Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 1 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema dell'agroalimentare italiano rappresenta una componente economica fondamentale per il nostro Paese, in cui interagiscono varie attività che ne sono parte integrante e di cui l'agricoltura rappresenta l'anello basilare; da essa dipendono una serie di altri settori economici, che concorrono, nel complesso, a rappresentare circa il 16 per cento del prodotto interno lordo;
    gli indicatori numerici relativi alla negativa congiuntura economica – particolarmente grave e complessa per l'economia nazionale, determinata da una crisi economica e finanziaria probabilmente la peggiore del dopo guerra, che ha coinvolto ogni settore dell'economia reale – rilevano, tuttavia, che proprio il comparto agroalimentare costituisce uno dei segmenti strategici dell'economia interna che ha dimostrato una reazione migliore rispetto ad altri settori, attraverso l'innovazione e, soprattutto, la qualità dei prodotti;
    un rafforzamento dell'azione a tutela della qualità e della sicurezza dell'intera filiera agroalimentare, a sostegno delle politiche che attribuiscono ai prodotti di qualità un'importanza strategica per accrescere la capacità di penetrazione nei mercati internazionali, rappresenta, pertanto, nell'ambito europeo e mondiale, un'esigenza prioritaria e fondamentale per il nostro Paese, anche al fine di garantire l'eccellenza e le peculiarità dei prodotti dell'agroalimentare del made in Italy, nonché di rinvigorire il legame con il territorio che rende unici e non riproducibili i prodotti stessi in altri luoghi;
    la crescita delle esportazioni, il cui fatturato per l'anno 2012 risulta essere stato di circa 32 miliardi di euro (con un incremento del 5,4 per cento sul 2011) e un avvio incoraggiante per l'anno 2013, nonostante il livello dimensionale delle imprese agroalimentari riscontri ostacoli nel raggiungere mercati emergenti e veda l'avvicinarsi dell'evento universale Expo 2015, contribuiscono positivamente a sostenere ulteriormente l'impegno e l'applicazione delle imprese agroalimentari, in particolare nei riguardi della tutela della qualità dei prodotti agroalimentari e in tema di etichettatura e di tracciabilità; grazie anche alle disposizioni promosse dal Governo Berlusconi di cui alla legge 3 febbraio 2011, n. 4, si sono raggiunti importanti risultati volti alla definizione di regole certe indirizzate, in particolare, alla lotta alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti alimentari;
    la suddetta esposizione internazionale rappresenterà un'occasione per affrontare importanti argomenti legati alla scienza e alla tecnologia per la qualità e la sicurezza alimentare e all'agricoltura e alla biodiversità, nonché per accrescere i livelli di competitività del sistema agroalimentare europeo e, in particolare, di quello italiano;
    nell'ambito dei suindicati argomenti, s'inseriscono ulteriori materie d'interesse rilevante per il sistema agroalimentare italiano che saranno oggetto di approfondimento nel corso dell'Expo 2015 e che riguardano aspetti scientifici e di sperimentazione legati al fabbisogno dell'innovazione nel settore agricolo, in particolare, rivolti alla diffusione degli organismi transgenici, diffusi sui mercati europei ed internazionali;
    le caratteristiche qualitative che esaltano le peculiarità del modello agricolo e agroalimentare italiano, contribuendone a determinare un valore aggiunto, sono rappresentate dalla naturalità dei prodotti e dalle coltivazioni e produzioni non transgeniche;
    gli elevati standard qualitativi dei prodotti tipici italiani e delle sue eccellenze uniche ed inimitabili rispetto a qualsiasi altro Paese continentale e mondiale, sostenuti e valorizzati attraverso i sistemi agricoli locali e rurali, i cui distretti hanno contribuito in modo determinante nel difendere il comparto agroalimentare, favorendo l'impulso per la crescita economica e sociale, hanno attribuito all'Italia il primato nella produzione di prodotti biologici a livello europeo, confermando un valore aggiunto unico sul quale investire, anche attraverso la creazione di sinergie con il settore turistico e agrituristico nell'attuale fase di crisi economica;
    all'interno del suindicato quadro, il settore agricolo italiano svolge, pertanto, un ruolo fondamentale per la difesa integrata del territorio, attraverso gli strumenti della produzione integrata e della compatibilità ambientale, volta alla riduzione delle emissioni di gas serra, a una razionalizzazione dell'uso dell'acqua e dello sviluppo di energie rinnovabili, con l'obiettivo di rinforzare le tutele e la salvaguardia del paesaggio e la valorizzazione degli aspetti culturali tradizionali legati alle aree rurali del territorio nazionale;
    l'agricoltura geneticamente modificata, in considerazione del quadro complessivo precedentemente indicato, non corrisponde, pertanto, alle esigenze e alle caratteristiche del nostro Paese, nonostante l'utilizzazione degli organismi geneticamente modificati abbia assunto dimensioni sempre più considerevoli negli ultimi anni, con una dinamica molto evidente ed una diffusione di grande rapidità;
    nel mese di aprile 2013, il Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, a seguito di un rapporto predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), aveva sollecitato la Commissione europea affinché sospendesse, in via d'urgenza, l'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais geneticamente modificati della Monsanto Mon810, in Italia e nel resto d'Europa, al fine di definire, alla luce delle ultime linee guida, adeguate misure di gestione che dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti gli utilizzatori di tali organismi geneticamente modificati;
    nella XVI legislatura occorre, inoltre, evidenziare come il Parlamento si sia, fra l'altro, espresso favorevolmente alla proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE, attualmente ancora all'esame presso le istituzioni europee, che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sulla base di criteri più ampi, oltre a quelli già previsti, di tutela della salute e dell'ambiente;
    l'adozione della clausola di salvaguardia nei confronti del mais Mon810, già avvenuta in altri otto Paesi dell'Unione europea (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) per rafforzare e rendere più duratura la difesa dell'agricoltura di qualità e della biodiversità, era stata richiesta il 28 gennaio 2013 dal nostro Paese, attraverso il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, attraverso una formale comunicazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore in qualità di autorità nazionale in materia, il quale aveva evidenziato la necessità di interventi rigorosi e di azioni volte ad approfondire con maggiore cautela la diffusione e il commercio di tali organismi;
    l'utilizzazione di tali organismi geneticamente modificati in agricoltura, come precedentemente riportato, ha assunto, infatti, dimensioni sempre più consistenti negli ultimi anni; la costante crescita ha determinato, a sua volta, una crescita della superficie coltivata con organismi geneticamente modificati nel mondo stimata in oltre 130 milioni di ettari, pari a circa il 9 per cento dell'intera superficie;
    tale aumento esponenziale desta particolare attenzione e stimola ulteriori riflessioni, se si valuta che la commercializzazione degli organismi geneticamente modificati e la sua espansione nei mercati hanno avuto un effettivo inizio a partire dal 1996;
    la Corte di giustizia dell'Unione europea, con l'ordinanza dell'8 maggio 2013, in riferimento alla causa C-542/12, ha, fra l'altro, stabilito che il diritto dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati, quali le varietà del mais Mon810, non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione, quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati;
    la suddetta decisione dell'alta Corte europea ha, altresì, disposto che dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13 giugno 2002 e modificata dal regolamento (CE) n. 1829/2003;
    l'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2008, ha, inoltre, chiarito che la norma va interpretata nel senso che non deve essere consentito ad uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture;
    la pronuncia in via pregiudiziale (articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) scaturisce da un procedimento penale nei riguardi del titolare di un'azienda agricola italiana, che aveva disposto la messa a coltura di sementi geneticamente modificati di mais Mon810, in assenza di una specifica autorizzazione, come previsto dall'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo n. 212 del 2001;
    le conclusioni a cui è giunta la Corte di giustizia dell'Unione europea appaiono, pertanto, controverse ed alimentano dubbi interpretativi, anche in considerazione del fatto che quanto disposto non contempla in modo contestuale l'adozione di provvedimenti prudenziali volti a tutelare la salute, l'ambiente e la qualità dei prodotti agroalimentari italiani;
    le suindicate decisioni, inoltre, risultano, tra l'altro, in contraddizione con il principio di precauzione, peraltro contenuto nella normativa comunitaria, all'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
    misure cautelari o interventi in forza di clausole di salvaguardia sono stati già adottati da otto Paesi europei, come peraltro precedentemente riportato, che prevedono il divieto di coltivazioni di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori, e sono presenti ed operativi, a differenza di altri Stati europei (Spagna, Repubblica Ceca, Romania, Portogallo e Slovacchia) e mondiali (India, Cina, Argentina, Brasile e Sud Africa) in cui la coltivazione di organismi geneticamente modificati è praticata senza norme preventive e di protezione;
    il dibattito internazionale da parte della comunità scientifica e le iniziative del settore imprenditoriale e degli operatori sullo sviluppo e le problematiche connesse all'agricoltura transgenica, risultano, pertanto, in considerazione di quanto in precedenza evidenziato, attualmente molto accesi ed estesi in termini di partecipazione; si rileva come i nodi da sciogliere e le difficoltà da risolvere, connesse al settore transgenico, che riguardano la biodiversità e l'ambiente, siano ancora molto dibattuti e analizzati, come dimostrano anche le recenti manifestazioni, che hanno avuto luogo in Friuli Venezia Giulia, attraverso la semina di mais geneticamente modificato Mon810 in campo aperto; tali episodi costituiscono un grave attacco al patrimonio nazionale in termini di biodiversità, oltre a rappresentare un pericoloso precedente;
    nell'ambito della valutazione del rischio derivante dall'impiego di organismi geneticamente modificati, nell'Unione europea, occorre inoltre rilevare che, se la competenza è attribuita all'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), per gli Stati membri dell'Unione europea è invece prevista la partecipazione al processo di valutazione del rischio, oltre che la partecipazione per ogni singolo Paese a studi sul monitoraggio post immissione al fine di verificare gli effetti sull'ambiente e sulla salute umana;
    la suddetta valutazione comporta, inoltre, che, per ottenere l'autorizzazione del prodotto geneticamente modificato, essa debba essere svolta in ambienti extra europei dove è importante evidenziare non si tiene conto della particolarità territoriale italiana;
    avviare iniziative in sede europea, volte ad una prevalente osservanza dei principi di precauzione e di approfondimento sugli effetti derivanti dall'utilizzo, dalla coltivazione e dalla diffusione di mais geneticamente modificato Mon810, al fine di completare un quadro conoscitivo più sicuro e rigoroso per la salute e l'ambiente nonché per la tutela dei prodotti agroalimentari italiani, appare pertanto indispensabile e necessario anche in considerazione degli effetti economici negativi che deriverebbero dall'espansione degli organismi geneticamente modificati, a svantaggio dell'importanza costituita dai caratteri distintivi dell'agricoltura italiana, il cui settore rappresenta un segno d'eccellenza in termini di qualità dei prodotti dell'agroalimentare del made in Italy universalmente riconosciuti e apprezzati,

impegna il Governo:

   ad avviare tempestivamente la procedura per l'adozione della misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, secondo quanto previsto dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
   a dotare le autorità competenti, anche attraverso un'apposita iniziativa normativa urgente, di idonei strumenti per il controllo e il monitoraggio, provvedendo allo scopo a rafforzare, d'intesa con le regioni, l'apparato sanzionatorio utilizzabile per i produttori che coltivino, senza notifica preventiva e senza rispettare eventuali prescrizioni atte ad evitare la contaminazione delle altre colture, fermo restando quanto già previsto dal decreto legislativo n. 224 del 2003;
   a sostenere e potenziare la ricerca scientifica e tecnologica in materia agricola, biologica ed agroalimentare secondo le migliori prassi scientifiche internazionali e, in caso di organismi geneticamente modificati, nel pieno rispetto del principio di precauzione.
(1-00128) «Faenzi, Baldelli, Bosco, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Romele, Russo».


   La Camera,
   premesso che:
    il dibattito scientifico sullo sviluppo dell'agricoltura transgenica si articola intorno a chi ritiene che gli organismi geneticamente modificati non producano rischi di alcun genere e quanti, invece, affermano che i pericoli che scaturiscono da manipolazioni genetiche siano di gran lunga superiori agli eventuali benefici;
    a prescindere dal confronto tra opposti pareri, il dato scientifico evidenzia che gli organismi geneticamente modificati, siano microrganismi, animali o vegetali, hanno caratteristiche genetiche e riproduttive alterate e che la comunità scientifica, in merito ai loro effetti sulla salute umana, non ha ancora espresso una posizione univoca;
    risultati di uno studio realizzato dall'università francese di Caen dimostrano la tossicità degli organismi geneticamente modificati a seguito di alcuni esperimenti condotti su cavie nutrite con mais Monsanto geneticamente modificato, le quali hanno cominciato a manifestare gravissime patologie con un'incidenza da due a cinque volte superiore al gruppo di controllo rappresentato da cavie nutrite con mais non transgenico;
    i suddetti risultati, oltre a mettere in dubbio la validità delle ricerche effettuate finora dalle imprese biotech, evidenziano notevoli problematiche nella metodologia usata per testare la sicurezza dei prodotti transgenici, tra cui la durata troppo breve delle analisi condotte, mediamente 3 mesi a fronte dei 24 mesi impiegati dalla ricerca in questione, e l'esiguità del numero di cavie utilizzate;
    a seguito di tali ulteriori pareri sulla tossicità degli organismi geneticamente modificati e sull'ambiguità del processo di autorizzazione, che pare privo delle garanzie minime di sicurezza e, pertanto, in contrasto con il principio di precauzione che l'Unione europea pone a tutela della salute umana, sarebbe opportuno vietare l'importazione di prodotti transgenici e sospendere, ad ogni livello e in tutta Europa, il rilascio delle licenze alla semina di organismi geneticamente modificati autorizzati e risultati tossici;
    il dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra) ha messo in evidenza che il Mon810 potrebbe modificare le popolazioni di lepidotteri «non bersaglio» e favorire lo sviluppo di parassiti potenzialmente dannosi per le altre colture; inoltre, il parere dell'Ispra conferma i rischi per le popolazioni di lepidotteri non target e non esclude la possibilità di impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine;
    il Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, a seguito del dossier del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, ha chiesto alla Commissione europea che quest'ultima effettui una nuova valutazione completa del Mon810 alla luce delle ultime linee guida, definisca adeguate misure di gestione che dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti gli utilizzatori di tali organismi geneticamente modificati e, nel frattempo, sospenda urgentemente l'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais Mon810 nel nostro Paese e nell'Unione europea;
    il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, Mario Catania, si ritenne soddisfatto della richiesta del Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, riprendendo così la linea sempre tenuta dalla Lega Nord e Autonomie e dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, Luca Zaia, sulla necessita di procedere con forza nella direzione di salvaguardare l'identità e la ricchezza dei prodotti italiani, che sono alla base del successo del settore agroalimentare, e far sì che gli organismi geneticamente modificati non attentino all'agricoltura identitaria italiana, culla della biodiversità che deve essere preservata;
    l'impatto socio-economico dell'innovazione derivante dall'introduzione in agricoltura di organismi geneticamente modificati è fortemente negativo rispetto alle esigenze dei consumatori e agli obiettivi di politica agraria del Paese;
    l'agricoltura italiana è essenzialmente di tipo multifunzionale e assolve compiti che vanno oltre la semplice produzione di alimenti e materie prime, svolgendo un ruolo di difesa integrata del territorio e di tutela del paesaggio e degli aspetti culturali tradizionali legati alle aree rurali, la cui valorizzazione, grazie alla presenza costante dell'agricoltore, trasforma la marginalità in opportunità;
    gli organismi geneticamente modificati rappresentano, invece, il simbolo di un'agricoltura non finalizzata alla produzione di cibo e alla conservazione del territorio, ma alla creazione di reddito e al controllo dei mercati mondiali da parte di poche multinazionali;
    il nostro Paese è la culla della biodiversità, con 4.500 prodotti tipici frutto di secoli e secoli di storia;
    il mais transgenico, la cui coltivazione è autorizzata da anni in Europa (l'autorizzazione del 1998 non è stata rinnovata), non copre più dell'1 per cento della produzione totale. Il vero business delle multinazionali non sarebbe nella coltivazione ma nel brevetto delle sementi;
    gli organismi geneticamente modificati non servirebbero a sfamare il mondo perché non esiste un patto etico per destinare un'eventuale sovrapproduzione a chi muore di fame. Dove si vendono gli organismi geneticamente modificati, i ricchi mangiano biologico, i poveri i cibi geneticamente modificati;
    quanto si riporta testimonia che il dibattito sul tema in questione è ancora aperto e che la prudenza è indispensabile di fronte a scelte che modificano profondamente l'ambito nel quale vengono applicate e che impattano non solo sugli equilibri di mercato ma, soprattutto, sulla salute dei cittadini;
    la direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da organismi geneticamente modificati attraverso l'applicazione del principio di «salvaguardia»;
    questa direttiva è stata recepita nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, dove all'articolo 25 si prevede che i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole, alimentari e forestali, per quanto di rispettiva competenza, possono, con provvedimento d'urgenza, limitare o vietare temporaneamente l'immissione sul mercato, l'uso o la vendita sul territorio nazionale di un organismo geneticamente modificato, come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato, che rappresenti un rischio per la salute umana o l'ambiente, con una valutazione fondata su informazioni esistenti basate su nuove o supplementari conoscenze scientifiche; il provvedimento, altresì, può indicare le misure ritenute necessarie per ridurre al minimo il rischio ipotizzato;
    le regioni spesso hanno espresso la loro ferma contrarietà all'introduzione nel nostro Paese di colture transgeniche, evidenziando che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE, per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura del nostro Paese e la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
    ad oggi, 8 nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato le clausole di salvaguardia;
    il 21 maggio 2013 il Senato della Repubblica ha approvato, durante la discussione di mozioni in tema di organismi geneticamente modificati, un ordine del giorno unitario a seguito del quale il Governo dovrebbe emanare un decreto ministeriale, che coinvolge i Ministri della salute, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche agricole, alimentari e forestali, con il quale si dovrebbe disporre il divieto di coltivazione di varietà di mais Mon810 solo sul territorio nazionale. Detto decreto interministeriale fa ricorso all'articolo 34 del Regolamento (CE) n. 1829/2003, che consente di adottare misure di emergenza qualora sia manifesto che prodotti geneticamente modificati autorizzati possano comportare un grave rischio per la salute umana, degli animali e per l'ambiente;
    il 15 giugno 2013 a Vivaro (Pordenone) seimila metri quadrati sono stati seminati con mais geneticamente modificato, creando un altissimo rischio di contaminazione biotech nel nostro Paese,

impegna il Governo:

   a promuovere un intervento, nelle competenti sedi comunitarie, affinché l'Unione europea sospenda il rilascio di autorizzazioni alla semina in tutto il territorio dell'Unione medesima di organismi geneticamente modificati autorizzati e risultati tossici e disponga il divieto di importazione di prodotti transgenici, tenendo presente che, al momento, nessuna azione al riguardo è stata intrapresa dalle istituzioni europee;
   a procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia di cui all'articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003 che recepisce la direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati.
(1-00129) «Caon, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'agroalimentare è uno dei settori dell'economia italiana che meglio resiste e reagisce alla crisi economica in atto in termini di valore aggiunto e, in particolare, di export, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4 per cento sul 2011);
    i dati Istat sui «Conti economici trimestrali» evidenziano che nel primo trimestre del 2013 l'agricoltura ha fatto registrare un aumento del valore aggiunto sia in termini congiunturali (+4,7 per cento), che tendenziali (+0,1 per cento), confermandosi come comparto in attivo anche sul piano occupazionale, con l'aumento delle assunzioni dello 0,7 per cento, in netta controtendenza con l'andamento recessivo del prodotto interno lordo e degli occupati dell'industria e dei servizi;
    i suddetti dati evidenziano per l'Italia un calo tendenziale del prodotto interno lordo nel primo trimestre del 2013 del 2,4 per cento, provocato dalle flessioni dell'industria (-4,1 per cento) e dei servizi (-1,4 per cento);
    le performance economiche del comparto agricolo sono positive, nonostante gli effetti negativi sulle coltivazioni provocati dal maltempo, che ha causato in agricoltura danni stimabili in un miliardo di euro, e dai segnali depressivi sui consumi che hanno interessato anche l'agroalimentare; l'agricoltura è stato l'unico settore che nel 2013 sta dimostrando segni di «vitalità economica» e occupazionale, a conferma questo della validità e della modernità del modello di sviluppo agricolo made in Italy, che è fondato sulla valorizzazione dell'identità della qualità e delle specificità che consentono di affrontare e vincere la competizione internazionale;
    il modello di sviluppo agricolo fondato sul made in Italy è realizzabile grazie all'impegno crescente e costante dei produttori italiani che tutelano la qualità, la tracciabilità e la produzione agroalimentare nazionale, che si contrappone ad una visione che a livello internazionale tende a considerare la produzione agricola solo come una commodity indifferenziata;
    il comparto agricolo nell'ultimo lustro ha dimostrato di essere una realtà economica d'eccellenza e di peculiare differenziazione della qualità agroalimentare rispetto agli altri partner intra-europei ed extra-europei e, per questi dati incontrovertibili, esso necessita di essere posta nell'agenda politica italiana quale uno dei volani principali della ripresa economica;
    è recente la notizia che a Vivaro (Pordenone) seimila metri quadrati sono stati seminati con mais biotech, Mon810, creando un altissimo rischio di contaminazione nei confronti della biodiversità del nostro Paese;
    una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità rispetto all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l'attenzione sull'importanza delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione e sulla difficoltà di coesistenza fra colture transgeniche, convenzionali e biologiche;
    i recenti studi di Gilles-Eric Seralini, ricercatore dell'Istituto di biologia fondamentale e applicata presso l'Università degli Studi di Caen (Francia), condensati nel libro Tous co-bayes, conducono verso la «prova» della tossicità – tuttora molto dibattuta – degli organismi geneticamente modificati e degli erbicidi ad essi collegati; si tratta di un campo certamente da approfondire, ma, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, ciò è sufficiente per adottare tutti quei provvedimenti prudenziali per evitare futuri eventuali disastri ambientali e sanitari che potrebbero rivelarsi irreversibili;
    la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale per quanto concerne sia l'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati, sia l'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati nell'ambiente e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da colture biotech attraverso l'applicazione della «clausola di salvaguardia»;
    il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva n. 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia», mediante la quale le autorità nazionali preposte (per l'Italia sono i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute) possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso;
    successivamente, l'Unione europea ha compiutamente regolamentato le procedure concernenti l'autorizzazione e la circolazione degli alimenti e dei mangimi geneticamente modificati con il regolamento (CE) n.1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio;
    con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, venivano previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004, nella parte in cui si richiama l'esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura, venendosi così a determinare un pericoloso vuoto normativo;
    fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri, oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente; più in generale, e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico, che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
    nella seduta del 21 maggio 2013 il Senato della Repubblica ha approvato all'unanimità l'ordine del giorno sulle colture biotech con cui si impegna il Governo: «adottare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e/o ad adottare la misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano; a rafforzare la già efficace opera di monitoraggio e controllo posta in essere con il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato, il quale da tempo effettua verifiche per evitare la contaminazione tra colture geneticamente modificate e non e per controllare l'eventuale presenza di sementi transgeniche non autorizzate; a potenziare la ricerca scientifica pubblica in materia agricola e biologica e, in caso di organismi geneticamente modificati, in ambiente confinato di laboratorio (...)»;
    il Ministro Nunzia De Girolamo, nell'illustrazione delle linee programmatiche del suo dicastero rese il 12 giugno 2013 in seduta congiunta alle Commissioni agricoltura di Camera e Senato, ha affermato che: «(...) l'importanza di un positivo relazionarsi tra Governo e istituzioni parlamentari ha già trovato, in questa legislatura, un'ottima dimostrazione in Senato sul delicato tema degli organismi geneticamente modificati, con l'assunzione del mio personale impegno sull'ordine del giorno congiunto di tutti i gruppi rappresentati, finalizzato all'adozione di regole coerenti con la tutela della salute umana e dell'ambiente, nonché del modello socio-economico e del patrimonio agroalimentare italiano, al contempo rafforzando la ricerca scientifica e le azioni di monitoraggio e controllo(...)»;
    il sistema delle regioni e delle province autonome ha ripetutamente dichiarato in sede di Conferenza delle regioni, con l'approvazione di un ordine del giorno e con una fitta corrispondenza istituzionale con le istituzioni europee e nazionali, la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che andrà a modificare la direttiva 2001/18/CE, per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la biodiversità agroalimentare, la qualità e le specificità dei suoi prodotti;
    specificatamente, l'ordine del giorno della Conferenza delle regioni e delle province autonome recita: «(...) impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, a procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento e del Consiglio europeo del 12 marzo 2001(...)»; ed ancora: «(...) tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione, impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e in occasione delle riunioni in sede comunitaria, la posizione unanime delle regioni e delle province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale(...)»;
    in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture transgeniche lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di autorità nazionale in materia, di: «(...) guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di organismi geneticamente modificati in Italia(...)»;
    ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
    l'ultimo rapporto del mese di febbraio 2013 del Servizio internazionale per l'acquisizione delle applicazioni biotecnologiche per l'agricoltura, Isaa, riguardante lo «Status globale della commercializzazione di colture biotech/ogm», ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque Paesi – Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania – a coltivare organismi geneticamente modificati, con 129 ettari di mais transgenico seminati nel 2012, una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria;
    in data 29 marzo 2013 il Ministro della salute pro tempore ha inoltrato alla direzione generale salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia, e nel resto d'Europa, di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, a norma dell'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003;
    il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale è evidenziato dalla semina di mais geneticamente modificato già avvenuta nei giorni scorsi nella regione Friuli Venezia Giulia ed alla possibilità di replica di tali atti in altre parti del territorio nazionale;
    a seguito della semina di mais Mon810 avvenuta a Vivaro (Pordenone), le autorità competenti recintavano e ponevano sotto sequestro il campo seminato da mais biotech e si apriva un procedimento penale a carico dell'agricoltore, Giorgio Fidenato, autore della semina;
    la Corte di giustizia dell'Unione europea, IX sezione, con ordinanza dell'8 maggio 2013, causa C-542/12, ha deciso in via pregiudiziale che: «(...) il diritto dell'Unione europea dev'essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais Mon810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, come modificata dal regolamento n. 1829/2003. L'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2008, dev'essere interpreta nel senso che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture (...)»;
    la pronuncia in via pregiudiziale (articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) della Corte di giustizia europea scaturisce dal procedimento penale in corso presso il tribunale di Pordenone a carico di Giorgio Fidenato, titolare dell'azienda agricola dove sono stati messi a coltura sementi di organismi geneticamente modificati, mais Mon810, in assenza della specifica autorizzazione (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 212 del 2001);
   esiste il fondamentale «principio di precauzione», sia nella normativa comunitaria (articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che in quella nazionale (articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modifiche ed integrazioni), e, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, sarebbe opportuno e non più rinviabile, che il legislatore europeo introduca nel regolamento comunitario, in materia di organismi geneticamente modificati, l'inclusione di una «clausola di garanzia» in favore degli Stati membri che intendano avvalersene;
    nella risposta fornita ad un'interrogazione a risposta immediata in Commissione agricoltura presentata dall'onorevole Franco Bordo e altri, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali ha espresso le seguenti considerazioni: «(...) il Senato della Repubblica ha recentemente approvato un ordine del giorno unitario, accolto dal Governo, in tema di organismi geneticamente modificati che si tradurrà nell'emanazione di un decreto interministeriale (salute, ambiente e tutela del territorio e del mare e politiche agricole, alimentari e forestali), con il quale verrà disposto il divieto di coltivazione di varietà di mais Mon810 sul territorio nazionale. Tuttavia, considerato che non ci troviamo nelle condizioni per ricorrere alla clausola di salvaguardia “vera e propria” di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE (strada preclusa da una sentenza della Corte di giustizia europea dell'8 settembre 2011), interverremo con il decreto interministeriale facendo ricorso all'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003 che consente di adottare misure di emergenza qualora sia manifesto che prodotti geneticamente modificati autorizzati possano comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente. Al riguardo, preciso che le misure di emergenza sono adottate con le procedure previste dagli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) 178/2002 sulla sicurezza alimentare (la cui autorità competente in Italia è il Ministero della salute)»; ed ancora «(...) vorrei inoltre far presente che, sebbene lo scorso mese di aprile il Ministro della salute abbia richiesto alla Commissione europea di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais transgenico Mon810 in tutta Europa (considerando che l'autorizzazione del 1998 non è stata rinnovata), al momento, tuttavia, nessuna azione al riguardo è stata intrapresa dalla competente istituzione europea. Da qui, la possibilità di adottare il decreto di divieto di coltivazione per il solo territorio nazionale a cui stanno lavorando i servizi giuridici dei tre Ministeri. Saranno naturalmente utilizzati, allo scopo, sia il dossier predisposto dal Cra (ove è stato messo in evidenza che il Mon810 potrebbe modificare le popolazioni di lepidotteri non bersaglio e favorire lo sviluppo di parassiti potenzialmente dannosi per le altre colture), sia il parere dell'Ispra (che conferma i rischi per le popolazioni di lepidotteri non target e non esclude la possibilità di impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine)». Da ultimo: «(...) da parte nostra, intendiamo proseguire sulla strada di un'azione forte e determinata a sostegno di una modifica della normativa comunitaria (peraltro già predisposta dalla stessa Commissione europea nel 2010), che consenta agli Stati membri di opporsi alla coltivazione degli organismi geneticamente modificati per motivi non solo sanitari e ambientali, ma anche di politica economica agraria, come quelli esposti dagli interroganti e assolutamente condivisibili (...)»,

