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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 3 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito della programmazione finanziaria pluriennale per il periodo 2014-2020, la Commissione europea ha annunciato, tra le sue proposte di regolamenti per collegare l'Europa, la creazione di un nuovo strumento a livello europeo per finanziare le infrastrutture prioritarie per l'Unione europea (UE) in diversi settori, tra i quali quello dei trasporti;
    in particolare, questo nuovo strumento, denominato «Meccanismo per collegare l'Europa», sosterrà le infrastrutture aventi una dimensione europea e a livello del mercato unico, indirizzando il sostegno della Unione europea alle reti prioritarie che devono essere realizzate entro il 2020 e per le quali si giustifica maggiormente un'iniziativa a livello europeo;
    tale strumento disporrà di una dotazione di 50 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, di cui saranno assegnati al settore dei trasporti 31,7 miliardi, 10 miliardi dei quali specificamente destinati ad investimenti in infrastrutture collegati ai trasporti ammissibili nell'ambito del fondo di coesione. Assieme al Meccanismo per collegare l'Europa, sono stabilite le priorità per il finanziamento europeo delle infrastrutture di trasporto;
    tra i richiamati regolamenti per collegare l'Europa, la «proposta di regolamento del Parlamento europeo e Consiglio sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti», al punto 3.3, precisa che «lo sviluppo coordinato di una rete transeuropea dei trasporti per sostenere i flussi di traffico all'interno del mercato unico europeo e la coesione economica, sociale e territoriale all'interno dell'Europa esige che vengano prese iniziative a livello dell'Unione europea, in quanto esse non possono essere prese individualmente dai singoli Stati membri. Ciò è particolarmente vero per le tratte transfrontaliere»;
    tale proposta è orientata alla realizzazione, entro il 2050, di uno spazio unico europeo dei trasporti, basato su una rete di trasporto completa, interconnessa ed intermodale, che coinvolge le infrastrutture ferroviarie, marittime, aeree e viarie di tutti gli Stati membri, capace di contribuire al miglioramento della libera circolazione di merci, servizi e persone sia all'interno degli stessi Stati membri, sia tra di loro, sia con i Paesi confinanti, favorendo in tal modo la coesione economica, sociale e territoriale;
    nella proposta è previsto un aumento delle risorse europee per la realizzazione della rete transeuropea dei trasporti Ten-T, nonché un aumento delle quote di cofinanziamento variabile dal 20 al 40 per cento a seconda che si tratti di progetti di interesse comune, legati alla rete centrale o transfrontalieri della rete prioritaria;
    tra i progetti viene introdotta la tratta Napoli-Bari-Lecce-Taranto nell'ambito del corridoio 5 Helsinki-La Valletta;
    con particolare riferimento al trasporto ferroviario gli organi europei hanno previsto requisiti specifici. In particolare, è fatto obbligo agli Stati membri di garantire che l'infrastruttura ferroviaria sia conforme alle norme europee in materia di interoperabilità, scartamento, elettrificazione, linee percorse da treni merci convenzionali, prestando particolare attenzione all'impatto del rumore causato dal trasporto ferroviario;
    nella seduta del 18 gennaio 2012 della 8a Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni) del Senato è stata approvata la risoluzione, doc. XVIII, n. 125, con la quale si è espresso parere favorevole alla richiamata «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (n. COM (2011)650 definitivo)», osservando tuttavia, tra l'altro, che in previsione «di una rapida approvazione, da parte dell'Unione europea, della macroregione adriatico-ionica, sollecitata dalle mozioni recentemente approvate all'unanimità dal Senato» nella seduta dell'11 gennaio 2012, «si ritiene opportuno un supplemento di istruttoria svolta a livello di Unione europea sulla metodologia applicata per la definizione dei tracciati affinché, nelle attività di verifica che si andranno a realizzare entro il 2020, la prosecuzione del corridoio Baltico-Adriatico (n. 1) lungo la dorsale adriatica comprenda la direttrice Ancona-Pescara-Bari-Taranto-Lecce, in quanto tale prosecuzione costituisce elemento centrale per il sistema dei collegamenti all'interno della Macroregione e per il successo della stessa. Essa è di fondamentale importanza anche alla luce del fatto che nella nuova rete centrale non è più previsto il vecchio corridoio n. 8 Bari-Varna, che svolgeva un ruolo strategico nel collegamento tra le regioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo e le regioni balcaniche»;
    la realizzazione della linea alta velocità/alta capacità sull'intera dorsale adriatica è indubbiamente riconducibile alla strategia della macroregione adriatico-ionica, la quale rappresenta senz'altro un'opportunità per il nostro Paese di prendere parte a quel grande processo di coesione europeo già avviato con successo in Europa con l'approvazione delle strategie macroregionali del Danubio e del Baltico, quali strumenti innovativi per le politiche di coesione e cooperazione territoriale tra Stati e regioni ai fini del conseguimento di obiettivi comuni di sviluppo;
    il prolungamento del corridoio baltico-adriatico (n. 1) ha un'importanza strategica per l'Italia perché consentirebbe un collegamento, ad elevati standard di qualità, tra il mare del Nord ed il mare Adriatico, favorendo altresì il collegamento tra i diversi distretti produttivi e le aree portuali dell'Adriatico, in modo da incentivare le attività logistiche a sostegno della produzione e dell’export, intercettando le aree a forte sviluppo dell'Est e del Nord-Est Europa, facendo del Mediterraneo e dell'Italia una grande piattaforma logistica e il baricentro dei traffici commerciali tra l'Oriente e l'Occidente;
    nelle conclusioni del Consiglio europeo del 13/14 dicembre 2012, il Consiglio ha individuato il 2014 con termine entro il quale dovrà essere presentata, a cura della Commissione, la nuova strategia dell'Unione europea per la regione adriatica e ionica, rinviando alle conclusioni dello stesso Consiglio di giugno 2011 ove si invitavano gli Stati membri a proseguire i lavori, in cooperazione con la Commissione, sulle future strategie macroregionali, in particolare per la regione adriatica e ionica;
    nella stesse conclusioni, il Consiglio, approvando la strategia macroregionale danubiana, ha invitato la Commissione europea a garantire lo sviluppo di connessioni infrastrutturali tra le macroregioni esistenti e quelle in via di definizione;
    la dorsale adriatica risulta carente di un'adeguata infrastrutturazione che supporti la linea ad alta velocità/alta capacità, diversamente da altre regioni, soprattutto del Nord, servite invece da collegamenti ferroviari veloci ed efficienti;
    la mobilità su ferro risulta essenziale non solo per garantire un servizio ai passeggeri e un celere trasporto di merci, ma soprattutto quale strumento di coesione territoriale crescita e competitività;
    l'adeguamento dell'infrastruttura ferroviaria lungo la direttrice Milano-Lecce risulta indispensabile per il rilancio di una zona ad alto potenziale economico, anche in vista della prossima strategia macroregionale, oltre che necessario per colmare il gap tra le regioni del litorale adriatico sprovviste della linea ad alta velocità/alta capacità e quelle che invece ne beneficiano, in modo da garantire le stesse opportunità, in termini di crescita e competitività, a tutto il territorio nazionale,

impegna il Governo:

  in prospettiva dell'approvazione della macroregione adriatico-ionica, ad assumere ogni iniziativa in sede europea per promuovere il prolungamento del corridoio baltico-adriatico (n. 1) lungo la direttrice Ancona-Pescara-Bari-Taranto-Lecce, che costituisce un elemento strategico tra i diversi poli produttivi e le aree portuali dell'Adriatico, capace di rendere l'Italia il baricentro dei traffici commerciali tra l'Oriente e l'Occidente, nonché fra i Paesi del Nord Europa e le nuove economie che si affacciano sul Mediterraneo;
   ad individuare le misure necessarie a garantire un'adeguata programmazione in favore di progetti indirizzati all'ammodernamento della linea ferroviaria della dorsale adriatica, con particolare riferimento alla direttrice Milano-Lecce, in considerazione della programmazione delle risorse dell'Unione europea per il periodo 2014-2020 nel quadro delle grandi reti transeuropee, nonché in vista della prossima approvazione della strategia macroregionale adriatico-ionica.
(1-00134) «Ginefra, Fitto, Matarrese, Pisicchio, Fratoianni, Duranti, Ricciatti, Quaranta, Matarrelli, Sannicandro, Melilla, Pannarale, Cassano, Capone, Amendola, Amato, Scalfarotto, Palese, Sisto, Leone, Bellanova, Michele Bordo, Piepoli, Lodolini, Decaro, Laforgia, Pelillo, Mongiello, Distaso, Fucci, Boccia, Losacco, Agostinelli, Grassi, Ventricelli, Carbone, Mariano, Tullo».


   La Camera,
   premesso che:
    il «nomenclatore tariffario» è la lista del Ministero della salute che regolamenta prezzi e tipologie di protesi e ausili per disabili;
    le protesi e gli ausili per disabili sembra che costino allo Stato 1,9 miliardi di euro all'anno;
    il prontuario è nato, ed è rimasto, provvisorio, nel 1999, e non è mai stato aggiornato senza alcuna motivazione plausibile;
    il risultato è che le asl spendono anche il triplo rispetto al reale valore in commercio;
    il «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» è composto da centinaia di pagine, una lunga lista di codici e prezzi, insomma un prontuario, che elenca quali strumenti – dalle carrozzine, alle stampelle, passando per ginocchi artificiali e protesi di ogni tipo – ciascun disabile può ottenere gratuitamente dallo Stato;
    i citati strumenti sono all'interno dei lea, livelli essenziali di assistenza, quei servizi e prestazioni che il servizio sanitario nazionale eroga, giustamente gratis o con il pagamento di un ticket; i livelli essenziali di assistenza con tutta evidenza sono il cuore pulsante del sistema sanitario;
    il «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» è nei fatti uno di quei scandali sui quali è improrogabile intervenire in tempi strettissimi;
    questo «listino» di protesi e ausili contiene una drammatica serie di anomalie e finisce per dar luogo a soprusi; a partire dall'anomalia principale, è stato varato nel 1999, doveva essere un elenco provvisorio tanto provvisorio che, infatti, è vigente da 14 anni, e non è mai stato aggiornato;
    la normativa prevede che il «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» venga periodicamente aggiornato; il motivo è ovvio e semplice sostanzialmente per due motivi: a) la tecnologia avanza, migliora la qualità di protesi e ausili, quindi è necessario che il «prontuario» sia adeguato ai tempi, per fornire ai disabili le migliori condizioni possibili; b) i prezzi, in alcuni casi diminuiscono e in altri aumentano; aggiornare il prontuario, è indispensabile anche per il mercato, sia per i fornitori che vendono, sia per il servizio pubblico che acquista, sia per gli imprenditori che producono, invece nulla di tutto questo è avvenuto, da 14 anni, i prezzi sono rimasti sostanzialmente gli stessi;
    altra anomalia è la modalità di utilizzo del nomenclatore, infatti questo prevede solo codici e caratteristiche; quando ad esempio si ha bisogno di una carrozzina, la legge prevede che lo Stato ne fornisca una, ma il rivenditore addebita il costo al servizio sanitario nazionale indicando solo il codice della voce carrozzina del nomenclatore; il risultato è che molte carrozzine pieghevoli, corrispondenti allo stesso codice, nel 1999 erano valutate con una tariffa di circa 420 euro, ma oggi costano appena 158 euro; l'assurdità è che se compra un privato, il negozio di articoli sanitari, le vende a 158 euro; se le compra la asl, invece, paga 420 euro. Altro caso è quello relativo al montascale: alla asl costa 3.718 euro, se lo acquista un privato in negozio, lo paga 2.500 euro;
    il solo aggiornamento del tariffario, per il comparto di massa, quello che comprende carrozzine e montascale, consentirebbe un risparmio enorme, probabilmente un ribasso del 70 per cento per molti ausili;
    si assiste ad uno spreco che può essere classificato a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo come una sorta di truffa legalizzata;
    eppure occasioni per l'aggiornamento ce ne sono state anche recenti: il decreto del Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, approvato nell'ottobre 2012, adeguava il nomenclatore, che andava aggiornato entro il 31 maggio 2013. Il nuovo Governo ha al momento ignorato la scadenza;
    un decreto analogo fu emanato nel 2008 dal ministro pro tempore Livia Turco che seppur approvato non è stato mai applicato, anzi fu revocato dal Governo Berlusconi;
    la vera anomalia, però, sta in questa sorta d’«incantesimo»: il decreto che aggiorna il nomenclatore tariffario viene emanato sempre a fine legislatura, come se il Governo in carica lo scaricasse su quello successivo, e il nuovo Governo puntualmente lo ignora. Lasciando tutto come prima. È accaduto con il «decreto Turco». È accaduto con il «decreto Balduzzi». E in questo gioco dell'oca, in realtà, la pedina resta sempre ferma al punto di partenza, ovvero il 1999;
    è da segnalare anche il fatto che il mancato aggiornamento dal 1999 del nomenclatore ha fatto sì che i codici spesso si riferiscano a una tecnologia altrettanto obsoleta, che a volte non è più neanche in commercio;
    ancora oggi ci si trova di fronte a quello che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo è uno stato d'illegalità; il «decreto Balduzzi» già convertito in legge, è in vigore, ma nei fatti, i malati che ricorrono ai livelli essenziali di assistenza e al nomenclatore, devono ancora rifarsi al 1999 con costi e spreco di risorse pubbliche non più sostenibile;
    il 12 giugno 2013 le famiglie e i malati hanno manifestato sotto la sede del Ministero dell'economia per sapere dove sono i fondi promessi per l'assistenza e per capire quanto tempo ci vorrà per l'aggiornamento del nomenclatore dei tariffari;
    le persone con disabilità in Italia, nel 2004, erano due milioni e 600 mila: il 4,8 per cento della popolazione, ma secondo il sito della regione Liguria oggi sono 2 milioni 824 mila persone: 960 mila uomini, 1 milione 864 mila donne;
    si tratta di una stima al ribasso: riguarda soltanto chi soffre, per almeno una funzione essenziale della vita quotidiana, la totale mancanza di autonomia. Se dalla «totale mancanza di autonomia», si passa a «un'apprezzabile difficoltà», la comunità dei disabili sale a 6 milioni 980 mila persone: il 13 per cento della popolazione;
    il mancato aggiornamento del nomenclatore tariffario è un'ingiustizia che tocca una larga fetta della popolazione decisamente debole visto che quasi la metà ha più di ottant'anni, ed i bambini sono circa 130 mila in età scolare, 78 mila nella scuola primaria, 61 mila nella scuola secondaria. Una percentuale tra il 12 e il 20 per cento di questi studenti non è autonoma nel muoversi all'interno dell'edificio scolastico, nel mangiare, nel recarsi al bagno da sola. Ogni ausilio, ogni protesi, è necessario a crescere e inserirsi nella vita sociale. Milioni di utenti, migliaia di imprese, decine di migliaia di dipendenti: se è dinanzi a un giro d'affari milionario, un affare come detto da almeno 1,9 miliardi di euro, visto che nessuno sa con certezza quale sia la spesa sostenuta dallo Stato,

impegna il Governo:

   a provvedere all'aggiornamento del «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» e a mettere in atto tutte le iniziative necessarie affinché l'aggiornamento sia biennale;
   ad assumere iniziative per prevedere che i prezzi per i rimborsi derivanti dall'aggiornamento del «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» siano definiti in riferimento ai prezzi medi previsti nell'Unione europea;
   ad inviare una relazione alle competenti Commissioni parlamentari per fare chiarezza sulla reale spesa annuale sostenuta dalle amministrazioni pubbliche statali e locali per il rimborso ai rivenditori di protesi e ausili per disabili.
(1-00135) «Grillo, Nuti, Nicola Bianchi, Terzoni, Gagnarli, Lorefice, Paolo Nicolò Romano, L'Abbate, De Rosa, Baroni, De Lorenzis, Ciprini, Manlio Di Stefano, Agostinelli, Mucci, Baldassarre».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo D-network, edito dalla Mega Prodution S.r.l. della famiglia Di Fazio, con sede a Catania versa in una grave crisi che rischia di far chiudere una delle più significative emittenti del territorio;
   il gruppo televisivo multimediale nasce nel 1983, quindi ben 30 anni fa a Palagonia in provincia di Catania;
   con l'avvento del digitale terrestre, con un significativo investimento tecnologico, il gruppo televisivo ha realizzato ben 10 canali tematici;
   purtroppo è stato comunicato che a partire dal 30 giugno 2013 la redazione di D-News verrà chiusa;
   da lunedì 1o luglio rimarranno a casa 12 unità lavorative tra giornalisti e operatori;
   una grave notizia sia dal punto di vista occupazionale sia per quanto concerne il pluralismo informativo presente in Sicilia;
   la crisi economica, il crollo delle pubblicità, il mancato sostegno degli enti pubblici sono le motivazioni addotte dal gruppo editoriale;
   l'Assostampa di Catania ha solidarizzato con i lavoratori e chiesto un intervento istituzionale al fine di scongiurarne la chiusura;
   la crisi per le ragioni espresse anche in premessa rischia di essere contagiosa anche per altre emittenti;
   occorrono misure concrete per dare sostegno ad un settore chiave sotto tutti profili non da ultimo quello appunto del pluralismo in quanto ogni redazione giornalistica è uno strumento al servizio dei cittadini per informarsi ed essere informati –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per scongiurare la chiusura della redazione D-news del gruppo D-network e affrontare con le altre istituzioni le questioni attinenti al sistema delle piccole emittenti e del loro futuro in questo contesto di crisi economica.
(3-00176)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli scavi archeologici di Pompei hanno restituito i resti dell'antica città romana di Pompei, presso la collina di Civita, distrutta tragicamente a seguito dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. L'improvvisa pioggia di cenere e lapilli e lo spesso strato di polvere che ne è risultato hanno cristallizzato nel tempo l'intera città e la sua tragedia preservandoli nei secoli. Riportata in superficie è diventata il secondo sito archeologico più visitato al mondo;
   il sito di Pompei, che nel primo decennio del nuovo millennio è risultato essere nel 2010 il secondo sito archeologico italiano per numero di visitatori (preceduto solamente dal sistema museale che comprende Colosseo, Foro Romano e Palatino);
   nel 1997, l'UNESCO per preservarne l'integrità e sottolinearne l'importanza, le rovine, gestite oggi dalla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, insieme a quelle di Ercolano ed Oplontis, le ha dichiarate Patrimonio Mondiale dell'Umanità. L'Unesco ha finora riconosciuto 981 siti (759 beni culturali, 193 naturali e 29 misti) in 160 Paesi. L'Italia ne ha il maggior numero, 49. Il Comitato ha deciso di iscrivere tale area sulla base dei criteri culturali considerando che gli straordinari reperti delle città di Pompei, Ercolano e delle città limitrofe, sepolte dall'eruzione del Vesuvio del 79, costituiscono una testimonianza completa e vivente della società e della vita quotidiana in un momento preciso del passato, e non trovano il loro equivalente in nessuna parte del mondo;
   nel primo mattino del 6 novembre 2010, è crollata la Schola armaturarum, la scuola dei gladiatori, a causa di gravi cedimenti strutturali. I lavori per la ristrutturazione sarebbero dovuti iniziare a breve visto che in molti ne iniziarono a denunciare il pericolo crollo da qualche tempo;
   il 1o dicembre 2010 cedono due muri della casa del Moralista, fortunatamente entrambi senza affreschi. Gli esperti affermano che tali eventi siano imputabili alle insistenti precipitazioni e che purtroppo possono accadere dato che gli edifici hanno più di 2000 anni;
   due video inseriti nel 2010 dalle guide turistiche sul canale Radiophoto di Youtube, intitolati «Viva Pompei», denunciano con le immagini come, ogni giorno, inestimabili reperti archeologici, l'unica vera grande ricchezza italiana, finiscono in malora;
   lo scorso 28 giugno 2013 sono circa 500 i turisti rimasti bloccati in mattinata all'esterno degli scavi di Pompei (Napoli), i cui ingressi sono stati chiusi a causa di un'assemblea sindacale indetta da Cgil, Cisl e Uil e che interessa anche i siti archeologici di Ercolano, Oplontis, Stabia e Boscoreale;
   i sindacati, impegnati in una dura vertenza sugli organici, pagamento di arretrati e blocco del turnover, rispondono alle accuse: «Non vogliamo creare un disagio, ma migliorare il modo di lavorare e la fruizione del nostro patrimonio», sostengono Cgil, Cisl e Uil. Le agitazioni sono state sospese dopo un incontro con il segretario generale Antonia Pasqua Recchia (i sindacati si sono detti «soddisfatti») e fino all'incontro col Ministro Massimo Bray fissato senza eccessiva urgenza per l'8 luglio 2013;
   i turisti, equamente suddivisi attorno ai tre varchi di ingresso, hanno atteso il termine dell'assemblea. A quanto si apprende, i visitatori in attesa erano per la maggior parte turisti non appartenenti a gruppi organizzati. I crocieristi e le guide con diverse persone, ipotizzano i più esperti, hanno preferito tenere lontani i grandi gruppi dagli scavi di Pompei per evitare le scene viste anche di recente, con migliaia di turisti in attesa in fila all'esterno dei cancelli chiusi;
   Giovanni Puglisi, Presidente della Commissione nazionale italiana per l'Unesco, fa notare che sciopero e code a Pompei «sono un danno per il Paese» e continua ricordando che Pompei è tra i patrimoni dell'Umanità e l'umanità ne deve poter fruire;
   in seguito ai fatti di venerdì 28 giugno l'Unesco dichiara una situazione allarmante su Pompei tragica per l'immagine del nostro turismo nel mondo: assemblee sindacali e chiusure al mattino a Pompei (cinquecento turisti in attesa), Ercolano, Oplontis, a Milano alla Pinacoteca di Brera e al Cenacolo Vinciano, a Firenze agli Uffizi e alla Galleria dell'Accademia, a Roma a Palazzo Barberini, Pantheon, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Museo Etrusco, Pantheon, (non il Colosseo dopo le chiusure dei giorni scorsi e le file di turisti furiosi);
   il Governo italiano ha tempo fino al 31 dicembre 2013 per adottare misure idonee per Pompei e l'Unesco ha tempo fino al 1o febbraio 2014 per valutare ciò che farà il Governo italiano e rinviare al prossimo Comitato mondiale 2014 ogni decisione;
   in particolare, nella relazione del gennaio 2013 redatta dagli ispettori Unesco in seguito a un sopralluogo a Pompei dal 6 al 9 gennaio hanno constatato l'apertura dei primi cantieri accanto ad alcune criticità importanti. Innanzitutto hanno rilevato personale insufficiente. Nel 2012 solo grazie a una deroga il Ministero ha potuto assumere 23 funzionari: 14 archeologi, 8 architetti e un amministrativo. Si mettono in evidenza, in maniera molto documentata, le carenze strutturali (infiltrazioni d'acqua, mancanza di canaline di drenaggio) e i danni apportati dalla luce (ad esempio alcuni mosaici andavano preservati dalla luce). Sono inoltre state segnalate costruzioni improprie non previste dal precedente piano e la mancanza di personale. Inoltre entro il 1o febbraio del 2014, secondo tale relazione, bisogna delineare una nuova zona di rispetto poiché sono state rilevate intorno ai siti di Pompei e Ercolano delle costruzioni ulteriori, costruite spesso dagli stessi operatori dei siti, in modo che si riparino i siti stessi dagli abusivismi e da cose improprie;
   negli ultimi cinque anni, le risorse per le emergenze di Pompei, sono state ridotte di oltre il 58 per cento negli ultimi cinque anni e più in generale il Ministero per i beni e le attività culturali ha avuto risorse ridotte a un terzo rispetto a ciò di cui si disponeva nel 2008. Infatti il Ministero dispone di appena 90 milioni nel 2013 quando ne potrebbe, e dovrebbe, spendere 500 per la tutela;
   a quanto è dato di sapere si avrebbe bisogno di duemila persone per la vigilanza nei nostri siti culturali. L'ultimo concorso è stato bandito nel 2008 per 400 posti: si sono presentati in 139.000, di cui l'80 per cento laureati;
   a quanto è dato di sapere, attualmente agli scavi di Pompei ci sono due cantieri in corso. Uno è stato aperto venerdì. Poi altri due, del lotto dei primi cinque, sono fermi perché due società che avevano vinto hanno ricevuto una «interdittiva». L'assegnazione è stata bloccata per problemi di legalità. I cantieri da avviare sono 39 entro il 2015. Entro luglio, dovrebbero partire tre bandi per la messa in sicurezza, un altro problema di Pompei;
   come dimostra Federculture, i visitatori nei musei italiani sono calati di 4 milioni dal 2012 al 2011 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se i Ministri interrogati reputino di intervenire urgentemente affinché venga ripristinata una situazione di normalità a Pompei considerato che episodi di questo tipo arrecano un danno sia all'utenza, ingiustamente privata della possibilità di fruire di beni storici, archeologici e culturali, sia al Paese, perché l'immagine dell'Italia all'estero subisce una pesante lesione;
   se il Governo non ritenga di intervenire immediatamente nell'ambito delle proprie competenze, adottando iniziative che consentano ai turisti di usufruire di un servizio che viene loro negato;
   se i Ministri interrogati non ritengano sia opportuno dedicare all'area archeologica della provincia sud di Napoli una soprintendenza speciale, svincolata da quella di Napoli;
   se il Governo non ritenga di dover affrontare il tema dello sciopero tutelando un diritto, vale a dire fornendo risposte chiare ai sindacati e ai dipendenti attraverso l'occupazione e facendo entrare in organico personale idoneo che ha vinto il concorso;
   quali provvedimenti urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo al fine di applicare il binomio cultura/impresa superando quella linea di gestione dei beni storici, culturali e archeologici basata sull'immobilismo e sull'assistenzialismo statalista e discutendo di progetti che devono concretizzarsi in esigenze di restauro, turni di sorveglianza, per stroncare abusi e infiltrazioni e mettere insieme idee di valorizzazione per la tutela, la conservazione, la promozione e la valorizzazione del nostro Paese;
   se il Governo non ritenga di dover aprire un tavolo anche con le regioni per arrivare a un coordinamento sulla valorizzazione che metta da parte gli interessi locali a favore di quelli generali del Paese facendo sistema, creando sinergie, investendo in formazione, puntando sul turismo in abbinamento alla nostra cultura;
   se i Ministri interrogati ritengano che Pompei, e in generale il nostro patrimonio, costituiscano una priorità del nostro sviluppo, che la cultura e il turismo siano leve di rilancio per l'economia e che occorrano le risorse e un'azione sinergica tra Governo, Parlamento, istituzioni locali, professionalità del Ministero e mecenati per rilanciare il nostro Paese;
   se il Governo intenda istituire una cabina di regia Governo-regioni guidata dal Presidente del Consiglio dei ministri che provveda urgentemente a fornire risposte operative per assicurare la tutela e la conservazione dei beni storici, archeologici e ambientali anche dal punto di vista infrastrutturale e per promuovere il Paese Italia come «marchio di qualità». (5-00510)


