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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 26 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i fondamenti del nostro «modello di difesa» sono contenuti nella Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 11 che recita: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo» e a questi fondamenti si uniformano le scelte relative alle Forze armate;
    l'articolo 52 della Costituzione, interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 164 del 1985, riconosce il valore della difesa della Patria anche attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato;
    in un mondo sempre più globalizzato, che vede affacciarsi sulla scena nuovi attori in grado di incidere sugli equilibri internazionali e nuovi rischi, è ormai ineludibile per i Paesi europei impegnarsi per lo sviluppo di un'effettiva politica estera e di sicurezza comune, in un quadro di collaborazione con le alleanze atlantiche;
    la maggior parte dei Paesi europei è impegnata ad analizzare le opportunità che possono derivare dall'integrazione europea della Difesa, con particolare riferimento alla costituzione di asset operativi e addestrativi comuni, finalizzati ad una piena interoperabilità, nonché alla promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca, sviluppo e produzione di programmi comuni sulla base di accordi di cooperazione o di cooperazione rafforzata;
    il prossimo Consiglio europeo di dicembre costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della Difesa europea e tutti i paesi dell'Unione saranno chiamati, in quella sede, a trovare convergenza e complementarietà, anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili, nell'attuale complesso quadro finanziario generale;
    con l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge n. 244 del 31 dicembre 2012, è stata attribuita al Parlamento la competenza sui programmi dei sistemi d'arma a seguito di valutazioni riguardanti la situazione geopolitica internazionale, l'individuazione delle sfide strategiche incombenti anche alla luce delle condizioni generali della finanza pubblica, che nel momento attuale risultano caratterizzate da una gravissima crisi economica e sociale;
    i principali Paesi europei hanno avviato processi di revisione delle rispettive Forze armate e il Parlamento italiano ha approvato le legge di revisione dello strumento militare che delinea Forze armate sostenibili, nel prevedibile quadro finanziario, assicurandone l'efficacia operativa;
    secondo i dati riportati nel Fact Sheet (aprile 2013) del noto centro Stockolm International Peace Research Institute – SIPRI – la spesa militare in Italia si è ridotta del 5,2 per cento tra il 2011 e il 2012, e del 19 per cento tra il 2003 e il 2012, ovvero di gran lunga la maggiore riduzione – unica a «2 cifre» – riscontrata tra i Paesi occidentali;
    la tematica dell'acquisizione dei sistemi d'arma costituisce solo un aspetto della pianificazione generale della Difesa, di cui la parte più rilevante è costituita dalla complessità delle problematiche inerenti il personale, tenendo conto della riconosciuta specificità;
    nell'ambito della razionalizzazione della spesa per investimenti occorre una seria riflessione sul mutamento degli scenari strategici. In questo senso è necessario valutare la compatibilità dei programmi a fronte delle nuove esigenze strategiche per la sicurezza del Paese – rafforzando le capacità operative delle nostre Forze armate – nonché delle risorse disponibili e dei ritorni industriali, anche con riguardo all'obiettivo di conseguire più elevati livelli occupazionali rispetto a quanto al momento prevedibile;
    il Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015, all'attenzione del Parlamento, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma funzionali a garantire il sistema di difesa nazionale, in coerenza con i compiti istituzionali, e con la legge n. 244 del 31 dicembre 2012, relativa alla delega «per la revisione dello strumento militare nazionale»;
    le Commissioni parlamentari competenti hanno manifestato l'intendimento di avviare audizioni ed indagini conoscitive, in particolare sull'incidenza dei programmi di armamento e di rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale, sugli obiettivi di difesa nazionale e di finanza pubblica, per verificare la coerenza della pianificazione dell'investimento, anche alla luce dette parallele iniziative degli altri Paesi europei, nonché delle condizioni generali di finanza pubblica, che nel momento attuale risultano caratterizzate da una complessa crisi economica che ha ripercussioni sul piano sociale,

impegna il Governo:

   a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di Difesa comune europea in una prospettiva di condivisa razionalizzazione della spesa;
   al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative, con specifico riferimento alle fasi successive a quella in corso del programma F35.
(1-00122) «Rossi, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    i fondamenti del nostro «modello di difesa» sono contenuti nella Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 11 che recita: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo», e che a questi fondamenti si uniformano le scelte relative alle Forze armate;
    l'articolo 52 della Costituzione, interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 164 del 1985, riconosce il valore della difesa della Patria anche attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato;
    in un mondo sempre più globalizzato, che vede affacciarsi sulla scena nuovi attori in grado di incidere sugli equilibri internazionali e nuovi rischi, è ormai ineludibile per i paesi europei impegnarsi per lo sviluppo di un'effettiva politica estera e di sicurezza comune, in un quadro di collaborazione con le alleanze atlantiche;
    la maggior parte dei paesi europei è impegnata ad analizzare le opportunità che possono derivare dall'integrazione europea della Difesa, con particolare riferimento alla costituzione di asset operativi e addestrativi comuni, finalizzati ad una piena interoperabilità, nonché alla promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca, sviluppo e produzione di programmi comuni sulla base di accordi di cooperazione o di cooperazione rafforzata;
    il prossimo Consiglio europeo di dicembre costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della Difesa europea e tutti i paesi dell'Unione saranno chiamati, in quella sede, a trovare convergenza e complementarietà, anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili, nell'attuale complesso quadro finanziario generale;
    con l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge 244 del 31 dicembre 2012, è stata attribuita al Parlamento la competenza sull'adozione dei programmi dei sistemi d'arma a seguito di valutazioni riguardanti la situazione geopolitica internazionale, l'individuazione delle sfide strategiche incombenti e, nondimeno, la coerenza e la congruità degli investimenti militari, anche alla luce delle condizioni generali della finanza pubblica, che nel momento attuale risultano caratterizzate da una gravissima crisi economica e sociale;
   tenuto conto che:
    i principali paesi europei hanno avviato processi di revisione delle rispettive Forze armate e che il Parlamento italiano ha approvato le legge di revisione dello strumento militare che delinea Forze armate sostenibili, nel prevedibile quadro finanziario, assicurandone l'efficacia operativa;
   considerato che:
    secondo i dati riportati nel Fact Sheet (aprile 2013) del noto centro Stockholm International Peace Research Institute – SIPRI – la spesa militare in Italia si è ridotta del 5,2 per cento tra il 2011 e il 2012, e del 19 per cento tra il 2003 e il 2012, ovvero di gran lunga la maggiore riduzione – unica a «2 cifre» – riscontrata fra i paesi occidentali;
    la tematica dell'acquisizione dei sistemi d'arma costituisce solo un aspetto della pianificazione generale della Difesa, di cui la parte più rilevante è costituita dalla complessità delle problematiche inerenti il personale, tenendo conto della riconosciuta specificità;
    nell'ambito della razionalizzazione della spesa per investimenti occorre una seria riflessione sul mutamento degli scenari strategici. In questo senso è necessario valutare la compatibilità dei programmi a fronte delle nuove esigenze strategiche per la sicurezza del Paese – rafforzando le capacità operative delle nostre Forze armate – nonché delle risorse disponibili e dei ritorni industriali, anche con riguardo all'obiettivo di conseguire più elevati livelli occupazionali rispetto a quanto al momento prevedibile;
    si rende sempre più necessario il potenziamento delle politiche finalizzate alla prevenzione dei conflitti, da conseguire con puntuali attività di intelligence e di rafforzamento delle relazioni diplomatiche fra i vari paesi, nonché con forti azioni di sostegno a favore della cooperazione internazionale e del volontariato civile e religioso impegnato nei teatri di guerra;
    il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015, all'attenzione del Parlamento, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma funzionali a garantire il sistema di difesa nazionale, in coerenza con i compiti istituzionali, e con la legge 244 del 31 dicembre 2012, relativa alla delega «per la revisione dello strumento militare nazionale»;
    le Commissioni parlamentari competenti hanno manifestato l'intendimento di avviare audizioni ed indagini conoscitive, in particolare sull'incidenza dei programmi di armamento e di rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale, sugli obiettivi di difesa nazionale e di finanza pubblica, per verificare la coerenza della pianificazione dell'investimento, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, e anche alla luce delle parallele iniziative degli altri Paesi europei, nonché delle condizioni generali di finanza pubblica, che nel momento attuale risultano caratterizzate da una complessa crisi economica che ha ripercussioni sul piano sociale,

impegna il Governo:

   a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di Difesa comune europea in una prospettiva di condivisa razionalizzazione della spesa;
   al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative;
   in particolare, relativamente al programma F35, a non procedere a nessuna fase di acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244.
(1-00123) «Scanu, Manciulli, Speranza, Villecco Calipari, De Micheli, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, Bellanova, Fregolent, Garavini, Pollastrini, De Maria, Rosato, Mauri, Valeria Valente».


   La Camera,
   premesso che:
    da indagini realizzate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e da altri organismi risulta che almeno il 10 per cento della superficie italiana, pari a 29.500 chilometri quadrati, è esposta ad un elevato rischio di dissesto idrogeologico;
    questa percentuale di territorio nazionale è concentrata nell'89 per cento dei comuni, vale a dire che l'89 per cento dei comuni è interessato da aree ad alta vulnerabilità, e che si è in presenza di un rischio diffuso nel territorio nazionale con particolare evidenza soprattutto nelle aree più fortemente urbanizzate e antropizzate;
    sul territorio italiano, già fragile per caratteristiche geomorfologiche, incidono anche i cambiamenti climatici, con l'alternanza di forti piogge a periodi di siccità ed eventi estremi che producono l'impatto maggiore soprattutto nelle aree più urbanizzate e negli insediamenti produttivi;
    la serie storica degli eventi climatici definiti «estremi», quali alluvioni, inondazioni, frane, terremoti e simili, negli ultimi 15-20 anni in Italia mette in evidenza che i relativi «tempi di ritorno» sono più brevi, cioè si verificano con una frequenza più ravvicinata rispetto ai decenni precedenti;
   gli interventi necessari per la messa in sicurezza sono molteplici: da un lato quelli per realizzare la riduzione del rischio derivante dalle precipitazioni intense, come il drenaggio e la raccolta delle acque a contenere le alluvioni e, dall'altro, quelli tesi a individuare ed efficientare le aree marginali utilizzate per l'agricoltura e le attività forestali, progressivamente abbandonate e, quindi, particolarmente vulnerabili, infine quelli per la gestione e la regimazione delle acque, anche attraverso la realizzazione di canali scolmatori, adeguamento delle reti fognarie e puntuale gestione della rete delle idrovore, soprattutto per le aree più esposte al rischio di sommersione perché immediatamente al di sotto del livello del mare;
    sul complesso delle opere di prevenzione che dovrebbero essere realizzate pesano, tuttavia, in egual misura, la difficoltà nella programmazione e nel coordinamento tra gli enti preposti, nonché da un lato l'insufficienza delle risorse finanziarie e dall'altro la scarsa efficacia nella spesa;
    inoltre, nella maggior parte dei casi, la capacità di spesa non è proporzionata rispetto all'urgenza degli interventi necessari;
    il Ministro pro tempore dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, ha predisposto e trasmesso al Cipe un «Piano nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici e per la sicurezza del territorio» all'interno del quale sono censite le vulnerabilità del territorio nazionale (mappa della vulnerabilità), le tipologie di interventi necessari, il fabbisogno finanziario stimato pari a oltre 40 miliardi di euro in 15 anni; sono inoltre stimati l'efficacia degli interventi già finanziati e gli strumenti necessari per rendere praticabili, fattibili ed efficienti gli interventi individuati e in via di finanziamento;
    in base al Piano, le risorse necessarie per eseguire interventi di messa in sicurezza, realizzare opere di drenaggio e raccolta delle acque, recuperare le aree agricole e boschive abbandonate e contrastare i fenomeni di erosione delle coste, sono pari a circa 40 miliardi di euro per i prossimi 15 anni, di cui il 60 per cento destinato a interventi pubblici, il 30 per cento al sostegno delle iniziative delle imprese e il restante 10 per cento alle associazioni e cooperative disponibili a recuperare le aree marginali;
    inoltre, il Piano muove dall'affermazione che la messa in sicurezza del territorio nazionale è una misura infrastrutturale, che deve essere considerata dall'Unione europea come le altre misure infrastrutturali strategiche per lo sviluppo dell'Europa e, perciò, dovrebbe godere del regime di deroga al Patto di stabilità che può muovere altre risorse utili per crescita e sviluppo;
    dagli interventi per contrastare il dissesto idrogeologico non deriva, infatti, solo un risparmio di costi ma anche il valore positivo degli interventi realizzati con relativa aggiunta di investimenti ed entrate suscettibili di coprire l'esborso di risorse che ha generato un debito temporaneo;
    riguardo alla proposta di introdurre un'assicurazione obbligatoria per gli edifici delle zone più vulnerabili lo Stato non può esimersi dal provvedere alla sicurezza del territorio e l'assicurazione dovrebbe essere complementare e non sostitutiva delle politiche pubbliche di prevenzione; andrebbero inoltre previste misure per la defiscalizzazione dei costi assicurativi;
    accanto alla messa in sicurezza delle aree a rischio di dissesto, appare quanto mai necessaria anche una complessiva opera su tutto il territorio finalizzata a prevenire ogni trasformazione che metta a rischio l'equilibrio ambientale e il paesaggio, con adozione di provvedimenti e piani atti a coniugare lo sviluppo economico con la tutela ambientale,

impegna il Governo:

   a programmare gli interventi di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, individuando la copertura dei relativi costi anche facendo ricorso all'intervento dell'Unione europea per la deroga al Patto di stabilità;
   a reperire risorse adeguate per intervenire sulla prevenzione, anche coinvolgendo il settore privato attraverso i meccanismi premiali della riqualificazione e del recupero;
   a fare in modo che le risorse già disponibili siano spese in maniera efficace e tempestiva, individuando meccanismi di semplificazione e sburocratizzazione;
   ad attuare il cosiddetto «Piano Clini» presentato al Cipe nel dicembre 2012, inserendolo in un'azione politica fondata su una nuova legge quadro per il governo del territorio;
   ad intervenire opportunamente per ridurre in maniera drastica il consumo di suolo, anche attraverso politiche di sostituzione edilizia, di demolizione di ecomostri e insediamenti abusivi ed ex abusivi attraverso progetti condivisi tra pubblico e privato tesi alla riqualificazione e al recupero delle coste, delle aree di pregio naturalistico e paesaggistico, delle aree agricole o montane e dei centri storici;
   ad adottare politiche di governo del territorio che si integrino con quelle urbanistiche, agricole e forestali e che sappiano stimolare il settore edilizio a riconvertirsi da espansione e consumo del suolo a riqualificazione, recupero e sostituzione, secondo le tecnologie antisismiche e della bioarchitettura.
(1-00124) «Giorgia Meloni, Rampelli».


   La Camera,
   premesso che:
    i fondamenti del nostro «modello di difesa» sono contenuti nella Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 11 che recita: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo», e che a questi fondamenti si uniformano le scelte relative alle Forze armate;
    l'articolo 52 della Costituzione: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici. L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 164 del 1985, riconosce il valore della difesa della Patria anche attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato;
    in un mondo sempre più globalizzato, che vede affacciarsi sulla scena nuovi attori in grado di incidere sugli equilibri internazionali e nuovi rischi, è ormai ineludibile per Paesi europei impegnarsi per lo sviluppo di un'effettiva politica estera e di sicurezza comune, in un quadro di collaborazione con le alleanze atlantiche;
    la maggior parte dei Paesi europei è impegnata ad analizzare le opportunità che possono derivare dall'integrazione europea della difesa, con particolare riferimento alla costituzione di asset operativi e addestrativi comuni, finalizzati ad una piena interoperabilità, nonché alla promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca, sviluppo e produzione di programmi comuni sulla base di accordi di cooperazione o di cooperazione rafforzata;

   il prossimo Consiglio europeo di dicembre costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della Difesa europea e tutti i Paesi dell'Unione saranno chiamati, in quella sede, a trovare convergenza e complementarietà, anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili, nell'attuale complesso quadro finanziario generale;

   con l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge n. 244 del 31 dicembre 2012, è stata attribuita al Parlamento la competenza sulla coerenza dell'adozione dei programmi dei sistemi d'arma a seguito di valutazioni riguardanti la situazione geopolitica internazionale, l'individuazione delle sfide strategiche incombenti e, nondimeno, la coerenza e la congruità degli investimenti militari, anche alla luce delle condizioni generali della finanza pubblica e della crisi economica e sociale;

  tenuto conto che:

   i principali paesi europei hanno avviato processi di revisione delle rispettive Forze armate e che il Parlamento italiano ha approvato la legge di revisione dello strumento militare che delinea Forze armate sostenibili, nel prevedibile quadro finanziario, assicurandone l'efficacia operativa;

  considerato che:
   secondo i dati riportati nel Fact Sheet (aprile 2013) del noto centro Stockolm International Peace Research Institute – SIPRI – la spesa militare in Italia si è ridotta del 5,2 per cento tra il 2011 e il 2012, e del 19 per cento tra il 2003 e il 2012, ovvero di gran lunga la maggiore riduzione – unica a «2 cifre» – riscontrata fra i Paesi occidentali;
   la tematica dell'acquisizione dei sistemi d'arma costituisce solo un aspetto della pianificazione generale della Difesa, di cui la parte più rilevante è costituita dalla complessità delle problematiche inerenti al personale, tenendo conto della riconosciuta specificità;
   nell'ambito della razionalizzazione della spesa per investimenti occorre una seria riflessione sul mutamento degli scenari strategici. In questo senso è necessario valutare la compatibilità dei programmi a fronte delle nuove esigenze strategiche per la sicurezza del Paese – rafforzando le capacità operative delle nostre Forze armate – nonché delle risorse disponibili e dei ritorni industriali, anche con riguardo all'obiettivo di conseguire più elevati livelli occupazionali rispetto a quanto al momento prevedibile;

   si rende sempre più necessario il potenziamento delle politiche finalizzate alla prevenzione dei conflitti, da conseguire con puntuali attività di intelligence e di rafforzamento delle relazioni diplomatiche fra i vari Paesi, nonché con forti azioni di sostegno a favore delle forze armate, della cooperazione internazionale e del volontariato civile e religioso impegnato nei teatri di guerra;
   il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015, all'attenzione del Parlamento, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma funzionali a garantire il sistema di difesa nazionale, tra cui la sostituzione dei velivoli aerotattici della marina e dell'aeronautica prossimi alla fine della vita operativa, in coerenza con i compiti istituzionali, e con la legge n. 244 del 31 dicembre 2012, relativa alla delega «per la revisione dello strumento militare nazionale»;
   le Commissioni parlamentari competenti hanno manifestato l'intendimento di avviare audizioni ed indagini conoscitive in vista del Consiglio europeo di dicembre, in particolare sui sistemi d'arma destinati alla difesa, per verificare la coerenza della pianificazione dell'investimento, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, e anche alla luce delle parallele iniziative degli altri Paesi europei,

impegna il Governo:

   a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di Difesa comune europea in una prospettiva di condivisa razionalizzazione della spesa;
   al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative;
   in particolare, relativamente al programma F35, a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244.
(1-00125) «Speranza, Brunetta, Dellai, Pisicchio, Formisano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 22 giugno 2013 nei pressi di Pisticci Scalo si sono sviluppati tre incendi a distanza di pochissimo tempio l'uno dall'altro ben tre incendi;
   il primo e più ampio nei pressi della strada statale n. 407 Basentana che ha creato qualche disagio anche alla circolazione, il secondo verso la zona di Pozzitello nei pressi di una vecchia galleria ferroviaria della tratta Calabro-Lucane e il terzo sempre zona Pozzitello nelle prossimità dei pozzi gas, entrambi a poca distanza dalla discarica della Recisa;
   già lo scorso anno il comprensorio di Pisticci è stato interessato da numerosi incendi di cui uno vastissimo del 26 agosto scorso;
   la stessa discarica fu interessata anni addietro da un vasto incendio che coprì la valle di una densissima nube;
   il territorio di Pisticci per la sua vastità e complessità è fortemente esposto al rischio incendi e preoccupa che siamo appena all'inizio della stagione estiva;
   non molti giorni prima la pineta di Policoro era stata colpita da un altro incendio con danni anche a strutture del litorale;
   occorre mettere in campo una forte sinergia per il controllo del territorio utilizzando al meglio le risorse dei corpi preposti e delle associazioni di volontariato;

   già nella scorsa legislatura l'interrogante aveva avanzato la richiesta per i territori fortemente esposti a rischio incendi di poter beneficiare di una deroga al patto di stabilità e di poter impiegare nell'azione di controllo prevenzione i lavoratori disoccupati sotto regime di mobilità in deroga –:

   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per valutare la possibilità di concedere una deroga al patto di stabilità per azioni mirate di prevenzione e di controllo del territorio rispetto al rischio incendi nel corso della stagione estiva e se non intenda comunque rafforzare i presidi comprensoriali di Corpo forestale dello Stato e Vigili del fuoco in termini di mezzi e uomini.
(3-00150)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHAOUKI e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Giuliano Delnevo, cittadino italiano convertito all'Islam, è morto in Siria parrebbe nei combattimenti tra le forze governative e la guerriglia sunnita, a cui si sarebbe unito probabilmente a fine 2012;
   Delnevo risulta iscritto sul registro degli indagati della procura di Genova già dal novembre del 2009 con altre cinque persone – un italiano e quattro maghrebini – per arruolamento e addestramento con finalità terroristiche; Delnevo era «attenzionato» da tempo ed i suoi spostamenti all'estero erano seguiti con attenzione dagli inquirenti che hanno dichiarato di essere a conoscenza della sua presenza in Siria;
   il procuratore genovese Michele Di Lecce ha dichiarato a mezzo stampa che esclude che vi siano collegamenti con altre procure nell'inchiesta e di non essere a conoscenza di cosiddette centrali di arruolamento a Genova o altrove. Secondo la procura di Genova l'indagine su Delnevo riguarda solo lui, la sua attività e le persone arruolate insieme a lui;
   il direttore del dipartimento delle informazioni per la sicurezza Giampiero Massolo ha dichiarato in merito che «in Italia non c’è un bacino di reclutamento, ma solo delle individualità che entrano in comunicazione con cellule jihadiste attraverso il web e che il fenomeno è molto meno diffuso nel nostro Paese rispetto a molti altri nostri partner occidentali». Inoltre, ha evidenziato che i servizi segreti non hanno avuto notizia di strutturati canali di instradamento verso la Siria di aspiranti mujahidin né di indicatori specifici di una specifica minaccia;
   Foad Aodi, presidente della Comunità del mondo arabo (Coniai) e a capo dell'Associazione medici stranieri (Amsi) sostiene, sulla base di fonti siriane a lui vicine, che in Siria, in particolare a Deir Ezzor e ad Aleppo, ci sono circa 45-50 miliziani di origine italiana – soprattutto provenienti dal nord e anche da Roma – insieme con i ribelli, tra i quali anche una donna. Si stimano all'incirca 600 miliziani, di cui non si sa però se si tratti di convertiti all'Islam o di persone con doppia cittadinanza, partiti da tutta Europa tra cui tre donne, una italiana, una spagnola e una cecena impegnate a curare i feriti ad Aleppo;
   ad oggi, il pericolo maggiore che segnalano gli analisti dell’intelligence sono i potenziali «terroristi solitari», i cosiddetti «self starters», i terrorismi senza schema, ed è dimostrato come il web possa essere una potente forma di auto-addestramento e auto-reclutamento, uno spazio virtuale per la diffusione di messaggi di odio e incitamento al terrorismo. È un tipo di terrorismo difficile da prevedere e, soprattutto, prevenire –:
   se rispondano al vero le notizie riguardo ai circa 50 italiani presenti in Siria al fianco dei ribelli;
   quali informazioni abbia il Governo in merito al fenomeno dei «terroristi solitari» e all'utilizzo del web per fini terroristici e come intenda monitarlo.
(5-00444)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a marzo 2011, la crisi libica e la caduta del regime di Gheddafi hanno reso impossibile per alcune imprese italiane, pubbliche e private, la riscossione dei loro crediti nei confronti di imprese statali libiche: la risoluzione delle Nazioni Unite che ha congelato le risorse finanziarie della famiglia dell'ex dittatore e l'instabilità politica che si è determinata nello Stato, infatti, hanno avuto importanti conseguenze sui bilanci delle imprese italiane che attendevano dalle autorità statali la corresponsione dei crediti vantati;
   secondo uno studio della camera di commercio italo-libica, le novanta imprese italiane, spesso medie o piccole, che hanno sofferto una situazione di inesigibilità, vanterebbero ancora oggi crediti insoluti per un ammontare di 600 milioni di euro, e l'impossibilità di recuperare queste somme ha condotto le aziende coinvolte in questa vicenda in una situazione di ridotta liquidità. Il puntuale versamento delle imposte, le pressioni per il pagamento dei debiti commerciali e bancari e l'incertezza sulle tempistiche circa il recupero di questi crediti hanno ridotto queste realtà produttive ad una condizione di impossibilità a riprendere l'attività economica, indirizzandole sulla via del fallimento;
   il Ministero degli affari esteri e Confindustria hanno svolto un lavoro di ricognizione sulla situazione un anno e mezzo fa;
   con l'ordine del giorno 9/5178/054 il 17 maggio 2012 il Governo pro tempore si era impegnato «ad assumere come prioritario il problema, convocando presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un tavolo di lavoro con imprese, banche creditrici, ministeri coinvolti al fine di valutare le possibili soluzioni diplomatiche e nel contempo finanziarie, anche creando un sistema di garanzie pubbliche per quei crediti vantati e accertati dalla controparte prima della caduta del regime e non ancora incassati». Questa ipotesi avrebbe dovuto alleviare le difficoltà finanziarie delle imprese più piccole che si trovavano attanagliate dai debiti bancari ai quali non potevano dar seguito a causa del mancato incasso dei crediti maturati in Libia;
   risulta all'interrogante che nelle relazioni diplomatiche non vi sia stato, ad oggi, un progresso in vista di una soluzione favorevole alle imprese coinvolte; al contrario, si è appreso da notizie di stampa il dissequestro ordinato dalla corte d'appello di Roma, delle partecipazioni della Libyan Investment Authority in UniCredit e Finmeccanica (partecipazioni poste sotto sequestro giudiziale dalla magistratura nel marzo 2012 a seguito delle rogatorie emesse dalla Corte penale internazionale);
   con l'interrogazione a risposta scritta 4-11345 del 23 marzo 2011 e con l'interrogazione a risposta scritta 4-18749 del 27 novembre – alle quali il Governo pro tempore non ha dato risposta nonostante fossero entrambe indirizzate a più Ministri – si chiedeva, alla luce della presenza in territorio italiano di ingenti investimenti e depositi direttamente riconducibili a fondi sovrani libici o ad altre autorità comunque riconducibili alla nazione libica, se il Governo ritenesse opportuno «considerare le partecipazioni e i depositi come risorse vincolabili a favore del sistema bancario a garanzia dei crediti maturati ed esigibili delle nostre imprese»;
   con l'interrogazione a risposta scritta 4-18749 del 27 novembre 2012 – cui il Governo pro tempore non ha dato risposta – si chiedeva anche quali iniziative l'allora Governo avesse attivato tramite la convocazione del tavolo di lavoro con imprese, banche creditrici e ministeri coinvolti – di cui all'ordine del giorno 9/5178/054 – al fine di trovare soluzioni finanziarie adeguate alle esigenze delle imprese italiane coinvolte nella vicenda, e quali iniziative in sede diplomatica fossero state attivate dal Governo affinché si raggiunga con la controparte libica una comune strategia per l'accertamento e la riscossione dei crediti delle imprese italiane coinvolte;
   l'avvicendamento alla guida del Governo di Tripoli può essere occasione per rafforzare i rapporti commerciali tra Italia e Libia – e in questo senso appare necessario che il Governo italiano chieda ai nuovi leader libici una rapida soluzione della questione dei crediti italiani attualmente bloccati –:

   quali iniziative il Governo abbia intrapreso in sede diplomatica affinché si raggiunga con la controparte libica una comune strategia per l'accertamento e la riscossione dei crediti delle imprese italiane coinvolte. (4-01016)