impegna il Governo:

   ad avvalersi della clausola di salvaguardia di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 o ad adottare l'equivalente misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003, al fine di impedire ogni forma di coltivazione in Italia del mais transgenico Mon810 e di altri organismi geneticamente modificati eventualmente autorizzati a livello europeo, a tutela della salute umana, dell'ambiente e della sicurezza del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
   ad assumere iniziative, in relazione alle semine di mais geneticamente modificato già avvenute nel Friuli Venezia Giulia, affinché vi sia l'impiego straordinario di reparti specializzati del Corpo forestale dello Stato per potenziare le attività di controllo e monitoraggio sulla purezza dei prodotti sementieri e per disporre le misure locali, e a più largo raggio, idonee ad impedire ogni forma di contaminazione delle colture;
   ad adottare le opportune iniziative in seno alle istituzioni europee, al fine di velocizzare nel più breve tempo possibile la modifica della normativa comunitaria in materia di organismi geneticamente modificati predisposta già dal 2010 dalla Commissione europea;
   a valutare la possibilità di adottare iniziative normative urgenti con cui impedire la messa a coltura di altre sementi di organismi geneticamente modificati, in considerazione del fatto che l'autorizzazione per il territorio europeo del 1998 non è stata, a tutt'oggi, rinnovata.
(1-00130) «Franco Bordo, Palazzotto, Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo».


   La Camera,
   premesso che:
    sin dall'origine l'eventualità di introdurre nei Paesi membri dell'Unione europea colture transgeniche ed alimenti contenenti organismi geneticamente modificati o derivanti da essi ha sollevato forti resistenze nell'opinione pubblica ed in una parte rilevante del mondo della produzione;
    tali resistenze sono state particolarmente vive in Italia, ove la maggior parte dei consumatori si dichiara contraria all'introduzione di organismi geneticamente modificati nella catena alimentare ed in ogni caso chiede di conoscere, con adeguate modalità di etichettatura, se i prodotti posti in commercio contengano o siano derivati da organismi geneticamente modificati;
    anche dal mondo agricolo italiano sono venute forti critiche rispetto all'introduzione dei predetti organismi nella filiera, principalmente in ragione del fatto che il comparto agroalimentare italiano si caratterizza per l'elevata qualità e per la diversità delle produzioni, sempre legate alla diversità dei territori, della loro storia e delle loro tradizioni, e che tali caratteristiche mal si conciliano con il modello produttivo sotteso alla diffusione di produzioni transgeniche;
    le critiche del mondo agricolo appaiono in effetti motivate e comprensibili, poiché ad un'attenta analisi appare evidente che nella competizione globalizzata le possibilità di successo dell'agricoltura italiana, affetta da forti handicap strutturali sul versante dei costi e delle dimensioni aziendali, è strettamente legata alla possibilità di mantenere e rafforzare quella immagine di qualità e di tipicità che attualmente la connotano;
    occorre, altresì, considerare che l'introduzione di colture transgeniche, oltre a comportare ricadute ambientali ancora non del tutto valutabili, presenta oggettivamente complessi problemi tecnici e giuridici sotto il profilo della necessità di assicurare una coesistenza con le colture convenzionali e biologiche, i cui agricoltori chiedono giustamente di essere posti al sicuro da qualsiasi contaminazione che possa recar loro danni economici nella commercializzazione del prodotto;
    d'altra parte non può non rilevarsi che la ricerca scientifica in ambito genetico costituisce indubbiamente uno dei terreni più importanti e ricco di promesse di progresso per l'umanità, per le sue potenzialità in diversi campi, a partire da quello sanitario;
    al riguardo, il rallentamento della ricerca scientifica concernente gli organismi geneticamente modificati utilizzabili nella sfera agroalimentare, registratosi in quasi tutti i Paesi europei e particolarmente in Italia, costituisce indubbiamente un fenomeno assai negativo, perché rischia di sottrarre ai nostri ricercatori un insieme di conoscenze che in futuro potrebbero dar luogo a nuove evoluzioni della materia, non necessariamente contrastanti con la sensibilità e con le caratteristiche del sistema produttivo italiano; senza peraltro dimenticare che determinati risultati scientifici, non idonei per il contesto europeo, potrebbero essere validi in altri ambiti geografici;
    la normativa adottata dall'Unione europea per regolamentare la materia, più volte modificata, non è stata finora in grado di fugare le resistenze dell'opinione pubblica e degli agricoltori, né di fornire un quadro giuridico idoneo a consentire agli Stati membri di impostare in modo adeguato la soluzione del problema della coesistenza;
    i limiti della normativa comunitaria sono stati, per alcuni aspetti, acuiti in Italia da un quadro normativo a sua volta incompiuto, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.116 del 2006, che ha dichiarato la parziale incostituzionalità della legislazione precedentemente adottata in materia di coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali,

impegna il Governo:

   a perseguire, con tutta la necessaria energia negoziale, un radicale miglioramento della normativa comunitaria in materia di coltivazione di sementi transgeniche e di immissione in commercio di organismi geneticamente modificati che si ispiri alle linee seguenti:
    a) una rigorosa applicazione del principio di precauzione in tutti i procedimenti di autorizzazione alla coltivazione od al commercio di eventi trasgenici;
    b) un regime obbligatorio di tracciabilità per tutte le sementi e gli organismi geneticamente modificati idoneo a segnalarne la presenza in tutti gli stadi della filiera;
    c) un regime di etichettatura a beneficio del consumatore finale che metta a disposizione del medesimo tutte le informazioni assicurate dal predetto regime di tracciabilità;
    d) regole generali in materia di coesistenza idonee a tutelare pienamente, attraverso le disposizioni attuative demandate agli Stati membri, i produttori convenzionali e biologici;
    e) un'adeguata sussidiarietà, che consenta agli Stati membri, per motivazioni di carattere oggettivo, di interdire temporaneamente o definitivamente, in tutto il proprio territorio o in parte di esso, la coltivazione di sementi transgeniche;
   a porre in essere, in attesa che si realizzi il predetto quadro normativo comunitario, tutte le iniziative compatibili con la vigente regolamentazione dell'Unione europea, affinché siano tutelate le giuste aspettative della maggioranza dei consumatori e degli agricoltori italiani, come riassunte nelle premesse, evitando, in particolare, che l'introduzione di colture transgeniche possa recare danni diretti o indiretti ad altri imprenditori agricoli;
   a rilanciare, attraverso un programma organico che coinvolga tutti i poli della ricerca pubblica attivi nel settore, la ricerca scientifica concernente la materia, privilegiando obiettivi ed aree di studio che appaiano coerenti con le caratteristiche e con la vocazione del sistema agroalimentare italiano.
(1-00131) «Catania, Dellai, Schirò Planeta, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cesa, Fauttilli, Matarrese, Molea, Monchiero, Nissoli, Rossi, Vargiu, Nesi, Gigli, Tinagli, Zanetti, Cimmino, Marazziti, Vecchio».


   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 prevede, per gli Stati membri dell'Unione Europea, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da organismi geneticamente modificati attraverso l'applicazione del principio di «salvaguardia»;
    la direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, e con tale atto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato indicato quale autorità competente a livello nazionale, con il compito di coordinare l'attività amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e delle comunicazioni istituzionali con la Commissione europea, con il supporto della commissione interministeriale di valutazione;
    il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia», mediante la quale le autorità nazionali preposte – per l'Italia i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute – possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso;
    con l'attivazione di tale clausola si dà luogo ad una serie di consultazioni fra la Commissione europea, le autorità nazionali, il produttore, gli organismi che sono intervenuti nella procedura di valutazione della conformità e tutte le parti interessate;
    la normativa comunitaria consente, comunque, alla Commissione europea di annullare il ricorso alla clausola di salvaguardia in caso di evidenze scientifiche contrarie;
    la direttiva 2001/18/CE costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche; l'articolo 22, infatti, prevede che gli organismi geneticamente modificati autorizzati in conformità alla direttiva debbano poter circolare liberamente all'interno dell'Unione europea, mentre l'articolo 26-bis (introdotto dal regolamento (CE) n. 1829/2003) dispone che «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti», consentendo, quindi, agli Stati membri di introdurre, nel proprio ordinamento, norme specifiche per regolare la coesistenza;
    con il decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, erano state previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, ma il successivo intervento della Corte costituzionale – con la sentenza n. 116 del 2006 – che ne ha dichiarato la parziale incostituzionalità nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura, ha causato un vuoto normativo molto dannoso, poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà di scelta dell'imprenditore sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza, e, di conseguenza, ogni norma nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
    tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'ottobre 2012 (sul caso di specie Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), con cui la Corte si è pronunciata in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE: per la Corte di giustizia dell'Unione europea uno Stato membro, ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati solo nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate, mentre, viceversa, uno Stato membro non può, nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture, vietare, in via generale, la coltivazione di prodotti organismi geneticamente modificati autorizzati ai sensi della normativa dell'Unione europea e iscritti nel catalogo comune;
    fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente;
    in via più generale e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
    la Commissione europea sta intensificando la propria opera per giungere rapidamente ad una revisione della direttiva 2001/18/CE, con l'obiettivo di rendere gli Stati membri maggiormente autonomi in merito alle linee guida da autorizzare a livello nazionale;
    il 28 gennaio 2013, il Ministro delle politiche agricole, alimentare e forestali pro tempore ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore di «guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di organismi geneticamente modificati in Italia»;
    le regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
    ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
    l'agroalimentare, anche in tempo di crisi, si conferma uno dei motori del sistema produttivo italiano grazie, in particolare, ad ottimi risultati nell’export, ottenuti in virtù degli enormi investimenti dei produttori e dei trasformatori per garantire qualità e tracciabilità ai prodotti italiani;
    è necessario proseguire nella ricerca scientifica al fine di giungere a maggiori certezze circa gli eventuali danni alla salute provocati dalle colture transgeniche;
    in attesa di evidenze più univoche, è opportuno avvalersi del principio di precauzione, non autorizzando né la semina su larga scala, né la sperimentazione in campo aperto, poiché questa, in assenza di regole certe in materia di coesistenza con le colture tradizionali e biologiche, si tradurrebbe in un'irrimediabile contaminazione de facto;
    tutte le rilevazioni demoscopiche effettuate in Italia e in Europa nel corso degli ultimi anni confermano una profonda diffidenza da parte dei consumatori sulla salubrità e sull'utilità degli organismi geneticamente modificati;
    un'immissione nel mercato di prodotti geneticamente modificati recherebbe un danno di immagine significativo al made in Italy agroalimentare, da sempre sinonimo di qualità e tipicità;
    tale rischio sarebbe particolarmente significativo se fosse vero che, come si apprende dalla stampa, nei silos di stoccaggio della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia Romagna e del Friuli Venezia Giulia ci sarebbero 52 mila sacchi di mais transgenico Mon810, sufficienti a coltivare 32 mila ettari, pronti per la semina;
    per questa ragione, in data 29 marzo 2013, il Ministero della salute pro tempore aveva inoltrato alla direzione generale per la salute e i consumatori della Commissione Europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione alla messa in coltura in Italia e nel resto d'Europa di sementi di mais Mon810,

impegna il Governo:

   ad avvalersi della clausola di salvaguardia, di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e all'articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003 di recepimento della suddetta direttiva, al fine di evitare ogni forma di coltivazione in Italia di organismi geneticamente modificati autorizzati, almeno fino all'emergere di evidenze scientifiche condivise circa la loro non pericolosità per la salute e l'ambiente;
   a valutare l'opportunità di adottare anche appositi interventi normativi urgenti, affinché le autorità competenti siano dotate degli strumenti utili per rafforzare, d'intesa con le regioni, i controlli e le sanzioni per i produttori che coltivino sementi transgeniche senza la preventiva notifica e senza rispettare le prescrizioni finalizzate ad evitare la contaminazione delle altre colture;
   a prevedere l'incremento delle attività di controllo per potenziare, d'intesa con le regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri in corso di distribuzione ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate;
   a richiedere con maggiore determinazione alla Commissione europea l'adozione di una nuova iniziativa di modifica della direttiva 2001/18/CE, al fine di consentire agli Stati membri una maggiore autonomia decisionale per preservare i rispettivi territori dalle contaminazioni da organismi geneticamente modificati;
   a richiedere alla Commissione europea di garantire la più totale trasparenza in merito alla composizione e all'azione della European food safety authority (Efsa), istituita nel 2002, dopo intense trattative condotte dal Governo italiano pro tempore, e con sede a Parma, cui compete il processo di approvazione scientifica preliminare all'autorizzazione e alla immissione sul mercato di nuove sementi transgeniche.
(1-00132) «Giorgia Meloni, Rampelli, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'economia italiana si trova, ormai da alcuni anni, in una preoccupante situazione di recessione economica, che rischia di peggiorare ulteriormente e di avvitarsi in una spirale negativa tale da determinare gravi rischi per la stabilità della finanza pubblica e dell'intera area dell'Euro;
    in particolare, secondo i dati emersi, da ultimo, nel corso di una recente audizione svolta dalla Commissione Finanze nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, è risultato che la riduzione del prodotto interno lordo italiano registratasi nel periodo tra il 2007 e il 2012 è addirittura superiore a quella avvenuta nel corso della Grande Crisi del 1929, e che gli altri indicatori economici (disoccupazione e crollo della produzione industriale) mostrano andamenti analoghi al 1929;
    all'origine della crisi italiana ci sono cause complesse. Non v’è dubbio, tuttavia, che vi abbia contributo in larga misura la crisi di liquidità di cui soffrono le imprese, il collasso degli investimenti privati, la riduzione dei consumi, la bassa produttività, l'esplosione delle sofferenze bancarie e la riduzione nella disponibilità di credito nei confronti delle imprese e delle famiglie;
    in questo contesto è stato segnalato come, per sostenere un livello degli investimenti da parte delle imprese nei prossimi cinque anni che consenta di invertire tale tendenza recessiva, sarebbe necessaria un'iniezione di nuovi finanziamenti nel sistema economico compresa tra 90 e 190 miliardi di euro;
    tale esigenza di incremento massiccio della liquidità deve tuttavia fare i conti con fenomeni diversi, tra i quali la stessa difficoltà del sistema bancario nella necessaria attività di funding, specie sui mercati internazionali, unito ad un suo atteggiamento conservativo nell'erogazione del credito, legato anche a ragioni di natura regolatoria e sovranazionale, nonché con le ristrettezze in cui si trova la finanza pubblica, strettamente vincolata dai limiti imposti dal patto di stabilità europeo e dal fiscal compact;
    appare pertanto indispensabile che il Governo ed il Parlamento individuino soluzioni coraggiose ed innovative per superare tale dilemma, nella consapevolezza di come le misure di sgravio fiscale finora adottate, quali la sospensione della prima rata dell'IMU, il rinvio dell'incremento dell'aliquota IVA attualmente fissata al 21 per cento, nonché le misure per il sostegno al finanziamento delle imprese e per l'alleggerimento delle procedure di riscossione coattiva delle entrate, sebbene di per sé positive, non possano considerarsi sufficienti né esaustive rispetto alle dimensioni del problema;
    appare dunque fondamentale porre in essere tutte le misure atte a determinare uno shock positivo per favorire una ripresa del ciclo economico ed avviare il superamento della fase recessiva nella quale appare al momento intrappolata l'economia italiana;
    in tale contesto, il principale e più immediato strumento posto in campo dal Governo per incrementare la liquidità delle imprese e favorire una ripresa dell'economia, è costituito dalle misure per il pagamento dei debiti delle Pubbliche amministrazioni recate dal decreto-legge n. 35 del 2013, le quali, anche grazie all'azione di integrazione del testo svolta in sede parlamentare, strumento dall'impatto potenzialmente molto rilevante per la crescita del prodotto interno lordo;
    a tale proposito appare opportuno rafforzare ulteriormente l'efficacia di tale strumento, il quale rischia di esplicare i suoi effetti in un lasso di tempo eccessivamente diluito, e, pertanto, di non realizzare quella svolta decisiva nella dinamica economica che appare invece improrogabile;
    in considerazione del fatto che da metà maggio ad oggi gli spread sono aumentati di circa 50 punti base, e che occorrerà emettere titoli per oltre 50 miliardi di euro per effettuare i pagamenti alle imprese, ulteriori rinvii potrebbero generare costi sempre più alti;
    in questa prospettiva si segnala l'esigenza di anticipare quanto più possibile la completa implementazione del processo di pagamento dei debiti della PA, concentrando interamente nel 2013 tutte le risorse finanziarie disponibili a tal fine,

impegna il Governo:

   a valutare tutte le possibili misure per massimizzare ed accelerare gli effetti positivi sul prodotto interno lordo determinati dalle norme in materia di pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni contenute nel n. 35 del 2013, in particolare procedendo:
    a) a concentrare nel secondo semestre 2013 tutte le risorse disponibili a tal fine stanziate anche per il 2014, fino ad esaurimento dello stock di debiti in essere, per l'importo complessivo recato dal decreto-legge n. 35 del 2013, accelerazione che non incide sul quadro di medio termine di finanza pubblica concordato in sede europea, ma determina un positivo effetto sugli andamenti dell'economia reale, in modo da rendere meno stringente lo stesso vincolo finanziario, ed anche attraverso la riprogrammazione delle restituzioni e rimborsi di imposte prevista dall'articolo 5, comma 7, del già citato decreto-legge n. 35, realizzando in tempi brevi la necessaria interlocuzione in merito con gli organismi dell'Unione europea al fine di fare in modo che tale operazione sia considerata compatibile con i vincoli di bilancio europei;
    b) a costituire una task force per monitorare l'attività delle singole amministrazioni coinvolte nella procedura relativa ai pagamenti, al fine di accertarne la tempestività di esecuzione ed inserire in una white list oppure in una black list coloro che vi adempiono e coloro che, invece, sono ritardatari. Prevedendo che il Ministero dell'economia e delle finanze dia comunicazione dei dati così aggregati e dell'andamento dei pagamenti sul proprio sito e li trasmetta al Parlamento con cadenza mensile;
    c) prevedere, fin da ora, ulteriori possibili forme di finanziamento da parte del sistema bancario e delle società di factoring, da attivare mediante semplice concessione di garanzia da parte dello Stato su debiti certi, esigibili ed ormai definitivamente accertati dalle procedure messe in essere.
(1-00133) «Capezzone, Brunetta».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 comma 2, del decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100, ha stabilito la proroga di soli trenta giorni delle gestioni commissariali che operano ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni;
   la delibera del Consiglio dei ministri del 3 agosto 2012, in considerazione di quanto suesposto, ha pertanto prorogato fino al 30 settembre 2012, la gestione commissariale in relazione all'emergenza ambientale esistente nel settore del traffico e della mobilità nella città di Messina, attribuendo a tal fine al commissario delegato, i poteri e le deroghe già previste, nella vigenza dello stato di emergenza dalle ordinanze appositamente adottate;
   gli effetti della cessazione dei poteri speciali hanno conseguentemente determinato un grave arresto per le attività delle opere pubbliche e delle infrastrutture nel territorio messinese, con evidenti ripercussioni per il tessuto economico cittadino;
   i rischi derivanti dagli effetti della mancata prosecuzione dello stato di emergenza, erano stati già evidenziati dall'interpellante, nei mesi di ottobre e di dicembre 2012, attraverso sollecitazioni nei confronti del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore Antonio Catricalà e del capo del dipartimento della protezione civile Franco Gabrielli, sul profondo disagio che la città di Messina affronta da anni e della necessità di intervenire attraverso procedure d'urgenza, in grado di potenziare il sistema della viabilità in particolare nei punti nevralgici tra il perimetro urbano e la direzione portuale;
   la predetta area del porto di Tremestieri è stata proprio oggetto di significative interruzioni, nell'ambito della realizzazione di una importante piattaforma logistica al suo interno, nella quale far convogliare i mezzi pesanti diretti a Villa San Giovanni o a Reggio Calabria e quelli verso le destinazioni delle cosiddette «autostrade del mare»;
   a giudizio dell'interpellante, le difficoltà e gli impedimenti nell'esecuzione dell'opera, ritenuta strategica per il medesimo hub portuale, in quanto consentirebbe un consistente decongestionamento del volume di traffico, se si considera che un solo molo riesce a smaltire appena il 24 per cento del traffico dei grandi mezzi di trasporto, mentre la restante quota pari al 76 per cento, si riversa in maniera imponente, nelle aree limitrofe al centro cittadino, determinando continui rischi alla sicurezza dei cittadini, dimostrano in modo emblematico, le condizioni negative e penalizzanti che nel complesso la città di Messina è costretta a sostenere;
   appaiono pertanto intollerabili, secondo l'interpellante, i rallentamenti di ampliamento all'interno dell'area portuale, in considerazione del fatto che, oltre a quanto già evidenziato, l'impresa aggiudicatrice dell'appalto da 80 milioni di euro, sia da tempo disponibile a firmare il contratto e avviare le procedure relative alla costruzione della medesima infrastruttura portuale, ma che tuttavia risulta nell'impossibilità di procedere in tal senso, a causa della mancanza della stazione appaltante, assente dal 31 settembre 2012;
   la suindicata cessazione della proroga della gestione commissariale desta, a giudizio dell'interpellante, preoccupazioni fondate e valide, se si valuta, inoltre, come tutto il lavoro svolto e gli impegni assunti dagli enti che concorrono a realizzare l'opera suesposta, rischiano di essere vanificati se non intervengono nuovamente e con urgenza, i poteri speciali attribuiti ad una figura commissariale, in grado di fronteggiare le condizioni emergenziali tuttora esistenti;
   la vicenda dimostra inoltre che, a seguito di quanto precedentemente riportato, non vi sia attualmente alcuna autorità pubblica in grado di assumersi le responsabilità nel definire i compiti di ente appaltante, nonostante la suddetta impresa aggiudicatrice, avesse ogni requisito valido per la realizzazione dell'opera infrastrutturale precedentemente descritta, come stabilito dal Consiglio di Stato il 13 giugno;
   in considerazione di quanto esposto, a giudizio dell'interpellante appare evidente come, in definitiva, siano indispensabili interventi rapidi e urgenti in grado di consentire la prosecuzione delle fasi relative al suindicato progetto definitivo, assicurando quindi all'impresa aggiudicatrice, la realizzazione dell'ampliamento del porto di Tremestrieri, attraverso una nuova attribuzione dei poteri speciali previsti per l'emergenza traffico e mobilità per la città di Messina;
   necessitano tra l'altro, a parere dell'interpellante, interventi normativi di carattere ordinario e permanente, in grado di garantire efficienza e operatività e rendere più veloci le procedure per la realizzazione di opere strategiche, anche al fine di superare le delibere emergenziali e di carattere temporaneo e migliorare i livelli di competitività e, al contempo, decongestionare il volume di traffico che grava da anni sull'intera città messinese –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano urgente e necessario, in considerazione dei livelli di criticità derivanti dalla cessazione dei poteri speciali attribuiti alla gestione commissariale in relazione all'emergenza ambientale e della mobilità della città di Messina, avvenuta il 30 settembre 2012, assumere iniziative al fine di ripristinare una gestione commissariale che possa far fronte alle criticità descritte in premessa, in modo che possa in primo luogo essere definita la stazione appaltante per la realizzazione della piattaforma logistica all'interno dell'area portuale esposta in premessa;
   se non ritengano infine opportuno adottare iniziative normative volte a modificare il codice dei contratti pubblici nella parte relativa alle procedure di appalto e di aggiudicazione delle gare, al fine di garantire anche in via temporanea, la prosecuzione degli interventi infrastrutturali, anche in assenza dei poteri speciali attribuiti alle gestioni commissariali ed evitare che il perpetuarsi dei blocchi amministrativi e burocratici possa penalizzare ulteriormente l'economia delle comunità locali interessate.
(2-00119) «Garofalo».