   DA VILLA, COZZOLINO e SPESSOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 «Codice dei beni culturali e del paesaggio» stabilisce che «al fine di garantire l'esercizio unitario delle funzioni di tutela, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, le funzioni stesse sono attribuite al Ministero per i beni e le attività culturali, di seguito denominato “Ministero”, che le esercita direttamente o ne può conferire l'esercizio alle regioni, tramite forme di intesa e coordinamento ai sensi dell'articolo 5, commi 3 e 4 (...)»;
   l'articolo 146, comma 6, dispone poi che «La regione esercita la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Può tuttavia delegarne l'esercizio, per i rispettivi territori, a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull'ordinamento degli enti locali, ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia»;
   lo stesso articolo 146 chiarisce i compiti attribuiti a tali organi per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. In particolare, al comma 3, si afferma che «La documentazione a corredo del progetto è preordinata alla verifica della compatibilità fra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato» e al comma 7: «...l'amministrazione verifica se l'istanza stessa sia corredata della documentazione di cui al comma 3, provvedendo, ove necessario, a richiedere le opportune integrazioni e a svolgere gli accertamenti del caso. Entro quaranta giorni dalla ricezione dell'istanza, l'amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell'intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici e trasmette al soprintendente la documentazione presentata dall'interessato, accompagnandola con una relazione tecnica illustrativa nonché dando comunicazione all'interessato dell'inizio del procedimento...»;
   i successivi commi 8 e 9 illustrano i passaggi procedurali tra amministrazione competente (la regione o l'ente locale delegato) e la soprintendenza stabilendo che quest'ultima «rende il parere limitatamente alla compatibilità paesaggistica... entro il termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti» e poi, entro 20 giorni, l'amministrazione rilascia l'autorizzazione o il preavviso di rigetto dell'istanza. Se tuttavia la soprintendenza non si esprime entro i 45 giorni allora l'amministrazione potrà indire una conferenza di servizi e «spingerla» a parteciparvi o a rendere comunque un parere scritto entro 15 giorni. In ogni caso, decorso il periodo di 60 giorni (45+15), l'amministrazione potrà rilasciare o meno l'autorizzazione sulla base della sua sola istruttoria;
   nella delibera di giunta regionale del Veneto n. 835 del 15 marzo 2010 sono dettati gli «Indirizzi in merito alla verifica della sussistenza dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnica/scientifica per l'esercizio delle funzioni paesaggistiche al fine del rilascio della autorizzazione paesaggistica articolo 146, comma 6, del decreto legislativo n. 42 del 2004». Per l'attuazione della delega occorre, in particolare, che «... – la responsabilità del procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica sia posta in capo ad un soggetto diverso dal responsabile del procedimento urbanistico-edilizio, anche se appartenente alla medesima struttura organizzativa; – il/i soggetto/i che svolge/ono l'istruttoria sia/siano in possesso di appropriati requisiti di competenza ed esperienza»;
   con lettera del 6 luglio 2010, a firma del sindaco Giorgio Orsoni, il comune di Venezia ha comunicato alla regione una terna di nomi a cui è stato deciso di affidare i compiti relativi ad istruttoria e rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. Tale designazione è stata ritenuta idonea al conferimento della delega in materia;
   i nomi espressi dal sindaco per la nuova struttura, competente per le istruttorie paesaggistiche e, soprattutto, per la stesura della relazione di accompagnamento dei documenti alla soprintendenza, corrispondono a tre funzionari comunali che agli interroganti non sembrano corrispondere al profilo delineato dal codice Urbani all'articolo 146, comma 6 («adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche») e dalla regione («appropriati requisiti di competenza ed esperienza»). Trattasi infatti di due geometri e di un perito industriale che si sono occupati, fino alla nomina, di edilizia privata e che risultano subordinati, gerarchicamente, al dirigente della direzione sviluppo del territorio e urbanistica rispetto al quale invece dovrebbero essere indipendenti;
   il comune di Venezia è talmente esteso e composito che gli ambiti per un'eventuale autorizzazione paesaggistica sono numerosissimi: si passa infatti da un ambiente lagunare unico al mondo agli edifici della città antica (datati da alcune centinaia d'anni sino a quasi un migliaio come la basilica di San Marco o quella di Torcello), dalle ville venete presenti a Mestre (Villa Tivan e Villa Erizzo) alle aree SIC e ZPS (oasi delle dune agli Alberoni al Lido, il bosco di Carpenedo) e agli elementi residuali della cinta muraria mestrina (Torre civica, mura, Torresino), e altro;
   la città di Venezia è riconosciuta come patrimonio dell'UNESCO. Va ricordato, a tal proposito, che alcuni anni fa la rivista National Geographic ha affidato ad una commissione di studiosi l'analisi di tutti i siti protetti e tale ricerca ha fornito un risultato piuttosto grave: il capoluogo lagunare è una delle realtà gestite peggio;
   l'università italiana offre alcuni corsi di laurea (architettura, storia, conservazione beni culturali, scienze ambientali) che potrebbero rivelarsi ben più utili, per lo studio e il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche, rispetto a un diploma di scuola media superiore;
   nell'ipotesi di carenza di personale o di eccessivo carico di lavoro presso la soprintendenza di Venezia, sarà compito dei tre funzionari di cui sopra formulare le autorizzazioni paesaggistiche o comunque prepararne l'istruttoria che, in ogni caso, costituisce un elemento importante del procedimento e che se condotta male potrebbe inficiarne l'esito finale;
   la questione è stata posta anche in sede comunale (a mezzo d'interpellanza del consigliere Gavagnin n. 24 del 28 febbraio 2011, ma la risposta fornita dall'amministrazione ha confermato l'incompetenza dei soggetti indicati nonché la «confusione» dei ruoli tra tutela paesaggistica e funzioni urbanistico-edilizie: l'assessore ha infatti sostanzialmente ammesso che la valutazione paesaggistica viene attuata col parere emesso in sede di commissione edilizia integrata. Inoltre, risulta lampante la subordinazione gerarchica dei funzionari e degli uffici incaricati: infatti la responsabilità dei procedimenti paesaggistici è attribuita agli uffici «Atti autorizzativi Terraferma», «Atti autorizzativi Centro Storico 1» e «Atti autorizzativi Centro Storico 2» incardinati rispettivamente nel «settore sportello per l'edilizia – terraferma» e nel «settore sportello per l'edilizia – Centro storico ed isole», tutti interni alla «Direzione sviluppo del territorio ed edilizia», come risulta dal relativo organigramma e dalla declaratoria delle funzioni pubblicati nel sito internet dell'amministrazione comunale. Infine, nel concreto, gli atti di autorizzazione paesaggistica risultano emessi dal dirigente del settore sportello per l'edilizia (terraferma, ovvero centro storico ed isole);
   dell'intera vicenda sopra illustrata è stato reso partecipe anche il soprintendente regionale, Ugo Soragni, il quale però non ha dato alcuna risposta alle istanze presentate dalle associazioni ambientaliste locali (Italia Nostra, WWF e LIPU);
   l'attuale «reggente» la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e della laguna, l'architetto Renata Codello, ha reso numerosi pareri favorevoli in questi ultimi anni che hanno suscitato notevoli polemiche in città, in ragione della dubbia tutela dei beni culturali e del paesaggio. Basti qui ricordare i seguenti casi, tenendo a mente che sussiste un vincolo paesaggistico sull'intero ecosistema lagunare (laguna, isole e fasce di gronda):
    a) le future villette che saranno costruite nell'oasi di Ca’ Roman (area SIC) al Lido;
    b) i maxi-imbarcaderi per vaporetti, di colore grigio, al Lido e in Riva degli Schiavoni che ostruiscono la vista della laguna;
    c) le maxi-pubblicità su edifici di rilevante pregio architettonico (Palazzo Ducale, Procuratie di San Marco e altro) apparentemente senza gara e, in parte, senza segnaletica di lavori in corso;
    d) il progetto dell'architetto Koolhaas sul Fontego dei Tedeschi (rivisto ma pur sempre impattante per le scale mobili che andranno a «bucare» i vari piani dell'immobile);
    e) il raddoppio dell'hotel Santa Chiara, prospiciente il Canal Grande;
    f) il via libera al progetto del nuovo ponte dell'Accademia, proposto dall'impresa Schiavina, poi bloccato dal Ministero;
    g) il via libera di massima al progetto di una mega villetta in vetro e cemento (di proprietà, a detta della stampa locale, di un deputato) nell'isola di Torcello, poi bloccata dal sindaco per le proteste a livello nazionale;
    h) approvazione del «gabbiotto» in Piazza San Marco ma anche di altre installazioni temporanee sempre impattanti per il paesaggio veneziano;
    i) parere favorevole a tutti i progetti presentati dal dottor Spaziante nell'isola del Lido, in qualità di «Commissario delegato per la realizzazione del Nuovo palazzo del cinema e dei congressi di Venezia», ottenendo peraltro magrissimi risultati (l'estinzione della sanità al Lido, creazione del «buco» da 37 milioni di euro al posto della splendida pineta preesistente e dell'immaginato Nuovo Palazzo del Cinema, distruzione della gradinata del Palazzo dell'ex Casinò, la non tutela dei resti del Forte austriaco rinvenuto) e con l'espropriazione di tutte le funzioni urbanistiche del comune;
    l) approvazione di villette ed albergo nel Forte Malamocco (vincolo monumentale) al Lido;
    m) demolizione di alcuni padiglioni dell'ex ospedale al mare nonché realizzazione di parcheggi a raso e maxi-darsena al Lido;
    n) costruzione di villette e torri (bloccate da ENAC) sul parco della Favorita al Lido;
    o) nuove costruzioni con garage sotterraneo e distruzione del patrimonio arboreo esistente al Parco delle Rose al Lido;
    p) trasformazione parziale dell'hotel Des Bains al Lido da albergo ad alloggi;
    q) autorizzazione della pulizia delle pietre del Ponte di Rialto con spazzole di ferro (notizia finita pure sul sito www.repubblica.it);
    r) nessun intervento (pur possibile) in merito alle questioni del moto ondoso, della continua trasformazione di palazzi storici in hotel e centri commerciali nonché del passaggio delle Grandi Navi in laguna e bacino San Marco. Va segnalata, a tal proposito la video-intervista della signora Codello, rilasciata ad una emittente austriaca (su Youtube), in cui minimizza l'impatto del passaggio delle grandi navi, giungendo a dichiarare che «...nessuna nave entra nel canale della Giudecca con i motori accesi, al contrario viene semplicemente trascinata da dei rimorchiatori e quindi la sua mole non crea autonomamente una serie di fenomeni meccanici in profondità ...non hanno le eliche accese e non provocano grandi fenomeni di erosione...» e, ad avviso degli interroganti, rasentando il ridicolo, che le navi sarebbero «trainate» anche se i rimorchiatori, come accade spesso, sono posizionati posteriormente ad esse (qui, in realtà, i rimorchiatori frenano la nave che ha i motori accesi ma viaggia molto lentamente);
   a seguito del rilievo formale, fatto dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Veneto, n. 1722 del 18 marzo 2013, in merito ai vizi dell'attribuzione dell'incarico alla suddetta soprintendenza (e di molte altre), il Ministero per i beni e le attività culturali ha avviato il procedimento d'interpello per la riassegnazione della funzione con la circolare n. 179 del 13 maggio 2013. In tale bando si specifica che, nella valutazione comparativa dei curricula presentati, «si dovrà tenere conto ...delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione...» e ancora, nell'allegata «scheda di valutazione» si rinviene tra gli obbiettivi la «tutela del paesaggio con particolare riferimento all'attività di co-pianificazione paesaggistica» –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di garantire realmente la tutela dei beni culturali e del paesaggio in una città preziosissima ed unica come Venezia;
   se il Governo non ritenga opportuno e necessario revocare/riesaminare l'attribuzione dell'incarico all'attuale soprintendente, Renata Codello, alla luce del procedimento d'interpello in corso, dei numerosi casi di scarsa tutela dei beni culturali e paesaggistici sommariamente sopra ricordati ed infine delle dichiarazioni imbarazzanti rilasciate nell'intervista richiamata. (5-00521)


   D'INCÀ, BUSINAROLO, FANTINATI, DA VILLA, BRUGNEROTTO, BENEDETTI, SPESSOTTO, COZZOLINO, TURCO e ROSTELLATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la superstrada a pedaggio pedemontana Veneta sarà un'arteria che collegherà Montecchio Maggiore a Spresiano passando per il distretto industriale di Thiene-Schio, per Bassano del Grappa e a nord di Treviso, interconnettendosi a 3 autostrade, sarà lunga circa 95 chilometri e sarà l'unica superstrada italiana soggetta a pedaggio. L'opera sarà realizzata in finanza di progetto dall'ATI SIS SCpA – Itinere SA che ne riscuoterà il pedaggio per 39 anni;
   stante la crescente richiesta di mobilità dell'area, nel 1990 la pedemontana veneta viene inserita nel Piano regionale dei trasporti della regione Veneto. Dopo vari accordi tra la regione e il Governo, che nella Finanziaria del 1999 stanziò 40 miliardi di lire per 15 anni, delibere del CIPE, costituzione di varie società per la messa in gara dei lavori, una infrazione dell'Unione europea, la nomina dell'ingegner Silvano Vernizzi in qualità di commissario delegato per l'emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nel territorio delle province di Treviso e Vicenza (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3802 del 15 agosto 2009), i circa tremila espropri nelle province di Vicenza e di Treviso, nel settembre del 2010 il commissario straordinario firma il decreto di approvazione del progetto definitivo dei lavori che inizieranno nel novembre 2011;
   dell'intero costo dell'infrastruttura 173 milioni di euro provengono da fondi pubblici ed è previsto un ulteriore contributo pubblico in conto esercizio di 7,3 milioni di euro (a scadenza semestrale) per 30 anni qualora il volume del traffico su gomma sia inferiore alla stima;
   il Governo nazionale nella seduta del 15 giugno 2013 ha approvato un decreto-legge con il quale si anticipano 330 milioni di euro al fine di evitare che i lavori vadano a rilento per insufficienza di fondi;
   con lettera del 30 maggio 2013 è stata inoltrata al commissario delegato una richiesta di accesso e di estrazione di copia degli atti relativi al contratto di concessione attualmente in essere tra il commissario ed il/i soggetti incaricati della realizzazione della superstrada e del relativo piano economico finanziario;
   in data 12 maggio 2013 lo stesso commissario delegato rispondeva, con lettera prot. n. 976, che tale richiesta non poteva essere accolta stante il fatto che «la richiesta è priva degli elementi necessari a dimostrare la sussistenza dell'interesse diretto, concreto ed attuale necessario» e che, secondo il parere dell'Avvocatura dello Stato, tali atti attengono alla «fase contrattuale privata intercorrente tra le parti»;
   ad avviso degli interroganti un'opera di così vaste proporzioni, che coinvolge un intero territorio della regione Veneto, che ha un impegno economico così importante anche a carico dello Stato e che perdura da così tanto tempo, non può essere considerata come una questione tra privati. Proprio per tali motivi i carteggi dovrebbero essere accessibili a qualsiasi cittadino ne faccia richiesta, tali motivi ne fanno nascere «l'interesse diretto». Interesse che non è stato riconosciuto dal commissario delegato –:
   attesi gli importanti stanziamenti statali, per quale ragione sia stato negato il diritto di accesso alle informazioni sull’iter dei lavori della Pedemontana Veneta, sui costi sostenuti fino ad oggi, sull'importo che ancora necessita per il completamento dell'opera, sull'importo complessivo a carico delle casse dello Stato e sulla reale tempistica per il fine lavori e, in ogni caso, se non intenda fornire ogni elemento di conoscenza in relazione a tali dati;
   se ritenga l'anticipazione dei fondi, una misura necessaria e in quanto tempo e in che modo pensi si possano recuperare gli importi;
   chi, quale ente o organismo e in base a quali dati abbia stimato il volume del traffico annuale su gomma su tale percorso e se, vista la ormai vetustà del progetto, tale stima sia ancora reale;
   atteso che si tratta di un progetto di finanza, per quale motivo si sia ritenuto di dover contribuire, con un ulteriore ingente esborso di denaro da parte dello Stato a favore della società concessionaria, ad integrare i mancati introiti derivanti dall'eventuale errore di stima sul volume di traffico dei veicoli e di chi sia la responsabilità di tale decisione;
   stante l'origine più che ventennale del progetto, ormai molto criticato soprattutto fra la popolazione, se si sia provveduto, ad oggi, ad attualizzarlo nelle stime, nel percorso, nel contesto di un territorio che in vent'anni si è modificato per morfologia urbanistica, flussi di traffico e interessi;
   se si sia tenuta in considerazione una ottica di costruzione sostenibile e l'importante impatto ambientale che tale opera certamente avrà su un territorio già eccessivamente sfruttato e urbanizzato e se così non è stato, per quali motivi non lo si sia fatto o previsto. (5-00522)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta orale:


   MOGHERINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Turchia è interessata da diverse settimane da un ampio movimento di protesta nei confronti del Governo del Primo Ministro Erdogan, contestazione nata da una specifica mobilitazione sul futuro di Gezi Park ad Istanbul e sulla contrarietà a progetti di speculazione edilizia che avrebbero dovuto coinvolgere quell'area, e ben presto sviluppatasi in un moto ben più generalizzato per rivendicare il rispetto da parte delle autorità nazionali dei principi di libertà, di laicità e di partecipazione democratica nella vita dello Stato turco;
   i movimenti di protesta hanno registrato una larga adesione popolare, in particolare nelle grandi città come Istanbul e Ankara, e una grande attenzione dei media internazionali, circostanze che tuttavia non hanno impedito il verificarsi di numerosi e gravi episodi di scontri e di violenze tra manifestanti e forze dell'ordine;
   nel prossimo anno accademico 2013/2014, secondo dati forniti dalla Commissione europea, circa 4.000 studenti provenienti da tutta Europa si recheranno in Turchia per svolgere il programma LLP ERASMUS (Lifelong Learning Programme – Erasmus), tra cui anche un centinaio di studenti italiani;
   in questi giorni, a seguito degli avvenimenti citati che stanno interessando la Turchia, molte università italiane si trovano in una condizione di incertezza in merito alla decisione di rilasciare o meno ai propri studenti i contratti finanziari e le relative cartelle Erasmus necessarie per l'effettivo svolgimento del periodo di studio nello Stato turco;
   le stesse università italiane, secondo quanto riferito da diversi rappresentanti degli studenti, rivolgerebbero informalmente a coloro che saranno coinvolti nella partecipazione al programma Erasmus l'invito ad attivarsi autonomamente per verificare le reali condizioni di praticabilità per la loro partenza e di sicurezza per il periodo di loro permanenza in Turchia –:
   quali siano le valutazioni del Ministero degli affari esteri e dell'Agenzia nazionale Lifelong Learning Programme Italia – ufficio Erasmus sulle reali condizioni di sicurezza, di ordine pubblico, di incolumità e di piena libertà di movimento da assicurare agli studenti italiani che abbiano in programma di svolgere nei prossimi mesi un periodo di permanenza presso un ateneo turco nell'ambito del programma europeo Erasmus, se effettivamente sussistano o meno tali condizioni e se intendano dare specifiche indicazioni alle università italiane per il rilascio o il diniego di tutte le autorizzazioni necessarie a riguardo. (3-00175)


   QUARTAPELLE PROCOPIO, CHAOUKI e RAMPI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da mesi non si hanno notizie di Emma Houda, bambina di 21 mesi, rapita dal padre siriano, Kharat Mohammed, il 18 dicembre 2011 nei pressi di Vimercate (MB). Il giorno successivo la madre, Alice Rossini, riceve un sms (localizzato a Damasco, Siria) in cui le veniva comunicato il rapimento della figlia;
   dopo alcuni mesi Kharat Mohammad chiede ad Alice Rossini un riscatto pari a 300 mila euro per consentirle di riavere la figlia, pagamento che non avverrà;
   la risposta scritta all'interrogazione 4-14538, del 24 maggio 2012, elenca tutte le misure messe in atto dall'ambasciata italiana a Damasco nonché dai Ministeri competenti per consentire alla madre di riavere la bambina;
   da un articolo di giornale del 18 luglio 2012 si apprende che l'uomo si troverebbe nei dintorni della città di Aleppo, ma non avrebbe con sé la piccola Emma, che si troverebbe insieme alla nonna in un paesino vicino;
   va considerato che la Siria non aderisce alla convenzione dell'Aja che disciplina la sottrazione internazionale di minori, e soprattutto, va tenuto conto del peggioramento della situazione siriana e del conseguente rimpatrio di tutti gli italiani presenti nell'ambasciata di Damasco –:
   se e quali informazioni i Ministri interrogati abbiano sul luogo in cui si trova attualmente Emma Houda. (3-00178)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SCOTTO, FAVA, DANIELE FARINA e RICCIATTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Paolo Limonta, collaboratore del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, ha fatto richiesta per il permesso di viaggio online Esta per potersi recare negli Stati Uniti d'America unitamente al figlio e al nipote;
   il 3 giugno 2013 gli viene comunicato che l'autorizzazione del viaggio senza visto non è stata approvata, e che il 27 dello stesso mese si sarebbe dovuto presentare presso il consolato americano di Milano per chiarimenti, come afferma l'edizione online de La Repubblica del 27 giugno 2013;
   in tale occasione una funzionaria conferma che la richiesta non è stata accettata, senza fornire spiegazioni e chiedendo invece allo stesso Limonta di motivare il rifiuto ricevuto, come riportato dal quotidiano online Il sole 24 ore del 27 giugno;
   Paolo Limonta non ha mai subito condanne e non ha procedimenti penali in corso;
   ora il consolato statunitense ha 90 giorni per comunicare a Limonta se la richiesta di visto «ordinario» sarà accettata;
   il consolato non ha manifestato l'intenzione di comunicare a Limonta o ad altri le ragioni per cui è stato negato il permesso di viaggio online Esta;
   come dichiarato dallo stesso Limonta alla stampa, la sua storia politica è da sempre stata caratterizzata dalla difesa dei diritti di molti popoli oppressi come i kurdi, i palestinesi e gli iracheni, ed è naturale sospettare che tali posizioni possano essere alla base del diniego del visto –:
   se il Ministro interrogato intenda intervenire nell'ambito delle sue competenze per conoscere i motivi del rifiuto espresso dal consolato degli Stati Uniti d'America a Paolo Limonta. (5-00505)


   SCOTTO, FAVA, PILOZZI e QUARANTA. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 13 giugno è arrivata la notizia della morte di Giuliano Delnevo, un ragazzo genovese di 25 anni ucciso durante i combattimenti in Siria tra le truppe fedeli ad Assad e i ribelli sunniti, ai quali il giovane si sarebbe unito nei mesi scorsi;
   Giuliano Delnevo nel 2008 si era convertito all'Islam assumendo il nome di Ibrahim, e nel corso di uno dei suoi numerosi viaggi in Marocco potrebbe essere stato contattato attraverso il noto network internazionale jihadista Sharia4, il cui ideatore, un giovane marocchino di 21 anni, è stato arrestato a Brescia dalla Digos qualche tempo fa e per il quale sono stati ipotizzati i reati di incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi e addestramento con finalità di terrorismo internazionale, come riporta l'edizione genovese del quotidiano La Repubblica nell'articolo «Ucciso in Siria, voleva il Liguristan» del 18 giugno 2013;
   Delnevo già dal 2009 risulta indagato dalla procura distrettuale di Genova per il reato di associazione a delinquere per scopi terroristici e arruolamento con finalità di terrorismo, come confermato dal procuratore distrettuale di Genova dottor Di Lecce; con lui sarebbero iscritti nel registro degli indagati altre cinque persone, tra cui alcuni maghrebini ed un italiano, come riportato da Il Fatto Quotidiano in data 18 giugno 2013;
   come affermato dal quotidiano online Tgcom 24, da fonti della comunità araba giunge notizia della presenza di circa 50 italiani tra le fila dei ribelli siriani, dislocati principalmente al nord;
   Carlo Delnevo, padre del ragazzo ucciso, ha denunciato l'impossibilità d'ottenere notizie certe riguardo il corpo del figlio e la possibilità di far rientrare la salma in Italia;
   gli articoli 3 e 8 della Costituzione garantiscono la libertà di religione, e la presenza di convertiti all'Islam può essere un prezioso ponte di dialogo tra la fede e lo Stato italiano;
   l'imam della moschea al-Wahid di Milano e vicepresidente della Coreis (Comunità religiosa islamica), Yahya Pallavicini, commentando il caso del giovane genovese ha sottolineato come tra i convertiti all'Islam ci sia «una minoranza crescente che ha scelto di radicalizzare la propria vita, finendo così nelle mani di falsi maestri e falsi predicatori», e che ciò avverrebbe soprattutto tra gli islamici convertiti «perché spesso hanno cambiato vita per disgusto o in contrasto con un'esperienza precedente», così come riporta l'edizione del 26 giugno 2013 del quotidiano La Repubblica;
   la Farnesina è l'unica istituzione titolata a dare informazioni dalla Siria alle famiglie degli italiani coinvolti nella guerriglia e della sorte della salma di Giuliano Delnevo –:
   quali iniziative siano state adottate per verificare la presenza di altri italiani sul territorio siriano e la loro condizione attuale;
   dove sia attualmente il corpo di Giuliano Delnevo e quali iniziative siano state intraprese per riportarlo in Italia, dando così alla famiglia la possibilità di accogliere la salma del proprio caro. (5-00506)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   BORGHI e DAL MORO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   una zona baricentrica tra i confini dei paesi di San Martino Buon Albergo, San Giovanni Lupatoto, Zevio in provincia di Verona e la stessa città di Verona è da molti anni al centro di un insediamenti di discarica e o di inceneritore che hanno destato e destano molto preoccupazione nelle popolazioni locali;
   da anni comitati spontanei di cittadini si stanno impegnando per fermare l'attivazione definitiva dell'inceneritore di Ca’ del Bue e diverse loro iniziative sono state sostenute anche da parte delle amministrazioni locali interessate (escluso il comune di Verona) a da quasi tutte le forze politiche presenti nei rispettivi comuni, (anche se parte delle stesse forze politiche che si oppongono a l'inceneritore di Ca’ del Bue sul piano locale ne approvano l'attivazione sul piano regionale);
   ora dopo anni di impegno civile e politico su questo delicatissimo aspetto ambientale e con la concentrazione di due siti, discarica e inceneritore, quasi adiacenti con grave allarme e preoccupazione nella popolazione, l'amministrazione comunale viene a conoscere «a sua insaputa» che sempre nella stessa zona è stato richiesto l'ampliamento dell'impianto di stoccaggio dei rifiuti da parte della società Adige Ambiente;
   l'amministrazione Comunale e il Consiglio comunale di San Martino Buon Albergo hanno dichiarato e deliberato la propria contrarietà all'impianto, ma è sensazione diffusa tra la popolazione che quella zona sia stia trasformando in un «triangolo maledetto» dove discariche, inceneritori e impianti di trattamento oltre alle grandi arterie di comunicazione, si concentrino creando non poche preoccupazioni nelle popolazioni residenti ai confini dell'area in questione, un'area ad elevata vulnerabilità idrogeologica e fragile dal punto di vista rurale e ambientale;
   ora il progetto è all'esame della commissione Via della regione, ma come per l'inceneritore di Cà del Bue, molti sospettano che anche per questo impianto ci possa essere un via libera da parte delle stesse forze politiche che governano la regione e che si dicono contrarie agli stessi interventi sul piano locale;
   nessuna battaglia ideologica rispetto al tema ambientale, ma il territorio oggetto dell'intervento di Adige Ambiente ha già pagato, sta pagando e pagherà in futuro per gli insediamenti subìti e questo ulteriore insediamento lascia diversi dubbi, anche vista l'iniziale sottovalutazione dell'amministrazione locale –:
   posto che la scelta di merito spettano alle regioni e alle singole valutazioni delle amministrazioni locali se il Governo intenda assumere iniziative per evitare una straordinaria concentrazione di discariche, inceneritori e nuovi impianti di trattamento come avvenuto ad esempio nel caso del comune di San Martino Buon Albergo (Verona). (5-00523)


   DAGA, VIGNAROLI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento alla procedura d'infrazione 2011/4021, la Commissione europea ha deciso di deferire la Repubblica italiana innanzi alla Corte di giustizia Unione europea per il mancato rispetto dell'obbligo di un adeguato pretrattamento dei rifiuti collocati nella discarica di Malagrotta e in altre discariche laziali;
   alla luce dei dati ufficiali relativi al deficit di capacità di trattamento meccanicobiologico (TMB) esistente nel Lazio e in seguito ai video e alle foto che i comitati hanno trasmesso agli organi competenti ove viene ripreso lo sversamento di rifiuti non trattati nel sito di discarica, la Commissione europea ritiene che a Malagrotta e continuino a essere conferiti rifiuti non adeguatamente pretrattati;
   a tal fine, si ritiene necessario che l'ufficio tecnico Commissione europea che si occupa di infrazioni in materia di rifiuti, acquisisca quanto prima ulteriori prove circa la prosecuzione delle condotte contestate nella procedura d'infrazione;
   in particolare, oltre al faticoso e prezioso lavoro dei comitati sul campo, è necessario acquisire, se ciò non è ancora stato fatto, dati ed elementi frutto di indagini ispettive per verificare direttamente sul terreno quel che avviene a Malagrotta, ove, a tutt'oggi risulta che la discarica continua a ricevere rifiuti anche non sottoposti a TMB –:
   se in relazione al danno ambientale e sanitario che si sta consumando nel sito di Malagrotta, il Ministro, qualora non sia in possesso di sufficienti dati raccolti dalle autorità tecniche competenti in materia relativi alla quantità e qualità dei rifiuti sversati a Malagrotta, non ritenga di disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri tutela ambiente (CCTA), all'esito dei quali provveda a riferire urgentemente in merito alla puntuale osservanza della normativa nazionale e comunitaria. (5-00524)


   PASTORELLI, SCHULLIAN, ALFREIDER, GEBHARD e PLANGGER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43, recante il «regolamento di attuazione del regolamento (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra» ha obbligato tutti gli operatori delle applicazioni fisse di refrigerazione, condizionamento d'aria, pompe di calore, nonché dei sistemi fissi di protezione antincendio contenenti 3 chilogrammi o più di gas fluorurati ad effetto serra, a presentare all'ISPRA una dichiarazione contenente informazioni relative alla quantità di gas fluorurati emessa lo scorso anno nell'atmosfera entro il 31 maggio 2013;
   i gas fluorurati ad effetto serra, noti anche come «f-gas», sono sostanze chimiche artificiali utilizzate in numerosi settori ed applicazioni: gli HFC impiegati come refrigeranti negli impianti di refrigerazione e di condizionamento dell'aria e nelle pompe di calore, i PFC utilizzati nell'elettronica e nell'industria cosmetica e farmaceutica, nonché in taluni impianti di refrigerazione, l'SF6 utilizzato come gas di isolamento e di spegnimento d'arco in apparecchi di manovra (commutatori) di alta tensione e come gas di produzione di magnesio e alluminio;
   i dati e il formato relativi alla dichiarazione di cui all'articolo 16, comma 1, del sopracitato regolamento sono stati pubblicati sul sito web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare solo dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 14 maggio 2013 dell'avvenuta istituzione del registro telematico nazionale delle persone e delle imprese certificate;
   il 12 aprile 2013 è entrato in vigore anche il decreto legislativo 5 marzo 2013, n. 26, che stabilisce la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra e all'articolo 6 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000,00 euro per chiunque non ottemperi agli obblighi di trasmissione e una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 10.000 euro per chiunque trasmetta le informazioni in modo incompleto, inesatto o comunque non conforme alle disposizioni;
   l'articolo 15 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43, ha invece previsto la tenuta del registro di sistema per la predisposizione della dichiarazione on line –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative dirette a prevedere un periodo transitorio di sperimentazione del sistema on line sia per il registro di sistema di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43, sia per la compilazione e la trasmissione della dichiarazione di cui all'articolo 16, comma 1, dello stesso decreto del Presidente della Repubblica, almeno fino al 31 luglio 2013, e sospendere contestualmente fino a tale data l'irrogazione delle pesanti sanzioni previste dal decreto legislativo 5 marzo 2013, n. 26. (5-00525)


   PELLEGRINO, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la SOGESID spa una società a capitale pubblico e gestione privata, istituita ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 3 aprile 1993, n. 96, successivamente modificato dall'articolo 20 del decreto-legge 8 febbraio 1995, n. 32, convertito dalla legge 7 aprile 1995, n. 104;
   inizialmente alla società veniva affidata la gestione degli impianti idrici già detenuti dalla Cassa del Mezzogiorno. Nel corso del tempo le sue competenze sono state ampliate ed a seguito della legge 27 dicembre 2006 n. 296, oggi l'attività della SOGESID è molto ampia, occupandosi, tra le altre cose, di monitoraggio e vigilanza in materia di rifiuti e di programmazione ed attuazione degli interventi di bonifica finalizzati al risanamento ambientale, nonché di fornire alla pubblica amministrazione la progettazione e il coordinamento di azioni mirate, volte a soddisfare la necessità di assistenza tecnica, risanamento e salvaguardia ambientale, monitoraggio, ecosostenibilità ed educazione ambientale;
   la SOGESID conta 126 dipendenti, 315 collaboratori a progetto e si avvale di oltre 1.500 consulenti esterni. Ha una sede centrale a Roma ed è dotata di piccole unità territoriali a Napoli, Bari, Palermo,
Catanzaro Lido, Siracusa e Matera;
   secondo quanto apparso in un articolo apparso sull’Espresso del 28 giugno, a firma Francesca Sironi si sostiene che la «Sogesid sembra diventata una macchina divora quattrini: dal 2008 al 2011 ha incassato più di 400 milioni di euro di fondi pubblici, finiti in progetti faraonici che difficilmente vedranno la luce. Oppure in consulenze: 1.600 in quattro anni e mezzo. Costo ? Oltre 35 milioni di euro, praticamente 648 mila euro al mese: un record nel panorama degli sprechi italici»;
   nel corso dell'audizione in VIII Commissione della Camera dei deputati del 18 luglio 2012 sulla spending review l'allora Ministro Corrado Clini riferiva che le attività della SOGESID «non hanno dato risultati» e che le risorse della società sarebbero finite in «atti che non generano risultai per l'ecosistema ma producono migliaia di metri cubi di carta e distribuiscono milioni in consulenze». In quell'occasione il Ministro aveva ulteriormente affermato che il Ministero si prepara alla chiusura della società in linea con l'originario testo del decreto sulla spending review, che sanciva lo scioglimento della società in house entro il 31 dicembre 2013, immaginando una fase transitoria con una gestione commissariale;
   tuttavia in fase di conversione del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, la legge 7 agosto n. 135 all'articolo 4, comma 3 (Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche) ha previsto che le norme sullo scioglimento delle società in house di cui al comma 1 non si applicano società come la SOGESID, in quanto produttrice di servizi di interesse generale, strumentali alle perseguimento delle finalità istituzionali del Ministero;
   alla SOGESID sono stati commissionati importanti compiti, tra cui la bonifica delle aree più inquinate d'Italia come Taranto, Brescia, Pianura, Mantova, Torviscosa, che necessiterebbero interventi rapidi e concreti –:
   quali siano, alla luce di quanto esposto in premessa, gli intendimenti del Ministro in merito al futuro della SOGESID ed in particolare come intenda procedere per garantire la bonifica delle aree sopracitate. (5-00526)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'invaso del Pertusillo contiene 155 milioni di metri cubi d'acqua in grado di rispondere ad un uso plurimo delle risorse idriche, quali la sfruttamento dell'energia idroelettrica e l'irrigazione di oltre trentacinquemila ettari di terreno tra Basilicata e Puglia;
   da tempo le associazioni ambientaliste denunciano la crescente eutrofizzazione e la preoccupante concentrazione di idrocarburi nelle sue acque;
   a detta dei residenti della zona, intervistati e ripresi dalle tv locali ma anche da Report in onda sulla RAI, da qualche anno appena si alzano le temperature dalla diga arriva un forte odore di idrocarburi molto simile a quello che si sente passando vicino al Centro oli ENI di Viggiano, distante un paio di chilometri in linea d'aria;
   oltre ai cattivi odori gli abitanti lamenterebbero anche una forte moria dei pesci del lago artificiale e seri danni ai frutteti –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire informazioni sulla questione esposta in premessa e se non ritenga opportuno avviare più approfonditi accertamenti in concorso con la regione Basilicata. (5-00527)