   VECCHIO, DELLAI e SCHIRÒ PLANETA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con la legge regionale 12 luglio 2011 n. 11, pubblicata sulla GURS n. 30 del 14 Luglio 2011, il legislatore regionale siciliano, al fine di favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità giovanile e femminile, ha previsto l'esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive, per i cinque periodi d'imposta a decorrere dalla costituzione o dall'inizio dell'attività, per le nuove imprese giovanili o femminili;

   in mancanza del codice di esenzione nel modello Irap/2013, per l'anno d'imposta 2012, pubblicato sul sito dell'Agenzia delle entrate, relativamente alla regione Sicilia, gli ordini siciliani, in data 22 aprile 2013 hanno richiesto alla direzione regionale dell'Agenzia delle entrate l'attivazione del codice;

   il direttore regionale con nota del 2 maggio 2013 ha risposto affermando che per la decorrenza del provvedimento si era in attesa di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;

   l'assessorato regionale dell'economia ha trasmesso la nota del 22 maggio 2012 al Ministero dell'economia e delle finanze, con la quale si richiede l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri –:

   se il Governo e il Ministro interrogato stiano provvedendo a emanare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, vista l'ormai prossima scadenza per la presentazione dei modelli di dichiarazione dei redditi dei contribuenti interessati.
(4-01027)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO, COLONNESE, FICO, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, MICILLO, PISANO, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo studio «Sentieri» (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento finanziato dal Ministero della salute e svoltosi tra il 2007 e il 2010) inserisce ben 77 comuni del litorale domizio flegreo e agro aversano (Acerra, Arienzo, Aversa, Bacoli, Brusciano, Caivano, Camposano, Cancello ed Arnone, Capodrise, Capua, Carinaro, Carinola, Casagiove, Casal di Principe, Casaluce, Casamarciano, Casapesenna, Casapulla, Caserta, Castel Volturno, Castello di Cisterna, Cellole, Cervino, Cesa, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Curti, Falciano del Massico, Francolise, Frignano, Giugliano in Campania, Grazzanise, Gricignano di Aversa, Lusciano, Macerata Campania, Maddaloni, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Melito di Napoli, Mondragone, Monte di Procida, Nola, Orta di Atella, Parete, Pomigliano d'Arco, Portico di Caserta, Pozzuoli, Qualiano, Quarto, Recale, Roccarainola, San Cipriano d'Aversa, San Felice a Cancello, San Marcellino, San Marco Evangelista, San Nicola la Strada, San Paolo Bel Sito, San Prisco, San Tammaro, San Vitaliano, Santa Maria a Vico, Santa Maria Capua Vetere, Santa Maria la Fossa, Sant'Arpino, Saviano, Scisciano, Sessa Aurunca, Succivo, Teverola, Trentola-Ducenta, Tufino, Villa di Briano, Villa Litemo, Villaricca, Visciano) e ben 11 comuni dell'area del litorale vesuviano (Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Ercolano, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase) tra i SIN, ovvero siti di interesse nazionale che necessitano con urgenza di un piano di bonifica;
   gli abitanti dell'intera area, una delle più densamente popolate d'Europa, in molti casi senza percepire il reale pericolo, sono costretti a vivere in un luogo altamente inquinato da sostanze molto tossiche (diossine, pcb, pcbdl e altri) e ad altissime percentuali;
   tali sostanze procurano una serie di malattie a partire dalla semplice «depressione» fino a quelle più gravi e serie, come le malattie tumorali, SLA, sclerosi, lupus e altro. L'inquinamento ambientale, infatti, procura uno stress ossidativo cellulare e mitocondriale che a sua volta produce una serie di danni seri ed irreversibili all'organismo umano;
   recenti studi statunitensi del professor Martin Pall della Washington State University, avrebbero accertato che gli agenti inquinanti innestano un circolo vizioso in cui le sostanze tossiche con le quali si viene in contatto a livello «locale» (attraverso la cute, gli occhi, nel tratto delle alte vie respiratorie o anche di quello gastrico-intestinale), e cioè molte sostanze chimiche o anche altri fattori stressogeni di tipo «naturale» come i virus o i batteri e le muffe, attivando a più livelli i recettori NMDA (N-Metil-D-Aspartato), molecole presenti in diversi organi, portano alla trasformazione continua di NO (Ossido nitrico) in ONOO (perossinitrito). Tale trasformazione – sempre secondo il professor Pall – una volta «cronicizzatasi», genera, poi, processi di tipo infiammatorio e ossidativo e la diminuzione delle capacità «detossificante» negli organi deputati allo smaltimento delle scorie metaboliche, processi difficili da fermare e che scatenano meccanismi di sensibilizzazione locale che agiscono, di fatto, «aprendo la porta» a pesanti patologie di tipo sistemico;
   in altre parole, tali reazioni – denominate ciclo NO-ONOO – rovinerebbero la membrana cellulare che da impermeabile diventa permeabile permettendo, in questo modo, di far entrare nella cellula sostanze che non dovrebbero esserci, alterando il funzionamento della cellula stessa, formando mutazioni epigenetiche e bloccando il funzionamento di alcuni geni. Tali mutazioni epigenetiche si trasformerebbero in mutazioni genetiche per le future generazioni causando nascite di bambini già ammalati o predisposti ad una serie di terribili malattie;
   sono pochissime le famiglie della zona risparmiate da malattie e soprattutto le percentuali di tumori, cancri, leucemie e linfomi sono aumentate in maniera considerevole: è sufficiente controllare le percentuali di casi in tutto il territorio per rendersi conto che nella zona c’è il più alto tasso di questi tipi di malattie e una riduzione della vita media rispetto al resto dell'Italia;
   alla luce di quanto esposto, è di tutta evidenza come sia urgentissimo procedere ad interventi di bonifica del territorio, anche perché la situazione dei danni genetici, che aumenteranno di padre in figlio, causerà un «genocidio»: è stato infatti stimato che rebus sic stantibus restano circa 5 generazioni prima che il «genocidio» si compia;
   peraltro, l'ultima stima sui tempi di eventuali bonifiche fatta dal Ministro della salute pro tempore Renato Balduzzi ha rilevato che, partendo subito, ci vorranno circa 50 anni per decontaminare il territorio in questione e che comunque il carico tossico maggiore, pur eliminando da subito tutte le cause, ci sarà nei prossimi 25-35 anni: un'intera generazione, pur non colpevole, dovrà pagare un conto salatissimo per gli errori fatti dalle istituzioni e da chi ha permesso questo orribile scempio;
   a conferma di quanto esposto, si segnalano gli studi che la NATO di prassi svolge sulla condizione ambientale dei luoghi dove risiedono e lavorano i suoi dipendenti civili e militari. Da tali studi, che rappresentano uno dei pochi rapporti pubblici sulla condizione ambientale campana, emerge che molti comuni della zona sono indicati come luoghi nei quali è assolutamente sconsigliabile vivere e che il famoso «triangolo della morte» è diventato una figura geometrica molto più complessa. Le zone altamente tossiche sono aumentate a dismisura negli ultimi decenni e sono molto vicine tra di loro: tutta la provincia di Napoli, la zona del vesuviano, il casertano fino al confine con il Lazio risultano essere territori fortemente contaminati da sostanze tossiche –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in merito;
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in merito;
   se il Governo, alla luce dell'atroce situazione delineata in premessa, non ritenga di dover al più presto e con la massima urgenza:
    a) porre in essere tutte le forme di controllo incisivo del territorio campano atte a far cessare il criminale e illecito sversamento di rifiuti tossici in zone agricole e ad alta densità abitativa;
    b) intraprendere, per quanto di competenza, gli improrogabili interventi di bonifica del territorio campano, al fine di cercare almeno di limitare i danni di decenni di scellerate politiche di gestione ambientale del territorio;
    c) istituire un tavolo tecnico permanente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel quale siano coinvolte le associazioni e i comitati di cittadini da anni impegnati nelle lotte a difesa del territorio, personalità del mondo scientifico competenti in materia e rappresentanti di regione ed enti locali, al fine di monitorare la ingravescente situazione sopra illustrata e valutare le soluzioni più adatte alla risoluzione dei disastrosi problemi. (4-01021)


   LUIGI DI MAIO, COLONNESE, FICO, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, MICILLO, PISANO, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 7 gennaio 2013 nell'edizione online del quotidiano Corriere della Sera veniva pubblicata l'inchiesta «Nel triangolo della morte dove case, asili e strade sono costruiti con rifiuti tossici», a firma del giornalista Antonio Crispino;
   all'interno del video e del relativo articolo di accompagnamento, tra le altre cose, vengono riportate inquietanti dichiarazioni riguardo la presenza in quantità massicce di rifiuti tossici di origine industriale illegalmente depositati nei terreni afferenti alla piana di Boscofangone, un tempo cuore della Campania Felix ed oggi utilizzata sia per la produzione agricola sia come area di importanti insediamenti commerciali ed industriali;
   in particolare, si riportano nell'articolo riferimenti piuttosto chiari sulla presenza di liquami nocivi nella zona di Boscofangone, che si riportano testualmente: «Il pentito Carmine Alfieri durante gli interrogatori ha spiegato con una certa minuziosità il tipo di sversamento che veniva tombato nelle campagne di quella che una volta era la Campania felix – dice l'avvocato Mariafranca Tripaldi. Eppure nello stesso posto abbiamo costruito un grande centro commerciale (il cosiddetto “Vulcano Buono”, firmato dall’archistar Renzo Piano, ndr). A nessuno pare essere importato che durante gli scavi siano stati rinvenuti bidoni di liquami industriali provenienti dalla Germania, il business criminale del clan Alfieri. Ma ora tutto è stato coperto dal cemento mentre i tumori qui hanno falcidiato intere famiglie»;
   il Forum Ambiente dell'area nolana, che riunisce associazioni e movimenti ecologisti operanti da anni nell'area nolana, ha più volte cercato di sensibilizzare le autorità locali;
   in particolare, lo scorso 13 gennaio il Forum ha rivolto una lettera al prefetto di Napoli, al procuratore della Repubblica di Nola, al direttore generale dell'Arpac, al direttore generale Asl Na3 Sud, al comandante della polizia provinciale, ai sindaci di Nola, Marigliano e Cimitile, senza ottenere alcuna risposta;
   in tale missiva si chiedeva «l'intervento immediato delle autorità in indirizzo, ognuna per quanto di sua competenza, affinché venga fatta piena luce sullo stato effettivo dei luoghi, indagando a fondo sulla presenza di rifiuti e liquami pericolosi sia per la salute umana che per l'ecosistema» e «la convocazione, nel più breve tempo possibile, di un tavolo istituzionale per affrontare in modo deciso l'emergenza ecologica nella piana di Boscofangone e nelle aree circostanti»;
   il Forum Ambiente dell'area nolana il 9 maggio 2013 ha altresì rivolto all'ARPAC una richiesta al fine di poter accedere alla consultazione dei dati risultanti dallo studio del volo MIVIS (2004), in particolare per l'area di Boscofangone (Nola, Cimitile, Marigliano, Acerra) e alla consultazione dei dati inerenti alla qualità delle acque sotterranee e al monitoraggio delle falde acquifere nell'area Boscofangone e per i comuni di Nola, Marigliano, Acerra e Cimitile, richiedendo inoltre di avviare un'indagine tramite georadar di tutta la piana di Boscofangone, nella zona Nola, Marigliano, Acerra e Cimitile;
   dal 2 giugno 2013 lo stesso Forum per esigere risposte dalle istituzioni interpellate ha anche lanciato una petizione popolare che sta riscuotendo un vasto consenso da parte della popolazione molto preoccupata per le voci che si sono diffuse in seguito alle dichiarazioni del pentito Carmine Alfieri –:
   quali siano le notizie in possesso dei Ministri interrogati in merito alle inquietanti circostanze segnalate in premessa;
   se non ritengano di assumere iniziative per fornire, anche tramite il prefetto di Napoli, una risposta ufficiale affinché la popolazione sia messa nelle condizioni di conoscere quale sia la realtà dei fatti;
   se non ritengano, altresì, di promuovere l'apertura del tavolo di confronto auspicato dal Forum per affrontare in modo deciso l'emergenza ecologica nella piana di Boscofangone e nelle aree circostanti, anche alla luce degli inquietanti elementi emersi dalle citate indagini giornalistiche sulle dichiarazioni del pentito Carmine Alfieri;
   se non ritengano, infine, di porre in essere tutte le iniziative di competenza per contribuire a fare chiarezza circa eventuali rifiuti tossici che siano stati sversati nel terreno su cui è stato costruito il centro commerciale «Vulcano Buono», dal momento che, se ciò corrispondesse al vero, la clientela di tale centro sarebbe gravemente esposta ad agenti inquinanti molto nocivi. (4-01031)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZOGGIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   le risorse del fondo unico per lo spettacolo per la Fenice di Venezia negli ultimi due anni 2 è stato rispettivamente di 15,5 milioni di euro per il 2011 e di 14,5 milioni di euro per il 2012;
   il budget per l'anno 2013 prevede per la Fenice un finanziamento sul fondo unico per lo spettacolo di 14,5 milioni di euro identico al 2012 e su questa ipotesi è stato costruito il pareggio economico;
   è pertanto assolutamente indispensabile che il Governo assicuri il finanziamento previsto anzi integrandolo con interventi di riparto anche per quanto riguarda somme destinate alla qualità, alle tournee, agli eventi speciali e altre voci che potrebbero contribuire a sostenere l'attività culturale della Fenice;
   in presenza di una così ristretta disponibilità economica delle risorse messe a disposizione dal Ministero si rischia di innescare una guerra tra teatri e fondazioni sul territorio italiano con pressioni da parte di istituzioni e opinione pubblica finalizzate a ottenere maggiori disponibilità;
   considerata la criticità in cui versa tutto il sistema culturale italiano, sarebbe quindi da evitare tale tipo di scontro sottraendo le decisioni a princìpi di discrezionalità e affidandole invece a criteri oggettivi non difficili da riscontrare;
   è altresì indispensabile pertanto che nessun intervento straordinario vada a pesare sul fondo unico per lo spettacolo a discapito di questa o quella attività di questa o quella fondazione;
   la Fenice non va assolutamente discriminata ove vi fossero interventi straordinari per eventi di rilevanza internazionale –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire il rispetto dell'impegno di 14,5 milioni di euro di finanziamento per la Fenice per l'anno in corso;
   se intenda assumere iniziative finalizzate all'aumento del patrimonio della fondazione stessa, in considerazione della situazione debitoria;
   se e quali iniziative intenda promuovere il Governo per non escludere la Fenice da eventuali finanziamenti straordinari che interesserebbero altre fondazioni. (5-00443)


   BATTAGLIA e BINDI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   i lavori per la ristrutturazione del museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria risalgono al novembre del 2009, anno in cui molte opere giudicate significative sono state trasferite temporaneamente come soluzione transitoria presso Palazzo Campanella, sede del consiglio regionale della Calabria;
   oltre ai Bronzi di Riace, tra le varie opere vi sono i reperti dal relitto di Porticello di Villa San Giovanni come la «Testa del Filosofo» e la «Testa di Basilea», il «Kouros di Reggio», il frontone del Tempio di Marasà di Locri, una vasta raccolta di pinakes e un Dioscuro a cavallo sopra sfinge fittile sempre da Locri, oltre ad ulteriori reperti di pregio;
   come già denunciato da esponenti delle università Mediterranea di Reggio e dell'università degli Studi di Messina, il primo appalto si mostrava deficitario, giacché non era stata prevista la copertura per i 5 milioni di euro necessari all'allestimento del museo medesimo;
   in questo modo il principale attrattore turistico della città di Reggio Calabria è stato pressoché azzerato, anche se la fama dei Bronzi comunque è in grado di attirare a Palazzo Campanella una discreta quantità di turisti e di visite scolastiche;
   l'offerta espositiva, comunque, anche se ravvivata da alcuni pregevoli tentativi di ricostruzioni virtuali e multimediali, è sempre stata sempre inficiata dal fatto che i Bronzi, anche dopo il loro restauro, sono visibili dietro un vetro, e per di più non in posizione verticale;
   una tale condizione poteva essere tollerata solo per un breve periodo mentre il prolungarsi dei lavori, dovuti alla mancanza dei 5 milioni mancanti per l'allestimento del museo nazionale, è divenuto ora intollerabile per la città di Reggio;
   ad aggravare la situazione è stato anche l'annuncio che una possibile inaugurazione del museo nazionale potrebbe concretizzarsi non prima dell'inverno 2014;
   a questo va aggiunto anche il «turismo» a cui sono costrette gli altri capolavori del museo senza alcuna compensazione e tanto per fare un esempio il «Kouros di Reggio» sarà esposto a Roma, le teste del relitto di Porticello si trovano in Germania per poi essere trasferite a Roma, i pinakes sono quasi tutti in prestito per mostre da vari anni;
   i visitatori di Palazzo Campanella, oltre a un'aria di generale smobilitazione, si trovano di fatto anche ad una penuria di opere d'arte con grave danno per la città –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per avere con certezza la data della ultimazione dei lavori di ristrutturazione del museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria e nel contempo quali iniziative intenda porre in essere per valorizzare al meglio l'offerta culturale di palazzo Campanella garantendo una migliore fruibilità da parte dei visitatori, richiamando anche in sede parte del patrimonio attualmente itinerante.
(5-00447)


   D'UVA, MARZANA, BATTELLI, DI BATTISTA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il Ninfeo di Genazzano, sito di straordinaria bellezza e di eccezionale importanza storica e artistica, fu edificato nei primi decenni del Cinquecento, stando alle fonti più accreditate, su commissione del cardinale Pompeo Colonna a Donato di Angelo di Pascuccio detto il Bramante, architetto e pittore italiano tra i più influenti artisti del Rinascimento italiano;
   l'edificio costituiva un luogo di sosta lungo la via che da Genazzano conduceva a Paliano, nella quale la famiglia Colonna possedeva la propria riserva di caccia, un rifugio in quella che è ancora oggi una delle più belle valli italiane, affacciato su un corso d'acqua che costituiva la tipica struttura raffinata e idillica della cultura umanistica del Rinascimento;
   in seguito a recenti lavori di restauro effettuati nel sito, l'originale status del Ninfeo di Genazzano risulta irrimediabilmente compromesso, dal momento che questi ne hanno gravemente alterato la bellezza artistica, facendo così sorgere forti dubbi circa il regolare svolgimento delle operazioni di restauro considerato che queste hanno, a giudizio degli interroganti palesemente violato i fondamentali principi del mantenimento e della conservazione dei caratteri storico e artistici del sito;
   in particolare il restauro avvenuto alle colonne del Ninfeo ne ha gravemente pregiudicato l'originaria bellezza, attraverso l'applicazione alle stesse di stucchi e malte cementizie a base resinosa non certo idonei a preservare il fascino e la tipicità della struttura rinascimentale del Ninfeo, con una conseguente quanto grave diminuzione del suo valore artistico e storico;
   il travertino poroso, che conferiva alla struttura una naturale bellezza estetica e un fascino storico che sin dalle sue origini caratterizzava il Ninfeo di Genazzano, è stato sottoposto a saturazione, a seguito delle operazioni di restauro, attraverso l'utilizzo di una malta del tutto estranea alla struttura, con conseguente deturpamento dell'originario aspetto;
   data la presenza di una tipologia di malta del tutto estranea alla materia travertino, sia fisicamente che chimicamente, utilizzata per la sua saturazione, sorgono forti preoccupazioni non solo dal punto di vista del deturpamento estetico, ma anche dal punto di vista strutturale;
   dal momento che l'applicazione di materiale estraneo può provocare, nel corso degli anni e attraverso fenomeni chimico-fisici dovuti alla compresenza di due o più tipologie di materiale all'interno di una struttura così antica, un grave danneggiamento alle colonne che costituiscono il Ninfeo di Genazzano, è elevato il rischio di vedere irrimediabilmente compromessi la conservazione e il mantenimento di un sito che, dato il suo elevatissimo valore storico e artistico, non può essere oggetto di interventi approssimativi e superficiali e che per questo necessita di tutela adeguata alla sua importanza per il patrimonio culturale italiano –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'attuale stato del Ninfeo di Genazzano così come restituito alla comunità a seguito di lavori di restauro apparentemente non adeguati;
   se il Ministro intenda assumere urgenti iniziative per ripristinare l'autentico status del Ninfeo di Genazzano, facendo sostituire il materiale che, applicato allo stesso, ha gravemente deturpato l'originaria bellezza artistica di un sito dall'elevato valore storico e culturale, anche attraverso l'avviamento di nuovi lavori di restauro;
   se il Ministro intenda assumere urgenti iniziative per verificare se, a seguito dei lavori di restauro, non sia stata irrimediabilmente compromessa la sicurezza strutturale delle colonne del Ninfeo di Genazzano. (5-00451)


