Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 24 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto «Terra e sviluppo» del Consiglio nazionale dei geologi, elaborato con la collaborazione del Centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato (Cresme), descrive un'Italia vulnerabile, dal territorio fragile, esposta alle calamità ambientali, oltre la misura di quel che è fisiologicamente ammissibile;
    il 40 per cento della popolazione vive in aree ad alta sismicità; a rischio tellurico elevato soggiacciono 6,3 milioni di edifici e 12,5 milioni di abitazioni private; circa 6 milioni di persone abitano in aree ad elevato rischio idrogeologico; 30.000 chilometri quadrati del territorio sono ad altissimo rischio per eventi naturali, quali frane ed alluvioni;
    i dati sono confermati dal primo rapporto Ance/Cresme «Lo stato del territorio italiano 2012», laddove si evidenzia che l'Italia è considerato un Paese a sismicità medio-alta: in media ogni 100 anni si verificano più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5,0 e 6,0 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6,0. Le aree più interessate dal fenomeno si trovano lungo l'intero arco appenninico, nella parte orientale delle Alpi e in corrispondenza delle aree vulcaniche;
    gli oneri del dissesto e dei terremoti, dal dopoguerra ad oggi, sono stimati in 213 miliardi di euro; il meccanismo di spesa per le calamità naturali è fortemente distorto: nel periodo 1991-2008 per la mitigazione del rischio idrogeologico sono stati impiegati 7,3 miliardi di euro, poco più di 400 milioni di euro l'anno;
    nel novembre 2009 il Governo ha presentato alle Camere i dati sui rischio idrogeologico attuale, le stime per gli interventi di messa in sicurezza e le procedure, anche straordinarie, per attivare gli interventi, a cominciare da quelle pluriennali previste dal piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico; il fabbisogno necessario per la realizzazione di interventi per la sistemazione complessiva della situazione di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in 44 miliardi di euro, dei quali 27 miliardi di euro per il Centro-Nord e 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il fabbisogno relativo al recupero e alla tutela del patrimonio costiero italiano;
    tale fabbisogno finanziario si è scontrato con la cronica scarsità di risorse, sia dei bilanci statali che di quelli regionali, ulteriormente aggravata e dall'intermittenza dei finanziamenti; tale condizione non consente né di attuare la programmazione esistente nei diversi livelli di governo del territorio, né di predisporre un credibile piano nazionale, dotato di uno stabile cronoprogramma di spesa;
    taluni elementi distorsivi sono insiti nella stessa struttura della spesa pubblica e nelle norme che la sostengono: le spese per le emergenze sono difficilmente comprimibili, anche in forza delle attese della pubblica opinione, e i mutui destinati alla copertura delle ricostruzioni sono incomprimibili; i piani per la messa in sicurezza e la manutenzione del territorio sono classificati come investimenti o ammortamenti;
    di conseguenza, mentre ancora pesano sul bilancio statale eventi come il terremoto del Belice (1968) o dell'Irpinia (1980) e si calcola che la spesa per far fronte al terremoto in Abruzzo dell'aprile 2009 si potrà considerare esaurita nel 2032, nel corso degli anni Governi nazionali e regionali, di qualunque colore fossero, afflitti da problemi di deficit, di bilancio e, da ultimo, dalla necessità inderogabile di fare fronte alla crisi economica, altro non hanno potuto fare che tagliare il tagliabile, cioè, tra l'altro, investimenti e ammortamenti;
    il Consiglio nazionale dei geologi correttamente fa presente che le alluvioni, le frane e i terremoti sono fenomeni ricorrenti anche se non programmabili; l'elemento che aggrava la situazione è la pressione sul territorio; sulla base dei dati Istat nel prossimo decennio l'incremento della popolazione nelle zone sismiche sarà di oltre 500 mila persone, mentre circa 250 mila persone si insedieranno nelle zone a rischio idrogeologico;
    l'Italia è un territorio fortemente antropizzato, con circa 189 abitanti per chilometro quadrato; se si calcolano anche i 5.000.000 di immigrati, la densità aumenta a 202 abitanti per chilometro quadrato; se ulteriormente si calcola che su 301.000 chilometri quadrati sono utilizzabili solo 180.000 chilometri quadrati, si arriva a 339 abitanti per chilometro quadrato; il dato è confermato anche dallo studio del Wwf sull'impronta ecologica delle nazioni: l'Italia ha un deficit ecologico di 2,9, cioè occorrerebbe che il nostro Paese avesse una superficie di 2,9 più grande, per sostenere gli attuali impatti della popolazione residente;
    tutto ciò dimostra che l'Italia è un Paese sovraffollato con tutti gli impatti che ne conseguono, primo tra i quali lo sfogo dell'urbanizzazione verso le aree libere, che sono soprattutto le aree agricole, ma anche verso aree meno idonee o assolutamente non idonee alle costruzioni, quali le aree a maggior rischio idrogeologico; secondo il citato rapporto Ance/Cresme nell'ultimo decennio l'Italia ha vissuto un nuovo ciclo di espansione urbana mosso da una straordinaria accelerazione delle dinamiche demografiche (tra il 2001 e il 2010 l'incremento demografico è risultato del 6,4 per cento);
    un recentissimo studio dell'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra), sull'andamento del consumo di suolo, illustra come esso sia cresciuto, negli ultimi cinque anni, al ritmo di oltre 8 metri quadrati al secondo e come risulti coperta dall'urbanizzazione un'area pari al 6,9 per cento del territorio, cioè oltre 20.500 chilometri quadrati (dato del 2010). Nel 1956 era urbanizzato il 2,8 per cento del territorio; il consumo di suolo nel nostro Paese, per oltre 50 anni, sempre secondo l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale, è sempre stato sopra la media europea. La classifica delle regioni più urbanizzate vede in testa la Lombardia, che supera la soglia del 10 per cento del territorio, con 14 regioni oltre il 5 per cento;
    ma si verifica, paradossalmente, anche il problema opposto: e cioè che le superfici agricole, già oggetto di aggressione urbana, si riducono di per se stesse a causa dell'abbandono. Secondo i dati elaborati dall'Associazione nazionale bonifiche e irrigazione (Anbi), relativi all'evoluzione nazionale della superficie agricola utilizzata, nel periodo intercorso fra il 1990 ed il 2003 la superficie agricola utilizzata si è ridotta del 20,4 per cento, passando da oltre 15 milioni di ettari a poco più 12;
    la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 prevede, da un lato, che siano di competenza dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema (secondo comma, lettera s), dell'articolo 117); dall'altro, prevede, invece, che il governo del territorio sia materia di competenza concorrente tra Stato regioni (comma 3, dell'articolo 117); la non chiara delimitazione degli ambiti ha determinato una confusione dei ruoli, lo spezzettamento delle competenze, una strutturale mancanza di coordinamento; più volte si è tentato, nel corso delle legislature precedenti di approvare una legge nazionale sul Governo del territorio, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica del 1942;
    l'Unione europea ha da tempo riconosciuto l'esigenza di politiche pubbliche per una tutela attiva delle funzioni naturali svolte dal suolo. Questa tematica è alla base della «Strategia tematica per la protezione del suolo» adottata dall'Unione europea sin dal 2006;
    nella XVI legislatura il 26 gennaio 2010 l'Assemblea della Camera dei deputati ha approvato la mozione 1-00324, che riconosce il territorio come bene comune e risorsa limitata, da sfruttare in termini di massima efficienza; al Senato della Repubblica, invece, è stata approvata all'unanimità dalla Commissione territorio, ambiente, beni ambientali la risoluzione n. 7-00274 sull'approfondimento delle problematiche connesse al consumo del suolo;
    nella legislatura appena iniziata, la Camera dei deputati, nelle competenti commissioni, ha avviato la discussione sui progetti di legge di origine parlamentare in materia di consumo del suolo e il Governo ha recentissimamente approvato in via preliminare un proprio testo in materia,

impegna il Governo:

   a presentare sollecitamente un disegno di legge contenente le linee generali sul governo del territorio, quale legge quadro cui devono attenersi le regioni, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
   in tale ambito a riorganizzare il sistema delle competenze e delle responsabilità, in modo tale da evitare sovrapposizioni e conflitti tra le varie autorità e a introdurre disposizioni che obblighino al coordinamento dei diversi piani territoriali regionali e infraregionali;
   ad aggiornare e ad attuare il piano contro il rischio idrogeologico presentato alle Camere nel novembre del 2009, individuando risorse di bilancio certe e continuative per la difesa strutturale del suolo;
   a sbloccare le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del rischio idrogeologico;
   sotto il profilo dell'attuazione delle regole di finanza pubblica, ad assumere iniziative per modificare il patto di stabilità nel senso di escludere dai suoi vincoli le risorse destinate alle opere finalizzate alla difesa idrogeologica e quelle relative al concorso degli enti territoriali all'attuazione del piano contro il rischio idrogeologico;
   ad introdurre disposizioni che prevedano che tra gli interventi dello Stato destinati a rimuovere le condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, ai sensi del quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, possano essere ricomprese le azioni di rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e di riqualificazione ambientale di territori danneggiati, da attuare attraverso gli strumenti della programmazione negoziata;
    ad adottare ogni iniziativa di competenza per favorire la tempestiva approvazione del disegno di legge sul consumo del suolo, prevedendo che i principi in esso contenuti siano incorporati e coordinati con le norme sul governo del territorio.
(1-00116) «Latronico, Baldelli, Alli, Dorina Bianchi, Castiello, Distaso, Pili, Vella».


   La Camera,
   premesso che:
    i dissesti idrogeologici, i deboli equilibri tra patrimonio naturale ed insediamenti urbani, la forte antropizzazione di alcune aree del Paese rappresentano costanti criticità che, nei casi di eccezionalità degli eventi naturali, spesso diventano disastrose emergenze;
    si rende indispensabile individuare una strategia politica rivolta maggiormente alla prevenzione, alla cura del territorio, all'adozione di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili dal punto di vista di rischio idrogeologico;
    l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
    in effetti, la situazione di rischio idrogeologico del territorio italiano è nota e conclamata. Uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare evidenzia che il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e che sono 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione;
    nella XVI legislatura, la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati ha approvato, il 21 aprile 2009, la risoluzione n. 8-00040, volta alla definizione di un programma pluriennale di interventi per la difesa del suolo, votata positivamente da tutte le forze politiche presenti nella commissione parlamentare;
    tale risoluzione, facendo presente che il nostro Paese è fortemente compromesso da fenomeni di dissesto idrogeologico e che appare ormai urgente ed inderogabile attivare serie misure di contrasto alla rottura degli equilibri del particolare e rinomato territorio naturale delle regioni italiane, ha segnalato che, per fare fronte a problematiche così complesse ed impellenti, sarebbe necessario prevedere un programma pluriennale di interventi, coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ma da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge, il cui valore non avrebbe dovuto essere inferiore ad almeno 5 miliardi di euro;
    successivamente, il 26 gennaio 2010 è stata approvata all'unanimità dall'Assemblea della Camera dei deputati la mozione n. 1-00324, che, tra l'altro, ha impegnato il Governo ad attuare quanto previsto dalla citata risoluzione n. 8-00040;
    il 30 novembre 2011 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore aveva sottolineato la necessità di creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la prevenzione del dissesto idrogeologico;
    tuttavia, non risultano attuate azioni concrete e strutturali contro i dissesti idrogeologici;
    nella XVI legislatura per la prima volta si è cercato di attuare un coordinamento tra i soggetti che a vario titolo hanno competenze in materia di dissesto idrogeologico, che in passato attuavano programmazioni di interventi indipendenti;
    l'articolo 2, comma 240, della legge finanziaria per il 2010 aveva destinato 1.000 milioni di euro ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico (individuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile). La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate;
    già dai primi mesi del 2010 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le procedure per dare attuazione alle citate disposizioni normative, avviando una serie di consultazioni con tutte le regioni interessate, coinvolgendo le autorità di bacino competenti e il dipartimento nazionale della protezione civile, che si sono concluse con la sottoscrizione, con tutte le regioni, di specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico. Tutti gli accordi di programma sono stati, inoltre, registrati alla Corte dei conti;
    le risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010 sono state dapprima ridotte di 100 milioni di euro, per far fronte ai danni provocati dall'alluvione del dicembre 2009 in Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna (articolo 17, comma 2-bis, del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010), successivamente ulteriormente ridotte per 100 milioni di euro, per far fronte alle spese conseguenti allo stato di emergenza in Veneto, Liguria, Campania e Sicilia (articolo 2, comma 12-quinquies, del decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, il cosiddetto «decreto mille proroghe»);
    tenuto conto dei tagli, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha incrementato la dotazione di risorse prevista dalla legge finanziaria per il 2010, con le risorse disponibili sul proprio bilancio per la difesa del suolo (annualità 2008-2009-2010-2011), per un importo di circa 400 milioni di euro, destinando, quindi, al finanziamento dei piani un totale di circa 1.200 milioni di euro di risorse statali;
    a tali risorse sono state aggiunte le risorse regionali per un importo di circa 954 milioni di euro, dato che al momento della sottoscrizione degli accordi di programma tutte le regioni avevano cofinanziato, in misura variabile ma sostanziale, gli interventi inseriti negli stessi accordi di programma stipulati per un totale di circa 2.155 milioni di euro;
    per ogni regione è stato nominato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un commissario straordinario delegato all'attuazione degli interventi (articolo 17 del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010); tuttavia, il sistema dei commissari non ha funzionato, le risorse non sono state rese disponibili e, di fatto, il piano straordinario per il dissesto in molte regioni ha presentato evidentemente notevoli difficoltà di attuazione. La mancata assegnazione delle risorse previste ha comportato la necessità di operare rimodulazioni, in parte già effettuate, degli accordi già sottoscritti, con evidente pregiudizio dell'azione dello Stato nel campo della difesa del suolo;
    in particolare, sono stati inseriti, nell'ambito del piano nazionale per il Sud, in ripartizione del fondo per lo sviluppo e la coesione, tutti gli interventi già individuati negli accordi con le regioni del Mezzogiorno. Le regioni coinvolte attivamente nel processo sono state la Basilicata, la Calabria, la Campania, il Molise, la Puglia, la Sicilia e la Sardegna, per un ammontare di risorse pari a 1.870 milioni di euro;
    pertanto, in attuazione delle procedure introdotte a norma delle predette disposizioni, si è riscontrato che non sempre esse si sono dimostrate snelle e in grado di rispondere tempestivamente alle effettive necessità dei territori interessati, evidenziando spesso ritardi nelle fasi di predisposizione dei provvedimenti convenzionali ed amministrativi, impossibilità di poter disporre di risorse adeguate ed effettivamente spendibili, disallineamenti tra i tempi in cui sarebbe necessario effettuare gli interventi rispetto a quelli in cui questi sono necessari o diventano concretamente eseguibili;
    va sottolineato che i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, sembrerebbe opportuno mettere gli stessi amministratori al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed all'esecuzione degli interventi di mitigazione allo scopo censiti;
    appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, eliminando le disposizioni che, di fatto, rendono farraginose le procedure atte all'esecuzione degli interventi ed all'assegnazione delle risorse;
    nell'auspicato processo di ricognizione delle norme potrebbe essere inserita anche la previsione di un fondo volto a risarcire i soggetti, che, a seguito di eventi calamitosi legati al dissesto idrogeologico, abbiano subito danni ai loro beni;
    al riguardo va fatto presente che il fabbisogno finanziario necessario per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza complessiva delle situazioni di dissesto del territorio nazionale appare essere imponente: nella XVI legislatura è stato calcolato un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area del Centro-Nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero;
    risulta, altresì, evidente che, se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali,