   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni, alcuni comunicati stampa e articoli di giornale, anche riportando articoli allarmanti degli anni novanta, hanno richiamato l'attenzione dei cittadini lombardi sull'incidente nucleare avvenuto, circa 24 anni fa, alla Luigi Premoli e figli spa, fonderia che produceva il materiale per i telai dell'Alfa 133 a Rovello Porro, in Lombardia;
   si trattava di una contaminazione radioattiva contenuta in un carico di alluminio probabilmente proveniente dall'Est Europa, sembrerebbe equivalente ad una radioattività stimata tra i 600 e i 6.000 Curie (22 - 222 TBq) di Cesio 137, dovuta ad una «sorgente orfana» inavvertitamente fusa, con il pericolo di immissione nell'ambiente di un'enorme quantità di particelle radioattive altamente nocive;
   la notizia è stata diffusa nel maggio 1990, a seguito della scoperta, da parte dei tecnici del Presidio multizonale di igiene e prevenzione (PMIP) milanese, di percolato di Cesio 137 nel Lura, nell'Olona e nel Lambro, successivamente sfociato nel Po, proveniente dal bacino di decantazione delle acque reflue della fonderia di Rovello Porro, situata a pochi metri dal torrente Lura;
   le notizie riportate alludono al timore di occultamento della verità e dei rischi che corrono i cittadini e alla mancanza di rigide misure di controllo e di protezione dei danni sulla salute e sull'ambiente;
   il caso sollevò grande attenzione anche a livello internazionale, e furono introdotte forme di controllo alle frontiere, e nelle aziende, per combattere la possibilità di altri casi simili: l'articolo 157 del decreto legislativo 230 del 1995 fu scritto alla luce di queste esperienze e con questo intendimento, sebbene fu poi per molto tempo non operativo a causa della cronica assenza della normativa applicativa;
   per quanto concerne gli avvenimenti della Premoli, immediatamente dopo la scoperta del 1990, fu effettuata una bonifica e messa in sicurezza di emergenza, e furono svolte tutte le valutazioni ambientali e sanitarie a suo tempo ritenute utili, con esito favorevole;
   l'unica soluzione possibile per la gestione del materiale di risulta della bonifica fu il suo immagazzinamento in un capannone della stessa azienda, sottoposto a sequestro giudiziario dalla magistratura, che aveva seguito puntualmente tutti gli aspetti del caso, determinando anche l'assenza di responsabilità della azienda Premoli;
   il materiale contaminato da Cesio 137 raccolto nel magazzino, circa 240 metri cubi, in parte è contenuto in fusti metallici, oggi fortemente corrosi, e in parte ancora accumulato alla rinfusa;
   ASL ed ARPA, attraverso i controlli congiunti effettuati sull'ambiente in varie occasioni, smentiscono, oggi, la presenza di una esposizione di qualsiasi rilievo sanitario per la popolazione. Sembra che negli ultimi anni siano stati svolti numerosi controlli congiunti tra Asl di Como e Arpa e i test hanno dimostrato che non sussiste alcun pericolo radiologico all'esterno del capannone e che non sono stati rilevati dati epidemiologici particolari tra i residenti della zona;
   tuttavia, il molto tempo passato dall'incidente di Rovello Porro ed il ricordo delle difficoltà di circolazione e la lacunosità delle informazioni per i 15 mesi antecedenti alla scoperta effettuata nel 1990 dal PMIP di Milano, costituiscono elementi di allarme e preoccupazione tra i cittadini, che chiedono chiarezza sugli interventi effettuati a suo tempo e sulle attuali condizioni di sicurezza;
   non è poi ritenuto giustificabile, a nessun livello, che un deposito creato sotto la spinta di una situazione emergenziale nel 1990, nella sola prospettiva di trovare una rapida soluzione, perduri immutato da oltre 23 anni. Infatti, il deposito non offre nessuna garanzia di resistenza a fenomeni naturali ormai praticamente normali anche in Lombardia, come trombe d'aria, forti colpi di vento, e relativamente a incendi e terremoti, con un conseguente forte rischio di dispersione incontrollata incidentale di contaminazione nell'ambiente;
   il punto della situazione sulla questione delle scorie radioattive depositate dal 1990 a Rovello Porro, è stato effettuato da ARPA Lombardia, ed uno specifico studio, effettuato dal suo direttore tecnico-scientifico, indica forme concrete per la messa in sicurezza del sito, anche contro il rischio di calamità naturali ed incidenti; il progetto potrebbe essere realizzato entro la fine dell'anno;
   le notizie, però, prospettano che sino all'identificazione di un sito nazionale idoneo al ritiro definitivo dei rifiuti radioattivo, i rifiuti resteranno comunque in loco e la situazione non potrà dirsi risolta;
   risulta inoltre che la situazione riscontrata nella Premoli di Rovello Porro è presente anche in altre realtà, e non è impossibile che in futuro possano verificarsi altre situazioni simili;
   risulta per altro che il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 52 «Attuazione della direttiva 003/122/CE Euratom sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane» preveda che lo Stato italiano, attraverso l’«Operatore Nazionale e gestore del servizio integrato» debba «garantire la messa in sicurezza di lungo periodo delle sorgenti radioattive dismesse ai fini del loro futuro smaltimento, assicurando un immagazzinamento in sicurezza per un periodo di almeno cinquanta anni»; ciononostante lo Stato non ha garantito il livello di sicurezza previsto da questa norma alla situazione della Premoli, certamente causata dalle conseguenze della fusione di una sorgente orfana;
   d'altro lato, solo il 27 marzo 2013 il Governo ha approvato il disegno di «Legge di delegazione europea 2013» con l'obiettivo della adozione, tra gli altri di un Decreto Legislativo di recepimento della direttiva comunitaria 2011/70/Euratom del Consiglio, del 19 luglio 2011, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi (termine di recepimento 23 agosto 2013); il recepimento di tale Direttiva Comunitaria potrebbe risolvere il problema delle giacenze di rifiuti radioattivi nelle aziende colpite da incidenti del tipo qui trattato, a iniziare dalla Luigi Premoli SPA –:
   quali provvedimenti immediati il Ministro intendano adottare, secondo la propria competenza, per rassicurare i cittadini, se ve ne è la possibilità, circa l'assenza di rischi per la propria salute e sulla regolarità e idoneità dei controlli svolti da parte dei soggetti competenti e affinché l’«Operatore nazionale e gestore del servizio integrato» svolga, coerentemente con il mandato istituzionale, il proprio compito per la messa in sicurezza della situazione di giacenza di rifiuti derivanti dalla fusione di una «sorgente radioattiva orfana» presente presso la Luigi Premoli SPA, e, quindi, se nell'ambito dell'attuazione della direttiva comunitaria 2011/70/CE, intenda considerare adeguatamente il tema della gestione dei rifiuti radioattivi della stessa tipologia contenuta nello stabilimento Premoli di Rovello Porro ed in altre situazioni analoghe, individuando soluzioni sufficientemente rapide per impedire l'incongruo e pericoloso permanere di materiale radioattivo in situazioni assolutamente inidonee alla conservazione di rifiuti radioattivi per un tempo prolungato, come invece oggi avviene. (5-00528)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto la costa jonica metapontina è soggetta ad un grave processo di erosione che colpisce prevalentemente i lidi di Metaponto e di Scanzano Jonico;
   per procedere ad interventi di ripascimento sono stati autorizzati dalla regione Basilicata spostamenti di sabbia da alcune aree della fascia costiera;
   in particolare, occorre appurare quanto avvenuto per il prelievo di sabbia nella zona del porto degli Argonauti ad inizio del mese di maggio 2013;
   sono stati registrati lavori di prelievo sabbia dalla zona sopraflutto a quella sottoflutto del porto degli Argonauti;
   alcune associazioni ambientaliste del posto hanno registrato una serie di anomalie a partire da quella temporale tra i prelievi di sabbia avviati agli inizi di maggio nei pressi del porto degli Argonauti di Pisticci e i lavori assolutamente indispensabili per la spiaggia di Metaponto avviati solo il 26 giugno;
   altra anomalia riscontrata è che il prelievo per la spiaggia di Metaponto è stato fatto dragando il canale del porto e non utilizzando la spiaggia prelevata nei primi movimenti –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto sopra esposto e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda promuovere per tutelare l'ambiente lungo la fascia costiera jonica. (5-00500)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, DAGA, BUSTO, TERZONI, TOFALO, ZOLEZZI, DE ROSA, DE LORENZIS, MANNINO, NICOLA BIANCHI, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, DELL'ORCO, SCAGLIUSI, SIBILIA, ARTINI, GAGNARLI, BALDASSARRE e BONAFEDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 6 marzo 2008 i comuni delle Piana di Lucca, la provincia di Lucca, l'Associazione industriali della provincia di Lucca, la Camera di commercio della provincia di Lucca, sono i firmatari del «Documento d'Intesa sulle infrastrutture necessarie a migliorare il sistema di mobilità nella Piana di Lucca», nel cui atto si prefigura la necessità di un «nuovo ponte» sul fiume Serchio, che colleghi la strada statale 12 del Brennero e la città. In tale documento si stabilisce inoltre che la definizione del progetto e la localizzazione esatta del ponte dovrà essere definita in base a ulteriori studi sulla mobilità e sulla viabilità in accordo con le indicazioni del comune di Lucca;
   il 14 aprile 2011 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Toscana, la provincia di Lucca, ANAS Spa, il comune di Capannori e il comune di Lucca sottoscrivono il protocollo d'intesa «per la realizzazione della viabilità est di Lucca comprendente i collegamenti tra Ponte a Moriano e i caselli dell'A11 del Frizzone e di Lucca est», che prevede «l'adeguamento progettuale e la realizzazione degli interventi relativi alla strada statale 12 dell'Abetone e del Brennero riguardanti la viabilità est di Lucca comprendente i collegamenti fra Ponte a Moriano e i caselli dell'A11 del Frizzone e di Lucca est» (articolo 1). Quindi si prevede la creazione di un nuovo ponte oltre alla ridefinizione totale della viabilità della città di Lucca con la creazione di nuovi assi viari;
   tale atto viene recepito il 16 giugno 2011 dalla regione Toscana e dal Governo, entrambi sottoscrivono l'integrazione all'atto aggiuntivo alla intesa generale quadro Governo-regione Toscana, ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443 e del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, «Per il congiunto coordinamento e la realizzazione delle infrastrutture strategiche con indicazione delle principali priorità». Nel contesto della legge obiettivo, si dà priorità strategica nazionale alle predette opere, che assumono dunque una rilevanza nazionale;
   per inciso, si rileva che il comune di Lucca nel piano triennale dei lavori pubblici 2011-2013 approvato con delibera del consiglio comunale n. 47 del 1o agosto 2011 non prevede la realizzazione del nuovo ponte;
   la provincia di Lucca con delibera di giunta n. 99/A del 13 dicembre 2011, senza che sia stato prodotto uno studio di fattibilità, in contrasto con le prescrizioni di cui all'articolo 128, comma 2, del decreto legislativo n. 163 del 2006, («Il programma triennale costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei propri bisogni che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono nell'esercizio delle loro autonome competenze e, quando esplicitamente previsto, di concerto con altri soggetti, in conformità agli obiettivi assunti come prioritari. Gli studi individuano i lavori strumentali al soddisfacimento dei predetti bisogni, indicano le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie degli stessi e contengono l'analisi dello stato di fatto di ogni intervento nelle sue eventuali componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche, e nelle sue componenti di sostenibilità ambientale, socio-economiche, amministrative e tecniche. In particolare le amministrazioni aggiudicatrici individuano con priorità i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica ...omissis...») inserisce l'opera nel piano di programmazione triennale (Adozione del programma triennale dei lavori pubblici e dell'elenco annuale dei lavori pubblici di competenza dell'amministrazione provinciale di Lucca» il «Piano Fondazione Cassa di Risparmio – Realizzazione Nuovo Ponte sul Serchio») per un importo di euro 18.000.000. «Finanziamento: Regione Toscana, Fondazione Cassa di Risparmio, Provincia»;
   la giunta regionale della Toscana con delibera n. 52 dell'8 febbraio 2012, dà mandato al presidente della regione di siglare il protocollo d'intesa «... tenuto conto che la Regione Toscana, la Provincia di Lucca ed il Comune di Lucca ritengono che la disponibilità fornita dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca costituisca un'importante opportunità e si rendono disponibili ad intervenire anche con propri finanziamenti da individuarsi attraverso accordi operativi del presente Protocollo considerato come indispensabilmente propedeutico alla realizzazione di quanto sopra; ...» Per la realizzazione del nuovo ponte sul Serchio la disponibilità finanziaria ammontava a 7.000.000 di euro;
   il 3 marzo 2012, in piena spending review (con il «decreto Monti», convertito in legge, inerente al riordino delle province) viene dunque stipulato un secondo protocollo d'intesa siglato da regione Toscana, provincia di Lucca, comune di Lucca e Fondazione CRL, nella quale viene inserita la programmazione del nuovo ponte «propedeutico agli accordi operativi conseguenti alla disponibilità della Fondazione Cassa di Risparmio a compartecipare alla realizzazione di interventi prioritari per la provincia di Lucca». Con questo atto gli enti coinvolti assumono l'impegno di costruire un nuovo ponte al di fuori degli impegni assunti nel primo protocollo di intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in ciò contravvenendo all'articolo 2 (Impegni dei sottoscrittori) del protocollo d'intesa del 14 aprile 2011, stante il quale «Ciascun soggetto sottoscrittore si impegna a rispettare integralmente il contenuto del presente Protocollo, in tutte le sue parti, nello svolgimento delle attività di propria competenza per la realizzazione degli interventi previsti e a promuovere adeguate attività nei confronti di Enti e soggetti terzi finalizzate alla tempestiva risoluzioni di problematiche connesse all'avvio e realizzazione degli interventi stessi, previo preliminare confronto con gli altri soggetti e accordo fra le parti» compreso il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Da tale atto deve desumersi in virtù del nuovo protocollo deve inoltre desumersi che assi viari e nuovo ponte sono due opere completamente slegate e che «La Provincia di Lucca assume il ruolo di ente attuatore dell'intervento, per cui la progettazione e realizzazione di tale intervento, saranno escluse dalle competenze di Anas»;
   in data 12 aprile 2012, la deliberazione del consiglio provinciale di Lucca n. 47/2012, inserisce il nuovo ponte nel piano triennale per un costo pari a 11.000.000 di euro. La delibera di giunta n. 90 del 12 giugno 2012, nell'ambito delle variazioni in via di urgenza al bilancio di previsione 2012 e pluriennale 2013-2014, conferma tale importo di spesa;
   in una nota firmata dal direttore generale ingegner Gaddi, della provincia di Lucca, protocollata n. 0055526/2012, del 19 marzo 2012, si legge che non è stato redatto lo studio di fattibilità. Si ricorda che la legge n. 144 del 1999, articolo 4, comma 1, prescrive che «lo studio di fattibilità per opere di costo complessivo superiore a lire 20 miliardi (di lire – 10.329.137,98 euro – N.d.R.) è lo strumento ordinario preliminare ai fini dell'assunzione delle decisioni di investimento da parte delle amministrazioni pubbliche»; all'articolo 4, comma 2, stabilisce che «gli studi di fattibilità approvati dalle amministrazioni costituiscono certificazione di utilità degli investimenti ai fini dell'accesso preferenziale ai fondi disponibili per la progettazione preliminare e costituiscono titolo preferenziale ai fini della valutazione dei finanziamenti in base alle disponibilità finanziarie degli esercizi futuri»; all'articolo 4, comma 3, prevede che «Gli studi relativi ad opere il cui costo complessivo è superiore a 100 miliardi di lire devono obbligatoriamente essere sottoposti a valutazione economica interna alle amministrazioni proponenti o, su richiesta, da parte di enti ed amministrazioni pubbliche esterne alle stesse». Ad oggi non si ha prova degli studi di fattibilità. Nel PEG, piano esecutivo di gestione, articolo 169 decreto legislativo n. 267 del 2000, di cui alla delibera della giunta provinciale n. 123 del 10 luglio 2012, il costo dell'opera è indicato in 12.700.000 euro. Con la delibera del Consiglio provinciale n. 135 del 4 ottobre 2012 si approva il bilancio di previsione 2012 e relativo pluriennale, inserendo il nuovo ponte, nel piano triennale per un costo pari a 11.000.000 euro. In data 16 ottobre 2012 con la delibera della giunta provinciale n. 182 l'ente aggiorna la propria programmazione confermando l'inserimento del nuovo ponte nel piano triennale 2013-2015, per un costo pari a 14.000.000 di euro. Nel quadro conoscitivo del piano integrato delle infrastrutture e della mobilità della regione – PRIIM, pubblicato sul BURT n. 46 parte II del 14 novembre 2012, il nuovo ponte sul Serchio risulta presente nell'elenco delle opere del sistema di assi viari di concorrenza statale-regionale, relativo all'integrazione, del 16 giugno 2011, all'atto aggiuntivo all'intesa generale quadro Governo-regione Toscana del 18 aprile 2003;
   con nota della giunta regionale prot. AOOGRT/46364/A.80 del 15 febbraio 2013 il presidente della regione Toscana ha comunicato al presidente della provincia di Lucca, al sindaco di Lucca, al presidente della fondazione Cassa di Risparmio di Lucca che «Con l'intesa informale, raggiunta nell'incontro del 28 dicembre 2012 tra i soggetti sottoscrittori è stata prevista una diversa destinazione delle risorse della Fondazione che comportano una riduzione a 100 mila euro delle risorse per la realizzazione di un ponte sul Fiume Serchio»;
   la premessa della determinazione dirigenziale della provincia di Lucca n. 1603 del 15 aprile 2013 recita «che nel Programma Triennale dei lavori pubblici e nel Piano Annuale 2013, allegati al bilancio di previsione della Provincia di Lucca, è previsto l'intervento “Realizzazione di un nuovo ponte sul fiume Serchio in Comune di Lucca”»;
   nel mese di marzo 2013 ANAS ha depositato presso la regione Toscana il «progetto preliminare» che prevede la realizzazione di due collegamenti tangenziali della città di Lucca nord-sud ed est-ovest situati entrambi sui tracciati dei vecchi progetti risalenti agli anni novanta (tutti bocciati per il loro gravoso impatto ambientale);
   in data 5 marzo 2013 è stato avviato presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il procedimento di valutazione di impatto ambientale relativo alla rete infrastrutturale «Viabilità Est di Lucca comprendente i collegamenti tra Ponte a Moriano ed i caselli dell'autostrada A11 del Frizzone e di Lucca Est». In merito alla succitata valutazione di impatto ambientale si eccepisce lo stralcio irregolare del nuovo ponte e della rete infrastrutturale, ossia «nella documentazione messa a disposizione del pubblico dalla provincia di Lucca, ovvero nel Documento di Progettazione dell'Opera del 4 luglio 2012 e nella documentazione presente sul Sito del Ministero relativamente alla precedente valutazione di impatto ambientale, relativo al precedente progetto del 2005, non si ha alcuna evidenza di un eventuale Studio di Fattibilità con il quale si sia inteso programmare l'attuale progetto «Viabilità Est di Lucca comprendente i collegamenti tra Ponte a Mariano ed i caselli dell'autostrada A11 del Frizzone e di Lucca Est». Inoltre nella seconda eccezione procedurale si eccepisce che «l'eventuale assenza di uno studio di fattibilità a programmazione dell'intervento, oltre a costituire violazione di legge, altererebbe la priorità di finanziamento alternativi già disposti, quali quelli relativi allo sviluppo ferroviario toscano e lucchese di cui al punto 1 della tabella di cui all'articolo 4 dell'Atto Aggiuntivo all'intesa Quadro Governo Regione del 16 giugno 2011» –:
   se possa confermare che nell'accordo tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Toscana e gli enti locali rientri il nuovo ponte sul fiume Serchio;
   in tale caso, visto l'accordo col Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di cui al protocollo d'intesa del 14 aprile 2011, e l'accordo quadro tra Governo e regione Toscana, stilato il 16 giugno 2011, nel quale il nuovo ponte viene inserito in un complessivo intervento infrastrutturale di rilevanza nazionale, se il Ministro sia informato dell'iniziativa assunta da regione ed enti locali che, secondo gli interroganti, si pone in contraddizione con l'accordo sottoscritto;
   se non ritenga necessario, considerata la complessità e contraddittorietà che caratterizza i procedimenti amministrativi aventi ad oggetto la realizzazione del nuovo ponte e degli assi viari, che le infrastrutture in questione vengano inserite in una nuovo programma di intervento da sottoporsi a preventiva Vas. (4-01130)


   GIOVANNA SANNA, MURA, PES e FRANCESCO SANNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i quotidiani sardi hanno informato di una richiesta avanzata dalla società Terna, responsabile del dispacciamento dell'energia nel territorio nazionale, nei confronti della società EOn proprietaria della centrale di Fiumesanto, per l'utilizzo dei gruppi 1 e 2 della stessa centrale per ulteriori 700 ore, come riserva energetica;
   tali gruppi 1 e 2, alimentati ad olio combustibile, dovevano essere chiusi già nel 2007 perché inquinanti e pericolosi sotto il profilo ambientale;
   da quattro anni la società EOn assicura una minima manutenzione degli stessi impianti la cui riattivazione produttiva, a detta degli esperti, determinerebbe un serio pericolo per l'ambiente e per gli stessi lavoratori;
   in questi mesi EOn ha comunicato e avviato un piano di ridimensionamento del personale considerato in esubero;
   l'unica prospettiva valida per Fiumesanto, per unanime parere delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali e degli enti locali del territorio, sia dal punto di vista ambientale che industriale e occupazionale, consiste nello smantellamento dei vecchi gruppi 1 e 2 e nella realizzazione del quinto gruppo;
   agli interroganti appare tecnicamente scorretta e carica di rischi la riattivazione per 700 ore dei gruppi 1 e 2 della centrale di Fiumesanto, altamente inquinanti e fuori norma già dal 2007 anche perché non è noto quali effetti, essa possa causare sotto il profilo dell'inquinamento ambientale –:
   quali siano i controlli ambientali effettuati nella centrale negli ultimi cinque anni e quali siano i sistemi di controllo dell'inquinamento attualmente operativi;
   se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga opportuno un intervento urgente in relazione alle inchieste di Terna di riattivazione dei gruppi 1 e 2 di Fiumesanto, anche come riserva, che gli interroganti ritengono inaccettabili e se intenda acquisire elementi in merito alla effettiva volontà di EOn di rispettare nei tempi stabiliti gli impegni per la costruzione del nuovo gruppo, considerato peraltro che esso non genererebbe produzione aggiuntiva ma sostituirebbe i gruppi ad olio combustibile da anni fuori norma e in prospettiva anche i gruppi a carbone, che potrebbero terminare il loro ciclo produttivo in concomitanza con l'avvio in produzione del quinto gruppo;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, considerati i ripetuti incidenti nella centrale di Fiumesanto, non valuti necessario verificare le condizioni di sicurezza in cui operano i lavoratori, anche attraverso un'ispezione sulla sicurezza degli impianti e sull'adeguatezza del sistema e degli interventi di manutenzione.
(4-01131)


   SCOTTO e MANFREDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 aprile 2010 si sviluppava un incendio di vaste proporzioni presso la frazione Polvica del comune di Roccarainola, il quale incendio distruggeva completamente una fabbrica di fuochi e razzi di segnalazione per nautica e produceva fumi potenzialmente tossici a causa della combustione dei materiali in uso presso il suddetto opificio;
   l'incendio risultava vasto e difficile da domare, al punto che per arginarlo le squadre di vigili del fuoco intervenute all'uopo impiegavano circa diciotto ore, stante i resoconti di numerosi organi di stampa;
   contemporaneamente alla combustione dei materiali tossici si manifestavano piogge che lasciavano ricadere tra le campagne circostanti sostanze quali zolfo, poliuretano e magnesio;
   l'intero territorio, ricadente nella più ampia piana di Boscofancone, è vocato ad attività agricole che producono prodotti di ortofrutta destinati al mercato campano e italiano;
   l'area in questione è adiacente alla porzione di territorio della località Difesa, sempre ricadente entro il comune di Roccarainola, già oggetto di sequestro preventivo da parte del Gip della procura della Repubblica di Nola con provvedimento del 5 marzo 2001 motivato dal riscontro di numerosi sversamenti illegali di rifiuti speciali e tossici da parte della criminalità organizzata e della conseguente compromissione di terreni e falde freatiche;
   a oggi non risulta essere stata avviata nessuna bonifica dei siti inquinati in località Difesa, con grave compromissione delle falde acquifere e della salubrità dei suoli ad onta delle prescrizioni con le quali la procura di Nola disponeva il dissequestro al termine del procedimento penale connesso (sentenza del tribunale penale di Nola n. 188 del 2008;
   alla luce delle ultime due considerazioni il quadro di contesto nel quale si e scatenato l'incendio risulta già essere particolarmente compromesso –:
   se e quali interventi di monitoraggio siano stati approntati e messi in opera da parte delle autorità competenti rispetto agli eventuali danni prodotti dall'incendio del 26 aprile;
   quali siano le risultanze delle eventuali verifiche e monitoraggi;
   se esista una corrispondenza formale con cui le amministrazioni locali e i vigili del fuoco abbiano informato le autorità sanitarie per le opportune analisi sul ciclo alimentare. (4-01133)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI BENEDETTO, NUTI, D'UVA, LUIGI DI MAIO, BRESCIA, BATTELLI, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, VACCA, MARZANA, CHIMIENTI, COLONNESE, NESCI, FICO, TOFALO, SIBILIA, DI VITA e LUPO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il sito istituzionale della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei spiega che:
    il Grande Progetto Pompei nasce da una azione del Governo italiano che, attraverso il decreto-legge n. 34 del 2011 (articolo 2), ha inteso rafforzare l'efficacia delle azioni e degli interventi di tutela nell'area archeologica di Pompei mediante la elaborazione di un Programma straordinario ed urgente di interventi conservativi, di prevenzione, manutenzione e restauro;
   il Grande Progetto Pompei è un intervento rilevante ed impegnativo da 105 milioni di euro tra fondi Fesr e nazionali, che mira alla riqualificazione del sito archeologico di Pompei entro dicembre 2015, attraverso:
    a) la riduzione del rischio idrogeologico, con la messa in sicurezza dei terrapieni non scavati;
    b) la messa in sicurezza delle insulae;
    c) il consolidamento e restauro delle murature;
    d) il consolidamento e restauro delle superfici decorate;
    e) la protezione degli edifici dalle intemperie, con conseguente aumento delle aree visitabili;
    f) il potenziamento del sistema di videosorveglianza.
   ancora sul sito del Ministero per i beni e le attività culturali è possibile prendere visione di una brochure dedicata al progetto che definisce il GPP (Grande Progetto Pompei):
    «Un grande impegno collettivo di istituzioni e di persone diverse per avviare a soluzione il gravissimo problema di conservazione di un sito archeologico tra i più importanti del mondo». [...] Impegno che «comincia a rilasciare i primi risultati tangibili e percepibili anche da parte di un pubblico di non addetti ai lavori. La complessità delle azioni da realizzare è tale da richiedere il massimo impegno e la più vasta assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti coinvolti. Si tratta infatti di un investimento straordinario basato su un approccio straordinario alla conservazione del sito archeologico quale non si era mai avuto dall'epoca della scoperta e dello scavo della città. I gravi problemi di dissesto geologico e idrogeologico, i cedimenti strutturali, il crollo delle murature e il distacco degli intonaci, siano o no decorati, il degrado delle creste murarie sono affrontati con progetti specifici di messa in sicurezza, di consolidamento strutturale, di restauro delle architetture e degli affreschi che, una volta realizzati, ripristineranno in tutte le parti livelli di sicurezza compatibili con una conservazione a lungo termine». [...] «Tutto questo è stato possibile grazie alla cooperazione rafforzata tra più Ministeri (per i beni e le attività culturali, della coesione territoriale, dello sviluppo economico, degli interni, dell'istruzione, dell'università e della ricerca)». [...] «Tutte le molteplici componenti individuate, raccordate in un piano di azioni coerenti, rendono il “Grande Progetto Pompei ” un rilevante esempio di capacità progettuali, organizzative ed esecutive di una buona amministrazione pubblica, che nel corso della realizzazione si dimostrerà sempre più un modello da proporre in ambito nazionale e comunitario»;
   sono sempre i siti istituzionali ad informare che il Governo italiano e la Commissione europea, tramite il varo del GPP, nel tempo record di soli tre mesi, hanno dato prova «di poter costruire, valutare e approvare un intervento così rilevante e impegnativo come quello che determinerà, entro il 31 dicembre 2015, la riqualificazione del sito archeologico di Pompei». Il 5 aprile 2012 alla presentazione del progetto, sono intervenuti: Mario Monti, Presidente del Consiglio dei ministri; Annamaria Cancellieri, Ministro dell'interno; Lorenzo Ornaghi, Ministro per i beni e le attività culturali; Fabrizio Barca, Ministro per la coesione territoriale; Francesco Profumo, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; Stefano Caldoro, presidente della regione Campania; Luigi De Magistris, sindaco di Napoli; Claudio D'Alessio, sindaco di Pompei;
   quanto agli interventi, essi si articolano su cinque linee d'azione: conoscenza (8 milioni e 200 mila euro); opere (85 milioni di euro); valorizzazione, fruizione comunicazione (7 milioni di euro); sicurezza (2 milioni di euro); rafforzamento della struttura organizzativa e tecnologica della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei (2 milioni e 800 mila euro): la fonte è sempre il sito del Ministero per i beni e le attività culturali;
   al solo consolidamento ed al restauro dell'area archeologica sono stati destinati 85 milioni di euro;
   la brochure poi elenca minuziosamente le opere in cantiere e i bandi di prossima pubblicazione;
   a questi dati si aggiungono le dichiarazioni del Ministro interrogato rese nell'audizione del 23 maggio dinanzi alle Commissioni cultura di Camera e Senato, con cui ha definito il grande progetto Pompei come un'opportunità da tradurre in risultati concreti posto che a due anni dal varo molto, anzi moltissimo, resta da fare;
   eppure, stando ad altre fonti, giornalistiche, in questo caso c’è poco di che star tranquilli;
   sono di novembre 2012 e di febbraio di quest'anno le notizia di crolli – ultimi di una lunga serie – di pezzi di pareti delle domus pompeiane;
   a febbraio di quest'anno, la stampa ha informato del fatto che la procura competente aveva avviato una indagine relativa all'assegnazione dei lavori dal 2008 ad oggi e che coinvolgeva, tra gli altri, D'Amora, direttore dei lavori durante la gestione commissariale ed anche l'ex commissario Marcello Fiori (funzionario della protezione civile, secondo dei sostituti del soprintendente Guzzo) inviato dal Governo Berlusconi per salvare gli scavi di Pompei nei giorni dei crolli; a detta della procura, sono emersi – in particolare – profili di illegittimità in ordine all'utilizzo di procedure derogatorie nell'affidamento dei lavori ed alla emissione di fatture gonfiate relative all'acquisto di materiali ed all'esecuzione dei lavori e anomalie nelle procedure seguite per l'allestimento delle rappresentazioni affidate al teatro San Carlo;
   è recentissima, la notizia di incredibili ribassi nelle aste tenute per l'assegnazione dei lavori previsti dal GPP, addirittura di oltre la metà della base d'asta fissata e tutte vinte dalla medesima società di costruzioni, ribassi talmente rilevanti da far temere per la qualità degli interventi che saranno posti in essere;
   a qualche giorno fa risale l’ultimatum con cui l'UNESCO ha impegnato il Governo italiano ad adottare misure idonee a per il sito;
   Pompei rappresenta, fuor di retorica, un unicum nel panorama archeologico mondiale;
   sono stati assunti degli impegni precisi e stanziati ingenti fondi;
   a fronte di ciò la situazione reale di Pompei è fatta di crolli, indagini della procura e gestione delle assegnazioni dei lavori perlomeno discutibile;
   la realtà è talmente critica e il Grande progetto Pompei tanto lontano dall'esser realizzato, che l'UNESCO è dovuta intervenire nel sollecitare il Governo italiano, fissando alla fine di quest'anno la data ultima entro cui porre in essere misure di salvaguardia –:
   come il Ministro interrogato ritenga opportuno intervenire affinché:
    a) si faccia chiarezza sulle vicende poco trasparenti relative agli appalti ed alle manifestazioni organizzate nell'area archeologica, in relazione – in particolare – ai ribassi assai sospetti delle basi d'asta;
    b) si dia piena e completa attuazione al Grande progetto Pompei, adeguandosi all'impegno che l'UNESCO ha imposto al Governo;
    c) si rilanci per quanto di competenza il turismo nell'area di Pompei.
(5-00519)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la chiesa di Sant'Agostino di Pietrasanta, edificata nel XIV secolo, è considerata non solo uno dei simboli più rappresentativi della città, ma anche uno dei principali edifici gotici della provincia di Lucca;
   la facciata della chiesa riprende motivi architettonici e decorazione plastica del San Martino di Lucca, mentre al suo interno si trovano numerose lapidi tombali a pavimento e brani di cicli ad affresco del XIV-XV secolo e una decorazione murale settecentesca;
   ad oggi la chiesa è sospesa dalle funzioni religiose e adibita a spazio espositivo per mostre d'arte contemporanea;
   recentemente, l'artista polacco Igor Mitoraj, uno dei più noti scultori contemporanei al mondo, ha donato al comune di Pietrasanta un'opera destinata ad essere installata proprio sulla facciata della chiesa di Sant'Agostino;
   l'altorilievo in bronzo di Mitoraj, che ritrae l'Annunciazione, dovrebbe andare ad occupare la lunetta che si trova sopra la porta centrale;
   l'opera pesa circa 450 chili e sporgerebbe dalla superficie della facciata di circa 40 centimetri ed ha, quindi, un peso e una conformazione considerata, da parte di esperti ingaggiati da un comitato di cittadini preoccupati per la sopravvivenza del proprio simbolo, non solo inadatta, ma addirittura pericolosa per la tenuta della facciata stessa;
   inoltre, in uno studio ingegneristico commissionato dal comitato, viene rilevato che «la vetustà del materiale potrebbe presentarsi con rotture imprevedibili anche in parti apparentemente integre, come succede per l'architrave dell'ingresso laterale», e potrebbe, quindi, provocare crolli inaspettati della chiesa, mettendo a rischio non solo la stabilità dell'edificio, ma anche la sicurezza di cittadini e turisti;
   a ciò si aggiunge il fatto che, sempre secondo quanto riportato nello studio, firmato dall'ingegner Edoardo Remedi, la facciata è già visibilmente lesionata: «si osserva uno spostamento assiale di notevole entità nella zona centrale ove appoggia il colonnato superiore, tanto che, anche a distanza si nota lo spostamento della base della colonna centrale rispetto alla perpendicolare con il capitello della stessa, tanto da rendere precaria la stabilità specialmente in caso di eventi sismici», oltre al fatto che «la parte di parete soprastante l'arco della lunetta presenta diverse lesioni molto estese, caratterizzate da notevole dilatazione dei giunti delle pietre»;
   «l'architrave della porta sottostante la lunetta su cui dovrebbe posare il manufatto, pur apparentemente integro, è vecchio di 700 anni – si legge nella relazione – e il suo comportamento in presenza di un nuovo carico di 450 chilogrammi, non può essere ragionevolmente considerato elastico lineare. Anche se i carichi verticali fluiscono quasi direttamente sulle sottostanti colonne, quella di sinistra presenta una lesione del capitello, tantoché l'appoggio sicuro dell'architrave è di soli pochi centimetri (3-4)»;
   la facciata della chiesa avrebbe dunque bisogno di profondi accertamenti e di un restauro preventivo per scongiurare il pericolo di eventuali crolli, soprattutto se si dovessero verificare degli eventi sismici, mettendo in sicurezza i cittadini di Pietrasanta e tutti gli altri visitatori della struttura;
   per il suo importante valore storico e artistico, la chiesa di Sant'Agostino di Pietrasanta costituisce un insostituibile elemento del patrimonio culturale della Toscana, che deve essere adeguatamente tutelato e valorizzato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di tutelare la struttura in questione preservandola da qualunque intervento che possa metterne a rischio la stabilità, se del caso avviando i necessari contatti con le strutture preposte in ambito locale alla salvaguardia del patrimonio culturale, al fine di individuare una soluzione alternativa che permetta al tempo stesso di valorizzare l'opera donata dal grande artista Igor Mitoraj alla città di Pietrasanta e di tutelare il patrimonio cittadino stesso. (4-01119)


