento del danno biologico, ovvero dalla data di presentazione in sede amministrativa dell'istanza di indennizzo ai sensi della legge n. 210/1992 rispetto alla quale risulti documentata la piena conoscenza della patologia da parte del danneggiato, oppure oltre i dieci anni dal decesso del soggetto danneggiato, nel caso si tratti di eredi di soggetti deceduti, in considerazione del fatto che tutte queste persone si sono ingiustamente ammalate a causa di negligenze del servizio sanitario. (5-00733)


   LENZI e LA MARCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno migliaia di cittadini italiani residenti permanentemente all'estero, in Paesi non appartenenti all'Unione europea e con i quali non vige una convenzione bilaterale in materia di assistenza sanitaria o vige una convenzione parziale, rientrano in Italia per periodi di tempo che variano da alcune settimane ad alcuni mesi, e a volte sono costretti a ricorrere alle cure mediche urgenti nel nostro Paese;
   i cittadini italiani che trasferiscono (o hanno trasferito) la residenza in uno Stato con il quale non è in vigore alcuna convenzione con l'Italia – o è in vigore una convenzione parziale – perdono il diritto all'assistenza sanitaria da parte dello Stato italiano, sia in Italia che all'estero, all'atto della cancellazione dall'anagrafe comunale e della iscrizione all'AIRE, fatta eccezione per i lavoratori di diritto italiano in distacco, che mantengono il diritto all'assistenza sanitaria in Italia e all'estero; l'iscrizione all'AIRE (Anagrafe italiani residenti all'estero) o il diritto di voto in Italia, non aprono un diritto all'assistenza sanitaria in Italia;
   tuttavia ai sensi dell'articolo 2 del decreto interministeriale Sanità/Tesoro del 1o febbraio 1996, è prevista l'erogazione dell'assistenza sanitaria in Italia limitatamente alle prestazioni ospedaliere urgenti (pronto soccorso) per un periodo massimo di 90 giorni per i cittadini italiani residenti all'estero, temporaneamente in Italia, a patto che siano titolari di pensione italiana o che abbiano lo status di emigrato; per ottenere le prestazioni ospedaliere urgenti è necessario presentare un attestato rilasciato dal consolato competente che attesta lo stato di emigrato, in mancanza dell'attestato del consolato, può essere sottoscritta una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in cui si dichiara, oltre al proprio stato di emigrato, che non si è in possesso di una copertura assicurativa pubblica o privata contro le malattie;
   tuttavia dall'assistenza gratuita per cure urgenti ospedaliere sono esclusi i cittadini italiani nati all'estero i quali se dovessero ricorrere a tali cure durante il loro soggiorno in Italia sarebbero tenuti al rimborso delle cure erogate; tale esclusione – sebbene non prevista esplicitamente nel Decreto 1o febbraio 1996 – è indicata nel sito del Ministero della Sanità, alla voce «Cittadini italiani residenti all'estero» dove lo stato di emigrato è definito come quello di «coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana sul territorio nazionale, nati in Italia»;
   è evidente l'incongruenza della normativa che garantisce le cure ospedaliere urgenti gratuite esclusivamente a cittadini italiani pensionati residenti all'estero che rientrano temporaneamente in Italia e inoltre a tutti coloro nati in Italia che sono emigrati all'estero e che ottengono l'attestato di «soggetto emigrato» dal consolato di riferimento, mentre le stesse cure sono invece corrisposte a pagamento, spesso molto oneroso, per tutti i cittadini italiani nati all'estero, ancorché, paradossalmente, figli di cittadini ai quali viene erogata l'assistenza gratuita –:
   quanti siano annualmente i cittadini italiani che risiedono all'estero, in Paesi non convenzionati con l'Italia e che rientrando per soggiorni temporanei nel nostro Paese ma, solo per il fatto di essere nati all'estero e di non essere titolari di pensione italiana o di non vedersi riconosciuta la qualifica di «emigrato» da parte del consolato di riferimento, sono costretti a pagare le cure urgenti ospedaliere, spesso molto onerose, nel caso in cui siano sprovvisti di assicurazione pubblica o privata nonché quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere per eliminare tale iniqua disparità di trattamento visto che la Costituzione italiana non solo prevede l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge ma la tutela della salute quale diritto fondamentale. (5-00734)


   PIAZZONI, NICCHI e AIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Carta fondamentale garantisce il diritto alla salute come inviolabile diritto dell'individuo ed interesse della collettività e la giurisprudenza costituzionale ha sancito – con la fondamentale sentenza n. 251 del 2001 – come il nucleo irriducibile dello stesso debba essere assicurato ad ogni persona, anche se presente irregolarmente sul territorio italiano;
   in ossequio alle previsioni della Carta e della giurisprudenza costituzionale, il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico sull'immigrazione) prevede, al comma 3 dell'articolo 35, che ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale in posizione di irregolarità, debbano essere garantite le cure urgenti ed essenziali, ancorché continuative e, in particolare, alla lettera b) del medesimo articolo, come la salute del minore debba essere tutelata ed assicurata, anche in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989;
   l'Accordo del 20 dicembre 2012, raggiunto in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, ha sancito come per i minori, figli di immigrati irregolari, debba essere garantita in modo uniforme sul territorio nazionale l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale e l'assegnazione del pediatra di libera scelta, ribadendo e chiarendo quanto già stabilito dalla legge sopra citata e dirimendo, almeno formalmente, le problematiche di accesso diseguale e difforme a tale fondamentale diritto, verificatesi nei diversi enti locali;
   considerato come, le fondamentali previsioni sancite al comma 3, lettera b) dell'articolo 35 del Testo unico sull'immigrazione e ribadite dall'Accordo del 20 dicembre 2012 circa l'assistenza sanitaria e pediatrica dei minori in posizione di irregolarità, trovino ad oggi, piena applicazione solo in poche realtà regionali, evidenziando una lentezza e indecisione attuativa gravemente pregiudizievole della tutela sanitaria dei soggetti in questione;
   in data 2 luglio 2013 il consiglio regionale della Lombardia ha bocciato una mozione che chiedeva il riconoscimento dell'assistenza sanitaria di base con attribuzione del pediatra di libera scelta anche per i minori «non regolari», disattendendo dunque quanto stabilito nell'Accordo di cui sopra, ma soprattutto contravvenendo a quanto espressamente prescritto dal Testo Unico sull'immigrazione e dalla Convenzione sui diritti del fanciullo;
   secondo gli interroganti tale diniego – oltre a porsi in evidente contrasto con la normativa vigente in materia – avalla secondo gli interroganti una posizione discriminatoria assolutamente inaccettabile, atta a colpire il fondamentale diritto alla salute di soggetti in posizione di estrema debolezza, ovvero i minori figli di migranti irregolari, per i quali evidenze medico scientifiche hanno ampiamente dimostrato una maggiore fragilità e bisogno di cure nel periodo compreso tra la nascita e l'adolescenza –:
   quali iniziative intenda adottare affinché venga garantito il diritto alla salute dei minori presenti sul territorio italiano in condizioni di irregolarità, nel rispetto di quanto espressamente sancito dalla normativa vigente e affinché tale fondamentale diritto sia assicurato in maniera uniforme sul territorio nazionale. (5-00735)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   malati di distrofia muscolare progressiva insieme a numerosi disabili con patologie di tipo prevalentemente neurodegenerativo, appartenenti a diverse associazioni, hanno ancora una volta manifestato, sotto il sole di piazza Montecitorio, per chiedere che vengano riconosciuti i loro diritti, primo tra tutti quello alle cure, e concretamente alle cure compassionevoli;
   a preoccupare le famiglie non è solo la sperimentazione col metodo Stamina non ancora partita. Anche loro, come tutti noi, hanno il timore che possa non partire affatto oppure fallire, con la differenza che loro ritengono che ci sia una colpa prevalente a livello istituzionale, mentre gli interroganti siamo radicalmente convinti che la maggiore responsabilità stia nella mancata consegna del protocollo da parte di Vannoni;
   nell'incontro di ieri in piazza Montecitorio c’è stato un confronto con le associazioni presenti: Asmin, Vite Sospese, Feder Diritti, Sicilia Risvegli. I disabili e le loro famiglie, sia direttamente, che attraverso il loro portavoce, hanno manifestato tutto il loro disagio, sempre più pesante, stante il carattere progressivo delle loro patologie. Sanno bene che nessuno di loro rientrerà nella sperimentazione e chiedono che il Governo prenda decisioni efficaci e tempestive per facilitare l'accesso alle cure compassionevoli; alcuni di loro hanno passato l'intera notte in piazza Montecitorio per protestare soprattutto nei confronti del silenzio delle istituzioni; minacciano di lasciarsi morire in piazza, tanto sanno – così affermano – che molti di loro non hanno più tempo davanti;
   è ormai improrogabile a parere degli interroganti, compiere alcuni gesti concreti che diano a questi pazienti uno – o più – segnali tangibili del fatto che non sono lasciati soli dal Sistema sanitario nazionale, anche se non parteciperanno al progetto della sperimentazione Stamina. Alcune delle cose che chiedono sono possibili, come ad esempio l'Osservatorio delle famiglie, e l'attivarlo potrebbe già essere un segnale efficace; chiedono anche che il filtro dei magistrati, i giudici del lavoro, sia disattivato, perché appare loro arbitrario ed economicamente costoso, in termini di onorari degli avvocati; chiedono che si possa decongestionare l'ospedale di Brescia per avere ulteriori punti di ascolto e di valutazione della loro patologia anche ai fini della ammissibilità alle cure palliative;
   le famiglie dei disabili dal canto loro si sono impegnate a sollecitare Vanoni a presentare nei tempi previsti: il primo agosto, il protocollo indispensabile per l'inizio della sperimentazione che ambirebbero partisse tempestivamente –:
   quali urgenti iniziative intenda attuare affinché si crei uno spazio di incontro e di confronto tra questi pazienti e i loro familiari, con una task force stabile, facilmente identificabile da tutti coloro che ne hanno bisogno, affidata a persone competenti, in grado di valutare l'ammissibilità o meno dei pazienti alle cure compassionevoli, ma capace anche di individuare soluzioni alternative di accompagnamento qualificato, per pazienti che sembrano destinati ad una vita a qualità decrescente e se non ritenga utile creare, o meglio ancora attivare, una rete analoga a quella delle cure palliative, in cui è già previsto che oltre ai pazienti di tipo oncologico siano presi in carico anche i pazienti affetti da patologie di tipo neurodegenerativo, per evitare che un paziente e la sua famiglia si sentano lasciati soli, senza paternalismo, ma solo con umanità e competenza professionale.
(5-00736)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FEDRIGA. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con determina n. aM-94/2013 del 3 luglio scorso l'AIFA ha disposto la sospensione a tempo indeterminato delle attività produttive dello stabilimento di Trieste (già laboratori Diaco e già laboratori Don Baxter);
   i prodotti dello stabilimento di Trieste (già laboratori Diaco e già laboratori Don Baxter) sono sul mercato italiano da oltre 50 anni e sono altresì presenti ed apprezzati anche su altri mercati europei e non (Germania al primo posto);
   non risulta che nei confronti di siffatti prodotti ci siano mai stati reclami per inefficacia terapeutica, inquinamenti o per presunta causa di problemi e danni al paziente;
   dopo il fallimento dei laboratori Diaco Biomedicali nel novembre del 2011, dovuto a cattiva amministrazione e non già a mancanza di commesse e clientela, ispezioni da parte di AIFA (Agenzia italiana farmaco), sospensione e riavvio della produzione, nel novembre del 2012 la S.M. Farmaceutici (cordata di 2 imprenditori uno di Parma e l'altro di Potenza) risultava aggiudicataria in gara degli stabilimenti di Trieste e Potenza, il che lasciava auspicare un nuovo percorso;
   un paio di mesi fa, invece, una nuova visita ispettiva dell'AIFA si concludeva con l'invio di un preavviso di sospensione all'autorizzazione, cui ha fatto seguito lo scorso 3 luglio 2013, appunto, la determinazione di sospensione dell'autorizzazione alla produzione con effetto immediato;
   conseguenza di tale determina è stato l'invio — da parte dell'azienda — delle lettere di trasferimento, per spostare tutti i lavoratori di Trieste a Potenza –:
   se ed in quali termini il Governo intenda intervenire, anche in termini di moral suasion, a tutela dei lavoratori di Trieste, anche attraverso l'apertura di un tavolo di confronto tra azienda, rappresentanze sindacali ed autorità locali.
(5-00721)


   GAGNARLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, CECCONI, DI VITA, BARONI, DALL'OSSO, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Mev, malattia emorragica virale, è una malattia endemica, a carattere infettivo e diffusivo, a denuncia obbligatoria secondo il sistema comunitario di notifica, ad elevata resistenza ambientale che colpisce i conigli e provoca mortalità e morbilità negli allevamenti zootecnici;
   in Francia dal 2010, studi scientifici dimostrano la scoperta di una nuova forma di malattia, in particolare casi di VHD dovuti a un virus variante di cui sono stati descritti gli aspetti clinici, lesionali e istologici;
   gli autori degli studi avevano individuato già allora sessanta casi clinici per i quali il virus variante è stato messo in evidenza su conigli nel nord della Francia; il numero di allevamenti infetti nel frattempo è aumentato in maniera considerevole, senza che la Francia appaia aver osservato gli obblighi previsti dai regolamenti sanitari internazionali;
   la nuova forma della malattia non è fondamentalmente molto differente dalla sua forma classica, colpisce conigli più giovani e non risponde bene ai vaccini sinora disponibili;
   le caratteristiche epidemiologiche della malattia, e gli scambi commerciali attualmente in atto tra Italia e Francia, per i quali è dato l'ingresso nel nostro Paese di conigli vivi e macellati, pongono l'Italia, che è il secondo produttore mondiale di carni cunicole, in una condizione di particolare rischio e vulnerabilità nei confronti di questa patologia;
   la trasmissione della malattia potrebbe avvenire anche attraverso conigli macellati; il virus infatti resiste alle basse temperature e pertanto la presenza di virus su conigli importati refrigerati rappresenterebbe un serio rischio per la salute degli allevamenti italiani;
   il virus VHD pur se non costituisce alcun rischio per la salute umana, è una malattia a denuncia obbligatoria ai sensi della normativa nazionale e internazionale;
   il regolamento di polizia veterinaria vigente in Italia, decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1954, n. 320, aggiornato alle disposizioni comunitarie il 15 marzo 2007, prevede, ai sensi dell'articolo 4, l'obbligo per i proprietari o detentori di: (i) isolare gli animali ammalati; (ii) accantonare, opportunamente custoditi, gli animali morti; (iii) non spostare animali, prodotti animali o materiali potenziali veicoli di contagio, in attesa delle disposizioni del veterinario ufficiale;
   nell'ambito degli obblighi internazionali sottoscritti, lo Stato italiano attraverso il dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, fornisce regolarmente, secondo specifiche definite, una serie di dati ed informazioni sia alla Commissione europea che all'Organizzazione mondiale per la sanità animale, Office international des epizooties (OIE), riguardanti il rilievo e la diffusione di malattie animali, nonché le attività poste in atto per la loro sorveglianza e controllo;
   la Commissione europea con la decisione 2008/739/CE ha stabilito che è necessario allineare il sistema comunitario di notifica delle malattie degli animali al sistema informativo dell'OIE, raccogliendo informazioni epidemiologiche e progettando anche insiemi di dati, banche dati e protocolli per lo scambio di dati;
   la malattia emorragica virale, essendo inclusa nella direttiva 82/894/CE e successive modificazioni, rientra tra le malattie previste dal sistema di notifica alla Commissione europea e all’Office international des epizooties (OIE); la direttiva stabilisce i criteri di notifica e un preciso elenco di informazioni tra cui: Paese d'origine, regione e ubicazione geografica dell'azienda, nome della malattia e, se del caso, tipo di virus, numero di serie del focolaio, tipo del focolaio, data del sospetto di malattia, data di conferma, data presunta della prima infezione in azienda, origine della malattia, misure adottate per la lotta contro la malattia, numero di animali suscettibili nell'azienda;
   a livello internazionale, i sistemi di raccolta e diffusione delle informazioni sui focolai di malattie animali sono uno strumento prezioso per la prevenzione della diffusione di tali infezioni attraverso il commercio internazionale degli animali e dei prodotti da essi derivati;
   si pone l'ipotesi concreta che dosi massicce di vaccino inefficace verrebbero utilizzate non solo sui riproduttori, ma anche sui cuccioli di coniglio e sull'ingrasso per mascherare la presenza del virus durante i controlli sanitari; un espediente che non è stato ancora sufficientemente analizzato e mediante il quale può aumentare la resistenza del virus;
   la trasmissione del virus, infatti, da qualche di tempo si è diffusa anche in Italia, dove ci sono già oltre venti focolai, ragion per cui le vendite di vaccino sono molto cresciute; d'altra parte non c’è disponibilità di prodotto sufficiente sul mercato;
   un Paese infatti può applicare misure restrittive della libera importazione di animali e prodotti di origine animale solo per proteggere la salute dei propri abitanti e delle proprie popolazioni animali anche in considerazione del principio di precauzione;
   il Ministero della sanità, già in occasione di una precedente ordinanza del 1o dicembre 1988, aveva ordinato il divieto d'importazione di conigli vivi e lepri ai fini della profilassi della malattia emorragica dei conigli –:
   se intenda attuare, nell'ambito delle proprie competenze, un richiamo urgente presso le istituzioni europee del principio di precauzione che permette di reagire rapidamente di fronte a un possibile pericolo per la salute animale;
   se intenda adottare urgentemente misure di polizia veterinaria per impedire l'ulteriore diffusione della malattia emorragica dei conigli nel territorio nazionale, anche attraverso il divieto d'importazione di carni di coniglio macellate;
   quali iniziative intenda attuare al fine di verificare se da parte degli altri partner europei vi sia stato il rispetto delle condizioni sanitarie e di polizia sanitaria previste per gli scambi e le importazioni nella Comunità, nonché del sistema di notifica all’Office international des epizooties (OIE);
   se intenda avviare, a tutela del prodotto nazionale e della salute pubblica, la messa a punto di test obbligatori sulla carne presso i macelli, i grossisti importatori, i laboratori di sezionamento e i punti vendita, per verificare l'eventuale presenza del virus Mev sulla carne, mediante le tecniche di immunofluorescenza o di analisi del Dna/Rna;
   quali iniziative intenda adottare al fine di stimolare la ricerca scientifica verso la messa a punto di nuovi vaccini per prevenire la diffusione del virus in Italia anche mediante procedure urgenti di autorizzazione;
   se intenda, infine, rendere obbligatorio un programma di vaccinazione per gli allevatori italiani, fornendo il relativo vaccino attraverso il Servizio sanitario nazionale e le strutture sanitarie regionali. (5-00726)


   GELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 luglio 2013, si è svolto un incontro pubblico tra il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, onorevole Nunzia De Girolamo, il presidente e il capogruppo Pd della Commissione XIII Agricoltura della Camera, rispettivamente onorevole Luca Siani e onorevole Moderno Oliviero, i deputati del Pd Michele Anzaldi e Ernesto Magorno ed il presidente dell'Accademia del Peperoncino, signor Enzo Monaco;
   lo stesso presidente dell'accademia citata ha fatto presente non solo le preoccupazioni dovute alla concorrenza sul mercato di peperoncini provenienti da altri Paesi, ma anche e soprattutto il pregiudizio per la salute a seguito dell'utilizzo degli stessi prodotti, in particolare di importazione indiana;
   il Peperoncino indiano, secondo quanto riportato da fonti di stampa relativamente alle dichiarazioni del signor Monaco, viene essiccato in forno con tutte le foglie perdendo vitamine, gusto, aroma ed il colore, e proprio per quest'ultimo, al fine di riottenere la tonalità tipica, si userebbe il «Sudan I», un colorante non autorizzato per uso alimentare in quanto cancerogeno;
   sempre secondo il presidente dell'Accademia circa il 70 per cento del peperoncino consumato dagli italiani proviene dall'India;
   come si apprende dal sito del Ministero della salute «la legislazione europea lo esclude dalla lista positiva dei coloranti autorizzati e pertanto la sua presenza negli alimenti è da considerare fraudolenta. Tale sostanza viene infatti definita cancerogena dalla agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e ciò costituisce motivo di rischio per la salute dei consumatori»;
   sempre dalla citata fonte ministeriale si evince che: «l'Italia è lo Stato membro con il maggior numero di notifiche (68) effettuate per la rilevazione del colorante in prodotti trasformati. Ciò sta a significare che la contaminazione è generata da importazioni di materiale grezzo e che il nostro Paese è un grande utilizzatore di peperoncino»;
   il documento del Ministero fa riferimento all'anno 2005;
   da quanto risulta, la normativa vigente, non impone di indicare sull'etichetta l'origine del peperoncino, ma solo il Paese in cui viene confezionato, facendo credere al consumatore che il prodotto sia originario, ad esempio della Calabria, pur essendo stato lavorato in India –:
   se non si ritenga urgente e doveroso fare le verifiche del caso per accertare quanto riportato in premessa e, nel caso, porre in essere quanto ritenuto opportuno al fine di salvaguardare la salute dei consumatori;
   se non si reputi necessario promuovere, in tutte le sedi opportune, una normativa sulla tracciabilità del prodotto alimentare in grado di garantire meglio e con maggiore consapevolezza del consumatore, le origini del prodotto anche al fine di una più facile verifica di possibili alterazioni dello stesso prodotto. (5-00729)


   DALL'OSSO, LOREFICE, CECCONI, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, D'AMBROSIO, DIENI, COZZOLINO, LOMBARDI, DI BENEDETTO e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il farmaco Talidomide fu venduto negli anni cinquanta e sessanta come sedativo, anti-nausea e ipnotico, rivolto in particolar modo alle donne in gravidanza che venne ritirato dal commercio alla fine del 1961, dopo essere stato diffuso in 50 paesi sotto quaranta nomi commerciali diversi, fra cui il Contergan, in seguito alla scoperta della teratogenicità di uno dei suoi enantiomeri: le donne trattate con talidomide davano alla luce neonati con gravi alterazioni congenite dello sviluppo degli arti, ovvero amelia (assenza degli arti) o vari gradi di focomelia (riduzione delle ossa lunghe degli arti), generalmente più a carico degli arti superiori che quelli inferiori, e quasi sempre bilateralmente, pur con gradi differenti;
   la legge finanziaria 2008 ha previsto il risarcimento per i danni da trasfusioni, vaccini e talidomide (articolo 2, comma da 361 a 364) e infine, sulla Gazzetta Ufficiale del 13 novembre 2009 sono state finalmente pubblicate le linee guida per la corresponsione dell'assegno vitalizio ai soggetti talidomidici nati tra il 1959 ed il 1965 per effetto dell'assunzione del farmaco da parte delle loro madri –:
   se ad oggi siano state evase tutte le istanze dei soggetti richiedenti le provvidenze di cui sopra e se vi siano stati episodi di rigetto per ritardo nella presentazione delle stesse. (5-00741)


   MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con circolare del 15 febbraio 1999 dell'allora Ministro della sanità, inviata agli assessori alla sanità delle regioni e delle province autonome, si stabilivano le linee di indirizzo circa le pratiche della cosiddetta terapia elettroconculsivante (TEC) sottolineando come «nonostante la grande quantità di ricerche condotte negli ultimi decenni, non è stato ancora chiarito in maniera precisa il meccanismo d'azione della TEC. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto in passato, si ritiene oggi che la convulsione generalizzata sia insufficiente a spiegare l'efficacia terapeutica del metodo, e che siano fondamentali altri fattori, al di là della convulsione (Sackeim, 1994)»;
   il contesto in cui si è andata sviluppando ed affermando l'intera esperienza territoriale italiana nel campo della psichiatria pubblica e la cospicua legislazione nazionale e regionale, oltre che il sapere diffuso che è maturato in oltre trent'anni, in questo settore, non lasciano alcuno spazio a un ritorno al passato: questa pratica non può che essere in fortissima dissonanza con quanto fin qui realizzato. E doveroso continuare a contrastare la semplificazione delle risposte – che di norma producevano, prima della legge n. 180 del 1978, la costrizione e la chiusura del paziente – più che farsi carico della complessità dei bisogni e dei diritti inalienabili di quanti esprimono disagio e sofferenza, così come avviene oggi in tante realtà;
   la TEC risente in tutte le sue modulazioni di vecchie pratiche di violenza e di abusi, trattandosi comunque di una pratica finalizzata allo «spegnimento» piuttosto che al potenziamento e alla valorizzazione delle risorse personali del paziente. La TEC non cambia nei fatti la sua natura, e resta, pertanto, un trattamento che faceva dire già nel 1995 al Comitato nazionale per la bioetica che «la psichiatria attualmente dispone di ben altri mezzi per alleviare la sofferenza mentale...»; un trattamento indissolubilmente legato alla pratica manicomiale molto di più di qualunque altro trattamento biologico; nel manicomio l'intervento era sempre sul corpo del paziente ridotto ad oggetto dell'internamento. La TEC interviene sul corpo (oggettivato, passivizzato, anestetizzato) negando qualunque spazio alla relazione col paziente, che è il vero fondamento del lavoro territoriale, mentre altri interventi, per esempio quelli farmacologici, la consentono. Questo aspetto sarebbe sufficiente, ad avviso degli interroganti, a suscitare una riserva etica sull'uso della cosiddetta terapia elettroconvulsivante, tanto più che, sia in passato che ancora oggi, alla luce delle più recenti revisioni della letteratura scientifica (vedi anche in Read e Bentall), resta assolutamente controindicata, in ragione della sua inesistente incidenza risolutiva rispetto a trattamenti terapeutici quali la riabilitazione, gli psicofarmaci e le psicoterapie, e che rimane del tutto avulsa da qualsivoglia contesto comunicativo essendo chiaramente antiterapeutica;
   i dati, consegnati nella scorsa legislatura dall'allora Ministro della salute Renato Balduzzi alla Commissione di inchiesta sul sistema sanitario nazionale, indicano che nel 2008 i pazienti con indicazione di trattamento di elettroshock sono stati 521, 480 nel 2009 e 405 nel 2010, per un totale di 1406;
   sarebbe opportuno conoscere se, tenuto conto del numero esorbitante degli elettroshock praticati nel triennio, siano state rispettate le indicazioni contenute nella circolare 15 febbraio 1999 e precisamente quelle indicate al punto 5 circa il monitoraggio, la sorveglianza e la valutazione, e specificamente quelle relative all'attivazione di un sistema di sorveglianza per monitorare e valutare indicazioni, frequenze, procedure ed esiti delle applicazioni, come il ricorso alla peer review (revisione fra professionisti alla pari) o ad un'apposita commissione composta da professionisti PV esterni alla struttura ove si effettua il trattamento, tenendo altresì conto che la TEC non costituisce un presidio terapeutico a se stante, ma deve necessariamente essere considerata all'interno di un programma terapeutico personalizzato integrato con altri interventi;
   occorre verificare se prima di effettuare la TEC sia stata sempre istituita ed attivata la commissione tra pari o, come recita la circolare del 1999, «l'apposita commissione composta da professionisti esterni alla struttura dove si effettua il trattamento», al fine di vagliare scrupolosamente se persistevano tutte le condizioni ovvero:
    a) la congruità della diagnosi, atteso che restano assai poco chiare le verifiche scientifiche circa l'efficacia del trattamento TEC relativamente ai pazienti affetti da episodio depressivo grave con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio (classificazione ICD 10), quando non possono attuarsi terapie farmacologiche, ovvero nei casi di vera ed accertata farmacoresistenza e nei casi nei quali è controindicato l'uso di psicofarmaci e di documentati precedenti e gravi effetti collaterali imputabili agli antidepressivi;
    b) la verifica di tutta la documentazione clinica del paziente e della sua storia, con riferimento specifico ai precedenti trattamenti, alla durata degli stessi come anche gli eventuali fallimenti, compresi i trattamenti TEC ed i loro esiti;
    e) i criteri di valutazione indicati dal comitato di consulenza e verifica circa la risposta terapeutica, come la valutazione clinica dei risultati dei trattamenti prima e dopo ogni trattamento TEC –:
   se in tutte le regioni siano state istituite ed attivate le commissioni di valutazione e verifica e se siano in atto, da parte del Ministero della salute, verifiche, per quanto di competenza, puntuali nelle strutture pubbliche e private dove viene praticata la TEC, al fine di stabilire se ci si è rigorosamente attenuti, prima dell'effettuazione di interventi di TEC, a quanto espressamente previsto dalla circolare 15 febbraio 1999;
   se non ritenga di assumere iniziative, anche normative, per eliminare del tutto e definitivamente l'uso della TEC – che continua a mantenere il funesto mito della inguaribilità della malattia mentale e che le pratiche territoriali hanno definitivamente ed inequivocabilmente affossato nel nostro Paese – in ragione del rispetto dovuto ai sofferenti psichici, alla loro soggettività mortificata da tali pratiche, alle inesistenti evidenze scientifiche del trattamento. (5-00742)


