Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 16 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la legge della Provincia autonoma di Bolzano 20 settembre 2012, n. 15, recante «Istituzione del repertorio toponomastico provinciale e della consulta cartografica provinciale», avrebbe la finalità di redigere un repertorio dei toponimi dell'Alto Adige e regolare l'uso di questi ultimi nella cartografia ufficiale e nella denominazione delle aree e dei luoghi pubblici, nel «rispetto dell'articolo 8, comma 1, punto 2 dello Statuto di autonomia speciale per il Trentino-Alto Adige e per le finalità degli articoli 101 e 102 dello Statuto speciale»;
    l'articolo 8 dello Statuto del Trentino Alto Adige-Südtirol prevede che le province hanno la potestà di emanare norme legislative nella materia «toponomastica, fermo restando l'obbligo della bilinguità nel territorio della Provincia di Bolzano»;
    ai sensi dell'articolo 101 dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige «nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione»;
    l'articolo 99 dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige precisa che «nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana» ed è, dunque, riconosciuta come lingua ufficiale, al pari di quella francese in Valle d'Aosta, con pari diritti tra i diversi gruppi linguistici, come riconosciuto dalla pronuncia della Corte costituzionale, 30 settembre 1983, n. 312;
    analoghi princìpi sono riconosciuti dallo Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige, all'articolo 102, per le «popolazioni ladine e quelle mòchene e cimbre» e, in particolare, all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 574 del 1951 che stabilisce che nelle Valli Ladine può essere usato nella toponomastica locale, oltre all'italiano e al tedesco, anche il ladino;
    la legge provinciale 20 settembre 2012, n. 15, con la quale la Provincia autonoma di Bolzano ha disposto l'istituzione del repertorio toponomastico provinciale e della consulta cartografica provinciale, assolve allo scopo di risolvere, nel rispetto del dettato costituzionale (articoli 3, 6 e 116 della Costituzione), questa materia sicuramente delicata, e rientra nella potestà legislativa primaria attribuita dall'articolo 8, comma due, dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige, alla Provincia autonoma di Bolzano in materia di toponomastica;
    a norma dell'articolo 2, secondo comma, della legge provinciale 20 settembre 2012, n. 15, «le denominazioni sono registrate nelle versioni in lingua tedesca, italiana e ladina, in quanto in uso in ciascuna di tali lingue»;
    la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie – che l'Italia ha firmato il 27 giugno 2000 ma non ancora ratificato – afferma che «il diritto di usare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile, conformemente ai principi contenuti nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite e conformemente allo spirito della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d'Europa (...) coscienti del fatto che la tutela e il promovimento delle lingue regionali o minoritarie nei diversi paesi e regioni d'Europa contribuiscano in modo considerevole a costruire un'Europa fondata sui princìpi della democrazia e della diversità culturale, nell'ambito della sovranità nazionale e dell'integrità territoriale»;
    la Corte costituzionale «ha più volte affermato che la tutela delle minoranze linguistiche costituisce un principio dell'ordinamento costituzionale», con particolare riferimento all'articolo 6 della Costituzione ed ai princìpi di eguaglianza e non discriminazione affermati e ormai consolidati in ripetuti atti internazionali relativi al diritto all'uso delle lingue;
    il 16 novembre 2012, il Consiglio dei ministri ha promosso un giudizio di legittimità costituzionale avverso l'articolo 1, commi 4 e 5, della legge 20 settembre 2012, n. 15, dinanzi alla Corte costituzionale, per violazione degli articoli 1, secondo comma, 101 e 156 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol;
    il precedente accordo «Fitto-Durnwalder», aveva incaricato una commissione, pariteticamente composta da rappresentanti statali e della provincia, l'individuazione delle ipotesi in cui i toponimi dovessero essere riportati nelle due lingue; la commissione aveva già concluso i lavori e aveva affidato ai due rappresentanti politici, il Ministro e il presidente della provincia, la soluzione delle poche questioni ancora controverse,

impegna il Governo:

   come già asserito dal Ministro per gli affari regionali nella replica alla discussione generale, nel ribadire l'atteggiamento del Governo, ad individuare la strada per una soluzione del contenzioso aprendo un ulteriore tavolo che si richiami all'accordo Fitto-Durnwalder e a verificare la possibilità di rifinanziare, con risorse adeguate, la legge 15 dicembre 1999, n. 482, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche»;
   a promuovere l’iter per la ratifica della «Carta europea delle lingue regionali o minoritarie», firmata dall'Italia il 27 giugno 2000.
(1-00144) «Speranza, Brunetta, Dellai, Alfreider, Kronbichler, Marguerettaz».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni il tema del finanziamento della politica e della trasparenza nella gestione economica dei partiti è stato oggetto di un vivace dibattito nel Paese;
    sul tema, da parte della Commissione parlamentare competente, è in corso l'esame di proposte di legge di revisione della normativa; tra queste, una di iniziativa governativa, orientata al passaggio da una contribuzione diretta ad una indiretta di finanziamento pubblico ai partiti politici;
    in attesa del completamento dell’iter legislativo delle proposte di revisione normativa, si ipotizzano provvedimenti temporanei a carattere parziale;
    in particolare, l'opinione pubblica ha sollevato la necessità di sottoporre i partiti politici e i gruppi parlamentari, nonché i gruppi consiliari, a controlli stringenti, onde evitare che le risorse statali siano utilizzate per fini non consoni o addirittura illeciti;
    la necessità di ridurre i costi della politica, come quella di aumentare la trasparenza dei bilanci e della vita democratica dei partiti, è andata di pari passo alla richiesta di vigilare sulle fondazioni politiche che, spesso, diventano il fulcro di importanti approfondimenti, progetti e studi finanziati da rilevanti aziende pubbliche e private e da istituzioni finanziarie, nonché alla volontà di chiarire le modalità con le quali le lobby e i gruppi di pressione intervengono sui rappresentanti politici e sulle formazioni partitiche al fine di condizionarne le scelte;
    per tale motivo, il Governo sta discutendo in questi giorni l'approvazione di un disegno di legge che disciplini l'attività di lobbying, tenuto conto, come dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri, delle modalità di regolamentazione del fenomeno da parte delle legislazioni di altri Paesi europei;
    sul tema del finanziamento pubblico, affrontato in Italia con ritardo, è intervenuta la legge n. 96 del 2012 che, nel dimezzare il fondo precedentemente previsto, ha raccolto le raccomandazioni del Greco (Gruppo di Stati contro la corruzione);
    tale legge produrrà i suoi pieni effetti soltanto dall'esercizio economico in corso. Sussiste ancora, tuttavia, una significativa lacuna normativa in relazione alla regolamentazione delle fondazioni legate alla politica e dell'attività dei gruppi di pressione, invece prevista in tutte le più importanti democrazie europee;
    il finanziamento della politica e la regolamentazione dell'attività di lobbying costituiscono garanzia innanzitutto di indipendenza e democrazia, permettendo che ad accedere alla gestione della cosa pubblica siano tutti i cittadini, a prescindere dalle condizioni reddituali, così come stabilito dalla Costituzione;
    tutti i Paesi europei prevedono forme di finanziamento pubblico della politica, anche in misura superiore rispetto a quella prevista dalla legislazione vigente in Italia;
    il Parlamento europeo a settembre 2013 approverà un regolamento sul finanziamento dei partiti e delle fondazioni politiche europee, rispetto al quale la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera dei deputati, nella XVI legislatura, ha espresso parere favorevole;
    anche il Comitato dei saggi, istituito in data 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella relazione finale sul tema delle riforme, sosteneva che: «il finanziamento pubblico delle attività politiche, in forma adeguata e con verificabilità delle singole spese, costituisce un fattore ineliminabile per la correttezza della competizione democratica e per evitare che le ricchezze private possano condizionare impropriamente l'attività politica»,

impegna il Governo

in luogo di provvedimenti temporanei e parziali e nell'attesa dell'approvazione definitiva di nuove norme sul tema del finanziamento delle attività politiche, nonché in vista della proposta governativa sul tema delle lobby, ad istituire una commissione di studio che approfondisca la materia del finanziamento della politica, del funzionamento e del finanziamento delle fondazioni legate alla politica, nonché dell'attività dei gruppi di pressione, con particolare riguardo a quanto previsto dalla legislazione degli altri Paesi europei, e che presenti una relazione finale al Parlamento entro tre mesi dalla sua istituzione.
(1-00145) «Migliore, Boccadutri, Pilozzi».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia il fenomeno della povertà ha assunto negli ultimi anni dimensioni sempre più preoccupanti. Dall'ultimo rapporto Istat emerge che l'11,1 per cento delle famiglie, pari a 8,2 milioni di individui, versa in condizioni di povertà relativa mentre il 5,2 per cento delle famiglie, per un totale di 3,4 milioni di individui, versa in condizioni di povertà assoluta, ovvero non è in grado di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile;
    da sempre l'aiuto alimentare è il primo intervento che si effettua in ogni percorso di reinserimento sociale;
    in Italia non ci sono mai state politiche sociali organiche per la distribuzione di alimenti agli indigenti e storicamente il sostegno più significativo è sempre pervenuto da organizzazioni non profit che operano in modo capillare sul territorio;
    le organizzazioni non profit utilizzano, per la distribuzione di alimenti agli indigenti, prodotti donati dalle imprese, contribuendo a ridurre sensibilmente gli sprechi alimentari presenti nella produzione e nella distribuzione;
    oltre al recupero degli sprechi alimentari, le organizzazioni caritative distribuiscono gli alimenti messi a disposizione dal Programma di aiuto alimentare agli indigenti (PEAD) della Unione europea. Tali alimenti costituiscono la parte quantitativamente prevalente degli aiuti alimentari complessivamente distribuiti dalle organizzazioni caritative;
    il PEAD è il più importante aiuto pubblico per la distribuzione di alimenti ai poveri ed opera, da oltre 20 anni, nell'ambito della Politica agricola comune (PAC) dell'Unione europea. Esso è attuato in Italia attraverso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Nel 2013 il budget a disposizione dell'Italia è stato di circa 100 milioni di euro;
    a livello operativo in Italia il PEAD è stato gestito con successo da Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) in concorso con la rete nazionale di enti caritativi presenti sul territorio nazionale. Si tratta di un Programma efficiente, trasparente, incisivo e con bassissimi costi di gestione. Nel 2013 le spese amministrative e di stoccaggio incidono per il 2 per cento del budget a disposizione mentre i costi di trasporto incidono per il 4,5 per cento. Per lo stesso anno si prevede un'erogazione di oltre 100.000 tonnellate di prodotti alimentari (di pasta, latte, formaggi, biscotti, polpa di pomodoro, olio di semi, farina, riso, legumi, e altro) attraverso una rete di oltre 15.000 strutture caritative diffuse sul territorio. Negli scorsi anni il Programma è arrivato a raggiungere circa 3,5 milioni di persone. I vantaggi di questo programma sono un elevato grado di conversione in aiuti alimentari dei fondi erogati, una diffusione capillare sul territorio, un elevato numero di persone raggiunte senza alcun processo selettivo in grado di generare esclusione, un'elevata qualità degli aiuti alimentari erogati, una continuità durante tutto l'arco dell'anno (le campagne sono annuali e quindi vengono assicurate forniture che riescono a supportare il bisogno nell'arco dell'anno, senza inopportune pause o concentrazioni);
    a partire dal 2014 questo programma non avrà più luogo per l'indisponibilità di alcuni Stati membri dell'Unione europea a finanziare attraverso la nuova PAC l'acquisto di generi alimentari per scopi sociali. A livello europeo verrà sostituito da un nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) che tuttavia presenta numerose differenze rispetto al precedente programma. Questo nuovo fondo non sarà più inserito nella Politica agricola comune ma nel Fondo sociale europeo, e a livello nazionale farà quindi capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Inoltre, il campo di applicazione della nuova misura prevede maggiori margini di manovra per gli Stati membri, che potrebbero decidere di non proseguire l'attuale programma con le medesime modalità;
    ove il Ministero del lavoro e delle politiche sociali adottasse una decisione in tal senso, non dando seguito al precedente programma con le attuali modalità, si innescherebbe una situazione assai grave. Si avrebbe sicuramente una interruzione nella distribuzione di alimenti agli indigenti. Le organizzazioni caritative vedrebbero vanificata l'opera di fondamentale raccordo tra povertà e società costruita negli anni grazie a decine di migliaia di volontari. Di conseguenza le istituzioni locali verrebbero invase da richieste di sostegno alle quali non sarebbero in grado di rispondere col rischio di incorrere in crescenti tensioni sociali al momento non quantificabili, né per dimensione né per intensità;
    a sostegno della legge n. 155 del 2003 che in 10 anni ha permesso di salvare centinaia di tonnellate di cibo cotto e fresco, il Parlamento aveva istituito lo scorso anno con il decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 un fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari agli indigenti, per aumentare la quota di cibo recuperato nella filiera alimentare, sottraendolo alle varie forme di spreco oggi esistenti. Tale fondo ricade negli ambiti applicativi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le opportune iniziative per ridurre l'ammontare degli sprechi alimentari attraverso un maggior recupero di alimenti da destinare agli indigenti, a tal fine essendo prioritaria l'attivazione del fondo previsto dal decreto-legge n. 83 del 2012 contestualmente alle altre misure ivi indicate;
   ad utilizzare i finanziamenti previsti dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) con le modalità vigenti nell'ambito del Fondo sociale europeo, per assicurare la prosecuzione, senza soluzione di continuità, del programma di distribuzione di alimenti agli indigenti finora svolto da AGEA in concorso con le organizzazioni caritative.
(1-00146) «Catania, Dellai, Santerini, Schirò Planeta, Balduzzi, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, De Mita, Fauttilli, Galgano, Librandi, Matarrese, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Molea, Monchiero, Nesi, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Sberna, Sottanelli, Vargiu, Vitelli».


   La Camera,
   premesso che:
    un riposizionamento strategico delle aree montane passa attraverso diverse e più specifiche politiche per la montagna, nell'ambito di una nuova stagione di rilancio, in grado di svolgere funzioni organiche nel campo dell'assetto idrogeologico, delle energie rinnovabili, dello sviluppo rurale, della biodiversità, e avendo riguardo a un nuovo modello di sviluppo sostenibile e duraturo, fondato su una nuova governance montana che faccia capo ai comuni e alle loro comunità montane;
    all'interno di un quadro siffatto si collocherebbe una nuova e più produttiva forestazione regionale, in particolare campana, che, anche partendo da una rivisitazione della normativa di settore, contempli diverse prospettive e coniughi efficacemente innovazione e produttività, valorizzazione economica e ambientale;
    un sistema forestale multifunzionale, partendo dalla ineludibile necessità di prevenzione del rischio idrogeologico, dalla cura e dalla manutenzione del territorio, dell'ambiente e dei paesaggi montani, deve poter svolgere funzioni gestionali in più ambiti, dalla filiera foresta-legno-arredo alla filiera foresta-legno-energia, dalle biomasse legnose alla produzione dei crediti di carbonio, concorrendo così al conseguimento sia dei parametri europei del pacchetto europeo «clima-energia», conosciuto anche come strategia «20-20-20» sia delle opportunità offerte dalle nuove incentivazioni alla produzione di energia da fonti rinnovabili, anche impegnando le comunità montane, quali titolari di funzioni in materia di energia rinnovabile e patrimonio forestale;
    sarebbe importante incentivare e rilanciare la forestazione con nuove funzioni fondamentali, dare corpo alle tante altre funzioni più tradizionali, che, grazie anche ai lavatori forestali, solo gli enti montani possono continuare a svolgere, come le attività relative alla sentieristica e alla tabellazione, la gestione e la manutenzione dei rifugi montani, la manutenzione degli spazi verdi pubblici, la fruizione dei boschi anche a fini turistici e culturali, il controllo e la vigilanza delle aree forestali, la caccia e la pesca fluviale, il supporto alla gestione degli sportelli autorizzativi per l'utilizzo forestale, la manutenzione e il miglioramento della viabilità locale preordinata anche alla riduzione del rischio incendi, gli interventi tempestivi e qualificati sulle emergenze e le calamità che colpiscono sempre più frequentemente il territorio campano in particolare e, in generale, le aree del sud del Paese;
    con specifico riguardo alle emergenze e alle calamità, oltre alla prevenzione e alla lotta agli incendi, si è consolidata un'esperienza di intervento qualificata, di vera e propria protezione civile montana. Sulle frane e sulle alluvioni, sull'emergenza neve, sugli smottamenti, sulle calamità di diverso tipo, il personale degli enti montani esegue interventi immediati di grande professionalità, con mezzi tecnici e macchine operatrici in alcuni casi d'avanguardia, come quelle in possesso di tutte le comunità montane campane, e sempre più sofisticate;
    realizzare una forestazione nuova e innovativa, con una visione ampia e strategica, proiettata ben oltre i tradizionali parametri dell'intervento forestale, significa saper rispondere efficacemente alle stringenti logiche di mercato in tempi di crisi. Per concorrere a disegnare una nuova forestazione regionale, in particolare campana, e per valorizzare al massimo il ruolo delle zone interne montane e soprattutto le loro potenziali risorse vi è l'esigenza di coinvolgere anche altri settori di competenza regionale;
    per questi specifici fini un ruolo di primo piano è svolto dalla programmazione, dalle politiche e dalle risorse. Il coinvolgimento delle istituzioni regionali competenti è imprescindibile;
    al momento il sistema forestale attuale riesce a pianificare e gestire, con lavori in economia eseguiti dai lavoratori forestali degli enti montani, i grandi progetti di area vasta, avvalendosi delle risorse dei programmi europei – Programma di sviluppo rurale, Programma integrato rurale per le aree protette, Fondo sociale europeo, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, – e nazionali – Fondo per sviluppo e la coesione;
    per costruire un modello innovativo di pianificazione e gestione forestale, che sappia declinare efficacemente i principi della green economy, è necessario partire proprio dalle regioni, trasformando la forestazione tradizionale da un peso insostenibile in una risorsa accessibile. Per la riuscita di questa operazione servono però risorse non soltanto straordinarie ma anche ordinarie, tali sia sotto il profilo della tempistica sia sotto quello delle modalità attuative, e questo perché l'esigenza di continuità nelle azioni di manutenzione del territorio mal si coniuga con risposte di carattere straordinario;
    non si può però prescindere dall'analisi di una situazione attuale grave e critica. Facendo riferimento alla regione Campania, i lavoratori forestali in capo alle sole comunità montane, secondo quanto riportano i dati dell'Unione nazionale comuni comunità enti montani – UNCEM – al 31 dicembre 2012, sono 3949, di cui 2274 a tempo indeterminato, 1575 a tempo determinato e 100 ITI, con 25 prepensionamenti previsti nell'anno 2013. Il costo annuo del piano di forestazione ammonta a circa 85 milioni di euro, se si considerano gli operai a tempo determinato a 151 giornate e se si includono anche le spese per l'esercizio della delega. Mancano all'appello, nei due anni di grave crisi, 2011 e 2012, oltre 25 milioni di euro di risorse non stanziate, né reperite altrimenti dalla regione Campania, già impegnate dalle comunità montane ma non ancora erogate, a danno di circa 4000 operai forestali e delle loro famiglie. Nel 2012 sono stati stanziati 60 milioni di euro di fondi Fondo per sviluppo la e coesione delibera CIPE n. 87 del 2012 – lasciando scoperti i mesi antecedenti ad agosto e dimezzando l'impiego degli operai a tempo determinato. Nel 2013 risultano stanziati altri 60 milioni di euro sui fondi PAC, che dovrebbero consentire la copertura dei costi relativi agli operai a tempo indeterminato solo se posti in cassa integrazione per almeno 70 giornate lavorative, e degli operai a tempo determinato con al massimo 101 giornate lavorative. Il vero problema è la liquidità disponibile, giacché se non vengono erogate le risorse, gli enti delegati non possono corrispondere i salari agli operai che ancora li attendono, in molti casi, anche da 14 mesi. Occorrerebbe alleggerire e semplificare le modalità di rendiconto e disporre di più elevate anticipazioni;
    per far uscire questo vitale settore dalla crisi che lo attanaglia da oltre tre anni servirebbe superare nell'anno in corso l'emergenza. Occorrerebbe attivare le risorse ordinarie, favorire i prepensionamenti, aumentare, l'impiego lavorativo degli operai a tempo determinato, anche mantenendo il blocco del turn-over. La stabilità del settore e la sua occupazione, la valorizzazione della professionalità degli addetti, anche attraverso un piano di formazione professionale, devono rappresentare gli obiettivi della nuova forestazione sganciata da logiche assistenziali, ma ancorata alla vera produttività economica e sociale. Bisogna superare l'idea, perversa e strumentale, del lavoro forestale inteso come un grande ammortizzatore sociale, per riaffermare invece il territorio quale grande risorsa strategica per lo sviluppo e la competitività, in una visione di sistema che sappia saldare le attività di salvaguardia dei territori con tutte le opportunità connesse all'ambiente e al paesaggio, alla montagna e al bosco;
    centrale resta il ruolo della nuova forestazione, intesa non solo come salvaguardia ambientale, ma anche come una grande risorsa economica e sociale per tutta la montagna. Si sono venuti a delineare una nuova figura e un nuovo status dei lavoratori forestali, recepiti anche nell'ultimo CCNL nazionale e nei relativi contratti regionali. Nell'ambito della contrattazione collettiva sono presenti norme che consentono sia di impiegare i lavoratori in un'ottica sempre più produttiva e di mercato, pronta a interagire con nuovi programmi di forestazione e con gli interventi integrati di difesa del suolo, ma soprattutto, di passare ad un'economia sempre più vitale, di sviluppo sostenibile, capace di generare risorse aggiuntive per gli enti montani;
    accanto alla programmazione comunitaria occorre garantire risorse ordinarie, per assicurare agli enti coinvolti di svolgere e gestire le funzioni e i tanti servizi associati, in sintesi per continuare a garantire dignità alle comunità di montagna. Funzioni e servizi esercitati in molte realtà senza alcun corrispettivo economico e troppo spesso anche senza alcun riconoscimento del ruolo degli enti montani, che esercitano da sempre attività essenziali alla tutela della vita e della dignità delle popolazioni che continuano a vivere sui territori montani, quali il controllo delle aree boschive, la manutenzione delle pertinenze stradali comunali e provinciali, del verde pubblico comunale, di alcune infrastrutture e strutture pubbliche, dei trasporti, gli interventi di manutenzione delle reti, il supporto e la logistica in relazione ad eventi comunali e non solo, la protezione civile;
    il Progetto «Aree interne e Montane» in discussione al Forum avviato dal Ministro pro tempore della coesione territoriale, Fabrizio Barca, rappresenta un occasione importante e potrebbe vedere le regioni, in particolare la regione Campania, impegnate in prima linea con interventi progettuali mirati e programmi strutturali integrati. L'obiettivo dell'iniziativa è dare un contributo al rilancio economico e sociale del Paese, rimettendo al centro lo sviluppo delle aree interne, un rilancio che si avvale dei fondi comunitari e che può consentire di raggiungere obiettivi importanti all'interno di una strategia nazionale che preveda la tutela del territorio e la sicurezza degli abitanti, la promozione della diversità naturale e culturale, il rilancio dello sviluppo. Questa progettualità innovativa deve poter contare sul contributo delle rappresentanze delle associazioni e degli operatori dei territori montani;
    per le regioni in generale e per la Campania in particolare è importante ricollocare il sistema forestale tra le priorità dei propri interventi. La forestazione è una risorsa che può avvalersi delle regioni come luogo di sperimentazione, di innovazione e di cambiamento, nelle quali attuare una nuova strategia di riequilibrio territoriale, e dell'apporto degli enti territoriali di prossimità, quali le comunità montane, chiamate a svolgere la loro funzione montana in termini produttivi e di servizio per i comuni e i territori di riferimento. Una governance siffatta si interfaccia con la possibilità di attivare e gestire le risorse della programmazione, europea e nazionale, e con quella di attuare il principio di sussidiarietà per l'esercizio associato di funzioni e servizi comunali. Soluzioni quali aziende forestali regionali, società partecipate, ovvero altre visioni gestionali centralistiche e lontane dai territori sarebbero formule inefficienti e inefficaci,

impegna il Governo:

   ad intraprendere un percorso comune, avvalendosi della collaborazione di tutti i Ministeri interessati, che, facendo leva sulla programmazione comunitaria 2014-2020, concorra a ricollocare le aree montane al centro della vita e dell'economia del Paese;
   a rilanciare una visione culturale che realizzi una forestazione nuova e innovativa, con il contributo di tutti i livelli di governo coinvolti e gli organismi e le rappresentanze interessate, secondo un percorso condiviso e partecipato;
   a sensibilizzare le amministrazioni e le parti politiche ed economiche del Paese alla realizzazione di una strategia nazionale per le aree montane secondo le linee previste dal progetto richiamato in premessa;
   a intraprendere ogni iniziativa e misura utile, anche normativa, volta a prevedere un piano di risanamento finanziario del settore forestazione nelle regioni e nella Campania in particolare, facendo leva sui fondi comunitari 2014-2020;
   ad intraprendere iniziative e misure utili per realizzare una governance del settore che veda una chiara assegnazione di responsabilità e un forte coordinamento fra Governo e regioni, un ruolo centrale dei comuni e delle comunità montane di riferimento e un progetto di riforma dello stesso, per conferire stabilità al settore ed ai relativi livelli occupazionali.
(1-00147) «Valiante, Oliverio, Borghi, Salvatore Piccolo, Valeria Valente, Magorno, Manfredi, Rigoni, Rostan, Palma, Capozzolo, Del Basso De Caro, Paolucci, Migliore».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare al Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   condizioni climatiche, la presente presenza di forti venti, un territorio scarsamente urbanizzato e quindi caratterizzato da vaste aree non presidiate dall'uomo, rendono la Sardegna una delle regioni maggiormente esposte al fenomeno degli incendi;
   nel 2012 in Sardegna si sono registrati 2426 incendi degli 8700 complessivamente censiti nel Paese (il 28 per cento del totale) e sono stati bruciati 14446 ettari dei 33620 totali (il 43 per cento);
   gli strumenti e le modalità d'approccio alla campagna antincendi sono sostanzialmente i medesimi da decenni e la loro insufficienza determina ogni anno un vero e proprio bollettino di guerra, con morti e feriti e un patrimonio ambientale che diventa cenere;
   i pesanti tagli decisi dal Governo Monti hanno prodotto una situazione potenzialmente devastante, a partire dalla flotta di Canadair disponibili per la lotta agli incendi, ridotta dai trenta esemplari (per tutto il territorio nazionale) agli attuali 19;
   il numero di Canadair assegnati all'isola è di appena due esemplari, con base ad Olbia;
    la regione Sardegna ha deciso di rimediare dotandosi di elicotteri antincendio, nel numero di 12, capaci di una portata d'acqua pari a poco più di 1/5 della capacità di carico di un Canadair;
   gli uomini assegnati alla lotta antincendi nell'Isola sono 9975 (di cui 2500 volontari);
   vanno considerate;
    a) l'insufficienza delle strumentazioni a disposizione;
    b) il fatto che già in questo principio di anno 2013 si sono registrati numerosi roghi che hanno prodotto un danno inestimabile al patrimonio ambientale sardo;
    c) la scarsità di risorse a disposizione per una capillare attività di controllo e prevenzione;
    d) le difficoltà di bilancio nelle quali versa il corpo dei vigili del fuoco a causa dei tagli operati in questi anni;
    e) il fatto che la rinuncia all'acquisto di un cacciabombardiere F-35 basterebbe ad acquistare 4 nuovi Canadair la legge-quadro sugli incendi boschivi (legge n. 353 del 2000) nasce dalla convinzione che l'approccio più adeguato per perseguire la conservazione del patrimonio boschivo sia quello di promuovere e incentivare le attività di previsione e prevenzione, anziché privilegiare la fase emergenziale legata allo spegnimento degli incendi –:
   quali intenzioni abbia il Governo in merito alla lotta contro gli incendi nel Paese e nello specifico in Sardegna;
   se abbia o meno intenzione di investire una quota superiore di bilancio per l'acquisto e noleggio di ulteriori Canadair e di strumenti – quali telecamere e sistemi satellitari – atti a un migliore controllo del territorio ed a disincentivare e reprimere il fenomeno degli incendi dolosi.
(2-00144) «Piras, Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore».

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i servizi per le tossicodipendenze (SerT), o servizi per le dipendenze (SerD) sono i servizi pubblici del sistema sanitario nazionale dedicati alla cura, alla prevenzione ed alla riabilitazione delle persone che hanno problemi conseguenti all'abuso di sostanze psicoattive che generano dipendenza dalle stesse;
   i SerT attuano interventi di primo sostegno e orientamento per i tossicodipendenti e le loro famiglie, operando anche a livello di informazione e prevenzione, particolarmente nei confronti delle fasce giovanili di popolazione;
   nello specifico accertano lo stato di salute psicofisica del soggetto, definendo programmi terapeutici individuali da realizzare direttamente o in convenzione con strutture di recupero sociale e valutano periodicamente l'andamento e i risultati del trattamento e dei programmi di intervento sui singoli tossicodipendenti in riferimento agli aspetti di carattere clinico, psicologico e sociale;
   la direzione generale della prevenzione sanitaria, attraverso il dipartimento della prevenzione e della comunicazione effettua una rilevazione annuale dell'attività nel settore delle tossicodipendenze che viene periodicamente presentata al Parlamento, così come accade per la relazione sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, a cura del dipartimento sulle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   il tasso di mortalità rilevato sulla base della popolazione residente nelle singole regioni e degli assistiti nelle strutture pubbliche rappresenta il dato più allarmante della relazione stessa, soprattutto a fronte della disparità dello stesso rispetto a regioni con analoghe percentuali di centri, di personale e di assistiti, come si può evincere, ad esempio, mettendo a confronto i dati di regioni come l'Umbria, la Liguria e la Basilicata –:
   se il Governo intenda attuare indagini specifiche volte ad appurare l'utilità, il funzionamento e l'efficacia dei Sert su tutto il territorio nazionale;
   quali siano le ragioni di tale disparità degli effetti legati alla cura, alla prevenzione e alla riabilitazione delle persone con problemi di tossicodipendenza in relazione alle regioni dove il tasso di mortalità è più elevato. (4-01276)


   TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 39 dell'8 aprile 2013 sull'incompatibilità, ha creato nel contesto istituzionale salernitano una serie di soggetti che, alla luce della normativa non dovrebbero ricoprire alcune cariche pubbliche. L'accumulo di cariche istituzionali prima considerato esecrabile ma non perseguibile, è diventato dalla pubblicazione del decreto legislativo n. 39 sulla Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2013 ufficialmente contrario alla legge. Nel contesto salernitano è stata finora prassi consolidata assistere ad occupazioni istituzionali (soprattutto in ambito provinciale) con doppi o tripli incarichi. L'occupazione è l'attestato di riconoscenza verso il potentato locale di turno e gratificazione per il bacino di voti o di interessi;
   con la pubblicazione del decreto legislativo n. 39 del 2013, gli occupanti avrebbero dovuto decidere, in non più di 15 giorni, quale delle due posizioni abbandonare;
   l'amministrazione provinciale di Salerno guidata da un presidente non eletto a suffragio universale ma che si trova a esercitare le funzioni in virtù della scelta del presidente della provincia Cirielli di non dimettersi ma di attendere la pronuncia di decadenza del consiglio provinciale annovera tra le sue fila:
    a) Amilcare Mancusi: assessore al bilancio, personale e politiche socio-sanitarie ed al contempo sindaco di Sarno;
    b) Marcello Feola: assessore ai lavori pubblici e viabilità alla provincia di Salerno fino al settembre 2012 ora diventato presidente del consiglio di amministrazione, amministratore delegato Arechi Multiservice società partecipata della provincia di Salerno;
    c) Giovanni Moscatiello: già segretario generale della provincia di Salerno e allo stesso tempo sindaco di Baronissi. Inoltre il segretario generale nella pubblica amministrazione è il «responsabile del piano anticorruzione». Atteso che lo stesso agli organi di stampa ha dichiarato che alle prossime comunali dovrà rinunciare ad una delle due cariche: Moscatiello pur sapendo di non essere titolato a ricoprire due incarichi resiste fino a quando il Ministro non procederà a dichiarare la decadenza, (intanto dice di dimettersi agli organi di stampa ma allo stato risulta ancora essere segretario generale della provincia di Salerno e sindaco di Baronissi);
    d) Antonio Squillante: direttore generale dell'Asl Salerno1. Il ruolo può essere ricoperto soltanto da chi per i 5 anni precedenti non si sia eletto né si sia candidato per nessuna competizione elettorale che avesse come territorio di riferimento l'area amministrata con il nuovo incarico. Il fatto che Squillante sia stato negli ultimi 3 anni: candidato a sindaco di Angri, consigliere comunale di Angri, assessore provinciale è più che sufficiente per far rientrare anche il direttore generale dell'Asl Salerno nell'ambito delle fattispecie di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013;
    e) senza tener conto dell'avvicendamento tra i due presidenti fatto dall'avvocato Adriano Bellacosa: assessore all'ambiente, affari legali contenzioso, risorse del mare, legalità e trasparenza amministrativa. Già assessore provinciale dal 2009 al 2011 si era dimesso per candidarsi come sindaco alle elezioni per il comune di Nocera Inferiore. Non è risultato eletto ed è tornato ad occupare il posto di assessore alla provincia di Salerno;
   si ricorda infine il caso del sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, nominato viceministro alle infrastrutture dal Governo Letta e, di conseguenza, incompatibile in termini di legge per una delle due cariche, egli avvalendosi di una ambiguità normativa come fatto anche dall'onorevole Cirielli, ha dichiarato a una Tv locale, come riportato da quotidiani locali: «Ci sono due strade, la prima è che il sindaco si dimetta ma questo significa paralizzare l'attività del Consiglio e buttare al vento anni di lavoro e certamente io non lo avrei mai fatto. La seconda strada è quella della decadenza del sindaco decretata dal consiglio comunale, (articolo 53 decreto legislativo n. 267 del 2000). In questo caso si garantisce al Consiglio di continuare a lavorare e portare avanti le attività che sono in corso» –:
   se ci siano interventi in corso, ovvero, perché non sia stato dato corso all'applicazione del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Gazzetta Ufficiale n. 92 del 19 aprile 2013) «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190» nella provincia di Salerno;
   quali provvedimenti siano in itinere da parte del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione in applicazione degli articoli di cui al Capo V-VI-VII e VIII del citato decreto legislativo n. 39 relativamente a Giovanni Moscatiello (segretario generale della provincia di Salerno e allo stesso tempo sindaco di Baronissi), atteso che il segretario generale nella pubblica amministrazione è il «responsabile del piano anticorruzione»;
   quali siano le ragioni, che hanno impedito ad oggi l'applicazione del decreto legislativo n. 39 del 2013 e chi siano i responsabili che non hanno provveduto a dar seguito a quanto previsto dalla legislazione italiana. (4-01287)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, BENEDETTI, BUSTO, L'ABBATE, GAGNARLI, CIPRINI, PARENTELA, TOFALO, DAGA, MANNINO, ZOLEZZI, DA VILLA, SPADONI, NESCI, CARINELLI, BRESCIA, SCAGLIUSI e SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 3 dicembre 2012 n. 207, cosiddetto salva Taranto, convertito con modificazioni nella legge il 24 dicembre 2012, n 231, all'articolo 1 stabilisce che «in presenza di uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, (...) qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa autorizzare mediante autorizzazione integrata ambientale la prosecuzione dell'attività produttiva di uno o più stabilimenti per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi e a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nella medesima autorizzazione, secondo le procedure e i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili», autorizzando, così, di fatto, l'Ilva a produrre e restituendo all'azienda il possesso dei beni, nonostante i decreti di sequestro;
   nel dettaglio la prosecuzione dell'attività dello stabilimento è ammessa a condizione che l'impresa titolare adempia alle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, in modo da assicurare la tutela dell'ambiente e della salute. In caso di inadempienza, il decreto prevede sanzioni amministrative fino al 10 per cento del fatturato della società;
   sempre l'articolo 1, al comma 5, prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare debba riferire semestralmente al Parlamento circa l'ottemperanza delle prescrizioni suddette;
   il primo termine entro il quale il Ministro avrebbe dovuto riferire al Parlamento è scaduto il 30 giugno scorso, ma, ad oggi, nessuna comunicazione su questo delicatissimo aspetto della questione Ilva è stata data –:
   quali siano le ragioni per le quali il Ministro interrogato, considerando la gravità della situazione dello stabilimento di Taranto, non ha ancora riferito in Parlamento circa le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale. (5-00635)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'11 febbraio 2008 sui quotidiani La Stampa e La Sicilia è stato pubblicato l'annuncio relativo alla domanda di valutazione di impatto ambientale ed al conseguente deposito del progetto e dello studio di impatto ambientale per la pubblica consultazione per un impianto eolico offshore nel tratto prospicente alla costa compresa tra Macchitella (Comune di Gela) e Punta due Rocche (Comune di Butera);
   l'opera in progetto consiste in un impianto eolico a mare localizzato ad una distanza di circa 2,0 miglia marine della costa, interessante una superficie pari a 9,5 chilometri quadrati e prevede l'installazione di 38 aerogeneratori che saranno allineati rispetto alla direzione prevalente del vento secondo una maglia di 460x800 e la realizzazione di una sottostazione elettrica a terra;
   il parco eolico offshore ricade nel tratto di mare prospiciente la costa compresa tra Macchitella (Comune di Gela) e Punta due Rocche (Comune di Butera) e, contrariamente a quanto previsto in fase iniziale non è più prevista la sotto stazione elettrica offshore ma a terra;
   la potenza complessiva installata dell'impianto nella sua configurazione finale è di circa 136,8 MWE –:
   se non ritenga giusto che ci si debba attenere all'articolo 12 del decreto-legge 42 del 2004 e se non si intenda provvedere ad inserire una variazione della distanza dalla costa, attualmente approvata a 2 miglia, di almeno 20 miglia, così da non deturpare il territorio marino ed agevolare lo sviluppo nel settore turistico già indebolito dall'attuale crisi. (4-01272)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con nota protocollo della provincia di Perugia n. E-0070316 del 15 febbraio 2011 la Cooprogetti ha comunicato di aver rilevato risultati anomali per l'azoto ammoniacale ed altri parametri nei campioni d'acqua prelevati nei pozzi piezometrici previsti nel piano di monitoraggio e controllo della discarica di Colognola nel comune di Gubbio;
   in data 2 marzo 2010, con nota protocollo della provincia di Perugia n. U-0095662, il comune di Gubbio, gestore della discarica, è stato sollecitato ad effettuare entro 120 giorni ulteriori verifiche al fine di chiarire le cause e di controllare l'andamento nel tempo dei valori anomali;
   in data 23 luglio 2010 l'Arpa Umbria sezione territoriale Città di Castello-Gubbio ha trasmesso con e-mail protocollo Arpa n. 15805 una relazione sul monitoraggio delle acque sotterranee della discarica di Colognola, segnalando che dallo studio fatto «emergono problematiche significative che richiedono un intervento di risanamento ed una revisione del piano di monitoraggio e controllo»;
   in data 16 febbraio 2011 il comune di Gubbio ha chiesto, con nota della provincia di Perugia n. E-0076426, di integrare con ulteriori codici CER la tabella B dell'autorizzazione integrata ambientale decreto dirigenziale regionale n. 5357 del 20 giugno 2008 relativa ai rifiuti che possono essere conferiti nella cella dei rifiuti speciali non pericolosi della discarica;
   il servizio gestione e controllo ambientale della provincia di Perugia ha bloccato, in data 12 maggio 2011, l'autorizzazione a procedere all'inserimento di ulteriori codici CER, come inizialmente concesso in data 1o aprile 2011, dal momento che il comune di Gubbio non ha ancora fornito risposte in merito alle anomalie riscontrate nelle acque sotterranee, sollecitando il gestore a procedere entro 60 giorni ad uno studio approfondito in materia;
   tale situazione ha un effetto negativo sull'immagine del comune di Gubbio, che fonda buona parte della sua notorietà sulla qualità dell'ambiente, sulle eccellenze enogastronomiche, sul turismo naturalistico, costituendo un caso emblematico dello stato di insufficiente attenzione con cui alcuni enti locali provvedono alle verifiche ambientali ed al monitoraggio sulle discariche –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione al caso segnalato e se intenda acquisire, anche per il tramite dell'osservatorio nazionale sui rifiuti, un rapporto dettagliato sullo stato delle discariche nell'intera regione Umbria e delle potenziali conseguenze negative a livello antropico ed ambientale di situazioni come quella riportata in premessa. (4-01278)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta immediata:


   LABRIOLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Museo nazionale archeologico di Taranto, per esigenze connesse a lavori di ristrutturazione, a partire dal 1o luglio 2013 aprirà solo durante i fine settimana, mentre dal 9 agosto al 25 agosto 2013 osserverà un orario normale di apertura per poi richiudere, tranne i fine settimana, dal 26 agosto 2013 al 29 settembre 2013; infine, è prevista una chiusura definitiva dal 30 settembre 2013 al 5 dicembre 2013, al fine di consentire l'allestimento dei nuovi spazi espositivi in vista dell'inaugurazione;
   secondo la direttrice del Museo la chiusura è necessaria per rispettare i tempi dell'appalto e per garantire la sicurezza degli operai e dei dipendenti della soprintendenza: «Con le impalcature, gli attrezzi e gli spostamenti dei reperti archeologici, un insieme di movimenti complessi e delicati, i visitatori non possono convivere, quindi chiudere le sale espositive è doveroso»;
   i lavori di ristrutturazione del Museo hanno avuto inizio nell'aprile 2012 e sono stati finanziati dal Cipe attraverso un accordo quadro Stato-regione;
   in questa fase i lavori riguarderanno il primo piano dove verranno allestite le sale espositive destinate alla città romana; mentre nel 2014 saranno aperti gli spazi su Taranto dalla preistoria all'età ellenistica. A conclusione dell'intervento di ristrutturazione, il Museo nazionale archeologico di Taranto offrirà reperti mai visti prima e ora custoditi nei depositi, ricomprendendo la zona dedicata alle tombe e quella dedicata all'epigrafia: in tutto otto sale in più;
   se è apprezzabile dal punto di vista della nuova offerta culturale questa ristrutturazione, dall'altra parte l'annuncio dei lavori e la conseguente chiusura durante i mesi estivi, che contano il maggior numero di turisti, ha destato una serie di polemiche, non ultima quella che la notizia è coincisa con la candidatura di Taranto a capitale europea della cultura 2019;
   Confcommercio e Federalberghi hanno ampiamente contestato la decisione della soprintendenza dei beni archeologici della Puglia di dare avvio ai lavori proprio nel periodo estivo, in quanto si sono fatti promotori di una serie di pacchetti vacanze ed offerte, anche sulla scorta della campagna di comunicazione di «Puglia promozione», che aveva puntato tutto sull'aspetto culturale di Taranto, che includevano la visita al famoso Museo degli ori della Magna Grecia –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di coniugare i necessari interventi di ristrutturazione e le esigenze del territorio, per il quale, in questo momento di particolare sofferenza per le vicende legate soprattutto alle questioni ambientali, il Museo nazionale archeologico rappresenta una risorsa culturale, ma anche turistica troppo importante, per il quale è necessario adottare strumenti e modalità di gestione straordinari, come straordinario è il patrimonio che i turisti vanno ad ammirare. (3-00209)

COESIONE TERRITORIALE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro per la coesione territoriale, per sapere – premesso che:
   nell'utilizzo dei Fondi strutturali europei del periodo 2007-2013, l'Italia è al terzultimo posto tra tutti i Pesi Europei, supera solo la Romania e la Bulgaria:
   l'Italia ha utilizzato mediamente solo il 40,25 per cento dei 49,5 miliardi di euro a disposizione, con una diversa capacità di spesa delle regioni;
   ciò è preoccupante in considerazione della grave crisi economica e occupazionale che vive il Paese, in particolare nel Mezzogiorno;
   entro quest'anno vanno assegnati tutti i fondi residui da spendere entro il 31 dicembre 2015, pena la loro decadenza, ci sono quindi 17 miliardi di euro provenienti dall'Europa, a cui si aggiungono 13 miliardi di cofinanziamenti nazionali, per un totale di 30 miliardi di euro, una massa imponente di investimenti che possono tonificare l'economia italiana, a patto però che tutte le regioni, nessuna esclusa, facciano la loro parte sino in fondo, recuperando ritardi intollerabili, e spendendoli in modo produttivo su progetti strategici evitando la loro dispersione in una miriade di interventi;
   il Ministro della coesione territoriale ha annunciato sulla stampa una riprogrammazione degli interventi su almeno 5 miliardi di euro, così come ha già fatto mesi fa l'ex Ministro Fabrizio Barca;
   nel frattempo sta per partire la nuova programmazione 2014-2020 dei Fondi strutturali europei per una somma complessiva di 60 miliardi euro e c’è quindi urgenza nella definizione di una azione istituzionale che ci faccia recuperare il tempo perduto nella utilizzazione dei vecchi fondi e ci faccia essere pronti ad affrontare la sfida del nuovo quadro degli investimenti strutturali europei –:
   quale sia lo stato della spesa delle singole Regioni italiane nella programmazione 2007-2013 dei Foni strutturali e quale siano le ragioni dei ritardi;
   se non intenda promuovere un'approfondita verifica per stabilire le cause e le responsabilità dei ritardi;
   su quali assi strategici intenda procedere alla riprogrammazione degli interventi;
   come intenda procedere nella definizione delle nuove linee per la programmazione 2014-2020.
(2-00143) «Melilla».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MELILLA. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   il sisma del 6 aprile 2009 ha distrutto gran parte del centro storico dell'Aquila, con un patrimonio immobiliare tra i più rilevanti dal punto di vista storico, culturale e religioso d'Italia;
   danni altrettanto gravi hanno subito altri 56 comuni del cosiddetto «cratere sismico»; sono stati colpiti 160 comuni abruzzesi con danni alle case e agli edifici pubblici;
   gli sfollati nella fase emergenziale sono stati 67 mila;
   sono stati realizzati numerosi interventi (moduli abitativi provvisori e complessi antisismici sostenibili ecocompatibili) per 19 new town, con circa 4.500 alloggi che ospitano 15 mila persone;
   dinanzi alle difficoltà e ai ritardi nel processo di ricostruzione, il precedente Governo ha conferito un incarico specifico al Ministro Fabrizio Barca;
   il decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha istituito due uffici speciali per la ricostruzione, uno per la città dell'Aquila e un altro per gli altri 56 comuni del cratere sismico, con il compito di fornire assistenza tecnica alla ricostruzione, monitoraggio finanziario e attuativo degli interventi, controllo dei processi di ricostruzione e sviluppo dei territori;
   nella città dell'Aquila la ricostruzione privata utilizza nella periferia un criterio di priorità ordinaria cronologica, mentre nel centro storico è assegnata una priorità alta (70 per cento delle risorse) ai criteri della cantierabilità e del coordinamento tra interventi pubblici e privati;
   per la ricostruzione pubblica è stata assegnata priorità ai progetti strategici;
   nell'audizione presso le Commissioni V e XIV della Camera dei deputati, il Ministro interrogato ha stimato, nella sua relazione, che i tempi, allo stato, occorrenti per il completamento della ricostruzione in 8-10 anni (in Friuli Venezia Giulia la ricostruzione è durata 15 anni, in Umbria e nelle Marche 13 anni) e gli ulteriori costi in 10-11 miliardi di euro;
   per l'emergenza le risorse stanziate sono state pari a 2 miliardi e 861 milioni di euro;
   il Ministro interrogato ha detto, inoltre, che «per l'anno 2013 in termini di competenza le esigenze attuali sono stimate in 1-1,5 miliardi di euro; a settembre 2013 è prevista un'ulteriore verifica per assegnare, se occorrenti, ulteriori risorse che consentano la piena programmazione di tutti gli interventi ancora necessari per completare la ricostruzione»;
   la recente conversione in legge del decreto-legge n. 43 del 2013 ha previsto vari interventi a favore dei comuni terremotati abruzzesi, ma è ancora insufficiente lo stanziamento di 197,2 milioni di euro per la ricostruzione;
   il sindaco dell'Aquila e il presidente della regione Abruzzo chiedono, in linea con quanto già stabilito dal precedente Ministro Barca e dal Ministro interrogato, che venga stanziato 1 miliardo di euro ogni anno per 10 anni per assicurare continuità e certezza al processo complesso di ricostruzione dell'Aquila e degli altri comuni del cratere sismico –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per assicurare, attraverso il suddetto finanziamento, il processo di ricostruzione dell'Aquila e degli altri comuni del cratere sismico. (3-00207)


   SPERANZA, MARTELLA, TARANTO, RUGHETTI, DE MICHELI, GIACOMELLI, GRASSI, VELO, POLLASTRINI, FREGOLENT, BELLANOVA, GARAVINI, ROSATO, DE MARIA e MAURI. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la spesa dei fondi strutturali, soprattutto in alcune regioni del Mezzogiorno rientranti nell'obiettivo «convergenza», è in grave ritardo;
   il Governo, in coerenza con le raccomandazioni rivolte dalla Commissione europea all'Italia, il 29 maggio 2013, in riferimento al programma nazionale di riforma 2013 ed al programma di stabilità 2012-2017, si è mosso con specifiche misure volte a migliorare, in particolare nel Mezzogiorno, la gestione dei fondi strutturali per il ciclo 2007-2013, sancendo l'obbligo, in capo alle amministrazioni statali, di dare precedenza a procedimenti, provvedimenti e atti comunque connessi all'attivazione dei fondi strutturali e prevedendo, altresì, la possibilità, in caso di riscontrate inadempienze, di interventi in via sussidiaria da parte di Stato e regioni, e ciò allo scopo di scongiurare ulteriori ritardi ed il rischio di definanziamento rispetto ad un montante complessivo di risorse ancora disponibili per circa 30 miliardi di euro;
   le difficoltà di attuazione della programmazione in corso rischiano anche di condizionare pesantemente il ciclo 2014-2020 della politica di coesione;
   l'adeguamento della governance risulta, altresì, una necessità prioritaria per cogliere tanto l'opportunità del nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, quanto il possibile concretizzarsi dell'esclusione della quota di finanziamento statale dei fondi strutturali dal computo del deficit rilevante ai fini del patto di stabilità europeo;
   il corretto e tempestivo utilizzo di dette risorse potrà: determinare il miglioramento della qualità dei servizi pubblici da offrire a cittadini e imprese; rendere effettivi i diritti di cittadinanza (sanità, istruzione, giustizia); sostenere il sistema produttivo, in termini di migliori servizi reali alle imprese e accesso al credito; valorizzare le risorse territoriali (umane, culturali e paesaggistiche) sottoutilizzate; ammodernare la dotazione di infrastrutture materiali e immateriale necessarie e, infine, implementare azioni di innovazione e ricerca capaci di aumentare il tasso di competitività dell'Italia –:
   quali ulteriori iniziative il Governo intenda adottare in materia di riprogrammazione degli interventi, anche sulla scorta dell'esperienza positiva del piano di azione e coesione, per velocizzare la spesa dei fondi strutturali del periodo di programmazione in corso, con particolare riferimento ai programmi regionali a più elevato rischio di definanziamento, nonché per raggiungere gli obiettivi posti alla base della strategia a cui l'Europa vincola queste risorse nell'interesse del miglioramento della qualità dei servizi pubblici da offrire a cittadini e alle imprese. (3-00208)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da informazioni di stampa risulta che entro il 2018 sarà chiusa la caserma «Cantore» di Tolmezzo, in provincia di Udine, che attualmente ospita il terzo reggimento di artiglieria da montagna;
   la chiusura della caserma sarebbe prevista nell'ambito di un piano di ristrutturazione dell'esercito che interessa 160 caserme dislocate su tutto il territorio nazionale;
   gli amministratori locali hanno espresso forte preoccupazione in merito a tale decisione e stanno vagliando diverse ipotesi per garantire la permanenza del reggimento nel capoluogo carnico, tra le quali il mantenimento in sede di una parte, destinando i militari rimanenti nella caserma di Venzone, oppure il trasferimento in toto dei militari nelle strutture di Cividale o Remanzacco;
   nella caserma «Cantore» oggi ci sono circa 400 militari, molti dei quali hanno famiglia, hanno acquistato o preso in locazione un'abitazione, e formano parte integrante della vita della città;
   la presenza del reggimento, inoltre, contribuisce all'economia della zona, e il danno arrecato dallo spostamento dei militari si andrebbe ad aggiungere alla già pesante penalizzazione subita dalla città a causa della chiusura del locale tribunale –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e se non intenda rivedere la decisione relativa alla caserma in oggetto, al fine di salvaguardare la cittadina di Tolmezzo.   (4-01273)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 2 maggio 2013 in sede di audizione alle Commissioni speciali riunite di Camera e Senato, il Ministro dell'economia e delle finanze, si è impegnato «a presentare una nota aggiuntiva al Def 2013, nei tempi compatibili con la chiusura della procedura di disavanzo» fissata per giugno, ma tale nota non è stata ancora presentata;
   anche per quanto riguarda le decisioni politiche concernenti l'aumento dell'IVA e la soppressione dell'IMU sulla prima casa, dopo i rinvii adottati con decreti-legge, non è chiara ancora la posizione del Governo in merito, nonostante i tempi ristretti per decidere;
   inoltre, appare evidente che non c’è dialogo ed informazione da parte del Governo nei confronti dei componenti della maggioranza;
   si tratta naturalmente di decisioni di fondamentale importanza per il Paese: l'Unione europea è pronta a valutare le decisioni finanziarie in merito, in particolare le risorse a cui si attingerà per la copertura dei provvedimenti su IMU e IVA, al fine di controllare che siano rispettati comunque dall'Italia gli impegni assunti in sede europea sui saldi di finanza pubblica, onde evitare la nuova procedura di infrazione a decorrere dal mese di maggio 2014, come è stata già adottata nei confronti di Malta;
   secondo fonti di stampa i nodi irrisolti di IMU ed IVA hanno una grande influenza sulla tenuta del Governo Letta, nonostante le dichiarate intenzioni di sciogliere ogni riserva su tali decisioni entro i primi di agosto;
   le perplessità politiche sulla «pluralità di opzioni», che verrebbe presentata, come affermato dal Ministro dell'economia e delle finanze, ma soprattutto sulle questioni di natura processuale che coinvolgono il leader del PdL, che, sembrano essere prioritarie, in particolare sulla tenuta dell'Esecutivo, potrebbero essere la causa di ulteriori rinvii decisionali al prossimo autunno;
   nel frattempo l'agenzia Standard & poor's nei giorni scorsi ha tagliato il rating dell'Italia avvisando che gli obiettivi di bilancio per il 2013 sono a rischio «per il differente approccio nella coalizione di Governo» sui modi con cui coprire un disavanzo «frutto della sospensione dell'IMU e del possibile ritardo del pianificato aumento dell'IVA», sottolineando dunque il carattere di urgenza, che rivestono le decisioni finora rimandate su questi argomenti;
   sempre secondo Standard & poor's le prospettive economiche dell'Italia sono ulteriormente peggiorate e l'economia è prevista contrarsi dell'1,9 per cento quest'anno, dopo il -2,4 per cento del 2012, con un debito, stimato alla fine di quest'anno al 129 per cento –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire i motivi della mancata presentazione della nota aggiuntiva al Def 2013;
   se intenda assumere iniziative per decidere definitivamente sulle questioni IMU e IVA, evitando ulteriori rinvii, e con quale tempistica, in considerazione del carattere di urgenza che le suddette decisioni rivestono per il rilancio dell'economia del Paese.
(2-00148) «Sorial, Cariello, Caso, Castelli, Currò, D'Ambrosio, D'Incà, Fico, Barbanti, Cancelleri, Chimienti, Pesco, Pisano, Ruocco, Villarosa, Alberti, Artini, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Paolo Bernini, Brescia, Brugnerotto, Busto, Corda, Dall'Osso, De Rosa, Del Grosso, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Frusone, Silvia Giordano, Massimiliano Bernini, Cecconi».

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   la sera di martedì 10 luglio 2013, a mezzanotte circa, la sedicenne Beatrice Papetti, mentre attraversava la strada provinciale Padana Superiore a Gorgonzola, è stata investita da un'auto pirata ad altissima velocità, che ha poi continuato nella sua folle corsa senza fermarsi per prestare soccorso;
   il gravissimo incidente si è verificato a poche centinaia di metri dalla casa di Beatrice, dove la ragazza stava tornando in bicicletta, accompagnata dal cugino di Giovanni, dopo aver trascorso la serata in piazzetta con altri amici;
   proprio il cugino Giovanni, anche lui investito ma miracolosamente rimasto illeso, è riuscito a chiamare i soccorsi ma, purtroppo, il destino ha voluto che sulla prima ambulanza giunta sul posto ci fosse proprio il padre di Beatrice, quella notte di turno;
   la giovane ragazza è deceduta poco dopo l'arrivo in ambulanza all'ospedale di Melzo per le gravissime lesioni interne riportate;
   la tragica vicenda di Beatrice Papetti richiama alla memoria un altro drammatico fatto di cronaca, che riguarda sempre un ragazzo giovane, Andrea De Nando, il 15enne di Peschiera, anche egli travolto e ucciso da un'auto pirata il 29 gennaio 2011, mentre attraversava la strada a piedi all'uscita dall'oratorio;
   la madre del ragazzo, dopo aver saputo che l'investitore del figlio, già condannato in primo e secondo grado a tre anni e otto mesi, sarebbe intenzionato anche a ricorrere in Cassazione, ha espressamente protestato contro il decreto svuota-carceri proposto dal Ministro interrogato;
   è del tutto condivisibile il pensiero della madre di Andrea De Nando, ossia che solo la certezza della pena può fare da deterrente agli atteggiamenti irresponsabili di qualcuno e che il cosiddetto decreto svuota-carceri, così come altri provvedimenti similari, rappresenta l'ennesimo schiaffo morale alle vittime e alle loro famiglie che aspettano giustizia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali interventi e iniziative intenda adottare, in particolare se abbia intenzione di adottare iniziative per introdurre nel nostro ordinamento il reato di omicidio stradale a carico di chi provoca incidenti mortali e di assicurare a chi si macchia di tale reato l'espiazione della pena detentiva in carcere, e non possa beneficiare di alcuno sconto o di pene alternative al carcere.
(2-00147) «Giancarlo Giorgetti, Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».

Interrogazioni a risposta immediata:


   GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è stato approvato dalla Camera dei deputati e attualmente in discussione al Senato della Repubblica il progetto di legge n. 331-927, di iniziativa degli onorevoli Ferranti, Costa e altri, recante «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili»;
   tale provvedimento, cosiddetto svuota-carceri, sarebbe improntato a finalità di riduzione del numero dei detenuti ristretti nelle carceri italiane, ma, in combinato disposto con il disegno di legge n. 896, recante «Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena», assegnato alla Commissione giustizia al Senato della Repubblica, avrà invece un effetto deflattivo estremamente ridotto rispetto alle dimensioni reali del problema del sovraffollamento carcerario ed in realtà l'unico effetto certo e più rilevante sarà quello di rimettere in libertà delinquenti che si sono macchiati di reati di grave allarme sociale;
   difatti, ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge, potranno beneficiare della detenzione domiciliare, quale pena principale per i delitti puniti con pene detentive fino a sei anni di reclusione, gli autori di gravissimi reati, quali, a titolo esemplificativo, truffa, furto, furto con strappo e in abitazione, violenza privata, pornografia minorile, atti persecutori (stalking), prostituzione minorile e altri, mentre invece tale provvedimento non prevede alcun investimento a favore delle forze dell'ordine, cui sarà demandato il compito di effettuare i controlli sull'effettività delle detenzioni domiciliari;
   l'articolo 2 del disegno di legge, attraverso l'istituto della messa alla prova, consente poi una vera e propria impunità del delinquente che commette reati, sempre di grave allarme sociale, tra cui, peculato mediante profitto dell'errore altrui, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, corruzione per un atto d'ufficio, abuso d'ufficio e altri, oltre a quelli sopra richiamati, in quanto la commissione di tali reati «costerà» un brevissimo periodo di lavori di pubblica utilità e, poiché al termine del periodo il certificato penale del reo sarà «intonso», la persona offesa non potrà richiedere alcunché a titolo di risarcimento del danno, stante appunto l'estinzione del reato commesso;
   il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani è stato in passato risolto con amnistie, indulti e altri provvedimenti «tampone», come quelli in premessa, ma tali strumenti si sono rivelati del tutto inidonei a risolvere il problema, tanto che le carceri sono tornate in breve tempo stracolme come prima, creando però nel frattempo più problemi alla sicurezza dei cittadini;
   ciò è anche dimostrato proprio dalla ciclicità di tali provvedimenti, in quanto l'atto Camera 331-927 segue di solo un anno il decreto-legge n. 211 del 2011, che sostanzialmente ha previsto, da un lato, l'estensione a 18 mesi della soglia di pena detentiva, anche residua, per l'accesso al beneficio dell'esecuzione della pena presso il domicilio (oltre 7.000 i condannati effettivamente scarcerati) e, dall'altro lato, la rinuncia, in attesa del giudizio per direttissima, all'applicazione della custodia cautelare in carcere per una serie di reati di grave allarme sociale (ad esempio, furto, furto con violenza o con destrezza, come quello commesso su mezzi pubblici di trasporto, o nei confronti di chi si stia o si sia appena recato presso sportelli automatici di prelievo di danaro o in banca), sostituita dalla detenzione presso il proprio domicilio;
   gli ultimi casi di cronaca, confermati anche dai dati dell'Osservatorio nazionale stalking, dimostrano che almeno un persecutore su tre è recidivo e dopo la denuncia o condanna torna a perseguitare la vittima, spesso con una ferocia maggiore dettata da uno spirito di vendetta che non viene minimamente mitigato dall'intervento delle autorità;
   sempre secondo un altro studio del Centro presunti autori, da un'indagine sui fatti di cronaca in casi di violenza, stalking, tentato omicidio e omicidio avvenuti nei primi 10 giorni di maggio 2013, il 70 per cento degli autori è recidivo;
   dati ufficiali relativi al 2011 descrivono una realtà sconcertante: le misure cautelari contengono in circa il 50 per cento la recidiva nei casi di violenza e atti persecutori: in una percentuale significativa, gli omicidi avvengono dopo o durante l'adozione delle misure cautelari o dopo che la vittima ha sporto una o più denunce;
   la recidiva non è solo confermata da questi dati, ma anzi la sua oggettiva e pericolosa incidenza ha portato alla formulazione di una vera e propria metodologia, denominata «sara», acronimo di «spousal assault risk assessment», da parte del Cesvis (Centro Studi e ricerche per la tutela delle vittime di reato e la valutazione del rischio di recidiva della violenza), per individuare se e quanto un uomo che ha agito violenza nei confronti della propria partner (moglie, fidanzata, convivente) o ex partner è a rischio nel breve o nel lungo termine di usare nuovamente violenza;
   così le cronache riportano quasi quotidianamente notizie di pedofili arrestati e recidivi ed anche in questo caso, secondo i dati più recenti della meta-analisi di Hanson et al. (2012), si è posto in evidenza che le distorsioni cognitive, che stanno alla base di tali reati, costituiscono un fattore di rischio per la messa in atto della recidiva e questo è stato osservato in misura maggiore nei child molester addirittura rispetto agli stupratori;
   solo a titolo esemplificativo si citano due recenti casi di cronaca che hanno suscitato sdegno nell'opinione pubblica: il primo riguarda otto ragazzi, che la notte tra il 31 marzo e il 1o aprile del 2007 immobilizzarono e stuprarono a turno una ragazzina di 14 anni in una pineta di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, e che, grazie alla sentenza del tribunale dei minori di Roma, potranno continuare a studiare o lavorare e, al termine dei due anni di messa alla prova, la «pena» che il tribunale ha loro comminato per l'efferato crimine commesso, potranno altresì ottenere la dichiarazione di estinzione del reato;
   il secondo recente caso di cronaca si è verificato invece a Palermo, dove un uomo di 40 anni ha accoltellato e ucciso l'ex convivente con cui aveva avuto due anni fa un figlio, nonostante fosse già stato denunciato per stalking per ben sei volte;
   il problema del sovraffollamento carcerario potrebbe, invece, fortemente ridimensionarsi se si perseguisse un'efficace politica di accordi bilaterali finalizzata a far scontare la pena ai detenuti stranieri nelle carceri dei Paesi di origine;
   infatti, secondo recenti dati forniti dal Ministero della giustizia, la capienza regolamentare dei 206 istituti presenti nel nostro Paese è di 47.045 posti e se dal totale dei detenuti presenti nelle nostre carceri (65.917) vengono sottratti quelli stranieri (23.438), si ottiene un numero di detenuti (42.479), ben al di sotto della capienza regolamentare (47.045);
   da un articolo apparso su Il Sole 24 ore di lunedì 17 giugno 2013, che riprende i dati forniti dal Ministero dell'interno e riferiti al 2012, si apprende che, se l'aumento dei crimini denunciati in generale ha avuto un incremento del 1,3 per cento (circa 2,8 milioni, ossia 36 mila in più rispetto al 2011), dall'analisi per tipologia di reato il peggioramento più pesante è per i cosiddetti reati predatori, che sono quelli che incidono direttamente sui beni personali, maggiormente legati alle fasi di crisi economica e in grado di destare particolare allarme nella collettività, ossia furti, scippi, borseggi e truffe, che vanno a colpire i singoli cittadini, anche con modalità particolarmente violente, ossia gli stessi previsti dal disegno di legge di cui in premessa;
   sempre secondo tali dati, oltre la metà delle denunce riguarda la sottrazione di beni, ossia i furti: oltre 1,5 milioni, in aumento del 4 per cento rispetto al 2011, tra cui spiccano ancora di più i furti in casa, sia come numero (quasi 273 mila), sia come incremento (circa 16 per cento in più); seguono i borseggi, che si avvicinano a 150 mila con un aumento dell'11 per cento, le frodi (114 mila con un aumento dell'8 per cento), le rapine (42 mila, con aumento del 5 per cento) e gli scippi (20 mila, con un aumento del 14 per cento);
   con riguardo allo stalking le cifre sono ancora più allarmanti: nel 2011 sono state denunciate 8.141 persone, nel 2012 invece 8.821 e solo nei primi mesi del 2013 7.094, per cui le previsioni parlano di oltre 20 mila casi a fine anno;
   alla Commissione giustizia del Senato della Repubblica è in discussione il provvedimento atto Senato n. 896, recante «Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena», come già indicato in premessa, presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro interrogato;
   tali provvedimenti, secondo gli interroganti, costituiscono l'ennesima resa da parte dello Stato nella repressione dei reati, privando di ogni tutela il cittadino e la persona offesa del reato, e allo stesso tempo veicolano un messaggio di sostanziale impunità per chi delinque –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire il principio della certezza della pena nonché la tutela delle vittime dei reati, se, invece dei provvedimenti di cui in premessa, non intenda sostenere il già esistente piano di edilizia carceraria ed altresì risolvere il problema del sovraffollamento dei nostri istituti penitenziari mediante la stipula di accordi bilaterali per far scontare la pena detentiva dei detenuti stranieri nei loro Paesi di origine, quanti e quali accordi con tali Paesi siano ad oggi in essere, quale sia lo stato di effettiva applicazione degli stessi, quale sia il numero dei detenuti stranieri ad oggi inviati in patria. (3-00210)


   NUTI, VILLAROSA, LOMBARDI, NESCI, D'AMBROSIO, CANCELLERI, SPESSOTTO, AGOSTINELLI, ALBERTI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BARONI, BASILIO, BATTELLI, BECHIS, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, NICOLA BIANCHI, BONAFEDE, BRESCIA, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, BUSTO, CARIELLO, CARINELLI, CASO, CASTELLI, CATALANO, CECCONI, CHIMIENTI, CIPRINI, COLLETTI, COLONNESE, COMINARDI, CORDA, COZZOLINO, CRIPPA, CURRÒ, DA VILLA, DADONE, DAGA, DALL'OSSO, DE LORENZIS, DE ROSA, DEL GROSSO, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BATTISTA, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, MANLIO DI STEFANO, DI VITA, DIENI, D'INCÀ, D'UVA, FANTINATI, FERRARESI, FICO, FRACCARO, FRUSONE, GAGNARLI, GALLINELLA, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, GRANDE, GRILLO, CRISTIAN IANNUZZI, L'ABBATE, LIUZZI, LOREFICE, LUPO, MANNINO, MANTERO, MARZANA, MICILLO, MUCCI, PARENTELA, PESCO, PETRAROLI, PINNA, PISANO, PRODANI, RIZZETTO, RIZZO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, ROSTELLATO, RUOCCO, SARTI, SCAGLIUSI, SEGONI, SIBILIA, SORIAL, SPADONI, TACCONI, TERZONI, TOFALO, TONINELLI, TRIPIEDI, TURCO, VACCA, SIMONE VALENTE, VALLASCAS, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 29 e il 30 maggio 2013, una cinquantina di uomini delle forze di polizia facevano irruzione durante la notte in una villetta a Casal Palocco (Roma), alla ricerca, da quanto si è poi successivamente appreso, di Mukhtar Ablyazov, uomo d'affari, oppositore e rifugiato politico kazako in esilio a Londra dal 2009;
   in sua assenza, prelevavano sua moglie e sua figlia di 6 anni e le conducevano presso il centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, sulla base della presunta circostanza dell'assenza di documenti legali di soggiorno, e, dopo un giorno di permanenza nel centro di identificazione e espulsione, sia la donna che la bambina sono state espulse dal territorio italiano e rimpatriate forzatamente sabato 1o giugno 2013 da Roma, dove risiedeva dal 2012, e imbarcate all'aeroporto di Ciampino su un aereo, appositamente noleggiato dal Governo kazako, per essere riportate nel Paese d'origine forzatamente;
   Alma Shalabayeva, pur non avendo commesso alcun reato, potrebbe essere ora esposta all'elevatissimo rischio di procedure inquirenti non garantiste, analoghe a quelle cui fu sottoposto il marito nel 2003, quando si opponeva al regime di Nursultan Nazarbayev;
   la procedura di espulsione appare gravemente viziata sotto il profilo costituzionale, normativo e politico;
   in seguito una nota di Palazzo Chigi informava sull'annullamento dell'espulsione della moglie del dissidente kazako Ablyazov, ma essa, oltre ad essere tardiva, risulta insufficiente a restituire la libertà ad Alma Shalabayeva e alla piccola Alua;
   di tutta evidenza appaiono una serie di «procedure insolite», quali il mancato utilizzo di documenti di fondamentale importanza nei procedimenti giudiziari di garanzia. Come può considerarsi, infatti, una serie di provvedimenti del tribunale dei minori che nel giro di 72 ore affida una bambina di 6 anni a tre persone diverse, quando normalmente per un affido di minorenne passano anni? Dai documenti risulta che la piccola Alua è stata, infatti, affidata prima a Venera, sorella di Alma Shalabayeva. Poi nel corso di una successiva visita nella villa di Casal Palocco, constatato che Venera era assente, la piccola è stata affidata addirittura a Semakin, autista della famiglia. E, infine, una volta sulla pista di Ciampino, è stata affidata nuovamente alla madre;
   per il resto, il decreto di rimpatrio firmato dal giudice di pace all'interno del centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria, e poi convalidato dalla procura di Roma, è stato emanato senza visionare il documento del 30 maggio 2013 inviato dall'ambasciata kazaka alla questura in cui si avverte che la signora Alma Shalabayeva è in possesso di due passaporti validi rilasciati in Kazakistan (n. 0816235 e n. 5347890). Passaporti che evidentemente avrebbero permesso il rimpatrio volontario della signora e della bambina (coi tempi che si allungavano e la difesa che poteva intervenire) e non coatto. Così come lo stesso ufficio immigrazione è stato ben lesto il pomeriggio del 31 maggio 2013, quando l'aereo già era a Ciampino pronto al decollo, a inviare invece un fax in procura, firmato dal responsabile Maurizio Improta, in cui si avvisava che ogni ulteriore controllo era inutile. E che, quindi, si poteva procedere con il rimpatrio immediato;
   non sarebbero stati neanche acquisiti, incredibilmente, nei procedimenti giudiziari in oggetto lo status di rifugiato di Ablyazov ottenuto a Londra nel 2011, esteso a moglie e figlia, che avrebbe impedito l'espulsione, né i regolarissimi permessi di soggiorno di Alma Shalabayeva: sia quello britannico che quello lettone –:
   di quali elementi disponga sulla vicenda, nell'ambito delle proprie competenze, e se non intenda adottare iniziative ispettive in relazione all'attività del giudice di pace, del tribunale dei minori, della procura della Repubblica e del tribunale del riesame di Roma, ai fini dell'eventuale esercizio dell'azione disciplinare, anche a tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantito. (3-00211)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa si apprende che l'ex Ministro della giustizia, in vacanza in un relais a 5 stelle in Puglia, insieme alla sua famiglia, ha beneficiato della scorta di 4 uomini della Polizia Penitenziaria con 2 auto blindate;
   queste ferie «protette» hanno provocato la giusta protesta del sindacato della polizia penitenziaria;
   come è noto il personale di polizia penitenziaria è gravemente sotto organico con un costante e grave ricorso a straordinari e carichi di lavoro stressanti per assicurare la sicurezza nelle carceri italiane sovraffollate;
   tale scelta appare all'interrogante uno spreco intollerabile e uno schiaffo al buon andamento della pubblica amministrazione in un campo peraltro delicato dove il personale di polizia penitenziaria dovrebbe essere utilizzato solo per il fine istituzionale di garantire la sicurezza nelle carceri italiane –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e quali eventuali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato. (4-01282)


   CANCELLERI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alla fine di giugno 2013 si apprendeva dalla stampa che a Lecce sarebbero solo 440 su 1.258 i compiti ritenuti validi. Questo il responso della Commissione di esame di avvocato presso la corte d'appello di Catania, presieduta dall'avvocato Antonio Vitale, addetta alla correzione degli elaborati dell'esame di avvocato sessione 2012 tenuta presso la corte d'appello di Lecce. Più di cento scritti sono finiti sul tavolo della procura della Repubblica con l'accusa di plagio per poi, magari, scoprire «che è tutta una bufala. Copioni a parte, sarebbe, comunque, il 65 per cento a non superare l'esame: troppi per definirli asini, tenuto conto che alla fase di correzione non si dedicano oltre i 5 minuti, rispetto ai 15/20 minuti occorrenti. Troppo pochi per esprimere giudizi fondati»;
   le notizie sono diffamatorie e lesive della dignità e dell'onore non solo dei candidati accusati del plagio, ma anche di tutta la comunità giudiziaria di Taranto, Brindisi e Lecce coinvolta nello scandalo; è, ad avviso dell'interrogante, necessario approfondire alcune questioni, per dimostrare se di estremo zelo si tratti per perseguire un malcostume illegale o ciò non derivi da errori o addirittura illegittimità delle condotte delle commissioni di correzione –:
   per ogni sede di esame di avvocato ogni anno quale sia la media degli abilitati all'avvocatura ed a che cosa sia dovuta la disparità dei giudizi, tenuto conto che i compiti corretti annualmente presso ogni sede d'esame hanno diversa provenienza;
   se per l'esame di avvocato sia permesso usare codici commentati con la giurisprudenza;
   se le tracce d'esame di avvocato indicate del 2012 fossero riconducibili a massime giurisprudenziali prossime alla data d'esame e quindi quasi impossibili da reperire dai codici recenti in uso i candidati e se, quindi, i commissari, per l'impossibilità acclarata e riconducibile ad errori del Ministero, abbiano dato l'indicazione della massima da menzionare nei compiti scritti;
   nella sessione di esame di avvocato 2012 a che ora sia stabilita la dettatura delle tracce;
   presso la sede di esame di avvocato di Lecce a che ora sono state lette le tracce;
   se, in tal caso la conoscenza delle stesse non sia stata possibile prima dell'apertura della sessione d'esame in considerazione del divieto imposto dell'uso di strumenti elettronici;
   quali siano le mansioni delle commissioni d'esame di avvocato in particolare con riferimento alla correzione dei compiti e all'accertamento di eventuali condotte dei partecipanti da cui si possa desumere la «copiatura» degli elaborati;
   quali siano i principi di correzione dei compiti, ed in base ai principi dettati, quali siano le competenze tecniche dei commissari e se corrispondono esattamente ai criteri di correzione: chiarezza, logicità e metodologia dell'esposizione, con corretto uso di grammatica e sintassi; capacità di soluzione di specifici problemi; dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati e della capacità di cogliere profili interdisciplinari; padronanza delle tecniche di persuasione;
   tra i principi indicati quale sia la figura professionale tra avvocati, magistrati e professori universitari che ha la perizia professionale adatta a correggere i compiti dal punto di vista lessicale, grammaticale, sintattico, persuasivo ed ogni altro criterio di correzione riconducibile alle materie letterarie, filosofiche e comunicative;
   quanti e quali siano le sottocommissioni in Italia che da sempre hanno scoperto compiti di candidati accusati di plagio e in base a quali prove sia stata sostenuta l'accusa;
   quante e quali siano le sottocommissioni di Catania che abbiano verificato il plagio de quo e quanti siano gli elaborati oggetto dell'accusa di plagio ed in base a quali prove sia sostenuta l'accusa;
   se le sottocommissioni di Catania coinvolte fossero composte da tutte le componenti necessarie alla validità della sottocommissione: avvocato, magistrato, professore;
   se tutti i compiti di tutte le sottocommissioni di esame di avvocato di Catania (contestati, dichiarati sufficienti, e dichiarati insufficienti) presentino segni di correzione (glosse, cancellature, segni, correzioni, note a margine);
   quanto tempo, in base ai verbali di apertura-chiusura di sessione, per ogni compito tutte le sottocommissioni di Catania (anche quelle che non hanno scoperto i casi di plagio) hanno dedicato alla fase di correzione (apertura della busta grande, lettura e correzione dell'elaborato, giudizio e motivazione, verbalizzazione e sottoscrizione);
   quanto tempo, in base ai verbali di apertura-chiusura di sessione, per ogni compito tutte le sottocommissioni di Catania (quelle che hanno scoperto i casi di plagio) hanno dedicato alla fase di correzione e quanto tempo alla fase di indagine con ricerca delle fonti di comparazione e quali siano stati i periodi di pausa;
   se si intenda valutare l'opportunità di procedere ad un'indagine imparziale ed ad un'ispezione ministeriale presso le sedi d'esame coinvolte per stabilire se Lecce e solo Lecce, si sia connotata come una sede nella quale si è manifestata una abnorme quantità di elaborati «copiati», oppure se la correzione degli elaborati abbia presentato elementi riconducibili all'eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà dei giudizi. (4-01285)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in data 7 giugno 2013 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 132 la legge 6 giugno 2013, n. 64, la quale ha convertito in legge il decreto 8 aprile 2013, n. 35, recante: «Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria»;
   per il settore dei lavori pubblici, la legge in questione contiene, all'articolo 6-bis, un'importante previsione in tema di sospensione dei lavori in caso di mancato pagamento del corrispettivo;
   l'articolo 6-bis, recante «Sospensione dei lavori per mancato pagamento del corrispettivo» novella l'articolo 253 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), introducendo una norma transitoria (comma 23-bis), che consente all'esecutore dei lavori, in relazione all'articolo 133, comma 1, del medesimo Codice, fino al 31 dicembre 2015, di agire ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile (promuovendo pertanto un'eccezione di inadempimento della sua obbligazione) nel caso in cui l'ammontare delle rate di acconto, per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il 15 per cento dell'importo netto contrattuale. L'esercizio di tale azione consente la sospensione dei lavori nel caso di inadempimento delle obbligazioni da parte dell'amministrazione;
   l'articolo 133, comma 1, del Codice degli appalti disciplina l'ipotesi di ritardata emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa prescrivendo l'obbligo per la pubblica amministrazione di corrispondere all'appaltatore interessi legali e moratori facendo salva la facoltà dell'appaltatore medesimo, qualora l'ammontare delle rate di acconto oggetto del ritardo riguardi il quarto dell'importo netto contrattuale, di agire ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile o di promuovere giudizio arbitrale per la dichiarazione di risoluzione del contratto;
   il citato articolo 133 prevedeva la possibilità per l'impresa esecutrice di un lavoro pubblico di sospendere i lavori, ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile, nel caso in cui il suo credito nei confronti della pubblica amministrazione avesse raggiunto il 25 per cento dell'importo del contratto;
   a seguito del perdurare della crisi economico-finanziaria che ha messo in ginocchio migliaia di imprese, molte delle quali già fallite, a causa della stretta del credito da parte delle banche, il legislatore ha ritenuto di dovere aiutare il comparto edilizio introducendo con la norma transitoria introdotta dall'articolo 6-bis del decreto-legge n. 35 del 2013 che abbassa dal precedente 25 per cento all'attuale 15 per cento del totale dell'importo netto contrattuale l'ammontare delle rate di acconto, per le quali si registra un ritardo dell'emissione del certificato o del titolo di spesa ed è consentito, in relazione all'articolo 133, comma 1, del Codice degli appalti, all'esecutore di lavori di agire ai sensi dell'articolo 1460 del codice civile rifiutandosi di adempiere la sua obbligazione;
   tuttavia, alcune amministrazioni di Enti locali ritengono che tale norma vada applicata ai contratti dopo il 7 giugno 2013, o ancora da stipulare, sebbene sia del tutto evidente come essa sia stata adottata proprio per venire incontro ali attuale situazione di crisi economica nella quale versa l'intero settore –:
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno chiarire le circostanze suddette, rendendo evidente che la norma va applicata a tutti i contratti in essere, anche a quelli stipulati precedentemente al 7 giugno 2013.
(2-00149) «Vecchio, Matarrese, Vitelli, Cimmino, Oliaro, Rabino, Mazziotti di Celso, Capua, Librandi, Nesi, Rossi, Catania, Vargiu, Antimo Cesaro, Binetti, D'Agostino, Fauttilli, Bombassei, Molea, Piepoli, Gigli, Quintarelli, Monchiero, Fitzgerald Nissoli, Vezzali, Causin, Zanetti, Andrea Romano, De Mita, Cera, Adornato».

