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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 2 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 29 del codice della navigazione definisce le pertinenze demaniali marittime come «costruzioni ed altre opere appartenenti allo Stato che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale»;
   i suddetti beni non possono pertanto essere assimilati a semplice regime concessorio, configurandosi a tutti gli effetti come affitto di un bene di proprietà pubblica, per quanto in derivazione di incameramento, e non semplicemente come diritto di utilizzo temporaneo di una superficie;
   è pertanto del tutto giustificata l'introduzione di un regime diversificato dei canoni, così come introdotto dalle legge n. 296 del 2007, articolo 1, comma 251;
   eventuali disparità di trattamento devono essere risolte con un progressivo allineamento alle condizioni di mercato, nei termini della scadenza delle concessioni, di beni che la legge individua come assoggettabili ad incameramento;
   nel periodo 2007-2013 l'andamento del mercato immobiliare e del comparto turistico è stato negativo, e questo può comportare in taluni casi un'effettiva, intervenuta ed eccessiva onerosità dei suddetti canoni,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di aggiornare i canoni demaniali attualmente corrisposti dai soggetti sottoposti a regime di mercato ai valori dell'osservatorio del mercato immobiliare più recenti per ciascuna zona di competenza;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'introduzione di una forma di equo indennizzo per i soggetti che, a fronte delle mutate condizioni di mercato, intendano recedere anticipatamente dalla concessione.
(7-00057) «Paglia, Lavagno».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   l'esercizio 2011 del gruppo Finmeccanica si è chiuso con 2,34 miliardi di euro di perdite;
   l'esercizio 2012, nel corso del quale il gruppo Finmeccanica sarebbe dovuto, per impegno dell'attuale vertice, tornare all'utile, ha registrato ulteriori perdite per 786 milioni di euro;
   i risultati del resoconto intermedio di gestione al 30 marzo 2013 segnalano 8 milioni di euro di utile a fronte dei 24 milioni di euro registrati nell'omologo periodo dell'anno precedente conclusosi poi in vistosa perdita;
   tale andamento negativo, paradossalmente, esclude alcune delle società destinate alla dismissione, come Ansaldo StS e Energia, ed include, in prima fila, alcune di quelle su cui, secondo l'attuale vertice, si dovrebbe concentrare Finmeccanica;
   secondo tutti i qualificati osservatori esterni ed interni sono annidate nel sistema ulteriori perdite per valori superiori a 1,5 miliardi di euro, concentrate nel settore militare e in particolare in Selex ES, derivante dall'integrazione di società tra loro diverse per clienti, prodotti, risultati senza che un piano industriale preventivo ne giustifichi la convenienza (caso più unico che raro nella storia della grande industria internazionale);
   ad avviso degli interpellanti, contrasta, con tale precaria condizione economico-finanziaria, lo stato di passività strategica, la paralisi decisionale, l'incertezza manageriale, lo stallo organizzativo, la conflittualità interna, le ambizioni ed i comportamenti autocratici di diversi vertici delle società a cominciare da quello del gruppo, che è stato in qualche modo occultato dall'attivismo nelle dichiarazioni e nell'attività di comunicazione e di relazione istituzionale del vertice del gruppo che, con tutta evidenza, appare contraddittorio da oltre diciotto mesi;
   l'intenzione di dismettere i settori trasporti ed energia, in cui operano le uniche imprese del gruppo Finmeccanica che presentano sia andamenti economico-finanziari positivi, sia eccellenti possibilità competitive globali, nonché mercati settoriali internazionali fiorenti e in crescita, appare a tutti gli osservatori specializzati ed indipendenti un fenomeno eclatante di miopia e/o insipienza strategica;
   il disegno rinunciatario della cessione di Ansaldo StS e Ansaldo Energia, malgrado annunci e dichiarazioni, non è finora andato in porto, e, per quanto risulta agli interpellanti, queste società si sottraggono all'immobilismo soltanto grazie all'attività internazionale svolta dal loro management;
   Ansaldo Breda, ad avviso degli interpellanti, non viene né gestita né riorganizzata in attesa di un'improbabile, difficile, costosa cessione, resa ancora più onerosa dal suo crollo di immagine e reputazione sul mercato internazionale causato: a) dallo stallo gestionale; b) dalle dichiarazioni avventate e irresponsabili del vertice di Finmeccanica e di altri alti dirigenti del gruppo circa la inesistente «capacità di fare i treni» dell'impresa ferroviaria; c) dalle gravi carenze in materia di sicurezza e affidabilità testimoniate dal rischio di default dei V250 in Belgio e Olanda, evidenza inconfutabile dell'incapacità tecnico-operativa degli amministratori delegati dell'ultimo decennio, ivi compreso quello attuale, e della emarginazione e deresponsabilizzazione di tutti i dirigenti e quadri tecnici interni;
   il risultato di tale situazione è che qualsiasi acquirente interessato e capace di intervenire, apportando anche nuove tecnologie, si veda per esempio Hitachi Rail, pone condizioni preliminari inaccettabili, tra le quali spicca la necessaria riorganizzazione competitiva: una riorganizzazione che da anni viene annunciata dai numerosi vertici operativi di Ansaldo Breda, senza mai però essere realizzata;
   anche laddove detta riorganizzazione dovesse essere, la società verrebbe pagata, nella migliore delle ipotesi, neanche in modo irrisorio, quasi nulla, e solo a fronte della sottoscrizione di clausole capestro circa i debiti presenti e futuri e l'andamento delle commesse in portafoglio e in acquisizione;
   la dismissione a tali condizioni di una Ansaldo Breda non riorganizzata è visibilmente onerosa e condurrebbe ad assegnare all'acquirente le tecnologie e le commesse, mentre a Finmeccanica le perdite passate, presenti e future;
   secondo quanto risulta agli interpellanti da fonti autorevoli, Hitachi Rail trascura il negoziato dopo mesi di due diligence, dimostrando in tal modo l'inconcludenza del vertice di Finmeccanica e di Ansaldo Breda;
   per tutte e tre le società Ansaldo non viene realizzata l'unica soluzione strategica valida: la partnership con player di rango internazionale intrinsecamente associata alla necessaria e possibile riorganizzazione congiunta;
   prosegue invece un'intollerabile passività in attesa di una improbabile o non conveniente dismissione: Energia a Doosan, player privo delle tecnologie innovative necessarie nel prossimo decennio; Breda, e solo se associata a StS, a Hitachi o altri player;
   in tale condizione Ansaldo StS ed Ansaldo Energia differiscono la indispensabile ricerca di accordi internazionali di partnership e Breda, non riorganizzata e non gestita, reitera le sue perdite inerziali;
   il progetto denominato SuperSelex ha generato al già citato «mostro» Selex ES, organizzativamente incontrollabile, economicamente ignoto, in cui post-merging e riorganizzazione sono stati affidati non a dirigenti tecnologici e ingegneristici ma a dirigenti delle risorse umane, ad avviso degli interpellanti, incapaci di esaminare i portafogli di tecnologie e prodotti delle tre società preesistenti eppure iperattivi nella riorganizzazione passiva, ovvero nell'individuazione di esuberi, come se il rilancio di efficienza e competitività di un gruppo iper-tecnologico come Selex possa prescindere dalla riorganizzazione innovativa del portafoglio di tecnologie e prodotti e dei processi di ricerca e di sviluppo, di progettazione e di ingegnerizzazione;
   la realizzazione del programma Boeing 787 Dreamliner – in cui Alenia Aermacchi è risk sharing partner di Boeing – nelle unità operative di Grottaglie (Taranto), Foggia e Pomigliano (Napoli), a oltre tre anni dal primo volo (15 dicembre 2009), oltre quattro anni dal PPV (Pre-Production Verification), oltre sette anni dall'inizio della costruzione dello stabilimento di Grottaglie, preoccupa a tal punto Boeing Aerospace da spingerla a: mantenere circa 200 ingegneri residenti per seguire l'andamento delle operazioni (engineering, manufacturing, quality) in loco; costruire una linea di back up per la sezione di fusoliera 46 (Grottaglie), lo stabilizzatore (Foggia) e le altre parti minori (Pomigliano); affiancare fornitori statunitensi agli inaffidabili fornitori italiani, storicamente protetti da accordi privilegiati industrialmente ingiustificabili;
   la politica di reindustrializzazione perseguita dagli Stati Uniti rende la possibilità di una riacquisizione Boeing dei componenti prodotti da Alenia Aermacchi per il B787 un'eventualità sempre meno remota;
   l'ipotesi di accordo tra BAE Systems e EADS, resa nota a suo tempo sui siti ufficiali delle due imprese, anche se successivamente sospesa, è sufficiente a mostrare la marginalizzazione del gruppo italiano dalle chance, dal rango, dalla stessa presenza quale player globale nel sistema competitivo mondiale dell'alta tecnologia, che non si limita ad aerospazio, difesa e sicurezza ma include energia e trasporti;
   il Ministro dell'economia e delle finanze aveva manifestato per iscritto, circa i manager pubblici indagati, e senza specifico riferimento a Finmeccanica, quanto segue: «Reputo opportuno che, in disparte la possibilità delle dimissioni spontanee dei soggetti coinvolti, venga adottata, nell'esercizio dei poteri dell'azionista, ogni iniziativa affinché gli organi societari, nel rispetto delle proprie competenze, effettuino i dovuti approfondimenti istruttori»; chiedendo inoltre che «si abbia cura di adottare i provvedimenti più opportuni per garantire l'efficienza delle aziende e l'immagine delle stesse, al fine di preservare il valore delle società e tutelare i diritti dell'azionista»; è infine giunto ad evocare l'eventuale sussistenza dei presupposti per promuovere da parte degli azionisti «l'azione sociale di responsabilità»;
   come noto, il vertice del gruppo è stato sostituito a seguito dell'intervento della magistratura e non certo grazie ad un intervento risolutivo del precedente Governo, nonostante il Ministero dell'economia e delle finanze rappresenti il principale azionista di Finmeccanica con una quota pari al 32,45 per cento della società e tale partecipazione sia soggetta alla disciplina dettata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 settembre 1999, secondo cui tale quota non può scendere al di sotto della soglia minima del 30 per cento del capitale sociale. In buona sostanza, nessun altro azionista può detenere una quota del capitale di Finmeccanica superiore al 3 per cento senza l'approvazione del Ministero dell'economia e delle finanze;
   ad avviso degli interpellanti, anche l'avvicendamento nella posizione di amministratore delegato non è stato determinato dal Governo per i disastrosi risultati economici e gli eclatanti errori strategici, interamente condivisi dal consiglio di amministrazione vigente, dal vertice precedente e da quello attuale, ma a causa delle intervenute vicende giudiziarie che tutti conoscono;
   l'attuale Governo ha reso noto che «Il Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri, intende definire procedure trasparenti per la nomina di amministratori nelle società controllate e criteri generali di valutazione delle candidature volti ad assicurare la qualità professionale e la competenza tecnica dei prescelti» come si desume dal comunicato del Ministero dell'economia e delle finanze del 28 maggio 2013 a proposito del rinvio delle nomine previste nell'assemblea di Finmeccanica del 30 maggio;
   tutti i manager operativi di società sono stati esclusi dal vertice di gruppo dalle fallimentari decisioni strategiche finora perseguite e tuttora non smentite;
   è notorio ed evidente che il descritto stato di paralisi decisionale e strategica di cui alle premesse precedenti induce e produce esodi forzati e volontari di risorse pregiate, demotivazione e demoralizzazione diffuse in tutti i livelli e funzioni della struttura organizzativa e in tutti i settori della struttura strategica, con costi patrimoniali (capitale umano) immediati e danni economici inevitabili e fatali –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, per contrastare e ribaltare il corso autodistruttivo in atto del principale gruppo industriale italiano dell'alta tecnologia;
   quali iniziative si intendano adottare per conoscere dagli attuali vertici di Finmeccanica e delle società di primo livello controllate (Agusta Westland, Alenia Aermacchi, Ansaldo Energia, Ansaldo StS, Ansaldo Breda, DRS Technologies, Selex Electronic Systems) quali siano le realistiche prospettive di risultato economico per il 2013;
   quali atti di competenza il Governo intenda assumere per incoraggiare e indirizzare la ricerca di partner competitivi di rango internazionale per Ansaldo Breda, Ansaldo energia, Ansaldo StS alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione;
   se non si ritenga opportuno avviare una valutazione approfondita sulla precaria condizione economica, strategica, organizzativa, tecnica e operativa in cui versa Selex attualmente;
   se si intenda verificare, anche attraverso l'audizione presso il Ministero dello sviluppo economico dei vertici Boeing, la reale condizione – opportunità e minacce, possibilità e rischi – di un programma di vitale importanza per l'industrializzazione del Mezzogiorno quale il Boeing 787 Dreamliner;
   se si intenda verificare se Finmeccanica sia in grado di sopportare, nell'attuale condizione di difficoltà economico-finanziaria, il costo economico di un'eventuale decisione di Boeing di sottrarre il programma 787 Dreamliner ad Alenia Aermacchi per effetto della sua manifesta incapacità sia di gestire il sistema logistico e la produzione di Grottaglie sia di rispettare il piano mondiale di programma;
   quali iniziative si intendano assumere per invertire il processo di esclusione di Finmeccanica dal ruolo di player del sistema competitivo mondiale dell'alta tecnologia, processo esibito con ogni evidenza dall'estraneità dei vertici del gruppo ai movimenti in corso nelle aggregazioni industriali europee di rango mondiale;
   quali iniziative si intendano assumere per arrestare il processo di degrado del capitale umano del gruppo a livello manageriale, tecnico, operativo, con particolare riferimento ai giovani laureati e diplomati (dirigenti, impiegati e operai) che forniscono quotidianamente un contributo professionale ed etico prezioso nelle attività di progettazione, industrializzazione, produzione;
   se il Governo non ritenga opportuno, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, e quindi di un gruppo complesso per mercati, aree d'affari, tecnologie, sistemi e prodotti, promuovere la costituzione di una struttura organizzativa più articolata rispondente alla struttura strategica, in cui possano avere maggior rilievo decisionale i responsabili delle società operative, oggi esclusi da qualsiasi decisione strategica;
   quali azioni intenda intraprendere il Governo per tutelare la reputazione internazionale del gruppo e delle sue società, alla luce degli scandali giudiziari che hanno investito il gruppo Finmeccanica;
   se, alla luce della condizione descritta, esposta a seri problemi di sopravvivenza del gruppo Finmeccanica stesso ma anche a preziose opportunità future, l'attuale consiglio di amministrazione di Finmeccanica ed il suo amministratore delegato siano ancora da ritenersi meritevoli di guidare il gruppo stesso;
   se non si ritenga quanto mai utile e necessario ragionare nella prospettiva di un radicale cambiamento manageriale, a partire dalla decadenza dell'attuale consiglio di amministrazione e dalla nomina di un nuovo vertice che risponda seriamente ai requisiti preannunciati dal Ministero dell'economia e delle finanze il 29 maggio 2013;
   quali azioni urgenti il Governo intenda assumere, inoltre, affinché Finmeccanica modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti ed anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile.
(2-00125) «Airaudo, Ferrara, Quaranta, Migliore, Di Salvo, Aiello, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, per sapere – premesso che:
   nell'ordinamento vigente, la procedura di nomina del presidente dell'ISTAT è fortemente tipizzata attraverso puntuali disposizioni legislative, poste a garanzia della stessa funzione monocratica, che assomma una serie di competenze e poteri strategici nel sistema di produzione di informazione statistica ufficiale;
   secondo tale procedura, «Il Presidente dell'Istituto nazionale di statistica, scelto tra i professori ordinari in materie statistiche, economiche ed affini, è nominato, ai sensi dell'articolo 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri»;
   ai sensi del citato articolo 3 della legge n. 400 del 1988 «le nomine alla presidenza di enti, istituti o aziende a carattere nazionale, di competenza dell'amministrazione statale... sono effettuate con decreto del Presidente della Repubblica emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata su proposta del Ministro competente»;
   in linea con questo quadro di regole, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 maggio 2013 sono state delegate al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, tra le altre, le funzioni concernenti l'attuazione del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, recante «Norme sul Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell'Istituto nazionale di statistica, ai sensi dell'articolo 24 della legge 23 agosto 1988, n. 400.» (articolo 1, comma 4, lettera g);
   per espressa previsione normativa, la procedura di nomina è «subordinata al parere favorevole» espresso dalle Commissioni parlamentari a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti;
   in relazione a notizie prima diffuse dagli organi di informazione e poi confermate con una nota di precisazione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, risulta essere stato emanato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di nomina del professor Antonio Golini, Accademico dei lincei, a Presidente pro tempore dell'ISTAT, «per consentire che le funzioni monocratiche del Presidente siano assolte e i poteri precipui del Presidente siano esercitati», a seguito della cessazione dalla carica del professor Enrico Giovannini attuale Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
   la designazione effettuata dal Governo non risulta essere stata sottoposta, prima della sua formalizzazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al parere della Commissioni parlamentari, come peraltro espressamente prescritto per legge;
   nemmeno il «carattere temporaneo» della nomina, in quanto «legata all'avvio dell'iter di nomina del nuovo Presidente», carattere posto a motivazione del provvedimento nella nota di precisazione della Presidenza del Consiglio, giustifica il ricorso ad una professionalità esterna all'ISTAT, dovendosi semmai procedere con altri istituti di salvaguardia del sistema per le ipotesi di vacanza della carica presidenziale, quali il commissariamento dell'ente o, al limite e nelle more della nomina del nuovo presidente, la reggenza quale tipica situazione temporanea in capo ad altro dirigente del medesimo ente;
   per tutto quanto sopra, il provvedimento di nomina del Governo, collocato in modo irrituale al di fuori del complessivo quadro di norme procedurali – oltre a determinare a giudizio dell'interpellante un vulnus nel ruolo del Parlamento, volutamente configurato dal legislatore all'interno di un sistema equilibrato di attori politici anche a garanzia di imparzialità della funzione e della figura del presidente dell'ISTAT – risulta essere stato adottato in violazione di prescrizioni di legge, sia specifiche che più generali, poste a tutela di interessi non rinunciabili –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per ripristinare il rispetto delle regole procedurali nella designazione e nella nomina del presidente dell'ISTAT, anche al fine di salvaguardare il ruolo del Parlamento;
   quale sia lo stato della procedura di nomina del nuovo titolare della carica di presidente dell'ISTAT, la cui attivazione, con il potere di proposta, nel vigente sistema di regole spetta al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
(2-00127) «Brunetta».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che l'attuale presidente di una importante sezione del tribunale amministrativo regionale sarebbe indagato per corruzione nell'esercizio della propria funzione giurisdizionale;
   gli episodi contestati risalirebbero all'anno 2010, quando il Tar del Piemonte è stato chiamato a pronunciarsi su un delicato contenzioso sanitario tra due holding della sanità privata – Villa Maria Pia Hospital srl e Casa di cura san Luca, per la gestione della RSA comunale di Torino, l'Opera Pia Lotteri, gestita dal commissario, A. Repice, ex segretario del Comune, e affidata da quest'ultimo alla Villa Maria Pia;
   il collegio era presieduto dal giudice Franco Bianchi, ma uno dei componenti del collegio ritenne di presentare un esposto in procura per irregolarità nel procedimento: infatti secondo quanto confermato dalle intercettazioni telefoniche successivamente riportate dalla stampa, Repice e Bianchi si sarebbero accordati per favorire Villa Maria Pia in cambio di una raccomandazione per il figlio di Bianchi;
   all'udienza preliminare, avvenuta nei giorni scorsi, il GUP di Torino ha prospettato per il giudice Bianchi il reato in corruzione, ha condannato Repice come corruttore, e chiesto ai pubblici ministeri di procedere contro Bianchi come corrotto. I pubblici ministeri, sempre secondo le citate fonti di stampa, starebbero in queste ore preparando la richiesta di riapertura indagini nei confronti di Franco Bianchi;
   nell'ordinanza del GUP si legge che «Le intercettazioni telefoniche e altre risultanze dimostrano l'accordo corruttivo in funzione del quale Bianchi si è dimostrato adesivo all'interesse della parte processuale rappresentata da Repice rispetto all'esito del ricorso, e in vista del perseguimento di un proprio interesse personale, ossia l'intercessione nei confronti di Saccà (RAI) a favore del figlio». Secondo il gup, la presenza, all'interno di un organo giurisdizionale collegiale di un componente privo del requisito dell'imparzialità, perché partecipe di un accordo corruttivo, inficia, nonostante l'estraneità degli altri membri, la validità dell'intero iter decisionale perché il giudice corrotto è del tutto privo di legittimazione;
   per i fatti del 2010 Franco Bianchi era stato sottoposto ad un procedimento disciplinare presso il «Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa». Tuttavia mentre i procedimenti a suo carico, sia penale che disciplinare, erano in corso di definizione, Bianchi veniva trasferito dalla presidenza del Tar Piemonte e «promosso» a quella della Terza sezione Lazio;
   la terza sezione del Tar del Lazio riveste un ruolo fondamentale perché si pronuncia sui ricorsi che riguardano il ministero dell'economia: a titolo di esempio, sarà chiamato a pronunciarsi sui ricorsi presentati dagli ex vertici del Monte dei Paschi di Siena contro le sanzioni inflitte loro da Bankitalia –:
   di quali elementi disponga, in relazione a quanto esposto in premessa, nel quadro dei poteri di alta sorveglianza sugli uffici e sui magistrati della giustizia amministrativa, e in particolare se intenda assumere iniziative in relazione al potere di promozione dell'azione disciplinare di cui all'articolo 33 della legge n. 186 del 1982.
(2-00129) «Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Cristian Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI, AIELLO e PIAZZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il fondo di credito per i nuovi nati è stato istituito con decreto legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 28 gennaio 2009, e gestito dal dipartimento per le politiche della famiglia;
   tale fondo è una misura di sostegno al reddito, che tiene conto del fatto che l'arrivo in famiglia di un figlio porta con sé nuove esigenze e nuove spese;
   nello specifico, il fondo, è destinato ai figli nati o adottati negli anni 2012, 2013 e 2014, senza limitazioni di reddito, i cui genitori possono chiedere un finanziamento fino a 5.000 euro da restituire entro 5 anni;
   il finanziamento, erogato sotto forma di prestito personale, deve essere richiesto con domanda alle banche o ad altri intermediari finanziari che hanno aderito all'iniziativa, mentre lo Stato, tramite il fondo, funge da garante, avendo preso l'impegno con le banche di saldare eventuali insoluti da parte del debitore;
   ciononostante, come emerso anche durante la trasmissione radiofonica di radio 3, primapaginafilo diretto, con in studio Giovanni Sabbatucci, le banche applicherebbero restrizioni all'accesso al finanziamento e nello specifico, tra le altre, quelle di: avere un reddito annuo non inferiore a 15.000 euro; avere una busta paga e un contratto stabile e ben retribuito; avere un conto corrente attivo da almeno trenta giorni;
   sono condizioni, quelle appena menzionate, che generalmente i potenzialmente interessati a questo prestito che compromettono la riuscita dell'iniziativa;
   in definitiva, nonostante la garanzia dello Stato rimane alle banche e agli altri intermediari finanziari la facoltà di richiedere ulteriori garanzie per la concessione del finanziamento –:
   se il Governo non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per rimuovere queste restrizioni all'accesso al finanziamento poste dagli istituti di credito, per garantire l'effettivo accesso al credito così come previsto dalla misura di sostegno al reddito. (3-00157)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATTUCA, QUARTAPELLE PROCOPIO e AMENDOLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2013, è scoppiato lo scandalo «Datagate» come ribattezzato dalla stampa americana, in seguito alle rivelazioni dell'ex analista della National security agency, Edward Snowden sul programma «Prism» un sistema ideato e utilizzato dalla NSA che ha accesso ai server di Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, Aol, Skype, YouTube, Apple e PatTalk per gestire informazioni relative a cittadini statunitensi e di altri Paesi – comunicazioni dal vivo e informazioni memorizzate – al fine di effettuare ricerche e analisi su singole persone che vengono segnalate come possibili minacce;
   secondo il giornale britannico «Guardian», che cita documenti rivelati da Edward Snowden, gli agenti dell'Agenzia nazionale di sicurezza americana avrebbero spiato – con cimici nelle comunicazioni elettroniche, ascolto dei cavi telefonici, particolari antenne – la sede della missione dell'Unione europea a New York, l'ambasciata dell'Unione europea a Washington e 38 sedi diplomatiche straniere, inclusa quella dell'Italia. La sede diplomatica italiana a Washington viene indicata nei documenti rivelati con doppio identificativo: «Bruneau» e «Hemlock». Parebbe inoltre che l'Italia, insieme ad altri Paesi europei, venisse regolarmente monitorata attraverso le intercettazioni delle comunicazioni telefoniche e via internet anche con milioni di comunicazioni intercettate al giorno;
   il giornale britannico Guardian aveva pubblicato sul suo sito un articolo, poi rimosso, nel quale si rivelava un accordo fra Paesi europei, tra cui l'Italia, e Stati Uniti per il passaggio di informazioni riservate;
   fonti dei servizi di sicurezza italiani hanno ammesso – a mezzo stampa – che la collaborazione con i servizi di sicurezza americani e alleati nel campo del contrasto al terrorismo, alla criminalità internazionale, per la sicurezza dei contingenti militari impegnati nelle missioni, effettivamente esiste ed è molto intensa, pur avvenendo nel rispetto delle procedure imposte dalle legge italiana e con il solo scopo di difendere i cittadini italiani;
   dopo l'11 settembre, i servizi segreti italiani, insieme a quelli della Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, Olanda e Danimarca, hanno siglato un memorandum di intesa per legarsi in una rete che rendesse più efficiente e dettagliate le informazioni raccolte da ciascuno;
   tuttavia, qualora confermata, la specifica attività statunitense diretta al controllo delle sedi diplomatiche straniere a Washington sarebbe preoccupante ed effettivamente ha dato luogo a proteste e richieste di chiarimento da parte dell'Unione europea, dei singoli Paesi europei e delle più alte cariche istituzionali italiane –:
   se il Governo degli Stati Uniti abbia fornito chiarimenti relativi alla supposta attività di raccolta di informazione non concordata svolta nelle sedi diplomatiche italiane a Washington. (5-00498)