   MALISANI, ROSATO, COPPOLA, BLAZINA, ZANIN e BRANDOLIN. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   è stato presentato il 17 aprile 2013 un appello – a cui si fa espresso riferimento – per gli archivi e per la salvaguardia della cultura del Friuli Venezia Giulia sottoscritto da numerosi funzionari dello Stato, da docenti e studenti dell'università di Udine, da professionisti della conservazione e del restauro, da storici italiani e da esponenti del mondo della ricerca e dell'associazionismo che operano in campo nazionale e internazionale;
   gli archivi di Stato di Pordenone e Udine non possono più accogliere il grande patrimonio storico presente sul territorio, tanto che una parte della documentazione storica che riguarda l'area pordenonese è stata trasferita a Mestre, e l'archivio di Udine, a causa del blocco di un progetto del Ministero per i beni e le attività culturali di una nuova sede in una caserma dismessa, non ha prospettive per raccogliere i 9 chilometri di archivi storici dell'800 e del ’900 che si trovano sul territorio e che stanno degradandosi in depositi inadatti;
   il settore archivistico, elemento strategico per la pubblica amministrazione, ha bisogno di strutture razionali e idonee che garantiscano la conservazione delle tracce delle azioni compiute a vantaggio di chiunque vorrà studiarle, conoscerle, interpretarle;
   il patrimonio degli archivi storici esistenti in Friuli Venezia Giulia presenta un valore inestimabile sul piano culturale ed economico –:
   se il Governo abbia preso o stia per prendere provvedimenti per affrontare e risolvere urgentemente la grave situazione descritta. (5-00453)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO, DI BENEDETTO, D'UVA, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la chiesa dell'Immacolata Concezione sita nel comune di Prata Principato Ultra (Av) rappresenta uno degli edifici sacri più significativi dell'Irpinia per il suo straordinario contesto urbanistico-ambientale e per la notevole stratificazione architettonica medievale, rinascimentale e barocca;
   le sollecitazioni sismiche del 1980/81 avevano determinato un preoccupante quadro fessurativo con lesioni importanti in corrispondenza della facciata e del campanile e dissesti nell'abside, nella cupola e nei vani adiacenti la navata. Le murature perimetrali subirono il distacco totale o parziale in alcune parti, specie negli ancoraggi e nelle congiunture, mentre le strutture orizzontali (capriate lignee e coperture) furono sottoposte a una forte sconnessione del manto di tegole e al dissesto dell'orditura con crolli e conseguenti danni all'incannucciata e alla controsoffittatura decorata;
   i previsti interventi di somma urgenza per la messa in sicurezza dell'edificio, finanziati dalla Soprintendenza di Avellino e Salerno a partire dal 1984-85, non furono realizzati e ciò ha finito per pregiudicare lo stato di conservazione e l'integrità del monumento;
   la mancata realizzazione delle opere di consolidamento e restauro ha condannato l'edificio di culto e il suo ricco patrimonio d'arte all'incuria e a uno stato di vergognosa fatiscenza che persiste ormai da oltre trent'anni;
   negli ultimi mesi sono stati registrati nuovi e pericolosi fenomeni di degrado che stanno accelerando il totale disfacimento delle strutture e la perdita definitiva del bene;
   le abbondanti precipitazioni meteoriche del mese di gennaio 2013 hanno provocato, infatti, il crollo completo del tetto della sagrestia e un notevole peggioramento delle condizioni del controsoffitto dipinto della navata, già interessato da parziali crolli e dissesti della copertura. La grande tela settecentesca si presenta imbarcata, strappata in più punti, penzolante per il peso e la caduta di travi, pietre e calcinacci e intrisa d'acqua con gravissime ripercussioni per la conservazione della pellicola pittorica;
   a causa dell'azione distruttiva degli agenti atmosferici, la decorazione pittorica murale è interessata da efflorescenze saline, muffe, attacchi massicci di licheni e vegetazione infestante, mentre l'apparato in stucco sta riportando danni sia a livello strutturale che superficiale come dimostrano i distacchi, gli spanciamenti, la decoesione degli impasti;
   anche l'arredo ligneo settecentesco, costituito dagli stalli dei confratelli, porte, mobilio, organo e pulpito, già parzialmente distrutto dai materiali di crollo e dall'attacco degli insetti xilofagi indotto dalle pessime condizioni ambientali, si presenta gonfio d'acqua, corroso, disgregato;
   il settecentesco pavimento in cotto e maiolica collocato sopra le volte di copertura delle due cripte sottostanti mostra, a causa dei crolli, dissesti dovuti alla precarietà statica e notevoli danni causati dall'umidità con fenomeni di decoesione della superficie dipinta, lesioni e frammentazioni;
   solo grazie agli abitanti del centro storico è stato possibile mettere in salvo i marmi scolpiti e intarsiati del XVIII secolo dell'altare maggiore e alcune sculture lignee attribuite a Giuseppe Picano, mentre altri pregevoli manufatti di arte applicata restano ancora in sito per le difficoltà legate alla loro movimentazione;
   lo stato di collasso del monumento è stato più volte segnalato ai funzionari architetti e agli storici dell'arte del Ministero competenti per territorio: in tempi recenti appelli sono stati rivolti dalle pagine di quotidiani locali ai Soprintendenti, Gennaro Miccio e Maura Picciau, ma, a quanto consta agli interroganti, nessun provvedimento è stato finora adottato mortificando il ruolo, l'immagine, la missione del dicastero indirizzata alla tutela, alla valorizzazione e alla fruizione del patrimonio culturale nazionale –:
   se risultino agli atti le cause che hanno determinato in passato l'inspiegabile distrazione delle risorse impegnate per gli interventi d'emergenza su altri capitoli di spesa;
   quali lavori di somma urgenza saranno avviati per la messa in sicurezza dell'edificio monumentale indispensabili per evitare nuovi e devastanti effetti alle strutture della chiesa e del campanile;
   quali strategie di intervento saranno intraprese per l'eliminazione dello stato di pericolo degli affreschi della facciata, della navata e della sagrestia, della tela del controsoffitto, dell'arredo ligneo e marmoreo, del partito di stucchi;
   quali strumenti e risorse ordinarie e straordinarie si intendano attivare per il miglioramento sismico delle strutture murarie e delle capriate settecentesche nonché per il restauro completo del rilevante edificio e del suo corredo storico-artistico. (4-01018)


   LUIGI DI MAIO, DI BENEDETTO, D'UVA, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il «castello ducale» di Marigliano in provincia di Napoli, costituito dai resti della fortezza medievale, nonché dal palazzo dei duchi Mastrilli con i fossati, le torri quattrocentesche, i parchi inferiore e superiore, la dogana ducale, la cavallerizza e il tratto superstite della murazione urbica di età aragonese, riveste una grandissima rilevanza storica, artistica, architettonica, archeologica e ambientale;
   l'importantissimo monumento, oggi frazionato tra vari cespiti privati (N.C.E.U./N.C.T. foglio n. 20 con particelle numeri 87-136-140-143-144-145-146-147-148-149-150-151-152-321-324), era sorto in epoca normanno-sveva su precedenti strutture fortificate nell'ambito del programma di riorganizzazione delle opere difensive del Regno di Sicilia;
   opere di ampliamento e abbellimento furono realizzate in età angioina dal principe di Taranto Filippo d'Angio e, successivamente, durante la fase aragonese dalla potente famiglia Carafa della Stadera che si fregiava, tra l'altro, del titolo di «conti di Marigliano»;
   nel Seicento i duchi Mastrilli avviarono un ambizioso progetto di trasformazione del medievale maniero, creando un grandioso e lussuoso palazzo arricchito negli ambienti interni da prestigiose decorazioni e circondato da vasti giardini, che stabilivano un rapporto di continuità tra l'isolato edificio e l'ambiente circostante;
   l'imponente fabbrica si presenta, quindi, come il prodotto di numerose e significative stratificazioni architettoniche, archeologiche e artistiche che le hanno assegnato una configurazione di straordinario interesse;
   con note n. 29423 del 16 dicembre 2003, n. 32955 del 29 novembre 2006, n. 33741 del 7 dicembre 2006 e n. 8698 del 1o aprile 2011, la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico e etnoantropologico di Napoli e provincia indicava la necessità di procedere con urgenza all'istruttoria di nuovi e più incisivi provvedimenti di dichiarazione dell'interesse culturale per diversi edifici di notevole importanza storico-artistica ricadenti nel territorio di Marigliano (Na) a cominciare proprio dal castello ducale;
   il suddetto complesso monumentale, infatti, risulta sottoposto ad un vincolo architettonico parziale, puramente nominale, privo di effettivo valore e assolutamente non esaustivo della notevole importanza culturale dell'immobile;
   a distanza di anni, però, la situazione è rimasta pressoché immutata e il regime vincolistico sul castello ducale di Marigliano non è stato né ampliato né perfezionato, il che ha inciso pesantemente sulla discutibile qualità degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria alle architetture e ai giardini che si succedono ad un ritmo frequente;
   i competenti uffici della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico e etnoantropologico di Napoli e provincia, nonostante le direttive impartite più volte dal Soprintendente, non hanno ancora avviato alcuna istruttoria o proposto nuovi procedimenti;
   notevoli difficoltà si registrano, inoltre, presso la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania dove viene segnalato un rallentamento nelle declaratorie dell'interesse culturale per diversi beni culturali del territorio, nonché una debole incisività degli atti istruttori contenenti le prescrizioni di tutela indiretta per altri eccezionali complessi monumentali della cittadina come il complesso di San Vito o l'Insigne Collegiata Santa Maria delle Grazie –:
   quali siano le ragioni di questi eccessivi, inspiegabili ritardi che rischiano di vanificare l'azione di tutela;
   quali iniziative o provvedimenti urgenti questo Ministero intenda predisporre per garantire l'attivazione dei vincoli diretti per il castello ducale di Marigliano;
   quali misure di tutela indiretta, inoltre, intenda assumere per salvaguardare il contesto ambientale, le aree non edificate, nonché le visuali, la prospettiva, la luce e il decoro dei beni che costituiscono il medesimo complesso costantemente minacciati da interventi invasivi, disomogenei e tipologicamente incongruenti, nonché dalla sfacciata avanzata di un'edilizia speculativa del tutto priva di qualità, che comincia ad assediare i versanti est e nord di questo importantissimo monumento.
(4-01020)


   COZZOLINO, BENEDETTI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, SPESSOTTO, DA VILLA, ROSTELLATO, COMINARDI, D'INCÀ, MUCCI e TURCO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la ditta Cosmo Ambiente srl che ha sede nel comune di Noale (Venezia) e che ha il proprio stabilimento su un terreno confinante con il comune di Salzano (Venezia) svolge come attività la gestione di un impianto per il trattamento e lo stoccaggio di rifiuti anche tossici. In data 26 febbraio 2013 ha ottenuto dalla regione Veneto, con la delibera di giunta n. 213, il parere positivo al progetto di adeguamento tecnologico presentato. Il progetto prevede, tra l'altro, la realizzazione di nuovi locali, l'installazione di un nuovo ciclo di lavorazione e nuovi silos per lo stoccaggio di sostanze pericolose appartenenti a 130 diversi codici CER;
   a seguito dell'approvazione della regione la ditta avrà tempo dodici mesi per partire con i lavori, mentre la messa in esercizio provvisorio dell'impianto dovrà avvenire entro i successivi trentasei mesi dalla data di partenza del cantiere. In questa fase, la ditta è autorizzata a gestire 21.500 tonnellate di rifiuti, di cui, per un massimo di 9.000 tonnellate, speciali pericolosi;
   l'impianto attuale della ditta Cosmo Ambiente sorge su un terreno sottoposto a vincolo ambientale essendo limitrofo all'argine del fiume Marzenego fiume che attraversando la città di Mestre, sfocia nella laguna veneta area tutelata dalla legge speciale. L'ampliamento previsto degli impianti andrà ad occupare in misura ancora maggiore l'area che costeggia il fiume, di proprietà del comune di Noale, nonché area urbanistica di rispetto ambientale con previsione di «area a parco urbano», entro la fascia di rispetto dei 150 metri dai fiumi Marzenego e Draganziolo; tali fasce di rispetto sono pertanto considerate un bene ambientale tutelato, bene per il quale viene richiesta istanza di autorizzazione paesaggistica;
   il proponente ha provveduto, contestualmente alla presentazione dell'istanza presso la regione Veneto, a trasmettere la documentazione progettuale alla direzione regionale del Ministero per i beni e le attività culturali, alla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, e alla soprintendenza beni archeologici del Veneto, ai fini dell'espressione, da parte del medesimo Ministero, del parere vincolante ai sensi dell'articolo 146, comma 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni;
   la direzione regionale del Ministero per i beni e le attività culturali, con nota prot. n. 17131 del 19 settembre 2012 (acquisita con protocollo n. 430459 del 25 settembre 2012) ha espresso il proprio parere favorevole di compatibilità paesaggistica, subordinato al rispetto di prescrizioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se tutte le normative in materia di tutela del paesaggio siano state rispettate dagli organi competenti relativamente all'approvazione del progetto di adeguamento tecnologico presentato dalla Cosmo Ambiente Srl. (4-01025)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   MARCOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 26 marzo 2013, il comando generale dell'Arma dei carabinieri ha comunicato la propria decisione di riportare a Roma il Comando divisione unità mobili dell'Arma, già precedentemente trasferito a Treviso per agevolarne i collegamenti con i reparti a maggior valenza operativa;
   il provvedimento non sembra essere dettato da convincenti considerazioni d'ordine economico, essendo esigui i costi di gestione della prestigiosa sede di Villa Margherita e simbolico il canone di locazione corrisposto al comune, specialmente a fronte delle ingenti spese sostenute in passato per ristrutturare gli alloggi di servizio, riqualificare le aule e la foresteria, che potranno ora ritenersi a fondo perduto;
   inoltre, il trasloco costerà comunque nell'immediato almeno 200 mila euro, cifra cui occorrerebbe aggiungere i sacrifici che verranno chiesti al personale, che dovrà rescindere locazioni ed utenze –:
   se il Governo possa quantificare i vantaggi gestionali che l'Arma dei carabinieri conta di estrarre dal trasferimento a Roma del comando divisione unità mobili attualmente di stanza a Treviso a fronte di oneri giustificabili alla luce degli eventuali vantaggi operativi attesi. (5-00459)


   CORDA e GALLINELLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   come tutti sappiamo, l'Italia versa ormai da lunghi anni in una recessione che ha portato a un suo impoverimento generale, ma prendendo in esame qualsiasi fonte ufficiale, come l'ISTAT, è possibile notare come si stia creando una forbice sempre più ampia tra la classe media e i più poveri, con un conseguente aumento delle persone estremamente ricche. Nello stato di emergenza in cui ci troviamo, lo Stato italiano si dovrebbe occupare, come citano diversi articoli della nostra Costituzione, della salvaguardia di quella fetta di popolazione che trova sempre più difficoltà ad arrivare a fine mese, quando ha ancora fortunatamente un lavoro, oppure di chi ormai da anni si trova nella morsa del precariato e della disoccupazione;
   prendendo in esame in particolar modo il settore della Difesa, da un inchiesta apparsa su Repubblica.it dell'8 novembre 2012, dal titolo la «Casta Armata», si evince che tra Esercito, Marina e Aeronautica ci sono 425 generali per 178 mila militari. Negli Stati Uniti sono in 900, il doppio, ma guidano un comparto che, con i suoi 1.408.000 uomini, è quasi dieci volte quello italiano. Nel paragone, basti rilevare che, ad esempio, in Italia abbiamo più generali di Corpo d'Armata, 64, che Corpi d'armata, circa una trentina; in Aeronautica, 20 generali di Divisione per tre divisioni effettive; come scrive Andrea Nativi, nel rapporto 2011 della Fondazione Icsa, che si occupa di Difesa e intelligence: «Ad essere generosi, in Italia basterebbero 150 generali per svolgere gli stessi compiti»;
   i comandanti sono dunque più dei comandati: 94 mila ufficiali e sottoufficiali, 83.400 uomini e donne della truppa. Nei prossimi due anni il personale, civile e militare, sarà tagliato di 8.571 unità. Entro il 2024, nel testo della legge delega sulla revisione dello strumento militare, approvato in extremis dal Parlamento prima dell'interruzione della XVI Legislatura, i 178 mila (somma di graduati e truppa) scenderanno a 150 mila, ma i generali no;
   a parere degli interroganti, questa spending review come al solito tocca gli ultimi ma lascia incolumi coloro che per primi dovrebbero dare il buon esempio. Particolarmente interessante, infatti, risulta essere la speciale indennità pensionabile (Sip) che spetta al Capo di stato maggiore della difesa (482.019 euro all'anno), ai tre Capi di stato maggiore di esercito, aeronautica e marina (481.006 euro), al Comandante generale dell'Arma dei carabinieri (462.642 euro) e al Segretario generale della difesa (451.072). Cifre che superano i 294 mila euro annui (il trattamento riservato al Primo presidente di Cassazione) indicati dal decreto cosiddetto «salva-Italia» come tetto degli stipendi dei manager pubblici –:
   per quale motivo, nell'ambito della riforma dello strumento militare, si sia ritenuto lasciare intatto il numero dei generali, di cui nel sito ufficiale della difesa, non compaiono le dichiarazioni dei redditi, come invece prescritto dalla legge. (5-00460)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NACCARATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la città di Padova ospita diverse caserme delle forze armate che non sono più utilizzate, come la caserma Prandina e caserma Romagnoli;
   in particolare la caserma Romagnoli in via Chiesanuova, da tempo non più attiva, rientra nei beni del demanio militare e per la sua collocazione è oggetto di interesse manifestato più volte al Ministero da parte dell'amministrazione comunale;
   oggi questo insediamento di circa 145 mila metri quadrati rischia di subire un processo di progressivo degrado dovuto al tempo, agli agenti atmosferici e all'abbandono delle attività precedentemente connesse all'area militare, nonostante la sorveglianza delle forze armate che ne garantiscono i confini per evitare l'accesso di soggetti non autorizzati o malintenzionati;
   l'intera area rappresenta da molti anni un luogo di interesse per lo sviluppo urbanistico della città di Padova poiché si trova in un quartiere che ha più volte manifestato la volontà di destinare l'area alla creazione di un centro per le diverse funzioni sociali economiche e culturali situate nelle vicinanze che soffrono della presenza di una strada intensamente trafficata;
   sull'area si sono concentrati diversi studi di professionisti e associazioni che convengono sull'opportunità di stabilire proprio nel sedime della caserma il detto centro di quartiere immaginando diverse soluzioni alle quali è comune la costruzione di una piazza, opera sulla quale l'Amministrazione comunale ha più volte manifestato interesse e apprezzamento;
   inoltre, la caserma comprende una polveriera nella sua sezione meridionale che consentirebbe, una volta bonificata, l'ampliamento del vicino parco sportivo polifunzionale recentemente intitolato alla memoria dell'ispettore Filippo Raciti, medaglia d'oro al valor civile;
   questo parco ospita quotidianamente centinaia di persone coinvolte in attività sportive e di divertimento;
   l'amministrazione comunale ritiene che dando seguito al passaggio di titolarità tra il demanio militare e quello civile si potrebbe procedere alla cessione al comune di Padova di quest'area così importante per la città, togliendola dal degrado e valorizzandola secondo le funzioni da tempo studiate da diversi soggetti e dalla stessa amministrazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   quali iniziative intenda adottare per facilitare la cessione dell'area dell'ex-caserma Romagnoli al comune di Padova.
(4-01005)


   BARONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il maresciallo Marco Diana, nel 1998, si è ammalato di neoplasia al fegato, una forma tumorale chiamata carcinoide neuroendocrino dell'ileo metastatico, dopo avere prestato servizio militare in missione all'estero ed essere stato a contatto con sostanze pericolose;
   la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, adunanza di sezione del 15 giugno 2010, numero affare 02984/2009, ha accolto il ricorso presentato dal maresciallo Marco Diana in data 16 ottobre 2006, nella quale egli chiedeva di accedere ai benefici di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2006, n. 243;
   al maresciallo Diana è stato riconosciuto il diritto all'erogazione di una pensione privilegiata e all'accompagno, ancorché insufficiente sia in relazione al danno globale sia per la copertura delle ingenti spese mediche costantemente sostenute, circostanza che ha costretto, il maresciallo Diana a indebitarsi per provvedere alle cure mediche necessarie;
   l'argomento è stato oggetto di una lettera del Ministro della difesa, pro tempore Antonio Martino nella quale si dichiara e si garantisce l'impegno a spesare al cento per cento le spese di assistenza attraverso un atto dispositivo permanente nel quale si afferma che la ASL non dovrà sopportare alcun carico né economico né amministrativo sulla spesa per gli integratori sanitari in quanto tali spese saranno a carico del ministero stesso, ovvero come citato nella lettera: «l'Amministrazione ha posto in essere ogni azione di natura assistenziale e previdenziale prevista dalle normative vigenti»;
   sulla vicenda del maresciallo Diana, sono state presentate, nel corso di diverse legislature, numerose interrogazioni in entrambi i rami del Parlamento che, tuttavia, non hanno prodotto alcun esito concreto ed efficace;
   in questi giorni è stata inviata al maresciallo Diana, una raccomandata contenente due lettere datate 5 giugno 2013, a firma della dottoressa Isabella Cimmino dirigente della divisione del Ministero della difesa – direzione generale della previdenza militare e della leva e ricevuta dal maresciallo il 12 giugno 2013;
   nella prima, protocollo 054016, si chiede un parere competente tecnico-sanitario all'ispettorato (SMD IGESAN) per poter procedere al rilascio dell'autorizzazione in titolo. Il citato ispettorato ha chiesto un'integrazione alla documentazione trasmessa di prescrizioni mediche giustificative dell'acquisto di farmaci, visite specialistiche ed esami strutturali effettuate, rimanendo in attesa di riscontro;
   nella seconda, protocollo 054028, indirizzata al Dipartimento Militare di Medicina Legale di Cagliari e per conoscenza al maresciallo, viene scritto, tra le altre, quanto segue: «... in esito alla richiesta formulata in titolo, intesa ad ottenere l'autorizzazione al rimborso delle spese sanitarie per infermità riconosciuta dipendente da causa di servizio, acquisito il parere dell'Ispettorato Generale della Sanità Militare, si prega il D.M.M.L di Cagliari di voler sottoporre il sottoufficiale a visita specialistica, al fine di poter aggiornare le condizioni di salute dei predetto e di voler inviare alla scrivente la relazione prevista, della circolare dell'ex Difesa protocollo n. M–D GSAN 0013127 in data 21 luglio 2009, lettera inviata al Dipartimento Militare di Medicina Legale e per conoscenza al sottoufficiale Marco Diana»;
   a parere degli interroganti, tali richieste devono considerarsi vergognose e offensive della dignità umana, dato che vi è stata una sentenza del Consiglio di Stato e una pronuncia della Corte dei conti;
   il maresciallo Diana attende con urgenza che vengano soddisfatte e garantite le seguenti richieste:
    a) accesso gratuito alle strutture sanitarie pubbliche o private convenzionate su tutto il territorio nazionale, per l'assistenza continuativa di cui necessita quotidianamente e per l'eventuale ricovero;
    b) rimborso integrale dietro presentazione della documentazione giustificativa delle spese relative a visite mediche specialistiche, spese di degenza ospedaliera, analisi di laboratorio, trattamenti, ivi comprese terapie sperimentali, medicinali, integratori alimentari, prodotti specifici per la cura del corpo, attrezzature sanitarie e fisioterapiche, altro qui non indicato per sintesi, che si dovesse rendere necessario;
    c) rimborso integrale del personale parasanitario necessario (l'assistenza risulta necessaria h24);
    d) rimborso integrale di tutti i costi di viaggio, vitto e alloggio nel comune dove verrà ricoverato, ivi compresi i costi degli accompagnatori;
    e) la conferma dell'impegno del Ministero della difesa a provvedere, nell'ipotesi di ritardo e omissione, presso tutti gli enti preposti, affinché gli stessi immediatamente avviino le procedure e le autorizzazioni necessarie per le cure e i trattamenti e la consegna dei rimborsi necessari, impegnandosi all'anticipazione delle spese, laddove questo, per sua impossibilità o difficoltà, dovesse rendersi necessario;
    f) tutto ciò, anche nell'ipotesi in cui le visite, le cure, i ricoveri, i trattamenti dovessero essere svolti all'estero;
    g) disponibilità di interlocutori attenti e sensibili alla sua problematica sanitaria, in modo tale che non vengano a mancare quei contatti costanti e continui che sono alla base del sostegno morale nei confronti del maresciallo Diana;
    h) conferma dell'impegno preso in occasione della visita di cortesia di autorità ministeriali presso la sua abitazione, della concessione a favore del maresciallo Diana di un'onorificenza al merito della Repubblica italiana e che questo impegno venga onorato anche nella forma del motu proprio;
   il caso del maresciallo Diana rischia di creare, al di là del caso personale, una situazione di estremo disagio tra le nostre forze armate e tra i nostri soldati impegnati in missioni all'estero e in Italia; nella conferenza stampa (riportata dal quotidiano l'Unione Sarda in data 30 giugno 2002), tenuta dallo stesso maresciallo, sono venute alla luce alcune situazioni in cui i nostri soldati sono costretti a operare, le quali, qualora dovessero corrispondere al vero, porrebbero numerosi e inquietanti interrogativi a cui bisognerebbe dare immediata risposta;
   non bisogna dimenticare, infine, i casi di melanoma che si sono verificati anche tra i civili che hanno operato in Bosnia, così come destano preoccupazione e allarme i casi di figli nati con malformazioni genetiche, tra i militari e i civili che hanno operato in missioni all'estero –:
   se sia a conoscenza delle inadempienze nei confronti del sottufficiale Maresciallo Marco Diana;
   se, date le gravi condizioni del maresciallo Marco Diana, intenda rispettare gli impegni presi dai suoi predecessori per rendere giustizia all'uomo nonché al militare, prima che sia troppo tardi;
   se non ritenga necessario verificare quanto denunciato dal maresciallo Diana sulla non applicazione delle misure di sicurezza sia durante le missioni all'estero, sia durante le esercitazioni e come intenda affrontare questa situazione tenuto conto, oltretutto, che i nostri militari continuano a operare in zone di guerra;
   nell'ambito delle rispettive competenze, se non ritengano necessario e urgente la costituzione di una commissione che affronti, in maniera seria e scientifica, tutta la materia in questione e sappia dare una risposta reale e veritiera sulle cause di tante patologie che hanno colpito sia i militari sia i civili operanti all'estero, e, in alcuni casi, anche i loro figli. (4-01029)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   400 mila persone senza lavoro, hanno avuto l'amara sorpresa, presentando la dichiarazione dei redditi 2013, di scoprire che per ricevere i rimborsi IRPEF del 2012, dovranno aspettare almeno 2 anni;
   si tratta di una odiosa beffa per i licenziati del 2012 che non avendo più un datore di lavoro come sostituto d'imposta, non possono più presentare il 730 per portare in detrazione le varie spese sostenute nell'anno precedente (mediche, per i figli a carico, per gli interessi passivi sui mutui, e altro) e ottenere il conguaglio con la retribuzione di luglio 2013;
   questi licenziati non hanno neanche la cassa integrazione perché in questo caso l'INPS farebbe da sostituto d'imposta ottenendo il rimborso a fine luglio;
   con il modello Unico invece queste persone devono chiedere all'Agenzia delle entrate il rimborso dei crediti e anticipi versati nel 2012 e i tempi dei rimborsi diventano biblici danneggiando famiglie in grave difficoltà e per le quali anche cifre modeste possono rappresentare un vitale sollievo economico –:
   quali iniziative intenda assumere per far sì che sia restituito quanto dovuto a queste 400 mila persone nel più breve tempo possibile, trattandosi peraltro di cifre modeste.
(2-00115) «Melilla».