   D'UVA, MARZANA, BATTELLI, DI BATTISTA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il Ninfeo di Genazzano, sito di straordinaria bellezza e di eccezionale importanza storica e artistica, fu edificato nei primi decenni del Cinquecento, stando alle fonti più accreditate, su commissione del cardinale Pompeo Colonna a Donato di Angelo di Pascuccio detto il Bramante, architetto e pittore italiano tra i più influenti artisti del Rinascimento italiano;
   l'edificio costituiva un luogo di sosta lungo la via che da Genazzano conduceva a Paliano, nella quale la famiglia Colonna possedeva la propria riserva di caccia, un rifugio in quella che è ancora oggi una delle più belle valli italiane, affacciato su un corso d'acqua che costituiva la tipica struttura raffinata e idillica della cultura umanistica del Rinascimento;
   in seguito a recenti lavori di restauro effettuati nel sito, l'originale status del Ninfeo di Genazzano risulta irrimediabilmente compromesso, dal momento che questi ne hanno gravemente alterato la bellezza artistica, facendo così sorgere forti dubbi circa il regolare svolgimento delle operazioni di restauro considerato che queste hanno, a giudizio degli interroganti palesemente violato i fondamentali principi del mantenimento e della conservazione dei caratteri storico e artistici del sito;
   in particolare il restauro avvenuto alle colonne del Ninfeo ne ha gravemente pregiudicato l'originaria bellezza, attraverso l'applicazione alle stesse di stucchi e malte cementizie a base resinosa non certo idonei a preservare il fascino e la tipicità della struttura rinascimentale del Ninfeo, con una conseguente quanto grave diminuzione del suo valore artistico e storico;
   il travertino poroso, che conferiva alla struttura una naturale bellezza estetica e un fascino storico che sin dalle sue origini caratterizzava il Ninfeo di Genazzano, è stato sottoposto a saturazione, a seguito delle operazioni di restauro, attraverso l'utilizzo di una malta del tutto estranea alla struttura, con conseguente deturpamento dell'originario aspetto;
   data la presenza di una tipologia di malta del tutto estranea alla materia travertino, sia fisicamente che chimicamente, utilizzata per la sua saturazione, sorgono forti preoccupazioni non solo dal punto di vista del deturpamento estetico, ma anche dal punto di vista strutturale;
   dal momento che l'applicazione di materiale estraneo può provocare, nel corso degli anni e attraverso fenomeni chimico-fisici dovuti alla compresenza di due o più tipologie di materiale all'interno di una struttura così antica, un grave danneggiamento alle colonne che costituiscono il Ninfeo di Genazzano, è elevato il rischio di vedere irrimediabilmente compromessi la conservazione e il mantenimento di un sito che, dato il suo elevatissimo valore storico e artistico, non può essere oggetto di interventi approssimativi e superficiali e che per questo necessita di tutela adeguata alla sua importanza per il patrimonio culturale italiano –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'attuale stato del Ninfeo di Genazzano così come restituito alla comunità a seguito di lavori di restauro apparentemente non adeguati;
   se il Ministro intenda assumere urgenti iniziative per ripristinare l'autentico status del Ninfeo di Genazzano, facendo sostituire il materiale che, applicato allo stesso, ha gravemente deturpato l'originaria bellezza artistica di un sito dall'elevato valore storico e culturale, anche attraverso l'avviamento di nuovi lavori di restauro;
   se il Ministro intenda assumere urgenti iniziative per verificare se, a seguito dei lavori di restauro, non sia stata irrimediabilmente compromessa la sicurezza strutturale delle colonne del Ninfeo di Genazzano. (4-01129)


   SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI e COSTANTINO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   gli scavi archeologici di Stabia hanno restituito i resti dell'antica città di Stabiae, nell'area dell'odierna Castellammare di Stabia, presso la collina di Varano, oltre a un insieme di costruzioni che facevano parte del suo ager;
   differentemente dagli scavi di Pompei e di Ercolano, quelli di Stabiae sono di dimensioni più ridotte e offrono la possibilità di osservare un diverso aspetto dello stile di vita degli antichi romani: mentre infatti le prime due località erano delle città, Stabiae era in epoca romana un luogo di villeggiatura, in cui furono costruite numerose ville residenziali finemente decorate e abbellite con suppellettili di inestimabile valore;
   attualmente, solo una piccola parte dell'antica città è stata riportata alla luce;
   il lavoro di scavo prosegue in carenza di fondi per il restauro e la manutenzione dell'area archeologica, con evidenti segni di cedimento delle strutture antiche appena scavate, così come si segnala nell'antico ingresso di Villa San Marco, con il puntellamento di un intero lato del cortile;
   si sono svolti lavori affidati dal Commissario delegato per l'emergenza dell'area archeologica di Pompei, relativi al restauro delle coperture delle ville romane di Stabiae;
   su area demaniale insistono, all'ingresso di Villa San Marco, almeno tre manufatti in cemento e acciaio non completati, realizzati con finanziamento dell'ACRI quale nuovo sistema di uffici e servizi alla villa romana, con grande disdoro del sito archeologico, e senza che da almeno tre anni si conosca l'esito del progetto di valorizzazione del sito di Stabiae sostenuto dalla SANP;
   molte attività di valorizzazione, ricerca, studio, scavo e attività istituzionali dello Stato, sono in realtà svolte da una fondazione privata denominata Restoring Ancient Stabiae;
   il «Protocollo d'intesa per la istituzione della sede distaccata di Castellammare di Stabia dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro», firmato in data 11 aprile 2008 a Roma presso l'ufficio del segretario generale del Ministero per i beni e le attività culturali da Ministero per i beni e le attività culturali, Iscr, direzione regionale per i beni culturali e il paesaggio della Campania, regione Campania, provincia di Napoli e comune di Castellammare di Stabia, prevedeva che una sede distaccata dell'Iscr venisse portata nell'area vesuviana;
   nel dicembre 2009 fu sottoscritta a Napoli, presso la sede della direzione regionale per i beni culturali e il paesaggio della Campania, la «Convenzione tra Ministero per i beni e le attività culturali, Regione Campania, Provincia di Napoli, Città di Castellammare di Stabia e Università Suor Orsola Benincasa di Napoli per la costituzione di un Gruppo di lavoro tecnico per la elaborazione di un progetto di utilizzo e gestione del Palazzo reale di Quisisana»;
   il 25 gennaio 2010 il suddetto progetto fu approvato con convenzione siglata presso la direzione regionale per i beni culturali e il paesaggio della Campania, con la previsione della nascita della Scuola di alta formazione in restauro gestita da università Suor Orsola Benincasa di Napoli, sede distaccata dell'ISCR e museo archeologico di Stabiae;
   negli ultimi anni il circolo Legambiente Woodwardia di Castellammare di Stabia ha in primavera organizzato una serie di guide gratuite agli scavi di Stabiae, con risultati superiori di oltre il 30 per cento rispetto alla media mensile registrata negli anni precedenti dalla soprintendenza, come riportato da «La nuova ecologia» del giugno 2013 nell'articolo «Volontari d'arte»;
   il 19 giugno 2013 il quotidiano «Metropolis» ha pubblicato un articolo su tale iniziativa, spiegando che durante le visite guidate è stato consegnato ai turisti un questionario preparato da Legambiente, i cui risultati sono stati già pubblicati –:
   eventi come il crollo della schola armaturarum di Pompei del novembre 2010 rende manifesta la mancanza di un chiaro disegno di protezione e restauro sistematico delle ville romane già alla luce;
   la fondazione privata Restoring Ancient stabiae opera nel totale isolamento rispetto alla comunità cittadina e regionale: restauratori e archeologi russi, provenienti da San Pietroburgo, operano sulle delicate pitture romane e in aree di scavo, mentre nessun passo avanti viene compiuto per portare la sede distaccata dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro nell'area vesuviana, prevista nel palazzo reale di Quisisana;
   il sito di Stabiae si è guadagnato il terzo posto per numero di visite tra gli scavi vesuviani, dietro a Pompei ed Ercolano, con numeri comunque bassi rispetto alle enormi potenzialità del sito;
   dai dati raccolti da Legambiente risulta che l'area archeologica di Castellammare, così vicina a quelle ben più note di Ercolano e Pompei, è praticamente sconosciuta ai flussi turistici di massa, e che giudizi pesantemente negativi sono stati espressi relativamente ai servizi di accoglienza e pulizia del sito, oltre che all'accessibilità (la segnaletica stradale non è chiara nell'indirizzare i turisti al sito, e la meta non è servita dal servizio di trasporto pubblico), come riportato dal suddetto articolo di «Metropolis» –:
   in cosa consistano esattamente i lavori di sostituzione delle coperture delle ville romane di Castellammare di Stabia e se si stia effettuando la programmata e necessaria attività di restauro, manutenzione e gestione delle nuove aree e stanze portate alla luce;
   se e quando saranno finiti i lavori relativi ai manufatti incompleti che offendono il decoro dell'area archeologica di Villa San Marco, o, in alternativa, quando saranno demoliti per il ripristino dello stato dei luoghi;
   quali iniziative più ampie e organiche il Ministero abbia in atto e/o in programma per la tutela del patrimonio archeologico dell'antica, Stabiae e per l'avvio di un completo piano di restauro e manutenzione degli ambienti delle ville romane visitabili di San Marco e Arianna (I e II complesso), nonché della Villa del Pastore (oggi non visitabile);
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per rendere operativi gli impegni assunti con il restauro del palazzo reale di Quisisana in Castellammare di Stabia, finanziato con deliberazione CIPE n. 162 del 6 agosto 1999 per un importo di 19.665.000,00 euro, al fine di ospitare una Scuola di alta formazione in restauro e la nuova sede del museo statale «Antiquarium stabiano» di Castellammare di Stabia, chiuso dal 1997;
   a quale titolo operi nell'area archeologica del sito di Stabiae la fondazione RAS e con quali modalità vengano selezionati i partner privati, anche universitari, che hanno la possibilità di operare sul delicato patrimonio artistico e archeologico stabiese, e se, ove presenti, non sia il caso di rivedere o risanare eventuali rapporti esistenti tra il Ministero per i beni e le attività culturali e detta fondazione privata, atteso che la stessa non apporta secondo l'interrogante alcun beneficio allo sviluppo collettivo ma, prefigura di fatto una privatizzazione per gli interroganti inaccettabile del sito archeologico di Stabiae;
   se non sia giunto il momento di fare richiesta per l'inserimento di Stabiae nella lista siti protetti dall'UNESCO di Pompei, Ercolano e Oplontis;
   se non sia opportuno pubblicizzare in maniera più efficace i beni culturali stabiesi, potenziali baricentro di un comprensorio turistico-culturale di rilevanza europea, con il sistema Pompei-Vesuvio da un lato e quello Sorrento-Capri-Positano dall'altro, elemento di cerniera tra il golfo di Napoli e quello di Salerno e punto di rilancio occupazionale ed economico per Castellammare di Stabia e le aree limitrofe. (4-01132)

DIFESA

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   la legge n. 244 del 2012, relativa alla revisione dello «strumento militare», prevede che il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito emani dei provvedimenti amministrativi per la sua attuazione; per quanto concerne gli enti e comandi soggetti a soppressione e a riorganizzazione, pare si preveda il trasferimento, nel 2018, del 3o reggimento artiglieria terrestre (Montagna) di Tolmezzo presso la caserma «Francescatto» di Cividale del Friuli e contestualmente l'accorpamento dell'8o reggimento alpini, attualmente diviso tra le sedi di Cividale e Venzone, nella caserma «Feruglio» di Venzone;
   tale riorganizzazione prevederebbe nel 2018 anche la dismissione della caserma «Cantore» (Sede tipo «B») di Tolmezzo. Tale caserma è, nella sua sede di rappresentanza, una dimora storica con saloni d'onore e stucchi del Settecento;
   la caserma «Cantore» rappresenta, per la regione della Carnia, un punto di forza sia economico che di sicurezza: si tratta infatti di un presidio di fondamentale importanza in una zona ad alto rischio sismico e idrogeologico, presidio che esplica anche una funzione di deterrenza;
   negli anni le varie ristrutturazioni delle Forze armate hanno ridotto il numero di reparti e militari sul territorio della regione Friuli, lasciando numerose infrastrutture e aree demaniali in stato di abbandono, inutilizzabili, economicamente non appetibili a privati, di impossibile riqualificazione da parte dell'amministrazione comunale per motivi economici e, molto spesso, con un pessimo impatto estetico e ambientale;
   parimenti, a Cividale del Friuli vi è una presenza storica dei militari e la comunità di Cividale ha sempre accolto di buon grado le Forze armate ed i suoi appartenenti, condividendone valori ed amor di Patria;
   Cividale del Friuli è stata riconosciuta, il 25 giugno 2011, patrimonio mondiale dell'UNESCO e l'abbandono di una infrastruttura come la caserma «Francescatto», situata in pieno centro cittadino, condurrebbe ad un inevitabile degrado;
   la comunità di Cividale ha un forte legame con gli Alpini e con l'8o reggimento alpini; oltre alla cittadinanza onoraria, a dimostrazione del forte senso di identificazione e di condivisione di valori, esistono una piazza ed un monumento ad esso intitolati –:
   se non si ritenga più razionale e più coerente con le posizioni assunte in passato dallo Stato Maggiore della Difesa, mantenere in vita l'8o reggimento alpini e la caserma «Francescatto» di Cividale del Friuli e quali iniziative si intendano mettere in campo per contrastare l'altrimenti inevitabile decadimento degli edifici che ospitano attualmente reggimento stesso;
   se non si ritenga più opportuno ripristinare a Tolmezzo la caserma «Renato Del Din», dismessa ormai da vent'anni, in attesa di riqualificazione, al fine di trasferirvi i militari della caserma «Cantore», liberando così il palazzo Linussio, che potrebbe diventare «La Villa Manin della Carnia».
(2-00131) «Sandra Savino».

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con bando pubblicato sulla G.U. IV serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, il Ministero della difesa ha bandito un concorso pubblico, per esami, a 111 posti per il profilo professionale n. 0106 di «collaboratore di amministrazione», area funzionale C, posizione economica C1 (ora Area III – FI);
   esaurita la fase concorsuale, la graduatoria dei vincitori è stata approvata con decreto dirigenziale in data 30 dicembre 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 marzo 2010;
   nell'ottobre 2011, il Ministero della difesa ha inoltrato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per la funzione pubblica ed al Ministero dell'economia e delle finanze la richiesta di autorizzazione all'assunzione, prevista dall'articolo 3 della legge 27 dicembre 1997 n. 449, relazionando sulla spesa occorrente all'assunzione;
   nel gennaio 2012, esaurita la propria fase di competenza, la funzione pubblica ha trasmesso lo schema di decreto di autorizzazione al Ministro dell'economia e delle finanze;
   da tale data l'interrogante non ha più notizia di ulteriori sviluppi;
   ben diverso «trattamento» è stato riservato ad altri concorsi: vedasi, ad esempio, quello bandito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a n. 26 funzionari amministrativi appartenenti alla medesima area III - FI;
   il concorso viene bandito dalla Presidenza del Consiglio nel novembre 2010, viene espletato nell'arco di un anno e concluso con l'approvazione della graduatoria il 28 febbraio 2012. La vera discriminazione, tuttavia, è avvenuta relativamente alla autorizzazione all'assunzione; mentre nel marzo/aprile 2012 cominciano a trapelare dall'allora Governo le prime voci di una manovra economica restrittiva, nell'arco di meno di 30 giorni, funzione pubblica e Ministero economia e finanze concedono, in tempi assai rapidi, l'autorizzazione all'assunzione dei 26 funzionari in questione, che il 16 aprile 2012 prendono servizio presso la Presidenza del Consiglio. Per essi, in meno di 18 mesi, viene conclusa la vicenda concorsuale che, per i 111 collaboratori amministrativi del Ministero della difesa, dura da sei anni;
   viene da chiedersi come mai, in un momento di revisione della spesa della pubblica amministrazione in nome di essa si giustificava il blocco delle autorizzazioni alle assunzioni di vincitori di concorsi ben più datati, veniva poi garantita una corsia ultra-preferenziale all'assunzione dei 26 funzionari alla Presidenza del Consiglio;
   il 6 luglio 2012 viene emanato il decreto-legge n. 95 (cosiddetto spending review) convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, che disponeva la riduzione del 10 per cento degli organici delle pubbliche amministrazioni entro il 31 ottobre 2012 ed, in mancanza, il blocco delle assunzioni fino al 2016 (articolo 2);
   il 24 settembre 2012 la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento Funzione pubblica dirama la direttiva n. 10/2012, con la quale fornisce chiarimenti circa le modalità operative con le quali si procederà alla riduzione del personale: i Ministeri dovranno presentare entro il 4 ottobre 2012 una proposta di riduzione, partendo dai dati risultanti dall'organico provvisorio;
   il Ministero della difesa aveva già quantificato l'organico provvisorio del personale civile con decreto ministeriale 16 gennaio 2012 ed in esso aveva incluso anche i posti del concorso in questione. Da tale pianta organica risultava pertanto una carenza di n. 175 unità in area III (ragion per cui era stato bandito il concorso a 111 collaboratori amministrativi), mentre nelle restanti aree I e II venivano quantificati esuberi di personale, che si proponeva di assorbire con il piano dei pensionamenti;
   tale proposta è stata pienamente recepita nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 gennaio 2013, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 87 del 13 aprile 2013, che, in attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012 ha definitivamente proceduto alla «rideterminazione delle dotazioni organiche del personale di Ministeri»;
   in tale decreto, l'organico del personale civile di III area del Ministero della difesa è quantificato in 2.681 unità, a fronte delle 2.506 effettivamente in servizio, quindi esso risulta carente di 175 unità e, tra esse, i 111 collaboratori amministrativi del concorso in questione –:
   quali provvedimenti intendano adottare i Ministri interrogati rispetto all'assunzione dei vincitori e degli idonei del concorso descritto in premessa. (4-01127)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   PORTA e TIDEI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 17 ottobre 2007 il Ministro degli affari esteri italiano pro tempore, in occasione della III Conferenza nazionale Italia-America Latina e Caraibi, ha siglato con il Presidente della Corporacion Andina de Fomento (CAF) un memorandum di intesa per avviare negoziato finalizzato all'ingresso dell'Italia nel consiglio di amministrazione della Corporacion Andina de Fomento;
   la Corporacion Andina de Fomento è la banca di sviluppo più attiva nella regione latinoamericana, insieme alla Banca interamericana di sviluppo, tanto è vero che la Spagna, con cui l'Italia collabora nelle relazioni dell'Unione europea con l'America latina, è già presente nel Consiglio di amministrazione della Corporacion Andina de Fomento;
   la partecipazione alla Corporacion Andina de Fomento si inserisce nel più ampio quadro della politica di rilancio delle relazioni con l'America latina;
   in una fase di crisi economico-finanziaria come quella attuale diventano ancor più significative le potenzialità legate agli investimenti nell'area latinoamericana, per molte imprese italiane, che nell'accesso ai fondi messi a disposizione della Corporacion Andina de Fomento possono trovare una positiva alternativa alle restrizioni incontrate in altre aree;
   l'11 maggio 2009 è stata presentata dagli onorevoli Porta, Maran, D'Alema, Fassino, Fedi e Narducci del Partito Democratico una interrogazione a risposta immediata in Commissione III – atto Camera 5/01401 – nella quale si chiedevano al Ministro degli affari esteri chiarimenti in merito all'ingresso dell'Italia nel consiglio di amministrazione della Corporacion Andina de Fomento;
   il sottosegretario pro tempore Stefania Craxi ha risposto agli interroganti che veniva comunicato dal Ministero dell'economia e delle finanze che non era stata ancora raggiunta un'intesa su una presenza italiana nella governance della banca sufficientemente significativa e coerente con l'ammontare delle risorse che l'Italia era disposta ad impegnare e che il Ministero degli affari esteri pro tempore stava definendo assieme agli organismi della banca, i termini di un eventuale accordo di sede qualora il Corporacion Andina de Fomento intendesse aprire un proprio ufficio in Italia –:
   se vi siano stati avanzamenti nel processo negoziale, se lo stesso si sia concluso o eventualmente quali iniziative intenda adottare il Governo per completare l'ingresso dell'Italia nel consiglio di amministrazione della Corporacion Andina de Fomento. (3-00177)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 527, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013), stabilisce che, decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge n. 228 (cioè a decorrere dal 1o luglio 2013), i crediti di importo fino a 2.000 euro iscritti in ruoli esecutivi fino al 31 dicembre 1999, sono automaticamente annullati;
   a fronte di tale chiarissimo disposto normativo, il Ministero dell'economia e delle finanze, con circolare del ragioniere generale dello Stato n. 29 del 7 giugno 2013, indirizzata alle amministrazioni centrali dello Stato e, per conoscenza, alla Corte dei conti e ad Equitalia, ha fornito un'interpretazione della norma che appare del tutto contraria alla lettera ed allo spirito della stessa;
   in particolare, la predetta circolare raccomanda alle predette amministrazioni «ove l'automatico annullamento riguardasse partite creditorie ancora realizzabili, di attivarsi prontamente per il ritiro dei ruoli concernenti i crediti di cui trattasi, già trasmessi a suo tempo all'agente della riscossione, notificando, se del caso, al debitore un atto ingiuntivo, idoneo ad interrompere i termini di prescrizione in modo da poter riprendere l'attività di riscossione coattiva dopo la richiamata data del 1o luglio 2013»;
   in sostanza, la ragioneria generale, a giudizio dell'interrogante travalicando completamente le proprie competenze, invita le amministrazioni a disapplicare la norma che esse sono invece tenute ad attuare, utilizzando, in modo del tutto inaccettabile, l’escamotage di ritirare i ruoli emessi in base ai predetti crediti, al solo scopo di evitarne surrettiziamente l'annullamento;
   evidentemente, le indicazioni contenute nella citata circolare non consentono una regolare attuazione della predetta previsione legislativa, ma finiscono di fatto per aggirarla e per svuotarne completamente il contenuto, attraverso un'interpretazione della stessa ad avviso dell'interrogante pretestuosa, illegittima sul piano giuridico e, soprattutto, in palese contraddizione con il principio, sancito con chiarezza, tra l'altro, dallo statuto dei diritti del contribuente, secondo cui occorre salvaguardare lealtà e buona fede nei rapporti tra fisco e cittadini;
   appare pertanto urgente che il Governo sani tale atto, ad avviso dell'interrogante illegittimo, che potrebbe del resto essere sanzionato dalla Corte dei conti, correggendo al più presto il contenuto della circolare, la quale ha, come prevedibile, già suscitato notevoli polemiche presso gli organi di informazione –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di disporre il ritiro o, almeno, la radicale correzione della citata circolare n. 29 del 7 giugno 2013, al fine di assicurare il pieno rispetto della norma recata dall'articolo 1, comma 527, della legge n. 228 del 2012. (5-00518)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Capri è stata da sempre sede di pretura mandamentale;
   a seguito della riforma del 1989, l'isola è divenuta sede di sezione distaccata della pretura circondariale di Napoli;
   a seguito della riforma del giudice unico di primo grado del 1999, l'isola è divenuta sede di sezione distaccata del tribunale di Napoli;
   la sezione distaccata di Capri ha sede nel medesimo immobile di via Roma che ospita al piano interrato, con accesso da via Lo Palazzo, anche l'ufficio del giudice di pace, sopravvissuto ex lege;
   presso la sezione di Capri lavorano unità impiegatizie ed addetti all'ufficio esecuzioni, in buona parte residenti sull'isola di Capri;
   la soppressione della sezione distaccata di Capri, in considerazione del bacino d'utenza, del contenzioso, della mancanza di continuità territoriale e delle difficoltà di raggiungimento della terraferma, di recente aggravate dalla riduzione del numero dei collegamenti marittimi, comporterebbe seri disagi ai cittadini ed agli operatori del diritto;
   la soppressione della sezione distaccata di Capri comporterà ingenti esborsi per il trasferimento dei fascicoli, degli arredi, delle attrezzature e dell'archivio, la dismissione dei relativi rifiuti speciali;
   la soppressione determinerebbe un fortissimo disagio per tutti i soggetti diversamente abili e per le loro famiglie, che, in sede di volontaria giurisdizione, chiedono abitualmente al tribunale amministrazioni di sostegno, interdizioni, curatele, autorizzazioni correlate;
   il palazzo di giustizia di Napoli, già allo stato sovraffollato non dispone di spazi sufficienti ad accogliere tutte le otto sezione distaccate soppresse, né le sole quattro sezioni dell'area meridionale (Pozzuoli, Portici-Ercolano, Capri ed Ischia);
   per di più, la prevista istituzione di una sezione stralcio presso il tribunale di Napoli per la definizione dei procedimenti attualmente pendenti dinanzi alle sezioni distaccate aggraverebbe notevolmente il carico giudiziario della sede centrale con il rischio di un consistente rallentamento dell'attività giudiziaria;
   il comune di Napoli si trova, inoltre in una difficile situazione finanziaria, che non consente di far fronte alla spesa necessaria a garantire il trasferimento degli uffici della sezione distaccata di Capri, con i relativi arredi, beni strumentali e l'intero archivio, alla sede centrale del tribunale di Napoli in terraferma –:
   se il Governo sia intenzionato ad adottare idonee disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 155 del 2012, che tengano conto della specificità territoriale e delle esigenze civili delle comunità isolane preservando il presidio giudiziario presente sull'isola di Capri;
   se, in subordine, il Governo, considerate le problematiche di natura logistica di tale rilevanza ed eccezionalità da non consentire in alcun modo il trasferimento delle risorse materiali, umane e dei servizi della sezione distaccata di Ischia, intenda avviare la procedura di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012, per l'utilizzo del palazzo di giustizia di Capri quale sede distaccata del tribunale di Napoli;
   se, in subordine, il Governo abbia intenzione di assicurare con modalità diverse da quelle indicate l'effettivo e regolare esercizio del diritto di accesso alla giustizia per i cittadini dell'isola di Capri. (4-01114)