Interrogazioni a risposta immediata:


   ZANETTI, CAUSIN, OLIARO e BALDUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda «grandi navi» a Venezia rappresenta il classico esempio di come una chiara opportunità di sviluppo e crescita per la città possa trasformarsi, invece, in un elemento di crisi per le crescenti difficoltà incontrate nel cercare di coniugare tutela ambientale e paesaggistica con lo sviluppo del tessuto economico;
   il porto di Venezia in questi anni è riuscito a dare un forte impulso alla crocieristica, che è diventata un polmone vitale per l'economia della città e dell'entroterra, non solo per il fatturato e i volumi occupazionali che determina direttamente, ma anche per le positive ricadute su tutto l'indotto;
   le proteste promosse dai comitati «no grandi navi» meritano una risposta in termini di individuazione di soluzioni alternative all'attuale status quo, nella misura in cui si convenga che esso determina guasti e rischi non accettabili per l'ambiente, il paesaggio e la struttura stessa della città lagunare;
   questa risposta non può, però, essere di certo la mera applicazione del «decreto Clini-Passera», perché questo determinerebbe la fine della croceristica a Venezia, producendo un danno economico e sociale capace di minare il già precario futuro della città;
   per coniugare l'obiettivo di allontanare il passaggio delle grandi navi dal cuore della città (bacino San Marco) e da vie d'acqua sostanzialmente interne alla medesima (Canale della Giudecca) con la concreta possibilità di prosecuzione della crocieristica anche con le grandi navi, sono state ad oggi proposte tre soluzioni di massima;
   la prima (caldeggiata dall'autorità portuale di Venezia) prevede lo scavo del canale Contorta-dell'Angelo (4,8 chilometri), che collegherebbe il bacino di Marittima con il canale dei Petroli; la seconda (fatta propria dal comune di Venezia) prevede il trasferimento del porto e delle navi passeggeri in un'area di Marghera; ed infine la terza (avanzata dall'ex Sottosegretario ai trasporti De Piccoli) che contempla la costruzione di un avamporto («porto off shore») in bocca di porto di S. Nicolò;
   nessuna delle precedenti soluzioni che, verosimilmente, saranno prese in considerazione in vista dell'incontro, che si terrà presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 25 luglio 2013, appare soddisfacente, alcune per questioni di impatto sull'ambiente lagunare, altre per gli elevatissimi costi di realizzazione o la sovrapposizione tra traffico merci e passeggeri nella bocca di porto degli Alberoni;
   la soluzione che meglio potrebbe coniugare le esigenze di tutela ambientale e paesaggistica con quelle di tutela di adeguate prospettive per un'attività importantissima per l'economia dell'area, minimizzando i difetti e massimizzando i pregi che caratterizzano le altre soluzioni, sarebbe quella di mantenere l'accesso delle navi passeggeri dalla «bocca di porto» di S. Nicolò, deviandone, però, il percorso sul canale dell'Orfano fino all'Isola delle Grazie, dove si tratterebbe di scavare un canale per appena 800 metri circa che, ad una ragionevole distanza di sicurezza (300/500 metri), segua il profilo sud della Giudecca, per immettersi sul canale Fasiol (attualmente di profondità di circa 2 metri) che sfocia naturalmente nel bacino di evoluzione di Marittima. In tutto, compresi i tratti di canali già esistenti (Orfano e Fasiol), il nuovo canale misurerebbe meno di 2 chilometri;
   questa soluzione, oltre ad essere meno invasiva per l'ambiente lagunare, risulterebbe decisamente meno costoso e di più rapida realizzazione ed offrirebbe alla città la possibilità per alleggerire tutto il traffico acqueo davanti al bacino di S. Marco e lungo il Canale della Giudecca, creando una sorta di «tangenziale lagunare», che, al tempo stesso, eviterebbe la sovrapposizione tra traffico merci e traffico passeggeri, che, invece, si determina nelle soluzioni in cui viene contemplato anche per quest'ultimo l'accesso in laguna dalla bocca di porto degli Alberoni;
   inoltre, mantenendo il porto passeggeri in Marittima, che con i suoi 9 nuovi terminal rappresenta, sotto il profilo infrastrutturale, internodale e strategico, la miglior risorsa della portualità passeggeri italiana e tra le più importanti nel Mediterraneo, sarebbe possibile destinare eventuali future risorse economiche al miglioramento della qualità dell'aria, attivando la fornitura di energia elettrica dalle banchine e imponendo lo stop ai motori delle navi ormeggiate –:
   se non ritenga, in vista del citato incontro del 25 luglio 2013 volto a individuare la possibile soluzione della questione del passaggio delle grandi navi a Venezia, di considerare soluzioni alternative a quelle sino ad oggi prospettate, in primis quella esposta in premessa, che unisce i pregi della semplicità realizzativa e della minimizzazione dell'impatto ambientale e dei costi, disponendo, quindi, gli opportuni approfondimenti tecnici e studi di fattibilità. (3-00212)


   BALDELLI e GALAN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il corridoio Lione-Torino-Trieste-Kiev non contiene solo le opere del nuovo tunnel ferroviario del Fréjus, ma anche interventi come l'asse ferroviario Milano-Venezia-Trieste;
   su questo ultimo asse sono in fase di avanzata realizzazione i lavori della tratta Treviglio-Brescia –:
   quando sarà possibile, trattandosi di un intervento su cui è previsto un avanzamento per lotti funzionali, dare corso alla realizzazione della tratta Brescia-Verona-Venezia. (3-00213)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il problema della casa costituisce per strati estesi della popolazione uno dei principali fattori di disagio e di criticità, ancor più alla luce della perdurante crisi economica che il nostro Paese sta attraversando in questi anni;
   accanto alla richiesta di alloggi in affitto a canone moderato, proveniente dalle categorie sociali tradizionalmente svantaggiate, quali disoccupati, lavoratori precari, pensionati, immigrati, che da sempre hanno cercato nell'edilizia pubblica una risposta al problema abitativo, stanno attualmente emergendo nuovi fabbisogni manifestati da anziani, studenti, disabili, giovani coppie, famiglie monoreddito, nuclei familiari monogenitoriali;
   con l'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, è stato istituito il fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione;
   il fondo, attivo dal 1999, prevede l'erogazione di contributi a favore di nuclei familiari per i quali l'incidenza del costo dell'affitto sul reddito risulti superiore ad una soglia di compatibilità;
   la dotazione del fondo è da determinarsi annualmente con la legge finanziaria, ora legge di stabilità, e le risorse sono ripartite tra le regioni, che a loro volta le assegnano ai comuni sulla base delle richieste ricevute;
   le regioni, possono, inoltre, concorrere al finanziamento degli interventi previsti dal fondo con proprie risorse iscritte nei rispettivi bilanci;
   negli ultimi anni il fondo non riesce più ad adempiere alle sue finalità, posto che, a fronte di un costante aumento della domanda da parte dei cittadini, le somme disponibili si sono, invece, vieppiù ridotte, passando da 143 milioni di euro per l'anno 2010 a neanche dieci milioni di euro nel 2011, e sono state del tutto azzerate con la legge di stabilità 2012 (legge n.183 del 2011);
   analogo azzeramento di risorse si è verificato nei limiti di impegno dell'edilizia agevolata, in forza del decreto-legge n. 78 del 2010;
   le risorse erogate a fronte della legge n. 431 del 1998 sono, quindi, ad oggi esclusivamente quelle stanziate a tal fine dalle regioni –:
   quali opportune ed urgenti iniziative il Governo intenda assumere al fine di rifinanziare il fondo di cui in premessa, sostenendo in tale ambito l'attività delle regioni, e dedicando la giusta attenzione alle politiche abitative, in quanto strumenti atti a produrre un'effettiva riduzione del disagio sociale. (3-00214)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LO MONTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il presidente dell'Associazione culturale «Tradizione, Ambiente e Turismo», con sede a Giardini Naxos in provincia di Messina, ha denunciato più volte lo stato di pericolosità del ponte sul torrente Petrolo sulla SS 185 – Graniti (ME);
   a tale denuncia si sono associati; richiedendo un intervento urgente, i sindaci dei comuni di Graniti, di Giardini Naxos, di Gaggi e di Castelmola;
   la strada in oggetto serve una zona di altro interesse economico ed è una via nevralgica della Valle dell'Ancantara;
   il ponte di vecchissima costruzione è stato più volte consolidato e attualmente, per motivi di sicurezza è percorribile in una sola carreggiata;
   dalle ultime rivelazioni sono stati segnalati numerosi avvallamenti del piano stradale e deformazione dei muretti laterali che potrebbe preannunciare un rischio di più pericolosi cedimenti;
   l'ufficio del genio civile di Messina, in data 7 marzo 2013, ha confermato questi rischi richiedendo all'ANAS di «voler espletare, per quanto di competenza, gli opportuni accertamenti e relazionare con particolare urgenza a questo Ufficio sulle condizioni di stabilità dell'opera di propria appartenenza, alla luce anche della verifica della completezza e dell'adeguatezza delle opere idrauliche esistenti... atte a far fronte ad eventi, non più da ritenersi straordinari, simili a quelli verificatesi negli ultimi anni a Messina e su tutto il
territorio della provincia»;
   un ponte similare, per epoca e tipo di costruzione, è crollato pochi mesi fa nel territorio di Ribera (Agrigento) sulla SS 115 senza provocare, per fortuna, danni a persone;
   nel caso specifico è impensabile procedere ad ulteriori consolidamenti ma va realizzato un rifacimento completo con lo spostamento del tracciato della SS 185;
   non va dimenticato, oltretutto, che lo stesso ponte è quotidianamente attraversato da mezzi pesanti che aggravano lo stato di sicurezza dello stesso;
   tale opera era d'altronde prevista in un progetto parzialmente realizzato che si è interrotto proprio là dove era previsto il rifacimento del ponte in oggetto;
   tale progetto sarebbe, a tutt'oggi, bloccato senza che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia fatto nulla per riprendere l'opera;
   su questa vicenda sono stati, in passato, sia a livello regionale che nazionale presentati atti di sindacato ispettivo senza sortire alcun effetto pratico ma solo un rimbalzo di responsabilità;
   tale situazione appare del tutto incomprensibile e inaudita è dovrà comportare, nel caso malaugurato di incidenti, l'individuazione di tutti i responsabili che dovranno rispondere della loro negligenza –:
   come si intenda, con effetto immediato, stante l'oggettiva pericolosità, che si evince anche dalla nota del genio civile, del ponte sul torrente Petrolo, intervenire al fine di completare e realizzare il progetto previsto di spostamento della SS 185 con il relativo rifacimento completo del ponte medesimo;
   se non si ritenga che tale intervento sia dovuto non solo per garantire la sicurezza di tutti coloro che utilizzano il ponte in questione, ma anche per avviare quel processo di risanamento di un territorio che ha già pagato, anche in termini di vite umane, un alto prezzo per via degli eventi alluvionali che, più volte, lo hanno devastato. (4-01274)


   LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Umbria mobilità spa, società umbra di trasporto pubblico, versa in una grave crisi finanziaria ed economica: la società presenta uno squilibrio strutturale tra costi e ricavi delle diverse attività oscillante tra gli 8 e i 10 milioni di euro/anno, presentando un elevato indebitamento (euro 93.325.022 al 31 dicembre 2011) – sia a breve sia a medio-lungo termine (conseguente anche ai ritardi nei pagamenti da parte degli enti concedenti e delle società collegate); ha rilasciato fidejussioni per importi rilevanti (euro 152.072.153 al 31 dicembre 2011); iscrive crediti importanti verso clienti (euro 46.776.482 al 31 dicembre 2011), società controllate e collegate (euro 39.412.983 al 31 dicembre 2011) e verso altri (euro 192.367.545 al 31 dicembre 2011) di difficile realizzo;
   la rendicontazione in termini patrimoniali, finanziari ed economici espressa nel bilancio 2011, rappresenta il primo riferimento temporale compiuto per la nuova realtà societaria che si è costituita a seguito dell'aggregazione, per fusione, delle preesistenti aziende esercenti servizi di trasporto pubblico locale in ambito regionale, con impegni anche al di fuori del contesto regionale;
   a distanza di pochi mesi dalla sua costituzione, Umbria TPL e Mobilita spa è stata, infatti, interessata da due implementazioni societarie: nel corso dell'anno 2011 è stato avviato l’iter, con gli adempimenti correlati, per la fusione inversa per incorporazione della società Umbria TPL spa (Holding). Con la stipula dell'atto di fusione si è, di fatto, realizzato il processo di integrazione delle varie aziende voluto dagli enti soci e che aveva visto la costituzione della holding come passaggio intermedio e propedeutico per la costituzione dell'azienda unica. Nello stesso anno 2011, con la stipula dell'atto di fusione è stata conclusa l'incorporazione, sempre in Umbria TPL e Mobilita spa, della società SIRA srl, già partecipata da Umbria TPL e Mobilità spa per il 76,26 per cento. Accadimenti societari da quali non si può prescindere per un'analisi puntuale dalla situazione, visto che con l'operazione di fusione furono scaricati sulla nuova azienda i debiti (secondo alcune stime calcolabili in 40 milioni di euro) della società Spoletina, della Ferrovia centrale umbra e della Atc di Terni;
   in termini economici il valore della produzione nel 2011 diminuisce da euro 122.457.958 dell'esercizio 2010 ad euro 112.692.792 dell'esercizio 2011 (-9.765.166) a causa della mancata contabilizzazione nell'anno di ricavi per Integrazione linee urbane di Perugia, della diminuzione dei corrispettivi dei contratti di servizio per effetto della diminuzione delle percorrenze affidate, della diminuzione dei contributi per il trasporto pubblico locale, della contabilizzazione di minori contributi in conto capitale, per completo ammortamento dei beni oggetto dei contributi, della contabilizzazione minori contributi Spoleto-Norcia, ma anche una gestione poco oculata, da addebitare al management della società;
   in termini finanziari, si assiste ad un peggioramento dell'indebitamento e degli indici di struttura e di solvibilità, principalmente a causa dell'insorgere di obbligazioni finanziarie in capo alla società derivanti da situazioni pregresse non emerse all'atto della fusione, per l'incidenza negativa sull'assetto finanziario dello squilibrio economico 2010 e 2011, per l'aumentata esposizione creditoria riferita alle attività romane, per situazioni creditorie pregresse di alcuni Enti affidanti, oltre ai ritardi con i quali la società introita i corrispettivi dei contratti e le altre contribuzioni pubbliche di sostegno;
   a fronte della descritta situazione i soci di Umbria Mobilità stanno valutando l'opportunità di procedere alla privatizzazione dell'azienda mediante l'individuazione di un nuovo partner industriale, probabilmente Ferrovie dello Stato Spa, e il preliminare scorporo del ramo di impresa oggetto di cessione;
   è stata già costituita, a tal fine, la nuova società «Umbria Mobilità Esercizio srl», determinando nei fatti la creazione di due società, vanificando quanto di buono è stato fatto in termini di aggregazione delle ex aziende in un unico soggetto di gestione del trasporto pubblico regionale: «Umbria Mobilità patrimonio», alla quale verrà imputato il patrimonio dell'azienda unica regionale dei trasporti, compresi i debiti, e «Umbria Mobilità esercizi», a cui verrà trasferito il personale viaggiante e la flotta dei mezzi aziendali;
   l'operazione di privatizzazione di questa seconda società rappresenterebbe la totale esclusione degli enti pubblici soci dalla gestione del servizio e del personale; resterebbe invece di pertinenza pubblica la gestione della critica esposizione debitoria della società, integrando in tal modo una distorsione, economica e sociale, di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti;
   è opportuno accertare le responsabilità politiche e manageriali del dissesto di Umbria Mobilità anche in considerazione della rinnovata attenzione del legislatore in merito alla questione della responsabilità degli amministratori delle società pubbliche, e sulla quale di recente si è espressa la Corte di cassazione sancendo una responsabilità di risultato dei manager pubblici, commisurata alla chiusura del bilancio in pareggio o con profitto delle società che gestiscono pubblici servizi. In particolare, il legislatore (articolo 71, legge n. 69 del 2009) ha stabilito che non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia registrato, per tre esercizi consecutivi, un progressivo peggioramento dei conti per ragioni riferibili a non necessitate scelte gestionali;
   sempre nell'ottica di moralizzazione, nella manovra economica del 2010 (decreto-legge n. 78 del 2010 convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010) sono stati previsti ulteriori riduzioni dei compensi, introducendo al contempo limiti al finanziamento delle società con bilancio in perdita. La prima novità riguarda le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istat in base all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e le società interamente possedute, in via diretta o indiretta, dalle amministrazioni pubbliche alla data del 31 maggio 2010. In queste società, i compensi che spettano ai componenti degli organi di amministrazione e di controllo in base a quanto previsto dall'articolo 2389, comma 1, del codice civile, a decorrere dalla prima scadenza del consiglio o del collegio successiva all'entrata in vigore del decreto-legge sono ridotti del 10 per cento rispetto al compenso stabilito al momento della nomina;
   i margini di razionalizzazione e di contenimento dei costi, implementabili per effetto della costituzione dell'azienda unica regionale e in vista della predisposizione del piano regionale trasporti, dell'approvazione del piano unico di bacino, dell'individuazione servizi minimi, nonché della indizione della nuova gara di affidamento dell'intero servizio del TPL regionale, possono prevedere un risparmio sui costi del personale dal 2013 di 4,3 milioni;
   un'ulteriore riduzione del numero delle consulenze esterne; la riduzione di 800 mila euro di costi per la fusione dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali presenti nelle due aziende fuse. L'incorporazione in Umbria TPL e Mobilita spa della controllata società SIRA comporterà benefici economici per circa euro 2.000.000 rappresentati da: eliminazione costi consiglio di amministrazione e collegio sindacale società SIRA; aumento corrispettivi contrattuali per i servizi già svolti da tale società nel territorio romano; recupero delle imposte sul reddito scaturenti da tali servizi con le perdite fiscali di Umbria TPL e Mobilita spa –:
   se alla luce dei rilievi di inopportunità espressi sull'ipotesi di privatizzazione, ritenga, per quanto di competenza, di dover escludere il progetto di acquisizione del ramo d'azienda da parte di Ferrovie dello Stato e quali informazioni abbia acquisito Ferrovie dello Stato in relazione alla situazione economico-finanziaria di Umbria Mobilità spa anche alla luce di quanto rappresentato in premessa.
(4-01286)

INTERNO

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nel caso del cosiddetto blitz nel quartiere Casalpalocco in Roma, nella notte tra il 28 il 29 maggio 2013, che ha portato come conseguenza l'espulsione dal territorio nazionale della signora Shalabayeva e di sua figlia di sei anni si è proceduto a una irruzione delle forze di polizia all'interno del domicilio della stessa;
   le fonti di stampa sono state concordi nel riferire che nel corso del blitz non c’è stato alcun sequestro di armi e o di droghe;
   le fonti di stampa non hanno mai fatto cenno al fatto che il blitz sia stato un'operazione di polizia giudiziaria autorizzata dalla magistratura;
   nell'ordinamento giuridico italiano è possibile l'accesso al domicilio privato da parte delle forze di polizia, che non agiscano come polizia giudiziaria su mandato della magistratura, solo nei casi previsti: dall'articolo 352 del codice di procedura penale con convalida della perquisizione da parte del pubblico ministero; dall'articolo 4 della legge n. 152 del 1975 al solo fine di accertare la presenza di armi e di esplosivi, con comunicazione delle risultanze entro 48 ore al pubblico ministero; e dall'articolo 41 del TULPS sempre ai fini di accertare la detenzione di armi e esplosivi;
   esiste la possibilità di perquisizione, al di fuori dei casi precedenti, con l'articolo 103 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e di accesso domiciliare al fine del reperimento di stupefacenti, con convalida della perquisizione da parte del PM –:
   se le forze di polizia operative nel blitz di Casalpalocco abbiano effettuato l'accesso domiciliare all'interno o meno del perimetro dell'ordinamento giuridico italiano e se abbiano informato il pubblico ministero del non ritrovamento plausibile di armi e/o di droghe durante il blitz.
(2-00145) «Nuti, Manlio Di Stefano, Di Battista, Del Grosso, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Tacconi».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il quotidiano Il Fatto Quotidiano il giorno 12 luglio 2013 ha pubblicato un articolo a proposito del cosiddetto blitz nel quartiere Casalpalocco in Roma nella notte tra il 29 e 30 maggio 2013, che ha avuto come diretta conseguenza espulsione dal territorio nazionale della signora Shalabayeva, nel quale si legge della presenza di tre persone, nei pressi della villetta della citata signora attive in una sorta di vigilanza;
   stando al resoconto giornalistico, le forze di PS presenti al blitz hanno identificato due delle persone di cui sopra: D.F. della Polaria con tessera della Presidenza del Consiglio e un altro non meglio precisato con tessera dei carabinieri;
   le due persone sopra menzionate avrebbero affermato «di aver ricevuto incarico da un cittadino israeliano, Forlit, residente in Tel Aviv dove è titolare della società Gadot Information Service» –:
   se l'identificazione delle due persone in oggetto sia realmente avvenuta da parte delle forze di PS presenti nell'operazione a Casalpalocco;
   se le citate persone stessero agendo con funzioni di servizio per conto della Repubblica italiana e se abbiano inoltrato pertanto una relazione sull'accaduto alla Presidenza del Consiglio e ai carabinieri;
   se le citate persone stessero invece agendo effettivamente per un incarico di vigilanza da parte di un committente privato, cosa che tra l'altro è incompatibile con la loro attività di lavoro nelle istituzioni.
(2-00146) «Nuti, Manlio Di Stefano, Di Battista, Del Grosso, Grande, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Tacconi».

Interrogazione a risposta scritta:


   GARAVINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcuni quotidiani hanno recentemente reso noto che, nell'ambito di una procedura di sequestro preventivo di beni, alcune finanziarie hanno unilateralmente deciso di rescindere le convenzioni per finanziare il credito al consumo di un'azienda di vendita e assistenza di motociclette;
   dette convenzioni erano tutte regolarmente attive e funzionanti senza alcun problema fino a quando l'azienda era sotto il controllo del soggetto ritenuto dalla procura di Reggio Calabria, un prestanome di un esponente politico condannato per aver favorito la ’ndrangheta, e sono state non rinnovate quando l'amministratore giudiziario ha reso noto alle società finanziarie di essere subentrato nell'amministrazione dell'azienda;
   in particolare risulta che le società Neos (collegata con Intesa San Paolo) e la società Compass (gruppo Mediobanca) abbiano fatto sapere di non volere avviare rapporti con la nuova gestione, la società Findomestic (gruppo BNP Paribas) che la convenzione è sospesa, mentre le società Agos (gruppo Credit Agricole) e Ducati Financial Bank, non hanno ancora risposto;
   questo atteggiamento ha reso sostanzialmente impossibile la normale attività di vendita delle moto, non essendo possibile effettuare le consuete formule di pagamento rateale –:
   se la vicenda riportata dai quotidiani sia a conoscenza dei Ministeri dell'interno e della giustizia e, nello specifico, quali atti abbia posto in essere l'Agenzia per i beni confiscati per evitare tali atteggiamenti;
   in quale misura sia calato il fatturato della società sequestrata dopo il blocco delle convenzioni per il finanziamento al consumo;
   quanto abbiano ricavato le singole società finanziarie negli ultimi 10 anni dalle convenzioni in essere con la società che effettuava ripulitura di denaro sporco e se abbiano mai sollevato problemi rispetto all'assetto proprietario o all'affidabilità dell'interlocutore;
   come si ritenga di intervenire per porre fine a tali comportamenti, valutando anche di escludere tali società finanziarie, ed altre che abbiano comportamenti similari, dagli albi dei fornitori di società ed enti pubblici. (4-01281)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la storia del reclutamento dei precari della scuola negli ultimi anni ha inizio con l'approvazione della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, che ha trasformato le graduatorie permanenti (GP), unico canale, fin dalla loro istituzione nel 1999, di assunzione per il personale abilitato attraverso i corsi universitari, in graduatorie ad esaurimento (GaE).
   nell'anno accademico 2007/2008 è partito il IX e ultimo ciclo SSIS (scuola di specializzazione all'insegnamento secondario), ma nei diversi Atenei, con speciali avvisi, nel bando di ammissione si metteva in valore che l'abilitazione rilasciata non sarebbe stata utile per l'ammissione nelle graduatorie ad esaurimento;
   l'Anief è riuscita nell'ottobre del 2008 ad ottenere con la legge n. 169 del 30 ottobre 2008 l'iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento per gli ammessi a detto IX ciclo SSIS;
   nel 2008 è avvenuta la chiusura delle SSIS, ma non invece dei corsi abilitanti presso i corsi di laurea in Scienze della formazione primaria, le accademie ed i conservatori, dove si continua a formare docenti che restano esclusi dalle graduatorie ad esaurimento;
   anche in questo caso l'Anief ha fatto partire una serie di mobilitazioni che hanno portato all'approvazione di un emendamento al decreto milleproroghe del 2012 che hanno consentito anche a chi proveniva dai suddetti corsi abilitanti di essere inserito nelle graduatorie ad esaurimento;
   nell'ultimo anno accademico 2012/2013 sono finalmente partiti, a distanza di 4 anni dall'ultimo ciclo SSIS i tirocini formativi attivi ordinari, ma il nuovo regolamento sul tirocinio formativo attivo (che modifica il decreto n. 249 del 2010) ha introdotto, senza che ciò venisse sottoposto alle competenti commissioni parlamentari, uno specifico comma che prevede il divieto di inserimento nelle graduatorie ad esaurimento;
   il riconoscimento dell'abilitazione per la sola II fascia delle graduatorie d'istituto è secondo l'interrogante illegittimo e privo di qualsiasi logica, giacché chi ha superato l'accesso a numero chiuso per il tirocinio formativo attivo ordinario e ha conseguito l'abilitazione dovrebbe avere diritto all'inserimento nell'unico canale a lui deputato, ovvero le graduatorie ad esaurimento;
   l'esclusione dal «concorsone» per il ruolo (attualmente in fase di svolgimento) di alcune classi di concorso come la 445-446, la 013 o la 039 è un atto gravissimo, specialmente alla luce del fatto che le scuole di molte province italiane hanno in organico di diritto numerose cattedre vacanti su tali materie (peraltro in continuo aumento nel caso della classe 445-446) che rimarranno scoperte perché nessun docente di queste classi di concorso è iscritto in graduatorie ad esaurimento;
   è evidente che bandire i posti di concorso unicamente in base ai pensionamenti e non alle reali necessità è una scelta errata, poiché vi è una categoria di docenti totalmente trascurata che ha atteso cinque anni per poter conseguire l'abilitazione in queste materie e l'ha ottenuta tramite il concorso tirocini formativi attivi 2011/2012 e che si trova ora, a differenza di tutti gli altri colleghi che hanno il doppio canale di reclutamento (graduatorie ad esaurimento e «concorsone»), nell'illogica situazione di essere esclusa sia dal «concorsone» sia dall'entrata in graduatorie ad esaurimento;
   gli abilitati del primo ciclo di tirocinio formativo attivo ordinario hanno già superato un concorso (consistente in due prove scritte ed una orale) a numero programmato e limitatissimo per regione in base all'esigenza di posti rilevata dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   quali misure intenda assumere il Ministro, per quanto di competenza, al fine di ripristinare la parità di trattamento tra docenti;
   se sia intenzionato a procedere all'inserimento immediato di detti abilitati nelle graduatorie ad esaurimento, così da garantirne l'immissione in ruolo entro l'inizio del prossimo anno scolastico.
(5-00631)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 6 giugno 2013 è stato annunciato proprio dallo stesso Ministro Carrozza nel corso di un intervento presso la VII Commissione Cultura Camera e Senato in seduta plenaria un imminente investimento sulle scuole con basse performance nelle prove Invalsi, e contro la dispersione scolastica, da parte di codesto Ministero;
   l'intervento in questione prevedrebbe l'istituzione di attività estive e/o pomeridiane, che siano socialmente aggregative, o di studio, da attuarsi da parte di scuole pubbliche o da parte di poli di scuole che ne faranno richiesta anche per l'apertura pomeridiana delle scuole stesse, come recentemente auspicato dalla Commissione di Saggi nominata dal Presidente della Repubblica;
   da sempre il personale educativo, già «Istitutori» dei Convitti nazionali, dei Convitti annessi e degli educandati dello Stato, inserito fin dal 1995 nel CCNL Scuola con funzione docente, categoria (che ad oggi conta più di 2.000 unità presenti in tutte le regioni) di esperti di attività educative, già in forza a questo Ministero, è personale docente (articolo 121 del decreto del Presidente della Repubblica n. 416 del 1974) a ciò formato e avvezzo, assunto attraverso superamento di concorso pubblico (l'ultimo è del 2000) e relativa graduatoria pubblica, si occupa all'interno del sistema della pubblica istruzione italiana di promuovere, realizzare e gestire attività aggregative, contemporaneamente agli studenti fornendo orientamento e consulenze su tecniche e metodologie di studio, è operante su tutti gli ordini di scuola e tutte le fasce di età dalla prima classe di primaria fino alla maturità ed è preposto proprio al settore dell'aggregazione e dell'educazione, dei bisogni educativi e della facilitazione dei processi di apprendimento di alunni in regime di semiresidenzialità come di convittualità, attraverso l'organizzazione e la gestione di gruppi per attività ludico-ricreative, lo «studio guidato» (fatto di «doposcuola», ripetizioni, ripasso, e compiti) per ogni fascia d'età, i «Laboratori Culturali» (in compresenza col docente della materia) tipici del Liceo europeo e l'organizzazione e gestione di attività integrative curricolari ed extracurricolari;
   una eventuale esternalizzazione di servizi educativi e didattici al momento e da tempo già a disposizione del Ministero sarebbe da configurarsi come un ulteriore costo aggiuntivo ad un bilancio dello Stato che nel settore istruzione è già gravoso, e gravato da ipoteche di ogni tipo, così come da una quantità di precari e di soprannumerari che cercano una non sempre facile ricollocazione, anche nello specifico settore degli educatori di cui trattasi;
   l'azione di «governo del personale» deve sempre essere improntata al massimo rispetto di quei chiari principi di legalità e trasparenza che ad ogni livello devono caratterizzare l'azione politico-amministrativa, anche e soprattutto in un settore così centrale come quello dell'educazione dei minori e dei giovani, che sono il presente e il futuro della società;
   questo tipo di lavoro educativo rischia di essere trasferito a personale non solo non selezionato tramite concorso pubblico ed esterno all'amministrazione, ma soprattutto sempre più precario e sottopagato, con la grave conseguenza di istituire dei «servizi-duplicato» precari, temporanei e mal funzionanti, che si sovrapporrebbero a servizi invece già disponibili, strutturati, funzionali ed erogati da esperti della pubblica istruzione ora presso i convitti e gli educandati, ma facilmente organizzabili in qualunque scuola attraverso tale personale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   vi è il rischio di possibili ricadute negative in termini di mancati posti di lavoro per quanti all'interno di tale personale educativo sono precari e soprannumerari, i quali nel caso di un eventuale mancato inserimento della categoria nell'iniziatica suddetta, si vedrebbero ancora una volta penalizzati da una scarsa introduzione nello stesso comparto scuola delle prerogative e delle competenze della categoria, competenze per altro oggi richiestissime a ogni livello locale e internazionale nelle politiche educative, ma finora trascurate dalla scuola italiana, che pur le possiede nel personale educativo di convitti ed educandati –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per garantire che, per le istituende attività aggregative estive e pomeridiane delle scuole, si possa utilizzare il personale educativo di convitti ed educandati dello Stato, ossia personale pubblico formato, specializzato, a ciò preposto, precario e soprannumerario, che desidera solo continuare ad operare nello specifico settore didattico dell'educazione dei minori e dei giovani e già in forza e disponibile al sistema della pubblica istruzione senza ulteriore aggravio di spesa;
   se non ritenga il Ministro di dover assumere ogni iniziativa di competenza affinché si possa fin da subito pervenire alla precisa e dettagliata informazione su quantità, origine e destinazione dei fondi da destinare allo specifico e istituendo capitolo di spesa, anche in considerazione che il possibile utilizzo del personale educativo statale in questa iniziativa potrebbe ridurre il costo complessivo dell'iniziativa stessa;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di scongiurare le possibili ricadute negative in termini occupazionali per quanti all'interno di tale personale educativo, sono precari e soprannumerari, i quali nel caso di un eventuale mancato inserimento della categoria nell'iniziativa suddetta, si vedrebbero ancora una volta penalizzati da una scarsa introduzione, diffusione e conoscenza nello stesso comparto scuola della categoria, delle sue prerogative e delle sue competenze, competenze tuttavia oggi richiestissime a ogni livello delle politiche educative, ma finora trascurate cenerentole della scuola italiana. (5-00636)

Interrogazione a risposta scritta:


   AIELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 82 del 24 settembre 2012, emanato dal direttore generale per il personale scolastico, sono stati indetti dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado;
   in particolare per la classe di concorso C430 — laboratorio tecnologico per l'edilizia ed esercitazioni di topografia è stata svolta, nella regione Calabria, una prova scritta in data 21 febbraio 2013;
   il 22 aprile è stata data comunicazione di ammissione alla prova pratica sostenuta, poi, il 20 maggio 2013 presso l'istituto tecnico per geometri di Lamezia Terme;
   tra i 4 commissari totali sono stati nominati componenti due insegnanti dell'Istituto tecnico per geometri — via S. Miceli — di Lamezia Terme, mentre come presidente della commissione è stato indicato il dirigente scolastico dello stesso istituto che, senza volere entrare nel merito del profilo pubblico dei selezionatori dei futuri docenti che dovrebbe almeno rispondere a criteri di prudenza e inattaccabilità, è un noto esponente politico del lametino;
   è evidente come in tale situazione il grado di autonomia dei componenti la commissione sia fortemente pregiudicato dal rapporto di subalternità lavorativo abituale tra le figure individuate;
   inoltre, il presidente della commissione è docente di materie letterarie, ma dovrebbe correggere gli elaborati tecnici;
   ad oggi non è stato ancora pubblicato l'elenco dei candidati ammessi alla prova orale –:
   se il Ministro intenda intervenire e come per verificare i motivi di tale ritardo nella comunicazione dei candidati ammessi ed una eventuale incompatibilità dei membri della commissione giudicatrice.
(4-01284)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per gli affari europei, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
   il 19 giugno 2013 le cronache dei giornali hanno riportato la notizia che al Palazzo dei Normanni di Palermo, sede del Parlamento regionale siciliano, vigeva un sistema (ribattezzato «sistema Giacchetto») di corruzione e di distrazione di fondi pubblici sia nell'organizzazione dei grandi eventi sia nella gestione della formazione professionale in Sicilia;
   le indagini della Guardia di finanza di Palermo hanno accertato che i 15 milioni per avviare all'apprendistato circa 1.500 giovani disoccupati stanziati dal ministero del lavoro e delle politiche sociali sarebbero finiti in buona parte nelle tasche di politici e manager con viaggi, cene e anche escort; è stato scoperto anche un reticolo di fatture inesistenti e appalti pilotati;
   gli occhi della procura sono puntati sia sui cosiddetti Grandi eventi organizzati dalla regione siciliana, ma, soprattutto, sul Ciapi, un ente di formazione destinatario di ingenti somme di finanziamenti europei per una somma complessiva di circa 90 milioni, all'interno del quale veniva assunto del personale raccomandato dai politici;
   i militari della Guardia di finanza di Palermo hanno eseguito 17 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di imprenditori, dirigenti regionali e politici;
   gli arresti hanno svelato quello che si ritiene essere un vero e proprio comitato d'affari al cui vertice vi sarebbe secondo la procura il manager Faustino Giacchetto che per anni, anche corrompendo politici e dirigenti pubblici e ricorrendo a fatture per operazioni inesistenti, avrebbe pilotato gli appalti dei grandi eventi in Sicilia e si sarebbe appropriato di rilevanti fondi comunitari che sulla carta, come detto, avrebbero dovuto essere destinati ai principali progetti per la formazione professionale;
   inoltre, è stato sequestrato capitale sociale e beni aziendali di 5 società, disponibilità patrimoniali e finanziarie riconducibili agli indagati, per un valore complessivo di oltre 28 milioni;
   in merito alla vicenda si è espresso anche il presidente della regione Rosario Crocetta che, il giorno dopo la puntata del programma tv d'inchiesta «Report» sulla questione della formazione in Sicilia (già denunciata dal settimanale Panorama), rimarcando la gravità dell'episodio, ha provveduto immediatamente a bloccare i pagamenti agli enti riconducibili ai deputati coinvolti nella vicenda ed ha annunciato verifiche a tappeto;
   a dare manforte al presidente Crocetta è intervenuto anche il Ministro, Gianpiero D'Alia, il quale ha ricordato la necessità di una profonda riforma del sistema e chiesto altresì la convocazione di un tavolo di confronto tra Governo, sindacati e imprese per adottare provvedimenti drastici che segnino una vera discontinuità con il passato;
   preme rimarcarsi la trasversalità di tutti i partiti politici coinvolti nella vicenda; dalle carte della procura emerge infatti che il «sistema» in questione è stato scoperto anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di Giacchetto che, pentendosi, hanno rivelato i nomi dei politici coinvolti nello scandalo e attualmente indagati, tra i quali: Francesco Scoma (Pdl), appoggiato dal sindaco Di Matteo (Sindaco di Monreale) alle ultime elezioni regionali; Gaspare Vitrano (Pd), molto vicino in passato a Toti Zuccaro; Francesco Cascio (Pdl) e i due politici monrealesi più «potenti» degli ultimi anni, Nino Dina (Udc) e Salvino Caputo (Fdi);
   dalle notizie diffuse dalla stampa si apprende inoltre che il 10 luglio 2013, su richiesta della procura regionale, la Corte dei conti ha decretato e notificato a dodici persone un provvedimento di sequestro che riguarda case, terreni, conti correnti e macchine. Un sequestro conservativo basato sull'ipotesi che nella vicenda Ciapi si possano configurare delle colpe gravi;
   l'elenco delle persone raggiunte dal sequestro si apre con l'ex presidente del Ciapi, Francesco Riggio, al quale sono stati bloccati beni per oltre 5 milioni di euro, e prosegue con Gaspare Lo Nigro, l'ex direttore dell'Agenzia regionale per l'impiego che ha approvato il progetto e dato il via libera all'integrazione dei fondi per il Co.Or.Ap (sequestro da un milione e mezzo). Ci sono poi tutti i componenti del comitato tecnico scientifico del progetto, in rappresentanza del Ciapi o della regione siciliana: Daniela Avila, Calogero Bongiorno, Luigi Gentile, Giuseppe Gattuso, Giuseppe Bonadonna, Rosario Candela, Santo Conti, Natalino Natoli, Enzo Testagrossa, Salvatore Schembri. Per loro il sequestro ammonta ad 850 mila euro ciascuno;
   per scoprire come sono stati spesi i soldi i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria hanno ascoltato alcune delle 278 persone (troppe secondo la procura della Corte dei conti) che hanno lavorato al progetto. E tutti hanno raccontato di «giornate intere in cui non vi era nemmeno un utente» agli sportelli informativi aperti in diverse città siciliane. «Sportelli che non disponevano nemmeno di un computer», hanno aggiunto alcuni di loro. Ecco spiegato il risultato imbarazzante su cui si è concentrata la Corte dei conti: quindici milioni di euro spesi, diciotto giovani indirizzati all'apprendistato e zero posti lavoro creati;
   il fenomeno delle irregolarità e delle frodi sull'utilizzo dei fondi pubblici non è per nulla nuovo in Sicilia;
   dati alla mano della Corte dei conti, con 153,5 milioni di euro da recuperare a seguito di irregolarità, la Sicilia risulta la regione più deficitaria anche se a non brillare è tutto il Meridione;
   critico è il commento della Corte dei conti che, nella «Relazione 2012 sui rapporti finanziari con l'Unione europea e sull'utilizzo dei fondi comunitari», fornisce anche una spiegazione alla maggiore incidenza del fenomeno tra le regioni meridionali; ciò è riconducibile alla circostanza che esse sono destinatarie di rilevanti risorse europee, e sono influenzate dalla particolare situazione socio-economica locale, caratterizzata da vari fattori negativi connessi con la presenza sul territorio della criminalità organizzata e con un più marcato ritardo nella crescita economica rispetto alle altre aree;
   in particolare la Corte dei conti si sofferma sul fenomeno delle frodi, ritenendo estremamente preoccupante che fra i sistemi utilizzati è frequente la mancata realizzazione delle attività finanziate, soprattutto nel settore dei contributi pubblici. Una condotta che risulta quindi strumentale alla illecita distrazione dei fondi concessi, pregiudicando altresì le finalità specifiche a cui le sovvenzioni sono indirizzate, rivolte alla riqualificazione professionale dei lavoratori e allo sviluppo delle attività imprenditoriali, vanificando l'obiettivo di incentivare le occasioni di crescita nel settore e nelle regioni interessate;
   gli interpellanti, consci delle gravi ripercussioni che il fenomeno in questione provoca tutt'oggi nel contesto locale siciliano, ritengono preventivamente necessario che si provveda, nell'immediato, ad un controllo straordinario di tutti gli enti di formazione e non solo, che potrebbero aver posto in essere frodi ed attività illecite della medesima specie;
   viene sinceramente da chiedersi come sia possibile che, nonostante la questione vada avanti ormai da anni, non si sia riusciti ancora ad intervenire efficacemente sul fenomeno –:
   di quali elementi dispongano sulla vicenda, nell'ambito delle loro competenze;
   se sia intenzione dei Ministri interpellati, per quanto di loro competenza, porre in essere iniziative utili a rendere effettivamente fruibili gli strumenti offerti dall'Europa ai nostri giovani ed, in particolare, a quelli residenti nella regione Sicilia, senza che la mala gestio delle risorse renda ancor più complessa una situazione occupazionale già di per sé drammatica.
(2-00150) «Di Vita, Villarosa, Mantero, Marzano, Nuti, Lorefice, Rostellato, Tripiedi, Cominardi, Bechis, Baldassarre, Ciprini, Rizzetto, Colonnese, Pinna, Nesci, Carinelli, Spessotto, Vignaroli, Fico, Luigi Di Maio, Dadone, Dieni, Fraccaro, Toninelli, Cozzolino, D'Ambrosio, Cancelleri, D'Uva, Grillo, Mannino, Grande».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha recentemente espresso un giudizio sulle pensioni cosiddette d'oro affermando che quei trattamenti previdenziali hanno un importo così elevato tale da renderli non congrui con l'attuale contesto socio-economico e di sacrifici imposti alla generalità della popolazione;
   la grave crisi economica che interessa il nostro Paese ha risvolti drammatici in termini di sacrificio per i ceti meno abbienti e ciò può determinare problemi evidenti sotto il profilo della coesione sociale;
   la Corte costituzionale è intervenuta sul tema della pensioni d'oro dichiarando l'illegittimità costituzionale del prelievo a fini di solidarietà operato dal decreto-legge n. 98 del 2011;
   la norma dichiarata incostituzionale si collocava nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica e alla stabilizzazione finanziaria e interveniva in un momento assai delicato per la vita economica-finanziaria del Paese;
   la difficile situazione in cui versa ancora oggi il nostro Paese impone una riflessione sulla possibilità di utilizzare strumenti eccezionali per farvi fronte, nell'arduo compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti i cittadini necessitano;
   il Ministro in un recente intervento alla Camera dei deputati, il 12 giugno 2013, ha ribadito che si possono individuare i meccanismi idonei ad affrontare la questione delle pensioni d'oro senza incorrere in rischi di incostituzionalità;
   andrebbe, quindi, valutata l'ipotesi di un intervento su questa tipologia di pensioni essendo ben possibile l'introduzione, per singole categorie di cittadini, di specifici tributi, purché nei limiti della ragionevolezza –:
   quali siano i meccanismi idonei ad affrontare la questione sollevata in premessa per ridurre l'ammontare delle pensioni cosiddette d'oro erogate dall'INPS in un contesto di grave crisi economica;
   quali siano, allo stato attuale, i 10 trattamenti pensionistici complessivamente più onerosi per lo Stato italiano, erogati dall'INPS, tenendo conto del fatto che alcuni soggetti cumulano diverse pensioni. (5-00632)


   MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 264 del 1949 e successive modificazioni e integrazioni prevedeva l'istituzione di corsi di qualificazione e di riqualificazione professionale per disoccupati, per lavoratori in soprannumero nelle aziende e per emigranti. L'organizzazione di tali corsi era affidata ad enti parastatali (soppressi con decreto del Presidente della Repubblica n. 10 del 1972) quali l'ENALC (per il commercio), l'INAPLI (per l'industria) e l'INIASA (per l'artigianato);
   l'iscrizione ai corsi avveniva su domanda dell'interessato e l'ente comunicava i nominativi degli iscritti all'INPS e ai competenti uffici del lavoro. Alla fine dei corsi veniva rilasciato un attestato che costituiva titolo di preferenza nell'avviamento al lavoro;
   il 31 luglio 2008 rispondendo all'interrogazione 5-00224, il rappresentante del Governo, Sottosegretario di Stato pro tempore, senatore Pasquale Viespoli, aveva precisato che «per i partecipanti ai suddetti corsi non era previsto il versamento di contributi assicurativi e previdenziali, non trattandosi di lavoratori subordinati alle dipendenze degli enti gestori dei corsi professionali in argomento»;
   nel recente passato, con un parere, il Ministero dell'economia e delle finanze aveva ritenuto l'INAPLI rientrante nel novero dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) che permette il computo gratuito nella pensione pubblica del servizio prestato alle dipendenze dello stesso ente, quali allievi apprendisti;
   nonostante ciò numerosi lavoratori che negli anni cinquanta e sessanta hanno frequentato i corsi di formazione professionale tenuti dagli enti sopracitati hanno ricevuto risposta negativa dall'INPS in esito alla richiesta di accredito dei contributi per i periodi di frequenza;
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 564 del 1996 riconosce «in favore degli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti e alle forme di essa sostitutive ed esclusive, i periodi successivi al 31 dicembre 1996, di formazione professionale, di studio o di ricerca, privi di copertura assicurativa, finalizzati alla acquisizione di titoli o competenze professionali richiesti per l'assunzione al lavoro o per la progressione in carriera, possono essere riscattati a domanda, qualora, ove previsto, sia stato conseguito il relativo titolo o attestato, mediante il versamento della riserva matematica secondo le modalità di cui all'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni e integrazioni» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della circostanza sopradescritta e se non si ritenga di assumere iniziative per addivenire ad una modifica della normativa vigente, in particolare con riferimento al parere espresso dal Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di consentire ai lavoratori che hanno frequentato e positivamente concluso corsi di addestramento professionale anche in periodi antecedenti il 31 dicembre 1996, il computo dei periodi di frequenza ovvero la possibilità di riscatto a titolo oneroso degli stessi ai fini previdenziali. (5-00633)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori licenziati dalla Fiat Sata di Melfi e successivamente reintegrati con provvedimento della corte di appello di Potenza che ha sancito l'antisindacalità del provvedimento disciplinare di cui si tratta non sono stati effettivamente ricollocati nel proprio posto di lavoro e nelle proprie mansioni;
   la Fiat Sata di Melfi, infatti, ha comunicato di voler rinunciare alle prestazioni lavorative dei detti lavoratori originariamente licenziati provvedendo unicamente al pagamento della retribuzione;
   gli emolumenti da versare ai lavoratori di cui si tratta non possono che essere la cosiddetta retribuzione globale di fatto;
   la mancata prestazione di lavoro derivante da atto o contegno del datore di lavoro ha determinato per il periodo in cui ha prodotto effetti il licenziamento e determina dal momento in cui persiste la volontà di rinunciare a dette prestazioni il diritto dei lavoratori ad una prestazione da parte del datore di lavoro consistente nel pagamento della retribuzione, in una entità almeno pari alla perdita del coacervo delle utilità che lo svolgimento della prestazione avrebbe comportato;
   in altri termini i lavoratori non reintegrati hanno diritto a percepire, secondo ciò che viene chiarito dalla giurisprudenza, una retribuzione pari al coacervo degli emolumenti, non eventuali, occasionali o eccezionali, ma aventi normale e continuativa connessione con le modalità proprie della prestazione lavorativa, ancorché eccedenti la retribuzione base;
   in questo modo è possibile conseguire per i lavoratori illegittimamente licenziati (in generale) il risultato di neutralizzare gli effetti di un provvedimento sanzionatorio illegittimo e, nel caso di specie, di impedire che una condotta dell'azienda tesa ad eludere una pronuncia della magistratura possa produrre risultati penalizzanti per i lavoratori licenziati e non reintegrati;
   immaginare un trattamento economico minore di quello che i lavoratori avrebbero percepito qualora avessero continuato a svolgere le loro consuete mansioni significherebbe addossare a questi ultimi le conseguenze negative di una scelta aziendale;
   da quello che emerge sugli organi di stampa: «La cosa certa è che i 3 lavoratori ad oggi non sono stati ancora reintegrati sul posto di lavoro, ma in maniera illegittima sono pagati dall'INPS con la Cassa Integrazione Straordinaria senza rotazione», come ha dichiarato il segretario generale della Fiom CGIL di Basilicata, Emanuele De Nicola;
   questo elemento, qualora dovesse risultare confermato, si rivelerebbe estremamente grave in considerazione del fatto che la scelta operata dall'azienda circa il mancato reintegro dei lavoratori nel proprio posto e nelle proprie mansioni non può essere scaricata sulle casse dell'INPS e, in ultima analisi, sulla collettività;
   in altri termini i lavoratori non reintegrati devono essere pagati dall'azienda con la retribuzione globale di fatto e non dall'INPS, avendo, la Fiata Sata, rinunciato alle prestazioni lavorative dei lavoratori in questione e non potendo, per conseguenza, collocarli in cassa integrazione –:
   se la situazione denunciata in premessa corrisponda al vero e quali misure il Governo intenda adottare per assicurare la corretta applicazione della legge, senza che all'INPS vengano addossati costi dovuti dall'azienda. (4-01275)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la società ARPAC Multiservizi è una srl a totale partecipazione dell'agenzia regionale per la protezione ambientale della regione Campania;
   dal bilancio per l'anno 2010 depositato dalla predetta società al registro delle imprese, risulta che il rispetto al 2008 il fatturato è diminuito del 141,34 per cento, mentre il risultato netto ottenuto detratti gli oneri finanziari, le tasse e gli ammortamenti, è diminuito del 100,18 per cento;
   il bilancio di ARPAC Multiservizi srl relativo al 2010 registra perdite per circa 8.600.000 euro;
   in data 23 febbraio 2013, a causa della situazione di crisi economica e finanziaria nella quale versava, per ARPAC Multiservizi srl è stato registrato l'atto di messa in liquidazione presso il registro delle imprese, e quale suo commissario liquidatore è stato nominato il dottore Raffaele Busiello, già presidente del consiglio di amministrazione della stessa società;
   l'ARPAC Multiservizi srl ha una sua dotazione organica di 272 unità, contrattualizzate con due tipi di contratto, uno dei quali e segnatamente quello di FEDERAMBIENTE (ex AUSITRA) risulta particolarmente oneroso;
   il costo annuale dei dipendenti di ARPAC Multiservizi srl ha inciso sulle perdite per circa l'85 per cento;
   contestualmente alla messa in liquidazione, all'ARPAC Multiservizi srl è stata concesso il ricorso alla cassa integrazione in deroga, e, conseguentemente il commissario liquidatore e le organizzazioni sindacali hanno concordato un piano per la messa in cassa integrazione dei lavoratori, il quale, tuttavia, non comprende tutti i 272 dipendenti;
   ai sensi dell'articolo 23 della legge regionale per la Campania n. 1 del 2012, per motivate esigenze organizzative o di contenimento dei costi del personale, è prevista la possibilità di utilizzare in assegnazione temporanea il personale proveniente dagli enti, dalle aziende e dalle agenzie strumentali della regione;
   in forza della richiamata normativa, già prima della messa in liquidazione della società ARPAC Multiservizi srl ad alcuni dipendenti della stessa, che si trovavano in posizione di comando, era stato concesso il «nulla osta» con il relativo e conseguente trasferimento presso altra pubblica amministrazione;
   i costi sostenuti per le prestazioni svolte dai dipendenti in funzione di comando non gravano in alcun modo sul bilancio di ARPAC Multiservizi srl;
   nell'accordo siglato dal commissario liquidatore risultano inseriti nell'elenco dei lavoratori che dal 1o settembre saranno posti in cassa integrazione anche i dipendenti in posizione di comando presso altre pubbliche amministrazioni;
   gli oneri economici e finanziari dei lavoratori di ARPAC Multiservizi srl in posizione di comando gravano esclusivamente sui bilanci delle pubbliche amministrazioni dove gli stessi prestano servizio –:
   se la procedura adottata da ARPAC Multiservizi srl nell'individuazione del personale da collocare in cassa integrazione sia in contrasto con le attuali norme legislative in vigore;
   quali siano le cause e i motivi attraverso i quali si è determinato che nell'elenco dei dipendenti da collocare in cassa integrazione vi siano anche lavoratori in posizione di comando presso altre amministrazioni;
   se siano state avviate indagini in merito a quanto descritto in premessa.
(4-01283)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Indesit Company ha proposto un piano di riorganizzazione dell'assetto industriale che prevede 1425 esuberi in Italia, dei quali 480 a Fabriano, 230 a Comunanza, e 540 a Caserta;
   tale piano di ristrutturazione contempla inoltre la chiusura di due impianti, Melano, uno dei due siti fabrianesi, e Teverola nel casertano, e contestualmente lo spostamento di alcune produzioni in Turchia e Polonia, con investimenti verso questi Paesi di milioni di euro;
   nel dettaglio, il piano di licenziamenti riguarderebbe 25 dirigenti, 150 impiegati delle sedi centrali, e 1250 impiegati e operai delle fabbriche di Fabriano, Comunanza, Caserta;
   nell'anno 2012, la Indesit ha conseguito circa 3 miliardi di euro di ricavi ed un utile netto di guadagni di 62 milioni di euro, il 6 per cento in più rispetto all'anno precedente;
   il piano di ristrutturazione appare quindi chiaramente motivato non da una crisi economico-finanziaria della azienda, ma solo da una scelta del management aziendale nella direzione, appunto, di una delocalizzazione delle sue attività, intrapresa già da qualche anno, e che ha già modificato sensibilmente l'equilibrio economico in relazione ai mercati di vendita;
   mentre fino al 2003, infatti, la produzione del gruppo avveniva almeno per l'84 per cento in Italia, o in Francia e Gran Bretagna, e solo per il 16 per cento nei Paesi a «basso costo del lavoro» quali Polonia, Russia e Turchia, nell'anno 2008 la produzione Indesit era passata per il 41 per cento nei cosiddetti Paesi «a basso costo di manodopera» e ne rimaneva in Italia e Gran Bretagna poco meno del 60 per cento;
   anche in considerazione di tali fatti, la decisione assunta ora dall'azienda in merito al piano di ristrutturazione, ha suscitato lo stato di agitazione da parte dei dipendenti del gruppo Indesit, con scioperi, sit-in e manifestazioni nazionali, con l'appoggio delle organizzazioni sindacali, politiche e dei cittadini;
   in seguito alla rottura delle trattative con i lavoratori, l'azienda con un comunicato a mezzo stampa si è dichiarata «disponibile a riavviare un confronto costruttivo, finalizzato all'individuazione di ogni soluzione possibile e sostenibile, a sostegno dell'occupazione dei dipendenti coinvolti»;
   lo scorso 10 luglio la Presidente della holding Fineldo, la finanziaria che controlla Indesit, ha dichiarato a mezzo stampa che Indesit non ha intenzione di lasciare l'Italia e che non vuole procedere a licenziamenti, ma che è reale «la necessità di agire tempestivamente per ridare competitività alle produzioni» –:
   se non ritenga di avviare gli opportuni contatti con l'azienda in oggetto, al fine di verificare la possibilità di una modifica del piano aziendale nel senso di prevedere forti investimenti in ricerca e produzione di alta tecnologia e qualità da poter effettuare in Italia, rendendo conveniente, almeno parzialmente, la permanenza di questo tipo di lavorazione ed invertendo il trend di delocalizzazione intrapreso, nonché la possibilità che l'azienda preveda investimenti in altri settori produttivi, diversificando le prospettive industriali in Italia. (5-00634)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le vicende legate alla cessione del polo siderurgico di Terni, disegna un quadro a tinte fosche sul sito oggi di proprietà della Tk-Ast tanto a livello occupazionale quanto sul piano della solidità di un comparto industriale di primaria importanza a livello nazionale;
   uno dei limiti principali ad una positiva soluzione della vicenda, al di là dei limiti imposti dalla commissione europea antitrust, è quello relativa al ridotto numero di soggetti stranieri disposti a fare investimenti in Italia, ravvisando nelle lungaggini burocratiche ed amministrative un peso eccessivo alle azioni imprenditoriali, nonché un elevato tasso di oppressione da parte del fisco;
   la ridotta attrattività del nostro Paese come meta di investimenti esteri riduce l'afflusso di capitali, con ripercussioni negative sul fronte economico ed occupazionale, acuite dalle molteplici crisi aziendali ed industriali di dimensione nazionale che stanno flagellando l'economia italiana e provocando la fine di migliaia di posti di lavoro, impone il ricorso a tutti gli strumenti giuridici più idonei a fronteggiare una situazione esplosiva;
   in questo senso il ricorso all'istituzione di una zona franca che comprenda il sito del polo siderurgico ternano potrebbe alleggerire i costi di un investimento da parte di soggetti esteri, moltiplicare l'interesse nei confronti del polo siderurgico ed agevolare una rapida soluzione della vicenda in essere, che vede coinvolti quasi tremila posti di lavoro –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in relazione alla possibilità di istituire una zona franca che comprenda vantaggi di tipo economico, burocratico e fiscale per investitori esteri, al fine di risolvere quanto prima una vicenda le cui ripercussioni di carattere economico e sociale rischiano di provocare un forte impatto depressivo per la regione Umbria e l'intera industria siderurgica italiana.
(4-01277)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere premesso che:
   l'11 luglio a Pescara presso gli uffici della giunta regionale d'Abruzzo si sono incontrati i sindacati CGIL CISL UIL e la direzione aziendale della SILDA spa, ex Golden lady di Gissi (Chieti) per fare il punto sulla drammatica crisi aziendale a seguito del fallimento del progetto di riconversione industriale sottoscritto il 29 maggio 2012 al Ministero dello sviluppo economico;
   l'azienda ha comunicato il licenziamento di tutte le lavoratrici dal 12 luglio 2013 motivandolo con l'assenza di garanzie sulla interpretazione dell'articolo 2 comma 6 della legge n. 451 del 2013 sulla formazione «on the job». Su questo problema l'interrogante aveva richiesto al Governo, con una interrogazione del maggio 2013, un chiarimento interpretativo nel tentativo di salvare quell'accordo, ma dal Governo non è venuta nessuna risposta;
   le organizzazioni sindacali al fine di salvare i posti di lavoro hanno chiesto la convocazione urgente di un incontro al Ministero dello sviluppo economico per definire una proposta in grado di salvare l'occupazione e rilanciare un progetto di reindustrializzazione sul quale l'azienda ha comunque confermato una residua volontà di operare, chiarita la normativa sulla formazione –:
   se intenda convocare al più presto un incontro tra le parti sociali sulla vertenza della ex Gonden lady di Gissi (Chieti).
(4-01279)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Pescara è in corso uno sciopero della fame di un gruppo di residenti del colle di San Silvestro ove sono localizzati illegalmente impianti per la diffusione radio televisiva che dovrebbero essere già stati trasferiti in un altro dei siti alternativi individuati a livello regionale;
   ciò al fine di evitare l'attuale situazione di grave danno alla salute dei residenti a San Silvestro di Pescara per il grave inquinamento elettromagnetico –:
   quali siano le ragioni del colpevole ritardo delle autorità statali competenti e se non intendano finalmente emanare il decreto per la delocalizzazione degli impianti da San Silvestro in uno dei siti individuati in Abruzzo per non compromettere ulteriormente la salute dei cittadini interessati mettendo fine ad una storia che si trascina penosamente da decenni. (4-01280)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in commissione Garavini e altri n. 5-00181, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

  L'interrogazione a risposta in commissione Cenni e Mariani n. 5-00194, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Censore.

  L'interrogazione a risposta scritta Dell'Orco e altri n. 4-00682, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta scritta D'Uva e altri n. 4-01258, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mucci.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Liuzzi n. 5-00486, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 44 del 2 luglio 2013.

   LIUZZI e BRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Antenna Sud è una nota emittente locale pugliese il cui segnale raggiunge le regioni Puglia e Basilicata, nata nel 1979 per mano di Giuseppe Gorjoux, assorbita interamente nell'anno 2000 dalla Gazzetta del Mezzogiorno, nel 2004 dalla Società Editrice Mediterranea e successivamente da Edivision s.p.a.;
   dopo 34 anni di successi nel settore dell'editoria pugliese, l'azienda, come emerge da recenti notizie di stampa, sta per chiudere definitivamente, tant’è che sono state avviate le procedure di licenziamento per i 26 lavoratori dell'emittente;
   la procedura di concordato preventivo dell'emittente desta alcune perplessità, dal momento che Antenna Sud, poco più di un anno fa, ha dismesso e venduto alcune frequenze, il cui valore ammonta a circa 1 milione e 200 mila euro;
   le citate risorse, trasferite all'emittente dal Co.re.Com Puglia, unitamente ai contributi P.I.A., per la promozione dell'innovazione dei processi aziendali, pari a 1 milione e 600 mila euro, avrebbero dovuto consentire la sopravvivenza dell'emittente;
   secondo quanto dichiarato dal presidente di Assostampa Puglia a mezzo stampa – sul fatto quotidiano del 25 giugno 2013 – «sulla destinazione del ricavato di quelle dismissioni nulla ancor oggi è dato sapere»;
   lo stato di crisi dell'azienda è testimoniato dalla riduzione del trattamento economico dei dipendenti a partire dal mese di febbraio 2011, dalla successiva attivazione di strumenti di ammortizzazione sociale, finalizzati al rilancio dell'emittente, e al mancato percepimento dello stipendio a partire dal mese di agosto 2012, che ha determinato lo stato di sciopero permanente con la conseguente interruzione dei servizi telegiornalistici;
   la cessazione delle trasmissioni da parte dell'emittente Antenna Sud a giudizio dell'interrogante configura una grave violazione alla tutela del pluralismo e della libertà d'informazione di cui alla direttiva 89/553/CEE e successive modificazioni e integrazioni –:
   se i fatti sopra citati corrispondano al vero;
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quale sia stato l'effettivo utilizzo da parte dell'emittente dei contributi ricevuti;
   quali provvedimenti intenda adottare al fine di evitare la chiusura dell'emittente Antenna Sud e le gravi conseguenze occupazionali che da tale chiusura possono derivare, anche ai fini di salvaguardia del pluralismo e della libertà d'informazione. (5-00486)

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Alfreider n. 1-00138 del 5 luglio 2013;
   mozione Baldelli n. 1-00140 dell'8 luglio 2013;

Ritiro di documenti del Sindacato ispettivo.

  Il seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Labriola n. 4-01230 dell'11 luglio 2013;
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-01263 del 15 luglio 2013;

Trasformazione di un documento del Sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Bergamini n. 4-00967 del 20 giugno 2013 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-00632.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BIASOTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a Genova ha sede l'Istituto idrografico della marina, l'organo cartografico dello Stato designato alla produzione della documentazione nautica ufficiale nazionale, che dipende dal Ministero della difesa ed è unico nel suo genere in Italia;
   tale, ente, dapprima denominato «Ufficio Idrografico della Regia Marina» ed in seguito, con l'avvento della Repubblica italiana, «Istituto idrografico della marina», fu istituito con regio decreto in data 26 dicembre 1872 con sede a Genova nell'edificio di Forte San Giorgio, già sito dell'Osservatorio astronomico;
   per assolvere il suo compito l'Istituto idrografico della marina conduce il rilievo sistematico dei mari italiani, avvalendosi delle navi idro-oceanografiche della marina militare, appositamente attrezzate, e di proprie spedizioni, valorizza e controlla i dati raccolti per organizzarli e finalizzarli alla produzione della cartografia e documentazione nautica, sia tradizionale sia in formato elettronico ed, infine, cura la diffusione delle informazioni nautiche in ambito nazionale ed internazionale;
   altresì, che la missione dell'Istituto idrografico della marina è quella di «concorrere alla difesa nazionale, alla sicurezza della navigazione e alla conoscenza e valorizzazione di tutto quanto legato al mare, da un punto di vista scientifico, tecnologico e ambientale»;
   è in via di realizzazione a La Spezia un’«Accademia del Mare», connubio tra mondo civile e mondo militare, che dovrebbe valorizzare il polo universitario spezzino e parte del patrimonio militare inutilizzato;
   questa «Accademia del Mare» dovrebbe occupare una parte della caserma del Duca degli Abruzzi, dove verranno ubicate aule, laboratori, alloggi per studenti e docenti ed una parte dell'arsenale, dove troverà spazio anche il distretto ligure delle tecnologie marine che svolge attività di ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie marine e di quelle ad esse collegate;
   durante un incontro sul tema «L'economia del mare diviene eccellenza in Liguria» tenutosi nel palazzo della provincia di La Spezia il 6 marzo 2013, Lorenzo Forcieri, presidente dell'autorità portuale di La Spezia, avrebbe dichiarato che vorrebbe presto vedere trasferito a La Spezia l'Istituto idrografico della marina, che da sempre ha sede nella città di Genova;
   sono note l'alto valore tecnico e scientifico di questo istituto e la possibilità di positive sinergie con altre realtà del tessuto economico e scientifico genovese (il futuro Parco scientifico e tecnologico degli Erzelli, l'I.I.T., l'acquario, l'università);
   a Genova ha sede anche l'UTNAV, l'Ufficio tecnico territoriale costruzioni ed armamenti navali dipendente dalla direzione generale degli armamenti navali (NAVARM) della Marina militare italiana, che in materia di cantieristica navale ha il compito di:
    vigilare, controllare e collaudare l'esecuzione di forniture e lavori affidate ad industrie da organi centrali ed enti periferici della Marina militare;
    analizzare le offerte economiche delle ditte e compilare i relativi verbali di congruità;
    elaborare le certificazioni amministrative legate agli adempimenti contrattuali;
   per quanto riguarda, poi, la costruzioni di nuove unità navali presso i cantieri l'UTNAV provvede a:
    a) esaminare ed approvare la documentazione tecnica della progettazione esecutiva;
    b) verificare gli ordini impartiti ai sub-fornitori;
    c) sorvegliare l'avanzamento contrattuale;
    d) partecipare alle prove in porto ed in mare sino alla consegna dell'unità;
    e) gestire la garanzia e le procedure post-contrattuali;
   durante la seduta del consiglio comunale del 26 marzo 2013 il gruppo consiliare comunale del Partito Democratico ha finalmente affrontato il problema manifestando la necessità di un intervento delle istituzioni per salvaguardare l'Istituto idrografico della marina e per impedire il suo trasferimento in altre località, con un chiaro riferimento alla città di La Spezia;
   durante lo stesso consiglio comunale il sindaco del comune di Genova Marco Doria si è detto disponibile ad un dialogo con il direttore dell'istituto, con i vertici della marina militare e con le istituzioni locali per trovare a Genova spazi più adeguati e funzionali rispetto a quelli che attualmente ospitano l'Istituto idrografico della marina, ed ha manifestato la disponibilità del comune per la valorizzazione degli immobili che la marina potrà liberare con il trasferimento dell'Istituto idrografico della marina –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative di competenza ritenga di assumere, in sinergia con regione Liguria, comune di Genova ed autorità portuale di Genova, per impedire il trasferimento da Genova di questo prestigioso istituto ma garantirgli una collocazione all'interno del territorio del comune di Genova idonea alle attività svolte dall'istituto, nonché quali iniziative di competenza ritenga di assumere a garanzia il personale altamente qualificato che è attualmente occupato nell'Istituto idrografico della marina. (4-00166)

  Risposta. — Sottolineo, in primo luogo, che l'ipotesi di un trasferimento dell'Istituto idrografico della Marina dalla sede di Genova – cui è fatto cenno nell'interrogazione in esame – non è supportata da alcun fondamento, in quanto ciò non corrisponde allo stato dei progetti che la Marina militare persegue per l'Istituto.
  Tengo, tuttavia, a precisare che, poiché l'attuale collocazione dell'Istituto idrografico all'interno di Forte San Giorgio, a Genova, non risponde più ai requisiti richiesti a un moderno stabilimento di lavoro, la Forza armata sta verificando la possibilità di una localizzazione diversa da quella attuale, da individuare, però, sempre nel territorio genovese.
  A tal riguardo, sono in corso incontri con tutte le autorità locali (regione, provincia e comune) per verificare le possibilità alternative all'attuale sistemazione logistica.
  Nel ribadire la volontà della Forza armata di mantenere l'Istituto nella sede attuale, ma in una infrastruttura più idonea, confermo che la Difesa è impegnata nella ricerca di ogni possibile soluzione che consenta d'individuare la nuova sede mediante una ricollocazione nell'area genovese, senza prescindere dal trovare una soluzione condivisa e concordata con le autorità locali, nella piena consapevolezza del legame esistente tra l'Istituto idrografico e la città di Genova.
  Peraltro, le prime risultanze dei lavori del tavolo tecnico, costituito coinvolgendo i livelli istituzionali territoriali competenti, appaiono promettenti e inducono ad un sostanziale ottimismo rispetto all'individuazione, su Genova, di un sito adeguato alle esigenze dell'Istituto.

Il Ministro della difesaMario Mauro.


