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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 17 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 6 luglio 2012, n. 96, in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici ha ridotto i contributi a carico dello Stato in favore dei partiti politici del 50 per cento, realizzando così importanti risparmi di spesa che, per l'esercizio finanziario 2012 e per quello 2013, sono stati destinati, nella misura di 180 milioni, alle zone colpite da calamità naturali;
    tale legge, come è noto, ha modificato il sistema di contribuzione pubblica alla politica, introducendo per la prima volta, e analogamente ai meccanismi previsti in altre esperienze europee e americane, un sistema di cofinanziamento che ha vincolato il 30 per cento dei finanziamenti ad una scelta esplicitata dei cittadini, con ciò avviando il superamento del principio dell'automatismo dei finanziamenti;
    tuttavia le recenti innovazioni legislative non hanno risolto il problema di ancorare i rimborsi elettorali alle spese effettivamente sostenute dai partiti politici e non hanno portato al definitivo superamento del finanziamento diretto sulla base di automatismi: si conferma, anche con la legge n. 96 del 2012, per il 70 per cento dei contributi, il principio della legge n. 157 del 1999, la quale, non legando i rimborsi alle spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali, aveva comportato una reintroduzione «de facto» del finanziamento, dopo che il referendum del 1993 aveva portato alla sua abrogazione;
    la grave crisi economica e sociale che da anni sta schiacciando l'Europa e l'Italia ha reso opportuno il ripensamento di ulteriori interventi di modifica del finanziamento pubblico ai partiti, al fine di porre il sistema politico, complessivamente inteso, in linea con i pesanti sacrifici che i contribuenti italiani stanno sostenendo da anni;
    le deprecabili e gravi vicende di corruzione politica connesse in taluni casi proprio alle modalità di utilizzazione del finanziamento pubblico ai partiti sono tra le cause della disaffezione dell'opinione pubblica verso la politica e inducono a ritenere il superamento della disciplina attuale del finanziamento quale passaggio ineludibile per il recupero di credibilità dei partiti e del sistema politico complessivo;
    il 18 giugno 2013 è iniziata la discussione della proposta del Governo che prevede il passaggio della residua parte di contribuzione diretta ad un sistema di contribuzione indiretta ed áncora le nuove forme di sostegno delle attività politiche ad obblighi di trasparenza e democraticità posti a carico dei partiti politici che intendano avvalersene, fornendo così finalmente anche una prima attuazione dell'articolo 49 della Costituzione;
    su tale argomento è stata altresì presentata nella scorsa legislatura ed è all'attenzione del Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare, delineata dal professor Pellegrino Capaldo, che si basa su un sistema di finanziamento lasciato esclusivamente alla decisione dei cittadini, suscitando estremo interesse nella cittadinanza;
    il sostegno alla iniziativa legislativa del Governo e l'impegno assunto all'atto della fiducia al Governo e poi in sede di formazione del calendario dei lavori di questo ramo del Parlamento, di esaminare il provvedimento nei tempi previsti dal calendario stesso, sono confermati;
    Governo e Parlamento ognuno nell'esercizio delle proprie prerogative costituzionalmente garantite, stanno lealmente collaborando al fine di giungere quanto prima, nel rispetto dei tempi previsti dai Regolamenti parlamentari, ad un testo che superi il sistema di finanziamento diretto e coniughi democrazia e partecipazione con le nuove forme di finanziamento incentrate sulla libera scelta dei cittadini;
    occorre tuttavia vigilare affinché il passaggio da un sistema di finanziamento basato prevalentemente sui rimborsi elettorali ad un finanziamento indiretto e su base volontaria, come previsto nel testo del Governo, non si traduca in una limitazione del diritto di tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, con conseguente lesione dell'articolo 49 della Costituzione, né si affievolisca il diritto alla privacy e alla riservatezza delle scelte politiche dei cittadini che decidano di finanziare i partiti politici, diritto che deve essere contemperato con le altrettanto doverose esigenze di trasparenza e tracciabilità dei flussi finanziari, tenendo in considerazione l'opportunità di fissare congrui tetti alle donazione da privati;
    la legge n. 96 del 2012 ha introdotto, tra l'altro, nel nostro ordinamento un sistema di controlli efficace che, in linea con le indicazioni del Gruppo di Stati anticorruzione del Consiglio d'Europa, ha previsto un articolato sistema di sanzioni,

impegna il Governo:

   nelle more dell'approvazione delle modifiche normative all'esame del Parlamento, e alla luce della discussione relativa al passaggio da un sistema di finanziamento prevalentemente pubblico ad un sistema di finanziamento indiretto fondato esclusivamente su base volontaria e sulle eventuali forme di sostegno indiretto ad attività politiche, ad adottare ogni iniziativa utile a salvaguardare il diritto di tutti i cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, nel rispetto dei principi di democrazia interna e gestione trasparente delle risorse per i partiti e i movimenti politici, nonché dei principi di riservatezza delle scelte politiche di ogni cittadino, di trasparenza e tracciabilità dei flussi finanziari;
   una volta che saranno approvate le nuove disposizioni in materia di finanziamento indiretto e trasparenza dei partiti politici, a esercitare nel più breve tempo possibile le deleghe ivi previste, con particolare riferimento alla necessità di approntare un testo unico delle disposizioni in materia, nonché a rendere effettive le eventuali misure di sostegno all'attività politica emanando i necessari atti di normazione secondaria.
(1-00148) «Fiano, Gelmini, Balduzzi, Martella, Nardella, De Micheli, Pollastrini, Pagano».


   La Camera,
   premesso che:
    in questa fase di crisi economica, l'emergenza abitativa risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che coinvolge larghi strati della popolazione: dalle categorie a rischio fino a larghe fasce di ceto medio, oltre 430.000 famiglie sono in difficoltà con il pagamento dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi quattro anni), di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, proprio per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole superano il 90 per cento;
    lo stato attuale del mercato immobiliare e del sistema di accesso al credito non fanno che aggravare il quadro sopra descritto, in quanto l'offerta di abitazioni private – a costi molto elevati, assolutamente inaccessibili per famiglie e giovani coppie, anche a fronte delle gravose condizioni richieste per ottenere finanziamenti a tal fine diretti – sovrasta nettamente l'offerta pubblica, che negli ultimi anni è scesa fino a toccare, attualmente, un quota di poco avvicinabile all'uno per cento della produzione edilizia complessiva;
    l'inerzia da parte delle autorità pubbliche in materia, le quali – al di fuori di provvedimenti disorganici ed estemporanei – non sono state capaci di promuovere politiche innovative per la casa, che permettano di arrestare il consumo di suolo e, al contempo, favorire il recupero urbano per rilanciare l'edilizia residenziale pubblica e a fini sociali, mette seriamente a rischio il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa, sancito dall'articolo 47 della Costituzione;
    aspetto di estrema rilevanza nella situazione esposta di crisi abitativa è quello attinente alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privatizzati, dismissione che ancora oggi investe le vicende umane e le sorti di numerosi nuclei familiari;
    nello specifico, gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati hanno subito un continuo e costante aggravio delle loro condizioni abitative: considerevoli sono gli aumenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione e, in molti casi, anche l'acquisto dell'alloggio è reso impossibile a causa dei prezzi – a valore di mercato – praticati dagli enti stessi, senza neanche tenere conto dello stato reale in cui versano gli immobili e in molti casi delle agevolazione fiscali e urbanistiche avute in passato. Tutto ciò è causa di una situazione di intollerabile disagio sociale;
    a determinare il contesto di emergenza abitativa sopra introdotto ha contribuito in maniera rilevante la successione nel tempo di una serie considerevole, nonché disorganica e talvolta contraddittoria, di provvedimenti normativi che hanno gradualmente mutato il regime dei rinnovi dei contratti di locazione e della vendita degli immobili inerenti al patrimonio degli enti previdenziali privatizzati, facendo sorgere molti dubbi, oltre che sulla sostenibilità sociale, anche sulla legittimità delle procedure in atto;
    tali vicende normative prendono il via con il decreto legislativo n. 509 del 30 giugno 1994 – con il quale si avvia la privatizzazione degli enti previdenziali, che assumono personalità giuridica di diritto privato, pur continuando a sussistere come enti senza scopo di lucro – e si diramano passando per il decreto legislativo n. 104 del 16 febbraio 1996, come integrato dalla legge n. 410 del 23 novembre 2001 – che disciplina l'attività in campo immobiliare degli enti previdenziali pubblici – l'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, il decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010, il decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011, la direttiva europea 2004/18/CE;
    tra gli atti normativi suddetti, causa una particolare situazione di incertezza la formulazione della legge di interpretazione autentica di cui all'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, la quale esclude che le norme sulla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici – nello specifico l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 104 del 1996, che regola il campo di applicazione dell'intera disciplina – si applichino agli enti previdenziali privatizzati, anche quando la trasformazione degli enti in questione in persone giuridiche di diritto privato sia avvenuta successivamente alla entrata in vigore del decreto stesso. La suddetta norma contenuta nella legge n. 243 del 2004, ha dato il via, di fatto, a operazioni di dismissione a prezzi di mercato, con valori correnti, e a rinnovi dei contratti di locazione con aumenti dei canoni anche fino al 300 per cento, con conseguenti rischi di sfratto per gli inquilini non più disposti ad accettare i nuovi, insostenibili, prezzi di locazione;
    la norma interpretativa stabilita dalla suddetta legge n. 243 del 2004 è già stata oggetto di pronuncia a sezioni unite – la n. 20322 del 22 giugno 2006 – da parte della Suprema Corte, la quale si è espressa contestandone la natura di legge di interpretazione autentica, attribuendole invece portata innovativa, determinando così che i rapporti giuridici sorti sulla base delle leggi previgenti seguano il regime di tutela stabilito da queste ultime. Pertanto la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, privatizzati successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 104 del 1996, dovrebbe seguire quest'ultima disciplina e le successive modifiche e integrazioni;
    pur in presenza dell'ambigua norma interpretativa sopra citata, non dovrebbero tuttavia permanere dubbi sulla intrinseca natura pubblicistica degli enti previdenziali privatizzati, la quale si desumerebbe anche alla luce di quanto stabilito dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, il cui articolo 5 prevede che ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendano gli enti e i soggetti indicati ai fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica emanato in data 24 luglio 2010, il quale comprende gli enti suddetti;
    inoltre, per chiarire la natura degli enti previdenziali privatizzati, può essere portato a sostegno quanto previsto nel decreto-legge del 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che al comma 11-bis dell'articolo 3 – rubricato «razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzioni dei costi per locazioni passive» – introduce una nuova e specifica procedura di dismissione immobiliare per gli enti previdenziali inseriti nel conto economico della pubblica amministrazione. Altresì, la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6014 del 2012 ha chiarito in via definitiva che, il mutamento operato dal decreto legislativo n. 509 del 1994, ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza, svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione un'innovazione di carattere essenzialmente organizzativo, interpretazione confermata nella sentenza della sezione III del Tar del Lazio, n. 05938 del 12 giugno 2013;
    il quadro tracciato, connotato da forte disorganicità e ambiguità normativa, determina, tra l'altro, una irragionevole eterogeneità di situazioni tra ente ed ente, che rischia di creare situazioni di iniquità di trattamento, a riprova della quale non può non citarsi la disposizione di cui all'articolo 1, comma 168, della legge n. 228 del 24 dicembre 2012, la quale esclude espressamente l'applicabilità delle procedure di dismissione introdotte dal comma 11-bis dell'articolo 3 della legge n. 135 del 2012, contenenti aspetti di maggior favor per i conduttori, al piano di dismissione immobiliare della Fondazione Enasarco;
    posto quanto sopra illustrato circa la situazione di disagio in cui versano i conduttori di immobili degli enti previdenziali privatizzati, non meno preoccupante può considerarsi quanto sta accadendo ai conduttori di immobili appartenenti agli enti previdenziali pubblici, per l'interruzione del processo di alienazione e per la scadenza dei contratti di locazione che rendono insicuro e incerto il futuro delle famiglie dei conduttori con titolo nonché degli occupanti sine titulo, nonostante siano chiaramente indicati dalla legge n. 410 del 2001 condizioni e prerogative per la vendita degli immobili di tali enti, il cui patrimonio residuo è ora entrato integralmente in possesso dell'INPS;
    l'INPS stessa, tuttavia, attende chiare indicazioni operative da parte dei Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali vigilanti sull'istituto, anche in relazione alla sopravvenuta norma sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, presente all'articolo 27 del cosiddetto «decreto Salva Italia» n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito con modifiche dalla legge n. 214 del 2011;
    alla luce di tutto ciò, non sembra rinviabile un pronunciamento sulla questione da parte del Governo e degli organi parlamentari, affinché il processo di alienazione degli immobili degli enti previdenziali pubblici e privatizzati avvenga in un quadro di tutela e garanzia sociale delle famiglie interessate,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative indirizzate a chiarire il quadro normativo entro cui deve svolgersi il processo di alienazione del patrimonio immobiliare dei vari enti previdenziali privatizzati, affinché le procedure avvengano in maniera trasparente e uniforme, evitando disparità di trattamento;
   a promuovere con urgenza, nel quadro di tali iniziative, misure finalizzate all'abrogazione dell'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004 n. 243, e dell'articolo 1, comma 168, della legge n. 228 del 24 dicembre 2012 nella parte in cui prevede che: «(...) le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione Enasarco (...)»;
   a intervenire per tutelare gli inquilini, vigilando sui prezzi di vendita degli immobili degli enti e sull'entità dei canoni di affitto al momento del rinnovo del contratto di locazione, traendo primario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001;
   a intervenire in modo chiaro presso gli enti previdenziali pubblici, in particolare presso l'INPS, affinché vengano riprese con celerità e con eguali tutele – in particolare quelle previste dal comma 20 dell'articolo 3 della legge n. 410 del 2001, confermate dall'articolo 43-bis del decreto-legge n. 207 del 2008 – le procedure di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'INPS stesso;
   a disporre, in relazione alle dismissioni immobiliari degli enti previdenziali, un tavolo tecnico interistituzionale e di confronto sindacale per raggiungere le finalità sopra indicate e provvedere alla regolarizzazione dei sine titulo e alle assegnazioni irregolari di alloggi, indicando inoltre percorsi per agevolare l'accesso al credito delle famiglie con reddito medio basso, con mutui sostenibili e finalizzati all'acquisto;
   a sospendere, nelle more dell'instaurazione del tavolo tecnico e dell'adozione dei provvedimenti necessari, l'esecuzione degli sgomberi nonché delle aste e degli sfratti per morosità incolpevole riguardanti unità immobiliari a uso residenziale;
   ad utilizzare il patrimonio abitativo sfitto e disponibile degli enti previdenziali, anche quello conferito ai fondi immobiliari, mettendolo a disposizione dei comuni per affrontare l'emergenza abitativa;
   ad adottare provvedimenti idonei a vincolare gli enti previdenziali pubblici o privatizzati a riconsiderare contratti già stipulati secondo forme e canoni socialmente sostenibili e a stipulare e rinnovare i contratti di locazione tenendo conto della situazione di difficoltà economica delle famiglie;
   a prevedere, in attesa di chiarimenti sulle procedure da adottare scaturenti dall'apposito tavolo tecnico all'uopo istituito, il blocco delle procedure di alienazione degli immobili degli enti previdenziali privatizzati e degli aumenti dei canoni connessi ai rinnovi contrattuali, nonché delle procedure di sfratto in corso:
   a prevedere, con apposito provvedimento, che il prezzo di alienazione degli immobili, le cui procedure sono in fase di attuazione, rimanga fermo per un periodo comunque non inferiore a 5 anni, in modo da garantire a tutti coloro che attualmente non sono in grado di procedere all'acquisto, la possibilità di poterlo effettuare, alle medesime condizioni.
(1-00149) «Piazzoni, Migliore, Nicchi, Aiello, Zan, Zaratti, Pellegrino, Boccadutri, Pilozzi».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo 15 aprile 2005 n. 76, ha previsto l'obbligo di integrazione (mediante successivo accordo tra Miur, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in sede di Conferenza unificata) tra le Anagrafi regionali degli studenti e l'Anagrafe nazionale degli studenti, per la realizzazione di un Sistema Nazionale delle Anagrafi degli studenti;
     per la realizzazione dell'integrazione la norma definisce la necessità di:
     a) definire gli standard tecnici per lo scambio dei flussi informativi;
     b) assicurare l'interoperabilità delle anagrafi;
     c) definire l'insieme delle informazioni che permettano la tracciabilità dei percorsi scolastici e formativi dei singoli studenti;
    il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221, all'articolo 10, comma 8, prevede: «Al fine di evitare la duplicazione di banche dati contenenti informazioni similari, nell'ottica di limitare l'impiego di risorse umane, strumentali e finanziarie, l'anagrafe nazionale degli alunni, di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, nonché quella degli studenti e dei laureati delle università di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 9 maggio 2003, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 2003, n. 170, rappresentano banche dati a livello nazionale realizzate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e alle quali accedono le regioni e gli enti locali ciascuno in relazione alle proprie competenze istituzionali. All'anagrafe degli studenti e dei laureati accedono anche le università. L'anagrafe nazionale degli alunni è altresì alimentata dai dati relativi agli iscritti alla scuola dell'infanzia»;
    il 16 dicembre 2010 è stato sottoscritto un accordo in conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo n. 76 del 2005 per l'integrazione delle Anagrafi degli studenti. Tale accordo rinviava ad un successivo accordo i tracciati record, le tabelle e le classificazioni, l'accessibilità al dato nel rispetto della normativa sulla privacy;
    è stato prodotto successivamente un nuovo schema di accordo, attraverso un lavoro congiunto tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, regioni, enti locali per la definizione di ulteriori elementi, che però non ha trovato riscontro positivo nel confronto con il garante per la protezione dei dati personali;
    l'utilizzo dell'anagrafe riguarda tra l'altro:
     a) il ricorso della presenza di uno studente in una banca dati di un altro territorio;
     b) la ricostruzione della carriera scolastica del cittadino studente;
     c) la definizione integrata dei percorsi scolastici, formativi e professionali in rapporto alla Scheda Anagrafico Professionale del Sistema Informativo Lavoro;
     d) interoperabilità verso MIUR per la gestione dei dati relativi alle iscrizioni;
     e) il riscontro dei titoli di studio acquisiti dallo studente per automatizzare la verifica in fase di iscrizione ai vari livelli formativi post diploma (atenei, IFTS, percorsi in ambito formazione professionale);
     f) la disponibilità di set di dati finalizzati all'analisi statistica dei fenomeni riguardanti gli studenti, in particolare relativamente all'esercizio delle competenze trasferite dal decreto legislativo n. 112 del 1998 alle regioni e agli enti locali (programmazione della rete scolastica, educazione degli adulti, interventi integrati di orientamento scolastico e professionale, azioni tese a realizzare le pari opportunità di istruzione, azioni di supporto tese a promuovere e sostenere la coerenza e la continuità in verticale e orizzontale tra diversi gradi e ordini di scuole, interventi perequativi, interventi integrati di prevenzione della dispersione scolastica e di educazione alla salute; organizzazione dei servizi di trasporto scolastico);
   l'anagrafe degli studenti rappresenterà inoltre una condizionalità ex ante per la realizzazione di molte azioni da realizzarsi da parte delle Regioni con i fondi strutturali nella programmazione FSE 2014-2020,

impegna il Governo:

ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate all'integrazione tra l'anagrafe razionale degli studenti e le anagrafi regionali degli studenti nell'ottica del Sistema nazionale delle anagrafi degli studenti, strumento indispensabile per la governance multilivello del sistema scolastico e condizione per l'attivazione dei servizi integrati di interesse per pubblica amministrazione, basati sui dati ottenibili attraverso i servizi di accesso alle anagrafi integrate, nonché presupposto necessario per la realizzazione di numerose azioni da parte delle legioni con i fondi strutturali nella programmazione FSE 2014-2020.
(7-00068) «Centemero, Palmieri».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 4, commi 48-50, della legge n. 92 del 2012 (riforma del mercato del lavoro) modifica la delega già conferita al Governo in materia di servizi per l'impiego prevista dalla legge n. 247 del 2007, differendone il termine, estendendone l'ambito alle politiche attive, prevedendo l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni per l'adozione dei decreti legislativi e individuando ulteriori principi e criteri direttivi;
    nello specifico, i principi e i criteri direttivi a cui il Governo deve attenersi per l'esercizio di tale delega riguardano essenzialmente: il potenziamento dei sistemi informativi e di monitoraggio per una gestione più agevole del mercato del lavoro; la valorizzazione dell'interazione tra collocamento pubblico e privato, tenendo conto della centralità dei servizi per l'impiego al fine di potenziare l'incontro tra domanda e offerta del lavoro; l'individuazione dei criteri per l'accreditamento e l'autorizzazione dei soggetti operanti, nonché i livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l'impiego; la revisione e semplificazione delle procedure amministrative; l'incentivazione della ricerca attiva di nuova occupazione; la qualificazione professionale dei giovani che entrano nel mercato del lavoro;
    in particolare, il comma 49 del sopracitato articolo ha previsto il differimento del termine per l'esercizio della delega a sei mesi dall'entrata in vigore della legge n.92 del 2012, fissandolo al 18 gennaio 2013;
    ad oggi, però, essendo scaduto il termine previsto per l'esercizio della delega in materia di servizi per l'impiego non è stato ancora chiarito in che modo verranno riorganizzati tali servizi e a chi verranno attribuite le relative competenze;
    i centri per l'impiego gestiti dalle province sono, infatti, oltre 550 e gestiscono l'erogazione di servizi ai cittadini, relativamente all'informazione, orientamento e inserimento al lavoro, avvalendosi del supporto di migliaia di operatori esperti e qualificati, spesso assunti con contrattazione a termine, e ai quali potrebbero non essere rinnovati i relativi contratti per l'effetto delle misure previste dai provvedimenti sul contenimento della spesa pubblica, generando forti preoccupazioni sul futuro di quanti ogni giorno mettono al servizio degli altri la propria esperienza e professionalità;
    l'incertezza normativa e i recenti tagli al fondo sperimentale delle Province stanno penalizzando fortemente le amministrazioni locali non solo nell'erogazione dei servizi sopracitati, che per essere efficaci necessitano di investimenti adeguati, ma pregiudicano anche quel ruolo di governance del sistema che risulta essere indispensabile, e richiesto dalle parti sociali e da tutti gli operatori anche privati;
    nonostante il quadro nazionale di riferimento evidenzi una disomogeneità nell'efficienza dei servizi resi nelle varie regioni e la percentuale di disoccupati che si rivolge ai servizi pubblici e privati sia ancora molto bassa, il ruolo dei centri per l'impiego è fondamentale e di grande rilievo strategico per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, così come dimostrato nei Paesi europei dove si è maggiormente investito in questi servizi;
    le maggiori criticità sono da attribuire principalmente alla mancanza di uniformità delle prestazioni sull'intero territorio nazionale, generata da una normativa lacunosa e dalla carenza di risorse finanziarie e strumentali che non permettono il raggiungimento di un livello ottimale di servizi;
    comparando le diverse esperienze europee, infatti, l'Italia risulta tra i Paesi con la più bassa spesa per i servizi pubblici per l'impiego (dati Eurostat) e la minore efficienza nel mercato del lavoro, con un rapporto tra operatori e disoccupati/inoccupati disponibili al lavoro pari a 494, mentre nel Regno Unito il rapporto è pari a 24, in Francia a 46 e in Germania a 48;
    l'entrata in vigore della nuova normativa sull'ASPI e la necessità che l'intervento di politica passiva sia obbligatoriamente connesso all'erogazione di un intervento di politica attiva (cosiddetta «condizionalità») rende indispensabile un intervento di rafforzamento dei servizi pubblici per il lavoro;
    inoltre, il prolungamento della vita attiva determinato dalla recente riforma del trattamento pensionistico ha ampliato la platea degli utenti e richiede, a maggior ragione, la presenza di un sistema in grado di offrire servizi di qualità durante tutto l'arco della vita;
    alla luce delle priorità politiche individuate dall'Esecutivo per fronteggiare l'emergenza occupazionale e della recente raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea sull'istituzione della Youth Guarentee mediante lo stanziamento di fondi destinati a contrastare la disoccupazione giovanile, risulta indispensabile attivare tempestivamente misure che consentano un sistema di centri per l'impiego più efficiente e omogeneo, garantendo gli stessi servizi su tutto il territorio nazionale e il raggiungimento di standard qualitativi ottimali;

impegna il Governo:

   ad intervenire tempestivamente mediante un'adeguata iniziativa normativa al fine di riaprire i termini per l'esercizio della delega in materia di politiche attive e di servizi per l'impiego;
   a chiarire, con urgenza, in che modo e a chi verranno attribuite le relative competenze, anche alla luce del processo di riorganizzazione delle province e delle indicazioni dell'Unione europea che sollecitano la maggiore integrazione possibile tra i sistemi formativi e il mercato del lavoro;
   a definire quali iniziative intenda attivare al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e professionali dei dipendenti attualmente impiegati nei centri per l'impiego, anche mediante misure correttive che consentano un'ottimale riorganizzazione e stabilizzazione del personale;
   ad individuare adeguate risorse economiche, professionali e strumentali che permettano di rafforzare il ruolo strategico dei centri per l'impiego su tutto il territorio nazionale e garantire un adeguato livello di servizi erogati, anche alla luce delle recenti iniziative europee a favore dell'occupazione giovanile;
   a chiarire, alla luce delle recenti misure varate dal Consiglio dei ministri del 26 giugno relativamente all'attuazione della Youth Guarentee, quale sarà il ruolo della struttura di missione e dell'Agenzia per l'impiego nazionale nel processo di riordino dei servizi per l'impiego, tenuto conto anche della riorganizzazione delle province;
   a garantire, nel processo di riorganizzazione dei servizi per l'impiego, territorialità, efficienza, reale integrazione degli interventi tra pubblico e privato, semplificazione delle procedure amministrative e uniformità delle prestazioni sull'intero territorio nazionale al fine di rimuovere le attuali discrepanze e criticità riscontrate tra le varie regioni, fissando obiettivi e standard qualitativi comuni;
   ad attivare un confronto costante con le Regioni e le Amministrazioni locali al fine di predisporre un'azione condivisa e coordinata che permetta una riforma dei servizi per l'impiego più efficiente e conforme agli standard europei.
(7-00067) «Simoni, Maestri, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato, nella passata legislatura e senza ottenere alcuna risposta, l'atto di sindacato ispettivo numero 4-19079 avente per oggetto la richiesta di descrizione al Parlamento da parte del Governo, anche per tramite del Commissario delegato per l'emergenza della Concordia Gabrielli, del piano di rimozione del relitto di Costa Concordia e della necessarie azioni di salvaguardia dell'ecosistema marino dell'isola del Giglio e della modalità di rottamazione della nave;
   nell'ultimo periodo appare con alta frequenza sulle agenzie e sulle edizioni online dei maggiori quotidiani nazionali la forte preoccupazione sulle condizioni dello scafo del relitto: ancora adagiato nello spazio di mare antistante il porto del Giglio. In particolare si sottolinea la questione dei ritardi nelle operazioni di recupero e il corretto smaltimento di Concordia;
   risulta poi che entro il termine di giugno 2013 la società Costa avrebbe dovuto presentare al Commissario delegato e alla regione Toscana il piano per la rimozione della nave naufragata la notte 13 gennaio 2012, ma così pare non sia accaduto –:
   se il Presidente del Consiglio intenda in primis rendere note le condizioni necessarie per garantire che l'effettiva rimozione e il ricovero del relitto avvengano in sicurezza e senza ulteriori danni per l'ambiente;
   se non si ritenga indispensabile chiarire le ragioni dei ritardi e quale sia attualmente lo stato dell'ecosistema marino dell'arcipelago Toscano interessato dall'incidente di nave Costa;
   quali azioni intenda altresì mettere in campo il Governo per accelerare la rimozione dello scafo, quali siano i tempi di realizzazione dei lavori e quando sarà completata la rimozione totale del relitto, auspicando fortemente che ciò avvenga quanto prima;
   quanti fondi siano effettivamente necessari all'espletamento della rimozione e della messa in sicurezza della nave e chiare assicurazioni sul fatto che i costi e i risarcimenti ricadranno in via esclusiva sui responsabili del disastro della Costa Concordia;
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori necessari per l'allestimento del cantiere di lavoro del porto di Piombino, che risulterebbe il più idoneo per la rottamazione del relitto, stante la sua vicinanza geografica, la capacità delle maestranze e la presenza nel luogo di un polo siderurgico, utile alle operazioni di rottamazione della Costa Concordia. (4-01305)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINEFRA, PELILLO, DECARO, BELLANOVA, CASSANO, VENTRICELLI, CAPONE, LOSACCO, SCALFAROTTO e MONGIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana la Camera dei deputati ha, nella seduta di giovedì 11 luglio 2013, esaminata la conversione del decreto-legge n. 61 del 2013, che disciplina – in via generale e con specifico riguardo allo stabilimento ILVA di Taranto – il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA);
   suscita preoccupazione e sconcerto la lettera che il commissario dell'Ilva, il dottor Enrico Bondi, avrebbe inviato all'Arpa, all'Ares, all'Asl e al presidente Vendola con la quale, a quanto viene riportato dalla stampa, metterebbe in dubbio la validità dei rapporti che sono stati presentati a sostegno della valutazione del danno sanitario causato dall'inquinamento dell'ILVA a Taranto;
   la preoccupazione e lo sconcerto della comunità locale deriva sia da ragioni di merito, che di metodo e non si è placata, nonostante le dichiarazioni rilasciate nelle ultime ore dallo stesso Bondi;
   nel merito appare incredibile che continuino ad essere sottovalutate le gravissime responsabilità dell'ILVA (insieme ad altre grandi aziende) nell'aver determinato gli altissimi livelli di inquinamento del territorio. Ancora più grave, se rispondesse al vero la notizia di stampa sarebbe che chi ha avuto il delicato incarico di commissario del Governo, nominato per sostituirsi alla proprietà dell'azienda inadempiente nell'attuazione dell'AIA, si sbilanciasse in rocambolesche valutazioni sul nesso di causalità patologie tumorali – fattori di rischio;
   nel metodo il ruolo affidato a Bondi imporrebbe comportamenti di massima responsabilità nella gestione di una vicenda unica per delicatezza ed importanza, da esercitarsi tenendo insieme il diritto alla salute e il diritto al lavoro, e a cui – a parere degli interroganti – lo stesso dottor Bondi dovrebbe strettamente attenersi –:
   se intenda rappresentare al commissario l'esigenza di conoscere le motivazioni che lo hanno indotto a rilasciare tali affermazioni sebbene sufficientemente rettificate che sono apparse essere improvvide e se intenda invitarlo a non intervenire su questioni che esulano dal suo ruolo, che non può che essere quello di rappresentante del Governo per la piena e tempestiva attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale. (5-00645)