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 13 e 14 aprile 2010 si è tenuta a Barcellona la Conferenza dei Ministri di 43 Paesi dell'Unione per il Mediterraneo (UpM) competente sulle risorse idriche, per la approvazione del piano d'azione strategico per il Mediterraneo a valere per i prossimi dieci anni;
   conseguentemente ad un forte contrasto in sede di negoziati tra Israele e i Paesi del mondo arabo, la Conferenza, dopo un giorno di ininterrotte negoziazioni, non ha approvato il previsto Piano d'Azione e il processo politico dell'Unione da allora si è interrotto;
   il 24 maggio 2011, convocata dal segretario dell'Unione per il Mediterraneo si è tenuta a Barcellona una conferenza degli esperti nazionali acqua per una valutazione di carattere tecnico dei progetti da istruire in attesa di un auspicato sblocco politico del processo;
   in quella occasione l'Italia, non risparmiando parole di forte preoccupazione per la mancanza di risultati concreti dalla nascita dell'UpM – nessun progetto approvato ed oltre 100 i progetti in attesa di istruttoria – ha richiamato l'attenzione di tutti i paesi partner sulla grave situazione in cui versa la popolazione palestinese di Gaza a causa della mancanza di acqua potabile, non sufficiente a far fronte alla crescente domanda. Il nostro Paese ha dunque insistito, benché il tema non fosse iscritto all'ordine del giorno, e invitando ad evitare ulteriori ingiustificabili ritardi, per la approvazione del progetto presentato dal governo palestinese da oltre due anni, per la realizzazione di un impianto di desalinizzazione dell'acqua di mare nella Striscia di Gaza;
   l'iniziativa italiana ha suscitato la positiva reazione, l'apprezzamento dei paesi partner e la piena loro condivisione sulla necessità di approvare il progetto. Nei giorni seguenti L'Autorità palestinese, attraverso il suo presidente ha ringraziato l'UpM per la approvazione del progetto per il quale si sta cercando ora di reperire i necessari finanziamenti, ben oltre 400 milioni di dollari. La BEI ha concesso un contributo per la realizzazione del progetto esecutivo. Sono in corso trattative con la Commissione europea e i Paesi del Golfo. Il Governo francese ha concesso un finanziamento di 10 milioni di euro. Altri Paesi europei, quali Germania e Paesi Bassi sono ad oggi in procinto di manifestare concretamente il loro sostegno al progetto;
   salutarono a suo tempo con estremo favore il successo italiano il Ministro degli affari esteri e il Ministro per la cooperazione internazionale –:
   se il Ministro interrogato intenda dare effettivo seguito alla posizione diplomatica italiana e contribuire al finanziamento del progetto di desalinizzazione dell'acqua di mare nei territori amministrati dall'Autorità palestinese anche in ossequio ad una tradizionale amicizia del Governo italiano verso i Paesi arabi del Mediterraneo. (4-01083)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'abitato di San Maurizio al Lambro è stato colpito in passato da diverse alluvioni e le più disastrose si sono verificate nel 1976 e nel 2002, mettendo a durissima prova i cittadini;
   attualmente sono in corso i lavori per la messa in sicurezza delle sponde del Lambro a San Maurizio; tali lavori rappresentano un singolo lotto di un progetto più ampio e mettono in sicurezza solamente la parte a monte dell'abitato di San Maurizio al Lambro; i tempi di realizzazione dei rimanenti lotti non sono tutti noti;
   attualmente il Lambro è in allerta, con livello di allarme arancione; a creare tanta preoccupazione tra i cittadini sono i lavori di ristrutturazione e di manutenzione straordinaria dell'intero complesso della diga di Pusiano, tra la provincia di Como e quella di Lecco;
   la diga è essenziale per la prevenzione delle ondate di piena del Lambro; durante tutta la durata del cantiere il Cavo Diotti resterà chiuso e il deflusso delle acque in determinate condizioni meteorologiche avverrà unicamente attraverso il Lambro;
   da quanto stimano gli ingeneri idraulici interessati alle opere, in caso di piena, 6.720 mila metri cubi di acqua si scaricherebbero a valle in modo incontrollato e ciò potrebbe provocare un'alluvione di almeno un metro d'acqua a San Maurizio, raggiungendo anche le zone di Cologno;
   l'allarme per i lavori sulla diga si aggiunge a quello già in atto dallo scorso anno per i lavori della messa in sicurezza delle sponde del Lambro a San Maurizio; il progetto prevede la realizzazione di un argine sulla riva sinistra del fiume a tutela di un'area adibita a deposito peraltro priva di abitazione o edifici con permanenza di persone;
   appena a valle di detta area è presente il ponte di via San Maurizio;
   tale sovrappasso al corso d'acqua provoca una sorta di vasca di laminazione che attenuerebbe l'impatto della forza dell'acqua sul ponte immediatamente a valle nel caso di importanti eventi di piena a cui il corso d'acqua è periodicamente soggetto;
   l'arginazione del fiume a monte del ponte, in caso di forti precipitazioni, causerebbe un aumento della velocità delle acque e quindi una maggiore potenza delle stesse che si riverberebbero poi sull'abitato di S. Maurizio al Lambro e sulla stabilità del ponte stesso;
   l'argine già presente crea un'area golenaria (o vasca di esondazione) artificiale. All'arrivo della piena e riempita la vasca, le acque ritornano nell'alveo prima del Ponte di San Maurizio;
   in caso di piena, all'altezza del ponte autostradale, l'acqua eccedente devierebbe nella Roggia Molinara, la quale si ricongiunge al fiume prima del ponte di San Maurizio;
   tra gli interventi da attuare si prevede l'innalzamento degli argini a livello della strada con lastricatura della sponda sinistra fino al ponte di San Maurizio, al fine d'impedire la fuoriuscita nei campi di Brugherio;
   in caso di piena, all'altezza del ponte di San Maurizio arriverà sicuramente una quantità d'acqua superiore alla portata stessa del ponte. La portata del ponte è fissa, e quindi all'arrivo dell'acqua ci sarà un innalzamento del livello del fiume e conseguentemente lo scavalcamento del ponte stesso. Dal momento che il ponte è collocato nella parte più alta di San Maurizio e le vie si districano con forte pendenza in discesa, la conseguenza sarà l'inondazione completa di tutto l'abitato di San Maurizio al Lambro;
   la ragione del probabile disastro risiede nel fatto che l'opera è stata divisa in lotti separati, quindi si tratta di interventi parziali e non lotti funzionali. In teoria sono già stati previsti interventi correttivi a valle del ponte, che tuttavia hanno tempi di realizzazione differenti e posticipati. Nell'attesa che gli altri interventi a valle del ponte di San Maurizio siano portati a realizzazione, l'arginazione del fiume espone la popolazione a rischi molto elevati di esondazione;
   l'aggiunta dei lavori della diga di Pusiano che obbligano la chiusura del Cavo Diotti aggravano seriamente la situazione di allarme;
   sebbene le statistiche ufficiali delle esondazioni descrivano un tempo di ritorno dell'esondazioni di circa 20 anni, le mutate condizioni climatiche globali rendono tale stima non reale dato che le esondazioni, negli ultimi anni, avvengono più di frequente;
   si sollevano seri dubbi sulla circostanza che il progetto dell'arginatura del fiume, peraltro attuato per lotti separati, tuteli di fatto la sicurezza e l'incolumità fisica dei cittadini di San Maurizio al Lambro;
   una valutazione del progetto prevede l'arginatura del fiume Lambro a monte del ponte di via S. Maurizio; si ritiene che potrebbe essere migliorativo per la situazione del bacino fluviale evitare l'arginatura della riva sinistra del fiume a monte del ponte e considerare l'area adiacente –:
   se non si ritenga opportuno intervenire per avviare un accurato approfondimento circa le perplessità sollevate in premessa e, nel caso, assumere iniziative di competenza, anche per il tramite della autorità di bacino del Po, per procedere all'interruzione immediata dei lavori in questione e, comunque, garantire la sicurezza dei cittadini. (4-01086)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO, BLAZINA, COPPOLA e MALISANI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   un bene culturale, anche qualora non abbia una quotazione economica, si può considerare tale in quanto ha una legittimazione sociale, derivante dal riconoscimento che una comunità dà all'oggetto, attribuendogli la capacità di essere veicolo documentale rilevante per la comprensione delle radici e dell'identità di un luogo;
   in questa accezione, si devono considerare patrimonio culturale gli oggetti dell'archeologia industriale del mare, ossia i resti fisici che testimoniano il lavoro marittimo e le trasformazioni subite dall'ambiente costiero, particolarmente portuale, a seguito dell'impatto dell'industria sul territorio;
   il pontone-gru galleggiante «Ursus» è uno straordinario manufatto dell'ingegneria nautico-meccanica il cui progetto originario, attribuito allo stabilimento tecnico triestino per il Ministero della marina austroungarica, risale agli inizi del 1900 e fu portato a definitivo completamento tra il 1925 e il 1931, giungendo ad essere, con la sua altezza di 75 metri e una capacità di sollevamento di 150 tonnellate, un esemplare unico nel bacino del Mediterraneo;
   l’«Ursus», che fu impiegato nella costruzione del transatlantico «Conte di Savoia» e in moltissimi porti dell'Adriatico tra gli anni ’60 e ’70, è stato operativo fino al 1994, rimanendo poi in disarmo fino al 2004 in attesa di essere demolito, allorché Fincantieri, proprietaria del pontone, lo cedette alla sezione di Trieste della guardia costiera ausiliaria, che attualmente ha in gestione la struttura;
   l'eccezionale robustezza della costruzione ha consentito all’«Ursus» di conservarsi per quasi un secolo, ma è evidente che una struttura galleggiante esposta di continuo alle intemperie sia destinata a deteriorarsi gravemente in assenza di adeguati interventi di restauro, come dimostra un recente episodio di infiltrazione d'acqua piovana dalla superficie del ponte non più a tenuta; l'ultimo intervento di rilievo risale al 1975 quando al pontone venne rifatta la parte di scafo comprendente i doppi fondi e vennero sostituiti gli originari motori con altri diesel di nuova tipologia, mentre successivamente sono stati eseguiti lavori manutentivi con risorse stanziate dalla regione Friuli Venezia Giulia;
   nel 2004 un contributo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha reso possibile lo start up del progetto Areamedinit, che, basato su uno studio fornito a Marina militare italiana, Mare Nostrum, Nautital, Assonautica, Politecnico di Milano, Guardia costiera, si proponeva di individuare, censire e catalogare il patrimonio rappresentato dall'archeologia industriale del mare;
   sono disponibili studi e documentazioni di rilievo scientifico così come progetti avanzati, realizzati col supporto della regione Friuli Venezia Giulia, della camera di commercio di Trieste, della Guardia costiera ausiliaria e dell'Assonautica, che considerano le condizioni dell’«Ursus» e le possibilità di conservazione e reimpiego in funzione turistica e culturale –:
   se i Ministri non ritengano che, soprattutto per un Paese come l'Italia, le testimonianze dell'archeologia industriale del mare rappresentino un autentico giacimento culturale da proteggere e valorizzare, non solo in quanto fortissimo elemento identitario nazionale e supporto a una riflessione sull'utilizzo consapevole della costa, ma anche come risorsa potenziale meritevole di attenzione e investimenti;
   se i Ministri intendano valutare la possibilità di un'iniziativa straordinaria volta a garantire almeno la conservazione di uno dei pochissimi esemplari di pontone-gru del primo novecento tuttora esistenti al mondo o, in subordine, possano assicurare la loro disponibilità a essere fattivamente coinvolti in iniziative promosse da enti o istituzioni locali a salvaguardia dell’«Ursus». (4-01085)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   mentre s'intensifica il dibattito politico sulla partecipazione italiana alla produzione del caccia multinazionale F35, la stampa ha dato notizia di un bando dell'amministrazione della difesa che concerne «l'appalto del servizio di trasporto aereo di personale dell'Amministrazione della Difesa per l'anno 2014»;
   la Difesa risulterebbe in cerca di una vera e propria flotta di velivoli civili, comprensiva di aeromobili aventi capacità di trasporto da 20 a 70 passeggeri, da 110 a 180 e da 181 a 284, nonché di aerei di categoria executive, destinati all'uso esclusivo di personalità di rilievo;
   non si esclude peraltro che dei servizi di predetta flotta possano usufruire anche i familiari del personale militare;
   il costo per un anno sarebbe pari a 14,4 milioni di euro, che lieviterebbero a 57,6, in caso di procedura negoziata volta a coprire anche i tre anni successivi al 2014, ed addirittura ad 86 milioni qualora si ricorra ad eventuali ed imprecisati atti aggiuntivi –:
   quali ragioni dettino all'amministrazione della difesa l'acquisizione di queste capacità, ad avviso dell'interrogante, chiaramente superflue, non essendo compito istituzionale delle Forze armate quello di fornire «in proprio» servizi di trasporto su velivoli civili ai militari ed alle loro famiglie. (4-01074)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   una delle componenti non secondaria della grave crisi economica italiana è rappresentata dalla carenza di liquidità delle imprese dovuta ad un duplice fenomeno: il credit crunch, da un lato; il mancato pagamento dei crediti vantati da tempo nei confronti della Pubblica amministrazione. Crediti di cui, ancora oggi, non si conosce l'esatto ammontare, al punto che i 50 miliardi stanziati dal decreto-legge n. 35 del 2013 rappresentano solo una parte di un incerto universo dalla dimensione ancora insondata;
   l'esistenza del fenomeno ha inciso profondamente nel rapporto di fiducia tra lo Stato democratico (intransigente nel pretendere il pagamento dei propri crediti fiscali, estremamente tollerante con se stesso nel momento di onorare i propri impegni) ed il cittadino. Atteggiamento che ha alimentato vere e proprie forme di supponenza, se non proprio di arroganza; rovesciando, nella prassi, i presidi posti dalla nostra Costituzione a difesa del cittadino, trattato, invece molte volte, come un suddito;
   le norme, approvate dal Parlamento, descrivono una procedura complessa, anche se necessaria a causa del disordine amministrativo esistente, il cui iter avrebbe dovuto richiedere un impegno prioritario da parte di tutti gli organi preposti ed una regia attenta da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di ricondurre ad unità i diversi canali di certificazione, gestiti da migliaia di strutture (centrali e periferiche) operative;
   i termini temporali, previsti dal decreto devono considerarsi perentori, al fine di contribuire a dare certezza agli operatori economici e quindi volgere in positivo le relative «aspettative», contribuendo, in tal modo, ad alleviare la morsa della crisi economica e finanziaria, con immediati effetti positivi sul volgere della restante congiuntura;
   la Commissione europea, consapevole dell'importanza della posta in gioco, aveva dato via libera alla proposta facendo prevalere gli aspetti sostanziali del problema, più che il semplice richiamo formale del rispetto degli equilibri finanziari, alimentando, pertanto, le attese che si potesse accelerare nei tempi del pagamento ed impegnarsi per importi anche maggiori di quelli originariamente previsti. Tanto più che l'eventuale uprading non pesa sul disavanzo finanziario e per quanto riguarda il debito pubblico si traduce in un'operazione di trasparenza, adeguando il suo valore contabile a quello effettivo;
   il completamento, nei tempi previsti, della certificazione, oltre ad offrire un quadro contabile certo che introduce elementi di trasparenza nella gestione della finanza pubblica, consente di attivare garanzie sussidiarie da parte dello Stato per riattivare circuiti bancari, con lo strumento del factoring, e, quindi, produrre un effetto di snow ball sull'evoluzione congiunturale;
   le condizioni del mercato finanziario internazionale inducono ad approfittare di una finestra, caratterizzata da bassi tassi d'interesse e contenimento degli spread, che rischia di chiudersi da un momento all'altro a causa delle diverse politiche monetarie che varie banche centrali si appresterebbero a porre in essere –:
   quale sia la data esatta in cui i pagamenti diventeranno effettivi, fornendo alle imprese la sospirata maggiore liquidità;
   quali siano i passi finora compiuti nel gestire la complessa procedura indicata in premessa, precisando se, nel corso del suo svolgimento, si siano registrati ritardi o contraddizioni, con particolare riferimento allo step della certificazione, al fine di predisporre fin da ora ulteriori eventuali provvedimenti per favorire l'implementazione di cui si diceva in premessa, con l'obiettivo di fornire ulteriore liquidità, in grado di contrastare il fenomeno del credit crunch e dare maggior respiro alla situazione complessiva del Paese.
(2-00120) «Brunetta».
(Presentata il 28 giugno 2013)

Interrogazione a risposta scritta:


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le previsioni della stagione turistica per il 2013 ed a medio termine non sembrano essere particolarmente incoraggianti, con un calo previsto di circa il 7 per cento per quel che riguarda il turismo interno e con una perdita – in termini di guadagni – di circa 2,7 miliardi di euro;
   al fine di evitare un vero e proprio collasso di un settore già da tempo in difficoltà, è necessario stimolare il mercato con misure che ne possano permettere una rapida ripresa, attraendo da una parte il turismo straniero e dall'altro incentivando gli italiani affinché passino le proprie vacanze in Italia anziché all'estero;
   nelle linee programmatiche e nei provvedimenti che il Governo Letta sta assumendo, vi sono misure volte a rilanciare i consumi e l'economia, liberando diversi settori da vincoli amministrativi o semplificando il quadro normativo di riferimento per le imprese, nella prospettiva di una politica di semplificazioni che possa essere di sostegno ad imprese particolarmente flessibili come quelle che operano nel turismo;
   tra le misure che stanno penalizzando il turismo, soprattutto alla luce della concorrenza straniera e delle normative vigenti in altri paesi, vi è l'impossibilità di pagamenti in contanti per cifre superiori ai mille euro, ai sensi dell'articolo 12, comma 13, decreto-legge n. 201 del 2011 convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   anche nel caso di deroghe o eccezioni, come previsto dal decreto-legge n. 16 del 2012 convertito con modificazioni, dalla legge n. 144 del 2012, in materia di semplificazioni tributarie, all'articolo 3, recante norme in ordine a facilitazioni per imprese e contribuenti, la procedura per gli operatori turistici è di difficile attuazione e di fatto rende difficoltosi se non impossibili i pagamenti in contanti;
   tali problemi sono stati più volte denunciati dagli operatori di settore e dalle organizzazioni, che hanno lamentato – in particolare nelle regioni di confine – la fuga di turisti italiani e non, nei Paesi confinanti –:
   se non si ritenga di assumere iniziative per permettere pagamenti in contanti per cifre superiori ai mille euro ai turisti italiani ed ai cittadini dell'Unione europea, perlomeno nelle regioni che soffrono particolarmente il «turismo transfrontaliero», ovvero Valle D'Aosta, Piemonte, Veneto, Lombardia, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. (4-01087)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   tra le misure contenute nel decreto legislativo n. 155 del 2012, all'articolo 1, che richiama la tabella allegata A, vi è la soppressione di alcuni tribunali ordinari, di sezioni distaccate e procure della Repubblica;
   tra esse, le soppressioni riguardano anche alcune sezioni distaccate del Tribunale di Napoli e del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere;
   all'articolo 2, comma 2, del sopra menzionato decreto si stabilisce testualmente che «Il tribunale di Giugliano in Campania è rinominato in “tribunale di Napoli nord”»;
   l'allegato 1 del decreto sopra menzionato stabilisce che il mandamento del Tribunale di Napoli nord, già Tribunale di Giugliano in Campania, ha competenze sui seguenti Comuni: Afragola, Arzano, Aversa, Caivano, Calvizzano, Cardito, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casandrino, Casapesenna, Casavatore, Casoria, Cesa, Crispano, Frattamaggiore, Frattaminore, Frignano, Giugliano in Campania, Gricignano di Aversa, Grumo Nevano, Lusciano, Marano di Napoli, Melito di Napoli, Mugnano di Napoli, Orta di Atella, Parete, Qualiano, San Cipriano d'Aversa, San Marcellino, Sant'Antimo, Sant'Arpino, Succivo, Teverola, Trentola-Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno, Villaricca;
   il tribunale di Napoli nord si configura, così, come un mandamento che accorpa Comuni della provincia di Napoli e comuni della provincia di Caserta;
   della popolazione su cui ha competenza il tribunale di Napoli nord (circa un milione di abitanti) la stragrande maggioranza è residente nella provincia di Napoli, che annovera cittadine molto popolose come Giugliano (terza città campana con circa 110 mila abitanti), Marano (storica sede pretorile con circa 60 mila abitanti), Afragola (che sfiora i 63 mila abitanti), Frattamaggiore (30 mila abitanti), i comuni limitrofi Villaricca, Qualiano, Melito (che insieme contano oltre 100 mila abitanti);
   i comuni dell'area casertana che affluiscono sul tribunale di Napoli nord sono, invece, di dimensioni più piccole e meno popolati (il più grande è Aversa con 53 mila abitanti; gli altri sono intorno ai 10 mila abitanti);
   anche e soprattutto per queste ragioni, il nuovo tribunale di Napoli fu localizzato a Giugliano in Campania, in provincia di Napoli, e in posizione ideale di cerniera tra l'area metropolitana napoletana e l'entroterra casertano, fino a prenderne la denominazione specifica di tribunale di Giugliano in Campania, poi trasformato dal decreto su menzionato in tribunale di Napoli nord;
   da notizie di stampa, apprese in data 20 giugno scorso, il Ministro della giustizia avrebbe comunicato al plenum del Csm l'improvvisa e inattesa volontà di localizzare il tribunale di Napoli nord non più a Giugliano in Campania, come da vecchia denominazione e da affermata determinazione, ma nel Castello aragonese di Aversa, in provincia di Caserta;
   le ragioni di tale scelta non sono state ancora del tutto esplicitate; farebbero riferimento alla circostanza per cui la sede sarebbe già disponibile e non richiederebbe grossi interventi di natura strutturale ed economica;
   in realtà, il castello aragonese di Aversa ospita attualmente la sede della scuola di polizia penitenziaria di Aversa e per diventare sede di tribunale avrebbe, comunque, bisogno di una riprogettazione esecutiva di spazi e luoghi, con oneri a carico dello Stato;
   quello che, però, appare agli interpellanti davvero singolare è che si localizzi il tribunale di Napoli nord non nella provincia di Napoli ma in un'altra provincia, quella di Caserta; che si muti una localizzazione che, in origine, dava addirittura il nome al tribunale di Giugliano in Campania senza un'adeguata motivazione; che si stravolga un progetto consolidato senza un'adeguata considerazione delle ricadute di carattere organizzativo;
   la localizzazione del tribunale di Napoli nord in provincia di Caserta comporterà enormi sacrifici e grossi disagi per la grande maggioranza della popolazione servita dal nuovo tribunale; essa, come detto, in massima parte è residente nella provincia di Napoli e si ritrova costretta a raggiungere una sede in un'altra provincia, all'interno del centro storico di una cittadina già di per sé sede di altri importanti istituti come università, ospedale, eccetera, e per questo già congestionata e di non facile raggiungibilità, soprattutto da buona parte dei Comuni in provincia di Napoli;
   a parere della scrivente più opportuna sarebbe stato conservare l'intenzione di localizzare il tribunale di Napoli nord, già tribunale di Giugliano in Campania, proprio nella città di Giugliano, dove erano avviati progetti per l'individuazione di una sede opportuna, ben collegata, inserita in un contesto di facile raggiungibilità;
   una delle ipotesi più accreditate era quella di localizzare da subito, senza costi per lo Stato, il tribunale di Napoli nord in un complesso residenziale confiscato alla camorra, il cosiddetto complesso Rea, sulla circumvallazione esterna di Napoli, a ridosso di buona parte dei Comuni del mandamento, con un insediamento che aveva in sé anche un fortissimo valore simbolico; in seconda battuta, con la piena disponibilità degli enti locali si possono strutturare altre iniziative rapide ed economiche, sul territorio;
   la allocazione della nuova sede sul territorio di Giugliano in Campania rappresenta, oltre che il giusto baricentro del nuovo presidio tra Napoli e Caserta, anche un elemento di riscatto per un territorio che ha conosciuto lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche, il dominio di clan della criminalità organizzata, l'emergenza ambientale legata al traffico dei rifiuti e che individuava nel nuovo tribunale una occasione di rilancio sociale ed economico –:
   quali motivazioni abbiano spinto il Ministro a mutare l'originaria intenzione di localizzare il tribunale di Napoli nord a Giugliano in Campania, con la scelta di Aversa, e se non ritenga, con un'approfondita e nuova valutazione, che tale ultima scelta faccia ricadere sull'utenza più disagi, maggiori difficoltà operative;
   se non ritenga, in sede di individuazione dei necessari correttivi nell'applicazione della normativa in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, di dovere, anche previa una doverosa consultazione degli operatori del diritto, dei rappresentanti politici ed amministrativi locali, di ripristinare la scelta di Giugliano in Campania, anche in considerazione della possibilità di operare, rapidamente, con le autorità locali un programma di intervento per la costituenda sede.
(2-00122) «Palma, Bonifazi, Bonomo, Carra, Mazzoli, Lacquaniti, Del Basso de Caro, Albanella, Giorgio Piccolo, Paglia, Salvatore Piccolo, Coccia, D'Arienzo, Aiello, Fava, Sannicandro, Placido, Valeria Valente, Marcon, Boccadutri, Matarrelli, Kronbichler, Nardi, Zanin, Beni, Bonafè, Rabino, Leva, Biffoni, Nicchi, Di Salvo, Piazzoni, Paolucci, Tartaglione, Rostan, Bossa».