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI, LUIGI DI MAIO, PARENTELA, DIENI, NUTI, COLONNESE, COZZOLINO, D'AMBROSIO, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, FERRARESI, SARTI, MICILLO, CURRÒ, CASO, CARIELLO, D'INCÀ, CASTELLI, SORIAL, BARONI, DI VITA, DALL'OSSO, FRACCARO, CARINELLI, SPESSOTTO, VIGNAROLI, TONINELLI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, D'UVA, RUOCCO, CHIMIENTI, CANCELLERI, FRUSONE, RIZZO, BRUGNEROTTO, LOMBARDI, DI BENEDETTO, DE LORENZIS, SIBILIA, SCAGLIUSI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI, TOFALO, DAGA, SEGONI, ZOLEZZI, DE ROSA, ARTINI, FICO, VILLAROSA, BASILIO e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di Cassazione ha chiarito che la tutela del risparmio è interesse pubblico, riconosciuto in Costituzione all'articolo 47, sicché l'attività bancaria nel suo complesso è soggetta a «tipiche forme di autorizzazione, vigilanza e trasparenza» (Cass., sezione I, civile, sentenza n. 2058 del 23 febbraio 2000);
   la procura generale di Torino ha sottolineato, con propria circolare del 12 maggio 2008, il rilievo «pubblicistico» delle azioni intraprese da privati a tutela del risparmio;
   nell'ambito del procedimento cosiddetto «Brontos», già pendente a Milano, la banca Unicredit risulta sotto accusa per frode ed evasione fiscale, con i manager consapevoli – secondo il giudice per le indagini preliminari – delle responsabilità penali derivanti dalle loro azioni;
   a proposito della cosiddetta «scalata di Antonveneta» (poi acquisita da Monte dei Paschi di Siena), dalle ricostruzioni della magistratura scaturì che la Banca popolare di Lodi addebitò ai suoi clienti una somma prossima a 50 euro allo scopo di incamerare le risorse necessarie alla predetta operazione finanziaria, poi prelevando importi da rapporti intestati a correntisti deceduti;
   in quanto alla non remota scalata di Bnl da parte di Unipol, il tribunale di Milano ebbe a rappresentare che si trattò di «manipolazione di tipo sistemico», con l'aggiunta che «a mettere in piedi una cordata raccogliticcia fu il Governatore di Bankitalia», il quale «non era un organismo di vigilanza ma uno dei giocatori in campo»;
   a questo ultimo riguardo si ricorda che il suddetto Governatore fu destinatario, riporta la sentenza di condanna, depositata il 28 maggio 2011, di pena «ben al di sopra del minimo edittale», «in considerazione della gravità dei fatti addebitati» e «del ruolo rivestito dall'imputato, soggetto apicale all'interno di Banca d'Italia»;
   la Banca d'Italia è – secondo la legge bancaria del 1936 – istituto di diritto pubblico, il che è ripetuto nella sentenza n. 16751/2006 della Corte di Cassazione;
   la predetta condizione si riferisce in sostanza a un mero ambito operativo, visto che le quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia sono per il 94,33 per cento di banche e assicurazioni private e, per il restante 5,66 per cento, di enti pubblici;
   a parere dell'interrogante, la riferita ripartizione delle quote pone alla base un reale problema di fondo, insuperabile nonostante la legge e il diritto, rispetto alla concreta autonomia dell'Istituto nella vigilanza che gli compete;
   il 24 ottobre 2011 iniziò la cosiddetta «truffa del Madoff dei Parioli», di valore superiore a 300 milioni di euro, dopo di che – nel febbraio scorso – le parti civili appellarono la sentenza penale di condanna per l'esclusione di responsabilità in capo a Banca d'Italia e Consob, in relazione ai controlli previsti;
   è riconosciuto dalla magistratura che istituti di credito applichino spese e commissioni ritenuti illegali, modificando poi le condizioni contrattuali con il cosiddetto «ius variandi», sicché il contraente privato risulta, anche a giudizio dell'Autorità Garante della concorrenza, la parte più debole;
   recenti, disponibili statistiche sull'arbitrato bancario rappresentano che le vertenze trattate si concludono con il riconoscimento delle ragioni del cliente e il rimborso delle somme illegalmente sottratte, in oltre il 60 per cento dei casi;
   la predetta Autorità, per esempio nella AS496 del 2 febbraio 2009, ha ribadito che l'obiettivo da perseguire è l'esistenza di mercati correttamente regolati, nei quali deve essere rigoroso il rispetto della legalità, poiché un ristretto gruppo di persone ha finora condizionato le scelte e imposto le strategie del sistema bancario;
   la legge n. 108 del 1996 ha in parte riformato l'articolo 644 del codice penale, disponendo che «la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurai» e che per la determinazione del tasso soglia (TEG, tasso effettivo globale) si tiene conto «delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito»;
   contrariamente al dettato della legge e informandosi alle circolari della Banca d'Italia, le banche hanno spesso escluso dal calcolo del TEG le commissioni di massimo scoperto e altre spese, senza considerare l'effetto dell'anatocismo e dell'interrogazione e postergazione delle valute;
   in Italia vi sono 85 milioni di rapporti bancari, secondo la dottoressa Anna Maria Tarantola, vicedirettore di Banca d'Italia, nell'intervento alla Ventennale dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, tenuto il 19 marzo 2010;
   se, anche in apparente buona fede, si addebitassero 10 euro a trimestre per ogni rapporto, si avrebbe un trasferimento di ricchezza di 3,4 miliardi di euro per anno;
   visto che nel sistema quattro banche detengono il 50 per cento di tali rapporti, con un semplice errore di 10 euro si trasferirebbero nelle casse – e conseguentemente nelle tasche di qualcuno, presto individuabile – 1,7 miliardi di euro per anno;
   l'uso di software gestionali per la rilevazione delle operazioni di versamento e prelievo, per l'annotazione di spese e valute e per la rendicontazione trimestrale del saldo è sovente programmato, secondo denuncia-querela penale visionata dagli odierni interroganti, in modo da applicare forme di anatocismo vietate dalla legge e trarre in errore i clienti;
   le rammentate circolari della Banca d'Italia hanno soltanto fini statistici, come chiarito dallo stesso ente in una nota di risposta a un privato (prot. n. 0849617/11 del 14 ottobre 2011) e confermato dal tribunale di Alba nella sentenza del 18 dicembre 2010, estensore magistrato dottor Luca Martinat, per cui «al fine dell'individuazione elemento oggettivo del reato di usura, le istruzioni della Banca d'Italia non assumono carattere vincolante per il giudicante, il quale conserva sempre il potere di sindacare la correttezza e la conformità delle predette istruzioni al dettato legislativo»;
   la Corte di cassazione, nella pronuncia n. 12028 del 19 febbraio 2010 – e in maniera analoga nella sentenza del 14 maggio 2010, n. 28743 – ha esplicitato che «il tenore letterale del comma 4 dell'articolo 644 del codice penale impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito»;
   con pronuncia a Sezioni Unite n. 24418 del 2 dicembre 2010, la Corte di cassazione ha stabilito la definitiva nullità di ogni forma di capitalizzazione degli interessi per contrasto con l'articolo 1283 del codice civile, quindi, con sentenza n. 9695/2011, ha ribadito che è «illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivo per il cliente»;
   in ordine alle cosiddette «valute fittizie», esse possono qualificarsi come espediente per allungare i giorni di prestito di somme e ridurre quelli di deposito, per quanto desumibile dalla sentenza di Cassazione n. 13143 del 10 settembre 2002, in cui, in materia di revocatoria fallimentare, è scritto che «la copertura o meno del conto va accertata con riferimento al saldo disponibile, quanto agli addebiti degli assegni tratti sul conto corrente, in ragione delle epoche della loro registrazione da parte della banca, e non al saldo per valuta»;
   le aziende dell'imprenditore calabrese Antonino De Masi, impegnato nella promozione della legalità anche con l'associazione «Libera» di don Luigi Ciotti, hanno patito condotta usuraia da Banca di Roma, Bnl e Banca Antonveneta;
   quanto appena sopra riassunto è giudizio della Corte di cassazione, decisione n. 46669/11 del 23 novembre 2011, che ha stabilito la presenza del riferito reato, ritenendo presidenti e consigli di amministrazione coinvolti negli sforamenti nell'usura e stabilendo, ai fini risarcitori, che l'azione civile potrà essere espletata contro gli istituti di credito, benché non accertato il responsabile penale della condotta illecita;
   lo stesso imprenditore De Masi ha denunciato alla magistratura quanto capitatogli, utilizzando l'espressione «disegno criminale»;
   resa pubblica dall'inviato Moreno Morello della trasmissione Mediaset Striscia la notizia nella puntata del 4 giugno 2013, in una comunicazione delle associazioni sindacali dei dipendenti di un noto istituto di credito, trattando di utile il banchiere estensore fa riferimento a dati positivi e poi a «manovre che daranno i loro frutti nei trimestri successivi, nella misura in cui» «i colleghi delle filiali riusciranno a limitare i rimborsi, contenere le riduzioni ed evitare la chiusure dei conti»;
   il suddetto Morello ha affrontato i temi degli illeciti bancari in altre puntate della medesima trasmissione televisiva, precisamente il 29 aprile 2013, il 27 maggio 2013 e l'undici giugno 2013, nell'ultimo caso trattando della variabilità, ex abrupto e arbitraria, delle condizioni di conto correnti in relazione al cliente;
   nella puntata del 2 giugno 2013 della trasmissione Mediaset Le Iene, l'autore Luigi Pelazza ha trattato l'usura bancaria nei mutui, peraltro intervistando il direttore centrale di Banca d'Italia, Carmelo Barbagallo, il quale non ha risposto circa la nullità – ex articolo 1815 del codice civile, modificato dalla Legge n. 108 del 1996 – dei contratti con interessi usurari;
   i riferiti filmati costituiscono obiettivamente documenti di prassi bancarie spregiudicate, senza corrispondenti rimedi, sanzioni e correttivi delle Autorità;
   il cosiddetto «ius variandi» è pratica dichiarata illegittima dalla giurisprudenza, per esempio nella sentenza del tribunale di Rimini del 22 agosto 2011, che ha inibito alla banca l'applicazione del tasso d'interesse da questa cambiato unilateralmente;
   circa il procedimento per frode fiscale di Unicredit, il quale vide il sequestro da parte del giudice per le indagini preliminari di Milano di 245 milioni di euro, nell'atto relativo vi sono passaggi sulla consapevolezza delle proprie azioni da parte degli imputati;
   in quanto ai rapporti di istituti di credito con il Fisco, Il Corriere della Sera del 3 dicembre 2011 riportò che Monte dei Paschi di Siena sanò la propria posizione versando 260 milioni di euro, mentre Il Sole 24 Ore del 13 dicembre 2011 rese noto un contenzioso definito da Intesa San Paolo per 270 milioni di euro e, nel numero del 3 febbraio 2012, informò di ulteriori vertenze delle banche, per un importo di 3 miliardi di euro;
   il costo dei servizi bancari italiani è il più caro d'Europa, secondo rilevazione del Centro studi dell'associazione artigiani Cgia di Mestre, pubblicata da Il Corriere della Sera del 31 maggio 2009;
   secondo un'analisi di Il Sole 24 Ore, pubblicata nel numero del 18 febbraio 2008, i servizi bancari sono aumentati in Italia del 101,2 per cento negli ultimi anni;
   il quotidiano Il Corriere della Sera del 7 ottobre 2010 riportò la notizia che «negli ultimi dieci anni le banche hanno erogato ai propri azionisti circa 90 miliardi di euro», a distanza di qualche mese, nel numero del 10 gennaio 2011, ammonendo, riguardo all'estratto conto, di stare «attenti alle voci nascoste»;
   la testata economica Italia Oggi, nel numero del 1o maggio 2011, sottolineò che «i costi bancari affossano le piccole e medie imprese»;
   il Garante per la sorveglianza dei prezzi dichiarò il 9 marzo 2011 d'aver ricevuto numerose segnalazioni circa disservizi, opacità, mancanza di trasparenza e chiarezza, moltiplicazione sovente incomprensibile delle voci di costo per i conti correnti;
   l'utilizzo della commissione di massimo scoperto (CMS), a cui le banche fecero largo ricorso, fu riconosciuto in giudizi penali – la medesima Commissione dissociata dal calcolo degli interessi – quale espediente per aggirare la legge e ottenere maggiori profitti a danno dei clienti;
   nei bilanci bancari, la CMS ha rappresentato nel 1997 il 4,48 per cento dei ricavi complessivi degli istituti di credito, arrivando nel 2005 al 13,52 per cento (rilevazione Banca d'Italia, in atti parlamentari del Senato della Repubblica, n. 1123), per raggiungere, secondo le associazioni dei consumatori, valori intorno ai 40 miliardi di euro annui, cioè il 25-30 per cento dei ricavi totali delle banche;
   nelle istruzioni di Vigilanza per le Banche (circolare della Banca d'Italia n. 229 del 21 aprile 1999 e successivi aggiornamenti) è articolato il sistema dei controlli interni, che prevede la funzione (compliance) di conformità alle leggi dello Stato (circolare n. 688006 del 10 luglio 2007), il sistema informatico «ALMs» per controllare la variabile tassi e margini di intermediazione bancaria, compresi gli utili presunti, una proiezione nell'anno e la possibilità per consiglio di amministrazione e presidente di agire immediatamente sulle politiche dei prezzi;
   si aggiungono ai detti controlli il «risk management» per valutare i rischi operativi e il «D.I.P.O.» (database italiano delle perdite operative), con la distinzione della tipologia delle perdite per tipo di evento;
   emerge, da un'analisi dei dati raccolti e pubblicati sul sito dell'ABI, che nel periodo gennaio 2003-giugno 2008 il 25 per cento del numero delle perdite, causa del 44 per cento del totale delle perdite operative, è stato dato dalle inadempienze relative a obblighi professionali verso i clienti, che includono comportamenti attuati con l'animo di frodare, aggirare la normativa o le policy aziendali da soggetti che operano per sé o per vantaggio della banca;
   in un'informativa del Nucleo di Polizia Tributaria di Matera, è precisato, in ordine a fattispecie concrete, che «il controllo informatico delle banche, come emerge dai casi che vedono coinvolti gli istituti di credito, è artatamente manipolato»;
   l'indagine conoscitiva IC36 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, pubblicata nel marzo 2009, ha rimarcato il peso degli «intrecci personali e azionari fra concorrenti senza paragoni in Europa» e dei gravi conflitti di interesse tra istituti di credito, che comportano un «affievolimento delle dinamiche competitive», rendendo conto dello squilibrio nel mercato del Paese;
   con la AS496 del 2 febbraio 2009, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha richiesto – ai Presidenti del Senato e della Camera, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Governatore di Banca d'Italia e al Presidente della Consob – interventi contro le distorsioni del mercato, in modo da assicurare il recupero della reputazione del sistema bancario;
   nella segnalazione n. 57 del 29 dicembre 2009, la suddetta Autorità ha dedotto un aumento dei costi di 15 volte, per i conti in rosso, rispetto alla commissione di massimo scoperto;
   nell'audizione alla Commissione finanze della Camera dei deputati del 7 maggio 2009 e nella successiva del 21 aprile 2010, il Presidente della summenzionata Autorità ha riferito di una serie di criticità, tra cui l'aumento delle spese trimestrali con differenze, fra vecchio e nuovo sistema, variabili dal 37 per cento al 1600 per cento;
   sempre la predetta Autorità ha, nella lettera del 16 aprile 2010 (prot. n. 0026896) – indirizzata al direttore centrale dell'area vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia – ha cristallizzato il livello del costo del denaro in Calabria, in sostanza pari al 25-30 per cento e senza eguali nel mondo occidentale, certificando l'usura nei confronti del gruppo aziendale del già citato Antonino De Masi;
   la Commissione di massimo scoperto fu eliminata nel 2009, sostituita con altre e più pesanti forme di addebito, come già rappresentato 15 volte più onerose;
   secondo rapporto della Banca d'Italia del 2009, gli esposti, negli ultimi cinque anni, ammontano a 29.000, su violazioni della norme del testo unico bancario, commissioni e spese sproporzionate, applicazione di tassi non pattuiti o superiori a quelli reclamati tramite fogli informativi;
   il tribunale di Lanciano, sentenza n. 804/09, ha condannato una banca a un rimborso di 1.390.000 euro;
   con la sentenza n. 77/2010 del tribunale di Ortona, sezione staccata di Chieti, una banca è stata condannata alla restituzione di circa 530.000 euro;
   la sentenza n. 246/10 del tribunale di Lecce, sezione di Maglie, ha disposto un risarcimento di oltre 270.000 euro a favore di un cliente;
   con la sentenza n. 252/10, il tribunale di Chieti ha condannato una banca al rimborso di 146.000 euro verso un cliente;
   nel 2010, il tribunale di Lecce ha condannato un istituto di credito a rimborsare a un imprenditore la cifra di circa 3 milioni di euro;
   il tribunale di Sassari, con sentenza del 6 luglio 2011, ha riconosciuto a un imprenditore un rimborso di un milione di euro contro Bnl, sicché l'analisi complessiva smentisce che si tratti di casi isolati;
   la nota vicenda del buco del Monte dei Paschi di Siena ha portato al sequestro di 1,8 miliardi di euro nei confronti della banca giapponese Nomura e la procura senese ha ipotizzato per gli ex vertici dell'istituto toscano i reati di truffa e usura aggravata in relazione al derivato Alexandria, ai medesimi sequestrando circa 14 milioni e mezzo di euro, ha riportato la stampa italiana;
   si rammenta che un post del 16 dicembre 2010 pubblicato sul blog di Beppe Grillo diede contezza della situazione del Banco Emiliano Romagnolo, con congelamento in entrata e in uscita dei conti correnti – che, si precisa, non sono di proprietà della banca – per effetto un provvedimento di Banca d'Italia del 7 dicembre 2010;
   su Il Corriere della Sera del 21 giugno 2013, in un articolo è affrontato l'argomento del costo del conto corrente, ma ad oggi non risulta compiutamente accertata dallo Stato la legalità delle voci correlate;
   la storia repubblicana è segnata da gravissime vicende riguardo alle banche, con opacità dei rapporti tra i vertici e poteri esterni (crack finanziario del Banco Ambrosiano), e da omissione di controlli rispetto allo stato reale di imprese (crack Parmalat), con pesanti ricadute, gravemente lesive della vita umana, nei confronti di piccoli risparmiatori e investitori;
   all'interrogante non appare peregrino avvertire che a un eventuale reato di usura nell'esercizio dell'intermediazione bancaria potrebbero legarsi, in svariati casi, ulteriori gravi reati, per esempio riciclaggio, falso in bilancio, false comunicazioni societarie, appropriazione indebita, turbativa del libero mercato, estorsione, false attestazioni et coetera;
   il suddetto imprenditore calabrese Antonino De Masi è da tempo nel mirino della ’ndrangheta (si veda altro atto di sindacato ispettivo, n. 4-00294 del 29 aprile 2013) e, come raccontato dalla stampa, è stato persuaso dai tutori dell'ordine a continuare l'esercizio d'impresa in Calabria quale simbolo di resistenza alle pressioni mafiose, sul presupposto che lo Stato in quanto legge, giustizia e forza pubblica possa sconfiggere l'antistato criminale;
   all'interrogante la storia dell'imprenditore De Masi appare come paradigmatica della gravità della situazione in tema di lavoro, credito bancario e depressione economica del Mezzogiorno, nonché dell'urgenza di tutelare in Italia il risparmio come interesse pubblico, secondo l'articolo 47 della Costituzione, a partire dall'istituzione di una apposita Commissione parlamentare d'inchiesta che accerti i comportamenti delle banche nella loro attività di intermediazione; l'attività di tale Commissione dovrebbe unire le forze politiche, stante la gravità e delicatezza dei problemi posti, pure rispetto all'attuale scenario economico e finanziario;
   occorre assolutamente ricondurre ad un quadro di normalità la prosecuzione dell'attività di intermediazione bancaria che potrebbe rivelarsi, in caso di mancate verifiche, di indifferenza del Governo e del Parlamento, la più grande truffa di tutti i tempi, anche a stima della situazione economica e finanziaria in cui attualmente si trova il Paese nel quadro globale –:
   se, anche in virtù dell'alta sorveglianza sul sistema bancario, risulti come e con quali risultati gli organi preposti alla vigilanza sono intervenuti in ordine alle articolate questioni della determinazione dei tassi contra legem, dell'anatocismo, delle valute, dello ius variandi, della trattenuta (illecita) dei rimborsi raccomandata dai sindacati, della variabilità, ex abrupto e arbitraria, delle condizioni di conto corrente in relazione al cliente (segnalazione di Striscia la notizia, puntata dell'undici giugno 2013), della nullità dei contratti di mutuo con interessi usurari (di cui alla citata puntata del 2 giugno 2013 della trasmissione Mediaset Le Iene, autore Luigi Pelazza);
   quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati intendano intraprendere a tutela del risparmio come interesse pubblico, secondo Costituzione, e per rimuovere tutte le possibilità, ampiamente descritte in premessa, di sottrazione di denaro in danno dei titolari di conti correnti;
   quale sia l'orientamento del Governo in ordine alle ripartizione delle quote della Banca d'Italia, di cui sono proprietarie le banche che la medesima controlla;
   quali misure ritengano necessarie in favore delle vittime di usura bancaria, in particolare laddove queste abbiano responsabilità d'impresa e quindi di lavoratori e salari. (4-01099)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il terremoto del Belice, avvenuto nel 1968, ha tragicamente colpito le popolazioni del luogo;
   in quell'occasione, nel comune di Montevago, che ha pagato il più alto numero di vittime al terremoto, moltissime case distrutte dal sisma sono state sostituite grazie alla solidarietà dei giornali Il Tempo, Il Piccolo di Trieste, e l’Eco di Bergamo, con edifici prefabbricati forniti di coperture in amianto tuttora sussistente;
   l'amianto è un minerale naturale a struttura fibrosa che per le sue ottime proprietà fonoassorbenti e termoisolanti, oltre che per l'economicità, è stato largamente utilizzato in passato in innumerevoli applicazioni industriali ed edilizie. Con il tempo però tale materiale si è rivelato nocivo per la salute dell'uomo per la sua proprietà di rilasciare fibre che, se inalate, possono provocare patologie gravi ed irreversibili a carico dell'apparato respiratorio (asbestosi, carcinoma polmonare) e delle membrane sierose, principalmente la pleura (mesoteliomi);
   queste patologie si manifestano dopo molti anni dall'esposizione: da 10-15 per l'asbestosi ad anche 20-40 per il carcinoma polmonare ed il mesotelioma;
   dopo più di vent'anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992 che mise al bando l'amianto nel nostro Paese, le bonifiche sono troppo lente e i dati relativi ai siti da bonificare non ancora definitivi. La legge prevedeva che entro 180 giorni ogni regione dovesse predisporre uno specifico piano per il censimento e la rimozione dell'amianto. Ma questo non è avvenuto e in molti casi la legge è stata totalmente disattesa;
   è pertanto urgente la riqualificazione di tali fabbricati tramite un'opera di bonifica da compiere al più presto per tutelare gli abitanti e l'ambiente –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se si intendano assumere le iniziative di competenza per monitorare la situazione e per stanziare specifiche risorse idonee allo scopo di porre in sicurezza i fabbricati ove sia presente amianto, come quelli del comune di Montevago, in modo da dotarli di coperture a norma di legge.
(2-00124) «Schirò Planeta, Molea, Galgano, Rossi».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
    la legge n. 349 dell'8 luglio 1986, all'articolo 7, poi modificato dall'articolo 6 della legge n. 305 del 28 agosto 1989, e in fine abrogato dall'articolo 74 del decreto legislativo n. 112 del 1998 ha definito gli ambiti territoriali, con eventuali tratti marittimi, da dichiararsi «aree ad elevato rischio di crisi ambientale»;
    il DPCM del 30 novembre 1990, e il DPCM del 30 luglio 1997, hanno dichiarato parte del territorio della provincia di Brindisi «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
    essa comprende Brindisi, San Pietro Vernotico, Torchiarolo e Carovigno. Dal 2002, con DDGRP 515/01 e 596/02, tale area a rischio fu allargata al comune di Cellino San Marco. In totale, l'area a rischio del territorio brindisino si estende su una superficie di 550 chilometri quadrati e interessa una popolazione di 130.000 abitanti circa;
    con il decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 1998 fu approvato il piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Brindisi;
    tale piano era soprattutto finalizzato «alla riduzione delle emissioni in atmosfera, alla riduzione del rischio di incidente rilevante e mitigazione delle conseguenze incidentali, nonché al risanamento di aree contaminate e degradate» (articolo 2). L'impostazione del piano di risanamento era specificamente mirata a progettare soluzioni delle problematiche ambientali «... non limitando l'analisi agli impatti diretti dei singoli insediamenti industriali, ma considerando anche impatti cumulativi ed indiretti determinati da una pressione sull'ambiente e sul territorio costante e combinata da parte del polo industriale nel suo complesso». Così si veniva a superare la logica del semplice rispetto dei limiti normativi applicabili ai singoli punti di emissione per proporre uno schema di risanamento che tenesse conto della sensibilità delle componenti ambientali, della intensità della pressione complessiva sull'ambiente dell'area a rischio e dei rischi congiunti connessi alla presenza dello specifico polo industriale (V comma del punto 1.1 dell'Allegato A);
    tale piano è confermato dall'articolo 6 (piano regionale di intervento) della legge regionale 7 maggio 2008, n. 6 (disposizioni in materia di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose);
    il decreto legislativo n. 22 del 1997, e il successivo decreto legislativo n. 152 del 2006 hanno incluso Brindisi tra i 57 siti di interesse nazionale per interventi di bonifica. Il territorio in questione ha una estensione complessiva di aree private di 21 km2 e pubbliche di circa 93 km2, con una popolazione residente nelle aree limitrofe pari a 1/3 della popolazione regionale. Il criterio di inclusione di un sito tra quelli di interesse nazionale dipende dal rischio sanitario che le condizioni di quel sito determinano per le popolazioni;
    il decreto ministeriale dell'ambiente dell'11 gennaio 2013 non ha declassificato Brindisi a sito di interesse regionale;
    l'ordinanza sindacale n. 18 del 28 giugno 2007, a firma del sindaco Domenico Mennitti ha vietato la coltivazione dei prodotti alimentari nei terreni limitrofi alla centrale termoelettrica a carbone Enel Federico II ed al nastro trasportatore di carbone non coperto della stessa lungo ben 12 chilometri;
    l'ordinanza sindacale del 2011 a firma del sindaco Mennitti ha previsto l'interdizione totale dell'area Micorosa nei pressi del petrolchimico di Brindisi a causa dell'elevato tasso di inquinamento dei terreni;
    il piano regionale della qualità dell'aria predisposta dall'ARPA Puglia inserisce Brindisi in fascia C, la più critica, che necessita di azioni di riduzione dell'inquinamento;
    la legge regionale 24 luglio 2012, n. 21 «Norme a tutela della salute, dell'ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale» introduce all'articolo 2 in riferimento sia a Taranto che a Brindisi, in quanto dichiarate entrambe «aree ad elevato rischio ambientale», l'obbligo di redigere con cadenza annuale un rapporto di «valutazione del danno sanitario»;
    ad oggi nel Sin di Brindisi l'apparato industriale è caratterizzato da un imponente polo chimico e dal più grande polo energetico nazionale. In questi due poli operano numerose aziende – alcune delle quali dichiarate a rischio di incidente rilevante – chimiche (l'ex Polimeri Europa oggi Versalis, Syndial, Enipower, Basell Brindisi, ChemGas, Dow Poliuretani Italia, EVC), farmaceutiche, elettriche (per un totale di potenza installata di circa 5.200 megawat con produzione di elettricità tramite energie fossili e comprensiva della più potente centrale termoelettrica ciclo combinato – gas metano – di 1170 megawat dell'ENI, in sostituzione del vecchio petrolchimico, industrie aereonautiche, un deposito di stoccaggio di GPL di 20.000 tonnellate, lo zuccherificio della SFIR alimentato da una centrale elettrica a biomasse, una discarica di rifiuti pericolosi e nocivi, un inceneritore di rifiuti industriali e ospedalieri e una discarica di rifiuti industriali pericolosi e di sostanze altamente nocive di 50 ettari, chiamata Micorosa (in cui sono presenti cloruro di vinile, benzene, arsenico e altro), il cui volume supera i 4 milioni dei limiti di legge, e la cui profondità di sedimentazione è di ben 5 metri;
    in particolare, come è noto, Brindisi ospita la centrale elettrica più clima alterante d'Italia – la Federico II Enel spa –, con la produzione di circa 12 milioni e mezzo di tonnellate di CO2 nel 2012 ed una quantità di carbone movimentata e bruciata pari a circa 5/6 milioni di tonnellate, trasportate da un nastro scoperto lungo 12 chilometri;
    in particolare destano serissima preoccupazione i dati rivenienti da numerosi studi condotti da singoli o gruppi di ricercatori che, insieme con gli elementi conoscitivi apportati da Arpa Puglia e ASL di Brindisi, permettono di concludere che l'industrializzazione di Brindisi, avviata negli anni ’60, ha prodotto un gravissimo inquinamento di suolo, falde, mare e aria;
    sebbene i dati forniti dall'Arpa per la qualità dell'aria mostrano, mediamente, un rispetto dei limiti di legge dei macroinquinanti misurati, è bene evidenziare che sussistono alcune criticità con riferimento sia alla localizzazione delle centraline, sia alla gamma degli inquinanti misurabili, sia alla misura di microinquinanti pericolosi ad oggi ancora non monitorati con continuità. Tuttavia, la, relazione finale «Brindisi area ad alto rischio e sito nazionale per le bonifiche, ipotesi di lavoro per la tutela della salute» evidenzia come nella città di Brindisi si registri un elevato carico emissivo di diversi inquinanti, molti dei quali con effetti cancerogeni (tonnellate di ossidi di zolfo, ossidi di azoto, particolato, metalli pesanti, benzene, IPA e altro). Si fa presente che le emissioni provenienti da autodichiarazioni e o stime si basano sul funzionamento «normale» dell'impianto. Sono pertanto escluse emissioni accidentali che pure si sono rivelate molto frequenti;
    a tal proposito è opportuno tenere presente, in perfetta coerenza con le dichiarazioni rese dal presidente dell'ARPA Puglia in occasione delle audizioni presso le Commissioni VIII e X della Camera dei deputati sul decreto n. 61 del 2013, che «la convinzione per la quale i limiti ambientali (sia quelli emissivi degli impianti industriali, sia gli indicatori di qualità dell'aria urbana) siano di per sé intrinsecamente idonei a tutelare la salute della popolazione residente nell'area urbana» è certamente discutibile e che solo specifiche informazioni sullo stato della salute della popolazione possono correggere la rigidità di tale approccio;
    nonostante la colpevole assenza, ad oggi, dell'attivazione di un registro tumori in provincia di Brindisi, numerosi studi hanno mostrato eccessi di mortalità generale e specifica per alcune tipologie di tumori, mentre ulteriori studi specifici hanno rilevato eventi sanitari in relazione alle distanze di residenza dall'area industriale o in relazione all'innalzamento di alcuni inquinanti atmosferici, nonostante questi ultimi fossero in concentrazione inferiore ai limiti previsti dalla legge. Ciò evidentemente fa emergere l'importanza di una analisi non solo quantitativa, ma anche qualitativa delle polveri;
    tali iniziative di indagine e prevenzione sanitaria sono assolutamente necessarie, atteso che diversi studi, tra i quali si segnala «Acute effects of urban and industrial pollution in a government-designated “Environmental risk area”: the case of Brindisi, Italy Gianicolo EAL A., Mangia C, Cervino M., Bigotti MA International Journal of Environmental Health Research in press», confermano un rischio sanitario, nel Sin di Brindisi, associato a esposizione a inquinanti atmosferici, nonostante gli inquinanti considerati nell'analisi (PM10 e NO2), per il periodo 2001-2007 considerato, siano in concentrazione inferiore ai limiti di legge;
    del resto, già uno studio di Portaluri, Gianicolo, mangia e Bigotti «Acute effects of air pollution in Brindisi (Italy): a case-crossover analysis: Epidemiol Prev.34(3):100-107» aveva dimostrato che per il periodo 2003-2006, incrementi della concentrazione di PM10 – benché nei limiti di legge – sono risultati associati ad incrementi percentuali del rischio di morte sia per le cause naturali sia per le patologie cardiovascolari, con effetti immediati;

  inoltre è fondamentale ricordare che:
   lo studio SENTIERI, per il Sin di Brindisi, sulla base delle risultanze epidemiologiche, propone di svolgere tre ulteriori tipi di indagini: a) indagini subcomunali, nelle popolazioni vicine alle attività industriali fonti di rischio, come il petrolchimico e le centrali elettriche, soprattutto per patologie come i tumori pleurico e del polmone; b) uno studio sullo stato di salute dei lavoratori occupati negli insediamenti industriali di rischio; c) uno studio di biomonitoraggio per la individuazione di inquinanti presenti negli organismi delle popolazioni più esposte alle fonti di rischio;
   lo studio «Congenital anomalies among live births in apolluted area. A ten-year retrospective study», («Anomalie congenite tra i nati vivi in una zona inquinata. Uno studio retrospettivo di dieci anni» condotto da 11 ricercatori dell'istituto di fisiologia clinica del Cnr di Lecce e di Pisa, dell'università di Pisa, della ASL di Brindisi, del reparto di neonatologia dell'ospedale di Brindisi, diretto dal dottor Giuseppe Latini e reso noto nel 2011), che ha riguardato la diagnosi di anomalie congenite in nati da madri residenti a Brindisi che hanno partorito in qualunque ospedale italiano dal 2001 al 2009, nell'età da 0 a 28 giorni di vita, ha rilevato 176 anomalie su 7.644 neonati, pari al 18 per cento in più rispetto al dato del registro europeo di sorveglianza sulle malattie congenite (Eurocat), osservandosi una percentuale di prevalenza di 230 su 10.000 nati vivi. È addirittura del 67 per cento l'eccesso rilevato per le malattie cardiovascolari. L'importanza di tale studio consiste nel fatto che esso fornisce un nuovo indicatore sanitario, in quanto «le malformazioni congenite sono una spia molto precoce e molto sensibile di sostanze nocive nell'ambiente» (dottor Maurizio Portaluri, Primario del Reparto di Radiooncologia dell'ospedale Perrino di Brindisi), e quindi in grado di dimostrare l'attualità del danno sanitario. Da qui la richiesta urgente dei Medici per l'ambiente pugliesi, rivolta al presidente della regione, dell'istituzione di un registro regionale delle malformazioni congenite;
   inoltre, nella stessa relazione della «Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo di rifiuti» (XVI legislatura) è specificato che: «... la Puglia, in virtù della vocazione prevalentemente agricola della sua economia, subisce i maggiori impatti ambientali a seguito degli illeciti connessi all'abbandono e allo sversamento illegale di rifiuti nelle aree agricole, già martoriate dalle emissioni industriali dei principali insediamenti attivi (Brindisi e Taranto). La contaminazione delle aree agricole è forse la più insidiosa in termini di potenziali rischi per la salute umana in quanto i contaminanti dal terreno passano nella catena alimentare attraverso i prodotti agricoli di consumo. In riferimento agli studi sanitari ed epidemiologici condotti per le aree di Bari-Fibronit, Brindisi, Taranto e Manfredonia, appare accertata la correlazione tra attività industriali ed incremento della morbilità e mortalità per i SIN di Brindisi e Taranto»;
   quanto sinora detto, aveva trovato parte della soluzione in un'apposita convenzione sottoscritta il 12 novembre 1996, fatta propria nel decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 1988 che al 2 comma del punto 6.1 recita: «Agli interventi specifici individuati, si aggiunge l'insieme dei provvedimenti che riguardano l'esercizio della Centrale Enel Nord e l'avvio di Enel Sud, previsti nella Convenzione del ’96 ENEL-Enti Locali, che daranno effetti di graduali miglioramenti nei vari periodi in cui è articolata la Convenzione stessa». All'articolo 6 della stessa, si prevedeva un sistema integrato di monitoraggio ambientale globale dell'aria riguardante tutte le industrie e le attività fonte di inquinamento, oltre il monitoraggio ambientale proprio del polo energetico (articolo 5 p. a e b), costituito da una rete di rilevamento in continuo delle immissioni e delle emissioni delle due centrali elettriche denominate Brindisi Nord e Brindisi Sud;
   per l'intero polo energetico brindisino, la convenzione prevedeva i seguenti limiti di emissioni massiche annue di SO2 (13.000 ton), di NOx (10.000 ton), di polveri (1.700 ton). A tali limiti di emissioni massiche annue, ritenuti i massimi compatibili per l'area a rischio di crisi di Brindisi, avrebbero concorso, nel regime definitivo, la chiusura graduale e programmata della centrale di Brindisi nord per il 31 dicembre 2004 – ritenuta già allora un vero e proprio rudere industriale – e una quantità annua di carbone da movimentare e utilizzare pari a 2 milioni di tonnellate (articolo 1 p. 13 c.1 combustibili), integrato per espressa volontà del Governo, dall'articolo 1-bis (clausola integrativa), che sancendo rigorosamente i limiti produttivi nell'uso del carbone, garantiva «ogni intervento utile allo scopo, anche assicurando l'utilizzo di quantitativi aggiuntivi di gas naturale», oltre quelli già convenuti di 1,2 miliardi di mc annui di metano al p.9 dell'articolo 1 per la centrale elettrica di Brindisi sud a regime, attrezzata appositamente e «completamente per il funzionamento policombustibile» (p2 dell'articolo 1), con una «energia prodotta annualmente alle sbarre dalla centrale di Brindisi sud limitata a non più di 15 miliardi di Kwh»;
   infine, è recente la notizia che ENEL, per la divisione ingegneria e ricerca, ha ridotto progetti e budget e si appresta ad effettuare a Brindisi, nel comparto ricerca, una riduzione di personale. Accanto a ciò è annunciata la chiusura di impianti sperimentali e pilota anche di ultima generazione, quale quello di cattura di CO2, inaugurato lo scorso anno proprio presso l'impianto della Federico II. Un chiaro segnale, se ce ne fosse ancora bisogno, di totale disinteresse verso la concreta realizzazione di attività di ricerca e sviluppo, ed in Italia, nello specifico a Brindisi, verso le attività di monitoraggio, valutazione e riduzione degli impatti ambientali –:
   come intendano intervenire per migliorare le condizioni ambientali e sanitarie dell'area a elevato rischio di crisi ambientale di Brindisi;
   se, anche a fronte delle enormi quantità di CO2 emesse, in quest'area pari a 3 milioni e mezzo in più delle quote assegnate, non sia opportuno prevedere una drastica riduzione della quantità di carbone movimentato e bruciato in quell'area fino al raggiungimento di livelli sostenibili, anche attraverso una parziale e/o totale metanizzazione della centrale policombustibile Enel di Cerano;
   quali siano gli intendimenti del Governo circa il futuro della centrale a carbone di Edipower (A2A) Brindisi nord, mai convertita a ciclo combinato nonostante gli impegni presi e già oggi funzionante ai minimi livelli di produzione, la quale ha presentato un piano industriale che prevede la co-combustione di carbone e di un derivato di combustibile da rifiuti (Ecodeco);
   se non sia in ogni caso fondamentale dotare l'area a rischio della provincia di Brindisi di quel sistema integrato di monitoraggio ambientale globale per tutte le emissioni e le immissioni inquinanti, già previsto 17 anni fa, progettato e mai creato;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere riguardo ai non più procrastinabili interventi di bonifica del Sin di Brindisi, alla luce degli impegni presi anche dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con le sue dichiarazioni programmatiche nell'audizione presso l'VIII Commissione della Camera;
   se il Ministro della salute non ritenga di attivare, tramite l'Istituto superiore di sanità, le indagini sub-comunali, di corte e di biomonitoraggio, suggerite dal progetto Sentieri, riguardo all'area a rischio di Brindisi, ad oggi non monitorata da alcun registro sanitario locale;
   se, sulla base di quanto già avvenuto per Taranto (così come previsto dalla legge regionale 21 del 2012, della Puglia) si intendano assumere iniziative per pervenire con urgenza anche per Brindisi alla redazione del già previsto rapporto di valutazione del danno sanitario, ciò al fine di acquisire utili elementi di conoscenza sullo stato di salute della popolazione, quali informazioni indispensabili affinché le autorizzazioni ministeriali alle modalità di esercizio degli impianti industriali garantiscano il giusto equilibrio tra produzione e ambiente, tra diritto al lavoro e diritto alla salute.
(2-00128) «Mariano, Bratti, Bellanova, Capone, Cassano, Mariani, Decaro, Ginefra, Marrocu, Garavini, Mongiello, Ventricelli, Grassi, Martelli, Pelillo, Giorgis, Michele Bordo, Braga, Mazzoli, Marroni, Mattiello, Marzano, Impegno, Genovese, Campana, Capozzolo, Boccuzzi, Rotta, Ginoble, Scalfarotto».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle dichiarazioni programmatiche rese durante l'audizione del 22 maggio 2013 in Commissione ambiente alla Camera dei deputati, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sottolineato la necessità di porre mano al sistema delle sanzioni per gli illeciti ambientali, indicando come obiettivo una complessiva riforma normativa che riequilibri il rapporto tra delitti e contravvenzioni e riveda il complesso delle sanzioni amministrative;
   ferma restando la necessità di confermare e possibilmente rafforzare la tutela penale dell'ambiente, delle risorse naturali, del patrimonio naturale e paesaggistico, in alcuni settori i meccanismi sanzionatori rischiano in concreto di penalizzare eccessivamente soggetti che non intendono deliberatamente porsi in contrasto con le norme ma che incontrano obiettive difficoltà di conformare le loro attività – di ridotta dimensione e ridotto impatto ambientale – alle prescrizioni di legge;
   in particolare, la normativa che regola le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sta creando disagi agli imprenditori ed artigiani che non sono riusciti a regolarizzare la propria posizione nei tempi prescritti e che conseguentemente incorrono nelle sanzioni penali per le contravvenzioni di cui all'articolo 279 decreto legislativo n. 152 del 2006;
   il comma 3 dell'articolo 279 prevede infatti che chi mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un'attività senza averne dato la preventiva comunicazione sui dati relativi alle emissioni, come prescritta ai sensi dell'articolo 269, comma 6, o sull'autorizzazione ai sensi dell'articolo 272, comma 1, è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda fino a milletrentadue euro;
   la prevalente scelta di esercizio dell'azione penale, mediante richiesta (e successiva emissione) di decreto penale di condanna, disincentiva l'esercizio del diritto di difesa nel processo penale da parte dei piccoli imprenditori e artigiani, fa percepire la legislazione regolatrice della materia come vessatoria, rischia in taluni casi di spingere questi soggetti in un'area di franca illegalità e di sottrazione totale ai controlli –:
   se il Ministro, nell'ambito della revisione del sistema delle sanzioni per gli illeciti ambientali, intenda considerare la possibilità di assumere iniziative normative per trasformare in illeciti amministrativi i reati contravvenzionali di pura condotta quali quelli in premessa indicati (relativi nel caso di specie al rinnovo delle autorizzazioni per le emissioni in atmosfera) non immediatamente lesivi del bene giuridico tutelato, ovvero prevedere forme di intervento procedurale analoghe a quelle previste dal decreto legislativo n. 578 del 1994 in materia di diritto penale del lavoro, che consentano di evitare il processo penale a fronte di un adeguamento alle prescrizioni imposte dalle autorità e del pagamento di una somma a titolo di oblazione. (4-01102)