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che: 
   con decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995 è stato approvato il «Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Siracusa-Sicilia Orientale»;
   la legge 9 dicembre 1998, n. 426, «Nuovi interventi in campo ambientale», all'articolo 1 disciplinava la realizzazione di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, anche al fine di consentire il concorso pubblico;
   l'articolo 1, comma 4, della citata legge 9 dicembre 1998, n. 426, ha individuato tra i siti di bonifica di interesse nazionale quello di «Priolo»;
   il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, 10 gennaio 2000, ha approvato il perimetro provvisorio del sito di bonifica di interesse nazionale di «Priolo», e quello del 10 marzo 2006, ha esteso il perimetro del medesimo sito;
   il SIN di Priolo si sviluppa su una superficie di circa 5.815 ettari a terra e circa 10.068 ettari a mare, comprensivi delle aree portuali di Siracusa ed Augusta e la parte a terra include aree private per un totale di circa 1.700 ettari e aree pubbliche per circa 1.300 ettari;
   il SIN di Priolo è ubicato nel territorio dei comuni di Augusta, Priolo Gargallo, Melilli e Siracusa, già dichiarati «Area di elevato rischio di crisi ambientale» nell'anno 1990;
   all'interno del perimetro del SIN sono inclusi: un polo industriale costituito da grandi insediamenti produttivi, prevalentemente raffinerie, stabilimenti petrolchimici, centrali di produzione di energia elettrica e cementerie; l'area marina antistante comprensiva delle aree portuali di Augusta e Siracusa; numerose discariche di rifiuti anche pericolosi; lo stabilimento ex eternit di Siracusa (dove si producevano manufatti in cemento-amianto); le aree umide (Saline di Priolo e Augusta);
   con il decreto ministeriale 18 settembre 2001, n. 468, recante «Programma nazionale di bonifica e ripristino dei siti inquinati» furono assegnate al sito di bonifica di interesse nazionale di «Priolo» risorse pari euro 23.653.725,97;
   la direttiva 2000/60/CE recepita dal decreto legislativo n. 152 del 2006, ha lo scopo di ottenere la graduale riduzione delle emissioni di sostanze pericolose nelle acque per raggiungere l'obiettivo finale di eliminare le sostanze pericolose prioritarie e contribuire a raggiungere valori vicini a quelli del fondo naturale per le concentrazioni in ambiente marino di sostanze presenti in natura;
   l'articolo 252-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, relativo ai «Siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale», disciplina le modalità di intervento in aree contaminate dove attuare programmi ed interventi di riconversione industriale e di sviluppo economico-produttivo;
   il comma 3, lettera e), del citato articolo 252-bis prevede, quali azioni idonee a compensare il danno ambientale, il miglioramento della sostenibilità ambientale degli impianti esistenti sotto il profilo del miglioramento tecnologico produttivo e dell'implementazione dell'efficacia dei sistemi di depurazione e abbattimento delle emissioni;
   con l'articolo 28 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 («Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria»), convertito, con modificazioni, dalla legge del 6 agosto 2008, n. 133, è stata prevista l'istituzione dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), con l'attribuzione delle funzioni dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e dell'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM);
   l'ISPRA è un ente pubblico scientifico di ricerca non economico vigilato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che fornisce supporto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed alle pubbliche amministrazioni;
   con il decreto ministeriale 28 novembre 2006, n. 308, si è preveduto di affidare ad ICRAM (ora ISPRA), attraverso specifica convenzione, il compito di definire le modalità di caratterizzazione ai fini della bonifica dei siti di interesse nazionale;
   il decreto n. 308 del 2006 all'articolo 2 prevede che «l'individuazione dei soggetti beneficiari nonché le modalità, le condizioni e i termini per l'erogazione dei finanziamenti previsti dal Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale, sono regolamentati mediante il ricorso agli accordi di programma da sottoscrivere fra lo Stato, le regioni e gli enti locali territorialmente competenti;
   l'articolo 5 del suddetto decreto prevede che mediante accordi di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione interessata e l'ISPRA la possibilità, per tutti i siti di bonifica di interesse nazionale, di attribuire ad ISPRA, con le risorse assegnate al singolo sito, l'esecuzione della caratterizzazione e la predisposizione dei progetti preliminari di bonifica;
   l'ISPRA ha eseguito la caratterizzazione del sito;
   i dati dell'inquinamento ambientale del SIN di Priolo ricavati dalle caratterizzazioni eseguite dall'ISPRA hanno rilevato elevati livelli di contaminazione:
    nei suoli: metalli pesanti (arsenico, cromo, mercurio con concentrazioni anche di oltre 1.000 volte il valore limite, zinco, rame, e altro); idrocarburi (con concentrazioni anche di oltre 300 volte il valore limite); composti aromatici (benzene con concentrazioni anche di oltre 500 volte il valore limite); IPA (indenopirene con concentrazioni anche di 28 volte il valore limite); composti alifatici clorurati cancerogeni e non (1,2-dicloropropano con concentrazioni anche di 250 volte il valore limite, 1,2 dicloroetano con concentrazioni anche di 200 volte il valore limite, cloruro di vinile con concentrazioni anche di 40 volte il valore limite); diossine (con concentrazioni anche di oltre 20 volte il valore limite);
   nella falda: metalli pesanti (arsenico con concentrazioni anche di oltre 130 volte il valore limite); mercurio con concentrazioni anche di oltre 50 volte il valore limite, cromo, piombo, antimonio, selenio, nitriti, zinco, e altro); composti aromatici (benzene con concentrazioni anche di 200.000 volte il valore limite, toluene con concentrazioni anche di oltre 1.600 volte il valore limite); alifatici clorurati cancerogeni e non (cloruro di vinile con concentrazioni anche di oltre 24.000 volte il valore limite, tricloroetilene con concentrazioni anche di 2.000 volte il valore limite, tetracloroetilene con concentrazioni anche di oltre 2.500 volte il valore limite, esaclorobutadiene con concentrazioni anche di oltre 440.000 volte il valore limite, 1,1,2,2-tetracloroetano con concentrazioni anche di 7.000 volte il valore limite); alifatici alogenati cancerogeni (dibromoclorometano con concentrazioni anche di oltre 130 volte il valore limite); clorobenzeni (esaclorobenzene con concentrazioni anche di oltre 30.000 volte il valore limite); idrocarburi totali (con concentrazione anche di oltre 800 volte il valore limite);
   nell'area marina: contaminazione dei sedimenti, principalmente da mercurio, idrocarburi C>12 ed esaclorobenzene (HCB), e del biota, con concentrazioni di mercurio determinate nei tessuti di pesci e mitili superiori ai limiti normativi fissati per il consumo alimentare, con conseguente rischio di tipo sanitario;
   nell'area SIN in una ampia fascia di terreno, compresa tra la vecchia linea di costa e quella attuale, costituita da terreno di riporto e materiali di diversa natura (ceneri di pirite, laterizi, mattoni forati, elementi lapidei, suoli con forti odori di idrocarburi) che di fatto costituisce una discarica di rifiuti di natura eterogenea, come evidenziato dalla Conferenza di servizi decisoria del 16 febbraio 2007 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   nel mese di novembre 2008 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), il Ministero dello sviluppo economico (MiSE), il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), il commissario delegato per l'emergenza bonifiche e la tutela delle acque della regione siciliana, la regione Siciliana, la provincia di Siracusa, il comune di Siracusa, il comune di Priolo Gargallo, il comune di Augusta, il comune di Melilli, l'autorità portuale di Augusta e il consorzio della provincia di Siracusa per la zona sud dell'area di sviluppo industriale della Sicilia orientale sottoscrivevano l'accordo di programma finalizzato alla bonifica e riqualificazione ambientale del sito di Priolo al fine di favorire lo sviluppo del tessuto produttivo che insiste sul territorio del sito di interesse nazionale e la realizzazione dell'hub portuale di Augusta e segnatamente: 1) messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda; 2) bonifica dei suoli e delle falde delle aree pubbliche; 3) bonifica degli arenili e dei sedimenti delle aree portuali e marino costiere; 4) messa in sicurezza e bonifica dei suoli e delle falde delle aree private, in sostituzione e in danno dei soggetti obbligati inadempienti;
   il citato accordo di programma è stato integrato nel mese di marzo 2009;
   l'area industriale della provincia di Siracusa è stato oggetto di altri accordi quadro:
    a) accordo di programma quadro per l'attuazione del «Progetto di risanamento delle aree contaminate finalizzato allo sviluppo sostenibile nel sito di interesse nazionale di Priolo» sottoscritto in data 11 giugno 2004 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Siciliana, il vice commissario delegato per l'emergenza rifiuti e tutela delle acque e il Ministero dell'economia e delle finanze per avviare la realizzazione degli interventi di bonifica e risanamento ambientale nelle aree: dell'ex stabilimento Eternit siciliana spa di Siracusa; della rada di Augusta; della penisola Magnisi; del porto grande di Siracusa; delle discariche pubbliche; Accordo di programma per la «Riqualificazione e la reindustrializzazione del polo petrolchimico di Priolo», sottoscritto in data 21 dicembre 2005 che aveva come obiettivi: la riqualificazione del polo petrolchimico di Priolo-Melilli-Augusta al fine di assicurare l'attrattività e la competitività del territorio; la reindustrializzazione dell'area industriale, attraverso interventi per il consolidamento delle attività produttive esistenti e per promuovere la nascita di nuove imprese che impieghino le produzioni e le infrastrutture, i servizi e le utility presenti nell'area industriale;
    b) 1o atto integrativo all'accordo di programma quadro per l'attuazione del «Progetto di risanamento delle aree contaminate finalizzato allo sviluppo sostenibile nel sito di interesse nazionale di Priolo» sottoscritto in data 23 dicembre 2005 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Siciliana, il vice commissario delegato per l'emergenza rifiuti e tutela delle acque e il Ministero dell'economia e delle finanze, concernente modifiche ed integrazioni di alcuni interventi con relativa rimodulazione finanziaria – alla luce di quanto emerso dalle attività di indagine e progettazione svolte nella prima fase di attuazione dell'APQ sottoscritto nel 2004;
    c) 2o atto integrativo all'accordo di programma quadro per l'attuazione del «Progetto di risanamento delle aree contaminate finalizzato allo sviluppo sostenibile nel sito di interesse nazionale di Priolo» sottoscritto in data 7 aprile 2006 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione siciliana, il vice commissario delegato per l'emergenza rifiuti e tutela delle acque e il Ministero dell'economia e delle finanze;
   nell'accordo di programma del 2008 era previsto:
    a) che risultava improcrastinabile definire un percorso certo delle attività di messa in sicurezza dell'intero sito;
    b) che l'ammontare complessivo delle attività di bonifica era stimato in euro 774.500.000,00, di cui: euro 194.000.000,00 per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda; euro 454.000.000,00 per le attività di bonifica all'interno della Rada di Augusta; euro 41.500.000,00 per la bonifica dell'area marina esterna alla Rada e antistante il sito industriale di Priolo; euro 78.500.000,00 per gli interventi da realizzare sull'area del porto di Siracusa; euro 2.000.000,00 per interventi di riqualificazione ambientale della struttura demaniale ex-Lazzaretto; euro 2.000.000,00 per attività di valutazione epidemiologica; euro 2.500.000,00 per attività di monitoraggio e controllo;
    c) che le risorse disponibili ammontavano a complessivi euro 106.800.000,00 di cui: euro 50.000.000,00 a valere sui fondi assegnati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la delibera CIPE del 22 marzo 2006, n. 1; euro 50.000.000,00 a valere sulla programmazione unitaria 2007/2013 della regione siciliana; euro 6.800.000,00 rinvenienti dai ribassi d'asta rispetto alle assegnazioni di cui all'APQ dell'11 giugno 2004 e del Io atto integrativo del 23 dicembre 2005;
    d) che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si impegnava a mettere a disposizione risorse finanziarie pari a euro 50.000.000,00, a valere sulle risorse di cui è titolare nell'ambito della programmazione unitaria 2007/2013, priorità 6 del QSN «Reti e servizi per la mobilità»;
    e) che la regione siciliana si impegnava a mettere a disposizione risorse finanziarie pari a euro 224.000.000,00 a valere sulle risorse afferenti la programmazione unitaria 2007/2013;
    f) quale soggetto responsabile dell'accordo, il direttore generale della direzione per la qualità della vita del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al quale era attribuito il coordinamento e la vigilanza sull'attuazione delle attività e degli interventi indicati nel Programma degli Interventi;
   il progetto di bonifica della Rada nella versione aggiornata al giugno 2008, ed approvata in conferenza di servizi del 7 ottobre 2008, secondo la sentenza del TAR di Catania n. 2117/2012 depositata l'11 settembre 2012 appare illegittimo perché:
    a) bonifica della Rada mediante attività di dragaggio dei sedimenti contaminati:
     l'amministrazione non ha svolto alcuna attività di indagine per individuare gli interventi effettivamente necessari alla rimozione dell'inquinamento accertato;
     il progetto ICRAM non è stato preceduto da alcuna analisi di rischio sito-specifica che, consentendo di valutare i rischi effettivi per la salute umana derivanti dall'accertato inquinamento da mercurio, esaclorobenzene ed in parte da idrocarburi, avrebbe consentito una più adeguata individuazione degli obiettivi della bonifica; è stato invece acclarato che non sono esattamente identificate «le modalità di conduzione degli interventi (vale a dire le metodologie), per le quali non sono valutabili, quindi, l'efficacia e l'efficienza; peraltro, non sono individuate e stimate le possibili conseguenze sulle componenti ambientali, per cui non sono valutabili i suoi effetti»;
    a) il progetto riporta solo una illustrazione generale delle tecniche utilizzabili per la rimozione dei sedimenti e conseguentemente non spiega le ragioni della soluzione prescelta, né identifica delle possibili alternative anche in funzione della minimizzazione dell'impatto ambientale;
    b) non risulta possibile «valutare la sostenibilità in termini di costi/benefìci e tempi» del progetto, poiché in esso «non vengono stimati in maniera adeguata né i costi sommari necessari per l'intervento... né i tempi richiesti sia per il completamento dell’iter progettuale che per la sua esecuzione»;
    c) alla data delle operazioni peritali non risultavano eseguiti i test di trattabilità sui sedimenti, per i quali erano stati individuati solo gli obiettivi da perseguire, nonché in maniera generica le modalità di indagine che si intendeva applicare;
    d) invero, a seguito della fase di caratterizzazione dei sedimenti svolta da ICRAM e della riscontrata contaminazione, l'Amministrazione avrebbe dovuto valutare da un lato gli effettivi rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali, calcolare i valori di intervento e valutare la fattibilità delle opere, approfondendo gli effetti del dragaggio sulle componenti ambientali;
    e) la carenza di istruttoria è evidente anche per quanto riguarda l'analisi dei principali problemi indotti dalle operazioni di dragaggio, quale lo smaltimento delle acque di risulta dalle operazioni di trattamento dei sedimenti ovvero gli eventuali interventi di ripristino e miglioramento ambientale;
    f) inoltre, proprio per la mancata effettuazione di un analisi di rischio sito specifica, non appare ragionevole la previsione che l'intervento debba interessare anche le aree meno contaminate della Rada, atteso che date le dimensioni della Rada stessa sarebbe più ragionevole limitare gli interventi alle sole zone più contaminate;
    g) quanto al progetto di realizzazione delle casse di colmata, la consulenza tecnica pone in evidenza la mancata individuazione della modalità di esecuzione delle vasche, nonché la non coerenza con il progetto di bonifica dei sedimenti, come aggiornato nel luglio 2008, poiché essendo prevista in quest'ultimo la drastica riduzione dei sedimenti da dragare, anche il progetto relativo alle casse di colmata avrebbe dovuto essere adeguato di conseguenza, in modo da considerare il minor volume di sedimento da riversare nelle vasche;
    h) il vizio di carenza di istruttoria risulta confermato altresì dalle dichiarazioni, contenute nella memoria depositata dall'avvocatura il 10 ottobre 2011, di dover ancora formulare, in via definitiva, la scelta circa gli interventi da attuare per la bonifica della Rada («Ora, nella fattispecie, è evidente che la scelta finale dell'intervento più opportuno dovrà essere valutata caso per caso e modulata in funzione della qualità e quantità dei volumi di sedimento contaminati, del regime idrodinamico della Rada, della morfologia dei fondali...» – pag. 8);
    i) in conclusione sul punto, la scelta dell'amministrazione in ordine alle modalità e tecniche da utilizzare per la bonifica dei fondali della Rada non è supportata da adeguata istruttoria e motivazione a fronte del rischio di una dispersione incontrollata di sedimenti contaminati, che potrebbe essere determinata dall'attività di dragaggio e potrebbe vanificare l'opera di risanamento; specie a fronte degli studi prodotti delle società a sostegno delle obiezioni sollevate circa i presupposti della bonifica e le modalità dell'intervento;
   la sentenza sopra citata annulla le prescrizioni relative alla bonifica della Rada mediante attività di dragaggio dei sedimenti contaminati;
   Barrieramento fisico della falda lungo la linea di costa per il contenimento delle acque di falda:
    per avere l'autorità prescritto una misura la cui realizzabilità è stata affermata in assenza di qualsivoglia indagine tecnica che ne dimostri l'idoneità al conseguimento dello scopo, nonché la compatibilità dal punto di vista idrogeologico; adeguata istruttoria e motivazione erano tanto più necessarie se si considera che le società presenti sulla rada hanno rappresentato di avere realizzato, o di avere in corso di realizzazione, i progetti di contenimento delle acque di falda così come approvati dal MATTM, e fondati prevalentemente su un barrieramento di tipo idraulico, anche se non esclusivamente (Syndial ha realizzato un barrieramento fisico lato mare per 4 km circa);
    l'opera sarebbe quasi impossibile da realizzare in alcune zone (a nord del Vallone della Neve), dove la presenza di rilevanti spessori di materiale litoide renderebbe impossibile l'immorsamento della barriera, non rinvenendosi un substrato impermeabile neppure a profondità superiori a 180 metri, sicché la barriera fisica non darebbe garanzia di arginare la falda inquinata impedendone il trasferimento in mare, e potrebbe creare problemi di carattere idrogeologico;
    la circostanza che gli elaborati esaminati non consentissero di accertare «l'efficacia/efficienza» della barriera idraulica, non giustificava l'adozione di una misura così impattante come il barrieramento fisico, ma comportava la necessità di approfondire in via istruttoria la tenuta della barriera idraulica e gli effetti delle alternative, comparando le diverse tecnologie applicabili e valutando i costi ed i benefìci ambientali attesi, prima di prendere una decisione;
    quanto sopra anche in considerazione che il marginamento fisico è un intervento molto invasivo, che determina modifiche permanenti al naturale flusso ed andamento della falda e che rende di fatto impossibile il ripristino delle condizioni originarie naturali dell'acquifero anche una volta raggiunti gli obiettivi di bonifica;
    allo stato, la prescrizione sull'obbligo di realizzare un contenimento fisico della falda inquinata si è rivelata illegittima, in quanto non supportata da alcuna motivazione tecnica o da alcun accertamento istruttorio;
   la provincia di Siracusa oltre ad avere subito rilevanti ed accertati fenomeni di inquinamento delle falde, delle aree a terra e dell'area mariana è oggetto di ulteriori altrettanto rilevanti fenomeni di inquinamento dell'aria ed in tal senso l'interrogante ha depositato un'interrogazione scritta ancora non esitata;
   nello stato di attuazione del piano d'azione della coesione datato marzo 2013 il Ministro per la coesione territoriale è affermato che:
    a) per le bonifiche del sito di interesse nazionale PRIOLO la regione ha assicurato che sono in corso di individuazione gli interventi per il sito di Priolo con l'estensione di iniziative all'intera area di Augusta con ulteriori risorse (60 milioni a disposizione della struttura commissariale che vanno ad aggiungersi ai 50 previsti);
    b) per le bonifiche non è pervenuta documentazione utile all'avvio dell'istruttoria per la stipula dell'APQ;
   il fabbisogno complessivo per le bonifiche del SIN di Priolo ammonta a euro 774.500.000,00, di cui:
    euro 194.000.000,00 per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda;
    euro 454.000.000,00 per le attività di bonifica all'interno della Rada di Augusta;
    euro 41.500.000,00 per la bonifica dell'area marina esterna alla Rada e antistante il sito industriale di Priolo;
    euro 78.500.000,00 per gli interventi da realizzare sull'area del porto di Siracusa;
    euro 2.000.000,00 per interventi di riqualificazione ambientale della struttura demaniale ex-Lazzaretto;
    euro 2.000.000,00 per attività di valutazione epidemiologica;
    euro 2.500.000,00 per attività di monitoraggio e controllo;
   nel 2008 le risorse economiche per eseguire gli interventi sopra descritti, ammontavano a complessivi euro 106.800.000,00 (derivanti dal II atto integrativo all'Accordo di programma quadro sottoscritto in data 7 aprile 2006), di cui euro 50.000.000,00 della regione siciliana che aveva mantenuto il vincolo della disponibilità finanziaria pari a euro 50.000.000,00 originariamente imputata al POR 2000/2006 – misura 1.15. ed euro 50.000.000,00 a valere sui fondi assegnati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la delibera CIPE del 22 marzo 2006, n. 1 a valere sulla programmazione unitaria 2007/2013 della regione siciliana ed euro 6.800.000,00 rinvenenti dai ribassi d'asta rispetto alle assegnazioni di cui all'APQ dell'11 giugno 2004 e del I Atto integrativo del 23 dicembre 2005;
   nell'accordo di programma la realizzazione delle bonifiche era suddiviso in due fasi;
   gli interventi indicati nell'accordo di programma con fase 1 erano immediatamente attivabili in quanto disponevano della necessaria copertura finanziaria e dovevano essere realizzati entro 4 anni dalla data di sottoscrizione dell'accordo;
   gli interventi indicati nell'accordo di programma con fase 2 non erano immediatamente attivabili in quanto non disponevano della necessaria copertura finanziaria;
   nell'accordo di programma era previsto che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, programmazione unitaria 2007/2013 si impegnava a rendere disponibili risorse per euro 224.000.000,00, la Regione Siciliana mediante la programmazione unitaria 2007/2013 euro 224.000.000,00 e le ulteriori risorse mediante le transazioni con soggetti privati presenti nel sito per euro 219.700.000,00;
   nell'accordo di programma il «Responsabile dell'Accordo» era individuato nel direttore generale della direzione per la qualità della vita del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al quale era attribuito il coordinamento e la vigilanza sull'attuazione delle attività e degli interventi indicati nel programma degli interventi;
   nella Delibera del 3 agosto 2012 n. 87 del CIPE avente ad oggetto il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC). Programmazione regionale delle residue risorse del FSC a favore del settore ambiente per la manutenzione straordinaria del territorio, sono previste risorse per euro 50.000,00;
   da quanto sopra esposto è di tutta evidenzia che:
    a) al di là della mera sottoscrizione degli accordi di programma, allo stato la progettazione e l'esecuzione della bonifica del sito di bonifica di interesse nazionale di Priolo è ben lungi dall'essere stata avviata per quanto di competenza delle amministrazioni pubbliche;
    b) l'istruttoria della progettazione della bonifica dell'area marina e di quella antistante era inadeguata sotto il profilo istruttorio;
    c) nonostante gli impegni presi dai Ministeri e dall'amministrazione regionale nell'accordo di programma del 2008, non sono state previste ulteriori risorse per realizzare la bonifica del sito di bonifica di interesse nazionale di Priolo;
    d) nonostante fosse stato previsto nell'accordo di programma del 2008 l'improcrastinabilità di definire un percorso certo delle attività di messa in sicurezza dell'intero sito, ad oggi il percorso risulta tutt'altro che definito;
    e) l'emergenza ambientale del sito di bonifica di interesse nazionale di Priolo è un fatto acclarato che incide non solo e soprattutto sulla salute dei cittadini che vivono nell'area citata ed in quella circostante, ma anche sull'economia atteso che non è stato avviato nessun percorso reale di riconversione industriale e che qualsivoglia investimento sul territorio risulta precluso dalla mancata esecuzione della bonifica;
    f) ad oggi le bonifiche sembrano ancora una chimera;
    g) l'inerzia delle istituzioni ha trasformato l'emergenza ambientale in emergenza sanitaria;
    h) allo stato i procedimenti di bonifica delle aree inquinate hanno provocato numerosi contenziosi penali e amministrativi, molti dei quali tuttora in corso;
   i fenomeni di emergenza ambientale non sono diminuiti e nel corrente anno il 18 aprile 2013 è stata registrata a mare una vasta chiazza rosso scuro causata da liquido rossastro che fuoriusciva copiosamente da un pozzetto industriale di ispezione; un'altra gravissima emergenza «mare rosso», si ebbe a Priolo nel gennaio 2003 che finì sotto inchiesta della magistratura;
   in data 1o giugno 2013 il quotidiano regionale «La Sicilia» ha riportato che Legambiente ha presentato un esposto per la mancata bonifica di due aree che, insistono nel sito di bonifica di interesse nazionale e che non sono state bonificate;
   in data 20 giugno 2013 il quotidiano regionale «La Sicilia» ha riportato che la procura della Repubblica di Siracusa ha disposto il sequestro di due aree site nel sito di bonifica di interesse nazionale per 30 ettari per la presenza di cenere di pirite incustodita e che secondo quanto previsto nell'accordo di programma dovevano essere bonificate per eliminare proprio la citata sostanza;
   in data 2 luglio 2013 il quotidiano regionale «La Sicilia» ha riportato l'esistenza di tre filoni di inchiesta sull'inquinamento del petrolchimico ed aventi ad oggetto le bonifiche della area sito di bonifica di interesse nazionale;
   in data 28 giugno 2003 il quotidiano regionale «La Sicilia» ha riportato che è stato presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Siracusa per accertare le responsabilità e per capire come mai del piano di bonifica non sembra esserci traccia; nell'articolo di giornale è anche affermato che sarà la magistratura a fare luce sul «buco nero» che sembra aver inghiottito cento miliardi stanziati dalla regione e dallo Stato;
   nell'ultimo mese sono intervenuti sulla questione delle bonifiche del sito di bonifica di interesse nazionale Priolo tutti i soggetti sociali (Sindacati – Confindustria) ed istituzionali (enti locali, presidente della regione siciliano) chiedendo un immediato intervento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   se sia a conoscenza della problematica esposta e quali immediati interventi intenda adottare in relazione a quanto rappresentato in premessa;
   se e quando sia stata disposta una verifica dello stato di attuazione dell'accordo di programma del 2008 e quali siano stati gli elementi di verifica forniti dal responsabile dell'attuazione dell'accordo di programma del 2008;
   se e come siano state utilizzate le risorse disponibili ammontanti a euro 106.800.000,00;
   se e quali interventi di bonifica siano stati eseguiti tra quelli previsti nell'accordo di programma del 2008;
   se il progetto di bonifica della Rada di Augusta sia stato riformulato eliminando le illegittimità statuite dal TAR di Catania n. 2117/12 depositata l'11 settembre 2012;
   se sia intenzione del Ministro interrogato disporre un'ispezione amministrativa per i fatti riportati dal quotidiano «La Sicilia» ed oggetto di accertamento della procura della Repubblica di Siracusa specie per il presunto «buco nero» delle somme a disposizione del Ministero per la realizzazione delle bonifiche;
   se dal marzo 2013 ad oggi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia trasmesso al Ministro per la coesione territoriale la documentazione utile richiesta per la stipula dell'APQ;
   se sia intenzione dei Ministri interrogati impegnare i rispettivi Ministeri e le amministrazioni locali a rilanciare i programmi di bonifica del sito di bonifica di interesse nazionale di Priolo in grave ritardo, garantendo una forte concentrazione delle risorse per realizzare dopo oltre 18 anni dalla dichiarazione di area a rischio ambientale: la bonifica e la riqualificazione ambientale del sito di Priolo al fine di favorire lo sviluppo del tessuto produttivo che insiste sul territorio del SIN e la realizzazione dell'hub portuale di Augusta; il «Progetto di risanamento delle aree contaminate finalizzato allo sviluppo sostenibile nel sito di interesse nazionale di Priolo»; la «Riqualificazione e la reindustrializzazione del polo petrolchimico di Priolo», perché si realizzi: la riqualificazione del polo petrolchimico di Priolo-Melilli-Augusta al fine di assicurare l'attrattività e la competitività del territorio; la reindustrializzazione dell'area industriale, attraverso interventi per il consolidamento delle attività produttive esistenti e per promuovere la nascita di nuove imprese che impieghino le produzioni e le infrastrutture, i servizi e le Utilities presenti nell'area industriale;
   se si intenda valutare l'opportunità di costituire un tavolo permanente fra Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero per la coesione territoriale, il Ministero dello sviluppo economico, la regione siciliana, l'autorità portuale di Augusta e le istituzioni locali del SIN di Priolo per assicurare la riqualificazione economica dei siti industriali contaminati la cui valorizzazione risulta strategica sia per la tutela dell'ambiente, della salute e per l'economia nazionale. (5-00646)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Parco, urbano Pineta di Castel Fusano è una bellissima area protetta istituita nel 1980 dalla Regione Lazio. Di storia antica, la Pineta copre un'area di 916 ettari e si trova a cinque chilometri a sud-est della foce del Tevere. È la più ampia area verde di Roma. Dal 1996 la Pineta di Castel Fusano fa parte della preziosa Riserva naturale statale del Litorale romano;
   il decreto ministeriale istitutivo della riserva naturale del litorale romano del 29 marzo 1996 accorpò a sé le aree di interesse archeologico, agricolo e ambientale dei comuni di Fiumicino e di Roma, tra cui il Parco Urbano della pineta di Castel Fusano;
   la pineta viene spesso colpita dall'azione di piromani, da incendi di origine dolosa o più raramente dovuti a insediamenti di baracche non autorizzate. Sono centinaia i focolai di incendi che negli ultimi anni hanno devastato la riserva e la pineta. Alcuni, di particolare entità, hanno provocato danni ambientali difficilmente recuperabili nei prossimi decenni: il 4 luglio del 2000, 300-350 ettari della pineta secolare e della macchia mediterranea sempreverde sono stati colpiti da un incendio, e di questi 280 ettari sono andati completamente distrutti. Altri gravissimi incendi che hanno decimato ettari di riserva di pinus pinea furono nel 2002, da giugno a settembre 2003, l'11 luglio 2004 e il 1o luglio 2005. Nel luglio 2008 almeno altri 80 ettari di pineta sono stati distrutti da una serie di roghi di origine dolosa;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inserito la riserva naturale statale litorale romano, di cui fa parte anche il parco urbano pineta di Castel Fusano, tra le aree protette da tutelare in base ai Piani AIB — Attività antincendi boschivi delle riserve naturali statali, in attuazione della legge 21 novembre 2000, n. 353;
   è notizia del 16 luglio 2013 della protesta di alcune sigle sindacali del Corpo forestale dello Stato che in diversi comunicati stampa criticano la decisione unilaterale dell'amministrazione di negare l'istituzione di un gruppo Nos all'interno della pineta. Tutte le sigle sindacali sono unite nel denunciare: «la sordità dell'amministrazione», come si evince anche dal comunicato stampa del 16 luglio 2013. In particolare, la Fp-Cgil denuncia di aver richiesto più personale e: «chiesto da tempo che nelle aree, dove dovrebbero essere presenti le nostre pattuglie, di investire in tecnologia, installando telecamere ad alta definizione e telecamere termiche nelle aree interessate dagli incendi degli anni scorsi, un ottimo ausilio affinché gli allarmi necessari ed intervenire tempestivamente al minimo incendio»;
   con l'estate torna anche l'emergenza incendi. I quasi 8.700 roghi dello scorso anno, che hanno mandato in fumo quasi 100 mila ettari, 47 mila dei quali boschivi, rappresentano una vera e propria emergenza nazionale da affrontare con risorse adeguate, sia finanziarie che umane. È perciò necessario tutelare il nostro patrimonio boschivo e le zone di pregio del nostro territorio come riserve e parchi, come la Pineta di Castelfusano, sia per salvaguardare il territorio che per evitare vittime innocenti. Oltre che assicurare la piena operatività del sistema satellitare di controllo roghi previsto dalla legge n. 353 del 2000, bisogna fare la massima attenzione a non indebolire i presidi antincendio, come quello importantissimo di Castel Fusano –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per assicurare la piena tutela dagli incendi, dall'abusivismo e dal degrado ambientale, una delle aree più belle e fragili del litorale romano, da tempo messe sotto tutela; se non intendano provvedere anche per tramite di una razionalizzazione dei reparti operativi del Corpo forestale dello Stato alla richiesta istituzione del nucleo operativo speciale del CFS all'interno della Pineta di Castel Fusano; se i Ministri interrogati non vogliano poi, per tramite degli uffici competenti, provvedere all'installazione delle predette telecamere ad alta definizione e termiche di sorveglianza e se essi siano a conoscenza dell'avvenuto censimento da parte del comune di Roma Capitale delle aree boschive interessate dagli incendi negli scorsi anni. (4-01291)