   MORASSUT e VERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il signor Paolo Del Din nato ad Agordo il 18 agosto 1962, condannato alla pena di sei anni di reclusione per traffico di stupefacenti è attualmente detenuto presso il carcere di Rebibbia;
   il 5 dicembre 2009, Del Din veniva colto da infarto cardiaco e quindi trasferito d'urgenza all'ospedale «S. Pertini» di Roma;
   per tale motivo il giudice riconosceva l'incompatibilità del Del Din col regime carcerario ordinario e ne disponeva il trasferimento nel centro clinico del carcere di Pisa;
   nonostante ciò, il giorno 13 maggio 2010, il detenuto veniva colto nuovamente da grave attacco cardiaco;
   per tale ragione, il giudice per le indagini preliminari sostituiva la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari per motivi di salute (il detenuto infatti è cardiopatico e affetto da diabete mellito e sofferente di ipertensione arteriosa);
   il giudice in un secondo momento disponeva nuovamente la custodia in carcere nonostante le gravi condizioni di salute;
   il rinnovato stato di detenzione presso il carcere aggravava nuovamente le condizioni di salute del detenuto che, infatti, in data 8 gennaio 2013, subiva un ulteriore attacco cardiaco;
   nonostante le gravi condizioni di salute e la forte debilitazione dovuta al diabete, il detenuto, a quanto pare, sarebbe stato collocato su di una branda posta al terzo piano, dalla quale in data 24 aprile 2013 cadeva fratturandosi il collo del femore sinistro;
   in seguito a tale caduta, il detenuto, veniva trasportato in ospedale e sottoposto ad intervento di artroprotesi dell'anca sinistra per frattura della testa del femore sinistro;
   il detenuto si trova ora ricoverato presso l'infermeria del carcere di Rebibbia-Penale –:
   se sia vero che, nonostante le gravi condizioni di salute, al detenuto sia stata assegnata una branda posta al terzo piano e se sia compatibile con la normativa vigente che un detenuto possa essere alloggiato su di una branda posta al terzo livello;
   se reputi che ciò sia compatibile con le condizioni di salute del detenuto Paolo Del Din;
   cosa sia effettivamente successo il giorno 24 aprile 2013 e in particolare quale sia la ricostruzione dei fatti e cosa abbia portato alla caduta del detenuto con conseguente frattura del femore;
   se l'attuale condizione di sovraffollamento carcerario abbia influito sulle condizioni di salute del detenuto;
   con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto;
   se il detenuto fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sicurezza, sanità e igiene e comunque rispondente ai parametri stabiliti nel nostro ordinamento;
   quali siano le dotazioni sanitarie del carcere di Rebibbia per la cura e la prevenzione delle malattie cardiache e diabetiche e se siano adeguate ai casi patologici gravi. (4-01122)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lungo il tratto del raccordo autostradale Potenza-Sicignano degli Alburni si registrano numerosi disagi per gli automobilisti;
   in particolare per quattro chilometri da Balvano a Vietri di Potenza per lavori di manutenzione al viadotto di Pietrastretta da 150 giorni è percorribile solo dalle autovetture escluso mezzi pesanti;
   dal 2008 si viaggia su un'unica carreggiata quella in direzione Buccino in doppio senso di marcia;
   nel mese di febbraio 2013 l'Anas ha stabilito il divieto di transito per i mezzi superiori a 3,5 tonnellate e con sagoma superiore a 2.30 metri;
   il 3 luglio era prevista la riapertura e ad oggi ancora non è dato sapere se questo termine verrà rispettato;
   per ottemperare a questi divieti gli automobilisti si trovano davanti degli ostacoli tra cui anche il varco di accesso delimitato da due blocchi di new jersey;
   un passaggio a detta di molti automobilisti degno più di una prova di abilità per piloti che per normali utenti della strada;
   non pochi infatti sono stati gli incidenti e i danni provocati agli autoveicoli da questo varco;
   a questo va aggiunto il pessimo stato del manto stradale in quanto diventa difficile l'azione di manutenzione senza chiudere completamente l'arteria;
   quella di Sicignano è la porta di accesso alla Basilicata e allo Jonio per chi percorre l'A3 Sa-Rc, unica arteria a 4 corsie che collega Tirreno e Jonio, Salerno a Taranto e quindi trafficata da veicoli industriali e da mezzi trasporto merci;
   tutto questo comporta costi aggiuntivi in un periodo di crisi;
   è anche un'arteria turistica e in queste condizioni non è davvero un bel biglietto da visita per chi vuole una vacanza e non un percorso ad ostacoli –:
   se e quando effettivamente i lavori di manutenzione verranno completati, quale sia lo stato di salute dell'arteria in questione, se siano previsti altri interventi e quali misure intenda adottare per procedere ad un completo ammodernamento considerata la strategicità del raccordo autostradale e della stessa Basentana in chiave economica. (5-00501)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A3, Salerno-Pompei-Napoli, in concessione alla società autostrade meridionali (SAM), costituisce una infrastruttura fondamentale e di primaria rilevanza per il collegamento fra la città di Salerno, l'Agro Sarnese e Nocerino, l'area Stabiese e l'area Torrese e la città di Napoli;
   si tratta di un collegamento essenziale anche per l'innesto sul sistema autostradale meridionale e verso Roma;
   questa autostrada attraversa e collega territori e città popolate da più di due milioni di abitanti;
   da troppi anni sono in corso lungo la tratta napoletana dell'autostrada lavori indispensabili di ammodernamento, di messa in sicurezza, di ampliamento della sede stradale con la realizzazione in alcuni tratti della terza corsia;
   è necessario che tali lavori siano finalmente definiti e conclusi in tempi certi e ravvicinati, considerando il fortissimo pregiudizio che obiettivamente finiscono per arrecare alla circolazione ed alla sicurezza degli utenti, attesi il pericoloso restringimento della carreggiata in alcuni tratti e le lunghe code ed intasamenti di traffico che assai spesso si vengono a creare;
   i lavori vanno definitivamente ultimati, anche perché la concessione ANAS-SAM è già scaduta il 31 dicembre 2012;
   urge, pertanto, l'affidamento con gara pubblica della nuova concessione;
   fra l'altro, lungo la direzione Pompei-Scafati e San Giorgio a Cremano, in diversi tratti, pure ultimati con tre corsie funzionanti, rimangono i cartelli del limite di velocità a 60 chilometri che invece è pienamente giustificato ed indispensabile in quei tratti con due corsie ed a lavori in corso e con pericolosi restringimenti di carreggiata;
   troppi ritardi e troppi rinvii si sono accumulati nel corso di questi lavori;
   in diverse occasioni, nella precedente legislatura, l'interrogante ha presentato atti di sindacato ispettivo su questa specifica e così rilevante questione –:
   quale sia la situazione effettiva dei lavori sino ad oggi svolti lungo l'autostrada Salerno-Pompei-Napoli, quale sia il programma ed il calendario aggiornato dei lavori in corso e di quelli ulteriori da eseguire, i relativi tempi di esecuzione, le scadenze previste, la data finale preventivata per la ultimazione di tutte le opere, le risorse finanziarie sino ad oggi impiegate ed il costo totale previsto per la realizzazione dell'intero progetto di ammodernamento, adeguamento e messa in sicurezza dell'autostrada;
   quali iniziative si intendano adottare visto che per diversi tratti dell'autostrada, fra Scafati-Pompei e San Giorgio a Cremano rimangono fermi i cartelli del limite di velocità a 60 chilometri benché quei tratti siano ultimati e quindi dispongono di tre corsie funzionanti;
   quali iniziative il Ministro abbia assunto e abbia in corso di concreta esecuzione per l'affidamento con massima sollecitudine ed attraverso gara pubblica della nuova concessione, essendo quella in corso con la SAM scaduta già dal 31 dicembre 2012. (5-00503)


   CAPARINI e BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tutto il territorio della Valle Trompia sopporta danni gravissimi, ambientali, sociali ed economici, a causa della congestione del traffico sull'unica strada che attraversa la Valle;
   l'ennesimo incidente automobilistico dei giorni scorsi ha creato lunghe code che hanno bloccato per ore il flusso delle persone e merci;
   le amministrazioni locali hanno realizzato una serie di iniziative minori dirette ad alleggerire il traffico, insufficienti però a risolvere i problemi della viabilità principale, dimostrando tuttavia da sempre la loro disponibilità di collaborazione con le amministrazioni centrali;
   la necessità di adeguare le infrastrutture della Valle è una primaria esigenza sia per i cittadini sia per le imprese che, con fatica, cercano di affrontare al meglio le sfide economiche attuali e future;
   si tratta di una valle operosa dal punto di vista produttivo che già rischia di soccombere a causa della grave crisi economica e che viene maggiormente penalizzata per la mancanza di collegamenti alternativi che consentano una mobilità adeguata alle quotidiane esigenze;
   i cittadini aspettano da anni la realizzazione del tratto autostradale della Valtrompia, progetto quest'ultimo già previsto, approvato e finanziato da tempo, che, tuttavia, non riesce a partire per motivi indipendenti dal territorio;
   il progetto definitivo è stato approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) nel 2004 e quello esecutivo nel 2005 e, pertanto, l'infrastruttura avrebbe dovuto già essere realizzata;
   i ritardi registrati per la realizzazione della nuova infrastruttura mettono in grave crisi anche le amministrazioni locali per la persistenza dei vincoli urbanistici presenti sul territorio;
   negli ultimi mesi sono apparse notizie stampa allarmanti sul rinnovo della concessione autostradale della Brescia-Padova che potrebbe incidere anche sulla costruzione dell'infrastruttura autostradale della Valtrompia –:
   se il Ministro intenda riesaminare e tenere nella massima considerazione le complesse questioni legate alla viabilità della Valtrompia chiarendo l'orientamento del Ministero e dell'ANAS per la risoluzione delle problematiche e per la realizzazione dell'infrastruttura alternativa alla insufficiente viabilità attuale. (5-00507)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 25 giugno 2013 il treno intercity partito da Roma Termini alle ore 6:39 è arrivato a Taranto con oltre 120 minuti di ritardo; analogamente lo stesso treno intercity che sarebbe dovuto partire circa un'ora dopo il suo arrivo a Taranto e cioè alle ore 14:00, ha tardato la sua partenza di quasi 110 minuti;
   in stazione a Taranto, il personale preposto alla biglietteria ignorava le motivazioni di tale ritardo così come nessuno ha informato adeguatamente la cittadinanza e la clientela che aspettava spazientita la partenza del treno per la Capitale;
   alle 22:00 circa il treno in direzione per Roma si è fermato nuovamente nei pressi di Formia e il controllore ha informato i malcapitati viaggiatori che il treno si sarebbe fermato per altri 20 minuti e incalzato dalle domande della clientela il dipendente di Trenitalia affermava che il ritardo era stato causato da un incidente di un mezzo ferroviario adibito al trasporto delle merci avvenuto in mattinata nella stazione di Formia;
   a detta dell'interrogante Trenitalia non solo ha peccato da un punto di vista della comunicazione, non avendo fornito utili spiegazioni ai passeggeri, ma anche organizzativo non avendo predisposto alcun servizio sostitutivo, consentendo, così, che l'incidente avvenuto nella mattinata avesse ripercussioni sino a notte tarda quando sarebbe stato sufficiente istituire dei servizi navetta sostitutivi;
   il sopra citato intercity è arrivato a Roma dopo aver accumulato un ritardo finale complessivo di oltre 240 minuti;
   attualmente il servizio di Trenitalia offre solo 2 corse giornaliere senza cambio da Taranto a Roma e il loro ritorno, con gli intercity in partenza da Taranto alle ore 7:50 e in arrivo a Roma alle ore 14:21 e in partenza da Taranto alle ore 14:00 in arrivo a Roma alle ore 20:41;
   non esistono corse notturne senza cambio da Taranto verso Roma;
   a causa dell'esiguo numero di corse giornaliere, ogni ritardo rischia di trasformare il viaggio in una odissea per i passeggeri;
   le corse da e per Roma dal capoluogo Jonico prevedono 1, 2 o addirittura 3 cambi tra treni intercity, regionali, freccia argento, freccia rossa e perfino autobus senza nessun oggettivo risparmio di tempo nei confronti del treno intercity diretto Taranto-Roma e senza alcun risparmio su costi del biglietto che risultano essere persino superiori;
   negli ultimi anni la politica di tagli attuata da Trenitalia verso Taranto ha reso un servizio sempre più scadente e vincolato a poche alternative per lo spostamento da e per la capitale;
   neanche le rotte aeree costituiscono una valida alternativa per i cittadini che intendano spostarsi tra Taranto e Roma poiché l'esistente e ben fornito aeroporto «Arlotta» di Grottaglie è precluso a voli passeggeri di linea per cui un tarantino per spostarsi verso la capitale con l'aereo è costretto a partire dall'aeroporto di Bari o di Brindisi usufruendo o di un servizio trasporti che si articola in diversi cambi in treno per arrivare agli aeroporti pugliesi abilitati al trasporto passeggeri, con un tempo di percorrenza superiore anche all'ora o, in alternativa, dei pulmini diretti per gli aeroporti che spesso arrivano a destinazione anche diverse ore prima del volo;
   a detta dell'interrogante, dunque, e alla luce di quanto sopra descritto, il collegamento tra Taranto e la Capitale sembra essere più deficitario di quello afferente ad altri capoluoghi di provincia che, a differenza di Taranto, hanno sul proprio territorio aeroporti e stazioni ferroviarie;
   il territorio Tarantino, anche alla luce anche della delicatissima questione concernente l'Ilva, sta affrontando una fase di forte crisi economica che potrebbe essere attenuata, in parte, da uno sviluppo turistico della zona che richiede, però, la previsione e l'implementazione di infrastrutture di collegamento efficienti –:
   se il Ministro non ravvisi nel comportamento osservato da Trenitalia degli elementi di forte criticità, non ritenga tale atteggiamento lesivo dei diritti dei passeggeri e quali iniziative di competenza intenda adottare;
   quali iniziative intenda adottare affinché venga garantito un collegamento tra la città di Taranto e Roma più efficiente, più frequente e che non comporti, per gli spostamenti su rotaia, cambi di vettura;
   se non ritenga opportuno adottare, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative volte a rilanciare l'aeroporto Arlotta di Grottaglie per i voli civili. (4-01117)


   PISO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la divisione cargo di Trenitalia versa da tempo in uno stato di crisi, con i conti perennemente in rosso: negli ultimi cinque anni, infatti, l'azienda ha perso più della metà delle sue quote di mercato ed ha ridotto di un quinto l'organico;
   nonostante Trenitalia Cargo applichi un contratto di lavoro con costi più elevati, essa riesce a praticare tariffe più basse rispetto ai competitor privati (riuniti nell'associazione Fercargo), i quali nonostante questo tra il 2008 e il 2013 sono passati da 500 dipendenti e 3 milioni e 400 mila treni-chilometro trasportati all'anno a 1.600 dipendenti e 13 milioni e mezzo di chilometri;
   la Corte dei conti, nella relazione che è seguita al controllo effettuato sulla gestione finanziaria di Ferrovie dello Stato italiane spa per gli esercizi 2009 e 2010, al capitolo terzo, paragrafo 3, relativo al servizio universale del trasporto ferroviario merci, ha rilevato che esiste un mercato concorrenziale per il trasporto merci sostanzialmente solo nel Nord Italia, mentre al Sud il servizio è gestito esclusivamente da Ferrovie dello Stato italiane spa. Tale servizio, che è in perdita, continua ad essere sovvenzionato attraverso i proventi delle attività a mercato, in quanto dovrebbe garantire un servizio di natura universale;
   la magistratura contabile, nella stessa relazione, ha sottolineato — altresì — che: «In questo contesto, la produzione di servizi in perdita, “sovvenzionati” attraverso i proventi delle attività cosiddette a mercato — peraltro, in diminuzione per effetto della concorrenza — è ritenuta ingiustificata dal punto di vista industriale. È necessario, pertanto, definire con precisione quale sia il perimetro dei servizi di trazione merci ritenuti “di natura universale”, espletati in funzione di contratti di servizio certi, e di durata congrua»;
   la stessa Corte dei conti, nella relazione citata, chiede maggiore chiarezza e trasparenza nelle procedure e nel conferimento delle risorse per il servizio, affermando che «l'Autorità dei trasporti dovrà fungere da organismo di regolazione del settore, anche attraverso l'emanazione di direttive per assicurare la trasparenza, la disaggregazione e la separazione contabile e gestionale delle imprese regolate, anche in modo da distinguere costi e ricavi riguardanti le attività di servizio pubblico»;
   il 3 dicembre 2012 il Governo Monti ha sottoscritto con la divisione cargo di Trenitalia il nuovo contratto di servizio universale 2009-2014 (con un consuntivo finale di circa un miliardo di euro erogato dal 2004 al 2014), ovvero il sistema con cui lo Stato contribuisce economicamente all'effettuazione dei servizi ferroviari merci laddove il mercato, per scarsa redditività, porterebbe a non operarne;
   tale sottoscrizione è avvenuta senza che sia stata indetta apposita gara, e in un clima di ufficiosità sia da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che di Trenitalia, i quali sembrano ignorare la fine del regime monopolistico e il peso crescente delle imprese ferroviarie private (oggi circa il 30 per cento in termini di treni-chilometro);
   esistono tuttavia due indicazioni documentali piuttosto attendibili al riguardo: la prima è una delibera del 6 marzo dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, in cui, a latere di un'istruttoria riguardante la richiesta di Trenitalia di esenzione dall'obbligo di svolgimento (attivo) di gare d'appalto, si spiega che il servizio universale «è svolto da Trenitalia sulla base di un contratto di servizio che disciplina i “servizi di trasporto merci di interesse nazionale sottoposti a regime di obbligo di servizio pubblico” per il periodo 2009-2014. Il contratto, sottoscritto in data 3 dicembre 2012, è in corso di perfezionamento». La seconda è la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 2013 di una delibera del CIPE del 21 dicembre 2012 nella quale si esprime «parere favorevole in ordine alla proposta di Contratto relativo ai servizi di trasporto merci di interesse nazionale sottoposti a regime di obbligo di servizio pubblico per il periodo 2009-2014», enumerando contestualmente i contributi ricevuti da Trenitalia negli ultimi anni (110,8 milioni di euro nel 2009, 128 nel 2010 e 128,3 nel 2011);
   la citata delibera CIPE certifica — altresì — come il CIPE decida per il rinnovo contrattuale nonostante la consapevolezza che «la Commissione Europea ha in corso una indagine conoscitiva sull'intervento finanziario assicurato dal contratto di servizio in esame, volta a verificare la sussistenza di aiuti di Stato», tanto che il nuovo contratto «subordina, per il periodo successivo al 3 dicembre 2012, l'erogazione dei servizi e il pagamento dei corrispettivi alla necessità di dare attuazione alla eventuale decisione che la Commissione dovesse adottare in materia»;
   in Italia la percentuale di merce che circola su rotaia è nell'ordine del 5-6 per cento a fronte di una contrazione in volumi (treni/chilometri) di circa il 40 per cento avvenuta negli ultimi cinque anni (2008-2012). In particolare nel sud del Paese i volumi di traffico sono fortemente diminuiti fino alla chiusura di molti scali ferroviari specie in Sicilia e Sardegna –:
   se risponda al vero, come riportato dal quotidiano Il Fatto, in data 5 giugno 2013, che Trenitalia Cargo applichi tariffe bassissime rispetto ai suoi competitor (-40 per cento) e che dal 2008 al 2012 le quote di mercato della sopra citata azienda statale sono scese dai 63 milioni di treni/chilometro ai circa 30 attuali;
   se Trenitalia spa divisione Cargo per l'attività in regime di servizio universale fornisca o meno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un rendiconto dettagliato dei servizi effettuati;
   se, a fronte di un evidente calo delle attività in regime di servizio universale, si ritenga giustificato il mantenimento costante nel tempo della quantità di risorse erogate dallo Stato in favore di Trenitalia per l'espletamento del servizio in questione;
   se sia possibile avere maggiori specifiche del nuovo contratto di servizio riguardante il periodo 2009-2014, firmato in data 3 dicembre 2012;
   se rispondano al vero le notizie che danno il sopra menzionato contratto di servizio non ancora perfezionato. (4-01125)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2010 Rete ferroviaria italiana (RFI) ha consegnato alla direzione infrastrutture della regione Friuli Venezia Giulia il progetto preliminare dell'alta velocità (TAV) da Venezia a Trieste, la cui realizzazione è stata fatta rientrare nelle «grandi opere» infrastrutturali, a completamento del «Corridoio paneuropeo multimodale V» dell'Unione europea;
   l'anno successivo Rete ferroviaria italiana e la società attuatrice Italferr, hanno suddiviso in quattro tronconi (Mestre-Aeroporto M. Polo, Aeroporto-Portogruaro, Portogruaro-Ronchi dei Legionari e Ronchi dei Legionari-Trieste) il progetto della linea ferroviaria TAV tra Venezia e Trieste, avviando quindi altrettante procedure di valutazione d'impatto ambientale (VIA) distinte. Questa pratica, nota come project splitting, è stata ripetutamente censurata dalla direzione generale ambiente della Commissione europea perché rende difficile sia la valutazione complessiva degli impatti ambientali, sia quella delle possibili alternative;
   ad oggi è in corso la procedura di valutazione d'impatto ambientale da parte della Commissione di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulle quattro tratte, per le quali è stata chiesta un'integrazione della documentazione a Italferr, anche se il progetto sarà valutato nel suo complesso;
   questa infrastruttura non solo costerebbe circa 5,7 miliardi di euro – somma insostenibile per le attuali condizioni finanziarie del Paese – ma avrebbe un impatto negativo proprio sul territorio che dovrebbe invece favorire;
   il 2 giugno 2013 l'attuale commissario straordinario per la Tav Venezia-Trieste Bortolo Mainardi, nominato dall'ultimo Governo Berlusconi, in un'intervista al quotidiano Il Messaggero Veneto ha sostenuto l'impossibilità di realizzare in tempi brevi l'infrastruttura;
   per Mainardi sarebbe possibile, invece, la quadruplicazione della linea ferroviaria esistente, un progetto a impatto zero e dal costo stimato di 800 milioni di euro;
   la presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha dichiarato alla stampa che «probabilmente il Commissario Mainardi rammenta le parole che ha pronunciato lui stesso ad agosto del 2012 quando, sottolineando i costi “eccessivi e inaccettabili” dal punto di vista economico e ambientale della Tav Mestre-Trieste, ha detto no alla Tav, sì al potenziamento dell'attuale linea»;
   secondo la Presidente Serracchiani bisogna fare chiarezza sull'argomento, visto che sull'eventuale quadruplicamento della linea esistente «non vi è traccia alcuna», in pratica non sono stati presentati in regione progetti alternativi alla TAV;
   in un'intervista a Off the report – la trasmissione televisiva andata in onda su Rai 3 il 26 maggio 2013 – l'amministratore delegato del Gruppo Ferrovie dello Stato Mauro Moretti alla richiesta di spiegare il motivo per la soppressione dell'ultimo treno dall'Italia alla Slovenia ha dichiarato: «È meglio che lo Stato finanzi un taxi per i pochi passeggeri che ci sono piuttosto che tenga un treno che costa cento volte tanto e che dovrebbe essere pagato dai contribuenti» –:
   se il Ministro interrogato condivida le esternazioni del commissario straordinario del Governo Mainardi;
   se esista un progetto di potenziamento della linea ferroviaria Venezia-Trieste alternativo a quello dell'alta velocità, la cui realizzazione risulta molto difficile non solo per motivi economici, ma anche per l'avversione di numerose associazioni ambientaliste e di parti consistenti della società civile;
   quali siano le criticità e le percentuali di utilizzo nei colli di bottiglia della linea Venezia-Trieste e della linea transfrontaliera con la Slovenia che passa per la stazione di Villa Opicina (Trieste);
   se le criticità possano essere affrontate senza la quadruplicazione di tutta la linea, ed in particolare di quella tratta di confine che l'ingegner Moretti ha dichiarato essere improduttiva per il trasporto passeggeri;
   se non sia più opportuno finanziare e rilanciare da subito i collegamenti ferroviari sulle linee esistenti, con riguardo ai collegamenti transfrontalieri relativi alla Slovenia e all'Austria, piuttosto che intraprendere lunghi e costosi lavori per il potenziamento delle linee che già ora sono considerate improduttive. (4-01128)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Paternò, in contrada «Sciddicuni» nei giorni scorsi un allevatore si è ritrovato con il proprio gregge sterminato e una testa di pecora tagliata davanti la propria casa;
   l'allevatore Emanuele Feltri come raccontano le cronache dei giornali avrebbe subito tale gravissimo atto a causa della proprie battaglie in difesa del fiume Simeto;
   si tratta di un gesto che va ben oltre l'intimidazione e necessita di una risposta adeguata da parte dello Stato –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per tutelare la sicurezza dell'allevatore e consentirgli di poter continuare nella propria attività. (3-00174)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo svolgimento di attività di pubblico trattenimento (musica, balli e altro) presso pubblici esercizi (bar, ristoranti e simili) ha subito una recente innovazione con il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 9 febbraio 2012, n. 33, S.O.), convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
   l'articolo 13, comma 2, del decreto ha, infatti, abrogato l'articolo 124, comma 2, del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, «Abrogazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza» il quale disponeva: «Sono soggetti alla stessa licenza gli spettacoli di qualsiasi specie che si danno nei pubblici esercizi contemplati dall'articolo 86 della legge»;
   del citato articolo 124 rimane pertanto in vigore il solo comma 1 che dispone: «È richiesta la licenza dell'autorità di pubblica sicurezza, a termine dell'articolo 69 della legge, per i piccoli trattenimenti che si danno al pubblico, anche temporaneamente, in baracche o in locali provvisori, o all'aperto, da commedianti, burattinai, tenitori di giostre, di caroselli, di altalene, bersagli e simili»;
   l'intervento legislativo, pur chiaro nelle intenzioni, in quanto diretto a eliminare ogni adempimento amministrativo per i pubblici esercizi che svolgono piccoli trattenimenti, risulta di difficile pratica applicazione in quanto:
    a) ancorato alla definizione di «piccoli trattenimenti», non definiti dal legislatore ed oggetto di interpretazione, spesso restrittiva, da parte delle autorità di controllo;
    b) non coordinato con la liberalizzazione degli orari delle attività economiche per cui alcune amministrazioni continuano a disciplinare con ordinanze speciali gli orari di svolgimento delle attività di intrattenimento;
    c) contenuto in una norma di fonte secondaria e poco conosciuta che non viene applicata dalle amministrazioni ritenendola «subordinata» ad altre disposizioni più restrittive;
   è necessario un intervento normativo volto a chiarire che la disciplina recata dall'articolo 124 si riferisce ad ogni tipo di spettacolo e trattenimento con capienza inferiore alle 200 persone e/o con attrezzature e mezzi che non prevedano la competenza della Commissione di vigilanza di pubblico spettacolo –:
   se i Ministri interrogati intendano trovare una soluzione al problema e se tale soluzione possa essere individuata nell'emanazione di una circolare interpretativa in merito all'ambito di applicazione della citata disposizione. (5-00499)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANZALDI, FAMIGLIETTI, MAGORNO e RICHETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 29 e il 30 luglio, secondo quanto riferito sui social network, al signor Emanuele Feltri, titolare di una bio-fattoria nella Valle del Simeto a Paternò (Catania), sono state uccise le pecore e fatta trovare la testa mozzata di una di esse davanti la porta di casa, chiaro atto intimidatorio nel codice mafioso;
   il giovane imprenditore siciliano, deluso e sfiduciato per non aver ricevuto riscontri alle precedenti denunce, in un primo momento avrebbe addirittura rinunciato a rivolgersi alle forze dell'ordine affidando il proprio sfogo a internet che ha subito dato grande eco alla vicenda poi ripresa dai media nazionali;
   secondo una prassi che sarebbe ormai consueta nelle campagne siciliane, chi è vittima degli abusi della malavita preferisce non rivolgersi allo Stato per la sfiducia che ha nelle istituzioni;
   il grave e ignobile atto intimidatorio non fermerà l'attività di Emanuele Feltri, nonostante la sua presenza sia manifestamente sgradita nella valle del Simeto, dove l'imprenditore ha contrastato l'abusivismo e l'inquinamento illegale;
   è molto grave, a parere degli interroganti, che in un momento di crisi economica, in cui non è facile trovare lavoro, i giovani che si rimboccano coraggiosamente le maniche, tornando alla campagna, al difficilissimo lavoro dell'imprenditore agricolo e rischiando in proprio capitali e forza lavoro, vengano lasciati soli a combattere interessi illeciti e criminalità organizzata che sul territorio dimostra sempre più spesso di essere ancora molto forte;
   è opportuno, sempre a parere degli interroganti, che il grave episodio di Paternò non passi in silenzio, considerando le conseguenze anche in termini di comunicazione che tale vicenda può avere, visto che si tratta di un giovane imprenditore che ha deciso di lasciare la città per aprire una attività agricola in campagna ed è stato vittima del sopruso della malavita –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto su esposto e intendano verificare se la sicurezza e l'ordine pubblico siano garantiti anche nella valle del Simeto;
   se e come, per quanto di competenza, il Governo intenda intervenire sul grave episodio di mafia che ha colpito il giovane imprenditore di Paterno, il cui gregge di pecore è stato sterminato per ritorsione, assumendo iniziative affinché sia riconosciuto un ristoro per i danni subiti.
(4-01116)