   CARELLA e PIAZZONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la società Montebovi Industrie Roma Srl è una storica industria italiana sita nel comune di Lanuvio specializzata nella produzione e distribuzione di tipici prodotti italiani da forno, biscotti, torte e panificati. Nello stabilimento sono operativi 90 dipendenti tra operai, impiegati e quadri;
   la direzione aziendale il giorno 5 ottobre 2012 comunicava per iscritto alle rappresentanze sindacali che le quote della società erano state vendute ad altra società e che da visure camerali la nuova proprietà risultava il consorzio Pulisystem società cooperativa di pulizia e facchinaggio di proprietà del signor Fabrizio Coscioni, con sede legale ad Aprilia;
   la direzione aziendale attraverso la stessa comunicazione comunicava lo spostamento dello stipendio di settembre a fine ottobre 2012, dividendo in due tranche lo stesso pagamento;
   in data 12 ottobre 2012 sono stati collocati in ferie forzate 21 dipendenti a far data 15 ottobre 2012 fino esaurimento, facendo riferimento all'eventuale futuro impiego di ammortizzatori sociali;
   in data 12 ottobre è stata presentata alle organizzazioni sindacali e alle rappresentanze una comunicazione per attivazione della procedura di consultazione sindacale per trasferimento, tramite affitto, della produzione con 59 operai – articolo 47 della legge n. 428 del 1990 e articolo 2112 del codice civile in favore di una società neo costituita con denominazione Dolciaria Srl;
   quest'ultima società, da visura camerale, è risultata di proprietà del signor Fabrizio Coscioni;
   la procedura di cui sopra prevede che almeno 30 dipendenti, tra manutentori, impiegati ed operai rimangano con la Montebovi Industrie Roma Srl;
   il 17 ottobre 2012 in seguito a tre giorni di sciopero è stato redatto un verbale d'incontro tra le organizzazioni sindacali e la direzione aziendale per verificare in un incontro successivo fissato per il 19 ottobre 2012 l'opportunità e la gestione della cassa integrazione guadagni ordinaria;
   nell'incontro del 19 ottobre 2012 le organizzazioni sindacali chiedevano la possibilità di concordare una cassa integrazione guadagni ordinaria a rotazione visto la grande polifunzionalità delle maestranze e che la direzione aziendale della Montebovi Industrie Roma Srl non accettava, insistendo su un percorso di cassa integrazione guadagni ordinaria solo per le persone messe in ferie forzate individuate in maniera unilaterale;
   in data 25 ottobre 2012 è stata presentata dalla Montebovi Industrie Roma Srl alle organizzazioni sindacali e alle rappresentanze sindacali una procedura licenziamento collettivo ex articolo 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 per 21 lavoratori tra operai, manutentori ed impiegati;
   il giorno 30 ottobre 2012 la direzione aziendale Montebovi industrie comminava, a seguito dello sciopero pomeridiano, le contestazioni disciplinari a 3 dipendenti di cui 1 rappresentante sindacale, inoltrando gravi accuse smentite per iscritto da almeno 30 dipendenti, sospendendoli cautelativamente;
   per l'espletamento della consultazione obbligatoria prevista dalle normative vigenti sul trasferimento del ramo d'azienda, articolo 47 della legge n. 428 del 1990 e articolo 2112 del codice civile, la direzione aziendale convocava presso il proprio stabilimento le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali per il giorno 2 novembre 2012;
   il giorno 2 novembre 2012 la direzione aziendale della MIR Srl non permetteva l'accesso nei locali aziendali, in violazione a quanto previsto dalla legge n. 300 del 1970, al rappresentante sindacale sospeso in seguito al provvedimento disciplinare di cui sopra;
   a seguito del diniego aziendale l'incontro del 2 novembre è stato svolto presso l'aula consiliare del comune di Lanuvio, alla presenza dell'assessorato delle attività produttive. A cui facevano seguito n. 2 verbali:
    nel primo le organizzazioni sindacali prendevano atto della richiesta aziendale di congelare la procedura per l'articolo 47 della legge n. 428 del 1990 e l'articolo 2112 del codice civile in favore di Dolciaria Srl fino al successivo incontro che veniva fissato per 12 novembre 2012, sempre presso l'aula consiliare del comune di Lanuvio;
    nel secondo verbale le parti concordavano il reintegro in servizio dei dipendenti messi in ferie forzate che da precisa verifica non ne risultavano avere più capienza, cioè non avevano ferie e permessi residui;
   il 7 novembre 2012 veniva fatta recapitare alle organizzazioni sindacali la notizia che il rappresentante della MIR Srl che aveva condiviso l'accordo del 2 novembre non rappresentava più la società datrice dal 26 ottobre 2012;
   quanto concordato in data 2 novembre non veniva rispettato, in quanto diversi dipendenti senza ferie residue venivano lasciati in ferie forzata;
   le organizzazioni sindacali nel manifestare tutto il proprio sdegno e la propria indignazione contestavano l'operato dell'azienda MIR Srl;
   l'azienda lo stesso 7 novembre comunicava le modalità del pagamento dello stipendio di ottobre dilazionando ancora in 2 tranche, l'ultima della quale al 30 novembre 2012 per lo stipendio;
   l'azienda Montebovi Industrie Roma Srl il giorno 12 novembre 2012 non si presentava all'incontro prefissato presso la sala comunale di Lanuvio, senza almeno preavvertire della sua assenza né le organizzazioni sindacali né l'assessorato stesso;
   le maestranze della Montebovi e della Dolciaria Srl di proprietà del signor Coscioni Fabrizio sono in sciopero dal 26 novembre 2012 per 24 licenziamenti, illegittimo affitto di rapporti di lavoro nonché per ferie forzate di 21 dipendenti e ritardo degli stipendi;
   si intende segnalare anche che nei turni notturni del 27 e 28 novembre 2012 in sostituzione dei dipendenti in sciopero è stato impiegato nelle linee di produzione personale esterno fatto entrare in azienda dai vigilanti presenti in azienda –:
   se si intenda verificare se la società di cui in premessa agisca nel pieno rispetto delle leggi vigenti e se ci siano anche i presupposti per la denuncia di comportamenti antisindacali. (4-00106)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione parlamentare in esame, concernente la società Montebovi industrie Roma s.r.l. si rappresenta quanto segue.
  In data 19 novembre 2012 le organizzazioni sindacali, congiuntamente alle rappresentanze sindacali unitarie della Montebovi industrie Roma s.r.l., hanno chiesto un'ispezione in merito alle seguenti problematiche: le ferie forzate di n. 21 dipendenti, il ritardo nel pagamento degli stipendi, l'affitto di ramo d'azienda nonché l'apertura di una procedura di mobilità.
  Il competente servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in data 28 novembre 2012, ha avviato gli accertamenti presso la sede operativa di Lanuvio, in via Nettunense km 18,300, ove operano dipendenti sia della citata società sia della Dolciaria s.r.l., affittuaria, in virtù di contratto di affitto di ramo d'azienda stipulato con la Montebovi s.r.l. in data 10 ottobre 2012, del ramo d'azienda inerente l'esercizio dell'attività di produzione, distribuzione e commercio all'ingrosso ed al minuto di prodotti alimentari nei settori dei dolciumi, della pasticceria, della biscotteria e dei prodotti della panificazione.
  In occasione di tale accesso ispettivo si è riscontrata quindi la presenza presso lo stabilimento produttivo di Lanuvio, di n. 4 lavoratori della Montebovi Industrie Roma s.r.l. e n. 8 lavoratori della Dolciaria s.r.l. Per entrambe le società il verbale d'ispezione recava la richiesta di esibizione della documentazione di lavoro.
  A seguito di un'ulteriore richiesta d'intervento del 30 novembre 2012 (con precisazioni del 7 dicembre 2012), nella quale si segnalava che la Montebovi s.r.l. e la Dolciaria s.r.l. stavano impiegando sulle linee di produzione manodopera esterna in sostituzione di quella scioperante, la competente direzione territoriale del lavoro, congiuntamente con i carabinieri del nucleo ispettivo, ha effettuato un nuovo accesso ispettivo in data 13 dicembre 2012. Infatti, sono stati trovati intenti al lavoro, all'interno dello stabilimento di produzione di Lanuvio, n. 23 lavoratori dipendenti della Dolciaria s.r.l., di cui n. 12 lavoratori assunti in epoca successiva all'inizio dello stato di sciopero dei lavoratori della Dolciaria s.r.l.
  In tale occasione, i funzionari presenti all'accesso ispettivo hanno provveduto ad ascoltare i lavoratori della Montebovi s.r.l. e della Dolciaria s.r.l. riuniti in presidio all'esterno dello stabilimento: tra questi n. 14 lavoratori hanno dichiarato di essere in forza alla Montebovi industrie Roma s.r.l., in ferie forzate per decisione unilaterale della società, e n. 28 hanno dichiarato di essere in forza alla Dolciaria s.r.l., in stato di sciopero dal 27 novembre 2012.
  Ciò premesso, posto che la condotta perpetrata dalla Dolciaria s.r.l. ed accertata in sede di accesso ispettivo del 13 dicembre 2012, con riferimento all'assunzione di lavoratori in sostituzione delle unità scioperanti, avrebbe potuto integrare la fattispecie della condotta antisindacale di cui all'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, è stato inoltrato un rapporto informativo alla magistratura competente, presso la quale pendeva il ricorso
ex articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, presentato dai lavoratori della Montebovi industrie s.r.l. e della Dolciaria s.r.l. per il tramite delle organizzazioni sindacali di categoria.
  Premesso che gli accertamenti ispettivi sono ancora in corso, sinora è stato accertato che entrambe le società non hanno provveduto ad effettuare il pagamento delle retribuzioni di ottobre 2012, novembre 2012 e dicembre 2012, nonché della tredicesima mensilità 2012 in riferimento a n. 58 lavoratori, in sciopero o collocati in ferie forzate, né hanno provveduto alla consegna dei prospetti di paga relativi alle mensilità sopra indicate. Inoltre, è pervenuta al competente servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali una denuncia da parte delle organizzazioni sindacali in nome e per conto dei lavoratori della Montebovi industrie s.r.l. e Dolciaria s.r.l., concernente il mancato pagamento delle retribuzioni e la mancata consegna dei prospetti di paga per il periodo gennaio-marzo 2013. Anche su quest'ultima segnalazione il competente servizio ispettivo sta svolgendo gli accertamenti di rito.
  Si segnala infine che con sentenza depositata il 26 febbraio 2013 il tribunale di Velletri, sezione lavoro, ha accertato e dichiarato la condotta antisindacale in riferimento ai seguenti episodi denunciati dalle organizzazioni sindacali ricorrenti, e precisamente:
    in riferimento alla condotta tenuta da entrambe le convenute, Montebovi industrie s.r.l. e Dolciaria s.r.l., per aver violato le procedure di consultazione relativamente alla cessione del ramo d'azienda a Dolciaria s.r.l.; in riferimento alla condotta tenuta da Montebovi industrie s.r.l. consistita nell'effettuare pressioni sui lavoratori aderenti allo sciopero in data 29 ottobre 2012;
    in riferimento alla condotta tenuta da entrambe le convenute consistita nella diffusione di un comunicato in cui si minacciava l'attivazione di iniziative giudiziarie nei confronti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori partecipanti allo sciopero indetto in data 22 novembre 2012, nonché del comunicato del 27 novembre 2012 in cui si minacciava la cessazione definitiva dell'unità produttiva;
    in riferimento alla condotta tenuta da Montebovi industrie s.r.l. consistita nel licenziamento di n. 3 dipendenti, disponendone il reintegro.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   CARELLA, TIDEI, BRANDOLIN, MORASSUT, CARRA, CARNEVALI e CARDINALE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito il 25 aprile 2013, per discutere le conclusioni e raccomandazioni del rapporto del segretario generale dell'ONU sulla situazione in Sahara occidentale (S/2013/220 dell'8 aprile 2013) e dell'iniziativa diplomatica svolta nel corso degli ultimi mesi dall'inviato personale delle Nazioni Unite per il Sahara occidentale Christopher Ross e decidere sulla riconferma del mandato della missione ONU nel Sahara occidentale, (MINURSO), in scadenza alla fine del mese di aprile, e alla quale l'Italia partecipa direttamente con alcuni militari;
   il Consiglio di sicurezza ha riaffermato la sua volontà di aiutare le parti a pervenire a una soluzione politica giusta, durevole e mutualmente accettata che garantisca l'autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, secondo i principi enunciati dalla Carta delle Nazioni Unite e ha chiesto alle parti e agli Stati vicini di cooperare con le Nazioni Unite al fine di superare l’impasse in cui si trovano, da tempo, i negoziati e di avanzare verso una soluzione politica capace di rinforzare la cooperazione tra gli Stati del Maghreb arabo e di contribuire a garantire stabilità e sicurezza nella regione del Sahel;
   il Consiglio di sicurezza ha chiesto un maggiore impegno nel garantire il rispetto dei diritti umani in Sahara occidentale e ha incoraggiato le parti a collaborare con la comunità internazionale per mettere a punto e applicare misure credibili che garantiscano pienamente il rispetto dei diritti umani;
   il Consiglio di sicurezza ha accolto con soddisfazione l'impegno preso dalle parti di proseguire i negoziati diretti, sotto l'egida delle Nazioni Unite, che considerano inaccettabile il consolidamento dello status quo, ma intendono proseguire i negoziati per garantire una migliore qualità della vita agli abitanti del Sahara occidentale;
   il Consiglio di sicurezza ha prorogato il mandato della MINURSO fino al 30 aprile 2014 con la risoluzione S/RES/2099 del 15 aprile 2013;
   diverse risoluzioni del Parlamento italiano ed europeo chiedono da tempo il rispetto dei diritti umani in Sahara occidentale;
   le risoluzioni delle Nazioni Unite, del Consiglio di sicurezza e dell'Assemblea generale dell'Onu sul conflitto del Sahara occidentale hanno ribadito più volte il diritto all'autodeterminazione del popolo saharawi, da realizzarsi attraverso un referendum, al fine di arrivare ad una «soluzione politica giusta, durevole e mutuamente accettabile», che possa contribuire alla stabilità, allo sviluppo ed all'integrazione nella regione del Maghreb;
   l'attuale conflitto in Mali rischia di accrescere l'instabilità e l'insicurezza nel Sahel e rende la soluzione del conflitto del Sahara occidentale più urgente che mai;
   per la prima volta il 15 marzo 2013, il Gruppo di amici del Sahara occidentale (Francia, Stati Uniti, Spagna, Gran Bretagna e Russia) ha espresso il pieno appoggio agli sforzi di mediazione del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon e del suo inviato personale;
   le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dal Regno del Marocco nel Sahara occidentale, così come evidenziato dai rapporti di Amnesty International, di Human Rights Watch, dall'Organizzazione mondiale contro la tortura, dall'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e dalla Fondazione Robert F. Kennedy suscitano viva preoccupazione per il possibile degenerare della situazione dei diritti umani in quest'area;
   il 19 aprile 2013 il dipartimento di stato americano ha pubblicato un dossier sulla situazione dei diritti umani in Sahara occidentale, a sostegno di un progetto di risoluzione che prevede l'ampliamento del mandato della MINURSO sui diritti umani, poi abbandonato a seguito delle pressioni della diplomazia marocchina;
   i civili saharawi, nel territorio non autonomo del Sahara occidentale, sono privati dei diritti più elementari (diritti di associazione, di espressione, di manifestazione) e si è registrato l'incremento della repressione nei loro confronti proprio durante la visita in Sahara occidentale dell'inviato personale del segretario generale dell'ONU Christopher Ross, come ha denunciato Amnesty International;
   l'Ufficio delle Nazioni Unite dell'Alto commissario per i diritti umani ha espresso preoccupazione per le durissime sentenze emesse il 17 febbraio 2013 dal tribunale militare di Rabat nei confronti di 25 civili saharawi, arrestati la notte tra l'8 e il 9 novembre 2010, dopo lo smantellamento del campo della dignità di Gdeim Izik, nei pressi di El Aioun, la capitale del Sahara occidentale, senza aver tentato di fare chiarezza sui fatti e senza avere reali prove di colpevolezza, come hanno testimoniato i rapporti degli osservatori internazionali presenti al processo. Il tribunale ha emesso 9 condanne all'ergastolo, 4 a trent'anni, 8 a venticinque anni e 2 a vent'anni. Solo per due componenti del gruppo la pena è stata commisurata alla detenzione preventiva della pena (due anni). Gli accusati hanno dichiarato ai famigliari di essere stati torturati e maltrattati durante la detenzione, costretti, con la forza, a sottoscrivere le dichiarazioni rilasciate durante gli interrogatori della polizia;
   la riduzione degli aiuti ai profughi saharawi, dovuta alla crisi economica e alle sue ricadute sugli impegni dei donatori internazionali, sta determinando effetti devastanti sulla popolazione saharawi nei campi di rifugiati a Tindouf (Algeria) –:
   se il Governo non intenda:
    a) assumere un ruolo di primo piano nel contenzioso e utilizzare il suo peso nell'Unione europea e i buoni rapporti con tutti i protagonisti in questione, per favorire la ricerca di una soluzione del conflitto, che sia rispettosa del diritto all'autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, tenendo conto del quadro di sostanziale stallo in cui verte il negoziato internazionale, posto che la stabilizzazione dell'area porterebbe indubbi benefici alle relazioni tra l'Italia e tutto il Nordafrica;
    b) adottare ogni iniziativa utile sul piano internazionale volta a favorire la ripresa dei negoziati diretti, sotto l'egida delle Nazioni Unite, tra Regno del Marocco e Fronte Polisario, al fine di giungere, nel più breve tempo possibile, a una soluzione conforme alle risoluzioni delle Nazioni Unite, che rispetti il diritto all'autodeterminazione del popolo saharawi;
    c) attivarsi nelle opportune sedi internazionali, per ampliare il mandato della missione MINURSO al monitoraggio dei diritti umani in Sahara occidentale;
    d) sollecitare l'immediata scarcerazione dei condannati e l'avvio di un'inchiesta internazionale sui fatti di Gdeim Izik, affinché si proceda ad un nuovo e serio processo volto all'accertamento dei fatti;
    e) ottenere garanzie da parte del Governo del Marocco circa la preservazione dell'integrità fisica di tutte le persone detenute per reati di opinione e in generale sul rispetto dei diritti fondamentali, come il diritto di espressione, di associazione e di riunione e la libertà di ingresso e movimento nel proprio territorio, conformemente a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 4°, del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite;
    f) adottare, in raccordo con i partner europei e con le istituzioni comunitarie, ogni iniziativa utile sul piano diplomatico, volta a favorire l'effettivo riconoscimento della libertà di accesso e di circolazione in Sahara occidentale di osservatori internazionali indipendenti, della stampa e delle organizzazioni umanitarie;
    g) assumere iniziative per stanziare fondi destinati agli aiuti umanitari per la popolazione saharawi rifugiata nei campi di Tindouf (Algeria). (4-00551)

  Risposta. — 1. Le importanti implicazioni, in termini umanitari e di stabilità regionale, del contenzioso sul Sahara occidentale tra Marocco e Fronte Polisario sono ben note al Governo.
  Al riguardo, l'Italia mantiene una posizione attenta ed equilibrata, e ribadisce in ogni utile occasione che solo attraverso il dialogo diretto tra Marocco e Fronte Polisario sotto gli auspici delle Nazioni unite può essere raggiunta una soluzione politica equa, duratura e accettabile da entrambe le Parti, che consenta l'autodeterminazione del popolo saharawi in conformità alle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell'Assemblea generale della Nazioni unite.
  In tale ottica abbiamo a più riprese invitato Marocco e Polisario a mantenere un dialogo franco, aperto e senza precondizioni, che consenta concreti progressi nell'ambito del processo negoziale sotto egida ONU.
  In virtù degli eccellenti rapporti che intratteniamo con tutti gli attori coinvolti nella vicenda, abbiamo in passato anche offerto i nostri buoni uffici per lo sviluppo del dialogo tra le Parti. In questa fase è assolutamente cruciale sostenere l'azione dell'inviato speciale delle Nazioni unite Ross, che sta compiendo ogni sforzo per riattivare dinamiche più positive fra le parti. L'Italia, sia a titolo nazionale che nel contesto dell'Unione europea, continua a fornirgli un convinto sostegno politico.
  2. Per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, l'Italia segue le vicende degli attivisti saharawi nel Sahara Accidentale in stretto raccordo con i
partner dell'Unione europea. Nel corso del recente esame del Marocco nell'ambito del Comitato diritti umani delle Nazioni unite (settembre 2012), il rispetto dei diritti umani nel Sahara-occidentale era stato oggetto di numerose raccomandazioni, in merito alle quali il Marocco ha assunto chiari impegni. Riteniamo opportuno che nell'ambito del Comitato diritti umani ed in seno all'Unione europea questo atteggiamento del Marocco sia oggetto di attenta analisi anche in vista di intraprendere in maniera congiunta eventuali passi che siano necessari affinché Rabat assicuri il completo rispetto dei diritti dell'uomo nel Sahara occidentale e garantisca pienamente i diritti dei detenuti saharawi.
  Abbiamo in particolare seguito con attenzione lo svolgimento del processo per i fatti di Gdeim Izik e siamo stati negativamente sorpresi dalla durezza delle pene detentive inflitte agli imputati. Abbiamo preso attenta nota delle dichiarazioni di condanna rilasciate da esponenti del Parlamento europeo ed italiano, nonché da rappresentanti dell'UNHCR e di importanti Ong internazionali. Siamo impegnati insieme ai
partner Unione europea per sollecitare la parte marocchina a un atteggiamento improntato alla maggiore trasparenza possibile e in linea con gli impegni assunti dal Marocco in tema di rispetto dei diritti dell'uomo e di rule of law. Sosteniamo la necessità di evitare che tale episodio rappresenti un ulteriore elemento di tensione tra le Parti nel quadro del complesso negoziato sul Sahara occidentale.
  In ambito Onu, insieme ad altri Paesi
like-minded e ai membri del Group of Friends e del Consiglio di sicurezza, abbiamo attivamente esplorato nei mesi scorsi i margini per configurare un possibile aggiornamento evolutivo del mandato di MINURSO in occasione del rinnovo, che lo mettesse in linea con i mandati di nuova generazione attraverso riferimenti anche ai diritti umani; tuttavia, sono infine prevalse considerazioni di equilibrio generale che hanno sconsigliato di procedere per il momento in tal senso.
  La situazione umanitaria dei rifugiati saharawi è da molti anni oggetto di forte attenzione da parte italiana. Sappiamo che la situazione nei campi non accenna a migliorare e che il deteriorarsi del contesto di sicurezza provocato dalla crisi in Mali accentua l'isolamento dei profughi. Abbiamo fatto molto per alleviare questa situazione nel corso degli anni.
  Grazie anche all'azione di sensibilizzazione internazionale sulle Parti, cui l'Italia ha preso attivamente parte, è stato in particolare possibile assicurare la ripresa delle attività previste dal programma delle Nazioni unite denominato «Confidence building measures» (cbm) gestito dall'Unhcr, volto a creare un'atmosfera di mutua fiducia indispensabile al buon esito dei negoziati. Particolarmente significativo ed apprezzato è il contributo offerto in tale ambito dall'Italia, che a partire dal 2009 ha finanziato una parte dei costi derivanti dalla realizzazione di scambi di visite tra familiari saharawi residenti nel Sahara occidentale e nei campi profughi di Tindouf, in Algeria, separati da oltre 35 anni a causa del protrarsi del contenzioso. È nostra intenzione erogare anche nel 2013 un contributo di euro 30 mila all'UNHCR nell'ambito del programma cbm.
  Altrettanto rilevante ed apprezzata è l'assistenza offerta dal Governo italiano ai rifugiati Saharawi nei campi di Tindouf attraverso molteplici strumenti, tra cui: l'invio di beni alimentari sul canale bilaterale; contributi ad organismi internazionali (PAM-UNHCR) per la realizzazione di programmi di emergenza e riabilitazione; contributi alla realizzazione di progetti promossi da ONG italiane; borse di studio per corsi di laurea e specializzazione post-laurea presso università italiane. Nel 2008 la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Mae ha approvato contributi al Pam per oltre euro 3 milioni per attività di acquisto e distribuzione di viveri a beneficio della popolazione saharawi. Sul canale emergenze, la cooperazione italiana ha stanziato, nel periodo 2007-2011, un totale di quasi euro 3 milioni per i profughi saharawi di Tindouf.
  Malgrado le note restrizioni di bilancio sofferte in questi anni, il proliferare di aree di crisi ed il continuo aggravamento dello scenario siriano, la cooperazione italiana è pronta a fornire nell'anno in corso aiuti umanitari alla popolazione saharawi attraverso contributi
ad hoc a tre Agenzie ONU (Pam, Unicef ed UNHCR) per un valore totale di 900 mila euro, contributi destinati a sostenere progetti nei settori dell'educazione, della sicurezza alimentare e dell'igiene.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   CICU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il costante aumento delle tariffe dei collegamenti marittimi da e per la Sardegna, che si manifesta in maniera puntuale con l'approssimarsi della stagione estiva è diventato una vera emergenza per l'economia isolana ed particolare per il settore turistico, che rappresenta una delle risorse più importanti del territorio;
   le associazioni degli autotrasportatori segnalano infatti che a partire dal prossimo mese di giugno, saranno previsti ulteriori rincari di circa il 10 per cento per i servizi di traghettamento della compagnia di navigazione Tirrenia, le cui ripercussioni in un periodo particolarmente difficile dell'economia italiana, rischiano di interrompere ogni tentativo di sviluppo e di ripresa economica del territorio suindicato;
   gli ulteriori adeguamenti delle tariffe merci, secondo quanto sostenuto dall'associazione trasporto unito, alle condizioni concordate nell'ambito della convenzione di esercizio con gli uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previsti per il trasporto marittimo di un semirimorchio tra Cagliari e Livorno da 315 euro nell'anno 2011 ai 477 euro da prossimo giugno e da 26,88 di marzo 2013 a 29,40 euro dal prossimo giugno, tra Cagliari e Civitavecchia, ove fosse confermato appaiono ingiustificabili e di ostacolo per la crescita dell'economia commerciale e turistica della Sardegna;
   l'incidenza dei suindicati aumenti sul costo finale del trasporto ed in termini percentuali del valore delle merci, a giudizio della medesima associazione, risulta essere spropositata e rischia di annullare in modo definitivo il principio fondamentale della continuità territoriale quale fattore di riequilibrio e di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità, previsto dall'articolo 16 della Costituzione per i territori svantaggiati;
   l'interrogante evidenzia, ulteriori segnali allarmanti con riferimento ai profili di criticità suesposti, provenienti anche dagli operatori turistici della Sardegna, i quali rilevano come gli inarrestabili ed ingiustificati rincari delle tariffe dei traghetti in un attuale contesto di depressione economica, determineranno effetti gravissimi per le attività turistiche e ricreative collegate al trasporto passeggeri, anche a causa di una strategia di cartello avviata con l'iniziativa di privatizzazione della Tirrenia, che trova tra l'altro scarso riscontro nell'economia di mercato;
   le numerose iniziative parlamentari presentate la scorsa legislatura, nell'ambito delle funzioni dell'attività di indirizzo e di sindacato ispettivo, a giudizio dell'interrogante, non sono state pertanto sufficienti ad invertire un trend altamente negativo e penalizzante dovuto al continuo aumento delle tariffe dei collegamenti marittimi da e per la Sardegna sia per il trasporto delle merci che delle persone, come confermato anche dal significativo decremento sia dell'attività commerciale, che delle prenotazioni turistiche osservate lo scorso anno nell'isola –:
   quali orientamenti intenda esprimere, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare il piano di adeguamento delle tariffe merci indicate dalla convenzione di esercizio tra la compagnia Tirrenia ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, come esposto in premessa, decorrerà dal prossimo giugno;
   in caso affermativo se sia stato valutato il rischio che l'aumento dei collegamenti marittimi determinerà conseguenze gravissime per l'economia sarda, già attraversata da una grave crisi industriale, da una profonda crisi dell'agricoltura e della pastorizia e da un pesante indebitamento delle sue imprese con le banche e con il fisco;
   quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda infine intraprendere al fine di contenere l'effetto persistente dell'aumento delle tariffe per i collegamenti marittimi nei riguardi della compagnia Tirrenia, da e per la Sardegna i cui effetti come esposto in premessa pongono in maniera concreta l'economia isolana in una condizione emergenziale. (4-00899)

  Risposta. — L'articolo 6 della Convenzione vigente – Rep. 54 del 2012 del 18 luglio 2012 – per i servizi di collegamento marittimo pubblico con le isole maggiori e minori nazionali, in ottemperanza ai criteri stabiliti dalla delibera CIPE 111/2007, emanata ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1, commi 998 e 999, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), prevede un meccanismo tariffario basato sul limite di una tariffa massima, fissata per ogni linea e tipologia dall'Allegato A della Convenzione medesima, ed ancorata ai livelli tariffari assentiti dalle amministrazioni competenti in vigenza del precedente regime convenzionale di carattere regolatorio in campo tariffario.
  Tale meccanismo prevede che la tariffa massima possa essere aggiornata in funzione della variazione dei prezzi del combustibile come stabilito e delineato nella predetta clausola convenzionale.
  L'aumento tariffario, in caso di rialzo dei predetti prezzi, potrebbe essere evitato solo se venissero decise misure compensative in termini di revisione degli assetti nautici, di differente articolazione tariffaria o di rideterminazione in diminuzione degli oneri di servizio pubblico, che facciano salvo l'equilibrio economico-finanziario determinato secondo i criteri fissati dalla citata delibera CIPE 111/2007.
  Pertanto, la società Compagnia italiana di navigazione, nell'ambito del sistema vigente definisce le proprie tariffe nel limite massimo assentito in Convenzione, il quale viene aggiornato in funzione di aumenti dei prezzi dei combustibili, accertati dalle amministrazioni statali vigilanti secondo parametri tecnici fissati in Convenzione.
  Si informa, altresì, che il decreto legge n. 95 del 2012 e relativa legge di conversione, prevede che le Convenzioni stipulate con i soggetti aggiudicatari dei compendi aziendali, i cui schemi sono stati approvati con decreto interministeriale MIT - MEF e che sono stati successivamente oggetto del bando di gara per la privatizzazione dei servizi marittimi in parola, si intendano approvate
ope legis e producano effetti a far data dalla sottoscrizione delle convenzioni stesse.
  Inoltre, la stessa norma prevede che ogni successiva modificazione o integrazione delle suddette Convenzioni venga approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le regioni interessate.
  A tal riguardo si evidenzia che sono attualmente in corso degli incontri tra questo dicastero ed i rappresentanti della regione Sardegna e della compagnia Cin per l'esame delle problematiche rappresentate da soggetti istituzionali locali e da altre entità socio-economiche interessate; nella sede di tali contatti verrà ulteriormente valutata la questione dei recenti aumenti tariffari nell'ottica di garantire un servizio efficiente ma non esageratamente oneroso per le collettività interessate.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sede INPS di Udine ha provveduto alla sospensione della prestazione di INVCIV n. 3038795, successivamente trasformata in assegno sociale, per la signora Rachele Pia Vicenzino in Del Colle, nata a San Giorgio di Nogaro (Udine) il 26 aprile 1936, e residente a Carlino (Udine) in Via Sante Badin 5/6, Udine;
   la signora Vicenzino Rachele Pia in Del Colle dichiara di avere fissato stabile e abituale dimora a Carlino, Udine, dove trascorre oltre sei mesi ogni anno e di trascorrere la rimanente parte dell'anno in Australia, dove non è iscritta all'anagrafe dei residenti all'estero ed ove non risulta residente ai fini fiscali e dove risulta domiciliata per un periodo limitato dell'anno, circa sei mesi;
   la legge 8 agosto 1995, n. 335, «Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 16 agosto 1995, n. 190) al comma 6, dell'articolo 3 «Disposizioni diverse in materia assistenziale e previdenziale» prevede che «con effetto dal 1° gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a lire 6.240.000, denominato “assegno sociale”»;
   la legge n. 355 del 1995, fissando un nuovo regime per l'assegno sociale, introduce, tra i vari requisiti, anche quello della residenza;
   il comma 6 dell'articolo 3 non introduce alcun riferimento esplicito relativamente alla dimora effettiva, stabile e abituale che viene successivamente chiarito dall'INPS in conseguenza della definizione di residenza come «indicazione del luogo in cui una persona ha stabilito la dimora abituale»;
   se la dichiarazione della Signora Vicenzino Rachele Pia in Del Colle, tesa a identificare la residenza, intesa come dimora stabile e abituale, a Carlino, Udine, costituisca o meno elemento sufficiente, ove corroborato dalle autorità consolari italiane e dalle autorità fiscali australiane, per riconoscere la residenza in Italia ai fini del pagamento dell'assegno sociale;
   se non si renda necessario un intervento normativo teso a chiarire ulteriormente i principi alla base della stabile ed effettiva dimora, anche relativamente al domicilio temporaneo all'estero;
   non si renda necessario un intervento normativo teso ad evitare una condizione di eccessiva discrezionalità dell'Inps «nell'assegnare» o meno la residenza agli interessati;
   se non si ritenga, nel caso specifico della Signora Vicenzino Rachele Pia, rivedere la decisione anche in base alle verifiche effettuate che dimostrano la residenza in Italia, ai fini AIRE, ed il domicilio in Australia per un breve periodo di tempo. (4-00241)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, concernente il requisito della residenza in Italia ai fini della concessione e della conservazione dell'assegno sociale, si rappresenta quanto segue.
  L'assegno sociale è stato istituito dall'articolo 3, comma 6, della legge n. 335 del 1995, con effetto dal 1o gennaio 1996, e si configura come una prestazione di carattere assistenziale, non reversibile e non soggetta ad imposte, che prescinde del tutto dal pagamento di contributi.
  Come espressamente stabilito dalla citata disposizione di legge l'assegno sociale spetta ai residenti in Italia che abbiano compiuto 65 anni di età (salvo l'adeguamento agli incrementi della speranza di vita e l'incremento di un anno del requisito anagrafico a partire dal 1o gennaio 2018) e che si trovino in disagiate condizioni economiche.
  In particolare, l'assegno viene erogato alle seguenti categorie di persone:
    1) cittadini italiani;
    2) cittadini della Repubblica di San Marino;
    3) stranieri o apolidi ai quali è stato riconosciuto lo
status di rifugiati politici o di protezione sussidiaria ed i rispettivi coniugi ricongiunti;
    4) apolidi o stranieri extracomunitari, lavoratori e non lavoratori, inclusi i famigliari ricongiunti, in possesso di permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo;
    5) cittadini comunitari, lavoratori e non lavoratori, inclusi i familiari ricongiunti, che siano iscritti all'anagrafe del comune di residenza ai sensi del decreto legislativo n. 30 del 2007.

  Si sottolinea che per tutti i richiedenti e i titolari dell'assegno sociale il requisito della residenza effettiva, in Italia, al pari degli altri requisiti, anagrafici e reddituali, rappresenta un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale e del suo mantenimento.
  Tale requisito si perfeziona con la dimora abituale, intesa come permanenza stabile e continuativa in Italia, assumendo rilevanza essenziale il rapporto tra il soggetto richiedente la provvidenza e il territorio nazionale.
  Inoltre, ai sensi dell'articolo 20, comma 10, del decreto-legge n. 112 del 2008, con decorrenza dal 1o gennaio 2009, il beneficio è corrisposto agli aventi diritto, siano essi cittadini italiani, comunitari o extracomunitari, a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale.
  Quest'ultima previsione è volta a rafforzare il legame del beneficiario della prestazione assistenziale in parola con il territorio italiano, limitando l'accesso al beneficio soltanto a chi dimostri un particolare radicamento nel territorio nazionale, ravvisabile qualora il soggiorno in Italia sia continuativo e di durata non inferiore a 10 anni.
  Inoltre, l'assegno sociale, in quanto prestazione di carattere assistenziale, è inesportabile fuori dal territorio nazionale, con la conseguenza che il beneficio viene meno nel momento in cui non sussiste più il requisito della residenza stabile in Italia.
  Al riguardo, è opportuno richiamare la circolare Inps n. 105 del 2 dicembre 2008 e il messaggio n. 12886 del 6 giugno 2008, con i quali l'istituto previdenziale ha chiarito che, salvo gravi motivi sanitari opportunamente documentati da parte dell'interessato, le sedi territoriali devono procedere alla sospensione dell'assegno sociale in caso di permanenza all'estero per un periodo superiore ad un mese. Decorso un anno dalla sospensione dell'assegno sociale, le sedi Inps competenti, previa verifica del permanere di tale situazione, provvedono a revocare il beneficio.
  A tal fine, l'Istituto ha sollecitato le sedi Inps ad attivare ogni forma di collaborazione con le Autorità competenti sul territorio per lo svolgimento delle verifiche, attivando i controlli ritenuti più opportuni per riscontrare quanto dichiarato dai percettori della prestazione assistenziale in argomento. A titolo esemplificativo, si indicano gli accertamenti presso il Comune di residenza in Italia, le acquisizioni di dichiarazioni del consolato e la verifica dei visti di ingresso e di uscita dal Paese apposti sul passaporto.
  In conclusione, nel confermare che, per tutti i richiedenti ed i titolari dell'assegno sociale, la residenza effettiva, stabile e continuativa in Italia, al pari degli altri requisiti, rappresenta un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale – con la conseguenza che la sua mancanza determina la cessazione del beneficio – si rappresenta che l'Inps pone la massima attenzione nel valutare i casi, come quello evidenziato dall'onorevole interrogante, in cui emergono circostanze di fatto che possono determinare la revoca o la sospensione della provvidenza.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   FEDI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 22 marzo 2012, n. 38, recante «Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri» (Gazzetta Ufficiale n. 86 del 12 aprile 2012), ha riconosciuto al personale a contratto che lavora presso le sedi diplomatico-consolari del Ministero degli affari esteri e gli istituti di cultura parità di diritti sindacali rispetto alle altre categorie di lavoratori;
   la legge menzionata richiede comunque l'adozione delle norme del decreto legislativo n. 165 del 2011, indispensabile al fine di garantire l'effettività della parità di trattamento in termini di diritti sindacali del personale assunto con contratto locale dal Ministero degli affari esteri; tale decreto, all'articolo 42 prevede che nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300 – statuto dei lavoratori – e successive modificazioni ed integrazioni;
   il titolo II della legge n. 300 del 1970 contiene, a sua volta, una serie di disposizioni volte a rafforzare l'effettività del principio di libertà sindacale sul posto di lavoro e il decreto legislativo n. 165 del 2001 conferma dunque la vigenza dei diritti previsti dallo statuto dei lavoratori per tutti i dipendenti indipendentemente dal fatto che questi siano destinatari o meno della contrattazione collettiva;
   a oltre un anno dall'approvazione della legge 22 marzo 2012, n. 38, il personale a contratto non può ancora godere a pieno titolo delle prerogative sindacali, poiché, a seguito di parere richiesto con ritardo dal Ministero degli affari esteri all'ARAN e al dipartimento della funzione pubblica circa eventuali adempimenti tecnici, si è rinviata l'applicabilità della norma ad un accordo tra Aran e organizzazioni sindacali rappresentative ai fini del disposto dell'articolo 50 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (contenimento e razionalizzazione dei permessi sindacali);
   ad un atto parlamentare del medesimo interrogante del 22 ottobre 2012, da parte del Ministro pro tempore si rispondeva che l'accordo in materia dell'Aran con le organizzazioni sindacali rappresentative era stato stipulato in data anteriore alla pubblicazione della legge n. 38 del 2012 e, quindi, non aveva potuto tener conto delle novità da essa introdotte; nella stessa risposta, tuttavia, si affermava che nella preparazione del nuovo contratto collettivo nazionale quadro (CCNQ) sarebbe stato definito un atto di indirizzo all'Aran «contenente le indicazioni e le direttive necessarie per l'attivazione della predetta novella»;
   non è concepibile che una legge dello Stato in materia tanto delicata qual è quella relativa a diritti sindacali non trovi applicazione, tanto più quando si tratti di lavoratori che, pur svolgendo funzioni essenziali per le strutture decentrate dello Stato italiano all'estero, sono stati per lungo tempo esclusi dall'esercizio dei più elementari diritti –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere, anche nel contesto della trattativa ARAN attualmente in corso, affinché in tempi brevi sia superata la situazione di esclusione di fatto dei contrattisti in servizio presso il Ministero degli affari esteri dall'esercizio di diritti formalmente riconosciuti dalla normativa in vigore e quali iniziative intenda promuovere e sollecitare affinché sia concretamente realizzata una piena parità tra lavoratori in servizio presso uno stesso settore dell'amministrazione dello Stato. (4-00581)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede l'applicazione di quanto disposto dagli articoli 42, comma 3-bis e 50-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001. n. 165, i quali prevedono, rispettivamente, che al personale assunto con contratti regolati dalla legge locale presso le sedi diplomatiche consolari e gli istituti di cultura nel mondo, venga concessa la possibilità di partecipare alle rappresentanze sindacali del posto di lavoro nonché di usufruire delle aspettative e dei permessi sindacali nel settore pubblico.
  Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
  Com’è noto, con l'approvazione il 22 marzo 2012 della legge n. 38 recante «Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri», sono state introdotte modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, allo scopo di riconoscere specifici diritti e prerogative sindacali a determinate categorie di personale dipendente del Ministero degli affari esteri.
  In particolare, viene garantita la partecipazione del personale in servizio presso le sedi diplomatiche e consolari, nonché presso gli istituti italiani di cultura all'estero, ancorché assunto con contratto regolato dalla legge locale, alle elezioni svolte per la costituzione dell'organismo di rappresentanza sindacale unitaria del personale (articolo 1). Di conseguenza, si applicano alle stesse categorie di personale le norme vigenti in materia di aspettative e permessi sindacali di cui all'articolo 50 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001 (articolo 2).
  Tale disposizione prevede, in particolare, che i limiti massimi delle aspettative e dei permessi sindacali siano determinati dalla contrattazione collettiva in un apposito accordo, tra l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni Aran e le confederazioni sindacali. Inoltre, alla contrattazione collettiva è demandata anche la gestione dell'accordo, che include le modalità di utilizzo e distribuzione delle aspettative e dei permessi sindacali tra le confederazioni e le organizzazioni sindacali.
  Al riguardo, si rappresenta che in data 24 maggio 2013 è stata sottoscritta l'ipotesi di contratto collettivo nazionale quadro (Ccnq) per la ripartizione delle prerogative sindacali alle organizzazioni sindacali rappresentative nei comparti per il triennio 2013-2015. Tale ipotesi – stipulata sulla base delle direttive contenute nell'atto di indirizzo condiviso da tutti i Comitati di settore delle amministrazioni pubbliche – distribuisce i contingenti dei permessi e dei distacchi sindacali tra le confederazioni ed organizzazioni sindacali che sono state dichiarate rappresentative nei comparti di contrattazione collettiva nel triennio 2013-2015. Le citate prerogative, infatti, competono, ai sensi dell'articolo 43, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, esclusivamente alle associazioni sindacali rappresentative, sulla base del grado di rappresentatività e tenendo conto della diffusione territoriale e della consistenza delle strutture organizzative delle stesse.
  In sede di trattativa, il Dipartimento della funzione pubblica, nell'ambito dell'attività di indirizzo e coordinamento istituzionalmente esercitata nei confronti dell'Aran, ha assunto le opportune iniziative affinché, pur nel rispetto dell'autonomia negoziale delle parti, non risultasse vanificata l'attuazione delle norme introdotte con la novella legislativa.
  In particolare, le indicazioni impartite sono state dettate con lo scopo di dare attuazione alle disposizioni contenute nella legge n. 38 del 2012, laddove garantisce negli organismi di rappresentanza unitaria la partecipazione del personale in questione, con riferimento all'attribuzione delle relative prerogative sindacali per il funzionamento dell'organismo stesso.
  In considerazione di ciò, l'articolo 1 del nuovo Ccnq, prevede che il contratto si applichi – oltre che ai dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, in servizio presso le amministrazioni pubbliche indicate nell'articolo 1, comma 2, dello stesso provvedimento – «(...) al personale in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e consolari nonché presso gli istituti italiani di cultura all'estero assunto con contratto regolato dalla legge locale».
  In conclusione, in ottemperanza al procedimento di contrattazione collettiva di cui all'articolo 47 del decreto legislativo n. 165 del 2001, la sopra citata ipotesi di accordo sarà trasmessa, nei tempi previsti dal suddetto articolo e con il parere favorevole del Governo, alla Corte dei Conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio, e sottoscritta, infine, in via definitiva dalle parti.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   FUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella sua seduta del 20 marzo 2013, il consiglio provinciale della provincia di Barletta-Andria-Trani ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che chiede un intervento urgente, da parte del Ministero della giustizia, per la riapertura immediata del carcere di Spinazzola (BT), una struttura all'avanguardia moderna e perfettamente attrezzata inizialmente destinata ad ospitare detenuti sex offender;
   nel 2011 il Ministero della giustizia, nell'ambito di un piano di riordino e razionalizzazione delle strutture carcerarie, decretò la chiusura della struttura alla luce dello scarso numero di detenuti lì presenti;
   tale decisione diede il via a molte proteste sia da parte del territorio che delle istituzioni locali e regionali nella consapevolezza che fosse uno sperpero chiudere una delle poche strutture carcerarie d'eccellenza di tutto il Paese e non utilizzarla per contribuire, ad esempio, a decongestionare altri carceri che al contrario registrano situazione di estremo disagio;
   a seguito di un attento e scrupoloso lavoro condotto sia alla Camera che al Senato dai parlamentari del territorio sia con contatti diretti con i vertici politici del Ministero sia con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), nel mese di ottobre 2011 il direttore di quest'ultimo comunicò la decisione di mantenere in funzione il carcere di Spinazzola alla luce delle sue caratteristiche di eccellenza e della sua grande utilità nel contesto generale delle strutture carcerarie italiane, ma poi nulla di concreto è accaduto nonostante i numerosi solleciti (compresa una lettera dell'interrogante indirizzata al Ministro) nei confronti del Governo;
   a parere dell'interrogante, che condivide in pieno l'ordine del giorno approvato dal consiglio provinciale, sarebbe invece necessario rivedere una decisione che appare davvero inspiegabile nel momento in cui l'Italia vive una grave emergenza legata al sovraffollamento delle carceri, come da ultimo affermato dalla Corte europea dei diritti umani che in una recentissima sentenza ha condannato l'Italia per la quarta volta –:
   quali urgenti iniziative si ritenga di assumere in merito a quanto esposto in premessa, così da salvare il valore economico di una struttura all'avanguardia ma ormai lasciata in stato di abbandono e soprattutto da contribuire, in modo razionale e a costi minimi, ad alleviare la difficile situazione di sovraffollamento carcerario per la quale l'Italia è stata già più volte condannata in sede europea. (4-00107)

  Risposta. — In merito alla richiesta, avanzata dall'interrogante, di valutare la sussistenza delle condizioni per la riapertura dell'istituto penitenziario di Spinazzola (che più correttamente consisteva in una sezione distaccata degli istituti penali di Trani), si osserva che conservano attualità le problematiche che indussero questo Ministero a dismettere, con decreto ministeriale del 16 giugno 2011, l'istituto penitenziario in argomento.
  Al proposito, si osserva come la riapertura della predetta struttura penitenziaria risulterebbe del tutto antieconomica, sotto il profilo del rapporto costi/benefìci, per le seguenti ragioni:
    l'istituto aveva una limitatissima capacità ricettiva presentando una capienza regolamentare di 34 posti ed una capienza tollerabile (intesa come limite di capienza invalicabile, individuata orientativamente nel doppio di quella regolamentare) di 68 posti detentivi;
    l'istituto era, di fatto, sottoutilizzato a causa della carenza di personale di polizia penitenziaria, carenza che non è – allo stato – venuta meno, attesa la generalizzata sofferenza degli istituti penitenziari del Paese, molti dei quali penalizzati, sotto questo aspetto, in misura molto più grave;
    l'immobile, sede dell'istituto, è stato già riconsegnato al demanio; ai fini di un'eventuale riapertura, dunque, la struttura dovrebbe essere nuovamente arredata e dotata di tutte le apparecchiature necessarie al suo completo funzionamento, in quanto i beni utilizzati precedentemente sono già stati reimpiegati altrove.