   FAMIGLIETTI e PARIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Irpinia è una delle aree del nostro paese a maggior rischio sismico sia per la frequenza che per l'intensità dei fenomeni tellurici che hanno interessato ed interessano di frequente il suo territorio, con evidenti e consistenti impatti sociali ed economici;
   tale specifica caratteristica geo-fisica del territorio ha portato, nel 2007, ad istituire — a Sant'Angelo dei Lombardi (uno dei comuni dell'Alta Irpinia completamente raso al suolo dal sisma del 23 novembre del 1980) — il CIMA (Centro irpino per l'innovazione nel monitoraggio ambientale), centro operativo di AMRA scarl (Centro di competenza nel settore dell'analisi e del monitoraggio del rischio ambientale), società no-profit a capitale interamente pubblico di cui fanno parte cinque Università campane e tre enti di ricerca nazionale (il Consiglio nazionale delle ricerche, l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e la Stazione zoologica Anton Dohrn);
   il CIMA, sorto con l'obiettivo principale di costituire un punto di riferimento in Alta Irpinia nel campo dell'analisi, del controllo e del monitoraggio dei rischi ambientali, ha, in pochi anni di attività, raggiunto importantissimi risultati, e grazie al meticoloso lavoro svolto da molti giovani professionisti (ingegneri, geologi, geofisici) si è andata progressivamente imponendo come struttura di eccellenza anche oltre i confini irpini;
   in particolare: ha provveduto al monitoraggio costante sia dell'area sismogenetica Irpino-Lucana, contribuendo al controllo della rete ISNET, sia della diga di Conza della Campania mediante «accelerometri», «stazioni meteo», «GPS» e «Laser scanner 3D»; ha elaborato ed avviato un sistema di monitoraggio mediante «GPS differenziale» degli abitati di Calitri e Bisaccia, gravati da importanti movimenti franosi post sismici, che arrecano tuttora danni alle strutture e alle infrastrutture urbane; ha svolto un'intensa attività di formazione attraverso l'organizzazione di convegni, corsi di perfezionamento post-laurea; è stata presente a L'Aquila già ad una settimana dall'evento sismico del 6 aprile 2009 ed è stata la prima struttura a pubblicare on line un rapporto sugli effetti del terremoto; ha partecipato al Progetto di ricerca europeo finanziato nell'ambito del 7o programma quadro della Unione europea e denominato «TA1 project: Experimental Investigation of Dynamic Behaviour of Cantilever Retaining Walls», collaborando attivamente e sinergicamente con ricercatori inglesi e greci alla realizzazione dei modelli ed alla sperimentazione su tavola vibrante presso il BLADELab dell'università di Bristol (UK); in occasione della frana di Arpaise del 2010, è stata la prima struttura tecnica ad accorrere sul posto e l'unica ad installare un sistema di monitoraggio strumentale del fenomeno di dissesto, operando con tecniche di rilievo D-GPS e alternando in sito squadre di tecnici specializzati, garantendo l'acquisizione giornaliera delle misure nella fase di emergenza;
   fino al 2009 il centro è stato finanziato dalla regione Campania ma dal 2010 lo specifico capitolo di spesa è stato azzerato e ciò ha, di fatto, determinato la chiusura della struttura;
   alle numerose dichiarazioni di apprezzamento per il lavoro svolto dal centro non ha fatto seguito una seria e condivisa assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni competenti, anzi, addirittura sembrerebbe che la regione Campania abbia chiesto di liberare la sede;
   a fronte di tale completo e intollerabile disinteresse la domanda di sicurezza proveniente dal territorio dell'Irpinia è ancora forte, tanto che lo scorso mese di maggio è stato sottoscritto un protocollo d'intesa fra trentadue comuni dell'area interessata, per la costituzione di un partenariato locale finalizzato all'elaborazione e alla realizzazione di un progetto per il rilancio del CIMA;
   è di fondamentale importanza destinare risorse per interventi di messa in sicurezza e riqualificazione del territorio e del patrimonio immobiliare colpiti da eventi sismici e idrogeologici, al fine di fronteggiare, in maniera tempestiva ed efficace, situazioni emergenziali ma l'efficacia di tali misure rischia di essere compromessa dall'assenza di un piano organico di gestione, prevenzione e difesa del territorio nonché di monitoraggio e controllo locale delle diverse ed articolate specificità territoriali –:
   quali misure, in generale, il Governo intenda adottare al fine di attuare ed implementare politiche di monitoraggio e di prevenzione del rischio sismico e idrogeologico, che investe la maggior parte del territorio nazionale ed in particolare l'area irpina;
   se, nel caso specifico, i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire, per quanto di rispettiva competenza e comunque nel rispetto dei compiti attribuiti alla regione e agli enti locali, al fine di scongiurare la definitiva chiusura del Centro Cima di cui in premessa.
(4-01292)


   PIRAS, PIAZZONI, PILOZZI e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Budelli, al centro del Parco nazionale dell'arcipelago de La Maddalena in Sardegna, è uno dei più caratteristici e ammirati angoli del patrimonio naturale del nostro Paese;
   la cosiddetta «spiaggia rosa», è conosciuta in tutto il mondo per le sue caratteristiche e la sua bellezza ma anche per la sua fragilità, tanto che l'accesso alla spiaggia è disciplinato dalle rigide regole del Parco nazionale;
   l'isola di Budelli è oggi al centro di una procedura concorsuale poiché l'impresa che detiene i diritti di proprietà dell'isola, una società immobiliare con sede in Milano, è stata dichiarata fallita e i suoi beni sono stati messi all'incanto;
   in particolare, l'isola di Budelli è già stata oggetto di una prima asta andata però deserta, tanto che il Tribunale di Tempio Pausania ha fissato per il 1o ottobre 2013 una nuova asta fissando un prezzo base pari a euro 2.945.000,00;
   l'isola di Budelli rappresenta un bene da assicurare permanentemente al patrimonio pubblico per le sue caratteristiche uniche e perché rappresenta uno dei simboli più conosciuti dell'Italia nel mondo;
   pure in presenza di rigidi vincoli ambientali, che impedirebbero anche all'eventuale acquirente di visitare l'isola senza il consenso delle autorità del parco, l'acquisto della stessa da parte di privati, magari provenienti dall'estero, rappresenterebbe un danno all'immagine dell'Italia e al suo patrimonio ambientale;
   il prezzo fissato dal Tribunale, seppure «irrisorio» rispetto al valore ambientale dell'isola, non consente certo all'ente parco di provvedere all'acquisizione della stessa, attese le difficoltà finanziarie in cui versano parchi nazionali dopo i tagli draconiani delle somme a loro destinate degli ultimi anni;
   i rigidi vincoli ambientali che caratterizzano l'isola di Budelli limiteranno la partecipazione di soggetti privati, attesa l'impossibilità di realizzare qualsivoglia iniziativa imprenditoriale sull'isola, e ciò potrebbe comportare il prolungamento «sine die» della procedura concorsuale e il permanere di una situazione di incertezza circa i destini dell'isola con grave danno dell'immagine dell'Italia all'estero –:
   se non ritenga opportuno e necessario dotare l'ente gestore del parco nazionale dell'arcipelago de la Maddalena o ove possibile la regione Sardegna dei fondi necessari alla partecipare alla procedura d'incanto fissata dal tribunale di Tempio Pausania per il 1o ottobre 2013 al fine di acquistare l'isola di Budelli e assicurarla permanentemente al patrimonio, naturale dell'Italia. (4-01293)


   ROSATO e BLAZINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che sabato 13 luglio un convoglio della società «Inrail» di Genova, proveniente dall'est Europa e contenente materiale ferroso, è risultato essere positivo al test anti-radioattività svolto a norma di legge, alla stazione ferroviaria di Opicina (Trieste);
   secondo le prime indiscrezioni, il vagone avrebbe superato di poco il valore di radioattività naturale, pur rimanendo al di sotto della soglia posta come limite dalle direttive europee, ma in via cautelativa sarebbe stato temporaneamente parcheggiato ad un binario a distanza di sicurezza;
   non è nota ancora la fonte di tale radioattività potendosi trattare di un piccolo elemento del materiale trasportato o finanche una parte del carro stesso;
   l'Arpa, l'agenzia per la protezione dell'ambiente del Friuli Venezia Giulia, sarebbe al lavoro per redigere il verbale da consegnare alla prefettura di Trieste per le valutazioni necessarie alla ricerca di una soluzione per la vicenda –:
   al termine degli approfondimenti del caso, quale sia risultata la fonte di radioattività;
   quali iniziative sono state assunte dalle autorità competenti per la sicurezza e tutela della salute delle popolazioni e dei lavoratori, nel rispetto della normativa e delle direttive europee. (4-01308)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società «AB&F», di proprietà di Antonio Buonamano, gestisce la discarica «La Selva», sita nella località da cui prende il nome, nel comune di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta;
   l'autorizzazione veniva concessa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani del comune in oggetto a seguito di delibera della giunta municipale n. 1315 del 1o luglio 1981, della durata di un anno;
   l'area è sottoposta a vincolo idrogeologico e naturale, ciononostante è stata destinata a discarica attraverso lo scavo di una fossa nel terreno priva di ogni rivestimento e di ogni misura igienica o di carattere precauzionale;
   la discarica occupa e ostruisce il letto di due corsi d'acqua, il Fosso Maltempo e il Fosso del Pazzo, entrambi tributari del rio Selva;
   nell'allestire la discarica, è stato deviato il corso del Fosso del Pazzo, senza che fosse stata rilasciata alcuna autorizzazione e/o consulenza idrogeologica;
   tra il 1980 e il 1990 ben quattro relazioni geologiche hanno attestato che le rocce sottostanti la discarica sono formate da tufi e da detriti lavici in cui è presente un'alta permeabilità per fessurazione. Poiché i rifiuti vengono sversati nella vallata senza che vi siano sistemi di captazione del percolato né alcuna altra forma di protezione, il percolato filtra nelle acque sottostanti, le relazioni consigliavano di non alterare l'equilibrio naturale dei luoghi con sbancamenti e movimenti terra;
   la giunta, con delibera n. 4400 del 15 settembre 1982, rilasciava una nuova autorizzazione che ampliava la precedente autorizzando lo sversamento e l'interramento di liquami e rifiuti industriali;
   nel 1985, durante lo scandalo dei fanghi del depuratore di Cuma, i consiglieri regionali eletti con la lista «Campania Civica e Verde» denunciarono che i fanghi tossici del depuratore venivano smaltiti nella discarica «La Selva», e che la discarica consisteva in una fossa scavata, in netta e palese violazione dell'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982. Ciononostante la giunta regionale con delibera 242/1985 concedeva un'altra autorizzazione provvisoria di sei mesi per lo smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, non contenenti sostanze tossiche e nocive;
   l'associazione «Lega per l'Ambiente» ha più volte lanciato l'allarme sul pericolo di inquinamento prodotto dalla gestione della discarica da parte del Buonamano, che nel frattempo aveva richiesto alla regione Campania il passaggio della discarica da categoria A (RSU) a categoria B per smaltire rifiuti tossici e nocivi legalmente;
   la legge n. 441 del 29 ottobre 1987 prescriveva lavori di adeguamento in tutte le discariche, i quali venivano effettuati dalla società solo nell'aprile del 1989, dopo aver ricevuto l'autorizzazione della regione Campania per il progetto di adeguamento;
   la società «AB&F» è stata coinvolta in procedimenti penali legati alla questione dei fanghi provenienti dall'azienda «Alto Adige Service», al rinvenimento di fusti contenenti liquidi di natura imprecisata, allo scarico abusivo di liquidi con particolare riferimento a scoli industriali, al rinvenimento di fusti contenenti liquidi di natura tossico-nociva della «MORTEO-SOPREFIN» e per la denuncia sporta da Giovanni Martino, un contadino che aveva constatato l'inquinamento del ruscello da fanghi e schiume che non permettevano al bestiame di sua proprietà di abbeverarsi, come rinvenibile nella relazione dei carabinieri del NOE incaricati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di effettuare un sopralluogo sulla discarica dopo la presentazione di una petizione popolare organizzata da Legambiente che aveva superato le 4000 firme, nella quale si denunciava il rischio di inquinamento prodotto dalla discarica e se ne chiedeva la chiusura;
   il pretore di Sessa impose all'epoca alla Usl 15 di effettuare apposite analisi dalle quali è emerso che nella discarica sono stati scaricati rifiuti tossici e nocivi;
   il primo processo si è celebrato solo cinque anni dopo, il 17 luglio 1990, e Buonamano è stato riconosciuto colpevole per l'imputazione e condannato a 4 mesi di reclusione, oltre a una multa di 1.600.000 lire;
   dal rapporto del NOE, risalente al 17 marzo 1989, si legge che non si comprende quali studi geologici e idrogeologici possano aver giustificato la deviazione del corso del ruscello né da chi tale opera fosse stata autorizzata;
   lo stesso rapporto riporta come nella discarica siano state ammassate tonnellate indefinite di rifiuti di ogni genere provenienti da varie regioni italiane;
   sempre nel rapporto del NOE si legge che gli organi preposti istituzionalmente al controllo, benché consapevoli dei reati connessi agli scarichi abusivi di cui ai procedimenti penali, non avevano effettuato i controlli per accertare che infiltrazioni di percolato potessero aver causato irreparabili danni ambientali e di sanità pubblica;
   i carabinieri denunciavano quindi il Buonamano per gestione abusiva della discarica e i sindaci Tommasino, Patrone e Consales ritenuti responsabili di interesse privato in atto d'ufficio, falso ideologico e danneggiamento ambientale;
   nel motivare l'assoluzione di tutti i coinvolti, il giudice per le indagini preliminari Raffaele Sapienza asseriva che l'autorizzazione comunale del 1982 era giuridicamente nulla, per cui ne discendeva, sul piano amministrativo, la totale inesistenza dell'atto, inidoneo di conseguenza a produrre effetti giuridici, poiché il 10 settembre 1982 era stato approvato il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 che sottraeva ai sindaci la competenza in materia di rifiuti;
   fino al 1990 non è mai stata ordinata la redazione di una relazione da parte di una commissione di nomina comunale, dopodiché ciò è avvenuto su incarico della nuova amministrazione provinciale nel frattempo insediatasi, portando alla conferma sostanziale delle tesi portate avanti dagli ambientalisti campani e da Legambiente;
   l'assessore provinciale Pisaturo e la commissione d'inchiesta regionale istituita il 21 marzo 1991 per accertare le responsabilità della regione in relazione al traffico di rifiuti tossici provenienti da ogni parte d'Italia dichiararono all'epoca che provincia e regione non avevano mai predisposto controlli perché prive di ogni mezzo per effettuare indagini, e anche il consiglio regionale, nella seduta del 20 marzo 1991, ammise che la Campania era in pieno disastro ecologico provocato dall'assenza di qualsiasi controllo sulla quantità e qualità dei rifiuti trattati nelle discariche autorizzate (o cosiddette tali);
   la discarica ha nel frattempo continuato la sua attività, con l'arrivo ogni notte di decine di tir con bolle di accompagnamento rivelatesi poi false;
   dopo le rilevazioni della Usl che hanno provato l'inquinamento delle acque, il 19 marzo 1992 il sindaco Capriglione ha ordinato la chiusura della discarica, e il 9 maggio dello stesso anno, dopo una partecipatissima manifestazione che aveva coinvolto oltre 5000 persone, durante un dibattito in sede consiliare comunale l'assessore alla sanità Giovanni Clemente ha dichiarato che la discarica «La Selva» non aveva mai ricevuto l'autorizzazione definitiva;
   lo stesso assessore Clemente in una nota dell'11 maggio 1992 n. 7422, affermava che l’«AB&F» non era, per la Regione Campania, munita dell'autorizzazione regionale all'esercizio dell'impianto «La Selva», né in via provvisoria né in via definitiva;
   la chiusura definitiva della discarica è stata poi confermata dal TAR Campania e dal Consiglio di Stato, e il sito è stato successivamente venduto alla società «Mediterranea Ambiente»;
   il 2 settembre 2011 si è verificato un vasto incendio che ha interessato gran parte del sito della ex discarica, e perciò con ordinanza n. 144 del 14 settembre 2011 il dirigente del settore ambiente del comune di Sessa Aurunca, dottor Pasquale Serao ha ordinato alla predetta società di provvedere alla messa in sicurezza della discarica e di attivare tutte le procedure previste dalla legge in caso di incendio;
   la provincia, nello specifico la segreteria dell'assessore Bidello, ha risposto alle varie sollecitazioni di Legambiente in data 5 giugno 2013 affermando di aver già segnalato il problema alla regione Campania con nota prot. 122976, e di essere in procinto di predisporre apposita ordinanza motivata per gli interventi necessari di bonifica in danno alla predetta società titolare della stessa;
   per fronteggiare la situazione di criticità dello smaltimento dei rifiuti, era stato approvato dal sindaco di Sessa Aurunca con ordinanza n. 1201 del 1o aprile 2004 l'allestimento, in località Cotoniera, da parte della ditta Geos Environment di un sito di stoccaggio provvisorio di rifiuti solidi urbani, formato da due bacini di circa 1100 metri quadrati cadauno;
   nel 2006 il comune chiedeva all'ARPAC il parere preventivo per l'utilizzo di un nuovo sito per lo stoccaggio di ulteriori rifiuti, sito individuato dall'ARPAC nella relazione del sopralluogo datato 23 ottobre 2006 in un'area adiacente ai primi due invasi;
   anche questi siti non sono più operativi;
   nei due siti in località Cotoniera sono stati stoccati complessivamente 15000 metri cubi di rifiuti, per i quali il comune, con nota n. 22623 del 5 novembre 2007 richiedeva la rimozione al Commissariato emergenza rifiuti, richiesta sollecitata poi anche dalla provincia con nota prot. n. 279328 del 5 dicembre 2007;
   la provincia, al fine di dar seguito ad analoga richiesta dell'ARPAC, con nota n. 68556 del 5 maggio 2009 ha prescritto al comune di Sessa Aurunca lo svuotamento del sito dai rifiuti ivi abbancati ripristinando lo stato dei luoghi e, nelle more di ciò, intensificare gli allontanamenti del percolato ed attuare un piano di indagini preliminari sul suolo per verificare l'eventuale contaminazione di tale matrice;
   durante alcuni lavori sulla variante della strada statale Appia sono state ritrovate diverse tonnellate di rifiuti tossici (cadmio, tungsteno, asbesto, berillio e vanadio) smaltiti abusivamente sotto il manto stradale più di un anno fa, come riporta la rivista online «Interno 18» nell'articolo «Sessa Aurunca. Variante Appia e discariche locali al vaglio di Legambiente» del 21 maggio 2013;
   il tratto di strada in questione, posto sotto sequestro dal giudice per le indagini preliminari Caparco del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sarà sottoposto a ulteriori e più approfondite indagini;
   sempre la procura di Santa Maria Capua Vetere sta indagando sulla ormai dismessa centrale elettronucleare del Garigliano, a pochi chilometri di distanza da Sessa Aurunca, dove sono stoccati circa 3mila metri cubi di rifiuti a media attività, la cui radioattività dura alcuni secoli, e sono sepolti 1.100 metri cubi di rifiuti a bassa attività, oltre ad un'enorme quantità di amianto radioattivo, come riportato dall'edizione online de Il Fatto Quotidiano in data 8 dicembre 2012 nell'articolo «Disastro ambientale: c’è l'indagine sulla centrale nucleare del Garigliano»;
   la commissione edilizia non aveva espresso alcun parere sulla prima autorizzazione ricevuta da Antonio Buonamano;
   il Co.Re.Co. (Comitato regionale di controllo) di Caserta aveva approvato la già citata delibera 4400 del 15 settembre 1982 subordinatamente alla ratifica in consiglio comunale e al nulla osta dell'ufficiale sanitario, atti di cui non esiste traccia e che provano come la discarica abbia smaltito in modo abusivo e semiclandestino fino alla concessione dell'autorizzazione provvisoria del 1985;
   la deliberazione interministeriale del 27 luglio 1984 imponeva alle regioni la costituzione di un comitato di esperti nel quale dovevano in ogni caso esser presenti un medico igienista, un geologo, un chimico e un ingegnere sanitario, e tale comitato è stato mandato dalla regione a Sessa Aurunca il 28 dicembre 1988, ma solo per esprimere parere sui lavori di adeguamento richiesti dalla legge n. 441 del 1987;
   la stessa deliberazione interministeriale diceva che gli impianti dovevano essere a distanza di sicurezza dai punti di approvvigionamento di acque destinate ad uso potabile, mentre i vigili urbani hanno attestato che sotto la discarica «La Selva» passa l'acquedotto pubblico, e che gli impianti dovevano essere ubicati in suoli la cui stabilità fosse tale da evitare rischi di frane e cedimenti delle pareti e del fondo discarica, nonché rischi di spostamenti e deformazione delle opere idrauliche per il drenaggio delle acque meteoriche, mentre la relazione del geologo Nuzzo del marzo 1987 affermava che la selettività d'erosione dava in quel sito origine ad una locale instabilità delle sponde (i fianchi della discarica), e che ciononostante era stata inserita una discarica che ha operato un'erosione ben più potente di quella naturale;
   le parole di giudice per le indagini preliminari Sapienza sottolineano come le autorizzazioni regionali provvisorie ricevute dal Buonamano facessero sempre riferimento all'autorizzazione comunale da lui giudicata nulla e che quindi erano prive di effetti giuridici anch'esse;
   l'operazione che ha portato all'acquisto del sito della ex discarica «La Selva» da parte della società «Mediterranea Ambiente» lascia l'interrogante perplesso;
   la zona di Sessa Aurunca è a prevalente vocazione agricola, e quindi i prodotti ed il bestiame hanno fortemente risentito dei danni provocati dalla presenza delle discariche alle terre e alle acque, con conseguenti gravissimi danni all'economia locale, rendendo indispensabile una urgente bonifica del territorio;
   quanto sta venendo fuori dalle indagini della Procura di Santa Maria Capua Vetere relativamente alla Variante Appia e alla centrale nucleare del Garigliano rende ancor più necessaria un'immediata bonifica;
   alla luce di quanto esposto si nutrono fortissimi dubbi riguardo alla possibilità che la provincia provveda realmente alla bonifica del sito in località La Selva in danno del proprietario, sia per la mole di risorse necessarie sia per una questione di competenze, giacché a provvedere dovrebbe essere la regione;
   nell'articolo «Sessa Aurunca, serbatoi di stoccaggio con radioattività superiore alla norma» pubblicato dall'edizione online de Il Fatto Quotidiano il 2 marzo 2013 si riporta l'allarme lanciato da Legambiente relativo alla preoccupante presenza di malattie tumorali in quasi tutte le famiglie della zona –:
   se non ritenga opportuno, vista la gravità dei fatti narrati, istituire un tavolo Stato-regione Campania al fine di velocizzare il processo che porti alla bonifica del territorio di Sessa Aurunca e del Garigliano;
   se non si ritenga di dover intervenire affinché venga istituito un registro nazionale dei tumori, così da poter finalmente monitorare l'incidenza dell'inquinamento provocato dai rifiuti tossici e radioattivi sulla popolazione. (4-01319)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   NARDUOLO, NACCARATO e MIOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Montagnana è un borgo medioevale della provincia di Padova caratterizzato da una straordinaria cinta muraria le cui origini risalgono all'XI secolo, e si è venuta arricchendo nel corso delle vicende storiche con il mastio di Castel San Zeno, opera di Ezzelino III da Romano, con il rafforzamento e l'ampliamento dello stesso da parte della città di Padova e con la definitiva conclusione della cinta muraria da parte dei Carraresi nel secolo XIV;
   nella seconda metà degli anni ’90 una parte della cinta (il lato Sud-Est prevalentemente) è stata parzialmente restaurata nei punti più critici;
   tale intervento doveva rappresentare l'inizio di una più completa ed accurata opera di restauro che doveva interessare anche il lato Nord-Ovest della stessa cinta;
   da allora nessun altro intervento è stato previsto e finanziato e la situazione di questa unica bellezza storica e culturale versa in una condizione di progressivo degrado;
   i recenti eventi meteorologici di straordinaria gravità hanno colpito un torrione della cinta muraria, provocando crolli importanti sulla sua sommità, oltre che danni alle abitazioni sottostanti e circostanti tali da pregiudicare la sicurezza degli abitanti;
   la soprintendenza competente per la provincia di Padova risulta essere quella di Venezia (che dipende dal Ministero interrogato) –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione generale del borgo medioevale di Montagnana e dello stato di progressivo degrado di una parte consistente della cinta muraria, unica nel suo genere in Europa;
   se il Ministro — compatibilmente con le ristrettezze di dotazione economica corrente — non intenda indicare come prioritario l'intervento di restauro e conservazione di un bene storico culturale come quello indicato anche per lo straordinario richiamo turistico esercitato dal borgo e le dirette conseguenze sul tessuto economico e sociale del territorio;
   se il Ministro intenda verificare se la soprintendenza sia stata allertata dei recenti eventi atmosferici straordinari e, altresì, verificare che siano state messe in atto tutte le azioni per la messa in sicurezza dell'area. (4-01297)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOLOGNESI, SCANU, VILLECCO CALIPARI e D'ARIENZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sulla stampa nazionale è riportata la notizia di un raduno della tifoseria della squadra di calcio dell'Atalanta svoltosi il 14 luglio 2013 a Orio al Serio nella provincia di Bergamo, durante il quale è stato usato anche un carro armato;
   dai filmati è dalle foto pubblicate dagli organi di informazione sembrerebbe trattarsi di un carro armato modello M-26 Pershing, già in dotazione all'Esercito italiano, che durante il raduno è stato usato per schiacciare due vetture dipinte con i colori di altre due squadre di calcio –:
   come è possibile che il mezzo militare in questione, anche se radiato e fuori uso per le capacità di fuoco e comunque funzionante, per come appare nei filmati stessi, possa essere finito nelle disponibilità di privati cittadini;
   se il Ministro sia in grado di chiarire, a livello più generale, i vari passaggi amministrativi con cui si realizzano le dismissioni di mezzi militari e se ritenga che gli stessi siano in grado di evitare che materiale sensibile possa essere utilizzato in modo pericoloso e improprio. (5-00638)


   DE MENECH. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni, nel territorio del comune di Ponte nelle Alpi, si avverte la assoluta necessità di provvedere alla costruzione di una nuova caserma dei Carabinieri;
   l'edificio in cui è attualmente ospitata la locale stazione dei Carabinieri, di proprietà della provincia, è situato in centro storico, zona A, dove non sono consentiti interventi di nuova costruzione;
   per collocazione e per le dimensioni oltremodo insufficienti nonché per le carenze strutturali e funzionali che presenta, l'attuale struttura che ospita la stazione dei carabinieri di Ponte nelle Alpi non è in grado di offrire standard di servizi adeguati anche in riferimento alle inconfutabili accresciute esigenze operative dell'Arma;
   l'accesso dell'attuale caserma insiste sulla strada principale del centro abitato ricadente in una zona nella quale la circolazione dei mezzi risulta particolarmente difficoltosa data la peculiare configurazione urbana;
   la costruzione di una nuova caserma dei Carabinieri è ritenuta dall'amministrazione del comune di Ponte nelle Alpi necessaria per consentire all'Arma di svolgere con efficienza e tempestività le proprie funzioni al fine di garantire la sicurezza del territorio pontalpino e, considerata la posizione strategica, dell'intera provincia di Belluno;
   nel territorio comunale nei pressi del centro servizi per l'anziano vi è un'area idonea a tale funzione di metri quadrati 2.103, area destinata alla realizzazione della sede della caserma dei Carabinieri a seguito dell'approvazione dell'accordo di programma denominato «Progetto area Parco Casa Rossa»;
   tale area, attualmente, è di proprietà della provincia che, a seguito di apposito atto a rogito del segretario generale della provincia n. 7610 di rep del 2 febbraio 2001, ha costituito a favore del comune di Ponte nelle Alpi un diritto di superficie che in attuazione del citato accordo di programma, l'amministrazione provinciale è in procinto di cedere in proprietà al comune;
   in merito all'area in questione vi è un'intesa del comune con il comando provinciale di Belluno della regione carabinieri Veneto;
   in relazione alla oggettiva carenza di risorse finanziarie, sia comunali che statali, non è percorribile la strada della costruzione della caserma da parte del comune o dello Stato;
   la prassi seguita per la costruzione di nuove caserme consente a soggetti accreditati presso il Ministero dell'interno di attivarsi autonomamente con il Ministero stesso per la realizzazione delle nuove caserme in regime di autofinanziamento attraverso una sorta di project financing;
   questo percorso è possibile allorquando il comune abbia individuato l'area dove realizzare il nuovo edificio e abbia espresso la volontà di seguire le disposizioni delle circolari del Ministero dell'interno;
   la deliberazione del consiglio comunale n. 3 del 26 marzo 2012, esecutiva ai sensi di legge, con la quale il comune di Ponte nelle Alpi ha confermato l'individuazione dell'area sopracitata per la realizzazione della nuova caserma dei Carabinieri e relativi alloggi di servizio;
   con lettera — protocollo 1070 — trasmessa in data 25 gennaio 2013 alla prefettura di Belluno, è stata inviata la delibera di cui in premessa, dando inizio, pertanto, al percorso che dovrebbe consentire a soggetti accreditati presso il Ministero dell'interno di attivarsi autonomamente con il Ministero stesso per la realizzazione della nuova caserma in autofinanziamento –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per accelerare l’iter di realizzazione della nuova caserma, più funzionale e consona al lavoro dell'Arma dei Carabinieri della stazione di Ponte nelle Alpi. (5-00644)