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del novembre 2000, convertito con modificazioni dalla legge n. 341 del 19 gennaio 2001, al fine di affievolire l'emergenza legata al sovraffollamento carcerario venne introdotto il braccialetto elettronico;
   dopo l'insuccesso della sperimentazione effettuata dai governi Amato, Berlusconi e Prodi, nel 2011 il Ministro della giustizia Paola Severino torna a riproporre il braccialetto quale misura alternativa alla detenzione per alleggerire il sovraffollamento negli istituti penitenziari, ricordando il «grande successo» di questa soluzione in Europa e negli Stati Uniti;
   risulta agli interroganti che lo Stato pagava già a quei tempi alla Telecom un canone annuo di circa 11 milioni di euro per 450 kit scarsamente utilizzati, per un problema tecnico che sembrava «irrisolvibile», (la rintracciabilità del segnale): i dati relativi al 2010 mostrano che la media di utilizzo non supera i dieci braccialetti l'anno;
   quello che in Italia è uno strumento che stenta a decollare, in altri Paesi, Gran Bretagna, Francia e in Russia è una realtà consolidata;
   su molti organi di informazione on line si è appreso che il Ministro della giustizia vorrebbe riproporre e potenziare per alcune ipotesi di reato la soluzione del braccialetto elettronico;
   purtroppo va evidenziato come le procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici previste dall'articolo 275-bis del codice di procedura penale non hanno ancora trovato concreta applicazione in quanto il sistema è stato giudicato non affidabile;
   invocare dinanzi all'ennesima emergenza la soluzione dei «braccialetti», senza che si siano verificate le effettive ragioni della mancata applicazione di una legge dello Stato, è quantomeno paradossale se si tiene conto che il contratto ha comportato un esborso per i contribuenti non indifferente pari a circa 100 milioni di euro in nove anni;
   in merito a questo esoso esborso economico da parte dello Stato l'associazione «Il Carcere Possibile Onlus» ha da tempo denunciato l'intera vicenda alla Corte dei conti;
   a seguito del ricorso presentato da Fastweb contro l'accordo del Ministero dell'interno con la Telecom, il TAR ha emesso sentenza di annullamento della Convenzione contro cui la Telecom, a sua volta, ha presentato ricorso, respinto, al Consiglio di Stato, rimandando il tutto alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   occorre favorire nel nostro Paese l'utilizzo di ogni mezzo che la scienza e la ricerca informatica mettono a disposizione per favorire il monitoraggio dei soggetti detenuti afflitti da pene detentive alternative –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire anche nel nostro Paese l'uso corretto del braccialetto elettronico;
   quali azioni intenda avviare per assicurare la massima trasparenza nell'affidamento dei relativi appalti. (4-01069)


   MAGORNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il commissariato della polizia di Stato di Castrovillari, è uno dei più importanti presidi della sicurezza e della legalità che operano in Calabria;
   allo stato attuale versa in una situazione di preoccupante precarietà essendo stato, nel corso degli ultimi anni, ridotto del 30 per cento l'organico iniziale;
   i servizi di prevenzione e di repressione risultano deficitari considerando, soprattutto, che il commissariato è attivo in uno dei territori d'Italia a più alta densità e pericolosità mafiosa quale la Sibaritide;
   la giurisdizione del commissariato della polizia di Stato di Castrovillari si estende, dal Pollino sino all'Alto e Medio Jonio, in 39 comuni, con una popolazione di circa 140 mila abitanti;
   è quasi impossibile garantire il fondamentale servizio delle «volanti», per il controllo del territorio, nell'arco delle 24 ore, soprattutto nelle ore notturne nelle quali, spesso, la vigilanza è assente;
   l'esiguità di personale qualificato (mancano 6 ispettori, 7 sovrintendenti, 1 assistente) non consente di espletare molte, delicate e complesse indagini di polizia giudiziaria, in modo particolare in questo periodo di recrudescenza criminale nella città di Castrovillari, la più popolosa dei 39 centri di giurisdizione del commissariato, in cui si stanno susseguendo, nell'arco di qualche mese, attività criminali di chiara origine estorsiva, perpetrati sempre nelle ore notturne;
   la popolazione ed i commercianti, vittime predestinate di queste azioni intimidatorie, sono enormemente preoccupati;
   la sede in cui è attualmente ubicato il commissariato è angusta ed insufficiente così come sono alquanto obsoleti i mezzi;
   inoltre, la compagnia dei carabinieri di Castrovillari, anche alla luce delle difficoltà in cui versa la Polizia di Stato, si trova a dover svolgere una considerevole mole di lavoro, tra mille problemi, e primo fra tutti, la carenza di organico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto;
   se e come il Governo, per quanto di competenza, intenda intervenire per restituire completa operatività al commissariato della polizia di Stato di Castrovillari, uno dei presidi dello Stato più importanti d'Italia, sia per la sua estensione territoriale che per la sua delicatissima azione nonché per potenziare anche la compagnia dei carabinieri di Castrovillari che ha bisogno di ulteriori uomini e mezzi.
(4-01078)


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ordinamento italiano la previsione di centri per l'identificazione e l'espulsione degli immigrati risale alla seconda metà degli anni novanta. I centri per l'identificazione e l'espulsione sono stati giudicati una vera anomalia giuridica e amministrativa da vasti settori della società civile e del mondo giudiziario che hanno contestato nel corso degli anni la grave inadeguatezza dei centri nel tutelare la dignità e i diritti fondamentali della persona;
   istituiti dalla legge Turco-Napolitano (legge n. 40 del 1998) e previsti dall'articolo 14 del testo unico sull'immigrazione (testo unico n. 286 del 1998), come modificato dall'articolo 13 della legge Bossi-Fini, i «CIE» (ex CPT) vanno considerati a tutti gli effetti delle carceri, dove vengono trattenuti extracomunitari in attesa di identificazione e della successiva espulsione. Tra questi oltre il 90 per cento sono soggetti condannati in via definitiva che dopo aver espiato la propria pena nelle carceri italiane vengono poi trasferiti nei centri per l'identificazione e l'espulsione in attesa di espulsione;
   tale è la situazione emersa dalle ispezioni condotte dai nostri deputati in alcuni dei centri per l'identificazione e l'espulsione presenti sul territorio nazionale, nonché dai dati diffusi dal Ministero degli interni;
   già nel 2007 il Ministro dell'interno pro tempore, Giuliano Amato e il Ministro della giustizia pro tempore, Clemente Mastella, firmarono una direttiva interministeriale che permetteva l'identificazione già in carcere dei detenuti extracomunitari da espellere, rendendo in tal modo più efficiente il sistema dei rimpatri, attraverso una più stretta collaborazione tra le autorità carcerarie e le forze di polizia e consentendo l'espletamento di tutte le pratiche necessarie all'identificazione durante la permanenza in carcere dei cittadini extracomunitari;
   tale procedura permetterebbe alla questura competente di avviare l'identificazione immediatamente dopo l'emanazione del provvedimento di custodia cautelare o della definitiva sentenza di condanna con ciò rendendo più celere l'acquisizione da parte della stessa questura del provvedimento di espulsione, del documento valido per l'espatrio e l'individuazione del vettore per la partenza e, infine, attraverso uno stretto coordinamento tra orario di scarcerazione e partenza, favorire l'espulsione immediata;
   questo renderebbe più efficiente il sistema attuale delle espulsioni, che si è dimostrato essere, almeno a partire dall'anno 2003, molto poco efficace proprio per la difficoltà a identificare i soggetti da allontanare e affievolirebbe le criticità emerse in questi anni in relazione al trattenimento nei centri per l'identificazione e l'espulsione dei soggetti in via di espulsione;
   tale modalità comporterebbe anche un significativo risparmio per le casse erariali –:
   per quale ragione sia continuamente disattesa la sopraccitata direttiva interministeriale che eviterebbe tempi lunghi con identificazione degli immigrati durante la carcerazione detentiva e favorirebbe una riduzione dei centri per l'identificazione e l'espulsione presenti sul nostro territorio nazionale;
   quali iniziative intendano assumere per dare concrete risposte a tale fenomeno. (4-01080)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'UVA, VILLAROSA, NESCI e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il consorzio Metromare dello Stretto effettua un servizio diretto di collegamento marittimo veloce sullo Stretto di Messina, permettendo continuità territoriale tra Sicilia e Calabria;
   il servizio è attualmente gestito dal consorzio Metromare dello Stretto, costituitosi nell'anno 2008 grazie all'accordo di due società, la RFI SpA, del Gruppo delle Ferrovie dello Stato e la Ustica Lines SpA, quest'ultima è risultata vincitrice della gara pubblica indetta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per garantire un servizio veloce di trasporto marittimo per i cittadini che decidono di transitare tra le città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni;
   il servizio è gestito attualmente in regime di convenzione dal consorzio Metromare dello Stretto, convenzione che vede la sua naturale scadenza il 28 giugno 2013 e che, così come previsto dal bando di gara emesso dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha regolato un servizio di durata triennale a fronte di una spesa sostenuta di circa 30 milioni di euro;
   il citato decreto-legge dispone una proroga del servizio diretto di collegamento marittimo veloce per il trasporto di passeggeri sullo Stretto di Messina tra le città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni fino al 31 dicembre 2013 e ne prevedeva la relativa copertura finanziaria;
   secondo le dichiarazioni riportate dai sindacati Or.Sa. e C.G.I.L., il Ministero delle infrastrutture dei trasporti prevedeva all'interno di tale emendamento, per l'intero periodo di proroga del servizio, un finanziamento di circa 3 milioni di euro, cifra che secondo tali sindacati non sarebbe idonea a garantire l'attuale standard del servizio, con gravi ripercussioni sulla sua quantità e qualità;
   secondo le sigle sindacali Or.Sa. e C.G.I.L., data la presenza di maggiori oneri di natura fiscale e date le recenti modifiche in materia che hanno alterato i parametri previsti dal bando di gara, la cifra stanziata dal Ministero non coprirebbe i costi gestionali da sostenere, comportando quindi un abbassamento del livello sia qualitativo che quantitativo del servizio di trasporto marittimo, ovvero, in caso di mancata accettazione da parte del consorzio Metromare dello Stretto dei termini contrattuali previsti dalla presunta proroga, la sua cessazione;
   in quanto strettamente collegata alla dequalificazione del servizio di trasporto, non può non essere presa in esame la situazione del personale dipendente del consorzio Metromare dello Stretto che, in caso di cessazione o riduzione della qualità del servizio di trasporto, a causa dei ridotti finanziamenti a copertura dei costi per la sua erogazione, sarà soggetto a procedure di licenziamento, con grave danno anche alla situazione economica di numerosi nuclei familiari;
   con l'approvazione del decreto-legge n. 43 del 26 aprile 2013, laddove all'articolo 5-bis si dispone l'autorizzazione di spesa pari a 3 milioni di euro per l'anno 2013, al fine di assicurare la continuazione del servizio pubblico di trasporto marittimo, legata all'approssimarsi del periodo estivo e al fine di garantire la continuità territoriale nell'area dello stretto di Messina attraverso il trasporto marittimo veloce di passeggeri tra le città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni, il Governo conferma la fondatezza delle precedenti dichiarazioni e le relative preoccupazioni espresse dai sindacati dei lavoratori circa la possibilità di una normale proroga del servizio, confermando altresì quella che appare una inevitabile quanto preoccupante riduzione della qualità e della quantità della sua erogazione;
   stando a quanto riportato dal quotidiano locale «Tempostretto», consultabile online, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe affidato il servizio di collegamento veloce alla compagnia Navigazione Libera del Golfo, avendo questa presentato un'offerta valutata come migliore rispetto a quanto preventivato dal Consorzio Metromare dello Stretto;
   attraverso la consultazione delle pagine del quotidiano è possibile inoltre apprendere che tale affidamento del servizio di collegamento marittimo veloce riguarda la sola tratta che collegherà le città di Messina e di Villa S. Giovanni, mentre il collegamento verso e da la città di Reggio Calabria, nonostante la naturale scadenza per l'affidamento dell'appalto sia prevista entro il termine del 30 giugno 2013, non risulta a oggi affidato ad alcuna società;
   inevitabile quanto grave e inaccettabile conseguenza, in presenza di tali condizioni, sarà quella di vedere definitivamente compromessa la possibilità per gli abitanti dello Stretto di usufruire di un adeguato e necessario servizio di collegamento a garanzia della continuità territoriale, nonostante lo stesso decreto-legge n. 43 del 26 aprile 2013 preveda espressamente, all'articolo 5-bis, la continuazione del servizio anche per la città di Reggio Calabria;
   non risulta, ad oggi, nonostante numerose sollecitazioni da parte di associazioni di cittadini e sindacati, la presenza di un piano che abbia in oggetto la mobilità sullo Stretto di Messina, nonostante la qualificazione delle città di Reggio Calabria e Messina come aree metropolitane, con la conseguenza che queste non godono di un sistema efficiente di trasporto marittimo, sistema che ha visto, nel corso degli anni, lo Stato italiano defilarsi da una sua attenta gestione e riqualificazione, contribuendo a determinare l'acuirsi di situazioni monopolistiche per l'erogazione di tali servizi –:
   se il Ministro intenda impegnarsi affinché l'attuale quantità delle corse, ovvero l'attuale qualità delle stesse non venga alterata in peius e si adoperi a garantire che il servizio di trasporto marittimo veloce di passeggeri, necessario a tutelare la continuità territoriale tra le sponde dello Stretto di Messina, continui ad essere erogato senza modifiche alla quantità delle corse previste allo stato attuale e ai medesimi livelli occupazionali, impegnandosi altresì a garantire che il servizio comprenda anche la città di Reggio Calabria;
   se il Ministro intenda impegnarsi, qualora la società affidataria preveda o stabilisca di non garantire l'erogazione del servizio agli attuali standard qualitativi e quantitativi, affinché maggiori risorse ovvero una migliore razionalizzazione di quelle attualmente previste garantiscano ai cittadini e ai lavoratori l'assenza di un'alterazione alla qualità dei servizi di collegamento e ai livelli occupazionali attualmente previsti;
   se il Ministro intenda adoperarsi per definire un piano di riqualificazione dei trasporti pubblici nell'area dello Stretto, stanziando nuovi fondi ovvero razionalizzando le attuali risorse previste, attraverso una diminuzione degli sprechi e una contestuale riduzione dei vantaggi che le presenti situazioni di monopolio in materia di trasporti marittimi hanno causato a danno dei passeggeri, prevedendo che servizi quali il collegamento marittimo veloce vengano garantiti dallo Stato non come provvedimenti urgenti e straordinari da rinnovare annualmente ma come servizi essenziali da garantire in via ordinaria.
(5-00475)


   VECCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 giugno 2013 scade il contratto tra il Ministero e il Consorzio Metromare, formato da Ustica Lines e Bluferries, e la cosiddetta metropolitana dello Stretto si fermerà;
   il servizio, presente da tre anni, è stato utilizzato da milioni di passeggeri (pendolari che ogni mattina si recano al lavoro spostandosi tra le due regioni) e conta 30 collegamenti giornalieri tra Messina e Reggio Calabria e 28 collegamenti giornalieri tra Messina e Villa San Giovanni –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intenda intraprendere per realizzare finalmente un collegamento veloce, funzionale e sicuro tra la sponda calabra e quella siciliana, divenuta ormai un'area metropolitana omogenea;
   quale sia lo stato di avanzamento dell'assegnazione con gara del servizio di collegamento veloce tra la Sicilia e la Calabria. (5-00476)


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un recente studio sullo stato dell'arte del sistema di trasporto ferroviario nei 27 Paesi membri dell'Unione europea realizzato nel 2012 da «The european house-Ambrosetti», delinea – in particolare – un quadro chiaro dello stato di avanzamento del processo di liberalizzazione dei singoli mercati e di creazione di un mercato unico del trasporto ferroviario;
   lo studio citato evidenzia come l'Italia – che rappresenta il terzo mercato ferroviario europeo ed esprime anche il terzo operatore ferroviario – si è sempre caratterizzata per una totale assenza di precise scelte politiche in materia;
   inoltre, mentre da una parte l'Italia è tra i Paesi che più velocemente si sono adoperati per l'implementazione delle direttive europee rispetto ad altri Stati membri, dall'altra ciò non ha comportato la definizione di una chiara politica e strategia del trasporto ferroviario;
   tra gli elementi di criticità rilevati nel quadro italiano ci sono i livelli di contribuzione al servizio di trasporto pubblico locale ferroviario contenuti e non paragonabili a quelli dei principali Paesi di riferimento, in primis Francia e Germania;
   in questo contesto il trasporto pubblico locale ferroviario costituisce in Europa la spina dorsale del trasporto su rotaia, rappresentando oltre il 70 per cento dell'intera offerta di treni-chilometri percorsi e, in quasi tutti i principali Paesi europei, esso è considerato uno dei settori maggiormente strategici per la mobilità;
   al contrario in Italia il trasporto pubblico locale ferroviario è il meno remunerativo in quanto i ricavi da traffico e i corrispettivi per passeggero-chilometri percorsi sono particolarmente bassi: per quanto riguarda i primi, infatti, essi sono inferiori del 50 per cento rispetto a quelli di Francia e Germania mentre i ricavi da contribuzione pubblica sono inferiori in un range tra il 20 per cento e il 30 per cento;
   fra le raccomandazioni che il citato studio rivolge all'Italia si segnala quella relativa alla radicale revisione dell'attuale modello di finanziamento del sistema di trasporto pubblico locale ferroviario;
   con riferimento alla succitata questione, nella precedente legislatura il Governo Monti ha previsto – ai sensi dell'articolo 1, comma 301, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) che ha sostituito l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012 – l'istituzione, a decorrere dal 2013, del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, il quale ha la precipua finalità di realizzare la razionalizzazione e l'efficientamento del settore del trasporto pubblico locale. In applicazione del citato articolo 16-bis le regioni sono tenute ad effettuare una riprogrammazione dei servizi volta a razionalizzarne la gestione sulla base di specifici obiettivi, il cui mancato raggiungimento comporta una progressiva riduzione delle risorse statali destinate alle regioni stesse;
   il comma 3 del citato articolo 16-bis stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, sono definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse stanziate sul suddetto fondo. Ad oggi il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri risulta ancora in corso di emanazione, anche se la formalizzazione dell'intesa succitata ha permesso l'emanazione del decreto interministeriale (ex articolo 16-bis, comma 6) di ripartizione, a titolo di anticipazione, tra le regioni a statuto ordinario, del 60 per cento dello stanziamento del fondo medesimo;
   la fotografia impietosa che lo studio citato fa del sistema italiano del trasporto pubblico locale ferroviario è sicuramente confermata dalle esperienze di disservizi e ritardi di chi quotidianamente utilizza il trasporto pubblico locale su rotaia;
   tra le situazioni più compromesse si segnala quella relativa al trasporto pubblico locale ferroviario della regione Toscana dove – secondo i dati raccolti nella campagna sulla mobilità sostenibile Pendolaria 2012 promossa da Legambiente – è in servizio una delle peggiori tratte del trasporto ferroviario locale italiano, la Viareggio-Firenze sulla quale, secondo le previsioni, saranno chiuse 7 stazioni con una conseguente drastica diminuzione del servizio a fronte di un aumento del 30 per cento delle tariffe regionali;
   nel 2012 – secondo quanto segnalato dall'Assemblea pendolari Lucca-Pisa – i biglietti sono, infatti, aumentati: su un tratta di 30 chilometri come Lucca-Viareggio o Lucca-Pisa, infatti, il biglietto è passato da 2,50 a 3,30 euro, gli abbonamenti settimanali da 18 a 22 euro e quelli mensili da 46 a 55 euro per chi ha un Isee superiore a 36 mila euro;
   nel 2003 un accordo tra regione, Rete ferroviaria italiana (Rfi) – gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale – e le province di Lucca e di Pistoia aveva previsto interventi di potenziamento sulla Lucca-Firenze e nel 2008 il piano complessivo di interventi è stato reso, ovviamente in teoria, operativo. Esso prevedeva, tra l'altro, il raddoppio della Pistoia-Montecatini con un costo di 116 milioni di euro e la velocizzazione della tratta Montecatini-Lucca per 60 milioni di euro;
   sempre secondo quanto segnalato dall'Assemblea dei pendolari Lucca-Pisa e dal coordinamento per la difesa del trasporto pubblico, da parte della regione Toscana c’è un evidente disinteresse nei confronti dei 10 mila pendolari che utilizzano la tratta Lucca-Firenze oltre alla totale mancanza della volontà politica nel sostenere il trasporto dei pendolari su rotaia;
   alla regione Toscana i pendolari hanno formulato richieste precise (investimenti per il raddoppio delle linee e miglioramenti tecnologici per la circolazione dei treni, sostituzione del materiale rotabile, un aumento della manutenzione sui mezzi e sulle infrastrutture per ottenere puntualità, efficienza e sicurezza), lanciando, altresì, un appello affinché la regione stessa chieda a Ferrovie dello Stato, ed in particolare a Rfi, il rispetto del contratto di servizio e l'abbandono di una politica di contrazione del personale e degli investimenti rivelatasi fallimentare;
   il 18 marzo 2013, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ha dato il via libera al Contratto di programma-servizi 2012-2014 tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana. I finanziamenti, pari a 4.575 milioni di euro, saranno utilizzati per attività di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete ferroviaria, safety e security e navigazione su rotaia –:
   quali tempestive iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere per rendere il trasporto pubblico locale ferroviario competitivo, verificando, altresì, l'adempimento da parte di Rete ferroviaria italiana (Rfi) degli obblighi previsti, a tale proposito, dal Contratto di programma anche con particolare riferimento alla sopradescritta situazione in cui versa il trasporto pubblico locale ferroviario della regione Toscana. (5-00477)