impegna il Governo:

   ad intraprendere iniziative urgenti finalizzate a modificare l'attuale disciplina in materia di interventi nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico e a salvaguardare la sicurezza delle infrastrutture e il patrimonio ambientale e culturale, evitando sistemi centralizzati di gestione degli interventi e privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella della gestione dell'emergenza;
   a sbloccare le risorse già previste nella XVI legislatura dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del dissesto idrogeologico;
   ad attivare un organico programma di interventi per il riassetto territoriale delle aree a rischio idrogeologico, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le singole regioni, articolato attraverso azioni che prevedano progetti strategici di difesa dal rischio idrogeologico relativi alle aree urbane e agli insediamenti produttivi di particolare rilievo, interventi puntuali di riduzione del rischio idrogeologico, anche con riferimento ai piccoli comuni, e interventi di manutenzione diffusa del territorio, nonché di singole opere di difesa esistenti;
   ad assumere iniziative volte ad istituire un sistema di finanziamento delle opere basato sia sulla concessione e conseguente erogazione di risorse direttamente ai comuni, alle province, ai consorzi di bonifica, alle comunità montane e agli altri soggetti competenti, ai sensi della normativa vigente in materia di difesa del territorio e tutela dell'ambiente, sia sulla concessione di contributi da parte dello Stato, pari agli oneri per capitale ed interessi di ammortamento di mutui o altre operazioni finanziarie che i predetti soggetti possano essere autorizzati a contrarre con la Cassa depositi e prestiti o istituti finanziari, nell'ambito di autorizzazioni di spesa pluriennali a carico dello Stato, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica;
   ad assumere iniziative normative per prevedere l'esclusione di tali finanziamenti pluriennali e delle risorse provenienti dallo Stato, dalle regioni e di quelle proprie degli enti locali, destinate ad interventi di prevenzione, manutenzione del territorio e contrasto al dissesto idrogeologico, dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno;
   ad adottare specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a garantire l'attuazione da parte degli enti locali degli interventi di messa in sicurezza del proprio territorio per le aree a rischio prioritario e di interventi di rimboscamento e di riutilizzo dei terreni agricoli abbandonati;
   ad intraprendere specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a prevedere il rifinanziamento del fondo regionale della protezione civile, ovvero l'istituzione di un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, finalizzato alla concessione di indennizzi e per il risarcimento dei danni provocati dalle calamità naturali connessi al dissesto idrogeologico del territorio;
   ad assumere iniziative di competenza, anche normative, finalizzate a prevedere che i comuni possano concedere crediti edilizi in favore di soggetti che procedono alla delocalizzazione dei propri immobili, non abusivi, situati in aree classificate a rischio, verso siti sicuri e ad adottare provvedimenti concreti contro l'abusivismo edilizio e per la demolizione degli immobili abusivi in aree soggette a rischio idrogeologico.
(1-00117) «Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    il programma Joint Strike Fighter è stato avviato negli Stati Uniti nella prima metà degli anni ’90, nell'ambito del progetto Joint Advanced Strike Technology (JAST), e prevedeva lo sviluppo di un aereo da combattimento di nuova generazione, che fosse in grado di combinare la capacità di un lungo periodo di impiego con la possibilità di sostituire, con un unico aereo in più versioni, un'ampia gamma di velivoli della flotta militare statunitense, compresi quelli a decollo verticale;
    il programma Joint Strike Fighter si svolge nell'ambito di una cooperazione internazionale tra Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca;
    l'Italia ha aderito al programma già dalla fine del 1998, quando con il Governo D'Alema è stato firmato il Memorandum of agreement per la fase concettuale dimostrativa, con un primo investimento di 10 miliardi di dollari, ed è partner di secondo livello, insieme all'Olanda, con una quota d'investimento totale pari a quasi il quattro per cento;
    in attuazione del programma Joint Strike Fighter, è stato sviluppato un velivolo caccia multiruolo di quinta generazione con spiccate caratteristiche di bassa osservabilità da parte dei sistemi radar (stealth) e di interconnessione di tutti i sistemi di comunicazione, informazione e scambio dati (net-centriche);
    l'F-35 Lightning II sarà prodotto in tre versioni ed è destinato a sostituire circa 250 velivoli attualmente impiegati dalle Forze armate italiane, la cui dismissione è inevitabile per obsolescenza e limiti strutturali;
    nell'aprile del 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato hanno espresso parere favorevole sullo schema di programma predisposto dal Governo in ordine all'acquisto di 131 velivoli F35, al costo di 12,9 miliardi di euro, spalmati fino al 2026, e alla realizzazione, presso l'aeroporto militare di Cameri (Novara), di una linea di assemblaggio finale e di verifica (Faco) per i velivoli destinati ai Paesi europei;
    il 15 febbraio 2012, il Ministro della Difesa pro tempore, ammiraglio Di Paola, nell'illustrare alle Commissioni difesa di Camera e Senato le linee di indirizzo per la revisione dello strumento militare, ha annunciato un ridimensionamento del programma: «l'esame fatto a livello tecnico e operativo porta a ritenere come perseguibile, da un punto di vista operativo e di sostenibilità, un obiettivo programmatico dell'ordine di 90 velivoli (con una riduzione di circa 40 velivoli, pari a un terzo del programma), una riduzione importante che, tuttavia, salvaguarda anche la realtà industriale e che, quindi, rappresenta una riduzione significativa coerente con l'esigenza di oculata revisione della spesa»;
    in quella sede, la necessità di proseguire nel programma è stata, altresì, posta in relazione con la necessità di sostituire tre linee di velivoli, i Tornado, gli Amx e gli AV-8 B, che nell'arco dei prossimi 15 anni usciranno progressivamente dalla linea operativa per vetustà;
    il programma Joint Strike Fighter offre all'industria italiana un ritorno tecnologico e occupazionale di significativo valore: dal punto di vista industriale, l'F35 vede protagoniste le maggiori aziende del settore aeronautica (Alenia aeronautica e Avio solo per citarne alcune) e sosterrà la produzione dell'industria aeronautica italiana per i prossimi anni, mentre l'indotto include sia grandi aziende, sia piccole e medie imprese in numerose regioni;
    sotto il profilo occupazionale, inoltre, oltre alle centinaia di ingegneri coinvolti nelle fasi di studio, progettazione e realizzazione del velivolo, un importante ritorno è legato alla citata Final assembly and check out (Faco) di Cameri, che darà occupazione a millecinquecento persone direttamente e a circa diecimila con l'indotto, la quale si prevede che avvii la propria attività produttiva nel 2016 per proseguirla per almeno 40 anni;
    i mutamenti del quadro geopolitico globale, in cui alla relativa stabilità dell'area atlantica corrisponde la crescente instabilità di aree di rilevante interesse strategico in Asia e Africa e la significativa riduzione della presenza militare statunitense in Europa, impongono nuove e crescenti responsabilità al sistema di difesa, che è chiamato a potenziare la propria autonomia ed efficienza operativa all'interno delle severe compatibilità dettate dagli obiettivi di finanza pubblica;
    in questo quadro, la modernizzazione della componente aerotattica costituisce un'esigenza obiettiva ed irrinunciabile del sistema di difesa euro-atlantica, nell'ambito della quale gli F35 rappresentano un'arma strategica che, qualora si decidesse di rinunciare alla sua messa a punto e produzione, sarebbe impossibile acquisire;
    inoltre, l'abbandono del programma Joint Strike Fighter comporterebbe delle conseguenze gravissime, sia sotto il profilo dell'ammodernamento dei nostri strumenti militari, sia in termini di danni economici, visto che, come già ricordato, l'Italia ha aderito al programma un quindicennio fa ed ha già investito risorse ingenti nella sua attuazione, sia, infine, con riferimento ai citati benefici per le aziende italiane in termini industriali e occupazionali;
    per quanto attiene alle criticità in ordine ai costi di produzione per i nuovi velivoli, appena pochi giorni fa, il 19 giugno 2013, il Sottosegretario alla difesa americano Kendall, nel corso di un'audizione al Congresso, ha dichiarato che i costi per aeromobile si stanno riducendo,

impegna il Governo:

   a rispettare gli impegni internazionali assunti in ordine alla realizzazione del programma Joint Strike Fighter, al fine di tutelare sia l'impegno finanziario sin qui sostenuto, sia l'aumento della produzione industriale nazionale ad esso connesso ed i conseguenti effetti sui livelli occupazionali;
   a proseguire, anche attraverso il costante raccordo con i competenti organi parlamentari, nella valutazione delle modalità di attuazione del programma, nonché, in un quadro più generale, nella scelta degli investimenti che si ritiene debbano essere realizzati, nel breve e nel medio periodo, per assicurare una più efficiente integrazione dello strumento militare italiano nel sistema di difesa euro-atlantica;
   a continuare a sostenere il ruolo dell'Italia, in sede internazionale, in qualità di protagonista e in qualità di partner strategico nella ricerca, individuazione e messa a punto di innovazioni tecnologiche.
(1-00118) «Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Nastri».