Interrogazione a risposta scritta:


   BOCCADUTRI, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 luglio 2013 su Rai3 è andata in onda la trasmissione «Il viaggio» condotta da Pippo Baudo, incentrata sul ricordo dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, dove vennero uccise 335 persone dalle truppe di occupazione nazifascista il 24 marzo del 1944;
   nel corso della trasmissione, con un servizio dalle Fosse Ardeatine, il conduttore, intervistava il maggiore dell'Esercito Francesco Sardone, il quale sosteneva che l'evento scatenante l'eccidio fosse stato «l'attentato» compiuto dai «Gruppi Armati Proletari» in via Rasella, dove avevano perso la vita 32 soldati tedeschi nell'immediatezza ed altri 10 a seguito delle ferite riportate;
   il maggiore dell'Esercito, ripeteva dopo «Nuclei Armati Proletari», i quali, a suo dire, avevano cominciato a fare rappresaglie e attentati contro i tedeschi a partire dall'8 settembre 1943, anche se «i tedeschi si erano impegnati a non bombardare Roma»;
   ulteriormente il maggiore sosteneva che «esisteva la legge di rappresaglia», secondo la quale ad ogni morto tedesco sarebbero stati uccisi dieci italiani, per cui «dovettero immediatamente rastrellare 320 persone»;
   il militare infine alludeva, riferendosi «all'attentato» e alle parole del conduttore secondo cui «gli autori non si sono mai presentati», le responsabilità dell'eccidio a questa circostanza, facendo trapelare il principio secondo cui non si sarebbe dovuto infastidire l'occupante e attendere la fine della guerra;
   è palese che il maggiore non fosse sufficientemente informato sullo svolgimento dei fatti, confondendo addirittura i Gruppi di azione patriottica (GAP) con i Gruppi armati proletari, organizzazione terroristica, che nulla hanno a che fare con la Resistenza, che si formarono a fine anni settanta;
   come confermato da numerose sentenze e da ultimo dalla sentenza della Corte di cassazione del 22 luglio del 2009, l'atto di via Rasella fu «legittimo atto di guerra contro il nemico occupante» e non un semplice «attentato», inserito in una serie di «azioni», come definito dal maggiore;
   la citata sentenza della Cassazione ha confermato che nessuna richiesta di consegna degli autori dell'attacco per evitare la rappresaglia fosse stata affissa dalle autorità di occupazione. Come scrive Corrado Augias su Repubblica del 12 luglio, in risposta ad un lettore in «Via Rasella, la storia umiliata»: «Il segreto sulla strage venne rigorosamente mantenuto per tutte le 28 ore che passano dalle 15.45 del 23, momento dell'attacco, alle 20 del 24 marzo, quando la carneficina ebbe termine con i fucilatori nazisti ubriachi di alcol e di sangue. Le polemiche che negli anni sono state sollevate sul fatto che gli attentatori non s'erano presentati, hanno semplicemente ignorato questa cronologia, non ci furono appelli alla radio né manifesti per le strade, nessuno seppe niente fino al comunicato Stefani (25 luglio) che si chiudeva con le sinistre parole: “l'ordine è stato eseguito”»;
   tale ricostruzione dei fatti è confermata da un manifesto, conservato nel Museo storico della Liberazione di via Tasso a Roma, che dimostra l'avvenuta rappresaglia al momento in cui uscì la stampa che intimava ai responsabili la propria consegna per evitarla –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali provvedimenti intenda prendere nei confronti del maggiore e quali iniziative intenda adottare per evitare che alti ufficiali militari convengano a mistificazioni della storia del nostro Paese e siano sufficientemente informati sullo svolgimento dei fatti che la riguardano.
(4-01318)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Credito Fondiario Spa con sede in Roma, i cui azionisti di riferimento fino al 2000 erano l'ex Credito Italiano SpA e la Banca Commerciale Italiana, è interamente posseduto dal gruppo Morgan Stanley e sviluppa la propria attività sul mercato dei mutui attraverso l'attività creditizia e il servizio di servicing di operazioni di cartolarizzazione;
   la banca con la sua attività ha agevolato tante famiglie all'acquisto della prima casa, operando, fino a qualche anno fa anche nei comparti mutui agevolativi assistiti da contribuzioni pubbliche e in quello dei finanziamenti alle opere pubbliche;
   tale passaggio azionario ha comportato in primo luogo un pesante ridimensionamento del personale, dai 312 dipendenti agli attuali 150 circa, ed una riconversione dell'attività lavorativa che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto focalizzarsi sull'attività di servicing e supporto delle cartolarizzazioni che Morgan Stanley avrebbe voluto acquisire sul mercato italiano, nel rispetto del piano industriale sottoposto e approvato dagli organi di vigilanza;
   le organizzazioni sindacali di categoria espressero, in una lettera inviata in data 22 maggio 2000 alla stessa Banca d'Italia ed ad altre istituzioni competenti, la loro forte preoccupazione circa le prospettive di sviluppo della Banca, il timore che «esaurito 1'affare della cartolarizzazione dei crediti e dei relativi immobili, si sarebbe dato corso alla liquidazione dell'Istituto»;
   nel febbraio 2008, a seguito dell'esplosione degli scandali finanziari dei mutui subprime, la proprietà ha ufficializzato di voler dismettere la propria partecipazione in Fonspa, dichiarando di non essere più interessata al business dei mutui residenziali in Italia;
   il periodo di gestione della banca da parte di Morgan Stanley è stato caratterizzato dalla quasi totale assenza di investimenti, da un inopportuno depauperamento patrimoniale (su tutti si veda la vendita dell'immobile), da una continua contrazione delle fonti produttive di reddito e dal sostanziale fallimento dei pochi progetti di sviluppo lanciati dall'azionista;
   il fallimento del «main business» del Fonspa, quello dell'erogazione dei mutui con successiva cartolarizzazione, e le controverse decisioni del management dell'azionista ha comportato, di fatto, l'insorgere di una nuova crisi aziendale che potrebbe cagionare ricadute sui livelli occupazionali ancora più pesanti di quelle del 2000;
   la comunicazione di tale cessione ha contribuito ad alimentare e acuire le preoccupazioni già percepite dal personale Fonspa, preoccupazioni motivate dalla incapacità di una azionista di livello mondiale, come è Morgan Stanley, di non riuscire ad avviare, in ben 5 anni, una trattativa di vendita seria per garantire un «futuro» al Fonspa e ai suoi dipendenti;
   l'anomalia che una banca mondiale come Morgan Stanley, considerata operatore privilegiato nei confronti dello Stato italiano, con il quale continua a stringere accordi economici miliardari possa permettersi di disinteressarsi completamente di una banca italiana da essa posseduta non per motivi dettati dalla sopraggiunta crisi del mercato, ma per mera deliberata scelta incurante di ogni forma di responsabilità sociale di impresa;
   l'anomalia che in Italia, in questo momento di crisi, una realtà creditizia con ottime potenzialità possa essere messa deliberatamente e scientemente in stato di stallo operativo, mentre potrebbe continuare a svolgere un ruolo importante per contribuire alla ripresa economica del Paese invertendo la contrazione in atto di prestiti alle famiglie alle imprese ed alla pubblica amministrazione;
   non possono essere i lavoratori del Fonspa a pagare il costo del fallimento dei progetti di Morgan Stanley, finalizzati a massimizzare i profitti in un'ottica di breve periodo, tipico delle Banche anglosassoni;
   per questa politica una banca di antica data, sempre contraddistinta per la profonda connessione e per le numerose sinergie sviluppatesi con il tessuto della realtà locale, una banca dalla quale traggono fonte di reddito 143 famiglie, anche esse radicate nel contesto locale, rischia di essere fortemente ridimensionata, se non addirittura cancellata;
   la Banca d'Italia sta esaminando la pratica per concedere l'autorizzazione ad acquisire Fonspa da parte di Tages, società costituita nel 2010 e, logicamente, priva di una consolidata e sperimentata attività, sprovvista di idoneo target economico finanziario e priva di apprezzabili risultati, quindi di fatto ancora nella fase start-up –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare per intervenire, viste anche le forti preoccupazioni delle organizzazioni sindacali di categoria, anche ai sensi del decreto-legge n. 155 del 2008 e ferme restando le competenze della Banca di Italia, a tutela della salvaguardia dei livelli occupazionali. (4-01313)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRATTI e VERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Giuseppe Uva nato a Caravate (Varese) il 17 febbraio 1965, è deceduto a Varese il 14 giugno 2008 presso l'ospedale di circolo di Varese alle 10.30 circa, dopo che vi era stato ricoverato con un trattamento sanitario obbligatorio verso le ore 6.00 di quella stessa mattina;
   prima che fosse disposto il trattamento sanitario obbligatorio, Giuseppe Uva è rimasto circa tre ore presso la caserma dei carabinieri in via Saffi a Varese, unitamente al personale di altre tre volanti della polizia di Varese;
   Uva era stato condotto in tale caserma insieme al suo amico Alberto Biggiogero, dopo che entrambi erano stati fermati dai carabinieri nel centro di Varese attorno alle 2.30 per avere spostato delle transenne in stato di ebbrezza;
   Alberto Biggiogero, il giorno successivo la morte Giuseppe Uva, sporse una denuncia dettagliata in cui dichiarava che Uva era stato malmenato al momento del fermo da parte dei carabinieri, e in cui descriveva dettagliatamente il lungo tempo trascorso in caserma, affermando di aver sentito urlare Uva all'interno della stessa per molto tempo, tanto da aver chiamato il 118;
   lo stesso giorno 15 giugno 2008 Lucia Uva, una delle sorelle di Giuseppe Uva, chiese formalmente che fossero accertate le cause delle morte di suo fratello consegnando all'ufficiale di polizia presso l'ospedale gli indumenti di Giuseppe che le erano a sua volta stati consegnati dal personale sanitario dopo il suo decesso e che questi così come descritto dallo stesso ispettore di Polizia, erano imbrattati di sangue, in particolare i jeans «tra il cavallo e la zona anale»;
   il dottor Agostino Abate, Pubblico Ministero della procura di Varese, ha preso in carico la notizia di reato configurando, rispetto alla morte di Giuseppe Uva, solamente profili di responsabilità professionale a carico di tre medici dell'Ospedale di Circolo di Varese che lo presero in cura la mattina del suo decesso;
   il 23 aprile 2012, il Giudice del tribunale penale di Varese ha assolto con formula piena il primo dei tre medici imputati dichiarando con sentenza che le cause della morte di Giuseppe Uva erano riconducibili esclusivamente a quanto accaduto nella caserma dei carabinieri di Varese la notte prima della sua morte: come affermato in sentenza i periti hanno formulato un'ipotesi sulla causa di morte totalmente differente da quella formulata dai consulenti del Pubblico Ministero, ma di assoluta piena credibilità, e la causa di morte di Uva è da ricondurre ad un preesistente problema cardiaco a cui si è associato uno stato di stress divenuto fatale, co-determinato dall'eccitazione psicomotoria conseguente all'intossicazione etilica, dalle misure di contenzione fisica applicate, nonché da traumi auto o eteroprodotti;
   i periti nominati dallo stesso giudice del tribunale penale di Varese hanno infatti così stabilito, accertando, dopo la esumazione del cadavere, la presenza di numerosi traumi sul corpo dello stesso Uva e di macchie di sangue sui suoi indumenti appartenente allo stesso Uva;
   il giudice ha ordinato alla procura di Varese di fare indagini sulle modalità con le quali Giuseppe Uva venne arrestato la notte del 13 giugno 2008, ed in particolare ha ordinato nel dispositivo della sentenza «la trasmissione degli atti presso il Pubblico Ministero in sede con riferimento agli accadimenti occorsi tra l'intervento dei Carabinieri e l'ingresso di Giuseppe Uva al Pronto Soccorso dell'ospedale di Varese», senza che peraltro risulti avviato alcun procedimento penale in tale senso; il giudice ha osservato «come costituisca un legittimo diritto dei congiunti di Uva Giuseppe – innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti proprio della specie umana – conoscere, dopo quasi quattro anni, se negli accadimenti intervenuti antecedentemente all'ingresso del loro congiunto in Ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote le ragioni per le quali Uva Giuseppe – nei cui confronti non risulta essere stato redatto un verbale di arresto o di fermo, mentre sarebbe stata operata una semplice denuncia per contravvenzione di cui all'articolo 659 c.p. – è stato prelevato e portato in caserma, così come tuttora sconosciuti rimangono gli accadimenti intervenuti all'interno della Stazione dei Carabinieri di Varese (certamente concitati, se è vero che sul posto confluirono alcune volanti della Polizia) ed al cui esito Uva – che mai in precedenza aveva manifestato problemi di natura psichiatrica – verrà ritenuto necessitare di un intervento particolarmente invasivo quale il Trattamento Sanitario Obbligatorio»;
   il 16 aprile 2013 il giudice per le indagini preliminari di Varese dottor Giuseppe Fazio ha assolto con formula piena gli altri due medici imputati, l'uno con sentenza di non luogo a procedere in sede di udienza preliminare, l'altro con assoluzione perché il fatto non sussiste in sede di rito abbreviato;
   tra un anno, matureranno i termini di prescrizione per gran parte dei reati ipotizzati nella sentenza del tribunale penale di Varese, senza che alcun giudice si sia pronunciato sul punto né in sede di richiesta di archiviazione né, tantomeno, in sede di udienza preliminare, e ciò ad avviso degli interroganti con palese violazione dell'articolo 112 della Costituzione;
   Lucia Uva ha già segnalato le condotte omissive del pubblico ministero incaricato, dottor Abate, al CSM, al Ministro della giustizia e alla procura generale della Cassazione con un elaborato esposto nel dicembre 2011, ma non si conoscono gli esiti di tali esposti;
   il pubblico ministero, dottor Abate, non risulta aver mai compiuto alcun ulteriore atto di indagine diversamente ordinatogli dal tribunale di Varese nella sentenza del 23 aprile 2012;
   la situazione processuale relativa alla morte di Giuseppe Uva a cinque anni dal decesso e dopo che non solo i familiari, ma anche due giudici del tribunale di Varese che si sono occupati della vicenda, hanno ritenuto di segnalare alla procura di Varese i gravi fatti occorsi a Uva, prima dell'ingresso in pronto soccorso, contenenti precise notizie di reato, non risulta ad oggi aver prodotto alcun concreto risultato;
   la circostanza che il pubblico ministero, dottor Abate, titolare del fascicolo 5509/09, non ha ad oggi ancora sottoposto ad un giudice per le indagini preliminari le sue determinazioni in ordine a tali notizie di reato, sebbene manchi poco più di un anno al termine di prescrizione, mentre egli ha condotto indagini solerti all'interno dello stesso procedimento addirittura nei confronti di Lucia Uva e di altri soggetti che hanno espresso opinioni sul «caso Uva» è secondo gli interroganti da considerare una circostanza che giustifica accertamenti –:
   quali iniziative intenda adottare anche di carattere ispettivo ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza alla luce delle circostanze descritte in premessa.
(5-00651)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PINNA, GRANDE, CURRÒ e VALLASCAS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
    i diritti umani sono un prodotto storico, frutto della sovrapposizione fra teorie, fatti e norme e sono stati generati da cambiamenti ed evoluzioni di natura economica, politica e culturale. La loro affermazione ha presupposto il rovesciamento di un ordine concettuale e sociale e il fondamento degli stessi è da ricercare nel loro riconoscimento da parte della società come valori in sé. Tuttavia, come affermava Norberto Bobbio ne L'età dei diritti, «nonostante la loro desiderabilità non sono ancora stati tutti, dappertutto, e in egual misura, riconosciuti»;
   il divieto di tortura costituisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche ed ha natura assoluta e inderogabile;
   la condanna della tortura, sia come prassi sia attraverso il divieto esplicito sancito da specifiche leggi, rappresenta una della maggiori sfide della comunità internazionale e del nostro Paese. Tuttavia, nell'ordinamento italiano tale reato non è ancora riconosciuto e perseguito, infatti, nonostante i vari governi succedutisi abbiano manifestato buone intenzioni non si è mai giunti a una codificazione definitiva;
   l'immobilismo italiano lascia perplessi in quanto il divieto di tortura, oltre a essere previsto da numerose convenzioni e trattati sottoscritti dall'Italia, è espressamente sancito dalla Costituzione, che all'articolo 13 afferma: «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà», e trova fondamento negli articoli 2 e 10, del testo costituzionale, in cui rispettivamente si afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» e che «l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute»;
   in ambito internazionale, con l'articolo 5 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, la comunità internazionale si è espressa per la prima volta contro il perpetrarsi di gravi violazioni: «nessuno può essere sottoposto a tortura e a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti». Nel 1966 il divieto della pratica della tortura fu inserito nell'articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato in Italia ai sensi della legge n. 881 del 1977, che riporta il dettato dell'articolo 5 sopracitato;
   inoltre, l'articolo 1, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite – approvata dall'Assemblea generale il 10 dicembre 1984 e ratificata dall'Italia con la legge 3 novembre 1988, n. 498 – definisce come tortura «qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito». Inoltre, all'articolo 4 la citata Convenzione prevede che ogni Stato consideri tali atti quali trasgressioni nei confronti del proprio diritto penale, pertanto, l'introduzione del reato di tortura nel codice penale corrisponde ad un obbligo giuridico internazionale, come più volte sollecitato dal Comitato istituito dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura – adottata a Strasburgo il 26 novembre 1987, di cui alla legge 2 gennaio 1989, n. 7 – il quale ha sottolineato reiteratamente come sia necessario supplire a tale lacuna normativa;
   a livello europeo la proibizione della tortura è prevista all'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali – firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848 – tale articolo, che richiama letteralmente l'articolo 5 della Dichiarazione del 1948, contempla tre tipi di condotte: tortura, trattamenti o pene inumane e trattamenti o pene degradanti, senza fornire alcuna indicazione per distinguere le diverse situazioni con il preciso fine di evitare che rimangano prive di copertura altre eventuali forme di patimento. Tale carattere di essenzialità ha permesso di sviluppare una piuttosto ampia discrezionalità interpretativa e la Corte europea ha fatto discendere dalla disposizione anche una serie di obblighi, negativi e positivi, a carico degli Stati membri, fra cui l'obbligo positivo che concerne il trattamento penitenziario da riservare alle persone sottoposte a misure privative della libertà personale. Infatti, secondo il giudice di Strasburgo lo stato di detenzione «non fa perdere al detenuto il beneficio dei diritti sanciti dalla Convenzione. Al contrario, in alcuni casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore tutela proprio per la vulnerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato»;
   sempre in ambito europeo, l'esigenza dell'Unione europea di sganciarsi dagli angusti confini di una dimensione meramente economica per avviarsi verso la meta dell'integrazione politica ha portato alla stesura la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, coronamento di un percorso anticipato dalle sentenze della Corte di Lussemburgo: un corpus di norme non scritte che ha introdotto la tutela dei diritti umani in una situazione di quasi totale silenzio dei testi normativi comunitari. La Carta al Capo I articolo 4 recita: «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti»;
   infine, il 3 aprile 2013 l'Italia ha depositato lo strumento di ratifica del protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti. Esso istituisce un sistema a «doppio pilastro» di ispezione e monitoraggio dei luoghi di detenzione volto a prevenire la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti: a livello internazionale viene istituito il Sottocomitato delle Nazioni Unite sulla prevenzione della tortura, mentre a livello nazionale gli Stati parte hanno l'obbligo di creare, entro un anno dalla ratifica del Protocollo, un apposito organismo indipendente, il cosiddetto meccanismo nazionale di prevenzione;
   tuttavia, come anticipato, nonostante le nostre istituzioni e la nostra classe politica dichiarino di essere a favore dell'introduzione del reato di tortura nell'ordinamento italiano non si riesce a portare a termine tale processo. Introducendo leggi chiare contro la tortura, anche a carico dei pubblici ufficiali, si tutelerebbero non solo gli individui vittime dei delitti ma, sul piano della prevenzione e della repressione, si agevolerebbe l'accertamento delle responsabilità personali dei colpevoli proteggendo la reputazione complessiva delle forze di polizia spesso oggetto di una indiscriminata e ingiusta criminalizzazione;
   l'8 gennaio 2013, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per violazione dell'articolo 3 Cedu – Torreggiani e altri c. Italia, ric. nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10 – rigettando la richiesta per il riesame del caso. La ragione che ha determinato tale condanna per il nostro Paese trae origine dal numero di detenuti presenti all'interno delle strutture carcerarie italiane che è di molto superiore a quello che le stesse sono programmate ad ospitare. Secondo i dati del portale del Ministero della giustizia, al 30 giugno 2013, la popolazione carceraria presente negli istituti è pari a 66.028 persone, mentre la capienza regolamentare è di 47.022. A questi numeri si aggiungono altri tristi dati: nell'ultimo anno e mezzo, nei penitenziari italiani, vi sono stati 84 suicidi e 150 morti per altre cause;
   non è la prima occasione in cui l'Italia riceve una condanna per tali ragioni, infatti, il 16 luglio 2009 i giudici di Strasburgo avevano accertato la violazione del suddetto articolo 3 a carico dell'Italia. Ma rispetto ad allora la sentenza di gennaio 2013 si inserisce nella procedura delle cosiddette «sentenze pilota». Infatti, tale decisione porta con sé un'inevitabile forza cogente volta ad assicurare esecuzione alle sentenze della Corte, secondo quanto previsto dall'articolo 46 Cedu, per cui lo Stato membro responsabile della violazione non può limitarsi al risarcimento economico a titolo di equa soddisfazione, ma deve trovare mezzi e misure atti a rimuovere la violazione accertata;
   infatti, la Corte di Strasburgo ha ingiunto allo Stato italiano di introdurre, entro il termine di un anno dal momento in cui la sentenza della Corte sarà divenuta definitiva, «un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei ad offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario, in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte». In tale lasso di tempo la Corte sospenderà le procedure relative a tutti gli altri ricorsi analoghi attualmente pendenti e che allo stato attuale superano la soglia dei cinquecento –:
   quale sia la sua posizione in merito all'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento e quali decisioni intenda adottare a riguardo, al fine di adempiere – nel rispetto della Costituzione e nello specifico degli articoli 2, 10 e 13 – gli impegni assunti in ambito internazionale concernenti il divieto di «tortura, pene o trattamenti inumani o degradanti» e la tutela dei diritti umani, humus di un Paese democratico;
   quali rimedi, preventivi e compensativi, intenda utilizzare per rimuovere la violazione accertata nella sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo dell'8 gennaio 2013, Causa Torreggiani e altri c. Italia. (4-01288)


   VILLAROSA, PESCO, CANCELLERI, RUOCCO e D'UVA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 47 decreto del Presidente della Repubblica 639 del 1970 I e II comma si prevede che: «Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l'azione dinanzi l'autorità giudiziaria ai sensi degli articoli 459 e seguenti del codice di procedura civile. Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione»;
   il decorso del termine triennale incide soltanto sull'azione giudiziaria volta al conseguimento delle prestazione, che, in tal caso diviene inammissibile per l'avvenuta decadenza;
   tuttavia, in materia previdenziale, al lavoratore viene riconosciuta la facoltà di poter ripresentare una nuova domanda amministrativa finalizzata ad ottenere la prestazione previdenziale, e, nell'ipotesi di mancato accoglimento, ricorrere, nuovamente, in giudizio sempre nel rispetto del termine triennale;
   l'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 639 del 1970 è stato modificato ed interpretato dall'articolo 6 del decreto-legge 29 marzo 1991 n. 103, convertito con modificazioni, dalla legge 1o giugno 1991 n. 166, e dall'articolo 4 del decreto-legge 19 settembre 1992 n. 384, convertito con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992 n. 438;
   le modifiche legislative hanno previsto che il decorso del termine triennale comporti oltre alla decadenza della domanda processuale anche la perdita dei ratei pregressi, ossia delle somme maturate prima della domanda giudiziale. In ogni caso, persiste la facoltà di ottenere i ratei successivi conseguibili per effetto di nuova domanda amministrativa;
   per i lavoratori esposti all'amianto, nell'applicazione della norma, la giurisprudenza ha perseguito una via restrittiva con l'introduzione di una decadenza tombale non prevista dal nostro ordinamento;
   attraverso l'articolo 47 decreto del Presidente della Repubblica 639 del 70 come successivamente modificato, che ha risvolti meramente processuali, è inciso su un diritto sostanziale e costituzionalmente garantito dei lavoratori i quali, decorso il termine decadenziale di tre anni, perderanno definitivamente il diritto alla contribuzione per esposizione all'amianto (ratei pregressi e ratei futuri). Non potranno ripresentare ulteriore domanda in via amministrativa, ed in tal caso, il ricorso in sede giudiziale gli verrà inevitabilmente rigettato;
   l'articolo 38, comma 1, lettera d), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, disposizioni urgenti per la stabilizzazione economica (manovra economica 2) aggiunge all'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, un sesto comma: «Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte»;
   anche con l'introduzione di questa norma non sono cessate le dispute interpretative sulla disciplina della decadenza amianto;
   la giurisprudenza delle sezioni unite dal 2006 al 2009, concordava nel ritenere che i benefici per l'amianto non erano soggetti a decadenza alcuna in quanto costituivano un adeguamento successivo della liquidazione della pensione;
   nel corso degli anni, tuttavia, l'orientamento prevalente della Cassazione (Sezioni semplici), pur in contrasto con la giurisprudenza delle sezioni unite (sent. n. 12720/09), a partire dalla sentenza n. 12685/08 tende all'applicazione di un regime ad hoc non previsto da alcuna norma (Gfr. Cass. n. 14475/2012: Cass. n. 6382/2012, Cass. N. 4695/2012, Cass. n. 3605/2012, Cass. n. 1629/2012, Cass. n. 12052/2011, Cass. n. 8926/2011, Cass. n. 7138/2011), secondo tali decisioni poiché non si tratta di rivalutare l'ammontare di singoli ratei, bensì i contributi previdenziali necessari a calcolare la pensione originaria, non vi è ragione alcuna che giustifichi la non applicabilità delle disposizioni legislative sulla decadenza;
   esistono, alla luce di ciò, posizioni e trattamenti differenti per i lavoratori che hanno introdotto un ricorso per il riconoscimento dei benefici previdenziali conseguenti all'esposizione ultradecennale all'amianto, facendo così sospettare una lesione di un diritto costituzionalmente garantito (articolo 4 e 38 della Costituzione), a tutela della posizione previdenziale dei lavoratori come diritto irrinunciabile, imprescrittibile e non suscettibile a decadenza;
   si ha il forte sospetto che attraverso un escamotage si finisca per tutelare la posizione dell'ente previdenziale, INPS, anziché quella dei lavoratori che esercitano un loro diritto –:
   se i Ministri interrogati:
    a) ritengano necessaria la predisposizione di una norma di interpretazione autentica dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 639 del 1970 (come modificato) che permetta di individuare in modo chiaro e definitivo la questione della decadenza dai benefici previdenziali per la categoria dei lavoratori esposti all'amianto;
    b) ritengano necessari interventi innovativi e/o correttivi della normativa stessa. (4-01289)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo del 7 settembre 2012, n. 155, recante norme della «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero», a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (12G0177) ha previsto il generale riordino della geografia giudiziaria. Tale decreto ha riguardato in particolare anche i territori della Media Valle del Tevere della provincia di Perugia;
   più specificatamente il decreto legislativo ha previsto l'accorpamento al tribunale di Spoleto del territorio della Media Valle del Tevere (territorio nel quale ricadono numerose cittadine come Deruta, Marsciano, Todi e altro);
   l'accorpamento ha sollevato numerosi perplessità e proteste da parte dei cosiddetti operatori del diritto ma anche dei cittadini per le conseguenze derivanti dall'attuazione di tale accorpamento;
   l'accorpamento del territorio della Media Valle del Tevere al tribunale di Spoleto, così come vorrebbe il suddetto decreto legislativo, non si giustifica secondo gli interroganti né dal punto di vista geografico e socio economico, né dal piano strettamente giuridico in quanto tra la città di Todi e quella di Spoleto ma ancor più tra le altre città della Media Valle del Tevere e Spoleto, vi sono notevoli distanze, scomodissimi collegamenti stradali, non vi sono collegamenti ferroviari né linee autobus dirette. L'idea di un «Tribunale dell'Umbria centrale» con sede a Spoleto non tiene conto del fatto che l'Umbria ha avuto nel tempo uno sviluppo in senso verticale lungo le direttrici di E45 e SS Flaminia, non in senso orizzontale, giacché mancano da sempre collegamenti stradali e ferroviari tra valli separate da alte montagne;
   il tribunale di Spoleto ha una sua ragion d'essere, condivisibile o meno, ma che prescinde dell'accorpamento dei territori della Media Valle del Tevere. Si legge nella relazione accompagnatoria ai decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012 che il mantenimento del terzo tribunale nel distretto della corte d'appello di Perugia non risponde a reali esigenze di amministrazione della giustizia, giacché in base ai criteri standard individuati dal Governo avrebbe potuto essere sufficiente un solo tribunale in Umbria, ma si giustifica per la cosiddetta «regola del tre» (articolo 2 lettera f) della legge delega: garantire che all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello, incluse le sezioni distaccate, comprenda non meno di tre degli attuali Tribunali con relative procure della Repubblica) che da criterio ispiratore, quale era inteso nella legge stessa, è stato assunto che aggregare altri territori al tribunale di Spoleto non è indispensabile al suo mantenimento, né è sufficiente a far sì che quell'ufficio rimarrà pur essendo al di sotto del numero minimo di abitanti, anche conteggiando gli attuali 50.000 residenti circa della Media Valle del Tevere;
   persino l'idea di un eccessivo carico di lavoro per il tribunale di Perugia non rappresenta una ragione valida per non trasferire a Perugia i territori della Media Valle del Tevere. Se infatti, l'idea della riforma è quella di preferire uffici di grandi dimensioni a piccole strutture decentrate, il carico di lavoro della ex Sezione di Todi non può rappresentare realmente un problema a Perugia, considerato anche che il carico di lavoro del territorio di Foligno (la ex Sezione più grande tra quelle del tribunale di Perugia) che per diverse materie (penale collegiale, civile collegio, rito camerale, udienze presidenziali, lavoro, esecuzioni immobiliari, fallimentare) veniva trattato presso la sede di Perugia, farà ora carico interamente a Spoleto;
   infine, nella delega al Governo per la riforma della geografia giudiziaria (articolo 1 comma 2 lettera b) si legge che il nuovo assetto territoriale degli uffici giudiziari, dovrà tener conto tra l'altro, anche «della specificità territoriale del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione delle sezioni distaccate»;
   in conclusione il previsto accorpamento non appare agli interroganti fondato su criteri razionali e/o ragionevoli e potrebbe essere fonte di disservizi per i cittadini e gli utenti del servizio Giustizia (avvocati, magistrati, personale amministrativo e altro) –:
   quali misure ritenga possibile attuare senza depotenziare alcun ufficio giudiziario a danno di altri, per facilitare l'accesso dei cittadini alla giustizia ed il rapido svolgimento del proprio lavoro da parte delle Forze dell'ordine e della polizia giudiziaria che hanno un contatto diretto con il territorio nei tempi strettissimi che separano dall'entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria;
   se il Ministro interrogato ritenga possibile per i comuni della Media Valle del Tevere il mantenimento dell'Ufficio del Giudice di pace e quali misure intenda adottare per rettificare l'attuale accorpamento del suddetto territorio erroneamente attribuito al tribunale di Spoleto.
(4-01290)