   REALACCI e PALMA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire a firma di Antonio Maria Mira, il 30 giugno 2013, tra il disinteresse dell'opinione pubblica, nell'esteso comune di Giugliano (Napoli) un incendio, sicuramente doloso, è scoppiato all'intero della discarica Novambiente, già sequestrata nel 2009 all'imprenditore Gaetano Vassallo, uno dei «re» delle ecomafie, oggi collaboratore di giustizia;
   per ore nella predetta area, interessata da decine di discariche abusive e/o non a norma di legge, si è alzata una nera e densa colonna di fumo tossico che poi, spinta dal vento di mare, si è sparsa su tutti i comuni vicini e sui campi coltivati, pescheti e fragole attorno alla discarica. Solo l'intervento di ben quattro squadre dei vigili del fuoco, molto preparati per questo tipo di incendi, ha evitato un dramma ancora maggiore, bloccando le fiamme prima che raggiungessero l'impianto di captazione di biogas della Gesem, evitando così uno scoppio di gas le cui conseguenze avrebbero potuto essere catastrofiche;
   a bruciare, come risulta sempre dal reportage pubblicato sull’Avvenire, sono stati la copertura in teloni di plastica pesante e i tubi di captazione del percolato, anch'essi in plastica. Ecco il motivo del fumo nero e tossico, sicuramente carico di diossine;
   i teloni in questione servono soprattutto per evitare che la pioggia penetri tra i rifiuti, miscelandosi coi metalli pesanti e gli altri inquinanti, accelerando la fermentazione e facendo così penetrare il percolato velenoso nella falda acquifera sottostante. Anche perché lo stesso «pentito» Vassallo ha ammesso di non aver fatto l'obbligatoria impermeabilizzazione al di sotto della discarica. Le precipitazioni piovose delle ultime ore, con piogge torrenziali che nella serata di venerdì 28 giugno hanno inondato la discarica ormai senza protezione, hanno aggravato una situazione già molto critica, come confermato dal Raffaele Del Giudice, presidente di ASIA S.p.A., azienda del comune di Napoli per i rifiuti;
   pur trattandosi di una delle aree più inquinate d'Italia, già dichiarata sito di interesse nazionale dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, interessata, anche in passato, da numerosissimi incendi di matrice dolosa e da siti sotto sequestro da parte della magistratura, non risultano nelle zone colpite impianti antincendio, nemmeno bocchette per l'acqua a disposizione dei vigili del fuoco, impianti di videosorveglianza o recinzioni;
   a questo paesaggio apocalittico va poi aggiunto che a brevissima distanza dal sito incendiato da mano quasi certamente criminale, oltre ad un campo rom, si trova un altro simbolo del disastro ambientale campano, l'estesissimo sito di Taverna del Re, cinque milioni di eco-balle, dal peso di una tonnellata ciascuna, impilate in piramidi che cominciano a dare segni di cedimento. Si tratta di materiale altamente infiammabile. Anche qui la sorveglianza e la prevenzione sono inesistenti –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per mettere in sicurezza dai roghi il predetto sito «SIN» di Giugliano in Campania e tutta la tristemente nota «terra dei fuochi»;
   se non ritengano utile istituire, da subito, un presidio di sorveglianza di pubblica sicurezza ad hoc per le discariche sotto sequestro e non, al fine di prevenire l'aggravarsi della situazione ambientale e di salute pubblica dell'area a nord di Napoli;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare disponga di elementi dettagliati sullo stato degli interventi di bonifica ambientale in tutta la Campania, anche nell'ottica di un superamento del regime emergenziale di gestione dei rifiuti nella regione, come da impegno del Governo di fronte al Parlamento assunto con l'ordine del giorno 9/01197/019. (4-01110)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il consigliere del Tar della Campania Paolo Carpentieri e il consigliere del Tar del Lazio Rita Tricarico, svolgano rispettivamente le funzioni di capo dell'ufficio legislativo e di consulente del Ministero per i beni e le attività culturali –:
   se risulti che i predetti magistrati svolgano l'incarico presso il Ministero in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tali incarichi.
(3-00172)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il consigliere di Stato Damiano Nocilla ricopra l'incarico di capo dell'ufficio legislativo del Ministro interrogato –:
   se risulti che Damiano Nocilla svolga l'incarico di cui in premessa in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tale incarico. (3-00164)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI BATTISTA, FRUSONE, RIZZO, CORDA, ALBERTI, MANLIO DI STEFANO, ARTINI e SPADONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia con il decreto-legge n. 227 del 2012 del 28 dicembre 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge 1o febbraio 2013, n. 12) ha provveduto alla «proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia»;
   con riferimento all'intervento italiano in Afghanistan il predetto provvedimento, al comma 19 dell'articolo 1, autorizza la spesa di euro 5.635.000,00 «al fine di sopperire a esigenze di prima necessità della popolazione locale, compreso il ripristino dei servizi essenziali» relativamente al periodo 1o gennaio 2013 – 30 settembre 2013;
   la somma di cui sopra è stanziata per interventi urgenti, acquisti e lavori, anche in deroga alla contabilità generale, disposti dal comandante del contingente militare impegnato nella Repubblica Islamica dell'Afghanistan;
   nella relazione tecnica sottoposta al Parlamento al momento della conversione in legge del decreto-legge n. 227 del 2012 viene chiarito che gli interventi urgenti in Afghanistan sono da riferirsi alla cosiddetta attività CIMIC (civil-military cooperation);
   la medesima relazione, nel provvedere alla quantificazione degli effetti finanziari circa le missioni di cui al citato articolo 1, comma 19, del decreto de quo, lungi dall'indicare le singole voci di spesa, identifica l'intera somma stanziata come onere una tantum;
   le modalità di gestione delle somme, in deroga alla contabilità di Stato, così come autorizzate dal decreto legge, appaiono dunque, assolutamente al di fuori di qualsivoglia controllo essendo rimessa, la discrezionalità degli interventi, ai comandanti delle missioni;
   di conseguenza, a giudizio degli interroganti, non è garantita la benché minima trasparenza: in particolare, non è dato sapere quante somme sono state ad oggi investite, a quali aziende sono state erogate e con quali finalità, nonché quali importi dovranno essere utilizzati sino al 30 settembre 2013;
   gli stanziamenti finalizzati a soddisfare esigenze umanitarie della popolazione afghana sono di certo auspicabili nonché necessari al superamento della fase post bellica, ma ciò non significa che l'Italia debba venir meno alla possibilità di controllare come vengono spesi soldi della collettività –:
   se si intendano fornire, relativamente all'Afghanistan, tutti i dati e le formazioni relative alla gestione delle somme di cui al comma 19 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 227 del 2012 (convertito dalla legge n. 12 del 2013. (4-01105)


   DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, ha previsto la specificità del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed ha attribuito un ruolo negoziale ai COCER;
   l'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n. 255, comma 1, lettera b), prevede che «L'Amministrazione informa preventivamente i COCER in ordine [...] ai criteri per la destinazione, l'attribuzione e modalità di attribuzione delle risorse di cui all'articolo 5, del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 171.»;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2009, articolo 5, comma 5 stabilisce che «nella definizione dei criteri di ripartizione delle somme destinate ai fondi per l'efficienza dei servizi istituzionali sarà assicurato il ruolo della Rappresentanza Militare, ai sensi della normativa vigente al momento della suddetta ripartizione»;
   l'articolo 5, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 2006 recita testualmente che «Con decreto del Ministro della difesa, su proposta del Capo di Stato Maggiore della Difesa, sentiti gli organi di vertice di Forza armata e previa informazione, ai sensi dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n. 255, alle rappresentanze militari centrali, sono annualmente determinati i criteri per la destinazione e l'utilizzazione delle risorse indicate ai commi 1 e 2, disponibili al 31 dicembre di ciascun anno, nonché le modalità applicative concernenti l'attribuzione dei compensi previsti dal presente articolo»;
   risulta agli interroganti che lo Stato Maggiore della Difesa, contravvenendo alle leggi ed alle norme soprarichiamate, abbia sottoposto alla firma del Ministro della difesa il decreto di attribuzione del fondo efficienza servizi istituzionali (FESI) relativo all'E.F. 2012 senza il previsto parere della rappresentanza militare (COCER);
   il Cocer Comparto Difesa, con due differenti delibere (delibere n. 1 del 18 giugno 2013 e n. 2 del 26 giugno 2013), ha denunciato questa problematica chiedendo, per il tramite del Capo di stato Maggiore della Difesa, di interessare il Ministro della difesa ed al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione esigendo urgenti chiarimenti anche per l'eventuale avvio delle procedure di raffreddamento dei conflitti di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 195 del 1995 nonché ha chiesto di ritirare il provvedimento relativo al F.E.S.I. anno 2012 al fine di riportarlo in un alveo democratico e di legittimità –:
   se quanto illustrato in premessa corrisponda al vero;
   se intenda riconoscere al Cocer il ruolo negoziale riconosciuto dall'articolo 19, comma 3, della legge 4 novembre 2010, n. 183;
   se intenda, come chiesto dal Cocer Comparto Difesa, ritirare il provvedimento relativo al Fondo efficienza servizi istituzionali (FESI) relativo all'E.F. 2012 emanato senza il previsto parere della rappresentanza militare (COCER) al fine di riportarlo in un alveo democratico e di legittimità;
   se intenda far pervenire al Cocer Comparto Difesa, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 2007, lo schema del decreto del Ministro della difesa attributivo del fondo riguardante l'E.F. 2012 al fine di rispettare quanto previsto dall'articolo 15, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 255 del 1999;
   se intenda, relativamente al fondo efficienza servizi istituzionali (FESI) relativo all'E.F. 2013, istituire in tempi brevi un tavolo tecnico che si confronti con il Cocer sui criteri determinativi e attributivi del «terzo pilastro» che come comunicato al Cocer con la lettera dello Stato Maggiore Difesa protocollo n. M–D SSMD 0054514 17.06.2013 è stato attivato a partire dal corrente anno. (4-01109)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 10 maggio 2013 è stato pubblicato l'elenco degli enti e società cooperative costituiti tra i dipendenti di una medesima amministrazione pubblica entro il 1o gennaio 1993, già iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del Testo unico bancario (TUB) di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, che possono continuare ad operare alle condizioni e nei limiti stabiliti dalle disposizioni di settore senza l'obbligo di iscrizione in albi ed elenchi tenuti dalla Banca d'Italia;
   tali organismi finanziari, che associano i lavoratori, prevalentemente pubblici, e incentivano forme di risparmio e previdenza complementare, sono sorti in Italia nei primi anni del ’900;
   in particolare, questi enti e cooperative finanziarie accolgono tra i loro soci i dipendenti di diversi istituzioni e enti pubblici e svolgono anche attività mutualistiche elargendo sussidi in caso di malattie, morte o infortunio, nonché borse di studio per gli studenti meritevoli;
   nel 1995 il Ministero del tesoro, con i decreti ministeriali 29 marzo 1995, 10 maggio 1995 e 11 dicembre 1995, ha riconosciuto tali enti e cooperative, regolamentando la loro iscrizione tra gli enti finanziari previsti dall'articolo 106 del TUB e definendone l'ambito operativo;
   nel corso degli ultimi anni si sono iscritte in tale ambito circa 26 istituzioni finanziarie costituite in enti morali, associazioni e cooperative, localizzate nelle maggiori città;
   nell'ambito della riforma dell'intermediazione finanziaria non bancaria introdotta dal decreto legislativo n. 141 del 2010, l'articolo 112, comma 7, secondo periodo, del TUB, come modificato dal decreto legislativo n. 169 del 2012, ha previsto che gli enti e le società cooperative costituiti tra i dipendenti di una medesima amministrazione pubblica entro il 1o gennaio 1993, già iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del TUB, possano continuare ad operare alle condizioni e nei limiti stabiliti dalle disposizioni di settore, senza l'obbligo di iscrizione in albi ed elenchi tenuti dalla Banca d'Italia;
   il suddetto decreto legislativo n. 141 del 2010, all'articolo 10, comma 10-bis, ha anche previsto che «La Banca d'Italia pubblica l'elenco dei soggetti, operanti alla data dell'entrata in vigore del presente decreto, che continuano a svolgere la propria attività ai sensi dell'articolo 112, comma 7, come modificato dal presente decreto»;
   la relazione illustrativa di accompagnamento del suddetto decreto legislativo afferma in merito che «La stessa impostazione viene prevista per gli organismi costituiti tra i dipendenti di una medesima PA., che beneficiano, ai sensi del decreto del Ministro del tesoro del 29 marzo 1995, di un regime specifico in materia di raccolta e di concessione di finanziamenti e di deroghe alla forma giuridica e al capitale, va infatti considerato che si tratta, anche in questo caso, di un numero chiuso di soggetti e che non possono costituirsi altri operatori della specie. Sono ricompresi anche gli enti e le società cooperative che, pur rispondendo ai requisiti di cui al decreto ministeriale 29 marzo 1995, si sono iscritte all'articolo 106 del decreto legislativo n. 385 del 1993 vigente alla data del 4 settembre 2010 non con le modalità e i termini previsti dal decreto ministeriale 11 dicembre 1995 e, dunque, non hanno richiesto in sede d'iscrizione di essere inquadrate tra quelle appartenenti a tale fattispecie»;
   il predetto elenco emanato il 10 maggio 2013 contiene solo 11 organismi, a fronte dei suddetti 26 enti aventi diritto;
   l'articolo 112, comma 7, secondo periodo, del TUB, prevede unicamente tre condizioni per l'iscrizione nel predetto elenco: che gli enti e le società cooperative siano costituiti entro il 1o gennaio 1993 tra i dipendenti di una medesima amministrazione pubblica; che essi fossero già iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del TUB, vigente alla data del 4 settembre 2010; che si verifichino le condizioni di cui all'articolo 2 del decreto del Ministro del tesoro del 29 marzo 1995;
   alla luce del chiaro dettato normativo, nessuna attività di carattere istruttorio sarebbe stata necessaria per inserire tali enti nell'elenco pubblicato il 10 maggio 2013, in quanto tutti i presupposti e condizioni sopra richiamate erano già stati vagliati per ogni singolo organismo in sede d'iscrizione dei suddetti soggetti nell'elenco generale di cui al citato articolo 106 del TUB;
   tali soggetti, i quali svolgono l'attività finanziaria in regime cooperativistico, sono animati da solidi principi etici e morali e con la loro attività perseguono finalità particolarmente meritevoli, quali: assicurare un elevato rispetto della trasparenza e della tutela dei consumatori; garantire condizioni di particolare favore e paritarie tra i consumatori, nel precipuo interesse degli utenti; fornire un servizio di prossimità adatto a piccoli utenti, con ampia tutela della famiglia; promuovere abitudini di consumo sostenibili e pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito, tenendo conto delle specificità del proprio mercato creditizio; informare ed educare i propri clienti;
   un'esclusione anche solo di uno di tali organismi dal predetto elenco determinerebbe dunque la perdita di un valore sociale non ripristinabile, anche tenuto conto del fatto che, ad oggi, la normativa non consente la costituzione di nuove entità similari –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di ripristinare la corretta interpretazione della normativa in materia, chiarendo che hanno diritto ad essere inseriti nell'elenco pubblicato il 10 maggio 2013 tutti gli enti, come indica la norma stessa, «già iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, vigente alla data del 4 settembre 2010, ove si verifichino le condizioni di cui all'articolo 2 del decreto del Ministro del tesoro del 29 marzo 1995». (5-00488)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 201 del 2011, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» prevede l'anticipo al 2012 dell'entrata in vigore dell'imposta municipale propria (IMU), modificando numerosi aspetti rispetto alla originale versione dell'imposta, così come era concepita dal decreto legislativo sul federalismo municipale, ed, in particolare, stabilendo che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale sia destinato allo Stato e la rivalutazione delle rendite catastali, al cui aumento di valore viene altresì applicato un moltiplicatore;
   a decorrere dal 1o gennaio 2013, secondo quanto stabilito dall'articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità per l'anno 2013), è stata abolita la riserva dello Stato sul gettito dell'IMU derivante dagli «altri immobili», limitandola al gettito riconducibile ai fabbricati classificati nel gruppo catastale D (ad aliquota di base del 7,6 per mille) ed assegnando ai comuni tutto il restante gettito;
   il Governo, nel 2008, aveva soppresso l'ICI sulla prima casa e la riforma federalista intrapresa con la legge delega n. 42 del 2009 aveva previsto, a partire dal 2014, l'introduzione di una nuova imposta, l'IMU, il cui gettito sarebbe stato introitato dai comuni, nella prospettiva di dare agli enti locali quelle risorse finanziarie ed economiche necessarie per conseguire quell'autonomia fiscale fondamentale per giungere alla piena realizzazione del federalismo fiscale;
   il fenomeno dell'abusivismo edilizio è molto diffuso in alcune aree del Paese, e particolarmente nel Meridione, dove le abitazioni di interi paesi sono sconosciute all'Agenzia del territorio, l'ente cui spetta il compito di monitoraggio e raffronto delle dichiarazioni catastali ed incorporata, ai sensi dell'articolo 23-quater del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, nell'Agenzia delle entrate;
   l'Agenzia opera secondo una metodologia ormai consolidata, basata su un processo di monitoraggio e raffronto tra le ortofoto digitali aeree e la cartografia catastale gestita dall'Agenzia, a cui seguono ulteriori verifiche negli archivi censuari;
   tali controlli hanno consentito, negli ultimi anni, l'individuazione delle particelle catastali sulle quali sono risultati presenti immobili non dichiarati, e tali controlli hanno consentito, solo nel 2008, l'individuazione e la scoperta di oltre 570.000 immobili fantasma;
   la stessa Agenzia ribadisce che i maggiori controlli hanno aumentato considerevolmente l'individuazione di nuovi evasori, e che, sulla base degli ultimi rilevamenti effettuati, sulle oltre cento province italiane controllate recentemente, le prime tredici del Mezzogiorno collezionano, da sole, ben 703.150 fabbricati fantasma, su un totale di 2.077.048 finora scoperti, cioè uno su tre (il 33,8 per cento);
   l'ultima edizione del rapporto annuale «Mare Monstrum» di Lega Ambiente, una speciale classifica di tutte le irregolarità e gli illeciti commessi ogni anno lungo i tratti di mare d'Italia, certifica come nella «top five» degli ecomostri sia inserito anche il villaggio di Torre Mileto a Lesina (Foggia), così come evidenziato anche da un servizio televisivo del TG2 trasmesso durante l'edizione pomeridiana delle ore 13 di domenica 30 giugno 2013, laddove il giornalista, oltre a mostrare l'irregolarità della situazione dal punto di vista urbanistico, dimostrava altresì come ancora oggi, nonostante la situazione sia nota alle forze di pubblica sicurezza, nonché ai competenti organi comunali, sussista un mercato di compravendita tra i proprietari degli immobili irregolari e persone interessate ad acquisire gli stessi –:
   se non ritenga necessario adottare gli opportuni provvedimenti per sanare, sotto il profilo tributario, l'attuale situazione relativa al villaggio di Torre Mileto a Lesina (Foggia), potenziando altresì i mezzi e gli strumenti in gestione all'Agenzia delle entrate per incentivare il monitoraggio dei fabbricati catastali, allo scopo di assicurare un maggior gettito e di favorire in tal modo un conseguente abbassamento del livello di tassazione generale sugli immobili. (5-00489)


   CAUSI, CAPONE e TARICCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i commi da 488 a 490 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – legge di stabilità 2013 – hanno modificato la disciplina ai fini dell'imposta sul valore aggiunto delle prestazioni di assistenza e sicurezza sociale rese dalle cooperative e dai loro consorzi, contenuta nel n. 41-bis della tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
   tali modifiche sono state motivate con la necessità di evitare la formalizzazione di una procedura d'infrazione da parte della Commissione europea, che aveva già avviato una richiesta di informazioni all'Italia in relazione alla disposizione sopra richiamata, perché evidenziava profili di contrasto con la direttiva 2006/112/CE per la possibilità, concessa anche alle cooperative non sociali e loro consorzi, di beneficiare dell'aliquota di favore tanto più con riferimento ad operazioni per le quali è disposto il regime di favore;
   l'articolo 1, comma 488, della legge di stabilità 2013, in particolare, ha abrogato il n. 41-bis) nella parte II della tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, che prevedeva l'aliquota del 4 per cento per le prestazioni socio-sanitarie, educative, assistenziali, rese a favore di determinate categorie deboli (anziani e inabili, minori, tossicodipendenti e altro) da cooperative e loro consorzi, sia direttamente sia in esecuzione di appalti e convenzioni in genere;
   lo stesso comma 488 ha inoltre introdotto il n. 127-undevicies nella parte III della tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633, che assoggetta all'aliquota del 10 per cento le prestazioni di cui ai numeri 18), 19), 20), 21) e 21-ter) dell'articolo 10, del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 633 del 1972, tra le quali quelle socio-sanitarie, assistenziali, rese da cooperative sociali e loro consorzi in esecuzione di appalti e convenzioni in genere;
   il comma 489 ha quindi abrogato le norme di cui ai primi due periodi dell'articolo 1, comma 331, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 – legge finanziaria 2007 – che, in via interpretativa, estendevano l'aliquota agevolata del 4 per cento alle prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese a favore di particolari categorie di soggetti da parte di qualunque tipo di cooperativa, sia direttamente che in esecuzione di contratti di appalto o convenzioni; lo stesso comma 331 consentiva anche alle cooperative sociali (Onlus di diritto) di beneficiare del regime fiscale più favorevole;
   il comma 490 del citato articolo 1 della legge di stabilità 2013 ha disposto inoltre che le modifiche all'attuale sistema si applicheranno alle operazioni compiute in base ai contratti stipulati dopo il 31 dicembre 2013, pertanto, fino a quando sarà efficace un contratto stipulato precedentemente, continuerà ad applicarsi l'aliquota del 4 per cento, mentre ai rinnovi, espressi o taciti, nonché alle proroghe di contratti già in essere tra le parti, successivi alla predetta data del 31 dicembre 2013, si applicherà il nuovo regime di aliquota al 10 per cento;
   l'Agenzia delle entrate nella circolare n. 12/E del 3 maggio 2013, ha stabilito, in merito ai profili di applicazione della norma, che con la nuova disciplina, l'aliquota del dieci per cento è applicabile alle sole prestazioni rese dalle cooperative sociali e loro consorzi, e non più anche dalle cooperative generiche; l'aliquota del 10 per cento si rende applicabile, inoltre, alle sole prestazioni rese dalle cooperative sociali in esecuzione di contratti di appalto o convenzioni, e non a quelle eseguite direttamente; di conseguenza, nel caso in cui la cooperativa sociale effettui la prestazione direttamente nei confronti del fruitore, l'unico regime utilizzabile sarà quello dell'esenzione dall'imposta;
   laddove la cooperativa sociale renda le prestazioni sia direttamente, sia in base a contratti di appalto o convenzioni, la stessa dovrà contemporaneamente applicare il regime di esenzione e quello di imponibilità ad aliquota ridotta (10 per cento), con inevitabile calcolo delle percentuali di detrazione;
   la circolare prevede inoltre che alle prestazioni rese da cooperative non onlus (ordinarie e di diritto) si applica l'aliquota ordinaria del 21 per cento ed, inoltre, che il nuovo regime fiscale si applicherà anche ai rinnovi, espressi o taciti, nonché alle proroghe di contratti già in essere tra le parti, successivi alla data del 31 dicembre 2013;
   secondo le indicazioni della circolare, l'abrogazione del regime agevolato dell'IVA al 4 per cento avrebbe effetto già dal 1o gennaio 2013, data di entrata in vigore della legge di stabilità, con la conseguenza che le prestazioni rese direttamente nei confronti dei fruitori saranno assoggettate al regime di esenzione per le cooperative sociali-onlus e per le cooperative onlus, mentre per le altre cooperative l'aliquota IVA sarà quella ordinaria del 21 per cento;
   dalla schematizzazione contenuta nella circolare sembrerebbe che queste ultime cooperative debbano già applicare l'aliquota ordinaria anche alle prestazioni rese in esecuzione di convenzioni o appalti; si prospetterebbe quindi un'evidente incongruenza visto che, ai sensi di quanto disposto dalla legge di stabilità, l'aumento dell'IVA per le cooperative sociali si applicherebbe solo sui contratti stipulati dopo il 31 dicembre 2013;
   secondo le rappresentanze di categoria, in Italia attualmente sono presenti circa 12.000 cooperative sociali; si tratta di un settore che occupa quasi 400.000 persone;
   non si hanno, peraltro, notizie della procedura d'infrazione comunitaria che sarebbe stata all'origine dell'intervento che il precedente Governo ha voluto introdurre nella legge di stabilità per il 2013;
   l'impatto che l'aumento dell'IVA sta avendo sul settore dei servizi offerti dalle cooperative sociali è pesante ed inaccettabile, soprattutto per le famiglie bisognose di assistenza, che si vedono costrette a pagare sempre più a caro prezzo i servizi di cui oggi usufruiscono –:
   se non ritenga opportuno, al fine di pervenire a una parità di trattamento dei soggetti coinvolti, uniformare la disciplina fiscale IVA delle prestazioni di assistenza e sicurezza sociale rese dalle cooperative e dai loro consorzi, mantenendo l'aliquota ridotta per tutti gli operatori, almeno per i contratti stipulati anteriormente al 31 dicembre 2013. (5-00490)


   ZANETTI, SOTTANELLI e SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i dati provenienti dal rapporto 2013 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica, avendo come fonte Equitalia, rilevano la difficoltà di riscossione dell'amministrazione finanziaria;
   in base a tali dati, negli ultimi dodici anni l'amministrazione è riuscita a incassare solo l'11,6 per cento dei ruoli emessi; su un totale di 596 miliardi di euro da recuperare l'attività di riscossione si è infatti fermata a quota 69 miliardi di euro circa; negli ultimi tre anni, poi, si è registrata una battuta d'arresto, che nel 2012 ha portato a riscuotere solo l'1,9 per cento del carico netto dei ruoli iscritti nello stesso anno;
   dalle tabelle del rapporto emerge che, nei primi cinque anni, il carico netto dei ruoli da riscuotere è arrivato a 353,9 miliardi di euro, ma solo il 4,9 per cento è stato incassato; il carico accumulato dal 2000 al 2005 non è stato smaltito negli anni seguenti, anzi è cresciuta fino a raggiungere 1/3 del prodotto interno lordo e la riscossione non ha mai superato la soglia del 3,1 per cento dei ruoli emessi durante l'anno;
   considerando l'attività svolta nel tempo per cercare di recuperare le somme degli anni precedenti, il rapporto evidenzia che, dei 39,5 miliardi di ruoli emessi tra il 2000 e il 2005, solo il 20,7 per cento è stato recuperato in dodici anni di attività; i numeri delle somme iscritte a ruolo dimostrano, inoltre, che c’è stata una crescita vertiginosa negli ultimi anni: nel 2012 sono arrivate a quota 77 miliardi di euro, cioè quasi il doppio del totale degli anni 2000-2005;
   nel consuntivo 2012 la Corte dei Conti rileva che l'andamento della riscossione segnala un preoccupante indebolimento; il volume della riscossione a mezzo ruoli fra il 2006 e il 2010 è cresciuto quasi del 77 per cento nel 2011 ha registrato una flessione del 3 per cento e lo scorso anno è arrivata al 13 per cento; i risultati concreti dell'attività di riscossione, in sostanza, si sono dimostrati cedenti rispetto alla crescente massa dei ruoli trasmessa dagli enti creditori;
   mentre le riscossioni comprendono vari fenomeni, forme di riscossione spontanea, iscrizioni a ruolo espressione non di vera evasione ma, più semplicemente, di errori da parte dei contribuenti, crediti delle pubbliche amministrazioni in molti casi estranei all'obbligazione tributaria, i magistrati contabili hanno osservato che, tra i fattori all'origine dell'indebolimento dell'attività di riscossione, un ruolo significativo ha avuto non solo il peggioramento del quadro economico, ma anche il susseguirsi di novità normative, quali le disposizioni che hanno limitato l'iscrizione di ipoteca sugli immobili, le possibilità di espropriazione immobiliare e la pignorabilità di stipendi e salari;
   nei giorni scorsi il direttore dell'Agenzia delle entrate Attilio Befera, ha rivelato che, dall'anno 2000, l'ammontare dei crediti vantati dallo Stato, che Equitalia deve ancora riscuotere, ha raggiunto la cifra record di 545 miliardi di euro (pari a 1/4 del prodotto interno lordo a 1/5 del debito pubblico), di cui 80 miliardi relativi al periodo dal 2000 al 2003; per quelle annualità la riscossione effettiva non ha raggiunto il 20 per cento delle somme iscritte a ruolo e successivamente la situazione è andata peggiorando: se nel 2004 Equitalia ha riscosso, tra tasse, contributi e sanzioni, il 17 per cento delle cartelle consegnate, nel 2012 su 77 miliardi di ruoli affidati, ne ha incassato solo un miliardo e mezzo, meno del 2 per cento;
   di questi 545 miliardi di euro di ruoli inevasi, è recuperabile solo una parte residuale, mentre circa 400 miliardi non saranno mai riscossi, dal momento che il fisco annualmente svaluta circa l'82 per cento dei crediti iscritti a ruolo: si tratta sostanzialmente di quella somma che non sarà mai incassata, in quanto relativa a debiti di imprese insolventi, fallite o chiuse, oppure di contribuenti che non possono pagare, in quanto si trovano in gravi condizioni economiche;
   il direttore Befera ha sottolineato che «il problema cruciale del fisco italiano si annida nel risultato finale, dal momento che ci sono tanti accertamenti ma si riscuote pochissimo, e in tempi molto lunghi» ed ha auspicato, dopo l'introduzione del «redditometro» e «dell'anagrafe dei conti bancari» quali nuovi strumenti di lotta all'evasione al fine di aumentare i controlli fiscali contro i possibili evasori, una riforma della giustizia tributaria per accelerare i tempi dei processi ed intervenire sul nodo degli incassi effettivi –:
   se non ritenga opportuno fornire al più presto un'analisi dettagliata dei 545 miliardi di euro di ruoli non ancora riscossi, al fine di avere maggiori e più precisi riscontri rispetto alla effettiva composizione di una somma tanto rilevante e conoscere quanta parte di tale ammontare sia sostanzialmente inesigibile, in quanto riguardante debiti di imprese e/o soggetti falliti o insolventi, e quanta parte invece effettivamente esigibile e contabilizzata nel bilancio dello Stato (quali, ad esempio, i residui attivi delle amministrazioni periferiche). (5-00491)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tutte le analisi disponibili individuano nella contrazione del credito disponibile e nella difficoltà di accedervi, in particolare da parte delle piccole e medie imprese uno dei problemi fondamentali dell'attuale congiuntura economica: il credit crunch, infatti, cioè quella condizione di calo significativo o di inasprimento improvviso delle condizioni dell'offerta di credito da parte del sistema bancario, produce un avvitamento finanziario che danneggia la fisiologia interna delle piccole e medie imprese poiché ne mina la residua base patrimoniale;
   un possibile veicolo di soluzioni positive è diffusamente individuato nel sistema dei Confidi, che appare strettamente connesso a scelte di politiche pubbliche, con un impegno di regioni, enti locali e amministrazioni dello Stato;
   a fronte di risorse crescenti vincolate a questo fine non si registrano apparentemente segnali di inversione di tale tendenza negativa –:
   di quali informazioni disponga in merito al rapporto quantitativo fra risorse pubbliche, complessivamente destinate ad ogni livello al finanziamento dei Consorzi di garanzia collettiva Fidi, richieste inoltrate al sistema bancario e monte dei finanziamenti effettivamente erogati per tipologia di impresa, con evidenza dell'andamento nel triennio. (5-00492)