Interrogazione a risposta orale:


   FRAGOMELI, PELILLO, LORENZO GUERINI, PASTORINO e LODOLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 30 luglio 1999, n. 311 recante «Regolamento recante norme per l'individuazione delle modalità e delle condizioni cui è subordinata la detrazione degli interessi passivi in dipendenza di mutui contratti per la costruzione dell'abitazione principale prevede agli articoli 1-2 e 3:
    1. Gli interessi passivi e relativi oneri accessori, nonché le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione, pagati a soggetti residenti nel territorio dello Stato o di uno Stato membro della Comunità europea, ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca e contratti per la costruzione dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale si detraggono, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e fino alla concorrenza del suo ammontare, per un importo pari al 19 per cento dell'ammontare complessivo non superiore a 5 milioni di lire. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente dimora abitualmente.
    2. La detrazione di cui al comma 1 si applica relativamente ai contratti di mutuo stipulati, a partire dal 1o gennaio 1998, ai sensi dell'articolo 1813 del codice civile, ed assistiti da ipoteca, e compete limitatamente agli interessi e relativi oneri accessori, nonché alle quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione riferibili all'importo del mutuo effettivamente destinato alla costruzione dell'immobile.
    3. La detrazione è ammessa a condizione che i lavori di costruzione abbiano inizio nei sei mesi antecedenti o successivi alla data di stipula del contratto di mutuo da parte del soggetto che sarà il possessore a titolo di proprietà o altro diritto reale dell'unità immobiliare da costruire e che quest'ultima sia adibita ad abitazione principale entro sei mesi dal termine dei predetti lavori.
    2. 1. Il diritto alla detrazione viene meno a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in cui l'immobile non è più utilizzato per abitazione principale; non si tiene conto delle variazioni dipendenti da trasferimenti per motivi di lavoro.
    2. La mancata destinazione ad abitazione principale dell'unità immobiliare entro sei mesi dalla data di conclusione dei lavori di costruzione della stessa comporta la perdita del diritto alla detrazione e da tale data decorre il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi da parte dell'amministrazione finanziaria.
    3. La detrazione non spetta se i lavori di costruzione dell'unità immobiliare non sono iniziati nei sei mesi antecedenti o successivi alla data di stipula del contratto di mutuo; la detrazione non spetta, altresì, se i detti lavori non sono ultimati entro il termine stabilito dalla concessione edilizia per la costruzione dell'immobile o in quello successivamente prorogato e da tale data inizia a decorrere il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi da parte dell'amministrazione finanziaria. Il diritto alla detrazione non viene meno se i termini previsti nel precedente periodo non sono rispettati per ritardi imputabili esclusivamente all'amministrazione comunale nel rilascio delle abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia.
    3. 1. Per fruire della detrazione di cui all'articolo 1 è necessario conservare ed esibire o trasmettere anche in copia, a richiesta degli uffici finanziari, le quietanze di pagamento degli interessi passivi relativi al mutuo, il contratto di mutuo ipotecario dal quale risulti che lo stesso è assistito da ipoteca e che è stato stipulato per la costruzione dell'immobile da destinare ad abitazione principale, le abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia, nonché copia delle fatture o ricevute fiscali comprovanti le spese effettivamente sostenute per la costruzione dell'immobile stesso.»;
   la circolare n. 38/E del 28 settembre 2012 dell'Agenzia delle entrate avente per oggetto chiarimenti relative all'articolo 2, comma 1, 2, 3 e 3-bis, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (cosiddetto «Decreto semplificazioni fiscali e Decreto semplificazioni tributarie»), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, introduce una particolare forma di ravvedimento operoso (cosiddetto remissione in bonis) volto ad evitare che, mere dimenticanze relative a comunicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali;
   secondo l'interpretazione dell'Agenzia delle entrate, la previsione in esame, in presenza di alcuni presupposti di natura sostanziale, intende «salvaguardare il contribuente in buona fede e la sua scelta di assolvere l'adempimento richiesto tardivamente»;
   alcuni cittadini interessati dall'accensione di un mutuo di lungo periodo per la ristrutturazione della propria abitazione si sono visti negare il diritto alla detrazione degli interessi passive sul suddetto mutuo poiché non avevano completato nei sei mesi dalla data di conclusione dei lavori, il passaggio di residenza nell'abitazione suddetta –:
   se il ravvedimento operoso (cosiddetto remissione in bonis) come citato dalla Circolare suddetta dell'Agenzia delle entrate possa applicarsi anche nel caso specifico suesposto, diversamente cosa intende fare per scongiurare che quei cittadini titolari di mutuo perdano il diritto di detrarre gli interessi passivi per meri ritardi procedurali. (3-00151)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LODOLINI, PETRINI e MARCHETTI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   drammatica è la situazione nella quale si trovano migliaia di lavoratori e lavoratrici delle piccole e medie imprese marchigiane, a causa della mancanza di fondi per sostenere gli ammortizzatori sociali in deroga;
   con la prima assegnazione di risorse alle Marche, pari a 22,4 milioni di euro, sono state coperte le esigenze di cassa integrazione e mobilità in deroga fino al 31 marzo 2013;
   il decreto di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali prevede complessivamente un miliardo di euro del quale, però, solo 550 milioni sono effettivamente attribuibili alle regioni per la copertura della cassa integrazione in deroga;
   di questi, alle Marche, sono assegnati 16,4 milioni di euro: una cifra nettamente al di sotto delle aspettative e assolutamente inadeguata rispetto alle necessità dei lavoratori e delle aziende delle Marche;
   come già verificato con l'INPS regionale, tale cifra consentirà di coprire le esigenze di cassa integrazione al massimo fino a maggio 2013; pertanto, i lavoratori e le imprese che hanno già fatto ricorso alla cassa integrazione dal 1o giugno sono già fuori copertura;
   si consideri che nel periodo 1o gennaio-31 marzo, sono stati interessati dallo strumento della cassa in deroga 20.690 lavoratori e 4.102 imprese;
   l'insufficienza di risorse per far fronte alla cassa integrazione in deroga è un problema di carattere nazionale ma penalizza più di altre la regione Marche a forte vocazione artigiana e con presenza di piccole e piccolissime aziende, che non hanno altri strumenti di copertura; venendo a mancare la cassa integrazione in deroga, che ha consentito la tenuta occupazionale, il rischio concreto per oltre 15.000 lavoratori è quello di perdere il proprio posto di lavoro –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare allo scopo di garantire nel minor tempo possibile le condizioni, anche e soprattutto di carattere finanziario, per assicurare il riconoscimento degli ammortizzatori sociali necessari ad affrontare la sfavorevole congiuntura economica per coprire le esigenze di tutto il 2013. (5-00450)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Gepin è stato fin dalla nascita di proprietà della famiglia Zavaroni ed è costituito da diverse società di informatica e call center;
   da anni è protagonista di numerose e continue procedure di cassa integrazione e mobilità secondo metodologie che lasciano supporre che in molti casi tali provvedimenti siano risultanti non tanto da una contrazione dell'attività produttiva, quanto dall'intento del vertice aziendale di espellere dipendenti con contratto a tempo indeterminato per sostituirli con contratti di lavoro più flessibili;
   sfruttando fasi di contrazione di commesse, peraltro puntualmente seguite da una robusta ripresa, il vertice Gepin ha beneficiato dell'aiuto pubblico, mettendo a carico dello Stato i lavoratori regolari sospesi, e ricorrendo a manodopera temporanea e precaria, più sfruttata, indifesa e ricattabile;
   ciò che più rileva, tuttavia, ai fini dell'esame del Governo circa la posizione del gruppo Gepin è che tali processi di ristrutturazione non hanno coinvolto soltanto i dipendenti, ma anche l'assetto societario;
   la prima azienda, Gepin generale per l'informatica spa, ammiraglia del gruppo, ha dapprima ceduto un ramo d'azienda a una nuova impresa creata nel luglio 2007, ha quindi cambiato nome in «GETEK» e infine ha ridotto il capitale sociale a 100.000 euro ed è diventata una srl;
   il ramo d'azienda che venne staccato dall'attuale GETEK ha immediatamente assunto il nome di GEPIN spa, in modo da continuare a rappresentare il marchio storico del gruppo;
   Getek, invece, ha proceduto a massicci trasferimenti individuali dei contratti di lavoro e intestazione di commesse attive verso la «new co.»;
   Getek deteneva il pacchetto azionario di Gepin spa, 5 milioni di euro, risultandone la proprietaria ma risultava a bilancio un debito tributario pari a circa 70 milioni di euro;
   all'indomani della cessione delle attività e di gran parte del personale da Getek alla nuova Gepin spa, è sorta una ulteriore nuova azienda, la Gepin Management, il cui capitale sociale assomma a 100 mila euro, in mano alla famiglia Zavaroni;
   Gepin Management assunse immediatamente il controllo di Gepin spa per il settore software, e di Gepin Contact spa, un altra controllata del gruppo, per il settore call center;
   dalla fine del 2009 la Getek non presentava alcun legame con il gruppo Gepin/Gepin Management: il vertice proprietario di Getek passò integralmente alla guida del «nuovo» Gruppo Gepin, rescindendo ogni legame con l'azienda detenuta fino a poco prima, la quale risultava invece intestata, per un capitale sociale meramente simbolico, 100.000 euro, ad un nuovo titolare formale, «Kelsen Servicos e Investimentos Lda», una società off shore con sede a Madeira nelle Isole Azzorre, regione autonoma del Portogallo;
   è per questo motivo che della Getek si conoscono poche notizie tra cui il nome dell'amministratore unico, tale Lorenzo D'Ormea che, essendo nato il 13 giugno 1913 conta ormai la ragguardevole età di anni 100 e che da notizie di stampa è stato già oggetto di condanne in primo grado nel 2005 per bancarotta fraudolenta;
   Getek è stata dunque separata dal gruppo portando apparentemente con sè in dote, qualche decina di dipendenti e un debito tributario di 70 milioni di euro;
   trovandosi in questa insostenibile situazione finanziaria, Getek, che appare all'interrogante vera e propria bad company, nel corso del 2012 ha chiuso le sedi di Roma e Napoli, ha licenziato il personale collocandolo in mobilità, e dopo pochi mesi è fallita senza lasciare alcun referente su cui i dipendenti, che ancora vantavano i trattamenti di fine rapporto, competenze arretrate e mancato preavviso, o il fisco avrebbero potuto rivalersi;
   la stessa Gepin spa, nonostante l'operazione messa in atto abbia fruttato qualche risultato sul piano finanziario, non sembra attualmente fuori da rischi di tenuta, essendo rimasta appiattita secondo l'interrogante su una gestione che appare puramente speculativa e avendo continuato ad appoggiarsi su gli ammortizzatori sociali e sui licenziamenti facili: delle cinque sedi presenti sul territorio nazionale ben quattro negli ultimi tre anni hanno dovuto ricorrere a procedure di cassa integrazione ordinaria e straordinaria (Roma, Torino, Mestre, e Napoli), che hanno coinvolto circa 200 persone;
   per quanto risulta all'interrogante, nell'aprile 2012, in seguito all'apertura di una procedura di mobilità, si è giunti a licenziare ulteriori cinquanta unità nella sola sede di Roma;
   successivamente ai licenziamenti, si è scatenata un'altra fase di contenzioso con i dipendenti;
   sono state contestualmente create altre due realtà, Gepin PA («pubblica amministrazione») e Gepin IT («Information Technology»), entrambe società per azioni, in cui transiteranno le residue attività e oltre al personale che ancora può essere impiegato;
   non è da escludere, visti i precedenti, il rischio concreto che Gepin srl segua la sorte di Getek, non essendo intercorsi atti o fatti tali da impedire che il management provveda a disattendere gli obblighi della società nei confronti dei dipendenti e del fisco che vanta attualmente attorno ai dieci milioni di euro di crediti fiscali;
   su iniziativa delle principali organizzazioni sindacali, il gruppo Gepin è stato peraltro ripetutamente interpellato e convocato dal Ministero dello sviluppo economico per monitorare e verificare le condizioni di effettiva crisi e di possibile ripresa, ma il titolare d'impresa, dottor Enzo Zavaroni, a quanto consta all'interrogante di fatto si sarebbe sottratto alla possibilità di un confronto e non avrebbe mai presentato, a detta dei lavoratori, un piano industriale realistico a fronte dei licenziamenti;
   mentre il management dimostra secondo l'interrogante una scarsa attenzione verso logiche di trasparenza e correttezza, indulgendo a comportamenti quanto meno discutibili a livello nazionale, le aziende del gruppo impiegano oggi meno di 500 dipendenti mentre solo quattro anni fa la vecchia Gepin generale per l'informatica contava più di mille addetti –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali azioni di propria competenza intendano intraprendere per tutelare i livelli occupazionali del gruppo Gepin;
   come intenda agire per assicurare la riscossione dell'iniziale debito fiscale di 70 milioni di euro lasciato in carico a Getek srl prima che venisse scorporata dal gruppo Gepin;
   quali siano gli strumenti che, in base alla disciplina vigente, possono impedire operazioni finanziarie come quella relativa alla creazione di Getek srl e alla cessione a detta società, con un capitale sociale a giudizio dell'interrogante risibile, di una rilevantissima quota del debito fiscale di Gepin e di un numero consistente di risorse umane con modalità che destano forti perplessità sul rispetto della normativa sul lavoro e di quella fiscale. (4-01010)


   ZAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel piano industriale vigente del Monte dei Paschi di Siena depositato preso l'EBA (Ente bancario europeo) è prevista una riduzione degli organici di circa 4.900 persone entro il 2015, di queste 900 cessazioni sono legate alla vendita di Biverbanca; 270 circa derivano da pensionamenti; 1600 da esodi; 1100 da esternalizzazioni del back office;
   le esternalizzazione investono circa 400 persone a Padova, 250 persone a Mantova, 70 persone a Milano, 270 persone a Siena, 170 persone a Roma, 400 persone a Lecce, oltre 100 a Firenze nel Piano Industriale vigente è previsto che la cifra spesa per il servizio degli esternalizzati è tra i 70 e gli 80 milioni di euro. Mentre il solo costo del lavoro esportato è di 90 milioni a cui bisogna aggiungere i costi di gestione (presumibilmente pari a 20-25 milioni di euro). L'eventuale azienda acquirente lavorerebbe, quindi, in perdita;
   a fronte di ciò è stato siglato un accordo sindacale da quattro sigle (FABI-Federazione Autonoma Bancari Italiani, Fiba Cisl, Ugl, Uilca Uil), non dalla FISAC CGIL, che non prevede alcuna tutela in caso di fallimento o licenziamenti da parte dell'azienda prenditrice;
   l'unica garanzia sarebbe una lettera individuale di rientro in MPS;
   allo stato all'interrogante sembra che l'esternalizzazione non sia altro che un licenziamento delegato ad un altro soggetto –:
   se siano allo studio misure per la salvaguardia dell'occupazione nei confronti del personale del Monte dei Paschi di Siena individuato in esubero in special modo per quello destinato alla esternalizzazione;
   se vi siano inoltre progetti per il salvataggio dell'istituto che anche nel primo trimestre dell'anno corrente ha evidenziato una forte perdita e che dovrà anche far fronte al pagamento degli interessi sui Monti Bond per fine anno.
(4-01011)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GARAVINI e VERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il monitoraggio in tema di misure di prevenzione personali e patrimoniali di contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso emesse ex legge n. 646 del 1982 (strettamente connesso a quello dei beni sequestrati e confiscati) è iniziato nel 1983, in osservanza ad una circolare del direttore generale degli affari penali, con cadenza semestrale e fa parte del piano statistico nazionale;
   nel 1997 è iniziato un monitoraggio in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati, grazie alle previsioni di cui alla legge n. 109 del 1996 in base alla quale viene attuato un monitoraggio permanente di tali beni;
   la raccolta dei dati relativi ai beni sequestrati e confiscati, allo stato del procedimento per il sequestro e la confisca dei beni, alla consistenza, destinazione ed utilizzazione dei beni è disciplinata dal regolamento del Ministero della giustizia emanato in data 24 febbraio 1997;
   in ottemperanza all'articolo 7 del predetto decreto ministeriale del 24 febbraio 1997 n. 73 il Ministero della giustizia trasmette, con cadenza semestrale, i dati necessari per la predisposizione della Relazione finale che la Presidenza del Consiglio dei ministri è tenuta a fornire al Parlamento. In tale relazione sono rappresentate le tabelle inerenti le misure patrimoniali relative sia al procedimento di prevenzione (dal suo inizio alla sua definizione) sia alle fasi inerenti la gestione dei beni (fino alla loro definitiva assegnazione);
   il nuovo sistema informativo «SIPPI» (sistema informativo prefetture e procure dell'Italia meridionale) che consente di attuare un monitoraggio in forma interamente automatizzata in tutto il territorio nazionale, è finalizzato alla creazione di una banca dati centralizzata per la gestione di tutte le informazioni relative ai beni «sequestrati e confiscati» alle organizzazioni criminali;
   pur avendo introdotto negli ultimi anni innovazioni importanti circa il sistema di rilevamento dei dati e il relativo monitoraggio, il predetto sistema di rilevazione e conseguentemente le tabelle riepilogative dei dati non contemplano informazioni e «voci» relativamente al numero di lavoratori coinvolti nelle aziende sequestrate e confiscate;
   anche da quanto emerge dall'ultima Relazione al Parlamento sui beni sequestrati e confiscati, aggiornata al 31 marzo 2013, si rappresenta il numero totale dei procedimenti (6.456 presenti in banca dati, di cui quasi l'ottanta per cento, emessi nelle regioni del sud), secondo la classificazione in beni mobili, immobili, beni finanziari, aziende, beni destinati allo Stato, beni immobili destinati ai comuni o a scopi sociali) manca uno specifico rilevamento circa i lavoratori interessati, in conseguenza dell'emanazione delle misure di prevenzione a carattere patrimoniale;
   mancano stime ufficiali sulla proiezione dei dati circa le aziende sequestrate e confiscate, relativamente alla chiusura e al fallimento delle medesime e in termini di perdita di posti di lavoro. Pur in assenza di uno specifico rilevamento circa il numero dei lavoratori coinvolti, non è azzardato ipotizzare che il fenomeno riguardi, in ambito nazionale, decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici appartenenti a tutti i settori produttivi, nessuno esente dalle infiltrazioni del crimine organizzato – lavoratori licenziati o in cassa integrazione, in conseguenza di chiusura o fallimento delle attività produttive oggetto di misura patrimoniale –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dover intervenire per implementare il sistema di monitoraggio di cui in premessa, prevedendo meccanismi di rilevazione statistica e monitoraggio, anche in ordine al numero e ai profili professionali dei lavoratori coinvolti, avvalendosi dei contributi delle altre amministrazioni competenti in materia, avendo riguardo anche ai dati concernenti la perdita dei posti di lavoro o l'accesso agli ammortizzatori sociali, in conseguenza all'emanazione di misure patrimoniali di sequestro e confisca delle relative aziende, anche al fine di integrare la Relazione del Governo al Parlamento sui beni sequestrati e confiscati, ai sensi dell'articolo 3, comma 2 della legge n. 109 del 1996. (5-00449)