   La Camera,
   premesso che:
    la Irisbus di Flumeri (Avellino) e la BredaMenariniBus di Bologna sono le ultime due grandi aziende italiane produttrici di autobus;
    lo stabilimento di Flumeri è di proprietà dell'Irisbus Iveco, azienda totalmente acquisita dal Gruppo Fiat nel 2003;
    il Gruppo Fiat è uno dei principali costruttori europei nel settore trasporto persone ed operando su scala mondiale commercializza annualmente circa ottomila unità in oltre quaranta Paesi;
    nel 2011 il Gruppo Fiat, beneficiario nel tempo di sostanziose sovvenzioni pubbliche, ha manifestato la volontà di dismettere lo stabilimento avviando le procedure di messa in mobilità per i circa 700 dipendenti;
    il Gruppo Fiat è titolare di cinque siti produttivi in Europa – oltre Flumeri: Annonay e Rorthais in Francia, Barcellona in Spagna e Vysoke Myto nella Repubblica Ceca;
    solo per il sito italiano è stata annunciata la chiusura, attribuendone le ragioni agli effetti della crisi che ha colpito il mercato degli autobus (urbani ed extraurbani) in Italia, le cui immatricolazioni hanno registrato una drastica riduzione passando dalle 2.838 unità del 2005 alle 1.163 del 2011;
    attualmente, i circa 400 lavoratori dell'Irisbus sono in cassa integrazione fino a dicembre 2013, mentre altri 200 sono stati ricollocati in altre aziende del Gruppo Fiat o finiti nel limbo degli «esodati»;
    sino ad ora sono risultati vani i diversi tentativi di dialogo e concertazione tra le rappresentanze sindacali, la Fiat, i rappresentanti locali e il Governo;
    la BredaMenariniBus è di proprietà di Finmeccanica S.p.A. e dal 2006 è rientrata nella Holding Finmeccanica, dove assieme ad AnsaldoBreda e Ansaldo STS ne costituisce la divisione trasporti;
    dal 1989 la BredaMenariniBus ha prodotto più di 7.000 autobus ed è in possesso di tutte le «licenze europee» – concessioni – per produrre autobus;
    rappresenta una realtà d'eccellenza nel panorama industriale europeo, con una filiera di progettazione e produzione completamente italiana;
    BredaMenariniBus, così come Irisbus, è in grado di produrre una ampia gamma di veicoli per il trasporto pubblico a basso impatto ambientale (autobus elettrici, a metano, filobus bimodali);
    nel 2011 Finmeccanica ha dichiarato di volersi disfare del comparto pubblico del gruppo, BredaMenarini compresa;
    la decisione scaturiva dalla fallita ricerca di partner a livello internazionale che potesse supplire al cronico problema «dimensionale», strategico per sopravvivere alle richieste del mercato;
    questa decisione ha comportato un calo rilevante delle quote di mercato nazionale, passando dai 300 mezzi costruiti nel 2011 ai soli 30 del 2012, che ha portato all'attivazione della cassa integrazione straordinaria per i lavoratori fino al febbraio 2014;
    il settore della produzione di autobus annovera, tra carrozzieri e produttori, decine di aziende diffuse sul territorio nazionale e dà lavoro, senza contare le piccole e medie imprese dell'indotto, ad oltre 11.000 addetti;
    la mancanza di interventi ha portato alla progressiva cancellazione di numerosi stabilimenti (Autodromo, Cacciamali e da ultima De Simon) e rischia di determinare l'assoluta scomparsa della produzione di autobus dal territorio nazionale;
    le citate vicende degli stabilimenti Irisbus di Flumeri e BredaMenariniBus di Bologna rappresentano, di fatto, per il nostro Paese un evento di eccezionale gravità che chiama in causa una serie di criticità di livello generale, che vanno dalla politica industriale dei più grandi gruppi meccanici nazionali, alla gestione da parte degli ultimi governi delle crisi aziendali, dei problemi occupazionali, della politica della programmazione infrastrutturale e, in particolare, di quella del trasporto pubblico locale nel nostro Paese;
    appare grave e particolarmente preoccupante che si continui ad assistere impotenti ad un disimpegno totale da parte dei principali gruppi industriali italiani – segnatamente FIAT e Finmeccanica – senza che essi diano adeguate garanzie circa l'attuazione di una coerente politica industriale, tanto più che lo Stato italiano nei decenni ha sempre sostenuto le aziende di questo settore, intervenendo attraverso l'erogazione di risorse pubbliche;
    il Ministero dell'economia e delle finanze sia il principale azionista di Finmeccanica con una quota pari al 32,45 per cento della società e che tale partecipazione è soggetta alla disciplina dettata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 settembre 1999, secondo cui tale quota non può scendere al di sotto della soglia minima del 30 per cento del capitale sociale: in sostanza, nessun altro azionista può detenere una quota del capitale di Finmeccanica superiore al 3 per cento senza l'approvazione del Ministero dell'economia e delle finanze;
    si rende necessaria una seria regia governativa per una strategia di rivisitazione e riqualificazione del parco mezzi del trasporto pubblico locale;
    gli interventi di finanza pubblica adottati nel corso dell'ultimo triennio hanno invece pesantemente inciso sulla disponibilità delle risorse finanziarie per il trasporto pubblico locale, avendo, da un lato, drasticamente ridotto i trasferimenti statali destinati al pagamento dei servizi di trasporto pubblico e, dall'altro, di fatto interrotto il già previsto processo di fiscalizzazione che avrebbe condotto, per questa materia fondamentale per le regioni e per gli enti locali, al passaggio dal sistema di finanza derivata al sistema di finanza propria;
    sotto tale profilo si segnala che l'11 aprile 2013 la Conferenza delle regioni e delle province autonome, ha approvato un documento relativo alle problematiche del settore trasporto pubblico locale e rinnovo del contratto collettivo nazionale del lavoro degli autoferrotranvieri, nell'ambito del quale documento è stato sottolineato che:
   a) i tagli, che dal 2010 in poi i vari governi hanno effettuato sulle risorse per il trasporto pubblico locale, valutabili in oltre mezzo miliardo di euro all'anno, hanno comportato, indipendentemente da criteri di efficienza e riorganizzazione, riduzioni molto significative ai servizi minimi garantiti sui territori (mediamente del 10 per cento) ed effetti critici sullo stato delle aziende di trasporto ferro/gomma, i cui equilibri economici hanno sofferto altresì degli effetti inflattivi, anch'essi ignorati dai vari Governi;
   b) il disegno, che doveva garantire la certezza delle risorse destinate al trasporto pubblico locale sta dimostrando tutta la sua inadeguatezza;
   c) le modalità di riparto ed erogazione delle risorse, di cui all'articolo 16-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito con modificazioni con la legge 7 agosto 2012, n. 135, così come sostituito dall'articolo 1, comma 301, della legge n. 228 del 2012 istitutiva del nuovo «Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle Regioni a statuto ordinario», infatti, non garantiscono i regolari flussi di cassa, indispensabili per onorare i contratti di servizio in essere sia per il settore ferroviario che per quello della gomma;
   d) proprio nell'ultimo periodo, il mancato trasferimento delle risorse delle prime quattro mensilità per il 2013 dell'acconto, nonostante quanto previsto dalla norma stessa e dagli accordi presi in sede di Conferenza unificata, sta mettendo in ginocchio molte regioni già strozzate dal clamoroso ritardo accumulato dal Governo nei trasferimenti per il ferro nazionale nell'anno 2012;
   e) il problema è ancor più drammatico dal punto di vista dei bilanci regionali, se si pensa che le regioni devono assumere impegni pluriennali di spesa non solo per la copertura degli oneri derivanti dalla stipula dei contratti di servizio, ma anche per l'effettuazione delle gare, soprattutto nel settore ferroviario;
   f) l'attuale dotazione finanziaria del fondo, come più volte sottolineato, è addirittura inferiore agli stanziamenti del 2011 (-148 milioni di euro e persino del 2010 (-300 milioni di euro) e ciò è avvenuto in un contesto di tagli generalizzati alle risorse regionali in tutti i settori di spesa;
   g) l'insufficienza del Fondo è ancora più rilevante in considerazione del fatto che, oltre agli oneri derivanti dai contratti di servizio in essere, gravano sui bilanci regionali altre spese necessarie per il funzionamento del settore, quali: rinnovo del materiale rotabile ferro/gomma; manutenzione straordinaria delle infrastrutture; innovazione tecnologica; risorse aggiuntive per i contratti di lavoro e per gli ammortizzatori sociali;
   h) per far fronte a tali costi, le regioni sarebbero costrette, pertanto, ad attingere a risorse proprie in modo sistematico e pluriennale, sottraendole alle esigenze di altri settori strategici per la popolazione, quali la sanità, i servizi sociali, eccetera;
    l'attuale disciplina in materia di trasporto pubblico locale non è assolutamente idonea a garantire il regolare funzionamento del settore, pur in presenza di processi di efficientamento e razionalizzazione che le Regioni stanno intraprendendo, né l'espletamento dei servizi minimi essenziali; tanto che le regioni, in considerazione della complessità delle suddette problematiche, hanno chiesto al Governo l'attivazione urgente di un tavolo specifico;
    si rende necessaria e non più rinviabile la definizione di una politica industriale ed occupazionale del Governo che ponga al centro della propria azione l'obiettivo primario della stabilità sociale e della valorizzazione della persona in quanto utente e in quanto lavoratore nella nuova e diversa dimensione dei diritti connessi a queste condizioni; e ciò anche nel quadro di un intervento reale per il rilancio del Sud del Paese, che sta pagando un prezzo altissimo sotto il profilo economico e sociale;
    il 31 dicembre del 2012 è entrata in vigore la nuova normativa europea «Euro 6» per i mezzi pesanti, autobus compresi: Il Regolamento (CE) n. 595/2009, il quale prevede nuovi limiti di emissioni inquinanti è già operativo per le nuove omologazioni, mentre a partire dal 2014 lo sarà per le nuove immatricolazioni;
    lo scopo della nuova norma, oltre alla salvaguardia del cittadino e dell'ambiente, è anche quello di rilanciare e rendere più competitiva l'industria automobilistica europea;
    prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, al fine di rientrare nei limiti stabiliti dalle direttive europee sulla qualità dell'aria era fortemente raccomandato l'acquisto di mezzi «Euro V» o «EEV» (Enhanced enviromental vehicle);
    secondo i dati provenienti dalle aziende del trasporto pubblico locale, sul totale del parco autobus circolante in Italia solo il 15 per cento dei mezzi è conforme a queste due categorie. La maggior parte dei veicoli risulta, però, ancora caratterizzata da emissioni «euro 2» (29 per cento) ed «Euro 3» (30 per cento), con addirittura la presenza nel parco di veicoli ad emissione «Euro 1» (5 per cento), «Euro 0» (11 per cento) e «Pre Euro 0» (3 per cento);
    dal 2006 al 2011 l'età media del parco autobus italiano è aumentata di oltre un anno, attestandosi a 11 anni: e ciò ha vanificato sostanzialmente tutti i benefici introdotti dalla legge n. 194 del 1998 e i suoi successivi rifinanziamenti;
    la situazione del parco mezzi italiano ha subito una vera propria involuzione negativa negli anni: al diminuire delle dimensioni del parco mezzi è corrisposto un aumento della sua età media. Oggi questa è superiore di 4 anni alla media europea ed inferiore soltanto nell'Unione europea a Estonia, Bulgaria, Slovacchia ed Ungheria;
    le circostanze rilevate mostrano il non più rinviabile rinnovo del parco di autoveicoli circolanti in Italia, pena il rischio che l'Unione europea applichi delle sanzioni al nostro Paese per le numerose infrazioni della normativa antinquinamento;
    lo scenario della crisi globale indica che i governi delle maggiori economie mondiali stanno potenziando gli investimenti pubblici nei settori dell'ambiente e dei trasporti, in funzione della realizzazione di una mobilità sostenibile;
    occorrerebbe restituire certezza e stabilità alle risorse per il trasporto pubblico locale attraverso misure strutturali e un programma di investimenti finalizzato allo sviluppo sostenibile dei sistemi di trasporto pubblico, i quali registrano una domanda potenziale molto elevata;
    dare una nuova prospettiva e rilanciare le aziende sopra richiamate servirebbe a dare segnali di inversione di tendenza e ripresa di fiducia a territori già fortemente provati, sul piano economico sociale, ed occupazionale, dai processi di deindustrializzazione connessi alla profonda crisi che investe il Paese;
    non a caso ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo le misure di sostegno per i lavoratori, quali il finanziamento della cassa integrazione, sono da considerarsi talmente necessarie da dover essere assicurate sempre e comunque anche dopo la fine dell'anno corrente per tutti quelli che ne possano avere bisogno,

impegna il Governo:

   a dare immediatamente seguito alla richiesta avanzata dalla Conferenza delle regioni per l'attivazione urgente di un tavolo sul tema più generale dei rapporti Stato-regioni ed enti locali in tema di trasporto pubblico locale, inserito nell'ottica della garanzia di tutti i servizi pubblici locali essenziali;
   a definire sollecitamente un piano nazionale per il trasporto pubblico locale, che favorisca tra l'altro l'utilizzo delle tecnologie a più basso impatto ambientale;
   a predisporre un programma pluriennale per il rinnovamento del parco autobus circolante tramite bus ecologici;
   ad adottare, già con le prossime iniziative di natura finanziaria, adeguate risorse per il rinnovo del parco autobus delle aziende operanti nel settore del trasporto pubblico locale, tenendo conto che tali disponibilità potrebbero essere eventualmente reperite a valere sulle destinazioni, nazionali e regionali, del fondo per le aree sottoutilizzate 2007-2013, ovvero sulla quota ancora non utilizzata delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate 2000-2006 attraverso la rimodulazione dell'attuale programmazione dei fondi strutturali europei, sottoponendo al CIPE il provvedimento per l'individuazione della specifica fonte finanziaria e la ripartizione delle risorse tra le amministrazioni centrali e regionali, previa apposita concertazione con le regioni interessate;
   a sostenere l'attivazione di un tavolo nazionale presso il Ministero dello sviluppo economico finalizzato ad unificare le vertenze di Irisbus di Flumeri (Avellino) e di BredaMenariniBus di Bologna, anche nella prospettiva di favorire la costituzione di un polo unico nazionale per la progettazione e la costruzione di autobus e veicoli per il trasporto pubblico su gomma a basso impatto ambientale, nonché al fine di ampliare l'offerta di lavoro nel settore della ricerca e dell'innovazione tecnologica per la manutenzione e la messa a norma del parco autobus oggi circolante, in conformità al perseguimento dell'obiettivo di realizzare una nuova politica industriale per il nostro Paese;
   a monitorare con particolare attenzione l'attuazione dell'articolo 1, comma 12, del decreto-legge n. 35 del 2005 recante «Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale», convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2005, in forza del quale la SACE SpA – ovvero l'Agenzia di credito all'esportazione che assume in assicurazione e/o in riassicurazione i rischi a cui sono esposte le aziende italiane nelle loro transazioni internazionali e negli investimenti all'estero – può assumere in garanzia le operazioni di spostamento all'estero delle attività produttive, considerato che facendo leva su quanto previsto dal citato decreto-legge n. 35 del 2005, nel nostro Paese, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, sono state favorite numerosissime procedure di delocalizzazione di importanti attività produttive che fanno capo anche ad aziende, quali ad esempio la FIAT;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza volta ad impedire la gravissima anomalia in forza della quale lo Stato potrebbe continuare a stanziare risorse per consentire la cassa integrazione dei lavoratori, senza preoccuparsi di verificare, se contestualmente, non vi siano stati casi di erogazione di fondi pubblici che hanno favorito di fatto le procedure di delocalizzazione all'estero delle attività produttive da cui la predetta disoccupazione deriva.
(1-00119) «Giancarlo Giordano, De Mita, Famiglietti, Impegno, Nardella, Damiano, D'Agostino, Antimo Cesaro, Dellai, Paris, Epifani, Migliore, Amendola, Bonavitacola, Lenzi, Airaudo, Ferrara, Quaranta, Di Salvo, Aiello, Boccadutri, Michele Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