   PICIERNO, VALIANTE, VALERIA VALENTE, MANFREDI, SCOTTO, BONAVITACOLA, BOSSA, FIANO, CARBONE e AMENDOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il questore di Caserta ha proposto la chiusura del posto fisso operativo di polizia di Casapesenna (Caserta);
   la presenza di un nucleo operativo della polizia di Stato in un territorio che, come ormai da anni noto, è fortemente provato dalla presenza massiccia delle organizzazioni criminali (si parla del territorio della provincia di Caserta, compreso tra i comuni di Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa e Casapesenna) rappresenta un fondamentale presidio di legalità nella lotta alla camorra;
   le motivazioni che vengono addotte per giustificare la chiusura riguardano una fisiologica carenza di personale che ha ridotto le capacità operative del suddetto posto fisso e della sezione della squadra mobile di Casal di Principe;
   si parla, rispetto ad una previsione tabellare, di un deficit di personale complessivo pari a 31 unità;
   il posto fisso di polizia di Casapesenna vanta un curriculum d'eccezione: dal 2010 al 2012 i controlli di persone e veicoli effettuati dalla squadra mobile sono stati circa 90.000, molti dei quali hanno portato ad importanti arresti di pericolosi membri della criminalità organizzata, tra cui i capiclan Zagaria, Schiavone, Bidognetti e altri noti criminali;
   la chiusura del commissariato sembrerebbe rientrare nell'ambito dei tagli alla spesa pubblica, la cosiddetta «spending review» decretata dal Governo Monti;
   una discreta folla di cittadini, accompagnati da associazioni, sindacati e partiti politici attivi sul territorio, il 19 giugno 2013 è scesa in piazza per manifestare contro la decisione di chiudere il posto fisso: i cittadini, i sindacati e i rappresentanti del territorio chiedono non solo che il presidio non venga chiuso ma anzi che lo si rafforzi, intensificando la presenza delle unità presenti e stabilendo un ufficio denunce: inoltre, per rimediare alle difficoltà economiche che giustificano la chiusura del posto fisso, tante associazioni e comitati locali sono convenuti nella concreta possibilità di utilizzare uno dei tanti beni confiscati alla camorra presenti sul territorio;
   tale chiusura rischia di apparire, infatti, come un vero e proprio abbandono da parte dello Stato per una terra che da anni è martoriata e «bloccata» dallo strapotere della criminalità organizzata: in questa guerra il presidio di Casapenna ha rappresentato un vero e proprio baluardo di legalità, e la sua cancellazione potrebbe portare ad una diminuzione delle operazioni di controllo del territorio, vanificando, nei fatti, i numerosi successi ottenuti grazie all'impegno strenuo delle forze dell'ordine;
   il Ministero interrogato, già investito della questione, ha comunicato che a breve incontrerà le organizzazioni sindacali –:
   se il Ministro non ritenga necessario, anche alla luce degli elementi oggettivi suesposti, rivedere radicalmente la decisione relativa alla chiusura di un fondamentale presidio di legalità e democrazia quale quello di Casapenna, che rappresenta una rinnovata fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, in una terra complicata nella quale deve essere costante e forte il contrasto all'antistato. (4-01118)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non è prevista la figura del geologo, riservando i posti direttivi ad ingegneri ed architetti;
   gli eventi alluvionali che annualmente investono la nostra Penisola, il cui dissesto idrogeologico è sotto gli occhi di tutti, necessiterebbero la presenza all'interno delle squadre d'intervento dei vigili del fuoco di un geologo, professionista che possiede quel ricco bagaglio di informazioni, legate alla conoscenza delle dinamiche dei terreni, necessarie a poter assumere, con efficienza e prontezza, difficili decisioni operative;
   la vastità dei compiti istituzionali del Corpo nazionale dei vigili de fuoco è tale che difficilmente, una singola professione o singolo percorso culturale e formativo possa garantire a priori un vantaggio formativo e una preparazione sempre superiore in ogni scenario. Ma da qui ad escludere a priori una professione, una laurea, una figura tecnica ce ne vuole;
   sull'argomento del riconoscimento del titolo e della professione del geologo v’è stato ampio carteggio tra l'Ordine nazionale dei geologi ed il precedente Ministro dell'interno da cui si evince la posizione favorevole del dicastero di provvedere a sanare la questione e prevedere il titolo di laurea in scienze geologiche tra quelli utili per l'accesso alla carriera direttiva e dirigenziale nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   il Consiglio nazionale dei geologi ha chiesto, inoltre, ai vertici del Ministero dell'interno, precedenti ed attuali, di istituire per l'organico del Corpo dei vigili del fuoco il ruolo di funzionari geologi e di riconoscere alla laurea in scienze geologiche un valore pari alle altre lauree attinenti ai fini dei passaggi di qualifica;
   di tali richieste se n’è fatta portavoce anche la Confsal-vigili del fuoco con una nota al Capo dipartimento dei vigili del fuoco, del 19 marzo 2013, in cui si chiede attuazione degli auspici espressi dai rappresentanti del precedente Governo –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-01120)


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sabato 11 maggio 2013 la Guardia di finanza, nell'ambito di un'indagine per frode in pubblica fornitura, truffa abuso d'ufficio e turbativa d'asta, ha eseguito le ordinanze di custodia cautelare, emesse dalla procura della Repubblica di Latina, nei confronti di Nicola De Vizia e Vincenzo de Vizia, proprietari e amministratori della società campana De Vizia transfer spa;
   secondo gli organi di stampa (Corriere della sera 13 maggio 2013) «l'inchiesta ha verificato ricorrenti e sistematiche irregolarità nell'appalto per la gestione dei rifiuti solidi urbani sull'isola: un vero e proprio scempio sarebbe avvenuto attraverso l'interramento dei rifiuti in alcuni punti dell'isola; lo smaltimento illegale di materiali vari, tra cui la plastica, per i quali sarebbero stati necessari trattamenti particolari; la mancata raccolta differenziata; la sua miscelazione con l'indifferenziata»;
   l'11 aprile 2013 le aree dell'ex Italsider e dell'ex Eternit di Bagnoli sono state poste sotto sequestro dalle forze dell'ordine nell'ambito di un'indagine della procura della Repubblica di Napoli per il reato di disastro ambientale. Nell'inchiesta ci sono 21 persone indagate tra le quali Emilio De Vizia e Vincenzo De Vizia, proprietari e amministratori della De Vizia transfer spa (come risulta dall'articolo del quotidiano Corriere del mezzogiorno dell'11 aprile del 2013);
   in data 20 dicembre 2011 i deputati Alessandro Naccarato e Margherita Miotto hanno presentato un'interrogazione a risposta scritta al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali sui numerosi problemi sollevati dalle organizzazioni sindacali in relazione alla gestione del servizio raccolta e smaltimento rifiuti da parte della De Vizia Transfer spa nel comune di Monselice in provincia di Padova. L'interrogazione non ha avuto alcuna risposta;
   alla De Vizia Transfer spa è stato affidata nel mese di aprile 2010, e per la durata di 15 anni, in concessione la gestione dei servizi comunali di igiene urbana e relativa tariffa integrata ambientale per molti comuni della provincia di Padova, compresi nei bacini Padova tre e Padova quattro;
   l'aggiudicazione è avvenuta mediante una procedura singolare, caratterizzata dalla partecipazione di una sola associazione temporanea di imprese costituita da Padova Territorio Rifiuti Ecologia srl come mandataria, Sesa spa, De Vizia transer spa e Abaco spa;
   la mandataria, srl Padova, territorio Rifiuti Ecologia (nota anche come Padova TRE) è di proprietà del consorzio obbligatorio per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani bacino Padova tre e bacino Padova quattro. La sede legale della Padova Territorio Rifiuti Ecologia srl è a Este in via Rovigo 69 dove ha sede lo stesso bacino Padova tre;
   appare evidente, dunque, che il soggetto affidante ha affidato il servizio a una associazione temporanea di imprese dove esso stesso è presente come mandatario;
   appare scontato rilevare che alla procedura di affidamento in questione ha partecipato soltanto l'associazione temporanea di imprese sopra descritta;
   alla procedura di scelta per l'affidamento del servizio non hanno partecipato altre imprese, che, evidentemente, hanno ritenuto di non poter concorrere con un'associazione temporanea di imprese che aveva per mandataria lo stesso soggetto affidante –:
   se i ministri siano al corrente dei fatti esposti in premessa;
   quali concrete iniziative di competenza intendano porre in essere al fine di prevenire il ripetersi delle condotte al centro dell'indagine delle procure di Latina e di Napoli anche in altre realtà;
   quali concrete iniziative di competenza, anche di carattere normativo intendano porre in essere al fine di tutelare e promuovere la libera concorrenza, per contrastare la coincidenza tra soggetti affidanti e affidatari nelle gare per la concessione di servizi, e per rispettare e attuare la legislazione dell'Unione europea sulle norme relative alle procedure di gara ad evidenza pubblica per la concessione dei pubblici servizi. (4-01124)


   COMINELLI, BAZOLI e BERLINGHIERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la situazione allo sportello unico immigrati di via Lupi di Toscana di Brescia, sportello diretto dalla prefettura, con la collaborazione della direzione provinciale del lavoro e della questura, è sempre stata precaria;
   il suddetto sportello unico immigrati presenta una logistica molto carente ed un organico insufficiente (cui si sopperisce con personale di sostegno da parte del comune di Brescia e della provincia), organico quasi tutto con contratti a termine;
   da una decina di giorni un'indagine della procura di Brescia investe 130 persone che a vario titolo hanno operato nell'ufficio, configurando a loro carico reati di associazione per irregolarità nella gestione delle pratiche di sanatorie e di flussi di ingresso;
   detta situazione ha provocato una vera destabilizzazione dell'ambiente;
   la situazione aumenta il rischio di allungare oltre misura i tempi, già intollerabili, dello smaltimento delle pratiche e provocare ulteriori gravi disagi agli utenti (che per accedere al servizio hanno bisogno di permessi dal lavoro), creando caos e tensione;
   da sempre, di fronte alla gravità dei problemi, le associazioni degli immigrati si sono rese disponibili alla collaborazione volontaria per «regolare il traffico», fare da filtro, dare informazioni;
   detta disponibilità, più volte manifestata ed inoltrata, non è stata mai accolta;
   proprio da situazioni come queste scaturiscono tensioni pericolose come quelle che tempo fa sono sfociate in episodi estremi (ultimo fatto di cronaca la vicenda che ha visto protagoniste alcune persone arrampicate pericolosamente su una gru di via San Faustino);
   almeno ogni quindici giorni in città si svolgono proteste che richiedono la soluzione di sanatorie di anni fa e un'accoglienza decente per la popolazione immigrata;
   nella provincia sono 175.000 i migranti regolari su una popolazione di 1.200.000, in città sono 38.000 su 183.000 residenti –:
   se sia al corrente della situazione;
   quali iniziative intenda promuovere al fine di adeguare l'organico in modo che la situazione venga al più presto sbloccata;
   se intenda fornire un sostegno logistico che regoli gli accessi rispettando le persone e consentendo un normale colloquio agli sportelli;
   se intenda rivedere l'attuale classificazione della questura, palesemente inadeguata, dotata di organici deficitari rispetto ai doveri, non solo di sicurezza, ma anche di rispetto dei diritti. (4-01126)


   DAGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Nettuno (comune di Roma) risultano importanti presenze di consorterie criminali come testimoniato dai processi «Appia» e «Mithos» pendenti innanzi al tribunale di Velletri per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, in tale territorio infatti, secondo quanto emerso nella relazione della commissione parlamentare antimafia sulla ’ndrangheta XV legislatura, da anni opera il clan Gallace;
   nel territorio risulta attivo, altresì, il clan dei Casalesi come attestano le indagini della direzione distrettuale antimafia di Roma nonché numerose sentenze emesse dall'autorità giudiziaria a carico di Pasquale Noviello ed altri, per reati che vanno dall'associazione a delinquere di stampo camorristico al tentato omicidio;
   il 24 luglio del 2012 veniva assassinato da un commando Modestino Pellino ritenuto vicino al clan Moccia;
   nella città di Nettuno negli ultimi sei mesi sono stati commessi due gravi attentati: nell'ottobre 2012 è stato incendiato lo stabilimento balneare «Il Belvedere» gestito dalla Società Turistico Marinara e nel maggio del 2013 un'abitazione in località Santa Barbara è stata fatta oggetto del lancio di una molotov;
   nel dicembre del 2005 il consiglio comunale di Nettuno è stato sciolto per gravi condizionamenti da parte della criminalità organizzata, decisione confermata in tutti i gradi di giudizio dalla giustizia amministrativa;

   la sentenza del TAR di Roma del 7 giugno del 2006 che conferma lo scioglimento del consiglio comunale affermava tra l'altro che in relazione al settore dell'urbanistica e dell'edilizia «il controllo sul territorio per l'attività di contrasto all'abusivismo edilizio si svolge quasi esclusivamente sulla base degli esposti», evidenzia: a) che l'amministrazione aveva «rilasciato titoli concessori prevalentemente in variante al piano regolatore», apparendo la concessione «in alcuni casi [...] strumentale a favorire operazioni di lievitazione del prezzo dell'immobile o ad incrementare l'attività di società di costruzione vicine ad esponenti della criminalità organizzata locale»; b) in altri casi, che «i passaggi di proprietà dei terreni oggetto di concessioni edilizie e le conseguenti volture del titolo concessorio [apparivano] unicamente finalizzati ad evitare il decorso del termine di scadenza della concessione o ad aspettare l'approvazione delle varianti al piano regolatore generale per sanare eventuali abusi edilizi. Anche in tali casi, beneficiari delle procedure dilatorie figurano soggetti contigui ad ambienti criminali»; c) che in relazione a «titoli concessori rilasciati a seguito di lottizzazioni di aree site in diverse località del territorio comunale, [erano] presenti quali diretti intestatari, quali amministratori, rappresentanti o soci delle imprese titolari, esponenti della malavita locale, alcuni dei quali gravati da diversi precedenti e di recente indagati anche per il reato di associazione illecita per traffico di sostanze stupefacenti»;
   nel corso della campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Nettuno e del sindaco, il candidado del PdL Carlo Eufemi ha denunciato il clima «intimidatorio» creato da Fernando Mancini, imprenditore locale già coinvolto in indagini giudiziarie e nei lavori della commissione d'accesso che portò allo scioglimento del consiglio comunale di Nettuno;
   il Mancini infatti (come si evince da un video postato su You Tube) avrebbe stigmatizzato la presentazione nelle liste di Eufemi di personaggi come Claudio Dell'Uomo, Stefano Proietto, Piero Ballerini. Sembrerebbe che il Mancini (o altri) abbia realizzato tale campagna in conseguenza dell'esclusione dalle liste del PDL della sua compagna Cristina Vasconi;
   in conseguenza dei comportamento del Mancini il PdL ha organizzato una manifestazione per la legalità;
   successivamente il candidato del PdL Eufemi ha denunciato il clima torbido della campagna elettorale;
   dopo le elezioni lo stesso Eufemi ha richiamato l'attenzione del Ministro interrogato affinché ci sia un intervento a tutela del territorio dove vige un sistema di illegalità e sfrontatezza che sta condizionando i cittadini e rendendo invivibile la città –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti illustrati in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per rafforzare il contrasto alle mafie nel litorale romano;
   se intenda verificare quali eventuali iniziative abbia intrapreso il prefetto di Roma in ordine alla situazione sopra esposta. (4-01134)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MADIA, GNECCHI e GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 20 aprile 2001, n. 66, all'articolo 2 ha previsto la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa in favore di circa 970, lavoratori socialmente utili negli istituti scolastici, transitati dagli enti locali allo stato ai sensi della legge n. 124 del 1999, già da anni precari degli enti locali, così come individuati nel decreto n. 81 del 2000, e, all'articolo 4, ne ha fissato il percorso di stabilizzazione entro cinque anni: dando così seguito agli impegni di legge sulla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili di cui alla legge n. 388 del 23 dicembre 2000 (finanziaria 2001);
   il decreto è stato prorogato nel novembre 2006 e, negli anni successivi, si è avuta la proroga dei contratti anno per anno con apposita voce di bilancio in finanziaria; l'ultima proroga scade il 31 agosto del 2013;
   insieme alle proroghe si sono succeduti, in tutti questi anni, gli annunci di una stabilizzazione nei fatti mai raggiunta;
   si è venuta così configurando una situazione dalla gestione sempre più complessa derivante dal contrasto tra la natura autonoma del rapporto di lavoro e le mansioni svolte dai lavoratori, tipicamente subordinate, con difficoltà nelle proroghe dei contratti e nel trasferimento dei fondi agli istituti scolastici, situazione questa, che ha fatto sì che gli stipendi fossero pagati anche con sei mesi di ritardo;
   nel corso del 2010, in ben due incontri con le organizzazioni sindacali, il sottosegretario pro tempore Giuseppe Pizza ha dato assicurazione che il Ministero avrebbe provveduto, con apposita norma, a stabilizzare i collaboratori coordinati e continuativi ex lavori socialmente utili. In tali occasioni il sottosegretario si è anche impegnato a preparare un apposito emendamento al «mille proroghe» che potesse portare alla stabilizzazione dei lavoratori partire dal 1o settembre 2011. Tale emendamento non è mai stato presentato;
   dopo innumerevoli richieste d'incontro e la proclamazione di uno sciopero, le organizzazioni sindacali sono state ricevute il 14 aprile 2011 e, in quell'incontro, il sottosegretario Pizza ha preso due impegni: l'elaborazione da parte dell'ufficio legislativo del Ministero di una proposta per la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi ex lavoratori socialmente utili, da vagliare su specifico tavolo da convocare a maggio 2011 e una riunione specifica relativa al corretto accantonamento dei posti in organico, come da decreto che individuava le figure dei collaboratori coordinati e continuativi derivanti dal bacino lavoratori socialmente utili;
   le riunioni di cui sopra non si sono mai tenute e le, organizzazioni sindacali hanno continuato la loro protesta con scioperi e presidi regionali;
   nel frattempo il fondo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che provvedeva a coprire la quota contributiva a carico del lavoratore si è esaurito e d'ora in poi occorrerà sottrarre circa 120 euro dal compenso mensile, tenendo conto che i compensi non sono mai stati adeguati dal 2001;
   inoltre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha dato notizia che il fondo si è esaurito a fine 2010 e che alcuni istituti sono intenzionati a trattenere da subito l'intera quota in sospeso per il 2011-2012: ciò significherebbe togliere due compensi mensili ai lavoratori in una sola volta;
   nell'ultimo incontro tenutosi al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 17 maggio 2012, è emersa la volontà del Ministro pro-tempore di definire, una volta per tutte, la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi ex lavoratori socialmente utili. La questione e stata oggetto, nel corso della XVI legislatura, della risoluzione in Commissione 7-00956 non svolta;
   nella circolare ministeriale del 5 giugno 2013 avente a oggetto la determinazione dell'Organico di diritto del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) per l'anno scolastico 2013/2014 prevede espressamente l'accantonamento in organico per l'anno 2013/14 per i collaboratori coordinati e continuativi ex lavori socialmente utili –:
   se il Governo non intenda attuare una soluzione definitiva alla vicenda dei collaboratori coordinati e continuativi ex lavori socialmente utili, ai fini della tutela dei livelli occupazionali e della garanzia dei redditi, nonché dei contribuiti previdenziali di tali lavoratori che devono essere assunti nei ruoli della scuola, ai sensi della normativa nazionale e di quella europea. (5-00509)


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella Gazzetta Ufficiale del 15 maggio 2000, n. 111, è stato pubblicato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 1999, titolato «Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti»;
   la legge n. 335 del 1995 ha stabilito che il trattamento di fine rapporto (TFR) per il pubblico impiego dovesse essere corrisposto dalle amministrazioni ovvero dagli enti che già provvedevano al pagamento dei trattamenti di fine servizio;
   quanto disposto dalla legge n. 335 del 1995 è stato poi integrato dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 e dalla legge 23 dicembre 1998 n. 448, collegando l'introduzione del trattamento di fine rapporto all'avvio della previdenza complementare per il pubblico impiego;
   dette norme stabiliscono che si possa trasformare l'indennità di fine servizio (buonuscita) in trattamento di fine rapporto al fine di favorire il processo di attuazione della previdenza complementare. Per chi opta in tal senso, una quota della vigente aliquota contributiva relativa all'indennità di fine servizio, pari all'1,5 per cento, è destinata al finanziamento della previdenza complementare;
   il ruolo dell'INPDAP e gli effetti sulla contribuzione;
   in base a quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 8, legge n. 335 del 1995, per il personale iscritto all'INPDAP ai fini dell'erogazione dei trattamenti di fine servizio, il trattamento di fine rapporto è accantonato figurativamente e liquidato alla cessazione dal servizio del lavoratore dall'INPDAP stesso;
   pertanto, la gestione del fondo per il trattamento di fine rapporto dei dipendenti dello Stato, delle aziende di Stato, della scuola, dell'università, della sanità e degli enti locali è affidata all'INPDAP;
   a tal fine è previsto che le Amministrazioni pubbliche continuino a versare in misura invariata, anche per il personale che abbia optato per il trattamento di fine rapporto e previdenza complementare o al quale si applica automaticamente la disciplina del trattamento di fine rapporto la contribuzione stabilita per il finanziamento delle indennità di fine servizio;
   in particolare, il contributo previdenziale a favore dell'INPDAP da parte delle amministrazioni pubbliche resta fissato per il personale dello Stato nella misura del 9,60 per cento dell'attuale base contributiva per l'indennità di buonuscita di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973. «Nonostante il contributo complessivo che le amministrazioni devono versare resti invariato, per i dipendenti ai quali si applica il trattamento di fine rapporto è abolito il contributo a carico del lavoratore nella misura del 2,5 per cento della base retributiva prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 e la relativa rivalsa da parte del datore di lavoro;
   tuttavia il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ha «sterilizzato» gli effetti di tale abolizione per cui:
    a) la retribuzione lorda è ridotta in misura pari al contributo obbligatorio soppresso e, quindi, resta invariata la retribuzione netta;
    b) la soppressione del contributo non produce effetti sulla retribuzione imponibile;
    c) ai fini fiscali ai fini pensionistici, contrattuali e dell'applicazione delle norme sul trattamento di fine rapporto, la retribuzione lorda è incrementata figurativamente di una quota pari alla riduzione sopraindicata;
   questa disposizione non si applica solo al personale già in servizio al 30 maggio 2000 a tempo determinato e al quale è computato il trattamento di fine rapporto per effetto dell'esercizio dell'opzione a favore della previdenza complementare, ma anche al personale assunto successivamente a tale data che non ha mai subito la ritenuta del 2,5 per cento sulla retribuzione, ma per il quale si pone un'esigenza di parità di trattamento contrattuale dei riporti di lavoro prevista dall'articolo 49, comma 2, del decreto legislativo n. 29 del 1993;
   l'amministrazione pubblica datrice di lavoro pertanto, attraverso meccanismi contabili, assicura l'invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali. In sostanza l'iscritto assoggettato al regime del trattamento di fine rapporto, sia optante, sia neoassunto a tempo determinato sia indeterminato, dovrà percepire la stessa retribuzione netta dell'iscritto che ha mantenuto il regime di trattamento di fine servizio;
   tanto ciò premesso, si pone l'accento che per i sopra citati dipendenti pubblici in regime di trattamento di fine rapporto non trovano applicazione né la sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012, né l'articolo 1, commi 98-101, della legge 228 del 2012, in consideratone del fatto che costoro non sono mai stati riguardati dalla norma dichiarata illegittima;
   in proposito l'Inps per ulteriori chiarimenti, ha emanato il recente messaggio n. 10065 del 21 giugno, essendo pervenute e continuando ad pervenire (anche da parte di personale in regime di trattamento di fine rapporto) all'istituto numerosissime richieste e diffide intese ad ottenere l'interruzione e la restituzione della trattenuta previdenziale obbligatoria nella misura del 2.50 per cento della retribuzione contributiva utile ai fini del trattamento di fine servizio, a seguito della illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 10, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, riconosciuta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 223 dell'8-11 ottobre 2012 –:
   quali misure intenda mettere in atto per porre rimedio a questa situazione relativa alla trattenuta previdenziale obbligatoria nella misura del 2.50 per cento della retribuzione contributiva utile ai fini del trattamento di fine servizio a seguito della illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 10, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, riconosciuta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 223 dell'8-11 ottobre 2012. (5-00517)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data il 26 giugno 2013 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso l'ufficio scolastico regionale per la Campania, ha comunicato il sottodimensionamento dell'istituto comprensivo Teodoro Gaza di San Giovanni a Piro (Sa);
   l'istituto comprensivo «Teodoro Gaza» di San Giovanni a Piro, piccolo comune della provincia di Salerno, situato in pieno territorio cilentano, diretto sino all'anno scolastico 2012/2013 per sei anni di continuità dalla stessa dirigente scolastica che, in uno al corpo docente tutto, ha portato avanti politiche scolastiche eticamente responsabili, sostenibili ed innovative che sono state nei fatti esemplari, e motivo di orgoglio a livello provinciale e regionale;
   oltre alla piena realizzazione dei programmi scolastici e al conseguimento dei successi formativi per la comunità di alunni presente a scuola l'ICT Gaza ha tenuto una serie innumerevole di iniziative che brevemente si riportano di seguito espresse nel piano dell'offerta formativa dell'istituto con tutte le indicazioni progettuali, coerentemente portate avanti in questi sei anni, attraverso una proposta culturale dell'Istituto intende affiancare l'offerta formativa istituzionale ed obbligatoria, con un quadro di interventi articolati ed uniti da un unico scopo formativo che racchiude al proprio interno i principi della identità e della appartenenza, del rispetto per l'ambiente e per le tradizioni, per la cultura rurale e la storia dei luoghi, del recupero e della riscoperta della sovranità alimentare con riferimento a progetti dedicati alla dieta Mediterranea;
   facendo propri i principi di Paul Connet relativi alla strategia rifiuti zero, e quelli del movimento transition town a cui ha aderito l'istituto, è stato adottato l'approccio «Rifiuti Zero» anche all'interno delle mense scolastiche dove i pasti vengono fruiti senza alcun impiego di materie plastiche, viene promosso il riciclo e il riutilizzo dei materiali di scarto, facendo sì che in questi anni la scuola sia cresciuta tanto su questi temi;
   ad oggi l'istituto gestisce quattro orti che i ragazzi e i loro genitori coltivano insieme ai docenti, più uno sperimentale su balle di fieno, rendendo così possibile che 10 docenti e 2 collaboratori si siano formati seguendo corsi di permacultura;
   a scuola è stata intrapresa l'abitudine di consumare gli ortaggi che vengono prodotti durante la merenda quotidiana e che nelle mense dove sono limitati i prodotti surgelati è stato eliminato l'usa e getta utilizzando piatti di ceramica, bicchieri di vetro e posate di metallo;
   sono state fatte scelte decise e coraggiose come quella di non permettere merendine confezionate proponendo merende con pane e olio (prodotto a scuola con le olive di un albero millenario del giardino della scuola), pane e broccoli, pane e marmellata;
   il progetto «Eco Merenda», realizzato nell'istituto Teodoro Gaza, è diventato oggetto di interesse nazionale al punto di meritare il premio Agricoltura Civica Award 2013 – Torino;
   sono stati piantati circa 30 alberi da frutto autoctoni, donati dal Parco nazionale del Cilento e vallo di Diano, che alimentano ed educano i bambini della scuola, al recupero della sovranità alimentare;
   a scuola si è provveduto a costruire compostiere domestiche, e che gli alunni delle quinte elementari, insieme alle maestre costruiscono presso le famiglie che ne fanno richiesta compostiere domestiche, le curano e ne seguono le fasi a costo zero facendo sì che anche dei comuni limitrofi vi siano richieste così numerose da spingere nella direzione virtuosa di dover formare sempre nuove competenze;
   nell'ultimo anno scolastico, nell'ambito del progetto «ortocomposto» gli alunni della scuola primaria e della scuola secondaria di 1o grado hanno dato il via alla raccolta dell'olio alimentare esausto;
   nella stessa scuola è stato realizzato un progetto per la creazione di sapone attraverso l'utilizzo dell'olio usato avvalendosi della collaborazione delle nonne e della loro sapienza e che, le migliaia di saponette prodotte, sono state distribuite alle famiglie degli alunni e rappresentano un modo concreto e reale per tutelare e salvaguardare l'ambiente;
   l'istituto T. Gaza è una scuola ad indirizzo musicale, ed è per vocazione sensibile alle espressioni artistico – musicali di ogni genere con particolare riguardo alla musica tradizionale del Cilento, coerentemente coi principi di rispetto ambientale/culturali espressi nel piano dell'offerta formativa, e in tal senso si inquadra l'iniziativa dell'Orchestra «Chiara Fortunato» dell'ICT Gaza, che può vantare un curriculum prestigioso, contrassegnato da numerosi riconoscimenti e primi premi a livello Nazionale;
   per quanto concerne l'arte Figurativa è stata dedicata grande attenzione alla figura e alle opere di José Ortega difensore dei diritti dei più deboli che, scampato al franchismo, ha vissuto per tanti anni nella comunità di Bosco una frazione del comune di San Giovanni a Piro che ospita l'ICT Gaza;
   ogni anno viene allestito un mercatino della solidarietà nel quale sono venduti tutti i prodotti realizzati nell'ambito dei laboratori per sostenere tre progetti di solidarietà: in Senegal, per la costruzione di una scuola e di un laboratorio medico; in India, per un orfanotrofio di Vanaprastha e la parte più consistente dei ricavi è servita ad aiutare le famiglie in difficoltà per l'acquisto di libri, materiale scolastico, ticket mensa, trasporti e altro facendo sì ancora una volta che la scuola si sia fatta carico, in un momento di crisi e di tagli alla spesa sociale, di venire incontro alle esigenze della comunità e delle famiglie;
   tale sottodimensionamento comporterebbe l'affidamento dell'istituto ad un dirigente reggente che con buona probabilità proverrebbe da un'altra provincia e, come spesso accade, avrebbe, come è del tutto ovvio, tempo solo di recarsi a scuola poche volte al mese, per seguire gli adempienti burocratici e dunque, conseguentemente ciò significherebbe disperdere tutte le buone pratiche avviate e consolidate in questi anni, con la perdita non solo della direzione in loco, ma di un patrimonio culturale, progettuale e umano che scuola ICT Gaza vanta attraverso visibilità, riconoscimenti e attestati di stima ricevuti da eminenti personalità internazionali diventando un modello apprezzato e condiviso in tutta la Regione ed in diverse altre realtà del nostro Paese –:
   se intenda di concerto con le altre istituzioni competenti per territorio, valutare la possibilità di soprassedere alla decisione del sottodimensionamento dell'istituto comprensivo Teodoro Gaza di San Giovanni a Piro (Sa) affinché non vada perso il patrimonio di pratiche virtuose consolidate in questi anni di buon lavoro e per assicurare continuità all'intero percorso educativo;
   se ritenga di poter disporre che venga affidata per l'anno scolastico 2013/14 la reggenza dell'ICT Gaza in continuità didattica e dirigenziale alla stessa dirigente che ha avuto in carico la scuola negli ultimi sei anni accorpandolo all'istituto scolastico che andrà a dirigere per il 2013/14 in provincia di Salerno. (4-01115)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nel 1978 è stato realizzato, nel territorio del comune di Casoria (Napoli), il centro commerciale denominato «Euromercato», con una estensione di circa 11.000 metri quadrati;
   nel corso degli anni novanta, l'attività commerciale Euromercato è stata acquisita dalla Società francese Carrefour s.p.a, il Centro commerciale ha assunto la denominazione Carrefour Casoria, la gestione dell'attività è stata assunta dalla S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., appartenente al Gruppo Carrefour s.p.a.;
   con comunicazione a firma congiunta, datata 1o aprile 2010, la S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., e il signor Luciano Novelli hanno dato avvio agli adempimenti previsti dall'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, per il trasferimento d'azienda;
   con la comunicazione anzidetta si è resa nota alle competenti organizzazioni sindacali l'intenzione della S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., di effettuare, entro il successivo 1o giugno 2010, sia il trasferimento dell'esercizio commerciale ubicato in località San Salvatore di Casoria (adibito a ipermercato per l'esercizio di commercio al dettaglio di prodotti alimentari e non alimentari), in favore di altra società, la Iper Casoria s.r.l., il cui capitale sociale si dichiarava interamente detenuto dalla stessa S.S.C., sia la contestuale acquisizione, da parte del signor Luciano Novelli, dell'intero capitale sociale della Iper Casoria s.r.l;
   nella comunicazione del 1o aprile 2010 fu annunciato, perciò, che il signor Novelli avrebbe acquisito l'intero capitale sociale della «Iper Casoria s.r.l.», e che a detta società – divenuta contestualmente titolare dell'esercizio commerciale cedutole dalla S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., – sarebbero stati trasferiti i rapporti di lavoro in essere con tutti i 195 dipendenti impiegati nell'esercizio commerciale oggetto della cessione, ciò senza soluzione di continuità, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2112 del codice civile, continuando ad applicarsi, in favore del personale trasferito, il medesimo CCNL per i dipendenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi;
   nella medesima nota risulta, altresì, precisata la vigenza della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, a rotazione; con scadenza al 31 luglio 2010, per parte del personale della S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l.;
   in occasione dell'incontro svoltosi il successivo 17 maggio 2010, tra le rappresentanze sindacali e i rappresentanti delle società S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., e Iper Casoria s.r.l., in prosecuzione del procedimento di cui al citato articolo 47 della legge n. 428 del 1990, le parti si accordano sulla necessità di rendere noto il piano industriale dell'azienda che sarebbe subentrata nei rapporti di lavoro in essere con la società cedente, anche al fine di poter adeguatamente verificare la effettiva capacità della subentrante del mantenimento dei medesimi livelli occupazionali;
   con successivo verbale di accordo in data 24 maggio 2010, dinanzi all'UOC vertenze collettive e ammortizzatori sociali della direzione servizi per l'impiego della provincia di Napoli, la procedura di cui al ripetuto articolo 47 della legge n. 428 del 1990 si è conclusa, ribadendo che l'intero personale in servizio presso l'esercizio commerciale sarebbe passato alle dipendenze della Iper Casoria s.r.l., a far data dal 1o giugno 2010, senza soluzioni di continuità, alle stesse condizioni normative ed economiche in essere, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2112 del codice civile;
   la iper Casoria s.r.l., avrebbe, pertanto, acquisito la titolarità della licenza commerciale, originariamente in capo alla S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., per l'intera superficie di esercizio di circa 11.000 metri quadrati;
   le competenze tutte maturate al 31 maggio 2010 dal personale soggetto al passaggio alle dipendenze della Iper Casoria s.r.l., sarebbero state integralmente trasferite a quest'ultima società, dalla originaria titolare dei rapporti di lavoro, S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., in particolare trattamento di fine rapporto (Tfr), mensilità aggiuntive, ferie, ROL (riduzioni orario lavoro), festività soppresse, premio produttività e tutti gli istituti maturati alla data del 31 dicembre 1999;
   il 31 maggio 2010 la Iper Casoria s.r.l., illustrò alle organizzazioni sindacali il piano industriale che intendeva realizzare per il rilancio dell'attività commerciale;
   il piano in questione prevedeva la ristrutturazione degli spazi fisici (in precedenza interamente occupati dalla S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., per circa 11.000 metri quadrati) cedendo una parte della intera superficie, per circa 6.000 metri quadrati ad altra società, la Gianmaro Building s.r.l., titolare di leasing immobiliare, sull'intero immobile, con la BNL;
   la ristrutturazione, quindi, secondo le previsioni del piano industriale, avrebbe dovuto essere realizzata, per una porzione, dalla stessa Iper Casoria s.r.l., per la restante parte, di circa 6.000 metri quadrati, a cura della titolare del leasing immobiliare sulla struttura, con l'ulteriore previsione di cedere, alla medesima società, la gestione in proprio della porzione da essa ristrutturata;
   i livelli occupazionali originari – esistenti all'atto del passaggio del personale dalla S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., alla Iper Casoria s.r.l., – avrebbero dovuto essere mantenuti del tutto invariati, secondo il piano industriale anzidetto e gli accordi sempre confermati con le parti sociali, salva la necessità, per la Iper Casoria s.r.l., di ampliare il ricorso alla Cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione aziendale nel periodo occorrente alla esecuzione dei lavori di ristrutturazione dell'intero insediamento commerciale, lavori, come già detto da eseguirsi, per una parte, a cura della stessa Iper Casoria s.r.l., per altra parte, a cura della Gianmaro Building s.r.l.;
   con una serie di progressivi ampliamenti della Cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione, asseritamente resi necessari dalle tipologie di interventi di ristrutturazione sull'insediamento commerciale, tuttavia, si è giunti all'estensione della Cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione aziendale a tutte le 193 unità di personale originariamente alle dipendenze della S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., transitate alle dipendenze della Iper Casoria;
   i progettati lavori di ristrutturazione dello spazio commerciale, avviati parzialmente dalla sola Iper Casoria s.r.l., hanno poi subito il sostanziale arresto allorquando la BNL verificata persistente la morosità della società Gianmaro Building s.r.l., titolare del contratto di leasing immobiliare sull'intera struttura, ha ordinato a quest'ultima la sospensione di qualsiasi intervento sull'immobile;
   i lavori sono rimasti fermi, nonostante il fattivo coinvolgimento dei diversi soggetti istituzionali – prefettura di Napoli, regione Campania, amministrazione comunale di Casoria – sollecitati dalle parti sociali e dalle rappresentanze sindacali aziendali a cercare uno sblocco alla grave situazione delle 193 unità di personale ormai prossime al completamento dei periodi di Cassa integrazione guadagni straordinaria;
   la S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l. (o qualsiasi rappresentanza del gruppo Carrefour), ottenuto quello che agli interpellanti appare il doppio risultato di far dapprima transitare tutto il personale impiegato a Casoria alle dipendenze della società Iper Casoria s.r.l. (di cui deteneva originariamente la totalità del capitale) per poi liberarsi della stessa Iper Casoria s.r.l., cedendo la totalità del capitale della detta società al signor Novelli, si è sistematicamente sottratta a qualsiasi confronto, con i soggetti istituzionali e le parti sociali, teso a risolvere la grave situazione determinatasi a seguito dei passaggi societari anzidetti;
   la cabina di regia per la gestione delle crisi e dei processi di sviluppo della regione Campania ha istituito appositi tavoli, con i soggetti interessati, per il rilancio del centro commerciale di Casoria e il mantenimento dei livelli occupazionali, cui hanno preso parte anche la BNL, nella qualità di proprietaria del complesso immobiliare, e, più di recente, altro gruppo societario di Agate Brianza, quale realizzatore di un nuovo investimento, in un'area limitrofa a quella su cui sorge il centro commerciale ex Carrefour di Casoria, destinato ad occupare, una volta ultimato, circa 950 unità di personale;
   la BNL, in particolare, ha dichiarato la propria disponibilità a valutare – e, se del caso, a sostenere – la cessione del complesso immobiliare ex Carrefour di cui è proprietaria ad altri soggetti interessati allo svolgimento di attività commerciali nella struttura, segnalando di avere in corso una controversia giudiziaria, che dovrebbe essere decisa entro il prossimo settembre 2013, per rientrare nel materiale possesso del complesso immobiliare di Casoria;
   la regione Campania, nel quadro delle iniziative legislative per il riordino del comparto commercio, dovrebbe varare una apposita normativa destinata al rilancio dell'area commerciale di Casoria e al reinserimento delle unità di personale coinvolte dalle negative vicende di successioni societarie che hanno riguardato il detto insediamento commerciale;
   terminata, frattanto, l'utilizzazione degli ammortizzatori sociali previsti per le ristrutturazioni aziendali, considerata la mancata realizzazione del progetto di ristrutturazione originario, il maggio 2013, è stata avanzata ulteriore richiesta di cassa integrazione in deroga per il personale del centro commerciale ex Carrefour;
   non è del tutto chiaro, allo stato, come sia stato gestito, tra la S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., e la Iper Casoria s.r.l., il trasferimento del TFR dovuto al personale passato alle dipendenze della Società Iper Casoria s.r.l.;
   la cessione tra la S.S.C. Società Sviluppo Commerciale s.r.l., e la Iper Casoria s.r.l., alla luce dei rapporti giuridici originariamente esistenti tra le due società, e considerato il progressivo collocamento in cassa integrazione del personale trasferito alla Iper Casoria s.r.l., ha costituito una operazione decisamente rischiosa per la concreta tutela del posto di lavoro dei dipendenti trasferiti, operazione a giudizio degli interpellanti assolutamente incompatibile con le previsioni della legge n. 47, della legge n. 428 del 1990 e con il mantenimento delle condizioni normative ed economiche del detto personale, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2112 del codice civile;
   ad avviso degli interpellanti l'operazione di trasferimento in questione, in definitiva, ha di fatto solo reso possibile alla S.S.C. società Sviluppo Commerciale s.r.l., e al gruppo Carrefour di cui fa parte (azienda di grandi dimensioni, dotata di notevoli stabilità economica e finanziarie), di ridurre, drasticamente e in un'unica soluzione, le unità di personale dipendente a suo carico, senza farsi carico, come avrebbe dovuto invece accadere, delle possibilità, per la subentrante, del concreto mantenimento dei diritti in capo ai lavoratori trasferiti –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se i Ministri, nell'ambito delle rispettive competenze, non ritengano opportuno, alla luce di quanto esposto, acquisire elementi sulle vicende del trasferimento del personale ex Carrefour Casoria;
   se la grave situazione nella quale versano le 193 unità di personale, per le quali è stata nuovamente richiesta la concessione di cassa integrazione in deroga, possa costituire oggetto di un tavolo di concertazione, più ampio di quelli sin qui gestiti, con il coinvolgimento dei Ministri interpellati anche in considerazione delle particolari condizioni di disagio socio-economico che affliggono l'area campana ove risulta allocato l'insediamento commerciale.
(2-00132) «Valeria Valente, Madia».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BELLANOVA e CAPONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le cooperative della piccola pesca salentine lamentano il persistere di notevoli ritardi circa il rimborso dei saldi passivi derivanti da modelli DM10 riguardanti la differenza tra contributi previdenziali dovuti e assegni per il nucleo familiare spettanti ai propri soci dipendenti da parte dell'INPS;
   la situazione attuale sembrerebbe presentare, mediamente, un arretrato dal settembre 2012. Alle tante lamentele sopraggiunte, l'INPS pare aver fornito una motivazione ascrivibile al cosiddetto blocco del sistema informatico;
   da quello che emerge, sembrerebbe che la situazione sopra descritta interessi sia il territorio leccese, sia altre province pugliesi;
   la mancata corresponsione del rimborso pone, di fatto, le cooperative in una situazione di grave difetto di liquidità e d'impossibilità nel liquidare puntualmente gli assegni per il nucleo familiare ai propri associati. Ciò in un contesto, purtroppo, già caratterizzato da gravi perdite economiche rivenienti dalla durissima crisi che ha colpito il nostro Paese –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario intervenire, attraverso una celere verifica con l'INPS, per acclarare a cosa sono imputabili i sopracitati ritardi e come possono essere rimossi nell'interesse delle cooperative della piccola pesca e dei soci dipendenti. (5-00508)