  Vanno altresì considerati alcuni aspetti logistici che sconsigliano la riapertura dell'istituto; ed invero, lo stesso risulta:
   privo della caserma-agenti;
   eccessivamente lontano (circa 50 chilometri) dal presidio ospedaliero più vicino, con intuibili problemi nell'ipotesi in cui fosse necessario procedere ad un ricovero urgente di persone detenute;
   mal collegato con il centro urbano più vicino, con disagi non solo per il personale ma anche per i familiari dei detenuti quando devono recarsi in carcere per effettuare i colloqui con i propri congiunti.

  Le indicate criticità, unitamente all'esiguo contributo in termini di capacità ricettiva, depongono in senso contrario alla riattivazione dell'Istituto che non sarebbe, peraltro, in linea con l'attuale politica penitenziaria che, alla luce della sfavorevole congiuntura economico-finanziaria, richiede di ottimizzare al meglio le esigue risorse a disposizione, razionalizzando i servizi e la complessiva gestione del patrimonio edilizio penitenziario.
Il Ministro della giustiziaAnna Maria Cancellieri.


   IACONO e CAPODICASA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 febbraio 2013 è crollato il ponte sul fiume Verdura che insiste sulla strada statale 115 e tale evento ha tagliato in due l'intera provincia di Agrigento ed ha reso estremamente difficile i collegamenti della intera Sicilia occidentale; ciò ha creato disagi enormi alla circolazione delle persone e delle merci recando pregiudizio all'economia di una vasta zona, in particolare nel settore dell'agricoltura, del pescato e del turismo considerando anche che a pochi chilometri dall'evento calamitoso insiste un complesso alberghiero di notevole rilevanza con uno dei più grandi campi da golf del Mediterraneo;
   l'ANAS ha manifestato, ad avviso degli interroganti, incomprensibili e colpevoli ritardi nel fare fronte alla situazione che si è determinata e nel predisporre idonei rimedi anche temporanei, e i percorsi alternativi risultano assolutamente inadeguati;
   al fine di costruire un passaggio temporaneo a senso unico alternato a fianco della campata del ponte crollato è stato necessario alzare degli argini per deviare il flusso delle acque e l'ANAS a questo fine ha conferito incarico ad una azienda con una spesa di 40 mila euro circa;
   per due volte gli argini stessi sono stati travolti dalle acque configurando così quello che agli interroganti appare un errore tecnico con un cattivo utilizzo del denaro investito;
   successivamente su forte sollecitazione dei sindaci e di diversi comitati spontanei e dei cittadini, è ricorsa all'acquisto di grossi blocchi di cemento sempre con l'obiettivo di costruire degli argini;
   si è scoperto che un notevole quantitativo di questi blocchi (circa 130) conterrebbe rifiuti speciali e perciò è stato sottoposto a sequestro da parte dell'autorità giudiziaria –:
   quale sia l'impresa che ha fornito i blocchi;
   se la stessa impresa abbia partecipato o partecipi ad altri lavori e in tal caso se non si ritenga di estendere la verifica anche ad altri manufatti;
   se il Ministro, dopo i risultati negativi nella gestione dell'emergenza, non ritenga di dover esercitare i propri poteri di controllo sull'operato dell'ANAS per verificare l'appropriatezza delle azioni da essa intraprese. (4-00079)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Preliminarmente, appare opportuno, fornire un quadro completo della vicenda in esame.
  Il 2 febbraio 2013 si è verificato il crollo di due campate del ponte in muratura sul fiume Verdura, sito sulla strada statale 115 «Sud Occidentale Sicula».
  L'Anas in collaborazione con i soggetti istituzionalmente interessati (provincia di Agrigento, comuni interessati, protezione civile regionale e altre istituzioni intervenute alle convocazioni prefettizie), ha tempestivamente individuato un itinerario di emergenza, che dalla strada statale 115 lato Sciacca, si sviluppa utilizzando tre strade provinciali, una statale e una comunale.
  L'Anas, con la partecipazione dei comuni interessati, ha ripristinato le condizioni di sicurezza del suddetto tracciato, provvedendo ai necessari risanamenti delle pavimentazioni, al ripristino della regimentazione idraulica delle acque in piattaforma e di quelle provenienti dalle scarpate, mediante risagomatura di queste ultime, allo sfalcio dell'erba e al taglio delle ramaglie per il recupero della piena visibilità.
  La predetta società, inoltre, ha predisposto la segnaletica necessaria, sia lungo il percorso alternativo (indicazione delle limitazioni imposte) sia lungo la strada statale 115 (segnalazione dell'interruzione al traffico dal km 135+900).
  La società ha, altresì, fornito supporto ai comuni del comprensorio, impiegando uomini e mezzi per consentire la transitabilità ai mezzi agricoli lungo l'ex strada consortile denominata «Scirinda», riducendo così il carico di traffico sul percorso di emergenza.
  I sopra elencati interventi hanno determinato la riqualificazione del percorso alternativo che, seppur con tempi di percorrenza più elevati, ha consentito, senza sinistri e in sicurezza, il ripristino del collegamento tra il comune di Sciacca e di Agrigento, scongiurando la paralisi della viabilità.
  L'Anas ha, nel frattempo, avviato la progettazione delle opere necessarie al ripristino del collegamento viario in corrispondenza del ponte sul fiume Verdura, accogliendo le sollecitazioni avanzate dal consulente della Procura, in sede di dissequestro dell'opera.
  Il 14 febbraio 2013 si è giunti all'approvazione in linea tecnica del progetto.
  Il 21 febbraio 2013 il progetto è stato, quindi, aggiornato a seguito delle risultanze emerse in sede di Conferenza dei Servizi.
  Il 27 febbraio 2013, sono stati affidati i lavori, dopo l'espletamento delle procedure di gara, alla ditta Gangemi Carmelo di Castel di Tusa.
  La consegna parziale dei lavori ha avuto luogo in data 8 marzo 2013 e quella definitiva il successivo 12 marzo.
  Per quanto attiene, invece, agli interventi di ripristino degli argini, propedeutici alla ricostruzione del ponte, si evidenzia che l'Anas, sin dal giorno successivo al dissequestro dell'infrastruttura, ha attivato le operazioni di movimentazione del materiale presente in alveo per la costituzione di argini provvisori con la funzione di sbarramento temporaneo.
  Le cause che hanno provocato il cedimento degli argini «provvisori» sono da collegarsi al combinato di circostanze relative sia alla natura provvisoria degli argini (materiali reperiti
in loco, ridotti tempi di realizzazione) sia all'eccezionale entità degli eventi meteorici.
  Un ulteriore elemento ha contribuito a minare la stabilità degli argini, ovvero l'onda di propagazione del fiume, della portata di ben 40 mc/sec, innescata dalla diga Gammauta, che, nonostante le continue segnalazioni da parte dell'ANAS alla Prefettura di Agrigento, continua a scaricare acqua senza modulazione di portata.
  ANAS ha evidenziato che la scelta di realizzare argini «provvisori» è avvenuta a seguito di una ponderata valutazione dei costi necessari per la costruzione di barriere «definitive» (con una spesa pari o superiore all'importo dei lavori principali), nonché alla lunghezza dei tempi necessari per la loro realizzazione, assolutamente incompatibili con la situazione di emergenza.
  Detta società, tuttavia, al fine di costituire argini sempre di natura provvisoria, ma di maggiore consistenza, ha richiesto ad aziende operanti
in loco, a titolo di comodato, dei blocchi di calcestruzzo impiegati per le prove di carico.
  Tali blocchi, forniti in concessione d'uso, sono pervenuti dalle ditte Sis ed Empedocle scpa.
  I blocchi della ditta Sis (metri 2x1x1) sono stati temporaneamente posizionati in alveo, al fine di innescare, in corrispondenza della spalla lato Sciacca, il ripascimento dell'alveo stesso, soggetto a fenomeni di scavo e potenziale scalzamento delle strutture, a causa delle precedenti piene.
  Tra i blocchi della ditta Empedocle, (metri 1x1x1) che dovevano servire per la costruzione dell'argine, si è notata la presenza di un blocco interessato da un foro di grande diametro e dalla presenza, al suo interno, di rifiuti, all'apparenza ordinari ovvero non ascrivibili tra i rifiuti speciali pericolosi.
  Il blocco è stato comunque opportunamente accantonato e sono state fermate le operazioni di posa dei restanti manufatti.
  Al riguardo, la società Anas ha precisato che i blocchi utilizzati non sono stati né acquistati dalla medesima né impiegati in opere stabili.
  A seguito di tale emergenza, la Procura di Sciacca ha posto sotto sequestro l'intera partita dei blocchi (n. 144), concessi in uso dalla Empedocle scpa, al fine di avviare gli accertamenti di rito.
  Per completezza d'informazione si segnala, infine, che la società Anas ha provveduto ad effettuare le verifiche sulla passerella in calcestruzzo, rimasta in esercizio anche dopo il crollo della parte in muratura.
  Tali accertamenti, effettuati in data 16 marzo 2013, hanno avuto esito positivo evidenziando la mancata compromissione delle strutture del ponte.
  È stato, quindi, ripristinato il transito veicolare, a senso unico alternato semaforizzato, sia pure con limitazione di carico a 20 tonnellate.
  La riapertura del viadotto nei due sensi di marcia è avvenuta il 13 maggio 2013.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   MAGORNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il signor N.D.R., di anni 60, residente in Diamante in provincia di Cosenza è affetto da ritardo mentale grave come da certificato rilasciato dal Centro di salute mentale di Paola (Cosenza), il 10 maggio del 2010, e come successivamente certificato dalla psicologa del dipartimento di salute mentale di Scalea (Cosenza) che ne ha diagnosticato «un grave peggioramento delle funzioni intellettive e del comportamento adattivo»;
   il signor N.D.R. vive in una famiglia completamente disagiata sia economicamente che socialmente. Il fratello non è in grado di intendere e di volere e da due anni è gravemente malato di tumore. La sorella è affetta da morbo di Parkinson e rifiuta ogni cura;
   il signor N.D.R. ha percepito la pensione di invalidità civile fino al 2007, quando senza alcuna motivazione gli venne tolta;
   dopo anni di attesa, l'INPS di Cosenza, in data 8 febbraio 2013, diagnostica al signor N.D.R. un’«insufficienza mentale lieve in soggetto con turbe di comportamento» e gli riconosce una percentuale di invalidità del 67 per cento con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 34 per cento al 73 per cento che non gli dà diritto a percepire alcuna pensione;
   il problema che si pone è di sensibilità collettiva e pubblica ma soprattutto è emblematico e rappresentativo di tanti altri casi simili che quotidianamente si verificano in Italia e di cui sono destinatari persone deboli e indifese –:
   se siano a conoscenza di quanto su esposto;
   se non si intenda, per quanto di competenza, verificare che siano stati rispettati i diritti degli interessati attraverso una puntuale applicazione delle norme e dei regolamenti in materia. (4-00113)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame si pone all'attenzione del Governo la questione concernente la revoca della pensione di invalidità civile ad un cittadino residente a Diamante (Cosenza).
  Al riguardo si osserva che l'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 1o luglio 2009 (convertito in legge con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009 n. 102, titolato «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile») ha disciplinato il riordino e la semplificazione complessiva del procedimento di concessione delle prestazioni in favore degli invalidi civili e minorati civili.
  Il nuovo procedimento prevede che il riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità avvenga con il diretto coinvolgimento dell'Inps, attraverso l'integrazione della commissione medica delle aziende sanitarie locali (ASL) con un medico dell'istituto, al fine di realizzare una gestione coordinata delle fasi sanitaria ed amministrativa, nella prospettiva di garantire ai cittadini maggiore trasparenza.
  Tale commissione operante presso ogni azienda sanitaria territorialmente competente è composta da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici. Alla Commissione partecipa, di volta in volta, un sanitario in rappresentanza, rispettivamente, dell'Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi civili (Anmic), dell'Unione italiana ciechi (Uic), dell'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza ai sordomuti (ENS) e dell'Associazione nazionale delle famiglie dei fanciulli ed adulti subnormali (Anffas), ogni qualvolta devono pronunciarsi su invalidi appartenenti alle rispettive categorie.
  All'Inps spetta, in ogni caso, il compito di accertare in via definitiva la sussistenza dei requisiti che possono dare luogo ai benefici di legge.
  All'istituto, inoltre, è stata assegnata la funzione di verificare la permanenza dei requisiti sanitari che hanno dato luogo alla concessione dei benefici economici.
  Per quanto concerne nello specifico, la questione del signor N.D.R. – richiamato nel presente atto parlamentare –, l'Inps ha fatto sapere che è stato ripristinato il giudizio di invalidità nei confronti dell'interessato, con intervento medico-legale congiunto svolto a livello territoriale e a livello centrale dalla Commissione medica superiore Inps.
  Allo stato, quindi, in base a quanto riferito dall'Istituto, può ritenersi che la situazione segnalata dall'interrogante sia stata risolta in senso favorevole.

Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri ha bandito l'8 aprile 2013 un concorso, per titoli ed esami, a 35 posti di Segretario di legazione in prova;
   l'articolo 2 del suddetto bando stabilisce che per l'ammissione al concorso non bisogna aver superato l'età di 35 anni;
   tale limite di età lede il diritto di tante persone che a causa della devastante crisi economica e occupazionale che viviamo, non hanno ancora trovato un lavoro o ce l'hanno precariamente pur avendo superato l'età di 35 anni;
   tale limite di età per l'accesso al concorso viola palesemente secondo l'interrogante il principio costituzionale della uguaglianza dei cittadini –:
   se non ritenga necessario revocare quel bando per annullare quanto previsto dall'articolo 2 sul limite di età di 35 anni al fine di evitare una ingiusta discriminazione nei confronti di tanti cittadini che vorrebbero concorrere ai posti di lavoro previsti. (4-00662)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri ha bandito lo scorso 8 aprile un concorso, per titoli ed esami, a trentacinque posti di segretario di legazione. Il bando di concorso trova il suo fondamento giuridico nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, n. 72 regolamento per il concorso di accesso alla carriera diplomatica, così come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 gennaio 2013 n. 17.
  L'ordinamento dell'amministrazione degli affari esteri, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, fissava inizialmente addirittura a 30 anni il limite di età (articolo 94, comma 2). Tale limite è stato recepito nel Regolamento per l'accesso alla carriera diplomatica ed inserito tra i requisiti previsti dai bandi di concorso emanati con cadenza pressoché annuale.
  Successivamente, la legge 15 maggio 1997, n. 127 «misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo» (nota come «Bassanini bis»), nello stabilire all'articolo 3 comma 6 che «la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età», ha permesso alle singole Amministrazioni di introdurre – tramite regolamento – deroghe a tale disposizione generale connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell'amministrazione stessa.
  Attesa quindi la necessità di mantenere un limite massimo di età – per la partecipazione al concorso diplomatico e in applicazione della deroga dettata dalla citata «Bassanini bis» – è apparso comunque opportuno procedere ad un adeguamento al rialzo di detto limite.
  Nel 1998, quindi, il limite di età è stato elevato dai 30 ai 35 anni (elevabili a 38 anni, in presenza di specifici
status quali ad esempio: l'essere coniugato; avere prole; appartenere a categorie protette; essere dipendenti civili di ruolo delle pubbliche amministrazioni, ed altri ancora).
  Posto che l'accesso a tale carriera non può che avvenire tramite concorso pubblico, ed esclusivamente al grado iniziale – quello di segretario di legazione in prova – è necessario che vi accedano funzionari relativamente giovani. L'esercizio delle funzioni loro affidate, infatti, richiede un percorso di formazione, di maturazione professionale e di applicazione attuabile soltanto in tempi lunghi. Inoltre, per percorrere tutti i cinque gradi in cui si articola la carriera diplomatica (segretario di legazione, consigliere di legazione, consigliere di Ambasciata, Ministro plenipotenziario e ambasciatore) sono necessari non meno di 28 anni di servizio da prestare sia presso l'amministrazione centrale che presso le Rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari all'estero.
  Infine, a conferma di quanto sopra detto, parimenti rilevante è l'esigenza di questa amministrazione di potersi avvalere di un adeguato numero di diplomatici giovani da inviare, dopo un primo servizio al Ministero degli affari esteri, in quelle sedi estere considerate particolarmente disagiate.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   MIOTTO, LENZI, ARGENTIN, BOSSA, BURTONE, D'INCECCO, GRASSI, MURER e SBROLLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sezione lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza n. 7320 del 22 marzo 2013, è intervenuta nuovamente sulla questione dei limiti reddituali da applicare ai fini della concessione della pensione agli invalidi civili affermando che il reddito a cui fare riferimento non è solo quello individuale, ma deve essere sommato a quello del coniuge, se presente, ribadendo, quindi, quanto già affermato nella sentenza del 2011 (sezione lavoro, n. 4677 del 25 febbraio 2011);
   in precedenza con la sentenza n. 4677 del 25 febbraio 2011, la Corte di cassazione aveva stabilito che il limite reddituale previsto per la concessione della pensione di invalidità civile agli invalidi al 100 per cento (fissato nel 2011 a 15.154,24 euro) non era solo quello personale, ma anche quello dell'eventuale coniuge;
   già la sentenza del 2011 era di segno contrario rispetto a precedenti – fra l'altro recenti – pronunzie della Corte stessa (sentenze numeri 18825 del 2008, 7259 del 2009 e 20426 del 2010);
   gli interventi della Corte di cassazione, trovano fondamento nella farraginosità della normativa vigente e, benché, non pronunciati a sezioni unite, rappresentino solo un orientamento giurisprudenziale che può essere motivatamente superato da altre sentenze, vanno letti con grande prudenza in quanto mettono a rischio le pensioni di oltre 850.000 persone;
   già a fine 2012 l'INPS aveva emanato una circolare che prevedeva il computo del reddito coniugale (e non più individuale) ai fini della concessione della pensione e, solo in seguito alle proteste delle associazioni e dei sindacati e al conseguente intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la circolare era stata ritirata dall'INPS in attesa, appunto, di un'istruttoria fra il Dicastero e l'Istituto;
   la nuova sentenza, non essendo legge non incide immediatamente sulle prestazioni di milioni di invalidi civili, ma potrebbe comunque condizionare il confronto in corso fra INPS e Ministero del lavoro e delle politiche sociali proprio su questo tema –:
   a che livello sia il confronto tra l'INPS e il Ministro interrogato, quali siano gli orientamenti del Governo e se il Governo non ritenga doveroso assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza affinché non solo sia fatta chiarezza sulla normativa in questione ma vengano garantiti i diritti di tutte quelle persone che a fronte di una invalidità del 100 per cento si vedono corrispondere 275 euro mensili. (4-00103)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali iniziative si intendano adottare in ordine alla interpretazione giurisprudenziale della norma che fissa i limiti reddituali ai fini della concessione della pensione agli invalidi civili, si rappresenta quanto segue.
  Nella giurisprudenza della Corte di cassazione è intervenuta di recente una sentenza (n. 7320 del 22 marzo 2013) la quale si è posta nel solco di un orientamento giurisprudenziale in via di consolidamento il quale prende in considerazione il reddito familiare – e non più quello individuale – ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità.
  A seguito della sostituzione del testo della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), articolo 13, ad opera della legge n. 247 del 2007 (Norme di attuazione del protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale), la Corte afferma nella suddetta sentenza che, ai fini dell'accertamento della sussistenza del requisito reddituale per l'assegnazione della pensione di inabilità agli invalidi civili assoluti di cui all'articolo 12 della legge n. 118 del 1971, «assume rilievo non solamente il reddito personale dell'invalido, ma anche quello (eventuale) del coniuge del medesimo, onde il beneficio va negato quando l'importo di tali redditi, complessivamente considerati, superi il limite determinato con i criteri indicati dalla norma in parola.
  Già in una precedente sentenza (n. 4677 del 25 febbraio 2011) la Suprema Corte aveva espresso il medesimo orientamento, il quale produce l'inevitabile effetto di limitare la platea dei potenziali beneficiari della prestazione.
  A seguito dell'orientamento espresso dalle citate sentenze, l'Inps, con la circolare n. 149/2012, rendeva noto che, nel dare corso ai dispositivi delle sentenze della Suprema Corte, dal 1o gennaio 2013 avrebbe applicato un requisito reddituale che, ai fini del riconoscimento delle pensioni di inabilità per gli invalidi civili assoluti, tenesse conto non solo del reddito del richiedente, ma anche di quello del coniuge.
  Di fronte alle reazioni sia da parte sindacale che associazionistiche e considerando che il comportamento dell'istituto si sarebbe basato non sul dettato della legge, ma su alcune sentenza della Corte di cassazione le quali, per quanto autorevoli, non possono fare stato che tra le parti, l'applicazione della suddetta circolare fu sospesa in attesa di una nota ministeriale che chiarisse la complessa materia dei limiti reddituali delle pensioni di inabilità civile e dell'assegno ordinario mensile di invalidità civile parziale. A ragione di quanto sopra, l'istituto ha rappresentato che nella liquidazione sia della pensione di inabilità che dell'assegno ordinario mensile di invalidità civile parziale, continua a fare riferimento al solo reddito personale dell'invalido.
  Al fine di fornire una ipotesi di soluzione alla questione, è risultato utile avviare sulla materia una fase istruttoria iniziata nel corso del 2012 mediante l'istituzione di un tavolo tecnico di confronto con l'Inps. Allo stato attuale, il tavolo tecnico non ha concluso i propri lavori.
  È tuttavia, innegabile che il definitivo superamento della problematica segnalata potrebbe intervenire solo attraverso una modifica normativa sulle disposizioni di legge in relazione alle quali la giurisprudenza della Suprema Corte si sta consolidando nel senso dell'interpretazione più restrittiva.
  Sotto tale aspetto, si segnala che nel corso della XVI legislatura sono stati presentati alcuni progetti di legge il cui contenuto potrebbe risultare di indubbia utilità per l'avvio a soluzione della questione (fra tali progetti di legge si segnala l'atto Camera 538 recante Modifica all'articolo 14-
septies del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, in materia di calcolo del limite di reddito per le pensioni di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili).
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   MINARDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ha destato allarme e preoccupazione la prossima attuazione, da parte del Ministero della giustizia, del decreto con cui sono stati stabiliti criteri della riorganizzazione delle carceri, prevedendo la chiusura, tra gli altri anche dell'istituto penitenziario di Modica;
   tale decisione nasce nell'ambito della revisione della spesa da parte dello Stato a causa della quale determinati tagli sono stati deleteri perché operati senza una logica che mettesse in evidenza le esigenze dei territori, la loro storia, cultura e tradizioni;
   il carcere di Modica è una struttura efficiente e che opera degnamente sia dal punto di vista strutturale che riguardo il trattamento dei detenuti;
   tale decisione non risolve il problema del maggiore risparmio, anzi aumenta gli oneri a carico dello Stato e aggiunge problemi ad altri problemi visto che il sistema penitenziario è già al collasso per sovraffollamento delle carceri e con personale addetto sempre minore; si fa riferimento alla polizia penitenziaria ma anche agli operatori, assistenti sociali, psicologi, educatori, medici;
   una scelta del genere, penalizzante per la città di Modica, sarebbe opportuno farla solo se il comprensorio avesse già a disposizione una struttura efficiente e riorganizzata in grado di accogliere più detenuti –:
   se il Governo intenda rivedere tutta la questione affinché, prima di ogni drastica decisione, il riordino delle carceri avvenga secondo criteri che non siano quelli previsti dal decreto, che definisce l'urgenza di sopprimere alcuni istituti penitenziari perché ospitati in strutture monumentali conventuali per i quali una riconversione in case di reclusione, come vuole l'ordinamento penitenziario, comporterebbe oneri eccessivi per l'erario;
   se il Governo intenda valutare più attentamente ogni realtà locale ed in particolare quella della provincia di Ragusa perché è evidente che chiudere il carcere di Modica implicherebbe disagi e disservizi maggiori all'istituto penitenziario di Ragusa che soffre sia strutturalmente che per sovraffollamento e poco personale;
   se il Governo intenda infine, mettere nelle condizioni il territorio di avere una casa circondariale efficiente e riorganizzata perché solo in questo caso si può parlare di eventuale chiusura del carcere di Modica. (4-00178)

  Risposta. — Con decreto ministeriale del 1o febbraio 2013 è stata disposta la soppressione della casa circondariale di Modica.
  Le ragioni poste a fondamento del provvedimento di chiusura sono le seguenti:
   l'istituto era dotato di una capacità ricettiva regolamentare di soli 35 posti detentivi;
   la struttura aveva beneficiato di alcuni interventi di restauro da parte della competente soprintendenza e da tempo ne era stata decisa la sostituzione con altro istituto da costruirsi in apposita area individuata, negli anni ’90, dalla commissione tecnica prevista dalla legge n. 1133 del 1971 in materia di edilizia degli istituti penitenziari; tale previsione non è stata confermata dal vigente piano carceri;
   la vetustà della struttura rendeva assai problematico l'adeguamento della stessa alle disposizioni dell'ordinamento penitenziario, in quanto risultavano assolutamente carenti ed inadeguati gli spazi e gli ambienti destinati all'espletamento delle funzioni istituzionali; infatti, per le intrinseche caratteristiche architettoniche e strutturali, nonché per i connessi vincoli-artistici, risultava estremamente problematico procedere agli interventi di ammodernamento e di adeguamento dell'immobile alle prescrizioni del regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario;
   la ristrutturazione dell'immobile si sarebbe, peraltro, rivelata del tutto antieconomica per l'erario, in termini costi/benefici: invero, la già modestissima capacità ricettiva sarebbe stata ulteriormente ridotta in caso di opere di adeguamento igienico-sanitario, impiantistico e di ammodernamento.

  La chiusura dell'istituto, allo stato, è sospesa, in attesa che si possa disporre di nuovi posti di detenzione presso la vicina casa circondariale di Ragusa, sita a 30 minuti da Modica, che sarà a breve interessata da lavori di ristrutturazione, con conseguente recupero di 108 posti detentivi.
Il Ministro della giustiziaAnna Maria Cancellieri.


   MONGIELLO, MARIANI, BELLANOVA, GINEFRA e CAPONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   diverse testate giornalistiche hanno raccontato la storia di Suad: una giovane donna saudita, con passaporto britannico e sposata con un cittadino italiano, di recente arrestata e obbligata a dimorare presso il domicilio del marito in attesa di un'eventuale richiesta di estradizione;
   Suad è stata fermata il 26 aprile 2013 dalla polizia di Stato a seguito di una richiesta di arresto internazionale, passata tramite Interpol, per la fattispecie di falso documentale; reato che, a detta del suo avvocato, in Italia non è contemplato dal codice penale;
   l'arresto è stato, quindi, convalidato dalla corte d'appello di Bologna il 30 aprile 2013 e la ragazza è stata scarcerata e messa all'obbligo di dimora come misura cautelare, confermata successivamente dal Ministero della giustizia in attesa della richiesta formale di estradizione;
   tanto il legale che il marito hanno raccontato ai cronisti dell'opposizione al matrimonio da parte del padre della ragazza, definito persona di grande influenza presso la casa reale saudita, il quale l'avrebbe segregata in casa per un anno dopo il matrimonio;
   Saud sarebbe riuscita a fuggire solo dopo aver ottenuto il passaporto britannico, concessole perché nata a Londra, e utilizzando il passaporto di un'amica per lasciare l'Arabia Saudita, perché i cittadini sauditi possono varcare la frontiera solo con il passaporto del proprio Stato; anche per tale ragione, a detta del marito, se tornasse in patria, Saud rischierebbe di essere segregata e uccisa –:
   se e come il Ministro della giustizia intenda agire anche in considerazione dell'assenza di un trattato di estradizione fra Italia e Arabia Saudita per garantire la libertà personale e l'incolumità di Suad. (4-00797)

  Risposta. — Alissa Suad, alias Al-Issa Suad, (cittadina saudita e britannica, sposata con un cittadino italiano), è stata arrestata, a Bologna, il 26 aprile 2013 in forza di un mandato di arresto internazionale per il reato di falso documentale, emesso nei suoi confronti dal Tribunale del Regno dell'Arabia Saudita il 28 settembre 2011.
  Il 30 aprile 2013, l'arresto è stato convalidato dalla corte di appello di Bologna che, contestualmente, ha disposto la scarcerazione della Suad, applicando nei suoi confronti la misura cautelare dell'obbligo di dimora.
  Il 3 maggio 2013, ho richiesto il mantenimento della predetta misura cautelare ed il provvedimento è stato comunicato alle competenti autorità del Regno dell'Arabia Saudita.
  Segnalo, inoltre, che, il 12 giugno 2013, la Corte di Appello di Bologna, su istanza del procuratore generale della Repubblica, ha disposto la revoca della misura cautelare dell'obbligo di dimora; nel caso di specie, infatti, non erano pervenuti al Ministero della giustizia ed al Ministero degli affari esteri entro il termine di efficacia della misura cautelare, né la domanda di estradizione, né i documenti a suo sostegno.
  Così ricostruiti i fatti, intendo precisare che, nel caso in esame, il procedimento di estradizione risulta disciplinato dalle norme del codice di procedura penale, non essendo in vigore, con il Regno dell'Arabia Saudita, alcuna convenzione in materia.
  Una volta proposta, la domanda di estradizione sarà quindi esaminata dall'Autorità giudiziaria italiana – nella specie, la corte di appello di Bologna – alla quale potrà essere sottoposta ogni deduzione a difesa della signora Alissa Suad.
  Compete, infatti, alla corte di appello, in tale prima fase giurisdizionale, valutare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per ritenere estradabile un soggetto e, in tale ottica, è anche prevista la possibilità, per l'Autorità giudiziaria, di assumere informazioni e disporre gli accertamenti ritenuti necessari.
  Ricordo, in particolare, che non può essere concessa l'estradizione «quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurino violazione di uno dei diritti fondamentali della persona».
  Soltanto dopo l'emissione, da parte dell'Autorità giudiziaria, di una decisione definitiva favorevole all'estradizione, potranno venire in rilievo le attribuzioni del Ministro della giustizia al quale compete decidere in ordine alla suddetta richiesta.
  Continuerò, in ogni caso, a seguire personalmente, e con la massima attenzione, gli sviluppi della vicenda riguardante Alissa Suad, al fine di assicurare, per quanto di competenza del dicastero che ho l'onore di dirigere, la piena attuazione delle disposizioni di legge.

Il Ministro della giustiziaAnna Maria Cancellieri.


   NARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dalla stampa locale, con il nuovo cambio d'orario introdotto da Trenitalia s.p.a., a giugno, spariranno di fatto sei pendolini Frecciabianca fino ad oggi in transito su Livorno lungo la tratta tirrenica (Roma-Genova). Detti convogli, infatti, verrebbero deviati direttamente sulla città di Firenze;
   in questo modo Trenitalia s.p.a. non farà altro che cancellare tutti i collegamenti «veloci» tra Livorno, Pisa, Roma e Grosseto, smantellando completamente la rotta veloce lungo la costa con tutti i disagi per i tanti pendolari (centinaia di studenti o lavoratori) diretti a nord o sud per motivi di studio o lavoro che si possono immaginare;
   tale notizia ha rappresentato, infatti, un colpo durissimo per i viaggiatori, visto che i sei pendolini in questione (costruiti con materiale Etr 460 – Pendolini ETR 460/463) erano stati introdotti da Trenitalia a Livorno neanche un anno e mezzo fa, nel dicembre 2011, ed erano gli unici in grado di raggiungere Grosseto in soli 50 minuti;
   il motivo di tale cancellazione deriva dal fatto che, per quanto superveloci, detti convogli non risulterebbero «economici» in termini di riscontro di biglietti venduti;
   da giugno, in buona sostanza, la mappa ferroviaria vedrà sparire da Livorno centrale i tre Frecciabianca diretti da Roma a Genova e che passavano alle ore 9,15, alle ore 15,45 e alle ore 20,47; ed altri tre che percorrevano la rotta contraria, Genova-Roma, dunque in transito a Livorno alle ore 7,44, alle ore 14,04 e alle ore 21,04;
   i sei pendolini in questione dirotteranno tutti all'interno, verso Firenze, per saltare completamente le stazioni di Livorno, Grosseto e Civitavecchia, raggiungendo da Firenze, direttamente Roma;
   la decisione di Trenitalia in questione appare di eccezionale gravità, anche alla luce del disimpegno dimostrato dal precedente Governo Berlusconi rispetto al servizio pubblico locale che ha fatto sì che Trenitalia trasformasse progressivamente i treni intercity (treni finanziati dal contributo pubblico) in Eurostar (treni a libero mercato) –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa e, in caso affermativo, quali interventi urgenti intenda assumere il Governo al fine di scongiurare l'ipotesi di stravolgere in modo così radicale la mappa ferroviaria toscana, con tutte le conseguenze pregiudizievoli che si possono immaginare nei confronti del diritto alla mobilità dei cittadini viaggiatori pendolari;
   se intenda adottare ogni iniziativa di competenza affinché sia evitata in maniera chiara, da parte di Trenitalia s.p.a., la paventata soppressione dei treni Frecciabianca (Pendolini ETR 460/463), la cui scomparsa non può essere dettata da motivazioni legate unicamente alla loro economicità. (4-00111)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, occorre preliminarmente considerare che i collegamenti «Frecciabianca» in servizio sulla direttrice tirrenica nord sono effettuati da Trenitalia in regime di mercato, non essendo oggetto di corrispettivi pubblici e, quindi, si sostengono esclusivamente attraverso i ricavi da traffico; il gestore ferroviario, pertanto, nell'ambito delle sue scelte aziendali, può declinare autonomamente le caratteristiche qualitative e quantitative dell'offerta, nonché i livelli di prezzo.
  Tuttavia, al fine di fornire una risposta all'atto ispettivo in oggetto sono state chieste informazioni alla Società Trenitalia che ha comunicato quanto segue.
  La linea tirrenica nord, Roma-Grosseto-Livorno-Pisa-Genova, è servita attualmente da 6 coppie giornaliere di collegamenti denominati «Frecciabianca» (12 treni), sino a giugno 2012 le coppie in servizio erano 5.
  La coppia di treni 9762/9785 ha registrato, a causa del basso utilizzo, una perdita superiore ai 5 milioni di euro annui; in particolare, il minor livello di frequentazione e, quindi, il volume di perdita maggiore, riguarda il treno 9785, in partenza la sera da Genova.
  Tale situazione di non sostenibilità economica, ha comportato l'adozione di alcune modifiche alla programmazione, riducendo il tempo di percorrenza complessivo e migliorando l'orario di arrivo nella stazione di Roma, al fine di incrementare i livelli di frequentazione del collegamento e conseguentemente dei ricavi, con l'obiettivo di migliorare il conto economico di questo servizio.
  Trenitalia ha comunicato, inoltre, che sulla base dei dati rilevati attraverso il sistema informatico di prenotazione i volumi di passeggeri che utilizzano il treno «Frecciabianca» 9785 da e per le località toscane della linea tirrenica (in particolare Grosseto e Livorno) risultano estremamente ridotti per effetto degli orari di transito che non interessano la fascia a maggior afflusso pendolare (mobilità sistematica).
  Pertanto, con decorrenza 14 aprile 2013 è stato previsto l'instradamento del treno «Frecciabianca» 9785 (attualmente 9877) via Pisa-Firenze (anziché via Livorno-Grosseto): ciò consente una velocizzazione del tragitto di circa 30 minuti, con arrivo nella stazione di Roma poco prima delle ore 23,00.
  Tale soluzione permette, tra l'altro, di attivare un nuovo servizio diretto veloce tra Genova e Firenze che dovrebbe contribuire ad attrarre ulteriore traffico e, quindi, incrementare i ricavi, offrendo un indubbio vantaggio in termini di miglioramento dei collegamenti tra i due capoluoghi.
  Si precisa, infine, come comunicato da Trenitalia, che sulla linea in questione non sono previste ulteriori variazioni circa la restante offerta dei collegamenti «Frecciabianca» (11 treni).