Risoluzione in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    nella prima metà del 2013 le condizioni meteorologiche hanno danneggiato in modo gravissimo il territorio della Val Parma e nel giro di pochissimi giorni (5, 6, 7, 13 aprile 2013) alcuni movimenti franosi di grande portata hanno travolto l'interno territorio;
    in particolare tali fenomeni hanno prodotto sin da subito problemi gravissimi alla viabilità da e verso il polo produttivo di prosciutto di Parma DOP di Lagrimone (in particolare si segnala che la strada Massese – SP 665R –, rete viaria di primaria importanza che collega Parma con l'Alta Val Parma e la Toscana, è interrotta al chilometro 33 in località Boschetto, nel comune di Tizzano Val Parma), con conseguenze negative su tutta l'economia della parte alta della Val Parma;
    tali problemi di viabilità hanno avuto (e stanno avendo) ripercussioni anche su un numero considerevole di pendolari che percorrono quotidianamente la strada Massese per raggiungere il loro posto di lavoro a Langhirano (altra importante zona di produzione del prosciutto di Parma) o a Parma;
    detti fenomeni franosi stanno altresì minacciando le aziende agricole ivi installate, a partire dai ricoveri per il bestiame, poiché, se il movimento franoso dovesse arrivare ad interessare le tampe dei liquami di detti manufatti, si potrebbe verificare un grave danno ecologico con il riversamento dei liquami nel vicino torrente Parmossa;
    sotto altro aspetto, da martedì 7 aprile 2013 anche i collegamenti viari con il comprensorio sciistico e turistico di Schia sono seriamente compromessi da detti fenomeni, con notevoli disagi per l'industria turistica della zona, la quale vede la popolazione del territorio tizzanese triplicarsi nei mesi estivi e che durante l'inverno beneficia dei flussi di sciatori agli impianti di risalita recentemente rinnovati;
    nella notte tra venerdì 4 aprile e sabato 5 aprile 2013, nella frazione «Capriglio» è iniziato un movimento franoso tra i più grandi d'Europa, posto che i geologi stimano abbia spostato tra i 20 e i 30 milioni di metri cubi di materiale detritico;
    questi movimenti franosi hanno, dunque, comportato ordinanze di inagibilità parziale e completa su abitazioni e capannoni produttivi nei territori afferenti ai comuni di Tizzano Capoluogo, Costa, Cozzo, Boschetto;
    alla luce dell'entità degli eventi sinora verificatisi, la situazione è suscettibile di precipitare posto che oltre 400 persone, dei 2.200 residenti del Comune di Tizzano, sono attualmente residenti/domiciliate nei territori direttamente interessati dai movimenti franosi;
    a partire dai giorni immediatamente successivi ai fatti riportati in premessa, tutta la filiera istituzionale locale (comuni dei territori interessati, comitato delle associazioni di protezione civile di Parma) si è attivata per dare sostegno immediato, di tipo psico-socio-sanitario, agli abitanti delle zone colpite, ma tali attività, è evidente, non possono ripristinare in alcun modo la situazione precedente, data la vasta entità dei danni arrecati al territorio ed alle infrastrutture su di esso presenti, per la quale è necessario l'intervento dello Stato centrale;
    in tal senso, il dipartimento di protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri ha effettuato un sopralluogo in data 15 aprile 2013, cui è seguita in data 9 maggio 2013 la deliberazione da parte del Consiglio dei ministri dello stato d'emergenza;
    i danni riportati dalla zona interessata ammontano a decine di milioni di euro, suscettibili peraltro di aumentare, posto che, da un lato, i fenomeni di cui in premessa non possono dirsi esauriti, e dall'altro, l'inerzia delle istituzioni può ulteriormente aggravare la situazione,

impegna il Governo

a procedere al più presto, previa esatta quantificazione economica dei danni, mediante individuazione ed assegnazione ai Comuni ed alle altre istituzioni competenti delle risorse necessarie a riportare in sicurezza i territori e le popolazioni interessate dagli eventi descritti in premessa.
(7-00051) «Pastorelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 giugno 2013 il leader del Cospalat del Friuli Venezia Giulia, Renato Zampa viene arrestato nell'ambito dell'indagine sulla messa in commercio di latte con sostanze tossiche e cancerogene;
   sono state eseguite quattro misure degli arresti domiciliari e un obbligo di dimora;
   per i soggetti coinvolti l'ipotesi di reato è di associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio, adulterazione di sostanze alimentari e commercio di sostanze alimentari pericolose per la salute;
   secondo l'eccellente lavoro delle forze dell'ordine, coordinate dalla procura di Udine, sarebbe stato messo in commercio volutamente latte contaminato da aflatossine, specie fungine cancerogene e con effetti negativi anche sulla crescita dei bambini;
   le analisi sul latte sarebbero state falsificate con il ricorso a un laboratorio compiacente che avrebbe prodotto la diluizione del latte con altro latte non contaminato ed inoltre sarebbe stato inoltre utilizzato latte proveniente da allevamenti non autorizzati per produrre abusivamente formaggio MontasioDop;
   benché 17 allevatori e i responsabili del consorzio, fossero a conoscenza della contaminazione da aflatossine di diverse partite di latte, abbiano comunque diluito le stesse con prodotto non contaminato rendendolo idoneo ai controlli analitici effettuati dagli acquirenti;
   l'illecito veniva favorito dalla complicità di un laboratorio di analisi della provincia di Udine che, quando dalle analisi eseguite per conto del consorzio emergeva la presenza di tossine in quantità superiore a quella consentita, alterava i referti ed il latte risultava sempre e comunque idoneo per la commercializzazione;
   è stato accertato anche che due autisti che operavano per il consorzio sottraevano, ad ogni consegna, alcuni quintali di latte ristabilendone poi il peso originario mediante l'aggiunta di acqua;
   gli indagati sapevano di produrre latte contaminato e sapevano che quel latte finiva negli scaffali dei supermercati dove carabinieri del Nas hanno scoperto anche partite di latte vendute come contenente Omega 3 che in realtà veniva diluito con semplice acqua;
   un tale danno alla salute pubblica ed al commercio produrrà contraccolpi negativi nei confronti del marchio MontasioDop e dell'enogastronomia del Friuli Venezia Giulia, già duramente colpita dalla crisi economica –:
   se sia intenzione del Governo porre in essere tutte le misure conoscitive al fine di sapere dove sia stato venduto il latte tossico;
   se sia intenzione del Governo, in sinergia con le regioni colpite dalla vendita del latte e del formaggio, costituirsi parte civile nei confronti dei truffatori;
   se sia intenzione e come questo Governo intenda tutelare da subito il marchio MontasioDop che ha dato lustro negli ultimi anni al Friuli Venezia Giulia e promuovere con urgenza le eccellenze enogastronomiche del territorio regionale al fine di scongiurare ulteriori contraccolpi negativi sull'economia di un territorio martoriato dalla crisi. (3-00138)