   LOREFICE, GRILLO, DI VITA, MARZANA, CANCELLERI, RIZZO e DI BENEDETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 aprile 1941 n. 392 e il decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998 n. 187 statuiscono che i comuni ricevono un contributo dal Ministero della giustizia per le spese sostenute relative ai locali destinati ad uffici giudiziari;
   tale contributo viene erogato in una prima rata in acconto e in una seconda a saldo;
   il comune di Ragusa per gli anni 2011 e 2012 ha sostenuto per gli uffici giudiziari una spesa pari rispettivamente ad euro 1.676.042,00 e ad euro 1.710.393,00;
   lo stesso comune relativamente all'anno 2011 ha ricevuto come acconto solo una rata di euro 677.956,00, in spregio alla normativa che prevede l'erogazione di un acconto all'inizio di ogni esercizio finanziario pari al 70 per cento del contributo erogato nell'anno precedente –:
   quale sia il motivo per il quale il comune di Ragusa non abbia ancora ricevuto il saldo relativo all'anno 2011 e l'intero contributo dell'anno 2012 e quanto tempo sia ancora necessario affinché il Ministero della giustizia eroghi tali somme. (4-01301)


   OLIARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Amministrazione penitenziaria ha recentemente diramato, con nota del 26 giugno scorso, un disciplinare per quanto attiene alla funzionalità della centrale operativa nazionale Dapnet, importante articolazione finalizzata a garantire la sicurezza dei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti nonché degli istituti penitenziari;
   il sistema Dapnet, costituito da reti radiomobili regionali, nasce da un progetto ideato ed elaborato nel 1997 dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per fornire servizi di telecomunicazioni al Corpo di polizia penitenziaria attraverso l'utilizzo di terminali radio;
   va da sé che il traffico radio e il relativo coordinamento di tutte le esigenze connesse al servizio, diventa di particolare rilevanza in questo contesto;
   nonostante ciò non in tutte le Regioni sono funzionanti le centrali operative regionali Dapnet, come ha denunciato il sindacato autonomo polizia penitenziaria SAPPE;
   è il caso della Liguria, nonostante da diversi mesi ormai si siano concluse le procedure di individuazione, mediante interpello regionale, del personale di polizia penitenziaria che dovrà far parte dell'istituenda centrale rete regionale Radiomobile Dapnet;
    a tutt'oggi, ha segnalato ancora il SAPPE, non è dato sapere alcunché rispetto alla frequenza dei pertinenti corsi di aggiornamento e formazione professionale per il personale di polizia penitenziaria individuato attraverso i pertinenti interpelli regionali e, quindi, rispetto all'attivazione in Liguria della citata-centrale, tanto che due unità distaccate per prestare servizio alla COR della Liguria sono in realtà impiegate nell'officio Traduzioni per effetto di un atto autonomo del provveditore della Liguria Giovanni Salamone;
   se il Ministro Guardasigilli è a conoscenza del citato provvedimento e della mancata attivazione della centrale rete radiomobile Dapnet in Liguria;
   quali determinazioni intenda adottare per garantire, anche in Liguria, la piena funzionalità della centrale operativa regionale Dapnet, atteso che, oltre all'elevato numero di piantonamenti in luoghi esterni di cura, spostamenti da e per i Tribunali, le varie attività di polizia giudiziaria, allarmi prioritari dagli istituti e servizi penitenziari di competenza, riveste grande importanza nell'eventuale assistenza al personale di polizia penitenziaria in servizio di traduzione dei detenuti, con riferimento all'invio di mezzi di soccorso, alla viabilità, alle notizie ed agli accertamenti tramite il sistema d'indagini interforze (SDI).
(4-01307)


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale condizione di invivibilità delle carceri italiane e le difficoltà del Corpo di polizia penitenziaria ad assicurare il corretto adempimento dei compiti istituzionali ad esso demandati sono stati oggetto di svariati interventi da parte dell'UGL polizia penitenziaria;
   a tal riguardo giova segnalare l'incredibile vicenda della chiusura del carcere di Spinazzola (BT), istituto specializzato nell'accoglienza e trattamento di detenuti sexual offender fiore all'occhiello del sistema penitenziario nazionale, come evidenziato addirittura dalla Corte dei conti (delibera Corte Conti 11/2012/G del 27 settembre 2012, pag. 40, nota 34);
   ancor prima che l'ex Ministro della (giustizia, onorevole Angelino Alfano, in data 16 giugno 2011 firmasse il decreto di chiusura del carcere di Spinazzola, per supposta antieconomicità della struttura, la segreteria regionale per la Puglia dell'UGL polizia penitenziaria (nota Prot.91/Sp del 30 maggio 2011) proponeva il potenziamento della struttura penitenziaria secondo il modello della cosiddetta sorveglianza dinamica in linea con gli indirizzi dettati dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (v. nota GDAP 0308424-2009) che invitava i provveditori regionali ad «impegnarsi a sollecitare le singole direzioni per la formulazione di proposte migliorative ed ampliative degli spazi detentivi esistenti utili al recupero di ambiti attualmente non utilizzati, fornendo l'eventuale supporto tecnico necessario alla presentazione di progetti, da realizzarsi preferibilmente con oneri di spesa contenuti e per lotti funzionali idonei a consentire interventi in amministrazione diretta», invito raccolto dalla direzione di Spinazzola con nota prot. n. 4475 del 1o settembre 2010;
   le pur commendevoli proposte sindacali venivano ignorate per effetto della chiusura dell'istituto i detenuti ospitati a Spinazzola sono stati trasferiti presso altre strutture pugliesi (Altamura, Lecce e altre) a loro volta caratterizzate da elevato sovraffollamento e con notevole disagio per il personale e per i detenuti;
   immediatamente dopo la chiusura della struttura è stata presentata da altri parlamentari l'interrogazione n. 4-12988 del 3 agosto 2011, finalizzata a comprendere le reali ragioni della chiusura del carcere di Spinazzola;
   in data 26 ottobre 2011, l'allora capo del DAP Franco Ionta è stato audito dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori in campo sanitario, per discutere dello stato della sanità penitenziaria ed in quella sede avrebbe confermato l'intenzione dell'amministrazione penitenziaria di riaprire il carcere di Spinazzola;
   in data 14 febbraio 2012, nella seduta n. 585, l'onorevole Benedetto Francesco Fucci ha presentato l'ordine del giorno n. 9/4909/13, invitando il Governo Monti «a valutare l'opportunità di approvare definitivamente la proposta del DAP per la riapertura del carcere di Spinazzola, nella consapevolezza che esso possa offrire un contributo significativo alla più complessiva opera del Governo per dare soluzione al problema del sovraffollamento detentivo nel nostro Paese»;
   il Governo ha approvato l'ordine del giorno testé citato, ma ha disatteso l'impegno assunto di fronte alle Camere, tant’è che la struttura penitenziaria non solo resta chiusa e abbandonata a se stessa, ma l'amministrazione penitenziaria ha provveduto quasi immediatamente (praticamente nel mese di agosto 2011) a recuperare dal carcere tutti i beni mobili ivi presenti, destinandoli ad altre strutture limitrofe, come se il penitenziario fosse un cadavere da cui recuperare ogni possibile organo riutilizzabile;
   per cercare di giustificare l'impossibilità di addivenire alla riapertura del carcere di Spinazzola, l'amministrazione penitenziaria, avvalendosi di proprio personale, ha stilato una relazione tecnica (nota GDAP-0041396-2012 del 31 gennaio 2012), caratterizzata da contraddizioni, lacune e anomalie che qui analiticamente si elencano:
    a) distanza del carcere di Spinazzola dal Tribunale di riferimento (Trani): la valutazione espressa dai tecnici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è inconferente rispetto al mandato conferito loro, rappresentando elemento distonico e sovrabbondante rispetto al mandato conferito dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e alle necessità connesse alla redazione di una relazione tecnica, da formare presumibilmente sulla base delle competenze possedute dagli estensori incaricati. Peraltro, la qualificazione del carcere di Spinazzola come istituto penitenziario, quindi, né sezione staccata della vicina casa circondariale di Trani, né tanto meno casa circondariale, elimina ogni dubbio circa la necessità di far «pesare» la distanza tra gli uffici giudiziari e la struttura penitenziaria. Quindi, come già avveniva quando il dismesso istituto era funzionante, nessun arrestato potrebbe esservi condotto, similmente a quanto accade per gli istituti di Turi, Altamura o San Severo;
    b) «carenze strutturali» emerse nel corso del sopralluogo: sono superabili attingendo alla circolare del DAP 25 novembre 2011, recante le nuove modalità di esecuzione della pena. Ivi, il DAP invita le direzioni a classificare l'utenza del circuito «media sicurezza» in base alla pericolosità dei detenuti, secondo un metodo simile a quello già impiegato nel triage ospedaliero (codici colorati: rosso, giallo, verde e bianco), ove il codice bianco viene assegnato ai detenuti a bassissimo indice di pericolosità. La soluzione operativa per la riapertura del carcere di Spinazzola potrebbe essere proprio la sua qualificazione quale struttura riservata ad utenti con basso indice di pericolosità e problematiche sanitarie di basso profilo, conciliabili, quindi, con le necessità organiche della polizia penitenziaria;
    c) mancanza assoluta di qualsivoglia sistema di video sorveglianza: essa caratterizza altri istituti pugliesi, per cui essa ben può essere ritenuta elemento superfluo rispetto alle preponderanti esigenze dell'amministrazione penitenziaria di far fronte in modo coerente al sovraffollamento carcerario, cui si associa la presenza di un muro di cinta di altezza significativa, al pari di altri istituti pugliesi (Altamura) e non (Lauro in Campania), in condizioni non dissimili da quelle di Spinazzola e certamente non dismessi a causa di tale carenza. Infine, si segnala che prima della chiusura del carcere di Spinazzola erano stati presi accordi, a quanto consta, con un ente di formazione per l'avvio di un progetto di formazione per i detenuti, mai decollato per la sopravvenuta dismissione, prevedendosi l'installazione di un sistema di videosorveglianza connesso alla progettualità trattamentale a favore dell'utenza detenuta ed a costo zero per l'amministrazione penitenziaria. Con modalità analoghe si ricorda che nel carcere di Spinazzola erano stati installati pannelli solari per la produzione dell'acqua calda, sempre senza oneri per l'amministrazione penitenziaria, caso pressoché unico in Puglia;
    d) mancanza di acqua calda e di docce nei bagni delle celle: invero, la linea d'acqua calda pare fosse presente nella sezione semiliberi, mentre negli altri due reparti sarebbe sufficiente provvedere solo per la parte finale dell'impianto, dotando le stanze di acqua calda, sfruttando i cavedii adiacenti le singole celle;
    e) assenza di docce in cella: se l'istituto fosse a «regime aperto», l'accesso alle docce sarebbe libero, a prescindere dalla loro collocazione in cella o in sezione, eliminando a monte il problema;
    f) mancanza di un cortile passeggi e di un locale docce nella sezione semiliberi: si tratta di carenze facilmente ovviabili con lavori in economia, non mancando lo spazio per ricavarli;
    g) insufficienza di spazi trattamentali: si confondono gli aspetti quantitativi con quelli qualitativi del trattamento. Infatti, sono agli atti del dipartimento le iniziative trattamentali svolte presso Spinazzola, tanto interessanti e proficue da essere state più volte premiate, come momento di eccellenza a livello nazionale, dandone conto nelle riviste dell'amministrazione penitenziaria. Di conseguenza, ci si chiede come sia possibile parlare di insufficienza degli spazi trattamentali;
    h) mancato adeguamento alle norme tecniche di prevenzione incendi del locale cucina detenuti: meraviglia tale rilievo, visto che la ASL ha rilasciato le relative autorizzazioni, unitamente agli altri enti competenti;
    i) mancanza della caserma agenti e del locale mensa: la prima non è più necessaria a seguito della smilitarizzazione del Corpo di polizia penitenziaria, tanto che presso numerosi istituti del meridione non si riesce ad utilizzarle in modo funzionale, vista l'origine locale dei dipendenti. Quanto alla mensa, non è sconosciuta all'amministrazione penitenziaria la possibilità di ovviare al problema, erogando i buoni pasti. Ad ogni modo, non sembra che per le stesse problematiche altri istituti, come la casa reclusione femminile di Trani, siano stati chiusi;
    l) presenza di «serramenti di tipo non penitenziario» nella zona servizi: le porte in legno con serrature semplici caratterizzano, ad esempio, la zona uffici degli istituti penitenziari di Trani, integralmente ristrutturata tra il 2006 e il 2007 e sita al primo piano della locale caserma agenti;
    m) mancanza assoluta di una recinzione dell'area di pertinenza del carcere: da un sopralluogo esterno tale assenza viene smentita dalla presenza sia di una inferriata, che funge da parziale intercinta a protezione del muro di cinta, sia di una rete metallica, tipo quella che delimita l'area penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere;
    n) lamentata assenza di un box di controllo per il cortile passeggi: superflua, se il carcere di Spinazzola viene inteso come istituto a regime aperto ed a basso indice di vigilanza (cosiddetta sorveglianza dinamica), visto che per essi il poliziotto resta a contatto diretto con i detenuti dalle 7.00 di mattina alle 20.00 di mattina;
    o) carenza di magazzini: non si comprende a cosa si faccia riferimento né tanto meno la funzione che dovrebbero assolvere;
    p) impossibilità di creare ambulatori specialistici: si segnala che la maggior parte dei piccoli istituti ne sono privi, ma non per questo ciò ne ha determinato la chiusura e comunque la quasi totalità delle visite specialistiche si svolgono in regime ambulatoriale esterno;
    q) assenza nella struttura di «tutti gli arredi/apparecchiature necessari sia nei vari ambienti, che nelle camere detentive»: in effetti, prima che l'istituto fosse chiuso, esso ne era dotato, essendo quindi «sufficiente» disporre il ripristino dello status quo ante, a meno che l'amministrazione penitenziaria, non abbia contezza della distribuzione/allocazione dei beni in questione, essendo «più comodo» sostenere che tutti i beni mancanti vadano ricomprati. Proprio su tale vicenda la stampa locale ha più volte chiesto spiegazioni, parlando del «sacco del carcere di Spinazzola», spogliato in meno di un mese, forse per impedirne la riapertura;
    r) mancanza della macchina a raggi «X» per il controllo pacchi: secondo i tecnici del DAP già all'atto del sopralluogo (11 gennaio 2012) sarebbe stata riutilizzata altrove dopo la chiusura. Invero, la macchina era presente a quella data presso l'istituto di Spinazzola, tanto che il provveditore per la Puglia, dottor Giuseppe Martone, in un incontro con le organizzazioni sindacali di comparto il 24 febbraio 2012 ha affermato di aver disposto appena una settimana prima dell'incontro citato che la macchina fosse trasferita al carcere di San Severo;
    s) capienza tollerabile dell'istituto: il PRAP, condivisibilmente, l'ha stimata in tre detenuti per cella, mentre il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria l'ha ridotta a due. Infatti, la stessa relazione tecnica prima afferma che non sarebbe contrastante con la giurisprudenza CEDU la collocazione di tre detenuti per camera, avendo comunque gli utenti più di tre metri quadrati a testa, poi, ritiene ragionevole assegnarne due, in un contesto penitenziario come quello italiano dove i detenuti sono stipati in modo inumano e degradante. La relazione non tiene conto di quella giurisprudenza CEDU che valorizza i cosiddetti effetti cumulativi, bilanciando così fattori positivi e negativi, rilevabili nelle strutture carcerarie. In tal senso, il carcere di Spinazzola rimesso in pristino a regime aperto e con sorveglianza dinamica, eliminerebbe ogni possibile censura ai sensi dell'articolo 3 CEDU, visto che i detenuti limiterebbero la loro presenza in cella al solo pernottamento, come previsto dall'ordinamento penitenziario. Peraltro, come affermato da Mauro Palma, Presidente del comitato di prevenzione per la tortura, sarebbe preferibile avere detenuti con a disposizione 2,9 metri quadrati a testa, ma in «regime aperto», piuttosto che 3,1 metri quadrati, ma chiusi in cella 20 ore su 24;
   le carenze strutturali evidenziate dai tecnici del DAP non appaiono invincibili, anzi sovente sembrano all'interrogato strumentali e pretestuose;
   la medesima soluzione proposta dall'UGL polizia penitenziaria per il mantenimento in funzione dell'istituto di Spinazzola, prima che esso fosse chiuso, è stata avanzata dall'amministrazione penitenziaria per scongiurare la chiusura dell'istituto (gemello) di Altamura, destinato anch'esso alla custodia di detenuti sexual offenders e caratterizzato dalle medesime condizioni strutturali del carcere di Spinazzola;
   con nota prot. 302/SG del 5 aprile 2013 la direzione del carcere di Altamura invitava le organizzazioni sindacali del Corpo di polizia penitenziaria ad un incontro per la data del 30 aprile 2013 con il provveditore regionale per la Puglia, dottor Giuseppe Martone, il direttore della struttura ed il funzionario comandante di reparto riguardante l'illustrazione dei principi attuativi del nuovo regime detentivo a «custodia attenuata» (sezioni aperte-sorveglianza dinamica) presso questo Altamura;
   in quell'incontro il provveditore affermava che la soluzione delle sezioni aperte-sorveglianza dinamica era l'unica possibile per evitare la chiusura del carcere di Altamura, razionalizzando il personale esistente, non fornendo alcuna spiegazione alle doglianze dell'UGL Polizia Penitenziaria sui motivi che hanno impedito di adottare la medesima soluzione per mantenere aperto il carcere di Spinazzola;
   il carcere di Altamura è stato e sarà oggetto di robusti interventi manutentivi, gli stessi che potevano essere realizzati anche a Spinazzola, evitandone così la chiusura, ed è caratterizzato da una forte carenza di organico, tanto che il personale è costretto a turni massacranti, pur di mantenere aperto l'istituto, diversamente da quello di Spinazzola dove con un'implementazione di appena quindici unità sarebbe stato possibile mantenere aperta la struttura, vero e proprio gioiellino dell'amministrazione penitenziaria, consentendone lo sfruttamento al massimo delle possibilità, in un territorio oramai abbandonato dalle istituzioni –:
   quali urgenti iniziative il Ministro della giustizia intenda adottare per dar seguito a quanto previsto nell'ordine del giorno n. 9/4909/13 approvato il 14 febbraio 2012, nella seduta n. 585, addivenendosi, quindi, alla rapida riapertura dell'istituto di Spinazzola. (4-01315)


   ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da diverse agenzie di stampa si è appreso che in questi giorni il sindacato di polizia penitenziaria OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Torino nel quale vengono denunciate presunte e gravissime irregolarità nei procedimenti e atti del consiglio regionale di disciplina del Piemonte-Valle d'Aosta;
   in particolare nell'esposto viene riferito che, a seguito di accessi a documenti relativi ad alcuni procedimenti disciplinari, risulterebbero certificazioni di incontri tra i componenti del consiglio di disciplina che, in realtà, non si sarebbero mai tenuti, in violazione di quanto disposto dall'articolo 16 del decreto legislativo n. 449 del 1992;
   difatti, il decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449 recante «Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti, a norma dell'articolo 21, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395», all'articolo 16 sopra richiamato regola puntualmente come debba svolgersi la procedura dinanzi al consiglio centrale o regionale di disciplina, dalla prima convocazione alle successive adunanze dell'organo;
   in particolare, il citato articolo 16, al comma 1, stabilisce che: «Il consiglio centrale o regionale di disciplina è convocato dall'organo competente indicato nell'articolo 13 entro dieci giorni dalla ricezione del carteggio. Nella prima riunione il presidente ed i membri del consiglio esaminano gli atti e ciascuno di essi redige dichiarazione per far constatare tale adempimento (attività non rinvenuta nel fascicolo disciplinare); indi, il presidente nomina relatore uno dei membri e fissa il giorno e l'ora della riunione per la trattazione orale e per la deliberazione del consiglio, che dovrà aver luogo entro quindici giorni dalla data della prima riunione del consiglio stesso»;
   in altro verbale si asseriva, invece, l'avvenuto svolgimento della riunione preliminare del medesimo consiglio regionale, mentre, in realtà, la stessa non risulta essere stata mai convocata;
   le suddette circostanze farebbero ritenere che quanto dichiarato, in entrambe le situazioni, dal presidente del consiglio regionale di disciplina in parola non corrisponda al vero e che tali accadimenti, se debitamente accertati, deporrebbero per irregolarità gravissime in danno del personale di polizia penitenziaria quali la progressione in carriera e/o partecipazioni a concorsi, restrizioni economiche dovute a trattenute (ad opera della sanzione inflitta della pena pecuniaria) ed altro ancora;
   la situazione sopra descritta, ha determinato conseguenze negative, e un clima di forte sfiducia dell'operato dei componenti del predetto consiglio regionale di disciplina del Piemonte e la Valle d'Aosta;
   pare che tali violazioni nei procedimenti, spesso conclusisi con sanzioni disciplinari di notevole entità nei confronti del personale di polizia penitenziaria, sia siano verificati e si verifichino anche in altre regioni;
   da un lato i detenuti vengono «premiati» con provvedimenti come l'AS 925, cosiddetto «svuota carceri», recentemente approvato dalla camera dei deputati, o l'AS 896 recante «Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena», presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro della giustizia, mentre nessun investimento viene fatto per gli agenti di polizia penitenziaria, che anzi si vedono del tutto inascoltati, avendo denunciato, pare, già altre volte anomalie nelle procedure innanzi ai consigli di disciplina –:
   se non ritenga, vista la gravità delle accuse formulate dal sindacato OSAPP di procedere immediatamente ai necessari ed urgenti accertamenti di quanto diffuso, stante la facilità con la quale si potrebbe accertare la veridicità di quanto lamentato in ordine alla violazione di legge in questione;
   se non ritenga di disporre nelle more di puntuali e urgenti accertamenti in ordine a tutti i procedimenti disciplinari discussi dal mese di gennaio 2001 ad oggi, dinanzi al predetto consiglio regionale di disciplina, di sospendere, dalle proprie funzioni tutti i funzionari e dirigenti penitenziari, potenzialmente coinvolti, in via cautelare e ciò al fine di evitare ulteriori gravi pregiudizi nel superiore interesse del personale del Corpo ad essi sottoposto e della stessa amministrazione;
   se, in attesa di conoscere gli esiti degli accertamenti richiesti, non ritenga di adottare provvedimenti volti a inibire ai soggetti coinvolti la partecipazione a ulteriori riunioni del consiglio regionale di disciplina e, se non ritenga di procedere ad una ispezione urgente da parte degli organi competenti all'uopo deputati e nelle more, incaricare/investire altre figure per la corretta applicazione della normativa vigente;
   se non ritenga di disporre l'annullamento di tutti i provvedimenti sanzionatori eventualmente adottati in violazione delle norme procedurali di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 449 del 1992;
   se non ritenga di dover chiedere urgenti chiarimenti in ordine al fatto che alla data odierna nessun accertamento è stato ancora avviato in ordine ai gravi fatti denunciati e oggetto della presente che incidono negativamente e notevolmente sui diritti soggettivi e sugli interessi legittimi del personale di polizia penitenziaria coinvolto;
   se non ritenga di accertare se dalla situazione descritta siano derivati aggravi economici (missioni-straordinari, e altro) per l'amministrazione e, in caso affermativo, se non ritenga di disporre la trasmissione urgente degli atti alla magistratura contabile per danno all'erario e alla procura della Repubblica in ordine a possibili condotte penalmente rilevanti. (4-01317)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 60, comma 4, del Codice della Strada rientrano nella categoria dei motoveicoli e autoveicoli di interesse storico e collezionistico tutti quelli di cui risulti l'iscrizione in uno dei seguenti registri: ASI, Storico Lancia, Italiano FIAT, Italiano Alfa Romeo, Storico FMI;
   l'iscrizione ai registri di cui sopra è riservata ai soli soci dei suddetti enti privati ed è a titolo oneroso;
   l'articolo 215 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 dispone che i motoveicoli e gli autoveicoli d'interesse storico o collezionistico devono essere dotati della certificazione rilasciata contestualmente all'iscrizione nei registri in cui si attesti la data di costruzione e le caratteristiche tecniche;
   il decreto ministeriale 17 dicembre 2009, recante «disciplina e procedure per l'iscrizione dei veicoli di interesse storico e collezionistico nei registri, nonché per la loro riammissione in circolazione e la revisione periodica» disciplina il certificato di rilevanza storica e collezionistica del veicolo rilasciato dai registri;
   la circolare n. 79260 del 4 ottobre 2010 della Direzione generale per la motorizzazione, al punto 1.2, chiarisce che il certificato rilasciato dai registri costituisce un primo modello unificato per i registri soprattutto nei contenuti e rappresenta l'unico documento, dall'entrata in vigore del decreto del 2009, che qualifica un veicolo di interesse storico e collezionistico;
   l'interpretazione della circolare fa desumere che il certificato è l'unico documento necessario alla qualificazione del veicolo d'epoca, ma non alla sua circolazione, per la quale rimangono indispensabili i documenti elencati all'articolo 180 del codice della strada;
   alcuni registri hanno invece interpretato il contenuto della circolare ministeriale nel senso che il certificato è obbligatorio ai fini circolatori –:
   alla luce dell'ambiguità che si è venuta a creare, se il Ministro non ritenga opportuno chiarire con precisione, anche attraverso una circolare esplicativa, i documenti necessari ai fini della classificazione dei veicoli di interesse storico e collezionistico e quelli necessari alla loro circolazione. (4-01294)


   DECARO, GRASSI, SISTO, DISTASO, CASSANO, FRATOIANNI, GINEFRA, VENTRICELLI, PIEPOLI, D'AMBROSIO, L'ABBATE, BRESCIA, LOSACCO e BOCCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nodo ferroviario di Bari costituisce un punto fondamentale del sistema ferroviario nazionale in quanto interessato dall'itinerario merci del Corridoio Adriatico (Gioiatauro - Taranto - Bari rete dell'Italia settentrionale/nord Europa) nonché dalla convergenza sul nodo di numerose linee dedicate essenzialmente al servizio ferroviario regionale e metropolitano;
   gli interventi programmati sul nodo, di natura infrastrutturale e tecnologica, sono finalizzati a:
    a) aumentare la capacità del sistema di trasporto metropolitano portandolo a standard quantitativi e qualitativi adeguati;
    b) realizzare linee dedicate ai flussi di traffico merci in grado di evitare conflitti e interferenze con flussi di traffico metropolitano, regionale e di lunga percorrenza;
    c) migliorare l'integrazione intermodale e intramodale, risolvendo anche alcune criticità di tipo territoriale ed ambientale sia a nord che a sud del nodo, in particolare attraverso la ricucitura urbanistica tra il quartiere Japigia e il mare a sud e tra le due zone del territorio dei quartieri di Palese e Santo Spirito a nord;
    d) elevare il grado di rinnovo tecnologico e di automazione e comando controllo degli impianti;
   il progetto del nodo ferroviario di Bari prevede due stralci funzionali: Bari nord (interramento tratta Santo Spirito-Palese) e Bari sud (modifica del tracciato «collo d'oca» Bari Centrale-Bari San Giorgio);
   per la parte a sud è già stato dato il via libera definitivo al finanziamento da 395 milioni da parte del Cipe, sbloccando l'annosa questione del fascio di binari che attraversa il capoluogo con l'approvazione del progetto preliminare che riguarda lo spostamento di 10,2 chilometri di binari da via Amendola fino a San Giorgio;
   continuano a verificarsi incidenti anche mortali nella zona a nord in corrispondenza dei passaggi a livello dei quartieri di Palese e Santo Spirito –:
   quale sia lo stato dell’iter procedurale del progetto del nodo ferroviario relativo alla parte a nord che prevede l'interramento dei 9 chilometri di linea che attraversano Palese e Santo Spirito su cui passano circa 200 treni al giorno;
   se sia possibile finanziare nell'immediato, in attesa dell'interramento, la realizzazione di alcune opere infrastrutturali per mettere in sicurezza i passaggi a livello ed in particolare: due sovrappassi viari a Macchie e a nord di Santo Spirito un sottopasso ferroviario nella zona di Catino utilizzando il sottopasso ferroviario dismesso dalla ferrotramviaria, i sottopassi pedonali con pendenze non superiori al 5 per cento. (4-01298)


   VECCHIO, MATARRESE, VITELLI, CIMMINO, OLIARO, RABINO, MAZZIOTTI DI CELSO, CAPUA, LIBRANDI, NESI, ROSSI, CATANIA, VARGIU, ANTIMO CESARO, BINETTI, D'AGOSTINO, FAUTTILLI, BOMBASSEI, MOLEA, PIEPOLI, GIGLI, QUINTARELLI, MONCHIERO, FITZGERALD NISSOLI, VEZZALI, CAUSIN, ZANETTI, ANDREA ROMANO, DE MITA, CERA e ADORNATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   in data 7 giugno 2013 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 la legge 6 giugno 2013, n. 64, la quale ha convertito in legge il decreto 8 aprile 2013, n. 35, recante: «Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria»;
   per il settore dei lavori pubblici, la legge in questione contiene, all'articolo 6-bis, un'importante previsione in tema di sospensione dei lavori in caso di mancato pagamento del corrispettivo;
   l'articolo 6-bis, recante «Sospensione dei lavori per mancato pagamento del corrispettivo» novella l'articolo 253 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), introducendo una norma transitoria (comma 23-bis), che consente all'esecutore dei lavori, in relazione all'articolo 133, comma 1, del medesimo Codice, fino al 31 dicembre 2015, di agire ai sensi dell'articolo 1460 del Codice civile (promuovendo pertanto un'eccezione di inadempimento della sua obbligazione) nel caso in cui l'ammontare delle rate di acconto, per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il 15 per cento dell'importo netto contrattuale. L'esercizio di tale azione consente la sospensione dei lavori nel caso di inadempimento delle obbligazioni da parte dell'amministrazione;
   l'articolo 133, comma 1, del Codice degli appalti disciplina l'ipotesi di ritardata emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa prescrivendo l'obbligo per la pubblica amministrazione di corrispondere all'appaltatore interessi legali e moratori facendo salva la facoltà dell'appaltatore medesimo, qualora l'ammontare delle rate di acconto oggetto del ritardo riguardi il quarto dell'importo netto contrattuale, di agire ai sensi dell'articolo 1460 del Codice civile o di promuovere giudizio arbitrale per la dichiarazione di risoluzione del contratto;
   il citato articolo 133 prevedeva la possibilità per l'impresa esecutrice di un lavoro pubblico di sospendere i lavori, ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile, nel caso in cui il suo credito nei confronti della pubblica amministrazione avesse raggiunto il 25 per cento dell'importo del contratto;
   a seguito del perdurare della crisi economico-finanziaria che ha messo in ginocchio migliaia di imprese, molte delle quali già fallite, a causa della stretta del credito da parte delle banche, il legislatore ha ritenuto di dovere aiutare il comparto edilizio introducendo con la norma transitoria introdotta dall'articolo 6-bis del decreto-legge n. 35 del 2013 che abbassa dal precedente 25 per cento all'attuale 15 per cento del totale dell'importo netto contrattuale l'ammontare delle rate di acconto, per le quali si registra un ritardo dell'emissione del certificato o del titolo di spesa ed è consentito, in relazione all'articolo 133, comma 1, del Codice degli appalti, all'esecutore di lavori di agire ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile rifiutandosi di adempiere la sua obbligazione;
   tuttavia, alcune amministrazioni di Enti locali ritengono che tale norma vada applicata ai contratti dopo il 7 giugno 2013, o ancora da stipulare, sebbene sia del tutto evidente come essa sia stata adottata proprio per venire incontro all'attuale situazione di crisi economica nella quale versa l'intero settore –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno chiarire le circostanze suddette, rendendo evidente che la norma va applicata a tutti i contratti in essere, anche a quelli stipulati precedentemente al 7 giugno 2013. (4-01311)