   VALIANTE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la coltivazione del frumento duro in Italia ha un ruolo di primario interesse in quanto fornisce la materia prima all'industria di trasformazione per la produzione della pasta;
   l'area di coltivazione del cereale, tradizionalmente diffusa in particolare nel Meridione, si è estesa negli ultimi anni anche in alcune zone del Centro-Nord, dove le condizioni agro-climatiche consentono il raggiungimento di elevati livelli produttivi;
   fra gli aspetti qualitativi del frumento duro assumono una particolare rilevanza le caratteristiche igienico-sanitarie del prodotto in relazione alla presenza e alla diffusione di metaboliti tossici come, ad esempio, le micotossine di origine fungina che si sviluppano maggiormente negli areali umidi;
   le micotossine sono metaboliti secondari prodotti da funghi o muffe, presenti in tutti gli ambienti dove si coltivano cereali, non soltanto in Italia ma anche in altri Stati;
   in presenza di particolari condizioni climatiche tali muffe possono infettare le piante e produrre quindi micotossine. Il livello di micotossine prodotte è fortemente correlato con l'andamento meteorologico dell'areale durante alcune fasi di sviluppo delle colture. Piogge consistenti e ripetute possono ad esempio favorire la presenza di deossinivalenolo (DON) nei frumenti. Inoltre la produzione di micotossine è influenzata dall'agrotecnica adottata dagli agricoltori, in quanto esistono tecniche a basso rischio come pure moduli tecnici suscettibili di predisporre le condizioni per la contaminazione;
   il tenore di micotossine in tali derrate è stato oggetto, negli ultimi anni, di regolamentazioni diversificate in molti Paesi del mondo e ciò ha avuto importanti riflessi sugli scambi commerciali e sulla collocabilità delle derrate. La maggior parte dei Paesi ha una soglia limite inferiore a 1000 ppb mentre l'Europa – Regolamento CE n. 1881/2006 della Commissione, del 19 dicembre 2006 – nel tempo ha innalzato il suo limite portandolo a 1750 ppb;
   ad oggi diverse tossine, in particolare 5, sono normate, mentre altre sono attualmente in fase di valutazione a livello europeo. Sono ravvisabili limiti massimi differenti per ogni singola tossina e destinazione d'uso della materia prima (food e feed) e lungo la filiera (dal chicco alla pasta);
   il rapporto fra mercato e micotossine determina serie conseguenze sulla vita economica di migliaia di aziende italiane e può costituire una chiave di lettura innovativa e pratica con cui interpretare il collegamento stretto tra sicurezza alimentare e difesa del reddito degli anelli più deboli della filiera che sono gli agricoltori e i consumatori;
   la rilevazione del grado di contaminazione da micotossine, con specifico riferimento al deossinivalenolo (DON) per il grano duro, è stato oggetto di monitoraggio nazionale in un progetto denominato MICOCER, portato avanti dal Cra-Unità di ricerca per la valorizzazione qualitativa dei cereali/Mipaaf insieme all'Istituto superiore di sanità e all'ISPA/CNR;
   in particolare nell'ambito del progetto MICOCER è stata svolta un'attività di monitoraggio a livello nazionale sui livelli di contaminazione nel triennio 2006-2008, avente ad oggetto sia aziende agricole e centri di stoccaggio sia campi sperimentali. Il monitoraggio presso le aziende del settore primario ha fornito un quadro aderente alla realtà agricola nazionale, mentre quello relativo ai campi sperimentali appartenenti alla Rete di confronto varietale frumento duro ha permesso di effettuare una comparazione dei dati, a parità di condizioni agronomiche applicate, sulla base delle tre principali variabili, ossia anno di coltivazione, località e varietà;
   sulla base dei risultati ottenuti è possibile evidenziare la forte influenza soprattutto dell'ambiente di coltivazione e dell'andamento climatico. Infatti, sebbene vi sia, in generale, un diverso andamento nel grado di incidenza nell'accumulo di valori di contaminazione procedendo dalle zone del Nord verso quelle del Sud, dove tali valori sono pressoché trascurabili, la valutazione del rischio di contaminazione deve tener conto soprattutto dell'ambiente inteso come microareale e cioè delle caratteristiche pedoclimatiche proprie delle singole zone di coltivazione;
   il livello di micotossine nelle aree meridionali è tale da poterne stabilire un utilizzo alimentare con maggiore sicurezza per i consumatori, tanto da poter soddisfare le esigenze più stringenti di quelle fasce più deboli – bambini e malati – e suggerire alcune riflessioni di carattere politico, economico e sanitario, con conseguenti decisioni di carattere legislativo;
   la normativa comunitaria, in particolare il Regolamento CE n. 1881/2006, fissa i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari, stabilendo con il Regolamento CE n. 401/2006 della commissione, del 23 febbraio 2006, i metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di micotossine nei prodotti alimentari e definendo specifiche raccomandazioni per prevenire e ridurre le contaminazioni attraverso l'applicazione di buone pratiche di coltivazione e di produzione;
   la normativa sulle micotossine è in continua evoluzione sia per via delle nuove conoscenze scientifiche che per via delle ripercussioni che le misure adottate determinano negli scambi commerciali anche con i Paesi terzi importanti produttori di materie prime;
   al fine di assicurare la qualità dei prodotti primari quali pasta, pane e derivati della zootecnia come carne e uova è stata realizzata anche una rete di monitoraggio delle micotossine nei cereali (frumento e mais), costituita da Cra e Mipaaf. La rete potrebbe contribuire a garantire la sicurezza alimentare nazionale e internazionale, in quanto i risultati ottenuti contribuiranno alla costituzione di un database, utile per l'istituzione di un sistema nazionale di valutazione del rischio. L'elevata diffusione e la tossicità delle micotossine, il numero crescente di derrate alimentari soggetto a contaminazione è un problema sanitario, economico e sociale, che ha posto fra l'altro la questione dei limiti di tollerabilità nei diversi prodotti cerealicoli. Il progetto, coordinato dal Cra (Unità di ricerca per la valorizzazione qualitativa dei cereali) e avviato nel dicembre 2010, si è sviluppato secondo cinque tematiche: definizione e validazione di metodiche analitiche utili per la determinazione di micotossine nei cereali; strategie utili per la prevenzione e il contenimento dello sviluppo di micotossine; valutazione dell'incidenza delle principali micotossine utile per la costruzione di un sistema nazionale di valutazione del rischio; analisi della diffusione nelle aree a rischio dell'incidenza delle principali specie fungine potenzialmente micotossigene; verifica della correlazione tra presenza del fungo sulla pianta e contaminazione da micotossine; controllo del processo produttivo attraverso l'analisi dei punti critici nella filiera e definizione di linee guida utili alla prevenzione ed al contenimento dello sviluppo di micotossine;
   inoltre, il progetto Micoprincem – micotossine principali ed emergenti nei cereali – che coinvolge diverse strutture, tra le quali il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Cra-Unità di ricerca per la valorizzazione qualitativa dei cereali, l'Istituto superiore di sanità, già dal 2010, sta studiando la problematica delle micotossine nei cereali, con particolare attenzione alle micotossine emergenti, a causa della loro tossicità per uomo e animali per le quali non esistono ancora limiti normativi. Lo studio consentirà di definire metodi validati con cui monitorare la presenza di tali composti sulla produzione cerealicola nazionale ed acquisire informazioni attendibili sulla loro reale diffusione nei cereali in Italia. Lo studio permetterà, altresì, di disporre di dati per considerazioni attinenti la valutazione del rischio e la gestione dello stesso, da parte degli organi preposti, su questo gruppo di micotossine attualmente all'attenzione della Commissione europea;
   nel corso della XVI legislatura, la 9a Commissione agricoltura del Senato, ai sensi dell'articolo 50, comma 2, del Regolamento, a conclusione dell'esame dell'affare assegnato – n. 398 – relativo alla questione inerente alla valutazione dell'impatto delle micotossine sulla filiera agroalimentare del grano duro, ha approvato il 26 settembre 2012 una risoluzione sulla materia – Doc. XXIV, n. 44. Dall'approvazione dell'atto non è seguito alcun impegno governativo nel senso indicato nella medesima risoluzione;
   il problema resta e l'importanza di essere affrontato persiste. L'innalzamento della soglia di micotossine, sostanze chimiche che servono a controllare il formarsi di muffe, presenti nelle farine, ha comportato che in Italia entrano più farine estere che resistono ai lunghi trasporti proprio grazie ai valori alti di questi additivi. Tutto ciò a scapito dei produttori italiani, di cui la maggior parte al Sud –:
   quali iniziative intenda assumere per definire e individuare i quantitativi di prodotto in entrata nei centri di stoccaggio, formando partite omogenee non solo per caratteristiche qualitative ma anche, in certi anni e situazioni, per livello di contaminanti, definendo altresì controlli in accettazione più efficaci, da agevolare anche attraverso l'introduzione dell'obbligo di colorazione, mediante traccianti atossici, dei grani duri destinati ad altri usi, sia di provenienza comunitaria che extracomunitaria prima dell'immissione in commercio degli stessi;
   quali provvedimenti intenda intraprendere per razionalizzare il sistema dei controlli, al fine di accrescere la loro efficienza, rafforzando la vigilanza alle dogane ed evitando inutili sovrapposizioni e promuovendo meccanismi di coordinamento operativo tra le varie autorità preposte a tali attività di vigilanza;
   se non ritenga opportuno adottare tutte quelle iniziative – sia in ambito nazionale che in ambito comunitario – volte ad armonizzare le normative in materia di micotossine presenti negli alimenti con quelle dei Paesi extraeuropei più virtuosi, nella prospettiva di tutelare adeguatamente – anche alla luce del principio di precauzione – la sicurezza dei consumatori, specie per i prodotti destinati ai minori, tenendo conto anche dei livelli medi di consumo di prodotti a base di grano duro ravvisabili in Italia, superiori a quelli di altri Paesi europei, con conseguente maggiore esposizione ai rischi in questione sul piano della salute;
   se non ritenga urgente emanare, anche con riferimento ai prodotti alimentari della filiera del grano duro, i decreti attuativi previsti dall'articolo 4, comma 3, della legge 3 febbraio 2011, n. 4, in materia di etichettatura dei prodotti agroalimentari, atteso che nel settore in questione la tutela della qualità è strettamente connessa alla tutela della trasparenza, prevedendo l'obbligo di indicare in etichettatura di tutti i prodotti a base di cereali e dei cereali stessi non solo la provenienza della materia prima agricola utilizzata, ma anche se il prodotto è idoneo o meno al consumo per i lattanti e i bambini;
   quali misure intenda assumere per introdurre meccanismi premiali e di sostegno finalizzati ad incentivare e a favorire l'indicazione, nell'etichettatura dei prodotti in questione, dei parametri contaminanti di origine fungina;
   se non ritenga urgente attivarsi nelle sedi opportune, anche comunitarie, al fine di consentire l'introduzione di una corretta classificazione legale dell'età dei bambini ai fini dei prodotti alimentari destinati all'alimentazione degli stessi, in quanto il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 1999, n. 128, che recepisce una direttiva comunitaria sulla materia in questione, configura come soglia anagrafica massima per tali tipologie di prodotto l'età di tre anni, anziché, come sarebbe invece necessario, l'età di dieci anni;
   quali opportune iniziative assumere volte all'inserimento dei differenti tenori di micotossine nella classificazione merceologica del grano duro quotato nelle borse merci;
   quali iniziative assumere per rendere neutrali e trasparenti le negoziazioni e la formazione dei prezzi, attraverso informazioni dettagliate e tempestive sugli elementi fondamentali di mercato (produzione, consumi, importazioni, esportazioni) anche a valle della filiera;
   quali azioni assumere per organizzare una banca dati, atta a raccogliere elementi in ordine al campionamento per aree, varietà, pratiche agronomiche, condizioni climatiche, cicli di produzione – raccolto, stoccaggio, lavorazione – che consenta un'analisi puntuale della presenza delle micotossine prevalenti nelle derrate nazionali e in quelle importate;
   quali misure adottare per la standardizzazione della metodologia di campionamento e delle modalità di certificazione delle stesse, nonché per definire le modalità per l'eventuale accreditamento di laboratori di analisi dei campioni, allo scopo di analizzare ed elaborare dati standardizzati per adeguate valutazioni tecnico scientifiche. (5-00747)


   VALERIA VALENTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i livelli essenziali di assistenza (LEA) sono costituiti dall'insieme dei servizi e delle prestazioni garantite dal Servizio sanitario nazionale su tutto il territorio nazionale e devono individuarsi sulla base dei princìpi di effettiva necessità assistenziale, efficacia della prestazione, appropriatezza della prestazione;
   l'originario provvedimento di definizione dei livelli essenziali di assistenza è rappresentato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, emanato sulla base di un accordo Stato-Regioni del 2001, che elenca le prestazioni erogabili nell'ambito del Servizio sanitario, le prestazioni erogabili soltanto secondo specifiche indicazioni cliniche, le prestazioni escluse dai livelli essenziali e, perciò, non erogabili in tale ambito;
   le regioni, in applicazione dell'articolo 117 della Costituzione, hanno avuto la possibilità di includere nei LEA prestazioni ulteriori rispetto a quelle fissate in sede centrale (cosiddetti LEA aggiuntivi), che hanno concorso a costituire, con le prime, il livello di assistenza regionale;
   per quel che riguarda le medicine non convenzionali (MNC) costituite da fitoterapia, medicina antroposofica, medicina ayurvedica, omeopatia, chiropratica, osteopatia, nonché tutte le altre pur non espressamente citate, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, all'allegato 2, lettera c), ne ha espressamente deciso la esclusione dai LEA;
   analoga esclusione dai LEA è stata prevista, dalla medesima disposizione, con riferimento all'agopuntura, con la sola espressa eccezione delle indicazioni anestesiologiche di detta pratica medica;
   le ragioni dell'esclusione dell'agopuntura dai livelli essenziali di assistenza quali furono esposte dall'allora Ministro della sanità Sirchia, si individuarono nell'assunto secondo cui, inserirne i costi nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza avrebbe determinato un aggravio di spesa del Servizio sanitario nazionale, non coerente con i princìpi che sovrintendono alla individuazione delle prestazioni sanitarie «essenziali»;
   nei dieci anni trascorsi dall'adozione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di individuazione dei livelli essenziali di assistenza, il dibattito sulle medicine non convenzionali, e sull'agopuntura in particolare, si è notevolmente evoluto: molte sono state le positive esperienze regionali di inserimento dell'agopuntura tra i servizi assistenziali regionali; si è accresciuto il panorama degli studi e delle evidenze cliniche riguardanti detta pratica medica; sono state introdotte specifiche normative destinate a disciplinare i percorsi formativi per la pratica delle medicine non convenzionali;
   allo stesso tempo, verifiche sul complessivo funzionamento della sanità nei diversi contesti regionali, hanno resa necessaria, per un verso, l'adozione di specifici piani di rientro (per alcune regioni in particolari situazioni di difficoltà), per altro verso, e più in generale, la ricerca di nuove relazioni paziente-medico, tese, fra l'altro, a ridurre drasticamente l'impiego di farmaci e dei mezzi tecnologici diagnostici, avendone accertato l'impiego non sempre dipendente da effettive necessità, nonché la frequente insorgenza di malattie iatrogene (ingenerate, cioè, dallo stesso uso dei farmaci);
   si è andato, inoltre, affermando, un concetto di tutela della salute meno specialistico/settoriale e, soprattutto, non orientato, in via principale, alla risoluzione dell'evento patologico o alla prevenzione dall'insorgenza di specifiche patologie, bensì rivolto al conseguimento di uno stato di complessivo benessere psico-fisico del cittadino/paziente, con miglioramento del complessivo stato di salute dei cittadini e conseguente riduzione – e un più corretto impiego – delle risorse occorrenti al Sistema sanitario;
   il contesto cui si è ora fatto cenno, ha avuto notevoli ripercussioni anche nel confronto tra la medicina tradizionale e le medicine non convenzionali, confronto che risulta sempre meno incentrato sul mero «conflitto teorico» tra due diversi modelli clinici, per concentrare, invece, l'attenzione degli specialisti di settore (medici, legislatore, giuristi, giurisprudenza) sulla primaria esigenza di tutelare il principio di autodeterminazione, consapevole perché adeguatamente informata, del paziente, nel rispetto di diritti fondamentali della persona, preso atto della sempre crescente diffusione delle medicine alternative sia tra la popolazione, sia tra medici;
   di tali nuovi orientamenti si è data ampia applicazione nell'accordo Stato-regioni, sottoscritto il 7 febbraio 2013, che ha definito i «...criteri e le modalità per la certificazione di qualità della formazione e dell'esercizio dell'agopuntura, della fitoterapia e dell'omeopatia, da parte dei medici chirurghi, degli odontoiatri, dei medici veterinari e dei farmacisti», sul presupposto di dover «(...) tutelare la libertà di scelta dei cittadini e quella di cura del medico e dell'odontoiatra, entrambe fondate su un rapporto consensuale e informato, sul rispetto delle leggi dello Stato e dei principi della deontologia professionale...»;
   l'Accordo in questione, all'articolo 1, punti 3 e 4, ha inoltre stabilito:
  «3. L'Agopuntura, la Fitoterapia e l'Omeopatia costituiscono atto sanitario e sono oggetto di attività riservata perché di esclusiva competenza e responsabilità professionale del medico chirurgo, dell'odontoiatra professionale, del medico veterinario e del farmacista, ciascuno per le rispettive competenze. 4. L'Agopuntura, la Fitoterapia e l'Omeopatia sono considerate come sistemi di diagnosi, di cura e prevenzione che affiancano la medicina ufficiale avendo come scopo comune la promozione e la tutela della salute, la cura e la riabilitazione»;
   al successivo articolo 2, punto 1, il ripetuto Accordo ha dettato la definizione di «Agopuntura», prevedendo che: «1. L'Agopuntura è definita come Metodo diagnostico, clinico e terapeutico che si avvale dell'infissione di aghi metallici in ben determinate zone cutanee per ristabilire l'equilibrio di uno stato di salute alterato»;
   nella scorsa legislatura, il Ministro della salute Balduzzi, con decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, recante «disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» ha stabilito, all'articolo 5 l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, con particolare riferimento alle persone affette da malattie croniche, da malattie rare, nonché da ludopatia, nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica, con la procedura di cui all'articolo 6, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 31 dicembre 2012, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e con il parere delle Commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il bisogno di salute, l'equità nell'accesso all'assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze;
   in vista della rideterminazione dei livelli essenziali di assistenza sarebbe opportuno – alla luce delle specifiche previsioni dell'articolo 5 citato e della ratio complessiva del decreto-legge n. 158 del 2012, teso al conseguimento di un più elevato livello di tutela della salute nel Paese – la riconsiderazione dell'agopuntura, ai fini dell'inserimento di detta modalità di diagnostica, cura e prevenzione nei LEA, considerate le evoluzioni, anche normative, che hanno riguardato detta modalità di cura;
   l'utilizzazione dell'agopuntura – il cui statuto diagnostico di cura e prevenzione risulta oggi giuridicamente delineato e si affianca alla medicina tradizionale – rientra, infatti, fra le significative risposte alle pregnanti esigenze del Servizio sanitario nazionale e dei servizi sanitari regionali: in termini di riduzione dell'impiego di farmaci non strettamente necessari (in particolare in campo antalgico, nei disturbi dell'insonnia, come cura antinfiammatoria e decontratturante della muscolatura), con riflessi positivi sulla salute dei pazienti e riduzione di costi sanitari non giustificati; in termini di specificità dell'approccio metodologico, volto a intervenire anzitutto a monte dell'insorgenza di eventuali processi patologici (con una sorta di monitoraggio complessivo e permanente dello stato di benessere dei pazienti) che, oltre che a curare laddove necessario, ha anzitutto lo scopo di adottare misure terapeutiche che evitino il verificarsi di danni organici al paziente;
   la necessità di aggiornamento delle normative riguardanti le medicine non convenzionali, peraltro, è stato oggetto di apposita indagine conoscitiva già da parte della XII Commissione permanente igiene e sanità del Senato, nella seduta del 2 agosto 2007, ma le direttrici di intervento individuate in quella sede non hanno poi trovato esaustiva soluzione normativa –:
   se non ritenga opportuno, nella ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza prevista dall'articolo 5 del decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, prevedere l'inserimento dell'agopuntura nei «nuovi» LEA, superando così quelle che l'interrogante giudica l'infondata previsione di inclusione limitata alle sole indicazioni anestesiologiche originariamente previste dall'allegato 2, lettera c) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001. (5-00763)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa riportate sul quotidiano della Calabria del 15 luglio 2013, si apprende che il pronto soccorso dell'ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro, meta di numerosissimi accessi provenienti da tutta la provincia e da molti comuni della regione, vive ormai da diversi mesi un profondo disagio anche a causa dei ripetuti tagli alla sanità attuati dal piano di rientro dal debito medesimo attuato dal governatore Giuseppe Scopelliti, in quanto commissario ad acta;
   il numero di medici su cui la struttura attualmente può fare affidamento risulta molto limitato, tant’è che il personale medico e paramedico in servizio in questi periodi dell'anno è costretto a rinunciare alle ferie e a lavorare in condizioni disumane, oberato da turni faticosi sempre più massacranti;
   il personale medico e ospedaliero negli ultimi anni si è ridotto quasi della metà, rappresentando lo spaccato di un realtà molto più complessa che si inserisce in un contesto sociale già profondamente provato da una crisi che sta coinvolgendo ogni settore;
   a contribuire a questa situazione di crisi si aggiungono le continue chiusure di reparti (persi 130 posti letto negli ultimi due anni), il blocco del turn-over, tutte decisioni che non fanno altro che aggravare i reali problemi dell'utente e che finiscono per colpire il sistema sanitario regionale nelle sue fondamenta, favorendo l'emigrazione sanitaria presso le regioni del centro-nord con notevole aggravio dei costi economici a carico delle famiglie;
   i medici si dichiarano ormai allo stremo delle proprie forze e per queste ragioni hanno rivolto un proprio appello al prefetto del capoluogo calabrese nel tentativo di sbloccare la pesante situazione delle urgenze venutesi a creare. Il tutto motivato dall'esigenze dell'utenza che vede sempre più messa a rischio la propria salute;
   i preesistenti disagi strutturali di un territorio già complesso con problematiche di ordine sociale economico, rendono necessarie azioni forti a tutela dei cittadini e del personale costretto a fare i conti con enormi problemi organizzativi con l'obiettivo di garantire almeno i livelli minimi di assistenza di questo territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro del deficit sanitario, a tutela dei livelli essenziali di assistenza anche assicurando la funzionalità dei presidi ospedalieri sul piano dell'adeguato presidio delle strutture. (4-01402)