   SBERNA, GIGLI, FAUTTILLI, BINETTI, BUTTIGLIONE, CESA, PREZIOSI, ZANIN, SENALDI, PATRIARCA, VIGNALI, CALABRÒ e FUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la famiglia è il cuore pulsante della società, l'unico in grado di riscattare realmente il Paese dalla situazione di crisi in cui versa, anche perché purtroppo la crisi è pagata, ogni giorno, soprattutto dalle famiglie;
   la famiglia realizza in maniera unica la solidarietà tra generazioni, meglio di qualunque altra realtà associativa e rimane una risorsa per il mondo del lavoro, che troppo spesso la sfrutta e le dà ben poco in cambio; guardando invece alla politica, non è una novità che le istituzioni e i governi, specialmente in Italia, ignorino la famiglia, e alle belle parole quasi mai fanno seguito i fatti;
   oggi in Italia la famiglia resta il maggiore ammortizzatore sociale e la più impegnata agenzia per la crescita delle conoscenze;
   le politiche sociali sono definibili come familiari solo se il loro obiettivo prioritario è quello di favorire la famiglia e la sua mission specifica, non solo di sostenere il benessere della società;
   il dettato della Carta Costituzionale (articoli 29, 30 e 31) non è ancora sufficientemente applicato. I Padri costituenti a suo tempo fecero una chiara opzione di valore puntando sulla famiglia come fattore fondativo della società e della ricostruzione. Famiglia opportunamente definita come fondata sul matrimonio in quanto doveva fondarsi su un impegno pubblico e, quindi, rifletteva una visione non privatistica della famiglia. Una visione fatta propria anche da posizioni ideologiche diverse tra loro. La richiesta cui dare consistenza, nell'interesse del futuro del nostro Paese, è quella di un vero rispetto del dettato costituzionale, con una valorizzazione sussidiaria della famiglia;
   diventa urgente ascoltare la speranza che viene dal vissuto di tantissime famiglie, che chiedono di riconoscere la famiglia come luogo naturale e insostituibile di generazione e di rigenerazione della persona, della società e del suo sviluppo anche materiale;
   è importante riconoscere alla famiglia il ruolo di protagonista di fronte ad una economia autoreferente e che non risponde a nessuno controllo sociale;
   i governi che hanno preceduto l'attuale hanno avuto Ministri e Sottosegretari con delega alla famiglia, in considerazione dell'enorme carico socio-economico legato alle politiche familiari;
   tutelare la famiglia in un Governo di larghe intese è una opportunità straordinaria per prendere iniziative forti e condivise, dal fattore famiglia, al potenziamento del patto intergenerazionale, dalla revisione dei criteri ISEE con tutte le possibili tariffazioni, a nuove possibili forme di conciliazione dei tempi lavoro – famiglia, da una valorizzazione del lavoro femminile alle funzioni di cura di bambini, disabili, anziani, malati cronici;
   anche il tema della integrazione delle seconde generazioni, affrontato nell'ottica familiare, non soltanto rappresenta una tappa cruciale nelle storie dei fenomeni migratori, ma è un importante fattore di cambiamento sociale per i Paesi di destinazione e per le relazioni internazionali tra società civili e tra Paesi; è importante capire quali azioni intraprendere per mettere la famiglia al centro delle politiche dedicate agli immigrati;
   ci sono molti modelli di tutela della famiglia e possono variare da un Ministero ad hoc, ad un sottosegretariato in grado di valutare puntualmente in tutte i disegni di legge l'impatto familiare che potrebbero avere;
   presso la Presidenza del Consiglio già esiste ed è funzionante uno specifico dipartimento, che dovrebbe riguardare essenzialmente l'applicazione del Piano nazionale della famiglia e che è stato approvato dopo un lungo lavoro di dialogo ed una Conferenza nazionale, ma che non è affidato ad una responsabilità definita;
   presso la stessa Presidenza del Consiglio è attivo da anni l'Osservatorio nazionale sulla famiglia che si trova ora nell'impossibilità di operare per mancanza di referente istituzionale;
   il Piano ha un approccio virtuoso su tante priorità, ma c’è bisogno di una governance complessiva che a livello nazionale sappia operare anche in sintonia con l'associazionismo familiare –:
   se non ritenga necessario attivare una espressa attenzione alla famiglia, conferendole visibilità politica, individuando, fra i suoi Ministri un delegato che si occupi di famiglia in continuità e coerenza con il dettato costituzionale. (3-00139)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PASTORINO, GIUSEPPE GUERINI e GREGORI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Turchia sta vivendo uno dei più delicati e preoccupanti momenti della sua storia recente, da quando una manifestazione iniziata il 28 maggio 2013 a Istanbul, per salvare dalla demolizione l'ormai noto parco Gezi, alla quale le forze di polizia hanno reagito in maniera sproporzionata, ha dato l'avvio a una serie di proteste popolari, che si sono diffuse in non meno di novanta località in tutto il Paese – inclusi i grandi comuni metropolitani di Ankara, Smirne, Bursa, Adana, Koaceli, Gaziantep, Konya, Adalia e Kayseri, oltre quello stesso di Istanbul – e su Internet, in particolare mediante l’hashtag «#OccupyGezi»;
   lo scopo delle proteste, che coinvolgono settori molto diversi della società turca con una presenza di secondo piano delle forze politiche d'opposizione, si è man mano esteso oltre le originali istanze ambientaliste, fino alla rivendicazione di una maggiore tutela dei diritti di libertà in una società meno paternalista e più aperta, alla denuncia degli eccessi di forza della polizia, alla più generale contestazione e richiesta di dimissioni del Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan, del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), e del suo Governo;
   il pesante ed eccessivo intervento della polizia turca contro i manifestanti, avallato dal Governo del Primo Ministro Erdoğan, che ha usato parole molto dure contro le proteste, ha provocato scontri violenti, il cui esito è di sei decessi, migliaia di feriti e arrestati e danni ingenti a proprietà pubbliche e private;
   la Turchia riveste un ruolo geopolitico importante, sia in qualità di potenza regionale, in particolare militare – la Turchia conta il secondo esercito della NATO per personale –, a cavallo di alcune regioni cruciali per la stabilità del pianeta – Mediterraneo, Mar Nero, Caucaso e Medio Oriente –, sia in virtù di ragioni politiche e simboliche, per la capacità di coniugare democrazia e Islam;
   il cammino della Turchia sulla strada della democrazia è segnato dalle due questioni curda e cipriota, da un'insufficiente garanzia dei diritti fondamentali, in particolare quelli di libertà – di espressione, associazione e riunione, d'informazione e dei mezzi di comunicazione di massa – e nell'ambito della giustizia penale, e da un sistema politico-istituzionale fragile, caratterizzato in passato dal frequente intervento delle forze armate e, dal 2002 e per le successive elezioni del 2007 e 2011, dalla formazione di larghe maggioranze parlamentari, fronteggiate da un'opposizione debole, da parte dell'AKP, che ne ha approfittato, sia per avviare profonde riforme, inclusa una revisione della Costituzione e, quindi, la stesura di una nuova, i cui aspetti positivi e negativi sono stati ampiamente evidenziati, da ultimo, dalla Commissione europea nel Rapporto sui progressi della Turchia del 2012, allegato alla Comunicazione sulla strategia di allargamento 2012-2013, numero COM(2012)600, sia per costruire una solida rete di relazioni e clientele con i poteri e centri d'interesse economico del Paese;
   l'Unione europea ha una storia di ultradecennali rapporti di buon vicinato e collaborazione con la Turchia, che oggi trova il suo apice nell'unione doganale, la quale ha sviluppato un commercio per un totale di 120 miliardi di euro nel 2011, ed è stata segnata dalla firma, il 12 settembre 1963, di un trattato d'associazione – l'Accordo di Ankara – e dall'apertura ufficiale, il 17 dicembre 2004, delle trattative per l'adesione;
   l'Unione o, almeno, una parte degli Stati membri, hanno un atteggiamento a dir poco ambiguo circa i rapporti con la Turchia, che si è tradotto, in più occasioni, al blocco dei negoziati su alcuni capitoli e, soprattutto, alla mancanza di una posizione chiara sulle prospettive di adesione del Paese mediterraneo;
   il processo di adesione all'Unione rappresenta un elemento importante del dibattito politico turco e, come ha rilevato il Ministro Bonino nell'intervento alla Camera del 12 giugno 2013, un sostegno al processo di maturazione democratica del Paese, sicché, di conseguenza, anche se il Governo di Ankara deve, da parte sua, ancora compiere significativi progressi sui capitoli negoziali, l'atteggiamento ambiguo dell'Unione e di molti Stati membri costituisce un elemento negativo e un fattore di rischio nell'evoluzione delle relazioni della Turchia con l'Unione europea e dell'ordinamento e assetto politico del Paese;
   l'Unione e l'Italia in essa hanno il prioritario interesse e obbligo morale a favorire la maturazione democratica della Turchia, senza ingerenze e su un piano di parità e rispetto, e per questo, oltre prestare la debita preoccupata attenzione all'evolvere della situazione e compiere le necessarie dichiarazioni di rito, devono definire con urgenza, al termine di un dibattito ampio e approfondito, una posizione chiara circa il futuro delle relazioni con la Turchia, delineando una prospettiva di adesione – che includa le opportune riforme al sistema istituzionale dell'Unione, in modo da permettergli di reggere l'adesione di uno Stato membro dal peso rilevante, e, ovviamente, sia subordinata alla positiva conclusione del processo di allineamento all'ordinamento europeo e alla positiva soluzione di alcune questioni pendenti, tra cui quelle cipriota e curda – oppure di cooperazione e amicizia privilegiata;
   il Ministro Bonino ha dichiarato, nel citato intervento alla Camera del 12 giugno scorso, che «il Governo italiano continua a credere fermamente nella prospettiva europea della Turchia»;
   il Consiglio europeo del 27 e 28 giugno non sembra destinato, almeno per quanto risulta dall'ordine del giorno, a occuparsi della situazione e delle relazioni con la Turchia, né risultano dichiarazioni in tal senso del Presidente Van Rompuy, né del Presidente della Commissione Barroso o dell'Alto Rappresentante Ashton –:
   quale sia lo stato del dibattito a livello europeo e dei singoli Stati membri sul futuro delle relazioni con la Turchia, in particolare con riferimento all'adesione o alla definizione di un rapporto privilegiato di cooperazione e amicizia;
   quale sia lo stato dei negoziati per l'adesione della Turchia all'Unione anche alla luce di notizie secondo le quali Germania e Olanda sarebbero contrarie alla ripresa dei negoziati medesimi;
   se la posizione ufficiale del Governo sia, in effetti, favorevole all'adesione della Turchia all'Unione;
   quale, secondo il Governo, dovrebbe essere il percorso per giungere all'adesione della Turchia e, anche considerate le cause e gli effetti dell'attuale crisi politica dell'Unione e il dibattito in corso sulle riforme, quali revisioni all'assetto istituzionale europeo si renderebbero necessarie per consentirgli di funzionare in maniera efficace in seguito all'ingresso di un Paese che, per il 2020, dovrebbe avere la maggiore popolazione dell'Unione europea;
   se il Governo ritenga necessario l'avvio di un dibattito, a livello europeo e nazionale, sulle citate questioni e come intenda prodigarsi in tal senso, in particolare se intenda avviare una discussione già nel Consiglio europeo del 27 e 28 giugno, qualora sia confermato che questa non sia già prevista dall'ordine del giorno della sessione. (5-00422)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1992 il comune di Gualdo Cattaneo (Perugia), concedeva un permesso di scavo alla ditta BE.MA. al fine esclusivo di operare il ripristino ambientale di un sito di cava dismesso già da oltre vent'anni. In considerazione dello scopo, tale permesso era stato rilasciato gratuitamente;
   la cava dismessa è stata poi scoperta e ciò comportava immediatamente per i cittadini residenti nelle vicinanze del sito specifiche problematiche connesse all'uso di mine nella cava, al traffico di automezzi e alla diffusione di polveri;
   agli interroganti risulta che la riapertura della cava sia stata autorizzata per un periodo di soli 2 anni (non rinnovabili) e finalizzata all'esclusivo riambientamento e ripristino ambientale del sito;
   da tali premesse riportate nella convenzione tra il comune e l'azienda citata, emerge con relativa chiarezza che i lavori nella cava consistessero più in una vera e propria riattivazione delle attività di coltivazione che in un ripristino ambientale così come previsto dalla convenzione siglata con il comune;
   con nota in data 24 novembre 1994, la Comunità montana dei Monti Martani e del Serano confermava di aver rilasciato la sua obbligatoria «autorizzazione esecutiva» a condizione che il fine ultimo dei lavori fosse «un reale, totale recupero ambientale della zona»;
   nel 1995, il comune di Gualdo Cattaneo provvedeva a concludere una seconda convenzione con l'azienda citata (poi divenuta Montepelato subentrante nella convenzione nel 1997 ed infine GMP) finalizzata a far sì che l'attività estrattiva si concludesse con il completo ed efficace riambientamento di tutta la zona interessata ancora rimasto inattuato; si prevedeva, altresì, la quantità massima di materiale estratto pari a ad una cubatura massima, uguale o minore a me 150.000, garantendo, tra le altre cose, un puntuale e regolare smaltimento delle acque;
   risulta agli interroganti che il comune, dinanzi alla mancata osservanza delle prescrizioni in oggetto, abbia, comunque, rilasciato alla GMP un terzo permesso di scavo sul Monte Pelato, sempre a titolo di ripristino ambientale;
   tale circostanza ha determinato un aggravamento dello stato naturale dei luoghi;
   risulta, infatti, che la riapertura della cava dismessa, a seguito dell'abbassamento dell'attuale piazzale di coltivazione della cava con aggravamento del dissesto ambientale, unito alla perdurante diffusione di polveri per la popolazione, oltre a determinare il peggioramento delle attuali condizioni di recupero ambientale dell'intera area, con particolare riferimento al corretto smaltimento delle acque, sta determinando effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana e per l'ambiente, configurandosi il rischio di un danno ambientale di cui all'articolo 300, comma 2, lettera d) –:
   se il Ministro alla luce di eventuali verifiche tecniche effettuate sullo stato di inquinamento delle acque e del suolo e sullo stato di conservazione di ambienti naturali disposte ai sensi dell'articolo 8, comma 2 della legge n. 349 del 1986 non ritenga opportuno nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri tutela dell'ambiente (CCTA), in relazione all'oggettivo pericolo per la popolazione residente. (4-00992)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MICILLO, BUSINAROLO, TURCO, CANCELLERI, VILLAROSA, CHIMIENTI, RUOCCO, BATTELLI, D'UVA, MARZANA, LUIGI GALLO, FERRARESI, D'AMBROSIO, COLONNESE, COLLETTI, MANLIO DI STEFANO, SILVIA GIORDANO, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE, BARONI, CASTELLI, TOFALO, BALDASSARRE, FICO, CARIELLO, CASO, SARTI e CURRÒ. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il «Sancarluccio» è una sala storica nel panorama teatrale napoletano e italiano; nato nel dicembre del 1972, il teatro sorge nel quartiere di Ghiaia, a ridosso di via dei Mille, il cuore del centro storico ottocentesco della città;
   esso ha supportato autori e attori napoletani e non, tra i quali il suo primo eccellente scritturato Roberto Benigni;
   nel corso degli anni Settanta il Sancarluccio si connota come fucina di giovani talenti, da Leopoldo Mastelloni a Massimo Troisi, che qui debuttava nella Smorfia con Lello Arena ed Enzo De Caro;
   a questa attività si affiancò l'ospitalità di compagnie, registi e attori napoletani emergenti o di tradizione (Nello Mascia, Ida Di Benedetto, Tato Russo);
   negli anni Ottanta il Sancarluccio divenne laboratorio della nuova drammaturgia napoletana, ospitando Annibale Ruccello, che qui presentò la prima edizione di «Le cinque rose di Jennifer» in veste di autore e attore e producendo diversi lavori del teatro di Enzo Moscato;
   altri artisti da ricordare: Mario Martone, Tony Servillo, Renato Carpentieri, capostipiti dell'avanguardia napoletana, Silvio Orlando e Tonino Taiuti, Peppe Lanzetta, Vincenzo Salemme, Marina Gonfalone, Lucia Poli, Laura Morante, Luigi Lo Gascio – e tanti altri nomi;
   negli anni Novanta, con l'ideazione di «UnderTeatro – Rassegna per un Teatro di Creazione e Formazione», dedicata alle giovani compagnie di teatro italiano non inserite in circuiti ufficiali, il Sancarluccio si riconferma come luogo di sperimentazione e proposta di nuovi percorsi teatrali;
   alcune testate di informazione locale riferiscono che per mancanza di fondi la sala è destinata dopo 40 anni di attività a chiudere;
   il «corrieredelmezzogiorno.it» in un articolo del 30 aprile 2013 informa i lettori che sul «Sancarluccio» pende uno sfratto esecutivo da eseguirsi entro il 30 giugno 2013;
   per scongiurare la chiusura e sensibilizzare le istituzioni preposte è stata promossa una petizione on line;
   molte altre piccole realtà teatrali esistenti su tutto il territorio italiano versano in gravi difficoltà;
   i piccoli teatri oltre a rappresentare un laboratorio per attori emergenti, offrono spesso un'occasione di socializzazione, di creatività, di arricchimento culturale, una vera palestra di vita per tanti giovani –:
   quali iniziative intenda altresì intraprendere rispetto alla problematica crescente di diversi piccoli teatri italiani versanti nelle condizioni, descritte in premessa, tra i quali il teatro Sancarluccio, che per oltre 40 anni ha segnato la storia della cultura sperimentale napoletana senza la quale probabilmente non sarebbero emersi alcuni tra i più straordinari talenti nazionali, rappresenta senz'altro una eccellenza. (4-00984)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   DURANTI, PIRAS, LAVAGNO e AIRAUDO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 47 della Costituzione recita: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese»;
   a Torino, causa il progressivo aggravarsi e cronicizzarsi della crisi economica, il mercato immobiliare è in pieno regresso e le vendite sono calate del 20 per cento rispetto al 2011;
   nel 2011 gli sfratti per morosità sono stati 2.343, addirittura superiori nel numero rispetto a quelli di metropoli come Milano (1.115) e Napoli (1.557), risultando nella media 1 ogni 360 abitanti;
   l'Agenzia territoriale per la casa (ATC) ha calcolato che nel 2012 ci sono state 7.504 famiglie che non sono riuscite a coprire il canone di affitto, o lo hanno fatto solo parzialmente e quindi sono da considerare come «morosi incolpevoli». Di queste almeno 2.570 rischiano lo sfratto entro la fine del 2013 in quanto non sono riuscite ad adeguarsi alle nuove regole varate dalla regione Piemonte in materia di morosità incolpevole; alla data dell'11 Febbraio 2013, risultano già 300 sfratti;
   nell'area torinese esistono numerose strutture militari abbandonate o sottoutilizzate;
   tra queste, l'ex ospedale Riberi, sito in corso IV Novembre, 66. La struttura, costruita nei primi anni del 900, è stata successivamente riadattata nel 2004 dopo il passaggio da esercito di leva a esercito professionale in modo da dedicarne una parte a scopo abitativo. Nel 2006, in occasione delle Olimpiadi invernali, è stata effettuata una ristrutturazione della maggior parte delle palazzine presenti allo scopo di allestire un media center e di garantire ospitalità ai giornalisti presenti per l'evento sportivo. Al termine delle Olimpiadi invernali, la struttura è rientrata nel pieno possesso dell'esercito. Da una visita compiuta all'interno della struttura, nonostante venga dichiarata totalmente occupata nella sua potenzialità ricettiva, appare ampiamente sottoutilizzata;
   la caserma La Marmora, sita in via Asti, risulta per quanto abbandonata ancora in buono stato. Dal settembre 2009 all'agosto 2010 la caserma è stata utilizzata per fare fronte all'emergenza dei profughi provenienti dal Corno d'Africa. Analogamente al «Riberi» anche questa struttura è stata oggetto di ispezione, dalla quale risulta che almeno una quarantina di ambienti potrebbero essere facilmente e prontamente utilizzabili. Tale disponibilità di spazi si tradurrebbe nell'ospitabilità di un numero superiore alle 150 persone –:
   segnatamente all'ex ospedale Riberi quanti siano nel dettaglio gli spazi destinati alla recezione, sia nella parte destinata al personale militare che nella struttura destinata a «foresteria»;
   quanti di questi spazi siano occupati e se esista una graduatoria lista d'attesa per la fruizione degli spazi;
   quali siano i costi mensili richiesti a parziale copertura delle spese richiesti agli assegnatari degli spazi;
   se, vista la grave situazione di emergenza abitativa, in riferimento alle strutture di cui in premessa non intenda renderle disponibili in tutto o in parte per fare fronte a questa drammatica situazione e, in tal casa, se intenda estendere la suddetta procedura anche ad altre strutture similmente inutilizzate o sottoutilizzate. (4-00986)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 giugno 2013 il direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera, nell'ambito di un'intervista rilasciata ad un importante quotidiano nazionale, ha indicato nell'ingentissima somma di 545 miliardi di euro l'ammontare di crediti vantati dallo Stato ancora da riscuotere;
   si tratta, evidentemente, di una dichiarazione che deve essere attentamente valutata, in particolare fornendo al Parlamento maggiori e più precisi riscontri rispetto alla composizione ed all'effettiva egibilità di una somma tanto rilevante –:
   quale sia l'effettiva composizione di tale cifra, distinta per anno e per singola voce;
   quanta parte di tale somma riguardi debiti di imprese e/o di soggetti già dichiarati falliti o, comunque, che si trovino in condizioni economiche di particolare difficoltà;
   tenuto conto anche del fatto che l'effettiva riscossione dei crediti erariali è condizionata da particolari condizioni, quale sia il decorso dei termini di prescrizione e/o decadenza e quanta parte della predetta somma complessiva sia da considerare, a termini di legge, ancora effettivamente esigibile da parte dello Stato. (5-00425)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 27 maggio 2011 l'Agenzia delle entrate ha bandito un concorso per l'assunzione a tempo indeterminato di 220 unità per là seconda area funzionale, fascia retributiva F1, profilo assistente, destinate ai centri operativi e ai centri di assistenza multicanale;
   al concorso hanno partecipato circa 28.000 candidati;
   da tale concorso sono stati assunti in via diretta i primi 240 candidati e, successivamente, ulteriori 12 unità per scorrimento;
   la graduatoria finale di merito è attualmente composta da 188 idonei ed ha una validità di legge di 36 mesi, con decorrenza dal settembre 2012;
   nello stesso mese di settembre 2012 si è costituito un Comitato spontaneo di idonei non vincitori, denominata «Comitato INV220A», formato dai concorrenti risultati idonei non vincitori al predetto concorso;
   tale comitato ha l'obiettivo di tutelare l'interesse legittimo degli idonei, favorendo l'esaurimento totale della graduatoria;
   l'Agenzia delle entrate è un ente che, in concorso con la guardia di finanza e l'Agenzia delle dogane, persegue in prima linea una fondamentale azione di contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale, recuperando ogni anno rilevanti risorse per l'erario;
   in funzione della finalità di potenziamento dell'azione di contrasto dell'evasione fiscale ed in ottemperanza ai princìpi di buon andamento ed economicità della pubblica amministrazione (principi ai quali fa, peraltro, esplicito riferimento il decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 articolo 1 comma 4-bis, convertito con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012) le agenzie fiscali, prima di reclutare nuovo personale, dovrebbero dunque attingere dalle graduatorie regionali dei candidati, fino alla loro completa utilizzazione;
   risulta all'interrogante che l'Agenzia delle entrate abbia carenze di personale, soprattutto nell'ambito degli uffici territoriali, ove è particolarmente importante mantenere un'efficiente operatività in relazione allo svolgimento delle pratiche amministrativo-tributarie a servizio del cittadino contribuente;
   l'adozione di misure volte a promuovere l'occupazione giovanile costituisce una delle priorità dell'attività programmatica dell'attuale Governo –:
   se non valuti opportuno che il potenziamento dell'azione di accertamento, ispezione e contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale si realizzi prioritariamente attraverso l'assunzione di personale già presente nelle graduatorie di concorso, invece che attraverso il reclutamento di nuovo personale amministrativo-tributario;
   se non ritenga pertanto utile disporre l'immediato utilizzo della predetta graduatoria per avviare all'assunzione gli «idonei non vincitori» di cui in premessa, prima della scadenza della graduatoria medesima, prevista nel settembre 2015. (4-00985)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema di trasporto pubblico locale è sempre più carente e sottopone gli utenti a continui disagi. Le risorse ad esso destinate sono in continua riduzione e tutto ciò si traduce in una caduta qualitativa e quantitativa dei servizi erogati nelle regioni a statuto ordinario;
   in Emilia Romagna, in particolar modo, i tagli annunciati dal TPER/SETA andrebbero a colpire la linea Modena-Sassuolo che riveste un'importanza particolare per i territori su cui incide;
   il nuovo orario estivo della linea ferroviaria Modena-Sassuolo, in vigore dal 9 giugno 2013 e fino al mese di settembre, prevede il taglio, nei giorni feriali, delle corse che attualmente garantiscono nelle fasce orarie di punta, frequenze di 30 minuti, trasformandole a cadenza di 60 minuti;
   tali tagli delle corse sarebbero stati decisi dalle Ferrovie Emilia Romagna senza un preliminare confronto né con gli enti locali dei territori interessati, né con AMO (l'agenzia per la mobilità) e neanche con le rappresentanze degli utenti;
   la linea Modena-Sassuolo collega due importanti ospedali (Sassuolo e Boggiovaria) e viene, quindi, utilizzata più frequentemente da pazienti e parenti degli stessi, nonché dai dipendenti del Policlinico universitario, di Villa Igea e del dipartimento di sanità pubblica di Modena;
   già in passato questa linea, pur avendo grandi potenzialità, è stata oggetto di pesanti tagli a fronte di un aumento del 10 per cento del costo dei biglietti e di una qualità del servizio decisamente peggiorata;
   l'articolo 1 comma 301 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) istituisce il fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, alimentato da una quota di compartecipazione al gettito, derivante dalle accise sul gasolio per autotrazione e sulla benzina. L'aliquota di compartecipazione verrà determinata con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in misura tale che la dotazione del fondo corrisponda agli stanziamenti vigenti, con una maggiorazione di 465 milioni di euro per l'anno 2013, 443 milioni di euro per l'anno 2014 e 507 milioni di euro annui a decorrere dal 2015;
   la norma detta disposizioni per la ripartizione del fondo prevedendo l'adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per definire i criteri e le modalità con cui suddividere e trasferire le risorse;
   la legge di stabilità per il 2013 prevede, inoltre, che le regioni a statuto ordinario saranno tenute all'adozione di un piano di riprogrammazione dei servizi di trasporto pubblico locale e di trasporto ferroviario regionale –:
   quali siano le ragioni per le quali non sia ancora operativo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che individua il criterio di riparto dei finanziamenti previsti dal fondo nazionale trasporti, finanziamenti che potrebbero concorrere a migliorare l'efficienza dei servizi e in particolare a rivedere i piani di riduzione delle corse come nel caso della linea ferroviaria Modena-Sassuolo.
(4-00991)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane le rappresentanze sindacali unitarie dei vigili del fuoco di Parma, con una lettera inviata ai parlamentari eletti sul territorio, hanno espresso la loro forte preoccupazione per la chiusura, paventata nel corso di una riunione tenutasi presso la Direzione Regionale dell'Emilia-Romagna il 20 marzo 2013, dei servizi di presidio presso gli aeroporti di Forlì e Parma e per l'intenzione del dipartimento di chiudere tutti i distaccamenti misti e quelli permanenti al di sotto di una soglia predeterminata di interventi annui;
   il territorio della provincia di Parma ospita un distaccamento di tipologia mista (personale permanente e volontario o ex discontinuo richiamato per periodi di 20 giorni) nel comune di Langhirano, un distaccamento composto da solo personale permanente nel comune di Fidenza e un distaccamento con personale volontario nel comune di Borgo Val di Taro. Tali distaccamenti, insieme a quelli presenti su tutto il territorio regionale (altri otto distaccamenti di tipologia mista e quindici di tipo permanente) rappresentano un esempio di efficace presidio del territorio per tutto il Paese, anche per il significativo impegno profuso per la loro realizzazione da parte degli enti locali;
   la chiusura anche solo di alcuni di questi distaccamenti avrebbe significative ripercussioni negative su tutto il sistema di soccorso svolto in particolare nella provincia di Parma dove, al contrario, già da diverso tempo, è stata espressa l'esigenza di istituire un ulteriore distaccamento permanente nel comune di Fornovo di Taro;
   nei giorni scorsi, inoltre, la stampa locale di Parma ha raccolto la denuncia delle organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco relativa al fatto che alcune delle più importanti dotazioni strumentali del comando cittadino sarebbero da tempo fuori uso: delle undici autopompe in dotazione solo tre risulterebbero effettivamente funzionanti, l'autogru da 40 tonnellate del 2009 risulterebbe ferma da molti mesi e al suo posto sarebbe impiegata un'autoscala del 1991 da 30 tonnellate, le due autoscale in dotazione si troverebbero fuori uso a causa di importanti guasti che ne impediscono l'utilizzo per gli interventi di soccorso tanto che, sulla base di quanto riportato, per gli interventi che necessitano del suo utilizzo sarebbe necessario trasmettere la chiamata ai comandi di Reggio Emilia o Piacenza;
   le problematicità espresse, se confermate, rischiano di pregiudicare la normale ed essenziale attività di pubblica sicurezza svolta dal Corpo dei vigili del fuoco di Parma –:
   se corrisponda al vero la notizia dell'imminente chiusura del presidio dei vigili del fuoco presso l'aeroporto di Parma e se sia confermata l'intenzione del dipartimento di razionalizzare la presenza sul territorio dei distaccamenti misti;
   se il Ministro interrogato abbia valutato l'opportunità di attivare un ulteriore distaccamento permanente dei vigili del fuoco nel comune di Fornovo di Taro (Parma);
   se corrisponda al vero la situazione descritta dalle organizzazioni sindacali circa lo stato delle dotazioni strumentali a disposizione del comando di Parma e quali azioni il Ministro interrogato intenda attuare al fine di garantire la piena operatività dei vigili del fuoco di Parma anche intervenendo al fine di ottimizzare le procedure per implementare il ripristino e la manutenzione delle attrezzature danneggiate. (5-00421)