   PISANO e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 1973 disciplina le modalità di comunicazioni da effettuare all'anagrafe tributaria;
   l'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 1973 indica gli atti sui quali deve essere indicato il numero del codice fiscale al fine consentire l'anagrafe tributaria di provvedere ai controlli per la quale è preposta;
   l'articolo 11, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, prevede che, a partire dal 1o gennaio 2012 gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare all'anagrafe tributaria le movimentazioni relative ai rapporti di cui all'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 1973;
   l'articolo 11, comma 2, del decreto-legge n. 201 del 2011, prevede, altresì, che le informazioni comunicate dagli operatori finanziari debbano essere archiviati dall'anagrafe tributaria ai sensi dell'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 1973;
   l'articolo 11, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011, prevede che le comunicazioni di cui al comma 2 del medesimo decreto-legge, debbano essere effettuate con le modalità indicate dal direttore dell'agenzia dell'entrate;
   il servizio informatico utilizzato dall'Agenzia delle entrate noto come «Serpico», acronimo di «servizi per i contribuenti», provvederà ad incrociare ed analizzare i dati inseriti nelle banche dati erario, catasto, demanio, motorizzazione civile, INPS, INAIL, dogane, registri vari e conti correnti bancari di persone fisiche e giuridiche;
   in diversi articoli giornalistici, di settore o meno, si fa un analisi delle possibilità e del ruolo che questi dati hanno per l'agenzia dell'entrate e per la Guardia di finanza: secondo L'Espresso, il sistema SERPICO, «con la sola imputazione del codice fiscale, è in grado di riportare informazioni dettagliate contenenti reddito dichiarato, patrimonio immobiliare, bollette delle utenze domestiche, macchine e motociclette custodite in garage, polizze assicurative, eventuali iscrizioni a palestre e centri sportivi e le spese sopra i 3.000 euro»; secondo lo stesso articolo, il sistema sarebbe in grado di fare segnalazioni automatiche basandosi su alcuni parametri, tra i quali il discostamento tra il reddito dichiarato e quello desumibile dai comportamenti di spesa basata sulle note griglie ISTAT per «pesare» presuntivamente i consumi;
   lo scorso novembre il Direttore dell'Agenzia delle entrate Befera aveva parlato di una incompatibilità tra il tenore di vita e quanto dichiarato di 4,3 milioni di famiglie, mentre oggi l'Agenzia delle entrate parla di 35.000 casi;
   vi sono inoltre i numeri riportati dallo stesso articolo, che indicano una spesa di consumi da parte degli italiani di 918 miliardi a fronte di soli 783 miliardi dichiarati;
   questo sistema sarebbe quindi uno strumento molto utile per capire e contrastare con adeguate strategie legislative l'evasione fiscale, nonché uno strumento di analisi prezioso per comprendere i numeri coinvolti in questo fenomeno –:
   in cosa consiste dettagliatamente il sistema SERPICO, quali parametri recepisca come input per l'elaborazione e la segnalazione dei casi di incongruenza e quali siano i dati che, ad esempio, produce nella configurazione attuale. (5-00493)


   MAIETTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in base ai dati diffusi dalla Consulta nazionale dei centri d'assistenza fiscale, sono oltre quattrocentomila i contribuenti che, avendo perso il lavoro e non godendo né di trattamento pensionistico, né d'indennità di disoccupazione, dovranno presentare il modello Unico e, quindi, dovranno attende almeno 2 anni per ricevere i rimborsi fiscali loro spettanti;
   appare ingiusto e mortificante, oltre che assurdo, che persone già in situazione di evidente difficoltà economica, siano ulteriormente penalizzate, atteso che, anziché ricevere il conguaglio a luglio, come accade per qualsiasi contribuente che possa presentare il modello 730, dovranno attendere oltre due anni per ricevere i rimborsi derivanti, ad esempio, dagli interessi passivi dei mutui o dalle detrazioni per la ristrutturazione o, ancora, dalle spese per l'istruzione dei figli o da spese mediche sostenute –:
   se il Governo non ritenga di assumere un'iniziativa urgente di modifica della vigente normativa in tema di rimborsi fiscali, al fine di tutelare i soggetti di cui in premessa. (5-00494)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALERIA VALENTE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità 2012-2013 è stato a suo tempo recepito un emendamento che ha previsto la conferma, per ulteriori 11 mesi (e cioè a tutto il 2013), dei progetti formativi realizzati dalle regioni e province in favore di lavoratori cassaintegrati, in mobilità, socialmente utili, disoccupati e inoccupati;
   è stata, perciò, stabilita la prosecuzione delle attività lavorative da parte di quanti risultassero, nell'ambito dei detti progetti formativi, assegnati agli uffici giudiziari a partire dall'anno 2010;
   la regione Campania rientra tra i soggetti che hanno attuato progetti di formazione presso gli uffici giudiziari campani;
   in particolare, nel quadro delle iniziative di cui al POR FSE 2007-2013, obiettivo operativo I 2 dell'Asse IV, la regione Campania ha previsto l'attivazione di qualificati percorsi integrati di work-experience presso le sedi operative degli uffici giudiziari presenti nella regione, destinati, per il 30 per cento, a giovani laureandi, e, per il restante 70 per cento, a laureati in possesso di diploma di laurea triennale ovvero magistrale, inoccupati o in stato di disoccupazione;
   la predisposizione delle proposte formative in questione è stata affidata alle università campane o ai loro dipartimenti, che hanno poi concordato l'attivazione delle diverse work experience, ai sensi del decreto legislativo n. 142 del 1998, mediante la stipula di apposite convenzioni con gli uffici giudiziari interessati;
   approvata e pubblicata la graduatoria dei progetti ammessi, sono state realizzate 36 proposte progettuali, presentate dai sei diversi atenei campani, per un numero complessivo di 449 tirocinanti, regolarmente inseriti nei diversi uffici giudiziari per lo svolgimento dei percorsi formativi previsti nei progetti;
   il Governo, nel quadro delle iniziative necessarie al rilancio dell'economia, ha previsto provvedimenti di riorganizzazione degli uffici giudiziari, di implementazione degli organici della magistratura togata e di ampliamento dell'organico dei giudici onorari, nell'intento di ridurre significativamente l'arretrato esistente in materia giudiziaria civile e di assicurare il migliore funzionamento degli uffici giudiziari;
   l'attività del settore penale, a sua volta, risulta fortemente rallentata dalla esistenza di arretrati nonché dalla insufficienza delle dotazioni di mezzi, personale, magistrati;
   la specifica professionalità conseguita dai giovani partecipanti ai progetti formativi realizzati dalla regione Campania presso gli uffici giudiziari coinvolti, rappresenta, allo stato, una risorsa concreta nello svolgimento e nella organizzazione del lavoro degli uffici giudiziari regionali;
   privare gli uffici anzidetti, alla scadenza prevista dalla normativa sopra richiamata, di soggetti in possesso di elevati titoli di studi, di fatto già inseriti nei dispositivi di funzionamento di ciascuno degli uffici giudiziari che ha concorso alla loro specifica formazione professionale, comporterebbe una sicura disfunzione all'organizzazione degli uffici medesimi;
   la disfunzione anzidetta verrebbe, poi, sostanzialmente a coincidere con l'attivazione dei dispositivi introdotti dal Governo proprio per il migliore funzionamento degli uffici giudiziari;
   d'altra parte, contrasterebbe con i generali princìpi di efficienza, efficacia ed economicità, che devono connotare l'agire della pubblica amministrazione disperdere le professionalità acquisite dai soggetti formati con i percorsi anzidetti, anche in considerazione delle ingenti risorse impiegate per offrire ai detti soggetti la prevista formazione;
   sotto diverso profilo, la persistente crisi economico-finanziaria continua a produrre devastanti ricadute sui livelli occupazionali e la disoccupazione giovanile costituisce ragione di allarme sociale, sia in sede nazionale, sia in sede europea;
   i provvedimenti da ultimo assunti dal Governo mirano a valorizzare i processi formativi come utile presupposto di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro –:
   se non ritengano opportuno, ciascuno per quanto di competenza, assumere ogni utile iniziativa perché le competenze acquisite dai destinatari dei percorsi formativi realizzati dalla regione Campania possano essere ulteriormente incrementate e valorizzate, in accordo con gli uffici giudiziari nel cui ambito rendono, attualmente, le loro qualificate prestazioni lavorative. (5-00495)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha colto l'occasione per ricordare all'Italia l'ultima sentenza della Corte di Strasburgo divenuta definitiva il 27 maggio 2013, in base alla quale l'Italia ha un anno di tempo per presentare un piano d'azione contro il sovraffollamento carcerario e un calendario per assicurare il risarcimento dei detenuti vittime;
   una cella di 3 metri quadri di spazio per detenuto non realizza le condizioni minime di vita e tutto ciò configura una tortura ambientale che viola l'articolo 27 della Costituzione;
   l'attuale indice di sovraffollamento è del 145 per cento mentre quello della media europea è del 99 per cento;
   il Consiglio dei ministri del 26 giugno 2013 ha dato via al «decreto-legge Cancellieri» contro il sovraffollamento delle carceri, creando diecimila nuovi posti carcere entro la fine del 2016, di cui 5mila entro il maggio 2014;
   come evidenziato pubblicamente dal Sindacato autonomo polizia penitenziaria (SAPPE), la condizione delle carceri della Liguria è sempre più allarmante: 1889 detenuti, 72 donne e 1817 uomini, 781 in attesa di giudizio definitivo, 1107 condannati. Queste sono le cifre dei penitenziari liguri al 31 aprile 2013 che vedono le 7 case circondariali (Sanremo, Imperia, La Spezia, Savona, Genova Marassi Genova Pontedecimo e Chiavari) in uno stato di «abnorme affollamento» rispetto alla capienza regolamentare che si attesta intorno ai 1000 posti letto;
   resta altissima la presenza di detenuti stranieri (tra il 55 ed il 65 per cento), dei tossicodipendenti (oltre il 30 per cento) rispetto ad una media nazionale che si aggira intorno al 20 per cento, mentre sono solo il 17 per cento i detenuti che lavorano (1 su 5 e per poche ore al giorno) in servizi di istituto. Il fatto che i detenuti non siano impiegati in attività lavorative o comunque utili alla società favorisce l'ozio in carcere e l'acuirsi delle tensioni, come risse, colluttazioni, tentativi di suicidi ed atti di autolesionismo e la situazione non è fino ad ora degenerata solo grazie alla grande professionalità dagli agenti di polizia penitenziaria che riescono a gestire situazioni spesso pericolose per l'incolumità loro ed anche degli altri detenuti;
   nel 2012 i detenuti si sono resi protagonisti di 92 atti di autolesionismo e 29 tentativi di suicidio, 9 presso il carcere di Marassi, 7 a Sanremo, 6 a La Spezia, 5 a Pontedecimo ed 1 a Chiavari e Imperia;
   le colluttazioni sono arrivate a 93 (7 a Imperia, 19 a Pontedecimo, 9 a Chiavari, 2 a La Spezia, 53 a Sanremo, e 3 a Marassi) e a 19 i ferimenti (12 a Marassi, 5 a Savona e 2 a Imperia);
   endemica è la carenza di poliziotti penitenziari, che sono complessivamente sotto organico nelle sette carceri liguri di circa 400 unità;
   sono state infine 5 le evasioni in Liguria da parte di altrettanti detenuti che non sono rientrati in carcere dopo aver fruito di permessi premio e semilibertà;
   nel corso dell'anno, 6mila detenuti hanno dato luogo e partecipato alle molte manifestazioni di protesta collettive sulla situazione di sovraffollamento delle carceri e sulle critiche condizioni intramurarie;
   altro dato significativo regionale è quello è quello che fa riferimento al «carcere invisibile» delle misure alternative e di sicurezza e di altre misure sostitutive della detenzione, che coinvolge complessivamente oltre mille persone;
   oggi si hanno 448 persone affidate in prova ai servizi sociali: di queste circa 150 sono tossicodipendenti, 28 fruiscono di semilibertà, 239 di detenzione domiciliare, 115 di libertà vigilata e 214 di altre varie misure;
   è del tutto evidente che scontare la pena fuori dal carcere, per coloro che hanno commesso reati di minore gravità, ha una fondamentale funzione anche sociale –:
   se siano a conoscenza della situazione descritta in premessa circa le condizioni di vita dei detenuti e di conseguenza anche della situazione di chi lavora all'interno delle strutture delle carceri liguri e cosa intendano fare;
   quali iniziative urgenti intendano assumere affinché sia rispettato quanto affermato dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per velocizzare i processi a carico dei cittadini non italiani, nonché per far scontare la pena agli extracomunitari nei Paesi di provenienza. (4-01107)


   MORETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro della giustizia del 18 aprile 2013, con il quale sono state approvate le nuove piante organiche dei magistrati interessati dalle variazioni dell'assetto territoriale per effetto della riforma della geografia giudiziaria, avrebbe dovuto rappresentare il punto di arrivo di un lavoro iniziato dagli uffici del Ministero della giustizia che, in ossequio alla previsione di cui all'articolo 5, comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155, mirava a una necessaria rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudiziari a seguito dei provvedimenti di riorganizzazione assunti;
   il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria aveva svolto un approfondito studio preparatorio, dal quale emergevano alcune indubbie sperequazioni riguardanti l'attribuzione delle risorse (e lo stesso CSM, a quanto consta all'interrogante, ne ha dato atto nel provvedimento che accompagnava il decreto in via di approvazione);
   sulla base degli studi del Ministero, il tribunale di Vicenza avrebbe ottenuto (rispetto alla mera sommatoria dei magistrati già in servizio nella provincia, Vicenza più Bassano) un aumento di 5 magistrati giudicanti (passando così a un totale di 41 magistrati) ed un aumento di 2 magistrati requirenti (con un ufficio del pubblico ministero complessivamente portato a 16 magistrati);
   con tale assegnazione di risorse sarebbe stato possibile migliorare i tempi di decisione delle cause che, in particolare in questo momento di recessione, avrebbero rivestito un ruolo strategico soprattutto per una provincia come quella di Vicenza, che rappresenta uno dei distretti industriali più importanti sul territorio nazionale. In particolare, come recentemente denunciato anche dal presidente degli industriali di Vicenza Giuseppe Zigliotto, per il tribunale vicentino l'organico è cronicamente sottostimato con conseguenze pesantissime in termini di efficienza della macchina giudiziaria. Senza contare che, proprio a causa del sovraccarico di cause, moltissimi magistrati chiedono il trasferimento presso altre sedi. Tuttavia, in seguito a vari passaggi, si è inspiegabilmente tornati alle posizioni precedenti –:
   se il Ministro, anche alla luce delle considerazioni suesposte, non ritenga di considerare, in sede di individuazione dei necessari correttivi nell'applicazione della normativa in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, anche previa consultazione degli operatori del diritto e dei rappresentanti del territorio, l'opportunità di modulare in modo diverso le scelte fatte, e, in particolare, se non ritenga necessario assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza, per aumentare in maniera adeguata l'organico da destinare al tribunale di Vicenza. (4-01111)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   TULLO, BONACCORSI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CARELLA, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, MOGNATO, MURA, PAGANI, PAOLUCCI, ROTTA, VELO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo il Censis sono 14 milioni i pendolari che ogni mattina utilizzano il treno, il trasporto su gomma o l'auto per spostarsi dai Comuni limitrofi verso le principali aree metropolitane italiane;
   lo Stato ha ridotto drasticamente, con il decreto-legge n. 78 del 2010 e successivi, i trasferimenti alle regioni per il trasporto pubblico locale, con conseguenze ormai intollerabili che arrivano a ledere il diritto universale alla mobilità;
   da anni, infatti, si registra una costante e consistente contrazione dell'offerta di servizi, la soppressione di molti collegamenti, una netta riduzione degli addetti e degli interventi per la sicurezza e la manutenzione di treni, autobus e infrastrutture, a fronte di un rincaro straordinario delle tariffe;
   le ricadute sono pesanti sul sistema sociale ed economico del territorio, sugli utenti, sulla congestione e sull'inquinamento; effetti significativi anche sull'indotto, e in particolare sulle imprese di fornitura di autobus, di treni e materiale rotabile e su quelle di manutenzione del servizio;
   la legge di stabilità per il 2013 ha previsto la modifica del finanziamento del trasporto pubblico locale, che dipenderà, oltre che dal gettito dell'accisa su gasolio e benzina, anche da un fondo unico per il trasporto pubblico locale su ferro e su gomma, nel quale confluiranno le diverse risorse, statali e regionali;
   nel contesto attuale risulta difficilmente praticabile la prevista «fiscalizzazione» delle risorse per le ferrovie regionali (le «ex concesse»), di cui alla legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), che destina al trasporto ferroviario regionale quota parte delle accise sui carburanti, poiché il gettito delle accise è interamente impegnato per altre destinazioni, né appare possibile, considerando l'attuale livello di pressione fiscale, prevedere ulteriori aumenti di tali accise;
   in molte regioni i contratti di servizio con Trenitalia scadono tra il 2014 e il 2015; in alcune non sono stati ancora sottoscritti (come in Sicilia), in altre risultano già scaduti (Friuli Venezia Giulia), in altre ancora non è definito il trasferimento di poteri e risorse (come nelle regioni a statuto speciale Sardegna e Val d'Aosta);
   un sistema di trasporto inefficiente conferma e ricrea il circolo vizioso del sottosviluppo: l'inadeguatezza scoraggia la domanda degli utenti (soprattutto lavoratori e studenti che hanno bisogno di contare su un servizio regolare ed affidabile), sicché si tende sempre più a sacrificarli da parte dei soggetti – come le Ferrovie – che danno impulso al miglioramento del servizio e alla realizzazione di infrastrutture di trasporto solo se stimolati da una forte domanda dei potenziali utilizzatori del servizio;
   le regioni, come la Provincia autonoma di Bolzano, che hanno investito nel trasporto ferroviario regionale, anche con nuovi treni, hanno registrato un aumento dei passeggeri di oltre il 26 per cento in tre anni: una chiara dimostrazione che se migliora il servizio aumenta la domanda e crescono gli introiti e gli abbonamenti;
   alcune tratte pendolari hanno un traffico paragonabile a quello delle linee ad alta velocità, ma anche quelle oggi meno frequentate hanno ottime opportunità di sviluppo; gli investimenti possono essere ripagati anche attraverso un'attenta politica di crescita della domanda pendolare attraverso abbonamenti vantaggiosi e servizi di qualità, in modo da incrementare le opportunità di remunerazione dei servizi anche per gli operatori;
   è necessario reintegrare le risorse statali decurtate dal decreto-legge n. 78 del 2010 e seguenti e mantenere nel tempo continuità negli stanziamenti, in modo da consentire l'acquisto di nuovi treni, e occorre pianificare lo sviluppo del servizio pubblico per il traffico pendolare prendendo a riferimento le migliori esperienze europee, che puntano a garantire percorrenze medie più elevate e con minori interruzioni, con treni e veicoli più capienti a due piani –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire continuità ed efficienza al trasporto pubblico locale, sia per il servizio ferroviario, sia per il trasporto su gomma, con risorse adeguate – anche di parte corrente – in modo da assicurare pieno rispetto degli standard qualitativi «europei» in merito a puntualità, affidabilità, affollamento, pulizia, comfort, decoro e informazione, anche attivando immediatamente l'Autorità dei trasporti per individuare obiettivi e livelli essenziali di servizio, esercitando un efficace e fondamentale ruolo di controllo del sistema in termini di servizio, concorrenza e tariffe.
(3-00167)


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corridoio transeuropeo n. 9 Genova-Rotterdam è compreso il collegamento ferroviario Genova-Milano-Novara, meglio conosciuto come Terzo valico dei Giovi;
   il Terzo valico dei Giovi è una delle infrastrutture basilari per lo sviluppo del Nord-Ovest; ad oggi, infatti, solo il 30 per cento delle merci destinate al mercato del Nord Italia transita per i porti italiani, il restante 70 per cento passa per altre vie, con prevalenza di utilizzo per i porti del Nord Europa;
   il Governo Berlusconi, nel 2001, inserisce il Terzo valico dei Giovi nel primo elenco delle opere di preminente interesse nazionale all'interno della legge n. 443 del 2001, «Delega al Governo per l'individuazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale». La norma prevede, inoltre, la definizione di un quadro normativo che consenta di accelerare la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti di rilievo nazionale;
   ad agosto 2006, il Governo Prodi, attraverso il Ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro, nel capoluogo piemontese per la conferenza dei servizi, afferma che: «Il terzo valico non rientra nelle priorità del Governo perché non è stato finanziato». Il Terzo valico dei Giovi viene cancellato dalle opere pubbliche prioritarie;
   il 4 luglio 2008 il Cipe, su proposta del nuovo Governo Berlusconi, approva il programma infrastrutture strategiche. All'interno il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti indica anche le linee strategiche che caratterizzeranno le attività del Governo e dà per prossima l'apertura dei cantieri per la realizzazione del Terzo valico dei Giovi sul collegamento ferroviario alta velocità Milano-Genova;
   il primo lotto dell'opera è stato finanziato per 720 milioni di euro, il secondo lotto vale 1,1 miliardi di euro; l'attuale Governo Letta afferma che i flussi di cassa del secondo lotto saranno resi disponibili non appena potranno partire i lavori. Ad oggi risulta un impegno di fondi, su tre anni, relativo all'opera pari a 31 milioni di euro per i lavori e 8 milioni di euro per i servizi;
   il 18 marzo 2013 il Cipe ha deliberato lo «storno», a favore di Ferrovie dello Stato italiane, di 240 milioni di euro dal finanziamento del secondo lotto, per fronteggiare spese di manutenzione della rete ferroviaria nazionale;
   nel decreto-legge «fare Italia», l'articolo 18, definito «sblocca cantieri», attinge quota delle risorse dagli accantonamenti destinati al Terzo valico dei Giovi per 50 milioni nel 2013, 189 milioni nel 2014, 274 milioni nel 2015 e 250 milioni nel 2016;
   in sede di conversione del cosiddetto decreto-legge emergenze, approvato il 21 giugno 2013, è stato previsto al comma 2 dell'articolo 7-ter uno stanziamento decennale di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, per il finanziamento degli investimenti relativi alla rete infrastrutturale ferroviaria nazionale, prevedendo che lo stanziamento venga attribuito con delibere del Cipe, con priorità agli interventi per la realizzazione, tra l'altro, del Terzo valico dei Giovi;
   la regione Liguria afferma di aver individuato come siti per l'accoglimento dello smarino derivante dai lavori le zone di Scarpiono, Staglieno (zona Bianca per la realizzazione di un basamento), Trasta, Uscio (tombamento pontili Ronco-Canepa) per il 2013; Vado Ligure-piattaforma Maesk, area Derrick a Borzoli, comune di Stella, area della Filippa a Savona, cava Lupara ad Arenzano e cave del Chiaravagna per il 2014. La regione Liguria evidenzia criticità da parte del Governo sull'area Fincantieri – ribaltamento a mare – individuata come quella di maggior utilizzo. Il presidente dell'autorità portuale Merlo – il 21 giugno 2013 tramite una testata genovese – individuava l'area della nuova diga foranea come possibile area di accoglimento. A fronte di ciò le strutture ministeriali lamentano di non aver ricevuto indicazioni precise in merito a cave e siti di riqualifica ambientale da individuare mediante convenzione con le amministrazioni locali, le quali devono rilasciare relative autorizzazioni nei tempi utili al rispetto del programma cronologico dei cantieri –:
   se il Governo intenda adottare iniziative volte a modulare un piano finanziario che garantisca che i lavori dell'opera del Terzo valico dei Giovi non subiscano arresti o ritardi e procedere all'adozione di misure urgenti di rifinanziamento, qualora le risorse stanziate risultino insufficienti per la prosecuzione dei lavori, prevedendo, a tutela dell'avanzamento dei cantieri dell'opera, iniziative nei confronti delle istituzioni locali liguri, qualora non rispondano agli adempimenti richiesti per la prosecuzione dei lavori relativi alla realizzazione dell'opera denominata Terzo valico dei Giovi. (3-00168)


   QUARANTA e LAVAGNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la storia del cosiddetto nodo stradale e autostradale genovese risale a più di trenta anni fa;
   il primo progetto esecutivo di potenziamento dei collegamenti est-ovest è degli inizi degli anni ’80 e riguarda la bretella Voltri-Rivarolo, fra le autostrade A26 e A7, ma l'intervento, pur trovandosi in fase realizzativa (apertura dei cantieri), veniva bloccato a causa dell'opposizione di alcuni enti locali;
   nel 1997 Autostrade per l'Italia redigeva uno studio intitolato «Ipotesi di ridistribuzione dei traffici autostradali gravitanti sul nodo di Genova», basato su di un modello matematico dei flussi del solo traffico autostradale rilevati nel 1995;
   venivano così valutate diverse ipotesi progettuali nell'ottica di migliorare i livelli di servizio della mobilità autostradale, senza considerare le variazioni a livello della viabilità ordinaria;
   tale studio giungeva alla conclusione che gli interventi più efficaci per decongestionare il nodo autostradale di Genova consistevano nel raddoppio delle autostrade in esercizio, seguendo tracciati prossimi agli attuali assi autostradali, compatibilmente con i vincoli ambientali ed insediativi;
   nell'ottobre del 2000 veniva adottato il piano territoriale di coordinamento provinciale, che individuava diverse ipotesi per la riorganizzazione delle infrastrutture autostradali nell'area genovese e presentava una serie di alternative per una gronda autostradale con la funzione di superare Genova, passando a nord della città attraverso dei tratti in galleria e connettendo Valle Scrivia con Valle Fontanabuona;
   il 12 marzo 2001 veniva sottoscritto – da regione Liguria, provincia e comune di Genova e provveditorato regionale alle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – uno schema funzionale concernente la riorganizzazione dell'intero nodo stradale e autostradale di Genova;
   l'intervento sul nodo di Genova veniva così incluso nel programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001, la cosiddetta legge obiettivo), approvato con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica n. 121 del 21 dicembre 2001, nonché successivamente inserito nel IV atto aggiuntivo alla convenzione Anas/Autostrade per l'Italia;
   in data 6 marzo 2002, venne sottoscritta, fra il Governo e la regione, l'intesa istituzionale quadro per la realizzazione delle grandi infrastrutture, in cui sono stati previsti interventi atti a decongestionare il trasporto dell'area metropolitana di Genova;
   facendo riferimento allo schema funzionale approvato nel 2001, da febbraio a settembre 2002 venne approntato da Autostrade per l'Italia uno studio sul nodo di Genova, chiamato «studio di prefattibilità», che comprendeva le seguenti opere: il raddoppio dell'autostrada A10, tratto Genova Voltri-Genova ovest, tramite la costruzione di una nuova autostrada parallela all'esistente con uscita per Genova aeroporto e con l'attraversamento del torrente Polcevera, con un nuovo viadotto in affiancamento al ponte Morandi esistente: la cosiddetta gronda di Ponente; il potenziamento della A7 tramite la costruzione della nuova carreggiata nord nel tratto Genova ovest – Genova Bolzaneto: la cosiddetta nuova carreggiata nord A7; il nodo di San Benigno; il tunnel di Rapallo;
   nel 2003 veniva elaborato da Autostrade per l'Italia uno studio di area vasta e successivamente uno studio di fattibilità presentato da Autostrade per l'Italia all'Anas nel settembre del 2003. In questo studio, effettuato sulla base delle risultanze dello studio di area vasta, venivano confrontate una serie di alternative progettuali che si aggiungono a quella già valutata nel 2002 ed inserita nel IV atto aggiuntivo alla convenzione tra Anas e Autostrade per l'Italia;
   il 10 dicembre 2003 il tavolo congiunto attivato dall'Anas, con regione, provincia, comune e Autostrade per l'Italia, approvava l'itinerario caratterizzato dall'attraversamento della Val Polcevera tramite un tunnel passante al di sotto del letto del fiume immediatamente a sud di Bolzaneto;
   sulla base dell'itinerario approvato, e a valle della registrazione (maggio 2004) del citato IV atto aggiuntivo da parte della Corte dei conti, nel giugno 2004 si iniziava il progetto preliminare avanzato e lo studio di impatto ambientale. Il lavoro si sviluppa attraverso un tavolo tecnico congiunto Anas-Autostrade per l'Italia-regione-provincia-comune, coordinato dalla regione, che ha il compito di analizzare la soluzione nei suoi dettagli, individuando e risolvendo le criticità;
   ai primi di ottobre del 2004 si arrivava alla definizione di un tracciato condiviso;
   il progetto preliminare, concluso a marzo 2005, pur fattibile tecnicamente, suscitava, tuttavia, notevoli perplessità sui possibili rischi di inquinamento delle falde acquifere in fase di costruzione del tunnel al di sotto del letto del fiume. Si tornava, dunque, ad ipotizzare l'attraversamento del Polcevera tramite viadotto, riconsiderando l'itinerario che prevedeva la realizzazione di un nuovo ponte sul torrente Polcevera immediatamente a nord (a circa 150 metri di distanza) dell'esistente viadotto Morandi;
   il 26 febbraio 2006 gli enti locali sottoscrivevano con Anas un protocollo di intesa in cui di fatto venne «disegnato» il tracciato della gronda di Ponente auspicato dagli enti, che comprendeva il nuovo viadotto sul Polcevera, e nel marzo 2006, dopo una fase interlocutoria di confronto con gli organi tecnici del comune di Genova, venivano riavviati i lavori del tavolo tecnico, sempre coordinato dalla regione;
   il 23 giugno 2006 il tavolo tecnico concludeva i suoi lavori con la scelta della nuova configurazione della gronda di Ponente, che recepiva interamente i dettami precisati dal protocollo del 26 febbraio 2006 e l'individuazione dei possibili schemi funzionali per la A7 nord/sud;
   il 3 agosto 2006, alla presenza del Ministro delle infrastrutture, si procedeva alla sottoscrizione di un nuovo protocollo di intesa, che individuava, all'interno del pacchetto di iniziative che costituivano il nodo di Genova, nella gronda di Ponente e nel nodo di San Benigno i due interventi prioritari;
   il 19 ottobre 2006, nel corso di una riunione tenutasi presso gli uffici della regione Liguria in Roma, i rappresentanti degli enti territoriali evidenziavano la necessità di ridefinire l'insieme delle iniziative infrastrutturali imprescindibili per il territorio genovese e, in questo quadro, arrivare alla scelta del sito in cui poter smaltire il materiale di risulta (smarino) proveniente dallo scavo delle gallerie, che dalle indagini eseguite risultava caratterizzato dalla significativa presenza di minerali con presenza di amianto;
   il 5 febbraio 2007 veniva sottoscritto un ulteriore protocollo di intesa che, tra le altre cose, impegnava Autostrade per l'Italia alla rapida redazione di uno studio di fattibilità tecnica in merito alla possibilità di recapitare, oltre la diga foranea di Sampierdarena – opera di sbarramento prospiciente il porto che assolve principalmente la funzione di proteggere la costa smorzando l'intensità del moto ondoso – il materiale proveniente dallo scavo delle gallerie (coerentemente con il disegno della nuova zona costiera genovese);
   il 5 aprile e il 24 maggio 2007 Autostrade per l'Italia illustrava agli enti territoriali i contenuti di tale studio di fattibilità – poi formalmente inoltrato l'11 giugno 2007. Nello studio, accogliendo una specifica richiesta del Presidente della regione Liguria, veniva esaminata anche la possibilità di poter conferire il materiale di risulta nel canale di calma prospiciente l'aeroporto di Genova, un canale realizzato per consentire il transito dei mezzi di emergenza e per proteggere le strutture dell'aeroporto smorzando l'intensità del moto ondoso. Il canale avrebbe continuato a svolgere le proprie funzioni anche dopo il deposito dei materiali di scavo;
   data la delicatezza del tema, gli enti locali, tuttavia, non ritennero di operare una scelta definitiva in tal senso;
   nel febbraio 2008 veniva presentato all'Anas il progetto preliminare avanzato del progetto, nella configurazione concordata a novembre 2006 ulteriormente affinata;
   nell'aprile 2008 iniziava ad operare il gruppo tecnico di lavoro, istituito presso il ministero delle infrastrutture, al cui interno operano anche autorevoli funzionari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: al suddetto gruppo di lavoro veniva affidato il compito di individuare il sito ottimale in cui poter conferire il materiale – caratterizzato dalla presenza significativa di minerali amiantiferi – proveniente dallo scavo delle gallerie;
   il 22 agosto 2008 regione, provincia e comune scrivevano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ad Anas e ad Autostrade per l'Italia una lettera in cui, confermando il canale di calma come riferimento base per la risoluzione del problema del materiale di risulta, indicavano in un nuovo tracciato, proposto dal comune, la migliore soluzione in termini di costi/benefici. Tale soluzione sposta l'attraversamento della Val Polcevera a Bolzaneto, evitando l'abbattimento del Morandi e aprendo una prospettiva di collegamento con la programmata gronda di Levante. Gli enti individuavano anche un percorso di partecipazione dei territori interessati che coinvolgesse, fra l'altro, i municipi;
   il 10 settembre 2008 il Gruppo tecnico di lavoro, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, concludeva i suoi lavori individuando nel canale di calma il recapito finale del materiale di risulta;
   il 24 ottobre 2008 il comune di Genova apriva ufficialmente l'avvio del dibattito pubblico, atto a coinvolgere direttamente i cittadini nel processo decisionale per la scelta definitiva del tracciato, e l'11 dicembre 2008, in un incontro propedeutico, il progetto del febbraio 2008 veniva confrontato con altre tre alternative;
   nel dettaglio le quattro soluzioni esaminate erano le seguenti:
    a) soluzione 1, anche detta «alta», chiesta ufficialmente dagli enti locali il 22 agosto 2008: prevedeva l'attraversamento della Val Polcevera a nord dell'attuale svincolo autostradale di Bolzaneto dell'A7, con il mantenimento dell'attuale viadotto Morandi sull'A10; la soluzione era corredata dalla previsione di realizzare una bretella di collegamento del tracciato di gronda con lo svincolo aeroportuale sull'A10, elemento che la differenzia da tutte le altre soluzioni;
    b) soluzione 3, anche detta «intermedia»: prevedeva l'attraversamento della Val Polcevera in prosecuzione alla giacitura dell'A12 all'altezza del suo innesto sull'A7 (zona di Rivarolo-Begato) e, come nel caso della soluzione 1, il mantenimento dell'attuale viadotto Morandi sull'A10;
    c) soluzione 4 (progetto del febbraio 2008): prevedeva l'attraversamento della Val Polcevera subito a nord dell'attuale viadotto Morandi sull'A10, di cui se ne prevede la successiva demolizione;
    d) soluzione 5, anche detta «bassa»: prevedeva l'attraversamento della Val Polcevera subito a sud dell'attuale viadotto Morandi, previsto, come per la soluzione 4, in successiva demolizione;
   le categorie attraverso cui veniva effettuato il confronto erano: i miglioramenti che ciascuna soluzione avrebbe potuto apportare al traffico nel 2025, l'impatto socio-economico di ciascuna alternativa, i problemi relativi alla gestione dei cantieri. Lo studio offre un primo commento dei risultati, lasciando al dibattito il compito della conclusioni;
   nel gennaio 2009 veniva elaborata una quinta soluzione, proposta dal comune di Genova, a partire dalla soluzione 1 (alta): soluzione 2: il collegamento della gronda con l'A7 da realizzare in corrispondenza dell'attraversamento della Val Polcevera a sud del casello di Bolzaneto, mediante svincolo completo di raccordo per tutte le manovre, cioè tra Milano e Ventimiglia e tra Milano e la direttrice A12. Il collegamento della gronda con l'A7 per i veicoli provenienti e diretti a sud (Genova) da realizzare in corrispondenza dell'attuale interconnessione A7/A12, riutilizzando in parte l'attuale tratto autostradale;
   come già esplicitato nelle premesse di cui sopra, il 26 febbraio 2006 gli enti locali sottoscrivevano con Anas un protocollo di intesa per la realizzazione dell'intero nodo di Genova, tra cui la gronda di Ponente;
   per quanto risulta all'interrogante l'opera sarebbe dovuta costare complessivamente circa 3 miliardi e 150 mila euro;
   i promotori dell'opera, come noto, avevano previsto un aumento del traffico tale da rendere necessario il raddoppio dell'A10 a ponente, il progetto ha preso corpo e il dibattito si è concentrato prevalentemente sull'impatto ambientale dell'opera;
   grazie ad un articolo de il Secolo XIX apparso il 14 giugno 2013 è tornato di attualità il tema del rapporto costi benefici dell'opera e della sua utilità. In tale articolo – dal titolo «La crisi sta gelando le aspettative, aumentano i timori di realizzare una “autostrada nel deserto”. Il traffico cala non è più vantaggiosa» – si riportano indiscrezioni secondo le quali Autostrade per l'Italia sarebbe in possesso di uno studio aggiornato sull'evolversi del traffico del nodo genovese, che evidenzierebbero come nei prossimi anni il «maxi intervento non sarebbe più così vantaggioso», visto l'attuale calo di transiti. Nello stesso articolo si fa riferimento ad un altro studio realizzato da Prometeia nel 2007, dal quale risulterebbe evidente come, rispetto alle previsioni sull'aumento del traffico ipotizzate allora, oggi siamo sotto del 25 per cento. I due studi «stanno facendo riflettere gli addetti ai lavori» si legge nell'articolo, perché si paleserebbe come concreto il rischio di realizzare «un'autostrada deserta». A conferma di quanto detto, anche nell'ultimo anno si è registrato un calo di traffico autostradale pari al 7-8 per cento;
   particolari preoccupazioni sono state evidenziate, peraltro, da numerose associazioni e cittadini contrari alla realizzazione della gronda, perché ritenuta un'opera inutile da un punto di vista strategico, oltre che pericolosa per la presenza di rocce amiantifere –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto in premessa e, in particolare, se ritenga l'opera in questione ancora di pubblica utilità e se non ritenga opportuno porre in essere ogni atto di competenza presso Autostrade per l'Italia, al fine di acclarare e rendere pubblici i risultati delle notizie di stampa richiamate in premessa, al fine di conoscerne i risultati sotto il profilo dei flussi di traffico previsti, nonché acquisire un aggiornamento circa i costi dell'opera per valutarla puntualmente in termini di opportunità economica per quanto attiene al rapporto costi/benefici della stessa. (3-00169)

