Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 21 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del dissesto idrogeologico rappresenta un problema estremamente diffuso nel nostro Paese che risulta, infatti, soggetto a rapidi e periodici processi che ne alterano il territorio e producono conseguenze spesso devastanti; molto spesso si tratta di fenomeni connessi al defluire delle acque libere in superficie e nel sottosuolo che causano l'alterazione dello stato di stabilità dei terreni e dei pendii e/o l'esondazione dei corsi d'acqua per rilevanti e repentini aumenti di portata. Questi fenomeni si manifestano sotto forma di erosioni, frane o alluvioni dovuti a cause strutturali o occasionali. Gli effetti del dissesto incidono sia sulla perdita di vite umane e provocano evidenti alterazioni ambientali e dei territori che si ripercuotono su tutte le attività dell'uomo, con rilevanti danni per le comunità colpite;
    il rischio idrogeologico nel nostro Paese è in gran parte imputabile all'azione dell'uomo nella trasformazione ed edificazione dei territori. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l'abbandono dei terreni montani, l'edificazione in aree a rischio, il disboscamento e la mancata o carente manutenzione dei corsi d'acqua e dei versanti e/o pendii a rischio di instabilità hanno sicuramente aggravato la situazione e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano, aumentandone l'esposizione ai rischi di dissesto idrogeologico;
    i pericoli per la popolazione italiana sono evidenti se si osserva l'andamento dei fenomeni di dissesto verificatisi negli ultimi cinquanta anni. L'analisi del documento di studio in materia prodotto da Ance e da Cresme evidenzia un progressivo aumento del rischio per la popolazione dovuto all'espansione urbana, che ha interessato tutta l'Italia in maniera rilevante a partire dal dopoguerra e che ha determinato l'antropizzazione anche dei territori più fragili dal punto di vista idrogeologico. Negli anni il mutato stile di vita della popolazione ha determinato un progressivo allontanamento dalle aree interne a favore dei centri urbani e l'abbandono della funzione di manutenzione e presidio territoriale, che da sempre assicurava un equilibrio del territorio. I versanti boschivi, gli alvei fluviali e i territori agricoli abbandonati hanno lasciato posto a frane e inondazioni;
    la dimensione del problema appare evidente solo se si pensa che, a partire dall'inizio del secolo, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati oltre 4.000 e hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma, soprattutto, hanno provocato circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila;
    sulla base dei dati raccolti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il progetto Avi, tra il 1985 e il 2001 si sono verificati in Italia circa 15.000 eventi di dissesto (gravi e/o lievi), di cui 13.500 frane e 1.500 piene. Alcuni di questi hanno avuto ripercussioni sulla popolazione, provocando vittime o danneggiando i centri abitati. Dei 15.000 eventi, 120 hanno provocato vittime, 95 frane e 25 alluvioni e hanno causato circa 970 morti;
    successivamente al 2002 il progetto Avi è stato interrotto. Il Cresme e l'Ance, sulla base di un lavoro di raccolta dati, sono riusciti a ricostruire l'andamento degli eventi di dissesto nel periodo recente, dimostrando come il territorio italiano sia caratterizzato da un forte rischio naturale;
    secondo i predetti dati, le aree a elevato rischio sismico sono circa il 44 per cento della superficie nazionale (131 mila chilometri quadrati) e interessano il 36 per cento dei comuni (2.893) e quelle ad elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie italiana (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l'89 per cento dei comuni (6.631);
    nelle aree ad elevato rischio sismico vivono 21,8 milioni di persone (36 per cento della popolazione), per un totale di 8,6 milioni di famiglie, e si trovano circa 5,5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali;
    la popolazione residente nelle aree ad elevato rischio idrogeologico è, invece, pari a 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione), per un totale di 2,4 milioni di famiglie. In queste aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici. Tra questi, particolarmente esposti al rischio, sono i capannoni per le attività produttive, che, richiedendo ampi spazi costruttivi, spesso si trovano ai margini delle città, al confine con aree a rischio, e le aree urbane interessate da corsi d'acqua soggetti a rapide variazioni di regime idraulico;
    geograficamente, il rischio sismico maggiore riguarda le regioni della fascia appenninica e del Sud Italia. Al primo posto c’è la Campania, in cui 5,3 milioni di persone vivono nei 489 comuni a rischio sismico elevato. Seguono la Sicilia, con 4,7 milioni di persone in 356 comuni a rischio e la Calabria, dove tutti i comuni sono coinvolti, per un totale di circa 2 milioni di persone. In queste tre regioni il patrimonio edilizio è esposto a rischio sismico maggiore: Sicilia (2,5 milioni di abitazioni), Campania (2,1 milioni di abitazioni), Calabria (1,2 milioni);
    la superficie italiana ad elevata criticità idrogeologica è per il 58 per cento soggetta a fenomeni di frane (17.200 chilometri quadrati) e per il 42 per cento è a rischio alluvione (12.300 chilometri quadrati). Sommando questi due elementi di criticità, l'Emilia-Romagna è la regione che presenta un maggior livello di esposizione al rischio, con 4.316 chilometri quadrati, pari al 19,5 per cento della superficie. Seguono la Campania (19,1 per cento di aree critiche), il Molise (18,8 per cento) e la Valle d'Aosta (17,1 per cento). Su scala regionale, invece, in cinque regioni – la Valle d'Aosta, l'Umbria, il Molise, la Calabria e la Basilicata – tutti i comuni hanno una quota di superficie territoriale interessata da aree di elevata criticità idrogeologica. Su scala provinciale, invece, al primo posto c’è Napoli, dove 576 mila persone risiedono nelle aree a rischio elevato (208 mila abitazioni), al secondo posto Torino (326 mila persone e 148 mila abitazioni) e al terzo Roma (216 mila persone e quasi 96 mila abitazioni);
    la pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall'elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano. Oltre il 60 per cento degli edifici (circa 7 milioni) è stato costruito prima del 1971, quindi prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica per nuove costruzioni (1974). Di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici;
    il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all'anno. Il 75 per cento del totale, 181 miliardi di euro, riguarda i terremoti, il restante 25 per cento, 61,5 miliardi di euro, è da addebitare al dissesto idrogeologico. Solo dal 2010 a oggi si stimano costi per 20,5 miliardi (l'8 per cento del totale), considerando i 13,3 miliardi di euro quantificati per il terremoto in Emilia-Romagna;
    i dati innanzi indicati evidenziano la necessità di un piano strategico nazionale, sostenuto da una decisa azione politica, che programmi interventi finalizzati, soprattutto in via preventiva, alla tutela del territorio ed alla salvaguardia della salute e dell'incolumità dei cittadini del nostro Paese in una logica unitaria di gestione del territorio e di semplificazione tra le competenze e le responsabilità dei diversi enti preposti;
    questa necessità emerge anche dalla circostanza che gli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, finalizzati alla tutela e conservazione del territorio, sarebbero stati ridotti del 91 per cento negli ultimi 5 anni come riportato dai dati Ance-Cresme;
    i dati sulla spesa delle risorse stanziate non sono incoraggianti: più della metà degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico finanziati in base al decreto-legge n. 180 del 1998 sembrerebbe che non siano ancora stati conclusi;
    le risorse del «Piano Cipe delle opere prioritarie», destinate, tre anni fa, alla riduzione del rischio idrogeologico (circa 2 miliardi di euro, compresi i relativi cofinanziamenti regionali), risulterebbero impegnate per meno del 10 per cento;
    nel 2009 è stato varato il programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici da 1 miliardo di euro, successivamente ridotto a circa 800 milioni di euro: ad oggi, pare che sia stato impegnato meno del 10 per cento dei fondi;
    appare evidente e necessario, dunque, risolvere rapidamente il problema della programmazione ed attuazione degli interventi e dello stanziamento e della spesa effettiva delle risorse per la messa in sicurezza del territorio;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe sottolineato, recentemente, l'urgenza di un piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, il cosiddetto «piano Clini», quantificando gli investimenti necessari in 1,2 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni,

impegna il Governo:

   a considerare la manutenzione del territorio e la difesa idrogeologica una priorità per il Paese in quanto finalizzata a garantire la sicurezza dei cittadini;
   ad individuare, in tempi brevi, soluzioni efficaci, anche di tipo normativo, che possano, nell'ambito di un piano strategico nazionale di intervento finalizzato alla riduzione del rischio idrogeologico, garantire agli enti locali la possibilità di destinare risorse nei bilanci per gli investimenti necessari a garantire la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini tramite la messa in sicurezza delle scuole ed interventi di manutenzione dei territori e dei corsi d'acqua, anche prevedendo di escludere queste risorse dal patto di stabilità interno;
   a procedere in tempi rapidi all'attuazione dei lavori relativi al piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, cosiddetto «piano Clini», elaborato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, affinché sia possibile programmare interventi in una logica integrata ed unitaria di gestione e di semplificazione tra competenze e responsabilità dei vari enti preposti, investendo i previsti 1,2 miliardi di euro all'anno per 20 anni con certezza di risorse in termini di stanziamento e spesa;
   a prevedere, nell'ambito delle risorse disponibili del «piano Clini», incentivi per il rimboschimento e/o l'impianto di colture agricole in aree a rischio, quale primo presidio di difesa idrogeologica.
(1-00111) «Matarrese, Dellai, Causin, D'Agostino, Piepoli, Vargiu, Vecchio, Sottanelli, Zanetti, Rossi, Schirò Planeta, Monchiero, Rabino, Marazziti».


   La Camera,
   premesso che:
    i sempre più frequenti fenomeni alluvionali e calamitosi che colpiscono il nostro Paese, mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del territorio italiano e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, contestualmente a una sostenibile pianificazione urbanistica. A questo si aggiunge il crescente grado di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani, in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
    peraltro, gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni ’90, a 4-5 l'anno;
    secondo dati forniti del Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio per frane e alluvioni. Di questi, sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
    circa il 10 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono oltre 6.600 i comuni interessati;
    solo nell'ultimo triennio lo Stato ha stanziato circa un miliardo di euro per le emergenze causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica in tredici regioni. Per la prevenzione, invece, sono stati stanziati solo 2 miliardi di euro in 10 anni, laddove il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro;
    si continua, invece, a rincorrere le emergenze e le calamità e a contare i danni, e troppo spesso purtroppo le numerose vittime, stanziando ogni volta ingenti risorse economiche necessarie per ricostruire le aree colpite;
    vanno, comunque, segnalati i complessivi 1.870 milioni di euro assegnati dal Cipe, nell'ambito della programmazione del fondo per lo sviluppo e la coesione, con tre diverse delibere (n. 8 del 2012, n. 6 del 2012 e n. 87 del 2012) per il contrasto al rischio idrogeologico di rilevanza regionale;
    rimane il taglio costante che in questi ultimi anni c’è stato agli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la difesa del suolo, che si sono ridotti in maniera drastica e inaccettabile;
    anche le risorse complessivamente assegnate alla Protezione civile sono assolutamente insufficienti e il relativo fondo ha subito in questi ultimi anni una consistente riduzione;
    parallelamente lo stesso fondo regionale di protezione civile, che ha permesso, dal momento della sua attivazione avvenuta con l'articolo 138, comma 16, della legge n. 388 del 2000, di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio, non è stato più rifinanziato. L'ultima annualità finanziata del suddetto fondo è stata il 2008 (erogata nel corso del 2010);
    si ricorda che l'impiego delle risorse del suddetto fondo regionale, inoltre, ha permesso di fronteggiare con efficacia i numerosi eventi calamitosi di rilievo regionale verificatisi in questi ultimi anni, permettendo alle strutture nazionali della protezione civile italiana di concentrarsi sulle emergenze di grandi proporzioni;
    la legge finanziaria per il 2010 aveva destinato 1 miliardo di euro alla realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico, individuate dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il Dipartimento della protezione civile nazionale. La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate. Detti accordi di programma sono stati sottoscritti praticamente con tutte le regioni;
    le suddette risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010, sono state successivamente ridotte di 200 milioni di euro per far fronte ad eventi calamitosi;
    considerando complessivamente le risorse statali fondo per aree sottoutilizzate, quelle di bilancio del Ministero e le risorse regionali, il valore complessivo degli accordi di programma sottoscritti e registrati è pari a circa 2.155 milioni di euro;
    tuttavia, decorsi due anni dall'entrata in vigore della legge finanziaria per il 2010, il piano straordinario per il dissesto idrogeologico in molte regioni presenta notevoli difficoltà di attuazione. Detto piano, di fatto, non è praticamente mai decollato: si tratta di risorse di fatto in gran parte «virtuali». Quelle poche risorse che risultano a disposizione degli enti territoriali sono difficili da spendere a causa dei vincoli del patto di stabilità;
    è, invece, necessario che le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
    nell'audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati del 30 novembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Corrado Clini, aveva sottolineato la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata (....) ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente per la prevenzione del dissesto idrogeologico»;
    l'avvio di un piano pluriennale per la messa in sicurezza del territorio del nostro Paese non solo avrebbe una straordinaria valenza e un reale interesse pubblico, ma rappresenterebbe la vera «grande opera» strategica di cui il nostro Paese ha prioritariamente bisogno. In più, al contrario della miriade di opere infrastrutturali a cui si è data priorità, sarebbe l'unica opera pubblica diffusa su tutto il territorio nazionale, in grado di attivare da subito migliaia di cantieri con evidenti ricadute positive dal punto di vista occupazionale. L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è, infatti, distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltreché un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della «grande infrastruttura»;
    le politiche per la difesa del suolo devono riguardare gli elementi strutturali del rischio, ossia: la messa in sicurezza del territorio e la riduzione dei rischi legati agli usi impropri del territorio, compreso il fenomeno dell'abusivismo;
    sotto questo aspetto il nostro territorio è, infatti, consumato e segnato profondamente, anche «grazie» al contributo nefasto del fenomeno dell'abusivismo troppo spesso ignorato o tollerato, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, e anzi alimentato anche dalle deprecabili norme di condono edilizio approvate negli anni scorsi;
    i passati condoni edilizi hanno, infatti, contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione, anche senza avere l'autorizzazione di legge. È, invece, indispensabile sconfiggere questa cultura e riportare la necessaria trasparenza e rigore su tutti gli interventi urbanistici che trasformano il territorio e il paesaggio;
    peraltro, va evidenziato che gli interessi che sottendono spesso al comparto delle costruzioni, si sommano agli storici interessi legati ai cambi di destinazione d'uso delle aree agricole e all'edificabilità dei suoli, entrando così troppo spesso in conflitto con una seria e corretta programmazione e gestione del nostro territorio. Purtroppo, troppi piani urbanistico-territoriali hanno spesso accompagnato e assecondato questo orientamento, anche perché gli oneri di urbanizzazione vengano spesso usati per ripianare i bilanci dei comuni e questo spinge i comuni stessi a costruire per fare cassa, anche a scapito di una corretta e sostenibile gestione del territorio;
    un lavoro predisposto qualche tempo fa dal Wwf Italia con l'Università dell'Aquila fa, infatti, emergere dati che devono far riflettere: dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento e si è valutato che dal 1990 al 2005 si è stati capaci di trasformare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio e l'Abruzzo messi insieme. Fra questi ci sono 2 milioni di fertile terreno agricolo, che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade ed altro;
    la pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio sono, quindi, inevitabilmente strettamente connessi. Il governo del territorio include, infatti, l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, il contrasto al dissesto idrogeologico, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio;
    gli interventi per la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo vanno, quindi, necessariamente coordinati – se vogliono essere realmente efficaci – con le leggi urbanistiche e con i piani regolatori – soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali;
    il decreto legislativo n. 49 del 2010, recependo la direttiva 2007/60/CE, ha previsto una specifica disciplina per la gestione dei rischi alluvionali. Esso ha attribuito alle autorità di bacino distrettuali (previste dal codice ambientale) la competenza per la valutazione preliminare del rischio alluvioni, la predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio alluvioni. A dette autorità di bacino distrettuali compete l'adozione dei piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico e la predisposizione di appositi piani di gestione del rischio alluvione coordinati a livello di distretto idrografico. Dette autorità di bacino distrettuali, peraltro, non sono ancora operative;
    in questo ambito, manca comunque una regia unitaria di gestione della risorsa idrica capace di armonizzare e coordinare con efficacia le diverse competenze e i ruoli tra i vari soggetti istituzionali coinvolti e si registra una mancanza di «coordinamento» tra Stato e regioni;
    un progetto sperimentale, che, se avviato, potrebbe contribuire sensibilmente all'opera capillare di manutenzione del nostro territorio, è quello relativo alla creazione di una sorta di «corpo giovanile per la difesa del territorio», che opererebbe in ambito regionale, composto di giovani iscritti nelle liste di disoccupazione e la cui famiglia abbia un isee non superiore ad una determinata somma, da impiegare per un anno in coordinamento con il Corpo forestale dello Stato, e dopo debita formazione, per le opere di pulizia dei corsi d'acqua, dei bacini lacustri e delle rive, per il rimboschimento dei bacini idrografici e per la difesa del suolo nell'ambito di singoli bacini o sottobacini idrografici. A detti giovani verrebbe corrisposta un'indennità mensile da definire ed esente da imposte e contributi,

impegna il Governo:

   ad avviare, in raccordo con le regioni, un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale vera e prioritaria «grande opera» infrastrutturale, in grado non solamente di mettere in sicurezza il fragile territorio italiano, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
   ad assumere iniziative affinché l'utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, da parte di regioni ed enti locali, per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, che finisce per rappresentare un fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
   a individuare ulteriori risorse, nonché a sbloccare risorse già previste per la prevenzione del rischio idrogeologico, anche attraverso:
    a) la rimodulazione di delibere Cipe e di fondi esistenti;
    b) la revisione – in accordo con le regioni – delle priorità della «legge obiettivo», al fine di mettere in testa le opere di difesa de suolo, a cominciare dai piani stralcio predisposti dalle autorità di bacino per la messa in sicurezza delle aree più a rischio;
   a velocizzare i tempi medi di trasferimento delle risorse, già stanziate, a favore dei territori colpiti da calamità naturali;
   ad adottare le opportune iniziative affinché i comuni provvedano a redigere in tempi brevi dei piani attuativi minimi per la messa in sicurezza del loro territorio, individuando da subito le aree a rischio prioritario;
   ad assumere iniziative per integrare le risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il contrasto al dissesto idrogeologico;
   ad adottare iniziative per provvedere al rifinanziamento del fondo regionale di protezione civile, praticamente azzerato, e che ha finora consentito di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio;
   a prevedere, nell'ambito delle proprie competenze e in stretto coordinamento con gli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, individuando idonee forme di agevolazioni finalizzate alla loro delocalizzazione, prevedendo contestualmente il divieto assoluto di edificabilità in dette aree;
   ad adottare e sostenere opportune iniziative volte a prevedere una normativa in materia di pianificazione urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi, in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni, con particolare riferimento alla necessità di riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata, perseguendo l'obiettivo di limitare il consumo del suolo, anche attraverso il contenimento della diffusione urbana, disincentivando a tal fine nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali e favorendo il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti;
   a valutare la possibilità di avviare il progetto sperimentale di impiego di giovani, come esposto in premessa, per la manutenzione e la tutela del territorio.
(1-00112) «Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo, Kronbichler, Piazzoni».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo una stima delle Nazioni Unite il conflitto in Siria ha causato oltre 80.000 vittime e 1.600.000 rifugiati, gran parte dei quali sta riversandosi entro i confini del territorio libanese e giordano, impegnando questi ultimi Paesi a forme di assistenza non concordate;
    sarebbe quantomeno fuorviante correlare la crisi siriana solo a questioni di equilibri politici interni al Paese basate su questioni politico-religiose: in territorio mediorientale, com’è ampiamente noto, si stanno concentrando gli interessi e le attenzioni di tutte le grandi economie, unitamente a quelli dei Paesi limitrofi, consentendo all'intera area geografica di poter divenire, da qui a breve, un campo di confronto aperto a questioni di varia natura;
    questi temi, in virtù della loro polivalenza, consentono di avviare un ragionamento di più larga natura ed offrono interessanti spunti di analisi per favorire una riflessione di più ampio respiro a tutti i livelli, locale, regionale ed ovviamente internazionale, fino ad arrivare alla possibilità di concentrare le attenzioni e sensibilità sulle più antiche contrapposizioni tra oriente ed occidente, lasciando pertanto spazio ad una più approfondita ricerca su ogni possibile esito e prospettiva politica. Per lo stesso motivo anche lo sviluppo del conflitto potrebbe evolversi in molteplici direzioni e portare a conseguenze insanabili sul territorio mediorientale e sugli equilibri di potere all'interno della stessa area;
    in queste ultime settimane la crisi siriana sta ulteriormente inasprendosi, causando, quale preoccupante conseguenza, un deterioramento delle trattative diplomatiche;
    il 7 giugno 2013 le Nazioni Unite hanno lanciato un appello, impegnandosi a mettere a disposizione un fondo di 4,4 miliardi di dollari quale aiuto – il più cospicuo della storia di questo organismo – per assistere il sempre crescente numero delle vittime;
    l'Unione europea ha deciso di rinnovare per un altro anno ancora le sanzioni contro la Siria, ad eccezione però dell'embargo sulle armi che viene lasciato come decisione autonoma ai singoli stati ma che andrebbe inevitabilmente a sostenere le operazioni belliche dei rivoltosi;
    in virtù di quanto detto finora, le fonti di informazione forniscono quadri politici diversi e troppo spesso nettamente contrastanti tra loro, rendendo l'analisi dei problemi in questione – cosa già di per sé assai complessa – un autentico rebus per chiunque, pur sensibile alle problematiche in essere, non abbia modo di attingere direttamente alle fonti perché impossibilitato a presenziare alle fasi del conflitto così come delle trattative diplomatiche. Detto ciò risulterà ovvio quanto l'informazione a sostegno di Assad sia interessata a promuovere una compattezza popolare per risollevare le sorti di un governo già de facto esistente, così come, d'altro canto, i ribelli abbiano tutto l'interesse ad attenersi a fonti atte a sostenere la tesi diametralmente opposta. Va però ricordato che, indipendentemente da ciò, il popolo siriano deve rimanere sovrano su ogni decisione interna al proprio Paese;
    l'articolo 1 dello statuto delle Nazioni Unite e l'articolo 1 del patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali così come l'Atto finale di Helsinki del 1975 sanciscono che l'autodeterminazione dei popoli è un diritto universale che permette ad ogni popolazione di decidere liberamente il proprio statuto politico senza ingerenza esterna, così come l'articolo 11 della Costituzione italiana dichiara che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»;

impegna il governo:

   ad assumere un ruolo proattivo nelle trattative diplomatiche in attesa della conferenza di Ginevra II, sia a livello di politica interna europea che internazionale; ad utilizzare perciò tutti i canali diplomatici di cui dispone per evitare l'intervento militare di altri Paesi in territorio siriano e proporsi quale mediatore per una soluzione pacifica del conflitto;
   a non partecipare ad alcun tipo di intervento in territorio siriano, né militare né tantomeno in operazioni di peacekeeping ma a fornire piuttosto aiuto ed esperienza in termini diplomatici, anche attraverso la creazione di partnership con il Paese stesso;
   a promuovere una operazione di mediazione sovranazionale, affinché l'embargo economico che grava sulle spalle di una popolazione già stremata da anni di conflitto venga sollevato, favorendo un percorso attraverso cui il nostro Paese possa, presso le sedi competenti, proporre di rivedere la decisione presa in sede europea di lasciare libertà ai singoli Paesi membri sull'embargo di armi in territorio siriano, affinché la diffusione di queste ultime sia, se non proprio ridotta, almeno non incentivata da parte dei paesi dell'Unione;
   a creare le condizioni per una de-escalation di violenza nel Paese affinché possa evitarsi un allargamento del conflitto su più vasta scala, dialogando perciò con ogni attore coinvolto per promuovere un clima di più favorevole distensione politica perché possa cessare ogni violenza armata promossa da chiunque tra le parti in causa;
   a non prender parte ed anzi a dissuadere ogni tipo di ingerenza relativa alla politica interna del Paese e a lasciare altresì al popolo siriano la decisione ultima su qualsivoglia questione, favorendo perciò un percorso di pacifica partecipazione democratica, rispettando perciò la sovranità, indipendenza, unità ed integrità della Repubblica araba siriana.
(1-00113) «Grande, Tacconi, Scagliusi, Del Grosso, Pesco, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Sibilia, Spessotto, Carinelli, Colonnese, Vignaroli, Currò, Chimienti, Cariello, Caso, Vacca, Luigi Gallo, Cristian Iannuzzi, Battelli, Baroni, Dall'Osso, Di Vita, Frusone, Mucci, Alberti, Rizzo, Cancelleri, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Segoni, Sorial, Micillo, Rostellato, Cominardi, Bechis, Baldassarre, Basilio, Grillo, Benedetti, Zaccagnini, Da Villa, Prodani, Crippa, Vallascas, Della Valle, Liuzzi, Tofalo, Daga, Gagnarli, L'Abbate, Rizzetto, Turco, Agostinelli, Fico, Castelli, Businarolo, Furnari, Labriola, Mantero, Toninelli, Cozzolino, Pinna, Brugnerotto, D'Uva, Artini, Simone Valente, Di Benedetto, Cecconi, Dadone, Nesci, D'Ambrosio, Ruocco, Nuti, Corda, Ciprini, Gallinella, Fraccaro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei Paesi europei maggiormente colpiti da disastri naturali; dai dati presentati nell'Annuario dei dati ambientali 2008, pubblicato dall'Ispra, emerge che l'Italia è caratterizzata da un territorio fragile per quanto concerne il dissesto idrogeologico: circa il 10 per cento è classificato a elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe e più di 2/3 delle aree esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive. Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente se si considera che, negli ultimi 50 anni, sono stati spesi per sopperire ai danni, limitatamente ai fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro, circa il 10 per cento del territorio italiano e più dell'80 per cento dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica; mentre l'Annuario 2011 afferma che «gli eventi con conseguenze disastrose, che si registrano annualmente, dimostrano che l'azione di contrasto al dissesto idrogeologico risulta complessivamente insufficiente. Ne consegue che, oltre alla necessità di investire maggiori risorse, sembra indispensabile intervenire anche su una differente modalità di gestione del territorio»;
    l'enorme criticità del nostro Paese è stata evidenziata anche dal rapporto curato dal dipartimento della protezione civile di Legambiente «Ecosistema rischio 2011 – Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico», secondo il quale: «Frane e alluvioni comportano ogni anno un bilancio pesantissimo per il nostro Paese, sia per le perdite di vite umane che per gli ingenti danni economici. A fronte di ingenti risorse stanziate per il funzionamento della macchina dei soccorsi, per l'alloggiamento e l'assistenza agli sfollati, per supportare e risarcire le attività produttive e i cittadini colpiti e per i primi interventi di urgenza, è evidente l'assoluta necessità di maggiori investimenti in termini di prevenzione, attraverso cui affermare una nuova cultura dell'impiego del suolo che metta al primo posto la sicurezza della collettività e ponga fine a usi speculativi e abusivi del territorio»;
    i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico sono ben 6.633, l'82 per cento del totale; una fragilità che è particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta e nella Provincia autonoma di Trento (dove il 100 per cento dei comuni è classificato a rischio), seguite da Marche e Liguria (99 per cento), da Lazio e Toscana (98 per cento); sebbene in molte regioni la percentuale di comuni interessati dal fenomeno possa essere leggermente inferiore, la dimensione del rischio è comunque preoccupante, come dimostrano i fenomeni alluvionali che colpiscono – con conseguenze spesso gravi – anche zone dove si registra una minore propensione al rischio;
    la superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica si estende per 29.517 chilometri quadrati, il 9,8 per cento dell'intero territorio nazionale, di cui 12.263 chilometri quadrati (4,1 per cento del territorio) a rischio alluvioni e 15.738 chilometri quadrati (5,2 per cento del territorio) a rischio frana;
    sempre secondo le stime del rapporto curato da Legambiente, oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni; inoltre, ancora riprendendo le valutazioni del dossier di Legambiente «la stima del numero di cittadini quotidianamente esposti al pericolo di frane e alluvioni testimonia chiaramente come, negli ultimi decenni, l'antropizzazione delle aree a rischio sia stata eccessivamente pesante. Osservando le aree vicino ai fiumi, risulta evidente l'occupazione crescente delle zone di espansione naturale dei corsi d'acqua con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali e attività agricole e zootecniche; l'urbanizzazione di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può espandersi liberamente ha rappresentato e rappresenta una delle maggiori criticità del dissesto idrogeologico italiano. Anche gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci: in molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull'impatto che possono portare a valle, vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi. Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire»;
    in 1.121 comuni – l'85 per cento di quelli analizzati in «Ecosistema rischio 2011» – sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana, e nel 31 per cento dei casi in tali zone sono presenti addirittura interi quartieri. Nel 56 per cento dei comuni campione dell'indagine in aree a rischio sono presenti fabbricati industriali, che, in caso di calamità, comportano un grave pericolo, oltre che per le vite dei dipendenti, per l'eventualità di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Nel 20 per cento dei comuni intervistati sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili, come scuole e ospedali, e nel 26 per cento dei casi strutture ricettive turistiche o commerciali;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'analisi dei dati ambientali contenuti negli annuari dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno; tale cifra è pari a quasi 3 volte quello che in media è stato stanziato annualmente dal Governo negli anni che vanno dal 1991 al 2011 per le opere di prevenzione; la cifra complessiva risulta, inoltre, superiore a quanto servirebbe per le opere più urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico, e quantificate in 40 miliardi di euro;
    il progetto IFFI (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito ad oggi oltre 486.000 fenomeni franosi che interessano un'area di 20.721 chilometri quadrati, pari al 6,9 per cento del territorio nazionale;
    il 68 per cento delle frane europee si verifica in Italia e, dal 1900, le frane hanno causato 10.000 morti e 350.000 sfollati;
    secondo uno studio effettuato dal 1944 al 1990 sul dissesto geologico e geoambientale, prendendo in considerazione 152 eventi calamitosi tra fenomeni idrogeologici e terremoti tettonici, i fenomeni idrogeologici, rappresentano, con 31 miliardi di euro circa, un quarto delle risorse stanziate nell'intero periodo considerato;
    le cause e concause sono numerose:
     a) la particolare fragilità intrinseca del territorio dovuta alla conformazione geomorfologica, geologica e geografica;
     b) l'enorme peso del fattore umano, a cui bisogna addebitare: l'eccessivo consumo di suolo; un'irrazionale edificazione, sia in termini di pianificazione urbanistica sia in termini di abusivismo e sanatorie; incendi, in gran parte dolosi; una cattiva gestione del territorio, con l'abbandono del terreni agricoli, soprattutto nelle aree caratterizzate da media e alta pendenza, e la mancata osservanza delle prescrizioni di massima della polizia forestale nella gestione dei boschi; l'alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi; l'estrazione illegale di inerti; la cementificazione degli alvei; il disboscamento dei versanti collinari e montuosi;
     c) l'indiscutibile ruolo dei mutamenti climatici, ai quali si deve attribuire l'aumento e l'inasprimento dei fenomeni meteorologici eventi ad elevata intensità, che mettono a dura prova il già fragile equilibrio territoriale;
    il rischio è definito come il prodotto di tre fattori: la pericolosità, ossia la probabilità che si verifichi un evento calamitoso, il valore esposto – il valore monetario o umano di ciò che è esposto al rischio – e la vulnerabilità, ossia il grado di perdita, atteso degli elementi esposti al rischio, al verificarsi di un fenomeno calamitoso; la riduzione del rischio dovrebbe agire su tutti questi fattori; nonostante la sua complessità, il problema è noto e si dispone degli strumenti tecnici per affrontarlo e contrastarlo;
    dal 2002 l'Italia ha attivato un piano straordinario di telerilevamento ambientale (PST-A), attraverso un accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della protezione civile e Ministero della Difesa, d'intesa con le regioni e le province autonome;
    sul geoportale nazionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono disponibili in formato digitale i dati che permettono di analizzare i movimenti del suolo e degli edifici ad altissima precisione, consentendo di realizzare, con un'opportuna organizzazione, in brevissimo tempo e a costi sostenibili, un efficiente sistema di sorveglianza dei dissesti a scala nazionale;
    l'insegnamento delle scienze della terra, geologiche ed ambientali nel sistema scolastico e universitario italiano è in evidente declino: riceve poco spazio nell'istruzione inferiore e superiore ed è persino in crisi nell'ambito universitario;
    l'Emilia-Romagna, devastata da sisma, inondazioni, frane, aveva quattro dipartimenti storici di scienze della terra, ma nessuno di essi è sopravvissuto alla «riforma Gelmini» che ha causato la loro soppressione; è chiaro che l'offerta formativa e i risultati della ricerca scientifica ne risentono, sia nel breve che nel lungo periodo;
    tutto questo mentre emerge in maniera sempre più chiara e condivisa che solo la manutenzione del territorio, in particolare delle foreste, gli usi ricreativi che il bosco può offrire, la naturale capacità di depurazione e trattenimento delle acque sono fondamentali per la messa in sicurezza dei nostri centri abitati;
    come ebbe a dire l'economista ed esperto di economia agraria, Arrigo Serpieri, nel 1923, «se si lavora bene in montagna, la gente a valle dorme sonni tranquilli», ed è per questo che oggi è ancor di più necessario sviluppare la consapevolezza che quegli 11 milioni di ettari di foreste, ovvero il 36 per cento del territorio nazionale, sono un patrimonio inestimabile che va tutelato attraverso una gestione attiva, guidata da una vera e propria programmazione forestale; le attività agro-forestali, attraverso pratiche di gestione sostenibile, possono, infatti, incidere positivamente sul presidio del territorio e sulla prevenzione dei fenomeni di dissesto, tenuto conto che buona parte del Paese è tuttora rurale;
    inoltre, è stato ampiamente dimostrato che l'uso dei diserbanti, come pratica per la ripulitura delle scarpate stradali, delle massicciate ferroviarie e delle fasce di connessione tra seminativi e viabilità interpoderale, aumenta notevolmente il rischio di attivazione di piccoli e medi movimenti di terra, a causa della mancanza della copertura erbacea in grado di attutire l'effetto di erosione superficiale delle acque meteoriche;
    il rischio idrogeologico è diventato anche una priorità politica, così come lo hanno definito il Presidente del Consiglio dei ministri Letta, i Ministri Orlando e Lupi e praticamente tutte le forze politiche nei loro programmi e nei loro discorsi in Aula, all'inizio della XVI legislatura;
    nelle ultime legislature in più circostanze i Governi, a seguito dell'approvazione di atti di indirizzo, si sono impegnati ad assumere iniziative concrete per rafforzare le politiche di prevenzione e di riduzione del rischio idrogeologico; malgrado ciò, il 2010 è stato l'ultimo anno che ha visto l'inserimento di significative risorse destinate alla prevenzione e alla mitigazione del rischio idrogeologico,

impegna il Governo:

   a promuovere un profondo aggiornamento ed un'integrazione dei quadri conoscitivi nazionali e degli enti locali, riguardanti le conoscenze geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e sismiche, allo scopo di produrre nuovi strumenti urbanistici e cartografici geotematici relativi alla pericolosità geomorfologica, idraulica e di microzonazione sismica, finalizzati ad un più razionale e coscienzioso governo del territorio, così come previsto dal quadro normativo comunitario;
   a prendere in considerazione quanto emerso dal gruppo di lavoro tecnico promosso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha redatto le linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale, dalle quali emergono indirizzi e metodologie, che, sulla base dell'integrazione di banche dati territoriali dei comparti ambiente e agricoltura, consentono l'individuazione, su tutto il territorio nazionale, delle aree prioritarie di intervento e delle misure di mitigazione più idonee, in aree agro-forestali sia attive sia abbandonate, riavviando l'attività di ricerca e coordinamento del citato gruppo di lavoro costituito dal Governo precedente e mettendo in atto le indicazioni emerse devono essere messe su tutto il territorio italiano;
   ad assumere iniziative per ripristinare le risorse necessarie per rilanciare un piano generale di prevenzione del rischio idrogeologico, attribuendo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una cifra non inferiore ad un miliardo di euro per il prossimo triennio, con l'obiettivo di finanziare gli articoli 67 e 70 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   ad investire fondi, proprio in base a quanto emerso dalle linee guida, per interventi mirati, individuati dai piani di salvaguardia ambientali già predisposti;
   ad individuare adeguati finanziamenti per l'attuazione del programma quadro per il settore forestale come richiesto dalla Conferenza Stato-regioni, nell'ambito degli incontri tecnici e politici che hanno portato all'approvazione finale del programma quadro per il settore forestale già nel 2008;
   a predisporre un'attenta pianificazione territoriale e di salvaguardia del suolo, evitando di ricorrere allo strumento, che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare incivile, del condono, impedendo nuove costruzioni in aree a rischio;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le pubbliche amministrazioni locali abbiano maggiori vincoli nel riperimetrare aree mappate a rischio, sviluppando forme e misure di controllo, anche mediante l'impiego di tecniche di telerilevamento;
   ad avviare una concreta ed efficace azione di contrasto al fenomeno dell'abusivismo edilizio, garantendo l'assoluta esclusione di ogni ipotesi di condono, nonché adeguate risorse alle amministrazioni locali per l'abbattimento e acquisizione degli immobili realizzati abusivamente;
   ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da ridurre nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto;
   ad incentivare e sostenere la piccola agricoltura nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottare pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo;
   a far rispettare i contenuti della direttiva europea 2009/128/CE, nella parte che riguarda l'applicazione di tecniche alternative all'uso dei diserbanti nelle operazioni di ripulitura delle scarpate stradali, massicciate ferroviarie e fasce di connessione tra seminativi e viabilità interpoderale;
   ad incentivare e sostenere pratiche di cura e salvaguardia del territorio attraverso una gestione forestale attiva e sostenibile, coinvolgendo pienamente i gestori degli usi civici e delle proprietà collettive (comunanze agrarie e consorzi forestali);
   a promuovere strumenti che sostengano la creazione di posti di lavoro per giovani operai forestali, con lo scopo di svolgere l'importantissima attività di manutenzione e gestione attiva dei boschi, posto che tale creazione di posti di lavoro, oltre a rispondere almeno in parte alla grave crisi occupazionale che soffre il nostro Paese, garantirebbe anche di mantenere la presenza e il controllo sul territorio attraverso il ripopolamento delle aree interne, dove l'età media della popolazione supera ormai i 45 anni;
   ad assumere iniziative per escludere dal patto di stabilità per gli enti pubblici territoriali le spese sostenute per: interventi di messa in sicurezza e ripristino in caso di eventi calamitosi, interventi di prevenzione come stabilizzazione di versanti, manutenzione ordinaria e straordinaria di opere accessorie al reticolo stradale, ivi comprese opere per il deflusso delle acque e manufatti atti a favorire la stabilità del terreno, della roccia o della sede stradale, interventi per migliorare il drenaggio delle acque meteoriche e del reticolo idrico superficiale, interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di argini, sponde e manufatti per la protezione delle sponde di corsi d'acqua, interventi di adeguamento o miglioramento antisismico di edifici pubblici;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di iva agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e il miglioramento del drenaggio, o sismico;
   a valutare l'opportunità di introdurre forme assicurative obbligatorie sui rischi idrogeologici sulle nuove costruzioni, con il coinvolgimento dello Stato come controllore e riassicuratore di ultima istanza, in modo che il mercato si autoregoli verso recuperi/ristrutturazioni, invece che verso nuove costruzioni, e in modo che venga comunque disincentivata la costruzione in aree a rischio;
   ad assumere iniziative per prevedere contributi al finanziamento delle reti di monitoraggio pluviometriche, nivometriche, idrometriche, sismiche, molto spesso dismesse dagli enti pubblici territoriali per carenza di fondi;
   ad offrire più spazio all'educazione ambientale nella scuola inferiore e alle scienze della terra nella scuola superiore e nelle università («legge Gelmini» n. 240 del 2010, articolo 2, comma 2, lettera b)), lasciando autonomia agli atenei in merito alle decisioni sulla numerosità massima e minima dei dipartimenti, consentendo di individuare misure di salvaguardia di settori scientifico-disciplinari, come scienze della terra, ingegneria civile e ambientale, portatori di un impatto scientifico, sociale e culturale rilevante in settori ritenuti strategici, come quello della difesa da catastrofi naturali;
   in tale ambito a promuovere una riorganizzazione dei dipartimenti, assicurando che a ciascuno di essi sia assegnato un congruo numero di professori e ricercatori afferenti a settori scientifico-disciplinari omogenei, anche individuando opportune misure per salvaguardare l'identità di aree disciplinari riconosciute a livello nazionale e internazionale;
   ad accelerare il processo per la valorizzazione della ricerca scientifica e dell'avanzamento tecnologico, già avviato con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, in cui la Protezione civile sia preposta anche ad attività di prevenzione e previsione e non solo a gestire le emergenze;
   ad assumere iniziative per prevedere che, in caso di dichiarazione dello stato di emergenza in seguito ad eventi calamitosi, venga innescata una «filiera dei soccorsi e dell'emergenza a chilometro zero», facendo in modo che le ditte, i generi di prima necessità, i materiali acquistati provengano dallo stesso comune interessato dall'emergenza, ove non possibile dalla stessa provincia, ove non possibile dalla stessa regione.
(1-00114) «Segoni, Daga, De Rosa, Terzoni, Busto, Mannino, Tofalo, Zolezzi, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    il problema del sovraffollamento carcerario non riguarda solo la sfera morale e sociale della nostra democrazia, ma è interconnesso e parte del più ampio tema della giustizia e della credibilità dell'intero sistema. Poiché nulla è più contraddittorio e, alla fine, dannoso, che far vivere chi ha infranto le regole e ha già scarsamente recepito, in condizioni ordinarie di vita, il senso della legalità in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto attuato e vissuto;
    la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha confermato la condanna dell'Italia, rigettando la richiesta per il riesame del ricorso Torreggiani davanti alla Grande Camera: la sentenza, emessa lo scorso 8 gennaio, diventa così definitiva e il nostro Paese ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e introdurre una procedura per risarcire i detenuti che ne sono stati vittime;
    il procedimento giudiziario nasce dalla denuncia di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza, ai quali lo Stato dovrà pagare una somma totale di 100 mila euro per danni morali, come stabilito dai giudici europei;
    questa è solo la punta dell'iceberg: la Corte ha infatti già ricevuto da altri detenuti più di 500 ricorsi che potrebbero essere tutti accolti nel caso in cui l'Italia (al terzo posto, dopo Serbia e Grecia) non riesca ad arginare il fenomeno, troppo a lungo sottovalutato, tanto da costituire una vera e propria costante ma dalle caratteristiche proprie dell’«emergenza»;
    la pronuncia rappresenta uno stimolo in più per portare il sistema penitenziario a un livello di civiltà doveroso per un Paese di grandi tradizioni giuridiche e di esperienze innovative anche in campo di riabilitazione penitenziaria, e per combattere con maggiore impegno ogni situazione che possa compromettere i diritti umani del detenuto;
    costituisce una critica tanto severa quanto oggettiva il messaggio che il Presidente Napolitano – rinnovando quanto già con forza espresso nella precedente Legislatura, ma non implementato dal precedente Parlamento – ha inviato il 7 giugno scorso a Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, in occasione della ricorrenza del 196o anniversario della fondazione del corpo di polizia penitenziaria. Nell'esprimere un vivo apprezzamento per l’«impegno generoso» e la «sempre maggiore professionalità» con cui gli agenti adempiono alle loro funzioni e, nel sottolineare il lavoro degli operatori sempre alle prese con «situazioni di disagio, di sofferenza e di rischio che la pesante realtà carceraria comporta», il Capo dello Stato ha richiesto «decisioni non più procrastinabili per il superamento di una realtà degradante per i detenuti e per la stessa polizia penitenziaria che in essa opera, al fine di assicurare l'effettivo rispetto del dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità cui debbono corrispondere i trattamenti relativi all'espiazione delle condanne penali»;
    sul tema è intervenuto recentemente il Ministro della Giustizia che ha definito i nostri istituti indegni di uno Stato moderno; secondo la Cancellieri «per risolvere il problema non bastano nuove carceri, ma bisogna ripensare il sistema delle pene, valutando se ci sono spazi per quelle alternative»;
    si rafforza anche a livello governativo la convinzione che per reati di lieve entità commessi da persone non socialmente pericolose occorre trovare un sistema di pene alternativo, non incentrato solamente sulla reclusione nel sistema penitenziario;
    in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento sopra descritte (un'altra estate si avvicina, con il suo carico di docce che non funzionano, letti fino al soffitto nelle celle, temperature elevate, coabitazione forzata);
    secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla, una condizione che non è oggi rispettata in numerosi istituti di pena sparsi sul territorio nazionale, a causa del sovraffollamento, e che ancor quando tali spazi esistano, a volte sono stati ricavati dall'uso improprio e a scapito degli spazi per la ricreazione e le attività riabilitative: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
    i dati forniti dal Ministero (aggiornati al 10 giugno scorso) rilevano che sono 65.891 (1.176 internati, 40.118 condannati, 24.697 in attesa di giudizio) i detenuti presenti, molti di più dei 47.040 posti disponibili nelle 206 prigioni italiane, con più di un istituto di pena con tassi di sovraffollamento superiori al 100 per cento. Ciò con grave pregiudizio delle condizioni di base, anche sanitarie, e una promiscuità che ha favorito il proliferare di malattie infettive, una vera e propria emergenza sanitaria per tutti coloro che vivono e lavorano in carcere;
    stando a numerose segnalazioni degli operatori del settore, sempre maggiori difficoltà si incontrano nel garantire continuità di cure ai malati oncologici, che hanno bisogno di trasporto all'esterno dell'istituto di pena, per carenza di personale;
    quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
    anche l'articolo 1 della legge 26 luglio 1975 sull'Ordinamento penitenziario stabilisce che «Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona. Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose (...). Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti»;
    questi numeri rappresentano il segno di una crisi che i tanti impegni annunciati non sono riusciti a scalfire, lasciando i detenuti italiani in condizioni di vivibilità al limite della sopportazione. In aggiunta, l'attuale sovraffollamento, che non corrisponde in alcun modo ad un aumento dei reati di maggiore pericolosità sociale o violazione della vita umana – che al contrario vedono l'Italia tra i paesi europei in cui la crescita di questa curva appare meno preoccupante – assieme a una fase di minori disponibilità finanziarie, ha portato a una riduzione drastica anche dei fondi disponibili per il vitto di ogni detenuto, scesi a meno di quattro euro al giorno, e dimezzati nell'arco di pochi anni;
    le nostre prigioni sono anguste, spesso malsane, non di rado antiche e di costosa manutenzione, focolaio di violenza e sopraffazione, vi avvengono suicidi e morti misteriose, non c’è lavoro se non in misura modesta e non vengono generalizzate le esperienze di eccellenza esistenti in alcuni istituti penitenziari, né si rivela sufficiente nella situazione presente l'occasione di rieducazione: in questa situazione il confine fra disagio personale e oggettivo, pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo;
    l'invivibilità del carcere – indipendentemente dalle necessità della pena stabilità – rappresenta una pena aggiuntiva non sancita dal codice penale; in situazioni in cui la sofferenza dell'intero sistema carcerario, denunciata dagli operatori in prima linea ogni giorno, porta spesso a scegliere – in assenza di mezzi e spazi e strumenti più sofisticati – l'isolamento come risposta a chi è meno in grado di sopportare determinate situazioni o è considerato un elemento pericoloso;
    acutizza o provoca anche patologie psicofisiche che contribuiscono a determinare le condizioni estreme – e misteriose nella genesi individuale, ma non misteriose come spia di un disagio abnorme che incoraggia gesti estremi e autodistruttivi – che portano molti, troppi detenuti allo sciopero della fame e della sete, in via ordinaria, e al suicidio: 84 suicidi accertati ufficialmente negli ultimi 18 mesi, e più di 150 detenuti che sono morti nello stesso periodo durante la detenzione per altre cause, nonostante non esistano che in numero irrisorio detenuti in età davvero avanzata, mostrano un dato inquietante. Quasi che per alcuni sottoposti a pena carceraria la detenzione stessa, a causa di queste condizioni deteriorate, rischi di diventare una «pena di morte» non comminata ma reale, nel Paese che guida da tempo la battaglia internazionale per l'abolizione della pena capitale. È un fenomeno drammatico, che colpisce anche le guardie carcerarie, di cui si registra un suicidio ogni 10 suicidi accertati di detenuti, e che non può non interrogare, come pure l'aumento degli episodi di aggressione, con personale in difficoltà in un ambiente degradato;
    come se non bastasse, da qualche anno i detenuti sono quasi privi di assistenza psicologica: le persone che lavorano in tutte le 206 carceri italiane sono in grado di offrire soltanto tre ore di trattamento annuo, compreso il tempo per la lettura dei fascicoli e le riunioni;
    un altro dato ancora più inquietante è che nei sedici asili nido funzionanti negli istituti penitenziari stanno crescendo quasi 50 bambini sotto i tre anni di età, figli di detenute, mentre circa una trentina di donne sta trascorrendo i mesi di gravidanza in cella: una situazione che, come ha dimostrato uno studio condotto nel 2008 nel nido del carcere di Rebibbia, può avere gravi conseguenze sul nascituro;
    non può non rilevarsi l'urgenza anche di una regolamentazione delle caratteristiche delle case famiglia protette, strutture d'accoglienza equivalenti per gli aspetti di base all'abitazione privata, dove le madri prive di domicilio possono scontare la pena con i bambini fino ai 10 anni. La legge precisa che non è previsto nessun onere a carico dell'amministrazione penitenziaria per tali strutture, mentre per gli ICAM si prevede un piano investimenti di 11,7 milioni di euro. In un'ottica di mantenimento della relazione madre-bambino anche quando questa è detenuta, come stabilito dalla Convenzione dei diritti dell'infanzia, queste strutture sono certamente la soluzione migliore per tutelare l'interesse superiore del minore, ma è fondamentale che dispongano di fondi adeguati;
    la Camera dei deputati aveva già approvato, nella seduta del 12 gennaio 2010, una mozione volta, tra l'altro, ad impegnare il Governo ad istituire un organo di monitoraggio indipendente di controllo sui luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura ed a stipulare accordi internazionali volti a consentire l'esecuzione della pena presso i Paesi di provenienza dei condannati stranieri;
    il 24 giugno il Parlamento voterà il ddl sulla cosiddetta «messa alla prova»: un meccanismo che consente una giustizia «risarcitoria» (lavori socialmente utili al posto di un processo e poi di una condanna detentiva), nonché una possibilità offerta agli imputati di reati con pene fino a quattro anni, nonché di quelli a «citazione diretta». E il provvedimento si è arricchito di un capitolo sugli arresti domiciliari, prevedendo che il giudice al termine di un processo avrà in futuro tre possibilità tra cui scegliere: pena pecuniaria, pena detentiva, pena domiciliare;
    si tratta, insieme anche al decreto «sfolla-carceri» (che sarà licenziato prossimamente dal Consiglio dei ministri) di iniziative di buon senso, e nella giusta direzione, ma che non spostano in maniera rilevante l'impatto numerico dei reclusi;
    i provvedimenti in esame costituiscono, infatti, soltanto una buona base di partenza, in attesa di ulteriori, efficaci e definitive misure tese alla soluzione dell'emergenza carceraria ed alla individuazione di strumenti deflattivi del carico di lavoro dei giudici. Pur condividendo la scelta di utilizzare lo strumento della delega per disciplinare la delicata materia delle pene detentive non carcerarie, si profila necessaria l'instaurazione tra Parlamento e Governo di un fattivo rapporto di collaborazione volto a definire un più ampio spettro di interventi;
    in proposito, bisognerebbe evitare di assumere un'ottica meramente emergenziale e far seguire ai rimedi immediati riforme di ampia portata, come la revisione della custodia cautelare in carcere, la revisione radicale della ex-Cirielli (che, attraverso i limiti imposti all'accesso ai benefici penitenziari per i recidivi reiterati è una delle cause del sovraffollamento), la modifica della legge Fini-Giovanardi, – rinviata peraltro alla Consulta per giudicarne profili di incostituzionalità accertati come non manifestamente infondati dalla Corte di Cassazione – (correggendo la rotta sulle tossicodipendenze che non possono essere trattate come una questione di ordine pubblico), e che, da sola, è responsabile del 33 per cento delle detenzioni, quando in Paesi come Francia e Germania non si supera il 14,5 per cento del numero dei detenuti per i medesimi reati, nuove modalità di trattamento come la custodia attenuata e l'attuazione del piano carceri;
    secondo le stime del Ministero dell'interno, negli ultimi anni i reati principali sono diminuiti del 5,1 per cento, ma si è avuto un significativo aumento degli arresti del 7 per cento. E sono noti i dati per cui circa il 67 per cento di coloro che scontano l'intera sentenza tornano in carcere, mentre il numero di quanto si sono rivelati recidivi tra chi ha goduto dell'indulto si scende a poco più del 30 per cento e largamente al di sotto al 20 per cento tra quanti sono stati raggiunti dall'indulto mentre già godevano del regime di benefici e misure alternative al carcere;
    queste considerazioni mettono in luce come non servono quindi soluzioni tampone ma sono necessari interventi di sistema, per risolvere una volta per tutte le «emergenze»: occorre tradurre nei fatti le dichiarazioni di intenti e, di fronte agli enormi rischi delle proteste in atto, va garantito subito lo stanziamento di nuovo personale per consentire il normale funzionamento delle strutture e condizioni dignitose agli operatori del settore;
    con questi numeri, infatti, pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio agli uffici; già nel 2011 il Sottosegretario per la giustizia pro tempore Alberti Casellati, nel ribadire l'importanza del ruolo degli agenti penitenziari, affermò che: «il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute»;
    tra i temi indagati dalla Corte dei conti vi è proprio quello dell'utilizzo del personale di polizia penitenziaria, spesso impiegato impropriamente. «Sul piano gestionale», scrive la Corte, «e prescindendo da qualunque considerazione di legittimità dei singoli provvedimenti di comando e distacco, è ovvio dubitare che risponda a criteri di efficienza, efficacia ed economicità la sottrazione dai compiti da svolgere negli istituti penitenziari di un così elevato numero di appartenenti al Corpo»;
    il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) ha depositato alla Camera la relazione annuale sullo stato dell'edilizia penitenziaria e sullo stato del piano carceri, quest'ultimo oramai risalente al 19 marzo 2010; si registra ancora uno stallo nella costruzione di nuovi istituti di pena, dal momento che centinaia di milioni sono stati bloccati e i cantieri non vanno avanti;
    tra i vecchi progetti ancora irrealizzati vi sono, ad esempio, le carceri di Forlì, Rovigo e Savona: le prime due sono state progettate e iniziate a costruire svariati anni fa, la terza è addirittura solo sulla carta per problemi con le imprese appaltatrici;
    per quanto riguarda il piano carceri, si legge nella relazione ministeriale che, rispetto agli originari 11 istituti e 20 padiglioni, si è passati, a causa dei tagli alle risorse, a 4 istituti (Torino, Catania, Pordenone e Camerino) e 16 padiglioni (Lecce, Taranto, Trapani, Milano Opera, Sulmona, Vicenza, Siracusa, Ferrara, Parma, Bologna, Roma Rebibbia, Trani, Bergamo, Caltagirone, Reggio Emilia, Napoli Secondigliano) per complessivi 5.400 posti letto e 368,7 milioni di euro. In merito al completamento e al recupero di strutture non complete o chiuse, le gare di assegnazione sono state per lo più espletate, ma nessun passo avanti è stato fatto in questa direzione;
    come già precedentemente osservato, l'Italia entro il 27 maggio 2014, così come ha sentenziato la Corte europea dei diritti umani (Cedu), dovrà trovare 30 mila posti letto oppure scarcerare 30 mila persone, salvo non voglia incorrere in centinaia di condanne che le costeranno milioni di euro di risarcimenti,