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa locali (Messaggero del Veneto) riportano la notizia secondo cui, ad oggi, la regione Friuli Venezia Giulia vanta un credito nei confronti dello Stato e di altre regioni italiane per quei cittadini che sono venuti a curarsi da altre parti d'Italia nelle strutture ospedaliere regionali ammontante a circa 70 milioni di euro;
   il credito avanzato attualmente dalla regione è il residuo di una cifra ben più sostanziosa, pari a 200 milioni, e che è stata abbattuta nel corso degli anni, sebbene alcuni enti, come Puglia, Calabria e Campania, anche in sede di Conferenza delle regioni, abbiano manifestato ferma contrarietà a saldare il proprio debito, in quanto non riconoscevano i saldi –:
   se il Ministro interrogato, in ragione della strategica importanza del Friuli Venezia Giulia a recuperare il credito vantato da tempo nei confronti delle altre regioni, non ritenga attivarsi presso le opportune sedi per sensibilizzare i diversi debitori a versare quanto dovuto entro e non oltre il 31 luglio 2013. (4-00988)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sugli organi di stampa emerge una notizia preoccupante che interessa la sezione ospedaliera di una scuola elementare e media del nosocomio leccese Vito Fazzi;
   sembrerebbe che a causa dei drastici tagli imposti dalla «riforma Gelmini» circa il personale docente «un'iniziativa encomiabile, quella della scuola in ospedale, partita a settembre scorso, ora rischia di naufragare»;
   grazie ad un progetto presentato dall'istituto comprensivo Scarambone di Lecce, scuola capofila, e dall'istituto comprensivo Diaz-Alighieri di Lecce ed approvato dall'ufficio scolastico regionale e provinciale, i bambini e i ragazzi ricoverati nei reparti di pediatria e di oncoematologia pediatrica hanno potuto per l'anno scolastico 2012-2013 continuare a studiare, accompagnati nel loro percorso formativo da tre insegnanti per la primaria, due docenti per la secondaria di primo grado e tre docenti per la secondaria di secondo grado;
   ad aprile 2013, si legge «i bambini e i ragazzi in virtù della ristrutturazione del III piano del polo Oncologico, ad opera dell'associazione – Per un sorriso in più – hanno usufruito di aule didattiche luminose, in cui dimenticare per qualche ora, la loro condizione di degenti, per ritornare ad essere solo alunni»;
   questa buona prassi, che ha una valenza formativa e psicologica importantissima per i piccoli degenti, rischia però di essere seriamente offuscata. Pare, infatti, che per il prossimo anno scolastico la «scuola in ospedale» rischi di non funzionare più secondo il programma iniziale. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha deciso una drastica riduzione di organico per la sopra citata sezione ospedaliera; dei tre insegnanti delle elementari ne rimarrà solo uno ed uno spezzone di 12 ore. Per le medie, addirittura si parla di nessun docente titolare, ma solo un inconsistente numero di ore. Sembrerebbero salve le cattedre della scuola secondaria di secondo grado, ma gli organici previsti non sono stati ancora pubblicati;
   per questi bambini e ragazzi la possibilità di poter proseguire gli studi, nonostante la degenza ospedaliera, oltre a dover essere un sacrosanto diritto; rappresenta anche uno spaccato vitale di normalità in un contesto duro, fatto di sofferenza e dolore che dovrebbe, contrariamente a quanto sta accadendo non essere ridimensionato, ma semmai incrementato –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere per evitare che l'iniziativa «scuola in ospedale» del nosocomio leccese non venga posta a repentaglio per esigenze di mero bilancio, ciò anche a fronte dell'importantissimo ausilio che la stessa fornisce ai bambini e ai ragazzi degenti non solo dal punto di vista formativo ed educativo, ma anche e soprattutto psicologico. (5-00423)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MICILLO, CANCELLERI, VILLAROSA, BATTELLI, D'UVA, RUOCCO, LUIGI GALLO, FERRARESI, D'AMBROSIO, COLONNESE, COLLETTI, MANLIO DI STEFANO, SILVIA GIORDANO, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE, BARONI, CASTELLI, TOFALO, BALDASSARRE, FICO, CASO, CURRÒ e SARTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Selex Electronic Systems – Selex ES spa è una società italiana che opera nel settore dell'elettronica per la difesa e la sicurezza; è parte del gruppo Finmeccanica;
   nata ufficialmente come «Finmeccanica Consulting S.r.l», nel dicembre 2011 la società si trasforma in Selex ES S.p.A. ricevendo tutte le attività svolte dal Gruppo Finmeccanica nel settore elettronica per la difesa e sicurezza;
   operativa dal 1° gennaio 2013 ha incorporato Selex Galileo, Selex Elsag;
   Selex ES ha circa 17.900 dipendenti, 64 sedi di cui 48 in Italia, un portafoglio di 550 prodotti;
   è così suddivisa:
    a) Divisione Air and Space Systems: sensori aeroportati, velivoli senza pilota, sistemi di guerra elettronica, sistemi integrati di missione, sistemi di simulazione, aerobersagli, sensori stellari, paylaods ed equipaggiamenti;
    b) Divisione Land and Naval Systems: settore elettro ottico, architettura di sistemi complessi, sistemi tattici integrati, sistemi navali da combattimento, radar navali e terrestri, le reti di comunicazioni militari;
    c) divisione Security and Smart Systems: architetture di sistemi per la protezione del territorio e delle infrastrutture critiche, gestione di dati e persone, sistemi di comunicazione, Information technology, sistemi aeroportuali e di controllo del traffico marittimo;
   la «Selex ES» ha 26 stabilimenti in Italia, tra questi Giugliano e Bacoli in provincia di Napoli, territori già fortemente esposti ai livelli di disoccupazione in crescita esponenziale;
   in data 12 aprile 2013 al sito www.ifattidinapoli.it si leggeva che: «Dopo la fusione Selex ES, Galileo, Sistemi informatici e Elsag, ora arriva la ristrutturazione che manda a casa e in cassa integrazione 1.900 persone solo in Italia, 2.500 compresa la Gran Bretagna su un totale di 17 mila persone. L'azienda che fa sistemi militari e civili ad alta tecnologia ha la sede centrale a Genova e 24 sedi in tutta Italia. Al momento non si sa come verranno distribuiti sul territorio le 800 circa cig, 120 prepensionamenti e allontanamenti di dirigenti e i licenziamenti di centinaia di persone. A Napoli Selex ES è a Giugliano e a Bacoli al Fusaro. E da questa mattina anche i lavoratori dei due stabilimenti della provincia di Napoli hanno proclamato lo sciopero contro il piano esuberi previsto da Finmeccanica, redatto il 5 aprile 2013»;
   in data 6 giugno 2013 il quotidiano on line repubblica.it dà la seguente notizia: «Nel corso di un incontro tenutosi a Roma, presso la sede dell'Unione industriali, la Selex Electronic Systems ha presentato ai sindacati dei metalmeccanici un piano di riorganizzazione che prevede la chiusura di 22 siti, due anni di cassa integrazione a zero ore per 1822 dipendenti e 4 ore di cassa integrazione settimanali per altri 10mila lavoratori. La notizia è stata data dal coordinamento nazionale Fiom Finmeccanica che attraverso il coordinatore Massimo Masat ha definito il piano «inaccettabile»: «La Fiom non considera questo piano come una base di discussione e ha chiesto a Selex ES di ritirarlo – ha detto Masat –. Per noi occorre invece utilizzare strumenti come i contratti di solidarietà che consentano di ripartire la riduzione di orario su un numero certo più ampio di lavoratori, ma in termini meno devastanti, e di ridurre il numero dei siti di cui sia prevista la chiusura integrale»;
   secondo la Fiom Finmeccanica, il piano è inaccettabile «proprio perché divide l'azienda in due: da una parte i lavoratori che dovrebbero stare per due anni a casa a zero ore, dall'altra quelli che dovrebbero fronteggiare una messa in Cig per 4 ore settimanali»;
   in data 17 giugno 2013 il sito d'informazione corriere.it informa di un «piano di ristrutturazione di Selex ES che prevede di mettere in cassa integrazione a zero ore oltre 1.800 dipendenti» e che esso «sia l'unica strada per dare un futuro» alla società e «sia anche il piano meno invasivo» che potesse essere messo in campo «sulla forza lavoro»;
   a parlare nel menzionato articolo è stato l'amministratore delegato della controllante Finmeccanica, Alessandro Pansa, che, così ha risposto a chi gli chiedeva se fosse preoccupato della crescente tensione legata al piano della nuova società dell'Elettronica per la difesa –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del piano di ristrutturazione elaborato dalla «Selex Es» con esuberi e chiusure di impianti e, in particolare di quali informazioni dispongano sulla localizzazione precisa degli stabilimenti da chiudersi;
   quali misure intendano assumere, per quanto di competenza, rientrando la stessa impresa nel gruppo Finmeccanica e se non intendano farsi promotori di un immediato tavolo di lavoro avente come partecipanti vertici di «Selex Es», lavoratori, Ministeri competenti e sigle sindacali, onde scongiurare l'aumento di disoccupati nel Paese già gravato dalla perdita di milioni di posti di lavoro. (4-00990)