   LACQUANITI, DI SALVO, FRANCO BORDO, DANIELE FARINA e ZAN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 luglio regione Veneto ha comunicato in via ufficiale ed in modo unilaterale la soppressione, a partire dall'entrata in vigore dell'orario invernale, di otto treni interregionali che oggi collegano Venezia a Milano e viceversa. I treni in via di soppressione risultano essere i numeri 2090, 2098, 2106, 2110 in partenza da Venezia e i numeri 2089, 2095, 2107 e 22113 in partenza da Venezia;
   la regione Veneto ha motivato tale scelta con una necessaria rimodulazione del servizio ferroviario interno regionale che non prevede più treni di collegamento a lunga percorrenza con altre regioni;
   quella che viene tecnicamente definita come «rottura di carico» prevede nei fatti che le migliaia di persone che usufruiscono del trasporto su rotaie, dovranno necessariamente utilizzare Frecciarossa e Frecciabianca con costi aggiuntivi e disagi, poiché i treni regionali che partono da Venezia faranno capolinea a Verona;
   a seguito della decisione, i pendolari diretti o in arrivo nelle stazioni di Peschiera, Desenzano, Brescia, Rovato, Chiari, Romano di Lombardia e Treviglio che viaggiano sulla direttrice Milano-Brescia-Verona, saranno costretti al cambio treno e all'utilizzo del Frecciarossa o del Frecciabianca;
   la situazione sarebbe ancora più drammatica se la regione Lombardia decidesse di effettuare una analoga «rottura di carico», con i treni lombardi che così fermerebbero a Desenzano senza più proseguire, come invece avviene oggi, per Verona;
   suddette scelte, se confermate, isolerebbero nei fatti la regione Lombardia e la regione Veneto, privilegiando esclusivamente il trasporto ad alta velocità ma penalizzando le migliaia di pendolari che vivono sui territori compresi tra le regioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione e di altre analoghe nel Paese e quali iniziative, di competenza, intenda intraprendere affinché vengano scongiurati tali disagi ai pendolari mediante politiche di promozione del servizio di trasporto su ferro locale che, al di là delle specifiche competenze e responsabilità regionali, ha comunque necessità di adeguate risorse, e di una politica di trasporto coordinata a livello nazionale. (4-01312)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
I Commissione:


   FIANO e DE MENECH. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in merito alla realizzazione della nuova sede della questura di Belluno presso la struttura dell'ex caserma Fantuzzi sono stati già previsti, sulla base del programma triennale del provveditorato interregionale alle opere pubbliche-nucleo operativo di Belluno 8 milioni di euro per gli anni 2013 e 2014 e 4 milioni di euro per l'anno 2015;
   la nuova sede consentirebbe non solo di ottimizzare la funzionalità degli uffici, attualmente dislocati in cinque strutture diverse, ma anche e soprattutto di risparmiare denaro pubblico abbattendo i 165 mila euro annui spesi per canone di affitto;
   va anche sottolineato il fatto che la futura caserma Fantuzzi sarebbe l'unico degli edifici strategici rispondente alla normativa antisismica;
   con la nuova sede della questura va affrontato in maniera ineludibile la questione della carenza di organico della polizia di Stato sul territorio provinciale che come attestato dallo stesso dipartimento di pubblica sicurezza si attestava al giugno di un anno fa a 72 unità su 342 posti;
   a questi numeri vanno aggiunti gli ulteriori vuoti d'organico determinati da unità, circa una decina, che hanno maturato i requisiti previdenziali e trasferimenti;
   al 31 dicembre prossimo i vuoti che si registreranno per la questura e il commissariato di Cortina si attesteranno a 31 unità su 155 previste solo per quanto riguarda i ruoli di agenti, assistenti e sovrintendenti;
   come evidenziano le organizzazioni sindacali la questura prevedrebbe una forza complessiva di 124 dipendenti tra il ruolo dei sovrintendenti, assistenti ed agenti e al 31 dicembre 2012 ne mancavano 18 a cui devono essere aggiunte altre 7 unità che andranno via entro la fine del 2013;
   per quanto riguarda il commissariato di pubblica sicurezza di Cortina mancano 6 operatori sui 31 previsti;
   si tratta di numeri significativi per un territorio complesso e comunque che ha parametri simili ad altre realtà come Sondrio, Aosta, Lecco, Varese che invece hanno rapporti dotazione/effettivi meno deficitarie –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare alla luce di quanto esposto in premessa in merito alle risorse disponibili per la realizzazione della nuova sede della questura di Belluno presso l'ex caserma Fantuzzi e circa la indispensabile e urgente necessità di portare le dotazioni di organico della polizia di Stato in provincia di Belluno in linea con quanto prevede il dipartimento di pubblica sicurezza per garantire maggiore sicurezza e funzionalità degli uffici. (5-00648)


   CENTEMERO e GELMINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in materia di cittadinanza esiste una discriminazione giuridica nei confronti di quelle donne che, emigrate all'estero nel secolo scorso, sono state private della cittadinanza per se stesse e per i propri figli, poiché la legge n. 555 del 1912 non estendeva il diritto di cittadinanza al figlio di madre italiana e di padre straniero, a meno che non fosse privo di cittadinanza anch'egli;
   con la riforma del diritto di famiglia — legge 19 maggio 1975, n. 151 — è stato affermato il principio di uguaglianza tra uomo e donna, nell'ambito dei rapporti familiari;
   la Corte costituzionale nel 1983 ha dichiarato incostituzionale l'articolo 1 della legge n. 555 del 1912, laddove non riconosce come cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina, sancendo che anche i figli di madre italiana sono italiani, ma solo se nati dopo il 1o gennaio 1948;
   la legge n. 91 del 1992 ha recepito definitivamente il principio della parità di trattamento, ammettendo l'attribuzione della cittadinanza italiana ai figli di padre o di madre italiana, ma non ha sanato la situazione creatasi fra il 1912 e il 1948;
   il Consiglio Generale degli Italiani all'Estero, riunitosi a Roma nei giorni 26, 27 e 28 giugno 2013, ha approvato un ordine del giorno che considera «improcrastinabile un intervento normativo che porti a riconoscere anche sul piano amministrativo il recupero della cittadinanza da parte delle donne che l'abbiano involontariamente perduta a seguito di matrimonio con straniero» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di garantire che il diritto alla cittadinanza venga finalmente riconosciuto anche alle cittadine italiane — e ai loro discendenti — che l'hanno persa in seguito a matrimonio con un cittadino straniero negli anni fra il 1912 e il 1948. (5-00649)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul Corriere di Como del 17 luglio è apparsa la notizia secondo cui è stato effettuato un taglio del 25 per cento delle ore di servizio straordinario degli agenti della questura di Como;
   tale riduzione significativa andrà necessariamente ad incidere anche sui servizi di emergenza e soccorso pubblico, come ha sottolineato anche il Sindacato autonomo di polizia (Sap), il quale ha precisato come i servizi d'emergenza vengano attualmente gestiti da poche persone che necessariamente devono ricorrere anche alle ore di straordinario;
   il taglio delle risorse andrà ad incidere negativamente sull'attività di controllo del territorio in particolare si tradurrà necessariamente in minori arresti e controlli stradali, e minor possibilità di intervento nelle emergenze clandestini, liti, risse e reati di questo tipo;
   pare che il taglio degli straordinari sia stato attuato per avere le risorse necessarie a pagare ai poliziotti impegnati nel contrasto all'immigrazione clandestina gli arretrati di migliaia di ore di lavoro straordinario reso nel 2011 e ad oggi non ancora corrisposti;
   come si legge nella nota del Sap, negli ultimi due anni, migliaia e migliaia di agenti sono stati impiegati nel contrasto all'immigrazione clandestina e nella difficile gestione degli sbarchi degli extracomunitari, i quali arrivano poi e si stabiliscono in tutte le città, tra cui anche a Como;
   effettivamente, dopo il Ministero di Roberto Maroni, sotto il quale gli sbarchi erano calati fino all'88 per cento, negli ultimi due anni, in mancanza di una seria politica di contrasto all'immigrazione clandestina, gli sbarchi sono costantemente aumentati, ed ultimamente, alimentati anche dai messaggi di questo Governo di abrogare il reato di immigrazione clandestina e di introdurre lo ius soli, hanno raggiunto cifre mai registrate prima;
   dalle notizie di cronaca si apprende che sono 7.913 i migranti sbarcati solo nei primi 6 mesi dell'anno sulle coste italiane, quasi il doppio rispetto ai 4.019 arrivati nello stesso periodo del 2012, i quali, come sopra già detto, non potendo le attuali strutture avere la necessaria capacità recettiva, andranno a stabilirsi nelle diverse città, prevalentemente al nord, con conseguenti problemi di ordine pubblico;
   solo poco tempo fa, come riporta anche un articolo di un altro quotidiano locale del 18 giugno 2013, e precisamente a maggio 2013, all'indomani della presentazione dei dati sulla criminalità nella provincia di Como da parte del questore Michelangelo Barbato, il questore e poi il prefetto avevano assicurato che le forze dell'ordine non avrebbero abbassato la guardia sul fronte del contrasto alla microcriminalità, e di più che i controlli sarebbero stati intensificati;
   tali parole di poco tempo sono in netta antitesi con la decisione ora presa di tagliare le risorse destinate proprio alle forze dell'ordine che dovrebbero, appunto, procedere ai controllo e al presidio del territorio;
   tali tagli vanificano gli sforzi degli agenti impegnati in prima linea con pesanti ripercussioni sulla sicurezza dei cittadini –:
   se il Governo è a conoscenza di quanto sopra e se quanto denunciato anche dal Sindacato autonomo di polizia (Sap) corrisponda al vero, quali iniziative intenda avviare e quali risorse destinare per assicurare il tempestivo pagamento degli arretrati e delle ore di servizio straordinario finora svolto e quello in futuro necessario affinché le forze dell'ordine possano operare sul territorio secondo le necessità e i bisogni di sicurezza dei cittadini. (4-01295)


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del forum «Bari reagisce: istituzioni, imprese e lavoratori insieme contro la criminalità organizzata», svoltosi nel mese di giugno 2013 e promosso dal quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno e da Ance Bari e Bat il presidente dell'Ance locale Domenico De Bartolomeo ha affermato: «Combatteremo senza compromessi ogni attività illecita e ci ribelleremo a ogni forma di intimidazione e ricatto»;
   a tali dichiarazioni lo stesso De Bartolomeo ha aggiunto l'annuncio che l'Ance si costituirà parte civile nei processi che nasceranno dalle denunce degli imprenditori contro le estorsioni, aggiungendo che «i cantieri edili rappresentano uno degli obiettivi preferiti della criminalità, che ha alzato il tiro e a cui bisogna rispondere con azioni concrete e definitive»;
   lo stesso presidente ha poi precisato «non possiamo solo pensare alla repressione: dobbiamo creare anche nuovi posti di lavoro e in questo senso ci aspettiamo un impegno costante delle istituzioni per sbloccare i cantieri. In Puglia l'edilizia ha perso negli ultimi anni 25 mila lavoratori»;
   tale crisi è avvertita in tutto il Paese, tanto che sarebbero 690 mila i posti di lavoro persi nella filiera delle costruzioni, dall'inizio della crisi. Si stima inoltre che 50.000-80.000 persone, oggi in cassa integrazione guadagni, potrebbero non essere reintegrate»;
   le mafie si stanno insinuando con straordinaria capacità di penetrazione dentro gli interstizi di questa crisi;
   in tale contesto è quanto mai opportuno che al coraggio dell'Associazione dei costruttori segua un'adeguata risposta dello Stato finalizzato alla lotta repressiva e non alle mafie –:
   quali azioni intendano promuovere di concerto con le istituzioni locali per rispondere positivamente a tale iniziativa.
(4-01302)


   PIAZZONI, PILOZZI e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come testimoniato dai processi APPIA e MITHOS pendenti innanzi al tribunale di Velletri il territorio di Anzio e, più in generale, tutto il litorale pontino e romano, risultano fortemente infiltrati da organizzazioni criminali, tra cui ad esempio il clan Gallace;
   da una recente inchiesta della DDA di Roma si legge, infatti, che: «È stato accertato con costanti e specifici servizi come la permanenza abituale del GALLACE Bruno nelle località del litorale pontino (territorio compreso tra Anzio-Nettuno ed Ardea) che, per effetto della presenza massiva e ramificata di numerose famiglie appartenenti al medesimo “locale” costituito da diverse ’ndrine, garantisca una sorta d'immunità e tranquillità “ambientale” per la gestione degli affari illeciti»;
   nel territorio in oggetto risulta operativo altresì il clan dei casalesi, come attestano sia la sentenza emessa dal tribunale di Latina il 16 novembre del 2012, sia la sentenza emessa dal tribunale di Latina e confermata dalla corte d'appello di Roma a carico di Pasquale Noviello ed altri per gravi reati aggravati dalle modalità mafiose;
   inoltre, alcuni recenti episodi di cronaca confermano la presenza delle organizzazioni criminali: il 5 marzo del 2012, intorno alle 15, ignoti sparavano 6 colpi di pistola contro l'abitazione del vice sindaco di Anzio Patrizio Placidi, tale intimidazione di stampo mafioso è solo l'ultima in ordine ai danni di un amministratore comunale;
   la città di Ardea (RM) è storicamente caratterizzata da infiltrazioni mafiose, poiché già negli anni cinquanta vi si era insediato il boss Francesco Paolo Coppola, detto «Frank Tre Dita», e alla fine degli anni novanta e il 2000 diverse indagini della procura distrettuale hanno individuato pericolose organizzazioni di narcotrafficanti che comprendevano anche esponenti della ’ndrangheta ivi residenti (vedasi le relazioni della Commissione parlamentare antimafia dall'XI alla XIV legislatura);
   la notte tra il 29 e il 30 maggio del 2011 venivano assassinati, a colpi di pistola, in località Cecchina di Albano, Fabio Giorgi di Ardea e Rabii Baridii di Roma, nell'agguato rimanevano feriti anche altri soggetti; le indagini della procura distrettuale antimafia di Roma individuavano gli autori della strage in alcuni soggetti contigui al clan Santapaola da anni attivi tra Ardea e Pomezia;
   il 31 agosto 2011, venivano sequestrati, su richiesta della procura distrettuale di Reggio Calabria, numerosi beni al dottor Marcello Fondacaro già condannato in primo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso in quanto sodale del clan calabrese dei Molè;
   nella città di Ardea negli anni passati sono stati compiuti eclatanti delitti che sembrerebbero di stampo mafioso: in particolare, il 17 giugno del 2007 veniva assassinato il pregiudicato siciliano Michele Di Grazia e il 4 gennaio del 2008 veniva assassinato il pregiudicato Alessandro Torni, già coinvolto nelle indagini per il delitto di Mario Guzzon;
   tra il 2009 e il 2010 venivano compiute numerose intimidazioni ai danni dei consiglieri del PdL Franco Marcucci e Nicola Tedesco nonché nei confronti del bar ristorante B Palace;
   il 10 luglio del 2013 la vettura del giornalista Luigi Centore di Ardea subiva un grave incendio doloso (si tratta del secondo episodio intimidatorio nei confronti del Centore), secondo quanto apparso dalla stampa nelle settimane precedenti venivano incendiate altresì le auto del sindaco di Ardea, Luca Fiori e del consigliere del PdL, Marcucci;
   la notte del 15 luglio 2013, due autovetture di parenti del giornalista Luigi Centore sono state oggetto di incendi dolosi da parte di ignoti;
   il tessuto politico amministrativo del litorale a sud di Roma già in passato è stato infiltrato dalla criminalità organizzata come testimonia lo scioglimento del consiglio comunale di Nettuno nel dicembre del 2005 –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro dell'interno per contrastare il fenomeno delle infiltrazioni di stampo mafioso nel litorale laziale;
   se non ritenga, in particolare, opportuno prendere provvedimenti atti a potenziare gli organici, le capacità e gli strumenti degli organi inquirenti presenti sul territorio del litorale laziale al fine di agevolare il controllo del territorio e implementare le attività di contrasto delle organizzazioni criminali. (4-01306)


   DI LELLO e LOCATELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione italiana giuoco calcio nei giorni scorsi ha inviato alla Lega nazionale dilettanti una direttiva con la quale conferma anche per la prossima stagione sportiva le procedure in atto per il tesseramento di calciatori minori stranieri;
   tale comunicazione reitera ai Comitati regionali della Lega nazionale dilettanti il compito di procedere all'esame preventivo della documentazione che accompagna la richiesta di tesseramento dei calciatori stranieri minori prima del suo inoltro alla Commissione federale;
   prevede, inoltre, l'inibizione, in alcuni casi specifici, dei Comitati regionali a ratificare il tesseramento dei calciatori stranieri minori e il successivo inoltro della documentazione alla Commissione federale;
   la richiesta di tesseramento, che per i minori italiani viene presentata su appositi moduli federali senza l'obbligo di corredarla con ulteriori moduli, atti o certificati, nel caso dei calciatori minori stranieri deve essere obbligatoriamente accompagnata da ben 7 atti che vanno dalla dichiarazione del calciatore su eventuali precedenti tesseramenti all'estero all'iscrizione scolastica; dal certificato di nascita al documento identificativo; dal documento identificativo dei genitori al certificato di residenza e stato di famiglia del calciatore e dei genitori; e, infine, alla prova di soggiorno in Italia del ragazzo e dei genitori;
   tale procedura introduce vistosi elementi di disparità di trattamento tra giovani della stessa fascia di età determinato esclusivamente dalla diversa provenienza anagrafica;
   tale disparità può concorrere ad aggravare il già pesante deficit in termini di accoglienza ed integrazione dei giovani stranieri nel tessuto economico e sociale nel Paese, e favorire così il nascere di ulteriori forme di emarginazione e ghettizzazione;
   pur mettendo in discussione il riconosciuto principio dell'autonomia del mondo dello sport, sarebbe opportuno che la Federazione italiana giuoco calcio correggesse la richiamata direttiva stabilendo una unica procedura semplificata per il tesseramento di calciatori minori, italiani e stranieri ma in ogni caso dovrebbe essere agevolato il riconoscimento della cittadinanza per i minori –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare nei limiti della sua competenza per garantire ad ogni cittadino presente nel nostro Paese parità di trattamento indipendentemente dalla sua provenienza anagrafica anche nel mondo dello sport. (4-01316)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la direttrice dell'Accademia nazionale di danza (AND), Margherita Parrilla, è in carica dal 3 ottobre 1996, data in cui fu nominata «per chiara fama» dal Ministro della pubblica istruzione pro tempore, Luigi Berlinguer, al di fuori del regolare procedimento di elezione tramite collegio dei docenti, che già aveva nominato un proprio direttore;
   ai sensi del comma 1 dell'articolo 4 dello statuto dell'Accademia nazionale di danza: «Organi dell'Accademia nazionale di danza sono: (...) b) il Direttore; (....)». Ai sensi del comma 2 dell'articolo 4 dello statuto dell'Accademia nazionale di danza: «La composizione, la nomina e le funzioni dei predetti organi sono disciplinati dal Capo II del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132 (recante i criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni artistiche)». Ai sensi del comma 1 dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003 n. 132, «Sono organi necessari delle istituzioni: (...) b) il direttore; (...)». Ai sensi del comma 2 dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003 n. 132, «gli organi di cui al comma 1, fatta eccezione per il collegio dei professori, durano in carica tre anni e possono essere confermati consecutivamente una sola volta»;
   inoltre, ai sensi del comma 6 dell'articolo 7 dello statuto dell'AND «I membri del Consiglio di Amministrazione restano in carica per un periodo di 3 anni e possono essere confermati consecutivamente una sola volta». Ai sensi del comma 1 del medesimo articolo «la composizione e le funzioni del Consiglio di Amministrazione sono stabilite dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003 n. 132». Ai sensi del comma 8 dell'articolo 8 dello statuto dell'Accademia nazionale di danza: «I membri del Consiglio Accademico restano in carica tre anni e sono rieleggibili consecutivamente una sola volta»;
   ai sensi del comma 2 dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, il direttore e il presidente fanno parte del consiglio di amministrazione. Ai sensi del comma 2 dell'articolo 4 la durata dell'incarico di direttore, di presidente e di membro del consiglio di amministrazione è triennale e lo stesso può essere confermato una sola volta;
   ai sensi dell'articolo 16 del succitato decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003 «I direttori dell'Accademia di arte drammatica e dell'Accademia di danza in carica alla data di entrata in vigore del presente regolamento, mantengono le funzioni fino alla cessazione del rapporto per effetto del verificarsi di cause previste dalla normativa vigente»;
   la questione riguardante l'eventuale dichiarazione di decadenza dalla carica del direttore dell'Accademia nazionale di danza per superamento del doppio mandato, già peraltro posta dall'interrogazione parlamentare n. 5-07575 (con risposta del 1o agosto 2012), ad oggi non ha ancora trovato una soluzione;
   all'interpellante risulta che nel rispondere ad un gruppo di docenti che chiedevano, ai fini della legittima composizione degli organi statutari; l'elezione del nuovo direttore, il dirigente della direzione generale per l'alta formazione artistica e musicale (AFAM) del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per conto del direttore generale, il 10 settembre 201 (prot. 5859) avrebbe affermato che la richiesta non poteva trovare accoglimento, in quanto il suddetto articolo 16 condiziona il mantenimento delle funzioni al permanere del rapporto di lavoro, che allo stato non risulta interrotto da alcuna causa prevista dalla normativa vigente;
   bisogna osservare che il succitato articolo 16 si riferisce alla «cessazione di rapporto», senza specificare che si tratta di rapporto di lavoro. Di conseguenza l'AFAM sembra aver adottato, a giudizio dell'interpellante, un'estensione arbitraria della norma e parrebbe aver declassato una nomina «per chiara fama» a mero «rapporto di lavoro» risolvibile solo per pensionamento o per palese indegnità. Viceversa il «rapporto» di un dirigente decade quando lo stabiliscono le leggi di riferimento e, se si tratta di soggetti dotati di autonomia, i rispettivi statuti. La scadenza degli incarichi che si configurano come «mandati» serve appunto per evitare il consolidarsi di posizioni di potere;
   alle insistenze dei docenti sull'interpretazione delle norme di riferimento il direttore generale, con nota del 30 novembre 2012, prot. n. 7756/GAL, avrebbe risposto che in considerazione della vistosa e palese incompetenza nell'interpretazione di norme giuridiche, si riteneva di dover definitivamente confermare, senza ulteriore dilazione, il contenuto della precedente corrispondenza, anche al fine di non intralciare ulteriormente l'attività dell'ufficio competente della direzione, gravato da numerosi impegni di ben altro rilievo;
   si consideri infine che ai sensi della legge n. 508 del 1999 e dell'articolo 33, ultimo comma, della Costituzione, le istituzioni di alta cultura sono istituzioni universitarie –:
   se il Ministro non ritenga arbitrario e illogico che il mandato dirigenziale a tempo in una delle più prestigiose istituzioni artistiche nazionali, qual è l'Accademia nazionale di danza, si sia trasformato in una carica «finché pensionamento non sopraggiunga»;
   se non ritenga opportuno farsi garante di un percorso elettivo interno degli incarichi direzionali, al fine di restituire all'Accademia nazionale di danza il giusto credito e prestigio;
   quale interpretazione debba darsi alle norme succitate e come intenda porre rimedio al fatto che dal 1996 l'Accademia nazionale di danza non possa selezionare il proprio direttore secondo le normali regole statutarie;
   se risultino i motivi in base ai quali la direzione generale AFAM del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca supporti il mandato della direttrice dell'Accademia nazionale di danza, Margherita Parrilla, nonostante le innumerevoli problematicità insorte in questi anni;
   se non ritenga opportuno dichiarare decaduto, con effetto immediato, il consiglio di amministrazione dell'Accademia nazionale di danza, che sta operando a giudizio dell'interpellante arbitrariamente con un membro rinnovato, che non era però rinnovabile, tenendo conto che il perdurare di questa situazione di dubbia legittimità pone fuori norma anche il consiglio accademico e mette a rischio tutte le decisioni e l'attività contrattuale poste in essere nel medesimo periodo.
(2-00151) «Calabria».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel cuore del Cilento, a San Giovanni a Piro, in provincia di Salerno, un istituto comprensivo denominato «Teodoro Gaza» svolge da anni una straordinaria azione didattica che diventa anche azione sociale sul territorio e che riscuote grande considerazione da parte di genitori, agenti educativi del territorio, associazioni, diventando, nel tempo, un vero motore di lavoro culturale e sociale sull'area;
   la scuola, con la dirigente Maria De Biase, con il corpo docente, ha sperimentato percorsi didattici innovativi, caratterizzandosi nei percorsi per la legalità, per l'ambiente, per il recupero delle tradizioni, della cultura rurale e la storia dei luoghi, del recupero e della riscoperta della sovranità alimentare;
   la scuola ha adottato l'approccio «Rifiuti Zero» all'interno delle mense scolastiche dove i pasti vengono fruiti senza alcun impiego di materie plastiche; promuove il riciclo e il riutilizzo dei materiali di scarto; coltiva quattro orti che i ragazzi e i loro genitori fanno crescere insieme ai docenti, più un orto sperimentale su balle di fieno; la scuola ha intrapreso l'abitudine di consumare gli ortaggi prodotti nei propri orti durante la merenda quotidiana; nelle stesse mense sono stati limitati i prodotti; non si merendine confezionate ma si recupera l'antica merenda con pane e olio (prodotto dalla scuola con le olive di un albero millenario nei giardino dell'istituto);
   il progetto EcoMerenda, realizzato nella scuola, è diventato oggetto di interesse nazionale ed è arrivato a vincere il premio nazionale Agricoltura Civica Award 2013 assegnato a Torino;
   la scuola, sempre nella scia dell'impegno ambientalista, ha piantato circa 30 alberi da frutto autoctoni, donati dal Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, che alimentano ed educano i bambini della scuola al recupero della sovranità alimentare;
   nell'ultimo anno scolastico, nell'ambito del progetto «ortocomposto», gli alunni della scuola primaria e della scuola secondaria di 1o grado hanno dato il via alla raccolta dell'olio alimentare esausto; è stato realizzato, a scuola, il sapone con l'olio usato avvalendosi della collaborazione delle nonne e della loro sapienza; le migliaia di saponette prodotte, sono state distribuite alle famiglie degli alunni e hanno rappresentato un modo concreto e reale per tutelare e salvaguardare l'ambiente e noi stessi;
   l'istituto Teodoro Gaza è una scuola ad indirizzo musicale, ed è per vocazione sensibile alle espressioni artistico-musicali di ogni genere con particolare riguardo alla musica tradizionale del Cilento; l'Orchestra «Chiara Fortunato» dell'I.C.Gaza vanta un curriculum prestigioso, contrassegnato da numerosi riconoscimenti e primi premi a livello nazionale;
   in riferimento all'arte figurativa, la scuola dedica grande attenzione alla figura e alle opere di Josè Ortega difensore dei diritti dei più deboli e che, scampato al franchismo, ha vissuto per tanti anni nella comunità di Bosco, nel Cilento;
   un'ulteriore esperienza di grande valenza educativa svolta nella scuola è stato il progetto scolastico ideato dalla prestigiosa fondazione Alario di Ascea e dell'allora presidente il professor Pasquale Persico: «Da San Giovanni a Piro ad Antikitira – Tra microeconomia e tempo: corrispondenze tra l'artista Matteo Fraterno e gli alunni di una scuola media cilentana»; il progetto ha previsto il racconto di una piccola isola greca fatto agli alunni di terza media, che hanno adottato una scuola senza più bambini della piccola ed antica isola di Antikitira per una doppia risorgenza culturale ed educativa;
   ogni anno la scuola allestisce un mercatino della solidarietà nel quale vendono tutti i prodotti realizzati nell'ambito dei laboratori per sostenere tre progetti di solidarietà: Senegal, dove si è sostenuta la costruzione di una scuola e di un laboratorio medico; India, orfanotrofio di Vanaprastha, e, infine, misure di sostegno alle stesse famiglie cilentane in difficoltà per l'acquisto di libri, materiale scolastico, ticket mensa, trasporti eccetera;
   a fronte di questa eccezionale mole di impegno sui temi del territorio e della solidarietà l'istituto Teodoro Gaza si è visto recapitare, in data 26 giugno 2013, dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso l'ufficio scolastico regionale per la Campania, la comunicazione del sottodimensionamento e quindi della sostanziale scomparsa dell'istituto autonomo;
   tale provvedimento nasce dalla legge n. 183 del 12 novembre 2011, che sancisce la perdita dell'autonomia per tutte quelle scuole con un numero di alunni inferiore ai 600, mentre ne prevede il mantenimento per le realtà montane purché gli alunni iscritti siano almeno 400;
   la Teodoro Gaza è riconosciuta come scuola di realtà montana ma quest'anno conta «solo» 385 alunni; perde, quindi, l'autonomia, la segreteria, la presidenza, tutto l'assetto che le aveva consentito i risultati sopra menzionati, per quindici alunni;
   la scuola, a norma di legge, dovrà essere accorpata ad altre scuole, con una nuova dirigenza, mentre il dirigente in carica sarà trasferita ad altro istituto, con il risultato di uno smembramento che di sicuro danneggerà la didattica, il buon funzionamento di una scuola diventata all'avanguardia –:
   se sia conoscenza di quanto sopra riportato, se non ritenga tali, drastici, provvedimenti dannosi per l'utenza e la didattica, soprattutto su alcuni territori; se non ritenga, con proprio provvedimento, nei limiti delle proprie competenze, di strutturare e consentire un sistema di deroghe straordinarie per situazioni di eccezionale valenza come quella sopra riportata; se non ritenga, al tempo stesso, con proprio intervento, di indicare agli uffici scolastici regionale la necessità di tenere conto, per situazioni come quella sopra descritta delle esigenze di continuità didattica facendo in modo che, pur nell'accorpamento delle scuole sottodimensionate, esse possano, laddove è possibile, essere almeno dirette dagli stessi dirigenti perdenti posto. (5-00637)