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo circa un secolo di servizio, la linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro è stata chiusa nel 1987 per consentire l'elettrificazione della linea Battipaglia-Potenza, e sostituita con l'introduzione di autoservizi su gomma;
   la linea in questione attraversava il Vallo di Diano e interessava 22 comuni per un totale di 9.000 abitanti ed un bacino di utenza di oltre 100.000 persone, senza dimenticare che la zona interessata è di enorme rilevanza turistica per le bellezze storico-paesaggistiche, dove sono presenti patrimoni Unesco come il parco del Cilento e vallo di Diano, e la certosa di San Lorenzo di Padula, nonché le grotte dell'Angelo a Pertosa e il battistero paleocristiano di S. Giovanni in fonte;
   la linea Sicignano-Lagonegro – che ufficialmente non è stata mai soppressa – affianca in quasi tutto il suo percorso l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, della quale potrebbe costituire una valida alternativa;
   l'articolo 1 della legge 29 dicembre 2003, n. 376, recante «Finanziamento di interventi per opere pubbliche», autorizzava, per la realizzazione degli interventi finalizzati al ripristino della tratta ferroviaria Sicignano degli Alburni-Lagonegro, la spesa di 5.000.000 euro per ciascuno degli anni 2003-2005;
   negli anni, in favore della riattivazione della linea ferroviaria in questione sono sorte associazioni e da ultimo un comitato, i quali – in sinergia con i rappresentanti degli enti locali interessati – hanno portato la questione all'attenzione delle istituzioni, locali e nazionali, nonché delle stesse Ferrovie dello Stato in considerazione delle esigenze legate al pendolarismo, al turismo e allo sviluppo economico;
   anche il consiglio regionale della Campania ha riaffermato di recente l'importanza della riattivazione della linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro e la necessità che la regione stessa abbia un ruolo strategico nelle discussione in atto al riguardo;
   nella audizione che si è svolta il 30 maggio 2013 presso la IV Commissione trasporti della regione Campania è stato sottolineato, in particolare, come un'occasione utile alla riattivazione della linea ferroviaria in questione potrebbe essere l'utilizzazione dei fondi europei 2014/2020 e l'apertura di un tavolo di confronto in sede regionale nell'ambito del contratto istituzionale di sviluppo per il completamento della direttrice ferroviaria Salerno-Reggio Calabria –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di adottare opportune iniziative, per quanto di competenza, finalizzate ad agevolare la riapertura della linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro anche in un ottica di promozione dello sviluppo economico delle zone interessate. (5-00478)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAUSI e SANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 31, commi 45 e seguenti, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – legge finanziaria del 1999 – ha dato la facoltà ai comuni di cedere in proprietà le aree comprese nei Peep (piani di edilizia economica e popolare), già concesse in diritto di superficie, agli attuali proprietari degli alloggi;
   in particolare, la disposizione prevede, per gli assegnatari delle aree in diritto di superficie, l'opportunità di ottenere la pienezza del diritto di proprietà dell'immobile posseduto e di disporre del medesimo senza più alcun vincolo e condizionamento giuridico; per tale fattispecie il corrispettivo da pagare al comune è determinato entro il 31 marzo di ogni anno dalla giunta comunale secondo determinati criteri e parametri;
   la legge 24 dicembre 2007, n. 244 – legge finanziaria per il 2008 – all'articolo 2, comma 89, novellando i commi 1 e 2, dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, ha successivamente introdotto nuovi parametri per la determinazione del corrispettivo;
   la Corte dei conti (con sentenza n. 22/CONTR/11 del 14 aprile 2001), pur promuovendo una applicazione agevolata, uniforme ed indifferenziata della cessione delle aree comprese nei piani di edilizia economica e popolare, ha confermato tale rideterminazione del corrispettivo;
   l'applicazione di tali parametri, la cui interpretazione consente comunque una autonomia da parte delle singole amministrazioni comunali rispetto alle indicazioni degli uffici competenti (come, ad esempio, la rivalutazione in base agli indici Istat), sta creando alcune criticità, consistenti nelle molteplici differenziazioni dei corrispettivi da pagare;
   le differenziazioni dei corrispettivi, oltre a generare gravi disparità di trattamento economico fra i cittadini rispetto alla tempistica di richiesta del riscatto ed alla residenza (oltre a ricorsi nei tribunali competenti), stanno di fatto bloccando e rallentando numerose pratiche di cessione;
   in alcuni pronunciamenti delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emerge chiaramente sia la necessità di agevolare l'adesione dei cittadini all'operazione di «riscatto», cercando di contenere il prezzo da pagare ai comuni, sia la necessità di rispettare un'esigenza di equità, evitando disparità di trattamento tra i cittadini (cioè tra coloro che già hanno proceduto al riscatto e coloro che intendono farlo in futuro), cercando altresì di garantire nel tempo uniformità nella determinazione del prezzo del riscatto;
   tale situazione di incertezza sta inoltre creando un mancato introito per alcune amministrazioni comunali, già colpite dalle recenti e ingenti riduzioni dei trasferimenti da parte dello Stato;
   sarebbe auspicabile, anche in relazione alla crisi economica ed occupazionale che sta investendo il nostro Paese e per promuovere il diritto all'abitazione, addivenire ad una definizione di criteri uniformi, su tutto il territorio nazioni che possa agevolare l'acquisto degli alloggi nelle aree comprese nei piani di edilizia economica e popolare, risolvendo il problema delle domande che ad oggi risultano bloccate ed evitando interpretazioni difformi della norma in questione da parte delle singole amministrazioni comunali;  
   il Governo, nella XVI legislatura, ha accolto un ordine del giorno (9/5534-bis-B/3) che lo impegna a valutare l'opportunità, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, di rivedere i parametri normativi relativi alla cessione delle aree piani di edilizia economica e popolare, per promuovere una applicazione agevolata uniforme ed indifferenziata nelle diverse realtà territoriali, per l'acquisto in piena proprietà delle aree in oggetto, da parte dei soggetti già titolari di diritto di superficie delle stesse;
   la tematica oggetto del presente atto di sindacato ispettivo è già stata oggetto dell'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-00378, indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze, svolta presso la Commissione finanze il 19 giugno 2013, in risposta alla quale il Sottosegretario per l'economia e le finanze intervenuto in seduta ha dichiarato che la materia non rientra nei profili di competenza del Ministero dell'economia e delle finanze e che utili elementi di informazione potranno essere forniti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   è necessario acquisire in tempi brevi l'orientamento dell'Esecutivo su tale importante problematica –:
   se non ritenga opportuno assumere, alla luce di quanto esposto in premessa, un'iniziativa normativa urgente volta a rimodulare i parametri normativi relativi alla cessione delle aree comprese nei piani di edilizia economica e popolare, al fine di applicare la relativa disciplina in modo uniforme ed indifferenziato in tutte le realtà territoriali. (4-01088)


   PANNARALE, DURANTI e FRATOIANNI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 172 (cosiddetta «dei Trulli») è una importante via di comunicazione che unisce Taranto a Casamassima, ove si raccorda alla strada statale 100 che da Taranto conduce a Bari;
   tale strada, nel suo primo tratto (Taranto-Orimini) è già stata oggetto, ormai molti anni fa, di lavori di adeguamento ed allargamento della sede e, attualmente, si presenta a quattro corsie. Il restante percorso, nonostante l'intenso traffico che l'attraversa, soprattutto durante i mesi estivi, è invece tuttora a due sole corsie;
   in data 21 novembre 2003 veniva sottoscritta fra la regione Puglia e l'ANAS una convenzione che prevedeva, tra l'altro, due importanti interventi sulla strada statale 172: l’«adeguamento e ammodernamento in sede ed in variante – IV corsia Orimini superiore», dell'importo di 15,494 milioni di euro; i «lavori di costruzione della variante di Martina Franca e del tronco Casamassima-Putignano» dell'importo di 35,537 milioni di euro. Entrambi con finanziamento ad intero carico dell'ANAS;
   l'ANAS ha previsto per la strada statale 172 i seguenti interventi: adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante, costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore e variante all'abitato di Martina Franca; tronco Casamassima-Putignano, lavori di ammodernamento ed adeguamento; adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5;
   l'adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante, costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore e la variante all'abitato di Martina Franca hanno livello di progettazione definitivo;
   l'adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5 ha un livello di progettazione preliminare;
   l'intervento relativo al tronco Casamassima-Putignano, lavori di ammodernamento ed adeguamento della sede stradale alla sezione C1, del decreto ministeriale 5 novembre 2001, esclusa la variante di Turi, ha un livello di progettazione preliminare, secondo le informazioni acquisite, da ultimo nel mese di ottobre 2011, dalla struttura di missione del Ministero della infrastrutture e dei trasporti;
   l'adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante – costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore, e la variante all'abitato di Martina Franca hanno un costo stimato in 70 milioni di euro, per i quali la delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011 ha assegnato complessivamente un finanziamento di 51 milioni di euro così articolato: 36 milioni di euro per l'adeguamento e ammodernamento in sede ed in variante, costruzione della quarta corsia tra i chilometri 56 e 60,5 ed asse di penetrazione a Martina Franca; 15 milioni di euro per il superamento del centro di Martina Franca;
   l'adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5 ha un costo di 15 milioni di euro ed è integralmente finanziato con fondi messi a disposizione dalla Regione Puglia;
   i lavori di ammodernamento ed adeguamento della sede stradale alla sezione C1 del decreto ministeriale 5 novembre 2001, relativa al tronco Casamassima-Putignano, hanno un costo di 50,50 milioni di euro, e una copertura finanziaria indicata in 35 milioni di euro;
   i dati statistici elaborati dall'ACI e dall'ANAS per il periodo 2006-2010 evidenziano che sul tratto Putignano-Turi-Casamassima si rileva un tasso di incidentalità e di mortalità particolarmente elevato, peraltro in aumento nel corso degli ultimi anni;
   la regione Puglia ha destinato 15 milioni di euro per il finanziamento della strada statale 172 DIR e 51 milioni di euro di fondi FAS di competenza regionale per la costruzione e adeguamento della quarta corsia sull'Orimini superiore e la variante all'abitato di Martina Franca;
   sull'infrastruttura in progetto è stimato un traffico giornaliero medio pari a circa 21.570 veicoli-giorno, l'ammodernamento del tratto Casamassima-Putignano consentirebbe di migliorare le condizioni di sicurezza della circolazione, l'adeguamento degli svincoli e la regolarizzazione degli accessi ai fondi, anche con l'introduzione di viabilità di servizio;
   il CIPE nella seduta del 6 dicembre 2011 ha assegnato le risorse finanziarie a valere sulle disponibilità di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 per vari interventi;
   lo stesso articolo 32 stanzia le risorse da finalizzare prioritariamente ai lotti costruttivi dell'AV/AC ed ai contratti di programma ANAS ed RFI;
   il consiglio regionale della Puglia nella seduta del 24 gennaio 2011 ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che impegnava il presidente della giunta regionale e l'assessore ai lavori pubblici a farsi parte attiva presso il Governo nazionale affinché fossero garantiti il finanziamento del tronco Putignano-Turi-Casamassima e l'avvio dell’iter di approvazione del progetto preliminare da parte del CIPE;
   grazie a tale impegno, l'opera infrastrutturale è stata prima inserita nel contratto di programma ANAS 2007-2011 approvato dal CIPE nella seduta del 20 luglio 2011 e, successivamente, nella riunione del 23 marzo del 2012, il CIPE ha individuato l'ammodernamento e l'adeguamento di tale viabilità stradale come priorità, approvando il progetto e stanziando le risorse economiche necessarie per effettuare i miglioramenti all'opera infrastrutturale in questione –:
   se il Governo intenda procedere rapidamente all'assegnazione delle risorse già stanziate e destinate ai lavori di adeguamento e ammodernamento della strada statale 172 nel tratto Putignano-Turi-Casamassima, al fine di rispondere all'improcrastinabile bisogno di sicurezza delle comunità dei paesi interessati, e di fermare una ormai decennale catena di incidenti, spesso mortali;
   se risponda al vero che nella riunione del CIPE del 31 maggio 2013, le risorse economiche precedentemente stanziate per vari interventi su tutto il territorio nazionale, e in particolare per «la statale dei trulli», siano state spostate su altre infrastrutture ritenute più meritevoli e urgenti. (4-01092)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2006 è stata varata una riforma relativa alla struttura e all'organizzazione del personale del Corpo dei vigili del fuoco che attualmente fa capo al dipartimento vigili del fuoco, soccorso pubblico e difesa civile presso il Ministero dell'interno;
   dal mese di gennaio del 2006 risultano bloccati i concorsi per l'assunzione dell'organico dei vigili del fuoco e dal biennio 2008/2009 risulta scaduto il relativo contratto nazionale collettivo, con la previsione che esso non potrà essere rinnovato fino al 2014 causa carenza di risorse economiche a livello ministeriale;
   allo stato attuale, e in riferimento alle piante organiche vigenti, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco presenta una carenza di personale a livello operativo, escluso cioè quello amministrativo e tecnico, stimato in circa 4.000 unità, e ciò sta compromettendo il regolare andamento dei diversi servizi di competenza del Corpo stesso, compresi gli interventi straordinari nel caso di calamità;
   l'insufficienza di risorse destinate al Corpo dei vigili del fuoco si riflette anche sulla carenza delle dotazioni e dei mezzi di soccorso messi a disposizione dei diversi Comandi territoriali, tutte ragioni, compresa quella indicata al punto precedente, che hanno spinto i vigili del fuoco a continui scioperi;
   nella fattispecie, la Regione Emilia Romagna è stata colpita nel 2012 da un disastroso terremoto, prevalentemente nelle province di Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia, Bologna e Rovigo;
   il Corpo dei vigili del fuoco verte in una situazione generale umiliante, sia dal punto di vista della retribuzione ma ancor di più della disparità esistente tra le risorse economiche a disposizione e quelle utilizzate per stipendi dirigenziali o sprechi inutili;
   sono anni che il Corpo denuncia l'arretratezza di mezzi e il taglio delle risorse, diminuite del 35 per cento in 10 anni in conseguenza soprattutto dei disastrosi «tagli lineari» di precedenti manovre economiche;
   a seguito del sisma gli interventi sono raddoppiati, a differenza dei fondi che sono diminuiti; va ricordato, tra l'altro, che tali tipi di interventi risultano di necessario supporto in particolare nei casi di affiancamento al personale sanitario il quale, muovendosi con i mezzi propri in gestione all'amministrazione regionale, risulta limitato nella capacità di intervento in condizioni particolarmente difficoltose;
   l'assicurazione sanitaria del Corpo che copre gli infortuni sul campo, l'ONA, è scaduta e non è stata rinnovata, per cui tutti gli esami e cure mediche obbligatorie sono a carico dei singoli;
   qualora si dovesse presentare un'altra situazione emergenziale i vigili del fuoco non sarebbero in grado di operare anche perché molti strumenti del Corpo dei vigili del fuoco, in particolare quelli di Bologna, utilizzati durante gli interventi sul territorio, sono inutilizzabili causa usura;
   esiste un preventivo per la riparazione degli stessi, già stilato dai vigili del fuoco del comando di Bologna, pari a soli 3.700 euro;
   a Modena l'aggravio delle spese del sisma ha comportato la cessazione della fornitura di carburante da parte del fornitore di zona, che con un insoluto di 130 mila euro non riusciva più a garantire la fornitura di carburante;
   lo stato di degrado di alcune caserme è inaccettabile –:
   quali misure intenda adottare al più presto per far fronte a tale inaccettabile situazione, sia per le spese di manutenzione ordinaria che di quella straordinaria per eventuali futuri interventi. (4-01073)


   BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il «comitato idonei 184 Vigili Permanenti» ha più volte sollevato la questione afferente al concorso per 184 posti di vigili del fuoco bandito nel mese di marzo 1998, lamentando la mancata assunzione degli idonei di quel concorso;
   la graduatoria, in oggetto, è stata via via prorogata fino al 30 giugno 2013, al fine di consentire all'amministrazione di assumere, oltre ai vincitori, anche piccoli contingenti di idonei in numero pari a quello che, di volta in volta, viene autorizzato o dalla funzione pubblica per supplire al turn over o dalla legge finanziaria quale potenziamento;
   il comitato denuncia che già nel primo dei tre anni di validità della graduatoria, così come stabilito dal decreto-legge n. 512 del 1996, invece di continuare ad assumere gli idonei del concorso 184 vigili permanenti fu indetto un altro concorso, quello a 173 posti da discontinuo indetto nel 2001, a cui fecero seguito altri 3 quello a 40 posti riservato ai volontari isole minori del 2004, quello a 55 posti riservato ad ex ausiliari 2004-2005, quello a 814 posti del 2009 oltre all'assunzione del personale di una ditta privata di Lavadigi (Cuneo) –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra esposta e quali siano le determinazioni dell'amministrazione in merito alla stabilizzazione degli idonei facenti parte la detta graduatoria.
(4-01075)