impegna il Governo:

   a stabilire, oltre la condivisibile avviata rivitalizzazione delle misure alternative, rapidi ed opportune iniziative che riducano il sovraffollamento nelle nostre carceri, attraverso la modifica della normativa che incide maggiormente sulla produzione dei flussi di ingressi (ad esempio, la legge ex-Cirielli, la legge Fini-Giovanardi, per alcune parti la legge Bossi-Fini, e altro); la revisione della custodia cautelare; la previsione della non punibilità o della riduzione delle pene per chi commette fatti di particolare tenuità, nonché di una sorta di moratoria degli ingressi, «numero chiuso» per i condannati nei confronti dei quali l'esecuzione penale è sospesa (con possibilità del differimento dell'ingresso in carcere, in caso di mancata concessione delle misure alternative, fino al momento in cui vi sia un posto disponibile in un istituto determinato secondo un parametro di massima capienza «tollerabile» e un ragionevole programma di rieducazione);
   a procedere, con iniziativa del Ministero della salute (con la conferenza degli assessori delle regioni) a 5 anni dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, alla verifica dello stato di attuazione nelle regioni della riforma che trasferisce alle regioni la cura dei detenuti decretandone la piena uguaglianza con gli altri cittadini, considerato che, ad esempio, tale riforma a tutt'oggi non è ancora stata recepita in Sicilia (di fatto la «salute» e gli «operatori» sono pagati dal DAP che però non ha più capitolo economico), e che permane di fatto un doppio binario che la riforma voleva superare con livelli di cura omogenei per tutti i detenuti e operatori nelle 206 carceri italiane, da nord a sud, secondo il principio costituzionale, considerato che tra le «non applicazioni della riforma» a tutt'oggi mancano dati nazionali e regionali sulle patologie presenti/prevalenti in carcere, non è attuato un sistema di monitoraggio e controllo, informatizzazione delle cartelle cliniche, un controllo sul numero dei tossicodipendenti presi in carico, avviati nelle comunità terapeutiche, e non sono stati forniti dati sulla incidenza della salute mentale;
   ad adottare iniziative normative per introdurre procedure facilitate e, dunque, anche in deroga rispetto alla disciplina ordinaria – per l'ammissione a benefici e a misure alternative dei detenuti che si trovino in una condizione, non altrimenti risolvibile dall'amministrazione, di sovraffollamento carcerario e sulle quali sia comunque espresso il parere favorevole, caso per caso, del giudice di sorveglianza;
   a tutelare i diritti umani e la dignità delle persone recluse, introducendo il reato di tortura, istituendo forme di controllo indipendente degli istituti (accertandone la vivibilità anche dal punto di vista igienico-sanitario), promuovendo la dotazione di strutture e personale idonei ad assicurare un'adeguata assistenza psicologica ai reclusi, progetti mirati di sostegno educativo e sociale (attraverso la creazione di centri di ascolto, la predisposizione di misure di particolare attenzione nelle prime fasi della detenzione, la limitazione e il controllo dell'isolamento disciplinare), nonché percorsi di formazione e lavoro necessari per assicurare una nuova vita dopo il carcere: ciò, al fine di contrastare i suicidi, la violenza, la soggezione tra gli stessi e agire in maniera efficace per il reinserimento sociale e la drastica riduzione della recidività a causa della creazione di adeguate reti di accoglienza e supporto sociale al di fuori del carcere;
   a favorire iniziative normative per un ordinamento penitenziario specifico per i minori, essendo questa una riforma ormai improrogabile, sollecitata più volte anche dalla stessa Corte costituzionale;
   ad adeguare in maniera costante gli organici del personale dell'amministrazione penitenziaria (Corpo di polizia penitenziaria e personale educativo in primis) alle reali necessità degli istituti e dell'esecuzione penale «esterna», nonché assicurare il rispetto dei diritti inalienabili, non sempre invece garantiti: equa retribuzione, ferie, riposo settimanale;
   a promuovere la costruzione di nuovi istituti, la riapertura o la riqualificazione di quelli già esistenti;
   a reperire in accordo con le regioni, le risorse economiche da destinare al funzionamento delle case famiglia protette, nonché ad assumere iniziative per vincolare l'utilizzo dei fondi della Cassa delle ammende per l'assistenza dei detenuti, la crescita dei percorsi di semi-libertà, il lavoro all'interno e fuori del carcere, le misure alternative, individuando altrove i fondi necessari per le strutture penitenziarie vecchie e nuove.
(1-00115) «Gitti, Marazziti, Schirò Planeta, Piepoli, Mazziotti Di Celso, Binetti, Causin, Monchiero, Santerini, Sberna, Giachetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII e l'XI Commissione,
   premesso che:
    i commi 13, 14 e 15 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, cosiddetto decreto sulla spending review, all'articolo 14, relativo alla «Riduzione delle spese di personale», prevedono, in combinato disposto, per il personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, il transito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico e ausiliario con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico e, per il personale docente attualmente titolare delle classi di concorso C999 e C555, il transito nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico in base al titolo di studio posseduto;
    gli inidonei sono docenti che per motivi di salute fisica o psichica hanno chiesto, ed ottenuto, di non essere più utilizzati per l'insegnamento. Fino ad ora venivano utilizzati in supporto alle segreterie, biblioteche scolastiche ed altre mansioni. A loro scelta potevano essere inseriti a pieno titolo nelle segreterie diventando a tutti gli effetti «assistenti amministrativi». Con il decreto cosiddetto spending review la scelta diventa un obbligo, togliendo peraltro posti liberi a chi era nelle graduatorie di assistenti amministrativi ormai da anni e quindi perpetrando un'ulteriore ingiustizia, dettata dal licenziamento di fatto degli ATA precari;
    secondo le stime delle organizzazioni scolastiche, circa il 2 per cento degli insegnati di scuola pubblica, pur essendo dichiarato inidoneo all'insegnamento, risulterebbe idoneo per altri compiti altrettanto utili e comunque per attività connesse all'insegnamento (cosiddette funzioni strumentali) quali la cura della biblioteca, dei laboratori, l'organizzazione delle visite istruttive e delle attività di orientamento, l'organizzazione delle prove di ingresso e di esame, i test Invalsi;
    l'articolo 4 della Carta Costituzionale dispone che: «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»,

impegnano il Governo

in base alle considerazioni di cui in premessa, a porre in essere rapida e adeguata soluzione, anche concordata con i soggetti coinvolti, atta a salvaguardare le funzionalità del servizio scolastico nazionale, al fine di far cessare celermente il perpetrarsi di tale situazione nei confronti non solo del personale docente inidoneo ma anche degli insegnanti tecnico pratici nei ruoli di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) e, in definitiva, di tutto il comparto scuola.
(7-00048) «Centemero, Lainati, Palmieri, Petrenga».


   La I Commissione,
   premesso che:
    la normativa sull'esercizio di funzioni in forma associata per i comuni con popolazione fino a 5000 abitanti (decreto-legge n. 95 del 2012) prevede l'esclusione dall'obbligo di associarsi per gestire servizi e funzioni entro il 31 dicembre 2013, solo per i comuni il cui territorio coincide con quello di una o più isole e il comune Campione d'Italia;
    la legge non prende in considerazione l'esclusione per quei comuni il cui territorio è componente la città metropolitana e che si troverebbero di fronte a un obbligo di unione che non tiene conto della unitarietà della nuova istituzione città metropolitana e comunque dell'esigenza di accordi che salvaguardino l'identità territoriale;
    le dichiarazioni del Ministro Del Rio e del Presidente Enrico Letta confermano la volontà di procedere alla riorganizzazione delle province e all'avvio delle città metropolitane entro il 31 dicembre 2013;
    molti sono i comuni con meno di 5000 abitanti, compresi nei territori provinciali che diventeranno città metropolitana, che secondo la legge sono costretti a costituire unione di comuni per la gestione di servizi e funzioni determinando così una incongruenza, in quanto le unioni potrebbero contrastare con le forme gestionali dei servizi e delle funzioni che verranno, con lo statuto, normate dalla nuova istituzione;
    qualora non ottemperassero all'obbligo entro il 31 dicembre 2013, gli stessi verrebbero commissariati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative affinché sia previsto lo stralcio dell'obbligo di costituirsi in unione per quei comuni, con popolazione fino a 5000 abitanti che fanno parte degli attuali territori provinciali, che diventeranno comuni della città metropolitana;
   ad adottare al più presto iniziative per la definizione delle norme che permettono l'istituzione delle città metropolitane in modo da garantire i tempi necessari per la predisposizione dello statuto, definendo così le nuove forme di gestione e di cooperazione tra i comuni aderenti alla nuova istituzione;
   in tale ambito, a prendere in considerazione l'opportunità di anticipare la decisione relativa ai comuni fino ai 5000 abitanti facenti parte della costituende città metropolitane stralciandole dall'obbligo previsto dalla legge n. 95 del 2012.
(7-00049) «Gasparini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'agroalimentare è uno dei settori che resiste meglio alla crisi economica in atto e, in particolare, l'agricoltura italiana registra risultati migliori dell'industria e dell'economia nel complesso sia in termini di contributo alla crescita economica (prodotto interno lordo) che di occupazione; ancora meglio si posiziona l'industria alimentare che presenta indicatori in termini di valore aggiunto che sono costantemente migliori della media dell'industria in generale; l’export si conferma il motore dell'agroalimentare italiano, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4 per cento sul 2011), e un avvio di 2013 molto promettente (Ismea su dati Istat);
    le performance attuali del settore dipendono sia da fattori generali del sistema Paese che specifici del settore, caratterizzati da un enorme sforzo dei produttori italiani a tutela della qualità e della tracciabilità della produzione agroalimentare nazionale che si contrappone ad una visione che a livello internazionale tende a considerare la produzione agricola solo una commodity che, al pari del petrolio, può determinare ingenti fortune finanziarie; in tale ultimo contesto, l'attività lobbistica delle multinazionali che vogliono trarre profitto dal transgenico, a prescindere dalle conseguenze che derivano dalla loro coltivazione e commercializzazione, ha spesso il sopravvento nelle decisioni in materia di alimentazione, ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi detenuti;
    ad oggi i nodi da sciogliere connessi al transgenico sono ancora molti: oltre ai rischi per la salute e l'economia del nostro Paese, che si contraddistingue per i suoi tradizionali prodotti tipici e di qualità, resta irrisolto il problema dell'impossibilità di coesistenza tra le colture OGM e quelle convenzionali, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione che determina un inquinamento dell'ambiente irreversibile;
    una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità e significative resistenze all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura richiamando l'attenzione sull'importanza che sia la comunità dei cittadini a prendere le decisioni di merito sull'uso di tali tecnologie, in considerazione delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione;
    una eventuale introduzione di colture transgeniche avrebbe inoltre come diretta conseguenza la messa in discussione di uno dei principali fattori di creazione di valore aggiunto del Paese e, cioè, il nostro modello agricolo, fondato su produzioni di qualità apprezzate sul mercato interno ma, anche di più, all'estero che danno vita a quel made in Italy così apprezzato da essere costantemente minacciato da imitazioni e falsificazioni;
    in realtà la maggioranza dei cittadini italiani ed europei ha già manifestato la propria volontà di non autorizzare la coltivazione di sementi transgeniche sui propri territori, al fine di tutelarne l'integrità per le future generazioni;
    la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale, in punto sia di «immissione in commercio» di OGM, sia di «emissione deliberata» di OGM nell'ambiente e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da OGM attraverso l'applicazione del principio di «salvaguardia»;
    la direttiva n. 2001/18/CE sull'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 224 del 2003. Con tale atto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato indicato quale autorità competente a livello nazionale con il compito di coordinare l'attività amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e le comunicazioni istituzionali con la Commissione europea, con il supporto della commissione interministeriale di valutazione. Il decreto n. 224 del 2003, all'articolo 25 recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva n. 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia» mediante la quale le autorità nazionali preposte – per l'Italia i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole alimentari e forestali e della salute – possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso. Con l'attivazione di tale clausola si da luogo ad una serie di consultazioni fra la Commissione europea, le autorità nazionali, il produttore, gli organismi che sono intervenuti nella procedura di valutazione della conformità e tutte le parti interessate. La normativa comunitaria consente comunque alla Commissione europea di annullare il ricorso alla clausola di salvaguardia in caso di evidenze scientifiche contrarie;
    la direttiva 2001/18/CE costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Infatti con l'articolo 22 è previsto che gli OGM autorizzati in conformità alla direttiva devono poter circolare liberamente all'interno dell'Unione europea, mentre con l'articolo 26-bis (introdotto dal Regolamento (CE) 1829/2003), si dispone che «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti». Questa disposizione consente quindi agli Stati membri di poter introdurre, nel proprio ordinamento, norme specifiche per regolare la coesistenza;
    con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito dalla legge n. 5 del 2005, erano state previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004 nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura. L'intervento della Corte ha causato un vuoto normativo molto dannoso, poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà di scelta dell'imprenditore sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che ogni norma nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
    tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di giustizia europea dell'ottobre 2012 (sul caso di specie Pioneer Hi Bred Italia srl contro Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) con cui la Corte si è pronunciata in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE. Per la Corte uno Stato membro, ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati, solo nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate. Viceversa uno Stato membro non può, nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture, vietare in via generale la coltivazione di prodotti OGM autorizzati ai sensi della normativa dell'Unione e iscritti nel catalogo comune;
    fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni OGM sulla base di più ampi criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente;
    più in generale e in ambito comunitario l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
    al riguardo si evidenzia l'intenzione del commissario europeo alla salute Tonio Borg di rilanciare il negoziato dell'Unione europea sugli OGM rendendo gli Stati membri maggiormente autonomi sulle linee guida da autorizzare a livello nazionale;
    anche le regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
    a tal proposito la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un ordine del giorno con cui impegna il «Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, di procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001» (...) e «tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e in occasione delle riunioni in sede comunitaria la posizione unanime delle regioni e delle province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale»;
    il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale, in assenza di una chiara posizione del Governo con l'adozione della clausola di salvaguardia, potrebbe essere imminente se, come si apprende da alcune notizie stampa, fosse vero che «nei silos di stoccaggio della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia e del Friuli ci sono 52 mila sacchi di mais transgenico autorizzato dalla Unione europea MON810, sufficienti a coltivare 32 mila ettari, pronti per le semine di primavera;
    a questo proposito, un episodio eclatante si è verificato sabato 15 giugno 2013 a Vivaro, dove Giorgio Fidenato, leader degli Agricoltori federati, ha inscenato davanti a circa 200 persone una semina di mais OGM. Un gesto provocatorio con quale l'agricoltore friulano ha voluto ribadire» la possibilità per gli agricoltori di poter scegliere», proprio in base alla sentenza della Corte di Giustizia europea e alla mancata adozione da parte del Governo della clausola di salvaguardia;
    la tutela e la valorizzazione della qualità del sistema agroalimentare italiano è un obiettivo di rilevanza strategica che trova attuazione attraverso una concreta tutela istituzionale del comparto primario dall'inquinamento transgenico ed un efficace sistema di tracciabilità, di riconoscibilità e di etichettatura dei prodotti agroalimentari;
    in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture transgeniche che potrebbe verificarsi a causa di una normativa nazionale e comunitaria contraddittoria e incompleta, lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentare e forestali, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in qualità di autorità nazionale in materia, di «guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di OGM in Italia»; ad oggi otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di OGM autorizzate nei loro territori;
    in realtà l'ultimo Rapporto del servizio internazionale per l'acquisizione delle applicazioni biotecnologiche per l'agricoltura (ISAA) sullo Status globale della commercializzazione d colture biotech/OGM del mese di febbraio 2013, ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare OGM, con 129.000 ettari di mais transgenico piantati nel 2012, una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria che conferma l'opposizione in Europa alla diffusione del transgenico in agricoltura al fine di difendere le produzioni nazionali da possibili contaminazioni da colture geneticamente modificate e collocarne i prodotti ad un livello di maggiore interesse e competitività nel panorama economico mondiale;
    in data 29 marzo 2013, il Ministro della salute Balduzzi ha inoltrato alla direzione generale salute e consumatori della commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia e nel resto d'Europa di sementi di mais MON810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Catania a norma dell'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003,

impegna il Governo:

   ad avvalersi della clausola di salvaguardia, di cui all'articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003, di recepimento della direttiva n. 2001/18/CE, al fine di evitare ogni forma di coltivazione in Italia di OGM autorizzati a livello europeo e di tutelare la sicurezza del modello economico e sociale di sviluppo dell'agroalimentare italiano, in modo tale da scongiurare anche che si ripetano in futuro episodi come quello avvenuto in Friuli il 15 giugno 2013;
   a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avviata in gran parte del Paese, l'incremento delle attività di controllo per potenziare, d'intesa con le regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri in corso di distribuzione ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate;
   ad avviare ogni azione utile e necessaria ad impedire ogni rischio di possibile contaminazione nell'area di Vivaro, adottando, in sinergia con le forze dell'ordine e le autorità competenti le misure adeguate.
(7-00047) «Cenni, Oliverio, Palma, Tentori, Mongiello, Carra, Cova, Taricco, Zanin».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    le gravi condizioni climatiche del periodo inverno-primavera 2013 verificatesi nella regione Lombardia hanno determinato una situazione di grave danno per il settore agricolo;
    le continue precipitazioni stanno mettendo in ginocchio l'agricoltura di tutto il nord Italia, con danni già stimati dalle associazioni di categoria nell'ordine di centinaia di milioni di euro, ed in particolare della Lombardia, già colpita dalla siccità dell'estate 2012;
    il perdurare dei fenomeni piovosi ha impedito il normale svolgersi delle operazioni colturali ed, inoltre, ha provocato danni sulle colture in essere con particolare riferimento a: barbabietola, mais, frumento, orzo, triticale, pomodoro, patata, colture foraggere, alpeggi, colture orticole, frutteti e vigneti, riso, apicoltura;
    sono stimate perdite generalizzate sui raccolti che avranno gravi ripercussioni anche sul comparto zootecnico, agro meccanico e dei contoterzisti;
    la regione Lombardia produce il 40 per cento del latte italiano e la mancata raccolta dei foraggi che alimentano i bovini da latte peserà enormemente sui costi della produzione del latte;
    oltre al versante produttivo si registrano danni anche alle strutture e alle infrastrutture agricole, con particolare riferimento a quelle relative ai consorzi di bonifica;
    la regione Lombardia il 7 giugno 2013 ha deliberato la «Dichiarazione dello stato di crisi per l'agricoltura lombarda a seguito di piogge intense e persistenti del periodo inverno/primavera 2013 e contestuale richiesta al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali del riconoscimento dello stato di calamità naturale sul territorio lombardo»;
    sarebbe opportuno pervenire per le aziende che sono gravate dalla crisi:
     a) alla sospensione del versamento dei contributi previdenziali e assistenziali propri e dei lavoratore dipendenti;
     b) al differimento del termine per gli adempimenti degli obblighi tributari;
     c) alla sospensione per sei mesi del pagamento delle rate e degli effetti del credito agrario,