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento all'allarme e alla preoccupazione scaturiti a seguito della prossima attuazione del piano carceri dove sono stabiliti i criteri della riorganizzazione delle case circondariali che in Sicilia prevedono la chiusura in degli istituti penitenziari di Modica, Mistretta e Nicosia;
   tale decisione nasce nell'ambito della revisione della spesa da parte dello Stato a causa della quale determinati tagli sono stati deleteri perché operati senza una logica che mettesse in evidenza le esigenze dei territori, la loro storia, cultura e tradizioni;
   tra gli istituti penitenziari della Sicilia a rischio chiusura, il carcere di Modica è una struttura efficiente e che opera degnamente sia dal punto di vista strutturale che riguardo il trattamento dei detenuti;
   tale decisione non risolve il problema del maggiore risparmio, anzi aumenta gli oneri a carico dello Stato e aggiunge problemi ad altri problemi, visto che il sistema penitenziario è già al collasso per sovraffollamento delle carceri e con personale addetto sempre minore (ci si riferisce alla polizia penitenziaria ma anche agli operatori, assistenti sociali, psicologi, educatori, medici);
   una scelta del genere, penalizzante per la città di Modica, sarebbe opportuno farla solo se il nostro comprensorio avesse già a disposizione una struttura efficiente e riorganizzata in grado di accogliere più detenuti –:
   se il Governo intenda rivedere tutta la questione prima di ogni drastica decisione, valutando più attentamente ogni realtà locale ed in particolare quella della provincia di Ragusa perché è evidente che chiudere il carcere di Modica significa produrre disagi e disservizi maggiori all'istituto penitenziario di Ragusa che soffre sia strutturalmente che per sovraffollamento e poco personale;
   il Governo intenda assumere iniziative per mettere nelle condizioni il nostro territorio di avere una casa circondariale efficiente e riorganizzata, perché solo in questo caso si può parlare di eventuale chiusura del carcere di Modica ed, in attesa, prevedere la riutilizzazione della struttura, cambiando eventualmente veste giuridica, attraverso l'istituzione di una casa famiglia protetta per detenute con bambini o ancora di una struttura per cittadini stranieri agli arresti domiciliari che non hanno un posto dove andare per scontare questo tipo di pena, che consentirebbe una continuità ad operare nella propria sede anche per gli agenti di polizia penitenziaria. (4-01019)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'INCÀ, FANTINATI, DA VILLA, SPESSOTTO, COZZOLINO, ROSTELLATO, BUSINAROLO, BRUGNEROTTO, BENEDETTI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i trasporti sono fondamentali per l'economia della nostra società e che devono essere sostenibili in vista delle nuove sfide che viviamo in questi tempi moderni, si evidenza che nella tratta ferroviaria «Calalzo-Ponte nelle Alpi-Padova e Ponte nelle Alpi-Venezia» il numero dei disagi e dei disservizi ha registrato un continuo aumento nel corso degli ultimi anni con soppressione di treni, sistematici ritardi, sovraffollamento dei passeggeri e molti episodi di mancato funzionamento dei passaggi a livelli;
   tali circostanze ostacolano gli spostamenti per numerosissimi studenti e pendolari e bloccano in parte anche la possibilità di sviluppo turistico della montagna bellunese, le Dolomiti Patrimonio dell'Unesco;
   le numerose deliberazioni sull'argomento, già pubblicate da diversi comuni dell'intero territorio bellunese, evidenziano che il perdurare dei disservizi non può che accentuare il senso di sfiducia verso l'utilizzo del treno, quale scelta del mezzo di trasporto;
   a tal proposito l'Unione europea, nel suo Libro bianco, indica come uno degli obiettivi fondamentali da raggiungere entro il 2050, il trasferimento dalla gomma alla rotaia della maggior parte del trasporto di media distanza e dei passeggeri, riservando il trasporto individuale agli ultimi chilometri di una tratta da effettuare con veicoli ecologici;
   attese le competenze di vigilanza del suo Ministero, quali intendimenti il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ritiene di dover assumere al fine di risolvere le problematiche suddette –:
   se non ritenga opportuno promuovere un piano di organizzazione e sviluppo del trasporto ferroviario di tale tratta che ponga particolare attenzione alle problematiche e alle necessità del territorio bellunese e che preveda un'efficiente organizzazione del servizio pubblico e l'adeguamento dell'infrastruttura esistente finalizzata a trasformare la linea ferroviaria in una metropolitana di superficie, valutando inoltre possibili collegamenti futuri con la Valsugana, la Pusteria, la costituenda rete delle piccole ferrovie delle Alpi, nonché con l'anello ferroviario delle Dolomiti.
(5-00446)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la linea transfrontaliera diretta Nizza-Breil-Cuneo, istituita da oltre trent'anni, riveste un importante nodo nel collegamento internazionale Torino-Cuneo-Nizza, oltre ad una funzione di comunicazione regionale fondamentale tra le province di Cuneo-Imperia-Nizza; la convenzione a suo tempo firmata dai Governi italiano e francese, accollò all'Italia la quasi totalità degli oneri della ricostruzione in quanto si sostenne che la linea era di esclusivo interesse delle popolazioni italiane nonché il deficit di esercizio e gli oneri di manutenzione della linea; nel corso degli anni tale convenzione è risultata un effettivo ostacolo al potenziamento della ferrovia Cuneo-Nizza, stante la palese ingiustizia dell'addebito all'Italia di tutte le spese, facendo nascere rilevanti difficoltà nell'attuazione dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria;
   sempre più spesso si parla di sicura chiusura di questa linea ferroviaria, che crea vivissime preoccupazioni e fortissime proteste perché questa eventuale decisione accentuerebbe ulteriormente l'isolamento della provincia di Cuneo, e non solo, i viaggiatori saranno costretti a prendere la coincidenza alla stazione di Breil, a causa dell'incompatibilità tra i sistemi di sicurezza delle ferrovie italiane e francesi;
   con il nuovo sistema di sicurezza imposto dalla RFI (il gestore della rete ferroviaria nazionale italiana), il materiale rotabile di cui le ferrovie francesi si sono dotate risulta non omologato per la rete ferroviaria italiana. Tutte le linee transfrontaliere tra i due paesi sono interessate dal problema;

i tecnici delle regioni Piemonte e Liguria in passato hanno tentato di collaborare con gli omologhi della regione Provence-Alpes-Còte d'Azur al fine di ottenere speciali deroghe e risolvere il problema creando un impianto di sicurezza doppio, ma nulla di fatto;
   forte è stata ed è ancora la protesta dei cittadini e delle amministrazioni locali che vorrebbero azioni ed iniziative adeguate a perseguire una soluzione definitiva che garantisca a questa linea ferroviaria risorse sufficienti al suo ruolo di collegamento internazionale e che rappresenta non solo un collegamento indispensabile ma altresì un patrimonio a livello ingegneristico e paesaggistico che meriterebbe di essere inserita tra i patrimoni tutelati dall'Unesco –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure intenda adottare anche alla luce del possibile protrarsi dello stato di agitazione e delle conseguenze per il territorio:
    al fine di realizzare una nuova convenzione con la Francia sulla divisione degli oneri di gestione e di investimento per la riqualificazione di questa linea ferroviaria alla luce dei volumi di traffico rilevanti;
    per avviare il trasporto merci, così da risollevare il deficit della linea ferroviaria in questione;
    per definire un piano di interventi globale ed organico, a più lunga scadenza, con il quale raggiungere l'obiettivo di assicurare a questo collegamento ferroviario lo svolgimento del ruolo internazionale che gli compete in relazione allo sviluppo socio-economico generale delle regioni;
    per realizzare una valutazione d'impatto riguardo all'interruzione di questa linea, analizzando fattori quali le relazioni economiche e commerciali, il turismo, il traffico stradale e la reazione dei cittadini. (4-01009)


   COZZOLINO, BENEDETTI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, SPESSOTTO, DA VILLA, ROSTELLATO, COMINARDI, D'INCÀ, MUCCI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la grande opera infrastrutturale denominata Mose, che dovrebbe proteggere Venezia e i comuni della laguna dal sistema delle acque alte, ha visto avviare i propri lavori nell'anno 2003. Ad oggi la realizzazione dell'opera è giunta al 75 per cento circa dello stato di avanzamento dei lavori, e l'entrata in funzione del sistema di dighe mobili è prevista per l'anno 2016;
   ad oggi per la realizzazione dell'opera sono stati spesi circa 4 miliardi di euro ed oltre che dagli alti costi il percorso del Mose è stato costantemente caratterizzato da polemiche e critiche provenienti da associazioni, studiosi della materia e cittadini per i danni ambientali che si ritiene possa produrre l'opera sull'ambiente e l'ecosistema lagunare. Proprio in merito a tali effetti il 19 dicembre 2005 la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora per avviare la procedura di infrazione per «inquinamento dell’habitat» lagunare, dato che la direzione generale della Commissione europea ambiente ha ritenuto che, «non avendo identificato né adottato – in riferimento agli impatti sull'area “IBA 064-Laguna di Venezia” conseguenti alla realizzazione del progetto MOSE – misure idonee a prevenire l'inquinamento e il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli aventi conseguenze significative alla luce degli obiettivi dell'articolo 4 della direttiva 79/409/CEE, la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi derivanti dall'articolo 4, paragrafo 4, della Direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 sulla conservazione degli uccelli selvatici». La procedura d'infrazione si è chiusa ufficialmente solo il 14 aprile 2009;
   il progetto Mose ha subito dure critiche anche sul piano tecnico mettendo in forte dubbio la reale efficacia dell'opera una volta a regime. Tra queste uno studio commissionato proprio dal comune di Venezia alla Compagnia francese Principia R.D. ha messo a confronto il comportamento idrodinamico delle paratie del Mose con le paratie a gravità di un progetto che era stato proposto come alternativo al Mose. È risultato che con alcune condizioni di onda ripida con altezza significativa superiore ai 2 metri, non rare nell'area, le paratie del Mose presentano un comportamento instabile. In questo caso la risposta caotica con un'alta amplificazione dinamica delle oscillazioni delle paratie del Mose non permette una progettazione affidabile delle connessioni delle paratie stesse ai cassoni. In queste condizioni, al contrario di quanto affermato dai sostenitori del Mose, il flusso di acqua marina nella Laguna attraverso le paratie potrebbe aumentare fino ad un livello che non può essere definito da un modello;
   più recentemente articoli della stampa locale hanno riportato con grande risalto le critiche mosse al progetto Mose dall'Ingegnere Paolo Pirazzoli, dirigente del Centro nazionale delle ricerche del Governo francese, nonché uno dei massimi esperti a livello mondiale sul livello dei mari. Pirazzoli sostiene che il Mose è stato progettato sulla base di una previsione dell'innalzamento delle maree che oggi non solo non è più attuale, ma risulterebbe completamente errata. Per la, fine del secolo (anno 2100) l'aumento più probabile era stimato in 16,4 centimetri, la cifra più prudente per la progettazione era di 22 centimetri, la pessimistica di 31,4 centimetri. Secondo l'ingegnere st trattava di stime basse, che non tenevano conto del lavoro degli esperti internazionali come l'IPCC, del quale Pirazzoli è stato consulente. La cosa fu subito contestata, «ma le critiche furono ignorate». Le previsioni più affidabili per il 2100 vanno invece oggi, secondo Pirazzoli, da un minimo di 50 a un massimo di 140 centimetri, con 80 centimetri come dato più plausibile, e con ulteriore aumento nei secoli successivi. Da ciò, sempre secondo Pirazzoli, ne consegue che le barriere del Mose sarebbero insufficienti anche per condizioni meteorologiche molto frequenti, se il livello dei mari aumentasse di 35 centimetri (prima simulazione) o anche solo di 12 centimetri nel caso di condizioni estreme ma già verificatesi nel 1966, e da allora il livello si è già innalzato di 15 centimetri;
   la realizzazione dell'opera ha disatteso la legge speciale per Venezia n. 798 del 1984 che aveva richiesto che le opere progettate fossero «sperimentali, graduali e reversibili», dal momento che è evidente che le migliaia di pali di cemento della lunghezza di diverse decine di metri che sono state conficcate nel fondo della laguna per sostenere i giganteschi cassoni ai quali dovranno essere incernierate le 79 paratoie mobili che dovrebbero costituire la barriera contro il mare, tutto sono tranne che reversibili –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri, anche alla luce di quanto riportato in premessa, in merito alla realizzazione definitiva dell'infrastruttura Mose e al fine di tutelare concretamente la città di Venezia e l'ambiente della lagunare.
   (4-01013)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la rivista Internazionale ha riportato un articolo del The New York Times in cui viene denunciata la realtà di migliaia di migranti rinchiusi in Italia in centri disumani come i Centri di identificazione ed espulsione (CIE);
   in particolare il Centro di identificazione di Roma non è una prigione, ma la differenza sembra essere solo una questione semantica. Gli edifici sono separati tra loro da recinti di rete metallica. Di notte vengono chiusi e i cortili di cemento sono illuminati a giorno;
   ci sono telecamere di sicurezza ovunque e alcuni poliziotti indossano tenute antisommossa. Durante il giorno i detenuti possono passeggiare solo nelle zone prestabilite, ma devono indossare ciabatte o scarpe senza lacci. Dopo una rivolta nel reparto maschile, nel centro sono stati vietati gli oggetti acuminati, comprese penne, matite e pettini. Quello di Ponte Galeria è uno degli undici centri in cui sono detenuti gli stranieri che non hanno un lavoro o un permesso di soggiorno, o un permesso scaduto. Alcuni di loro sono in Italia da anni;
   sia in Italia che in Europa queste strutture sono sempre più criticate dalle organizzazioni umanitarie, che le considerano disumane, inefficaci e costose. I Centri di identificazione, dicono molte di queste organizzazioni non governative, nascono da una politica che mette l'immigrazione sullo stesso piano della criminalità e che non tiene conto né dei vantaggi economici che potrebbe portare né della natura sempre più multiculturale della società italiana;
   a luglio del 2012 gli osservatori dell'associazione italiana Medici per i diritti umani avevano chiesto di visitare il Centro di identificazione di Bari, ma è stato negato l'accesso alle zone di detenzione «a causa di tensioni interne». Ad agosto del 2010 era scoppiata una rivolta e il centro era stato in parte distrutto. Dopo questo episodio, cinque centri sono stati ristrutturati. Una rivolta ha danneggiato anche il Centro di identificazione di Torino, dove i migranti sono detenuti in sei settori separati. Quando nell'aprile del 2012 gli osservatori di medici per i diritti umani lo hanno visitato, un terzo dei detenuti prendeva sedativi o ansiolitici, e il direttore ha dichiarato che nel 2011 si erano verificati 156 episodi di autolesionismo. Molti detenuti soffrono di depressione e ci sono stati anche dei suicidi;
   «a quindici anni dalla loro istituzione i Centri di identificazione si confermano strutture congenitamente incapaci di garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona», afferma il rapporto di medici per i diritti umani. Senza contare che non hanno scoraggiato l'immigrazione irregolare. Dal rapporto emerge che nel 2012 solo il 50 per cento (4.015 su 7.944) degli immigrati irregolari detenuti nei centri è stato espulso. Una minima percentuale, rispetto ai 440 mila immigrati irregolari che si pensa vivono in Italia –:
   se non ritenga che i Centri di identificazione debbano essere superati nel quadro di una riforma radicale delle politiche di contrasto dell'immigrazione clandestina evitando la loro riduzione alla semplice repressione «carceraria».
(2-00114) «Melilla».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   PILOZZI, MIGLIORE, KRONBICHLER, PIAZZONI e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il tema della «cittadinanza» è finalmente giunto all'onore delle cronache nazionali e del dibattito politico, anche se solo in relazione ai criteri di ammissibilità e di concessione di tale fondamentale istituto giuridico;
   la discussione politica e mediatica si è concentrata sui temi dello ius sanguinis e dello ius soli, temi sicuramente di fondamentale rilevanza, trascurando però aspetti al pari rilevanti, che incidono sulla quotidianità della vita delle persone coinvolte, aspiranti cittadini e operatori del settore;
   l'organizzazione degli uffici pubblici preposti alla gestione delle pratiche di cittadinanza risulta, anch'esso, un tema di fondamentale rilevanza, dal quale dipende il concreto esercizio del diritto di cittadinanza indipendentemente dalle previsioni normative sulla materia;
   in particolare, le prefetture costituiscono il «perno» nella gestione delle pratiche di cittadinanza, dovendo espletare la gran parte delle relative funzioni;
   negli ultimi anni è cresciuta a dismisura la quantità e la complessità delle pratiche senza che a ciò corrispondesse un eguale potenziamento delle strutture amministrative deputate;
   al contrario, il pensionamento di molti funzionari delle prefetture ha privato gli uffici di importanti risorse, creando conseguentemente difficoltà operative e logistiche reali;
   ciò è particolarmente vero per quanto attiene alla prefettura di Roma, la quale, per ovvi motivi, si trova a dover affrontare un imponente numero di pratiche a fronte di una dotazione organica insufficiente e non in grado, quindi, di garantire il rispetto dei tempi previsti dalla legge, nonostante l'indubbia abnegazione delle maestranze;
   la spending review e i vincoli di bilancio hanno precluso l'utilizzo di strumenti ordinari, quali il lavoro straordinario o il distacco temporaneo di maestranze nell'ambito di progetti specifici;
   la situazione è per tali motivi divenuta insostenibile sia per gli utenti del servizio, sia per i lavoratori –:
   in considerazione dei gravi ritardi nell'evasione delle pratiche di cittadinanza, con tutti gli intuibili problemi per gli immigrati in attesa di conoscere l'esito delle istanze di cittadinanza, quali iniziative il Ministro intenda adottare per porre rimedio alle gravi carenze d'organico in cui versano le molte prefetture italiane e, in particolare, la prefettura di Roma, nella erogazione dei servizi relativi a tali pratiche. (5-00456)


   ROSATO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2013, in attesa di essere vistato dalla Corte dei conti, ha stabilito l'autorizzazione ad assumere relativamente alle amministrazioni dello Stato che interessano il comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico;
   nel decreto in argomento è indicato, per ogni amministrazione, il limite massimo delle unità di personale e dell'ammontare delle risorse disponibili per le assunzioni relative all'anno 2012;
   per quel che riguarda il Ministero dell'interno – dipartimento della P.S. le unità da assumere sarebbero 419, ossia il 20 per cento delle unità cessate dal servizio nel 2011, che ammonterebbero a 2.096;
   in relazione alle disposizioni per l'assunzione di personale per l'anno 2012, ai sensi del comma 9-bis dell'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e in riferimento alle indicazioni relative alla nuova programmazione del fabbisogno di personale per il triennio 2012-2014, le 419 nuove unità da assumere sarebbero di fatto esaurite, per così dire, con concorsi già banditi o da bandire nel corso dell'anno 2013;
   resta altresì aperta la questione delle cosiddette seconde aliquote, ossia di quei vincitori dei concorsi per i quali è stata prevista la presa in carico nelle Forze armate per una ferma pre-fissata di quattro anni prima della loro definitiva assunzione nella polizia di Stato;
   desta dunque perplessità il fatto che allo stato attuale sono molteplici le modalità di assunzione poste in essere, così come sono molteplici le graduatorie derivanti dalle diverse procedure aperte –:
   se ritenga di far scorrere le graduatorie già in essere, in analogia con quanto previsto per il resto della pubblica amministrazione, e di utilizzare anche le seconde aliquote dei concorsi della polizia di Stato ai fini del completamento del turn over del personale. (5-00457)


   LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere quanti agenti delle forze di polizia e dell'ordine si prevede siano necessari per il controllo dei detenuti che, a seguito dell'eventuale approvazione del testo unificato C. 331-927-A della proposta di legge recanti delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (che, ad avviso dell'interrogante, di fatto maschera una amnistia e un indulto) uscirebbero dalle carceri agli arresti domiciliari o in luoghi di cura o negli altri luoghi previsti ovvero godrebbero della messa in prova.
(5-00458)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA e CAPONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato diversi atti parlamentari, nella scorsa legislatura, volti a denunciare le condizioni nelle quali versavano numerosi immigrati impiegati come «schiavi» nelle campagne salentine e accampati nella Masseria Boncuri a Nardò. Nel mese di luglio 2011 questi lavoratori, adoperati per la raccolta delle angurie e dei pomodori nei campi salentini, hanno trovato la forza di reagire e di denunciare dando luogo ad una protesta nella quale venivano esplicitate duramente le disumane condizioni di sfruttamento umano e lavorativo alle quali risultavano da tempo sottoposti. Nardò è stata così teatro nazionale del primo sciopero dei braccianti immigrati e della prima denuncia per caporalato;
   come ogni anno nella stagione estiva, anche per quest'anno si è ripresentato l'afflusso dei migranti nelle campagne della cittadina salentina e i braccianti extracomunitari sembra siano stati collocati non più presso Boncuri ma in contrada Scianne;
   oggi si apprende dalla stampa di una lite tra extracomunitari sfociata nell'accoltellamento di un togolese da parte di due tunisini. Quello sopra citato non sarebbe l'unico allarme, poiché, si legge ancora, «alle 19 circa, i carabinieri di Nardò hanno ricevuto la segnalazione di due extracomunitari che, forse ubriachi, hanno rischiato di provocare gravi incidenti stradali» camminando al centro della carreggiata su una strada buia e periferica;
   negli scorsi anni più volte si sono lette sulla stampa esternazioni anche di rappresentanti istituzionali che tendevano a connotare questa vicenda come un «problema di sicurezza» per il territorio e la cittadinanza nel pieno della stagione estiva;
   una fase di programmazione e adeguata organizzazione sarebbe dunque auspicabile per un fenomeno che può essere trattato con le categorie dell'emergenza in prima istanza ma poi, se ripetuto negli anni, richiede di essere affrontato in modo globale e per tempo;
   per arginare l'ingenerarsi di tensioni sarebbe necessario mettere in campo strategie complessive e strutturali volte ad evitare situazioni, per troppi anni ricorrenti, di esclusione e marginalità, nonché le condizioni di vita insalubri ed igienicamente inappropriate per questi immigrati. L'inclusione e l'effettivo presidio di una situazione difficile rappresentano da sempre strumenti in grado di disinnescare il rischio che una situazione già tesa possa generare ulteriori tensioni con conseguenze spiacevoli sia per gli stessi immigrati che per la collettività –:
   quali informazioni siano in possesso del Governo su tale vicenda ed in che modo si sia inteso operare, di concerto con gli enti preposti, affinché in questa stagione estiva agli immigrati sia consentito lavorare nei campi in condizioni di dignità. (5-00454)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO, COLONNESE, FICO, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, MICILLO, PISANO, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   quotidianamente le cronache dell'agro aversano presentano quali sono le condizioni complessive di quel vasto territorio e le condizioni della vivibilità, della salute e dei trasporti;
   a questo proposito, molto significativa è la video-intervista al giornalista Antonio Graziano realizzata dalla web tv Livio Tv dal titolo «Agro aversano: la periferia del mondo»;
   nella zona dell'agro aversano, infatti, non esistono piani di trasporto pubblico per cui diventa faticoso raggiungere i centri abitati dell'agro aversano casertano a causa di un sistema totalmente sregolato;
   negli ultimi anni è letteralmente esplosa una realtà fatta di costruzioni abusive in mancanza di definiti piani regolatori territoriali, che, anche se esistenti, sono apertamente violati, nonostante la che le istituzioni, le forze dell'ordine e le autorità siano presenti come in tutto il territorio nazionale;
   poco nulla è stato realizzato per lo smaltimento virtuoso dei rifiuti tossici;
   in molte abitazioni manca l'acqua o è inquinata in modo tale da aver costretto le famiglie di cittadini statunitensi a cambiare residenza in seguito ai risultati di accurate analisi; le malattie alla tiroide e le patologie oncologiche producono morte, come documentato da studi e ricerche;
   nonostante tutto questo la regione Campania non ha di fatto realizzato il registro tumori nelle aziende sanitarie locali;
   la camorra influisce sulla vita di ogni cittadino e, a fronte di ciò, le istituzioni non danno adeguate risposte e sono anche condizionate dalla criminalità come risulta dallo scioglimento diffuso dei consigli comunali;
   le ricchezze ambientali sono deturpate e lo stesso accesso al mare è impedito dalla chiusura abusiva delle spiagge ad opera di soggetti che hanno costruito barriere con ogni materiale disponibile (cancellate e muretti);
   i Regi Lagni, finalizzati ad irrigare le campagne fin dai tempi del regno borbonico oggi sono inquinati e pericolosi;
   i cittadini di quella zona sono penalizzati e anche i giovani risentono del disagio complessivo che influisce sui comportamenti e sull'educazione, ingenerando nelle nuove generazioni un pericoloso deficit di cultura della legalità –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere, per quanto di competenza, un impegno complessivo programmatorio ed operativo che coinvolga ogni soggetto responsabile per individuare «metro per metro» le violazioni ad un corretto vivere civile, al fine di restituire il territorio e il paesaggio ai cittadini mediante il rispetto delle regole e la repressione di chi infrange le leggi ed ogni altra norma;
   se i Ministri interrogati non ritengano, altresì, di sperimentare nuove ed eccezionali forme di controllo quotidiano del territorio attraverso l'istituzione di un organismo operativo che, coinvolgendo anche le migliori realtà associative della zona rappresentative delle fasce più sensibili della cittadinanza, si attivi per restituire vivibilità alle aree oggetto dell'interrogazione. (4-01007)


   ROSATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 41 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, sull'ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, prevede per l'accesso ai ruoli direttivi il requisito della laurea magistrale in ingegneria o architettura, mentre lascia alla discrezionalità della commissione la valutazione del titolo di laurea per il conseguimento dei relativi punteggi nei concorsi interni per la progressione di carriera;
   in particolare, nelle procedure concorsuali interne, i titoli di studio vengono valutati con punteggio pieno ovvero dimezzato a seconda dell'attinenza dell'area didattica in cui è stata conseguita la laurea alla qualifica e alle funzioni rivestite nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   tale apprezzamento viene svolto dal presidente della commissione giudicante di turno sulla base di considerazioni personali, senza che sia stata prodotta in questi anni una uniformità di comportamento tra concorsi e tra aree geografiche;
   preme segnalare la variegata casistica relativa alla laurea in scienze geologiche, la quale è stata valutata attinente alle funzioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, con conseguente assegnazione del punteggio pieno, solo in isolate e sporadiche occasioni;
   all'interrogante risulta che il Ministero dell'interno abbia condiviso con il Consiglio nazionale dei geologi il sicuro interesse del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per le competenze proprie della figura professionale del geologo, peraltro, in considerazione del sempre maggiore coinvolgimento dei vigili del fuoco in scenari di dissesto idrogeologico;
   l'interrogante segnala che diversi atenei italiani indicano nel manifesto degli studi del corso di laurea in scienze geologiche, quale sbocco professionale possibile anche il lavoro presso amministrazioni pubbliche responsabili della sicurezza e della prevenzione delle emergenze; anche a parere dell'interrogante, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, quale componente fondamentale del servizio di protezione civile, può trarre vantaggio dall'impiego di figure professionali esperte di processi geologici, capaci di rilevare le pericolosità geologiche e di analizzarne il rischio. Un tale arricchimento delle competenze del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco consentirebbe di implementare l'attività di prevenzione delle emergenze, soprattutto di quelle che con sempre maggiore frequenza si susseguono nel Paese –:
   se il Ministro intenda promuovere iniziative proprie atte ad uniformare su tutto il territorio nazionale la valutazione circa l'attinenza del titolo di studio con le funzioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   se, nell'ambito dell'intervento appena richiamato, il Ministro ravveda la necessità di sottolineare l'importanza che vi siano all'interno del Corpo nazionale dei vigili del fuoco figure professionali esperte in processi geologici, e tal fine valuti pienamente attinente la laurea in scienze geologiche con le funzioni proprie del Corpo. (4-01017)