   MELILLA e D'INCECCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i livelli essenziali di assistenza devono essere assicurati in tutto il territorio nazionale;
   la ASL di Teramo non sta assicurando i LEA a seguito delle scelte operate con la nuova Convenzione con l'Università dell'Aquila per l'unità operativa di urologia;
   il 9 luglio 2013 la Asl Teramana con una comunicazione firmata dal Direttore Generale rimuove dall'incarico il docente Responsabile dell'unità operativa di urologia dell'ospedale;
   si susseguono numerosi rifiuti a prendere il posto del docente dirigente di quel Servizio (il vicario rifiuta l'incarico e così anche un altro chirurgo) producendo una paralisi della struttura con un grave disservizio per gli utenti;
   la lista d'attesa per gli interventi è di circa 200 pazienti che attendono di essere operati;
   il disagio ha prodotto anche una mobilitazione di pazienti, cittadini e di gran parte del personale sanitario che chiedono il reintegro del responsabile rimosso;
   il servizio di urologia è stato storicamente la prima cattedra dell'Università di L'Aquila ad essere stata convenzionata con l'allora ULSS di Teramo per la lungimiranza di illustri medici e docenti universitari che intuirono le reali potenzialità di una sinergia tra università dell'Aquila e ospedale di Teramo;
   da allora Teramo ha visto un susseguirsi di illustri docenti universitari che hanno costruito, tassello per tassello, l'urologia teramana come la vediamo oggi, con un professore ordinario ormai abruzzese ed una struttura riconosciuta tra le migliori in ambito nazionale;
   il reparto nel lontano 1972 venne costruito di sana pianta dal nulla con personale medico proveniente dall'Istituto di urologia di Roma;
   gli anni ’80 hanno visto l'urologia teramana tra le prime in assoluto sia per produzione scientifica che per novità tecnologiche e chirurgiche. Era quello il periodo in cui la chirurgia si rinnovava nelle tecniche e nei materiali, era quello il tempo dell'innovazione tecnologica che ha consentito lo sviluppo di approcci chirurgici mini invasivi ed extracorporei. In quest'ambito e per il servizio di urologia di Teramo fu uno dei primi centri ad utilizzare e sviluppare metodologie terapeutiche extracorporee come la Trans Urethral Microwave Thermotherapy per il trattamento chirurgico mini invasivo delle patologie prostatiche; Teramo fu poi uno dei primi 4 centri in Italia a sviluppare le tecniche percutanee e di litotrissia per il trattamento della litiasi renale ed uno dei pochi centri ad iniziare uno studio sistematico e con rigore metodologico delle disfunzioni del pavimento pelvico e l'applicazione pratica di nuove e rivoluzionarie tecniche chirurgiche. Nascono in quel periodo la Scuola Urologica Teramana e la Scuola di Specializzazione in Urologia con sede a Teramo che in questi anni hanno diplomato specialisti abruzzesi, apprezzati per la loro preparazione professionale e scientifica che rappresentano un esempio di come la formazione sia una insostituibile risorsa per la crescita culturale della sanità di una città e di una regione;
   tutto questo lavoro durato 35 anni ha portato alla creazione di un Centro Regionale «per lo studio ed il trattamento delle patologie prostatiche», quinto in Italia secondo una inchiesta del Corriere della Sera, qualificando Teramo come centro di riferimento nazionale per il trattamento chirurgico mini invasivo per la incontinenza maschile e femminile, per lo studio ed il trattamento della calcolosi urinaria e per il trattamento chirurgico delle patologie oncologiche di carattere urologico –:
   quali iniziative intenda intraprendere per assicurare i livelli essenziali di assistenza nel servizio di urologia della ASL di Teramo anche tenuto conto delle liste d'attesa generate. (4-01405)


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è stata recentemente confiscata, dal Corpo forestale servizio cites, le struttura denominata «zoo safari Latina», sita in Strada Malconsiglio n. 448 (04100 Latina), operante senza alcuna autorizzazione. Successivamente il Corpo forestale dello Stato si è impegnato per la ricollocazione degli animali con grande professionalità ed efficacia;
   nella struttura erano detenuti esemplari di specie pericolose per la tutela della salute e dell'incolumità pubblica, secondo quanto previsto dalla legge n. 150 del 1992 e successive modifiche. Tra queste anche ippopotami, elefanti, scimpanzé e altro;
   la struttura ha operato per anni, facendo pagare un regolare biglietto al pubblico, senza che, a quanto consta all'interrogante, nessun servizio territoriale competente (asl, polizia municipale, e altro) prendesse alcuna iniziativa, nonostante le frequenti segnalazioni delle associazioni animaliste;
   si rammenta inoltre che anche il medico veterinario, nell'esercizio della sua professione in qualità di dipendente del servizio veterinario pubblico, è definito «veterinario ufficiale», poiché ai sensi è a tutti gli effetti un pubblico ufficiale e agente di polizia giudiziaria;
   il codice deontologico della professione veterinaria, che consta di un insieme di precetti che la Federazione nazionale degli ordini dei veterinari italiani (FNOVI) ha approvato per regolare il corretto esercizio della professione veterinaria, all'articolo 1 dà rilievo al «rispetto degli animali e del loro benessere in quanto esseri senzienti» e, inoltre, all'articolo 9 sottolinea che l'attività del medico veterinario deve esplicarsi «... secondo scienza, coscienza e professionalità»;
   quella che all'interrogante appare una gravissima mancanza non dovrebbe essere commessa proprio da medici veterinari (e dalle forze dell'ordine presenti sul territorio) che hanno il dovere, non solo di prevenire condotte in danno agli animali in qualità di agenti di polizia giudiziaria, e, come prescritto dalla normativa vigente sul veterinario pubblico, ma di agire per salvare gli animali ed evitare che tali fatti abbiano ulteriori conseguenze e per evitare che gli stessi siano reiterati;
   molti animali sono deceduti nel tempo, tra cui un elefante asiatico femmina, come riscontrato dai numerosi accessi effettuati dall'Enpa (Ente nazionale protezione animali). Le pessime condizioni di detenzione dell'elefante era stata regolarmente segnalata –:
   quali siano le garanzie che il Ministero della salute intende offrire affinché episodi simili non si ripetano, tenendo conto che i dipendenti pubblici dovrebbero rilevare e denunciare simili comportamenti;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per un approfondimento circa decessi avvenuti all'interno della struttura per valutare le cause degli stessi a verificare con quali modalità le carcasse degli animali siano state smaltite;
   quali siano gli strumenti di cui i Ministeri intendano avvalersi per intervenire sulle numerose strutture di detenzione (zoo e delfinari) che insistono sul territorio italiano e che, prive delle autorizzazioni previste anche ai sensi della legge n. 73 del 2005, continuano a percepire le entrate di biglietti di ingresso e ad operare in assenza dei minimi standard di prevenzione sanitaria e di sicurezza. (4-01408)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, DI VITA e CECCONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 24 luglio 2008 nel quartiere Eur di Roma a seguito della demolizione per implosione del velodromo costruito negli anni sessanta si sprigionava un'enorme nube di polveri che si diffondeva in un'ampia area residenziale;
   non è stato depositato presso la prefettura alcun piano di sicurezza per la protezione della popolazione interessata dall'evento demolitivo, né un progetto di demolizione, né effettuato un preventivo monitoraggio ambientale;
   la stessa ASL RMC dichiara di non essere stata avvisata dell'evento e di non essere riuscita ed effettuare un sopralluogo nei giorni successivi a causa del sequestro giudiziario dell'area;
   a seguito dell'esposto presentato dal Coordinamento cittadini e comitati per la difesa dell'Eur, il 5 settembre 2008 viene effettuato un sopralluogo in loco dalla ASL RMC prelevando alcuni campioni per verificare l'eventuale presenza di amianto;
   negli stessi giorni viene rinvenuta nella parete di un sottopassaggio, che collegava gli spogliatoi demoliti alla pista, una coppia di tubazioni in cemento amianto lunghi 130 metri;
   a seguito di successive attività di censimento e mappature vengono rinvenuti ulteriori tubi in cemento amianto anche a servizio dell'impianto elettrico in più zone dell'ex velodromo;
   nel dicembre dello stesso anno si svolgono i lavori di bonifica e di smaltimento del materiale rinvenuto nell'area;
   a fine maggio 2009 l'ASL RMC pubblica la relazione conclusiva dalla quale emerge che a seguito della bonifica sono stati smaltiti 4.535 chilogrammi di materiali in cemento amianto, e che di questi 130 chilogrammi sono sicuramente coinvolti nell'implosione con la conseguenza che vi è stata certamente dispersione di amianto nell'aria;
   sono in corso procedimenti giudiziari volti all'accertamento di responsabilità penali concernenti i fatti esposti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in merito alle vicende descritte e se intenda assumere iniziative volte a promuovere e monitorare la bonifica di tutta l'area in questione, ivi compreso il sottosuolo, per garantire il diritto costituzionale alla salute di tutti i residenti nel territorio limitrofo. (4-01412)


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   nel 2004 l'allora presidente di regione Antonio Bassolino e il suo vice Antonio Valiante, entrambi in corsa per la successiva rielezione, inauguravano l'Ospedale civile di Agropoli, ma l'ospedale, inaugurato e mai organizzato, fin da subito ha attraversato fasi alterne di crisi;
   già nel 2006 e nel 2007 solo le dure proteste dei cittadini scongiurarono il rischio di declassamento del presidio sanitario, ma a quattro anni dalla sua apertura la legge regionale n. 16/2008 a firma dello stesso Bassolino sanciva l'uscita definitiva del presidio dalla rete dell'emergenza;
   nel 2010, al fine di dare attuazione al piano di rientro dal disavanzo del servizio sanitario regionale campano imposto dal Governo per risanare i debiti accumulati dall'amministrazione regionale ai tempi di Bassolino, il nuovo presidente Stefano Caldoro, nonché commissario ad acta, con decreto n. 49 prevedeva la riconversione del presidio ospedaliero di Agropoli in Psaut;
   successivamente, il commissario governativo Morlacco, a seguito delle decisioni scellerate del governo Monti sul mancato trasferimento dei fondi sanitari alla regione Campania stabiliva, nell'aprile scorso, di sottrarre ben 28 milioni di euro alla Asl di Salerno per coprire i debiti della Asl Napoli 1;
   tale decisione costringeva il manager dell'Asl Salerno, Antonio Squillante, ad avviare la conversione dell'ospedale di Agropoli, in ossequio al decreto 49, predisposto dal subcommissario Zuccatelli mentre la regione era governata da Pd;
   la stessa ordinanza del Consiglio di Stato, di fatto, ha confermato il 13 luglio 2013 che il manager Antonio Squillante, è stato obbligato a riconvertire l'ospedale di Agropoli in base al citato decreto 49;
   le polemiche sollevate in questi mesi hanno colpito, in particolare, l'atto aziendale predisposto dall'ASL di Salerno e il direttore generale Squillante, come se tutto quello che di negativo sta accadendo sia da ricondurre a tale atto;
   in realtà, l'atto aziendale è un mero strumento di attuazione di decisioni assunte in passato e contenute nel decreto n. 49 del 2010, un decreto che, peraltro, ha discriminato pesantemente la provincia di Salerno e avvantaggiato in maniera evidente e sproporzionata quella di Napoli, in linea con il dato storico che prevede una forte sperequazione sul numero di posti letto per mille abitanti tra le due province;
   come riportato da notizie di stampa locali, infatti, la provincia di Napoli avrebbe ottenuto nella fase di ripartizione dei posti letto ben 937 posti letto in più, a danno di Salerno, che nella ripartizione ne avrebbe perso 351, di cui 137 privati e 224 posti pubblici, dei quali ultimi ben 213 sono stati soppressi tra gli ospedali di Battipaglia, Eboli, Olivete Citra, Agropoli e Roccadaspide;
   la soppressione del presidio ospedaliero appare oltremodo discutibile, non solo perché attua misure normative che non hanno tenuto conto della specificità del territorio, ma anche perché, lungi dall'attuare una misura di razionalizzazione della spesa sanitaria, colpisce paradossalmente una struttura ospedaliera di recente apertura, inaugurata soltanto nel 2004, costata decine di milioni di euro e da tutti apprezzata per la capacità tecnica delle attrezzature;
   la chiusura dell'ospedale civile di Agropoli, inoltre, determinerà gravissime ripercussioni sull'assistenza sanitaria in questo territorio, posto che il suddetto nosocomio conta i maggiori accessi in Pronto Soccorso nell'ambito dell'ex Asl Salerno 3, avendo un'utenza fissa di oltre 60 mila persone e un vastissimo bacino di utenti turistici;
   tale previsione, dunque, non solo non tiene conto delle specifiche caratteristiche del territorio, ma contravviene anche alla elementare regola di buon senso secondo cui i servizi, soprattutto quelli essenziali, come l'assistenza sanitaria, vanno assicurati là dove ce n’è più bisogno;
   a parere dell'interrogante, i consiglieri regionali dovrebbero assumersi la responsabilità di portare la problematica in consiglio regionale per porre rimedio a questo disastro e proporre la permanenza del presidio nella rete dell'emergenza;
   occorrerebbe, in ogni caso, che venissero approntate le soluzioni possibili a garantire la stabile e sicura funzionalità del presidio come, ad esempio, subordinarne la chiusura all'avvenuta realizzazione dell'ospedale unico del Sele;
   l'unico modo per ridare fiducia e certezza ai diritti dei cittadini dei territori interessati dal processo di riorganizzazione dei presidi ospedalieri è quella di consentire la modifica del decreto n. 49 del 2010, recuperando una condizione di equità e di giustizia che tenga conto delle diversità dei territori di riferimento, come del resto hanno fatto – con esiti positivi – i territori di S. Angelo dei Lombardi, di Torre del Greco e da alcuni giorni quello di Casoria –:
   se il Governo non intenda verificare, anche per tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario, se esista la possibilità di una compromissione dei livelli essenziali di assistenza nel territorio a seguito della chiusura dell'ospedale di Agropoli con conseguente grave pericolo per la salute delle persone. (4-01450)