impegna il Governo:

   ad attivare ogni necessaria e possibile iniziativa per alleviare la situazione di grave crisi del comparto agricolo lombardo anche mediante:
    l'ottenimento del ristoro economico a valere sul fondo di solidarietà nazionale;
    l'intervento nei confronti degli organi comunitari competenti, affinché gli eventi descritti siano riconosciuti come riconducibili a «forza maggiore e circostanze eccezionali», ai sensi dell'articolo 31 del regolamento (CE)73/2009, e dell'articolo 75 del regolamento (CE)1122/09, onde consentire l'attivazione delle procedure che permettano ai produttori di mantenere il diritto agli aiuti.
(7-00050) «Carra, Cova, Tentori, Ferrari, Cenni, Venittelli, Mongiello».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   GIGLI e SBERNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il Ministro per le pari opportunità, lo sport e la gioventù Josefa Idem avrebbe posto in essere condotte per aggirare gli impegni relativi al pagamento dell'IMU;
   dalle stesse fonti sembrerebbe che lo stesso Ministro avrebbe adibito a palestra un edificio di tipo residenziale;
   il Ministro avrebbe parzialmente corretto i suoi comportamenti in solo in prossimità delle elezioni e ancor più dopo rivelazioni di stampa;
   tali circostanze, se verificate, sarebbero in palese conflitto con il sentire di un Paese che sta attraversando una profonda crisi e che non tollererebbe eventuali comportamenti in palese conflitto con i principi di pari opportunità e di assenza di privilegi per la classe politica;
   le stesse circostanze, se non adeguatamente smentite, gettano una cattiva luce sulla credibilità di un Governo che tanto si sta operando per risanare le condizioni economiche del Paese, pur nell'attuale crisi che attraversa –:
   ferme restando le competenze della magistratura, se le circostanze riferite dalla stampa circa presunti abusi posti in essere dal Ministro Idem corrispondano a verità e, in caso affermativo, quali siano le iniziative che il Governo intende porre in atto per ripristinare un clima di fiducia in materia fiscale con i cittadini e per salvaguardare l'immagine del Governo stesso. (3-00137)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MAGORNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nell'inverno 2009 il territorio del comune di Belvedere Marittimo (CS) è stato colpito da una violenta alluvione;
   a seguito di tale evento alluvionale, 33 famiglie furono inibite «temporaneamente» all'uso delle proprie abitazioni, dichiarate inagibili, perché interessate dall'eccezionale movimento franoso che colpì l'agro del comune di Belvedere Marittimo;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'imminenza di quei tragici fatti, ha dichiarato lo stato di calamità ed ha emanato l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3741 del 2009, nominando quale commissario il presidente della regione Calabria nella persona dell'onorevole Scopelliti;
   nell'immediatezza dell'evento, le famiglie sgomberate sono state alloggiate presso alberghi e abitazioni private con i cui titolari il comune di Belvedere Marittimo ha stipulato contratti di locazione;
   il commissario nominato ha provveduto al pagamento dei canoni di locazione pattuiti, limitatamente al periodo compreso tra febbraio 2009 e marzo 2010;
   con nota del 12 luglio 2011, il sindaco di Belvedere Marittimo, ha comunicato la risoluzione dei contratti di locazione, a suo tempo stipulati, non avendo il commissario previsto alcun ulteriore contributo;
   a causa del ritardo nel pagamento dei canoni, il tribunale di Paola sezione di Scalea ha condannato il comune di Belvedere in solido con alcune delle famiglie interessate, al rilascio dell'abitazione a far data dal 30 giugno 2012 imponendo, inoltre, a queste ultime il pagamento dei canoni di locazione scaduti, da marzo 2011 fino alla data dell'effettivo rilascio;
   a distanza di oltre quattro anni, perdurando ancora l'ordinanza di sgombero, molte di queste famiglie sono costrette a vivere presso piccole abitazioni prese in affitto a proprie spese;
   inoltre, 2 famiglie, a far data dal 1o luglio 2012, contravvenendo all'obbligo di sgombero, sono rientrati nelle proprie abitazioni, ancora non agibili e con serio rischio di crollo;
   tale decisione, fra l'altro preannunciata agli enti preposti nonché alla procura della Repubblica di Paola, è stata dettata dalle condizioni economiche degli stessi che non possono far fronte autonomamente al pagamento di un canone di locazione e soprattutto alla ristrutturazione dell'immobile;
   nonostante l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3741 dell'11 febbraio 2009 preveda, mediante contributi diretti, il pronto intervento al fine di favorire il ritorno alle normali condizioni di vita delle popolazioni interessate agli eccezionali eventi avversi, ad oggi nessuna attività è stata posta in essere sugli immobili interessati –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere in maniera urgente perché sia concessa la proroga dei contributi sugli affitti nonché l'erogazione dei contributi utili alla messa in sicurezza delle abitazioni inagibili in modo da giungere a un repentino intervento diretto a porre fine al grave stato di disagio in cui dal 2009 si trovano le famiglie in questione. (4-00972)


   ZANIN, COVA, CENNI, FIORIO, TERROSI, BRANDOLIN, TENTORI, DAL MORO e DALLAI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'introduzione dell'utilizzo della posta elettronica certificata vuole istituire un sistema che, sostituendo la raccomandata con ricevuta di ritorno, permetta di recapitare al mittente la documentazione tramite mail che ne acquisisce lo stesso valore legale, garantendo così il non ripudio e allo stesso tempo permettendo allo Stato di risparmiare del denaro pubblico;
   l'obbligo è stato introdotto per mezzo delle previsioni contenute nell'articolo 16 del decreto-legge n. 185 del 2008 che stabiliva un calendario di adeguamento per professionisti (29 novembre 2009) e società di capitali e società di persone (29 novembre 2011);
   l'articolo 5 del decreto-legge n. 179 del 2012 (meglio noto come decreto sviluppo-bis) prevedeva l'estensione della posta elettronica certificata anche per le imprese individuali. In particolare, l'obbligo oltre alle imprese nascenti (20 ottobre 2012), si estendeva a tutte le imprese individuali attive e non soggette a procedure concorsuali che sono tenute a depositare presso il registro delle imprese il proprio indirizzo pec entro il 31 dicembre 2013;
   il Governo Monti, apportando delle modifiche al suddetto articolo in sede di legge di conversione 17 dicembre 2012 n. 221, ha anticipato il termine per depositare il proprio indirizzo pec al 30 giugno 2013;
   perciò a partire dal 1o luglio 2013, per circa 3,3 milioni di aziende individuali – di cui attualmente solo il 15 per cento scarse possiede un indirizzo pec – tutte le informative, dichiarazioni, scambi di informazioni, richiesta documenti e altro da e verso la pubblica amministrazione dovranno essere effettuati esclusivamente tramite posta elettronica certificata;
   chi non si mette in regola nei tempi previsti, rischia di incorrere in sanzioni che vanno da 103 euro a 1.032 euro, ma che possono essere ridotte di un terzo, se la comunicazione della pec avviene nei 30 giorni successivi alla scadenza dei termini;
   l'eventuale controllo sanzionatorio prevede uno spreco di risorse della pubblica amministrazione;
   per quanto riguarda in maniera particolare le aziende agricole, la situazione che si prospetta in pendenza di scadenza del termine comporta enormi difficoltà nel riuscire a non incorrere nelle sanzioni previste in caso di mancata comunicazione dell'indirizzo pec, poiché si tratta perlopiù di piccole realtà imprenditoriali in cui spesso chi ne è titolare ha una età avanzata e quindi è poco o per nulla in grado di utilizzare autonomamente il computer, oppure la zona in cui hanno sede non è coperta dalla connessione internet a banda larga – è il caso di ricordare in questa sede che l'Italia è penultima in Europa con un tasso di penetrazione solo del 28 per cento, mentre la media europea si attesta al 45 per cento –:
   se non sia necessario assumere immediatamente iniziative per prorogare il termine del 30 giugno per riportarlo alla data originaria prevista nel decreto-legge n. 179 del 2012;
   se non sia il caso di rivalutare la funzionalità effettiva del sistema predetto rispetto all'utilizzo sostanzialmente episodico che viene fatto nello specifico dalle aziende agricole, in particolare quelle di piccola dimensione, e quindi se non sia preferibile prendere in considerazione di attuare un sistema differenziato a seconda della tipologia delle imprese piuttosto che applicare l'attuale obbligo in maniera generalizzata;
   se questo sistema di comunicazione con la pubblica amministrazione, dato che si tratta di un ulteriore costo a carico delle imprese di piccola dimensione, non possa essere gestito anche secondo un modello non collegato alla singola impresa.
(4-00976)


   FRANCO BORDO, PALAZZOTTO e MIGLIORE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sabato 15 giugno 2013 a Vivaro (Pordenone) seimila metri quadrati sono stati seminati con mais OGM creando un altissimo rischio di contaminazione biotech nel nostro Paese;
   l'ordine del giorno recentemente approvato all'unanimità dal Senato impegna il Governo ad: «...adottare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e o ad adottare la misura cautelare di cui all'articolo 34 del Regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall'articolo 54 del Regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano; a rafforzare la già efficace opera di monitoraggio e controllo posta in essere con il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato, il quale da tempo effettua verifiche per evitare la contaminazione tra colture geneticamente modificate e non e per controllare l'eventuale presenza di sementi transgeniche non autorizzate; a potenziare la ricerca scientifica pubblica in materia agricola e biologica e, in caso di Ogm, in ambiente confinato di laboratorio...»;
   il Ministro De Girolamo nell'illustrazione delle linee programmatiche del suo dicastero rese il 12 giugno 2013 in seduta congiunta alle Commissioni agricoltura di Camera e Senato ha affermato: «l'importanza di un positivo relazionarsi tra Governo e Istituzioni Parlamentari ha già trovato, in questa legislatura, un'ottima dimostrazione in Senato sul delicato tema degli OGM, con l'assunzione del mio personale impegno sull'ordine del giorno congiunto di tutti i gruppi rappresentati, finalizzato all'adozione di regole coerenti con la tutela della salute umana e dell'ambiente, nonché del modello socio-economico e del patrimonio agroalimentare italiano, al contempo rafforzando la ricerca scientifica e le azioni di monitoraggio e controllo...»;
   inoltre, il Ministro, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni stampa: «...quella geneticamente modificata è un tipo di agricoltura che non risponde alle esigenze e alle caratteristiche del nostro Paese, perché noi vinciamo solo puntando sulla qualità, la tipicità e sulla valorizzazione della nostra cultura...» ed ancora: «...quanto avvenuto in Friuli non è assolutamente da sottovalutare. In ogni caso è fondamentale ribadire che se non si verificano prima le condizioni di coesistenza, ogni semina di organismi geneticamente modificati non è permessa...»;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Andrea Orlando, ha affermato: «...sosterremo e continueremo a sollecitare tutti gli interventi tesi a impedire la semina Ogm proposti dal Ministro dell'agricoltura De Girolamo e al contempo continuiamo a sostenere l'esigenza di definizione di una linea che ci consenta di rivedere la normativa europea. Il sistema Italia – ha continuato il Ministro Orlando – deve riproporre nelle sedi titolate comunitarie il tema della piena autonomia degli Stati in tema di Ogm, per non mettere a rischio le nostre specificità agroalimentari e ambientali»;
   ciò che è avvenuto a Vivaro, e che potrebbe verificarsi in altre zone del Paese, è dato dal fatto che l'Italia non ha ancora adottato la suddetta clausola di salvaguardia –:
   quali siano i motivi per i quali il Governo non si è ancora avvalso della clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e/o adottato le misure cautelari di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
   quali saranno i tempi per adottare i suddetti provvedimenti;
   quali iniziative urgenti di competenza si intendano adottare per evitare la contaminazione delle zone viciniori alla zona oggetto della coltivazione di mais OGM.
(4-00980)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la filiale di Pescara della Banca d'Italia, specializzata nei servizi all'utenza, chiuderà nel biennio 2014-2015, nell'ambito del processo di riorganizzazione nazionale della sua rete territoriale;
   si tratta di una scelta grave che colpirà l'utenza delle province di Pescara e Chieti che attualmente beneficiano di vari servizi bancari e finanziari erogati dalla Banca d'Italia;
   per tutta la fascia adriatica da Ancona a Bari, la Banca d'Italia non fornirà più questi servizi altamente specializzati per le imprese e i cittadini, determinando un impoverimento oggettivo del territorio e dell'economia;
   i 34 lavoratori interessati, altamente professionalizzati, saranno trasferiti con i conseguenti disagi per le loro famiglie –:
   se non intenda nell'ambito delle sue competenze e nel rispetto dell'autonomia organizzativa della Banca d'Italia, intervenire per verificare la possibilità di un suo ripensamento circa la chiusura della filiale di Pescara. (4-00979)


   RUSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il recente rapporto Moody's-investors service rappresenta una utile occasione di riflessione sull'efficacia delle politiche finanziarie in ragione della ripresa economica ed al fine del riequilibrio finanziario degli enti territoriali;
   il rapporto afferma che il decreto-legge n. 35 del 2013, recentemente convertito dalla legge, non consentirebbe una definizione strutturale dell'ingente debito commerciale accumulato a tutti i livelli di Governo, in particolare nel comparto della sanità;
   le misure adottate con il citato decreto-legge, in un contesto di debolezza finanziaria e di contrazione dell'economia che ancora investe il Paese, e che rischia di protrarsi secondo le più recenti stime macroeconomiche per tutto il 2013, rischiano di irrigidire ulteriormente i bilanci di quelle regioni che più di altre, come nel caso del Lazio, del Piemonte, della Sicilia e della Campania, presentano un elevato livello del debito commerciale accumulato nel corso degli anni, ed un elevato livello di indebitamento finanziario;
   per quanto riguarda la Campania, in particolare, le preoccupazioni circa la rigidità del bilancio erano, del resto, già riscontrabili nelle valutazioni a suo tempo espresse dagli ispettori della ragioneria generale dello Stato, in occasione della missione di monitoraggio effettuata a seguito della violazione del patto di stabilità interno compiuta dalla precedente amministrazione regionale;
   le disposizioni recate dal citato decreto-legge, con riferimento all'obbligo ed alle modalità di restituzione delle anticipazioni di liquidità, determineranno, inevitabilmente, l'inasprimento della pressione fiscale a livello locale;
   l'effetto congiunto di questi due fattori, anche in ragione di quanto lascia presagire il rapporto di Moody's, nel determinare un deterioramento delle condizioni di miglioramento del disavanzo eccessivo e dell'abbattimento dello stock del debito accumulato ha, come largamente previsto, indotto l'Agenzia ad abbassare il livello del rating delle suindicate regioni e, più precisamente, corrispondente a un gradino di declassamento per Campania, Piemonte e Sicilia – vale a dire da Baa3 a Ba1 – e, per il Lazio, da Baa3 a Ba2, corrispondenti a due gradini;
   non sembra superfluo evidenziare che tale conseguenza, evidentemente non prevista in sede di approvazione del decreto-legge, espone in modo assolutamente non giustificato soltanto alcune regioni ad un significativo peggioramento delle proprie capacità di ricorso al credito, nonché alle valutazioni negative sul piano politico dell'opinione pubblica, che sempre scaturiscono dall'abbassamento del rating e ad eventuali sanzioni dei vertici politici degli enti, previste dalla legge, in ragione delle misure adottate proprio dal Governo centrale con il citato provvedimento –:
   se non si ritenga, anche in ragione della così difficile fase per l'economia del Paese, ed a fronte dell'urgenza di stimolare la ripresa degli investimenti ed alleggerire la posizione fiscale dei diversi livelli di governo, di assumere iniziative urgenti per modificare il decreto-legge in questione al fine di rimuovere i segnalati fattori di criticità, pur senza pregiudicarne le misure di stimolo contenute nello stesso e ferma restando l'invarianza dei saldi di finanza pubblica;
   se non si ritenga in tale sede di prevedere, tra le varie modifiche, anche l'introduzione di un diverso meccanismo di liquidazione dello stock del debito, operante a livello centrale, quale quello recentemente adottato da altri Stati membri dell'Unione europea, come la Spagna, in modo da attutire e, al contempo, rendere più equilibrati sull'intero territorio nazionale gli eventuali effetti negativi paventati. (4-00981)


   QUARANTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la caserma Gavoglio sita a Genova nel quartiere Lagaccio occupa circa 44 mila metri quadri utilizzati solo parzialmente dalla sede della Croce Rossa e dall'Istituto idrografico della Marina militare (gli unici edifici ristrutturati);
   da circa trent'anni giace praticamente abbandonata e la notte del 1° aprile 2013 il crollo del muro sotto il civico 51 di via Ventotene ha messo in pericolo 180 famiglie che abitano presso i civici 85 e 106 causando la chiusura della strada;
   nell'immediato le famiglie hanno pagato di tasca propria le operazioni di recupero delle macchine bloccate dalla frana per un totale di 13 mila euro e la messa in sicurezza del caseggiato per circa 90 mila euro;
   ad oggi la situazione rimane critica in quanto nonostante la frana sia sotto controllo impedisce di fatto l'accesso ai mezzi nella via. L'unico collegamento con il quartiere è una stradina di 89 scalini;
   da tempo gli abitanti del quartiere chiedono che l'area sia bonificata in quanto le palazzine ivi locate, oltre a essere in stato fatiscente, presentano tetti di amianto in pessimo stato creando di fatto concreti rischi per la popolazione. Gli stessi temono inoltre che altre frane possano verificarsi essendo la zona a grave rischio idrogeologico;
   il quartiere Lagaccio ove la caserma è ubicata è tra i quartieri più densamente abitati (14 mila abitanti per chilometro quadrato), non ha aree verdi né luoghi pubblici d'incontro e a causa della frana il campetto da pallone — unico spazio dove gli abitanti potevano svolgere attività ricreative — è oggi utilizzato come posteggio;
   la caserma Gavoglio è di proprietà dell'Agenzia del demanio militare e, secondo quanto stabilito dalla legge finanziaria per il 2007, rientra tra quegli immobili e aree ceduti dal Ministero della difesa al demanio, che a sua volta li doveva trasferire, a vario titolo, agli enti locali. Nel maggio del 2007, regione Liguria, Agenzia del demanio e comune di Genova hanno firmato un protocollo d'intesa per la trasformazione e il recupero dell'ex sito militare, come previsto dai Puv, programmi unitari di valorizzazione, finalizzati a valorizzare, appunto, il patrimonio immobiliare pubblico. Poi nel marzo 2008 la giunta comunale di Genova ha approvato le linee di indirizzo generale sulla riqualificazione, infine nel 2009 Agenzia del demanio e regione Liguria hanno firmato l'intesa con cui si sono impegnate a dare immediata attuazione al programma di riqualificazione degli immobili militari dismessi;
   nel corso degli anni diversi amministratori pubblici hanno presentato all'Agenzia del demanio alcuni progetti di riqualificazione dell'area;
   il 29 giugno con protocollo PG/2011/211165 Mario Margini chiedeva la possibilità di allargare il tracciato stradale (di fatto in parte avvenuto) e l'acquisizione della caserma senza oneri per il comune per realizzare spazi verdi e servizi per gli abitanti;
   il 22 aprile 2013 con protocollo PG/2013/136317 gli assessori del comune di Genova Franco Miceli e Giovanni Crivello chiedevano risposta al Demanio circa la precedente nota del 2011;
   ad entrambe le richieste non è pervenuta alcuna risposta da parte dell'ente;
   vanno considerate la fragile situazione idrogeologica in cui versa la regione e Genova in primis (frana del 1° aprile 2013 che fa seguito ad una precedente del 2011, per prendere in considerazione solo l'area del Lagaccio) e le attuali condizioni di difficoltà vissute dagli abitanti dei civici interessati ma anche del quartiere –:
   quali iniziative concrete, per quanto di competenza, intendano assumere i Ministri interrogati al fine di:
    a) iniziare quanto prima i lavori di ristrutturazione necessari a seguito della frana e rendere così agibile la strada;
    b) promuovere una mappatura dell'area e individuare il reale rischio idrogeologico mettendo, nel caso, in sicurezza le zone interessate;
    c) valutare la richiesta di acquisizione della caserma Gavoglio proposta nel marzo 2013 dal settore pianificazione e urbanistica del comune di Genova con protocollo PG/2013/136317 e firmata dagli assessori del comune di Genova Franco Miceli e Giovanni Crivello che prevedeva nello specifico «di valutare l'opportunità di acquisire la caserma, nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, quindi senza tener in alcun conto ipotesi di valorizzazione, anzi considerando i gravami, sia in termini di occupazioni che di degrado e di necessità di intervento». (4-00983)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   IMPEGNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i medici in servizio presso le strutture penitenziarie hanno stipulato un contratto di convenzione, con proroga automatica, con il Ministero della giustizia ai sensi della legge n. 740 del 1970, che prevede che per tali medici non si applicano incompatibilità e limitazioni rispetto ad altre attività lavorative;
   nel 2008, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008 è stato disposto il passaggio della gestione della medicina penitenziaria dal Ministero della giustizia alle aziende sanitarie locali;
   non avendo, fino al mese di marzo di quest'anno, la regione Campania deliberato sulle modalità applicative del passaggio predetto, le convenzioni con le figure professionali mediche e laureate non mediche transitate dal Ministero della giustizia alle ASL (da ora in poi definite «transitanti») sono state prorogate mantenendo inalterate le convenzioni, quindi alle stesse condizioni contrattuali;
   nel giugno 2009 la Conferenza Stato-Regioni determinava le linee guida da applicare per il passaggio delle competenze alle ASL, linee guida recepite anche dalla regione Campania nel settembre dello stesso anno, che richiamavano l'importanza del mantenere al lavoro le professionalità preesistenti, vista la particolare delicatezza del compito da esse stesse svolte;
   a fine novembre del 2011 la ASL Napoli 1 Centro, a firma del commissario Scoppa, unica nel panorama nazionale, prorogava con scadenza ultima il 31 dicembre 2011 le convenzioni in essere, alcune portate avanti da oltre 20-30 anni;
   il 1o gennaio 2012 a tutti i «transitanti» convenzionati con l'ASL Napoli 1 Centro, veniva bloccato l'accesso negli istituti di pena;
   nel marzo 2012 la regione Campania si è pronunciata a favore del reintegro immediato con il decreto del commissario ad acta n. 28, che proroga le convenzioni in essere al 31 dicembre 2011 fino alla definitiva regolamentazione di tutta la materia riguardante la sanità penitenziaria che non potrà far a meno di prevedere, per le succitate linee guida, l'impiego dei medici «transitanti»;
   il 20 dicembre 2012 il TAR Campania con sentenza 5290/2012, nel dare ragione a 46 medici ricorrenti, rendeva nulle tutte le delibere adottate all'epoca dal commissario Scoppa per la ASL, relative all'allontanamento dei medici. L'ASL pur manifestando disponibilità alla reimmissione in servizio dei medici, con le delibere n. 314 di febbraio e n. 565 di aprile 2013, mentre ha provveduto a sanare la situazione del comparto (personale infermieristico, OSA e altro), sta di fatto ritardando quanto stabilito dal TAR per quanto riguarda il personale medico e laureato non medico. Per tale motivo i medici «transitanti» sono stati costretti ad opporre altro ricorso al TAR chiedendo l'annullamento delle ultime due delibere con condanna alle spese;
   l'ASL, con la delibera 314 del 2013, incurante di quanto sancito per sentenza dal TAR, riconferma la disparità di trattamento intercorso tra i medici e laureati non medici ed il comparto dando, con tale atto, continuità al rapporto di lavoro solo con i lavoratori appartenenti a quest'ultima categoria. Inoltre, stabilisce un'ulteriore disparità tra i medici e i laureati non medici ed i medici incaricati allorquando stabilisce che il decreto 26 si pone come ostacolo alla riammissione in servizio dei primi, ma non ritiene che lo stesso decreto interferisca con il proseguimento del rapporto di lavoro dei medici incaricati, pur essendo questi maggiormente interessati dall'atto pubblico;
   nel frattempo anche la regione, con decreto n. 26 del 2013, rivedendo il decreto n. 28 del 2012, ha definito le modalità di utilizzo dei medici transitanti inserendoli in una apposita lista ad esaurimento, fino ad apposita normativa nazionale inclusa negli Accordi collettivi nazionali. Quest'ultimo decreto ha però inserito una limitazione oraria ai medici transitanti, contrariamente a quanto stabilito dalla legge n. 740 del 1970 che non impone alcuna limitazione né incompatibilità ai medici penitenziari, come già chiarito da cospicua precedente giurisprudenza. Per questo motivo i medici penitenziari della regione Campania hanno presentato ulteriore ricorso di sospensiva contro il decreto regionale nel punto che determina limitazioni orarie;
   tutta questa vicenda sta comportando notevoli disagi nell'assistenza sanitaria dei soggetti detenuti, come più volte segnalato dal provveditore regionale del Ministero della giustizia e da interventi della stampa cittadina;
   attualmente nei penitenziari gravitanti nella sfera dell'ASL Napoli 1 Centro (Poggioreale, Secondigliano, Nisida, OPG e Istituto dei Minori) non viene assicurata l'assistenza di base ed in alcuni casi nemmeno l'emergenza. Tale situazione è stata pubblicamente segnalata dal provveditore regionale del Ministero della giustizia, da alcuni direttori delle case di pena e dal garante per i detenuti. Si prevede che l'allargamento della problematica a tutti i medici penitenziari regionali comporterà un ulteriore aggravamento della situazione;
   tutta l'operazione condotta dalle ASL non si giustifica nemmeno, come precedentemente asserito dai direttori generali in un'ottica di risparmio di risorse. Il presunto e non provato risparmio ha di fatto comportato un enorme aumento dei costi nelle traduzioni dei detenuti che oggi, nelle carceri del napoletano, per effettuare anche una semplice visita medica specialistica devono essere accompagnati con scorta in uno degli ospedali cittadini, allungando tra l'altro le già insopportabili liste di attesa. Senza contare i maggiori rischi di evasione;
   interpellata a proposito più volte la ASL non si è riusciti a venire a conoscenza del perché non si sia, a tutt'oggi proceduto ad ottemperare ad una sentenza del TAR che prevedeva il reintegro dei medici precedentemente in servizio. A tutt'oggi, per oltre 100 medici è stato fatto ulteriormente slittare al 2 luglio il termine del presunto reintegro senza motivazione alcuna e senza la certezza che quella data non venga ulteriormente spostata come sta accadendo da oltre sei mesi, epoca della sentenza TAR –:
   quali iniziative, nei limiti delle loro prerogative e senza ledere quelle che sono le competenze regionali, i Ministri interrogati intendano adottare al fine di ripristinare, nell'immediato, una situazione di piena funzionalità della medicina penitenziaria stessa intervenendo su una inaccettabile sperequazione nei fatti determinatesi tra i medici della ASL Napoli 1 centro e tutti gli altri medici penitenziari italiani. (4-00982)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 15 giugno 2013 si è tenuto a Rogoredo, alle porte di Milano, un raduno internazionale neo-nazista organizzato dalla Skinhouse di Milano «per sostenere le spese processuali del 1993 di Azione Skinhead» e consistente in un grande concerto di sette gruppi, notoriamente vicini al circuito neonazista internazionale di Stormfront e Blood & Honour, tra cui gli statunitensi Bully Booys, gli inglesi Brutal Attack e i milanesi Corona Ferrea e Adl 122;
   il raduno è stato duramente condannato e osteggiato dal sindaco di Milano Pisapia, ma solo su un piano politico, essendo le autorizzazioni o le azioni preventive, per legge, di competenza della questura e prefettura, e non avendo dunque l'amministrazione comunale potestà di intervento diretto;
   da notizie a mezzo stampa, è risultato che la stessa questura e prefettura avrebbero in realtà le mani legate, poiché la manifestazione è stata organizzata da privati in un capannone preso in affitto in via Vincenzo Toffetti 21, in zona porto di Mare, e dunque la manifestazione non avrebbe bisogno di essere autorizzata;
   la questura, infatti, avrebbe precisato che, poiché non si tratta di manifestazione, ma di un raduno in luogo privato, non c’è stato alcun preavviso per cui si dovesse organizzare un servizio di sicurezza, mentre la prefettura avrebbe dichiarato in un comunicato del pomeriggio che «non emerge per ora un profilo di ordine pubblico per vietare quella manifestazione» e ribadendo comunque di avere preso «tutte le misure necessarie e predisposto i servizi di controlli»;
   desta grave allarme sociale la circostanza che eventi come questo, con o senza la partecipazione di band musicali, si stanno moltiplicando senza sosta, mentre i testi delle canzoni eseguite a Rogoredo propagandano il peggior razzismo e odio contro immigrati, gay ed ebrei –:
   se il Ministro interrogato ritenga sufficienti le attuali normative al fine di garantire, che sia pur in luoghi privati, non avvengano riunioni volte a propagandare l'ideologia fascista, del disciolto partito fascista o neonazista, e quali iniziative urgenti, in caso contrario, intenda adottare al fine di evitare il ripetersi in futuro di analoghe manifestazioni. (5-00411)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI LELLO, DI GIOIA, LOCATELLI e PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono anni ormai che nella vicende quotidiane del nostro Paese si susseguono episodi di disordini pubblici che evidenziano il forte impegno che il nostro Stato richiede alle forze dell'ordine nel gestire e moderare un clima che ogni giorno sembra diventare più ostile;
   è ormai da tempo che in molti Paesi europei le forze di polizia hanno l'obbligo di essere identificabili attraverso l'esposizione di una propria matricola sulle uniformi, in alcuni casi accompagnata in maniera ancora più chiara ed evidente dall'esplicita indicazione del nome e della qualifica del singolo agente;
   già nel 2001 il Consiglio d'Europa ha prodotto un «codice europeo per l'etica della polizia» che fra i suoi principi annovera l'identificabilità delle forze armate come presupposto della loro riconoscibilità e imputabilità di fronte all'opinione pubblica;
   l'identificabilità degli agenti non serve da solo a risolvere il problema della tutela dei cittadini e degli eventuali abusi nella gestione dell'ordine pubblico, ma è un passo necessario per rendere più trasparente l'operato della polizia, impedendo sul nascere possibili impunità, che comunque non possono oscurare il prezioso e generoso contributo offerto a difesa delle istituzioni democratiche e del vivere civile nel nostro Paese –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per il sollecito avvio di una riforma riguardante i suddetti argomenti;
   quali iniziative intenda avviare per adeguarsi alle normative europee.
(4-00971)


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   notizie rilanciate dagli organi di informazione riferiscono che i flussi migratori verso il nostro Paese sono aumentati in maniera esponenziale negli ultimi mesi e gli sbarchi sulle coste italiane hanno raggiunto negli ultimi giorni un numero allarmante;
   benché ne possa ospitare fino a un massimo di 300 persone, il centro di prima accoglienza di Lampedusa versa ormai in stato di emergenza, avendo superato la quota di mille presenze, tra cui numerose donne e minori, anche non accompagnati;
   tale situazione è destinata ad aggravarsi in brevissimo tempo: anche il trasferimento di 80 profughi verso il centro per richiedenti asilo di Mineo si è rivelato un semplice palliativo perché sull'isola solo tra la notte del 17 giugno e il pomeriggio del 18 giugno 2013 sono sbarcati oltre 344 migranti;
   nello stesso stato versa il centro di Roccella Ionica, dove sono ospitati momentaneamente circa duecento immigrati, la gran parte dei quali siriani e pakistani, tanto che dopo uno sciopero della fame la situazione è degenerata a tal punto che numerosi immigrati, oltre un centinaio, hanno lasciato la struttura facendo così perdere le loro tracce;
   nei centri di accoglienza sono all'ordine del giorno tumulti e fughe da parte degli ospiti che mettono a repentaglio non solo la sicurezza pubblica ma anche l'incolumità degli operatori di polizia, come anche testimoniato dalla lettera che il segretario generale del Sap ha inviato al Ministro il 19 giugno 2013;
   il preoccupante flusso di arrivi è destinato ad aumentare notevolmente, se si considera l'attuale conflitto in Siria, e dunque potrebbe assumere l'aspetto di una vera e propria emergenza umanitaria che non può essere lasciata a se stessa, né riversata interamente sul nostro Paese, bensì richiede il necessario intervento anche delle istituzioni comunitarie, presso le quali l'attuale Governo deve immediatamente attivarsi per chiedere l'avvio della procedura di cui alla direttiva 55/2001;
   essendo il nostro un Paese europeo di confine, ove più difficile è il controllo delle frontiere, in gran parte marittime, e dunque più facile meta dei flussi migratori clandestini, non è pensabile che la gestione di tutto il problema dell'immigrazione, anche quando derivante da vere e proprie emergenze umanitarie a seguito di eventi bellici, sia a carico solo del nostro sistema;
   l'attuale situazione di grave emergenza va gestita immediatamente con estremo rigore e con l'avvio di procedure celeri per l'identificazione dei soggetti sbarcati sulle nostre coste, onde distinguere i casi di chi può avere titolo per richiedere una qualche forma di protezione internazionale rispetto a chi non ne ha;
   invece, a fronte delle citate notizie, degli allarmi lanciati anche dalle autorità locali e dell'incremento degli arrivi di extracomunitari, di fatto incentivati anche dalle dichiarazioni quotidiane di esponenti del Governo in direzione di una completa apertura dell'Italia all'immigrazione, non si registra a giudizio degli interroganti una significativa attenzione da parte del Ministro interrogato;
   l'alto numero di clandestini e la continuità degli sbarchi comportano costi assai elevati, anche sotto il profilo della penalizzazione della tradizionale vocazione turistica del nostro Paese –:
   quali siano gli strumenti e le modalità con cui il Governo intende gestire la grave situazione in atto, quali siano i reali intendimenti del Governo in materia di contrasto all'immigrazione clandestina e, in particolare, se il Ministro interrogato non intenda ridare impulso alla cooperazione bilaterale con gli Stati rivieraschi di partenza dei clandestini, finalizzati a pattugliamenti congiunti e all'addestramento delle locali forze di polizia, e quali iniziative intenda avviare anche in sede comunitaria. (4-00978)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VACCA, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, BATTELLI, DI BENEDETTO, D'UVA, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Accordo addizionale tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, sottoscritto il 18 febbraio 1984 e ratificato con la legge 25 marzo 1985 n. 121, consente agli studenti e/o ai loro genitori di esercitare, all'atto della prima iscrizione ad uno dei corsi di studi delle istituzioni scolastiche, di scegliere se avvalersi o se non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica;
   tale scelta ha effetto per l'intero anno scolastico di prima iscrizione e si considera automaticamente confermata per tutti gli anni scolastici successivi per i quali è prevista l'iscrizione d'ufficio. È fatto salvo il diritto di modificare tale scelta iniziale per l'anno scolastico successivo tramite un'espressa dichiarazione dei genitori, che deve pervenire alla scuola entro il termine delle iscrizioni;
   nei confronti degli alunni/studenti che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, devono essere posti in essere tutti gli adempimenti necessari per garantire il diritto di frequentare attività alternative (circolare ministeriale n. 63 del 13 luglio 2011 e circolare ministeriale n. 316 del 28 ottobre 1987; tra l'altro, l'attività alternativa deve essere valutata (decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2009, articolo 2/5) così come avviene per l'insegnamento della religione cattolica: per entrambi su scheda redatta a parte e con giudizi;
   l'articolo 9, commi 2 e 3, della legge n. 121 del 1985, dispone che, nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica (IRC) è garantito a ciascuno e che tale scelta non può dare luogo ad alcuna forma di discriminazione;
   tale garanzia è ribadita, negli identici termini, dall'articolo 310 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante il testo unico disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado;
   la presenza della materia alternativa è ormai da ritenersi obbligatoria da parte della scuola, non solo perché prevista dalla normativa vigente (legge n. 121 del 25 marzo 1985, articolo 9, punto 2, della circolare ministeriale 316 del 28 ottobre 1987), ma anche perché vi sono state alcune sentenze (TAR del Lazio sentenza 15 novembre 2010 n. 33433, Consiglio di Stato sentenza n. 2749 del 16 marzo 2010) che vincolano le scuole ad organizzare queste attività didattiche;
   la circolare ministeriale 96 del 2012 «Iscrizioni per la scuola dell'infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado per l'anno scolastico 2013/2014» prevede che la facoltà di avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica avviene al momento dell'iscrizione mediante la compilazione della scheda online;
   la scelta deve essere operata attraverso la compilazione online dell'allegato C; tale allegato deve essere compilato all'inizio dell'anno scolastico, in base alla programmazione secondo le quattro opzioni previste:
    a) attività didattiche e formative;
    b) attività di studio e/o di ricerca individuali con assistenza di personale docente;
    c) libera attività di studio e/o di ricerca individuali senza assistenza di personale docente;
    d) non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica;
   la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4961 del 28 marzo 2012 riconosce il periodo di servizio preruolo, ai fini della ricostruzione della carriera, prestato in qualità di insegnante delle attività alternative alla religione cattolica;
   ai sensi della vigente contrattazione collettiva nazionale, è del tutto illegittima la prassi di utilizzare nelle supplenze dei colleghi assenti gli insegnanti che abbiano in carico le attività didattiche e formative alternative all'insegnamento della religione cattolica, nelle stesse ore in cui sono programmate le attività alternative –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere al fine di assicurare le attività didattiche alternative all'insegnamento della religione in tutti gli istituti italiani e quali siano le misure che adotterà per le amministrazioni scolastiche che non assicurano le attività alternative all'ora di religione. (5-00413)