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è tradizionalmente composto da una componente volontaria ed una professionista, detta anche «permanente»;
   diversi provvedimenti legislativi susseguitisi negli ultimi dieci anni hanno puntato ad un graduale potenziamento d'organico del Corpo al fine di garantire omogenei standard di sicurezza per l'intero sistema Paese (Progetto «Italia in 20 minuti»);
   questi potenziamenti, purtroppo, spesso sono però rimasti solo sulla carta a causa di un sempre più consistente contenimento della spesa pubblica, quindi di una notevole riduzione del numero di nuovi assunti, mascherati da una sempre maggiore precarizzazione del Corpo nazionale
   attualmente il Corpo risulta, infatti, deficitario per un rilevante numero di unità distribuite su tutti i vari ruoli operativi, anche se al momento da dati provenienti dalla stessa amministrazione il ruolo vigile, risulta essere l'unico avente un leggero sovrannumero di organico che però all'atto dell'attuazione dei corsi per i passaggi di qualifica nel ruolo di capo squadra del Corpo nazionale risulterà anch'esso deficitario. La causa va ricercata sia nel mancato ripristino del normale turn-over dovuto ai pensionamenti, sia in un sostanziale blocco dei concorsi interni per la progressione in carriera, oltre che in una pregressa carenza di organico mai del tutto recuperata;
   un gap di uomini e di risorse che si è cercato di tamponare tentando di incrementare la componente volontaria che riveste senza alcun dubbio una parte importante del Corpo;
   in particolare, quest'ultimo aspetto è da ritenersi la causa principale che ha generato una situazione di vero e proprio precariato all'interno del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, conclamato poi con la legge 296 del 2006 che ha sancito, a tutti gli effetti di legge, uno status di «precario» della pubblica amministrazione per un vigile volontario impiegato in servizio temporaneo, una volta definito vigile discontinuo in maniera reiterata nel tempo;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 disciplina le norme che si applicano al personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco prevedendo i particolare ai commi 2 e 3 dell'articolo 1 che: il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è costituito da: a) vigili volontari iscritti a domanda negli elenchi dei comandi provinciali, ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 dicembre 1970, n. 996; b) ex vigili volontari ausiliari di leva iscritti d'ufficio negli elenchi dei comandi provinciali ai sensi dell'articolo 12 della legge 8 dicembre 1970, n. 996; inoltre il personale volontario non è vincolato da rapporto di impiego con l'amministrazione ed è chiamato a svolgere temporaneamente i propri compiti ogni qualvolta se ne manifesti il bisogno, in conformità a quanto disposto dagli articoli 14 e 70 della legge 13 maggio 1961, n. 469;
   le problematiche, che da tempo, riguardano il processo di stabilizzazione del personale volontario dei vigili del Fuoco, sono comunque orientate alla salvaguardia delle esperienze tecnico-professionali acquisite a seguito, sia di un percorso formativo che deriva dal combinato disposto dell'articolo 9, commi 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 che dagli anni di partecipazione a tutte le fasi del soccorso tecnico urgente così come previsto dall'articolo 3 comma 2 del citato decreto;
   nel contesto delle procedure per la stabilizzazione, la Corte Costituzionale ha più volte riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego;
   tale principio costituzionale non è comunque incompatibile con la possibilità di forme di accesso intese a consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, tuttavia non tollera – salvo circostanze del tutto eccezionali – la riserva integrale dei posti disponibili in favore di personale interno;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006 («... Nei limiti del presente comma, la stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è consentita al personale che risulti iscritto negli appositi elenchi, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, da almeno tre anni ed abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio “da possedere nel quinquennio di stabilizzazione disposto dalla legge 296/2006”. Con decreto del Ministro dell'interno, fermo restando il possesso dei requisiti ordinari per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco previsti dalle vigenti disposizioni, sono stabiliti i criteri, il sistema di selezione, nonché le modalità abbreviate per il corso di formazione. Le assunzioni di cui al presente comma sono autorizzate secondo le modalità di cui all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni»), il procedimento di stabilizzazione è stato configurato come una procedura a carattere eccezionale, limitata nel tempo e concorrente, ma non alternativa, a quella ordinaria;
   inoltre nell'articolo 1, comma 526, di tale legge, era previsto che le amministrazioni potessero procedere, per gli anni 2008 e 2009, a stabilizzare i precari nel limite di una percentuale massima del 40 per cento delle cessazioni avvenute nell'anno precedente;
   ma il decreto-legge 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 ha mantenuto la quota del 40 per cento solo per l'anno 2008, abbassandola al 10 per cento per le stabilizzazioni da effettuarsi nell'anno 2009;
   nel corso del 2008 l'amministrazione ha bandito un concorso pubblico per 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco con graduatoria approvata nel luglio del 2010. Ad oggi risultano assunti i vincitori di tale procedura oltre ad un numero cospicuo di idonei non vincitori alla stessa;
   dei 7599 idonei non vincitori si deve porre l'attenzione sui circa 5236 non riservatari all'interno dei quali risultano un numero rilevante di idonei che, da anni, sono iscritti negli appositi elenchi di volontari del Corpo nazionale vigili del fuoco che, al momento del bando, non avevano i requisiti previsti, ma da considerarsi a tutti gli effetti precari del Corpo dei vigili del fuoco;
   rispondendo all'interpellanza urgente n. 2/00066 il 6 giugno il Sottosegretario di Stato all'interno, Gianpiero Bocci, ha ribadito che la stabilizzazione dei volontari del Corpo dei vigili del Fuoco costituisce una procedura speciale derogatoria alla norma generale che prevede l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso. Tale procedura è stata disciplinata con decreto del Ministro dell'interno del 30 luglio 2007 e ha consentito di immettere personale già qualificato nei ruoli operativi del Corpo ed, al contempo, di non disperdere le professionalità acquisite in anni di servizio volontario. Ai fini dell'assunzione di nuovo personale, il Ministero ha bandito, nel corso del 2008, anche un concorso per 814 vigili del fuoco, prevedendo comunque una riserva del 25 per cento dei posti per il personale volontario iscritto in appositi elenchi da almeno tre anni e con almeno centoventi giorni di servizio (decreto legislativo n. 217 del 2005) –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di provvedere allo scorrimento parallelo delle graduatorie in corso di vigenza al fine di evitare da una parte, il disperdersi del bagaglio tecnico professionale acquisito, e, dall'altra, di evitare la possibilità di sterili ed inutili «guerre tra graduatorie», graduatorie che invece con il loro scorrimento possono consentire ad un Corpo nazionale oggi penalizzato negli organici di avere una ingente boccata di ossigeno;
   a valutare l'opportunità di prevedere nuove forme di accesso riservate al personale volontario con cadenza periodica prestabilita una volta portato a compimento il totale esaurimento della graduatoria di stabilizzazione del personale volontario-discontinuo del Corpo nazionale vigili del fuoco inserito nella graduatoria di stabilizzazione di cui al decreto ministeriale n. 1996 del 2008, assumendo iniziative nel contempo per una totale revisione del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004. (4-01090)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'offerta formativa scolastica di corsi per adulti non è più limitata solo alla lingua e cultura italiana ma anche per i corsi di studi professionali e tecnici previsti dall'ordinamento scolastico italiano;
   tale offerta deve essere disponibile in tutte le province italiane e in tutti gli indirizzi scolastici sia industriali, che commerciali, che agrari;
   in molte province italiane non sono stati attivati i corsi serali per adulti negli indirizzi degli istituti professionali agrari e negli istituti tecnici agrari;
   alcuni di tali indirizzi rivestono un'importanza fondamentale per l'economia locale, quali ad esempio: l'indirizzo «vitivinicolo» esistente presso l'istituto tecnico agrario A. Ciuffelli di Todi ed anche l'indirizzo «agroambientale» esistente presso l'istituto professionale U. Patrizi di Città di Castello –:
   se non ritenga di adottare iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire il diritto allo studio agli adulti residenti nel territorio della provincia di Perugia che al momento non possono usufruire di una completa offerta formativa di corsi di studi professionali. (3-00156)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, BRESCIA, LUIGI GALLO, VACCA, SIMONE VALENTE, D'UVA, BATTELLI, MASSIMILIANO BERNINI, CHIMIENTI, PARENTELA, DI BENEDETTO, LOREFICE, DALL'OSSO e GRILLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'avvio del nuovo anno scolastico, le vecchie problematiche relative al sostegno per gli alunni in situazione di difficoltà confermano il loro mancato superamento;
   sono 100 mila alunni con ADHD, secondo stime dell'Istituto superiore di sanità, 400mila studenti con «funzionamento cognitivo limite», cioè con lieve ritardo mentale o di maturazione, oltre 200mila alunni con DSA, tra il 3 e il 5 per cento della popolazione scolastica; ci sono poi i ragazzi stranieri con difficoltà nella lingua, soprattutto i neo arrivati in Italia, che sono tra il 5 e il 10 per cento dei 750 mila alunni con cittadinanza non italiana;
   ad oltre trent'anni dall'emanazione della legge n. 517 del 1977, che ha dato avvio al processo di integrazione dei ragazzi con disabilità nelle scuole pubbliche, si può affermare che i risultati conseguiti mostrano in Italia un grave ritardo nel fornire strumenti di intervento che facilitino l'azione educativo-didattica;
   il 6 marzo 2013 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato la circolare ministeriale n. 8 che richiama l'attenzione sulla direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 a titolo «Strumenti d'intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica»;
   la circolare evidenzia la necessità di attivare una personalizzazione della didattica attraverso un percorso individualizzato e personalizzato, rivolto a tutti gli «studenti in difficoltà», vale a dire, come si legge nel primo capoverso, «all'intera area dei bisogni educativi speciali (BES), comprendente: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana poiché appartenenti a culture diverse», come in uso presso altri Paesi europei e non;
   è compito doveroso dei consigli di classe o dei team dei docenti nelle scuole primarie indicare in quali casi, escluse le situazioni di disabilità e di disturbi specifici di apprendimento, sia opportuna e necessaria l'adozione di una personalizzazione della didattica, dando luogo al piano didattico personalizzato, ed eventualmente di misure compensative o dispensative;
   è richiesto il possesso da parte dei docenti di competenze pedagogiche e didattiche adeguate all'applicazione immediata della circolare ministeriale;
   di fatto si sta configurando uno scenario assai preoccupante rispetto agli organici scolastici che, in base alle direttive che avrebbero la pretesa di perseguire una «politica per l'inclusione», saranno investiti di problematiche e responsabilità inedite e di enorme portata;
   si consideri, inoltre, che in generale le disposizioni degli uffici scolastici competenti per regione, risultano, in via applicativa, restrittive: l'USR Lazio con protocollo 10187, per quanto riguarda l'aggiornamento delle certificazioni relative ai casi di disabilità, ha disposto: «Questo Ufficio, al fine di determinare l'assegnazione di posti di sostegno in deroga per gli alunni con disabilità che si trovino in condizione di particolare gravità (articolo 3, comma 3, legge n. 104 del 1992), ha necessità di acquisire la relativa certificazione medica (...) entro e non oltre il 20 maggio p.v.»;
   al contrario, le ASL, pur essendosi attivate, hanno già comunicato che non saranno in grado per quest'anno di aggiornare tempestivamente tutte le certificazioni profilandosi in tal modo la concreta possibilità che nel prossimo anno scolastico (2013/14) ci sia una riduzione drastica e deleteria del servizio adeguato alla gestione dei bisogni degli alunni con handicap, con conseguenti ricadute su organici, formazione delle classi e servizio scolastico complessivo;
   ciò rischia di tradursi infatti in un aumento degli alunni per classe e di conseguenza in una contrazione nella formazione delle classi, nonché in una ricaduta sul carico di lavoro degli insegnanti curricolari poiché, laddove non sussista più la certificazione di disabilità, l'alunno verrebbe «travasato» nel contenitore dei BES e quindi a diretto carico didattico degli insegnanti di classe, con scenari più problematici nella scuola primaria con il modello dell'insegnante unico, risultando davvero a rischio il diritto all'inclusione –:
   se il Ministro interrogato intenda concedere la proroga di almeno un anno per l'adeguamento e l'aggiornamento delle certificazioni riguardanti l'handicap che sono in via di richiesta presso gli uffici competenti;
   se intenda assicurare attività formative al personale dirigente e docente delle scuole circa le strategie di individuazione dei bisogni educativi speciali e di didattica adeguata. (5-00481)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale amministrativo della regionale Sicilia – sezione distaccata di Catania (sezione Seconda) – il 18 febbraio 2013 con Sentenza n. 523 sul ricorso numero di registro generale 1262 del 2012, proposto dai genitori di 2 alunni dell'ICS di Valverde (Catania), ha deliberato che l'adozione dell'orario delle lezioni distribuito su cinque giorni settimanali – dal lunedì al venerdì, in funzione del quale il monte ore settimanali è stato ridotto da 30 a 27 ore – non corrisponde a quanto previsto dal Piano dell'offerta formativa consegnato alle famiglie al momento dell'iscrizione dei bambini alla prima classe;
   peraltro, già il C.G.A. Palermo in data 5 settembre 2013, prima dell'inizio dell'anno scolastico 2012/2013, aveva concesso la sospensiva delle delibere impugnate con la seguente motivazione «le modifiche contestate non tengono conto adeguatamente delle esigenze formative degli alunni che sarebbero assoggettati da un orario eccessivamente lungo». Infatti, secondo quanto deliberato dal consiglio d'istituto coi provvedimenti impugnati, l'orario scolastico prevedeva che le classi dalle prime alle quarte elementari avrebbero effettuato lezione (a fronte di un monte ore settimanali immotivatamente ridotto da 30 a 27) dal lunedì al venerdì dalle 8.10 alle 13.40 (con unità oraria ridotta a 55 minuti); le quinte elementari e le scuole medie (con monte settimanale obbligatorio di 30 ore) sarebbero state organizzate dal lunedì al venerdì con orario dalle ore 8.10 alle ore 14.10, per un totale di 6 ore di lezione al giorno, consecutive, senza pausa pranzo. Una forzata «settimana corta» con attività scolastica solo antimeridiana;
   si è a conoscenza del fatto che successivamente alla citata sentenza del TAR Catania la dirigente scolastica dell'istituto in oggetto abbia decretato il ripristino dell'orario delle 30 ore settimanali solo ed esclusivamente per le due classi frequentate dai figli dei due genitori ricorrenti, anziché per tutte le classi intermedie, come da sentenza, e in più i genitori «non ricorrenti» hanno ottenuto dalla dirigente l'autorizzazione a prelevare i propri figli un'ora prima del dovuto;
   tale azione ha determinato il palesarsi di una grave ritorsione nei confronti dei minori – figli dei genitori ricorrenti – che, reintegrati nel loro diritto, sono stati costretti a rimanere isolati nelle rispettive classi e discriminati per una campagna di rivalsa offensiva del diritto e della deontologia professionale nonché degli obblighi del pubblico dipendente;
   i genitori ricorrenti hanno inteso tutelare il diritto alla formazione e all'istruzione degli alunni e che non possono per questo divenire oggetto di ritorsione né gli stessi genitori e meno che mai i loro figli;
   visto il rilievo della notizia è intervenuto anche il sindacato che attraverso la pubblicazione di un comunicato dello scorso 6 giugno 2013 ha dichiarato che «(...) Il pronunciamento del Tar rende evidente le forzature di un sistema scolastico siciliano che pur di ricorrere alla settimana corta, che prevede 30 ore settimanali, e non 40, è disposto a sacrificare ore di lezione fuori da quanto stabilito dalla legge, restringendole addirittura a 27. Tutto questo mentre gli alunni del centro e del nord d'Italia frequentano solitamente 40 ore a settimana; in cinque anni sarebbero 2.145 ore in meno e conseguenziali tagli di posti in organico in un ambito in cui i precari della scuola cercano, al contrario, nuove occasioni di lavoro»;
   il Tar ha obbligato la scuola a mantenere il monte delle trenta ore (e non delle 27 come era stato predisposto dall'istituto) a seguito del ricorso di due genitori che hanno scelto di non privare i propri figli, così come prevede la legge nel rispetto del diritto alla continuità, di preziose ore di studio, seppur condividendo la formula della settimana corta, che sfocia come in tante scuole nel sabato libero ma a fronte di necessari rientri pomeridiani, su cui distribuire le lezioni del sabato;
   l'organizzazione oraria dell'attività didattica è libera nell'esercizio dell'autonomia scolastica, va però esercitata all'interno di un quadro regolativo che ne stabilisce natura, scopi e limiti;
   tale fenomeno di libero arbitrio dell'esercizio dell'autonomia scolastica non è un fenomeno isolato ma interessa la quasi totalità delle scuole della regione Sicilia, generando un decadimento della qualità dell'offerta formativa, un inconfutabile peggioramento della qualità del rapporto insegnamento-apprendimento, il mancato rispetto dei naturali ritmi fisiologici e psicologici dei bambini;
   l'organizzazione oraria oggetto del ricorso al TAR Catania secondo l'interrogante per la riduzione del monte ore settimanale si pone in contrasto con il decreto interministeriale sugli organici, la circolare ministeriale n. 25 del 29 marzo 2012, che in presenza di risorse di organico sufficienti (come nel caso a mano), tutela e garantisce, assegnandogli priorità assoluta, il diritto al mantenimento dei quadri orari degli anni precedenti; per la riduzione dell'unità oraria non recuperata: il decreto del Presidente della Repubblica n. 275/1999 che all'articolo 4 comma 2/b prevede la definizione di unità d'insegnamento non coincidenti con l'unità oraria a fronte dell'utilizzazione degli spazi orari residui nell'ambito del curricolo obbligatorio. Tale recupero dovrebbe quindi essere previsto nel Pof; per l'assoggettamento dei bambini a sei ore di lezione consecutive senza pause pranzo e senza i necessari rientri pomeridiani: il decreto del Presidente della Repubblica n. 275/1999 che all'articolo 1, comma 2 specifica che l'autonomia si sostanzia nella progettazione e realizzazione di interventi adeguati alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti (nel caso bambini dai 5 ai 13 anni) con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento (6 ore al giorno non rappresentano un miglioramento dell'offerta formativa); e ancora il decreto del Presidente della Repubblica n. 89/2009 che all'articolo 5 comma 4 rende obbligatoria per le classi a tempo prolungato di 36 ore settimanali (come stabilito dal comma 3 del medesimo articolo) lo svolgimento di attività in fasce orarie pomeridiane, impedendo quindi di poter ricorrere a 6 ore consecutive su 6 giorni. Per evidente analogia non sono fattibili sei ore consecutive su 5 giorni come previsto dalla organizzazione oraria impugnata –:
   se il Ministro interrogato, in considerazione delle notizie succitate intenda verificare e richiamare al rispetto degli scopi dell'autonomia scolastica e del quadro normativo che la definisce, per assicurare il regolare avvio del prossimo anno scolastico nell'ICS di Valverde (Catania), come in tutte le scuole della regione Sicilia, nell'adempimento della pronuncia del Tar e nel rispetto del diritto allo studio degli alunni e della qualità dell'offerta formativa;
   se il Ministro interrogato non ravveda la necessità di monitorare gli effetti degli ulteriori tagli agli organici causati dal distorto esercizio dell'autonomia scolastica affinché a tutti gli studenti vengano garantite uguali opportunità di apprendimento, sia dal punto di vista qualitativo (adeguata distribuzione delle attività didattiche) sia sotto l'aspetto delle possibilità di scelta tra diverse organizzazioni orarie (settimana corta e settimana lunga).
(4-01081)


   ZAMPA e IORI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti stampa che il professor Luciano Favini, funzionario del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha dichiarato di non poter proporre come tema per gli esami di maturità «un tema storico sul genocidio degli armeni che va a colpire la particolare sensibilità della Turchia»;
   il genocidio degli armeni, che portò alla deportazione e alla eliminazione di uomini, donne e bambini e costò la vita a un milione e mezzo di persone nella Turchia a partire dal 1915, è stato riconosciuto ufficialmente da 21 Stati tra cui la Russia, dalla Commissione ONU per i crimini di guerra, dal Parlamento europeo e dal Consiglio ecumenico delle Chiese;
   Papa Francesco – in occasione dell'incontro con il Patriarca di Cilicia degli Armeni il 3 giugno 2013 – ha ricordato come quello armeno sia stato «Il primo genocidio del XX secolo»;
   nonostante nel 2005, il Primo ministro turco Erdogan abbia invitato gli storici turchi, armeni ed internazionali a rivalutare i «fatti del 1915» usando gli archivi reperibili in Turchia, Armenia ed altri paesi, la Turchia continua a negare il genocidio e questo continua a comportare problemi anche nei negoziati con l'Unione europea –:
   se non ritenga pericolose affermazioni che salvaguardino la sensibilità del negazionismo come quelle citate, e se non ritenga opportuno chiarire la propria posizione su un tema così sensibile. (4-01089)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica in Italia colpisce soprattutto i giovani, creando difficoltà che si ripercuotono drammaticamente su molti aspetti della loro vita quotidiana, come il problematico inserimento nel mondo del lavoro;
   esistono anche le difficoltà per i giovani di emergere nel mondo della libera impresa o di far valere il proprio talento e la propria creatività in relazione alle diverse professioni ed attività produttive;
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2000, in attuazione dell'articolo 45, comma 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144 ha previsto incentivi per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, al fine di favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale nonché lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese;
   le disposizioni contenute nel decreto di cui sopra sono dirette a:
    a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditorialità, anche in forma cooperativa;
    b) promuovere la formazione imprenditoriale e la professionalità dei nuovi imprenditori;
    c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile;
    d) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi;
    e) promuovere la formazione imprenditoriale e la professionalità delle donne imprenditrici;
    f) favorire la creazione e lo sviluppo dell'impresa sociale;
    g) promuovere l'imprenditorialità e la professionalità dei soggetti svantaggiati;
    h) agevolare l'accesso al credito per le imprese sociali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381;
    i) favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità in agricoltura;
    l) promuovere l'imprenditorialità e la professionalità degli agricoltori;
    m) agevolare l'accesso al credito per i nuovi imprenditori agricoli;
   le misure incentivanti di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000 sono applicabili nei territori di cui ai nuovi obiettivi 1 e 2 dei programmi comunitari, nelle aree ammesse alla deroga di cui all'articolo 87 (già articolo 92), paragrafo 3, lettera c), del trattato di Roma, come modificato dal trattato di Amsterdam, nonché nelle aree svantaggiate di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 14 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 1995, n. 138, e successive modificazioni;
   ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 185 del 2000 ai soggetti ammessi alle agevolazioni sono concedibili i seguenti benefici:
    a) contributi a fondo perduto e mutui agevolati, per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall'Unione europea;
    b) contributi a fondo perduto in conto gestione, secondo i limiti fissati dall'Unione europea;
    c) assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative;
    d) attività di formazione e qualificazione dei profili imprenditoriali, funzionali alla realizzazione del progetto;
   in attuazione del citato decreto legislativo sono stati erogati nell'arco temporale 2000-2012 incentivi per complessivi circa 4 miliardi di euro che hanno consentito l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali con conseguente creazione di un significativo numero di posti di lavoro per un totale di circa 180 mila nuovi occupati, oltre all'occupazione aggiuntiva creata dall'indotto di tali attività; in particolare, una percentuale significativa degli aspiranti beneficiari sono stati donne e giovani (rispettivamente il 44 per cento e il 51 per cento del totale);
   le agevolazioni previste dal decreto n. 185 del 2000 con riferimento all'autoimpiego e all'autoimprenditorialità sono state gestite da Invitalia — Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa — che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo;
   Invitalia, in qualità di soggetto gestore della selezione e dell'erogazione dei predetti incentivi, aveva, nel recente passato, segnalato l'insufficienza dei fondi stanziati a tale scopo e dunque la necessità di prevedere ulteriori assegnazioni al fine, di garantire la continuità operativa delle attività oggetto dell'intervento normativo, circostanza quest'ultima riportata anche nella determinazione n. 15 del 2013 da parte della sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti recante il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della suddetta Agenzia per l'esercizio 2011;
   nella Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2013 n. 96 è stato pubblicato l'avviso con cui Invitalia ha reso noto l'avvenuto esaurimento delle risorse finanziarie disponibili in riferimento agli incentivi da erogare per gli interventi rispettivamente previsti dal Titolo I e II del decreto legislativo n. 185 del 2000, con conseguente impossibilità di soddisfare ulteriori domande di agevolazione;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, nel corso delle comunicazioni sulle linee programmatiche del Governo rese il 29 aprile 2013 alla Camera dei deputati, ha affermato parlando della condizione dei giovani che: «... solo i giovani possono ricostruire questo Paese: le loro nuove esperienze e competenze ci raccontano un mondo che cambia, il loro mondo. Rinunciare ad investire su di loro è un suicidio economico. Ed è la certezza di decrescita, la più infelice.»; e con riferimento al lavoro e all'impresa: «Dobbiamo anche valorizzare il lavoro autonomo e le libere professioni, che in una società postindustriale rappresentano la spina dorsale della nostra economia. Ora bisogna lavorare tutti insieme per formare e dare opportunità ai giovani, innalzare la qualità, servire al meglio i clienti.». «Per rilanciare il futuro industriale del Paese, bisogna scommettere sullo spirito imprenditoriale (...). Si tratta di fare una politica industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo italiano» –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di prevedere il rifinanziamento delle misure contenute nel decreto legislativo n. 185 del 2000 che i dati statistici considerano validi strumenti d'incentivazione alle imprese e allo sviluppo occupazionale. (4-01070)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato MBF/SIFUS rappresenta il movimento dei braccianti e dei forestali sul territorio nazionale, e in particolar modo in Sicilia;
   il segretario generale del MBF/SIFUS, Maurizio Grosso, ha posto all'attenzione dell'INPS di Catania, la problematica relativa al blocco, da parte dell'INPS, dell'erogazione della indennità di disoccupazione per i braccianti agricoli;
   i braccianti agricoli a cui sono state bloccate le erogazioni delle indennità di disoccupazione sono circa 1.000 e, la maggior parte di essi ricadono nei comuni di Adrano, Paternò e Biancavilla (Catania);
   risulta all'interrogante che la motivazione adottata dall'INPS è che le aziende presso cui i braccianti agricoli hanno prestato lavoro sarebbero irregolari;
   il sindacato MBF/SIFUS ha inviato una nota all'INPS in cui chiede che venga aperto immediatamente un tavolo di concertazione tra le parti al fine di giungere, nel più breve tempo possibile, alla soluzione della vicenda;
   i controlli effettuati dagli ispettori dell'INPS stanno producendo, di fatto, un enorme ridimensionamento del fenomeno cosiddetto delle «aziende fasulle produttrici di braccianti agricoli fantasma»;
   la funzione degli ispettori dell'INPS, in verità non sta tutelando e garantendo il lavoro subordinato che si è creato tra le aziende irregolari e il bracciante, che in esse e per conto di esse, ha lavorato in una o più fasi della produzione agricola, bensì sta danneggiando quei lavoratori che hanno prestato regolarmente il proprio lavoro e che nulla potevano sapere del fatto che l'azienda fosse o meno in regola con le disposizioni di legge vigenti;
   le modalità con cui l'INPS avvia le procedure di controllo aziendali, a parere dell'interrogante, sono alquanto discutibili, nel momento in cui i controlli ispettivi vengono effettuati parecchi mesi dopo che il rapporto di lavoro tra datore e bracciante agricolo si è consumato;
   la documentazione a supporto che l'INPS utilizza quale causale giustificativa del blocco nel pagamento delle indennità di disoccupazione, riguarda essenzialmente atti che le aziende forniscono su richiesta degli ispettori dell'ente;
   risulta paradossale che gli ispettori dell'INPS chiedano alle aziende la documentazione attestante il rapporto di lavoro subordinato, quando alcune di esse sono la vera causa della distorsione delle regole del diritto dei braccianti a ricevere l'indennità di disoccupazione, che costituisce in questo preciso periodo dell'anno un'integrazione sostanziale al reddito famigliare;
   la suddescritta metodologia di ricostruzione del rapporto di lavoro, non solo è paradossale, ma anche surreale perché le aziende spregiudicate possono produrre un falso documentale che difficilmente può essere controvertito dagli ispettori visto che non sono ispettori dell'Agenzia delle entrate;
   l'incongruenza dei fatturati di alcune aziende fasulle, rispetto al numero degli assunti, non può essere l'elemento cardine su cui si basa il blocco del pagamento delle indennità di disoccupazione: vi è la necessità di fare i controlli nel mentre il rapporto di lavoro si sta consumando e non ex post;
   i braccianti agricoli non vengono, il più delle volte, ritenuti fonti attendibili dagli ispettori dell'INPS perché visti come compartecipi della distorsione giuridica di un diritto quale è l'indennità di disoccupazione in agricoltura –:
   quali interventi urgenti i Ministri interrogati intendano adottare per dirimere la vicenda suddescritta;
   se non si ritenga opportuno sollecitare l'INPS nell'avviare i controlli ex ante per ridimensionare e, successivamente, azzerare il fenomeno conosciuto come «aziende fasulle produttrici di braccianti agricoli fantasma»;
   se non si ritenga urgente porre in essere le iniziative necessarie per accelerare la costituzione del tavolo tecnico di concertazione tra l'INPS, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il sindacato MBF/SIFUS, rispetto alla definizione delle modalità di liquidazione delle indennità di disoccupazione in agricoltura. (5-00482)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO, CECCONI, DI VITA, DALL'OSSO, LOREFICE e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 62, comma 1, del vigente A.C.N. (Accordo Collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale – ai sensi dell'articolo 8 decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni) è previsto che «Al fine di garantire la continuità dell'assistenza per l'intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana, le aziende, sulla base della organizzazione distrettuale dei servizi e nel rispetto degli indirizzi della programmazione regionale, organizzano le attività sanitarie per assicurare le realizzazione delle prestazioni assistenziali territoriali non differibili, dalle ore 10 del giorno prefestivo alle ore 8 del giorno successivo al festivo e dalle ore 20 alle ore 8 di tutti i giorni feriali»;
   ad oggi pertanto si è delineata una situazione all'interno della quale i medici di base ed i pediatri effettuano ambulatorio dal lunedì al venerdì dalle 08.00 alle 20.00 e la guardia medica opera dalle 20.00 alle 08.00 durante i giorni feriali e dalle ore 10.00 del giorno prefestivo alle ore 08.00 del giorno successivo al festivo;
   la dizione «prefestivo» è di per se generica e nell'operatore può generare confusione, in quanto con tale dizione si può intendere sia il sabato e sia il giorno infrasettimanale quando il giorno festivo capita infrasettimanale;
   quando il giorno prefestivo è infrasettimanale tuttavia si è delineata una situazione in cui operano sia le guardie mediche e sia i medici di base ed i pediatri con una duplicazione delle competenze e della relativa spesa per il Servizio sanitario nazionale e regionale;
   attualmente in tutta Italia tale dizione generica sta facendo sì che per «prefestivo» si intendono anche i prefestivi infrasettimanali come il prossimo mercoledì 14 agosto 2013 e tutti i prefestivi delle feste patronali cioè in giorni in cui gli ambulatori dei medici di medicina generale e quelli dei pediatri convenzionati devono essere obbligatoriamente aperti al pubblico e di conseguenza in tali giorni fare funzionare il servizio di continuità assistenziale di mattina è un inutile e costoso doppione assistenziale;
   solo nella regione Campania ogni tale inutile turno di servizio costa oltre 100.000 (centomila) euro;
   ai sensi dell'articolo 65 commi 1 e 2 del citato ACN: «Il conferimento dell'incarico a tempo indeterminato di continuità assistenziale avviene per un orario settimanale di 24 ore.
  2. Ai medici di continuità assistenziale titolari di incarico a 24 ore, che esercitano l'attività in forme associative funzionali ed a progetti assistenziali ad essa correlati, definiti nell'ambito degli Accordi regionali ed Aziendali, sono attribuite ulteriori 4 ore per attività istituzionali non notturne collegate anche con prestazioni aggiuntive e non concorrono alla determinazione del massimale orario. Sono fatti salvi gli Accordi regionali vigenti in materia»;
   presso la regione Campania le ore 4 aggiuntive settimanali di cui al citato comma 2, che non concorrono alla determinazione del massimale orario, vengono svolte anche in assenza delle condizioni giustificative, vale a dire anche in assenza cioè in attività distrettuali. Ebbene risulta che nella regione Campania è consuetudine inglobare tali ore aggiuntive nel monte ore e per tale motivo i medici di continuità assistenziale titolari di incarico a 24 ore settimanali svolgono 120 ore mensili anziché 104 cioè di fatto fanno un sistematico lavoro straordinario di 16 ore mensili non previsto per tale categoria di personale;
   tali ore potrebbero essere utilizzate per assumere presso la regione Campania a zero spese oltre 200 medici migliorando di conseguenza, oltre a consentire nuove assunzioni, anche l'assistenza sanitaria agli utenti –:
   se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di questa situazione;
   quali attività di competenza intenda effettuare il Ministro al fine di arginare un simile operato, posto che un tale modo di operare appare come inutile sperpero di risorse e denaro pubblico. (4-01066)