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che presso il delfinario dello zoo di Fasano (Brindisi) «si è tenuto un progetto terapeutico che ha coinvolto un gruppo di ragazzi con problemi di autismo che sono venuti a contatto con i delfini, I ragazzi accompagnati da alcuni educatori, hanno prima assistito allo spettacolo e poi hanno interagito con i mammiferi presenti»;
   ai ragazzi sarebbe stato consentito di interagire con gli animali per stessa ammissione dei direttore del parco;
   per «progetto terapeutico» si intende evidentemente un progetto che dia risultati e che sia valutato scientificamente in modo adeguato e sia condotto nel rispetto delle normative vigenti;
   per terapia assistita con animali (TAA – animal-assisted therapy) si intende, secondo la definizione fornita dal Centro di collaborazione OMS/FAO per la sanità pubblica veterinaria e l'Istituto superiore di sanità, la «Terapia effettuata con l'ausilio di animali» ovvero, secondo la definizione dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise, la «terapia assistita dagli animali»;
   trattasi di un'attività terapeutica vera e propria, con precise caratteristiche, effettuata con l'ausilio di animali domestici e finalizzata a migliorare le condizioni di salute di un paziente mediante specifici obiettivi;
   la co-terapia TAA rientra nel gruppo delle cosiddette «pet-therapy», definite «attività di sostegno terapeutico che si attuano attraverso l'utilizzo della relazione uomo-animale domestico» (Ministero della salute – direzione generale della sanità animale, «L'approccio zooantropologico alla pet therapy»);
   le terapie assistite con gli animali sono definite anche dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2003 «Recepimento dell'accordo recante disposizioni in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy» (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 52 del 4 marzo 2003);
   con l'espressione «Terapie assistite dagli animali» ci si riferisce a interventi terapeutici con precise caratteristiche ed obiettivi, finalizzati a migliorare le condizioni di salute psico-fisica di un paziente. È una terapia complementare e non alternativa, volta pertanto a integrare, rafforzare e coadiuvare le terapie accademiche normalmente effettuate per il tipo di patologia considerato. Le TAA sono caratterizzate dall'attuazione di un preciso protocollo che comprende l'individuazione di obiettivi di salute specifici per ciascun destinatario dell'intervento, una gestione multidisciplinare, una documentazione dell'intervento e una valutazione obbligatoria degli esiti (Delta society, handbook for animal assisted activities and animal assisted therapy Washington: Renton; 1992);
   i delfini, più correttamente i tursiopi, non possano essere definiti propriamente dei «pet», essendo al contrario animali selvatici costretti a vivere in stato di cattività. Non appare quindi infondato e fuori luogo asserire che tursiopi non sono da questo punto di vista assimilabili a cani, gatti, galline, cavalli;
   un'ampia letteratura scientifica («Assessment of the risk of zoonotic disease transmission to marine mammal workers and public: survey of occupational risks» AK. Mazet, H. and M. H. Ziccardi. Wildlife Health Center School of veterinarian medicine, University of California. Davies, California 95616. Usa; etc.) evidenzia il rischio di trasmissione di patologie tra la specie Tursiops truncatus e l'uomo, mentre numerosi e gravi sono gli incidenti registrati durante le sessioni di terapia assistita con i tursiopi, in Paesi nei quali questa pratica è lecita;
   la DAT (Dolphin Assisted Therapy, terapia assistita con i delfini) è una terapia molto controversa e prevede una stretta interazione con i delfini, di solito il nuoto con questi animali in cattività o nel loro ambiente naturale, ed è proposta come trattamento o palliativo di malattie e invalidità. La sua efficacia non è tuttavia scientificamente dimostrata (Marino e Lilieafield, 2007) e le acque nelle quali sono detenuti i tursiopi in cattività certamente non hanno le caratteristiche di balneabilità previste dalla vigente normativa;
   il documento del Comitato nazionale per la bioetica, «Problemi relativi all'impiego di animali in attività correlate alla salute e al benessere umani», approvato il 21 ottobre 2005, afferma testualmente: «Gran parte delle attività considerate nel documento riguardano un numero ristretto di animali sicuramente domestici (cani, gatti, cavalli). Mentre per altre si pone il problema dell'eventuale utilizzo di altre specie (per esempio i delfini). In questo caso, il principio di precauzione, inteso sia come salvaguardia della salute dell'uomo, sia come tutela della specificità animale, impone di escludere da tali pratiche tanto gli animali selvaggi (anche se animansiti) quanto animali il cui livello di domesticazione è ancora incerto per cui, anche se non sussistono evidenti pericoli per l'uomo, sono molto probabili riflessi negativi per l'animale»;
   il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 6 dicembre 2001 n. 469, «Regolamento recante disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops Truncatus, in applicazione dell'articolo 17, comma 6 della legge 23 marzo 2001, n. 93 stabilisce agli articoli 37 e seguenti dell'allegato che il nuoto con i delfini è vietato ed è permesso solo all'addestratore, al veterinario, al biologo e al curatore è consentito effettuare immersioni con i delfini allo scopo di provvedere alla loro cura o all'ispezione delle strutture. I delfini non devono essere alimentati dal pubblico né entrare in contatto con lo stesso, durante le eventuali dimostrazioni, la sorveglianza dev'essere continua per evitare che i visitatori abbiano contatto fisico con i delfini o gettino oggetti nelle vasche –:
   quali siano gli strumenti che i Ministeri interrogati intendano porre in essere per evitare che siano reiterate palesi violazioni della normativa vigente;
   quali siano le garanzie che il Ministero competente intenda offrire affinché le strutture che detengono tursiopi in cattività non consentano più alcun contatto tra pubblico e cetacei – come accade non solo a Fasano – anche in ragione del rischio sanitario a cui si sottopongono visitatori e animali;
   se non si ritenga opportuno, a seguito delle costanti e reiterate violazioni del decreto sopraccitato, vietare alle strutture inadempienti di proseguire con le loro attività. (4-01459)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BELLANOVA e CAPONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le Zone franche urbane (ZFU), la cui istituzione è stata prevista dall'articolo 2, commi 561 e seguenti della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese;
   obiettivo prioritario delle Zone franche urbane come riportato dal sito del Ministero dello sviluppo economico – dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse;
   la scelta delle aree si fonda sulla base di parametri socio-economici, tra i quali, numero di abitanti per quartiere, numero di disoccupati e numero di persone uscite anticipatamente dal percorso formativo scolastico;
   l'istituzione della Zone franche urbane in una realtà infra-comunale prevede agevolazioni fiscali e previdenziali utili a rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale nelle piccole imprese di nuova costituzione ivi localizzate, consistenti in: esenzione dalle imposte sui redditi, esenzione dall'IRAP, esenzione dall'IMU, esonero dal versamento dei contributi previdenziali per cinque anni;
   nella regione Puglia le Zone franche urbane individuate, riconosciute ufficialmente nel 2007 e finanziate con delibera CIPE 14 del 2009, erano tre: Andria, Lecce e Taranto; nel 2012 l'elenco sembrerebbe essere stato ampliato con l'individuazione di altre otto: Barletta, Foggia, Lucera, Manduria, Manfredonia, Molfetta, San Severo e Santeramo in Colle, ritenute ammissibili dalla Regione, ma non approvate dal Ministero competente;
   nei giorni scorsi sugli organi di stampa è emersa una notizia che ha suscitato forti preoccupazioni, secondo cui le città pugliesi sarebbero stata esclusa dal decreto del Ministero dello sviluppo economico emanato, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, il 10 aprile 2013 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'11 luglio 2013, in quanto, relativamente alle Zone franche urbane «la Regione Puglia avrebbe provveduto, secondo esplicita intenzione, con propri strumenti»;
   sembrerebbe, infatti, che la regione Puglia avesse già agevolato le Zone franche urbane pugliesi (11 in tutto) utilizzando i fondi FESR, e volesse poi allargare il novero delle Zone franche urbane dalla tre riconosciute nel 2007 alle 11 invece individuate dalla Regione;
   a pagina 2 del citato decreto, quarto capoverso, si legge «considerato che nella citata informativa CIPE in ordine al “Piano Azione Coesione: terza e ultima riprogrammazione” è stata rappresentata la volontà della regione Puglia di finanziare gli interventi previsti nella misura 3.1 (1) del predetto Piano azione coesione con propri strumenti, relativamente alle Zone franche urbane ricadenti nel territorio regionale individuate dallo stesso Piano»;
   sempre secondo quanto riportato dagli organi di stampa, ci sarebbe stato un incontro tra i rappresentanti della regione Puglia e quelli del Ministero dello sviluppo economico in merito all'esclusione delle città pugliesi, a seguito del quale le tre ZFU ufficialmente riconosciute (Andria, Lecce Taranto) saranno inserite nel decreto varato dal Governo;
   la possibilità di rilanciare l'economia, stimolando la nascita di piccole e micro imprese attraverso esenzioni fiscali e contributive proprio in quelle realtà socialmente, economicamente ed occupazionale svantaggiate rappresenta una concreta opportunità di recuperare un gap in termini di sviluppo per il territorio, il tessuto imprenditoriale ed i lavoratori;
   è d'obbligo sottolineare l'importanza che riveste una misura strategica come quella delle Zone franche urbane in un periodo di crisi drammatica per la Puglia e nel contempo l'insostenibile penalizzazione che scaturirebbe per le città pugliesi se non dovessero essere reinserite nel decreto –:
   alla luce di quanto esposto, in che modo i Ministri interrogati intendano agire per evitare che le città pugliesi, in specie quelle riconosciute ufficialmente nel 2007, siano oggetto di una grave penalizzazione che comporterebbe ulteriore perdita dal punto di vista socio-economico-occupazionale in un territorio già duramente provato dalla crisi. (5-00746)


   SIMONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Pirelli di Figline Valdarno produce cordicella metallica (steel cord) per pneumatici occupando 390 lavoratori;
   il settore Steel Cord del Gruppo Pirelli vede il suo centro direzionale a Figline e la produzione suddivisa in sei stabilimenti, incluso quello italiano, con sede in Turchia, Germania, Brasile, Romania e Cina;
   la cordicella metallica prodotta viene venduta anche ad altre importanti aziende concorrenti, quali Goodyear e Continental;
   nonostante negli ultimi anni si siano susseguite numerose crisi interne, a destare profonda preoccupazione è la recente comunicazione data alle organizzazioni sindacali dalla direzione aziendale, circa l'intenzione di non investire più nella produzione della cordicella metallica per pneumatici, in quanto non rientrerebbe più fra le eccellenze dell'azienda;
   la direzione aziendale ha affidato ad alcune banche l'incarico di trovare nuovi partner interessati ad investire per continuare la produzione;
   dall'azienda, oltre alla conferma della ricerca di nuovi partner, non è pervenuto alcun chiarimento in merito alle garanzie previste nel caso di cessione ad un concorrente diretto, nonostante sia state più volte sollecitato dalle organizzazioni sindacali sia dagli amministratori locali;
   le istituzioni locali e le organizzazioni sindacali sono preoccupate dalle gravi ripercussioni che potrebbero scaturire dall'intenzione manifestata dall'azienda, sia in termini occupazionali sia di indebolimento del tessuto produttivo;
   alla luce delle mancate risposte da parte dell'azienda e dai recenti nuovi assetti societari (passaggio da Pirelli Tyre Spa a Pirelli Steelcord Srl attraverso il conferimento di ramo d'azienda) è necessario che venga al più presto definito un incontro tra le parti interessate e il Ministero dello sviluppo economico, al fine di trovare soluzioni congiunte per il mantenimento dello stabilimento di Figline, indispensabile per l'economia locale dato il suo ruolo strategico relativamente a progettazione e sviluppo del prodotto, nonché la tutela dei dipendenti –:
   quali urgenti iniziative intendano attivare al fine di preservare i livelli occupazionali e produttivi dello stabilimento in parola;
   se sia stato attivato un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico per verificare ogni possibile soluzione percorribile e scongiurare rischi di indebolimento produttivo e occupazionale;
   se non ritengano necessario attivare ogni possibile iniziativa atta a scongiurare il depotenziamento dello stabilimento di Figline qualora l'ipotesi di cessione ad un partner straniero dovesse essere confermata. (5-00759)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Kimberly Clark è un grande gruppo industriale internazionale statunitense, leader a livello mondiale nel settore dei prodotti in carta;
   ad Alanno (Pescara) vi è uno dei suoi 2 stabilimenti italiani, con 170 dipendenti e ad altri 100 occupati nell'indotto;
   questa multinazionale ha deciso di mettere in vendita questo stabilimento non dando nessuna certezza circa la continuità dell'occupazione e il progetto industriale;
   forte è la preoccupazione tra i lavoratori sul proprio futuro in una area interessata da processi negativi di crisi industriale e di forte disoccupazione –:
   quali iniziative intenda assumere per conoscere le intenzioni di questa multinazionale circa il suo stabilimento di Alanno (Pescara) anche convocando le parti in un incontro al Ministero. (4-01395)


   CARRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Italia vi sono circa due milioni di persone con disabilità visiva;
   l'Associazione che storicamente ne rappresenta le istanze è l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti Onlus che è vigilata dal Ministero dell'interno, dalla Presidenza del Consiglio, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dei beni culturali ed, inoltre, è assoggettata al controllo della Corte dei conti;
   l'Unione è beneficiaria di alcuni contributi statali, per l'erogazione di servizi ai ciechi ed agli ipovedenti in supplenza dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni che non sono in grado di erogarli, contributi che hanno sofferto di drastici tagli e perduto il loro potere di acquisto perché risalgono a più di quindici anni fa, vale a dire alla legge n. 282 del 1998 (capitolo 3631/03 Ministero per i beni e le attività culturali) contributo a favore del Centro nazionale del libro parlato (poi decurtato del 50 per cento), alla legge n. 24 del 1996 (capitolo 2316/2 Ministero interno) contributo compensativo destinato ai servizi dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (poi decurtato del 98 per cento), alla legge n. 379 del 1993 (capitolo 2316/1 Ministero interno) concesso all'Unione ma destinato a due istituti di ricerca, formazione e riabilitazione professionale (I.Ri.Fo.R. e I.E.R.F.O.P.), decurtato del 98 per cento;
   il mancato ripristino degli originari stanziamenti comporta il rischio che l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti e gli istituti di ricerca, di formazione e di riabilitazione si trovino costretti a sospendere tutti i servizi anche con il conseguente licenziamento del personale ad essi addetto. «Il nostro tempo – come ha evidenziato il presidente dell'associazione, professor Tommaso Daniele, in una lettera a tutti i parlamentari – è caratterizzato dalla civiltà delle immagini che per i ciechi costituiscono un muro invalicabile, una nuova barriera che li esclude dalla informazione, dalla cultura e da ogni altra attività che richiede l'uso della vista. Le nuove tecnologie, salutate dai ciechi e dagli ipovedenti come potenziale strumento di maggior autonomia ed indipendenza, in molti casi si sono rivelate, al contrario, strumento di esclusione sociale, perché attuate senza alcuna attenzione alle necessità ed alle peculiarità dei minorati della vista»;
   l'inadempienza dello Stato è causa di emarginazione, tanto più grave perché colpisce la parte più debole dei suoi cittadini, non rispettando o non facendo rispettare leggi che esso stesso ha promulgato;
   sono infatti inaccessibili: la maggior parte dei siti internet pubblici o di pubblico interesse; il registro elettronico degli insegnanti; i libri elettronici; bancomat e postamat. Inoltre, l'accesso alla televisione è pressoché precluso: infatti le audio descrizioni dei programmi televisivi sono assolutamente carenti sia quantitativamente sia qualitativamente;
   tutto ciò in contrasto con lo spirito della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal nostro Governo sin dal 2009;
   esiste inoltre, in Italia, un museo statale, il museo Omero di Ancona, istituito con legge 25 novembre 1999, n. 452, con l'obiettivo di promuovere la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista e diffondere tra essi la conoscenza della realtà, attraverso la raccolta di materiali, oggetti o riproduzioni delle diverse forme di arti plastiche e delle manifestazioni storico-culturali dell'organizzazione dell'ambiente, dello spazio e della vita dell'uomo;
   il museo Omero rappresenta un'eccellenza nel panorama museale nazionale e uno dei pochi esperimenti a livello europeo, è meta di migliaia di visitatori ogni anno nonché il punto di riferimento per la ricerca scientifica sull'estetica della tattilità e, in collaborazione con l'ENEA e importanti imprese, per l'innovazione tecnologica finalizzata all'autonomia di ciechi e ipovedenti; il comma 250 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2010 legge n. 191 del 2009 – e il successivo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 195 del 2010 – hanno previsto l'erogazione di circa 1 milione di euro a sostegno delle attività del Museo Omero fino all'anno 2012; dal 2012 non risulta alcuna assegnazione di fondi e in mancanza di finanziamenti il Museo tattile Omero rischia di dover cancellare gran parte delle sue attività;
   il ripristino dei contributi statali è fondamentale affinché l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti Onlus possa esercitare il diritto/dovere di rappresentanza e tutela degli interessi morali e materiali dei ciechi e degli ipovedenti e ridurre al minimo i danni attraverso l'attuazione di misure specifiche che consentano l'accesso all'istruzione, alla formazione professionale, all'impiego, alla prevenzione della cecità, alla riabilitazione, alla informazione, alla cultura, allo sport al tempo libero ed ai beni culturali; è altresì fondamentale il rifinanziamento, come previsto dalla legge istitutiva, del «Museo Omero» –:
   se intenda aumentare nel 2014 di almeno il 50 per cento, rispetto al corrente anno, gli stanziamenti di cui: alla legge n. 282 del 1998 (capitolo 3631/03 Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), contributo a favore del Centro nazionale del libro parlato; alla legge n. 24 del 1996 (capitolo 2316/2 Ministero interno), contributo compensativo destinato ai servizi dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, alla legge n. 379 del 1993 (capitolo 2316/1 Ministero interno) contributo concesso all'Unione e destinato a due istituti di ricerca, formazione e riabilitazione professionale (I.Ri.Fo.R. e I.E.R.F.O.P.) e se intenda rifinanziare, per il triennio 2014-2016 il museo Omero con risorse almeno pari a quelle a suo tempo previste dalla legge n. 191 del 2009. (4-01404)