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il consigliere di Stato Gerardo Mastrandrea, ricopra l'incarico di capo dell'ufficio legislativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se risulti che Gerardo Mastrandrea svolga l'incarico presso il Ministero in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tale incarico. (3-00163)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAESTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto «Giuseppe Verdi» di Parma ha avviato la propria attività nel 1991 con l'affidamento della gestione alla società realizzatrice SO.GE.A.P s.p.a. appositamente costituita nel 1983 dagli enti locali e da alcuni soggetti privati;
   nel 2008, acquisita l'autorizzazione da parte di ENAC e del Ministero dell'economia e delle finanze, è stato avviato e concluso con successo un processo di privatizzazione della società di gestione che ha portato un fondo austriaco, a cui fa capo la Meinl Bank, a controllarne il 67,95 percento del capitale;
   l'aeroporto di Parma è oggi proiettato a rispondere alle esigenze di collegamento e trasporto di un territorio che è punto di snodo di importanti raccordi autostradali e ferroviari, si trova in un'area densamente popolata e con un'alta concentrazione di attività economiche industriali, artigianali e del terziario. Dal 2007 Parma è inoltre sede dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) al cui insediamento è stata subordinata la presenza in città di un aeroporto internazionale;
   le infrastrutture aeroportuali di Parma comprendono una pista di 2.200 metri ed un terminal recentemente ristrutturato che può garantire una capacità fino a 500.000 passeggeri. Nel 2008 SO.GE.A.P. s.p.a si è fatta interamente carico in autofinanziamento della costruzione del distaccamento della caserma dei vigili del fuoco per il presidio aeroportuale (per 2,1 milioni di euro) e dell'ampliamento dell'aerostazione (3,5 milioni di euro). Recentemente sono inoltre stati investiti da ENAV s.p.a. circa 15 milioni di euro per la costruzione della nuova torre di controllo;
   nel 2010 SO.GE.A.P ha completato l’iter procedurale per l'ottenimento della concessione totale ventennale per la gestione dell'aeroporto «Giuseppe Verdi» di Parma: il 25 novembre 2009 è stata sottoscritta la convenzione con ENAC a seguito della positiva conclusione dell'istruttoria tecnica nel giugno 2008 e il 19 gennaio 2010 è stato firmato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti il decreto interministeriale di affidamento della gestione. Manca ancora la conclusione del procedimento da parte del Ministro dell'economia e delle finanze nonostante il 4 marzo 2013 SO.GE.A.P abbia instaurato un ricorso al TAR del Lazio finalizzato a far valere il silenzio inadempimento del Ministero dell'economia e delle finanze concludere l’iter autorizzativo;
   nello studio sullo sviluppo futuro della rete aeroportuale nazionale realizzato dal raggruppamento di imprese One Works, Nomisma, KPMG, e nella proposta di piano nazionale degli aeroporti elaborata dall'ENAC per conto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, si configura un sostanziale declassamento dell'aeroporto di Parma ad aeroporto di servizio a valenza regionale, configurandone in tal modo il rischio di chiusura;
   il 29 maggio 2013 nel corso dell'audizione presso la Commissionari trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, il Ministro Lupi ha espresso consapevolezza per le «preoccupazioni delle piccole realtà territoriali per le quali l'aeroporto potrebbe rappresentare un volano per l'economia locale ma potrebbe anche diventare, in caso di sperpero di fondi pubblici, uno strumento di dissesto per le stesse economie. Saranno vagliate attentamente tutte le situazioni e gli amministratori saranno responsabilizzati nelle decisioni da prendere nell'interesse generale delle collettività coinvolte»;
   la società di gestione SO.GE.A.P. ha una posizione finanziaria solida e da circa sei anni è interamente sostenuta da fondi privati, pur svolgendo un importante servizio per il territorio e le attività economiche insediate –:
   quali siano gli intendimenti del Governo circa il futuro dell'aeroporto «Giuseppe Verdi» di Parma, considerato che lo stesso è condotto in gestione da una società a capitale prevalentemente privato;
   quali siano le ragioni del ritardo nella conclusione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze dell’iter per l'ottenimento da parte di SO.GE.A.P. della concessione ventennale per la conduzione dell'aeroporto e con quale tempistica si ritenga di poter completare detta procedura. (5-00484)

Interrogazione a risposta scritta:


   QUARTAPELLE PROCOPIO e PELUFFO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione del Comitato interministeriale per programmazione economica del 21 dicembre 2001 n. 121, sono stati approvata il primo programma delle opere strategiche nonché tutti gli atti connessi quali l'accordo di programma quadro «realizzazione sistema integrato di accessibilità ferroviaria e stradale a Malpensa 2000, del 3 marzo 1999, l'intesa istituzionale di programma Stato-regione Lombardia approvata dal CIPE il 19 febbraio 1999»;
   con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica del 27 maggio 2005, n. 65 è stato approvato con prescrizioni il progetto preliminare del «potenziamento della linea Rho-Arona-tratta Gallarate-Rho»;
   con deliberazione del 13 maggio 2010 n. 33, il CIPE ha approvato il progetto definitivo e finanziario relativo al «potenziamento linea Rho-Arona/Tratta Rho-Gallarate/primo lotto funzionale Rho-Parabiago;
   in merito a quest'ultima deliberazione il «Comitato civico contro il potenziamento della tratta Rho-Parabiago» presentava ricorso presso il TAR Lombardia richiedendone l'annullamento poiché secondo i ricorrenti, tra l'altro, il progetto preliminare e quello definitivo contrastano in quanto il primo prevedrebbe la realizzazione di un terzo binario, mentre il secondo il raddoppio dei due già esistenti;
   il TAR Lombardia, con sentenza n. 1914 del 9 luglio 2012, accoglieva parte del ricorso e annullava la deliberazione CIPE 13 maggio 2010 n. 33;
   Rfi-Rete ferroviaria italiana spa e regione Lombardia ricorrevano al Consiglio di Stato per la riforma della sentenza del TAR Lombardia n. 1914/2012;
   il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6667/2012 respingeva gli appelli riconoscendo che il progetto preliminare prevedeva unicamente tre binari, per questo non poteva essere trasformato in un progetto definitivo a quattro binari e che lo stesso progetto definitivo non era stato sottoposto a VIA –:
   alla luce della situazione esposta in premessa ed in considerazione delle recenti notizie di stampa nonché della grave crisi economica che riduce le risorse a disposizione degli investimenti, se vi siano aggiornamenti sullo stato dell'opera e, in particolare, quali siano gli intendimenti del CIPE in merito;
   se i finanziamenti dell'opera in commento siano ancora disponibili. (4-01106)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, ha previsto l'istituzione di un fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli che risultino titolari di contratti di lavoro a tempo determinato;
   l'operatività del fondo, che ha una dotazione finanziaria pari a 50 milioni di euro, è stata perfezionata dapprima con l'emanazione del decreto del Ministro della gioventù 17 dicembre 2010, n. 256, che ha fissato i criteri per accedervi e le sue modalità di funzionamento, e, successivamente, con la firma, nel maggio del 2011, di un protocollo d'intesa tra lo stesso Ministro e l'Associazione bancaria italiana;
   nel protocollo l'Associazione bancaria italiana si impegnava, tra l'altro, a promuovere sia l'informazione relativa al fondo, sia la sottoscrizione delle convenzioni per l'erogazione dei mutui tra il Dipartimento della gioventù ed i singoli istituti bancari e di intermediazione finanziaria;
   nella realtà, invece, il fondo appare assolutamente sottoutilizzato, come segnalato da parte di alcune associazioni di consumatori, a causa di una sostanziale disapplicazione del protocollo da parte dell'Associazione bancaria italiana, nonché delle convenzioni da parte dei singoli istituti di credito;
   l'atteggiamento degli istituti di credito appare non solo molto grave, ma sembra anche costituire una palese violazione dei diritti dei soggetti che potrebbero accedere al fondo, risolvendo uno dei maggiori ostacoli alla creazione di nuovi nuclei familiari, in un momento di forte crisi economica;
   alla stessa stregua, appare non essere stata esercitata compiutamente la funzione di monitoraggio sull'attuazione del fondo;
   nel dicembre del 2012, l'allora Ministro Riccardi, nella risposta ad un atto di sindacato ispettivo, aveva annunciato l'imminente riunione di un tavolo tecnico al fine di superare le problematiche di sottoutilizzazione del fondo –:
   quali siano i dati aggiornati rispetto all'utilizzazione del fondo, se siano state approvate le citate modifiche al regolamento e quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere al fine di garantire la possibilità dell'accesso al fondo al maggior numero possibile di giovani in possesso dei requisiti. (3-00166)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 7 maggio 2008 prevede che il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, addetto alle attività di soccorso, possa svolgere, in alternativa all'articolazione 12/24-12/48, altre particolari articolazioni dell'orario di lavoro, stabilite ai sensi dell'articolo 32 (contrattazione integrativa), correlate: all'esigenza di assicurare il soccorso tecnico urgente in caso di eventi calamitosi; all'ubicazione delle sedi di servizio, con particolare riferimento ai distaccamenti insulari; a peculiari caratteristiche dei servizi di istituto e di soccorso tecnico urgente;
   tale materia è regolata in via transitoria, ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica citato, dalla previgente normativa contrattuale di cui agli articoli 37, 38 e 39 del CCNL integrativo sottoscritto in data 30 luglio 2002;
   l'articolo 37 prevede che nelle cosiddette sedi disagiate sia ammesso un orario di turnazione di 24 ore consecutive di lavoro, seguite da 72 ore di riposo;
   l'articolo 39, 1o comma, del citato C.C.N.L. stabilisce i criteri in base ai quali la sede di servizio è da considerare disagiata: distanza dal capoluogo; tempo di percorrenza dal capoluogo in relazione alla situazione plano altimetrica delle vie di comunicazione stradali; mancanza di mezzi pubblici adeguati in relazione ai cambi turno; difficoltà oggettive di raggiungimento della sede in relazione all'esistenza di avverse condizioni climatiche; territorio di pertinenza della sede di servizio costituito da realtà insulari;
   ad oggi sono 54 in Italia le sedi distaccate per le quali si applica un orario di lavoro differenziato, tra queste vi è la sede di Sassari – aeroporto Olbia Costa Smeralda cui è stato riconosciuto tale status a partire dal 2003 e l'unica sede per la quale è stato revocato a partire dal 2012 tale tipo di orario;
   i vigili del fuoco che operano in quella sede hanno effettuato sino al 1o settembre 2012 un orario di lavoro che prevedeva, in un'unica soluzione 24 ore consecutive, dalle 8 del mattino fino alle 8 del giorno successivo e 72 ore di riposo così come previsto dall'articolo 37, comma 1, del C.C.N.L. sopra citato con riferimento alle sedi disagiate;
   al momento di quella autorizzazione, nel 2003, venne tra gli altri parametri, preso in considerazione il fatto che, presso la sede di Olbia Costa Smeralda, era ed è presente, come ribadisce lo studio cui sotto, una percentuale molto alta, pari quasi all'80 per cento, di personale pendolare residente nelle province di Sassari, Cagliari, Nuoro, Oristano e Ogliastra che per raggiungere la sede di servizio devono percorrere, in alcuni casi, oltre 300 chilometri, con tempi di percorrenza che superano anche le 4 ore;
   nel mese di aprile del 2011 il dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile presso il Ministero dell'interno ha elaborato un studio sulla «distribuzione territoriale delle sedi distaccate del Corpo nazionale dei vigili del fuoco con orario differenziato»: il quadro che emerge è di una situazione fortemente diversificata, che in molti casi deriva da provvedimenti adottati negli anni ottanta a seguito di eventi sismici e, in linea generale, tende a classificare la sede «disagiata» non in virtù di parametri territoriali oggettivi ed aggiornati, bensì in relazione a fattori individuali legati, in particolare, alla provenienza del personale;
   si legge testualmente: «Nella maggior parte dei casi la richiesta di riconoscimento o di conferma dello status di sede disagiata non è determinata da criteri oggettivi di difficoltà di raggiungimento della sede dal capoluogo, ma dalla esigenza di diminuire la frequenza di viaggio del personale che vi presta servizio, residente lontano dalla sede stessa»;
   al di là delle conclusioni di carattere generale che riguardano tutte le sedi disagiate, il dipartimento dei vigili del fuoco in tale relazione riconosce quali caratteristiche attuali della sede di Olbia Costa Smeralda il numero maggiore di personale residente fuori dalla provincia di pertinenza del distaccamento, il disagio dei lunghi tempi di percorrenza;
   in Sardegna infatti, diversamente dalle altre regioni italiane, si rileva una distanza notevole, a volte anche di centinaia di chilometri, tra una provincia e l'altra di conseguenza il personale, quasi tutto pendolare in servizio presso il distaccamento di Olbia, si trova a sostenere costi notevoli per il trasferimento giornaliero aggravati dal fatto che non esistono mezzi pubblici di collegamento che consentano agli addetti di raggiungere in tempo la sede per il cambio turno;
   la rideterminazione dell'orario di lavoro sarebbe stata determinata anche dalla conseguenza negativa riferita all'assegnazione del personale, dal momento che, sempre per lo studio del dipartimento dei vigili del fuoco, in alcune realtà è in atto una forma di contenzioso interprovinciale poiché, la presenza nel territorio di una sede disagiata, eserciterebbe un effetto attrattivo di personale residente nelle province limitrofe che sarebbe la causa dell'impedimento, all'altre unità che prestano servizio presso altri comandi dei vigili del fuoco di ottenere il trasferimento presso la sede di residenza;
   tale posizione non è in alcun modo applicabile al distaccamento di Olbia Costa Smeralda dal momento che il personale viene assegnato presso questa sede non per scelta, ma per le carenze che si verificano ogni qual volta vi è una maggiore mobilitazione nazionale;
   il 1o settembre 2012 il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Sassari, dando esecuzione al provvedimento adottato dal capo dipartimento, ha revocato l'orario differenziato con gravi disagi per gli addetti al servizio che si trovano ora a dover affrontare trasferimenti giornalieri da e per la sede in cui prestano servizio con mezzi propri, dal momento che non vi sono mezzi pubblici che garantiscano i collegamenti e con il pericolo incombente della pericolosità delle strade dove la presenza costante di cantieri, in diverse direttrici, aumenta la probabilità di incidenti e dei tempi di percorrenza –:
   quali iniziative il Ministro interpellato abbia intenzione di porre in essere al fine di rinnovare l'autorizzazione protocollo 2683/87635 del 12 maggio 2010 di sede disagiata di Olbia Costa Smeralda;
   quali iniziative il Ministro interpellato abbia intenzione di porre in essere al fine di ripristinare l'orario differenziato per la sede di Olbia Costa Smeralda scongiurando in tal modo il perdurare della condizione di forte disagio che subisce il personale pendolare proveniente dalle province di Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano e Ogliastra e che, ad altre sedi della penisola, con analoga condizione, è stato consentito di continuare ad usufruire dell'orario di lavoro articolato in 24/72 ore.
(2-00123) «Capelli, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DAGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Nettuno (comune di Roma) risultano importanti presenze di consorterie criminali come testimoniato dai processi «Appia» e «Mithos» pendenti innanzi al tribunale di Velletri per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, in tale territorio infatti, secondo quanto emerso nella relazione della commissione parlamentare antimafia sulla ’ndrangheta XV legislatura, da anni opera il clan Gallace;
   nel territorio risulta attivo, altresì, il clan dei Casalesi come attestano le indagini della direzione distrettuale antimafia di Roma nonché numerose sentenze emesse dall'autorità giudiziaria a carico di Pasquale Noviello ed altri, per reati che vanno dall'associazione a delinquere di stampo camorristico al tentato omicidio;
   il 24 luglio del 2012 veniva assassinato da un commando Modestino Pellino ritenuto vicino al clan Moccia;
   nella città di Nettuno negli ultimi sei mesi sono stati commessi due gravi attentati: nell'ottobre 2012 è stato incendiato lo stabilimento balneare «Il Belvedere» gestito dalla Società Turistico Marinara e nel maggio del 2013 un'abitazione in località Santa Barbara è stata fatta oggetto del lancio di una molotov;
   nel dicembre del 2005 il consiglio comunale di Nettuno è stato sciolto per gravi condizionamenti da parte della criminalità organizzata, decisione confermata in tutti i gradi di giudizio dalla giustizia amministrativa;
   la sentenza del TAR di Roma del 7 giugno del 2006 che conferma lo scioglimento del consiglio comunale affermava tra l'altro che in relazione al settore dell'urbanistica e dell'edilizia «il controllo sul territorio per l'attività di contrasto all'abusivismo edilizio si svolge quasi esclusivamente sulla base degli esposti», evidenzia: a) che l'amministrazione aveva «rilasciato titoli concessori prevalentemente in variante al piano regolatore», apparendo la concessione «in alcuni casi [...] strumentale a favorire operazioni di lievitazione del prezzo dell'immobile o ad incrementare l'attività di società di costruzione vicine ad esponenti della criminalità organizzata locale»; b) in altri casi, che «i passaggi di proprietà dei terreni oggetto di concessioni edilizie e le conseguenti volture del titolo concessorio [apparivano] unicamente finalizzati ad evitare il decorso del termine di scadenza della concessione o ad aspettare l'approvazione delle varianti al piano regolatore generale per sanare eventuali abusi edilizi. Anche in tali casi, beneficiari delle procedure dilatorie figurano soggetti contigui ad ambienti criminali»; c) che in relazione a «titoli concessori rilasciati a seguito di lottizzazioni di aree site in diverse località del territorio comunale, [erano] presenti quali diretti intestatari, quali amministratori, rappresentanti o soci delle imprese titolari, esponenti della malavita locale, alcuni dei quali gravati da diversi precedenti e di recente indagati anche per il reato di associazione illecita per traffico di sostanze stupefacenti»;
   nel corso della campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Nettuno e del sindaco, il candidato del PdL Carlo Eufemi ha denunciato il clima «intimidatorio» creato da Fernando Mancini, imprenditore locale già coinvolto in indagini giudiziarie e nei lavori della commissione d'accesso che portò allo scioglimento del consiglio comunale di Nettuno;
   il Mancini infatti (come si evince da un video postato su You Tube) avrebbe stigmatizzato la presentazione nelle liste di Eufemi di personaggi come Claudio Dell'Uomo, Stefano Proietto, Piero Ballerini. Sembrerebbe che il Mancini (o altri) abbia realizzato tale campagna in conseguenza dell'esclusione dalle liste del PDL della sua compagna Cristina Vasconi;
   in conseguenza dei comportamento del Mancini il PdL ha organizzato una manifestazione per la legalità;
   successivamente il candidato del PdL Eufemi ha denunciato il clima torbido della campagna elettorale;
   dopo le elezioni lo stesso Eufemi ha richiamato l'attenzione del Ministro interrogato affinché ci sia un intervento a tutela del territorio dove vige un sistema di illegalità e sfrontatezza che sta condizionando i cittadini e rendendo invivibile la città –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti illustrati in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per rafforzare il contrasto alle mafie nel litorale romano;
   se intenda verificare quali eventuali iniziative abbia intrapreso il prefetto di Roma in ordine alla situazione sopra esposta. (5-00496)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   risulta da alcuni articoli di stampa locale del 23 giugno 2013 che una serie di incendi di vaste proporzioni, alimentati anche dall'intenso caldo e dal vento, stanno preoccupando tutta la popolazione della zona di Longobucco provocando profonda preoccupazione tra gli abitanti del posto;
   le fiamme sviluppatesi in direzione di Lorica hanno creato gravi problemi, nella località turistica, deturpando gravemente il paesaggio e le infrastrutture con conseguenti danni ambientali irreversibili;
   i danni economici alla collettività sono vasti e sono accentuati dalle difficoltà incontrate dai comuni calabresi che non riescono ad applicare in maniera adeguata le norme esistenti (legge n. 353 del 2000) al fine di arginare la drammatica piaga degli incendi boschivi che sta determinando lo scempio di ampie aree creando fenomeni di erosione e desertificazione;
   i controlli, che dovrebbero essere svolti dagli enti locali preposti risultano insufficienti, così come gli interventi dei vigili del fuoco, del Corpo forestale e delle forze dell'ordine, i quali, pur impegnandosi oltre i propri limiti, evidenziano un sentimento di impotenza di fronte alle continue richieste di intervento;
   la scarsità dei mezzi utilizzati dai comuni, la carenza delle risorse umane disponibili, le lungaggini burocratiche, impediscono a volte l'utilizzo dei mezzi aerei anche a causa dei notevoli costi di gestione, determinato anche dalla attuale difficoltà economica;
   è necessario mettere a disposizione degli enti locali adeguate risorse per affrontare le tante emergenze che vivono i territori anche al fine di un'azione di monitoraggio del territorio, in particolare durante i mesi in cui gli incendi potrebbero arrecare seri danneggiamenti al patrimonio naturale e ambientale, utilizzando ogni iniziativa utile alla risoluzione di queste problematiche;
   quelli di Longobucco potrebbero essere, così come riportato dai mezzi di comunicazione locali, incendi di origine dolosa e, pertanto, sarebbe auspicabile attivare delle azioni di controllo sul territorio arginando questi gravi fenomeni ormai consolidati da anni;
   risulterebbe, inoltre che il reiterarsi di questo fenomeno criminale potrebbe favorire la concessione delle autorizzazioni al taglio degli alberi, che, nell'ambito delle zone interessate, verrebbero concesse più facilmente, anche se il fenomeno del disboscamento abusivo risulta molto praticato;
   è assolutamente necessario intervenire drasticamente sul territorio, incentivando le azioni di controllo, anche attraverso programmi di prevenzione degli incendi ai quali potrebbero partecipare giovani del posto, favorendo in questo modo l'occupazione locale e concentrando l'attenzione sulle aree boschive prossime alle grandi arterie autostradali –:
   se il Governo sia al corrente di tali fatti e quali iniziative intenda adottare per fronteggiare le emergenze incendi, garantendo altresì la sicurezza del patrimonio ambientale e dei cittadini residenti;
   se il Governo intenda promuovere un'attività di vigilanza e controllo finalizzata a prevenire in tutte le aree che risultano a rischio gli incendi dolosi anche attraverso la collaborazione con le amministrazioni locali e l'utilizzo dei vigili del fuoco, del Corpo forestale dello Stato, della protezione civile e delle associazioni di volontariato. (4-01097)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è stato lanciato, attraverso alcuni articoli di stampa sui giornali locali, un vero e proprio allarme sui numerosi furti nelle chiese della provincia di Vibo Valentia;
   si tratta di profanazioni dei luoghi sacri che avvengono senza scrupolo;
   tra gli oggetti trafugati vi sono offerte ed oggetti preziosi e addirittura ostie consacrate;
   sono gesti inqualificabili, condannati dalla chiesa e da tutta l'opinione pubblica, che negli ultimi tempi, stanno assumendo dimensioni inquietanti;
   i furti compiuti, non hanno solo un rilevanza legata al sacro, ma rappresentano per questi luoghi anche un depauperamento del patrimonio artistico, che potrebbe incidere negativamente sullo sviluppo del turismo basato anche sulla promozione dei beni culturali sacri;
   molti risultano essere i luoghi di culto colpiti da questi fenomeni delinquenziali. Ma la fase di grave crisi economica e la presenza di sette esoteriche e sataniche contribuiscono a creare le condizioni per violare la sacralità di questi spazi destinati alla preghiera ed alla meditazione;
   molte sono le azioni adottate per prevenire questi reati, dalla sempre minore ostentazione degli oggetti preziosi custoditi nelle chiese, alla custodia delle stesse, cercando altresì di curare con maggiore attenzione l'aspetto legato alla relativa vigilanza;
   appare indubbio che le istituzioni debbano intervenire, tutelando adeguatamente questi beni culturali e gli oggetti sacri che ospitano –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per garantire la sicurezza del patrimonio culturale e religioso;
   se il Ministro interrogato intenda programmare, congiuntamente agli enti locali interessati, un'attività di vigilanza e controllo tesa al contenimento di questi gravi episodi di inciviltà. (4-01098)


   VILLECCO CALIPARI, GARAVINI, MADIA, ARGENTIN e GASBARRA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 maggio del 2013 L'Espresso on line pubblicava un lungo articolo dal titolo: «Slot, una Las Vegas accanto a scuola, a Velletri, vicino Roma, sta per aprire un'enorme sala da gioco a pochi passi da un istituto secondario, è legale, perché la norma che lo vietava è stata bloccata. Ma dietro la proprietà, come accade altrove, ci sono oscure società nel paradiso fiscale di Panama. A cui finiranno i grandi incassi»;
   l'articolo dell’Espresso on line continuava riportando le seguenti notizie: «Trenta passi, è la distanza che separa una delle più grandi sale slot machine della provincia di Roma dalla scuola media “Andrea Velletrano”, a Velletri, quaranta chilometri dalla capitale. Trecentocinquanta metri quadri per ospitare fino a 140 macchine mangia soldi, per un investimento di centinaia di migliaia di euro, in una zona dove i piccoli negozi stanno chiudendo uno dopo l'altro. Si chiama “Play game”: è una srl diretta da un venticinquenne napoletano ma riconducibile, nelle quote azionarie, a due società panamensi, passando attraverso la zona franca dell'isola di Madeira, in Portogallo; un giro che, alla fine, rende impossibile stabilire con certezza chi siano gli investitori dietro le slot machine che tra poco inizieranno a funzionare a pochi metri da una scuola, in una piazza punto di ritrovo di molti ragazzi della città dei Castelli»;
   l'articolo poneva diversi interrogativi: «A una prima verifica tutte le carte sono in regola. La società ha ottenuto l'autorizzazione dal questore di Roma il 5 dicembre scorso e risulta iscritta regolarmente nell'elenco dell'Agenzia delle dogane. La norma che vietava la realizzazione di sale gioco in prossimità delle scuole, proposta nel 2012 dall'ex ministro Balduzzi, non è mai entrata in vigore, bloccata dalla pressioni delle associazioni degli esercenti. Nulla vieta, quindi, di aprire le sale in stile Las Vegas davanti all'ingresso di una scuola, è però interessante ripercorrere a ritroso lo schema societario, che dalla via Nettunense a Marino porta ai grattacieli del centro di Panama city, nello studio di Giovanni Caporaso, nome molto noto nel panorama delle società offshore, professionista in grado di garantire l'assoluto anonimato agli imprenditori che non vogliono apparire. Qui finiranno i soldi incassati, al netto dei proventi garantiti alle casse dello Stato. La società Playgame srl, che da un paio d'anni gestisce altre due sale a Poggio Mirteto, in provincia di Rieti, e a Firenze, risulta amministrata da Luigi Cascone, un ragazzo di Marino originario di San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli. Dai dati disponibili in camera di commercio risulta però che le quote societarie siano intestate, per più del 90 per cento, alla Romax Cormércio e Serviços Lda, con sede nella zona franca di Madeira. Consultando l'atto costitutivo dell'agosto del 2010 le quote della Romax sono a loro volta divise tra due società panamensi, la Eturon corporation e la Noviduc corporation. E questa è la tappa finale, visto che si tratta di gruppi con azioni al portatore, rendendo impossibile stabilire chi siano i reali proprietari; dai registri panamensi, però, emergono dei nomi conosciuti tra gli amministratori delle due società proprietarie di fatto della sala slot machine di Velletri. L'agente locale, ovvero lo studio che gestisce le pratiche amministrative a Panama, è il romano Giovanni Caporaso, più volte intervistato come esperto in paradisi fiscali. Sul suo sito sono elencati i benefici per chi decide di costituire una società panamense: “Partecipare a società nazionali, occultando i veri soci, fatturare servizi come se fossero eseguiti da una società estera, evitando di pagare le tasse, proteggere i vostri beni in Italia o all'estero, evitare sequestri giudiziari”, sono alcuni dei “benefit” promossi dallo studio panamense. Nelle società risulta anche Roger Alberto Santamaria del Cid, nome citato dal consorzio internazionale del giornalismo investigativo (Icij) come referente di Panama della Imperia Invest IBC, società accusata nel 2010 dalla Sec degli Usa (ente che corrisponde alla nostra Consob) per una truffa finanziaria via internet»;
   come attestano numerose indagini della direzione distrettuale antimafia di Napoli, confermate anche da sentenze passate in giudicato, la criminalità organizzata è da tempo interessata alla gestione del gioco d'azzardo legale –:
   se il Ministro interrogato intenda verificare come sia stato possibile rilasciare le relative autorizzazioni ad una compagine societaria che sarebbe riconducibile a società anonime in Panama e se intenda assumere iniziative per intensificare i controlli antimafia in ordine all'autorizzazione all'apertura di nuove sale da gioco.
(4-01104)


   BIANCONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il noto social network «Facebook» compie azioni in merito ai dati forniti dagli utenti che appaiono all'interrogante di dubbia correttezza;
   la protezione dei dati, fondamentale per la sicurezza degli utenti, è infatti in serio pericolo; gli stessi amministratori del sistema si sono ritrovati a mandare una comunicazione all'interrogante in cui dichiaravano che «di recente si è verificato un problema tecnico a causa del quale un'altra persona ha potuto vedere il tuo numero di telefono o il tuo indirizzo e-mail. Il bug ha interessato un numero limitato di utenti e, con tutta probabilità, ha esposto il tuo indirizzo e-mail o numero di telefono solo a persone che conosci già al di fuori di Facebook. Nonostante ciò, ci rendiamo conto di quanto sia grave questo errore da parte nostra»;
   in particolare negli ultimi anni, la sicurezza informatica è diventata fondamentale per la tutela dei diritti dei cittadini; il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata trova i propri fondamenti costituzionali negli articoli 14, 15 e 21 della Costituzione, rispettivamente riguardanti il domicilio, la libertà e segretezza della corrispondenza, e la libertà di manifestazione del pensiero; soprattutto, però, si fa riferimento all'articolo 2 della Costituzione, incorporando la riservatezza nei diritti inviolabili dell'uomo;
   la recente diffusione delle nuove tecnologie ha contribuito ad un assottigliamento della barriera della privacy, in particolare per quanto riguarda la tracciabilità dei cellulari o la relativa facilità a reperire gli indirizzi di posta elettronica delle persone; Facebook e gli «errori» di sistema denunciati dagli stessi amministratori del famoso social network espongono quotidianamente gli utenti non solo alla diffusione dei propri dati, ma ai pericolo sulla propria sicurezza personale che questa può comportare;
   la rete è in grado di offrire una vasta gamma di informazioni e servizi ma contemporaneamente può costituire un luogo pericoloso non solo per la privacy, ma per la sicurezza dei cittadini, anche perché il mezzo stesso non è stato concepito per scambiare o gestire dati sensibili;
   in particolare Facebook, luogo «principe» della socialità online, con 13 milioni di utenti italiani connessi ogni giorno, sembra essere particolarmente esposto a questo tipo di problema non solo per caratteristiche e «disguidi» propri della rete, ma anche perché a giudizio dell'interrogante particolarmente carente di misure di sicurezza interna –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, ritengano opportuno predisporre, per quanto di competenza, una verifica e gli opportuni controlli in merito alle problematiche relative alla sicurezza dei cittadini esposte in premessa, con particolare riferimento all'utilizzo del social network Facebook. (4-01112)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Pagani, sciolto ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali dal 30 marzo 2012, è attualmente amministrato da una commissione straordinaria che impegna ben quattro funzionari dello Stato;
   preoccupazione desta l'attività svolta da tale commissione prefettizia, che ormai da tempo suscita polemiche e critiche tra la cittadinanza dell'Agro nocerino;
   in particolare, a quanto consta all'interrogante, sembrerebbe che i funzionari della Commissione, a fronte di una ridottissima presenza presso il comune di Pagani, percepiscano per intero l'indennità, nonostante il decreto prefettizio di nomina prot. 25657 del 5 settembre 2012 subordini la corresponsione del compenso mensile all'effettiva presenza in servizio;
   dubbi e perplessità derivano, poi, dalla determina dirigenziale n. 318 con cui, il 10 aprile 2013, il commissario prefettizio, dottoressa Tramonti, ha affidato un incarico di consulenza all'avvocato Raffaele Marciano «per svolgimento delle attività pertinenti il coordinamento della struttura commissariale e di rapporti con l'apparato della gestione dell'Ente», con un compenso previsto di ben 22.400 euro;
   non si spiega l'urgenza di una nomina tanto onerosa da parte dei commissari di un comune in crisi economica come quello di Pagani, peraltro già dotato di una tale figura professionale, l'avvocato Giuseppe Serritiello (come da notizia riportata sul quotidiano locale La Città di Salerno, del 19 giugno 2013);
   da notizie riportate da organi di stampa locali, perplessità desta, in particolare, la circostanza che il legale nominato sarebbe legato al commissario prefettizio, avendo rivestito il ruolo di responsabile legale del comune di S. Giuseppe Vesuviano nel periodo in cui la dottoressa Tramonti era commissario, per poi ricevere un nuovo importante ruolo al comune di Pagani, proprio pochi mesi dopo la nomina di Tramonti;
   la procedura a evidenza pubblica, tra l'altro, sembrerebbe essere stata caratterizzata, sin dalla fase preliminare, da anomalie procedimentali, al punto che è stato presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, «della nota prot. 371/13 recante la comunicazione della delibera n. 58/2013 avente ad oggetto la scelta del vincitore della selezione per l'affidamento di incarico di difesa dell'ente dinanzi alle giurisdizioni superiori e non»;
   è proprio di queste ultime ore la notizia della decisione del tribunale amministrativo regionale di Salerno, che ha dato ragione al ricorrente, disponendo la sospensione della delibera per la nomina dell'avvocato Raffaele Marciano;
   polemiche sta destando, inoltre, la notizia della messa in liquidazione nel prossimo mese di luglio della società partecipata Multiservice S.r.l. che gestisce gran parte delle attività comunali, quali la manutenzione delle strade e della segnaletica, del verde pubblico, della pubblicità, la gestione dei servizi cimiteriali, della pubblica illuminazione e dei parcheggi e dà lavoro a circa 30 famiglie;
   come riportato dalla stampa locale, tale decisione sarebbe fondata sull'ordinanza del TAR 2006, successivamente confermata dal Consiglio di Stato, che avrebbe disposto la sola sospensione, e non la revoca, degli effetti della delibera di consiglio comunale n. 28 del 14 maggio 2005 per la ricapitalizzazione della società;
   la commissione straordinaria, non solo avrebbe considerato «definitiva» un'ordinanza di sospensione che tale non è, non essendoci stata pronuncia nel merito, ma addirittura avrebbe omesso di considerare che l'aumento di capitale sociale è avvenuto con atto notarile del 1o giugno 2006, ben prima dell'ordinanza sospensiva del TAR;
   la richiesta di revoca, pertanto, discende ad avviso dell'interrogante solo ed esclusivamente da precisa volontà della triade commissariale e non da un'ottemperanza a decisione giurisdizionali;
   tale comportamento denota, secondo l'interrogante, un mancato impegno della commissione straordinaria a tutela, soprattutto, delle professionalità esistenti all'interno della società che finora hanno rappresentato un punto di riferimento per una serie di servizi essenziali del comune di Pagani;
   i componenti della commissione non potrebbero, tra l'altro, assumere decisioni di straordinaria amministrazione, qual’è la messa in liquidazione di una società partecipata, posto che i suoi funzionari sono prossimi alla scadenza del mandato;
   la fase di commissariamento che il comune di Pagani vive da circa 18 mesi si sarebbe rivelata deleteria per lo sviluppo, anche minimo, del territorio, segnata a giudizio dell'interrogante solo ed esclusivamente da un aggravamento delle condizioni economiche e finanziarie dell'ente –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero, e quali provvedimenti il Governo intenda adottare per porre rimedio all'operato della commissione straordinaria a cui compete la gestione del comune di Pagani, anche disponendo una specifica ispezione, attraverso competente commissione ministeriale, per verificare la legittimità degli atti e delle decisioni adottate in questi anni di commissariamento e se la situazione finanziaria dell'ente si sia effettivamente aggravata. (4-01113)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 marzo 2013, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore ha firmato il decreto recante il Regolamento per l'istituzione dei percorsi speciali abilitanti e modifiche al decreto ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010;
   l'articolo 4 del Regolamento modifica l'articolo 5 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 249 e introduce il comma 1-ter che disciplina l'accesso ai percorsi formativi abilitanti speciali per «i docenti non di ruolo, ivi compresi gli insegnanti tecnico pratici, che, sprovvisti di abilitazione ovvero di idoneità alla classe di concorso per la quale chiedono di partecipare e in possesso dei requisiti previsti al comma 1, abbiano maturato, a decorrere dall'anno scolastico 1999/2000 fino all'anno scolastico 2011/2012 incluso, almeno tre anni di servizio in scuole statali, paritarie, ovvero nei centri di formazione professionale»;
   il citato comma 1-ter comporta, di fatto, una disparità di trattamento fra gli insegnanti precari, perché esclude coloro che raggiungano i requisiti richiesti per l'accesso al percorso formativo abilitante speciale, includendo le ore di insegnamento maturate nell'anno in corso (2012-2013);
   si attende ancora la pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale, per cui l'inizio dei corsi formativi, con ogni probabilità, sarà fissato alla conclusione dell'anno scolastico 2012-2013 –:
   se il Ministro intenda eliminare una tale condizione di disparità di accesso ai percorsi formativi abilitanti speciali, includendo anche l'anno scolastico 2012-2013 nell'arco temporale necessario per la maturazione dei tre anni di servizio. (5-00487)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi le organizzazioni sindacali FLC-CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS Confsal delle Marche, nel ribadire l'importanza strategica della scuola dell'infanzia nella formazione dell'individuo e del cittadino, hanno consegnato al Garante per infanzia della Regione Marche un esposto per denunciare la preoccupante situazione della scuola dell'infanzia nella regione;
   con i tagli 2008/2011 ed oggi il sostanziale blocco degli organici è stato praticamente negato il processo di generalizzazione di questo settore così delicato che anche la Commissione europea definisce, nei suoi documenti, come fondamentale per «consentire a tutti i bambini di affacciarsi al mondo di domani nelle condizioni migliori. L'educazione e la cura della prima infanzia (ECEC) costituisce la base essenziale per il buon esito dell'apprendimento permanente, dell'integrazione sociale, dello sviluppo personale e della successiva occupabilità. Ha un impatto profondo e duraturo che provvedimenti presi in fasi successive non sono in grado di conseguire. Le primissime esperienze dei bambini gettano le basi per ogni forma di apprendimento ulteriore (...) con diminuzione del rischio dell'abbandono scolastico precoce e maggiore equità degli esiti sul piano dell'istruzione. Consentirà inoltre di ridurre i costi per la società in termini di spreco di talenti e spesa pubblica nei sistemi sociale, sanitario e persino giudiziario». L'Europa si pone l'obiettivo quantitativo che almeno il 95 per cento dei bambini tra i 4 anni e l'età dell'inizio dell'obbligo scolastico dovrà essere inserito in strutture ECEC entro il 2020 e quello qualitativo di migliorare la qualità dell'offerta mediante servizi ben integrati e fondati su una visione comune del ruolo dell'ECEC, dei più efficaci programmi di studi e delle competenze del personale e delle soluzioni organizzative necessarie a porla in essere;
   la scuola dell'infanzia italiana da molti anni è considerata un fiore all'occhiello dell'istruzione del nostro Paese per l'alta qualità del modello organizzativo e didattico che si basa su un tempo scuola di 8 ore e due insegnanti per sezione, insegnanti che nelle ore di compresenza del mattino hanno la possibilità di intervenire con maggiore efficacia con gruppi più ridotti rispetto all'alto numero di bambini per sezione che, nella regione Marche, nel 2012-13 ha raggiunto la media di 2,9 alunni per sezione, la più alta d'Italia;
   questo modello, che se potenziato e generalizzato, poteva agevolmente raggiungere in breve tempo gli obiettivi fissati dall'Unione europea per l'ECEC, oggi viene messo pesantemente in discussione, oltre che a causa del crescente numero di bambini per sezione (anche in presenza di bambini con handicap e in edifici spesso non a norma in quanto costruiti per accogliere al massimo 25 bambini per sezione), anche dal diffondersi delle sezioni antimeridiane, cioè funzionanti con un solo insegnante;
   questo tempo scuola ridotto a sole 25 ore settimanali, previsto dalla normativa, dovrebbe essere esplicitamente richiesto dalle famiglie. Nelle Marche le richieste sono molto esigue, ma gli Uffici scolastici territoriali adottano oramai da alcuni anni l’escamotage di assegnare sezioni funzionanti con un solo insegnante per assicurare «un po’ di scuola dell'infanzia» a tutti coloro che, diversamente, sarebbero costretti a rimanere in lista d'attesa, a causa dell'insufficiente organico assegnato alla regione;
   nelle scuole dove sono assegnate queste sezioni ridotte, anche se non richieste, si verificano due situazioni: i collegi dei docenti decidono di farle funzionare solo di mattina, e in questo caso gli alunni escono alle 13.00, oppure cercano soluzioni organizzative per permettere che i bambini di queste sezioni possano fermarsi anche nel pomeriggio allorché le famiglie insistono per avere il servizio che hanno richiesto per l'intera giornata;
   in entrambi i casi l'organizzazione didattica viene messa pesantemente in discussione con conseguenze sulla qualità del servizio che si riversa, in questo modo, su tutti gli alunni;
   gli insegnanti da tempo stanno denunciando le conseguenze di questa «ingerenza» organizzativa da parte degli Uffici scolastici territoriali che sta diventando sempre più «normale» e diffuso in tutta Italia;
   nella prolungata situazione di crisi che attanaglia il nostro Paese e a seguito delle pesanti politiche di austerità, risultano sempre maggiori le difficoltà per gli enti locali e le famiglie a sostenere i costi del servizio;
   le liste d'attesa non sono state comunque debellate: molte famiglie che chiedono di far frequentare i loro figli di 3 anni in scuole pubbliche statali rimangono escluse per carenza di posti e si ritrovano costrette alla lista d'attesa o ad optare per le scuole private;
   in sintesi, a fronte di circa 3.500 alunni in più nelle Marche solo negli ultimi due anni in tutti gli ordini di scuola e dell'organico bloccato, sono stati assegnati quest'anno 64 posti in più in organico di diritto, posti che risultano totalmente insufficienti per rispondere a tutte le situazioni di difficoltà;
   per la scuola dell'infanzia queste carenze hanno significato, ad oggi, l'assegnazione di ben 104 sezioni antimeridiane, benché non richieste dalle famiglie ed un elevato numero di bambini per sezione molto superiore alla media nazionale;
   rispetto all'inserimento degli anticipatari, cioè i bambini ai due anni e mezzo, molte scuole sono nella impossibilità di soddisfare la crescente richiesta delle famiglie a causa delle sezioni troppo affollate e della presenza in quasi tutti gli istituti di almeno una sezione antimeridiana;
   nelle Marche si sono iscritti 2523 alunni in più in sei anni nelle scuole dell'infanzia statali, ma sono stati assegnati 84 sezioni e 272 posti in meno se si considera anche per le Marche l'opportunità di poter raggiungere la media nazionale di 24 alunni e due insegnanti per sezione, nel rispetto della richiesta delle famiglie di avere il tempo pieno;
   per altro risulta che gli anticipatari non sono stati tutti considerati per la costituzione delle sezioni, come invece previsto dalla normativa ma che sono stati segnalati ed inseriti solo quelli che le sezioni potrebbero assorbire utilizzando la redistribuzione fino a 29 (anche se l'inserimento di bambini di due anni e mezzo presupporrebbe come condizione, dal punto di vista didattico, un numero di bambini per sezione il più possibile ridotto);
   la situazione è particolarmente pesante nella provincia di Ancona dove:
    527 bambini su 12529 sono anticipatari;
    solo 5 istituti su 47 non hanno bambini anticipatari iscritti;
    15 istituti comprensivi su 47 superano con l'inserimento dei bambini anticipatari la media di 26 alunni per sezione;
    poiché è facoltà dei collegi dei docenti decidere l'eventuale accoglienza degli anticipatari, stabilendo se ci sono le condizioni logistiche e numeriche, spesso le scuole deliberano di non accoglierli proprio per l'impossibilità di garantire un elevato standard qualitativo;
   tenendo conto degli anticipatari:
    18 istituti su 47 superano la media di 26 alunni per sezione e, dunque, i bambini «eccedenti» sono stati redistribuiti fino a 29;
    33 plessi di scuola dell'infanzia su 148 hanno una media di alunni per sezione superiore a 26;
    ben 12 plessi hanno una media di più di 29 bambini per sezione, con una forbice che va da 30 a 34, coinvolgendo in totale 34 sezioni;
   senza tenere conto degli anticipatari:
    32 plessi su 148 superano la media di 26 alunni per sezione;
    5 plessi hanno una media superiore a 29 alunni per sezione;
    4 istituti su 47 superano la media di 26 alunni per sezione anche senza anticipatari;
    in particolare, nel comune di Osimo – Scuola «Trillini» con 29 e in quello di Filottrano con 27 (con sezioni tutte nello stesso comune);
    nei comuni di Arcevia e Cupramontana con 27, ma con sezioni tutte in comuni diversi e, dunque, con gli alunni difficilmente redistribuibili;
    in particolare, ad Osimo la Scuola «Trillini» e quella nel comune di Cupramontana non potranno accogliere neanche tutti i bambini di 3 anni a causa del numero medio di bambini per sezione superiore al tetto massimo;
   nella Città di Jesi vi sono inoltre:
    edifici di scuola dell'infanzia con una capienza sottodimensionata, 30 bambini in lista d'attesa e l'impossibilità di riconoscere una sezione in più per mancanza di locali idonei;
    unici 4 bambini anticipatari iscritti in quel comune non potranno essere accolti;
    è stata assegnata quest'anno una sezione antimeridiana in tutti e quattro gli istituti, aggravando la situazione organizzativa malgrado le richieste quasi nulle di tempo ridotto da parte delle famiglie;
   le amministrazioni provinciali delle Marche hanno provato a diminuire il numero medio di bambini per sezione, che infatti si è ridotto di 0,5 passando dalla media di 25,9 del 2012-13 a quella di 25,4 del 2013-14;
   è aumentato il numero delle sezioni (+29) ed il numero dei posti (+18), ma tutti solo per costituire sezioni antimeridiane;
   tutto ciò è andato a scapito del tempo scuola e della qualità tant’è che sono diminuite le sezioni a 40 ore (-9) e sono aumentate quelle a orario ridotto (+38);
   l'assegnazione delle sezioni antimeridiane non corrisponde quindi in nessun modo alla scelta delle famiglie che generalmente hanno chiesto il tempo pieno;
   la situazione è ancor più pesante vista la mancanza di adeguati risposte sulla stabilità degli organici di tutto il personale, docente e ATA, figure indispensabili soprattutto in questo ordine di scuola, e sulla stabilità anche degli insegnanti di sostegno che per più della metà sono con contratto a tempo determinato messi dunque nella impossibilità di garantire la continuità, elemento prioritario per la qualità dell'intervento educativo –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo: a) per assicurare nella regione Marche almeno i 104 insegnanti necessari per garantire il tempo pieno a tutte le famiglie che lo hanno richiesto; b) per garantire investimenti dal punto di vista della sicurezza e qualità degli edifici scolastici; c) per assicurare la stabilità degli organici di tutto il personale, docente e ATA, figure indispensabili soprattutto in questo ordine di scuola; d) per assicurare la stabilità anche degli insegnanti di sostegno che per più della metà sono con contratto a tempo determinato messi dunque nella impossibilità di garantire la continuità, elemento prioritario per la qualità dell'intervento educativo. (4-01095)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   anche di recente le organizzazioni sindacali FLC-CGIL, CISL SCUOLA, UIL SCUOLA, SNALS-CONFSAL delle Marche hanno denunciato la grave situazione di difficoltà delle scuole marchigiane a seguito delle carenti risorse di organico assegnate;
   a fronte di un aumento di alunni di 1.400 unità circa, solo per il prossimo anno scolastico, che si somma all'incremento già registrato nell'anno scolastico 2012/2013 di 2.395 alunni in tutti gli ordini di scuola (di cui 1318 nel secondo grado), si riscontra un notevole taglio di classi e di posti in organico;
   per garantire un'offerta formativa, adeguata alle richieste delle famiglie e rispondente ai bisogni del territorio, i dirigenti scolastici marchigiani hanno chiesto di attivare 3.242 classi, mentre ad oggi l'ufficio scolastico regionale ne ha autorizzate 3.074, lasciando inevase 168 richieste, pari a 279 posti;
   in particolare si evidenziano le seguenti situazioni:
    un generale incremento degli alunni per classe con punte di 32/33 alunni (liceo linguistico di Pesaro 7 prime classi di 32 alunni; I.T.C. «Benincasa» di Ancona classe prima di 33 alunni, I.P.S.I.A. San Benedetto del Tronto classi prime 30 alunni);
    riorientamento degli alunni per mancata attivazione delle classi (esempio liceo scienze umane Rinaldini di Ancona, 36 alunni 1 classe; liceo scientifico F. Filelfo di Tolentino 37 alunni 1 classe);
    accorpamento classi intermedie (esempio liceo scientifico Savoia di Ancona — 95 alunni 3 classi 3o — media di 32 per classe, liceo classico «Nolfi» Fano 61 alunni di cui 1 diversamente abile 2 classi 2o);
    notevole incremento delle classi articolate. Si passa da 82 dello scorso anno alle 100, previste ad oggi, dell'anno scolastico 2013/2014;
    mancata attivazione delle classi iniziali dei corsi serali e della scuola in carcere;
    classi numerose, in particolare nei professionali, con una presenza di ragazzi diversamente abili superiore a quanto definito dalla normativa (esempio IPCT Recanati — 56 alunni di cui 11 disabili distribuiti in due classi);
   è palese il progressivo e sistematico impoverimento del sistema scuola delle Marche evidenziato sia dal decremento delle risorse d'organico, che dall'eccessivo aumento delle cattedre costituite con un numero di ore superiore a quanto previsto dall'ordinamento (100 cattedre nella sola provincia di Ancona e 79 nella provincia di Ascoli Piceno costituite oltre le 20 ore) e dal numero elevato di docenti di ruolo perdenti posto (circa 170 alla data odierna);
   è altresì indispensabile un incremento sostanzioso dell'organico di diritto che consenta di rispondere alle gravi situazioni di disagio evidenziate, nel rispetto delle norme di legge in materia di costituzione delle classi, di tutela dei disabili e di edilizia scolastica;
   è parimenti necessario un incremento delle risorse in organico di fatto idonee a rispondere alle reali esigenze di tutti gli ordini di scuola a fronte di situazioni estremamente critiche;
   nella scuola dell'infanzia:
    nel 2013-14 sono state assegnate 104 sezioni antimeridiane nonostante le famiglie abbiano richiesto nella quasi totalità il tempo pieno;
    in alcuni comuni ci sono liste d'attesa dei bambini di 3 anni;
    molte scuole denunciano l'impossibilità di inserire i bambini anticipatari a causa dell'elevato numero di bambini per sezione, malgrado la richiesta delle famiglie sia in aumento, anche per la crescente difficoltà a reggere il costo del nido;
    si registrano 2.523 alunni in più in 6 anni ma sono state assegnate in totale solo 45 sezioni e 57 posti in più, insufficienti anche solo per garantire il tempo pieno in tutte;
    nel 2012-13 la regione Marche ha registrato 25,9 bambini per sezione, il più alto d'Italia. Se anche nelle Marche si volesse garantire la media nazionale di 24 bambini per sezione dovrebbero essere assegnati altri 84 sezioni e 272 posti;
   anche nella scuola primaria e nella scuola media permangono situazioni critiche, soprattutto nella scuola media per la presenza di più alunni disabili in classi numerose e per l'impossibilità di sdoppiare le classi per mancanza di organico;
   nella scuola media è quasi scomparso il tempo prolungato e rimane insoddisfatta la richiesta di ulteriori sezioni ad indirizzo musicale –:
   se e quali iniziative intenda adottare il Governo per garantire un'offerta formativa adeguata alle richieste delle famiglie e rispondente ai bisogni del territorio delle Marche e per eliminare, prima dell'avvio del nuovo anno scolastico, le situazioni di criticità sopra documentate. (4-01096)


   DURANTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale n. 344 del 24 aprile 2013 si fissava in data 23 luglio 2013 il test di ingresso per le facoltà di medicina e chirurgia odontoiatrica, nello specifico per l'università di Padova;
   il decreto sopra citato veniva sostituito dal decreto ministeriale n. 449 del 12 giugno 2013, che prevede lo slittamento dei test di ingresso in data 9 settembre 2013;
   numerose famiglie della provincia di Taranto, in vista della prova di ammissione annunciata con il primo decreto, si sono adoperate per reperire biglietti ferroviari «Taranto-Padova» con la tariffa super economy, che permette una forte riduzione di spesa rispetto al costo normale della tratta;
   la suddetta tariffa è soggetta a vincoli rigidissimi, non prevedendo possibilità di rimborsi e/o cambi di data;
   le famiglie di cui trattasi sono prevalentemente monoreddito;
   Trenitalia non ritiene di avere alcuna responsabilità in merito –:
   se si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per affrontare la questione affinché le famiglie degli studenti non siano costrette a sostenere ulteriori esborsi, eventualmente differendo la validità del biglietto acquistato in funzione della prova di ammissione. (4-01108)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il consigliere di Stato Claudio Contessa ricopra l'incarico di capo dell'ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali –:
   se risulti che Claudio Contessa svolga l'incarico presso il Ministero in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tale incarico. (3-00162)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della remunerazione post-lavorativa erogata dall'Istituto nazionale di previdenza pubblica, l'interrogante segnala che numerosi lavoratori pensionati, denunciano che la pensione accreditata il primo di ogni mese, spesso, non corrisponde con l'addebito delle rate del mutuo in corso, nel caso in cui i giorni del mese coincidono con la giornata di sabato o di domenica;
   gli istituti bancari con i quali hanno stipulato i contratti di mutuo addebitano infatti l'importo della medesima rata il giorno precedente ovvero il venerdì;
   al contrario l'Istituto nazionale di previdenza pubblica, nel caso in cui il primo del mese cada nella giornata di sabato o di domenica, accredita la pensione il lunedì successivo;
   quanto suesposto, a giudizio dell'interrogante, appare evidentemente penalizzante e sconveniente per migliaia di pensionati, i quali oltre al rischio di un eventuale storno della rata del mutuo per mancanza di fondi sul proprio conto corrente bancario, presso il quale ricevono l'addebito della rata, spesso subiscono anche l'aggravio di ulteriori costi bancari per il pagamento in ritardo della rata del mutuo, unitamente all'ingiusta segnalazione alla centrale rischi Crif, come cattivi pagatori, da parte del proprio istituto di credito –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non si ritenga opportuno, per quanto di competenza, assumere iniziative affinché l'Istituto nazionale di previdenza nazionale pervenga ad un'intesa con l'Associazione bancaria italiana volta a far coincidere la valuta del pagamento delle rate del mutuo e l'accredito della pensione nel medesimo giorno. (4-01094)

PARI OPPORTUNITÀ, SPORT E POLITICHE GIOVANILI

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il consigliere del Tar del Lazio Daniele Dongiovanni ricopra l'incarico di capo dell'ufficio legislativo del Ministro interrogato –:
   se risulti che Daniele Dongiovanni svolga l'incarico di cui in premessa in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tale incarico.
(3-00159)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAON, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea il 12 ottobre 2011 ha presentato un pacchetto di proposte relative alla riforma della politica agricola comune per il periodo 2014-2020, allo scopo di rafforzare la competitività, la sostenibilità e il consolidamento dell'agricoltura su tutto il territorio dell'Unione europea, di tutelare l'ambiente e di favorire lo sviluppo delle zone rurali;
   dopo circa due anni si è concluso il 26 giugno 2013, con un accordo politico, il ciclo di negoziati sul futuro della politica agricola comune per i prossimi sette anni. L'accordo è sul piano strettamente politico, mentre spetterà al bilancio generale dell'Unione europea, per il 2014-2020, tradurre le misure in realtà. Il bilancio dell'Unione europea deve ancora essere definito, in mezzo ai tagli imposti della crisi economica;
   il Commissario all'agricoltura Dacian Ciolos si è dichiarato fiducioso sull'accordo politico, per una riforma della politica agricola comune più equa, più agguerrita contro le crisi, che va in aiuto ai giovani e comprende le aspettative dei cittadini europei;
   il Ministro interrogato si è detto soddisfatto sulla base di un'intesa fortemente migliorativa della posizione italiana e sul lavoro svolto dalla delegazione italiana, perché si è lavorato con l'obiettivo di far pesare il ruolo dell'Italia sul tavolo della riforma della politica agricola comune;
   a parere degli interroganti, invece, l'accordo raggiunto a Bruxelles sulla politica agricola comune 2014-2020 è del tutto insufficiente rispetto alle esigenze del mondo agricolo europeo ed è particolarmente penalizzante per quello italiano;
   si sa, purtroppo, con certezza che le stime sulle perdite medie complessive sull'agricoltura al Nord saranno attorno al 17 per cento;
   dal 1o luglio 2013 la Croazia entra ufficialmente a far parte dell'Unione europea, diventando il 28esimo Stato membro;
   gli interroganti si chiedono come si potrà, alla luce di questa nuova adesione, garantire lo stesso bilancio e, quindi, le stesse misure agli agricoltori dei 28 Stati membri. Nella migliore delle ipotesi il risultato del quadro finanziario pluriennale 2014/2020 sarà mantenuto e all'agricoltura verrà data la stessa quota di bilancio della precedente programmazione 2007/2013. Purtroppo ci si rende conto che non sarà come prima, perché non sarà più divisa per 15 Stati membri ma per 28;
   i finanziamenti che saranno a disposizione dell'agricoltura italiana ammontano a circa 48 miliardi di euro, inferiori ai 52 previsti dal Ministro interrogato nel corso della sua audizione alle Commissioni agricoltura di Camera e Senato. Fondi insufficienti per riuscire a rilanciare il settore primario, principale mezzo per contrastare la crisi economica in atto;
   il greening, ovvero il mantenimento di pascoli permanenti, la diversificazione delle colture e l'installazione di aree ecologiche, è una delle novità della politica agricola comune 2014-2020, che sembra imporrà la messa a riposo di una certa percentuale di terreni agricoli, aumentando così i costi per gli agricoltori;
   il riso, seppur inserito come greening by definition (cioè come inverdimento per definizione, quindi non dovranno sottostare al regime greening per avere il contributo), passerà, presumibilmente, da un contributo di 1.000 euro per ettaro a 350 euro per ettaro, quindi perderanno almeno i due terzi degli aiuti che ricevono oggi;
   l'Italia è contributore netto nei confronti dell'Europa e il Nord «regala», tra Roma e Bruxelles, almeno i tre quarti delle tasse e dei contributi che i cittadini del Nord versano;
   purtroppo, l'agricoltura del Nord andrà incontro ad una catastrofe. Gli effetti negativi che la nuova politica agricola comune avrà sul sistema delle imprese agrozootecniche del Nord del Paese farà perdere alla zootecnia più del 15 per cento dei contributi che percepisce oggi;
   presumibilmente ci si troverà di fronte alla chiusura di tutte quelle aziende agricole che vedranno ridursi drasticamente gli aiuti comunitari, che in questo periodo di profonda crisi sono una boccata d'ossigeno. Aziende che si vedranno ridotte anche del 40 per cento le contribuzioni comunitarie. Per un settore che vive anche di aiuto e sostegno pubblico non si tratta di una prospettiva rosea e beneaugurante;
   secondo gli interroganti, con l'accordo raggiunto a Bruxelles, si è di fronte nella sostanza ad una falsa riforma che non avrà ricadute positive sulla competitività e l'innovazione delle imprese agricole italiane ed europee, perdendo così una preziosa occasione per promuovere il ruolo dell'agricoltura in Europa. Piuttosto che un pessimo accordo meglio nessun accordo, meglio lasciare le cose come stanno –:
   quali saranno i vantaggi per gli agricoltori e gli allevatori italiani e se, invece, non si ritenga opportuno, alla luce di quanto evidenziato in premessa, rivedere la posizione dell'Italia, visto che l'accordo deve essere ancora ratificato formalmente dai Governi e dal Parlamento europeo, coinvolgendo il mondo delle organizzazioni delle imprese e delle cooperative agricole negli ambiti applicativi della riforma, delegati all'Italia ed agli altri Stati membri. (3-00170)


   SCHIRÒ PLANETA, CATANIA, GALGANO, CARUSO, MOLEA, VITELLI, CAUSIN e ROSSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la città di Milano ospiterà nell'ottobre del 2015 l'Expo 2015 «Nutrire il Pianeta Energia per la Vita»: un'occasione unica di crescita e visibilità del nostro Paese;
   l'evento sarà l'occasione per affrontare la tematica universale e complessa della nutrizione da un punto di vista ambientale, storico, culturale, antropologico, medico, tecnico-scientifico ed economico;
   pur ponendo al centro il tema del diritto ad una alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il pianeta, la manifestazione consentirà di dare visibilità anche alla tradizione e alla creatività enogastronomica del nostro Paese;
   si tratta di una grande opportunità di promozione delle eccellenze italiane e di valorizzazione dei territori, non solo dal punto di vista agroalimentare, ma anche dal punto di vista storico-ambientale, grazie al vasto ed eccezionale patrimonio che il Paese dispone –:
   quali iniziative, nell'ambito dell'esposizione universale Expo 2015, intenda adottare finalizzate alla promozione di uno dei settori portanti dell'economia italiana e alla valorizzazione dell'Italia dei territori, della cultura e delle biodiversità. (3-00171)