PARI OPPORTUNITÀ, SPORT E POLITICHE GIOVANILI

Interrogazione a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Novara, società calcistica militante in serie B, ha dichiarato la propria intenzione di acquistare per la prossima stagione il calciatore di origine greca Georgos Katidis;
   tale giocatore per espressioni filo-naziste negli anni scorsi è stato espulso dalle squadre nazionale del suo Paese;
   da parte della società calcistica si è teso a minimizzare la vicenda dopo le prime proteste in particolare della comunità ebraica;
   il calcio, e lo sport in genere, dovrebbero essere portatori di valori sani ed esempio per i più giovani, mentre purtroppo da tempo le cronache legate agli eventi calcistici sempre più spesso trattano episodi legati al razzismo o all'apologia del fascismo –:
   se i Ministri intendano assumere iniziative, in collaborazione con la FIGC e la Lega Calcio, per promuovere i valori della tolleranza e del rispetto reciproco e per evitare che si producano effetti anche di carattere emulativo legati all'incitamento al razzismo ed all'apologia di fascismo. (4-00989)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE, PALMA e OLIVERIO. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella puntata di ieri 20 giugno del programma televisivo Servizio Pubblico più dal titolo «Una vera bufala» è stato mostrato tutto ciò che si nasconde dietro uno dei prodotti più amati dagli italiani la pregiata mozzarella di bufala DOP campana che finisce ogni giorno nei supermercati, nei ristoranti ed è esportata all'estero;
   in particolare sembrerebbe che la produzione di mozzarella di bufala DOP avvenga anche con latte congelato, non tracciabile, con il latte in polvere, che costa ancora di meno, utilizzando cagliate congelate provenienti dalla Romania, dalla Lituania, dall'Olanda e dalla Polonia;
   il procedimento fraudolento, consistente nel sostituire il latte e le cagliate fresche, è perfettamente congeniato per abbattere i costi a scapito della qualità, ingannando gli ignari consumatori ed eludendo l'intero protocollo stabilito per la mozzarella di bufala dop;
   i piccoli produttori interpellati hanno dichiarato di non si sentirsi tutelati dal consorzio di tutela della mozzarella di bufala in quanto non tutela il latte prodotto dagli allevatori ma gli interessi economici dei caseifici;
   durante la trasmissione il colonnello dei carabinieri Paolo Mantile ha dichiarato che presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è stato depositato un dossier di denuncia sulle pratiche del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala dop, e che, dalle verifiche effettuate, le irregolarità riscontrate sono risultate pari all'80 per cento degli allevamenti, mentre per quanto riguarda i caseifici, muniti di centro di stoccaggio di latte congelato, le irregolarità sono risultate il 100 per cento: su 31 caseifici muniti di impianto di congelamento e di stoccaggio di latte, tutti sono risultati fuori legge, comportando 21 sequestri di natura amministrativa e dieci di natura penale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei gravi fatti esposti in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito al dossier consegnato al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nel quale si denunciano le pratiche illecite del consorzio della mozzarella di bufala dop;
   se non ritenga urgente predisporre le necessarie e opportune verifiche al fine di accertare il rispetto del disciplinare di produzione e del corretto funzionamento dei soggetti preposti ai controlli di garanzia;
   quali iniziative urgenti intenda adottare per fronteggiare una situazione che crea allarme su un prodotto di pregio del made in Italy come la mozzarella di bufala, già recentemente danneggiata dalla vicenda «brucellosi». (5-00424)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZACCAGNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, LUPO, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il metodo di produzione biologica, secondo le norme comunitarie e nazionali, ha il suo fondamento sia nella salvaguardia del territorio dagli eccessi dell'agricoltura intensiva sia nella tutela della salute del consumatore;
   negli ultimi mesi in Italia sono state avviate una serie di indagini rilevanti su prodotti falsamente biologici con sequestri di enorme rilievo da parte della polizia giudiziaria che agiva su delega di più di una procura della Repubblica;
   si è appreso dai quotidiani del 7 giugno 2013 che nell'operazione «Green war» condotta dalla guardia di finanza di Pesaro e dall'ispettorato repressione frodi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, si è scoperta una grave frode alimentare con sequestro, in diverse aziende bio di Cremona, Brescia e Pesaro, inerente ottocento tonnellate di semi di soia provenienti, sembra, dall'India e 340 tonnellate di panello/olio di colza turchi;
   i prodotti in questione sequestrati erano contaminati da un pesticida dai profili di importante tossicità, il «clormequat»; la presenza del pesticida in oggetto è molto dannosa per la salute e rende la merce invendibile sia come biologica sia come convenzionale;
   non è stato possibile riscontrare il passaggio di frontiera da cui sono passati in Italia detti prodotti contaminati;
   gli italiani sono tra i più importanti consumatori di prodotti biologici in Europa;
   il prodotto biologico italiano ha un suo livello di notevole apprezzamento anche all'estero, cosa che contribuisce positivamente sia all'immagine del made in Italy che al fatturato di provenienza dal settore primario per il nostro export;
   l'evenienza di scandali nella filiera biologica nel nostro paese nuoce certamente all'immagine del prodotto biologico italiano, che va tutelato e salvaguardato;
   il problema dei prodotti extra Unione europea contaminati da pesticidi vietati in Europa era già stato messo in evidenza dall'atto 4-00218, a cui il Ministro interrogato non ha ancora dato risposta –:
   se in base a quanto esposto in premessa non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, intensificare i controlli e la vigilanza sui prodotti biologici in generale e in particolare su quelli provenienti da Paesi extra Unione europea, anche in relazione ai passaggi di frontiera e doganali;
   se non sia il caso di promuovere, con il coordinamento delle regioni, la definizione di nuove norme sulle attività di certificazione e di controllo nella filiera del biologico nel nostro Paese. (4-00987)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00017, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Valeria Valente, Bruno Bossio.

  La mozione Scuvera e altri n. 1-00108, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Rosato, Antezza, Fontanelli.

Apposizione di una firma ad una interrogazione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Garavini ed altri n. 5-00374, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Tullo, e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Garavini, Tullo, Benamati, Gianni Farina, Fedi, La Marca e Porta».