   LUIGI GALLO, BATTELLI, SIBILIA, TOFALO, FICO, COLONNESE, DAGA, ZOLEZZI, MANNINO, SEGONI, BUSTO e MICILLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la centrale termoelettrica di Napoli Levante, sita in via Stradone Vigliena n. 9, Napoli, di proprietà della Tirreno Power, è entrata in funzione, secondo quando dichiarato dal promotore, in data 9 settembre 2008. Nel punto dove ora sorge la centrale il piano regolatore generale in discussione in quella fase prevedeva di «realizzare una struttura dedicata ai giovani e alla musica». La variante fu poi stravolta nella fase «di adozione delle controdeduzioni alle osservazioni». Venne accolta dal consiglio comunale di Napoli l'osservazione n. 76 alla variante, presentata da Interpower (oggi Tirreno Power S.p.a.), che reclamava di continuare a mantenere, l'uso del sito. Di conseguenza si deliberò che a Vigliena doveva essere costruita una nuova centrale termoelettrica a ciclo combinato (delibera del consiglio comunale n. 137 del 22 luglio 2003). L’iter del piano regolatore generale vigente si è concluso con l'approvazione del DPGRC n. 323 dell'11 giugno 2004;
   la procedura nella fase di adozione del piano regolatore generale non consentì ai residenti nessuna opportunità di intervento rispetto alla novità rappresentata dall'osservazione n. 76 che di fatto cambiava le carte in tavola;
   la «Tirreno Power s.p.a.», nel giugno del 2004, ha attivato le procedure per costruire la nuova centrale turbogas di Vigliena, chiedendo – ed ottenendo – la non assoggettabilità alla procedura di VIA, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 377 del 10 agosto 1988, che testualmente recita: «Il comma 2 non si applica ad eventuali interventi di risanamento ambientale di centrali termoelettriche esistenti, anche accompagnati da interventi di ripotenziamento, da cui derivi un miglioramento dello stato di qualità dell'ambiente connesso alla riduzione delle emissioni». Il richiamato comma 2, che si è chiesto di non utilizzare, stabilisce, in ogni caso, che la VIA «... si applica altresì agli interventi su opere già esistenti ... qualora da tali interventi derivi un'opera con caratteristiche sostanzialmente diverse dalla precedente ...». Essendo l'impianto effettivamente realizzato sostanzialmente diverso da quello a giudizio degli interroganti, si doveva, e si deve, procedere all'adempimento della VIA. Che quella costruita sia una centrale ex novo, lo si evince dal fatto che la vecchia centrale è stata completamente demolita e quella nuova è stata realizzata su uno spazio adiacente;
   gli stessi elaborati resi noti dalla «Tirreno Power spa» evidenziano che l'impianto è radicalmente diverso da quello precedente. Un'ulteriore conferma emerge anche dalla comparazione dei dati tecnici contenuti nel decreto di autorizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 aprile 2005 dal quale si evidenzia che nel nuovo impianto sono state montate nuove e diverse apparecchiature;
   altra dimostrazione di quanto qui si sostiene può essere rinvenuta dalla lettura del verbale della seduta del 25 maggio 2002 tenutasi nella ex circoscrizione di San Giovanni a Teduccio;
   in tale riunione un dirigente dell'allora «Interpower S.p.A.» – poi divenuta «Tirreno Power S.p.A.» – in riferimento alla nuova opera dichiarò: «... si tratta di costruire una centrale ex novo perché l'intendimento di Interpower è quello di abbandonare i gruppi esistenti (tranne le opere minori) e costruire radicalmente un impianto a ciclo combinato»; ed ancora: «... la valutazione di impatto ambientale è prevista dalla legge. Lei può realizzare la centrale più pulita di questo mondo però, se fa un impianto di generazione, deve assoggettarsi ad una VIA regionale o nazionale. Dunque, noi lo dobbiamo fare perché lo prevede la norma»;
   una ulteriore conferma che quello costruito a Vigliena è a tutti gli effetti un impianto ex novo, soggetto quindi alla procedura di VIA, venne confermata dal direttore generale della Tirreno Power ingegnere Giovanni Gosio, che in data 18 luglio 2007 nel corso di una audizione della 13a Commissione Ambiente del Senato tenuta «a seguito dell'indagine conoscitiva sui cambiamenti climatici» (resoconto sommario della seduta n. 100 del 18 luglio 2007), dichiarò: «In data 18 maggio 2005 l'allora Ministero delle Attività produttive ha autorizzato la trasformazione in ciclo combinato della centrale, originariamente costituita da tre gruppi termoelettrici tradizionali alimentati ad olio combustibile ed a gas naturale, tramite la realizzazione di una nuova unità, da 400 MW, alimentata esclusivamente a gas naturale»;
   considerate quindi le caratteristiche dell'installazione di Vigliena – il cui progetto già prevedeva che l'impianto fosse ricostruito di sana pianta –, si ritiene che non poteva essere accolta la richiesta di esclusione della procedura di VIA che, al contrario, doveva e deve essere obbligatoriamente fatta;
   il punto in questione non è marginale poiché la VIA potrebbe mettere in luce una sicura incompatibilità della struttura con il territorio. Si aggiunga poi che, trattandosi di un nuovo impianto, la Tirreno Power dovrebbe versare i contributi previsti dalla legge 23 agosto 2004, n. 239, articolo 1, comma 36; invece la proprietà, spacciando la nuova opera per pseudo riconversione della vecchia centrale, a giudizio degli interroganti riesce ad eludere tale consistente onere economico. Infatti, nella delibera della giunta comunale di Napoli n. 2328 del 20 aprile 2006, avente per oggetto: «Presa d'atto della convenzione del 6 aprile 2006 tra la Regione, la Provincia, il Comune e la Tirreno Power S.p.a., ai sensi di quanto previsto dalla legge del 23 agosto 2004 n. 239 – misure di compensazione e riequilibrio ambientale» si prevede che la Tirreno Power verserà (solo) un milione di euro al Comune «per la realizzazione di iniziative e progetti tesi a migliorare la qualità dell'aria, promuovere il risparmio energetico e l'utilizzo di fonti rinnovabili nella Città di Napoli ed in particolare nell'area interessata dalla centrale»;
   tutto ciò è avvenuto ed avviene senza dare seguito alle procedure previste dalle leggi e dalle direttive dell'Unione europea per quanto concerne l'informazione e la partecipazione del pubblico al procedimento (cfr. direttiva 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 – prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento – IPPC – accesso all'informazione e partecipazione del pubblico alla procedura di autorizzazione; direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001; decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; legge 7 agosto 1990, n. 241; convenzione di Aarhus, Danimarca, del 25 giugno 1998 ratificata dall'Unione europea il 17 febbraio 2005 – 2005/370/CE – relativa alla conclusione, a nome della Unione europea, della convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale);
   da una relazione del Ministero dello sviluppo economico del 30 aprile 2008, protocollo 1676 (dipartimento per la competitività – direzione generale per l'energia e le risorse minerarie), avente per oggetto le autorizzazioni di quattro centrali termoelettriche per il «riesame ai sensi degli articoli 9, comma 4, e 17, comma 4, del decreto legislativo n. 59 del 2005», figura l'autorizzazione n. 55/01/2005 del 18 maggio 2005 rilasciata alla Tirreno Power s.p.a per l'impianto di Vigliena. Nel paragrafo «Iter del procedimento Amministrativo» si legge che: «In data 27 giugno 2007, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, onorevole Pecoraro Scanio, ha sottoposto all'attenzione del Ministro dello sviluppo economico, onorevole Bersani, la richiesta di verificare la necessità di procedere all'esame delle autorizzazioni alla realizzazione di centrali termoelettriche, adottate ai sensi sia del previgente decreto del Presidente della Repubblica n. 53 del 1998 sia della legge n.55 del 2002 rilasciate da questa amministrazione precedentemente all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n.59 del 2005, ivi comprese le centrali di cui all'oggetto». Tale richiesta veniva avanzata ai sensi del combinato disposto degli articoli 9, comma 4, e 17, comma 4, del medesimo decreto legislativo;
   secondo quanto prospettato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le autorizzazioni rilasciate dall'allora Ministro delle attività produttive «non contenevano tutti gli elementi essenziali richiesti dalla normativa comunitaria di IPPC, con riferimento, ad esempio, ai profili riguardanti l'individuazione delle migliori tecnologie disponibili, la gestione dalle situazioni diverse dal normale esercizio, la programmazione di monitoraggi e controlli, la partecipazione del pubblico al procedimento di AIA»;
   in data 8 giugno 2004, la regione Campania, il comune e la provincia di Napoli, sottoscrissero un protocollo d'intesa con la Tirreno Power. Gli enti pubblici, nel dare il loro consenso alla realizzazione della centrale, disposero un'indagine epidemiologica (per il particolare degrado dell'area che è compresa nei siti di interesse nazionale). Durante la convocazione in seduta straordinaria del Consiglio della VI municipalità (SAN GIOVANNI, BARRA E PONTICELLI) fu ufficialmente consegnato dal presidente della commissione, nel mese di giugno del 2008, un indagine redatta direttamente dalla Tirreno Power;
   nella variante al piano regolatore generale (centro storico, zona orientale, zona nord-occidentale) approvata con decreto del presidente della giunta regionale della Campania n. 323 dell'11 giugno 2004 – norme d'attuazione – testo coordinato –, parte I, disciplina generale –, all'articolo 29 (sottozona Ac – porto storico), al punto 5, lettera a), si era stabilita «la dismissione di tutte le attrezzature e gli impianti riguardanti il traffico petrolifero per le quali si prevede una nuova localizzazione al di fuori del golfo di Napoli, previo accordo con la regione Campania e le altre amministrazioni competenti. Nelle more della nuova localizzazione e per il tempo, a tal fine strettamente necessario, sono consentite trasformazioni orientate esclusivamente al miglioramento della sicurezza e dell'impatto ambientale». Tale determinazione è stata modificata l'11 dicembre del 2006 con la sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra regione Campania, comune di Napoli, Napoli Orientale S.c.p.a., Kuwait Raffinazione e Chimica. S.p.A.. L'accordo in questione prevede la permanenza di dette attività per almeno altri venti anni. Ciò significa che la darsena petroli, ubicata a Vigliena, resterà in funzione per analogo periodo e nel sito si continueranno a scaricare tonnellate di carburanti;
   il nuovo terminal di Levante, attualmente in costruzione, costituirà, di fatto, un unicum con l'area della centrale termoelettrica. Si tratta di una infrastruttura invasiva che presenta molteplici fattori di criticità come pure si evince dalla lettura del relativo decreto di VIA, rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, protocollo n. 5 del 9 gennaio 2008, parere numero 966 del 24 luglio 2007, avente per oggetto: «Adeguamento darsena di levante a terminal contenitori mediante colmata e conseguenti opere di collegamento nel Comune di Napoli per la costruzione del nuovo Terminale Contenitori di Napoli Levante»; «adeguamento della Darsena di Levante a terminal contenitori, mediante colmata e conseguenti opere di collegamento»;
   dai progetti resi noti dall'autorità portuale di Napoli si dà notizia che sono già in costruzione mega portacontainer, che dovranno scaricare sui moli di Vigliena le loro merci. Per effetto di questo progetto la centrale si ritroverà ad essere incastonata tra le banchine del porto. Le stesse condotte atte a prelevare e ad immettere acqua del mare, indispensabili per il raffreddamento della centrale, saranno collocate nel punto in cui dovranno essere ormeggiate le navi;
   dal sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risulta che in data 15 gennaio 2009 (protocollo DSA-2009-0000073), la Tirreno Power ha inoltrato la domanda per ottenere il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA). La domanda sta seguendo l’iter previsto. Sempre dal sito del Ministero risulta che dal 13 dicembre 2012 la richiesta è in fase istruttoria presso la Conferenza dei servizi;
   in pratica si rileva, purtroppo, che anche in questo caso la procedura sinora attuata, nelle diverse fasi espletate, si basa ancora sugli stessi presupposti che consentirono nel 2005 alla Tirreno Power l'autorizzazione per realizzare l'impianto di Vigliena. Cioè, senza assumere le molteplici criticità dell'area, che inducono, invece, a desistere dal riconfermare la permanenza in loco di un simile impianto;
   la Conferenza dei servizi che sta vagliando la richiesta dovrebbe recepire che sul sito della protezione civile è stata pubblicata l'11 gennaio 2013 la mappa della nuova delimitazione del Piano nazionale di emergenza per il Vesuvio. La zona di San Giovanni a Teduccio viene ricompresa, dal nuovo piano, nella zona rossa ponendo ulteriori vincoli al tema indifferibile della sicurezza;
   i recenti drammatici fatti di Genova dovrebbero indurre ad elevare la soglia della sicurezza che in condizioni come quella descritta deve essere molto elevata;
   altresì non possono essere rimossi i rischi di esplosione insiti in una centrale termoelettrica. Si ricorderà, infatti, che nella città di Middletown (Connecticut, USA), il 7 febbraio 2010 esplose la locale centrale turbogas;
   l'esplosione fu udita a 50 chilometri di distanza, causò la morte di 5 operai e decine di feriti, radendo al suolo edifici ed alberi nel raggio di 1 chilometro;
   la Tirreno Power, sempre nella documentazione acclusa alla domanda per ottenere il rinnovo dell'Autorizzazione integrata ambientale (Allegato A24, relazione sui vincoli territoriali, urbanistici ed ambientali, al punto 2.3 pianificazione di livello comunale), insiste sullo scarso valore dei luoghi in cui è ubicata la centrale. Scrive, infatti, nel suo elaborato: «Infine è stata consultata la cartografia di piano al fine di verificare la presenza di eventuali vincoli (tavole n. 12, 13 e 14 del piano regolatore generale), da cui si evince che l'Area di studio non è classificata come area di interesse archeologico né è assoggettata a vincoli geomorfologici o paesaggistici ...»;
   con queste sue affermazioni la Tirreno Power continua ad ignorare le prescrizioni contenute nel decreto Map n. 55-01-2005 con il quale si autorizzava a realizzare la centrale. Le prescrizione definite dal Ministero per i beni e le attività culturali restano inapplicate. Se mai le autorità preposte dovessero decidere la loro piena attuazione, l'intero progetto dell'area dovrà essere riscritto;
   lo stesso decreto di Via, rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, protocollo n. 5 del 9 gennaio 2008, parere numero 966 del 24 luglio 2007, avente per oggetto «Adeguamento darsena di levante a terminal contenitori mediante colmata e conseguenti opere di collegamento nel Comune di Napoli per la costruzione del nuovo Terminale Contenitori di Napoli Levante», precisa che: «Si richiama, inoltre, l'attenzione di codesto Ministero sulla presenza, a breve distanza, di talune emergenze, quali lo storico Fortino di Vigliena e l'edificio della Cirio, anch'esso sottoposto a tutela ai sensi del decreto legislativo 42 del 2004 parte II Titolo I per il suo particolare interesse culturale ...» (...) questo Ufficio, esaminati gli elaborati presentati, fa rilevare che l'area oggetto dell'intervento è posta tra quello che era l'antico territorio di Neapolis e quello delle città distrutte dall'eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, con attestazione di insediamenti relativi a ville di epoca romana –:
   se e come sia disposta, ai sensi dell'articolo 9, comma 4, del decreto legislativo n. 59 del 2005, la verifica dell’iter seguito per il riesame del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), richiesta dalla Tirreno Power il 15 gennaio 2009 per la centrale turbogas di Vigliena, in considerazione dell'impatto ambientale costituito dall'insieme dei progetti previsti, considerato anche che l’iter per il rilascio del rinnovo dell'AIA non è ancora concluso, e che è intervenuta una significativa novità costituita dal nuovo Piano nazionale di emergenza per il Vesuvio;
   se e come il tema delle partecipazioni del pubblico al procedimento per il rilascio della nuova autorizzazione dell'Aia, si ritenga assolto dalla pubblicazione di un trafiletto nelle pagine di un giornale così come chiesto dalla Tirreno Power con una raccomandata del 2009, protocollata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (E. prot. DSA – 2009 – 0004111 del 20 febbraio 2009), il quale replicava che: «... Tirreno Power (provvederà), entro 15 giorni ... alla pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale dell'allegato avviso al pubblico relativo all'avvio della procedura di riesame in oggetto»;
   se e come il Ministero dell'ambiente del territorio e del mare intenda far partecipare il comitato civico di San Giovanni a Teduccio al procedimento riguardante le determinazioni sulla centrale di Vigliena, considerato che «Nella Commissione Ambiente tenutasi il giorno 6 agosto 2008 presso la sede del Consiglio Comunale di Napoli in via Verdi, il Comitato Civico San Giovanni ha chiesto di essere inserito nelle conferenze di servizio relative alla Centrale Turbogas di Vigliena, al fine di garantire la maggior trasparenza delle procedure e la partecipazione dei cittadini nell'ambito del rispetto delle normative vigenti (legge 241 del 1990);
   se e come, alla luce dell'insieme dei progetti presenti nell'area, siano disposte l'effettuazione della Via e della Vas;
   se e come si sia verificata l'applicazione delle prescrizioni del Ministero per i beni e le attività culturali contenute nel decreto Map n. 55-01-2005, e se sia stata sanzionata la loro eventuale inosservanza;
   se ci si appresti realmente a raddoppiare l'impianto di Vigliena, stante quanto riportato nell'articolo «Repovvering di Napoli levante» apparso sulla rivista Power Generation News – Ansaldo energia, anno XII, trimestrale 2010, posto che nell'articolo si afferma che: «La nuova configurazione della centrale e i serbatoi dell'acqua sono stati progettati in previsione della possibilità di collocare un'altra unità a ciclo combinato in futuro», anche perché, considerato che l'Ansaldo ha costruito l'impianto, la notizia appare più che fondata;
   se il rumore emesso dall'impianto rispetti i limiti definiti dalla normativa, tenuto conto che, nelle abitazioni circostanti la centrale, il rumore prodotto costringe i residenti a vivere barricati in casa;
   se e quali sostanze siano state scaricate in mare nel mese di agosto 2012, considerato che nella relazione allegata alla richiesta della Tirreno Power di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale del 15 gennaio 2009, si evince – allegato B.18 –, che il trattamento previsto per le acque oleose, al punto 1.2.6.1, prevederebbe che: «Tali reflui provengono essenzialmente dai drenaggi dell'area trasformatori, dalle apparecchiature lubrificate con olio, dal lavaggio dei pavimenti, dagli scrubbers del gas naturale e dalle acque meteoriche potenzialmente oleose» e la documentazione Arpac in merito afferma: «I risultati del campionamento di acqua di mare del 23 agosto hanno evidenziato odore di idrocarburi presenti in notevole quantità, un colore giallo chiaro con assenza di schiuma nel campione»;
   perché nel caso di specie non sembra sia osservato l'articolo 142, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, «aree tutelate per legge», che include «i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare» –, come territori da salvaguardare e tutelare;
   se e come si intendano raccogliere informazioni per conoscere la natura degli allarmi emessi dalle sirene della centrale in diverse occasioni, affinché sia garantita la sicurezza per la popolazione che vive nell'area. (4-01411)