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 settembre 2012 è stato consegnato il nuovo carcere di Oristano-Massama;
   la struttura – secondo quanto recita una nota del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – riportata dall'agenzia ADN Kronos – «la cui consegna è avvenuta perfettamente nei tempi previsti, ospiterà 250 detenuti (125 di media sicurezza e 125 di alta sicurezza) che cominceranno ad affluire dal prossimo 11 ottobre»;
   il nuovo carcere di Oristano sorge a Massama, località Is Argiolas;
   la data di inizio lavori per la realizzazione della casa circondariale di Massama (Oristano) riportata negli atti di affidamento lavori era quella del 12 aprile 2007;
   la data di ultimazione e consegna dei lavori il 29 settembre 2009;
   il nuovo carcere costato quaranta milioni di euro sorge su un'area estesa 23 mila metri quadrati per 86 mila metri cubi di volume, ha una capienza di progetto di circa 240 detenuti nella sezione circondariale e dieci in stato di semilibertà;
   l'importo complessivo dei lavori per la costruzione del complesso di circa 40 milioni di euro è stato suddiviso tra prima (24 milioni) e seconda fase (16 milioni);
   la struttura prevede una caserma per gli agenti di polizia con 30 posti e 4 alloggi;
   alla data del 28 settembre risultavano aver aderito al trasferimento al carcere di Massama, 56 agenti sugli 80 destinati alla struttura, oltre a quelli già in carico alla casa circondariale di Oristano;
   tale numero di agenti risultava non sufficiente nemmeno per coprire le ordinarie esigenze di una struttura carceraria ampia e articolata e con un carico di detenuti rilevante;
   a questo elemento fondamentale nell'organizzazione e nella sicurezza della struttura e dello stesso personale operante si aggiunge che secondo la comunicazione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sarebbero destinati alla nuova struttura di Massama ben 125 detenuti di Alta sicurezza;
   in particolar modo risulta al sottoscritto, e nessuna smentita è giunta da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria stesso, che subito dopo il trasferimento dei 117 detenuti del carcere vecchio di piazza Mannu si procederà a trasferire nel carcere di Massama, dal resto d'Italia, i detenuti appartenenti alle categorie AS 1 e AS 3;
   secondo le informazioni in possesso dell'interrogante sarebbero settanta tra camorristi, mafiosi, trafficanti internazionali di droga i detenuti che già dalla settimana successiva all'undici di ottobre prossimo giungeranno nel carcere di Oristano;
   si tratterebbe secondo l'interrogante di un vero e proprio blitz del Ministro della giustizia che avrebbe dato disposizioni alle strutture periferiche per un trasferimento senza precedenti di detenuti pericolosissimi legati alle più pericolose organizzazioni criminali in Sardegna;
   la decisione del Ministero, resa pubblica attraverso una nota ufficiale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria costituisce un atto gravissimo predisposto nel più totale silenzio a conferma dell'intenzione di trasformare la Sardegna in una vera e propria prigione di Stato;
   si tratta di un trasferimento che deve essere respinto in tutti i modi proprio perché si tratterebbe di una deportazione malavitosa in Sardegna ingiustificata e spropositata rispetto alla originaria destinazione delle carceri sarde;
   il carcere di Massama sarà, dunque, aperto nella prima decade di ottobre con una decisione che sarebbe già trasmessa con atti interni alle rispettive carceri di provenienza dei detenuti mafiosi, camorristi e trafficanti internazionali di droga;
   la destinazione ad Oristano di settanta detenuti di alta sicurezza, dei livelli 1 e 3, contrasta palesemente con il nuovo carcere nato come casa circondariale e non certo come carcere destinato a questo elevato grado di sicurezza;
   si tratta di un problema non solo logistico ma di una scelta inopportuna, grave e non gradita dalla Sardegna e dai sardi proprio per le possibili infiltrazioni della malavita organizzata nella società sarda;
   trasferire ad Oristano i detenuti più pericolosi in circolazione nel nostro Paese, ai quali si aggiungerà oltre un terzo di detenuti del 41-bis, con i 180 posti che saranno ricavati tra Sassari, Cagliari e Nuoro significa aver assegnato alla Sardegna un ruolo di collettore principale nello scacchiere penitenziario nazionale;
   sin dall'inizio si era percepita la posizione inopportuna e anacronistica del Ministro che ha ripetutamente attribuito alla condizione insulare una condizione positiva per la gestione detentiva dei carcerati;
   a giudizio dell'interrogante questa idea di carcere di Stato alla quale si ispira questo Ministro per rifunzionalizzare le carceri sarde è una visione fuori luogo e destituita del più elementare senso della logica, basti pensare ai trasferimenti dei detenuti per i processi dalla Sardegna al resto d'Italia;
   l'articolazione naturale sarebbe quella che ognuno governi il proprio quantitativo di detenuti, senza steccati, ma nemmeno con la dislocazione massiccia in un'unica regione come si sta verificando in questo caso;
   ad Oristano è stato previsto, contro le indicazioni progettuali e iniziali, un braccio di alta sicurezza al quale sono destinati 70 detenuti appartenenti ai sottocircuiti di alta sicurezza 1 e 3;
   il primo, A.S. 1, accoglierà i detenuti e internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis;
   si tratta della soglia di sicurezza prossima al 41-bis, quella riservata ai capi mafiosi e camorristi;
   a questi si aggiungono i detenuti del circuito A.S. 3 detenuti per mafia, sequestro di persona, traffico internazionale di sostanze stupefacenti;
   ciò che è più grave è la ratio di questo abnorme trasferimento di detenuti mafiosi, camorristi e trafficanti internazionali di droga considerato che l'alta sorveglianza è riservata più che alla pericolosità individuale, all'appartenenza degli stessi ad una organizzazione, e dunque – come recita la circolare istitutiva dei tre livelli di alta sorveglianza – alla potenzialità di interagire con le compagini criminali operanti all'esterno della realtà penitenziaria, ovvero di determinare fenomeni di assoggettamento e reclutamento criminale;
   secondo la circolare «A meritare una attenzione maggiore e dunque una “elevata” o “maggiore sicurezza” non è quindi solo l'individuo in sé, ma la compagine cui egli appartiene, con la sua capacità di condizionare, dentro e fuori il circuito penitenziario, l'ordinario svolgersi dei rapporti sociali, e di fungere da moltiplicatore dei fenomeni criminali»;
   per la Sardegna è un rischio senza precedenti di infiltrazioni delle più pericolose organizzazioni malavitose, da quelle mafiose a quelle camorristiche, sino alle organizzazioni internazionali di traffico di droga;
   ad avviso dell'interrogante, si rende indispensabile e urgente fermare questo nefasto utilizzo delle carceri sarde perché non si può e non si deve pensare al sistema carcerario sardo come contenitore delle criminalità più pericolose e fare della Sardegna una vera e propria concentrazione delinquenziale della più pericolosa;
   a questo si aggiunge una carenza di organico del personale penitenziario che già oggi è in gravissime condizioni con vacanze in organico tra il 30 e 40 per cento –:
   se il Ministro sia a conoscenza e abbia disposto un piano di trasferimenti di 125 detenuti di alta sicurezza nel carcere di Oristano Massama a partire dalla prima decade di ottobre;
   se non ritenga necessario anche dinanzi alle dure prese di posizione delle istituzioni a partire dal presidente della provincia di Oristano, il presidente della Confindustria, le organizzazioni sindacali territoriali, cittadini e associazioni varie revocare tale disposizione eventualmente adottata dagli organi del Ministero;
   se non ritenga necessario aprire le nuove carceri sarde attraverso il riempimento sino e non oltre la soglia della capienza, consentendo alle altre di non trovarsi in regime di tollerabilità, ovvero con un numero di detenuti quasi il doppio rispetto alla capienza;
   se non ritenga di predisporre un piano straordinario che consenta di dotare le nuove carceri di un numero di agenti adeguato con il trasferimento in Sardegna dei tantissimi agenti sardi dislocati nelle carceri del nord d'Italia che da tempo manifestano il desiderio di ritornare a lavorare nella loro terra. (4-00025)

  Risposta. — La destinazione d'uso degli istituti e dei padiglioni penitenziari viene pianificata dall'amministrazione penitenziaria tenendo conto della conformazione logistica e degli standard di sicurezza delle strutture, al fine di valutare l'assegnazione dei detenuti in relazione alla pericolosità sociale connessa ai reati loro ascritti (comuni/alta sicurezza) ed alla posizione giuridica (imputati/definitivi).
  In particolare, per le strutture sarde di recente e prossima apertura, detta pianificazione è stata partecipata al provveditore regionale anche in funzione della riorganizzazione dei circuiti regionali.
  Orbene, il progetto regionale della regione Sardegna prevede che il nuovo istituto di Oristano – entrato in funzione nel mese di ottobre dello scorso anno – sia destinato ad ospitare anche detenuti appartenenti al circuito dell'alta sicurezza.
  Va tuttavia rilevato che tale configurazione è subordinata all'entrata in funzione del nuovo istituto di Sassari, prevista per la fine del corrente mese.
  Pertanto, nelle more dell'operatività di quest'ultimo istituto penitenziario, non è stato eseguito alcun trasferimento di detenuti alta sicurezza all'istituto di Oristano che, ad oggi, ospita esclusivamente detenuti del circuito di media sicurezza, presenti, alla data del 10 giugno 2013, in numero di 194 a fronte di una capienza regolamentare di 212 posti detentivi.
  Proprio riguardo alle possibilità ricettive della regione, si forniscono ampie rassicurazioni all'interrogante in ordine al rispetto, negli istituti della Sardegna, della soglia della capienza cosiddetta regolamentare, atteso che, a fronte degli attuali 2.257 posti di detenzione disponibili (che saranno incrementati con l'apertura dei nuovi penitenziari di Sassari e di Cagliari), attualmente risultano presenti in regione 2.029 detenuti.
  Quanto, poi, al timore che l'invio di detenuti alta sicurezza presso la regione Sardegna sia destabilizzante per il territorio, preme evidenziare che sarà cura del locale provveditorato dell'amministrazione penitenziaria, attraverso le direzioni degli istituti che ospiteranno tale tipologia di ristretti, intensificare – come già avvenuto ad opera dello staff direzionale della casa di reclusione di Tempio Pausania – i rapporti con le Istituzioni, con i rappresentanti della società civile e con l'associazionismo locale, al fine di sviluppare la necessaria sinergia con il territorio e di «rassicurare» gli interlocutori locali, ed attraverso essi, la popolazione.
  Si ritiene, infatti, che la conoscenza ed il dialogo con il territorio consentiranno di individuare e di monitorare le risorse esistenti all'esterno dell'ambito penitenziario, cui fare riferimento per la programmazione delle attività trattamentali e per promuovere ogni iniziativa volta a riempire di contenuti il periodo di detenzione, con l'obiettivo di assicurare la funzione rieducativa della pena.
  Relativamente, infine, alla situazione del personale appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, si osserva che la competente direzione generale del D.A.P., nel 2012, ha provveduto a rinforzare il contingente di polizia penitenziaria inviando in Sardegna complessivamente 277 unità.
  Va, altresì, evidenziato che, in considerazione delle accresciute esigenze operative della regione Sardegna conseguenti all'apertura di nuovi istituti penitenziari, il nuovo decreto ministeriale 22 marzo 2013 di ripartizione delle dotazioni organiche del Corpo di polizia penitenziaria ha incrementato l'organico della regione di oltre 500 unità di personale, passando dalle 1.324 unità previste dal precedente decreto ministeriale del 2001 alle attuali 1.834 unità.
  Tale incremento consentirà di poter assegnare nuove unità di polizia penitenziaria mediante provvedimenti di mobilità ordinaria a domanda, che saranno adottati in concomitanza con il completamento dei percorsi formativi in atto presso le scuole dell'amministrazione, che si concluderanno nei prossimi mesi.
  A tale riguardo, in relazione alla proposta avanzata dall'interrogante di adottare «un piano straordinario» per il personale originario della Sardegna ed attualmente assegnato ad istituti di altre regioni, si rappresenta che, alla luce delle vigenti disposizioni, i trasferimenti degli interessati potranno avvenire esclusivamente mediante le procedure di scorrimento delle graduatorie definitive di merito predisposte per ciascuna delle sedi comprese nell'apposito interpello nazionale.

Il Ministro della giustiziaAnna Maria Cancellieri.


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della giustizia ha in animo di trasferire detenuti pericolosi di alta sicurezza 1 presso gli istituti penitenziari sardi;
   la possibilità di trasferire i detenuti più pericolosi negli istituti penitenziari dell'isola riveste una serie di rilevanti problemi di varia natura da quelli sociali ed ambientali sino a quelli trattamentali e di natura economica;
   prima di tutto esistono gravi problematiche sociali ed ambientali, legate alle infiltrazioni mafiose camorristiche ecc.;
   in Sardegna, il problema di contatto con la criminalità organizzata è ben minore rispetto ad altre regioni meridionali, dove c’è la mafia, la camorra, la ’ndrangheta;
   la Sardegna risulta estranea da infiltrazioni di questo tipo;
   il trasferimento di tali detenuti comporterebbe un altissimo rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata, basti considerare il disagio delle famiglie di questi di doversi spostare per effettuare colloqui, consegnare pacchi di beni di consumo e di vestiario, che indurrebbe le stesse a trasferirsi in Sardegna pur di stare a contatto diretto e costante con i propri congiunti detenuti;
   la Sardegna in questo momento particolare si trova in una posizione di estrema vulnerabilità, ha diversi problemi strutturali e congiunturali che potrebbero aggravarsi ulteriormente comportando un'ulteriore disgregazione sociale e territoriale;
   rispetto a tele debolezza è necessario intervenire con progetti di sviluppo che fungano piuttosto da collante nei confronti della popolazione, che mitighino il senso di insicurezza individuale e collettivo e salvaguardino l'isola quale terra incontaminata da tale tipo di criminalità;
   la commistione che si vuole creare tra le varie culture rischia di incidere in modo determinante sui fattori di criticità enucleati e sul senso identitario;
   si vuole impiegare lo spazio penitenziario a disposizione con detenuti (peraltro pericolosi) di altre regioni mentre i detenuti sardi si trovano in altri istituti della penisola e chiedono, da tempo, di poter rientrare in Sardegna;
   tale condizione dei detenuti sardi contrasta inoltre con il principio di territorializzazione della pena che preferisce la collocazione dei detenuti in prossimità dei luoghi di origine per stare più vicini alla famiglia;
   stessa considerazione va fatta, con una più pressante e dovuta attenzione, per i poliziotti penitenziari sardi che si trovano nella penisola e che vorrebbero tornare nella propria terra natale;
   la vicinanza culturale, linguistica, è fondamentale nelle carceri;
   i detenuti sardi dovrebbero essere dislocati in istituti sardi e confrontarsi, anche da un punto di vista trattamentale, con operatori del luogo di origine che sono sicuramente più in grado di interpretarne le specifiche esigenze;
   così stabilisce l'articolo 13 dell'ordinamento penitenziario sulla individualizzazione del trattamento rieducativo;
   tale trattamento, infatti, (così stabilisce la legge) deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto e l'osservazione deve essere orientata a rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale;
   la conoscenza del retroterra culturale per l'individuazione delle cause del disadattamento sociale, da parte degli operatori di riferimento, è da considerarsi elemento preferenziale nella scelta della collocazione penitenziaria del detenuto;
   nella scelta, quindi, bisognerebbe privilegiare l'aspetto di conoscenza, dimestichezza ed esperienza degli operatori piuttosto che fattori di tipo politico-strategico;
   sul piano educativo-trattamentale valgono le seguenti considerazioni: l'alta concentrazione di detenuti appartenenti alla criminalità organizzata e alla delinquenza più efferata, di rilevante pericolosità sociale (e individuale) potrebbe creare problemi di gestione per gli educatori che sono già in numero inadeguato e non hanno, inoltre, la formazione specifica per tale trattamento;
   molti educatori sono stati, infatti, reclutati di recente e non dispongono di una preparazione ad hoc per il trattamento di questi soggetti poiché il Ministero, nonostante il progetto di cui si discute, non ha ancora attivato corsi di formazione specifici per la gestione educativa di tale particolare categoria di detenuti;
   anche le «vecchie leve», non essendo mai sorto il problema in passato, risultano sprovviste di un'impostazione criminologica di tipo operativo del genere descritto e si trovano impreparati nel fronteggiare questa nuova ondata delinquenziale;
   esistono poi problemi di carattere economico: i trasferimenti, le diverse traduzioni, pesano enormemente sulle casse del Ministero;
   queste risorse economiche potrebbero, invece, essere utilizzate in modo più adeguato e mirato alle reali esigenze sarde;
   è indispensabile intervenire per eliminare gli sprechi pubblici e programmare una gestione oculata delle risorse finanziarie in funzione degli obiettivi che si vogliono raggiungere –:
   se non ritenga, alla luce delle predette valutazioni e considerazioni, di dover revocare i massicci trasferimenti di detenuti AS1 nella regione Sardegna con particolare riferimento al carcere di Massama-Oristano;
   se non ritenga alla luce dell'articolo 13 dell'ordinamento penitenziario sulla individualizzazione del trattamento rieducativo di dover attuare una politica tesa a favorire la dislocazione dei detenuti sardi in istituti sardi al fine di confrontarsi, anche da un punto di vista trattamentale, con operatori del luogo di origine che sono sicuramente più in grado di interpretarne le specifiche esigenze;
   se non ritenga di dover favorire nelle carceri della Sardegna la vicinanza culturale e linguistica;
   se non ritenga di dover privilegiare l'aspetto di conoscenza, dimestichezza ed esperienza degli operatori piuttosto che fattori di tipo politico-strategico;
   se non ritenga alla luce delle considerazioni in premessa di dover perseguire nella pianificazione gestionale delle carceri sardi e non solo il principio di territorializzazione della pena che preferisce la collocazione dei detenuti in prossimità dei luoghi di origine per stare più vicini alla famiglia;
   se non ritenga, proprio alla luce delle dichiarate esigenze di risparmio economico e gestionale, di dover scongiurare tale trasferimento di detenuti provenienti dal 41-bis e collocati nell'AS1, proprio perché appaiono rilevanti i problemi di carattere economico legati ai trasferimenti, alle diverse traduzioni che pesano enormemente sui bilanci del Ministero e dello Stato in termini più complessivi. (4-00044)

  Risposta. — La destinazione d'uso degli istituti e dei padiglioni penitenziari viene pianificata dall'amministrazione penitenziaria tenendo conto della conformazione logistica e degli standard di sicurezza delle strutture, al fine di valutare l'assegnazione dei detenuti in relazione alla pericolosità sociale connessa ai reati loro ascritti (comuni/alta sicurezza) ed alla posizione giuridica (imputati/definitivi).
  In particolare, per le strutture sarde di recente e prossima apertura, detta pianificazione è stata partecipata al provveditore locale anche in funzione della riorganizzazione dei circuiti regionali.
  Il progetto territoriale relativo alla Sardegna prevede che il nuovo istituto di Oristano – entrato in funzione nel mese di ottobre dello scorso anno – sia destinato ad ospitare detenuti appartenenti al circuito dell'alta sicurezza. Tale configurazione è, peraltro, subordinata all'entrata in funzione del nuovo istituto di Sassari prevista per la fine del corrente mese.
  Pertanto, nelle more dell'operatività di quest'ultimo istituto, non è stata disposta alcuna movimentazione di detenuti alta sicurezza presso l'istituto di Oristano che, allo stato, ospita esclusivamente detenuti del circuito media sicurezza, presenti, alla data del 10 giugno 2013, in numero di 194 a fronte di una capienza regolamentare di 212 posti detentivi.
  Relativamente al timore – manifestato dall'interrogante – che l'invio di detenuti alta sicurezza presso la regione Sardegna possa rivelarsi destabilizzante per il territorio, si evidenzia che sarà cura del locale provveditorato, attraverso le direzioni degli istituti che ospiteranno tale tipologia di ristretti, intensificare – come già avvenuto ad opera dello staff direzionale della casa di reclusione di Tempio Pausania – i rapporti con le istituzioni, con i rappresentanti della società civile e con l'associazionismo locale, allo scopo di sviluppare la necessaria sinergia con il territorio e di «rassicurare» gli interlocutori locali, ed attraverso essi, la popolazione.
  Si ritiene, infatti, che la conoscenza ed il dialogo con il territorio consentiranno di individuare e di monitorare le risorse esistenti all'esterno dell'ambito penitenziario, cui fare riferimento per la programmazione delle attività trattamentali e per promuovere ogni iniziativa volta a riempire di contenuti il periodo di detenzione, con l'obiettivo di assicurare la funzione rieducativa della pena.
  Il principio di territorializzazione della pena è tenuto in debita considerazione dall'amministrazione penitenziaria al momento di individuare la sede più idonea per ciascun detenuto, compatibilmente con le esigenze di ordine e sicurezza degli istituti e di opportunità per talune categorie di soggetti che richiedono l'assegnazione in apposite sezioni. In particolare, tale principio può trovare limitazioni nei confronti di detenuti ascritti al circuito di alta sicurezza, per i quali preminenti esigenze connesse alla loro pericolosità sociale possono rendere inopportuna la permanenza in luoghi prossimi al territorio di radicamento dell'organizzazione criminale di appartenenza.
  Detta limitazione trova, peraltro, fondamento proprio nell'articolo 42 dell'ordinamento penitenziario che individua, fra i criteri principali che presiedono ai trasferimenti, quelli relativi alle richiamate esigenze di sicurezza.
  Quanto all'opportunità, segnalata dall'interrogante, di assegnare i detenuti sardi in istituti siti nel territorio della Sardegna per permettere loro di confrontarsi, anche da un punto di vista trattamentale, con operatori del medesimo luogo di origine, che siano in grado di interpretarne meglio le specifiche esigenze, si osserva che, alla data del 31 dicembre 2012, dei 1.222 detenuti aventi residenza in Sardegna, 1.055 (l'86,33 per cento) risultavano assegnati in istituti della regione. La restante percentuale di detenuti sardi si trovava assegnata o trasferita in altri istituti del Paese per ragioni processuali, o per motivi di studio o lavoro, o ancora per ragioni di ordine e sicurezza.
  Con riferimento, invece, alla proposta dell'interrogante di assumere iniziative tese ad assegnare presso gli istituti detentivi della Sardegna il personale di Polizia penitenziaria di origine sarda che si trova ad operare in istituti della penisola, si rileva che, dovendosi tenere conto delle vigenti disposizioni, i trasferimenti degli interessati possono avvenire solo mediante la procedura di mobilità a domanda; tale procedura prevede lo scorrimento delle graduatorie definitive di merito predisposte per ciascuna delle sedi comprese nell'apposito interpello nazionale.
  Quanto, infine, alla preoccupazione manifestata dall'interrogante riguardo alla circostanza secondo cui gli educatori, recentemente assunti, non avrebbero una preparazione specifica per interagire con detenuti di particolare pericolosità, si rappresenta che il percorso formativo svolto nei loro confronti ha avuto come obiettivo quello di fornire nel modo più concreto possibile gli strumenti professionali utili alla gestione della relazione e del trattamento dei detenuti tutti, considerando proprio l'estrema eterogeneità dell'utenza che popola gli istituti penitenziari; a tale proposito, sono stati fatti specifici approfondimenti sulle diverse tipologie di detenuti, compresa quella afferente ai detenuti rientranti nel circuito alta sicurezza.

Il Ministro della giustiziaAnna Maria Cancellieri.


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con telex battuto nel primo pomeriggio del 12 ottobre 2012 da Assoclearance sono stati cancellati altri tre voli sulla rotta Cagliari-Milano;
   la cancellazione è di fatto firmata da Meridiana che, con un'azione che all'interrogante appare di tutta evidenza precostituita e concertata sostanzialmente con Alitalia, cancella due voli in partenza da Milano per Cagliari e un volo in partenza da Cagliari per Milano;
   il risultato è l'isolamento più totale: non si potrà più andare e tornare da Milano in giornata;
   si tratta ad avviso dell'interrogante di un vera e propria indebita pressione tesa a introdurre elementi funzionali a condizionare la gara d'appalto per la continuità territoriale da e per la Sardegna;
   Enac e Governo dovrebbero intervenire pesantemente per vietare questi comportamenti lesivi del diritto alla mobilità di una regione insulare e tesi a sfruttare la Sardegna a proprio uso e consumo stagionale; diversamente, si rendono secondo l'interrogante corresponsabili di tale situazione;
   la comunicazione ufficiale di Assoclearance, battuta nel centro coordinamento voli di Linate a fine mattinata è chiara: il volo IG 1500 in partenza da Linate 10.30 e quello IG 1506 delle 20.30 sono cancellati dal 28 ottobre al 30 marzo. Cancellato anche l'IG 1501 in partenza da Cagliari per Milano delle 07.00. Avendo Alitalia già cancellato i voli tra Milano e Cagliari resta schedulato un solo volo delle 18.40 in partenza da Cagliari;
   il risultato è chiaro: Cagliari e Sardegna isolati con il nord Italia, impossibile andare e tornare in giornata;
   a giudizio dell'interrogante si tratta di una operazione maldestra con la quale di fatto il controllo dei cieli passa dall'Enac alle compagnie aeree monopoliste della Sardegna che fanno quello che vogliono sulla testa dei sardi;
   si tratta, secondo l'interrogante, di un'operazione apparentemente messa a punto per, ad avviso dell'interrogante, speculare sulla continuità territoriale con la complicità di chi non ha sanzionato le compagnie aeree per le palesi violazioni delle fasce orarie tutte non autorizzate;
   tale fatto si può configurare ad avviso dell'interrogante come un vero e proprio atto di arroganza che mette a repentaglio uno dei più elementari diritti dei sardi, quello alla mobilità;
   su questa vicenda si registrano troppe silenziose complicità e numerose omissioni;
   dopo la denuncia, relativamente alla mancata autorizzazione delle bande orarie per Alitalia, nessuno dei responsabili ha detto niente, né smentendo né confermando la gravità di quei fatti denunciati;
   il blitz descritto è la dimostrazione ancora più evidente di un cartello che ha coperture a tutti i livelli considerato che comunicare un simile ulteriore taglio significa condizionare chi deve predisporre la nuova gara sulla continuità territoriale;
   tali atti vanno censurati sino al ritiro degli slot dedicati alla continuità territoriale considerata l'inadempienza proprio in virtù dell'esistenza di una banda oraria destinata esclusivamente per l'isola alla continuità territoriale;
   si tratta di un diritto naturale, costituzionale, inviolabile che occorre salvaguardare e tutelare con atti urgenti e indifferibili –:
   se non ritenga opportuno e dovuto il ripristino della legalità nell'ambito dell'esercizio delle rotte sottoposte a regime di imposizione dell'onere del servizio pubblico;
   se non ritenga di dover adottare ogni iniziativa di competenza affinché siano sanzionate le compagnie inadempienti rispetto alle regole e al disciplinare della continuità territoriale;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per attivare un vero e proprio corridoio aereo tutelato per la continuità territoriale così come indicato nelle norme e disposizioni vigenti;
   se non ritenga di dover imporre il ripristino obbligato del servizio della continuità territoriale anche in funzione del diritto alla mobilità del popolo sardo;
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per impedire la cancellazione di voli da e per la Sardegna che siano contemplati nelle bande orarie destinate alla continuità territoriale.
(4-00047)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come è noto, l'articolo 1, comma 837 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (legge finanziaria 2007) prevede il trasferimento dallo Stato alla regione Sardegna delle funzioni attinenti alla «continuità territoriale» a partire da gennaio 2010.
  In data 7 settembre 2010, in attuazione della predetta legge, è stato sottoscritto, tra regione Sardegna, Enac e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un protocollo d'intesa che, nel delineare puntualmente le incombenze che competono a ciascuna amministrazione, all'articolo 5 assegna all'Enac il compito di vigilare e monitorare, in concreto, sul rispetto da parte dei vettori interessati degli obblighi derivanti dall'accettazione degli oneri di servizio pubblico.
  Si precisa altresì che il decreto ministeriale n. 103 del 2008, relativo all'imposizione in atto di oneri di servizio pubblico sui collegamenti tra i principali scali sardi e Roma e Milano, al paragrafo 7, rubricato «SANZIONI», demanda il monitoraggio dell'attuazione degli oneri in discorso ad un apposito comitato, istituito presso l'assessorato ai trasporti della regione autonoma della Sardegna, del quale fanno parte un componente nominato dall'assessore regionale dei trasporti, uno dall'Enac ed uno per ciascun vettore che ha accettato gli oneri di servizio pubblico».
  Tuttavia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nell'intento di assicurare il diritto alla mobilità dei cittadini sardi, come si auspica nell'interrogazione parlamentare in argomento, ha richiamato all'attenzione della regione Sardegna e dell'Enac l'assoluta necessità che l'operativo minimo previsto dal sopracitato decreto d'imposizione, nelle more dell'entrata in vigore del nuovo regime onerato, venga in ogni caso rispettato.
  Con specifico riferimento alla presunta cancellazione dei voli IG 1500, IG 1501 e 1506 della Compagnia Meridiana
Fly sulle rotte voli Cagliari/Milano Linate/Cagliari, voli in continuità territoriale, Enac ha comunicato che in data 15 ottobre 2012 Assoclearance ha provveduto all'assegnazione degli slot per i voli in questione per tutta la stagione di traffico invernale 2012/2013. Pertanto, tutti i voli sopra richiamati sono attualmente operativi e non risulta che la compagnia abbia effettuato cancellazioni degli stessi.
  Da ultimo si fa presente che è stato pubblicato, nella
Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 61 del 13 marzo 2013, il decreto ministeriale del 21 febbraio 2013 che impone nuovi oneri di servizio pubblico sui collegamenti tra gli scali di Alghero, Cagliari e Olbia e quelli di Roma-Fiumicino e Milano Linate, così come definiti ed individuati in sede di apposita conferenza di servizi che si è tenuta tra luglio e ottobre dello scorso anno. Tali oneri entreranno in vigore il 27 ottobre 2013.
  Si comunica che per tali collegamenti, in data 10 aprile 2013 la Commissione europea ha pubblicato una informativa nella
Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea serie C 104; a breve saranno pubblicati i relativi bandi di gara.
  Si informa, altresì, che in data 18 dicembre 2012, la regione autonoma della Sardegna ha richiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di adeguare il servizio aereo di linea sulle rotte sarde operate in regime onerato alle effettive condizioni del mercato del trasporto aereo sardo – mutate dall'emanazione del decreto 103/2008 – in ragione principalmente della presenza degli operatori
low cost sui collegamenti tra i principali scali sardi e lo scalo di Roma-Ciampino e gli scali milanesi.
  Si è così provveduto con decreto ministeriale n. 19 del 21 gennaio 2013 a modificare la formulazione del decreto n. 103/2008, permettendo ai vettori che operano i collegamenti fino all'entrata in vigore dei nuovi oneri di ridurre, previa autorizzazione dell'Enac e d'intesa con la regione Sardegna, la frequenza dei voli quando il coefficiente di riempimento divenga inferiore al 50 per cento mantenendo la possibilità, già concessa dal predetto decreto, di variare la capacità degli aeromobili.
  D'altra parte, la stessa nuova imposizione disciplinata dal sopra citato decreto ministeriale 21 febbraio 2013, prevede che «Nell'ipotesi in cui i sistemi di prenotazione evidenzino una domanda di posti inferiore al 50% dell'offerta complessiva giornaliera, il vettore che ha accettato gli oneri di servizio pubblico sulla rotta, previa autorizzazione della Regione Autonoma della Sardegna potrà diminuire il numero di posti offerti, esercitando il traffico con aeromobili di capienza inferiore o potrà richiedere al comitato paritetico di monitoraggio ... ... di poter ridurre il numero delle frequenze» (par. 3.2.4 dell'allegato tecnico del decreto ministeriale 21 febbraio 2013).
  Si evidenzia, infine, che nella nuova imposizione la decisione di diminuire le frequenze, quando si verifica una domanda di posti inferiori al 50 per cento dell'offerta prevista dall'imposizione, non resta nell'assoluta disponibilità del vettore che opera il collegamento onerato, ma è subordinata ad una deliberazione del predetto Comitato, istituito presso l'assessorato dei trasporti della regione autonoma della Sardegna (par. 3.4.6 dell'allegato tecnico del decreto ministeriale 21 febbraio 2013).

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il piano carceri intende determinare l'implementazione del numero di posti letto, attraverso la costruzione di nuovi padiglioni all'interno di strutture già esistenti, ovvero di nuovi istituti, al fine di contrastare l'endemico fenomeno del sovraffollamento carcerario;
   le condizioni di vivibilità di un istituto penitenziario, dal punto di vista degli operatori che vi prestano servizio, sono connesse non solo all'indice di sovraffollamento detentivo, ma anche ad altri parametri, quali ad esempio la carenza d'organico ed il disagio relativo alla particolare collocazione geografica della sede lavorativa;
   con riferimento a tale ultimo profilo, giova segnalare la peculiare condizione che contraddistingue la casa di reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi, oggettivamente «sede disagiata in ambito nazionale», ma formalmente priva di tale qualifica, come evidenziato più volte dall'UGL-polizia penitenziaria in occasione del verificarsi di eventi climatici che hanno messo a dura prova il personale di polizia penitenziaria colà in servizio (http://www.tusinatinitaly.it);
   ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 2006, n. 314 (in Gazzetta Ufficiale, 14 febbraio, n. 37), recante «Regolamento per la disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di servizio per il personale dell'Amministrazione penitenziaria», il riconoscimento di sede disagiata viene effettuato mediante decreto del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ed il personale che vi presta servizio «ha diritto all'alloggio gratuito», fermo restando il pagamento a carico degli occupanti degli oneri di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 314 del 2006;
   allo stato attuale, gli istituti penitenziari riconosciuti come sedi disagiate sono Favignana, Mamone, Gorgona, Porto Azzurro, Istituti di Venezia, San Gimignano, Volterra;
   ai sensi dell'articolo 9 del provvedimento del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 29 ottobre 2012, recante nuovi criteri per la mobilità ordinaria del personale di polizia penitenziaria, il servizio prestato presso sedi disagiate prevede l'attribuzione di punteggi ulteriori nell'ambito della determinazione della graduatoria annuale della mobilità ordinaria del citato personale, secondo le seguenti misure:
    a) Venezia Giudecca e Santa Maria Maggiore: ulteriori punti 1,00 per ogni anno di servizio prestato;
    b) Favignana e Porto Azzurro: ulteriori punti 2,00 per ogni anno di servizio prestato;
    c) Gorgona: ulteriori punti 4,00 per ogni anno di servizio prestato;
   ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera A4), dell'accordo per il pagamento del F.E.S.I. 2012 (fondo per l'efficienza dei servizi istituzionali) al personale che presta servizio nelle sedi disagiate di Favignana, Mamone, Gorgona, Porto Azzurro, Istituti di Venezia, San Gimignano, Volterra è attribuito il compenso giornaliero per ogni giornata di presenza effettiva;
   a quanto consta, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ad oggi non ha adottato determinazioni oggettive che consentano di individuare in modo agevole le sedi disagiate, nonostante l'apertura di nuovi istituti penitenziari in territori logisticamente difficilmente raggiungibili;
   altre amministrazioni del comparto sicurezza hanno già regolamentato la procedura ed i criteri in forza dei quali giungere alla individuazione delle sedi disagiate;
   ai sensi e per gli effetti dell'articolo 55, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n 335, il dipartimento della pubblica sicurezza (polizia di Stato) emette annualmente il decreto con il quale sono individuate le sedi da considerare sulla base delle risultanze istruttorie effettuate dalle direzioni interregionali, ma avviate e coordinate dalla direzione generale per gli affari generali della polizia di Stato;
   con circolare n. 557/RS/01/53/65/74 dell'11 gennaio 2008 il dipartimento della pubblica sicurezza ha riconosciuto il commissariato di Sant'Angelo dei Lombardi quale sede disagiata;
   i criteri utilizzati dalla circolare n. 557/RS/01/53/65/74 dell'11 gennaio 2008 del dipartimento della pubblica sicurezza sono:
    a) distanza dal capoluogo;
    b) tempo di percorrenza dal capoluogo in relazione alla situazione planoaltimetrica delle vie di comunicazione stradali;
    c) assenza di mezzi pubblici adeguati in relazione ai cambi turno;
    d) difficoltà oggettive di raggiungimento della sede in relazione all'esistenza di avverse condizioni climatiche;
   a sua volta il dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile, ufficio pianificazione e programmazione nell'anno 2011 ha riconosciuto quattro sedi disagiate nella provincia di Avellino (Bisaccia, Grottaminarda, Lioni e Montella);
   con riferimento alla casa di reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi, sita in provincia di Avellino, giova evidenziarne le seguenti caratteristiche:
    a) ubicazione: Sant'Angelo dei Lombardi dista circa 60 chilometri dal proprio capoluogo (Avellino) e da Benevento, provincia di provenienza di buona parte del personale impiegato nella struttura carceraria;
    b) cenni geografici: il territorio del comune ha un'escursione altimetrica pari a 870 metri circa;
    c) analisi climatica: al pari di altri comuni montani, anche a Sant'Angelo dei Lombardi si assiste al fenomeno dell'inversione termica dovuta ad aria fredda che scende dai versanti e dalle valli laterali. Le precipitazioni nevose, accentuate dalle masse d'aria fredda che arrivano da nord, sono copiose ed imponenti ogni anno, raggiungendo picchi straordinari in alcuni anni, tanto da aver costretto il personale impiegato presso la struttura penitenziaria a rimanere in servizio per diversi giorni in modo ininterrotto (gennaio-febbraio 2012), e dotando le proprie autovetture di pneumatici da neve e quant'altro necessario per una sicura percorrenza delle strade rese impervie dalla neve. La temperatura nella stagione invernale si aggira intorno allo zero, con la conseguenza che, pur in assenza di neve, comunque il manto stradale può presentarsi ghiacciato, obbligando il personale ad una guida prudente, con tempi di raggiungimento della sede di lavoro esorbitanti rispetto alla distanza tra la sede di servizio e quella di residenza (e viceversa);
    d) condizioni logistiche: risulta inesistente qualsiasi servizio di trasporto collettivo che possa permettere il raggiungimento della casa di reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi da parte del personale che vi presta servizio –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare affinché il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria emani:
    a) provvedimenti analoghi a quelli già previsti per la polizia di Stato in materia di sedi disagiate;
    b) al pari di quanto già avvenuto per le sedi disagiate penitenziarie sopra elencate, il decreto di riconoscimento della casa reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi quale sede disagiata. (4-00067)

  Risposta. — L'attribuzione ad un istituto penitenziario della qualifica di sede disagiata rileva, per il personale di Polizia penitenziaria che vi svolga effettivo servizio, sia ai fini del riconoscimento di un punteggio aggiuntivo, utile – nell'ambito delle procedure di mobilità – ai fini della formazione della graduatoria dell'interpello nazionale per i trasferimenti a domanda, sia ai fini dell'attribuzione di un compenso giornaliero integrativo lordo pari ad euro 1,52.
  Sotto il primo profilo, l'articolo 9 del decreto del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 5 novembre 2012, recante criteri di mobilità interna del personale appartenente al Corpo di Polizia penitenziaria, adottato d'intesa con le organizzazioni sindacali penitenziarie, ha riconosciuto la qualifica di sede disagiata agli istituti penitenziari aventi sede in Venezia, Mamone, Favignana, Porto Azzurro e Gorgona.
  Sotto il secondo profilo, l'accordo per l'utilizzazione del Fondo per l'efficienza dei servizi istituzionali (cosiddetto Fesi) per l'anno 2012, stipulato dal Ministro della giustizia e dalle organizzazioni sindacali il 20 febbraio 2013, ha previsto fra le sedi disagiate gli istituti penitenziari di Venezia, Favignana, Porto Azzurro, Gorgona, Mamone, San Gimignano e Volterra.
  L'interrogante lamenta il fatto che la casa di reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi non sia annoverata tra le sedi disagiate; la mancata inclusione del predetto istituto nel novero delle sedi disagiate non sarebbe ragionevole in considerazione delle seguenti circostanze:
   l'ubicazione geografica dell'istituto, distante decine di chilometri dal capoluogo di provincia (Avellino) e dalla sede di provenienza della maggior parte del personale (Benevento);
   la carenza di collegamenti di trasporto pubblico con i predetti capoluoghi;
   la condizione climatica, caratterizzata dal fenomeno dell'inversione termica, proprio di altri comuni montani, ovvero da temperature molto basse e da abbondanti nevicate nel corso dell'inverno.