   CENTEMERO e PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   un sondaggio effettuato dal sito dedicato agli studenti Skuola.net, dal titolo: «Debiti: cosa fai per recuperare ?», a cui hanno partecipato circa settecento studenti delle scuole secondarie di secondo grado impegnati, tra i mesi di giugno e luglio, con il recupero del debito formativo, ha evidenziato che i corsi di recupero appositi ci sono ma non per tutte le materie che possono essere oggetto di debito formativo;
   come chiarito anche dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'ordinanza ministeriale n. 92 del 2007 (cosiddetta «ordinanza Fioroni») che, nello specifico all'articolo 2, rendeva obbligatoria per le istituzioni scolastiche l'attivazione dei corsi di recupero dei debiti formativi, non è stata rinnovata;
   tale situazione, già nota da febbraio 2013, ha inciso sull'offerta dei corsi: due studenti su tre hanno affermato che nella propria scuola i corsi riguardano soltanto alcune materie, mentre sono uno su quattro quelli che dispongono di un'offerta limitata;
   i sospesi in giudizio sembrano apprezzare l'opportunità offerta dalle scuole: infatti quasi la metà degli studenti tenterà il recupero del debito affidandosi soltanto al corso di recupero predisposto, mentre, per circa il 30 per cento, ricorreranno, in aggiunta, alle ripetizioni private;
   per quanto invece concerne il cosiddetto «studio fai da te», il 13 per cento ha affermato di studiare da solo e per sua scelta le materie in cui è più carente, mentre il 2 per cento ricorre alle ripetizioni preferendole ai corsi di recupero scolastici;
   la necessità di dover ricorrere alle ripetizioni private costituisce un costo a carico di tante famiglie che già devono fronteggiare il difficile momento di crisi economico-finanziaria che attraversa il nostro Paese –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di prevedere l'attivazione da parte degli istituti scolastici di corsi di recupero relativi a tutte le materie che possano essere oggetto di recupero dei debiti formativi, al fine di non penalizzare gli studenti in termini di diritto e qualità dell'istruzione e di non far ricadere sulle famiglie i costi legati al ricorso alle lezioni private. (5-00643)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, ALBERTI, PESCO, D'UVA, MARZANA e ARTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   lo stabile con sede presso il quartiere «Cappuccini» del centro storico di Caltagirone (Catania) che ospitava l'Istituto tecnico agrario «Cucuzza» è rimasto chiuso dal settembre del 2012 per carenze strutturali riguardanti infiltrazioni, crepe, infissi deteriorati, ambienti malsani e alcune parti pericolanti. Lo stesso è stato, recentemente, oggetto di un raid vandalico, così come riportato dagli organi di stampa regionali e dalla denuncia di diversi cittadini attraverso alcuni social network;
   le condizioni di sicurezza dell'edificio sono insufficienti, accentuati dalla facilità d'accesso allo stesso attraverso ingressi secondari che mancano di reti metalliche ed inferriate con la preoccupante e pericolosa possibilità d'accesso a minori o male intenzionati;
   all'interno dello stabile, dopo il trasferimento dell'Istituto tecnico agrario «Cucuzza» accorpato all'Istituto tecnico per geometri in Via Mario Scelba a Caltagirone, sono rimaste attrezzature di potenziale pericolosità riguardanti l'aula di chimica, oltre parti di computer e materiali, incustoditi, d'interesse storico riguardanti libri ed oggetti databili ai primi anni del Novecento che andrebbero preservati –:

quali provvedimenti intende assumere il Governo in riferimento alla tutela della sicurezza dello stabile ed in particolar modo alla difesa dei reperti d'interesse storico, attualmente abbandonati.
(4-01299)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva provveduto a definire le modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale per l'anno accademico 2013/2014;
   in particolare, si prevedeva che, per la valutazione delle prove, un massimo di 10 punti su 90 venisse assegnato valutando il percorso scolastico. Tali punti erano attribuiti solo a quei candidati che avrebbero ottenuto un voto di maturità pari ad almeno 80/100, rapportato alla distribuzione in percentili dei voti ottenuti dagli studenti che avrebbero conseguito la maturità nella stessa scuola nell'anno scolastico 2011/2012;
   dopo numerose proteste seguite alla pubblicazione, lo scorso 31 maggio, dei suddetti percentili calcolati per ogni scuola, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvedeva a ritirare il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, sostituendolo con il decreto ministeriale 12 giugno 2013, n. 449;
   oltre a rinviare a settembre 2013 le prove di ammissione ai corsi di laurea a numero programmato, il succitato decreto ha provveduto a ridefinire il meccanismo di attribuzione del bonus di 10 punti, stabilendo che «il punteggio viene attribuito esclusivamente ai candidati che hanno ottenuto un voto all'esame di Stato almeno pari a 80/100 e il cui voto sia non inferiore all'80esimo percentile della distribuzione dei voti della propria commissione d'esame nell'anno scolastico 2012/2013 secondo una tabella»;
   secondo quanto da più parti rilevato, da ultimo anche attraverso una lettera aperta indirizzata al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Maria Chiara Carrozza e pubblicata su siti tematici da parte di una docente del liceo classico Tacito di Terni, il nuovo sistema penalizzerebbe gli studenti con voti medio alti in commissioni composte da pochi alunni;
   se, da un lato, viene da più parti riconosciuto come il decreto del 12 giugno 2013 corregga alcune delle criticità riscontrate dovute al percentile, dall'altro crea nuove disparità, spostandole dalle scuole alle singole commissioni;
   la nuova formulazione del decreto ha stabilito una tabella di conversione unica dal voto di maturità al punteggio bonus, modificando la soglia di sbarramento per l'accesso al bonus: 80/100 di voto minimo e corrispondenza almeno all'80o percentile riferito ai risultati conseguiti dai maturandi giudicati dalla medesima commissione. Il che vuol dire che comunque vada, al massimo uno studente su cinque in una classe potrà aspirare al bonus;
   ciò, in base ad alcune simulazioni, potrebbe portare ad alcune situazioni paradossali, sfavorendo gli studenti bravi ma non eccellenti, soprattutto se il numero di studenti giudicati dalla commissione fosse esiguo. Infatti applicando un concetto statistico come il percentile a numeri piccoli si ottengono, nella migliore delle ipotesi, risultati poco significativi, nella peggiore, paradossali;
   il destino degli studenti risulta condizionato non solo dalla preparazione personale, ma anche dalla fortuna che la propria classe sia aggregata in una commissione numerosa;
   contestualmente il Ministero ha istituito una apposita commissione, composta da personalità accademiche e della scuola che, alla luce della prima esperienza applicativa del cosiddetto bonus maturità, formuli delle proposte operative entro il 30 settembre 2013 –:
   se non ritenga che ci si trovi di fronte ad una palese violazione della parità di trattamento e cosa intenda fare il Ministero anche al fine di evitare l'elevato contenzioso che già si preannuncia e che rischia di interferire sul regolare inizio del prossimo anno accademico. (4-01310)


   MANNINO, DI BENEDETTO, D'UVA, NUTI, NESCI, DI VITA, VACCA, MARZANA e LUPO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la Link Campus university (originariamente, Link Campus – University of Malta), con decreto del 27 novembre 1999, emanato ai sensi dell'articolo 2 della legge 14 gennaio 1999, n. 4, veniva riconosciuta quale filiazione in Italia dell'università di Malta;
   a partire da quella data, essa svolgeva in Italia parte dei corsi dell'Ordinamento universitario dell'università di Malta per studenti iscritti a detta università: al termine del percorso formativo il titolo accademico veniva rilasciato dall'università di Malta;
   con decreto ministeriale del 4 luglio 2007, la Link Campus University veniva riconosciuta quale sede in Italia dell'università di Malta i cui titoli erano ammessi a riconoscimento presso le università italiane;
   in data 29 marzo 2011, a seguito dell'emanazione del decreto ministeriale del 23 dicembre 2010, n. 50, la fondazione Link Campus University avanzava istanza al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'istituzione della Link Campus University come università non statale dell'ordinamento universitario italiano;
   successivamente, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 374 del 21 settembre 2011 (registrato alla Corte dei conti in data 28 ottobre 2011 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 268 in data 17 novembre 2011), veniva disposto il riconoscimento di Link Campus University quale università non statale dell'ordinamento universitario italiano, con contestuale cessazione dell'attività come sede in Italia dell'università di Malta;
   in conseguenza del predetto decreto, ed in applicazione dello stesso, sono state avviate le procedure di cessazione dei soggetti che operavano con la Link Campus University come sede in Italia dell'università di Malta, soggetti partecipati dall'università di Malta stessa;
   tra di questi vi è la «Società per la gestione della Link Campus University of Malta – S.p.a.» – in breve «Gestione link s.p.a.», la società attraverso la quale transitano tutti i contratti con i docenti dell'università;
   la Gestione Link SpA risulterebbe agli interroganti destinataria di provvedimenti giudiziali in ragione del mancato pagamento dei propri docenti, provvedimenti che tuttavia la società si rifiuta di eseguire, nonostante gli stessi siano definitivi ed esecutivi;
   mentre la Gestione Link S.p.A. è inadempiente rispetto agli obblighi contrattualmente assunti, la fondazione Link Campus University risulta destinataria di contributi pubblici nell'ambito di programmi cofinanziati con Fondi Strutturali europei per euro 175.374,00 (fonte www.opencoesione.gov.it);
   avvalendosi di due strutture formalmente distinte, la Link Campus University, da un lato, si avvale della collaborazione di docenti e studiosi senza corrispondere compenso alcuno, dall'altro, beneficia di ingenti contributi pubblici della cui destinazione, a questo punto, è lecito dubitare;
   il moltiplicarsi di strutture formative private riconosciute dallo rende un pessimo servizio sia agli studenti che spesso si trovano ad essere iscritti ad «esamifici» inidonei a fornire una reale preparazione al mondo del lavoro, sia allo Stato stesso che vede distolte preziose risorse che dovrebbero essere investite nella formazione pubblica di qualità;
   a quanto si apprende dalla stampa dell'epoca (si veda, per tutti, l'articolo pubblicato il 29 novembre 2011 da Il Fatto Quotidiano, a firma di Marina Boscaino, intitolato «Il colpo di coda di Mariastella») l'ex Ministro dell'istruzione, onorevole Mariastella Gelmini, avrebbe riconosciuto nell'ottobre del 2011 la Link Campus University come università italiana non statale senza la necessaria ispezione e approvazione dell'Anvur, Agenzia nazionale di valutazione delle università e dei Comitati regionali di coordinamento;
   la decisione del Ministro avvenne ad avviso degli interroganti in una situazione censurabile quantomeno sotto il profilo dell'opportunità, considerato che il presidente della riconoscenda Link Campus University, onorevole Vincenzo Scotti, era collega di Governo dello stesso Ministro Gelmini in qualità di Sottosegretario agli affari esteri (si dimetterà l'8 novembre 2011) –:
   quali iniziative e provvedimenti i Ministri interrogati intendano adottare per impedire il protrarsi della situazione illustrata, anche rispetto all'ipotesi di abusi nella gestione di contributi di origine comunitaria, e se intendano richiamare formalmente, per il tramite degli organi preposti, la Link Campus University al pagamento dei propri docenti, astenendosi da iniziative che possano pregiudicare il soddisfacimento delle pretese creditorie dagli stessi vantate;
   se non intendano procedere, in autotutela, ad una attenta revisione dell’iter autorizzativo che ha portato al riconoscimento di Link Campus University quale università non statale dell'ordinamento universitario italiano nonché alla persistenza dei requisiti necessari e presupposti al riconoscimento medesimo;
   se, vista la penuria di risorse pubbliche destinate complessivamente al sistema universitario, non si intenda procedere, anche al fine di garantire più elevati standard formativi ai futuri discenti, attraverso l'adozione degli atti di competenza, ad una generale revisione dei criteri e parametri necessari e sufficienti affinché sia diminuito il numero delle strutture private riconosciute quali università non statali dell'ordinamento universitario italiano. (4-01320)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia battuta dalle agenzie di stampa del 16 luglio 2013 quella delle dichiarazioni del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Enrico Giovannini, in merito ai dati Inps 2013 che registrano un disavanzo di 9 miliardi, secondo il quale trattasi di «squilibrio puramente finanziario», perché «la riforma ha messo in sicurezza i conti nel lungo termine»;
   tale disavanzo è dovuto all'accorpamento della gestione dei dipendenti pubblici ex Inpdap all'Inps, che pone ora a serio rischio le pensioni dei lavoratori del settore privato;
   si stima infatti che l'istituto possa pagare le pensioni sino al 2015, poi le casse saranno vuote e l'Inps al collasso;
   è inammissibile che errate scelte politiche di accorpamenti azzardati impediscano ai futuri pensionandi italiani di avere ciò che gli spetta di diritto dopo una vita di sacrifici e di contributi versati –:
   se ed in che termini il Governo si stia adoperando per ripianare il buco ex Inpdap e salvaguardare al contempo la pensione degli italiani. (5-00640)


   PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   domenica, 14 luglio 2013, a notte fonda, quattro ragazzi sono stati aggrediti da un gruppo di uomini: sono stati circondati, e, in luogo isolato, col favore del buio, sono stati ripetutamente colpiti con calci, pugni e cinghiate;
   quando sono stati trovati, e portati all'ospedale, si è potuto constatare come in particolare i colpi inferti con la cinghia abbiano causato ferite tali da imporre venti giorni di prognosi;
   il tutto, è avvenuto nel Parco del Valentino, luogo noto storicamente a Torino per essere il parco degli innamorati, il parco delle famiglie, il luogo di migliaia e migliaia di passeggiate lungo il fiume;
   oltre alla violenza, di per sé sempre odiosa, è la motivazione che ha scatenato questo assalto che ci deve indurre ad un momento di riflessione;
   i ragazzi hanno raccontato di essere stati inseguiti dai loro aggressori, che, tirando loro oggetti, gridavano alla loro volta tutto quel campionario di insulti che la fantasia umana è riuscita ad inventare per definire in modo negativo le persone omosessuali;
   l'aggressione, deliberata, è avvenuta infatti al termine di una festa organizzata nel Parco, in un locale pubblico, nel corso della quale era prevista l'elezione di mister Gay Piemonte;
   non si devono mai sottovalutare questi episodi, che sono piccoli segnali di crepe ancora profonde nella nostra società: il pregiudizio, la discriminazione, la violenza verbale e poi anche fisica;
   non sarà una legge a far scomparire la violenza e il pregiudizio, ma sarà invece una legge a potere fare comprendere che il livello di attenzione da parte dello Stato è alto, e che, se è vero che ogni violenza va messa al bando, è ancor più vero che la discriminazione la rende ancora più odiosa;
   inoltre, potrà e dovrà essere una legge a mettere in chiaro che la discriminazione e il pregiudizio hanno tanti volti, non sempre facilmente riconoscibili, e che a volte, una parola, un atteggiamento, possono essere anche più taglienti e dolorose di una cinghia, come quella usata dai delinquenti di cui si parlava prima –:
   quali intendimenti abbia il Governo in merito alla lotta contro l'omofobia, con particolare riferimento ai provvedimenti legislativi contro l'omofobia, di cui già le Commissioni competenti si stanno occupando, ma anche rispetto ad un Piano nazionale di azioni di prevenzione e informazione da approntare e promuovere in tempi rapidi in collaborazione con scuole e associazioni. (5-00641)


   DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   RetItalia internazionale è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è interamente posseduto dall'ex Istituto nazionale per il commercio estero (ICE) attualmente Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane (Agenzia ICE);
   da più di trentacinque anni tale società svolge funzioni di supporto del ruolo istituzionale dell'ICE (analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'ICE, fornitura di assistenza qualificata al personale dell'ICE e alle piccole e medie imprese italiane) e il carattere strategico delle funzioni che svolge è stato confermato dall'assegnazione, da parte del Ministro dello sviluppo economico, nel giugno 2011, del progetto portale «made in Italy» (un sistema di commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale) e, nell'aprile 2012, del progetto «International trade hub-Italia», (un portale sponsorizzato dal «Tavolo strategico nazionale per la trade facilitation» che consente alle imprese italiane di accedere da un unico punto a tutti i processi relativi all'internazionalizzazione);
   dal maggio 2012 la società versa in gravi difficoltà economiche in conseguenza della riduzione delle commesse affidate a RetItalia che ha portato a una riformulazione del contratto in essere con l'Agenzia ICE e a quanto risulta all'interrogante al conseguente dimezzamento del bilancio della società;
   ciò ha portato l'amministrazione della società a ricorrere alla cassa integrazione ordinaria e, da maggio 2013, alla cassa integrazione a zero ore per la totalità del personale, riservandosi di richiamare il personale in relazione alla necessità del momento;
   va precisato che tale situazione si è determinata perché a ottobre 2012, a seguito del decreto cosiddetto della «spending review», il Ministero dello sviluppo economico ha dato indicazione di provvedere all'alienazione di RetItalia internazionale e ha posto come prerequisito una severa ristrutturazione della società, che attualmente occupa 67 lavoratori, un dirigente e un direttore generale, al fine di renderla appetibile per il mercato;
   in data 30 aprile 2013, si è svolto l'esame congiunto finalizzato al completamento della richiesta di cassa integrazione straordinaria avviata dalla società RetItalia internazionale spa nei confronti dei 67 lavoratori operativi presso l'unità produttiva di Roma, in occasione del quale non si è giunti ad alcuna comune intesa, ma che ha previsto la sospensione a zero ore dei lavoratori senza rotazione;
   la mancata intesa sulla cassa integrazione straordinaria (attivata dal 6 maggio 2013), considerata la particolare situazione di crisi della società, ha determinato che RetItalia non ha l'obbligo di anticipare ai lavoratori il trattamento di cassa integrazione straordinaria con gravissime conseguenze economiche per i lavoratori;
   i lavoratori di RetItalia internazionale rischiano a breve il licenziamento, con l'inevitabile dispersione delle professionalità e del patrimonio di conoscenze, soprattutto informatiche, che essi hanno accumulato e messo al servizio della pubblica amministrazione in molti anni;
   la decisione di avviare le procedure di alienazione, tra l'altro non supportata da pareri degli organi competenti e del Ministero dello sviluppo economico, non risponde alle finalità della spending review;
   l'alienazione della società è stata disposta dall'Ice-Agenzia nonostante l'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 preveda che le disposizioni da esso previste (che prevedono l'alienazione delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni) non si applichino «alle società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica, (...) quelle che gestiscono banche dati strategiche per il conseguimento di obiettivi economico-finanziari, individuate, in relazione alle esigenze di tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati». Nella fattispecie ben si descrivono le attività e le funzioni svolte di RetItalia, considerando i progetti ad essa affidati dal Ministero dello sviluppo economico negli ultimi anni;
   a tal riguardo, nella delibera con cui l'Agenzia-ICE ha disposto la vendita di RetItalia (036/13 del 22 gennaio 2013), viene al contrario attestato — in maniera del tutto limitativa — che il mantenimento in house della società «si ritiene non percorribile poiché la società RetItalia internazionale spa risulta essere una società strumentale dell'ex-Ice con il compito di gestire e manutenere il sistema informativo dell'Istituto e curare la realizzazione dei software utilizzati dallo stesso per la propria operatività». Con tali asserzioni sono state ridimensionate in maniera vistosa le attività, le funzioni e la pregnanza operativa di RetItalia;
   il Governo nella passata legislatura ha accolto tre ordini del giorno (ODG 9/5626/33; ODG 9/5626/87 Siragusa; ODG 9/5534-bis-B/36) che chiedevano di procedere all'integrazione di RetItalia internazionale nella struttura della pubblica amministrazione, al fine di salvaguardare gli investimenti fatti, capitalizzare le risorse e le conoscenze professionali disponibili, nonché per consentire un risparmio economico (in particolare un risparmio immediato dell'IVA che l'ente paga per i servizi forniti);
   l'integrazione di RetItalia nella pubblica amministrazione risulta la soluzione più economica e meno rischiosa per l'integrità del patrimonio informativo messo a disposizione non solo dell'Agenzia ICE nel corso degli anni e per la salvaguardia dei posti di lavoro degli impiegati della società –:
   quali misure il Ministro interrogato intenda adottare, anche di natura legislativa, per salvaguardare il posto di lavoro dei 67 lavoratori di RetItalia internazionale e salvaguardare il patrimonio tecnico e il know how della società. (5-00650)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 4 giugno 2013, il territorio della provincia di Crotone, e in particolare i comuni di Carfizzi, Casabona, Crotone, Cirò, Cirò Marina, Melissa, Pallagorio, Rocca Di Neto, Scandale San Nicola dell'alto Santa Severina, Strongoli, Umbriatico e Verzino, è stato interessato da una calamità naturale consistente in una improvvisa perturbazione atmosferica che ha provocato una forte e significativa grandinata, che ha prodotto ingenti danni al territorio e in modo specifico a tutto il settore agricolo. Segnatamente hanno subito danni i comparti viticolo, olivicolo, cerealicolo e ortofrutticolo;
   la straordinaria perturbazione che ha provocato l'evento calamitoso ha trovato una vasta eco nella stampa locale, regionale e nazionale, che ha diffuso circostanziate notizie e dettagliati danni alle colture agricole;
   sono stati distrutti con la suddetta grandinata interi campi orticoli e cerealicoli, vigneti e uliveti con pesantissime perdite nella produzione lorda vendibile in stato di maturazione avanzato in particolare di angurie, mini angurie, pomodori, meloni, melanzane e cereali, uve e olive, interessando un'area di circa 250-300 ettari;
   si è trattato di una grandinata della durata di circa 30 minuti e dall'effetto devastante. I chicchi di grandine, infatti, sono risultati particolarmente consistenti e con una elevata intensità;
   l'inattesa e violenta calamità atmosferica ha determinato danni ingenti che hanno pregiudicato una serie di importanti colture autoctone in un settore, già alle prese con una crisi generale di cui non si vede ancora la via d'uscita;
   i sindaci dei comuni interessati dal grave evento naturale hanno chiesto con forza che venga attivata la procedura per la dichiarazione dello stato di calamità e la conseguente assegnazione di adeguate risorse finanziarie per intervenire nei territori colpiti a sostegno del reddito degli agricoltori;
   la provincia di Crotone si è già attivata convocando una riunione con tutte le associazioni di categoria e con gli stessi agricoltori danneggiati, e dopo una opportuna verifica effettuata dai funzionari della provincia del settore che hanno accertato gli ingenti danni subiti dagli agricoltori, ha chiesto alla regione Calabria, atteso che vi sono tutti i presupposti e le condizioni, di dichiarare lo stato di crisi per calamità naturale –:
   se il Ministro interrogato, in considerazione della gravità e straordinarietà dell'accaduto, e in deroga alle previsioni del Fondo di solidarietà per le assicurazioni, non ritenga opportuno proclamare in tempi rapidi lo stato di calamità naturale nei territori maggiormente colpiti e permettere l'assegnazione di risorse straordinarie per fronteggiare la situazione di emergenza provocata dalla grandinata e per risarcire i danni subiti dagli agricoltori riguardanti colture e cose;
   se il Ministro interrogato, al di là della situazione di emergenza dei settori colpiti dalla calamità naturale, non intenda affrontare i problemi strutturali del settore, attivandosi per aprire un tavolo di concertazione che riunisca tutti gli operatori delle filiere vitivinicola, olivicola, cerealicola e ortofrutticola ed i sindaci dei comuni interessati, anche in considerazione delle gravi ripercussioni economiche sui produttori dei comprensori interessati che già soffrono le conseguenze del difficile periodo di crisi che il nostro Paese sta attraversando (5-00642)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   nonostante la smentita di Enrico Bondi, in merito alla relazione inviata dallo stesso all'attenzione del Presidente della regione Puglia nella quale si riportava lo studio commissionato dall'ILVA sulle cause che avrebbero determinato l'alta incidenza di tumori nel territorio circostante lo stabilimento, appare in tutta la sua evidenza il superficiale approccio da parte dello stesso commissario sul grave disastro ambientale provocato dalla fabbrica siderurgica;
   la sua nomina a commissario, dopo aver ricoperto la carica di amministratore delegato dell'ILVA, aveva già creato molti dubbi, e adesso, secondo gli interpellanti, questa infelice sortita li rende ancora più pesanti e oggettivi;
   è sconcertante, infatti, che si affronti la drammaticità dell'inquinamento e dei relativi danni ambientali e sanitari, prodotti dalla fabbrica siderurgica che ha provocato gravi malattie e numerosi decessi, partendo da simili presupposti;
   in tal senso appare già «indirizzato» il possibile piano di risanamento ambientale dell'ILVA che dovrebbe tenere conto sia dei rischi ambientali che di quelli sanitari, accrescendo, di fatto, i dubbi presenti nelle popolazioni locali e in chi, in tutti questi anni, si è battuto per la difesa della salute pubblica;
   tale affermazione plateale ha messo scarsamente in evidenza un'altra dichiarazione altrettanto allarmante, da parte del commissario Bondi, nella quale contesta la legge regionale della Puglia sulla valutazione del danno sanitario, in merito all'incidenza dell'inquinamento dei grandi poli industriali sulla salute delle popolazioni locali;
   più specificatamente lo stesso ha dichiarato che «il rapporto sulla valutazione del danno sanitario si sovrappone ad altre valutazioni della stessa materia attribuite ad autorità di vigilanza nazionali previste dalla legge statale sia in sede di disciplina generale, sia in relazione alle norme recentemente dettate specificatamente per lo stabilimento Ilva», negando conseguentemente la possibilità di studi approfonditi sugli effetti delle attività industriali;
   se a ciò si aggiunge il rifiuto espresso dal Governo e dalla sua maggioranza di rendere più assidui i controlli sui livelli di inquinamento la situazione appare ancora più preoccupante;
   tutto ciò rischia di essere quantomeno improprio, stante la richiesta, da parte della Commissione dell'Unione europea, di ulteriori documenti per approfondire la questione ILVA, con il rischio concreto che, ancora una volta, il nostro Paese sia additato come insolvente rispetto alla sicurezza sanitaria ed ambientale –:
   come intenda il Governo porsi nei confronti del commissario dell'ILVA, Enrico Bondi, alla luce delle considerazioni espresse in premessa, tenuto conto che lo stesso non può limitarsi ad assumere il ruolo del semplice «passacarte» in merito all'invio della suddetta documentazione e che non può non assumersi le sue oggettive responsabilità in merito a quanto successo;
   se e come si intenda mettere fine a quello che appare agli interpellanti come un vero e proprio «balletto» di responsabilità e mettere al centro della questione, una volta per tutte, la sicurezza e la salute dei cittadini di Taranto e dei lavoratori dell'impianto siderurgico e la difesa del territorio circostante già fortemente penalizzato.
(2-00152) «Labriola, Furnari, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NASTRI. — Al Ministro della salute, Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della «Città della Salute e della Scienza di Novara», s'inserisce all'interno di una serie di prospettive strategiche previste dall'accordo Stato-Regione nel settore sanitario con riferimento ai poli territoriali già dotati di una pluralità di risorse da potenziare in materia di servizi della salute;
   la città di Novara oltre a Torino, costituisce infatti un centro primario in Piemonte che corrisponde ad un insieme di requisiti favorevoli indicati da una programmazione economica, territoriale e di settore, le cui integrazioni di risorse che costituiscono la base necessaria dell'intero progetto inteso come motore di sviluppo e di crescita economica per il territorio piemontese, mirano al completamento della struttura all'interno di un più ampio disegno del distretto medicale finalizzato a perseguire una serie di obiettivi;
   la relazione sulla fattibilità e sostenibilità economica della realizzazione della «Città della Salute e della Scienza di Novara» predisposta dall'azienda ospedaliero – universitaria Maggiore della Carità di Novara, rileva che l'esecuzione del complesso ospedaliero è concretamente possibile in quanto coerente sia con i requisiti territoriali della localizzazione, che consentono attrezzature con le dimensioni previste dal Piano sanitario regionale, che della sostenibilità economico-finanziaria di tale intervento;
   il suesposto piano di fattibilità rileva inoltre una serie di articolate elencazioni nell'ambito del piano economico-finanziario che indica le risorse finanziarie disponibili e quelle che si rendono ulteriormente necessarie per il completamento dell'opera infrastrutturale;
   le considerazioni conclusive emerse dalla suindicata relazione, evidenziano infine che sebbene il progetto sia nel complesso realizzabile e sostenibile ipotizzando anche il ricorso alla finanza di progetto e contratti di mutuo, necessitano tuttavia di un intervento pubblico indispensabile per il perfezionamento della struttura e consentire l'avvio dell'attività;
   l'interrogante segnala inoltre che contestualmente al suddetto progetto, sono state approvate la variante urbanistica che individua l'area per il nuovo nosocomio, nella periferia sud della città di Novara, le linee guida per il progetto di bonifica della zona e il cosiddetto «piano scavi»;
   la quota di finanziamento di parte statale, con riferimento al quadro economico dell'opera, dei fondi previsti ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988, ammonta a 150 milioni di euro;
   tra gli accordi di programma da sottoscrivere ancora, tra il Ministero della salute e la regione Piemonte, risulterebbero tuttora disponibili risorse pari a 377.645.413,69 euro, di cui 351.861.597,24 assegnate con delibere del Cipe, rispettivamente n. 97 e n. 98 del 18 dicembre 2008;
   secondo quanto risulta all'interrogante, la regione Piemonte intende destinare la quota di 377.645.413,69 euro per la costruzione della «città della salute e della scienza» di Novara e di Torino;
   l’iter procedurale relativo alla «città della salute e della scienza» di Novara, prevede che entro i prossimi sei mesi, sia effettuata l'espropriazione dei terreni su cui insisterà l'opera infrastrutturale, la bonifica dei terreni e la redazione del progetto definitivo;
   essendo differente lo stato di avanzamento delle procedure relative alle opere precedentemente riportate, occorre evidenziare a giudizio dell'interrogante, l'esigenza di poter attingere, in tempi brevi, a quella parte dei fondi destinati alla città della salute e della scienza di Novara –:
   se non intendano confermare, nell'ambito delle rispettive competenze, che le risorse ammontanti a 377.645.413,69 euro siano ancora disponibili per la sottoscrizione degli accordi di programma con la regione Piemonte;
   se non intendano altresì confermare, nell'ambito delle rispettive competenze, che i predetti accordi di programma possano essere sottoscritti con la regione Piemonte, in fasi cronologicamente diverse, in relazione al diverso stato di attuazione delle procedure relative alla costruzione della «città della salute e della scienza» di Novara e di Torino. (5-00647)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIONDELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione della giunta regionale 14 marzo 2013, n. 6-5519 pubblicata sul BURP n. 12 del 21 marzo 2013, recante «Programmazione sanitaria regionale. Interventi di revisione della rete ospedaliera piemontese, in applicazione della DCR n. 167-14087 del 3 aprile 2012 (P.S.S.R. 2012-2015)», si dispone la disattivazione del punto nascite di Carmagnola entro il 30 giugno 2013;
   il punto nascite del nosocomio di Carmagnola, ha nel corso degli ultimi anni sempre superato la quota minima indicata nella delibera n. 6-5519 per il mantenimento della struttura, ossia i 500 parti/anno e solo nell'anno 2011, il punto nascite in questione ha avuto meno di 500 parti annui dovuto alla chiusura temporanea del punto nascita per tre mesi (luglio/settembre) voluto dalla dirigenza aziendale con la motivazione del risparmio economico. Nonostante questa chiusura e l'effetto traino protrattosi nei primi mesi dell'anno successivo, subito c’è stata una ripresa oltre i 500 parti, tanto che la media dei parti degli ultimi anni si attesta a 663,2 parti/anno;
   sulla base del documento della Conferenza Stato-regioni del 16 dicembre 2010, principale documento di riferimento, si deduce che il punto nascita di Carmagnola è un'unità operativa ostetrica di primo livello, compresa fra i 500 e i 1.000 parti e, quindi, idonea per i parti fisiologici e inserita in un contesto integrato con altri servizi per le urgenze;
   in tutto il territorio della regione Piemonte vi sono altri 8 punti nascita nelle stesse condizioni di Carmagnola, se non addirittura con un numero di parti inferiori a 500 che non verranno disattivati;
   il punto nascite del nosocomio di Carmagnola, è da sempre stato utilizzato non solo dalle gestanti del comune di Carmagnola e dei comuni limitrofi quali Lombriasco, Casalgrasso, Pancalieri, Virle, Osasio, Piobesi Torinese, Vinovo, Carignano, Vilastellone, Santena, Racconigi, Caramagna, Ceresole d'Alba, e altri, ma anche da alcune gestanti di Torino;
   infine è importante ricordare che i lavori di ristrutturazione ed ammodernamento della parte storica e la costruzione della nuova Piastra dei servizi collegata, che rendono questo ospedale una delle strutture più a norma di tutto il territorio piemontese con reparti umanizzati, disponibilità di spazi e possibilità di sviluppo, sono iniziati nel 1999 e terminati nel 2011 con la consegna della nuova Pediatria, dopo un intervento di 400.000 euro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione che si è venuta a creare con la chiusura del punto nascita dell'ospedale San Lorenzo di Carmagnola e se il Ministro, pur nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, non ritenga opportuno intervenire urgentemente al fine di assicurare i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute previsto dall'articolo 32 della nostra Costituzione anche in questa parte del territorio nazionale così come avviene nel resto dell'Italia, anche considerato il fatto che la regione Piemonte è soggetta al piano di rientro dal deficit sanitario.
(4-01296)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   La stampa locale calabrese riporta che a breve chiuderà il centro regionale per la cura della fibrosi cistica dell'ospedale di Soverato;
   anche il reparto di pediatria dello stesso ospedale seguirà la stessa sorte;
   la sanità ospedaliera del territorio di Soverato, privandosi di questi servizi essenziali, soprattutto ne, mesi estivi quando la popolazione tra residenti e turisti aumenta in maniera considerevole diventerebbe particolarmente precaria e inefficace, con gravissime ripercussioni sulla popolazione;
   il grave disagio verrà arrecato soprattutto ai bambini di Soverato, Guardavalle, Serra San Bruno Chiaravalle, Stilo, Montepaone, Gasperina, Bivongi e di altre località di quel vasto territorio;
   il reparto di pediatria è sempre stato il fiore all'occhiello dell'ospedale di Soverato e la contestata chiusura comporterà certamente fortissimi disagi all'utenza non solo locale ma anche turistica del territorio, a cui il presidio fa riferimento;
   l'eventuale delocalizzazione dei due reparti comprometterà esclusivamente la qualità del servizio che, grazie all'impegno e alla professionalità del personale medico e infermieristico, ha finora fatto registrare significativi e lusinghieri giudizi positivi;
   la chiusura di questi essenziali servizi nel contesto dell'offerta della struttura ospedaliera comporterà un deterioramento qualitativo di un sistema sanitario i cui disservizi mettono sempre più a rischio la salute dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle possibili conseguenze che potrebbero derivare sui livelli essenziali di esistenza dalla chiusura del Centro regionale per la cura della fibrosi cistica e del reparto di pediatria dell'ospedale di Soverato considerati i disagi che verrebbero arrecati ai cittadini, ed in particolare ai bambini di quell'area, e quali iniziative intenda adottare anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro del deficit sanitario al fine di assicurare alle comunità interessate il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare all'assistenza medica ed alla cura dei bambini. (4-01303)