   LUIGI DI MAIO, DI BENEDETTO, D'UVA, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   tra gli antichi edifici monumentali di proprietà del fondo edifici di culto (FEC) del Ministero dell'interno c’è la prestigiosa chiesa di Santa Chiara nuova di Nola in provincia di Napoli, capolavoro assoluto del barocco meridionale, danneggiata dagli eventi sismici del 1980/81 e interessata da interminabili lavori di restauro e consolidamento che si protraggono da oltre trent'anni;
   durante l'esecuzione degli ultimi lotti funzionali, operati prima dal comune di Nola e successivamente dalla Soprintendenza per i beni architettonici di Napoli e provincia, attualmente sospesi, dallo storico edificio sarebbero stati trafugati ben cinque pannelli maiolicati settecenteschi del rivestimento esterno della cupola raffiguranti Santi francescani di grande valore artistico e commerciale, nonché un considerevole numero di embrici maiolicati policromi di notevole fattura, rimossi dalla struttura architettonica e accatastati disordinatamente senza catalogazione e senza alcun tipo di protezione all'interno della chiesa e nell'ex convento;
   risultano scomparse, inoltre, anche decine di tavole dipinte nel 1720 da Ferdinando Sanfelice pertinenti al soffitto cassettonato della chiesa decorato con motivi vegetali, rosoni, fregi, stemmi araldici: le pregevoli tavole furono in parte recuperate dopo il crollo del tetto avvenuto con il sisma del 1980 e depositate senza adeguate forme di tutela in locali attigui all'ex convento –:
   quali iniziative di competenza siano state intraprese dal Governo in merito alla scomparsa e ai furti di queste straordinarie opere d'arte di proprietà statale;
   quali iniziative siano state finora condotte dal nucleo tutela patrimonio artistico della Campania per il recupero dei summenzionati beni artistici illecitamente sottratti. (4-01030)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MONGIELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Mezzogiorno del 23 giugno 2013 ha pubblicato un articolo vertente su una critica situazione scolastica in essere presso la città di Lecce;
   la vicenda ha come origine problematica la cosiddetta riforma Gelmini i cui effetti si starebbero riverberando anche sulle sezioni ospedaliere di scuola elementare, media e superiore dell'ospedale «Vito Fazzi» di Lecce;
   da tutti giudicata un'iniziativa encomiabile, quella della «scuola in ospedale», iniziata nel settembre 2012, già ora rischia di «naufragare» a causa dei tagli al personale docente decisi dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   grazie al progetto presentato dall'istituto comprensivo «Scarambone», scuola capofila, e dall'istituto comprensivo «Diaz-Alighieri», ed approvato dall'ufficio scolastico regionale e provinciale, i bambini e i ragazzi ricoverati nei reparti di Pediatria e di Oncoematologia pediatrica hanno potuto, per l'anno scolastico 2012-2013, continuare a studiare, accompagnati nel loro percorso formativo da tre insegnanti per la scuola primaria, due docenti per la scuola secondaria di primo grado e tre docenti per la scuola secondaria di secondo grado;
   durante il mese di aprile 2013, inoltre, quegli stessi bambini e ragazzi, in virtù della ristrutturazione del III piano del polo oncologico, ad opera dell'associazione «Per un sorriso in più», hanno usufruito di aule didattiche luminose, in cui dimenticare, per qualche ora, la loro condizione di degenti, per ritornare ad essere solo alunni;
   purtroppo, per il prossimo anno scolastico, la «scuola in ospedale» rischia già di non funzionare più secondo il programma iniziale;
   il Ministero dell'istruzione, infatti, avrebbe deciso una drastica riduzione di organico per la sezione ospedaliera: dei tre insegnanti delle elementari ne rimarrebbe solo uno, mentre ancora più drastici sarebbero i tagli per le scuole medie, in cui non rimarrebbe alcun docente titolare, ma solo un inconsistente numero di ore;
   sembrerebbero salve dai tagli le cattedre della scuola secondaria di secondo grado, ma gli organici previsti non sono stati ancora pubblicati –:
   quali informazioni possano riferire riguardo alla vicenda esposta in premessa;
   quali iniziative urgenti intendano adottare, per le parti di competenza, affinché non venga pregiudicata la corretta e completa funzionalità didattica dell'iniziativa «la scuola in ospedale» attivata presso l'ospedale Vito Pazzi di Lecce e se non ritengano di intraprendere ulteriori misure volte a rafforzarne ed incrementarne le capacità operative e formative.
(4-01006)


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i criteri per la formazione delle classi delle scuole di ogni ordine e grado sono contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n. 81, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 2 luglio 2009 n. 151 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell'articolo 64, comma 4 del DL 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133);
   tale regolamento sostituisce integralmente il decreto ministeriale 24 luglio 1998 n. 331 e il decreto ministeriale 3 giugno 1999 n. 141 (classi con alunni disabili);
   in base ai suddetti criteri, il limite minimo e massimo di alunni per classe, per la scuola secondaria di primo grado (articolo 11, decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n. 81) sono pari rispettivamente a 18 e 27 (fino a 28, elevabili a 30 solo nel caso di un'unica prima);
   le classi e sezioni che accolgono alunni disabili vengono formate rispettando i seguenti limiti: la presenza di 1 alunno disabile comporta un limite massimo di 25 alunni, la presenza di 2 alunni disabili comporta un limite massimo di 20 alunni, la presenza di 1 alunno disabile grave, nel caso di esplicita e motivata necessità di riduzione del numero di alunni e allegato progetto elaborato dal consiglio di classe (comma 2, articolo 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009) comporta un massimo di 20 alunni;
   nei due plessi della scuola secondaria di 1o grado Berrettini Pancrazi in Cortona, attualmente risultano iscritti 83 alunni, di cui uno con disabilità grave, più alcuni alunni con disturbi specifici dell'apprendimento normativamente denominati DSA, ai quali deve essere garantito il diritto allo studio attraverso la realizzazione di percorsi individualizzati nell'ambito scolastico;
   a proposito degli alunni con disturbi DSA, la recente circolare del «Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca» n. 10 del 21 marzo 2013 recita «È opportuno che nella composizione delle classi si tenga in debita considerazione la presenza degli alunni con DSA»;
   l'ufficio scolastico della regione Toscana ha disposto che, la prima classe, in cui si trova l'alunno con grave disabilità, sarà composta da 26 alunni, mentre i 57 alunni restanti saranno distribuiti in ulteriori due classi, nel plesso di frazione Camucia, una da 28 l'altra da 29 alunni, quest'ultima con un numero superiore di studenti rispetto al numero massimo di 28 stabilito dalla normativa citata;
   a prescindere dai parametri del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n. 81 circa il limite massimo di alunni per classe, le aule del plesso scolastico di Cortona, stabile più vecchio rispetto a quello di frazione Camucia, sono inadeguate a contenere un siffatto numero di alunni, pertanto verrebbe messa a repentaglio la sicurezza degli alunni ed il regolare svolgimento delle attività scolastiche;
   per tali motivi, in accordo con quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n. 81, ci sarebbero le condizioni per la concessione di una quarta classe prima presso la scuola secondaria di primo grado Berrettini Pancrazi per l'anno scolastico 2013/2014;
   la concessione della quarta classe prima presso la scuola secondaria di primo grado Berrettini Pancrazi non aumenterebbe la spesa per l'istruzione, in quanto per l'anno scolastico 2012 erano già attive quattro classi con un organico ormai da tempo consolidato –:
   se il Ministro interrogato, sia al corrente che l'ufficio scolastico della regione Toscana, deliberando di non concedere la quarta classe prima, presso la scuola secondaria di primo grado Berrettini Pancrazi di Camucia-Cortona per l'anno scolastico 2013/2014, abbia sostanzialmente leso i principi del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009 n. 81 e della circolare del «Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca» n. 10 del 21 marzo 2013, minando secondo l'interrogante, il diritto degli alunni a pretendere una formazione di qualità.
(4-01008)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROCCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni il sistema del welfare pubblico ha subito tagli che hanno determinato il ridimensionamento di prestazioni e servizi sociali essenziali;
   la spesa sociale rappresenta non soltanto una spesa da tagliare ma anche un importante investimento per un futuro migliore e socialmente inclusivo;
   la Costituzione agli articoli 2 e 3 garantisce i diritti sociali e si impegna a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
   con un recente pronunciamento la Corte della Cassazione (sezione lavoro, sentenza n. 7320 del 22 marzo 2013) è intervenuta nuovamente sulla questione affermando che i limiti di reddito da applicare ai fini della concessione della pensione di invalidità civile sono da considerare come la somma del reddito individuale con quello del coniuge se presente;
   gli interventi della Corte di Cassazione in materia sono stati numerosi e contraddittori, poiché trovano il loro fondamento in una normativa disordinata e confusa;
   tali interventi, benché non pronunciati a sezioni unite, rappresentano solo un orientamento giurisprudenziale che può essere motivatamente superato da altre sentenze e pertanto vanno letti con grande prudenza in quanto mettono a rischio le pensioni di oltre 850.000 persone;
   già alla fine del 2012 l'INPS ha emanato una circolare che prevedeva il computo del reddito coniugale – e non più individuale – ai fini della concessione della pensione;
   la circolare, in seguito alle reazioni di protesta di associazioni e sindacati, è stata ritirata dall'INPS in attesa di un'istruttoria fra il dicastero e l'istituto stesso al fine di chiarire la questione;
   tale circolare, qualora applicata, avrebbe avuto l'immediata conseguenza che gli invalidi totali titolari assieme al coniuge di un reddito lordo annuo superiore ai 16.127 di euro avrebbero perso il diritto alla pensione (circa 275,87 euro al mese);
   il pronunciamento della Corte di Cassazione di cui sopra, non essendo legge, non incide immediatamente sulle prestazione dei cittadini invalidi civili tuttavia potrebbe condizionare il confronto tra INPS e Ministero del lavoro e delle politiche sociali attualmente in corso proprio su questo tema –:
   a che livello sia il confronto tra l'INPS e il Ministro interrogato e se il Governo non ritenga necessario assumere un'iniziativa urgente che stabilisca che il limite reddituale per ottenere la previdenza economica legata all'invalidità civile sia riferito solo ed esclusivamente al reddito individuale. (5-00448)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE e PARENTELA. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha appena ritirato la proposta di Regolamento volta ad introdurre il divieto per i pubblici esercizi di proporre oli di oliva vergini in confezioni prive di idoneo dispositivo di chiusura «antirabocco», tale che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata, ovvero non adeguatamente etichettate in modo che sia indicata l'origine del prodotto e il lotto di produzione a cui appartiene;
   tale normativa, già adottata da alcuni Paesi membri tra i quali l'Italia, è indispensabile a garantire la salute e la sicurezza del consumatore, posto che evita manipolazioni difendendo l'olio di qualità, e consente una più efficace azione di contrasto alla contraffazione, fenomeno assai rilevante nel settore dell'olio vergine ed extravergine di oliva e che danneggia in modo particolare il nostro Paese, in cui il sistema olivicolo-oleario rappresenta una grande biodiversità con una propensione all'eccellenza che ne fa un unicum nel panorama mondiale;
   l'Italia è il secondo produttore mondiale di olio di oliva con circa 250 milioni di piante e una produzione di oltre mezzo milione di tonnellate e vanta oltre 40 oli extravergine d'oliva certificati Dop e Igp con un fatturato stimato in 2 miliardi di euro e un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative;
   è indispensabile una normativa europea a tutela del settore oleario mediterraneo ed italiano in particolare, a garanzia dei consumatori e dei produttori nazionali costretti a sostenere elevatissimi costi di produzione e danneggiati dalla concorrenza di operatori stranieri che contano su una organizzazione produttiva e commerciale basata su una olivicoltura meccanizzata che sacrifica la qualità del prodotto finale a vantaggio di una maggior economicità;
   l'applicazione della legge 14 gennaio 2013, n. 9, recante norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, è attualmente sospesa a causa di alcuni rilievi posti dalla Commissione europea –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa, quali iniziative intenda intraprendere presso l'esecutivo comunitario per consentire l'immediata applicazione della legge citata e se non ritenga urgente intervenire, presso le competenti sedi comunitarie, al fine di tutelare il sistema olivicolo-oleario nazionale. (4-01014)


   GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, GALLINELLA, PARENTELA e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo una indagine Coldiretti-Eurispes, il 33 per cento dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati (per un valore di 51 miliardi di euro) deriva da materie prime importate e rivendute col marchio made in Italy;
   tre prosciutti su quattro venduti in Italia – prosegue Coldiretti – sono in realtà ottenuti da maiali allevati all'estero, mentre circa la metà delle mozzarelle è fatta con latte straniero, come pure tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro;
   il Regolamento (Ue) n. 1169/2011, approvato nel novembre 2011, pone come esigenza prioritaria la capacità di «assicurare» ai cittadini «il diritto all'informazione» e la possibilità di «compiere scelte consapevoli» tenendo altresì conto che «le indicazioni relative al paese d'origine o al luogo di provenienza di un alimento dovrebbero essere fornite ogni volta che la loro assenza possa indurre in errore i consumatori per quanto riguarda il reale paese d'origine o luogo di provenienza del prodotto», in modo da «non trarre in inganno il consumatore»;
   in Europa, anche per effetto della pressione delle lobby, si procede con estrema lentezza con il Regolamento (Ue) n. 1169/2011, che entrerà in vigore solo il 13 dicembre 2014, relativamente all'obbligo di indicare in etichetta l'origine delle carni suine, ovine, caprine e dei volatili, mentre per le carni diverse come quella di coniglio e per il latte e formaggi, tale data rappresenta solo una scadenza per la presentazione di uno studio di fattibilità;
   pertanto le etichette resterebbero carenti delle informazioni sulla provenienza della materia prima, oltre che per gli altri tipi di carne, anche per i salumi, i succhi di frutta, la pasta ed i formaggi;
   risale a pochi giorni fa – 24 giugno 2013 – la notizia che il personale del nucleo agroalimentare forestale (NAF) di Grosseto, a seguito di un controllo per la tutela dei prodotti tipici italiani presso un supermercato appartenente ad una grande catena nazionale, ha riscontrato la presenza di alcune vaschette preconfezionate di prodotti, come la coppa stagionata e un formaggio, che venivano venduti come specialità nazionali ma in realtà provenienti dal Nord Europa, messi in commercio da una nota azienda dell'Emilia Romagna –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie funzioni e nelle competenti sedi comunitarie, assumere adeguate iniziative, per supportare l'ottima attività delle forze dell'ordine, atte a stringere le maglie larghe della normativa nazionale e comunitaria con l'estensione a tutti i prodotti dell'obbligo di indicare in etichetta la provenienza delle materie prime impiegate negli alimenti. (4-01023)


   CARRESCIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 31 gennaio 2013 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 14 gennaio 2013 n. 9, recante «Norme sulla indicazione dell'origine e classificazione degli oli di oliva vergini» (cosiddetta «legge Mongiello»);
   la Commissione UE con decisione n. 2012/650/I nell'ambito della procedura Tris (technical, regulation, information system) relativa alle comunicazioni sulla normativa tecnica, ha disposto la sospensione dell'applicazione della legge italiana per un periodo di 12 mesi e quindi fino al 22 novembre 2013;
   queste divergenze normative fra Italia ed Unione europea riflettono anche i diversi atteggiamenti fra le diverse associazioni del settore;
   mentre, per esempio, la Coldiretti ha sottolineato l'impatto positivo delle nuove regole che spaziano dall'indicazione d'origine, ai divieti di riportare in etichetta informazioni o riferimenti a DOP o IGP non verificabili e ancora, allo stop all'utilizzo di contenitori anonimi nella ristorazione oltre ai nuovi vincoli sul contenuto di alchil esteri e sul ruolo dei comitati di assaggio (panel test), le principali associazioni delle industrie olearie (Assitol e Federolio) hanno invece evidenziato ai propri associati che quelle stesse norme sono state sospese dall'Unione europea;
   in questo già ingarbugliato contesto si è ora inserita la notizia, pochi giorni fa, che la Commissione dell'Unione europea ha ritirato la proposta sul divieto delle oliere nei ristoranti di tutti i Paesi dell'Unione europea (divieto invece già fissato in Italia dall'articolo 7, commi 2 e 3, della «legge Mongiello»);
   l'Unione europea ha scelto di bocciare una norma appoggiata da ben 15 Paesi, tra cui i principali produttori come Italia e Spagna, premiando invece chi l'ha osteggiata fin dall'inizio come gli Stati del Nord, a partire da Germania, Olanda e Inghilterra;
   in sintesi, i ristoratori dei Paesi dell'Unione europea potranno continuare a servire ai tavoli olio sfuso, in bottiglie prive di etichetta e non sigillate che si prestano a frodi di ogni genere, consentendo quindi l'utilizzo di oli di bassa qualità all'insaputa del consumatore, inibendo la valorizzazione degli oli italiani e europei di qualità –:
   quali iniziative si intendano intraprendere per evitare che le positive disposizioni della legge 14 gennaio 2013 n. 9, recante «Norme sulla indicazione dell'origine e classificazione degli oli di oliva vergini» (cosiddetto «legge Mongiello») a tutela dei produttori e dei consumatori e dell'alta qualità di un tipico prodotto italiano, siano vanificate da decisioni dell'Unione europea che rispondono solo a logiche protezionistiche di altri Paesi.
(4-01024)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BONOMO, GADDA, PATRIARCA, BARGERO, CRIMÌ, NARDUOLO, MAURI, QUARTAPELLE PROCOPIO, BRAGA, BORGHI, MATTIELLO, FREGOLENT, ROSSOMANDO, PASTORINO, RAMPI, GIORGIS, BOBBA e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 2012 riguardante le «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione» prevede varie norme anche in attuazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110;
   le «linee di indirizzo» previste dalla legge n. 190 del 2012, che avrebbero dovuto guidare l'azione del Dipartimento della funzione pubblica per la predisposizione del Piano nazionale anticorruzione, sono state pubblicate soltanto il 19 marzo 2013;
   entro il 29 marzo, regioni ed enti locali (ed organismi dipendenti) avrebbero dovuto approvare il piano triennale di prevenzione della corruzione 2013-2015;
   la Corte dei conti stima che la corruzione nella pubblica amministrazione costi ogni anno all'Italia circa 60 miliardi, cioè mille euro a persona;
   l'Italia è al 69esimo posto nella classifica mondiale sulla corruzione (fonte: transparency international);
   in attuazione della legge 190, nel mese di marzo il Governo ha approvato il «Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni»;
   ad oggi non si ha notizia delle intese Stato-regioni ed enti locali volte a definire gli adempimenti, da parte degli enti territoriali, per una «piena e sollecita attuazione delle disposizioni» della legge;
   nel mese di marzo, l'Associazione nazionale comuni italiani ha emanato alcune disposizioni per i comuni sollecitandoli, comunque, a fare qualcosa per dimostrare di voler applicare la detta legge;
   vari consigli comunali hanno dunque approvato dei provvedimenti provvisori per adempiere comunque agli obblighi previsti dalla legge n. 190 del 2012 ma restano in attesa di poter varare provvedimenti definitivi, con relativo spreco di tempo e risorse già carenti per la continua azione degli organi centrali –:
   quando sia prevista la Conferenza unificata Stato-regioni ed enti locali per definire gli adempimenti, da parte degli enti territoriali, per una «piena e sollecita attuazione delle disposizioni» della legge n. 190 del 2012 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione»;
   quali altri atti siano necessari e quando sono effettivamente previsti per dare piena attuazione alla suddetta legge. (5-00445)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROCCHI e FONTANELLI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della scorsa legislatura, il precedente Governo è stato più volte sollecitato ad intervenire a tutela dei dipendenti civili italiani della base militare di Camp Darby (Pisa) – licenziati a seguito del «declassamento», attuato all'interno di un più generale piano di ristrutturazione dell'organico delle installazioni militari statunitensi dislocate in Italia, della struttura pisana da comando autonomo a guarnigione «satellite» – mediante il ricorso alle disposizioni previste dalla legge 9 marzo 1971, n. 98, le quali prevedono l'assunzione a tempo indeterminato, a domanda, con inquadramento anche in soprannumero, nei ruoli organici del personale delle amministrazioni dello Stato, nei confronti dei cittadini italiani che prestavano la loro opera nel territorio nazionale alle dipendenze di organismi militari della comunità atlantica, o di quelli di singoli Stati esteri che ne facessero parte, e che fossero stati licenziati in conseguenza di provvedimenti di ristrutturazione degli organismi medesimi;
   il Governo Monti, rispondendo all'interpellanza urgente n 2-01560, e accogliendo l'ordine del giorno 9/05569/6, si era impegnato a valutare fa possibilità di fare ricorso alla suddetta legge, anche mediante il rifinanziamento dell'apposito Fondo istituito dall'articolo 2, comma 100, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;
   i 34 dipendenti della base militare di Camp Darby (Pisa) hanno ricevuto in data 30 maggio 2012 la lettera di risoluzione del rapporto di lavoro per riduzione di personale, che individuava nel 30 settembre 2012 l'ultimo giorno di prestazione lavorativa;
   nel mese di dicembre 2012 i lavoratori hanno presentato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento della funzione pubblica UORCC.PA, domanda di assunzione nelle categorie delle Amministrazioni dello Stato in applicazione della legge 9 marzo 1971, n. 98 e ai sensi dell'articolo 2, comma 100, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e dell'articolo 1 del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10;
   il Dipartimento della funzione pubblica ha replicato che – oltre alla necessità di verificare la disponibilità, resa dubbia dal ricorso all'utilizzo per altre assunzioni di analoghi lavoratori, delle risorse finanziarie necessarie alle eventuali assunzioni – tra i requisiti richiesti al fine di prevedere la possibilità di inquadramento, secondo il combinato disposto delle disposizioni suddette, sembrerebbe non sussistere quello attinente la data, individuata nel 31 marzo 2011, entro la quale i provvedimenti di riorganizzazione o soppressione delle basi militari che hanno condotto ai licenziamenti devono essere stati adottati, invitando gli interessati a presentare una certificazione chiarificatrice;
   l'interpretazione relativa alla sussistenza del suddetto requisito, a parere dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali, appare non rispondente al reale stato dei fatti, considerato che la lettera di licenziamento ricevuta indicava come unici riferimenti due operazioni di ristrutturazione avviate in data antecedente il 31 marzo 2011: il Memorandum, Office of the Deputy Chief of Staff G-1, 7 may 2010, subject: Coordination and Clearance of Announcement Requirements in Personnel Reductions, Closures of Installations, and Reductions of Contract Operations in the United States, datato maggio 2010 e l’IMCOM-Europe OPERATIONS ORDER 008-10, Garrison Restructuring, datato 27 agosto 2010;
   gli interroganti, anche in ragione dei precedenti sulla stessa materia, relativi a situazioni verificatesi in altre zone d'Italia, per le quali si è sempre giunti a positive conclusioni, anche mediante proroga dei termini indicati dalla legge – nel caso fosse confermata la mancanza dei requisiti necessari – e rifinanziamento della stessa – che, in questo caso, richiederebbe risorse molto limitate – ritiene non più differibile un intervento del Governo volto a individuare una soluzione alla vicenda dei dipendenti civili italiani della base militare di Camp Darby –:
   se il Ministro interrogato, in base alla documentazione fornita agli uffici ministeriali dai lavoratori, attestante che i licenziamenti sono scaturiti da procedimenti di ristrutturazione aventi data antecedente il 31 marzo 2011, non ritenga pienamente legittimo il ricorso dei dipendenti civili italiani della base militare di Camp Darby ai benefici previsti dalle disposizioni derivanti dal combinato disposto delle leggi n. 98 del 1971, n. 224 del 2007 e n. 10 del 2011;
   qualora si ritenesse non sussistente il possesso del requisito relativo alla data, 31 marzo 2011, entro la quale devono essere stati adottati i suddetti provvedimenti di ristrutturazione, non intenda adoperarsi, anche con iniziative di carattere normativo, al fine di prorogare predetto termine;  
   in ragione dei provvedimenti adottati in passato in casi analoghi e della limitatezza delle risorse necessarie nonché della drammatica condizione in cui versano 34 famiglie, non ritenga opportuno adottare urgenti iniziative volte a finanziare il Fondo previsto all'articolo 2, comma 100, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. (4-01004)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   AIRAUDO, ROSSOMANDO, D'OTTAVIO e LAVAGNO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale San Lorenzo di Carmagnola è una struttura complessa di assoluta eccellenza nell'ambito del sistema sanitario regionale piemontese. Su questa struttura negli ultimi anni sono state investite molte risorse pubbliche che con la chiusura verrebbero perse e vanificate. Presso tale reparto, oltre all'attività di degenza ordinaria, di day surgery, di day hospital diagnostico o terapeutico, si svolgono anche attività di pronto soccorso ostetrico, ambulatorio ecografico-ostetrico ambulatorio ecografico-ginecologico, ambulatorio di patologia cervico-vaginale, ambulatorio di senologia, ambulatorio di monitoraggio gravidanza a termine;
   presso il reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Carmagnola vengono effettuati 650 parti all'anno, numeri che assicurano la sussistenza di standard assolutamente adeguati da parte della struttura;
   nonostante l'ottimo funzionamento della struttura e l'elevato standard qualitativo del servizio offerto da questo presidio ospedaliero, la giunta regionale ha stabilito la chiusura del reparto carmagnolese entro il 30 giugno 2013, nell'ambito del riordino della rete ospedaliera deciso con la Delibera n. 6-5519 del 14 marzo 2013 «Programmazione sanitaria regionale. Interventi di revisione della rete ospedaliera piemontese, in applicazione della D.C.R. n. 167-14087 del 3 aprile 2012»;
   il comune di Carmagnola ha già presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro la sopracitata disposizione, sottolineando l'efficienza del reparto stesso, considerato un punto di riferimento per quanto riguarda il territorio della provincia di Torino;
   come sottolineato recentemente dal T.A.R. del Piemonte, in occasione dell'emanazione di alcune Ordinanze di sospensione riferite ad altri punti salienti della citata Delibera regionale, la Regione avrebbe dovuto, previamente all'emanazione della Delibera, vagliare in modo più approfondito i dati economici e sanitari connessi alla revisione della rete ospedaliera;
   come sottolineato anche dall'amministrazione carmagnolese e dai cittadini in occasione delle pubbliche manifestazioni di protesta organizzate contro la chiusura del reparto di Ostetricia e Ginecologia è mancata da parte della Regione la necessaria concertazione e coinvolgimento con la comunità locale, a tutela e salvaguardia del diritto stesso dei cittadini alla salute e ad un rapido accesso ai servizi sanitari;
   l'ospedale San Lorenzo serve un bacino di utenza di dimensioni considerevoli: 60 mila persone distribuite nel raggio di oltre 100 chilometri;
   la regione Piemonte è soggetta a piano di rientro dal deficit sanitario –:
   se l'intervento di chiusura del punto nascita dell'ospedale San Lorenzo di Carmagnola dipenda da scelte connesse all'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario. (3-00152)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, CECCONI, LOREFICE, DALL'OSSO, BARONI, GRILLO, DI VITA e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la società «Fonderie Pisano» opera a Salerno nel campo della produzione della ghisa. Essa è stata più volte individuata quale responsabile dei danni ambientali e biologici verificatisi nel sito di Fratte (Salerno) ove ha sede lo stabilimento di produzione, densamente popolato. Per questi danni mai nessuno, fino ad oggi, ha ottenuto alcun risarcimento;
   da oltre dieci anni la procura della Repubblica conduce indagini che si sono concretate in numerosi processi e condanne e, tuttavia, lo stabilimento continua a produrre senza che siano state adottate le opportune cautele;
   nel 2004 si era giunti al sequestro dell'impianto, su richiesta del pubblico ministero Frattini, titolare dell'inchiesta che aveva portato alla condanna del titolare dello ditta, ingegner Pisano, che patteggiò la pena. Nonostante ciò lo stabilimento aveva continuato a produrre, senza modifiche agli impianti, al punto che nel 2008 era stato nuovamente sequestrato. Nel 2008, poi, puntuale giungeva un secondo rinvio a giudizio per l'ingegner Pisano;
   nel novembre del 2008, l'ARPAC comunicava alla procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno i risultati dei controlli disposti dal sostituto procuratore dottor Frattini (titolare della ennesima inchiesta sull'inquinamento prodotto dallo stabilimento di Fratte), nei quali si attestava il superamento dei limiti nelle emissioni inquinanti consentiti dalla normativa;
   a ciò si aggiunga il pericolo per la salute dei residenti nelle vicinanze dello stabilimento, considerati i risultati degli accertamenti sull'inquinamento da polveri sottili. Nelle loro numerose denunce, infatti, molti residenti hanno lamentato allergie e patologie delle vie respiratorie, che sarebbero state provocate dalle esalazioni e immissioni provenienti dallo stabilimento;
   ad oggi lo stabilimento è ancora in funzione, nonostante la pronuncia del Tribunale di Salerno che certifica senza dubbi di sorta il grado di inquinamento prodotto dallo stesso (sentenza n. 415 del 2007);
   infine è fatto grave, ad avviso dell'interrogante, che il comune di Salerno non abbia avanzato mai alcuna richiesta di risarcimento per i danni ambientali prodotti dalla società Fonderie Pisano, pur essendosi la medesima amministrazione costituita parte civile nel processo, conclusosi con la condanna della predetta società (n. 415 del 2007);
   ad oggi la salute dei cittadini non è ancora tutelata nei modi dovuti. Ispezioni, indagini, sentenze, nulla è servito. L'amministrazione comunale a giudizio degli interroganti latita;
   l'impressione che si ricava è che questo stabilimento, e questa società possano continuare a porre in essere attività che mettono a repentaglio la salute dei cittadini e che le pronunce della magistratura e le proteste e le preoccupazioni dei cittadini medesimi per la loro salute non contino nulla;
   appare improrogabile una iniziativa del Ministro interrogato affinché si proceda a fare luce su una vicenda che da troppo tempo si trascina, nel silenzio delle amministrazioni locali, con grave danno per la salute dei cittadini nonché per far chiarezza sulla situazione ambientale e prendere provvedimenti, ognuno per la parte di propria competenza, al fine di garantire il diritto alla salute dei cittadini di Salerno e in particolar dei cittadini del popoloso quartiere Fratte –:
   quali siano i dati in possesso del Ministro interrogato sulle patologie che hanno colpito i cittadini di Salerno e in particolare dei residenti nel quartiere Fratte, in relazione all'inquinamento da polveri sottili prodotto dalle Fonderie Pisano e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, al fine di tutelare la salute dei suddetti cittadini. (5-00455)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Selex Elettronic System, società del gruppo Finmeccanica – nata dalla fusione delle società Galileo, Elsag, Sistemi Integrati – ha annunciato un piano di esuberi di 1.800 dipendenti;
   in Sicilia la Selex ha due poli uno a Catania e uno a Palermo che occupano 220 dipendenti;
   il piano industriale prevederebbe la chiusura di 22 siti e il dimezzamento dei 50 stabilimenti;
   le organizzazioni sindacali e i lavoratori hanno respinto tale piano chiedendo l'intervento del Governo per affrontare una vertenza che interessa uno dei segmenti industriali strategici del Paese;
   per la Sicilia si tratterebbe di un ulteriore penalizzazione del tessuto industriale e produttivo che si sta progressivamente desertificando –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per istituire un tavolo di confronto con la Selex al fine di rivedere il piano industriale avanzato e conseguentemente salvaguardare la presenza e i livelli occupazionali dei due poli siciliani. (3-00149)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la raffineria Ies di Mantova (di proprietà della multinazionale ungherese Mol), per l'approvvigionamento di petrolio, utilizza la banchina di Venezia del gruppo Eni;
   questa possibilità è regolamentata da un contratto tra Ies ed Eni che scadrà il 31 dicembre 2013;
   da indiscrezioni giornalistiche, si apprende che Eni non sembra intenzionata a proseguire la collaborazione con Ies, pregiudicandone, in questo modo, la continuità produttiva;
   la continuità produttiva, infatti, sarebbe messa in discussione se Eni dovesse decidere un utilizzo diverso dall'attuale della banchina petrolifera di Venezia;
   questa situazione di incertezza sta determinando una forte e comprensibile preoccupazione tra i dipendenti della Ies e rischia di bloccare il processo di risanamento ambientale avviato in quel sito produttivo –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la continuità produttiva della Ies e consentire la prosecuzione del percorso di risanamento ambientale del Sito produttivo, alla luce del fatto che lo Stato è detentore del 30 per cento del pacchetto azionario di Eni.
(5-00452)