Pubblicazione di un testo riformulato e modifica dell'ordine dei firmatari.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Speranza n. 1-00017, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 9 del 16 aprile 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    la tutela e la sicurezza del territorio italiano, unitamente alla tutela delle acque, rappresentano un interesse prioritario della collettività; il suolo è una risorsa ambientale non riproducibile, la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio;
    la fragilità del territorio italiano è documentata e sempre più evidente: i dati forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sul finire della XVI legislatura, classificano circa il 10 per cento del territorio nazionale ad elevata criticità idrogeologica, ossia a rischio di alluvioni, frane e valanghe; i due terzi delle aree esposte a rischio riguardano i centri urbani, le infrastrutture e le aree produttive; più in generale e con diversa intensità, il rischio di frane e alluvioni riguarda tutto il territorio nazionale: l'89 per cento dei comuni è soggetto a rischio idrogeologico e 5,8 milioni di italiani vivono sotto tale minaccia;
    alla particolare conformazione geologica del territorio italiano, alla fragile e mutevole natura dei suoli che lo compongono ed all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme non è stata contrapposta una tutela specifica dalla forte pressione antropica che si registra nel nostro Paese: l'Italia è, infatti, un Paese fortemente antropizzato, con una densità media pari a 189 abitanti per chilometro quadrato, assai superiore alla media dell'Europa, pari a 118 abitanti per chilometro quadrato, e con fortissime sperequazioni nella distribuzione territoriale;
    secondo i dati Istat, il trend del consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi impressionanti, pari a 244.000 ettari all'anno di suolo divorato da cemento ed asfalto; si è assistito, negli ultimi decenni, ad una crescita continua dell'urbanizzazione, al diffondersi di una cementificazione spesso incontrollata, all'artificializzazione di corsi d'acqua minori, di fiumare e di canali e alla sottrazione di aree libere, agricole e boschive, quali presidi per la tenuta del territorio italiano, di cui si paga un prezzo altissimo ogni qualvolta, sul nostro Paese, si abbattono piogge particolarmente intense;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale, da parte degli stessi enti preposti alla gestione del territorio, ed il ricorso improprio agli oneri di urbanizzazione, quale fonte prioritaria di finanziamento per i bilanci comunali, hanno spesso privato il «bene suolo» del suo valore pubblico, riducendolo ad un mero serbatoio da cui attingere risorse;
    la pratica dell'abusivismo ha minato la creazione di una cultura diffusa in materia di sicurezza del territorio, di rispetto delle regole e di salvaguardia del suolo come risorsa per le generazioni future;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale, unita a una cementificazione incontrollata, ha prodotto una rilevante perdita di terreni per la produzione agricola, che, insieme alla desertificazione e all'improduttività dei suoli, sono fattori di rischio per gli equilibri ambientali;
    gli eventi alluvionali che hanno colpito anche in queste ultime settimane i territori dell'Emilia-Romagna e della Liguria, e ripetutamente nei mesi passati anche la Toscana, le Marche, il Veneto, la Campania e la Sicilia, dimostrano quanto il problema del dissesto idrogeologico non sia più catalogabile nella logica dell'emergenza, per la frequenza degli eventi e per la gravità delle ricadute prodotte sui sistemi territoriali coinvolti;
    ciò nonostante, nella gestione delle risorse pubbliche per la tutela dell'ambiente si evidenzia un deficit di pianificazione e programmazione con una spesa improduttiva e molte volte dirottata su altre finalità; uno studio dell'Associazione artigiani e piccole imprese Mestre (Cgia) ha indicato che solo l'1,1 per cento delle imposte «ecologiche» sull'energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, pagate dai cittadini allo Stato e agli enti locali, è destinato alla protezione dell'ambiente; il 98,9 per cento va a coprire altre voci di spesa;
    più in generale, occorre sottolineare come la politica di tutela del territorio continua a destinare la gran parte delle risorse disponibili, che restano comunque scarse, all'emergenza, anziché ad un'effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, che è l'unico modo per prevenire danni economici e perdite di vite umane inaccettabili; ad esempio, a fronte di un finanziamento di cui alla legge n. 183 del 1989 per la difesa «strutturale» del suolo, pari a soli 2 miliardi di euro negli ultimi 20 anni, sono stati spesi ben 213 miliardi di euro per arginare le mille emergenze che si sono verificate: 161 miliardi di euro per coprire i danni provocati dai terremoti e 52 miliardi di euro per riparare i disastri derivanti dal dissesto idrogeologico. Tra il 1999 ed il 2008, inoltre, sono stati spesi 58 miliardi di euro per la difesa del suolo, la riduzione dell'inquinamento e l'assetto idrogeologico, ma di questi oltre il 50 per cento è stato assorbito dalle spese di parte corrente e solo 26 miliardi di euro sono stati destinati ad investimenti per la prevenzione dei rischi;
    gli stanziamenti ordinari riguardanti la difesa del suolo e il rischio idrogeologico, iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni, indicano pesanti riduzioni di risorse, facendo venir meno la certezza di poter disporre delle risorse necessarie a favore di politiche di prevenzione, che hanno bisogno di continuità per poter essere efficaci, e registrando, nei fatti, uno spostamento delle modalità di finanziamento che privilegia una gestione straordinaria, mediante strumenti che non sempre hanno prodotto risultati soddisfacenti;
    il piano straordinario per la prevenzione del rischio idrogeologico, previsto dalla legge finanziaria per il 2010, che aveva assegnato per interventi straordinari al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fondi per 1 miliardo di euro a valere sulle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate e diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, non ha mai prodotto i risultati attesi, anche a causa del mancato e tempestivo trasferimento di risorse;
    la situazione determinatasi per effetto della mancata attuazione del piano straordinario contro il dissesto idrogeologico è risultata talmente grave da «costringere» il Governo Monti ad adottare tre apposite delibere del Cipe: la prima (n. 8 del 2012) allo scopo di individuare fra gli interventi di rilevanza strategica regionale quelli per la mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma già sottoscritti fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni del Mezzogiorno, con conseguente assegnazione di complessivi 680 milioni di euro; la seconda delibera (n. 6 del 2012) per lo stanziamento di 130 milioni di euro, anch'essi per interventi diretti a fronteggiare i fenomeni di dissesto idrogeologico in alcune aree delle regioni del Centro-Nord; la terza delibera (n. 87 del 2012) per l'assegnazione di ulteriori 1.060 milioni di euro, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il finanziamento di interventi per la manutenzione straordinaria del territorio nelle regioni del Mezzogiorno;
    in ogni caso, comunque, ancora prima dell'individuazione di nuove risorse economiche, occorre mettere mano con decisione all'infrastrutturazione istituzionale nel campo delle politiche per la difesa del suolo. La maggiore criticità oggi riscontrabile è, infatti, dovuta al mancato completamento del riassetto della governance e da una frammentazione e sovrapposizione di competenze: soggetti e strumenti che appesantiscono, rendendolo meno efficiente, a volte paralizzandolo, il sistema di pianificazione, programmazione, gestione e monitoraggio degli interventi;
    a livello nazionale si sconta, a tutt'oggi, la mancanza di una regia unitaria delle azioni di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica; l'adeguamento alle normative comunitarie – direttiva quadro n. 2000/60/CE sulle acque – avrebbe necessariamente richiesto la definizione di ruoli e competenze che sono ancora confuse tra livelli distrettuali e regionali, con l'effetto di non rendere riconoscibile la catena delle responsabilità; l'attuale revisione dei livelli istituzionali e la diversa attribuzione di funzioni in materia di pianificazione territoriale di scala vasta e di tutela delle risorse ambientali rischiano, peraltro, di creare nuove criticità;
    il sistema di gestione proposto per la difesa del suolo, la tutela delle acque e i servizi idrici è di tipo spiccatamente centralistico, incapace di coordinare sinergicamente competenze, ruoli, responsabilità e poteri decisionali delle istituzioni interessate e di armonizzare contenuti, modalità di approvazione, attuazione ed aggiornamento dei diversi strumenti di pianificazione; l'istituzione delle otto autorità di bacino distrettuali, non ancora operative, alle quali viene attribuita la potestà pianificatoria, trova limiti nella stessa delimitazione territoriale dei distretti approvata, nella loro architettura istituzionale, e dovuta ad un eccessivo peso ministeriale e a un conflitto latente con il sistema delle regioni, deleterio per gli organismi che dovrebbero fondarsi sul principio cooperativo tra Stato e regioni a fronte di competenze concorrenti in materia territoriale, e nella stessa operatività economica di tali organismi, a causa delle crescenti difficoltà finanziarie del settore pubblico;
    i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, da predisporre per il raggiungimento degli obiettivi della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE entro il termine di nove anni dalla sua emanazione, sono stati adottati dai comitati istituzionali delle autorità di bacino, ma sono tuttora in attesa di definitiva approvazione da parte del Consiglio dei ministri (ad oggi il Governo ha approvato solo tre schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recanti approvazione di piani di gestione distrettuali), con il risultato di aver prodotto fin qui solo effetti limitativi per i territori interessati, senza avere, invece, dispiegato le azioni positive in essi previste;
    a livello comunitario, oltre alla direttiva quadro sulle acque n. 2000/60/CE, solo parzialmente attuata con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto codice ambientale), altri importanti atti legislativi comunitari in materia di gestione delle acque e di difesa del suolo sono stati parzialmente assunti e recepiti dal nostro Paese, tra cui la direttiva sulle alluvioni n. 2007/60/CE, recepita con il decreto legislativo n. 49 del 2010, che, però, mal si integra con il citato codice ambientale;
    tratto fondante del progetto comunitario, cui dovrebbe ispirarsi l'azione del nostro Paese in materia di difesa del suolo, è il perseguimento di un'azione programmatica non limitata al semplice bilanciamento delle esigenze di sicurezza, di quelle ecologiche ed economiche, ma finalizzata all'obiettivo di un cambiamento del modello di sviluppo, attraverso scelte di destinazione ed uso del territorio. Punti caratterizzanti di tale programma sono la ricostruzione ecologica dei corsi d'acqua, lo sfruttamento dei processi di qualificazione dell'agricoltura come cura e presidio del territorio, l'introduzione dell'analisi economica nei processi decisionali, al fine di realizzare gli interventi che portano maggior beneficio alla collettività piuttosto che favorire la redditività immediata del singolo, l'assunzione, nel quadro degli scenari di cambiamento, anche dei cambiamenti climatici, la promozione di politiche di adattamento piuttosto che il ricorso ad interventi strutturali, la valorizzazione di pratiche di tipo «negoziale-dialogico» e di partecipazione e coinvolgimento del pubblico nella ricerca di scelte condivise;
    la maggior parte degli interventi finalizzati alla difesa del suolo, realizzati in Italia, sono interventi strutturali di difesa passiva, nonostante sia ormai dimostrato che il binomio «dissesto-intervento di difesa del dissesto» può dar luogo a soluzioni localmente soddisfacenti, ma se applicato diffusamente può provocare effetti negativi, non solo perché spesso il rapporto costo/efficacia è sfavorevole, ma anche perché la realizzazione di un intervento a monte può aggravare i pericoli a valle. Al contrario, occorre puntare sulle attività di carattere preventivo, che pongano l'enfasi sul valore delle regole di uso del suolo, sul monitoraggio delle situazioni di rischio e sul grado di conoscenza e consapevolezza delle popolazioni in ordine al livello di esposizione al rischio di un territorio;
    anche la gestione delle sempre più frequenti emergenze dovute al dissesto idrogeologico, in capo nel nostro Paese ad un sistema di protezione civile tra i più qualificati al mondo, ha dovuto misurarsi negli ultimi anni con crescenti difficoltà, accentuate dall'incertezza del sistema normativo di riferimento anche a seguito dell'intervento abrogativo della Corte costituzionale con sentenza n. 22 del 2012; la conseguente adozione, da parte del Governo Monti, delle misure del decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012, in materia di protezione civile, non hanno però fugato tutti i dubbi degli amministratori locali in ordine al fatto che, in caso di calamità naturali, gli eventuali interventi di protezione civile messi in atto da organismi statali, in particolare quelli approntati dalle Forze armate, non siano posti a carico degli enti territoriali rappresentanti delle popolazioni colpite dalle medesime calamità naturali;
    in Italia, il mercato assicurativo offre la garanzia per rischi da catastrofi naturali come estensione della garanzia base incendio, ma tale offerta è più diffusa nelle polizze alle imprese e più rara per i privati; occorrerebbe promuovere la diffusione di una moderna cultura che tenga conto del rischio da catastrofi naturali e dei suoi drammatici effetti e costi umani, sociali ed economici, e in tale ottica è da ritenere indispensabile un incisivo intervento dello Stato che affianchi e renda più conveniente e sostenibile per i cittadini i costi di un sistema di copertura assicurativa volontaria degli edifici; andrebbero, pertanto, incoraggiate forme di trasferimento dei rischi catastrofali sul modello di quanto accade in altri Paesi, come la Francia, dove vige un regime assicurativo semiobbligatorio che vede lo Stato nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza;
    è quanto mai necessario richiamare ad un nuovo e più incisivo impegno il Parlamento e il Governo, anche alla luce dei deludenti risultati registrati in questi anni e della necessità di individuare soluzioni tempestive ed avanzate per fronteggiare il ripetersi di episodi calamitosi ed emergenziali, sempre più gravi e difficilmente risolvibili esclusivamente con interventi ex post e sempre più costosi e sostanzialmente inefficaci;
    un piano strutturale di messa in sicurezza e di manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua, finalizzato alla riduzione del rischio idrogeologico, rappresenta uno straordinario strumento di rilancio economico e di creazione di occupazione, a partire dalla riattivazione degli investimenti immediatamente cantierabili da parte degli enti locali e, quindi, da una revisione delle regole del patto di stabilità interno che, oggi, impediscono la realizzazione di interventi fondamentali sul fronte della prevenzione,

impegna il Governo:

   a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, salvaguardando la centralità della pianificazione territoriale integrata di scala vasta anche nelle scelte in itinere di ridefinizione dei livelli istituzionali esistenti, privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del rischio idrogeologico;
   a prevedere, di concerto con i soggetti istituzionali territorialmente preposti, attivazione di un fondo nazionale per la difesa del suolo e la riduzione del rischio idrogeologico finalizzato alla realizzazione di un piano organico, con obiettivi a breve e medio termine per la messa in sicurezza del territorio, che possa consentire agli enti competenti di aggiornare i propri documenti di progettazione e renderli finanziabili nell'ambito delle politiche di coesione per il ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020;
   ad adottare politiche che, contrastando il fenomeno dell'abbandono dei terreni, del disboscamento e, quindi, dell'improduttività del terreno stesso, riconoscano il valore strategico dell'agricoltura come presidio del territorio;
   a dare piena attuazione, nell'ambito della propria competenza, ai principi e ai contenuti delle direttive europee in materia di gestione delle risorse idriche e delle alluvioni, assumendo le opportune iniziative di natura amministrativa e normativa che possano portare ad una significativa riorganizzazione del sistema di responsabilità e competenze, che elimini sovrapposizioni ed incongruenze del quadro esistente, puntando ad una maggiore cooperazione tra i livelli amministrativi ed il sistema delle competenze tecniche esterne, ad un effettivo coordinamento tra politiche settoriali e territoriali, nonché ad una reale attuazione dei requisiti di partecipazione pubblica attiva e di informazione/educazione al rischio, anche mediante la valorizzazione di esperienze virtuose di programmazione negoziata territoriale, come i contratti di fiume;
   ad adottare iniziative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, al fine di rendere finalmente operative le autorità di bacino distrettuali, secondo una governance che tenga conto delle esigenze di riequilibrio istituzionale sostenute dalle regioni, di una delimitazione più funzionale dei distretti e di un sistema di governo in grado di riconoscere e valorizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze delle strutture tecniche di bacino esistenti a livello regionale e locale, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
   ad assumere iniziative volte a promuovere, nell'ambito della revisione delle regole del patto di stabilità interno, un piano straordinario di manutenzione diffusa del territorio e dei corsi d'acqua, che coinvolga il sistema delle autonomie locali e che rechi forme di incentivazione della partecipazione attiva della popolazione, anche mediante la sperimentazione di progetti che coinvolgano lavoratori temporaneamente beneficiari di ammortizzatori sociali;
   a promuovere, per quanto di propria competenza, le opportune modifiche normative che garantiscano la possibilità del sistema della protezione civile di operare in modo tempestivo ed efficace nel campo del contrasto ai danni provocati dal dissesto idrogeologico, anche mediante la revisione delle criticità eventualmente riscontrate in sede di applicazione della nuova normativa prevista dal decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre forme di assicurazione da rischi naturali che vedano, comunque, il coinvolgimento obbligatorio dello Stato anche solo nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza.
(1-00017)
(Nuova formulazione) «Speranza, Brunetta, Braga, Mariani, Latronico, Borghi, Sarro, Realacci, Cenni, Zardini, Dallai, Dorina Bianchi, Arlotti, Taranto, Tino Iannuzzi, Alli, Rampi, Oliverio, Fiano, Gadda, Pili, Pastorino, Grassi, Lenzi, Velo, Bratti, Castiello, Vella, Rosato, Tidei, Garavini, Carrescia, D'Incecco, Lodolini, Manfredi, Magorno, Quartapelle Procopio, Cinzia Maria Fontana, Tullo, Cardinale, Maestri, Manzi, Marzano, Marantelli, Moretto, Distaso, Ghizzoni, Giulietti, Gregori, Patriarca, Cimbro, Sereni, Crivellari, Laforgia, Mazzoli, Leonori, Tentori, Giovanna Sanna, Cominelli, Narduolo, Amoddio, Fabbri, Verini, Fregolent, Martella, Rigoni, Giacobbe, Sani, Fontanelli, Rossomando, Guerra, Senaldi, Lorenzo Guerini, Giuseppe Guerini, Morassut, Rotta, Mariastella Bianchi, Lattuca, Basso, Marco Meloni, Marchi, Ferrari, Scuvera, Sbrollini, Rubinato, Valiante, Antezza, Valeria Valente, Bruno Bossio».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Latronico n. 1-00116 del 24 giugno 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Lupo n. 4-00765 dell'11 giugno 2013;
   interrogazione a risposta scritta Franco Bordo n. 4-00980 del 21 giugno 2013.