   PIAZZONI, NICCHI, DI SALVO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, FRATOIANNI e PANNARALE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 25 marzo 2013, n. 24, così come convertito dalla legge 23 maggio 2013, n. 57, ha stabilito — al comma 1, lettera b), dell'articolo 1 — che la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari debba avvenire a partire dal 1o aprile 2014;
   a tal fine, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano avrebbero dovuto presentare entro il 15 maggio 2013 i programmi che consentissero il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, non solo mediante interventi strutturali, ma anche favorendo la cura e il reinserimento sociale dei degenti, con una loro effettiva presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale;
   in particolare, il comma 1, lettera c), dell'articolo citato, stabilisce che il programma regionale debba prevedere, oltre a interventi strutturali, attività volte a incrementare la realizzazione di percorsi terapeutico-riabilitativi, definendo prioritariamente tempi certi e impegni precisi per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, prevedendo inoltre la dimissione di tutte le persone internate per le quali l'autorità giudiziaria abbia già escluso o escluda la sussistenza della pericolosità sociale, con l'obbligo per le aziende sanitarie locali di presa in carico all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale;
   nella norma è inoltre previsto che il programma regionale deve favorire il ricorso a misure di sicurezza alternative al ricovero in ospedali psichiatrici giudiziari o all'assegnazione a casa di cura e custodia;
   il comma 1, lettera e) del medesimo articolo prevede, altresì, che in caso di mancata presentazione del programma regionale o mancato completamento dello stesso nel termine stabilito, il Governo debba provvedere in via sostitutiva, nominando a tal fine un commissario unico per tutte le regioni per le quali si rendono necessari gli interventi sostitutivi;
   il dettato della norma prevede chiaramente che, alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, non debba far seguito una riproduzione su scala regionale degli stessi, né alcun tipo di soluzione manicomiale territoriale, bensì piccole residenze socio-sanitarie inserite nei contesti sociali, anche di natura transitoria, per un progressivo avvicinamento delle persone ai territori di provenienza, ma soprattutto che sia favorito il loro reinserimento sociale mediante programmi terapeutico-riabilitativi individuali e misure alternative all'internamento, attraverso la presa in carico dei servizi di salute mentale territoriali;
   considerata la mancata presentazione del programma sopra descritto entro il termine stabilito dalla legge di conversione del predetto decreto-legge, la 23 maggio 2013, n. 57, da parte della regione Veneto, la diversa articolazione dei programmi inviati dalle altre regioni al Ministero, nonché i tempi e gli impegni che la legge stessa impone per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, anche alla luce dello stanziamento di risorse in conto capitale, in deroga all'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, per la realizzazione delle finalità del decreto-legge n. 57 del 2013, sarebbe doveroso, ad avviso degli interroganti, un chiarimento al più presto del Ministro interrogato riguardo le iniziative da intraprendere in caso di presentazione di programmi inidonei –:
   se i programmi regionali inoltrati al Ministero contemplino l'utilizzo dei finanziamenti stanziati, non solo per edificare nuove strutture, ma anche per realizzare tutte le previsioni di reinserimento sociale dei degenti tramite potenziamento dei dipartimenti territoriali di salute mentale;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere nel caso in cui i programmi predetti non siano stati presentati o non risultino sufficientemente articolati e idonei a realizzare il complesso delle previsioni normative della legge 23 maggio 2013, n. 57. (4-01309)


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Sottosegretario di Stato alla Salute Paolo Fadda rispondendo lo scorso 4 luglio all'interrogazione n. 5-00511 sul caso verificatosi in Sardegna di morte per malattia di Creutzfeldt-Jakob ha confermato, riportando il comunicato della prefettura di Nuoro, il ricovero presso l'ospedale «San Francesco» di Nuoro il 16 agosto 2012 di una paziente con sintomatologia clinica e segni neurologici per malattia cosiddetta «della mucca pazza»;
   solo in data 21 agosto 2012 si è proceduto all'invio della scheda di sorveglianza solamente all'Istituto superiore di sanità;
   il decreto ministeriale 15 dicembre 1990 «Sistema informativo delle malattie infettive e diffusive» stabilisce, per le malattie di classe I una segnalazione immediata;
   l'articolo 1 dell'ordinanza del 12 febbraio 2001 prevede che, la malattia di Creutzfeldt-Jakob e le sindromi e varianti ad essa correlate siano incluse nell'elenco, di cui al decreto ministeriale 15 dicembre 1990, delle malattie di classe I infettive diffusive che danno luogo a particolari misure di sanità pubblica;
   per tale tipo di malattia e per le sindromi correlate l'allegato 1 dell'Ordinanza di cui sopra, prevede che il caso, anche se sospetto, sia segnalato entro 12 ore e che la relativa scheda di sorveglianza sia inviata contemporaneamente (allegato 2 del decreto ministeriale 21 dicembre 2001 e allegato 1 dell'ordinanza ministeriale 12 febbraio 2001) al Ministero della salute, all'azienda sanitaria locale, all'assessorato alla sanità della regione o provincia autonoma e all'istituto superiore di sanità;
   la stessa negligenza nell'osservanza delle prescrizioni di legge si è avuta anche con riferimento ai riscontri diagnostici le cui informazioni ed esiti non sono stati trasmessi agli organi previsti;
   il secondo esame del «liquor», sempre secondo la comunicazione della prefettura, ha dato esito positivo per la proteina 14-3-3, suggestiva per la diagnosi della malattia e anche se la certezza diagnostica si può avere solo dopo aver eseguito l'esame autoptico, per il quale i famigliari della paziente deceduta non hanno dato l'autorizzazione, si deve smentire la precisazione della direttrice dell'Asl di Nuoro, in quanto si tratta proprio di una morte sospetta per variante di Creutzfeldt-Jakob in altre parole variante nota come «malattia della mucca pazza» per utilizzare la stessa terminologia della direttrice;
   altra mancanza, rilevata sempre dall'esame del documento della prefettura, riguarda all'interrogante la mancata comunicazione alle autorità sanitarie veterinarie del sospetto di malattia le quali avrebbero dovuto procedere alle opportune verifiche dal momento che tale variante si contrae solo a seguito dell'assunzione di carni bovine;
   in base alle considerazioni sopra esposte si deve dissentire dall'affermazione del Sottosegretario di Stato alla salute il quale afferma a conclusione della risposta all'atto di sindacato ispettivo: «Dalla documentazione pervenuta, emerge un quadro rassicurante sul rispetto delle norme e del sistema di controlli attualmente vigente»;
   il 14 luglio 2013 una segnalazione arrivata al corpo forestale faceva rinvenire, in mezzo ai rottami abbandonati nel deposito di uno sfasciacarrozze della zona industriale di Pratosardo in provincia di Nuoro, la carrozzina, il materasso e tutti i presidi sanitari appartenuti alla morta per la variante del morbo della mucca pazza. Gli uomini del corpo forestale hanno provveduto a mettere sotto sequestro tutto il materiale rinvenuto chiedendo al proprietario dell'area di vigilare affinché nessuno da ora in poi si avvicini alla zona recintata, né tantomeno acquisti o tocchi in alcun modo gli oggetti sequestrati. Esiste, infatti, il serio rischio che possano essere ancora contaminati dal morbo. La procura ora ha aperto un fascicolo d'inchiesta per accertare eventuali responsabilità –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere in considerazione di quella che all'interrogante appare una mancata osservanza delle disposizioni contenute nell'articolo 2 del decreto ministeriale 21 dicembre 2001 il quale prevede che deve essere osservato il flusso informativo prescritto nell'allegato 1, essendoci stato un comportamento ad avviso dell'interrogante negligente da parte delle autorità competenti le quali hanno dato comunicazione del caso oltre il tempo massimo previsto. (4-01314)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI, PRODANI, DA VILLA, CRIPPA, FANTINATI, RIZZETTO, DELLA VALLE e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, secondo i dati forniti dalla Fondazione Rosselli, i fondi strutturali affluenti al comparto cultura hanno avuto un peso rilevante sul totale delle risorse nazionali: nel settennato in corso l'Italia ha beneficiato di 8,8 milioni di euro da Eurimages, 33,5 dal programma media e 24,6 da quello cultura; nel 2012, dal Fus, sono pervenuti alla cultura 411,4 milioni; dai fondi di coesione 1,3 miliardi;
   con riferimento alla politica di coesione 2007-2013, secondo i dati Open coesione aggiornati al 30 giugno 2012, risultava che le risorse effettivamente allocate fossero circa la metà di quelle stanziate;
   l'analisi delle risorse allocate evidenzia come la distribuzione dei fondi nei documenti di programmazione della politica culturale italiana sia indirizzata principalmente alla tutela del patrimonio culturale;
   nel quadro strategico comune 2014-2020, la cultura viene principalmente legata al turismo e alla necessità di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale;
   il programma Europa creativa dovrebbe consentire alle piccole e medie imprese di accedere più facilmente ai finanziamenti: questi dovrebbe servire per la conversione alle tecnologie digitali, misura ormai necessaria per la riduzione dei costi di produzione e per l'accesso a nuovi mercati;
   la cultura e il turismo sono settori in cui investire urgentemente per rilanciare l'economia italiana;
   l'avvicinarsi del nuovo ciclo di programmazione dei Fondi europei, del quadro strategico comune e del programma Europa Creativa può creare una strategia pubblica di lungo periodo per la cultura e per il turismo;
   il nostro Paese, deve usufruire delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie digitali e dall'innovazione tecnologica per esportare la cultura italiana e attrarre turisti straniera –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   quale sarà la strategia italiana per l'uso dei Fondi che verrà proposta alla Conferenza unificata per l'intesa e successivamente sottoposta all'approvazione del Cipe entro la fine del 2013;
   se il Governo reputi di intervenire urgentemente affinché vengano redatti studi, rapporti, indicatori che forniscano ai tecnici dell'economia una visione forte sul legame tra cultura e sviluppo;
   se il Governo non ritenga opportuno esprimere un modello di politica culturale che benefici la cultura nazionale e l'economia italiana attraverso il turismo;
   se il Governo reputi prioritario investire nel binomio cultura/turismo e impegnarsi ad attrarre il capitale privato per finanziare la promozione turistica della cultura;
   se il Governo non ritenga di dover dettare urgentemente l'agenda politica della cultura e del turismo quale volano per l'economia;
   se il Governo non ritenga necessario di intervenire urgentemente rafforzando l'imprenditorialità dei settori della cultura e del turismo riducendo gli oneri amministrativi per le piccole e medie imprese, che formano una parte consistente dell'industria italiana;
   se il Governo intenda assumere iniziative, anche normative, al fine di garantire i prestiti bancari per agevolare l'accesso ai finanziamenti da parte delle piccole e medie imprese;
   se si intenda sostenere programmi di promozione turistica e diffusione culturale, consentendo alle piccole e medie imprese, attraverso la digitalizzazione dei servizi, l'ampliamento delle esportazioni e il consolidamento dei legami con le altre industrie;
   se il Governo intenda utilizzare i fondi esistenti per accrescere il contributo dato dalla cultura e dal turismo allo sviluppo regionale e locale, sia nelle zone urbane che in quelle rurali. (5-00639)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la recente legge n. 4 del 2013 disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi;
   accanto alle professioni «ordinistiche» (o «protette») si sono sviluppate, anche nel nostro Paese e con intensità crescente nel corso degli ultimi anni, numerose professioni che non hanno ottenuto il riconoscimento legislativo e che nella quasi totalità dei casi hanno dato vita ad autonome associazioni professionali rappresentative di tipo privatistico;
   tra le professioni non regolamentate rientra senz'altro quella degli archeologi;
   la legge n. 4 del 2013 presenta tuttavia dei punti poco chiari che sono fonte di preoccupazione per alcune associazioni professionali in particolare per la Associazione nazionale archeologi;
   l'articolo 1, comma 2, della predetta legge prevede che «Ai fini della presente legge, per professione non organizzata in ordini o collegi, di seguito denominata professione, si intende l'attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell'articolo 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative;
   l'articolo 95, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ha previsto l'istituzione presso il Ministero per i beni e le attività culturali di un apposito elenco degli istituti e dei dipartimenti archeologici universitari nonché dei soggetti in possesso della necessaria qualificazione per lo svolgimento delle attività di indagine archeologica preliminare (cosiddetta «Verifica preventiva dell'interesse archeologico di aree ed immobili»);
   l'aspetto innovativo della suddetta disciplina normativa è dato dall'anticipazione delle indagini archeologiche preventive, volte a evidenziare la potenzialità archeologica dell'area oggetto di intervento, alla fase di progettazione preliminare invece che a quella esecutiva;
   tra i soggetti abilitati a svolgere le indagini la legge individua i «dipartimenti archeologici delle università» e i «soggetti in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia», specificando al comma 2 che l'elenco di tali soggetti è tenuto presso la direzione generale del Ministero per i beni e le attività culturali»;
   l'elenco è tenuto dalla direzione generale per i beni archeologici e il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali n. 60 del 2009 ha stabilito caratteristiche e requisiti dell'istituzione di tale elenco. In particolare ha inserito nell'elenco dei soggetti qualificati alle indagini archeologiche «i soggetti in possesso del diploma di laurea e del diploma di specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia»;
   la Circolare ministeriale n. 10 del 15 giugno 2012 chiarisce che l'unico elenco valido a norma di legge a raccogliere i nomi dei soggetti abilitati è quello tenuto presso la direzione generale;
   l'articolo 10, commi 1, 2 e 3 del suddetto decreto ministeriale sembra dare alla direzione generale per i beni archeologici il potere di verifica del possesso dei requisiti del soggetto incaricato di redigere una relazione di verifica archeologica preventiva;
   in tale contesto è intervenuta la legge n. 4 del 2013 sulla regolamentazione delle professioni non organizzate in ordini o collegi e ha previsto l'istituzione di un elenco delle associazioni professionali che raccoglie i professionisti di una determinata categoria e pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico;
   le associazioni professionali contenute in tale elenco sono deputate anche al rilascio dell'eventuale possesso da parte del professionista iscritto della qualificazione e certificazione relativa alla conformità alla norma tecnica UNI;
   dunque dalla normativa vigente sembrerebbe che solo i soggetti iscritti ed abilitati secondo quanto prescritto nell'elenco di cui al decreto n. 60 del 2009 istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali possono svolgere incarichi di archeologia preventiva laddove invece la recente legge n. 4 del 2013 in tema di professioni non regolamentate conferisce alle associazioni professionali iscritte nell'elenco pubblicato presso il Ministero dello sviluppo economico la qualificazione e la certificazione di conformità UNI del professionista;
   la creazione di due elenchi (uno istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali ai sensi dell'articolo 95 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e del conseguente Decreto ministeriale n. 60 del 2009 e l'altro istituito presso il Ministero per lo sviluppo economico ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 4 del 2013) è fonte di incertezza non solo per gli archeologi il cui ruolo e la cui professionalità è fondamentale per la tutela dei nostri numerosissimi beni archeologici ma anche per gli utenti e, in particolare, i soggetti appaltanti (pubblici e privati) che si avvalgono e ricercano tali professionisti ai fini del conferimento di incarichi per l'esecuzione delle cosiddette indagini preliminari archeologiche. Infatti nell'elenco istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali al professionista archeologo sono richiesti determinati requisiti previsti dall'articolo 95 decreto legislativo n. 163 del 2006 laddove la legge n. 4 del 2013 affida alle associazioni professionali iscritte nell'elenco tenuto dal Ministero per lo sviluppo economico la qualificazione e la certificazione della preparazione del professionista;
   l'incertezza e l'ambiguità normativa descritta potrebbe configurare un danno al riconoscimento del ruolo e della professionalità di tutti gli archeologi dal momento che sono le figure professionalmente deputate al delicato compito della partecipazione alla procedure per la verifica preventiva dell'interesse archeologico;
   l'esistenza di due elenchi genera margini di incertezza sulla natura ricognitiva o vincolante dell'elenco degli archeologi iscritti presso l'elenco tenuto dal Ministero per i beni e le attività culturali e a quali archeologi e con quali requisiti spetta la facoltà di eseguire relazioni di indagine archeologica preventiva. Tale situazione necessiterebbe di chiarimenti da parte degli organi interessati;
   a ciò si aggiunga che la recente legge n. 4 del 2013 sulle professioni non regolamentate introduce una procedura di certificazione della professionalità e qualificazione del professionista archeologo basato in buona sostanza su un sistema di certificazione della qualità da parte di organismi di natura privatistica tale da generare il rischio che la procedura di certificazione per l'attività si traduca in un balzello a carico dei professionisti laddove – di fatto – i professionisti archeologi svolgono una funzione fondamentale direttamente connessa a un interesse pubblico costituzionalmente garantito, ovvero la tutela del patrimonio archeologico –:
   se intendano assumere iniziative di tipo normativo/regolamentare per eliminare la descritta incertezza in ordine alla natura dell'iscrizione del professionista nell'elenco di cui all'articolo 95 del decreto legislativo n. 163 del 2006 ai fini dell'assegnazione di incarichi di indagine archeologica preventiva anche alla luce della legge n. 4 del 2013;
   quali iniziative di tipo normativo/regolamentare intendano adottare per rafforzare e normare in maniera chiara il ruolo e la figura dell'archeologo quale professionista che svolge funzioni direttamente connesse a un interesse costituzionalmente garantito e che è chiamato a svolgere la valutazione del rischio di impatto archeologico nella realizzazione di opere pubbliche o private;
   se il Ministro intende chiarire se il professionista non iscritto ad alcuna associazione debba procedere ad una certificazione UNI ai sensi della legge n. 4 del 2013. (4-01300)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore della camperistica vede il proprio principale polo produttivo in Toscana, in particolare nelle zone della Val d'Elsa e della Val di Pesa, identificate con i comuni di Poggibonsi, Colle di Val d'Elsa, Barberino Val d'Elsa, Casole d'Elsa, Monteriggioni, San Gimignano, Tavarnelle Val di Pesa e San Casciano Val di Pesa;
   in questa zona si concentra il 90 per cento della produzione italiana di caravan, assorbendo circa un terzo della produzione europea;
   nel 2007 venne firmato dai sindaci dei comuni sopraindicati assieme alla regione Toscana, alle province di Firenze e Siena, alle maggiori sigle sindacali, alle CCIAA di Firenze e Siena e alle principali associazioni di categoria del mondo produttivo, un protocollo d'intesa che mirava allo sviluppo del settore della camperistica;
   nel suddetto accordo si auspicava che con l'accordo di programma potessero essere definiti con il Ministero dello sviluppo economico, strumenti di finanziamento e leggi di sostegno specifiche finalizzate alla crescita del comparto della camperistica;
   il settore della camperistica rappresenta il 35 per cento dell'economia della Val d'Elsa e che quindi un calo sensibile di questo settore si ripercuote notevolmente sul tessuto economico e soprattutto sociale di questa importante area produttiva toscana;
   dal 2007 al 2011, l'area ha perso oltre 700 posti di lavoro tra diretti ed indotto su un totale di circa 3.000 occupati;
   il portafoglio ordini è diminuito del 50 per cento circa;
   il settore della camperistica nel 2011 aveva generato un fatturato che superava i 600 milioni di euro, sceso sotto quota 500 milioni nel 2012 ed il trend è in calo anche per i 2013;
   nel giro di pochi anni le aziende leader del settore hanno perso oltre il 30 per cento del fatturato, generando una crisi profonda nella zona (dati APC — Associazione produttori di caravan e camper);
   il mercato nazionale presenta una flessione del 50 per cento;
   il calo delle immatricolazioni a settembre 2012 ha subito una flessione del 30 per cento, che secondo i dati dell'European caravan federation (ECF), si sta protraendo anche nel primo quadrimestre del 2013, con un preoccupante calo registrato del 23,5 per cento rispetto all'anno precedente;
   sempre secondo i dati di ECF i nostri maggiori competitors fanno registrare cali nelle immatricolazioni molto meno significativi rispetto al nostro (Germania –5,9 per cento, Francia –8 per cento, UK –8,7 per cento);
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha ritenuto lo scorso anno di non riconoscere formalmente il distretto del camper;
   è in essere un tavolo permanente sui problemi dell'area e del settore;
   propedeutiche al rilancio ed allo sviluppo economico della Val d'Elsa sono le infrastrutture, che nel caso specifico sono scarse e di bassa qualità, come la Firenze-Siena il mancato collegamento su strada veloce tra Poggibonsi e la Versilia, con direttrice Empoli e l'annunciato scalo merci in località La Zambra, nel comune di Barberino Val d'Elsa, che dovrebbe servire proprio ad aumentare la competitività delle imprese –:
   quali atti concreti siano stati portati al vaglio del Ministero dello sviluppo economico in merito agli strumenti di finanziamento e a leggi di sostegno specifiche finalizzate alla crescita del comparto della camperistica, così come previsto nel Protocollo d'Intesa di sui sopra;
   se il Ministero dello sviluppo economico ritenga il comparto della camperistica strategico e meritevole di sostegno economico e legislativo, e quali siano gli interventi che ritiene opportuni mettere in atto per salvaguardare le aziende ed i livelli occupazionali diretti e dell'indotto;
   quali siano gli intendimenti del Ministero in materia di infrastrutture logistiche e viarie utili allo sviluppo economico dei territori interessati, in particolare in riferimento alla situazione della Firenze-Siena, del collegamento Poggibonsi-Empoli e dello scalo merci in località La Zambra, nel comune di Barberino Val d'Elsa;
   quale sia lo stato dell'arte del tavolo permanente sulla crisi della Val d'Elsa ed in particolare sulla camperistica. (4-01304)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Giancarlo Giordano e altri n. 1-00119, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: De Maria, Fabbri, Zampa, Gribaudo, Carlo Galli, Benamati, Bolognesi.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Mariastella Bianchi e altri n. 7-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Oliverio.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mongiello n. 5-00435, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Petitti.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mucci n. 5-00510, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Prodani, Crippa, Fantinati, Da Villa, Rizzetto, Della Valle, Vallascas.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Brunetta n. 4-01206, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 50 del 10 luglio 2013.

   BRUNETTA e MILANATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla tutela della salute rappresenta un bene assoluto e inviolabile garantito dall'articolo 32 della Costituzione, che racchiude una molteplicità di significati e contenuti, tra cui il diritto all'integrità psico-fisica dell'individuo ed un diritto alle prestazioni sanitarie;
   l'istituzione pubblica non è in grado di soddisfare adeguatamente le legittime richieste della collettività, visto il ricorso da parte del legislatore al criterio della partecipazione da parte del legislatore, attraverso il sistema di convenzionamento e accreditamento delle strutture private (legge n. 833 del 1978 e decreto legislativo n. 502 del 1992 recepito, nello specifico dalla regione Veneto, con la legge regionale n. 22 del 16 agosto 2002);
   il sistema di accreditamento delle strutture sanitarie private, se da una parte consente un sistema utile e necessario e produttivo di risparmio per la regione nella complessiva gestione del sistema, dall'altra garantisce ai cittadini la possibilità di scegliere sulla qualità, sulla efficacia e sull'efficienza dei servizi erogati;
   di recente il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 è intervenuto, nell'ottica della riduzione della spesa pubblica (spending review) anche nell'ambito del settore sanitario prevedendo tagli pari allo 0,5 per cento per il 2012, all'1 per cento per il 2013 e al 2 per cento a decorrere dal 2014;
   la giunta regionale del Veneto, in attuazione di quanto previsto dal decreto legge n. 95 del 2012, ha adottato la delibera n. 2621/2012, con la quale sono stati disposti tagli che vanno dal 30 per cento al 70 per cento e che hanno interessato in particolare il settore della sanità privata convenzionata (circa trecento strutture sanitarie), che rappresenta l'1,6 per cento della spesa sanitaria veneta;
   si tratta di un settore che coinvolge circa 6500 persone tra dipendenti e liberi professionisti, con un indotto di circa 4500 lavoratori, per cui i tagli mettono a rischio circa diecimila famiglie;
   tali misure, oltre a colpire, in un momento di grave crisi economico-finanziaria, il comparto della sanità privata accreditata mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro tra professionisti e operatori sanitari, allungano le liste di attesa rendendo più difficoltose per i medici curanti la possibilità di fare diagnosi in tempi ragionevoli e dilatando così i tempi dell'inizio della terapia;
   le strutture sanitarie private accreditate succitate operano da moltissimi anni producendo servizi sanitari di qualità e fanno parte integrante del tessuto economico e sociale del territorio della regione, il che consente al cittadino di fruire di prestazioni sanitarie di elevata qualità, ben distribuite a livello territoriale e con tempi di accesso brevi;
   i recenti tagli alla spesa minano dunque un sistema efficiente, risultato di anni di lavoro e di investimenti in risorse umane e attrezzature di alto livello, nonché la manutenzione e l'aggiornamento di apparecchiature sofisticate e spesso molto costose;
   la delibera regionale 2621/12 comporterà tra l'altro anche un aggravio di lavoro per le strutture pubbliche, con un allungamento dei tempi di attesa nell'erogazione delle prestazioni e un innalzamento dei costi complessivi del Ssr;
   sulla base dell'analisi di 42 indicatori di performance differenziati in 5 sottogruppi, sono stati «esplorati» i sistemi sanità di 34 Stati europei e nel ranking europeo il Sistema sanitario nazionale italiano risulta al 21o posto per la «Qualità» e al 26o posto per la «prevenzione e la qualità»;
   sarebbe opportuno pervenire ad un quadro aggiornato, riferito all'intero territorio nazionale, delle conseguenze derivanti dalle operazioni di contenimento della spesa sul piano del rispetto dei livelli essenziali di assistenza e dei tempi di attesa riguardanti le prestazioni sanitarie –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza e nel rispetto delle prerogative attribuite alle regioni in materia sanitaria dalla normativa vigente, al fine di garantire su tutto il territorio nazionale il godimento del diritto alla salute costituzionalmente sancito e l'applicazione in modo appropriato ed uniforme degli standard minimi qualitativi e quantitativi delle prestazioni sanitarie (LEA), al fine di garantire a tutti i cittadini, a prescindere dalle loro condizioni economiche, il diritto alla salute;
   se non ritenga opportuno procedere ad un monitoraggio degli effetti, in particolare per la regione Veneto, degli interventi di razionalizzazione e contenimento della spesa in termini di salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza e di governo delle liste di attesa. (4-01206)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione De Menech n. 5-00310 del 12 giugno 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-00582 dell'11 luglio 2013;
   interpellanza urgente Vecchio n. 2-00149 del 16 luglio 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Nastri n. 4-00562 del 23 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00647.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta immediata in Assemblea Melilla altri n. 3-00207 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 54 del 16 luglio 2013. Alla pagina 3347, prima colonna, alla riga diciottesima deve leggersi: «MELILLA, ZAN, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro per la coesione» e non «MELILLA. — Al Ministro per la coesione», come stampato.