   COPPOLA, BONACCORSI, BIFFONI, FANUCCI, DE MENECH, VAZIO, ZANIN, DALLAI, BOSCHI, CARRESCIA, GENTILONI SILVERI, NARDELLA, FAMIGLIETTI, BRUNO BOSSIO, CARBONE, DONATI, FREGOLENT, PARRINI, MARTELLI, SENALDI, SCALFAROTTO, GELLI, ROTTA, LORENZO GUERINI, BRANDOLIN, TARICCO, GIACHETTI, RICHETTI, ERMINI e IORI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono il settore che più di ogni altro dà impulso e sostiene la crescita e lo sviluppo di un Paese: le reti intelligenti di nuova generazione – fisse e mobili – possono promuovere la crescita, secondo la Banca Mondiale per 1,3 punti di Pil ogni 10 per cento in più di diffusione della banda larga; secondo il Commissario europeo per l'agenda digitale Kroes un mercato unico digitale incardinato su reti di nuova generazione può portare in 10 anni ad una crescita del 4 per cento del PIL europeo; le sole transazioni on line tra Paesi dell'Unione rappresentano non meno di 2,5 miliardi di euro;
   rilevanti sono i risparmi realizzabili in termini di spesa pubblica, per le imprese e per le famiglie mediante sviluppo delle reti e dei servizi digitali – quasi 40 miliardi all'anno, a regime, per l'Italia: i risparmi potrebbero essere conseguiti grazie al telelavoro (2 miliardi), e-learning (1,4 miliardi), e-government e impresa digitale (16 miliardi), e-health (8,6 miliardi), giustizia e sicurezza digitale (0,5 miliardi), gestione energetica intelligente (9,5 miliardi);
   l'infrastruttura di nuova generazione è dunque una priorità di investimento: contribuisce infatti a sviluppare quello che è stato correttamente definito l’«ecosistema digitale» per recuperare produttività in tempi di crisi e sono una condizione essenziale per la competitività internazionale di un Paese e per creare nuova occupazione qualificata;
   tenendo conto delle situazioni di digital divide in cui versa il Paese, risulta di fondamentale importanza per le imprese nazionali la fornitura di una adeguata infrastruttura a banda larga e ultralarga al fine di poter accedere sui mercati globali in maniera competitiva;
   il decreto-legge n. 179 del 2012 ha dettato misure specifiche per la crescita economica del Paese tra le quali particolare importanza rivestono gli interventi relativi alla diffusione delle tecnologie digitali autorizzando le spese per il completamento del Piano nazionale banda larga e disciplinando i procedimenti amministrativi per l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, anche con riguardo all'effettuazione delle opere necessarie (p.es. scavi);
   in particolare il comma 2-bis, dell'articolo 14 affida ad un regolamento del Ministero dello sviluppo economico, da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, la definizione delle modalità di intervento da porre a carico degli operatori di telecomunicazione, al fine di minimizzare eventuali interferenze tra i servizi a banda ultralarga mobile nella banda degli 800 megahertz e gli impianti per la ricezione televisiva domestica. Gli interventi saranno finanziati a valere su un fondo costituito con i contributi degli operatori di telecomunicazioni assegnatari delle frequenze in banda 800 megahertz e gestito privatamente dagli operatori interessati, in conformità alle previsioni del regolamento;
   inoltre con il successivo comma 3 si demanda ad apposito decreto interministeriale, adottato di concerto dai Ministri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza unificata, l'individuazione di specifiche tecniche delle operazioni di scavo per le infrastrutture a banda larga e ultralarga nell'intero territorio nazionale. La disposizione prevede che devono prioritariamente essere utilizzati gli scavi già attualmente in uso per i sottoservizi ed, inoltre dettaglia ulteriormente i contenuti del decreto, prevedendo che esso definisca:
    a) la superficie massima di manto stradale che deve essere ripristinata a seguito di una determinata opera di scavo;
    b) l'estensione del ripristino del manto stradale sulla base della tecnica di scavo utilizzata, quali trincea tradizionale, minitrincea, proporzionalmente alla superficie interessata dalle opere di scavo;
    c) le condizioni di scavo e di ripristino del manto stradale a seguito delle operazioni di scavo, proporzionalmente all'area d'azione;
   pur in presenza di un notevole impatto economico dell’internet economy, con dati che indicano come con il digitale in Italia sono stati creati 700mila posti di lavoro in 15 anni, inspiegabilmente ancora non è stata data applicazione nei termini stabiliti dalla legge alle disposizioni di cui all'articolo 14, comma 2-bis e 3 del decreto-legge n. 179 del 2012, per disciplinare i procedimenti amministrativi per l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, con riguardo all'effettuazione delle opere necessarie, in primo luogo per quel che riguarda le procedure da applicare agli scavi –:
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente provvedere all'emanazione del decreto attuativo e del cosiddetto «regolamento scavi» di cui all'articolo 14, comma 2-bis, e comma 3, del decreto-legge n. 179 del 2012, al fine di dotare l'intero Paese di una adeguata infrastruttura digitale dato che essa è uno degli strumenti più rilevanti per favorire lo sviluppo economico nazionale e per mettere il Paese al passo con gli altri Stati europei ed extraeuropei.
(5-00461)

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARANTA e BASSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006 Ericsson Telecomunicazioni spa acquista Marconi per 2,10 milioni di euro. Insieme al marchio rileva la maggioranza delle attività relative alle reti di accesso, agli apparati e servizi data networks con base in Nord America, i Servizi internazionali che includono le attività di telecomunicazioni (installazione, commissioning e manutenzione) non stanziate nel Regno Unito, le attività nei servizi a valore aggiunto (VAS) nel Medio Oriente e le attività relative ai servizi wireless software. I dipendenti sono 3228 complessivamente nelle sedi di Genova, Roma, Napoli, Assago (Milano), Mestre, Caserta e Torino per quanto attiene al contratto delle telecomunicazioni;
   il 24 maggio 2012 la multinazionale svedese inaugura a Genova la nuova sede di 18 mila metri quadri su 7 piani nel villaggio scientifico degli Erzelli. All'inaugurazione partecipano l'amministratore delegato e i vertici nazionali di Ericsson Italia, oltre a varie autorità cittadine;
   qualche giorno prima, il 19 maggio 2012 regione Liguria, comune e provincia di Genova, insieme con i Ministeri dello sviluppo economico e dell'istruzione, dell'università e della ricerca firmano con Ericsson Telecomunicazioni spa l'accordo di programma. L'accordo prevede un finanziamento complessivo di 41,9 milioni di euro (24 milioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di cui circa 5 milioni a titolo di contributo e circa 19 milioni come credito agevolato; 6,9 milioni del Ministero dello sviluppo economico di cui 4,6 milioni quale contributo alla spesa e 2,3 milioni come contributo in conto interessi e 11 milioni di regione Liguria di cui 5,3 quale contributo alla spesa e 5,7 in forma di credito agevolato a valere sull'asse 1 – misura 1.1 del POR-FESR 2007-2013) per la realizzazione del nuovo centro di ricerca e sviluppo di apparati e sistemi di telecomunicazione dell'azienda all'interno del parco scientifico e tecnologico di Erzelli del costo complessivo previsto pari a 73,3 milioni di euro;
   i fondi – al momento non ancora percepiti – saranno erogati a fine 2013 a seguito della presentazione di tutti i progetti di ricerca;
   il «contributo» pubblico viene chiesto dall'azienda con lo scopo di incentivare nuovi progetti di ricerca da sviluppare nell'ambito delle telecomunicazioni per lanciare il polo tecnologico degli Erzelli con la prospettiva di una crescita occupazionale sul territorio;
   il 12 Luglio 2012, a sorpresa, Ericsson annuncia l'apertura di una procedura di licenziamento collettivo per 374 dipendenti, di cui 94 a Genova (di questi 40 lavorano nell'area ricerca e sviluppo);
   il 7 giugno 2013 l'azienda annuncia altri tagli: 350 in tutta Italia e 40 a Genova. Il piano prevede per chi resta in servizio una forte riduzione del costo del lavoro (indennità trasferta/pasto/reperibilità/riviste, possibilità di demansionamento in caso di ricollocazione del personale in funzioni che prevedono un livello di inquadramento inferiore eccetera); dal 2006 ad oggi l'azienda ha avviato sette procedure di mobilità e come forza lavoro la sede di Genova ha perso circa il 50 per cento: nel 2006 i lavoratori erano 1150 con questi ultimi tagli ne resterebbero 650;
   nel 2012 Telecomunicazioni spa ha registrato 212 milioni di utile, un fatturato di 34 miliardi di euro e un valore azionario salito del 25 per cento nonostante la crisi attuale –:
   quali iniziative concrete intendano assumere i Ministri interrogati al fine di fare chiarezza su quale strategia Ericsson voglia attuare in Italia, dal momento che, nonostante gli utili registrati nel 2012, continua a licenziare;
   per quanto riguarda la situazione del polo genovese, se non ritengano opportuno convocare urgentemente un tavolo tecnico con la presenza della multinazionale svedese e delle organizzazioni sindacali, essendo la maggior parte dei finanziamenti richiesti per i progetti da sviluppare nel polo tecnologico di Genova a carico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dello sviluppo economico. (4-01012)


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1o gennaio 2013 è stata costituita la Selex electronic systems attraverso la concentrazione delle attività di Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi Integrati, tre società controllate da Finmeccanica spa;
   tale operazione è stata effettuata con la finalità di ridefinire la missione e il posizionamento del business dell'elettronica per la difesa e sicurezza e per raggiungere questo obiettivo, Selex ha avviato un percorso finalizzato a una politica di investimenti e alla realizzazione di economie di scala, ritenute necessarie per poter competere sul mercato globale, che prevedono un piano di riorganizzazione aziendale;
   come già dichiarato dal Viceministro dello sviluppo economico in risposta all'interpellanza urgente (n. 2-00074), che sottolinea che l'azienda si impegna a non intraprendere alcuna azione unilaterale senza il preventivo confronto con i sindacati e che, nel caso in cui la vicenda non pervenisse ad una soluzione positiva e condivisa, in termini di produttività ed occupazione, il Ministero è a disposizione per svolgere un ruolo più attivo per favorire la ricerca di una soluzione a tutela dell'occupazione e della competitività dell'azienda e del settore nel suo complesso;
   la Selex electronic systems ha presentato il 6 giugno 2013 un piano industriale per la razionalizzazione dei siti ed il dimensionamento degli organici che prevede la chiusura di 22 stabilimenti, la cassa integrazione per due anni a zero ore per 1.822 dipendenti e 4 ore di cassa integrazione settimanali per altri 10 mila lavoratori del gruppo in Italia;
   dal piano di razionalizzazione la città più colpita è Roma, con 470 esuberi su 2.700 dipendenti; subito dopo vengono le attività genovesi: 303 esuberi su nemmeno 2.000 addetti;
   il continuo ricorso agli esuberi sembrerebbe finalizzato più al contenimento dei costi che non al perseguimento di un chiaro indirizzo industriale con un conseguente impoverimento di competenze e centri di eccellenza che metterebbe a rischio anche la competitività dell'azienda;
   i lavoratori genovesi hanno scioperato lunedì 10 giugno 2013 per la difesa dell'occupazione negli stabilimenti del gruppo;
   i sindacati dei lavoratori propongono soluzioni alternative che prevedono processi di alleggerimento dell'organico attraverso pre-pensionamenti e contratti di solidarietà;
   il 14 Giugno le rappresentanze sindacali unitarie genovesi hanno incontrato i parlamentari liguri al fine di impostare una discussione più ampia relativa alla presenza delle aziende di Finmeccanica sul territorio ligure, finalizzata al mantenimento dell'occupazione e degli investimenti;
   è necessario che il Governo si prenda in carico questa situazione, vista la fase di crisi che attraversa il nostro Paese, per evitare la perdita di altri posti di lavoro –:
   se il Governo non ritenga di intervenire aprendo al più presto un tavolo di trattativa con azienda e parti sociali affinché venga discusso seriamente un Piano industriale che offra garanzie sul fronte della tenuta occupazionale e della competitività dell'azienda. (4-01015)


   CARRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il recente decreto ministeriale 13 marzo 2013 ha esonerato i distributori di carburante self service dal controllo periodico dell'ispettore metrico della camera di commercio e dalla legalizzazione nel caso in cui i sigilli vengano rimossi;
   con lo stesso decreto è stato anche disposto che per questo genere di apparecchi non esiste più l'obbligo di legalizzazione dei sigilli da parte dell'ispettore metrico nel caso in cui i piombi di garanzia dovessero essere tolti per interventi tecnici di manutenzione sui macchinari;
   il decreto ministeriale 13 marzo 2013 ha affidato i controlli ai laboratori privati che per essere abilitati debbono presentare una semplice richiesta (SCIA) alla camera di commercio;
   l'ispettore metrico potrà continuare i controlli a campione sui normali distributori di carburante MID ma non su quelli self service; in questo caso dovrà chiedere un sopralluogo congiunto con il laboratorio privato che segue quel determinato gestore. È stato pure previsto che i fabbricanti di distributori di carburanti non sono più tenuti a depositare il software presso la competente divisione del Ministero dello sviluppo economico, in caso di modifiche, personalizzazioni e adattamenti metrologicamente irrilevanti (articolo 6, comma 1, lettera a));
   il sistema self service, pur continuando ad essere oggetto di approvazione nazionale in quanto tale e in quanto parte di un sistema di misura, analogamente a quanto previsto dalla normativa comunitaria, è esonerato dall'esecuzione della verificazione periodica e dalla legalizzazione (articolo 6, comma 1, lettera b));
   il fatto che non vi è più l'obbligo di depositare il software, in caso di modifiche per personalizzazioni comporta difficoltà per gli operatori addetti alle ispezioni in quanto, senza poter visionare il «file sorgente», i controlli sono praticamente vanificati. L'unica garanzia, infatti, in questo tipo di controllo poteva essere data dal raffronto con quello depositato presso il Ministero; essendo venuto meno l'obbligo del suo deposito il controllo diventa impossibile;
   le notizie che ripetutamente sono riportate dagli organi di stampa su abusi da parte di gestori disonesti che, per altro, con i loro comportamenti danneggiano una categoria composta da operatori che nulla hanno a che fare con tali pratiche, denotano una crescente dimensione del fenomeno truffaldino;
   infine i laboratori che hanno i requisiti per eseguire la verificazione periodica sui distributori MID, al fine di semplificare ed evitare duplicazioni di controlli a carico delle imprese, possono eseguire la medesima verifica anche sui distributori di carburanti nazionali dopo aver presentato una semplice richiesta del laboratorio interessato alla camera di commercio competente e senza ulteriori oneri (articolo 6, comma 1, lettera f));
   pur apprezzando la volontà di semplificazione e di evitare inutili e costosi controlli, il decreto appare poco idoneo a garantire un efficace livello ispettivo e, soprattutto, a tutelare i consumatori –:
   se intenda modificare il decreto ministeriale del 13 marzo 2013 per garantire in modo efficace i controlli sui distributori self service dei carburanti, i gestori onesti danneggiati da pratiche contro la legge e, soprattutto i consumatori. (4-01022)


   MARIASTELLA BIANCHI, COMINELLI e BAZOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Exploenergy srl, con sede in San Donato Milanese (Milano), Via Kennedy 26, ha presentato nel marzo 2012, presso il Ministero dello sviluppo economico, un'istanza di permesso di ricerca in terraferma denominato «lograto», progetto che interessa le province di Brescia, Bergamo e Cremona. Attualmente la società milanese ha predisposto lo studio preliminare ambientale relativo al permesso di ricerca di idrocarburi denominato «Lograto», per il quale ha richiesto la verifica di assoggettabilità a V.I.A. della regione Lombardia, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 6 della legge regionale 2 febbraio 2010, n. 5;
   la società proponente intende svolgere nell'area dell'istanza di permesso di ricerca «Lograto» un programma esplorativo per l'individuazione e lo sfruttamento di accumuli di gas metano potenzialmente presenti nel sottosuolo;
   lo studio di tale progetto è stato curato dalla Peal Petroleum società che ha già curato gli studi di progetto della San Leon srl, società irlandese che ha presentato una richiesta di prospezione in mare nel Canale di Sicilia;
   all'interno dell'area in studio sono presenti interamente o parzialmente numerose aree naturali protette come il parco regionale dell'Oglio nord e parco regionale del Monte Netto, la riserva regionale Bosco de l'Isola e riserva regionale Bosco di Barco e il parco di interesse sovra comunale delle colline di Brescia;
   nel mese di aprile 2013 alcuni organi di stampa della provincia di Brescia hanno riportato la notizia della volontà della Exploenergy di utilizzare nelle operazioni di ricerca di idrocarburi la tecnica delle trivellazioni orizzontali, tipica del fracking ovvero la fratturazione idraulica degli strati rocciosi che trattengono il gas;
   tale metodo, che sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture negli strati rocciosi più profondi del terreno per agevolare la fuoriuscita dei gas presenti nelle formazioni rocciose per consentirne un recupero più rapido e completo, viene utilizzato soprattutto per estrarre metano, gas non facilmente estraibile con le tecniche tradizionali a trivellazione verticale;
   tale procedura è altamente inquinante poiché gli agenti chimici e liquidi inquinanti utilizzati per spaccare, impermeabilizzare e tenere aperte le rocce hanno come risultato diretto sull'ambiente la contaminazione dei terreni e delle falde acquifere. Il gas naturale sprigionato durante le perforazioni è anche causa di inquinamento atmosferico;
   a tutto ciò si aggiunge il pericolo relativo alla generazione di micro-sismi causati all'attività di fratturazione che, sebbene localizzati e limitati, preoccupano gli esperti per il grado di instabilità a cui espongono gli strati più profondi della terra;
   i pericoli connessi a tali tecniche hanno spinto Francia e Bulgaria a disporre il divieto delle procedure di fracking con specifiche norme di legge, mentre il Ministro dell'ambiente tedesco si è opposto alle richieste delle multinazionali dell'energia per lo sfruttamento dei giacimenti della Germania settentrionale e orientale, in particolare negando al colosso Exxon Mobile un progetto per la trivellazione in Sassonia e Reno Vestfalia –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se possano escludere eventuali futuri progetti di fracking sul territorio italiano, in particolare per il progetto «Lograto»;
   quali iniziative intendano assumere affinché sia garantita per il futuro piena trasparenza relativamente alla tecnica del fracking ed alla sua eventuale utilizzazione sul territorio italiano;
   se non ritengano necessario assumere iniziative volte alla revisione di tutti i progetti di prospezione petrolifera e di stoccaggio del gas naturale in corso, prevedendo in via cautelativa il divieto assoluto dell'impiego di tali tecniche.
(4-01026)