Interrogazioni a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 giugno 2013 rispondendo all'interrogazione n. 5-00428 di Franco Bordo (SEL) riguardanti iniziative in materia di OGM, per l'adozione della clausola di salvaguardia o di altre misure cautelari, il Sottosegretario alle politiche agricole alimentari e forestali Giuseppe Castiglione riferiva che le condizioni per ricorrere alla clausola di salvaguardia «vera e propria» di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE non sembrano sussistere, in quanto tale possibilità sembra essere preclusa da una sentenza della Corte di giustizia europea dell'8 settembre 2011 e che conseguentemente si ritiene necessario seguire un'opzione differente individuata in un decreto interministeriale in attuazione dell'articolo 34 del Regolamento (CE) 1829/2003;
   la sentenza della Corte di giustizia dell'8 settembre 2011 citata dal Sottosegretario Castiglione chiarisce che l'articolo 34 del regolamento n. 1829/2003 impone agli Stati membri di dimostrare, oltre all'urgenza, l'esistenza di una situazione in grado di comportare un rischio che ponga a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l'ambiente;
   il decreto interministeriale menzionato dal Sottosegretario Castiglione si baserà sul dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura che è già stato notificato nel mese di aprile 2013 dal Ministro della salute alla Commissione europea nell'ambito della richiesta di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais transgenico MON810 in tutta Europa e che in seguito dalla Commissione europea è stato trasmesso per valutazione all'Autorità per la sicurezza alimentare Europea che non ha ancora emesso un parere scientifico al riguardo;
   il citato dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura ammette che i rischi per gli organismi non target e per i parassitoidi dei vari trattamenti insetticidi che si eseguono sul mais per combattere la piralide sono in realtà maggiori di quelli inerenti all'uso del mais MON810;
   la Società italiana di genetica agraria, che rappresenta circa 450 esperti di genetica applicata all'agricoltura, in gran parte ricercatori del settore pubblico, ha denunciato ufficialmente che il dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura sia pressoché una semplice traduzione del dossier scientifico presentato dalle autorità francesi alla Commissione europea il 20 febbraio 2012 e che è stato poi utilizzato come base scientifica del decreto francese del 16 marzo 2012 che vieta la coltivazione di mais MON810 in Francia;
   l'Autorità per la sicurezza alimentare ha emesso il 7 maggio 2012 un'opinione sul dossier scientifico francese menzionato affermando che esso non conteneva nessuna specifica evidenza scientifica che giustificasse una misura di emergenza ex articolo 34 del regolamento n. 1829/2003;
   il dossier francese è stato sottoposto ad un'analisi punto per punto per quanto riguardo la sua validità scientifica ed è stato oggetto di una recente pubblicazione apparsa su Nature Biotechnology il 10 giugno 2013; tale pubblicazione a giudizio dell'interrogante dimostra inoppugnabilmente che il dossier francese, oltre ad aver ignorato articoli scientifici rilevanti per il soggetto esaminato, abbia distorto, citato erroneamente e non correttamente interpretato pubblicazioni e rapporti scientifici, compresi quelli dell'EFSA. A questa conclusione si giunge per esplicita dichiarazione di diversi autori che hanno prodotto i dati citati a sostegno nel dossier francese. Questo invalida le conclusioni del dossier;
   la Federazione italiana scienze della vita, che rappresenta circa 12.000 ricercatori delle principali società scientifiche italiane attive nel settore della biologia di base e applicata ha ricordato in una sua comunicazione ufficiale di commento dell'ordine del giorno recentemente approvato dal Senato della Repubblica italiana sulla coltivazione di OGM che in oltre 15 anni di coltivazione delle colture transgeniche e di consumo dei relativi prodotti non è riportato nella letteratura scientifica mondiale un solo caso accertato di danni per l'uomo;
   in una dichiarazione pubblica apparsa sul Corriere della Sera del 24 giugno 2013 il Ministro De Girolamo ha precisato che un decreto interministeriale di divieto della coltivazione di mais MON810 potrebbe esporre l'Italia ad una procedura d'infrazione da parte della Commissione europea;
   le semine di mais sono ormai terminate in tutta Italia –:
   quale sia la reale differenza tra la procedura dell'articolo 34 del regolamento 1829/2003 e quella di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE in riferimento al requisito giuridico vincolante della dimostrazione dell'esistenza di una situazione in grado di comportare un rischio che ponga a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l'ambiente;
   se si ritenga di adottare il decreto interministeriale prima ancora che l'Autorità sulla sicurezza alimentare rilasci una opinione sulla documentazione presentata dall'Italia nell'aprile 2013;
   se si intenda specificare sulla base di quale mandato il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura ha ritenuto di redigere il dossier scientifico presentato;
   se sia stato verificato che il dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura sia effettivamente una mera traduzione e copia della documentazione scientifica francese;
   se si ritenga, dopo la pubblicazione dell'articolo di Nature Biotechnology, di continuare ad usare il dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura come base scientifica del decreto interministeriale;
   se si ritenga di specificare i fattori che caratterizzano il carattere di urgenza dell'eventuale decreto ministeriale, in particolare con riferimento alla giustificazione scientifica della sua urgenza;
   se sia stata fatta un'analisi dei rischi per gli organismi non target e per i parassitoidi dei vari trattamenti insetticidi che si effettuano sul mais per combattere la piralide e nel caso fossero confermate le evidenze del dossier prodotto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura s'intenda bloccare l'uso di tali insetticidi;
   se si intenda richiedere alla Commissione europea un'analisi preventiva informale di conformità con il diritto comunitario del preannunciato decreto interministeriale, al fine di scongiurare una procedura d'infrazione che gli stessi Ministri coinvolti nell'adozione del decreto ministeriale ritengono possibile;
   cosa intenda fare il Governo per le semine già effettuate. (3-00158)


   GIACHETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il consigliere del Tar del Lazio, Salvatore Mezzacapo ricopra l'incarico di capo dell'ufficio legislativo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali –:
   se risulti che Salvatore Mezzacapo svolga l'incarico presso il Ministero in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tale incarico. (3-00161)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stata trasmessa dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, alle regioni e province autonome una proposta di modifica alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio», il cui esame da parte della competente X Commissione della conferenza delle regioni è imminente;
   si registra la drammatica assenza di applicazione attiva delle prioritarie finalità di tutela e conservazione delle specie animali selvatiche omeoterme espressamente previste dalla citata legge n. 157 del 1992, azioni che avrebbero dovuto costituire precondizione ineludibile alla successiva concessione e regolamentazione sostenibile del prelievo, di parte del patrimonio indisponibile dello Stato, quale mera attività del tempo libero;
   sussiste una evidente cresciuta correlazione, nel corso degli ultimi venti anni, tra la modalità italiana di gestione della caccia e i danni da fauna alle attività agricole fonte di crescente allarme sociale ed economico, come si evince dal fatto che oltre il 95 per cento dei danni sono causati da specie animali immesse a scopo venatorio (cinghiale, lepre e fagiano, in primis) che divengono così doppiamente vittime solo a causa di tale pessima gestione venatoria; 
   il nostro Paese è attualmente oggetto della fase conclusiva della procedura d'infrazione n. 2131/2006, solo in parte dei punti sanata con modifica normativa intercorsa nel 2010, ed in assenza di una efficace e completa risposta alla reiterata pessima applicazione da parte delle regioni italiane del prelievo in deroga ai sensi dell'articolo 9 della direttiva 147/09/CE sono imminenti la seconda condanna della Corte di giustizia europea e la relativa sanzione;
   l'Italia è oggetto di particolare osservazione da parte dell'Unione europea per quanto riguarda l'obbligo di garantire a tutte le specie di avifauna un soddisfacente stato di conservazione, altro punto fondamentale della medesima direttiva 147/09/CE, attraverso l'adozione di specifici piani di conservazione e gestione di tali specie, in assenza dei quali ne dovrebbe vietare ogni prelievo;
   la modifica della legge 11 febbraio 1992, n. 157, dovrebbe prioritariamente e urgentemente interessare la tutela attiva delle specie animali selvatiche, essendo radicalmente e drammaticamente mutate in peggio le condizioni, in termini di frammentazione di habitat, cambiamenti climatici, inquinamento, consumo di suolo che le popolazioni delle diverse specie di animali selvatici hanno dovuto affrontare in Italia negli ultimi venti anni;
   accanto a marginali misure positive, la proposta trasmessa dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali tende a dilatare tempi, luoghi e modi di caccia e, soprattutto, non reca nessuna urgente revisione alla modalità italiana di gestione del prelievo del patrimonio indisponibile dello Stato che renda effettiva, a distanza di oltre venti anni, la regolare, misurabile ed oggettiva sostenibilità dello stesso quale precondizione per la sua concessione, né pone seppur minime tutele passive, con un'azione in senso restrittivo all'elenco delle specie cacciabili e ai tempi della stagione venatoria;
   rimane infatti inalterata la possibilità di abbattere, per mera attività del tempo libero, tutte le 19 specie di uccelli selvatici che a livello europeo sono considerate in uno status di conservazione sfavorevole (SPEC2 e SPEC3);
   rimane inoltre immutata la possibilità di abbattere, per mera attività del tempo libero, le popolazioni naturali di avifauna nelle fasi biologicamente delicate e fondamentali per la loro sopravvivenza, durante il periodo di migrazione, di nidificazione e dipendenza della prole autorizzandole regolarmente, anche se in modo che all'interrogante appare illegittimo, attraverso incoerenti ed inadeguati calendari venatori regionali;
   di peggio, ritiene opportuno concedere a tale pessima gestione venatoria italiana, per quello che all'interrogante appare mero diletto nel tempo libero, di abbattere una parte fondamentale del patrimonio indisponibile dello Stato, rappresentato da cervi, caprioli, daini, mufloni e cinghiali, tutto l'anno senza limiti temporali, nei momenti di maggiore difficoltà climatico-trofiche, ossia in presenza di superficie completamente coperta da neve, e financo nelle oasi di protezione della fauna;
   infine la proposta trasmessa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ignora completamente anche le ultimissime valutazioni tecnico-scientifiche ampiamente illustrate dall'ISPRA nella «guida per la stesura dei calendari venatori ai sensi della legge n. 157/92, così come modificata dalla legge comunitaria 2009, articolo 42», per cui risulta incomprensibile che tale proposta trasmessa sia stata concordata con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e l'ISPRA stesso, in un apposito tavolo di lavoro, così come, scritto nella lettera di accompagnamento –:
   se l'iniziativa di cui in premessa di «riforma» della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sia stata concordata tra i Ministri interrogati;
   se ritengano rendere note le relazioni tecniche-scientifiche dei rispettivi uffici e dell'ISPRA da cui si evinca che le modifiche proposte alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono, in toto, concordate, e soprattutto che emergano quali modifiche più urgenti ed indispensabili per dare piena attuazione alle convenzioni internazionali, alle direttive europee e alle prioritarie finalità di tutela della fauna selvatica enunciate dalla stessa legge oltre venti anni fa;
   se non ritengano necessario intervenire per fermare un testo inopportuno e pericoloso, chiarendo il quadro delle relative responsabilità politiche. (4-01103)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il consigliere del Tar della Campania Alfredo Storto ricopra l'incarico di capo dell'ufficio legislativo del Ministro interrogato –:
   se risulti che Alfredo Storto svolga l'incarico di cui in premessa in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tale incarico. (3-00160)

RAPPORTI CON IL PARLAMENTO E COORDINAMENTO DELLE ATTIVITÀ DI GOVERNO

Interrogazione a risposta immediata:


   LOMBARDI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento ed il coordinamento delle attività di Governo. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 giugno 2013, sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, è apparso il seguente comunicato: «La Presidenza del Consiglio dei ministri, in relazione alla notizia della nomina di Antonio Golini a presidente pro tempore dell'Istat, precisa quanto segue: Golini reggerà l'Istat per consentire che le funzioni monocratiche del presidente siano assolte e i poteri precipui del presidente siano esercitati; la nomina ha carattere temporaneo ed è legata all'avvio dell’iter di nomina del nuovo presidente; l'ultimo presidente, Enrico Giovannini, si è dimesso. Attualmente è Ministro del lavoro»;
   stando alle notizie diramate dagli organi della stampa, la nomina pro tempore sarebbe stata disposta «per il periodo durante il quale Enrico Giovannini, attuale presidente, svolge le funzioni di Ministro del lavoro e delle politiche sociali», scelta che risulta del tutto estranea all'istituto del pro tempore, periodo che contempla esclusivamente il tempo necessario per affidare il nuovo incarico secondo il dettato della normativa vigente;
   l'Istat è ente di diritto pubblico non economico, detentore di poteri e funzioni vieppiù numerosi e accentrati con l'ultimo riordino e, anche a tutela della sua indipendenza, è stabilito che la designazione debba essere sottoposta all'esame delle competenti commissioni parlamentari per l'acquisizione del parere obbligatorio a maggioranza qualificata dei due terzi, come indicato dall'articolo 3 della legge n. 400 del 1988 e dall'articolo 5 della legge n. 196 del 2009 –:
   se il Governo non intenda procedere alla nomina del presidente dell'Istat secondo il dettato della normativa vigente.
(3-00165)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   in data 18 ottobre 2011, Valtur spa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria a mente dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004 n. 39, («legge Marzano»), e sono stati nominati quali commissari straordinari l'avvocato Stefano Coen, l'avvocato Daniele Discepolo e il professor avvocato Andrea Gemma;
   Valtur spa in amministrazione straordinaria, con sede in Milano, Via Inverigo n. 2 è società attiva nel settore del turismo e svolge, in particolare, attività alberghiera e di gestione di villaggi turistici, nonché di vendita di pacchetti viaggio e soggiorno;
   in data 4 aprile 2012, i commissari hanno presentato al Ministero dello sviluppo economico a mente dell'articolo 3, comma 3, della legge Marzano, istanze di attrazione alla procedura di amministrazione straordinaria di Valtur per le società controllate di Valtur Villaggio degli Atleti S.r.l., Villaggio di Ostuni S.r.l., Villaggio di Marilleva S.r.l., e Mediterraneo Villages S.p.A., dette anche «Le Società Italiane»;
   in data 5 aprile 2012, i commissari hanno presentato al Ministero, a mente dell'articolo 4, comma 2, della legge Marzano, il programma di cessione dei complessi aziendali di Valtur ex articolo 54 del decreto legislativo n. 270 del 1999, predisposto secondo l'indirizzo di cui all'articolo 27, comma 2, lettera a) del decreto legislativo n. 270 del 1999;
   in data 15 maggio 2012, le società italiane sono state ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria a mente dell'articolo 3, comma 3, della legge Marzano e i commissari sono stati nominati quali commissari straordinari;
   in data 27 giugno 2012, il Ministero ha autorizzato il programma;
   in data 20 luglio 2012, a seguito di autorizzazione del Ministero in data 17 luglio 2012, i commissari hanno pubblicato sul «Financial Times» (edizione internazionale), su Il Sole 24 Ore e su Il Corriere della Sera il bando per la presentazione di offerte vincolanti per l'acquisto dei complessi aziendali e delle partecipazioni societarie di Valtur e dei complessi aziendali delle società italiane secondo le modalità, termini e condizioni previsti dal disciplinare di gara pubblicato sul sito internet di Valtur in medesima data, con scadenza in data 8 ottobre 2012;
   in data 7 settembre 2012, i commissari hanno ripubblicato il bando in forma abbreviata per conferire maggiore visibilità alla procedura di vendita;
   in data 8 ottobre 2012, non sono pervenute offerte vincolanti;
   in data 28 novembre viene emesso nuovo bando con scadenza il 28 gennaio 2013, con possibilità di presentare offerte sia per l'intero perimetro che per parte di esso;
   a quella data il complesso Aziendale di Valtur risulta comprendere: a) la sede amministrativa di Milano; b) i rami d'azienda aventi ad oggetto la gestione e commercializzazione dei villaggi «Baia di Conte» (Sardegna) «Colonna Beach» (Sardegna) «Santo Stefano» (Sardegna), «Capo Rizzuto» (Calabria), «Pollina» (Sicilia); c) gli accordi di contingentamento aventi ad oggetto i villaggi «Twiga Resort» (Kenya) e «Amarina Resort» (Madagascar) di proprietà di terzi; d) il ramo d'azienda avente ad oggetto la vendita di pacchetti viaggi e soggiorno, che comprende le agenzie viaggi site in Milano e Roma e d) il marchio «Valtur» e gli altri marchi di proprietà di Valtur (gli elementi di cui ai punti a), b), c), d), ed e) congiuntamente, il «complesso aziendale Valtur»). Il complesso aziendale di Villaggio degli Atleti comprende il ramo d'azienda del villaggio sito in Sestriere gestito e commercializzato da Valtur («il complesso Aziendale Villaggio degli Atleti»). Il complesso aziendale di Villaggio di Ostuni comprende il ramo d'azienda del villaggio sito in Ostuni gestito e commercializzato da Valtur (il «complesso Aziendale Villaggio di Ostuni»). Il complesso aziendale di Villaggio di Marilleva comprende i rami d'azienda dei villaggi siti in Marilleva e in Pila gestiti e commercializzati da Valtur (il «complesso aziendale Villaggio di Marilleva»). Il complesso aziendale di Mediterraneo Villages comprende il ramo d'azienda del villaggio sito in Favignana gestito e commercializzato da Valtur (il «complesso aziendale Mediterraneo Villages»). Il complesso aziendale Valtur, il complesso aziendale Villaggio degli Atleti, il complesso aziendale Villaggio di Ostuni, il complesso aziendale Villaggio di Marilleva e il complesso aziendale Mediterraneo Villages costituiscono, congiuntamente, i «complessi aziendali italiani». Le partecipazioni di Valtur attualmente comprendono la partecipazione nella società Valtur Egypt LLC che gestisce il villaggio sito in Sharm el-Sheik commercializzato da Valtur (la «Partecipazione Egitto») e la partecipazione nella società Blue Horizon Hotels LLC che gestisce il villaggio denominato «Le Flamboyant» sito nell'Isola di Mauritius commercializzato da Valtur (la «Partecipazione Mauritius»). La partecipazione Egitto e la partecipazione Mauritius costituiscono, congiuntamente, le «partecipazioni Valtur». I complessi aziendali italiani e le partecipazioni Valtur costituiscono, congiuntamente, il «perimetro Core»;
   l'offerente, come da bando, aveva facoltà di escludere: fino a 5 dei 9 rami d'azienda dei villaggi turistici italiani e per finalità legate alle procedure di amministrazione straordinaria, non poteva invece escludere entrambi i rami d'azienda dei villaggi turistici di Capo Rizzuto (Calabria) e di Favignana (Sicilia); i rami d'azienda dei villaggi turistici di Marilleva, Ostuni e Pila in via disgiunta fra loro, in quanto i relativi immobili sono oggetto del medesimo contratto di locazione, salvo che l'offerente non concludesse accordi diversi con il locatore prima della presentazione dell'offerta vincolante, come di seguito definita, dandone evidenza a Valtur a semplice richiesta di quest'ultima;
   in particolare sul ramo d'azienda del villaggio di Pollina (Sicilia) appartenente al complesso aziendale Valtur si segnalava nel bando che alla data di pubblicazione del disciplinare di gara, Valtur non aveva un valido titolo di detenzione dell'immobile ove è sito il villaggio di Pollina in ragione della intervenuta risoluzione del relativo contratto di locazione. Pertanto il relativo ramo d'azienda risultava composto solo dagli arredi, dalle attrezzature e dai dipendenti;
   a far data dal 16 aprile 2013 la prima firmataria del presente atto ha iniziato a partecipare a tutti i tavoli che il Ministero dello sviluppo economico ha convocato sulla vicenda, in quanto parlamentare della Repubblica italiana;
   il 7 maggio 2013 i commissari depositano presso il Ministero dello sviluppo economico l'istanza circa l'ammissione alla vendita;
   il 31 maggio 2013 i commissari straordinari emettono un comunicato stampa di apertura delle strutture Italia per l'Estate 2013 che così recitava: «I Commissari Straordinari della Valtur S.p.A. in A.S. comunicano l'apertura in data odierna delle strutture di Favignana ed Ostuni. Seguiranno le aperture dei villaggi di Baia di Conte (Alghero), Capo Rizzuto e Marilleva. Ai clienti che hanno già prenotato pacchetti vacanza per le destinazioni di Pollina e Santo Stefano, villaggi per i quali non è prevista l'apertura, verranno proposte soluzioni alternative»; a ciò ha avuto seguito una importante mobilitazione territoriale;
   da quel momento, si sono susseguiti incontri formali e informali con tutte le parti coinvolte nella vicenda Valtur fino ad ottenere la disponibilità di Invitalia e Unicredit Leasing per l'eventuale apertura di Pollina, per sgombrare il campo dal fatto che potesse essere il contenzioso fra le stesse a comportare problemi, circa l'apertura della struttura di Pollina;
   il 7 giugno 2013 data del sit-in davanti al Ministero dello sviluppo economico indetto da tutte le sigle sindacali, si è appreso l'impegno da parte dello stesso Ministero, espresso dal sottosegretario, senatrice Simona Vicari a ricercare soluzioni utili per evitare la chiusura delle due strutture rimaste chiuse;
   il 18 giugno 2013 il tavolo ministeriale si concludeva con l'impegno del Ministero dello sviluppo economico nel confermare la disponibilità a riconvocare un incontro nel più breve tempo possibile non appena sarebbe stata ufficializzata la proposta di assegnazione anche al fine di ospitare la trattativa sindacale ai sensi della procedura ex articolo 47 legge n. 428 del 1990 che le parti dovranno formalizzare, nonché di verificare la disponibilità dell'acquirente a gestire le strutture su cui in prima battuta non emergeva un interesse;
   il 26 giugno i commissari straordinari annunciano la decisione del Ministero dello sviluppo economico: la cessione ad Orovacanze riguarda il marchio, la sede di Milano, i villaggi di Capo Rizzuto, Favignana, Marilleva, Ostuni, Pila, Sestriere, gli accordi di contingentamento relativi ai villaggi di Twiga (Kenya) e Amorina (Madagascar);
   mentre i commissari avvieranno le formalità per addivenire al perfezionamento dell'aggiudicazione e all'avvio delle consultazioni sindacali, Valtur in amministrazione straordinaria proseguirà fino al termine della stagione estiva la gestione del perimetro oggetto di cessione e dei villaggi di Baia di Conte e Tiran Beach (Sharm El Sheikh), secondo le modalità operative e commerciali sinora attuate –:
   fra quanto tempo il Ministero dello sviluppo economico abbia in programma la trattativa sindacale ai sensi della procedura di cui all'articolo 47 della legge n. 428 del 1990 e soprattutto quali siano le azioni che lo stesso Ministero intenda mettere in campo per scongiurare una crisi occupazionale in regioni come la Sicilia e la Sardegna in cui il turismo rimane ancora il settore economico principale.
(2-00126) «Culotta, Raciti, Ribaudo, Moscatt, Lauricella, Piccione, Iacono, Faraone, Amoddio, Taranto, Burtone, Causi, Capodicasa, Cardinale, Zappulla, Scanu, Gullo, Mura, Giovanna Sanna, Crivellari, Albanella, Piccoli Nardelli, Schirò Planeta, Pes, Cani, Zoggia, Francesco Sanna, Manzi, Rostan, Rocchi».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:
   il piano di sviluppo 2005 della Rete elettrica di trasmissione nazionale, che il Gestore della rete GRTN ha presentato alla regione siciliana per la valutazione ambientale strategica (VAS), prevedeva la realizzazione di un nuovo elettrodotto a 380 kV denominato «Sorgente-Rizziconi», con l'obiettivo di potenziare l'interconnessione ad altissimo voltaggio tra la regione Calabria, presso la stazione di Rizziconi (RC), e la regione siciliana, presso la stazione di sorgente (San Filippo del Mela, ME), affidandone la realizzazione alla Società Terna s.p.a.;
   con istanza del 20 dicembre 2006, la Società Terna s.p.a. richiedeva al MISE il rilascio dell'autorizzazione unica di cui alla legge n. 239 del 2004, per la costruzione e l'esercizio del nuovo elettrodotto «in doppia terna a 380 kV» denominato «Sorgente-Rizziconi» costituito da tratti in cavo interrato, tratti in cavo sottomarino e tratti in cavo aereo, con relativi impianti e stazioni di collegamento alla rete, nelle province di Messina e Reggio Calabria;
   nelle more della definizione del procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA), il 19 ottobre 2007, la Società Terna s.p.a. richiedeva il rilascio anticipato dell'autorizzazione unica alla costruzione e all'esercizio del solo tratto di elettrodotto «Villafranca Tirrenza-Scilla» sostenendo che nelle categorie di opere di assoggettare alla VIA dovevano rientrarvi i soli tratti aerei, e quindi richiedendo di potere scindere la procedura autorizzatoria in due procedure separate riguardati due distinti tratti dell'elettrodotto, a fronte dell'unico previsto dal progetto iniziale;
   tale istanza presentata dalla Società Terna s.p.a. trovava parere negativo pressoché unanime, dal momento che sia il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero per i beni e le attività culturali, la provincia di Messina, il comune di Messina, il comune di Pace del Mela e il comune di San Filippo del Mela si erano espressi in tal senso;
   nonostante i pareri negativi, il Ministero dello sviluppo economico riteneva di aderire comunque alla richiesta di Terna s.p.a., stralciando dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, alla quale avrebbe fatto seguito l'autorizzazione o meno dell'intero progetto, una parte rilevante dello stesso e in particolare la parte da realizzare lungo il tratto sottomarino;
   nonostante sia stato sostenuto in sede di ricorso al tribunale amministrativo regionale che la parte non-aerea del progetto non sia soggetta ad ottemperanza di valutazione di impatto ambientale, e sia stata data parziale giustificazione al frazionamento autorizzatorio sostenendo l'urgenza di assicurare in via transitoria e con esercizio a tensione ridotta di un minimo indispensabile potenziamento dell'interconnessione tra la Sicilia e il continente, questa non può comunque prescindere dalla restante autorizzazione, dal momento che non potrebbe trovare realizzazione una eventuale costruzione meramente parziale dell'intero progetto, facendo apparire l'avvenuto frazionamento più come un ormai consolidato aggiramento della regola, piuttosto che una necessaria operazione amministrativa;
   in riferimento alle restanti tratte dell'elettrodotto, e in particolare quelle relative a «Sicilia-Rizziconi» e «Sorgente-Villafranca Tirrena», il parere di valutazione di impatto ambientale della regione siciliana era stato, in un primo momento, sia formalmente che sostanzialmente negativo, dal momento che al suo interno veniva sostenuta «l'incidenza negativa che l'opera in oggetto avrebbe sull'avifauna presente, sia per il danno diretto, sia per quello causato dalla sottrazione di habitat», nel pieno rispetto così della normativa prevista dalla direttiva 92/43/CEE del Consiglio europeo del 21 maggio 1992, mentre trovava successivamente, attraverso una inspiegabile quanto inadeguata motivazione, uno stravolgimento sostanziale dello stesso, dal momento che la regione decideva circa l'approvazione della valutazione degli impatto ambientali;
   la direzione generale per le valutazioni ambientali non riporta che l'avvenuta adesione ad un generico protocollo di intesa ad opera dei comuni interessati dalla costruzione dell'elettrodotto, nella maggior parte dei casi, avviene attraverso una delibera delle giunte comunali interessate anziché, nel pieno rispetto della normativa disciplinata dalla legge regionale n. 71 del 1978 e successive modificazioni, attraverso una decisione assunta dai consigli comunali, facendo sorgere forti dubbi di legittimità dell'atto stesso in quanto viziato da evidente incompetenza;
   si rileva come all'interno del fascicolo dell'elettrodotto «Sorgente-Rizziconi», depositato presso l'assessorato regionale territorio e ambiente, servizio VAS-VIA, non risulti presente la verifica di ottemperanza sul progetto esecutivo, necessaria e inderogabile per l'avvio dei lavori, così come evidenziato dallo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in una nota del 20 marzo 2013, in cui dichiarava ufficialmente la mancata presenza della verifica in esame;
   di grande rilevanza risulta il mancato adeguamento al piano paesaggistico dell'ambito 9 pubblicato all'albo dei comuni interessati nel 2010, dal momento che nonostante all'interno dello stesso venga individuato un crinale che va dai Colli San Rizzo fino a raggiungere il comune di Saponara (ME), e sottoposto al livello di tutela massimo previsto dal piano (livello 3) per il quale viene previsto il divieto di realizzare nuove strade, antenne ed elettrodotti, proprio in quest'ultima area andrà ad essere costruito parte dell'elettrodotto, in particolare all'interno della zona di protezione speciale «Serro Tondo»;
   in particolare all'articolo 63 del piano paesaggistico dell'ambito 9 attuato della regione siciliana, si prevede espressamente che le autorizzazioni già rilasciate da parte della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali per progetti di opere non ancora intraprese alla data di adozione del piano, restano valide per il termine di cinque anni dalla data di rilascio, come previsto dal regolamento 1347/40, ma limitatamente alle aree in cui lo stesso piano non preclude la loro realizzazione;
   il principio di precauzione non può non essere applicato al caso in questione, dal momento che l'inquinamento causato dalla costruzione dell'elettrodotto nelle aree interessate deve necessariamente trovare, prima dell'inizio dei lavori, reale e sostanziale applicazione, attraverso la realizzazione di studi di impatto ambientale e a tutela della salute pubblica, che siano veramente obiettivi e univoci, a differenza di quanto avvenuto fino a oggi, laddove gli studi spesso contrastanti hanno più volte trovato parere favorevole solo in prossimità di ogni concessione, facendo sorgere forti dubbi e gravi preoccupazioni, da dissipare urgentemente, alla popolazione residente nel territorio –:
   se non ritengano opportuno, nell'ambito della propria competenza:
    a) valutare la possibilità di una revoca dell'intero progetto iniziale, viste le asserite numerose irregolarità presenti nei vari atti procedurali dello stesso, ripristinando lo stato di legalità necessario per la costruzione di un'opera così onerosa per la regione siciliana e per lo Stato italiano, assumendo altresì iniziative perché sia valutato, con efficaci, approfonditi e univoci studi, l'impatto ambientale che la messa in opera dell'elettrodotto «Sorgente-Rizziconi» comporta, con conseguente accertamento dei rischi sia per la salute umana sia per il territorio interessato dalla sua costruzione;
    b) valutare altresì la possibilità di limitare l'autorizzazione del progetto alla sola tratta di elettrodotto sottomarina di «Scilla-Villafranca Tirrena» già posta in essere, garantendo così il minimo ed indispensabile potenziamento per l'interconnessione tra la Sicilia ed il continente, senza dover procedere alla costosa rimozione della stessa e, allo stesso tempo, impedendo la realizzazione di un opera dalla dubbia utilità e oggetto di forti contestazioni da parte della popolazione locale;
    c) rimodulare il progetto iniziale, qualora questo non venga sospeso o revocato, apportando sostanziali modifiche, quali l'eliminazione di tutte le tratte aeree di elettrodotto, disponendo invece la progettazione di un percorso interamente sotterraneo in galleria schermata, al fine di tutelare e garantire in maniera efficace la salute dei cittadini e la conservazione dell’habitat naturale circostante, nel pieno rispetto del fondamentale principio di precauzione, che troppo volte è stato disatteso nella costruzione di opere pubbliche ad alto rischio ambientale, con danni incalcolabili per il nostro Paese.
(2-00130) «Villarosa, Lombardi».