   D'UVA, VACCA, MARZANA, DI BENEDETTO e DI BATTISTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — per sapere – premesso che:
   in considerazione della scadenza del secondo mandato del dottor Cesare Romiti, l'Accademia di belle arti di Roma è oggi interessata dall'elezione del nuovo Presidente, il quale – a seguito della presentazione di una terna di nomi da parte degli organi dell'accademia – verrà nominato dal Ministro per l'istruzione, l'università e la ricerca;
   risulta opportuno portare all'attenzione del Ministro sia le modalità con cui si è svolta l'elezione dei soggetti candidati ad essere nominati presidente dell'accademia, sia il profilo dei soggetti eletti, tenuto conto del ruolo istituzionale in campo culturale e scientifico che assume la figura del presidente dell'Accademia di belle arti di Roma;
   in data 6 maggio 2013 la direzione accademica ed il consiglio accademico si riunivano al fine di stabilire i criteri e le modalità per l'elezione della detta terna di nomi, vista l'assenza di un regolamento interno disciplinante la procedura di elezione dei candidati alla presidenza dell'accademia;
   in quella seduta, la maggioranza dei professori e degli studenti chiedeva che la presentazione e la valutazione delle candidature fosse posta all'attenzione del collegio dei professori, ciò al fine di garantire quel principio dell'autogoverno del corpo docente dell'accademia costituzionalmente previsto;
   successivamente, senza aver provveduto alla convocazione del collegio dei professori, nella seduta del 10 maggio 2013 la direzione didattica e il consiglio accademico procedevano alla presentazione delle candidature e all'espletamento delle procedure elettive, secondo i criteri e le modalità stabiliti a maggioranza nella riunione precedente;
   si addiveniva pertanto alla candidatura delle seguenti dodici personalità:
    1) Angiolo Marroni, politico e garante per i detenuti del Lazio; 2) Luciano Zerbinati, politico e presidente dell'associazione Ville d'Italia; 3) Roberto Grossi, direttore generale dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia; 4) Giovanna Marinelli, politico e professore universitario; 5) Carla Fendi, presidente della fondazione Fendi; 6) Giuseppe Scalera, politico e professore universitario; 7) Gaetano Castelli, scenografo; 8) Mario Morcellini, direttore dipartimento universitario, consigliere CUN; 9) Achille Mauri, amministratore delegato gruppo GeMS; 10) Eva Cantarella, professore universitario emerito, Grande ufficiale della Repubblica Italiana; 11) Luca Zevi, architetto e urbanista libero professionista; 12) Roberto Spingardi, presidente Sviluppo Italia;
   il consiglio accademico – a quel che consta all'interrogante senza alcuna previa analisi di ordine valutativo e comparativo dei profili e dei curricula dei soggetti candidati – procedeva all'elezione della tema dei nomi con votazione a scrutinio segreto, anziché con elezione a scrutinio palese (come invece stabilito in data 6 maggio 2013 dallo stesso Consiglio Accademico) con voto a maggioranza dei componenti, che risulta così composta: Roberto Grossi; Angiolo Marroni; Luca Zevi;
   immediatamente dopo lo scrutinio, il consiglio accademico ordinava la distruzione delle schede di voto, rendendo impossibile un'eventuale verifica del numero di voti ottenuti dal singolo eletto, nonché l'accertamento di eventuali anomalie dell'elezione medesima;
   è opportuno rilevare che la distruzione delle schede di voto non è prevista da alcuna disposizione legislativa o regolamentare, né tantomeno era stata precedentemente stabilita dal consiglio accademico nella riunione del 6 maggio 2013;
   ne deriva che l'intera procedura di elezione della terna dei nomi per la presidenza dell'Accademia di belle arti di Roma è stata effettuata secondo gli interroganti in violazione del principio di trasparenza e buon andamento dell'attività della pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione, con conseguente illegittimità della stessa, tenuto conto che la condotta del consiglio accademico è in contrasto con quanto previsto a seguito dell'incontro del 6 maggio 2013, giusto verbale consiglio accademico n. CA/166:
   con riferimento invece al profilo dei soggetti eletti, è bene evidenziare che nelle riunioni del consiglio accademico, come peraltro risulta dal verbale CA n. 166, i componenti dello stesso organo accademico concordavano che il nuovo presidente dell'Accademia di belle arti di Roma fosse un soggetto di alto profilo istituzionale con esperienza nel campo della cultura, anche tenuto conto della fase di riforma universitaria che interessa le Accademie di belle arti;
   difatti, le Accademie di belle arti del nostro Paese chiedono da anni al legislatore di essere integrate nel sistema universitario nazionale, considerato altresì il fatto che oggi, dopo la legge di stabilità del dicembre 2012, il titolo di studio conseguito al termine dei corsi accademici di I e II livello è stato dichiarato equipollente alle lauree e lauree magistrali. In conseguenza di ciò, anche l'ANVUR – Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca – ha avviato le procedure di valutazione relative alle Accademie di belle arti, per consentire la suddetta integrazione universitaria;
   risulta pertanto di fondamentale importanza la nomina di un presidente che possieda conoscenze e competenze nel campo della cultura, dell'arte e della formazione superiore di livello terziario, e che abbia capacità e competenze di gestione e direzione di strutture universitarie (dipartimenti, facoltà), necessarie a far sì che l'Accademia di belle arti torni a svolgere un ruolo di primaria importanza nello scenario della formazione artistica europea e internazionale –:
   se intenda adottare tempestivamente ogni iniziativa necessaria, in relazione al corretto svolgimento dell'elezione tenutasi in data 10 maggio 2013 e, in caso di riscontrate irregolarità, se ritenga opportuno richiedere una nuova terna di nomi dalla quale sarà successivamente scelto il presidente dell'Accademia di belle arti di Roma. (5-00419)


   MALPEZZI, COCCIA, COSCIA, CAROCCI, FARAONE, GHIZZONI e ROCCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 maggio 2013, con deliberazione n. 200, il consiglio comunale di Palermo ha approvato all'unanimità la mozione recante: «Istituzione scuola materna per bambini affetti da sindrome autistica»;
   tale mozione si basa sulle «linee guida di organizzazione della rete assistenziale per persone affette da disturbo autistico» approvate da decreto dell'assessore alla sanità 1° febbraio 2007 che prevedono l'intervento educativo precoce in tutti i contesti di vita delle persone affette da disturbo autistico;
   tuttavia in tale documento nel capitolo «L'intervento rivolto alla scuola» si afferma che: «la scuola rappresenta un momento fondamentale di integrazione dei disabili così come garantito dalla legislazione scolastica (....) considerata l'età e il livello di sviluppo, l'ambiente scolastico va inteso come uno spazio preposto a favorire lo sviluppo di competenze socio-adattive ed apprendimenti funzionali»;
   inoltre, l'articolo 12 della legge n. 104 del 1992, «legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» stabilisce che tutti gli alunni in situazione di handicap hanno diritto a frequentare le classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado (scuola dell'infanzia, primaria, media e superiore);
   in particolare: il comma 1 prevede che «al bambino da 0 a 3 anni handicappato è garantito l'inserimento negli asili nido»; il comma 2 stabilisce che: «è garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie»; il comma 3 stabilisce che: «l'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione»; il comma 4 prevede che: «l'esercizio di tale diritto all'educazione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap»;
   inoltre, il comma 1 dell'articolo 13 della medesima legge garantisce il diritto all'integrazione della persone con handicap nelle sezioni comuni delle scuole di ogni ordine e grado;
   l'articolo 13, comma 2, della legge n. 104 del 1992, stabilisce che è compito degli enti locali e delle unità sanitarie locali, organizzare gli asili nido per renderli adeguati alle esigenze dei bambini portatori di handicap, onde permettere gli interventi di recupero e socializzazione. Inoltre, indica come sia compito degli enti locali, fornire gli operatori e assistenti specializzati;
   con la legge n. 270 del 1982, articolo 12, commi 2 e 3, si riconoscono gli interventi di sostegno anche nelle scuole materne e si fissa il numero massimo di bambini che ogni sezione deve avere: un numero massimo di 30 bambini ed un numero minimo di 13 bambini, ridotti, rispettivamente a 20 e a 10 per le sezioni che accolgano bambini portatori di handicap;
   inoltre, la sentenza della Corte costituzionale 467/2002 ha stabilito che i bambini in situazione di handicap iscritti negli asili hanno diritto a percepire l'indennità di frequenza. Tale pronuncia oltre a investire il riconoscimento di un diritto a contenuto economico riafferma il diritto all'educazione e all'integrazione dei minori così come previsto dalla legge quadro sull'handicap n. 104 del 1992 nell'articolo 12, comma 1;
   infine, numerosi studi dimostrano come l'integrazione scolastica per il bambino autistico rappresenti un obiettivo prioritario e di grande valenza adattiva. Infatti, vivere in relazione con coetanei normodotati costituisce un'occasione pressoché unica non solo per ricercare apprendimenti funzionali, ma anche per comprendere meglio il mondo circostante e per generalizzare in situazione degli apprendimenti specifici acquisiti in ambito riabilitativo –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo, anche promuovendo intese specifiche nell'ambito della Conferenza Stato-regioni, per assicurare la piena integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap, in modo da evitare che si verifichino casi come quello di cui in premessa che ad avviso degli interroganti si pone in evidente contraddizione con la legislazione vigente in materia di integrazione scolastica degli alunni con handicap e con le norme di buon senso e civiltà che stabiliscono che ogni bambino ha il diritto di esprimere e sviluppare al meglio le proprie potenzialità, soprattutto, nell'ambito delle esperienze scolastiche dove l'integrazione deve essere realizzata sul duplice versante degli apprendimenti e della socializzazione. (5-00420)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i sistemi aeroportuali sono infrastrutture critiche sempre più complesse e interdipendenti a causa del progressivo incremento del traffico aereo. L'incremento della domanda di trasporto ha comportato il miglioramento del rapporto qualità-costo dei servizi, ma al contempo ha esposto ed espone le infrastrutture aeroportuali a nuove ed impreviste vulnerabilità. I guasti tecnici e gli eventi dolosi (anche terroristici) hanno infatti sempre più effetti potenziali di tipo catastrofico. Tali rischi costituiscono un reale pericolo per lo sviluppo sostenibile del sistema Paese;
   l'Unione europea è fortemente impegnata in materia di protezione delle infrastrutture critiche promuovendo attività di ricerca e promulgando norme e regolamenti nell'ambito del EPCIP (European Program on critical Infrastructure Protection). Il Consiglio dell'Unione europea ha infatti emanato in data 8 dicembre 2008 la direttiva 2008/114/CE relativa all'individuazione di elementi atti a migliorarne la protezione. La protezione delle infrastrutture critiche è attualmente uno degli argomenti di maggiore interesse per ENAC: come riportato da fonti giornalistiche TV e stampa, le attività di verifica hanno riscontrato la presenza di elevati rischi non gestiti degli attuali sistemi, basati sull'utilizzo della risorsa umana come fulcro dei processi di analisi e rilevazione di azioni dolosi o accidentali;
   per tali ragioni alcune società afferenti alle questioni sicurezza, ambiente e gestione aeroportuale raggruppate in partnership tra cui: ADR Engineering s.p.a. (società del Gruppo ADR e capofila del progetto), SESM S.c.a.r.l (società del gruppo Finmeccanica), BV-TECH s.p.a., CIRA S.C.p.A. (Centro italiano di ricerche aerospaziali), SACAL s.p.a. (Gestione aeroporto di Lamezia Terme – End User) hanno presentato un progetto a valere sul DD 84/Ric. del 2 marzo 2012 – avviso «Smart Cities and Communities and Social Innovation»;
   tale progetto, ricadente nel PON ricerca e competitività 2007-2013 per le regioni dell'obiettivo di convergenza Campania, Puglia, Calabria e Sicilia inerisce il settore/ambito ambiente e sicurezza con riferimento a «sistemi integrati per la sicurezza, per il controllo, il monitoraggio e la gestione delle risorse ambientali, delle infrastrutture e per la gestione di emergenze e la sicurezza» con particolare riferimento all'applicazione in modo integrato di tecnologie volte ad innalzare la sicurezza dei sistemi aeroportuali;
   tale progetto, denominato SAFE-NET con decreto direttoriale del 12 novembre 2012 prot. n. 755/RIC è stato classificato nella seconda posizione della fascia B – domande di agevolazione idonee al finanziamento;
   la tecnologia proposta nel progetto SAFE-NET permette l'incremento del livello dei requisiti di sicurezza fornendo agli operatori dati integrati e processati per una corretta attuazione delle procedure di contingency. La tecnologia permette di integrare eventuali gap di attenzione o di preparazione degli operatori, garantendo il mantenimento degli obiettivi di sicurezza;
   attualmente non esistono sistemi che sono in grado di garantire gli obiettivi descritti nel progetto SAFE-NET;
   il progetto prevede una fase di sperimentazione presso l'aeroporto internazionale di Lamezia Terme, nel cui comune è previsto l'allestimento del centro di simulazione e addestramento per gli operatori della sicurezza per tutti gli aeroporti italiani. La sua successiva implementazione presso l'aeroporto Leonardo da Vinci permetterà al sistema di avere una visibilità non solo nazionale ma internazionale vista l'importanza di tale scalo. Avere un sistema in funzione presso un hub internazionale è il miglior veicolo di marketing per sistemi di tale complessità. Questo permetterà alle società facenti parte del partenariato, di poter proporre tale sistema sia agli altri scali italiani sia a quelli europei e internazionali, creando una notevole ricaduta occupazionale sia nelle regioni fuori obiettivo che nelle regioni obiettivo ed in particolare la Calabria, con la presenza del centro di simulazione ed addestramento presso l'aeroporto di Lamezia Terme. Tale centro rappresenterà il fulcro della formazione di tutti gli operatori della sicurezza aeroportuale;
   il progetto dichiarato ammissibile al finanziamento, prevedeva una durata di 36 mesi. Tra l'altro il partenariato ha già posto in essere le attività propedeutiche necessarie all'inizio del progetto. Questo permetterà di ridurre i tempi di esecuzione garantendo il completamento delle attività entro maggio 2015;
   la riduzione dei tempi è stata ottenuta anticipando l'inizio della fase di simulazione e sperimentazione già all'inizio del secondo anno di attività progettuale, mettendo in parallelo le attività di sviluppo con le attività di integrazione e validazione;
   si tratta di un notevole progetto la cui fattibilità apporterebbe significative ricadute economiche ed occupazionali legate sia alle attività progettuali che all'indotto;
   seppur ritenuto valido come progetto, allo stato attuale risulta un blocco nell'erogazione dei finanziamenti –:
   per quali motivi questo progetto ad oggi non abbia avuto il finanziamento, pur essendo stato ritenuto ammissibile;
   se le risorse spettanti siano state indirizzate su altri progetti e quali siano, in tal caso, le ragioni che giustifichino tale decisione. (4-00973)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   MARTELLI e CARRA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il tempo di recessione che si sta attraversando sta mettendo a dura prova l'economia e l'equilibrio sociale delle comunità con la conseguenza che il bisogno dei servizi erogati dalle amministrazioni comunali e terzo settore è in costante aumento;
   in data 24 gennaio 2013 la Conferenza unificata delle regioni, pur tornando a «sottolineare il sostanziale prosciugamento delle risorse destinate alle politiche sociali e l'esiguità dei fondi previsti che rappresentano solo un primo e insufficiente riscontro alle esigenze drammatiche del settore», ha dato comunque il via libera al riparto del Fondo per la non autosufficienza e al Fondo nazionale per le politiche sociali per l'anno 2013;
   per il 2013 le risorse destinate al fondo per le politiche sociali ammontano a 300 milioni di euro;
   l'attuale ritardo nell'erogazione del Fondo nazionale politiche sociali impedisce ai comuni di programmare, attraverso i piani di zona, quelle azioni di sviluppo indispensabili per adeguare l'offerta dei servizi ai nuovi bisogni delle persone –:
   quali siano allo stato attuale i tempi necessari all'erogazione delle risorse di cui al fondo delle politiche sociali alle regioni anche tenuto conto degli adempimenti dovuti dalle stesse in ordine alla riduzione dei costi della politica. (3-00136)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la persistenza della crisi socio-economica in atto vede il settore editoriale profondamente coinvolto, considerato il forte calo delle tirature e delle fogliazioni delle riviste;
   è notizia riportata sulla stampa (Il Giorno – ediz. Di Sud Milano; L'Avvenire – ediz. Milano e Lombardia) del 20 giugno 2013 quella del rischio di chiusura della Ecolgraf di Melzo, storico stabilimento di Via Marco Polo, che opera da decenni nel campo della stampa e della tipografia;
   il 5 febbraio 1990 – si ricorda – apre a Melzo la Arnoldo Mondadori Printing, azienda tipografica del famoso gruppo editoriale; nel 2008, l'accordo Mondadori-Pozzoli ha permesso a quest'ultimo gruppo di divenire al 100 per cento proprietario dell'industria grafica (rilevando prima l'80 per cento della Mondadori Printing e nel 2012 il restante 20 per cento);
   a gennaio 2013 l'azienda prende il nome di Ecolgraf, ma nello stesso periodo si apre tra i vertici di Pozzoni e Mondadori uno scontro in merito alla richiesta della Mondadori di abbassare le commesse almeno del 30 per cento, sebbene fossero state già fissate fino al 2017 nel contratto di cessione siglato nel 2008;
   le commesse di Mondadori rappresentano più del 60 per cento di fatturato di Ecolgraf e il 90 per cento del fatturato dello stabilimento melzese, che stampa quasi esclusivamente periodici Mondadori;
   il 6 giugno 2013, nella sede centrale a Verona, i gruppi si sono accordati per attuare la scontistica richiesta;
   tale decisione comporta la necessità per Ecolgraf di recuperare 20 milioni di euro derivati sia dagli sconti sulle tariffe per le commesse, che dal calo dei volumi e della produttività;
   l'azzeramento della sede melzese con la chiusura dello stabilimento coprirebbe 6,5 milioni dei 20 da recuperare;
   tale ipotesi mette a rischio 140 posti di lavoro, vale a dire più di un centinaio di famiglie prive di sostentamento in un contesto socio-economico già avverso;
   i sindacati hanno avanzato la proposta di «rinunciare alla 14a e premi di produzione, in cambio di certezze che lo stabilimento di Melzo rimanga aperto per un periodo stabilito e concordato» –:
   se e quali iniziative di propria competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare a tutela dei dipendenti della Ecolgraf di Melzo ed a salvaguardia dei posti di lavoro, anche attraverso l'apertura di un tavolo di confronto con tutte le parti interessate dalla vicenda. (5-00414)