   MORANI, MORETTI, RAMPI, MANZI, MALPEZZI, CIMBRO, CULOTTA, MAURI, BINI e COPPOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i recenti fatti di cronaca relativi alla produzione e all'impiego di cellule staminali a fini curativi hanno suscitato preoccupazione ed incertezza tra i pazienti ed i loro familiari, che in alcuni casi si sono visti negare la possibilità di accedere alle cure, pregiudicando la speranza di un possibile trattamento di tali patologie;
   la rilevanza e la delicatezza dell'argomento richiedano il massimo grado di approfondimento e di confronto fra tutti i livelli decisionali e non sembrano rientrare nell'esercizio dell'ordinaria amministrazione, tipica della fase istituzionale attuale –:
   se trovino conferma le notizie secondo le quali il Ministro interrogato intenderebbe intervenire sulla disciplina della produzione e dell'uso terapeutico delle cellule staminali e, nel qual caso, se non ritenga più opportuno che la materia sia rimessa nella disponibilità del nuovo esecutivo. (4-01071)


   BIONDELLI, ANTEZZA e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i recenti fatti di cronaca relativi alla produzione e all'impiego di cellule staminali a fini curativi ha generato preoccupazione ed incertezza tra gli oltre 500 pazienti affette da gravi malattie neurodegenerative che attendono di essere curate ed i loro familiari;
   è inaccettabile per i pazienti e per i loro familiari che non ci sia chiarezza giuridica sulle cure a base di cellule staminali e che, ogni volta, la possibilità o meno di essere curati sia affidata alla sentenza di un tribunale;
   il Ministro della salute attualmente in carica, intervenuto sulla questione, ha annunciato un decreto che modifica le regole sull'uso di medicinali personalizzati, non ancora autorizzati, prescritti caso per caso –:
   quando e quali misure urgenti il Ministro intenda adottare, pur nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, per fare finalmente chiarezza sull'uso di medicinali personalizzati, non ancora autorizzati, ed in particolar modo sulla produzione e sull'utilizzo curativo delle cellule staminali per dare finalmente risposte concrete a tutte quelle persone che oggi si possono avvalere di tali terapie solo dopo lunghi e faticosi iter giuridici.
(4-01072)


   MAGORNO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte in Italia e il numero di persone colpite da infarto miocardico acuto in Italia è attualmente stimato intorno a 120.000 all'anno di cui solo 90.000 raggiungono vivi l'ospedale, mentre 30.000 muoiono a causa della mancanza di tempestività nel soccorso oppure per «morte improvvisa»;
   i dati nazionali rapportati alla popolazione dell'Alto Tirreno Cosentino (ex ASL n. 1), attualmente inserita nell'ASP provinciale di Cosenza, fanno evidenziare che l'incidenza di infarto miocardico acuto in questa area è di circa 400 casi all'anno e di questi circa 80 muoiono a causa della mancanza di un soccorso tempestivo;
   attualmente la terapia più efficace nell'infarto è l'angioplastica (PTCA) che deve essere però praticata in tempi inferiori alle 2 ore dalla comparsa del dolore e questo è possibile solo con l'integrazione e il coordinamento territoriale dei sistemi di emergenza;
   in Calabria la distribuzione territoriale dei laboratori di emodinamica in grado di effettuare tale trattamento è la seguente: Cosenza, Catanzaro (3 centri), Belvedere Marittimo, Castrovillari (non ancora 24 ore), Reggio Calabria;
   l'Alto Tirreno Cosentino necessita di una struttura per l'urgenza-emergenza (P.S.) che sia in grado di assicurare il trattamento dei pazienti cardiologici acuti che non arriveranno mai vivi al capoluogo di provincia, Cosenza, che è la sede più vicina;
   il comune di Belvedere Marittimo è situato al centro dell'Alto Tirreno Cosentino ed è facilmente raggiungibile;
   nel suddetto comune già esiste la casa di cura Tricarico Rosano, una struttura attrezzata con un pronto soccorso autonomo attivo dal 1990 che eroga oltre 12.000 prestazioni, che è centro cardiologico dotato di tecnologie e professionalità per il trattamento in angioplastica dell'IMA nonché centro aritmologico di 2o livello con un'elisuperficie per elisoccorso, collaudata ed autorizzata dall'ENAC, e già utilizzata dal 118;
   lo sviluppo del territorio, il bacino d'utenza di 150.000 abitanti che aumenta considerevolmente in alcuni periodi dell'anno (in estate, da giugno a settembre con punte di 750/800.000 ad agosto; a Natale; a Pasqua, e altro) giustificano ampiamente l'inserimento della casa di cura Tricarico Rosano nella Rete Urgenza/Emergenza dell'Alto Tirreno Cosentino –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto su esposto;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere perché venga concessa l'autorizzazione ministeriale per il riconoscimento di un presidio cardiologico da inserire nella struttura sanitaria urgenza/emergenza di pronto soccorso (già attivo dal 1990 con decreto regionale), casa di cura Tricarico Rosano, al fine di migliorare la qualità dell'assistenza cardiologica nonché di rendere tempestivi i soccorsi nelle situazioni di emergenza, in un comprensorio quale l'Alto Tirreno Cosentino che conta una popolazione di 70/80.000 abitanti destinata ad aumentare vertiginosamente nel periodo estivo. (4-01076)


   DELL'ORCO e SPADONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è un Paese ricco di acque superficiali, di acque minerali e termali e noto in tutto il mondo per la sua importante tradizione termale che risale all'epoca romana. Il settore dunque ha una potenzialità anche sul mercato internazionale forse mai adeguatamente sfruttata;
   da un punto di vista prettamente economico va evidenziato inoltre che, nel calo generale del turismo, il settore termale insieme a quello religioso sono i rami che hanno retto maggiormente rappresentando insieme circa il 25 per cento dell'intero fatturato e mostrando dunque potenzialità per rilanciare l'intero settore turistico italiano che non possono essere trascurate; il settore termale italiano ha un fatturato diretto di circa 850 milioni di euro ma genera un indotto che vale almeno undici volte tanto e occupa circa 16 mila persone direttamente e circa 80 mila in maniera indiretta;
   il settore termale italiano, è fiorito tra gli anni cinquanta e gli anni settanta, subendo poi un declino aggravatosi sempre più negli ultimi anni con la crisi del welfare e del sistema sanitario nazionale; in origine, il settore aveva una valenza essenzialmente terapeutica e curativa, mentre negli ultimi anni anche nel tentativo di rivitalizzare il settore si è andato associando al formalismo un più generale concetto di benessere e relax. Nonostante ciò il declino del settore non si è arrestato e negli ultimi tre anni, purtroppo, si sono persi però 7-8 mila posti di lavoro e si registra un calo preoccupante;
   l'Emilia Romagna essendo, insieme alla Toscana, la regione che ospita il maggior numero di stabilimenti termali è forse la regione che nel 2012 ha risentito maggiormente della crisi del settore dove si è raggiunta una flessione delle attività del 10 per cento. Come dichiarato dal presidente del consorzio del circuito termale dell'Emilia Romagna (Coter), tale calo è un effetto anche della contrazione turistica seguita al terremoto del maggio 2012;
   in particolare il polo termale più importante che risponde al nome di Salsomaggiore Terme e Tabiano Terme sta vivendo una profonda crisi complicata, tra l'altro, dal provvedimento contenuto nel decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica che all'articolo 6, comma 19 prevede che, per la società partecipate delle terme di Salsomaggiore e Tabiano, non è possibile effettuare ricapitalizzazione. Questo comporta ormai da anni, un lento ed inesorabile declino dell'azienda che è ormai allo stremo e ha già avviato da circa un anno la cassa integrazione per il lavoratori;
   come sostenuto anche da Federterme, per imboccare la strada della ripresa e dare una speranza alle città termali dell'Emilia Romagna e al termalismo italiano in generale è fondamentale investire in ricerca scientifica termale valorizzando le proprietà dell'acqua termale di tutti i siti termali coinvolti nella ricerca;
   lo strumento adatto a tale scopo era stato previsto dalla legge 24 ottobre 2000, n. 323, «Riordino del settore termale» che, all'articolo 6 comma 1, prevede che il Ministro della sanità può promuovere il coinvolgimento e la collaborazione delle aziende termali per la realizzazione di programmi di ricerca scientifica, di rilevazione statistico-epidemiologica e di educazione sanitaria, mirati anche ad obiettivi di interesse sanitario generale, ferme restando le competenze del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica di cui al decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204;
   nonostante ciò, dall'ormai lontano 2000, nulla è stato fatto in tal senso per le aziende termali dell'Emilia Romagna e più in specifico per il polo di Salsomaggiore Terme e Tabiano Terme, con un completo immobilismo anche da parte della regione che non ha provveduto neppure alla avvio delle procedure per poter ottenere il riconoscimento del marchio termale previsto dall'articolo 13 della legge n. 323 del 2000 –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano porre in essere per il settore termale;
   se si intenda avviare un percorso di ricerca che risulti di impulso all'economia di Salsomaggiore Terme e Tabiano Terme e di tutte le aziende termali dell'Emilia Romagna come già previsto dalla legge n. 323 del 2000. (4-01077)


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'intervista rilasciata ad Oggi, in edicola il 19 giugno 2013, il neurochirurgo Sergio Canavero, direttore del «Turin advanced neuro modulation group», afferma che «tra un paio d'anni saremo in grado di effettuare un trapianto di testa»;
   il dottor Canavero si riferisce al progetto, illustrato in un suo articolo su «Surgical neurology international», chiamato Heaven-Gemini (Head Anastomosis Venture with Cord Fusion), ovvero alla possibilità di fondere due diversi tratti di midollo spinale, quello di un corpo donato e il moncone nel collo del soggetto ricevente: per tale fusione, tentata in passato senza successo, sarebbe oggi disponibile la tecnologia necessaria;
   del progettato intervento – effettuato in ipotermia profonda (15 gradi centigradi), per tutelare il cervello – potrebbero beneficiare, in teoria, individui tetraplegici affetti da gravissime malattie neuro muscolari degenerative;
   nell'articolo su Surgical Neurology International, il dottor Canavero spiega di aver effettuato esperimenti con macachi e di aver usato dei polimeri inorganici, detti fusogeni, che dovrebbero «ricucire» la lesione midollare;
   quanto alle implicazioni etiche di questa procedura, il chirurgo afferma che è necessario pensare già da adesso alla regolamentazione di un tale intervento soprattutto al fine di evitare che «diventi una pratica spregiudicata nelle mani di chirurghi senza scrupoli»;
   l'annuncio del dottor Canavero è stato accolto con scetticismo da altri chirurghi. Ad esempio, Giulio Maira, direttore dell'istituto di neurochirurgia dell'università Cattolica, ha definito «fantascienza» la possibilità di eseguire un trapianto di testa. Alessandro Nanni Costa, presidente del Centro nazionale trapianti, afferma che «si tratterebbe di trapianti di strutture assolutamente complesse, di cui ancora ignoriamo tante cose», ed invita ad attenersi «alla sfera della realtà» –:
   se il progetto Heaven-Gemini sia finanziato con fondi pubblici, nazionali o comunitari, se sia soggetto ad autorizzazioni e quali;
   se nel rilasciare le eventuali autorizzazioni siano state adeguatamente valutate le implicazioni etiche e legali della procedura allo studio;
   quanti siano i primati di cui è stato autorizzato l'utilizzo, nell'ambito del progetto, ai sensi del decreto legislativo n. 116 del 1992;
   quanti di essi abbiano già perduto la vita. (4-01091)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la coesione territoriale, per sapere – premesso che:
   la legge finanziaria per il 2007 e le successive modificazioni ed integrazioni hanno introdotto nel nostro Paese, a seguito dell'esperienza francese, le zone franche urbane;
   le zone franche urbane sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, con l'obiettivo prioritario di favorire lo sviluppo di zone e quartieri caratterizzati da situazioni di disagio sociale, economico e occupazionale e con potenzialità di sviluppo inespresse;
   ogni comune, con popolazione pari a 25 mila abitanti, poteva presentare un progetto per l'insediamento della zone franche urbane nel proprio territorio;
   la circolare n. 1418 del 26 giugno 2008, del Ministero dello sviluppo economico individuava i requisiti di ammissibilità e di valutazione per i progetti proposti dalle amministrazioni comunali;
   con la delibera del 30 gennaio 2008, n. 5, il CIPE ha definito i criteri e gli indicatori per l'individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane, il cui numero è stato inizialmente determinato in 18, elevato poi a 22 dalla delibera CIPE n. 14 del 2009;
   per quanto riguarda i finanziamenti, l'articolo 1, comma 340, della legge n. 296 del 2006, ha previsto per il fondo delle zone franche urbane una dotazione di 50 milioni, per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi nelle zone stesse;
   successivamente, l'articolo 3, comma 5, della legge n. 99 del 2009, ha disposto che il Cipe, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione del Fondo per le aree sottoutlizzate, destini una quota del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, fino al limite annuale di 50 milioni di euro per le zone franche urbane. La delibera CIPE, n. 30, del 2010 ha specificato che il suddetto finanziamento nel triennio 2010-2012 era di un importo complessivo di 150 milioni. La delibera CIPE n. 1 del 2011 ne ha disposto l'azzeramento;
   nel corso del 2011 è stata avviata, d'intesa con la Commissione Europea, l'azione per accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 sulla base di quanto stabilito dalla citata delibera CIPE n. 1 del 2011 e concordata nel Comitato nazionale del quadro strategico nazionale da tutte le regioni, dalle amministrazioni centrali interessate e dal partenariato economico e sociale;
   successivamente, l'articolo 37 del decreto-legge n. 179 del 2012, ha previsto un finanziamento di talune agevolazioni in favore delle piccole e medie imprese localizzate nelle zone franche urbane ricadenti nelle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Tale regime agevolativo viene esteso anche alle aree industriali delle medesime regioni, per le quali è stata già avviata una procedura di riconversione industriale, purché siano state precedentemente utilizzate per la produzione di autovetture e abbiano registrato un numero di addetti, precedenti all'avvio delle procedure per la cassa integrazione guadagni straordinaria, non inferiore a mille unità;
   in particolare, si ricorda che il comma 1 dell'articolo 37 del citato decreto-legge stabilisce che le risorse provenienti dalla riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 nell'ambito del Piano di azione coesione, nonché ulteriori risorse regionali possono essere destinate anche al finanziamento delle agevolazioni, in favore delle imprese di micro e piccola dimensione localizzate nelle zone franche urbane individuate dalla delibera CIPE n. 14 del 2009, ricadenti nelle Regioni ammissibili all'obiettivo «Convergenza». Al proposito si segnala che queste risorse riguardano le quattro Regioni dell'obiettivo «Convergenza» vale a dire Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Oltre alle zone franche urbane individuate dalla citata delibera n. 14 del 2009, il CIPE doveva provvedere ad individuare ulteriori zone franche urbane entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge;
   da ultimo si ricorda che le condizioni e le modalità delle agevolazioni sono rimesse ad un decreto interministeriale (Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell'economia e delle finanze);
   nell'incontro tenuto a Roma il 6 dicembre 2013, tra il presidente della regione Rosario Crocetta e il Ministro della coesione territoriale pro tempore Fabrizio Barca, la regione è riuscita ad ottenere lo sblocco di 150 miloni di euro per i venti comuni siciliani in graduatoria da due anni ZFU: nella speciale graduatoria, allora stilata dalla regione, Bagheria è al secondo posto subito dopo Palermo e Brancaccio –:
   quale sia lo stato di attuazione delle zone franche urbane in Sicilia e quali siano i tempi per la loro definitiva attuazione;
   se risulti quale sia la quota di risorse spettanti al comune di Bagheria.
(2-00121) «Giammanco, Mottola, Milanato, Elvira Savino, Laffranco, Bosco, Bernardo, Squeri, Alli, Calabria, Galati, Galan, Pili, Minardo, Vella, Castiello, Sammarco, Riccardo Gallo, Sarro, Pagano, Marotta, Leone, Latronico, Abrignani, Prestigiacomo, Gregorio Fontana, Misuraca, Catanoso, Bergamini, Vito, Polverini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1o gennaio 2010 anche per evitare l'imminente fallimento delle Industrie Pininfarina, con l'impegno della regione Piemonte, si concretizzava il passaggio alla De Tomaso della famiglia Rosignolo di 950 dipendenti (operai ed impiegati) dello stabilimento di Grugliasco in provincia di Torino e di 150 lavoratori dello stabilimento di Livorno;
   dal novembre 2010 dopo aver concluso attraverso il comando distacco alle industrie Pininfarina le commesse residue per Fiat Auto tutti i lavoratori venivano posti in cassa straordinaria per ristrutturazione per 24 mesi in attesa che partissero i corsi di formazione professionale atti a riconvertire la manodopera per i prodotti della De Tomaso;
   la cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione veniva trasformata nel marzo del 2012 in cassa per crisi dopo l'intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che accertava non essersi realizzati gli impegni e i propositi della De Tomaso per ristrutturare e rilanciare quello stabilimento;
   il 4 luglio 2012 veniva cessata la cassa per crisi, visto il fallimento della De Tomaso e da allora veniva attivato l'anno di cassa integrazione ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 223 per il fallimento;
   la cassa integrazione cesserà il 3 luglio 2013 e ad oggi ci risulta siano ancora più di mille lavoratori a libro matricola;
   la regione Piemonte attraverso SIT (Sviluppo investimento territorio) controllata al 99 per cento da Finpiemonte partecipazioni sta avviando un progetto per attrarre investimenti e imprese legato all'Automotive che dovrebbe fare perno sullo stabilimento di Grugliasco area di 62 mila metri quadri di cui è proprietaria la SIT stessa –:
   se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga necessario assumere iniziative per prorogare la cassa integrazione ai più di mille lavoratori del fallimento De Tomaso in modo da verificare la possibilità di una ricollocazione degli stessi nelle attività che si potrebbero insediare prioritariamente nel sito di Grugliasco e/o in altri piani di ricollocazione in attività lavorative nella provincia di Torino in modo da non aggravare ulteriormente dal punto di vista sociale una situazione di grave crisi produttiva come quella che sta vivendo l'are del torinese. (5-00479)


   AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2008 la Romi Brasile ha rilevato dall'amministrazione straordinaria l'allora Sandretto costituendo la Romi Italia, impegnandosi a garantire l'occupazione e gli investimenti che avrebbero dovuto innovare le presse per stampaggio materiale plastico di cui la Sandretto è uno storico marchio italiano;
   da allora a marzo 2012 gli addetti sono passati nei due siti di Grugliasco e di Pont Canavese da 260 agli attuali 149 addetti attraverso lo strumento della mobilità volontaria. La proprietà brasiliana della Romi non ha mantenuto, complice la crisi, gli impegni atti a garantire l'occupazione e gli investimenti;
   nel marzo 2012 la Romi ha annunciato la chiusura delle attività produttive in Italia con il conseguente licenziamento di tutti gli attuali 149 lavoratori e la chiusura dei due impianti piemontesi;
   per evitare questo a luglio 2012 i sindacati hanno firmato un accordo per una cassa integrazione per crisi respingendo la cessazione delle attività, con l'obiettivo di verificare visto il valore del prodotto e il valore del marchio l'esistenza di potenziali acquirenti. All'atto di quella intesa la Romi si era dichiarata disponibile a cedere l'attività;
   all'inizio di gennaio 2013 una cordata di imprenditori provenienti da più regioni italiane (Lombardia, Campania ed Abruzzo) ha presentato un impegno di acquisto con un dettagliato piano industriale che garantirebbe la permanenza dell'occupazione e del prodotto nel nostro Paese;
   di questo piano e di questo impegno sono a conoscenza anche gli uffici competenti degli assessorati al lavoro e alle attività produttive della regione Piemonte;
   da allora la proprietà brasiliana della Romi non si presenta più agli incontri convocati presso la regione Piemonte alimentando il sospetto di scaricare sul nostro Paese un'ulteriore perdita di posti di lavoro e di prodotto –:
   se il Ministro dello sviluppo economico ritenga che la Romi Brasile abbia ottemperato agli impegni assunti con l'amministrazione straordinaria al momento dell'acquisizione della società Sandretto;
   se il Ministro dello sviluppo economico non intenda intervenire presso il Governo brasiliano affinché si solleciti quella proprietà ad un corretto rapporto con i cittadini lavoratori del nostro Paese e con gli imprenditori italiani;
   quali iniziative si intendano assumere per evitare l'eventuale chiusura degli stabilimenti piemontesi in modo da non aggravare ulteriormente la crisi sociale ed occupazionale già molto forte in questa regione. (5-00480)


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 20 febbraio 2009, n. 23, nell'attuare la direttiva 2006/117/Euratom relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito, ha esteso l'obbligo di controllo radiometrico alle importazioni di prodotti semilavorati metallici;
   il successivo decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 100, ha previsto che con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con altri Ministri, dovessero essere elencati i prodotti semilavorati metallici oggetto della sorveglianza e che nelle more dell'emanazione di quel provvedimento il controllo dovesse essere effettuato su tutti i semilavorati elencati in via provvisoria dallo stesso decreto legislativo n.100 del 2011;
   da oltre due anni, dunque, lo sdoganamento di tutti i prodotti semilavorati metallici viene effettuato previo controllo radiometrico a carico degli importatori per il tramite di esperti qualificati iscritti in appositi albi;
   risulta che l'obbligo di controllo radiometrico nella fase di sdoganamento delle importazioni di prodotti semilavorati metallici non sia previsto dalle normative comunitarie, ma sia un adempimento introdotto esclusivamente dall'ordinamento nazionale;
   conseguentemente quel controllo costituisce un onere supplementare che grava sulla procedura di sdoganamento in Italia, mentre non sussiste nelle procedure di sdoganamento delle altre dogane comunitarie;
   a tutt'oggi non è stato emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con altri Ministri, per definire le categorie merceologiche rientranti nella definizione di «prodotti semilavorati metallici» con la conseguenza che il controllo radiometrico è attualmente molto esteso –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte ad armonizzare, in materia di controllo radiometrico, l'ordinamento nazionale con le direttive europee e con la prassi seguita dagli altri Stati europei in modo da non gravare le importazioni in Italia di oneri supplementari creando uno svantaggio competitivo per la logistica nazionale rispetto a quella degli altri Stati comunitari;
   se non reputi, qualora sia ritenuto indispensabile mantenere il controllo radiometrico sulle importazioni di prodotti semilavorati metallici presso le dogane, opportuno emanare urgentemente direttive volte a definire i prodotti rientranti nella definizione di «semilavorati metallici» al fine di limitarne il più possibile le categorie, anche tenuto conto che la gran parte dei prodotti metallici già viene sottoposta a controlli sanitari nella fase di sdoganamento. (5-00483)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Telespazio è una società mista, al 67 per cento di Finmeccanica e al 33 per cento di Thales, tra i principali operatori mondiali nella gestione dei servizi satellitari. La società ha sede a Roma e uno dei centri ha sede in Sicilia, a Piana degli Albanesi, nello Scanzano. In Italia ne esistono altri in Abruzzo, in Lombardia e in Basilicata;
   il Centro spaziale dello Scanzano è situato nei pressi dell'omonimo lago artificiale, a circa 40 chilometri da Palermo. L'orizzonte circolare garantisce un'ampia visibilità dell'arco di orbite geostazionarie con elevazione minima di 6°. La posizione del centro assicura una eccellente protezione naturale dalle interferenze elettromagnetiche. La favorevole posizione geografica del centro, rispetto alle regioni oceaniche dell'Atlantico e dell'Indiano, relativamente agli angoli di elevazione, permette la visibilità di gran parte dei satelliti delle due aree con condizioni operative ottimali. Il centro conta 7 antenne e dispone, inoltre, di 2 gruppi elettrogeni che garantiscono il non interrompimento dei servizi;
   nel giugno 2012, alla presentazione del piano industriale, l'amministratore delegato di Telespazio ha esposto i dati di ripresa della società in ambito nazionale e internazionale. In merito ai centri spaziali italiani ha dichiarato di avere raggiunto gli obiettivi di copertura per i centri del Fucino, in Abruzzo, e del Lario, in Lombardia, e di avere invece un problema per il centro dello Scanzano, in Sicilia;
   nell'ottobre del 2012, in un'audizione presso la Commissione attività produttive del Senato, l'amministratore delegato di Telespazio conferma la situazione di disagio del Centro siciliano, dichiarando perdite per circa 2 milioni di euro l'anno. Successivamente l'azienda ricorre alla cassa integrazione ordinaria a rotazione per 19 dei 26 lavoratori per 13 settimane;
   nel giugno del 2013 la società annuncia l'intenzione di voler passare dalla cassa integrazione ordinaria per carenza di commesse alla cassa integrazione straordinaria per dismissione del sito. La società non ha, dunque, proceduto al riequilibrio interno, ridistribuendo il lavoro nei vari centri in applicazione del principio solidaristico. Tale soluzione sarebbe stata auspicabile, considerato che gli altri centri spaziali nazionali sono pressoché saturi, come dichiarato dallo stesso amministratore delegato di Telespazio;
   il centro spaziale dello Scanzano ha un costo complessivo di circa 2 milioni di euro l'anno, mentre l'utile ricavato dagli altri centri nazionali è superiore ai 30 milioni di euro annui –:
   se il Governo conosca le ragioni che inducono la società a ritenere non redditizio il sito siciliano, pur dichiarando saturi i restanti siti esistenti sul territorio nazionale;
   se il Governo non intenda intervenire per salvaguardare il livello occupazionale del Centro Spaziale dello Scanzano e del relativo indotto, situati in un'area già fortemente depressa dal punto di vista economico come la Sicilia, che risulta penalizzata dalla scelta di investire sui poli produttivi situati nel resto del territorio nazionale e quali azioni, diverse dall'utilizzo degli ammortizzatori sociali, intenda intraprendere a tutela dei lavoratori;
   se non intenda utile l'istituzione di un tavolo con la regione siciliana, il comune di Piana degli Albanesi, Finmeccanica, Telespazio e le parti sociali utile a elaborare una nuova strategia, che salvaguardi il livello occupazionale e la sopravvivenza del Centro stesso dello Scanzano.
(4-01067)