   DE LORENZIS, D'INCÀ, DALL'OSSO, GRILLO, NICOLA BIANCHI, DA VILLA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE ROSA, LIUZZI, TERZONI, AGOSTINELLI, COZZOLINO e CECCONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 3 dicembre 2012 n. 207, cosiddetto Salva-Ilva, convertito con modificazioni nella legge il 24 dicembre 2012, n. 231 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2013, all'articolo 3 comma 1-bis prevede che «entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Governo adotta una strategia industriale per la filiera produttiva dell'acciaio»;
   i centottanta giorni sono ormai passati –:
   per quale motivo, il Governo non abbia ancora adottato una strategia per la filiera industriale dell'acciaio. (4-01418)


   DI GIOIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il gasdotto trans-adriatico è un progetto volto alla costruzione di un nuovo gasdotto che dovrebbe connettere l'Italia con la Grecia attraverso l'Albania, al fine di consentire l'afflusso di gas naturale proveniente dalla zona del Caucaso;
   nel 2009 è stato siglato l'accordo intergovernativo tra Italia e Albania per la cooperazione nei campi dell'elettricità e del gas;
   in tale accordo fu individuato il TAP come progetto di interesse prioritario per entrambi i Paesi;
   tale opera dovrebbe avere il suo terminale nel comune di Meledugno, in provincia di Lecce;
   il 24 gennaio 2012, infatti, sono iniziati i monitoraggi di fronte alla costa di San Foca, località San Basilio;
   sul progetto vi è stata una forte opposizione, sin dall'inizio, da parte dell'amministrazione locale che ha fatto presente, con due delibere di altrettanti consigli comunali, quanto fosse incompatibile tale opera rispetto alla vocazione agricola e turistica di quel territorio;
   la vocazione turistica di tale territorio è, d'altronde, confermata dai prestigiosi riconoscimenti conseguiti, quali la Bandiera Blu e Le Cinque Vele di Legambiente;
   sembra incredibile che ogni volta che si prospetta un'opera d'interesse nazionale non vi sia alcun criterio di selezione e valutazione dei territori interessati che rischiano di vedere affossare la propria economia locale in virtù della superficialità con la quale sono prodotte tali scelte –:
   se non si ritenga necessario accogliere le giuste motivazioni fornite dall'amministrazione comunale di Meledugno in merito alla necessità di rivedere il luogo dove posizionare il terminale del gasdotto in oggetto, al fine di evitare inutili situazioni di tensione sociale in un'area già pesantemente colpita dagli effetti della crisi economica e che vede nel turismo e nell'agricoltura una fonte reale di crescita e sviluppo economico;
   se non si ritenga, di conseguenza, urgente convocare un tavolo di confronto interistituzionale tra le parti in causa al fine di trovare una soluzione condivisa su tale delicata materia. (4-01419)


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli impianti nucleari italiani sono gestiti dalla SOGIN (Società gestione impianti nucleari), un organismo controllato al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   sul sito internet SOGIN, alla voce «chi siamo» si può leggere chiaramente: «Sogin è la società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare, per garantire la sicurezza dei cittadini, salvaguardare l'ambiente e tutelare le generazioni future. Sogin è impegnata nella più grande bonifica ambientale della storia del nostro Paese, che realizza svolgendo il decommissioning degli impianti nucleari per restituire i siti al territorio liberi da vincoli radiologici»;
   il decommissioning è un'attività nucleare altamente specialistica che impiega tecnologie avanzate; rappresenta, dopo la costruzione e l'esercizio, la terza e ultima fase del ciclo di vita delle installazioni nucleari;
   la società dunque si dovrebbe occupare di smantellare le centrali e creare un deposito definitivo di rifiuti radioattivi in tempi brevi per: a) mettere le scorie in condizioni sicure, b) abbattere i costi di gestione, controllo e sorveglianza delle vecchie centrali;
   se la SOGIN effettivamente smantellasse le centrali e mettesse in sicurezza i rifiuti in tempi brevi, così come definito nella sua mission, il motivo della sua esistenza verrebbe meno, almeno per quanto riguarda il suo core business;
   risulta da fonti di stampa che il processo di decommissioning proceda molto a rilento;
   tale società peraltro ha elevatissimi costi di gestione;
   ciò evidentemente grava sui conti dello Stato e quindi sui contribuenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza della suddetta situazione e come intenda intervenire. (4-01424)


   VACCA, DEL GROSSO e COLLETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in località San Silvestro Colle situata nel territorio del comune di Pescara, a partire dall'anno 1952, sono stati dislocati diversi tralicci per antenne radiotelevisive su cui sono installati, da oltre 50 anni, 60 impianti radio-tv aventi potenze di trasmissione elevatissime per raggiungere tutta la fascia costiera abruzzese;
   nel 1998 con la delibera n. 68 del 1998 dell'Agcom viene emanato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze – per regolamentare a livello nazionale l'insediamento dei ripetitori radio televisivi in esecuzione a quanto disposto dalla legge n. 223 del 1990 e dal decreto legislativo n. 249 del 1997. Nella delibera è precisato che: «Detti siti soddisfano le esigenze sia della radiodiffusione analogica che di quella digitale»;
   il sito di San Silvestro Colle, sino ad allora sede legittima degli impianti ex articolo 32 legge n. 223 del 1990 viene «cancellato» dall'elenco dei siti idonei ad ospitare tali impianti;
   successivamente vennero emanate ulteriori delibere da parte dell'AGCOM: la n. 249 del 2002, la n. 15 del 2003, la n. 399 del 2003 e da ultimo la n. 93 del 2012. In nessuna di esse compare il sito di San Silvestro Colle;
   nella delibera n. 15 viene introdotto il principio di equivalenza dei siti. Essi comunque dovevano essere compresi nei PNAF o assentiti dalle regioni competenti. San Silvestro non è mai stato assentito dalla Regione Abruzzo;
   le autorizzazioni temporanee (valevano 2 anni) rilasciate alle emittenti nel 1994 dal Ministero includevano legittimamente San Silvestro Colle come sito censito;
   dopo il 1998 il Ministero competente non solo non poteva rilasciare nuove autorizzazioni alla installazioni di impianti che includessero il sito «cancellato» di San Silvestro Colle ma doveva necessariamente modificare le vecchie obbligando i concessionari a trasferire gli impianti nei siti di Piano individuati dal PNAF;
   nel 2001 venne emanata la legge n. 66 che introdusse l'obbligo di modificare le trasmissioni da analogico in digitale, dando un congruo periodo di tempo per l'adeguamento;
   nello stesso anno l'AGCOM emanò con delibera n. 435 del 2001 il Regolamento relativo alla TV digitale;
   all'articolo 13 del medesimo venne previsto che «La diffusione per mezzo delle radiofrequenze associate alla licenza è consentita esclusivamente dai siti previsti dal piano di assegnazione delle frequenze ...omissis... rispetta le normative sanitarie, ambientali, ...omissis... nonché le disposizioni relative alla condivisione o alla messa a disposizione degli impianti e dei siti»;
   nel mese di giugno 2008 il presidente della regione Abruzzo ha emanato apposita ordinanza di delocalizzazione degli impianti concedendo alle emittenti sei mesi di tempo per provvedere;
   il Tar Abruzzo sezione di Pescara ha rigettato il ricorso delle emittenti contro tale provvedimento dichiarando che «la delocalizzazione allo stato è un atto dovuto non essendo il sito di San Silvestro Colle compreso nei PNAF, indipendentemente dal superamento dei limiti di legge»;
   la regione Abruzzo nonostante sin dall'anno 2009 ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico di emanare il definitivo atto delocalizzatorio nel rispetto di quanto sancito dalle norme vigenti e dalla sentenza del Tar, finora non ha ricevuto alcuna risposta;
   in data 25 giugno 2013 l'esponente nel corso di specifico accesso presso il Ministero dello sviluppo economico non ha rinvenuto alcun atto autorizzatorio da parte del predetto ente nei confronti di tutte le emittenti presenti in San Silvestro;
   l'articolo 41, comma 4, della legge n. 3 del 2003 ha previsto che: «Il Ministero delle comunicazioni, anche attraverso i propri organi periferici, esercita la vigilanza sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana anche a supporto degli organi indicati dall'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001 n. 36, ferme restando le competenze del Ministero della salute»;
   l'articolo 28, comma 8, del decreto legislativo n. 177 del 2005 ha previsto che: «La titolarità di autorizzazione o di altro legittimo titolo per la radiodiffusione sonora o televisiva dà diritto ad ottenere dal comune competente il rilascio di permesso di costruire per gli impianti di diffusione e di collegamento eserciti e per le relative infrastrutture compatibilmente con la disciplina vigente in materia di realizzazione di infrastrutture di comunicazione elettronica»;
   l'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n. 177 del 2005 ha stabilito che: «al fine di agevolare la conversione del sistema dalla tecnica analogica alla tecnica digitale la diffusione dei programmi radiotelevisivi prosegue con l'esercizio degli impianti di diffusione e di collegamento legittimamente in funzione alla data di entrata in vigore della legge 3 maggio 2004, n. 112»;
   a tutt'oggi non risulta che l'Autorità garante nelle comunicazioni abbia mai vigilato o direttamente o servendosi dei propri organi ispettivi per far rispettare i tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana (20 V/m il valore massimo del campo elettromagnetico) e né verificato che tali tetti anche per effetto congiunto di più emissioni, come nel caso di San Silvestro Colle a Pescara, fosse superato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei lutti sopraesposti e se non ritenga doveroso emanare quanto prima il definitivo atto di delocalizzazione degli impianti siti in San Silvestro Colle di Pescara;
   se il Ministro non reputi necessario fare luce sulle responsabilità circa l'omesso controllo e vigilanza da parte degli organi del Ministero dello sviluppo economico, nel periodo 1999-2012;
   come il Ministero intenda assicurare il trasferimento immediato degli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva di S. Silvestro in Pescara, a cominciare dall'antenna Rai nei siti individuati nel piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive senza che ciò comporti disagi di alcun genere per la popolazione. (4-01439)


   LABRIOLA, FURNARI e CHIARELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si sta prefigurando la chiusura dell'ufficio di poste italiane ubicato nel centro storico di Martina Franca e della contrazione di servizi presso l'ufficio di Poste Italiane sito nell'agro della città in Contrada «Motolese»;
   l'allora commissario Prefettizio, dottor Sandro Calvosa, in data 1o marzo 2012, disdettava con missiva indirizzata alla sede legale e agli uffici periferici di Poste italiane la sublocazione dei locali dell'ufficio postale di via Garibaldi n. 3 per ragioni amministrative e contabili, senza farsi carico di alcuna conseguenza sul piano della vita quotidiana di centinaia di persone e senza tentare alcuna mediazione per risolvere le varie questioni sottese alla locazione degli stessi locali e per garantire il funzionamento dell'ufficio;
   il medesimo indirizzo prefettizio trovava conferma nella lettera formale di rilascio dei locali in data 10 maggio 2012 a firma del dirigente del settore patrimonio del comune di Martina Franca;
   l'ufficio di poste italiane nel centro storico di Martina Franca svolge una funzione di grande rilevanza per la popolazione che vive nella parte antica della città, poiché è facilmente raggiungibile senza l'ausilio di auto soprattutto dalla parte più anziana della popolazione che ha, nel predetto ufficio, un indispensabile servizio per tutte le opportunità finanziarie e le incombenze relative a pensioni e pagamenti di conto corrente;
   l'ufficio, fino ad ora, ha sempre funzionato con la massima soddisfazione della clientela ormai fidelizzata e, presso lo stesso sportello, vi si reca anche parte della popolazione, che pur non abitando nel centro storico, svolge nello stesso il disbrigo di servizi vari, specie nei periodi di maggior affollamento degli sportelli ubicati nella parte nuova della città;
   la paventata chiusura viene assunta in maniera traumatica da parte della popolazione più anziana e scoraggia i cittadini interessati al trasferimento nel centro antico per l'assenza di un importante punto di riferimento;
   analogo disagio stanno vivendo anche tra i cittadini residenti nella popolosa (circa 5.000 abitanti) contrada di Motolese che per via della contrazione dei giorni di apertura dell'ufficio di poste italiane hanno più volte richiesto il ripristino del normale orario di servizio;
   il sindaco eletto ed insediatosi successivamente alle sopra citate determinazioni amministrative del commissario prefettizio, ha rappresentato alla direzione di poste italiane l'esigenza di continuare ad usufruire del servizio postale nel centro storico, prima con ripetute sollecitazioni telefoniche poi, con lettera del 2 novembre 2012, chiedendo un incontro tra le varie parti interessate e ribadendo alla direzione regionale di poste italiane la volontà di mantenere l'ufficio postale;
   anche i proprietari dei locali si sono resi disponibili ad un incontro per raggiungere le intese necessarie al rinnovo dei contratti di locazione con poste italiane;
   anche il consiglio comunale di Martina Franca in una riunione dello stesso, aperta ai cittadini residenti nel centro storico e alle associazioni di categoria, ai professionisti e alle associazioni culturali, lo scorso 10 gennaio 2013 ha ribadito, con determinazione l'esigenza di mantenere aperto l'ufficio postale nel centro storico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra citati e se ritenga opportuno assumere adeguati iniziative per sollecitare la direzione dell'azienda poste italiane ad avviare un confronto con il comune di Martina Franca al fine di assicurare il mantenimento dell'ufficio postale nel centro storico garantendo in tal modo un servizio efficiente ai cittadini e alle attività produttive che vi risiedono e vi operano;
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di sollecitare la direzione dell'azienda poste italiane per ripristinare un normale orario di apertura dell'ufficio postale sito in contrada Motolese;
   se, con riferimento soprattutto alla situazione di disagio che si sta vivendo a Motolese e in molti altri piccoli centri dislocati nella penisola, il Ministro abbia intenzione di aprire un confronto con poste italiane al fine di indurre l'azienda erogatrice di un «servizio universale» a cessare quella che sembra una politica di gestione unilaterale degli uffici postali, erogatori di servizi pubblici, senza il coinvolgimento degli enti locali e delle organizzazioni sociali e di categoria dei territori. (4-01461)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Morassut e altri n. 1-00011, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 marzo 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Brandolin.