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   risulta che il Consigliere del Tar del Lazio Raffaello Sestini, capo dell'ufficio legislativo, il consigliere del Tar della Toscana Ugo De Carlo, consigliere giuridico, e il consigliere del Tar dell'Abruzzo Massimiliano Balloriani, consulente, svolgerebbero tali funzioni presso il Ministero dello sviluppo economico –:
   se risulti che i predetti magistrati svolgano l'incarico presso il Ministero in contestuale formale posizione di fuori ruolo e, ove ciò non fosse, se non intenda revocare immediatamente tali incarichi.
(3-00173)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BELLANOVA, CAPONE e MARIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fonti ufficiali e organi di stampa nazionali informano sulla decisione, annunciata in via definitiva a Baku (Azerbaijan), da parte di Bp, società che guida il consorzio di sviluppo del giacimento Shah Deniz II, di affidare il proprio Gas alla Trans Adriatic Pipeline (Tap) «costituita dalla svizzera Axpa, dalla norvegese Statoil e dalla tedesca E.On»;
   le stesse fonti ufficiali e le notizie riportate attraverso gli organi di stampa dicono che il progetto TAP sembra prevedere un percorso di complessivi 800 chilometri attraverso la Grecia, l'Albania e il Mare Adriatico (tratto offshore) fino alle coste pugliesi. La capacità sarebbe pari a dieci miliardi di metri cubi di gas, raddoppiabile a venti. Si prevede che dovrebbe entrare in funzione nel 2017-2018, in linea con lo sviluppo del giacimento sul Caspio, a patto di ottenere tutte le autorizzazioni necessarie dai Paesi interessati;
   si legge che «l'opera è considerata di interesse nazionale. L'Italia, infatti, aspira a diventare l’hub europeo del gas proveniente dal Caspio, oltre a quello proveniente dal Nord Africa»;
   le stesse notizie di stampa evidenziano come il Governo, Presidenti Monti e Letta, abbia «dedicato un impegno eccezionale», e più volte espresso il suo interesse per Tap. Si legge che «il gasdotto Tap, secondo gli obiettivi già più volte dichiarati dalla società e ribaditi dai governi italiani (da Monti a Letta), ricoprirebbe un ruolo fondamentale nel garantire la diversificazione e la sicurezza a lungo termine degli approvvigionamenti di energia per l'Europa», che «la notizia è stata comprensibilmente accolta con viva soddisfazione da Palazzo Chigi» e che, infine, il presidente del Consiglio Letta avrebbe affermato: «Per noi è una grande notizia strategica, di prospettiva», annunciando una sua prossima visita a Baku «per ringraziare il governo dell'Azerbaijan e cominciare a fare i primi passi perché questa vicenda vada avanti»;
   da quel che si apprende l'ultimo tratto del gasdotto interesserebbe la linea costiera della marina di Melendugno. Il progetto, infatti, sembrerebbe prevedere quanto segue: «il gasdotto arriva sulla linea di costa attraverso una microgalleria, avviata a un chilometro dalla battigia, profondità del mare 26 metri, al di sotto dei giacimenti di Poseidonia, e continuerà nella terraferma a un metro e mezzo di profondità [...] seguirà il percorso della strada di campagna di San Niceta, sarà parallelo alla provinciale Melendugno – San Foca, oltrepasserà la provinciale Lecce – Melendugno, fino a una campagna più o meno equidistante con Vernole e Calimera». Anche se negli ultimi mesi TAP avrebbe annunciato la possibilità di una modifica al percorso, la società non avrebbe comunque «ancora ottenuto il via libera ad approdare a Melendugno» e in ogni caso «fonti vicine al dossier fanno sapere in via confidenziale che per l'approdo TAP ha già un'alternativa: nel caso in cui non fosse possibile raggiungere le coste salentine, il gasdotto potrebbe essere dirottato verso Brindisi»;
   su tale progetto è stata espressa, in diverse occasioni e ripetutamente, una forte preoccupazione, dal punto di vista delle ripercussioni ambientali ed economiche, da parte dei territori coinvolti, degli amministratori, delle associazioni ambientaliste, dell'opinione pubblica. A tal fine è stato costituito un comitato No Tap che, a seguito della ufficializzazione della decisione da parte di Bp, ha annunciato una manifestazione di protesta per il 6 luglio 2013 all'esterno della camera di commercio di Lecce –:
   se dunque il Ministro non ritenga di fornire notizie certe sullo stato dell'arte del progetto e dell'opera indicata in premessa;
   se il Ministro non ritenga necessaria e utile, in considerazione dell'interesse nazionale più volte espresso, una informazione più costante nel tempo atta a fugare, ove possibile, e radicalmente, le preoccupazioni espresse dai territori e i rischi ivi paventati;
   se il Ministro sia a conoscenza del modo in cui il progetto contempli l'eventualità di royalty per i territori coinvolti anche al fine del ristoro ambientale, o di altro equivalente, atto a fugare definitivamente l'idea di uno sfruttamento massivo e improprio a tutto danno delle popolazioni coinvolte e delle imprese operanti nel settore turistico e delle risorse ambientali.
(5-00485)


   LIUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Antenna Sud è una nota emittente locale pugliese il cui segnale raggiunge le regioni Puglia e Basilicata, nata nel 1979 per mano di Giuseppe Gorjoux, assorbita interamente nell'anno 2000 dalla Gazzetta del Mezzogiorno, nel 2004 dalla Società Editrice Mediterranea e successivamente da Edison s.p.a., e attualmente sotto il controllo di Fabrizio Lombardo Pijola, socio di riferimento della compagnia proprietaria;
   dopo 34 anni di successi nel settore dell'editoria pugliese, l'azienda, come emerge da recenti notizie di stampa, sta per chiudere definitivamente, tant’è che sono state avviate le procedure di licenziamento per i 40 lavoratori dell'emittente;
   la chiusura dell'emittente desta alcune perplessità, dal momento che Antenna Sud, poco più di un anno fa, ha dismesso e venduto alcune frequenze, il cui valore ammonta a circa 1 milione e 200 mila euro;
   le citate risorse, trasferite all'emittente dal Co.re.Com Puglia, unitamente ai contributi P.I.A., per la promozione dell'innovazione dei processi aziendali, pari a 1 milione e 600 mila euro, avrebbero dovuto consentire la sopravvivenza dell'emittente;
   secondo quanto dichiarato dal presidente di Assostampa Puglia a mezzo stampa «sulla destinazione del ricavato di quelle dismissioni nulla ancor oggi è dato sapere»;
   lo stato di crisi dell'azienda è testimoniato dalla riduzione del trattamento economico dei dipendenti a partire da mese di febbraio 2011, dalla successiva attivazione di strumenti di ammortizzazione sociale, finalizzati al rilancio dell'emittente, e al mancato percepimento dello stipendio a partire dal mese di agosto 2012, che ha determinato lo stato di sciopero permanente con la conseguente interruzione dei servizi telegiornalistici;
   secondo quanto dichiarato da Assostampa, i lavoratori dell'emittente sono «vittime di posti di lavoro fittizi, creati senza che ci fossero presupposti di bilancio, ma con il preciso scopo di lucrare sui contributi»;
   Fabrizio Lombardo Pijola, nel contempo si accinge ad avviare una nuova attività imprenditoriale ossia l'apertura di «Eataly» nella città di Bari, attività stimata di valore complessivo pari a 12 milioni di euro, con una capacità occupazionale di 180 persone;
   la cessazione delle trasmissioni da parte dell'emittente Antenna Sud a giudizio dell'interrogante configura una grave violazione alla tutela del pluralismo e della libertà d'informazione di cui alla direttiva 89/553/CEE e successive modificazioni e integrazioni –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di quali elementi disponga sullo stato di crisi dell'emittente e sulle relative cause;
   quali iniziative si intendano adottare per evitare la chiusura dell'emittente Antenna Sud e le gravi conseguenze occupazionali che da tale chiusura possono derivare, anche ai fini di salvaguardia del pluralismo e della libertà d'informazione. (5-00486)


   LIUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ultimo bilancio analizzato dalla Corte dei conti denominato «Determinazione e relazione della sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di Poste Italiane s.p.a. per l'esercizio del 2011» il costo dei 584 dirigenti del gruppo Poste Italiane s.p.a. ammonta a 142 milioni di euro l'anno;
   al paragrafo 7.5, inerente alla gestione del personale dirigente del succitato documento, si evince un aumento del costo pari al 42 per cento rispetto all'esercizio del 2010;
   il gruppo Poste Italiane s.p.a. e le altre 26 società italiane controllate direttamente e indirettamente dalla società in questione hanno chiuso l'esercizio del 2011 con un utile pari a 846 milioni di euro, 171 milioni di euro in meno rispetto all'anno precedente;
   il trend delle maggiori società interessate all'area postale e controllate dal gruppo risulta essere in negativo con ingenti cali di fatturato;
   per citare alcuni casi, dalla relazione della Corte dei conti n. 19 del 2013 si rileva che la Sda Express Courier s.p.a. ha perso 24 milioni di euro, Italia Logistica s.r.l. 3 milioni di euro, la compagnia aerea Mistral Air Srl oltre 2 milioni di euro e Poste s.p.a. vanta un debito di 25 milioni di euro;
   alcuni manager dell'azienda ricoprirebbero contemporaneamente più ruoli dirigenziali, tra i casi più eclatanti sarebbero presenti quelli relativi a Massimo Sarmi, Giovanni Ialongo, Vincenzo Falzano, Claudio Picucci, Pasquale Maechese, Stefano Grassi, Maria Farina Bianca, Pierangelo Scappini, Vincenzo Pompa e Valter Catoni;
   i procedimenti intrapresi dai lavoratori dipendenti contro Poste Italiane s.p.a. per presunte violazioni del contratto collettivo nazionale risultano essere 1846, un dato, quest'ultimo che, a detta dell'interrogante sembrerebbe essere tutt'altro che fisiologico, così come invece dichiarato dalla stessa società –:
   se i fatti sopra citati corrispondano al vero;
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza per ridimensionare il costo della dirigenza in relazione alla spending review e ai risultati effettivamente ottenuti dai manager. (5-00497)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PELLEGRINO, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, PANNARALE, MATARRELLI, PALAZZOTTO, ZARATTI, SANNICANDRO, SCOPELLITI, GADDA, ROSATO, LATRONICO, MANNINO, TERZONI, CASSANO, DI SALVO, FAVA, BRATTI, RIZZETTO, PRODANI, MATARRESE, NARDI, PIAZZONI, NICCHI, COSTANTINO, LACQUANITI, LAVAGNO e RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Trenitalia ha deciso, dallo scorso settembre 2011, di sopprimere i treni notturni diretti nord-sud, patrimonio storico della comunità nazionale, provocando così la perdita del posto di lavoro di tutti gli 800 addetti a questo servizio;
   questa decisione, che privilegia l'alta velocità ed i treni a maggior costo per l'utenza, costituisce una inaccettabile riduzione del servizio pubblico, in un settore in cui la domanda da parte dell'utenza non è mai diminuita, costringendo gli utenti e le loro famiglie a dover sostenere maggiori e gravose spese per effettuare diversi cambi di treno, a prezzi di biglietto sempre più elevati, e a orari di più difficile gestione;
   in particolare, per la comunità del Monfalconese (Gorizia) dove la presenza di emigranti di provenienza dal Sud di Italia è prevalente, questa decisione costituisce un'offesa e un danno alle tante famiglie di lavoratori e studenti di origine di altre zone d'Italia, e a tutti coloro che per ragioni anche familiari, o di semplice vacanza, sono soliti viaggiare da un capo all'altro della penisola;
   ridurre le linee ferroviarie significa limitare il diritto di scelta dei cittadini alle forme di mobilità, incentivando un uso ancora più smodato del mezzo privato, o assoggettando di fatto le persone a ricorrere alle compagnie aeree che spesso praticano già costi elevati e che potrebbero aumentarli in assenza di concorrenza con il servizio treni notte;
   Trenitalia, per quanto risulta agli interroganti, non ha neppure previsto di migliorare le linee ferroviarie che collegano comunque i capoluoghi di provincia del Friuli Venezia Giulia, con Venezia Mestre e da lì con il resto d'Italia;
   la Costituzione italiana, così come le altre Costituzioni degli Stati di democrazia liberale, garantisce la libertà di circolazione (si veda l'articolo 16 della Costituzione, secondo cui: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvi gli obblighi di legge»);
   l'Unione europea è nata intorno ad alcuni grandi principi ed obiettivi, fra i quali va evidenziato, nell'ottica della costruzione di un mercato concorrenziale delle merci e delle prestazioni lavorative, il principio della libertà circolazione di merci e persone nel territorio degli Stati membri. Nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ora incorporati nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, la libertà di circolazione è garantita all'articolo II-105 (che recita: «Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La libertà di circolazione e soggiorno può essere accordata, conformemente al Trattato che istituisce la Comunità europea, ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro») –:
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per sostenere il ripristino dei treni notte, anche d'intesa con i sindaci delle città interessate al percorso dei medesimi treni, tra cui quelli di Trieste (Udine che converge su Cervignano, Pordenone su Venezia e Gorizia su Monfalcone), Venezia, Bari, Lecce, Palermo, Reggio Calabria, e Catania;
   se e quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo al fine di consentire il perseguimento di tale citato obiettivo anche coinvolgendo le regioni interessate dal percorso dei treni notte, tra cui la regione Friuli Venezia Giulia, la regione Veneto, la regione Puglia e la regione Sicilia;
   quali iniziative urgenti saranno assunte dal Governo per la tutela dei lavoratori già impiegati al servizio dei treni notte, soprattutto in questa fase difficile dell'economia nazionale;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, in tutte le sedi necessarie possibili, per consentire la revisione degli orari di collegamento tra Monfalcone e Venezia Mestre, per ottenere un regime più agevole delle coincidenze e dei collegamenti tra le linee dai capoluoghi di provincia del Friuli Venezia Giulia e del resto d'Italia;
   quali iniziative si intendano assumere per riqualificare i fondamentali nodi intermodali di Monfalcone e Cervignano e le loro stazioni ferroviarie;
   quali iniziative saranno adottate dal Governo per promuovere un tavolo di confronto con Trenitalia e la regione Friuli Venezia Giulia. (4-01100)


   PASTORELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale Alcatel-Lucent, uno dei leader mondiali nel campo delle telecomunicazioni, possiede in Italia centri di sviluppo software a Vimercate, Rieti, Battipaglia, centri industriali a Trieste e commerciali a Roma, per un totale di circa 2.000 addetti in Italia;
   nel giugno 2012, dopo un incontro tra il Ministro dello sviluppo economico pro tempore ed il CEO di Alcatel-Lucent, fu sottoscritto un accordo che prevedeva la realizzazione di un piano strategico per nuove attività della suddetta società in Italia, a fronte di determinati impegni del Ministero sull'Agenda digitale e la concessione di 245 casse integrazioni guadagni straordinari;
   successivamente, il 19 aprile 2013 in un altro incontro, Alcatel-Lucent Italia ha dichiarato la non applicabilità del suddetto accordo, a fronte di un cambio di scenari globali;
   nello stesso incontro, il dottor Castano, in rappresentanza del Ministero ha dichiarato che il Governo avrebbe dovuto incontrare il nuovo CEO, Michael Combes, riconvocando le parti per fine maggio 2013;
   nel successivo incontro, tenutosi il 21 maggio, Alcatel-Lucent ha chiesto di prorogare la parte riguardante le casse integrazioni guadagni, senza però fornire piani strategici per la produzione né prometterne;
   Alcatel-Lucent ha dichiarato nuovi esuberi «strutturali», per la maggior parte individuati a Rieti, dove rappresentano il 25 per cento della forza lavoro lì impiegata;
   nell'incontro del 21 maggio il Ministero dello sviluppo economico, attraverso il dottor Castano, ha chiesto nuovamente un incontro con il CEO, da realizzare in tempi rapidissimi;
   il 19 giugno il CEO Alcatel-Lucent ha illustrato ai dipendenti il proprio piano mondiale a medio termine;
   nel successivo incontro del 21 giugno, Alcatel-Lucent ha annunciato la volontà di procedere anche unilateralmente alla cassa integrazione guadagni;
   nella stessa riunione, è stato annunciato che l'incontro con il CEO avverrà nella seconda metà di luglio 2013;
   il 27 giugno il CEO ha comunicato ai sindacati europei che «è necessario definire un nuovo piano/progetto per l'Italia ed è per questo motivo che presto verrà in Italia per incontrare colleghi, clienti e governo» –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se e come il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di limitare le conseguenze negative derivanti da un eventuale progetto di smantellamento, o forte ridimensionamento, delle attività dell'Alcatel-Lucent sul territorio di Rieti;
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative affinché sia sospesa l'iniziativa di cassa integrazione proponendo ad Alcatel-Lucent un nuovo incontro per quando le scelte strategiche globali di quest'ultima saranno più chiare e vi sarà, auspicabilmente, una definizione temporale più precisa degli impegni del Governo per quanto riguarda l'Agenda digitale. (4-01101)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Cenni e altri n. 1-00015, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carra.

  La mozione Catania e altri n. 1-00131, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Rabino, Antimo Cesaro, Vitelli, D'Agostino, Vezzali, Oliaro.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Biondelli n. 4-00513, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fanucci.

  L'interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-01056, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Parentela, Dieni, Luigi Di Maio, D'Ambrosio, Businarolo, Castelli, Nuti, Colonnese, Cozzolino, Agostinelli, Ferraresi, Sarti, Micillo, Currò, Caso, D'Incà, Fico, Sorial, Baroni, Di Vita, Dall'Osso, Grillo, Mantero, Carinelli, Spessotto, Vignaroli, Gagnarli, L'Abbate, Gallinella, Lupo, D'Uva, Battelli, Ruocco, Paolo Bernini, Basilio, Corda, Alberti, Frusone, Rizzo, Brugnerotto, Lombardi, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, De Lorenzis, Scagliusi, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Cristian Iannuzzi, Nicola Bianchi, Tofalo, Terzoni, Daga, Segoni, Zolezzi, De Rosa, Artini, Villarosa.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gadda e Senaldi n. 5-00462, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marantelli.

  L'interrogazione a risposta scritta Di Lello n. 4-01069, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Locatelli, Pastorelli.

  L'interrogazione a risposta scritta Di Lello n. 4-01080, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Locatelli, Pastorelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione D'Uva e altri n. 5-00475, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Cenni ed altri n. 1-00015, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 8 del 9 aprile 2013:

   La Camera,
   premesso che:
    l'agroalimentare è uno dei settori che resiste meglio alla crisi economica in atto e, in particolare, l'agricoltura italiana registra risultati migliori dell'industria e dell'economia nel complesso sia in termini di contributo alla crescita economica (prodotto interno lordo) che di occupazione; ancora meglio si posiziona l'industria alimentare che presenta indicatori in termini di valore aggiunto che sono costantemente migliori della media dell'industria in generale; l’export si conferma il motore dell'agroalimentare italiano, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4 per cento sul 2011), e un avvio di 2013 molto promettente (Ismea su dati Istat);
    le performance attuali del settore dipendono sia da fattori generali del sistema Paese, che da fattori specifici del settore caratterizzati da un enorme sforzo dei produttori italiani a tutela della qualità e della tracciabilità della produzione agroalimentare nazionale che si contrappone ad una visione che, a livello internazionale, tende a considerare la produzione agricola solo una commodity che, al pari del petrolio, può determinare ingenti fortune finanziarie; in tale ultimo contesto, l'attività lobbistica delle multinazionali che vogliono trarre profitto dal transgenico, a prescindere dalle conseguenze che derivano dalla loro coltivazione e commercializzazione, ha spesso il sopravvento nelle decisioni in materia di alimentazione, ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi detenuti;
    ad oggi, i nodi da sciogliere connessi al transgenico sono ancora molti: oltre ai rischi per la salute e l'economia del nostro Paese, che si contraddistingue per i suoi tradizionali prodotti tipici e di qualità, resta irrisolto il problema dell'impossibilità di coesistenza tra le colture di organismi geneticamente modificati e quelle convenzionali, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione che determina un inquinamento dell'ambiente irreversibile;
    una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità e significative resistenze all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l'attenzione sull'importanza che sia la comunità dei cittadini a prendere le decisioni di merito sull'uso di tali tecnologie, in considerazione delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione;
    un'eventuale introduzione di colture transgeniche avrebbe, inoltre, come diretta conseguenza la messa in discussione di uno dei principali fattori di creazione di valore aggiunto del Paese e, cioè, il modello agricolo italiano, fondato su produzioni di qualità apprezzate sul mercato interno ma, anche di più, all'estero e che danno vita a quel made in Italy così apprezzato da essere costantemente minacciato da imitazioni e falsificazioni;
    in realtà, la maggioranza dei cittadini italiani ed europei ha già manifestato la propria volontà di non autorizzare la coltivazione di sementi transgeniche sui propri territori, al fine di tutelarne l'integrità per le future generazioni;
    la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale, in punto sia di «immissione in commercio» di organismi geneticamente modificati, sia di «emissione deliberata» di organismi geneticamente modificati nell'ambiente e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da organismi geneticamente modificati attraverso l'applicazione del principio di «salvaguardia»;
    la direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 224 del 2003. Con tale atto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato indicato quale autorità competente a livello nazionale, con il compito di coordinare l'attività amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e le comunicazioni istituzionali con la Commissione europea, con il supporto della commissione interministeriale di valutazione. Il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia» mediante la quale le autorità nazionali preposte – per l'Italia i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute – possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso. Con l'attivazione di tale clausola si dà luogo ad una serie di consultazioni fra la Commissione europea, le autorità nazionali, il produttore, gli organismi che sono intervenuti nella procedura di valutazione della conformità e tutte le parti interessate. La normativa comunitaria consente comunque alla Commissione europea di annullare il ricorso alla clausola di salvaguardia in caso di evidenze scientifiche contrarie;
    la direttiva 2001/18/CE costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Infatti, con l'articolo 22 è previsto che gli organismi geneticamente modificati autorizzati, in conformità alla direttiva, devono poter circolare liberamente all'interno dell'Unione europea, mentre con l'articolo 26-bis (introdotto dal regolamento (CE) n. 1829/2003), si dispone che «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti». Questa disposizione consente, quindi, agli Stati membri di poter introdurre, nel proprio ordinamento, norme specifiche per regolare la coesistenza;
    con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, erano state previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004 nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura. L'intervento della Corte costituzionale ha causato un vuoto normativo molto dannoso, poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà di scelta dell'imprenditore sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che ogni norma nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
    tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'ottobre 2012 (sul caso di specie Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) con cui la Corte di giustizia dell'Unione europea si è pronunciata in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE. Per la Corte di giustizia dell'Unione europea uno Stato membro, ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati solo nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate. Viceversa, uno Stato membro non può, nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture, vietare in via generale la coltivazione di prodotti geneticamente modificati autorizzati ai sensi della normativa dell'Unione europea e iscritti nel catalogo comune; fin dal 2010, il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni degli organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente; più in generale e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
    al riguardo, si evidenzia l'intenzione del commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori Tonio Borg di rilanciare il negoziato europeo sugli organismi geneticamente modificati, rendendo gli Stati membri maggiormente autonomi sulle linee guida da autorizzare a livello nazionale;
    anche le regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
    a tal proposito, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un ordine del giorno con cui impegna il «Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, di procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001» e «tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare al Ministro dell'ambiente e in occasione delle riunioni in sede comunitaria la posizione unanime delle Regioni e delle Province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale»;
    il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale, in assenza di una chiara posizione del Governo con l'adozione della clausola di salvaguardia, potrebbe essere imminente se, come si apprende da alcune notizie stampa, fosse vero che «nei silos di stoccaggio della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia e del Friuli ci sono 52 mila sacchi di mais transgenico autorizzato dall'Unione europea Mon810, sufficienti a coltivare 32 mila ettari, pronti per le semine di primavera;
    la tutela e la valorizzazione della qualità del sistema agroalimentare italiano è un obiettivo di rilevanza strategica che trova attuazione attraverso una concreta tutela istituzionale del comparto primario dall'inquinamento transgenico ed un efficace sistema di tracciabilità, di riconoscibilità e di etichettatura dei prodotti agroalimentari;
    in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture transgeniche, che potrebbe verificarsi a causa di una normativa nazionale e comunitaria contraddittoria e incompleta, lo stesso Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentare e forestali, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di autorità nazionale in materia, di «guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di ogm in Italia»; ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
    in realtà, l'ultimo rapporto del Servizio internazionale per l'acquisizione di applicazioni di biotecnologia agricola (Isaa) sullo status globale della commercializzazione di colture biotech/organismi geneticamente modificati del mese di febbraio 2013, ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare organismi geneticamente modificati, con 129.000 ettari di mais transgenico piantati nel 2012: una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria che conferma l'opposizione in Europa alla diffusione del transgenico in agricoltura al fine di difendere le produzioni nazionali da possibili contaminazioni da colture geneticamente modificate e collocarne i prodotti ad un livello di maggiore interesse e competitività nel panorama economico mondiale;
    in data 29 marzo 2013, il Ministro pro tempore della salute, Renato Balduzzi, ha inoltrato alla direzione generale salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia e nel resto d'Europa di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, a norma dell'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003;
    tale procedura di emergenza – messa in atto dall'Italia sulla scorta dell'esperienza francese, a sua volta condizionata dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'8 settembre 2011 che si è pronunciata circa le condizioni alle quali le autorità francesi potevano vietare provvisoriamente le coltivazioni del mais Mon810 – per acquisire efficacia deve essere codificata attraverso l'emanazione di un ulteriore provvedimento dei Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali, della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    sebbene le procedure di emergenza siano state attivate, ad oggi, il provvedimento interministeriale non è stato predisposto e, quindi, le suddette procedure non hanno efficacia;
    l'8 maggio 2013, l'ordinanza della Corte di giustizia dell'Unione europea, relativa al procedimento penale a carico di Giorgio Fidenato, ha ribadito quanto già espresso nella sentenza del 6 settembre 2012 (Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), ovvero che la messa in coltura di varietà di mais Mon810 non può essere assoggettata ad una procedura di autorizzazione nazionale quando l'impiego e la commercializzazione di queste varietà sono autorizzati ai sensi del regolamento (CE) n. 1829/2003 e sono iscritti nel catalogo comune delle varietà ai sensi della direttiva 2002/53/CE;
    proprio grazie a questo gap il 15 giugno 2013, a Vivaro, Giorgio Fidenato ha seminato mais geneticamente modificato. Un gesto provocatorio con il quale l'agricoltore friulano ha voluto ribadire «la possibilità per gli agricoltori di poter scegliere», proprio in base alla ordinanza della Corte di giustizia dell'Unione europea e alla mancata codificazione, da parte dell'Italia, della procedura di emergenza prevista all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, il quale, di fatto, rimanda all'adozione delle procedure previste dal regolamento (CE) n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare (articoli 53 e 54),

impegna il Governo:

   ad intervenire urgentemente per evitare ogni rischio di contaminazione nell'area di Vivaro, adottando le misure adeguate;
   a rendere pienamente operativa la procedura di emergenza prevista all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, adottando il provvedimento ministeriale necessario ai fini dell'efficacia della sospensione della coltura del mais Mon810;
   ad avvalersi della clausola di salvaguardia, di cui all'articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003, di recepimento della direttiva 2001/18/CE, al fine di evitare ogni forma di coltivazione in Italia di organismi geneticamente modificati autorizzati a livello europeo e di tutelare la sicurezza del modello economico e sociale di sviluppo dell'agroalimentare italiano;
   ad adoperarsi in sede di Unione europea affinché si proceda alla revisione della direttiva 2001/18/CE, al fine di consentire la piena tutela del sistema agroalimentare nazionale, consentendo agli Stati membri di vietare la coltivazione degli organismi geneticamente modificati anche per motivi diversi da quelli legati alla valutazione degli effetti negativi per la salute e per l'ambiente;
   a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avviata in gran parte del Paese, l'incremento delle attività di controllo per potenziare, d'intesa con le regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri in corso di distribuzione ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate.
(1-00015)
(Nuova formulazione) «Cenni, Rosato, Braga, Gnecchi, Benamati, Mongiello, Realacci, Lenzi, Arlotti, Magorno, Fanucci, Lodolini, Miotto, Manfredi, Rubinato, Murer, Moscatt, Antezza, D'Incecco, Petrini, Fossati, Marantelli, Marchi, Mariastella Bianchi, Mariani, Fregolent, Dallai, Bratti, Velo, Tullo, Terrosi, Fiorio, Oliverio, Zanin, Carra».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Gagnarli n. 4-01008, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 41 del 26 giugno 2013:

   GAGNARLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i criteri per la formazione delle classi delle scuole di ogni ordine e grado sono contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n.81, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 2 luglio 2009 n. 151 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell'articolo 64, comma 4 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133);
   tale regolamento sostituisce integralmente il decreto ministeriale 24 luglio 1998 n. 331 e il decreto ministeriale 3 giugno 1999 n.141 (classi con alunni disabili);
   in base ai suddetti criteri, il limite minimo e massimo di alunni per classe, per la scuola secondaria di primo grado (articolo 11, decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n. 81) sono pari rispettivamente a 18 e 27 (fino a 28, elevabili a 30 solo nel caso di un'unica prima);
   le classi e sezioni che accolgono alunni disabili vengono formate rispettando i seguenti limiti: la presenza di 1 alunno disabile comporta un limite massimo di 25 alunni, la presenza di 2 alunni disabili comporta un limite massimo di 20 alunni, la presenza di 1 alunno disabile grave, nel caso di esplicita e motivata necessità di riduzione del numero di alunni e allegato progetto elaborato dal consiglio di classe (comma 2, articolo 5, decreto del Presidente della Repubblica n.81 del 2009) comporta un massimo di 20 alunni;
   nei due plessi della scuola secondaria di 1o grado Berrettini Pancrazi in Cortona, attualmente risultano iscritti 83 alunni, di cui uno con disabilità grave, più alcuni alunni con disturbi specifici dell'apprendimento normativamente denominati DSA, ai quali deve essere garantito il diritto allo studio attraverso la realizzazione di percorsi individualizzati nell'ambito scolastico;
   a proposito degli alunni con disturbi DSA, la recente circolare del «Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca» n.10 del 21 marzo 2013 recita «È opportuno che nella composizione delle classi si tenga in debita considerazione la presenza degli alunni con DSA»;
   a prescindere dai parametri del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n.81 circa il limite massimo di alunni per classe, le aule del plesso scolastico di Cortona, stabile più vecchio rispetto a quello di frazione Camucia, sono inadeguate a contenere un siffatto numero di alunni, pertanto verrebbe messa a repentaglio la sicurezza degli alunni ed il regolare svolgimento delle attività scolastiche;
   per tali motivi, in accordo con quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n.81, ci sarebbero le condizioni per la concessione di una quarta classe prima presso la scuola secondaria di primo grado Berrettini Pancrazi per l'anno scolastico 2013/2014;
   la concessione della quarta classe prima presso la scuola secondaria di primo grado Berrettini Pancrazi non aumenterebbe la spesa per l'istruzione, in quanto per l'anno scolastico 2012 erano già attive quattro classi con un organico ormai da tempo consolidato –:
   se il Ministro interrogato, sia al corrente che l'ufficio scolastico della regione Toscana, deliberando di non concedere la quarta classe prima, presso la scuola secondaria di primo grado Berrettini Pancrazi di Camucia-Cortona per l'anno scolastico 2013/2014, abbia sostanzialmente leso i principi del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n. 81 e della circolare del «Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca» n. 10 del 21 marzo 2013, minando secondo l'interrogante, il diritto degli alunni a pretendere una formazione di qualità. (4-01008)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Daga n. 4-01028, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 41 del 26 giugno 2013:

   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tra il Gestore dei servizi energetici, GSE, ed il Consorzio Co.E.Ma. (Consorzio ecologico Massimetta, Pontina Ambiente srl del monopolista dei rifiuti Manlio Cerroni, Acea ed Ama) è stata stipulata, nel giugno del 2009, una «convenzione preliminare» avente come presupposto la cantierizzazione di un lotto di terreno interno alla discarica intercomunale per rifiuti indifferenziati di Roncigliano (Cecchina di Albano Laziale) per la costruzione di un gassificatore/inceneritore;
   la cantierizzazione è stata autorizzata sulla base di una ordinanza regionale rilasciata dal presidente della regione Lazio pro tempore dottor Marrazzo, con provvedimento n. Z-0003 del 22 ottobre 2008, che è stata annullata, senza appello, con decisione passata in giudicato, dal Tar del Lazio e dal Consiglio di Stato con sentenze n. 36740 del 15 dicembre 2010 (Tar del Lazio) e n. 1640 del 22 marzo 2012 (Consiglio di Stato);
   l'avvio del cantiere era previsto in data 13 agosto 2009, secondo quanto previsto all'AIA n. B-3694;
   l'ultimazione dei lavori per la costruzione della centrale di gassificazione/incenerimento, secondo la «convenzione preliminare Coema-GSE» del giugno 2009, avrebbe dovuto aver luogo entro e non oltre il mese di febbraio 2011, fatto salvo il beneficio della proroga di 12 mesi previsto dall'articolo 4 della convenzione medesima. La prima sentenza del Tar Lazio, però, interveniva, come noto, il 15 dicembre 2010 con sentenza n.36740 del Tar del Lazio, e notificata dal Tar al consorzio Coema solo nei mesi successivi: quindi i 12 mesi di «causa di forza maggiore» previsti dall'articolo 4 della convenzione, erano già ampiamente «scaduti» a dicembre 2010;
   la cantierizzazione dell'area interessata alla costruzione della centrale di gassificazione/incenerimento di Cecchina di Albano Laziale, non solo non ha mai avuto inizio entro il limite del 31 dicembre 2008, ma, di fatto, non ha mai avuto luogo ancor oggi, come dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, sia i due verbali della polizia municipale della città di Albano Laziale dell'aprile 2009 e ottobre 2010 sia, ancor di più, lo stato attuale del sito interessato;
   l'impianto di gassificazione/incenerimento è osteggiato da sei anni da associazioni, comitati, movimenti locali, nonché dalle dieci amministrazioni comunali di bacino;
   il 19 aprile 2013 il GSE ha inviato una lettera al Ministero dello sviluppo economico «protocollata con numero GSEPE/P20130000672» i avente per oggetto Convenzione preliminare CIP 6 del 29 aprile 2009 nella titolarità del Consorzio Ecologico Massimetta, nella quale il GSE affermava quanto segue: «COEMA ha richiesto al GSE nella citata comunicazione del 12 febbraio 2013 (al. 9) e, da ultimo, con nota del 4 aprile 2013 (al. 10) di procedere all'aggiornamento della Convenzione preliminare alla luce del quadro autorizzativo delineato dalla determinazione regionale n. B00266 del 28 gennaio 2013. In relazione a tanto si richiede a codesto Ministero se considerare ancora operativa o meno con riferimento all'iniziativa in oggetto, la deroga di cui al combinato disposto del comma 1117 della legge 244 del 2007 e dell'articolo 9 del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172 convertito dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210, visto in particolare ulteriore procrastinarsi del termine di conclusione dei lavori e se, conseguentemente, il GSE possa procedere all'aggiornamento della Convenzione preliminare, così come richiesto dalla stessa COEMA»;
   in ragione dei prevedibili costi complessivi dell'operazione «inceneritore», appare agli interroganti irrazionale la scelta di sprecare risorse economiche, al solo fine di bruciare materie prime quali sono plastica, carta, legno e derivati, che potrebbero e dovrebbero, viceversa, essere recuperate con processi industriali a freddo, con impatto minore sulla salute umana e sull'ambiente, pari secondo i calcoli di esperti interessati dai comitati e dalle associazioni ambientaliste ad una cifra superiore ad euro 400 milioni –:
   se siano a conoscenza dei fatti riportati;
   se siano a conoscenza dell'entità esatta dei contributi che sarebbero erogati a favore del consorzio Co.E.Ma. attraverso i fondi pubblici chiamati CIP-6/92, per la realizzazione del gassificatore/inceneritore di Albano e a quanto ammonti il sovrapprezzo per la produzione di energia che il Co.E.Ma. percepirà immettendo per i prossimi anni, nel circuito nazionale, energia elettrica da fonte «assimilata»;
   se non ritengano, in via generale, di assumere iniziative, anche normative, volte a promuovere la predisposizione di mezzi e strutture da destinare alla raccolta differenziata porta a porta e alla filiera della riduzione del riciclo e del riuso;
   in che modo il Ministero dello sviluppo economico intenda dare seguito alla lettera del GSE di cui in premessa e se «COEMA GSE di giugno 2009, relativa in modo particolare ai fondi pubblici denominati CIP» 6/92 destinati alla centrale di incenerimento di Albano località Cecchina. (4-01028)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Airaudo n. 3-00135 del 20 giugno 2013;
   interrogazione a risposta orale Gigli n. 3-00137 del 21 giugno 2013;
   interrogazione a risposta scritta Lombardi n. 4-00152 del 27 giugno 2013.