   VALERIA VALENTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   Roma Capitale è proprietaria e gestisce direttamente due tenute agricole, rispettivamente di oltre 2.000 ettari, in località «Castel di Guido», al 15o chilometro dell'Aurelia, e di circa 380 ettari, nella «Tenuta del Cavaliere», a est del grande raccordo anulare, 17o chilometro della via Tiburtina;
   il territorio di Castel di Guido ricade all'interno della riserva statale del litorale romano, formata da oltre 300 ettari di macchia mediterranea, da un'area dedicata alla riforestazione, da una «oasi naturalistica» gestita dalla Lipu;
   l'azienda agricola della Tenuta del Cavaliere è situata al di fuori dei confini della riserva naturale della valle dell'Aniene, si presenta anch'essa come oasi naturale incontaminata ed è il risultato dell'unificazione di tre distinti fondi originariamente appartenuti a differenti proprietari;
   si tratta di due aziende agricole, per lo più zootecniche, entrate a far parte del patrimonio capitolino, circa trent'anni fa, allorquando tutte le proprietà dell'ex Pio Istituto S. Spirito sono state trasferite al Comune di Roma;
   nelle tenute si coltivano, inoltre, grano, orzo, farro e frumento, in gran parte utilizzati per il mantenimento degli animali, con coltivazioni di tipo biologico a far tempo dal 2001;
   una quota delle produzioni di latte è venduta alla Centrale del latte di Roma, altra quota è destinata alla trasformazione in formaggi, che vengono commercializzati per una parte (venduti nello spaccio aziendale di Castel di Guido) e per altra parte sono destinati a mense ospedaliere e scolastiche;
   risulta che il Campidoglio abbia già previsto ulteriori investimenti per le due aziende, con lo stanziamento, nell'estate 2012, di 251.000 euro per ristrutturare i casali e ammodernare il caseificio a Castel di Guido;
   nelle due tenute anzidette risultano, fra gli altri, stabilmente addetti, ormai da molti anni, lavoratori agricoli che sarebbero sprovvisti di regolari contratti di lavoro che ne disciplinino compiutamente le prestazioni;
   Roma Capitale, con riferimento a detto personale, si limita alla emissione di buste-paga che attestano i pagamenti, in favore del personale in questione, delle prestazioni lavorative di cui si avvantaggia;
   l'emissione delle buste-paga risulta all'interrogante, tuttavia, periodicamente sospesa, dal datore di lavoro Roma Capitale, per alcuni periodi, per poi essere riattivata dopo il periodo di interruzione;
   non di meno, le prestazioni dei lavoratori agricoli in questione continuano a essere regolarmente rese, dal detto personale, anche nei periodi di mancata emissione delle buste-paga;
   le modalità di gestione del rapporto tra Roma Capitale e il personale di cui si sta trattando, in particolare con riferimento al lavoro ugualmente reso nei periodi di mancata emissione delle buste-paga, non trova alcun fondamento giuridico e sembra, anzi, configurare violazione delle norme e dei principi tanto in materia di lavoro alle dipendenze degli enti locali, quanto in materia di lavoro agricolo, con possibili riflessi negativi anche in termini di sicurezza dei lavoratori –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, anche attraverso i competenti uffici periferici, per verificare la regolarità dei rapporti di lavoro di cui in premessa, anche al fine di rimuovere possibili riflessi negativi in termini di sicurezza del citato personale. (5-00520)

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, RIZZETTO, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, D'AMBROSIO, CARIELLO, DE LORENZIS, BRESCIA, GAGNARLI, CIPRINI, TRIPIEDI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI e SCAGLIUSI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso in Italia emergono criticità in relazione a casi di aziende che porrebbero in essere prassi integranti ipotesi di mobbing;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, nella fattispecie a pagina 8 de La Gazzetta del Mezzogiorno del 2 luglio 2013, un dipendente dalla società Manutencoop è stato pedinato da un investigatore privato, per conto della medesima azienda (fuori orario lavorativo) mentre si accingeva ad effettuare un viaggio in automobile per dirigersi a Bologna da Bari, ove risiedeva, per un incontro dove era stato convocato dalla stessa azienda;
   il pedinamento veniva notato dalla Polstrada che identificava il pedinatore in un investigatore privato di Mantova che, come accertato dal tribunale di Bari, è impiegato presso una agenzia investigativa di Carpi;
   le mansioni svolte dall'agenzia investigativa di Carpi sarebbero state retribuite con fattura saldata da Manutencoop, per un corrispettivo pari euro 7.260, al fine di accertare i movimenti del dipendente sottoponendolo a verifiche in quanto aveva in precedenza dichiarato di essere affetto da agorafobia;
   la citata azienda non ha mai ammesso dinanzi ai carabinieri di aver sottoposto a pedinamento il dipendente, benché sussisterebbe prova del pagamento di una parcella in favore dell'investigatore;
   nel 2010, i sindacalisti della RdB-Usb hanno denunciato che «in Manutencoop all'Ufficio relazioni industriali è stato chiamato un responsabile delle Risorse Umane proveniente da Pirelli che utilizza tecniche persuasive finalizzate a fare dimissionare i lavoratori». Per la sigla sindacale, si tratta di mobbing strategico finalizzato a licenziamenti per induzione;
   la vicenda è al centro di una indagine penale e di un procedimento per mobbing davanti al giudice del lavoro perché l'impiegato 55enne, dopo due mesi di ferie forzate ed il pedinamento, verserebbe in condizioni psicologiche precarie;
   a parere dell'interrogante tali circostanze costituiscono fattispecie degna del vaglio e dell'attenzione degli organi preposti a verifiche e controlli in relazione al pacifico esercizio di ogni attività da parte dei lavoratori nello svolgimento delle proprie mansioni;
   con la sentenza n. 14197/12, depositata il 7 agosto 2012, la Corte di cassazione ha stabilito che «il dipendente può essere fatto seguire e controllare a distanza da un investigatore privato, ma solo se c’è il sospetto che stia commettendo reati. L'investigatore privato invece non può spingersi o essere spinto a verificare l'esatto adempimento dell'obbligazione lavorativa, cioè a fare l'esame a distanza di come il dipendente svolge le sue mansioni» e che «La perquisizione personale cioè corporale del lavoratore sospetto infedele è lecita se c’è il fondato sospetto che questo possa aver commesso un reato, ma non invece quella sulla sua auto o nella sua abitazione». Infatti, la Corte di cassazione, richiamando una precedente decisione della stessa Corte (la sentenza n. 9167/2003), ha ricordato che «le disposizioni (articoli 2 e 3, legge n. 300/70) che delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (articolo 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (articolo 3) è legittima curiosità ma non può arrivare nemmeno all'auto utilizzata dal dipendente» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto su esposto;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, anche attraverso iniziative ispettive degli organi preposti sul territorio, presso la Manutencoop al fine di porre in essere le più opportune verifiche. (4-01121)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   CAPELLI e BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 7 maggio 2013 si sarebbe verificato in Sardegna un caso di morte per malattia di Creutzfeldt-Jakob;
   il morbo sarebbe stato diagnosticato dai sanitari della ASL n. 3 di Nuoro, presso la cui unità operativa di neurologia dell'ospedale San Francesco il paziente sarebbe stato ricoverato più volte prima del decesso;
   detta malattia e le sindromi ad essa correlate sono riconosciute quali malattie infettive e diffusive «di classe 1», e, come tali, soggette all'adozione delle peculiari misure di sanità pubblica previste dalla vigente normativa nazionale ed europea;
   il triste episodio riporta di drammatica attualità il problema della protezione della salute dei cittadini e della sicurezza alimentare –:
   se il Ministro interrogato abbia avuto notizia del caso e se risulti che la competente azienda sanitaria locale n. 3 di Nuoro abbia attivato tutte le specifiche procedure previste dal decreto ministeriale 21 dicembre 2001 ai fini dell'accertamento e della sorveglianza della malattia di Creutzfeldt-Jakob e, nel caso i fatti corrispondano al vero, quali misure di sanità pubblica il Ministro intentato abbia adottato o intenda adottare o promuovere per evitare l'insorgere di ogni possibile pericolo per la salute collettiva. (5-00511)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il problema dell'amianto è ancora drammaticamente attuale in Italia, è un pericolo sottile, che uccide a distanza di tempo. L'inalazione di fibre di amianto o di asbesto provoca a distanza di 30-40 anni tumori al polmone e nei casi più gravi mesotelioma pleurico, una malattia mortale che uccide ogni anno 3000 persone. Nella zona più colpita, quella di Casale Monferrato, sede dell'Etetnit, sono stati segnalati 459 casi di mesotelioma (su una popolazione totale di 35 mila abitanti), ma le previsioni sulle malattie e i decessi correlati dicono che la fase d'apice arriverà tra il 2015 e il 2020, con circa 680 mila persone a rischio;
   il mesotelioma è una neoplasia che origina dal mesotelo, lo strato & cellule che riveste le cavità sierose del corpo: pleura, peritoneo, pericardio, cavità vaginale dei testicoli. La quasi totalità dei casi attualmente rilevati del tumore si riferisce a mesotelioma pleurico, ed è correlata all'esposizione alle fibre aerodisperse dell'amianto (asbesto), con una latenza temporale particolarmente elevata – 15-45 anni –, e un decorso di 1-2 anni;
   l'esposizione può essere lavorativa, per gli operatori impegnati nella produzione e nell'utilizzo industriale di amianto e derivati, o paraoccupazionale, per l'uso dei relativi manufatti. L'esposizione può essere anche non professionale, cioè correlata all'uso dei manufatti per scopi non lavorativi e naturale, nei rari casi di esposizione in locazioni geologiche a polveri di origine naturale, non di cava. L'incidenza di questa neoplasia appare in crescita in tutto il mondo con circa 2,2 casi per milione di abitanti;
   essendo fortemente correlata all'uso industriale dell'amianto, attualmente vietato da 20 anni (1992) ed in fase di eliminazione in alcuni Paesi, ed essendo la patologia ad alta latenza temporale (il periodo di incubazione è di circa 30 anni), si prevede un livello costante di incidentalità della malattia in Italia fino al 2020 (cioè circa 30 anni dopo il 1992), ed una successiva decrescita;
   il mesotelioma è quasi sempre provocato dall'esposizione alla fibra di amianto. Molte persone vi sono state esposte nella vita militare; altre a causa del loro lavoro; altri ancora, secondariamente; attraverso il contatto con gli operai esposti. A causa della sua latenza, il cancro potrebbe non manifestarsi per 20-50 anni, e oltre, dopo l'esposizione;
   secondo le informazioni dell'Istituto finlandese per la salute sul luogo di lavoro, Helsinki, Finlandia, si prevede che l'incidenza del mesotelioma nell'Europa occidentale raggiungerà il picco tra il 2010 e il 2020;
   si discute del rapporto salute e lavoro, salute e ambiente e i diversi settori e Ministeri interessati si trovano al cospetto di nuovi e spesso inediti problemi dei cittadini: è recente la sentenza che condanna a pagare un grosso, ma insoddisfacente, rimborso ai pazienti e ai familiari delle vittime dell'amianto dell'ILVA –:
   quanto sia stato fino ad ora fatto per la salute in chiave di diagnosi precoce del mesotelioma e se non ritenga opportuno assumere iniziative volte ad adottare linee di trattamento nonché a prevedere screeing veloci per gli abitanti, entro un determinato raggio, di territori a rischio. (5-00512)


   CECCONI, DI VITA, BARONI, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia due farmaci oncologici sono stati messi in vendita solo a pagamento; chi vuole curarsi deve ora pagare più di mille euro a settimana, si è così di fronte ad una palese e gravissima violazione della Costituzione, a fronte di un silenzio assordante da parte del Governo che sembra indifferente a questo atto gravissimo nei confronti di malati di cancro;
   per la prima volta nel nostro Paese, le autorità sanitarie hanno deciso che ci sono malati di tumore ricchi che avranno accesso a due farmaci oncologici, e quelli poveri che dovranno farne senza;
   il pertuzumab, prodotto dalla Roche, e l'afibercept, prodotto dalla Sanofi – Aventis, sono stati autorizzati dall'Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) il 27 maggio 2013 e di conseguenza ammessi in farmacia, ma, cosa gravissima e inaudita a totale carico del malato;
   coloro che, hanno la necessità di curarsi dovranno pagare per il farmaco Roche 6.000 euro per le prime due somministrazioni e poi tremila euro ogni 21 giorni; e per il farmaco Sanofi Aventis 4.000 euro ogni tre settimane, cifre assolutamente insostenibili per i malati di cancro;
   le citate medicine essenziali sono state registrate e ammesse alla vendita, ma non rimborsate dal servizio sanitario nazionale; mai era accaduto che per farmaci anticancro, salvavita, si pagasse;
   molti farmaci innovativi sono oggi disponibili in farmacia a pagamento, è la cosiddetta fascia C, ma si tratta di prodotti non salvavita, per i quali, il più delle volte, esiste un'alternativa, ancorché meno potente o meno avanzata;
   il cancro, poi, è una malattia di una tale gravità e drammaticità che nessuno aveva mai osato nemmeno immaginare che si potessero registrare delle medicine «salva vita», ancorché innovative, e non metterle immediatamente a disposizione di tutti i malati, anzi facendone oggetto di mercato a costi insostenibili;
   l'Aifa ha agito secondo le norme; quella di riferimento in questo caso è una norma del novembre 2012 del Ministro pro tempore Balduzzi, con la quale si disponeva che i farmaci non ancora ammessi al rimborso del sistema sanitario nazionale ma verificati come efficaci dalle autorità sanitarie potessero essere venduti in farmacia a chi ha i soldi per comprarseli, usando l'espressione «nelle more»;
   le «more» del provvedimento sono lunghissime: i farmaci innovativi arrivano nel nostro Paese con grande ritardo, fino a due anni dall'approvazione europea; diversi mesi trascorrono mentre l'Aifa rivede i dossier, già esaminati e approvati dalle autorità europee, e autorizza il farmaco anche nel nostro Paese, ma altri mesi passano a definire prezzo e modalità di accesso al mercato. I tempi di questi iter si fanno lunghi a causa dei negoziati, con l'Aifa che offre prezzi che le aziende produttrici di farmaci «salvavita» ritengono bassi;
   il risultato è che nelle «more», chi ha i fondi potrà acquistare il farmaco con gli evidenti benefici terapeutici, chi non li ha, è destinato a correre rischi per la propria vita, ovvero ad indebitarsi o a cadere nelle mani dell'usura per poterli acquistare;
   a guadagnarci sono le aziende che inizieranno a vendere il farmaco mesi e mesi prima del suo accesso agli ospedali pubblici –:
   se sia a conoscenza dei fatti citati in premessa e quali iniziative, immediate, intenda avviare al fine di consentire ai malati di cancro, di usufruire gratuitamente di farmaci innovativi e salvavita, quali il pertuzumab, prodotto dalla Roche, e l'afibercept, prodotto dalla Sanofi – Aventis, in ottemperanza all'articolo 32 della Costituzione, in tempi rapidi e con un iter amministrativo al minimo indispensabile. (5-00513)


   LENZI, BIONDELLI, PATRIARCA, D'INCECCO, CAPONE, CASATI, GRASSI, MURER e SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, prevede, all'articolo 12 comma 5: «Fatta eccezione per i medicinali per i quali è stata presentata domanda ai sensi del comma 3, i medicinali per i quali è rilasciata un'autorizzazione all'immissione in commercio comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, del regolamento (CE) n. 1901/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, o del regolamento (CE) n. 1394/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, o un'autorizzazione all'immissione in commercio ai sensi del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, sono automaticamente collocati in apposita sezione, dedicata ai farmaci non ancora valutati ai fini della rimborsabilità, della classe di cui all'articolo 8, comma 10, lettera c), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni, nelle more della presentazione, da parte dell'azienda interessata, di un'eventuale domanda di diversa classificazione ai sensi della citata disposizione legislativa. Entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea della decisione della Commissione europea sulla domanda di autorizzazione all'immissione in commercio a norma del regolamento (CE) n. 726/2004, del regolamento (CE) n. 1901/2006 o del regolamento (CE) n. 1394/2007, l'AIFA pubblica nella Gazzetta Ufficiale un provvedimento recante la classificazione del medicinale ai sensi del primo periodo del presente comma e il suo regime di fornitura. Per i medicinali autorizzati ai sensi del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, le indicazioni della classificazione ai sensi del primo periodo del presente comma e del regime di fornitura sono incluse nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio. In ogni caso, prima dell'inizio della commercializzazione, il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio è tenuto a comunicare all'AIFA il prezzo ex factory e il prezzo al pubblico del medicinale. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai medicinali oggetto di importazione parallela»;
   questa norma prevede quindi che i medicinali già autorizzati dalla Unione europea debbano essere inseriti automaticamente nella fascia C, a pagamento, «nelle more» della presentazione da parte dell'azienda farmaceutica di un'eventuale domanda di diversa classificazione ai fini della rimborsabilità, In altre parole, in attesa che Aifa e aziende trovino un accordo sul prezzo da rimborsare a carico del servizio sanitario nazionale, questi medicinali vengono comunque messi in commercio ma solo a pagamento;
   tale norma sta creando di fatto una situazione di forte discriminazione all'accesso ai nuovi farmaci che rischiano di diventare appannaggio di pochi fortunati (in termini di reddito), visto il loro prezzo, fino a quando (non esistono termini massimi) autorità e aziende non trovino un accordo sul prezzo rimborsabile;
   ad esempio, con la Gazzetta Ufficiale del 14 giugno 2013, in base alla normativa sopracitata sono stati messi in commercio, nelle more della negoziazione del prezzo per la rimborsabilità, due nuovi anti cancro (il pertuzumab e l’afibercept), un farmaco anti Aids (il darunavir), due antidiabetici (il lixisenatide e l’insulina degludec), nonché un nuovo vaccino contro il meningococco B, un farmaco per il trattamento dell'iperfosfatemia nei pazienti con malattia renale cronica (il colestilan) e un nuovo prodotto per combattere la dipendenza da alcol (il nalmefene);
   chi volesse utilizzare il pertuzumab (Roche) e l’afibercept (Sanofi-Aventis) dovrà pagare per Roche 6.000 euro per le prime due somministrazioni e poi tremila euro ogni 21 giorni; e per il Sanofi Aventis 4.000 euro ogni tre settimane;
   tali costi fanno si che solo i ricchi potranno permettersi una cura adeguata, mentre gli alti dovranno fare senza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e non ritenga opportuno intervenire urgentemente al fine di garantire a tutti i malati il diritto alla salute, così come previsto dall'articolo 32 della nostra Costituzione, assicurando a tutti i pazienti le migliori e più innovative cure possibili. (5-00514)


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi attraverso mezzi di comunicazione si apprendeva la notizia della firma del decreto con cui vengono nominati i membri del Comitato che dovrà seguire la sperimentazione nel servizio pubblico del metodo Stamina da parte del Ministro interrogato;
   a commento della firma il Ministro dichiarava che i protocolli di avvio per la sperimentazione clinica del metodo Stamina con cellule staminali erano partiti e si stava predisponendo la cell-factory e, che entro il 1o luglio 2013 sarebbero stati pronti;
   alla guida del trial clinico ci sarebbe stato un comitato scientifico con i compiti di sovrintendere alle fasi di ricerca e individuare le malattie su cui l'infusione di cellule staminali potrà essere testata, oltre a stabilire i criteri per la scelta dei pazienti e le modalità di produzione delle cellule staminali;
   il comitato avrebbe dovuto essere nominato in tempi brevi e sarà formato da rappresentanti delle tre istituzioni scientifiche coinvolte nella sperimentazione (Agenzia italiana del farmaco, Istituto superiore di sanità e Centro nazionale trapianti), ma anche da esperti esterni –:
   visto il mancato avvio nei tempi previsti, con conseguente difficoltà per i malati in attesa, quali saranno i criteri ed i tempi che verranno adottati per l'arruolamento dei pazienti. (5-00515)