  Le criticità caratterizzanti la sede di Sant'Angelo dei Lombardi sarebbero state, secondo l'interrogante, più volte evidenziate dall'organizzazione sindacale Ugl-Polizia penitenziaria, in occasione del verificarsi di eventi climatici di particolare intensità.
  A tale riguardo, si rappresenta che i criteri in base ai quali viene attribuita ad un istituto penitenziario la qualifica di sede disagiata sono stati, come già ricordato, concordati con le organizzazioni sindacali, fra le quali la Ugl-Polizia penitenziaria, che hanno sottoscritto lo schema di decreto in materia di mobilità del personale.
  Si evidenzia, infine, che eventuali modifiche al decreto sulla mobilità ed all'accordo sul Fesi, quali l'inserimento della sede segnalata tra quelle disagiate, saranno, comunque, sempre possibili in sede di rinnovo degli accordi con le organizzazioni sindacali del personale.

Il Ministro della giustiziaAnna Maria Cancellieri.


   REALACCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sulla spinta di un pesante rincaro dei carburanti ma anche di una crescente sensibilità ai temi dell'ambiente e del progressivo aumento delle piste ciclabili, il ricorso alla bicicletta, la propria o una di quelle disponibili tramite i servizi di bike-sharing, si sta sviluppando anche quale valido mezzo di trasporto per coprire il «tragitto casa-luogo di lavoro»;
   il crescente uso della bicicletta si contrappone poi a strade sempre più caotiche e trafficate con gravi pericoli per i ciclisti;
   a questo proposito, anche attraverso un'efficace azione di sensibilizzazione e di tutela per quanti scelgono la bicicletta per recarsi a lavoro promossa dalla FIAB-Federazione italiana amici della bicicletta, l'Inail si è pronunciato nel senso di ritenere che, ai fini dell’«indennizzabilità» dell'infortunio in itinere, l'indagine sul carattere di necessità d'uso della bici sia valida in mancanza di altro mezzo utile e/o solamente nei casi di evento lesivo avvenuto su strade aperte al traffico di veicoli a motore. Perciò vanno quindi tenuti distinti gli incidenti occorsi su piste ciclabili o zone interdette al traffico o misti;
   la bicicletta è come detto un mezzo di trasporto al quale ricorrono un numero sempre crescente di cittadini per i trasporti urbani anche come proposta di mobilità sostenibile nelle città. Inoltre non si dimentichi come il ciclo turismo stia diventando un tipo di vacanza sempre più diffusa tra gli italiani;
   una rete di piste ciclabili estesa, percorsi davvero protetti, segnaletica ad hoc, ciclo-parcheggi sono peraltro presupposti indispensabili per favorire la mobilità in bicicletta, insieme ad un'adeguata politica di sensibilizzazione all'uso di questo mezzo di trasporto;
   si pensi ad esempio che anche il consiglio comunale di Bologna, città importante e in cui l'uso della bicicletta è ampiamente diffuso, ha approvato più di un anno fa e all'unanimità, il 23 gennaio 2012, un ordine del giorno a sostegno della campagna FIAB per una copertura INAIL completa anche in presenza di possibile utilizzo di altro mezzo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione e non ritenga utile assumere ogni iniziativa di competenza, anche valutando la possibilità di adottare una circolare ministeriale, per dare seguito alla petizione popolare promossa dalla FIAB in cui viene chiesto che l'infortunio occorso al lavoratore che si reca a lavoro in bicicletta sia sempre riconosciuto a prescindere dal luogo in cui esso accade o dalla necessità di utilizzare la bicicletta come solo mezzo di trasporto per recarsi dalla propria abitazione al luogo di lavoro. (4-00018)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede che l'infortunio occorso al lavoratore che si reca al lavoro in bicicletta sia sempre riconosciuto, a prescindere dalla necessità dell'uso del mezzo privato e del luogo in cui esso accade, si rappresenta quanto segue.
  L'attuale disciplina in materia di infortunio
in itinere è contenuta nell'articolo 12 del decreto legislativo n. 38/2000 che, recependo i principi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, stabilisce i criteri in presenza dei quali opera l'assicurazione infortunistica.
  Al riguardo, elemento necessario è che l'infortunio si sia verificato durante il normale tragitto che collega il luogo di abitazione da quello di lavoro, percorso a piedi o con mezzo pubblico di trasporto. La copertura assicurativa è altresì garantita anche nei casi di utilizzo di un mezzo di trasporto privato purché «necessitato», mentre è esclusa nel caso di deviazioni o interruzioni dal normale tragitto non necessitate.
  Nel silenzio del legislatore, la giurisprudenza recente (da ultimo Consiglio di Stato adunanza generale, parere 22 febbraio 2011, n. 808) ha interpretato il concetto della «necessità» del mezzo privato secondo un criterio di «ragionevolezza», intendendo con ciò far riferimento non solo alle esigenze organizzative dell'attività lavorativa, ma altresì alle esigenze di vita familiare del lavoratore.
  L'articolo 12 del citato decreto, inoltre, pur non facendo espresso riferimento alla bicicletta, non subordina l'indennizzabilità dell'infortunio
in itinere all'utilizzo di particolari mezzi di trasporto.
  Sulla base di tali premesse, con riferimento all'indennizzabilità degli infortuni
in itinere occorsi utilizzando la bicicletta, l'Inail ha impartito istruzioni nel senso di ritenere che l'uso necessitato della bicicletta, per assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto o per la non percorribilità a piedi del tragitto (considerata la distanza tra l'abitazione e il luogo di lavoro), costituisca discrimine ai fini dell'indennizzabilità soltanto quando l'evento lesivo si verifichi nel percorrere una strada aperta al traffico di veicoli a motore e non invece quando tale evento si verifichi su pista ciclabile o zona interdetta al traffico.
  Infatti, nell'ipotesi in cui il lavoratore affronti il traffico veicolare a bordo del mezzo di trasporto privato esponendosi, per sua libera scelta, ad un rischio maggiore rispetto a quello gravante sugli utenti dei mezzi pubblici di trasporto (cosiddetto rischio elettivo), occorrerà, ai fini dell'indennizzabilità dell'evento lesivo, verificare la necessarietà dell'utilizzo del mezzo suddetto.
  Viceversa, nell'ipotesi in cui il lavoratore non si esponga al suddetto rischio, aggravato dalla scelta del mezzo di trasporto privato, percorrendo una pista ciclabile e/o un percorso protetto ed interdetto al traffico dei veicoli a motore, l'eventuale infortunio occorso su tale tragitto dovrà essere indennizzato a prescindere dalla valutazione della necessarietà del mezzo stesso.
  Sulla base di tali considerazioni, si fa presente che la legislazione vigente in materia non consente, al di fuori dei limiti descritti, di estendere ulteriormente, per via interpretativa, la tutela degli eventi occorsi
in itinere.
  Conclusivamente, si osserva che le istanze avanzate dalla Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta) potrebbero trovare accoglimento solo a condizione di introdurre modifiche normative invero difficilmente compatibili con l'attuale assetto sistematico della materia.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della difesa, con decreto interdirigenziale n. 306 dell'11 ottobre 2011 ha indetto per l'anno 2012 «un concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di 3.756 volontari in ferma prefissata quadriennale (VFP 4) nell'Esercito, nella Marina militare e nell'Aeronautica militare, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP 1)», il quale riservava 2.900 posti per l'Esercito, ripartiti in 1.450 posti per la prima immissione e 1.450 posti per la seconda immissione. Con successivo decreto interdirigenziale n. 380 del 6 dicembre 2011, si è elevato il numero di volontari da reclutare a 4.230 di cui 3.374 per l'Esercito;
   dopo la pubblicazione della graduatoria di merito relativa ai candidati idonei per la prima immissione, con decreto interdirigenziale n. 168 del 6 agosto 2012, il Ministero della difesa giunse ad una riduzione del contingente da reclutare, riducendo a 2.075 i posti nell'Esercito;
   risulta all'interrogante che i vincitori del concorso non sono, però, stati chiamati in servizio in ferma quadriennale, nemmeno gli idonei posizionati in graduatoria nei primi 2.075 posti;
   nonostante non sia stata ancora esaurita la graduatoria di cui al concorso indetto per il 2012 con decreto interdirigenziale del 3 gennaio 2013, il Ministero della difesa ha indetto, per l'anno 2013, «un concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di 2.409 VFP 4 nell'Esercito, nella Marina militare e nell'Aeronautica militare, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP 1)» di cui 1.972 posti sono stati riservati all'Esercito –:
   per quali ragioni il Ministero non abbia proceduto all'immissione in servizio dei vincitori del concorso indetto per il 2012, e se questa presa in servizio avverrà nel corso del 2013;
   per quali ragioni il Ministero, nonostante non avesse esaurito la graduatoria del concorso indetto per il 2012, abbia deciso di indire un nuovo concorso per l'anno 2013;
   come, il Ministero, intenda tutelare, alla luce dei fatti sopra esposti, i vincitori del concorso indetto per il 2012. (4-00095)

  Risposta. — In via preliminare, faccio notare che, a carattere generale, la questione relativa all'intervento in chiave riduttiva delle unità da reclutare nell'ambito del richiamato concorso è stata già affrontata nella precedente legislatura in risposta a due interrogazioni di analogo contenuto rispettivamente dell'onorevole Bellanova n. 5-07185 e dei senatori Chiurazzo e Scanu n. 3-02960.
  Pertanto, come già rappresentato a suo tempo, non posso che confermare che tale questione deve porsi in relazione alla stringente necessità di pervenire a risparmi per effetto della cosiddetta
spending review, prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 aprile 2012, che ha imposto a tutte le Amministrazioni di concorrere concretamente alla riduzione della spesa pubblica.
  Conseguentemente, è stato inevitabile per l'Amministrazione intervenire drasticamente, operando un indispensabile ridimensionamento delle spese relative al settore del personale della Difesa, con conseguenti ripercussioni anche sull'entità complessiva dei reclutamenti previsti nel 2012, per l'esercito, la marina e l'aeronautica.
  Tale intervento in chiave riduttiva evidentemente ha interessato, in varia misura, il reclutamento del personale dei diversi ruoli, tra cui anche i volontari in ferma prefissata quadriennale (vfp4).
  Nel merito, si ribadisce che con tale intervento – peraltro rientrante nella facoltà dell'Amministrazione, così come previsto nel bando concorsuale – si è inteso, tra l'altro, guardare anche in prospettiva, nel senso di salvaguardare, il più possibile, il personale coinvolto, immettendo in ferma quadriennale un numero di unità tali da consentire alle stesse adeguate possibilità di transito nei ruoli del servizio permanente.
  Ciò premesso, venendo alla presunta mancata immissione dei vincitori del concorso indetto per il 2012, rassicuro l'interrogante che, secondo le indicazioni del competente Stato maggiore dell'Esercito, tutti i 2.075 vfp4 vincitori sono stati regolarmente incorporati dalla Forza armata.
  Ciò è avvenuto attraverso due distinti momenti di immissione rispettivamente in data 21 agosto 2012 (1.375 unità) e in data 5 marzo 2013 (700 unità).
  A tal riguardo, si fa osservare che la riduzione dei posti disponibili, rendendo necessaria la modifica del bando di arruolamento, ha comportato anche la ridefinizione delle tempistiche delle successive fasi di selezione e incorporazione dei candidati.

Il Ministro della difesaMario Mauro.


   ROSATO e MOGHERINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica Democratica del Congo è uno stato a governo semipresidenziale guidato ininterrottamente dal 2001 dal presidente Joseph Kabila Kabange, rieletto in occasione delle votazioni tenutesi nel 2011 in un clima di forte tensione e con un risultato elettorale non riconosciuto dalle forze politiche di opposizione e sul quale pendono i dubbi degli stessi osservatori internazionali;
   i partiti di opposizione denunciano un incessante clima di intimidazione che è sfociato in provvedimenti dell'autorità giudiziaria e in atti di forza esercitati attraverso le forze armate su indicazione di quello che viene identificato come un vero e proprio regime;
   Eugene Diomi Ndongala è un deputato oppositore del governo, candidato ed eletto nel 2006 con il partito cristiano democratico, e sposato con una cittadina italiana, Patrizia Diomi;
   come denunciato anche dalla nostra connazionale, il deputato è sottoposto ad una carcerazione preventiva e pertanto illegale ai sensi del codice di procedura penale congolese (articoli 113 e 104 del codice di procedura presso la CSJ, ordonnance loi 82-017 pubblicata nel giornale ufficiale n. 7 del 1° aprile 1982) che vieta la detenzione preventiva per un deputato in funzione;
   la Corte suprema della Repubblica democratica del Congo ha ordinato l'assegnazione a residenza del deputato, che però è ancora detenuto presso il carcere della capitale Kinshasa;
   la moglie denuncia che suo marito, prigioniero politico, è sottoposto da molti giorni a diverse torture fisiche e morali, ed anche a perquisizioni corporali degradanti e violente. È rinchiuso nella sua cella insalubre senza la possibilità di godere nemmeno dell'ora d'aria libera, mentre l'acqua e il cibo vengono gettati a terra dalle guardie carcerarie;
   secondo la testimonianza della moglie, il corpo del marito è coperto da eruzioni cutanee e incomincia a perdere la pelle;
   Amnesty International ha promosso ben due appelli nei confronti di Eugene Diomi Ndongala da ultimo nel 2012, e più in generale denuncia nelle relazioni annuali sui singoli Paesi, una carenza di democrazia all'interno dello Stato;
   anche la famiglia del deputato – come molte altre di altrettanti oppositori politici – è oggetto di tentati omicidi, rapimenti ed arresti illegali;
   di recente anche il Parlamento britannico ha manifestato vicinanza alla famiglia di Diomi Ndongala e ha rilevato con preoccupazione che non è la prima volta che il regime di Kabila cerca di sottomettere l'opposizione con il rapimento degli attivisti;
   sarebbe bene che l'Italia e l'Unione europea esercitassero tutta la loro influenza presso la comunità internazionale e presso il Governo della Repubblica Democratica del Congo per ottenere l'immediato rilascio del deputato Eugene Diomi Ndogala e degli attivisti di opposizione incarcerati –:
   come il Governo intenda ottenere, anche attraverso la collaborazione delle istituzioni europee ed internazionali, il rilascio del deputato Eugene Diomi Ndogala, deputato d'opposizione incarcerato illegalmente, e sposato con la cittadina italiana Patrizia Diomi;
   quali iniziative il Governo italiano intenda promuovere con le istituzioni europee ed internazionali per ottenere che abbiano immediata cessazione nella Repubblica democratica del Congo tutte le intimidazioni che le associazioni dei diritti hanno dimostrato sono in atto nei confronti di oppositori politici, attivisti e le loro famiglia da parte del governo della Repubblica democratica del Congo.
(4-00608)

  Risposta. — In merito al caso segnalato dall'interrogante, intendo innanzitutto assicurare che la nostra Ambasciata a Kinshasa ha attentamente seguito la vicenda sin dal giorno 2 luglio 2012, quando la signora Patrizia Diomi si è presentata alla nostra rappresentanza diplomatica, esponendo i termini della vicenda.
  Su istruzione della Farnesina, il nostro Ambasciatore a Kinshasa ha sin da subito prestato tutta la necessaria attenzione al caso, compiendo i passi ufficiali presso le Autorità congolesi e contemperando l'impegno per la difesa dei diritti del signor Eugene Diomi Diongala con il rispetto della sovranità del Paese africano.
  La Farnesina ha seguito molto attentamente la vicenda del signor Diomi e continuerà a farlo con forza e convinzione. Per dare maggior incisività alla nostra azione, abbiamo affiancato la nostra azione con quella intrapresa dall'Unione europea, anch'essa interessatasi della vicenda così come di altri casi di violazione dei diritti umani nella Repubblica democratica del Congo. In particolare, sono stati interessati per le vie formali il Ministro della giustizia congolese e altri interlocutori governativi che, tuttavia, hanno sempre ribadito di non poter interferire con l'attività dei magistrati in virtù del principio della separazione del poteri.
  La nostra Ambasciata a Kinshasa, in stretto contatto con la Rappresentanza dell'Unione europea e le altre Rappresentanze ivi accreditate, continuerà a far pressione sulle locali Autorità affinché, nel pieno rispetto delle leggi del Paese, garantiscano i diritti della difesa del signor Diomi Diongala e favoriscano l'attuazione della decisione della Corte suprema di Giustizia, che gli ha per il momento concesso gli arresti domiciliari. Parimenti, la nostra Ambasciata si adopererà, sempre di concerto con i
partner europei, affinché le Autorità giudiziarie congolesi tengano in debita considerazione la posizione dell'Assemblea nazionale del Paese, di cui il signor Diomi Diongala è membro e che, a oggi, non ha sospeso l'immunità parlamentare di cui egli gode in relazione al secondo capo d'accusa (ovvero, quello di eversione).
  Non da ultimo, sarà cura della nostra Rappresentanza diplomatica, negli ovvi limiti del principio di non ingerenza negli affari interni di un altro Stato, di sensibilizzare le Autorità locali affinché agiscano nel pieno rispetto dei diritti umani, astenendosi da atteggiamenti intimidatori nei confronti degli oppositori politici e delle loro famiglie.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   TULLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto idrografico della marina (I.I.M) che è l'organo cartografico dello Stato designato alla produzione della documentazione nautica ufficiale nazionale obbligatoria per la navigazione e dipendente dal Ministero per la difesa ha sede a Genova sino dalla sua istituzione risalente al 1872 con sede presso il Forte San Giorgio;
   nella sua lunga storia l'Istituto idrografico della marina ha naturalmente strutturato un profondo legame non solo occupazionale, ma culturale e scientifico con il tessuto cittadino a partire dall'istituzione del primo sistema di riferimento nazionale italiano alla fine dell'ottocento con la determinazione della città di Genova quale punto di emanazione dell'ellissoide di Bessel e del conseguente sistema di riferimento usato sino al 1940 sino all'attuale operatività presso il Porto Antico di Genova del mareografo, fondamentale riferimento per la determinazione del livello medio marino dei mari d'Italia (s.l.m.) che fa del capoluogo ligure il punto «zero» per il calcolo di tutte le altimetrie italiane;
   il rapporto con la città è proiettato ed inserito anche sul futuro occupazionale, considerate le collaborazioni e sinergie previste con il realizzando parco scientifico e tecnologico degli Erzelli, al museo del mare e della navigazione, all'acquario di Genova ed all'università degli studi di Genova con l'istituzione del master di II livello in geomatica marina;
   in controtendenza con i tagli operati su altri Istituti lo Stato maggiore della marina ha confermato nell'aprile 2012 in 204 unità di personale civile la dotazione organica dell'I.I.M., prospettando quindi nel prossimo futuro un raddoppio degli attuali posti occupazionali per il personale civile presso l'Istituto stesso, rappresentando una preziosa opportunità di sostegno in particolare all'occupazione di neolaureati;
   in un necessario quadro di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture in uso, anche per rispondere ai necessari adeguamenti tecnologici, si è aperto da tempo un dialogo con le varie istituzioni al fine di trovare una adeguata soluzione pro futuro;
   nel quadro di riassetto delle aree già di proprietà della marina militare presso la città di La Spezia si è ventilato un possibile trasferimento dell'Istituto idrografico della marina presso tale sede –:
   se le indiscrezioni circa la volontà di operare un trasferimento dopo 150 anni da Genova a La Spezia corrispondano al vero;
   se si siano valutate le conseguenze sulle attuali collaborazioni tecnico-scientifiche poste in essere con successo tra l'Istituto idrografico della marina e le molte realtà genovesi;
   quali misure si intenderebbero attuare al fine di tutelare gli attuali dipendenti dell'Istituto idrografico della marina residenti a Genova. (4-00165)

  Risposta. — Sottolineo, in primo luogo, che l'ipotesi di un trasferimento dell'Istituto idrografico della Marina dalla sede di Genova – cui è fatto cenno nell'interrogazione in esame – non è supportata da alcun fondamento, in quanto ciò non corrisponde allo stato dei progetti che la Marina militare persegue per l'Istituto.
  Tengo, tuttavia, a precisare che, poiché l'attuale collocazione dell'Istituto idrografico all'interno di Forte San Giorgio, a Genova, non risponde più ai requisiti richiesti a un moderno stabilimento di lavoro, la Forza armata sta verificando la possibilità di una localizzazione diversa da quella attuale, da individuare, però, sempre nel territorio genovese.
  A tal riguardo, sono in corso incontri con tutte le autorità locali (regione, provincia e comune) per verificare le possibilità alternative all'attuale sistemazione logistica.
  Nel ribadire la volontà della Forza armata di mantenere l'istituto nella sede attuale, ma in una infrastruttura più idonea, confermo che la Difesa è impegnata nella ricerca di ogni possibile soluzione che consenta d'individuare la nuova sede mediante una ricollocazione nell'area genovese, senza prescindere dal trovare una soluzione condivisa e concordata con le Autorità locali, nella piena consapevolezza del legame esistente tra l'Istituto idrografico e la città di Genova.
  Peraltro, le prime risultanze dei lavori del tavolo tecnico, costituito coinvolgendo i livelli istituzionali territoriali competenti, appaiono promettenti e inducono ad un sostanziale ottimismo rispetto all'individuazione, su Genova, di un sito adeguato alle esigenze dell'Istituto.

Il Ministro della difesaMario Mauro.


   VAZIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in questi anni, in questi mesi si è assistito a fatti che interpellano il Paese sul ruolo che le istituzioni debbano avere in relazione a fatti e situazioni che si verificano all'estero e che riguardano la libertà personale, la celebrazione di un giusto processo, l'incolumità ed il regime di custodia carceraria dei nostri connazionali;
   in riferimento a ciò è lecito domandarsi con quale autorevolezza, con quale determinazione e soprattutto con quale efficacia il nostro Paese ed il nostro governo devono porsi nei confronti dei Paesi e dei Governi ove tali situazioni si verificano; ed ancora e non secondariamente, quale vicinanza e quale aiuto le istituzioni devono manifestare e dimostrare nei fatti a questi cittadini ed alle loro famiglie;
   il Parlamento si è occupato della triste e complicata vicenda dei Marò, un quasi «naufragio diplomatico», una storia nella quale, nella migliore delle ipotesi, il nostro Paese non ha certamente dimostrato tutta la sua autorevolezza;
   è notizia di questi giorni della morte di un altro giovane, Claudio Faraldi, nel carcere di Grasse, lo stesso istituto di pena dove nel 2010 morì, in circostanze ancora tutte da chiarire, un altro nostro giovane connazionale, Daniele Franceschi;
   molti sono i casi ricchi di solitudine e disperazione, così come la storia terribile di due giovani connazionali, Elisabetta Boncompagni e Tomaso Bruno, che nelle more del processo, da oltre tre anni, sono rinchiusi nelle carceri indiane: due cittadini italiani che lottano per dimostrare la loro innocenza perché accusati della morte del loro amico e compagno di viaggio;
   era il 4 febbraio del 2010 quando Elisabetta e Tomaso rinvengono il loro amico Francesco Montis in stato di grave difficoltà respiratoria e allertano subito lo staff dell'albergo dove alloggiano, poi la corsa in ospedale e purtroppo la morte di Francesco;
   i due giovani chiedono aiuto all'ambasciata italiana a New Delhi: la polizia prima li invita a non lasciare l'albergo e poi, dopo averli accusati di omicidio, li rinchiude in carcere dove tuttora si trovano;
   vengono celebrati due gradi di giudizio che si concludono entrambi con una sentenza di condanna per omicidio alla pena dell'ergastolo: ora resta solo l'ultimo grado di giudizio del prossimo 3 settembre;
   in questi processi anche i poveri familiari del Montis gridano l'innocenza di Elisabetta e Tomaso, evidenziando il noto pregresso stato di malattia del proprio figlio;
   osservatori internazionali confermano che, come sostenuto dai legali dei due giovani, le sentenze sono assolutamente errate, utilizzano prove bizzarre e forzate e si fondano su una perizia post mortem totalmente fantasiosa fatta da un medico oculista: un perito che, smentito dai consulenti di parte, non sa dare spiegazioni alle sue conclusioni e cioè da dove ricavi la deduzione che il Montis sia morto per asfissia da strangolamento e non per cause naturali, un processo con garanzie processuali di fatto inesistenti, celebrato, senza traduzione, in parte in lingua Indi ed in parte in lingua Inglese;
   in tre anni di carcere i due giovani detenuti italiani sono sostanzialmente isolati, non possono telefonare, non possono interloquire via internet e possono solo ricevere visite assolutamente sporadiche;
   il nostro Paese non può accettare che i nostri cittadini vengano così rozzamente processati;
   il nostro Paese non può tollerare che i diritti di difesa e di garanzia siano stati e siano tuttora così umiliati;
   il nostro Paese non può lasciare questi poveri ragazzi e le loro famiglie al loro destino limitandosi ad assumere posizioni di principio tanto deboli quanto effimere;
   guardando al caso di Elisabetta e Tomaso viene da domandarsi se sia tollerabile che il nostro Paese, la nostra ambasciata, suggerisca ai disperati famigliari gli avvocati per un efficace difesa e poi li lascino in balia di essi;
   a queste famiglie, ad oggi, per la difesa di Elisabetta e Tomaso sono stati richiesti dagli avvocati e quasi per intero corrisposti oltre 390.000 euro a fronte di un sostegno offerto che appare davvero come una goccia nel mare –:
   se i Ministri interrogati intendano:
    a) intervenire, anche in via di urgenza, per promuovere ogni utile iniziativa per dare soluzione ed efficace sostegno a queste situazioni disperate ed al tempo stesso fonte di umiliazione per il nostro Paese;
    b) farsi promotori ed al tempo stesso supporto di una forte iniziativa del Governo per la tutela dei succitati diritti;
    c) rendere note e chiarire infine le circostanze e le iniziative di cui in premessa onde comprendere il ruolo e l'efficacia di azioni esercitati dall'Ambasciata Italiana in India. (4-00529)

  Risposta. — La vicenda dei due giovani connazionali Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni sin dall'inizio è stata, e continua ad essere, seguita con grande attenzione ed assoluto impegno dalla Farnesina e dall'Ambasciata a New Delhi, con l'obiettivo di salvaguardare gli irrinunciabili diritti di tutela e tutte le garanzie giudiziarie dei predetti, assicurando nel contempo ogni possibile assistenza anche ai familiari. In particolare l'azione del Ministero degli affari esteri, nella specie finalizzata ad una rapida e soddisfacente soluzione della vicenda in esame, come noto dai risvolti piuttosto complessi, ha e continua ad avere il proposito di confermare l'impegno primario del Governo italiano nei casi che vedono i nostri connazionali privati della libertà personale, per i quali comunque vanno riaffermate le esigenze di rispetto della persona, del giusto processo e, soprattutto, le piene garanzie sul regime detentivo cui sono sottoposti.
  In tal senso, numerose sono state sino ad oggi le iniziative di salvaguardia poste in essere in relazione alla odierna questione, di cui si intendono ricordare le principali.
  Il caso è stato sollevato presso le competenti autorità indiane a più riprese e ad alto livello nell'intento, fra l'altro, di accelerare l’
iter processuale ed assicurare ai nostri connazionali le migliori condizioni detentive: l'allora Ministro degli affari esteri Terzi di Santagata ha ricevuto alla Farnesina i genitori di Tomaso Bruno ed il padre di Elisabetta Boncompagni a gennaio 2013, dopo aver in precedenza interessato alla vicenda il suo omologo durante la visita compiuta nel febbraio 2012 in India.
  Anche il precedente Ministro degli affari esteri Franco Frattini aveva sensibilizzato in due diverse occasioni il Ministro degli esteri indiano.
  Il Sottosegretario de Mistura, durante il suo incarico alla Farnesina, aveva incontrato le famiglie dei connazionali a Roma a marzo del 2012 ed i loro legali a New Delhi nel corso di una delle sue missioni in quel Paese.
  I genitori del signor Tomaso Bruno, inoltre, sono stati ricevuti a Roma dal Direttore generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie, Ambasciatore Ravaglia nel luglio 2012, per concordare ogni possibile iniziativa ed assistenza.
  L'Ambasciata a New Delhi, e gli Ambasciatori Sanfelice e Mancini in prima persona, hanno compiuto numerose azioni di sensibilizzazione presso le autorità indiane, mentre di recente l'Ambasciatore Mancini ha chiesto, con una lettera, all'Ispettore generale delle carceri dello Stato dell'Uttar Pradesh che i connazionali possano effettuare o ricevere telefonate da o presso il carcere di Varanasi.
  Per altro verso, numerosissime sono state le visite consolari ai connazionali presso il penitenziario di Varanasi, da parte di funzionari dell'Ambasciata d'Italia, e continua è stata l'assistenza prestata ai familiari di Tommaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, quando questi si sono recati in India.
  Il 6 febbraio scorso la Corte Suprema di Delhi ha accolto il ricorso presentato dai connazionali Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni contro la sentenza dell'Alta Corte di Allahabad che aveva confermato, lo scorso ottobre, la condanna all'ergastolo nei loro confronti. La Corte Suprema ha deciso che sul caso ci sarà una sola udienza definitiva fissata al 3 settembre 2013.
  In vista di tale udienza, l'Alta Corte di Allahabad dovrà fare pervenire alle parti tutta la documentazione riguardante il caso e sia accusa che difesa potranno richiedere di produrre ulteriore documentazione. Come prevedibile, i giudici hanno purtroppo respinto la richiesta di libertà su cauzione, che peraltro era stata già negata nei precedenti gradi di giudizio.
  Da segnalare che nelle settimane precedenti l'Ambasciata a New Delhi aveva mantenuto un costante contatto con lo studio dell'avvocato Mukul Rohatgi, legale indiano scelto dai connazionali per l'assistenza giudiziaria, fornendo puntuale supporto alla famiglia Bruno nel facilitare i contatti con i legali ed in particolare per ottenere condizioni di favore per quanto concerne gli onorari richiesti per la presentazione del ricorso. A seguito dell'udienza della Corte Suprema, l'Ambasciata ha inoltre immediatamente organizzato una nuova visita consolare ai connazionali, che ha avuto luogo il 16 febbraio scorso.
  A fine aprile 2013, l'Ambasciatore italiano a New Delhi ha avuto un nuovo incontro in Ambasciata con la signora Bruno, di ritorno da un soggiorno a Varanasi durante il quale ha incontrato in carcere il figlio Tomaso ed Elisabetta Boncompagni. L'Ambasciatore ha informato la signora Bruno dell'intenzione di recarsi personalmente in missione a Varanasi per incontrare i connazionali e, in tale occasione, anche il direttore del carcere.
  Da rilevare che la signora Bruno ha espresso gratitudine verso il Ministero degli affari esteri per l'assistenza finanziaria fornita nei primi gradi di giudizio, nonché per il contributo per le spese del ricorso in Corte Suprema.
  Premesso quanto sopra, per quanto di propria competenza il Ministero degli affari esteri continuerà a dedicarsi al caso con il massimo impegno e con il ricorso ad ogni possibile iniziativa in stretto contatto con i connazionali, i familiari e gli avvocati, in vista dell'udienza prevista per il 3 settembre 2013 presso la Suprema Corte di Delhi, che dovrà pronunciarsi sul ricorso presentato dai due connazionali e decidere, quindi, sugli esiti della vicenda.

Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   VELO, SANI, MANCIULLI e FONTANELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che Trenitalia ha in programma la soppressione di due linee «Frecciabianca» – a decorrere dal 14 aprile 2013 – sulla tratta tirrenica;
   da tempo, nelle biglietterie e on line, non è possibile acquistare biglietti per i treni in questione per partenze programmate dopo il 14 di aprile;
   il «Frecciabianca» circola su linee tradizionali e collega centri di medie e grandi dimensioni al di fuori della rete ad alta velocità: il taglio di queste linee, se confermato, potrebbe determinare l'eliminazione di due convogli veloci – il 9762 da Grosseto verso nord alle 8,22 e il 9765 in transito a Grosseto alle 21,54 verso sud;    
   la prevista eliminazione di questi collegamenti strategici potrebbe determinare l'inevitabile isolamento del territorio servito, con seri rischi per le attività produttive e gravi disagi per i lavoratori pendolari; ingente sarebbe anche il danno economico alla stagione turistica che si apre a Pasqua; gravi sarebbero i disagi al tessuto sociale delle aree escluse dal servizio ferroviario, alcune delle quali hanno subito seri danni con le recenti alluvioni; in generale si avranno conseguenze e costi economici incalcolabili sul piano della mobilità lavorativa e sociale;
   l'annunciata soppressione delle linee agita i pendolari in una protesta di massa, che denuncia l'ennesimo, grave deterioramento dei servizi e delle infrastrutture in Maremma;
   la mobilitazione dei comuni, della provincia e della regione si associa a quella dei mezzi di informazione e dei cittadini per impedire lo smantellamento della linea ferroviaria tirrenica;
   la prevista deviazione verso la dorsale appenninica (Roma-Firenze) di alcuni pendolini fin qui attivi sulla linea tirrenica – secondo l'ingegner Valerio Cutini dell'università di Pisa – si tradurrà in un pesante disagio, non solo per i molti che a Grosseto usano il treno per i propri spostamenti, ma anche per coloro che risiedono a Grosseto e lavorano fuori e per quelli che risiedono in altre città e lavorano a Grosseto; per tutti – e in particolare per i turisti – sarà difficile raggiungere questo territorio ricco di attrattive e di risorse culturali, con grave perdita di opportunità e di risorse, per Grosseto ed il territorio toscano;
   è essenziale garantire una piena e fluida accessibilità al capoluogo che, anche per la centralità della posizione, è uno snodo essenziale di traffico e non può essere considerato scalo ferroviario minore;
   appare necessario intervenire a modifica delle strategie di Trenitalia, che gestisce un servizio pubblico di interesse generale, per l'area di Grosseto;
   la soppressione dei collegamenti veloci tra Grosseto e le aree contermini potrebbe compromettere anche il traffico aereo sugli aeroporti di Fiumicino e di Pisa; la possibilità di raggiungere Grosseto da un vivace scalo lowcost o da un aeroporto intercontinentale in poco tempo è un asset economico formidabile per una provincia con una fortissima vocazione turistica –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-00091)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, occorre preliminarmente considerare che i collegamenti «Frecciabianca» in servizio sulla direttrice tirrenica nord sono effettuati da Trenitalia in regime di mercato, non essendo oggetto di corrispettivi pubblici e, quindi, si sostengono esclusivamente attraverso i ricavi da traffico; il gestore ferroviario, pertanto, nell'ambito delle sue scelte aziendali, può declinare autonomamente le caratteristiche qualitative e quantitative dell'offerta, nonché i livelli di prezzo.
  Tuttavia, al fine di fornire una risposta all'interrogazione in esame sono state chieste informazioni alla società Trenitalia che ha comunicato quanto segue.
  La linea tirrenica nord, Roma-Grosseto-Livorno-Pisa-Genova, è servita attualmente da 6 coppie giornaliere di collegamenti denominati «Frecciabianca» (12 treni), sino a giugno 2012 le coppie in servizio erano 5.
  La coppia di treni 9762/9785 ha registrato, a causa del basso utilizzo, una perdita superiore ai 5 milioni di euro annui; in particolare, il minor livello di frequentazione e, quindi, il volume di perdita maggiore, riguarda il treno 9785, in partenza la sera da Genova.
  Tale situazione di non sostenibilità economica, ha comportato l'adozione di alcune modifiche alla programmazione, riducendo il tempo di percorrenza complessivo e migliorando l'orario di arrivo nella stazione di Roma, al fine di incrementare i livelli di frequentazione del collegamento e conseguentemente dei ricavi, con l'obiettivo di migliorare il conto economico di questo servizio.
  Trenitalia ha comunicato, inoltre, che sulla base dei dati rilevati attraverso il sistema informatico di prenotazione i volumi di passeggeri che utilizzano il treno «Frecciabianca» 9785 da e per le località toscane della linea tirrenica (in particolare Grosseto e Livorno) risultano estremamente ridotti per effetto degli orari di transito che non interessano la fascia a maggior afflusso pendolare (mobilità sistematica).
  Pertanto, con decorrenza 14 aprile 2013 è stato previsto l'instradamento del treno «Frecciabianca» 9785 (attualmente 9877) via Pisa-Firenze (anziché via Livorno-Grosseto): ciò consente una velocizzazione del tragitto di circa 30 minuti, con arrivo nella stazione di Roma poco prima delle ore 23,00.
  Tale soluzione permette, tra l'altro, di attivare un nuovo servizio diretto veloce tra Genova e Firenze che dovrebbe contribuire ad attrarre ulteriore traffico e, quindi, incrementare i ricavi, offrendo un indubbio vantaggio in termini di miglioramento dei collegamenti tra i due capoluoghi.
  Si precisa, infine, come comunicato da Trenitalia, che sulla linea in questione non sono previste ulteriori variazioni circa la restante offerta dei collegamenti «Frecciabianca» (11 treni).

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.