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel contesto della riorganizzazione degli enti collegati ad Enea e nell'ambito della strategia governativa sul piano energetico nazionale, il personale e la maggior parte delle attrezzature della società FN spa, partecipata da Enea al 98,65 per cento con sede a Bosco Marengo (provincia di Alessandria), sono state trasferite nel marzo 2010 nel centro Enea di Saluggia (provincia di Vercelli), pur mantenendo a Bosco Marengo un vasto terreno adiacente al sito Sogin di Bosco Marengo ed alcune strutture in cui tuttora viene svolta attività di ricerca;
   la suddetta società si trova attualmente in gravi difficoltà finanziarie e non appare più in grado di garantire né le dotazioni strumentali allo svolgimento delle attività lavorative né il regolare pagamento degli stipendi ai lavoratori;
   l'interrogante evidenzia inoltre che i lavoratori, oltre a non ricevere con regolarità lo stipendio da alcuni mesi, subiscono il quotidiano disagio del trasferimento ad altra sede di lavoro, quella Enea di Saluggia –:
   se sia a conoscenza della grave situazione finanziaria concernente la FN SpA, le cui conseguenze gravi e penalizzanti, rischiano di ripercuotersi sui livelli occupazionali della medesima azienda;
   quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, al fine di porre le condizioni per superare l'attuale fase di emergenza, anche attraverso il trasferimento del personale presso la Sogin, e tutelare di conseguenza i livelli occupazionali con particolare riferimento alla sede Sogin di Bosco Marengo presso cui già lavoravano gli attuali dipendenti di FN spa, al fine di annullare i disagi dei lavoratori che risiedono quasi totalmente nei pressi di Bosco Marengo. (4-01068)


   CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Gazzetta Ufficiale serie generale n. 96 del 24 aprile 2013 si legge: «Si comunica, ai sensi dell'articolo 2, comma 3 del decreto legislativo n. 123 del 1998, l'avvenuto esaurimento delle risorse finanziarie disponibili concernenti gli incentivi in materia di autoimprenditorialità ed autoimpiego previste rispettivamente dal titolo I e II del decreto legislativo n. 185 del 2000. Si precisa inoltre che, sempre in base a quanto previsto dall'articolo 2, comma 3 del decreto legislativo n. 123 del 1998, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (INVITALIA) — in qualità di soggetto gestore delle misure agevolative previste dal decreto legislativo n. 185 del 2000 — restituirà, a spese degli istanti, la documentazione e le relative domande di agevolazione che non saranno soddisfatte»;
   come si legge dalla relazione della Corte dei conti, visto che la missione di Invitalia, sin dalla sua istituzione, è stata quella di promuovere, accelerare e diffondere lo sviluppo produttivo ed imprenditoriale per rafforzare la competitività del Paese, fungendo da catalizzatore di risorse pubbliche e private, di gestire per conto del Governo, la quasi totalità degli strumenti agevolativi nazionali, per sostenere i programmi di investimento presentati da nuove imprese o da imprese già avviate, soprattutto nei settori innovativi e con speciale attenzione verso le giovani forze imprenditoriali, di dare sostegno allo sviluppo di imprese nuove o già avviate; la stessa Corte dei conti che ha, però, espresso un parere negativo sulla classe dirigente nominata –:
   se non ritenga necessario, viste le nobili cause della nascita di questo progetto, reperire nuovi fondi per rifinanziare Invitalia ed effettuare un maggiore controllo sulle nomine e sulle retribuzioni della classe dirigente. (4-01079)


   NICOLA BIANCHI, AGOSTINELLI, MANLIO DI STEFANO, CIPRINI, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   presso Porto Torres (Sassari) negli impianti della Vinyls, Gruppo Sartor, azienda chimica prossima al fallimento, risultano circa 500 tonnellate di dicloroetano e cloruro di vinile, sostanze altamente infiammabili, tossiche, cancerogene;
   in base al decreto legislativo n. 334 del 1999 sul controllo dei pericoli di incendi rilevanti connessi con sostanze a rischio, fra i vari obblighi di sicurezza c’è un presidio permanente 24 ore su 24 per prevenire gli incendi e ridurne al minimo i danni in caso di incidenti;
   la Vinyls (che nel 2007 fatturava 247,6 milioni di euro, unica azienda italiana produttrice di pvc, con 370 dipendenti nei tre impianti di Porto Marghera, Ravenna e Porto Torres - 130 dipendenti nel 2007) ha già notificato che non ha risorse finanziarie per occuparsene e fino ai giorni scorsi erano in novanta lavoratori che continuavano a presidiare, gratuitamente e per senso di responsabilità, i serbatoi delle sostanze chimiche, nonostante non ricevano stipendio da cinque mesi;
   suddetti lavoratori, stanchi di tale inaccettabile situazione, hanno segnalato tramite comunicato stampa che: «I lavoratori del reparto Cv 22/23 sono stanchi dell'ennesimo incontro tenutosi nei giorni scorsi a Roma, nella sede del ministero dello Sviluppo Economico dal quale non sono scaturite soluzioni certe. Esausti dei continui rinvii, amareggiati per il proprio destino, senza stipendio da ormai sei mesi malgrado i presidi di sicurezza garantiti agli impianti a rischio di incidente rilevante e senza nessuna garanzia di poterne percepire qualcuno nel breve periodo... annunciano di deviare il trattamento acque a terra e non garantire più il supporto tecnico se entro giovedì prossimo, 20 giugno 2013, non dovessero ottenere risposte concrete sui pagamenti arretrati e futuri e di non garantire più i presidi di sicurezza che fino ad oggi con senso di responsabilità, hanno continuato a garantire»;
   l'area vasta di Porto Torres sta attraversando un periodo di crisi assoluta;
   secondo il Rapporto SENTIERI – studio epidemiologico, Ministero della salute, aree industriali di Porto Torres 2012 – nell'area industriale considerata si riscontrano fra i lavoratori «sia per gli uomini sia per le donne eccessi per il tumore del fegato e la leucemia mieloide, tumore polmonare e tumore della prostata» –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, siano a conoscenza di quanto sopra e come intendano attivarsi per scongiurare i rischi sociali e ambientali derivanti dalla situazione descritta, e come intendano tutelare i lavoratori che da troppo tempo vivono in una condizione di incertezza. (4-01082)


   RUOCCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la tutela dei consumatori si basa da sempre sulla trasparenza e sul rispetto delle condizioni contrattuali, requisiti senza i quali si rischia di ricadere in abusi che non possono essere giustificabili specie nei casi in cui una delle parti risulta essere in una condizione di forza rispetto all'altra;
   è accaduto svariate volte, tuttavia, che le compagnie di telefonia mobile non sempre hanno garantito chiarezza e trasparenza ai loro utenti lucrando significativi guadagni su condizioni equivocabili o su interpretazioni dubbie del diritto;
   tale è la condizione a parere dell'interrogante, che viene descritta nell'articolo «Rimodulazione TIM per alcune tariffe base, in cambio 500 sms verso tutti per 12 mesi ogni domenica» pubblicata sulla testata online www.mondomobileweb.net;
   in questo si asserisce che TIM, utilizzando l'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n. 259 del 2003 continuerebbe la rimodulazione di alcuni suoi piani tariffari base dopo aver rimodulato nel mese di maggio 2013 molte tariffe attivate negli anni ’90 (arancione ok, arancione più, azzurra, blu, gialla, rossa, unica 10, unica di TIM) trasformate in TIM COLORE;
   i piani tariffari sottoposti alla suddetta rimodulazione sarebbero Tim sempre, Tim parla, flash TIM new, TIM menù new e, più in generale, quelle in cui è previsto un meccanismo di autoricarica, mentre per chi attivò l'opzione «MegAutoricarica» con la tariffa associata «Easy TIM» essa sarà disattivata;
   in modo similare a ciò che fece Vodafone nel settembre 2012, TIM, per compensare il cambio, avrebbe istituito una specifica promozione, domenica Sms, che consiste nella possibilità di inviare 500 sms gratis verso tutti ogni domenica per 12 mesi dall'attivazione;
   i clienti vengono avvisati del cambio attraverso un semplice sms;
   TIM definisce questo processo come «Semplificazione tariffaria»: la semplificazione delle tariffe base serve per eliminare piani tariffari storici obsoleti e di complessa gestione anche per il consumatore stesso;
   in base sempre all'articolo 70, comma 4 del decreto legislativo n. 259 del 2003 TIM ricorda che nella propria «area fai da te» è possibile recedere dal contratto senza costi di disattivazione e penali entro la data della rimodulazione;
   molte volte, però, il consumatore non riceve alcun SMS informativo della rimodulazione, e quindi conosce solo successivamente il cambio della tariffa, con gravi disagi sia per il reperimento delle informazioni utili, sia perché il calcolo preventivato dei costi era effettuato sulla base della tariffa precedente –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di adottare iniziative normative atte a stabilire che, in caso di rimodulazione della tariffa, il gestore telefonico sia tenuto ad informare il cliente tramite metodi più efficaci e sicuri rispetto all'utilizzo di messaggistica istantanea, quali, per esempio, l'invio di raccomandata o di comunicazione attraverso posta elettronica certifica e in particolare se non ritenga di porre specifiche limitazioni alle modifiche contrattuali unilaterali di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n. 259 del 2003.
(4-01084)


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto-legge n. 1 del 2012 sulle liberalizzazioni (convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2012) è stato introdotto di fatto nel sistema energetico italiano il cosiddetto «Capacity Payment», meccanismo finalizzato a remunerare i «servizi di flessibilità» delle fonti energetiche termoelettriche;
   questa novità normativa è stata accolta con riserva da Confindustria che nel luglio 2012 espresse «forte preoccupazione per la misura introdotta, che può innalzare ulteriormente il costo della bolletta energetica italiana per un valore compreso tra i 500 e gli 800 milioni di euro»;
   tra gli scopi impliciti del Capacity Payment figura quello di «contribuire» a ripagare gli investimenti di circa 25 miliardi di euro che le lobby elettriche hanno effettuato su nuovi impianti dall'anno 2000, nonostante, come cita la relazione 2005 di Assoelettrica, gli stessi produttori fossero già a conoscenza delle probabili difficoltà a rientrare dei costi sostenuti a causa del prevedibile eccesso di offerta. Enel inoltre, secondo l'associazione di settore, con questo nuovo meccanismo difficilmente riuscirebbe a ridurre il proprio debito su cui paga fior di interessi, frutto in particolar modo dell'acquisizione della spagnola Endesa, che, secondo il rapporto imprese di Mediobanca, al momento ammonta a circa 63,9 miliardi di euro;
   si apprende dalla stampa che proprio in quest'ottica, il 22 giugno 2013 Paolo Scaroni e Fulvio Conti, amministratori delegati di Eni ed Enel, si sono recati a Bruxelles, con i loro omologhi internazionali, per sostenere a livello europeo l'affermazione del «Capacity Payment», rinominato «Capacity Market» per fugare l'idea che si tratti di un sussidio statale;
   il taglio di circa 500 milioni di euro sulle bollette, previsto dal Governo, con la riduzione degli incentivi alle energie assimilate (CIP 6) e a quelle rinnovabili può trasformarsi in una misura inutile per gli utenti finali, in quanto proprio come sostegno al comparto energetico termoelettrico è prevista una spesa da parte dello Stato di circa 1,5 miliardi di euro nei prossimi 3 anni e di 1,5-2 miliardi di euro all'anno dal 2017;
   parte di queste somme, infatti, potrebbe essere scaricata dal Ministero dello sviluppo economico e dall'Autorità garante per l'energia elettrica e il gas di nuovo sulle bollette dei consumatori, come previsto dall'articolo 34, comma 7-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012 sulla crescita, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012 –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere per evitare gli aspetti critici connessi al capacity payment;
   se esso possa costituire un sussidio e se, come aiuto di Stato, possa violare la normativa europea in merito;
   se vi siano elementi per ritenere che questa novità normativa possa determinare un ulteriore rincaro delle bollette.
(4-01093)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Cenni e altri n. 1-00015, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fiorio, Oliverio, Zanin.

  La mozione Zaccagnini e altri n. 1-00019, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lupo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Capozzolo e altri n. 3-00120, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valiante.

  L'interrogazione a risposta scritta Antezza e altri n. 4-00851, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valiante.

Pubblicazione di un testo riformulato e modifica dell'ordine dei firmatari.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Zaccagnini n. 1-00019, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 9 del 16 aprile 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    la Monsanto è una multinazionale americana che, grazie al pressoché indiscusso monopolio delle sementi geneticamente modificate, rappresenta oggi il sinonimo mondiale di organismi geneticamente modificati (ogm). Il 22 aprile 1998, la Monsanto Europe ha ricevuto l'autorizzazione dalla Commissione europea per l'immissione in commercio del mais Mon810, che produce la proteina insetticida cryA per l'inclusione del gene del batterio bacillus thuringiensis, ai sensi della direttiva 90/220/CEE;
    il Mon810 non ha ancora ricevuto il rinnovo dell'autorizzazione ai sensi dalla direttiva 90/220/CEE abrogata dalla direttiva 2001/18/CE;
    nel luglio del 2004 prima e nel maggio del 2007 poi, la Monsanto ha fatto richiesta di riconoscimento del Mon810 come prodotto esistente al momento dell'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1829/2003 che ha sostituito parte della direttiva 2001/18/CE sull'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati;
    il Mon810 è attualmente sul mercato in applicazione dell'articolo 20.4 del suddetto regolamento e può essere usato solo nei mangimi e non per l'alimentazione umana;
    a tutt'oggi, le uniche piante transgeniche autorizzate alla coltivazione sono il suddetto mais ed una patata (varietà Amflora) prodotta dalla Basf e destinata prevalentemente all'industria cartaria;
    in Italia non esistono coltivazioni di piante transgeniche mentre la commercializzazione dei loro prodotti avviene nel rispetto delle regole che riguardano l'immissione sul mercato di alimenti e mangimi contenenti organismi geneticamente modificati;
    risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di organismi geneticamente modificati, estranee all'interesse comune dei cittadini comunitari, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell'Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
    la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integre, ossia non inquinate da organismi geneticamente modificati, le produzioni agricole di qualità che rappresentano il vero valore aggiunto sul mercato alimentare globale;
    nei Paesi sul cui territorio è stata autorizzata la coltivazione degli organismi geneticamente modificati, nonostante l'adozione dei piani di coesistenza, non è stato possibile evitare la contaminazione con varietà tradizionali e colture biologiche;
    questo inquinamento, irreversibile, era previsto già nella direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001, che per l'emissione deliberata nell'ambiente degli organismi geneticamente modificati, al 4 punto dei considerando riporta: «gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili»;
    la normativa comunitaria sull'emissione in ambiente di organismi geneticamente modificati è assai confusa, come dimostrato dalla decisione del Consiglio di Stato di Francia ed Italia di ricorrere alla Corte di Giustizia dell'Unione europea per ottenere l'interpretazione su come dirimere cause nazionali riguardanti la coltivazione del summenzionato mais geneticamente modificato;
    nei diversi dossier tecnici prodotti dalle aziende biotech, ai fini della loro valutazione da parte dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), vengono evidenziate differenze statisticamente significative nella composizione biochimica degli organismi geneticamente modificati rispetto alle varietà di origine, nonché negli effetti sulla salute degli animali oggetto degli studi di tossicità, i quali presentano generalmente alterazioni del sistema enzimatico, epatico e renale;
    l'Efsa ha sin qui giustificato le differenze statisticamente significative di diversi organismi geneticamente modificati, incluso il Mon810, come dovute alla variabilità naturale;
    diversi membri del panel di esperti sugli organismi geneticamente modificati dell'Efsa sono stati accusati di conflitto di interessi per la loro appartenenza ad aziende con chiari interessi economici nel mercato delle piante transgeniche;
    nonostante la normativa di riferimento si ispiri al principio di precauzione, l'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 carica la società civile dell'onere della prova definitiva circa la pericolosità degli organismi geneticamente modificati autorizzati;
    avendo valutato l'urgenza di riavviare con determinazione il percorso per mettere un freno alla possibilità di coltivazioni di organismi geneticamente modificati nel nostro Paese e con lo scopo di riportare l'attenzione del Governo sull'urgenza di emanare la cosiddetta clausola di salvaguardia, sancita dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE (come già sollecitato nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-00050) relativa al mais geneticamente modificato Mon810, che consentirebbe di scongiurare l'eventuale semina da cui potrebbe derivare una contaminazione ambientale irreversibile, una delegazione del gruppo parlamentare «Movimento Cinque Stelle» ha incontrato il 28 marzo 2013 il Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, e il 3 aprile 2013 il Ministro pro tempore dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, e il Ministro pro tempore della salute, Renato Balduzzi;
    dagli incontri suddetti, anche secondo quanto riportato da numerose agenzia stampa, è emersa la reale disponibilità dei Ministri pro tempore ad un concreto intervento in questa direzione, in particolare il giorno 4 aprile 2013, il Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali ha dichiarato: «Il Ministero della salute ha dato seguito alla nostra richiesta e al dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), chiedendo alla Commissione europea la sospensione d'urgenza dell'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais Mon810 in Italia e nel resto dell'Unione europea»;
    è necessario ricordare che la clausola di salvaguardia è già stata attuata da Stati membri dell'Unione europea quali Germania, Francia, Austria, Ungheria, Polonia, Grecia e Lussemburgo;
    ad aprile 2013, il Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, ha inviato una lettera a Bruxelles chiedendo di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais Mon810 in tutta Europa, ma nessuna azione risulta essere stata intrapresa nelle sedi preposte;
    il 21 maggio 2013, l'Assemblea del Senato della Repubblica ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che impegnava il Governo ad avviare la clausola di salvaguardia e/o tutte le misure urgenti predisposte dall'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003;
    tuttavia, il 25 giugno 2013, rispondendo ad un'interrogazione in Commissione agricoltura della Camera dei deputati, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali rispondeva annunciando l'impossibilità di ricorrere alla clausola di salvaguardia poiché preclusa da una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'8 settembre 2011 e annunciava l'emanazione di un decreto interministeriale di competenza del Ministero della salute, sempre in forza dell'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 per vietare la coltivazione del Mon810 sul territorio nazionale;
    nel frattempo, il 15 giugno 2013 a Vivaro (Pordenone) è stata avviata la prima semina – illegale – di mais geneticamente modificato in Italia: 6.000 metri quadrati sono stati seminati con mais geneticamente modificato che si tradurranno in un evidente rischio di contaminazione all'atto della sua fioritura, ciò circa 50 giorni dopo la semina;
    è opportuno far notare che l'obbligo comunitario, nella materia, prevale sul limite costituzionale interno solo quando non tocca princìpi e diritti fondamentali previsti dalla Costituzione (come il diritto alla salute, articolo 32 della Costituzione, e il diritto all'integrità dell'ambiente, articolo 9 della Costituzione), intangibili, in quanto tali, anche ad opera di prescrizioni comunitarie, non avendo l'Italia, con il Trattato di Roma (e successivi aggiornamenti) rinunciato a tutta la sua sovranità ma solo a parte di essa, come, peraltro, fatto rilevare anche dalla Corte costituzionale, con reiterate sentenze, tra le quali le sentenze n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 1146 del 1988 ed altre;
    è evidente, comunque, che se non si intraprenderà un'azione concreta da parte del Governo, l'agricoltura italiana tradizionale e biologica rischierà di essere contaminata da organismi geneticamente modificati, senza conoscere i reali rischi per la salute umana, né per l'ambiente, che questi comporterebbero;
    da quanto esposto in premessa, è chiaro che la normativa in materia di organismi geneticamente modificati – comunitaria, nazionale e regionale – presenta delle incongruenze che devono necessariamente essere risolte, a tutela della salute dei cittadini; per districare tale impasse burocratica sugli organismi geneticamente modificati, dal 2010 in Europa si è aperto il dibattito sulla revisione della direttiva 2001/18/CE affinché lasci agli Stati membri la possibilità di decidere in maniera autonoma circa la diffusione sul proprio territorio degli organismi geneticamente modificati;
    tale possibilità di revisione risulta, tra l'altro, avallata nel programma delle prossime tre presidenze dell'Unione europea,

impegna il Governo:

   a predisporre urgentemente e, comunque, prima della fioritura del mais, il decreto interministeriale annunciato, al fine di vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati nel nostro Paese, fino a che non sarà scientificamente dimostrato che il materiale transgenico non causa danni all'ambiente e alla salute umana;
   ad intervenire presso le competenti sedi affinché la revisione della direttiva 2001/18/CE garantisca agli Stati membri la possibilità di limitare o vietare l'emissione ed immissione nel proprio territorio di organismi geneticamente modificati, anche per ragioni che vanno al di là dei danni alla salute o all'ambiente;
   a mettere in atto tutte le azioni possibili al fine di procedere all'attuazione della clausola di salvaguardia, così come previsto dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in quanto si ritiene che non ci siano impedimenti normativi;
   a richiedere la sospensione dell'uso del Mon810 sino al rilascio di una nuova autorizzazione che risponda pienamente ai requisiti richiesti di dimostrata innocuità nella coltivazione e nell'uso come alimento o mangime;
   a promuovere la ridefinizione, in particolare nelle competenti sedi europee, in maniera precisa e puntuale, del concetto di «rilascio in ambiente» per gli organismi geneticamente modificati che differisce in maniera sostanziale dal concetto di «commercializzazione e di immissione in commercio» e che da questo deve essere efficacemente separato.
(1-00019) (Nuova formulazione) «Zaccagnini, Lupo, Lombardi, Parentela, Benedetti, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Zolezzi, Gallinella, D'Uva, L'Abbate, Brescia, Dieni, Liuzzi, Cozzolino, Villarosa, Cristian Iannuzzi, D'Incà, Segoni, Mannino, Sorial, Spessotto, Fico, Caso, Baldassarre, Cariello, Dadone, Battelli, D'Ambrosio, Tofalo, Terzoni, Del Grosso, Lorefice, Marzana, Crippa, Brugnerotto, Toninelli, Mantero, Micillo, Nesci, Carinelli, Grillo, Cancelleri, Colonnese, Nuti, Di Battista, Sibilia, Grande, Spadoni, Manlio Di Stefano, Ciprini, Cominardi».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Capelli n. 2-00109 del 20 giugno 2013;
   interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-01047 del 27 giugno 2013;
   interrogazione a risposta scritta Pastorelli n. 4-01053 del 27 giugno 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Biondelli e altri n. 3-00006 del 21 marzo 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01072;
   interrogazione a risposta orale Morani e altri n. 3-00008 del 25 marzo 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01071;
   interrogazione a risposta scritta Airaudo n. 4-00092 del 25 marzo 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00479;
   interrogazione a risposta scritta Airaudo n. 4-00093 del 25 marzo 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00480;
   interrogazione a risposta scritta Bergamini n. 4-00945 del 20 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00477;
   interrogazione a risposta scritta Bergamini n. 4-00953 del 20 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00478;
   interrogazione a risposta scritta Vecchio n. 4-01034 del 27 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00476.