   PIAZZONI, NICCHI e AIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 13 settembre 2012, n. 158 (cosiddetto «decreto Balduzzi») coordinato con la legge di conversione n. 189, approvata in data 8 novembre 2012, prevede all'articolo 12, comma 5, che i medicinali che hanno già ottenuto apposita autorizzazione comunitaria all'immissione in commercio siano automaticamente inseriti in apposita sezione dedicata ai farmaci non ancora valutati ai fini della rimborsabilità, secondo la classe di cui all'articolo 8, comma 10, lettera c), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni, nelle more della presentazione, da parte dell'azienda interessata, di un'eventuale domanda di diversa classificazione, ai sensi della citata disposizione legislativa;
   conseguentemente, i medicinali in questione, in attesa del raggiungimento di un accordo tra l'Agenzia italiana del farmaco e le aziende produttrici riguardo al prezzo da rimborsare a carico del Servizio sanitario nazionale, sono comunque presenti in commercio, ma solo a pagamento;
   alla luce della determina dell'Aifa, del 27 maggio 2013, n. 518, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del giorno 14 giugno, tra i farmaci automaticamente messi in commercio a pagamento, nelle more della negoziazione del prezzo per la rimborsabilità, quindi nelle modalità di cui all'articolo 12, comma 5, citato, figurano farmaci innovativi per la cura dei tumori, come il pertuzumab e l’afibercept, per la cura dell'AIDS, il darunavir, farmaci contro il diabete come il lixisenatide e l'insulina degludec, nonché un nuovo vaccino contro il meningicocco B, un farmaco per il trattamento dell'iperfosfatemia nei pazienti con malattia cronica, il colestilan, e infine un nuovo prodotto per combattere la dipendenza da alcol, il nalmefene;
   tutti questi farmaci, ad alto tasso innovativo e diretti a curare in alcuni casi patologie di drammatica gravità, come il cancro e la sindrome da immunodeficienza acquisita, sono dunque presenti in commercio, ma soltanto a pagamento, ed a prezzi elevatissimi, che assolutamente impediscono l'accessibilità a tali cure da parte di tutti i malati;  
   pur considerando la ratio della norma di cui all'articolo 12, comma 5, della legge n. 189 del 2012 come volta a colmare il ritardo tra la registrazione europea e la messa in commercio dei farmaci in Italia, non si può non osservare come quest'ultima, quando si riferisca a prodotti «salvavita», atti a curare le gravi patologie sopra citate, possa produrre delle evidenti discriminazioni nell'accesso a tali medicinali, che rischiano di diventare appannaggio dei pochi fortunati capaci di sostenere il loro elevato costo economico, tenendo presente altresì che i tempi di negoziazione sul prezzo di rimborso tra Aifa e case farmaceutiche non soggiacciono ad un termine massimo, potendo protrarsi per un arco temporale molto lungo;
   nonostante la specifica clausola presente all'articolo 12, comma 3, della legge n. 189 del 2012, secondo la quale le aziende farmaceutiche interessate possono presentare, per i farmaci di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale, domanda di classificazione tra i medicinali erogabili a carico del Sistema sanitario nazionale, anche prima del rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio, è ancora assente un apposito elenco, cui l'Aifa stessa deve provvedere;
   forte è dunque la preoccupazione da parte degli interroganti che nel periodo necessario a mettere a punto tale elenco e a stabilire il prezzo della rimborsabilità dei farmaci in questione, si verifichino discriminazioni odiose, in quanto destinate a colpire persone già affette da gravissime patologie, con grave pregiudizio e sacrificio del loro inviolabile diritto alla salute e alle cure mediche –:
   se sia al corrente della situazione esposta in premessa, quali iniziative intenda adottare per fare in modo che l'Aifa venga sollecitata a predisporre l'elenco di cui sopra e ad attivarsi affinché non si verifichino casi di impossibilità – a causa degli elevati costi – nell'accesso alle cure per patologie di estrema gravità, nonché per impedire che nel futuro farmaci «salvavita» possano essere messi in commercio nelle modalità di cui alla disposizione in esame. (5-00516)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI e BONAVITACOLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Alcatel-Lucent è una multinazionale leader nella telefonia fissa e mobile, nelle reti IP ed ottiche e nella fornitura di applicazioni e servizi dell’information communication technology;
   Alcatel ha insediato diversi siti in Italia, specializzati nell'ingegneria software a Vimercate, Battipaglia e Rieti, nelle attività di produzione a Trieste e nelle attività amministrative e commerciali a Roma;
   Alcatel rappresenta un polo tecnologico di assoluta qualità ed eccellenza nel nostro Paese, con un personale estremamente qualificato, nell'ambito del quale numerosissimi sono i laureati specializzati in ingegneria, informatica, matematica e fisica;
   in particolare, lo stabilimento Alcatel-Lucen di Battipaglia costituisce un polo industriale di assoluta eccellenza nel settore delle telecomunicazioni e della ricerca, di rilievo europeo;
   tale sede è costituita da un centro di ricerca e sviluppo che rappresenta un rilevante riferimento tecnologico e che ha svolto da anni una intensa attività, sovente all'avanguardia dal punto di vista della capacità di innovazione scientifica e di elaborazione progettuale;
   infatti il centro di ricerca e di sviluppo costituisce da anni un rilevante canale occupazionale per tutte università della Campania e del Mezzogiorno sviluppando un'importante attività al servizio delle imprese del territorio ed alimentando un significativo indotto;
   il centro partecipa a diversi progetti di ricerca italiani ed internazionali, nei quali è stato artefice di soluzioni innovative di messaggistica per la gestione delle emergenze, a vantaggio della sicurezza e della qualità di vita delle persone;
   tale centro ha acquisito sul campo rilevanti competenze in vari campi della tecnologia digitale e della gestione integrata dei sistemi di videosorveglianza ed allarmistica;
   tali competenze possono essere di grande utilità per lo sviluppo delle concrete applicazioni dell'agenda digitale in Italia;
   negli ultimi anni il sito Alcatel di Battipaglia, nonostante abbia raggiunto elevati livelli di competenza e di capacità di innovazione tecnologica e scientifica generalmente riconosciuti, ha subito tutta una serie di decisioni aziendali che lo hanno pesantemente colpito e penalizzato, con diverse unità lavorative che sono state già costrette a trasferirsi a Vimercate;
   difatti uno dei tre gruppi operanti a Battipaglia, quello «Optics» è stato completamente chiuso con il trasferimento della relativa attività nello stabilimento di Vimercate, mettendo così in pericolo il destino lavorativo di 31 ricercatori;
   il 19 aprile 2013 l'azienda ha comunicato al Ministero dello sviluppo economico la decisione di alienare o chiudere un altro gruppo di Battipaglia, quello «DMS» con 29 ricercatori;
   il 22 giugno 2013 l'azienda ha deciso di porre in cassa integrazione guadagni 110 lavoratori, dei quali 13 nel sito di Battipaglia;
   gli impegni, assunti negli anni dall'Alcatel verso gli impianti italiani ed anche quello di Battipaglia, sono stati disattesi e non rispettati, nonostante i molteplici interventi pubblici (finanziamenti statali ed europei) che si sono susseguiti nel tempo a sostegno della produzione e del centro di ricerca;
   queste ripetute decisioni e scelte aziendali hanno riguardato complessivamente 51 unità di personale (circa l'80 per cento delle forze lavoro presenti nel sito di Battipaglia);
   è evidente che il centro di Battipaglia rischia sempre di più di essere smantellato ed impoverito, con la negativa dispersione delle competenze professionali acquisite nel corso di una esperienza trentennale;
   il 15 luglio 2013 si terrà un incontro dell'amministratore delegato di Alcatel Lucent con il Ministro interrogato per illustrare le strategie ed i programmi dell'azienda verso gli stabilimenti e le attività presenti in Italia;
   è indispensabile che il Governo assuma una decisa e forte iniziativa per salvaguardare e difendere la presenza ed il ruolo di Alcatel in Italia;
   nel quadro di questa iniziativa più complessiva e generale, il Ministro dello sviluppo economico deve intervenire per evitare ulteriori tagli e penalizzazioni al sito di Battipaglia, che costituisce un centro di elevata qualità, tutelando adeguatamente i livelli occupazionali in una realtà territoriale già così afflitta dalla crisi economica e sociale e dalla enorme disoccupazione –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, in vista dell'incontro con l'amministratore delegato di Alcatel Lucent fissato per il prossimo 15 luglio 2013, intenda assumere per preservare e sviluppare la funzione produttiva strategica dello stabilimento Alcatel di Battipaglia, salvaguardando i livelli occupazionali ed eliminando ogni pericolo di chiusura, o, di grave depauperamento di tale stabilimento, o comunque di delocalizzazione o esternalizzazione delle sue attività, uno stabilimento così rilevante e qualificato sul fronte della innovazione tecnologica, della ricerca scientifica e della creazione di nuovi e importanti soluzioni progettuali. (5-00502)


   BELLANOVA e CAPONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Officine meccaniche e ferroviarie del Salento S.r.l ha rappresentato per anni un punto di riferimento locale e nazionale nel settore della manutenzione ferroviaria. La principale commessa, prima che la stessa entrasse in un vortice di crisi – fino a fallire – arrivava proprio dalla società Trenitalia;
   la crisi di liquidità, con la conseguente stretta creditizia, che ha investito quest'azienda, nonostante il saldo positivo delle commesse, non si è mai risolta. L'Omfesa di Trepuzzi ha dapprima licenziato 104 dipendenti, poi il 22 marzo 2013 ne è stato dichiarato il fallimento;
   numerosi tavoli sono stati convocati nei mesi scorsi dagli enti preposti, ma nessuno di questi si è evidentemente dimostrato risolutivo o propositivo tanto da garantire all'azienda un futuro anche attraverso la ricerca di nuove manifestazioni d'interesse da parte di altri gruppi industriali;
   inoltre, i lavoratori interessati, da ciò che emerge, non hanno goduto del regime degli ammortizzatori sociali, ma sono stati collocati in mobilità. A tal proposito sugli organi di stampa si legge che «una risposta l'ha data lo stesso proprietario quando, negli ultimi giorni, ha svelato incautamente la costituzione già avvenuta, su suo impulso, di una “newco”. Questa nuova società avrebbe dovuto rilevare la parte buona dell'azienda, lasciando al commissario del tribunale la gestione dei debiti. Nelle intenzioni, il licenziamento dei lavoratori sarebbe stato funzionale a questo: la newco li avrebbe riassunti, godendo degli sgravio contributivi»;
   seppur autorevoli rappresentanti istituzionali abbiano commentato quanto sopra esposto come «un piano allucinante e spregiudicato», purtroppo però si registra che dal maggio 2013 le istituzioni preposte a trovare una soluzione ancora non hanno prodotto nuovi elementi;
   da fonti sindacali si apprende che Trenitalia avrebbe chiesto alla curatela fallimentare la restituzione dell'ultima commessa assegnata ad Omfesa, del valore di 4 milioni di euro;
   in questo clima di enormi incertezze, impegni mancati e quelli che agli interroganti appaiono tentativi di furberie, ad essere penalizzati gravemente sono i lavoratori e le loro famiglie –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di intervenire con urgenza affinché si attivi celermente un tavolo di confronto ministeriale volto ad individuare eventuali manifestazioni di interesse, ciò anche per evitare che gli ultimi 4 milioni di euro, dei 27 di commesse appaltate da Trenitalia, siano spostati su altri stabilimenti decretando così la morte dell'azienda. (5-00504)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIULIETTI e LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 l'Antonio Merloni spa a Fabriano e Nocera Umbra entra in crisi e a partire dal 2008 l'azienda è in amministrazione straordinaria. Nel 2012 subentra alla vecchia proprietà la JP Industries;
   al primo accordo di programma del 19 marzo 2010 è seguita la sottoscrizione di un atto integrativo del 18 ottobre 2012 siglato tra Ministero dello sviluppo economico, regione Umbria e Marche per la «rimodulazione» degli interventi con l'obiettivo di riassorbire il maggior numero possibile di personale diretto attualmente in cassa integrazione guadagni straordinaria; favorire la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Antonio Merloni, con particolare riferimento alla quota parte dello stabilimento di Gaifana, oggetto del diritto di opzione alla vendita o alla locazione concesso dalla società J&P Industries spa; sostenere il rilancio della piccola e media impresa dell'indotto;
   la crisi ha interessato tutte le aziende del gruppo coinvolgendo circa 3000 dipendenti e 73 comuni delle regioni Marche e Umbria;
   a quanto sopra esposto si aggiunge, nello scorso giugno 2013, la decisione assunta dalla proprietà Indesit Company che ha presentato ai sindacati il piano di salvaguardia e razionalizzazione, comunicando esuberi per 1425 dipendenti su un totale di 4000 addetti in tutta Italia e prevede la chiusura di due stabilimenti in Italia e precisamente a Melano di Fabriano e a Teverola (Caserta);
   in tutti gli altri stabilimenti del gruppo è prevista una razionalizzazione della produzione spostando all'estero le produzioni delle linee più economiche, lasciando in Italia le produzioni di alta gamma;
   pericolosa risulta la tendenza di delocalizzazione delle produzioni nazionali, che rischia di compromettere definitivamente la vocazione industriale di interi territori e che, a parere degli interroganti, appare in contrasto con la credibilità del made in Italy;
   la difficoltà della Indesit Company aggraverebbe ancora di più la pesante situazione economica nella zona di Fabriano, con la crisi non ancora risolta della ex Antonio Merloni e dell'indotto che gravitava attorno ad essa;
   l'estensione dell'ecobonus al comparto degli elettrodomestici può rappresentare un piccolo segnale di attenzione a uno dei settori trainanti della economia italiana –:
   quali iniziative si intendano promuovere per risolvere positivamente la difficile situazione del comparto degli elettrodomestici;
   cosa si intenda fare per il settore suddetto con particolare riferimento alla situazione dell'ex Antonio Merloni spa e dell'Indesit Company che interessa i territori di Marche e Umbria e che riguarda la vita di migliaia di famiglie. (4-01123)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Fiorio e altri n. 1-00052, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Quartapelle Procopio.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Zoggia n. 5-00443, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Martella, Murer, Mognato.

  L'interrogazione a risposta scritta Matarrelli e altri n. 4-01058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fratoianni, Pannarale.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Giorgia Meloni n. 3-00166, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Corsaro.

  L'interrogazione a risposta scritta Realacci e Palma n. 4-01110, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manfredi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-00486, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Brescia.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato, aggiunta di firme e modifica dell'ordine dei firmatari.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Cenni n. 1-00015, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 8 del 9 aprile 2013, che deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zaccagnini, Lupo, Faenzi, Catania, Franco Bordo, Caon, Rampelli, Lombardi, Parentela, Benedetti, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Zolezzi, Gallinella, D'Uva, L'Abbate, Brescia, Dieni, Liuzzi, Cozzolino, Villarosa, Cristian Iannuzzi, D'Incà, Segoni, Mannino, Sorial, Spessotto, Fico, Caso, Baldassarre, Cariello, Dadone, Battelli, D'Ambrosio, Tofalo, Terzoni, Del Grosso, Lorefice, Marzana, Crippa, Brugnerotto, Toninelli, Mantero, Micillo, Nesci, Carinelli, Grillo, Cancelleri, Colonnese, Nuti, Di Battista, Sibilia, Grande, Spadoni, Manlio Di Stefano, Ciprini, Cominardi, Baldelli, Bosco, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Romele, Russo, Dellai, Schirò Planeta, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cesa, Fauttilli, Matarrese, Molea, Monchiero, Nissoli, Rossi, Vargiu, Nesi, Gigli, Tinagli, Zanetti, Cimmino, Marazziti, Vecchio, Rabino, Antimo Cesaro, Vitelli, D'Agostino, Vezzali, Oliaro, Palazzotto, Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro.

   La Camera,
   premesso che:
    l'agroalimentare è uno dei settori dell'economia italiana che meglio resiste e reagisce alla crisi economica in atto in termini di valore aggiunto e, in particolare, di export, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4 per cento sul 2011);
    i dati Istat sui «Conti economici trimestrali» evidenziano che nel primo trimestre del 2013 l'agricoltura ha fatto registrare un aumento del valore aggiunto sia in termini congiunturali (+4,7 per cento), che tendenziali (+0,1 per cento), confermandosi come comparto in attivo anche sul piano occupazionale, con l'aumento delle assunzioni dello 0,7 per cento, in netta controtendenza con l'andamento recessivo del prodotto interno lordo e degli occupati dell'industria e dei servizi;
    i suddetti dati evidenziano per l'Italia un calo tendenziale del prodotto interno lordo nel primo trimestre del 2013 del 2,4 per cento, provocato dalle flessioni dell'industria (-4,1 per cento) e dei servizi (-1,4 per cento);
    le performance economiche del comparto agricolo sono positive, nonostante gli effetti negativi sulle coltivazioni provocati dal maltempo, che ha causato in agricoltura danni stimabili in un miliardo di euro, e dai segnali depressivi sui consumi che hanno interessato anche l'agroalimentare; l'agricoltura è stato l'unico settore che nel 2013 sta dimostrando segni di «vitalità economica» e occupazionale, a conferma questo della validità e della modernità del modello di sviluppo agricolo made in Italy, che è fondato sulla valorizzazione dell'identità, della qualità e delle specificità che consentono di affrontare e vincere la competizione internazionale;
    il modello di sviluppo agricolo fondato sul made in Italy è realizzabile grazie all'impegno crescente e costante dei produttori italiani che tutelano la qualità, la tracciabilità e la produzione agroalimentare nazionale, che si contrappone ad una visione che a livello internazionale tende a considerare la produzione agricola solo come una commodity che, al pari del petrolio, può determinare ingenti fortune finanziarie; in tale ultimo contesto, l'attività lobbistica delle multinazionali che vogliono trarre profitto dal transgenico, a prescindere dalle conseguenze che derivano dalla loro coltivazione e commercializzazione, ha spesso il sopravvento nelle decisioni in materia di alimentazione, ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi detenuti;
    il comparto agricolo nell'ultimo lustro ha dimostrato di essere una realtà economica d'eccellenza e di peculiare differenziazione della qualità agroalimentare rispetto agli altri partner intra-europei ed extra-europei e, per questi dati incontrovertibili, esso necessita di essere posto nell'agenda politica italiana quale uno dei volani principali della ripresa economica;
    la Monsanto è una multinazionale americana che, grazie al pressoché indiscusso monopolio delle sementi geneticamente modificate, rappresenta oggi il sinonimo mondiale di organismi geneticamente modificati. Il 22 aprile 1998, la Monsanto Europe ha ricevuto l'autorizzazione dalla Commissione europea per l'immissione in commercio del mais Mon810, il quale produce la proteina insetticida cryA per l'inclusione del gene del batterio bacillus thuringiensis, ai sensi della direttiva 90/220/CEE;
    il Mon810 non ha ancora ricevuto il rinnovo dell'autorizzazione ai sensi dalla direttiva 90/220/CEE abrogata dalla direttiva 2001/18/CE;
    nel luglio del 2004 prima e nel maggio del 2007 poi, la Monsanto ha fatto richiesta di riconoscimento del Mon810 come prodotto esistente al momento dell'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1829/2003 che ha sostituito parte della direttiva 2001/18/CE sull'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati;
    è recente la notizia che a Vivaro (Pordenone) seimila metri quadrati sono stati seminati con mais biotech, Mon810, creando un altissimo rischio di contaminazione nei confronti della biodiversità del nostro Paese;
    risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di organismi geneticamente modificati, estranee all'interesse comune dei cittadini comunitari, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell'Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
    la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integre, ossia non inquinate da organismi geneticamente modificati, le produzioni agricole di qualità che rappresentano il vero valore aggiunto sul mercato alimentare globale;
    una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità rispetto all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l'attenzione sull'importanza delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione e sull'impossibilità di coesistenza fra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione che determina un inquinamento dell'ambiente irreversibile;
    i recenti studi di Gilles-Eric Seralini, ricercatore dell'Istituto di biologia fondamentale e applicata presso l'Università degli Studi di Caen (Francia), condensati nel libro Tous co-bayes, conducono verso la «prova» della tossicità – tuttora molto dibattuta – degli organismi geneticamente modificati e degli erbicidi ad essi collegati; si tratta di un campo certamente da approfondire, ma, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, ciò è sufficiente per adottare tutti quei provvedimenti prudenziali per evitare futuri eventuali disastri ambientali e sanitari che potrebbero rivelarsi irreversibili;
    nei diversi dossier tecnici redatti dalle aziende biotech, ai fini della loro valutazione da parte dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), vengono evidenziate differenze statisticamente significative nella composizione biochimica degli organismi geneticamente modificati rispetto alle varietà di origine, nonché negli effetti sulla salute degli animali oggetto degli studi di tossicità, i quali presentano generalmente alterazioni del sistema enzimatico, epatico e renale;
    l'Efsa ha sin qui giustificato le differenze statisticamente significative di diversi organismi geneticamente modificati, incluso il Mon810, come dovute alla variabilità naturale;
    la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale per quanto concerne sia l'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati, sia l'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati nell'ambiente e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da colture biotech attraverso l'applicazione della clausola di salvaguardia;
    il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia» mediante la quale le autorità nazionali preposte (per l'Italia sono i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute) possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso;
    con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, venivano previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004, nella parte in cui si richiama l'esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura, venendosi così a determinare un pericoloso vuoto normativo, poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà della scelta dell'imprenditore, sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che ogni norma nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
    fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri, oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente; più in generale, e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico, che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
    nel mese di aprile 2013 il Ministro della salute pro tempore ha inviato una lettera a Bruxelles chiedendo di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais Mon810 in tutta Europa, ma nessuna azione risulta essere stata intrapresa nelle sedi preposte;
    nella seduta del 21 maggio 2013 il Senato della Repubblica ha approvato all'unanimità l'ordine del giorno sulle colture biotech con cui si impegna il Governo: «(...) ad adottare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e/o ad adottare la misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano; a rafforzare la già efficace opera di monitoraggio e controllo posta in essere con il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato, il quale da tempo effettua verifiche per evitare la contaminazione tra colture geneticamente modificate e non e per controllare l'eventuale presenza di sementi transgeniche non autorizzate; a potenziare la ricerca scientifica pubblica in materia agricola e biologica e, in caso di organismi geneticamente modificati, in ambiente confinato di laboratorio (...)»;
    il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, nell'illustrazione delle linee programmatiche del suo dicastero rese il 12 giugno 2013 in seduta congiunta alle Commissioni agricoltura della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ha affermato che: «(...) l'importanza di un positivo relazionarsi tra Governo e istituzioni parlamentari ha già trovato, in questa legislatura, un'ottima dimostrazione in Senato sul delicato tema degli organismi geneticamente modificati, con l'assunzione del mio personale impegno sull'ordine del giorno congiunto di tutti i gruppi rappresentati, finalizzato all'adozione di regole coerenti con la tutela della salute umana e dell'ambiente, nonché del modello socio-economico e del patrimonio agroalimentare italiano, al contempo rafforzando la ricerca scientifica e le azioni di monitoraggio e controllo (...)»;
    il sistema delle regioni e delle province autonome ha ripetutamente dichiarato in sede di Conferenza delle regioni, con l'approvazione di un ordine del giorno e con una fitta corrispondenza istituzionale con le istituzioni europee e nazionali, la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che andrà a modificare la direttiva 2001/18/CE, per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la biodiversità agroalimentare, la qualità e le specificità dei suoi prodotti;
    specificatamente, l'ordine del giorno della Conferenza delle regioni e delle province autonome recita: «(...) impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, a procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento e del Consiglio europeo del 12 marzo 2001 (...)»; ed ancora: «(...) tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione, impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e in occasione delle riunioni in sede comunitaria, la posizione unanime delle regioni e delle province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale (...)»;
    in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture transgeniche lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di autorità nazionale in materia, di: «(...) guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di organismi geneticamente modificati in Italia (...)»;
    ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
    l'ultimo rapporto del mese di febbraio 2013 del Servizio internazionale per l'acquisizione delle applicazioni biotecnologiche per l'agricoltura, Isaa, riguardante lo «Status globale della commercializzazione di colture biotech/ogm», ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque Paesi – Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania – a coltivare organismi geneticamente modificati, con 129 ettari di mais transgenico seminati nel 2012, una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria;
    in data 29 marzo 2013 il Ministro della salute pro tempore ha inoltrato alla direzione generale salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia, e nel resto d'Europa, di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, a norma dell'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003;
    il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale è evidenziato dalla semina di mais geneticamente modificato già avvenuta nei giorni scorsi nella regione Friuli Venezia Giulia ed alla possibilità di replica di tali atti in altre parti del territorio nazionale;
    a seguito della semina di mais Mon810 avvenuta a Vivaro (Pordenone), le autorità competenti recintavano e ponevano sotto sequestro il campo seminato da mais biotech e si apriva un procedimento penale a carico dell'agricoltore, Giorgio Fidenato, autore della semina;
    la Corte di giustizia dell'Unione europea, IX sezione, con ordinanza dell'8 maggio 2013, causa C-542/12, ha deciso in via pregiudiziale che:«(...) il diritto dell'Unione europea dev'essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais Mon810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, come modificata dal regolamento n. 1829/2003. L'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2008, dev'essere interpretata nel senso che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture (...)»;
    la pronuncia in via pregiudiziale (articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) della Corte di giustizia europea scaturisce dal procedimento penale in corso presso il tribunale di Pordenone a carico di Giorgio Fidenato, titolare dell'azienda agricola dove sono state messe a coltura sementi di organismi geneticamente modificati, mais Mon810, in assenza della specifica autorizzazione (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 212 del 2001);
    esiste il fondamentale «principio di precauzione», sia nella normativa comunitaria (articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che in quella nazionale (articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modifiche ed integrazioni), e, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, sarebbe opportuno e non più rinviabile, che il legislatore europeo introduca nel regolamento comunitario, in materia di organismi geneticamente modificati, l'inclusione di una «clausola di garanzia» in favore degli Stati membri che intendano avvalersene;
    al riguardo, si evidenzia l'intenzione del commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori Tonio Borg di rilanciare il negoziato europeo sugli organismi geneticamente modificati, rendendo gli Stati membri maggiormente autonomi sulle linee guida da autorizzare a livello nazionale;
    la risposta fornita dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, ad un'interrogazione a risposta immediata in Commissione agricoltura della Camera dei deputati, ha espresso le seguenti considerazioni: «(...) il Senato della Repubblica ha recentemente approvato un ordine del giorno unitario, accolto dal Governo, in tema di organismi geneticamente modificati che si tradurrà nell'emanazione di un decreto interministeriale (salute, ambiente e tutela del territorio e del mare e politiche agricole, alimentari e forestali), con il quale verrà disposto il divieto di coltivazione di varietà di mais Mon810 sul territorio nazionale. Tuttavia, considerato che non ci troviamo nelle condizioni per ricorrere alla clausola di salvaguardia “vera e propria” di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE (strada preclusa da una sentenza della Corte di giustizia europea dell'8 settembre 2011), interverremo con il decreto interministeriale facendo ricorso all'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003 che consente di adottare misure di emergenza qualora sia manifesto che prodotti geneticamente modificati autorizzati possano comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente. Al riguardo, preciso che le misure di emergenza sono adottate con le procedure previste dagli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) 178/2002 sulla sicurezza alimentare (la cui autorità competente in Italia è il Ministero della salute)»; ed ancora «(...) vorrei inoltre far presente che, sebbene lo scorso mese di aprile il Ministro della salute abbia richiesto alla Commissione europea di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais transgenico Mon810 in tutta Europa (considerando che l'autorizzazione del 1998 non è stata rinnovata), al momento, tuttavia, nessuna azione al riguardo è stata intrapresa dalla competente istituzione europea. Da qui, la possibilità di adottare il decreto di divieto di coltivazione per il solo territorio nazionale a cui stanno lavorando i servizi giuridici dei tre Ministeri. Saranno naturalmente utilizzati, allo scopo, sia il dossier predisposto dal Cra (ove è stato messo in evidenza che il Mon810 potrebbe modificare le popolazioni di lepidotteri non bersaglio e favorire lo sviluppo di parassiti potenzialmente dannosi per le altre colture), sia il parere dell'Ispra (che conferma i rischi per le popolazioni di lepidotteri non target e non esclude la possibilità di impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine)». Da ultimo: «(...) da parte nostra, intendiamo proseguire sulla strada di un'azione forte e determinata a sostegno di una modifica della normativa comunitaria (peraltro già predisposta dalla stessa Commissione europea nel 2010), che consenta agli Stati membri di opporsi alla coltivazione degli organismi geneticamente modificati per motivi non solo sanitari e ambientali, ma anche di politica economica agraria, come quelli esposti dagli interroganti e assolutamente condivisibili (...)»,

impegna il Governo:

   a perseguire, con tutta la necessaria energia negoziale, un radicale miglioramento della normativa comunitaria in materia di coltivazione di sementi transgeniche e di immissione in commercio di organismi geneticamente modificati che si ispiri alle linee seguenti:
    a) una rigorosa applicazione del principio di precauzione in tutti i procedimenti di autorizzazione alla coltivazione o al commercio di eventi transgenici;
    b) un regime obbligatorio di tracciabilità per tutte le sementi e gli organismi geneticamente modificati idoneo a segnalarne la presenza in tutti gli stadi della filiera;
    c) un regime di etichettatura a beneficio del consumatore finale che metta a disposizione del medesimo tutte le informazioni assicurate dal predetto regime di tracciabilità;
    d) regole generali idonee a tutelare pienamente, attraverso le disposizioni attuative demandate agli Stati membri, i produttori convenzionali e biologici;
    e) un'adeguata sussidiarietà, che consenta agli Stati membri, per motivazioni di carattere oggettivo, di interdire temporaneamente o definitivamente, in tutto il proprio territorio o in parte di esso, la coltivazione di sementi transgeniche;
   ad avviare comunque e tempestivamente la procedura per l'adozione della misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, secondo quanto previsto dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, e ad adottare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
   ad assumere iniziative immediate in relazione all'avvenuta semina di mais geneticamente modificato, su tutto il territorio italiano, al fine di evitare ogni forma di possibile contaminazione ambientale e delle produzioni agricole locali;
   a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avvenuta in gran parte del Paese, l'incremento delle attività di controllo e monitoraggio per potenziare, d'intesa con le regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate;
   a sostenere la ricerca scientifica pubblica in materia agricola, biologica ed agroalimentare secondo le migliori prassi scientifiche nazionali ed internazionali e in caso di organismi geneticamente modificati in ambiente confinato, sotto il controllo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, anche al fine di salvaguardare le specificità del sistema agroalimentare italiano.
(1-00015)
(Ulteriore nuova formulazione) «Cenni, Zaccagnini, Lupo, Faenzi, Catania, Franco Bordo, Caon, Rampelli, Rosato, Braga, Gnecchi, Benamati, Mongiello, Realacci, Lenzi, Arlotti, Magorno, Fanucci, Lodolini, Miotto, Manfredi, Rubinato, Murer, Moscatt, Antezza, D'Incecco, Petrini, Fossati, Marantelli, Marchi, Mariastella Bianchi, Mariani, Fregolent, Dallai, Bratti, Velo, Tullo, Terrosi, Fiorio, Oliverio, Zanin, Carra, Lombardi, Parentela, Benedetti, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Zolezzi, Gallinella, D'Uva, L'Abbate, Brescia, Dieni, Liuzzi, Cozzolino, Villarosa, Cristian Iannuzzi, D'Incà, Segoni, Mannino, Sorial, Spessotto, Fico, Caso, Baldassarre, Cariello, Dadone, Battelli, D'Ambrosio, Tofalo, Terzoni, Del Grosso, Lorefice, Marzana, Crippa, Brugnerotto, Toninelli, Mantero, Micillo, Nesci, Carinelli, Grillo, Cancelleri, Colonnese, Nuti, Di Battista, Sibilia, Grande, Spadoni, Manlio Di Stefano, Ciprini, Cominardi, Baldelli, Bosco, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Romele, Russo, Dellai, Schirò Planeta, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cesa, Fauttilli, Matarrese, Molea, Monchiero, Nissoli, Rossi, Vargiu, Nesi, Gigli, Tinagli, Zanetti, Cimmino, Marazziti, Vecchio, Rabino, Antimo Cesaro, Vitelli, D'Agostino, Vezzali, Oliaro, Palazzotto, Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Zaccagnini n. 1-00019 del 16 aprile 2013;
   mozione Faenzi n. 1-00128 del 1o luglio 2013;
   mozione Caon n. 1-00129 del 1o luglio 2013;
   mozione Franco Bordo n. 1-00130 del 1o luglio 2013;
   mozione Catania n. 1-00131 del 1o luglio 2013;
   mozione Giorgia Meloni n. 1-00132 del 1o luglio 2013;

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Molteni n. 5-00082 del 16 aprile 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione D'Uva e altri n. 5-00451 del 26 giugno 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01129;
   interrogazione a risposta in Commissione Daga n. 5-00496 del 2 luglio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01134.