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tra il Gestore dei servizi energetici, GSE, ed il Consorzio Co.E.Ma. (Consorzio ecologico Massimetta, Pontina Ambiente srl del monopolista dei rifiuti Manlio Cerroni, Acea ed Ama) è stata stipulata, nel giugno del 2009, una «convenzione preliminare» avente come presupposto la cantierizzazione di un lotto di terreno interno alla discarica intercomunale per rifiuti indifferenziati di Roncigliano (Cecchina di Albano Laziale) per la costruzione di un gassificatore/inceneritore;
   la cantierizzazione è stata autorizzata sulla base di una ordinanza regionale rilasciata dal presidente della regione Lazio pro tempore dottor Marrazzo, con provvedimento n. Z-0003 del 22 ottobre 2008, che è stata annullata, senza appello, con decisione passata in giudicato, dal Tar del Lazio e dal Consiglio di Stato con sentenze n. 36740 del 15 dicembre 2010 (Tar del Lazio) e n. 1640 del 22 marzo 2012 (Consiglio di Stato);
   l'avvio del cantiere era previsto in data 13 agosto 2009, secondo quanto previsto all'AIA n. B-3694;
   l'ultimazione dei lavori per la costruzione della centrale di gassificazione/incenerimento, secondo la «convenzione preliminare Coema-GSE» del giugno 2009, avrebbe dovuto aver luogo entro e non oltre il mese di febbraio 2011, fatto salvo il beneficio della proroga di 12 mesi previsto dall'articolo 4 della convenzione medesima. La prima sentenza del Tar Lazio, però, interveniva, come noto, il 15 dicembre 2010 con sentenza n. 36740 del Tar del Lazio, e notificata dal Tar al consorzio Coema solo nei mesi successivi: quindi i 12 mesi di «causa di forza maggiore» previsti dall'articolo 4 della convenzione, erano già ampiamente «scaduti» a dicembre 2010;
   la cantierizzazione dell'area interessata alla costruzione della centrale di gassificazione/incenerimento di Cecchina di Albano Laziale, non solo non ha mai avuto inizio entro il limite del 31 dicembre 2008, ma, di fatto, non ha mai avuto luogo ancor oggi, come dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, sia i due verbali della polizia municipale della città di Albano Laziale dell'aprile 2009 e ottobre 2010 sia, ancor di più, lo stato attuale del sito interessato;
   l'impianto di gassificazione/incenerimento osteggiato da sei anni da associazioni, comitati, movimenti locali, nonché dalle dieci amministrazioni comunali di bacino;
   in ragione dei prevedibili costi complessivi dell'operazione «inceneritore», appare agli interroganti irrazionale la scelta di sprecare risorse economiche, al solo fine di bruciare materie prime quali sono plastica, carta, legno e derivati, che potrebbero e dovrebbero, viceversa, essere recuperate con processi industriali a freddo, con impatto minore sulla salute umana e sull'ambiente, pari secondo i calcoli di esperti interessati dai comitati e dalle associazioni ambientaliste ad una cifra superiore ad euro 400 milioni –:
   se siano a conoscenza dei fatti riportati;
   se siano a conoscenza dell'entità esatta dei contributi che sarebbero erogati a favore del consorzio Co.E.Ma. attraverso i fondi pubblici chiamati CIP-6/92, per la realizzazione del gassificatore/inceneritore di Albano e a quanto ammonti il sovrapprezzo per la produzione di energia che il Co.E.Ma. percepirà immettendo per i prossimi anni, nel circuito nazionale, energia elettrica da fonte «assimilata»;
   se non ritengano, in via generale, di assumere iniziative, anche normative, volte a promuovere la predisposizione di mezzi e strutture da destinare alla raccolta differenziata porta a porta e alla filiera della riduzione del riciclo e del riuso. (4-01028)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Gitti ed altri n. 1-00115, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antimo Cesaro e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Gitti, Marazziti, Schirò Planeta, Piepoli, Mazziotti Di Celso, Binetti, Causin, Antimo Cesaro, Cimmino, Fauttilli, Gigli, Matarrese, Monchiero, Santerini, Sberna, Sottanelli, Verini, Giachetti, Nicoletti».

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00017, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Iacono.

  La mozione Formisano e altri n. 1-00120, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lo Monte.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Elvira Savino e altri n. 2-00113, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Brambilla.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Basso e altri n. 5-00358, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Quaranta.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Speranza n. 1-00017, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 9 del 16 aprile 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    la tutela e la sicurezza del territorio italiano, unitamente alla tutela delle acque, rappresentano un interesse prioritario della collettività; il suolo è una risorsa ambientale non riproducibile, la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio;
    la fragilità del territorio italiano è documentata e sempre più evidente: i dati forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sul finire della XVI legislatura, classificano circa il 10 per cento del territorio nazionale ad elevata criticità idrogeologica, ossia a rischio di alluvioni, frane e valanghe; i due terzi delle aree esposte a rischio riguardano i centri urbani, le infrastrutture e le aree produttive; più in generale e con diversa intensità, il rischio di frane e alluvioni riguarda tutto il territorio nazionale: l'89 per cento dei comuni è soggetto a rischio idrogeologico e 5,8 milioni di italiani vivono sotto tale minaccia;
    alla particolare conformazione geologica del territorio italiano, alla fragile e mutevole natura dei suoli che lo compongono ed all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme non è stata contrapposta una tutela specifica dalla forte pressione antropica che si registra nel nostro Paese: l'Italia è, infatti, un Paese fortemente antropizzato, con una densità media pari a 189 abitanti per chilometro quadrato, assai superiore alla media dell'Europa, pari a 118 abitanti per chilometro quadrato, e con fortissime sperequazioni nella distribuzione territoriale;
    secondo i dati Istat, il trend del consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi impressionanti, pari a 244.000 ettari all'anno di suolo divorato da cemento ed asfalto; si è assistito, negli ultimi decenni, ad una crescita continua dell'urbanizzazione, al diffondersi di una cementificazione spesso incontrollata, all'artificializzazione di corsi d'acqua minori, di fiumare e di canali e alla sottrazione di aree libere, agricole e boschive, quali presidi per la tenuta del territorio italiano, di cui si paga un prezzo altissimo ogni qualvolta, sul nostro Paese, si abbattono piogge particolarmente intense;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale, da parte degli stessi enti preposti alla gestione del territorio, ed il ricorso improprio agli oneri di urbanizzazione, quale fonte prioritaria di finanziamento per i bilanci comunali, hanno spesso privato il «bene suolo» del suo valore pubblico, riducendolo ad un mero serbatoio da cui attingere risorse;
    la pratica dell'abusivismo ha minato la creazione di una cultura diffusa in materia di sicurezza del territorio, di rispetto delle regole e di salvaguardia del suolo come risorsa per le generazioni future;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale, unita a una cementificazione incontrollata, ha prodotto una rilevante perdita di terreni per la produzione agricola, che, insieme alla desertificazione e all'improduttività dei suoli, sono fattori di rischio per gli equilibri ambientali;
    gli eventi alluvionali che hanno colpito anche in queste ultime settimane i territori dell'Emilia-Romagna e della Liguria, e ripetutamente nei mesi passati anche la Toscana, le Marche, il Veneto, la Campania e la Sicilia, dimostrano quanto il problema del dissesto idrogeologico non sia più catalogabile nella logica dell'emergenza, per la frequenza degli eventi e per la gravità delle ricadute prodotte sui sistemi territoriali coinvolti;
    ciò nonostante, nella gestione delle risorse pubbliche per la tutela dell'ambiente si evidenzia un deficit di pianificazione e programmazione con una spesa improduttiva e molte volte dirottata su altre finalità; uno studio dell'Associazione artigiani e piccole imprese Mestre (Cgia) ha indicato che solo l'1,1 per cento delle imposte «ecologiche» sull'energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, pagate dai cittadini allo Stato e agli enti locali, è destinato alla protezione dell'ambiente; il 98,9 per cento va a coprire altre voci di spesa;
    più in generale, occorre sottolineare come la politica di tutela del territorio continua a destinare la gran parte delle risorse disponibili, che restano comunque scarse, all'emergenza, anziché ad un'effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, che è l'unico modo per prevenire danni economici e perdite di vite umane inaccettabili; ad esempio, a fronte di un finanziamento di cui alla legge n. 183 del 1989 per la difesa «strutturale» del suolo, pari a soli 2 miliardi di euro negli ultimi 20 anni, sono stati spesi ben 213 miliardi di euro per arginare le mille emergenze che si sono verificate: 161 miliardi di euro per coprire i danni provocati dai terremoti e 52 miliardi di euro per riparare i disastri derivanti dal dissesto idrogeologico. Tra il 1999 ed il 2008, inoltre, sono stati spesi 58 miliardi di euro per la difesa del suolo, la riduzione dell'inquinamento e l'assetto idrogeologico, ma di questi oltre il 50 per cento è stato assorbito dalle spese di parte corrente e solo 26 miliardi di euro sono stati destinati ad investimenti per la prevenzione dei rischi;
    gli stanziamenti ordinari riguardanti la difesa del suolo e il rischio idrogeologico, iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni, indicano pesanti riduzioni di risorse, facendo venir meno la certezza di poter disporre delle risorse necessarie a favore di politiche di prevenzione, che hanno bisogno di continuità per poter essere efficaci, e registrando, nei fatti, uno spostamento delle modalità di finanziamento che privilegia una gestione straordinaria, mediante strumenti che non sempre hanno prodotto risultati soddisfacenti;
    il piano straordinario per la prevenzione del rischio idrogeologico, previsto dalla legge finanziaria per il 2010, che aveva assegnato per interventi straordinari al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fondi per 1 miliardo di euro a valere sulle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate e diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, non ha mai prodotto i risultati attesi, anche a causa del mancato e tempestivo trasferimento di risorse;
    la situazione determinatasi per effetto della mancata attuazione del piano straordinario contro il dissesto idrogeologico è risultata talmente grave da «costringere» il Governo Monti ad adottare tre apposite delibere del Cipe: la prima (n. 8 del 2012) allo scopo di individuare fra gli interventi di rilevanza strategica regionale quelli per la mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma già sottoscritti fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni del Mezzogiorno, con conseguente assegnazione di complessivi 680 milioni di euro; la seconda delibera (n. 6 del 2012) per lo stanziamento di 130 milioni di euro, anch'essi per interventi diretti a fronteggiare i fenomeni di dissesto idrogeologico in alcune aree delle regioni del Centro-Nord; la terza delibera (n. 87 del 2012) per l'assegnazione di ulteriori 1.060 milioni di euro, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il finanziamento di interventi per la manutenzione straordinaria del territorio nelle regioni del Mezzogiorno;
    in ogni caso, comunque, ancora prima dell'individuazione di nuove risorse economiche, occorre mettere mano con decisione all'infrastrutturazione istituzionale nel campo delle politiche per la difesa del suolo. La maggiore criticità oggi riscontrabile è, infatti, dovuta al mancato completamento del riassetto della governance e da una frammentazione e sovrapposizione di competenze: soggetti e strumenti che appesantiscono, rendendolo meno efficiente, a volte paralizzandolo, il sistema di pianificazione, programmazione, gestione e monitoraggio degli interventi;
    a livello nazionale si sconta, a tutt'oggi, la mancanza di una regia unitaria delle azioni di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica; l'adeguamento alle normative comunitarie – direttiva quadro n. 2000/60/CE sulle acque – avrebbe necessariamente richiesto la definizione di ruoli e competenze che sono ancora confuse tra livelli distrettuali e regionali, con l'effetto di non rendere riconoscibile la catena delle responsabilità; l'attuale revisione dei livelli istituzionali e la diversa attribuzione di funzioni in materia di pianificazione territoriale di scala vasta e di tutela delle risorse ambientali rischiano, peraltro, di creare nuove criticità;
    il sistema di gestione proposto per la difesa del suolo, la tutela delle acque e i servizi idrici è di tipo spiccatamente centralistico, incapace di coordinare sinergicamente competenze, ruoli, responsabilità e poteri decisionali delle istituzioni interessate e di armonizzare contenuti, modalità di approvazione, attuazione ed aggiornamento dei diversi strumenti di pianificazione; l'istituzione delle otto autorità di bacino distrettuali, non ancora operative, alle quali viene attribuita la potestà pianificatoria, trova limiti nella stessa delimitazione territoriale dei distretti approvata, nella loro architettura istituzionale, e dovuta ad un eccessivo peso ministeriale e a un conflitto latente con il sistema delle regioni, deleterio per gli organismi che dovrebbero fondarsi sul principio cooperativo tra Stato e regioni a fronte di competenze concorrenti in materia territoriale, e nella stessa operatività economica di tali organismi, a causa delle crescenti difficoltà finanziarie del settore pubblico;
    i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, da predisporre per il raggiungimento degli obiettivi della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE entro il termine di nove anni dalla sua emanazione, sono stati adottati dai comitati istituzionali delle autorità di bacino, ma sono tuttora in attesa di definitiva approvazione da parte del Consiglio dei ministri (ad oggi il Governo ha approvato solo tre schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recanti approvazione di piani di gestione distrettuali), con il risultato di aver prodotto fin qui solo effetti limitativi per i territori interessati, senza avere, invece, dispiegato le azioni positive in essi previste;
    a livello comunitario, oltre alla direttiva quadro sulle acque n. 2000/60/CE, solo parzialmente attuata con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto codice ambientale), altri importanti atti legislativi comunitari in materia di gestione delle acque e di difesa del suolo sono stati parzialmente assunti e recepiti dal nostro Paese, tra cui la direttiva sulle alluvioni n. 2007/60/CE, recepita con il decreto legislativo n. 49 del 2010, che, però, mal si integra con il citato codice ambientale;
    tratto fondante del progetto comunitario, cui dovrebbe ispirarsi l'azione del nostro Paese in materia di difesa del suolo, è il perseguimento di un'azione programmatica non limitata al semplice bilanciamento delle esigenze di sicurezza, di quelle ecologiche ed economiche, ma finalizzata all'obiettivo di un cambiamento del modello di sviluppo, attraverso scelte di destinazione ed uso del territorio. Punti caratterizzanti di tale programma sono la ricostruzione ecologica dei corsi d'acqua, lo sfruttamento dei processi di qualificazione dell'agricoltura come cura e presidio del territorio, l'introduzione dell'analisi economica nei processi decisionali, al fine di realizzare gli interventi che portano maggior beneficio alla collettività piuttosto che favorire la redditività immediata del singolo, l'assunzione, nel quadro degli scenari di cambiamento, anche dei cambiamenti climatici, la promozione di politiche di adattamento piuttosto che il ricorso ad interventi strutturali, la valorizzazione di pratiche di tipo «negoziale-dialogico» e di partecipazione e coinvolgimento del pubblico nella ricerca di scelte condivise;
    la maggior parte degli interventi finalizzati alla difesa del suolo, realizzati in Italia, sono interventi strutturali di difesa passiva, nonostante sia ormai dimostrato che il binomio «dissesto-intervento di difesa del dissesto» può dar luogo a soluzioni localmente soddisfacenti, ma se applicato diffusamente può provocare effetti negativi, non solo perché spesso il rapporto costo/efficacia è sfavorevole, ma anche perché la realizzazione di un intervento a monte può aggravare i pericoli a valle. Al contrario, occorre puntare sulle attività di carattere preventivo, che pongano l'enfasi sul valore delle regole di uso del suolo, sul monitoraggio delle situazioni di rischio e sul grado di conoscenza e consapevolezza delle popolazioni in ordine al livello di esposizione al rischio di un territorio;
    anche la gestione delle sempre più frequenti emergenze dovute al dissesto idrogeologico, in capo nel nostro Paese ad un sistema di protezione civile tra i più qualificati al mondo, ha dovuto misurarsi negli ultimi anni con crescenti difficoltà, accentuate dall'incertezza del sistema normativo di riferimento anche a seguito dell'intervento abrogativo della Corte costituzionale con sentenza n. 22 del 2012; la conseguente adozione, da parte del Governo Monti, delle misure del decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012, in materia di protezione civile, non hanno però fugato tutti i dubbi degli amministratori locali in ordine al fatto che, in caso di calamità naturali, gli eventuali interventi di protezione civile messi in atto da organismi statali, in particolare quelli approntati dalle Forze armate, non siano posti a carico degli enti territoriali rappresentanti delle popolazioni colpite dalle medesime calamità naturali;
    in Italia, il mercato assicurativo offre la garanzia per rischi da catastrofi naturali come estensione della garanzia base incendio, ma tale offerta è più diffusa nelle polizze alle imprese e più rara per i privati; occorrerebbe promuovere la diffusione di una moderna cultura che tenga conto del rischio da catastrofi naturali e dei suoi drammatici effetti e costi umani, sociali ed economici, e in tale ottica è da ritenere indispensabile un incisivo intervento dello Stato che affianchi e renda più conveniente e sostenibile per i cittadini i costi di un sistema di copertura assicurativa volontaria degli edifici; andrebbero, pertanto, incoraggiate forme di trasferimento dei rischi catastrofali sul modello di quanto accade in altri Paesi, come la Francia, dove vige un regime assicurativo semiobbligatorio che vede lo Stato nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza;
    è quanto mai necessario richiamare ad un nuovo e più incisivo impegno il Parlamento e il Governo, anche alla luce dei deludenti risultati registrati in questi anni e della necessità di individuare soluzioni tempestive ed avanzate per fronteggiare il ripetersi di episodi calamitosi ed emergenziali, sempre più gravi e difficilmente risolvibili esclusivamente con interventi ex post e sempre più costosi e sostanzialmente inefficaci;
    un piano strutturale di messa in sicurezza e di manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua, finalizzato alla riduzione del rischio idrogeologico, rappresenta uno straordinario strumento di rilancio economico e di creazione di occupazione, a partire dalla riattivazione degli investimenti immediatamente cantierabili da parte degli enti locali e, quindi, da una revisione delle regole del patto di stabilità interno che, oggi, impediscono la realizzazione di interventi fondamentali sul fronte della prevenzione,

impegna il Governo:

   a considerare la manutenzione del territorio e la difesa idrogeologica una priorità per il Paese, in quanto finalizzata a garantire la sicurezza dei cittadini;
   a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, salvaguardando la centralità della pianificazione territoriale integrata di scala vasta anche nelle scelte in itinere di ridefinizione dei livelli istituzionali esistenti, privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
   a prevedere l'attivazione di un fondo nazionale per la difesa del suolo e la riduzione del rischio idrogeologico finalizzato alla realizzazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i soggetti istituzionali territorialmente preposti, di un piano organico, con obiettivi a breve e medio termine per la sicurezza e la manutenzione del territorio, che possa consentire agli enti competenti di aggiornare i propri documenti di progettazione e renderli finanziabili nell'ambito delle risorse attivabili nel quadro delle politiche di coesione per il ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020;
   ad adottare politiche che, contrastando il fenomeno dell'abbandono dei terreni, del disboscamento e, quindi, dell'improduttività del terreno stesso, riconoscano il valore strategico dell'agricoltura come presidio del territorio;
   a dare piena attuazione, nell'ambito della propria competenza, ai principi e ai contenuti delle direttive europee in materia di gestione delle risorse idriche e delle alluvioni, assumendo le opportune iniziative di natura amministrativa e normativa che possano portare ad una significativa riorganizzazione del sistema di responsabilità e competenze, che elimini sovrapposizioni ed incongruenze del quadro esistente, puntando ad una maggiore cooperazione tra i livelli amministrativi ed il sistema delle competenze tecniche esterne, ad un effettivo coordinamento tra politiche settoriali e territoriali, nonché ad una reale attuazione dei requisiti di partecipazione pubblica attiva e di informazione/educazione al rischio, anche mediante la valorizzazione di esperienze virtuose di programmazione negoziata territoriale, come i contratti di fiume;
   ad adottare iniziative normative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, al fine di rendere finalmente operative le autorità di bacino distrettuali, secondo una governance che tenga conto delle esigenze di riequilibrio istituzionale sostenute dalle regioni, di una delimitazione più funzionale dei distretti e di un sistema di governo in grado di riconoscere e valorizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze delle strutture tecniche di bacino esistenti a livello regionale e locale, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
   ad assumere iniziative volte a promuovere, nell'ambito della revisione delle regole del patto di stabilità interno, un piano straordinario di manutenzione diffusa del territorio e dei corsi d'acqua, che coinvolga il sistema delle autonomie locali e che rechi forme di incentivazione della partecipazione attiva della popolazione, anche mediante la sperimentazione di progetti che coinvolgano lavoratori temporaneamente beneficiari di ammortizzatori sociali;
   a promuovere, per quanto di propria competenza, le opportune modifiche normative che garantiscano la possibilità del sistema della protezione civile di operare in modo tempestivo ed efficace nel campo del contrasto ai danni provocati dal dissesto idrogeologico, anche mediante la revisione delle criticità eventualmente riscontrate in sede di applicazione della nuova normativa prevista dal decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre forme di assicurazione da rischi naturali che vedano, comunque, il coinvolgimento obbligatorio dello Stato anche solo nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza.
(1-00017)
(Ulteriore nuova formulazione) «Speranza, Brunetta, Matarrese, Pastorelli, Braga, Mariani, Borghi, Latronico, Dellai, Sarro, Realacci, Cenni, Zardini, Dallai, Dorina Bianchi, Arlotti, Taranto, Tino Iannuzzi, Alli, Rampi, Oliverio, Fiano, Gadda, Sottanelli, Pili, Pastorino, Grassi, Lenzi, Velo, Bratti, Causin, Castiello, Vella, Rosato, Tidei, Garavini, Carrescia, D'Incecco, Lodolini, Manfredi, Magorno, Quartapelle Procopio, D'Agostino, Cinzia Maria Fontana, Tullo, Cardinale, Maestri, Manzi, Marzano, Rossi, Vecchio, Marantelli, Moretto, Distaso, Ghizzoni, Giulietti, Gregori, Vargiu, Zanetti, Patriarca, Cimbro, Sereni, Crivellari, Laforgia, Mazzoli, Leonori, Tentori, Giovanna Sanna, Cominelli, Narduolo, Amoddio, Piepoli, Fabbri, Verini, Fregolent, Martella, Rigoni, Giacobbe, Sani, Fontanelli, Rossomando, Guerra, Senaldi, Lorenzo Guerini, Giuseppe Guerini, Morassut, Rotta, Mariastella Bianchi, Lattuca, Basso, Marco Meloni, Marchi, Ferrari, Scuvera, Sbrollini, Rubinato, Valiante, Antezza, Schirò Planeta, Valeria Valente, Monchiero, Rabino, Marazziti, Bruno Bossio, Mongiello, Pastorelli, Iacono, Ribaudo, Biondelli».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Matarrese n. 1-00111 del 21 giugno 2013;
   mozione Giorgia Meloni n. 1-00118 del 24 giugno 2013;
   mozione Formisano n. 1-00120 del 25 giugno 2013;
   mozione Brunetta n. 1-00121 del 25 giugno 2013;
   mozione Rossi n. 1-00122 del 26 giugno 2013;
   mozione Scanu n. 1-00123 del 26 giugno 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Cicu n. 5-00178 del 28 maggio 2013;
   interpellanza urgente Vecchio n. 2-00095 del 18 giugno 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Coppola e altri n. 4-00491 del 17 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00461;
   interrogazione a risposta orale Rocchi e Fontanelli n. 3-00069 del 21 maggio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-01004;
   interrogazione a risposta scritta Chaouki e Quartapelle Procopio n. 4-01000 del 25 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00444.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Capezzone n. 5-00425 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 39 del 24 giugno 2013. Alla pagina 2526, prima colonna, dalla riga trentesima alla riga trentunesima deve leggersi: «quali il decorso dei termini di prescrizione e/o decadenza, quanta parte» e non « quale sia il decorso dei termini di prescrizione e/o decadenza e quanta parte», come stampato.

  Nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2013, alla pagina 2542, seconda colonna, la riga venticinquesima si intende soppressa. Alla pagina 2594, seconda colonna, le righe dalla sesta alla undicesima si intendono soppresse.