  La mozione Giancarlo Giordano e altri n. 1-00119, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia;

  La mozione Vezzali e altri n. 1-00151, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Capelli, Gigli.

  La mozione Carrescia e altri n. 1-00152, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Antezza, Bini, De Micheli, Cinzia Maria Fontana, Mogherini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Carra n. 4-00084, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 marzo 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grassi, Borghi.

  L'interrogazione a risposta scritta De Lorenzis e altri n. 4-01337, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Terzoni, Agostinelli, Cozzolino, Cecconi, Mucci.

  L'interrogazione a risposta scritta De Lorenzis e altri n. 4-01347, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Terzoni, Cozzolino, Cecconi, Mucci.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fiano e Quartapelle Procopio n. 5-00674, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gnecchi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cominelli e altri n. 5-00690, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lacquaniti.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Coscia e altri n. 3-00224, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Tentori, Fragomeli.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Giorgia Meloni n. 3-00230, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rampelli.

  L'interrogazione a risposta scritta Boccadutri n. 4-01384, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pilozzi, Scotto, Melilla.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Manzi n. 5-00686, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 56 del 19 luglio 2013.

    MANZI e CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da tempo le organizzazioni sindacali: FLC-CGIL, CISL SCUOLA, UIL SCUOLA, SNALS-CONFSAL delle Marche denunciano la grave situazione di difficoltà delle scuole marchigiane a seguito delle carenti risorse di organico assegnate;
   di recente esse hanno segnalato come, a fronte di un aumento di alunni di circa 1.400 unità, solo per il prossimo anno scolastico, che si somma all'incremento già registrato lo scorso anno di 2.395 alunni, i dirigenti scolastici marchigiani, hanno chiesto di attivare 3.242 classi, mentre ad oggi l'Ufficio scolastico regionale ne ha autorizzate 3.074, lasciando inevase 168 richieste, pari, a 279 posti;
   nello specifico i fatti denunciati fanno riferimento a: un generale incremento degli alunni per classe con punte di 32/33 alunni, come nel caso del Liceo linguistico di Pesaro con 7 prime classi di 32 alunni o l'ITC «Benincasa» di Ancona con la classe prima di 33 alunni o ancora l'IPSIA San Benedetto del Tronto con le classi prime di 30 alunni; un cambio di orientamento degli alunni per mancata attivazione delle classi come accade al liceo scienze umane Rinaldini di Ancona, con 36 alunni 1 classe o al liceo scientifico F. Filelfo di Tolentino con 37 alunni 1 classe; l'accorpamento di classi intermedie come avviene al liceo scientifico Savoia di Ancona – 95 alunni 3 classi 3a con una media di 32 alunni per classe o al liceo classico «Nolfi» di Fano con 61 alunni di cui 1 diversamente abile, con 2 classi 2a; un notevole incremento delle classi articolate: si passa da 82 dello scorso anno alle 100, previste ad oggi, dell'anno scolastico 2013/2014; la mancata attivazione delle classi iniziali dei corsi serali e della scuola in carcere; classi numerose, in particolare nei professionali, con una presenza di ragazzi diversamente abili superiore a quanto definito dalla normativa vigente ad esempio come accade all'IPCT Recanati con 56 alunni di cui 11 disabili distribuiti in due classi;
   anche nella scuola primaria e nella scuola media permangono situazioni critiche, soprattutto per la presenza di più alunni disabili in classi numerose e per l'impossibilità di sdoppiare le classi per mancanza di organico;
   la mancanza di personale docente nella scuola media è inoltre causa della scomparsa del tempo prolungato e dell'impossibilità di attivare ulteriori sezioni ad indirizzo musicale;
   non migliore e sempre imputabile alla carenza di organico è la situazione nella scuola dell'infanzia dove: nel 2013-14 sono state assegnate 104 sezioni antimeridiane, nonostante le famiglie abbiano richiesto nella quasi totalità il tempo pieno; in alcuni comuni ci sono liste d'attesa dei bambini di 3 anni; molte scuole denunciano l'impossibilità di inserire i bambini anticipatari, a causa dell'elevato numero di bambini per sezione; si registrano 2.523 alunni in più in 6 anni ma sono state assegnate in totale solo 45 sezioni e 57 posti in più, insufficienti anche solo per garantire il tempo pieno in tutte;
   progressivo, ma sistematico è l'impoverimento del sistema scuola delle Marche, evidenziato sia dal decremento delle risorse d'organico, con circa 170 docenti di ruolo perdenti posto, che dall'eccessivo aumento delle cattedre costituite con un numero di ore superiore a quanto previsto dall'ordinamento: basti pensare che circa 100 cattedre nella sola provincia di Ancona e 79 nella provincia di Ascoli Piceno sono costituite oltre le 20 ore; la regione Marche è una delle poche che con propri fondi integra quelle del Ministero per garantire una maggiore presenza di personale;
   la recente assegnazione ministeriale di 30 unità aggiuntive di personale docente è insufficiente, rispetto alle almeno 50 necessarie e non risponde alle gravi situazioni di disagio evidenziate, nel rispetto delle norme di legge in materia di costituzione delle classi, di tutela dei disabili e di edilizia scolastica, evitando la formazione di «classi pollaio», visto che nel 2012-2013 le Marche sono state la regione con 25,9 bambini per sezione, il più alto d'Italia;
   un incremento sostanzioso dell'organico di diritto, anche di 40-50 unità su tutta la regione potrebbe rispondere alle gravi situazioni di disagio evidenziate, nel rispetto delle norme di legge in materia di costituzione delle classi, di tutela dei disabili e di edilizia scolastica, evitando la formazione di «classi pollaio», visto che nel 2012-13 le Marche sono state la regione con 25,9 bambini per sezione, il più alto d'Italia;
   se anche nelle Marche si volesse garantire la media nazionale di 24 bambini per sezione dovrebbero essere assegnati altri 84 sezioni e 272 posti;
   se, alla luce delle situazioni di criticità evidenziate il Ministro interrogato intenda adottare opportuni provvedimenti per garantire un'offerta formativa adeguata alle richieste delle famiglie e rispondente ai bisogni del territorio marchigiano prima dell'avvio del nuovo anno scolastico e se in qualche modo queste esigenze possano essere soddisfatte con l'annunciata assunzione di nuovi 15.000 docenti a partire da settembre prossimo. (5-00686)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta immediata in commissione Ruocco n. 5-00711, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 58 del 23 luglio 2013.

    RUOCCO e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Modello 770 è la dichiarazione dei sostituti di imposta, ossia dei datori di lavoro o enti di previdenza che per legge sostituiscono il contribuente nei rapporti con il fisco trattenendo le tasse relative a compensi, salari, pensioni;
   i sostituti di imposta devono comunicare all'Agenzia delle entrate, mediante una dichiarazione annuale, i dati relativi alle ritenute operate;
   il Modello 770, in base ai dati da comunicare e ai quadri da compilare, può essere semplificato o ordinario;
   nel Modello 770 semplificato vanno indicati: i dati relativi alle certificazioni rilasciate ai contribuenti ai quali sono stati corrisposti redditi di lavoro dipendente, equiparati e assimilati; le indennità di fine rapporto; i redditi di lavoro autonomo; le provvigioni e i redditi diversi; altri redditi;
   nel Modello 770 ordinario vanno indicati: le ritenute operate sui dividendi, proventi da partecipazione, redditi di capitale, operazioni di natura finanziaria; i versamenti effettuati, compensazioni operate e crediti di imposta utilizzati;
   entrambi i modelli devono essere presentati esclusivamente in via telematica, direttamente o tramite un intermediario abilitato, entro il 31 luglio di ogni anno;
   il modello 770 è già stato interessato in questi ultimi mesi da profonde modificazioni normative, dato che il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 269, all'articolo 51 ha abrogato l'articolo 44-bis del decreto-legge n. 269 del 2003, peraltro mai attuato, facendo venir meno l'obbligo di comunicazione mensile in via telematica, direttamente o tramite intermediari abilitati, dei dati retributivi e delle informazioni necessarie per il calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli, per il calcolo dei contributi, per la rilevazione della misura della retribuzione e dei versamenti eseguiti, per l'implementazione delle posizioni assicurative individuali e per l'erogazione delle prestazioni, mediante una dichiarazione mensile da presentare entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento;
   sarebbero però necessarie a giudizio delle associazioni di categoria dei commercialisti e dei Consulenti del lavoro, ulteriori modifiche di carattere normativo che, per i prossimi anni, stabiliscano una nuova scadenza, per l'invio del modello 770, dato il sovrapporsi, nella data attualmente fissata, di una pluralità di termini fiscali che hanno costantemente richiesto interventi di rinvio da parte dell'amministrazione;
   per l'anno in corso le Associazioni sopra citate hanno richiesto una proroga che il Governo soltanto in questi giorni ha provveduto a concedere;
   la proroga si rende necessaria anche per via dei rinvii dei termini di pagamento del modello Unico 2013 e della presentazione dei modelli 730 2013, che hanno inevitabilmente causato l'allungamento dei tempi di lavoro, ed al fine di concedere alle aziende ed ai professionisti interessati il tempo necessario per effettuare correttamente la trasmissione telematica delle dichiarazioni, senza dover corrispondere oneri per un ritardo a loro certamente non imputabile;
   la proroga delle scadenze, come ricorda l'Associazione nazionale commercialisti nel suo comunicato del 27 giugno 2013, non può rappresentare la normale soluzione a queste problematiche e dovrebbe avere carattere straordinario, mentre in realtà si presenta come il solo strumento al quale dover ricorrere per far fronte a situazioni divenute insostenibili per contribuenti e professionisti, costretti, quest'ultimi, a svolgere il loro lavoro in condizioni di stress e disagio;
   questa condizione, secondo la stessa Associazione, sarebbe un'ulteriore prova dell'inadeguatezza dell'attuale sistema fiscale nel suo complesso e dell'esigenza, non più procrastinabile, di intervenire per mettere in atto una riforma che preveda una nuova organizzazione delle scadenze e del numero degli adempimenti nei confronti del Fisco;
   l'Associazione nazionale commercialisti ed il consiglio nazionale dei consulenti del lavoro hanno pertanto rinnovato recentemente la richiesta alle Istituzioni preposte che tale progetto di riforma complessiva sia avviato in tempi rapidi;
   in merito alla trasmissione della dichiarazione modello 770 le associazioni di categoria hanno chiesto invece con urgenza un provvedimento di proroga al 30 settembre 2013, che però è pervenuto soltanto a cinque giorni dalla scadenza del termine del 31 luglio, fatto che lo rende inutile, specie per quei professionisti che, nella situazione d'incertezza, avevano già provveduto all'invio delle pratiche –:
   se intenda valutare l'opportunità di mettere a regime la scadenza al 30 settembre di ogni anno della presentazione del modello 770 e se intenda intervenire con misure di propria competenza per realizzare una riforma che preveda una riorganizzazione complessiva delle scadenze e del numero degli adempimenti nei confronti del Fisco. (5-00711)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione D'Incecco n. 5-00714, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 58 del 23 luglio 2013.

    D'INCECCO, LENZI, GRASSI, BIONDELLI, CAPONE, IORI, SBROLLINI e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei prossimi anni la sfida della sostenibilità economica (cioè dell'equilibrio tra risorse, servizi da erogare e spesa) del Sistema sanitario nazionale diventerà cruciale;
   è evidente l'esigenza da parte del Servizio sanitario nazionale di controllare le voci di spesa ottimizzando le risorse disponibili attraverso vari strumenti messi a disposizione dalla comunità scientifica, quali gli studi di valutazione economica, la cui applicazione consentirebbe una migliore allocazione delle risorse pubbliche;
   tra le voci che influiscono in maniera importante sulla spesa sanitaria nazionale, rientra l'infezione da HIV. Questa rappresenta una malattia infettiva a trasmissione sessuale cronica non eradicabile, con una forte ricaduta sociale;
   ad oggi i trattamenti disponibili per la cura dell'HIV permettono una sopravvivenza simile a quella della popolazione generale (Abaasa A M et al. BMC Health Services Research 2008). L'aumento significativo della sopravvivenza nella popolazione HIV va ad aggiungersi alla maggiore sopravvivenza associata alle normali patologie d'invecchiamento;
   l'incidenza della malattia è di 5,8 nuovi casi per 100.000 residenti anno e le nuove infezioni rilevate sono state pari a 3.839 nel 2011. Inoltre non è diffusa una politica di offerta attiva del test che viene proposto solo a popolazioni definite a rischio;
   il costo della terapia per i farmaci antiretrovirali per il trattamento dell'HIV è di 631 milioni di euro all'anno (Fonte: IMS Database anno 2012) con un incremento della spesa attorno all'1 per cento ogni anno;
   i farmaci antiretrovirali per il trattamento dell'HIV sono utilizzati nella pratica clinica in combinazioni variabili da tre a quattro farmaci che vanno a formare il regime terapeutico di trattamento che deve essere somministrato cronicamente per tutta la durata della vita del paziente;
   «Regimi semplificati in un'unica compressa giornaliera» denominati dalle linee guida scientifiche (Società italiana malattie infettive) Single Tablet Regimen (STR) rappresentano i regimi di massima semplificazione terapeutica per il trattamento dell'infezione da HIV e consistono nell'unificazione dell'intera terapia giornaliera in un'unica compressa da assumere una sola volta al giorno;
   dall'esperienza di utilizzo, sembrerebbe che i Single Tablet Regimen (STR) siano associati ad un miglioramento dell'aderenza alla terapia da parte del paziente, ad un miglior controllo virologico ed ad una qualità di vita superiore rispetto ai regimi terapeutici costituiti da più compresse. La migliorata aderenza alla terapia e l'ottimale controllo della viremia permettono di ridurre i fallimenti terapeutici causati dall'insorgenza di resistenze e, conseguentemente, il rischio di progressione della malattia, con evidenti ricadute positive sul Sistema sanitario nazionale in termini di risparmi per ulteriori interventi clinici;
   i regimi STR hanno dimostrato di essere in grado di ridurre il numero delle ospedalizzazioni dei pazienti HIV con conseguente riduzione dei costi complessivi della gestione del paziente HIV (vedi studio COMPACT, pubblicazione P. Sax 2012);
   i regimi STR oggi disponibili hanno prezzi significativamente inferiori (dal 14 per cento al 34 per cento in meno) rispetto ai regimi terapeutici multi compressa più utilizzati. Il risparmio medio annuale per paziente trattato si aggira fra i 1150 euro e i 3800 euro. Il Percorso diagnostico terapeutico (PDT) è uno strumento di governo dell'appropriatezza delle prestazioni e rappresenta uno strumento operativo a livello regionale/ospedaliero. Il Percorso diagnostico terapeutico tiene conto delle linee guida scientifiche e delle analisi farmaco economiche andando a definire indirizzi di appropriatezza e sostenibilità della patologia. Per poter garantire l'efficacia concreta di questi strumenti, le indicazioni dei Percorso diagnostico terapeutico dovrebbero essere misurabili e dovrebbero rientrare fra le performance delle direzioni generali/sanitarie –:
   se il Ministro ritiene opportuno aumentare l'attenzione nei confronti delle persone affette da HIV/AIDS anche attraverso una comunicazione maggiore volta a promuovere i test diagnostici;
   se vi sia la possibilità di ottenere evidenze di applicazione degli strumenti messi in campo dalle diverse realtà regionali (PDT) per ottimizzare secondo sostenibilità e criteri di costo-efficacia le terapie per l'HIV;
   in quale misura vengano impiegati i regimi STR che, sulla base di quanto emerge dalle linee guida scientifiche della Società italiana malattie infettive e dalle pubblicazioni farmacoeconomiche disponibili, dimostrano una chiara opportunità di risparmio per il Servizio sanitario nazionale grazie alla riduzione dei fallimenti terapeutici associata alla migliore aderenza dei pazienti alla terapia. (5-00714)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Prodani n. 5-00682 del 19 luglio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione La Marca n. 5-00702 del 23 luglio 2013;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Rigoni n. 4-01185 dell'8 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00720;
   interrogazione a risposta scritta Artini e altri n. 4-01330 del 19 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00717.