   ROSTELLATO, BALDASSARRE, COMINARDI, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i contratti di lavoro intermittente già sottoscritti al 18 luglio 2012 non compatibili con la nuova disciplina cessano di produrre effetti decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della «riforma Fornero» (che è entrata in vigore il 18 luglio 2012), e quindi dal 18 luglio 2013 cesseranno di produrre effetti e l'eventuale prestazione resa in violazione del divieto sarà considerata in «nero» (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, circolare 18 luglio 2012, n. 18);
   non è possibile imporre un contratto part-time di tipo orizzontale o verticale per le attività dove non è concepibile prevedere la prestazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della su esposta situazione e delle criticità ad essa connesse;
   se allo stato attuale siano state poste in essere iniziative per individuare alternative alla cessazione di tali contratti intermittenti che non rispettano i requisiti di età imposti dalla riforma. (5-00415)


   ROSTELLATO, BALDASSARRE, COMINARDI, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   mediante il contratto di lavoro intermittente – noto anche come «lavoro a chiamata» ovvero «job on call» – un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa, secondo particolari modalità e nel rispetto di alcuni limiti e si caratterizza per il fatto che associa alla subordinazione la discontinuità della prestazione lavorativa, che deve essere resa solo nei casi in cui sia richiesta dal datore di lavoro;
   a parere dell'interrogante, tale tipologia contrattuale se da un lato favorisce l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, nel rispetto sia delle esigenze del singolo che dell'impresa, dall'altro lato favorisce sempre più il sorgere di «lavoro nero» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della su esposta situazione e delle criticità ad essa connesse;
   se vi siano, allo stato attuale, presso il Ministero forme di monitoraggio rispetto all'utilizzo da parte dei datori di lavoro della tipologia contrattuale «intermittente». (5-00416)


   ROSTELLATO, COMINARDI, TRIPIEDI, RIZZETTO, CIPRINI, BECHIS e BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 1° gennaio 2013 non è più possibile stipulare contratti di inserimento ed applicare le agevolazioni normative e contributive che questa tipologia contrattuale riservava all'assunzione di giovani, donne, persone con handicap e lavoratori con più di 50 anni;
   contestualmente sono state introdotte con la legge n. 92 del 2013 e successive specifiche con la circolare INPS n. 13/2013, due nuove agevolazioni contributive: una dedicata ai lavoratori ultracinquantenni disoccupati da almeno 12 mesi, sia donne che uomini, l'altra dedicata alle donne che si trovano in determinate condizioni di svantaggio;
   tale incentivo introdotto dall'articolo 4, commi da 8 a 11 della legge n. 92 del 2012 (Riforma Fornero), consiste nella riduzione nella misura del 50 per cento dei contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro per assunzioni sia a tempo determinato (anche in somministrazione) per la durata di 12 mesi, che a tempo indeterminato per la durata di 18 mesi e che analoga durata (18 mesi complessivi) potrà essere usufruita anche nel caso di trasformazione del contratto a termine in uno a tempo indeterminato;
   lo sgravio in questione che rappresenta a ben vedere l'unica tipologia incentivante la stipula di contratti di lavoro con lavoratori over 50 e donne, pur essendo stata regolamentata nel dettaglio dal decreto firmato ad aprile dall'allora Ministro del Lavoro Elsa Fornero, che ne ha oltretutto ribadito la piena operatività già a decorrere dal 1° gennaio 2013, presenta gravissimi punti di criticità laddove gli operatori del settore sono tuttora in attesa delle note operative INPS indispensabili per la definizione delle modalità di presentazione dell'istanza e soprattutto dei codici autorizzazione e delle causali da inserire in UNIEMENS, affinché l'azienda possa correttamente usufruire dell'agevolazione spettante;
   gli operatori non possono fruire di tale agevolazione in quanto, come precisato dall'INPS «tali misure agevolate verranno illustrate con apposita circolare, dopo gli opportuni chiarimenti e le necessarie determinazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (cfr. articolo 4, commi 8-11, legge n. 92 del 2012)» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della su esposta situazione e se non ritenga opportuno intervenire al fine di dare attuazione alle agevolazioni su esposte. (5-00417)


   ROSTELLATO, BALDASSARRE, COMINARDI, CIPRINI, BECHIS, RIZZETTO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'utilizzo del lavoratore intermittente, è possibile previa comunicazione prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, mediante il nuovo modello «UNI-Intermittente» da compilarsi esclusivamente tramite strumenti informatici (decreto ministeriale 27 marzo 2013, entrato in vigore decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale);
   il nuovo modello deve essere trasmesso esclusivamente tramite e-mail all'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) appositamente creato, tramite il servizio informatico reso disponibile sul portale www.cliclavoro.gov.it. con un sms contenente una lettera, seguita dal codice fiscale del lavoratore;
   è stato previsto fino al 19 dicembre 2012 l'utilizzo del fax indirizzato alla direzione territoriale del lavoro competente (largamente utilizzato data la semplicità di utilizzo e dell'applicazione) e poi abolito e utilizzato solo in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici ed in tal caso il datore o il suo consulente devono conservare, ai fini della prova, la comunicazione di malfunzionamento del sistema;
   a parere dell'interrogante, tale tipologia di comunicazione risultava molto più agevole tra gli operatori, in quanto non tutti sono in possesso di capacità tecniche nell'utilizzare e-mail, o sms e ciò ha comportato ulteriori disagi ai datori di lavoro costretti a rivolgersi, a seguito dell'abolizione di tale possibilità, direttamente al proprio consulenti del lavoro, anche nei giorni festivi ed in orari non lavorativi, gravando gli stessi di ulteriori costi aggiuntivi –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza della sopra esposta situazione, e delle criticità ad essa connesse;
   quali siano le motivazioni di tale scelta, e se alla data attuale si sta provvedendo a realizzare strumenti più idonei e più accessibili ai vari operatori.
(5-00418)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBANELLA e INCERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il difficile contesto socio-economico che da anni caratterizza il nostro Paese ha assunto dimensioni fortemente preoccupanti; la vita di milioni di famiglie italiane è sempre più esposta al rischio di impoverimento, il prolungamento della crisi economica ha fortemente indebolito il sistema produttivo italiano, rendendolo più fragile ed esposto a una crisi di competitività che si ripercuote sui lavoratori e sul loro posto di lavoro;
   le regioni, che vivono con particolare sofferenza questa drammatica e prolungata congiuntura, sono sempre più consapevoli della necessità di interventi urgenti volti al sostegno dei tanti lavoratori estromessi dal circuito produttivo a causa del protrarsi della recessione;
   gli ammortizzatori sociali rappresentano, soprattutto in questo periodo, l'unico strumento di sostegno al reddito per decine di migliaia di persone che rischiano di essere relegate in una posizione di marginalità economica e sociale;
   oltre alla esigenza di reperire le risorse necessarie alla copertura dell'intero fabbisogno del 2013, le interroganti ritengono indispensabile operare al fine di ottimizzare i tempi occorrenti per l'espletamento delle procedure relative alla emanazione dei decreti di concessione degli interventi di sostegno al reddito; sempre più spesso giungono, infatti, segnalazioni che evidenziano un inaccettabile dilazionamento dei tempi di erogazione delle risorse, a causa dei ritardi provocati dalle difficoltà degli uffici competenti a disbrigare in tempi ragionevoli i procedimenti necessari al loro perfezionamento;
   stante la legittimità e regolarità delle domande e la correttezza delle procedure attinenti le richieste di concessione, tali difficoltà sono dovute nella maggior parte dei casi alla scarsezza del personale preposto, il cui numero – rimasto inalterato nel corso di questi drammatici anni – non appare, purtroppo, sufficiente a garantire l'indispensabile sollecitudine nell'espletazione dei relativi iter procedurali;
   le interroganti, data la straordinarietà del momento, contrassegnato da un notevole incremento delle richieste di concessione degli ammortizzatori sociali, ritengono non più tollerabile tale situazione, poiché ogni ritardo nell'emanazione di un decreto di concessione degli ammortizzatori sociali provoca un differimento dell'erogazione delle somme, alimentando il rischio di tensioni sociali, soprattutto in alcune regioni italiane, duramente colpite dalla crisi –:
   se, data la straordinarietà dell'attuale contesto economico e sociale, non intenda adoperarsi con la massima urgenza al fine di rendere più rapide possibile le procedure attinenti l'emanazione dei decreti di concessione degli interventi di sostegno al reddito, anche mediante il potenziamento delle strutture a esso preposte. (4-00974)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, PARENTELA e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si sta ingenerando nei consumatori italiani una notevole preoccupazione circa la pericolosità del latte nazionale e dei suoi derivati;
   già pochi giorni orsono si era acclarato il caso di latte contaminato dal batterio patogeno Brucella in alcune filiere bufaline del Casertano, dove alcuni allevatori avevano mascherato fraudolentemente l'evenienza dell'infezione bufalina;
   il giorno 20 giugno 2013 i carabinieri del NAS di Udine hanno arrestato il manager del Cospalat del Friuli Venezia Giulia, Renato Zampa, nell'ambito dell'indagine sulla messa in commercio di latte contaminato con sostanze tossiche;
   nell'operazione sono indagate in tutto 24 persone, tra cui anche autisti di mezzi del trasporto incaricati di commerciare latte con Paesi balcanici, per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio, all'adulterazione di sostanze alimentari e al commercio di alimenti potenzialmente nocivi; per altri cui è pervenuto l'avviso di garanzia, si è ravvisato anche il reato di furto di latte;
   la contaminazione del latte di Udine consiste nella presenza di residui di antibiotici e di aflatossine;
   la presenza delle aflatossine, agenti accertati scientificamente come cancerogeni, è un fattore di tossicità particolarmente insidioso per l'infanzia;
   non è nota nel caso di specie l'esposizione dei consumatori del latte e dei suoi derivati per la contaminazione in questione –:
   quale sia l'orientamento del Governo, per quanto di competenza, in merito alla questione al fine di rassicurare la popolazione italiana e i produttori onesti circa la repressione e soprattutto la prevenzione delle frodi tossiche sul latte, anche in relazione all’import di latte «triangolato», in modo che comunque la presenza delle afiatossine sia limitata, all'interno dei parametri internazionali di tollerabilità, in tutte le matrici alimentari. (4-00977)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   SANGA. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale congiuntura economica negativa ha diminuito le capacità di spesa del consumatore medio, rendendo maggiormente appetibile una vasta gamma di prodotti non originali, ormai presenti in tutti i settori del mercato, secondo diverse fasce di prezzo;
   l'utilizzo di nuove tecnologie ha reso più semplice l'imitazione, la duplicazione e la falsificazione di un'ampia area di prodotti, aprendo letteralmente il mercato legale alla penetrazione di merce contraffatta;
   secondo le analisi più recenti, il commercio del falso nel nostro Paese, con il solo riferimento al mercato interno (senza dunque considerare la quota di merci contraffatte che partono dall'Italia verso l'estero), avrebbe prodotto un fatturato annuo di circa 7 miliardi di euro, con un'ingente perdita per il bilancio dello Stato, in termini di mancate entrate fiscali;
   a tali effetti negativi sul piano dell'economia nazionale, si aggiungono i pericoli che, come di recente testimoniato da un episodio di cronaca, l'utilizzo di prodotti contraffatti può comportare per la salute dei cittadini, posto che questi ultimi tendono ad inserirsi con sempre maggiore frequenza nel circuito produttivo legale, sfuggendo a qualsiasi tipologia di controllo e senza alcun tipo di garanzia per i consumatori;
   è notizia di mercoledì scorso che tre dirigenti di un'importante casa farmaceutica di Anagni sono stati arrestati dai carabinieri del Nas di Latina con l'accusa di aver contraffatto un medicinale, l'Ozopulmin, utilizzato per la cura di affezioni respiratorie di bambini e lattanti;
   secondo quanto riportato dai principali quotidiani nazionali, i titolari dell'azienda interessata, non avendo più a disposizione il principio attivo del farmaco a causa di un disaccordo commerciale con la ditta fornitrice, per assicurare la continuità del prodotto nelle farmacie e non perdere quote di mercato, avevano deciso di avviare comunque la produzione di lotti di farmaco contraffatti, nella piena consapevolezza di esporre a rischi per la salute un considerevole numero di persone e di bambini;
   le indagini condotte dai carabinieri del Nas, che hanno portato al sequestro di tre lotti di medicinale, per un totale di 35 mila confezioni, hanno accertato che nei farmaci era presente una sostanza simile al principio attivo proveniente dalla Francia e normalmente usata per cosmetici ed integratori alimentari. I medicinali non solo risultavano inefficaci, ma erano in grado di simularne la presenza del principio attivo in virtù durante all'esito delle analisi obbligatorie eseguite sul prodotto finito;
   alla luce del quadro delineato, nonché dei frequenti episodi di cronaca cui si assiste, appare assolutamente necessario intervenire per non lasciare i cittadini-consumatori in balia di fenomeni che, in mancanza di un'azione sinergica di monitoraggio e controllo da parte delle istituzioni e degli enti a ciò preposti, possono incidere direttamente sulla sicurezza e sulla incolumità di tutta la popolazione –:
   se i Ministri suddetti ritengano di dover assumere le iniziative di competenza per garantire ai cittadini un'adeguata protezione rispetto ai fenomeni della contraffazione, in particolare modo laddove ad essere coinvolti risultino comparti e settori produttivi, quali ad esempio l'industria farmaceutica, i cui prodotti possono incidere negativamente e direttamente la salute dei consumatori. (4-00975)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TULLO e BASSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2011 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato sottoscritto un accordo di programma tra lo stesso Ministero, Fincantieri, autorità portuale di Genova, regione Liguria, provincia e comune di Genova per la realizzazione di un nuovo piazzale di 117.000 metri quadrati nel cantiere navale Fincantieri di Genova Sestri Ponente (ribaltamento a mare);
   l'intervento è teso a migliorare la potenzialità dello stabilimento navalmeccanico genovese, cantiere che grazie alle capacità professionali delle maestranze ha contribuito nel corso degli anni a fare di Fincantieri un'azienda di eccellenza del settore e che con i nuovi spazi infrastrutturali e gli investimenti per nuovi impianti previsti da parte di Fincantieri, lo metta in condizione di poter corrispondere e competere con le nuove esigenze del mercato delle costruzioni navali;
   l'accordo di programma prevedeva un intervento di 70 milioni di euro da parte del Governo;
   a distanza di due anni dalla sottoscrizione dell'accordo di programma, l'autorità portuale di Genova non è stata ancora messa nelle condizioni di procedere alla gara d'appalto ai fine di avviare i lavori per la mancanza del trasferimento delle risorse stanziate a partire dalla prima tranche di 20 milioni di euro già deliberata dal CIPE;
   il ritardo dell'avvio dei lavori e la loro realizzazione condizionano negativamente il futuro dei cantiere in relazione ai carichi di lavoro e conseguentemente ai livelli occupazionali;
   l'attività prevista, di riempimento dello specchio acqueo interessato è anche una risposta per raccogliere lo «smarino» determinato da materiale di scavo di importanti opere che interessano il territorio genovese a partire dal terzo valico dei Giovi –:
   quali siano le ragioni che stanno determinando un assurdo e ingiustificato ritardo nel trasferimento delle risorse stanziate al fine della realizzazione dell'accordo di programma per l'ammodernamento e il potenziamento del cantiere navale di Sestri Ponente;
   quali iniziative si intendano assumere per sbloccare immediatamente questa paradossale situazione, che sta determinando legittime preoccupazioni tra le istituzioni coinvolte ed in particolare tra i lavoratori e le loro famiglie. (5-00410)


   RIBAUDO, CULOTTA e TARANTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Telespazio, una joint venture tra Finmeccanica (67 per cento) e Thales (33 per cento) è tra i principali operatori mondiali nella gestione dei satelliti, nei servizi di osservazione della terra, di navigazione satellitare, di connettività integrata;
   Telespazio ha il suo quartier generale a Roma e ha anche una serie di siti distaccati situati in Abruzzo (Fucino), in Lombardia (Lario), a Matera e in Sicilia (Scanzano);
   nelle ultime riunioni aziendali della società Telespazio l'amministratore delegato, dottor Carlo Gualdaroni, ha presentato il piano industriale relazionando una serie di risultati positivi per l'azienda e per molti dei suoi diversi siti di produzione con utili interessanti (34 milioni di euro Centro Spaziale di Fucino e 6 milioni Lario), comunicando strategie industriali ambiziose e di grande interesse commerciale in Italia ma anche all'estero, con ottime commesse;
   tali positività non riguardano, tuttavia, il sito di Scanzano per il quale sembra che l'azienda dall'ultimo incontro tenutosi il 5 giugno 2013, per voce dello stesso amministratore delegato, ha dichiarato l'intenzione di voler passare dalla cassa integrazione ordinaria per carenza di commesse alla cassa integrazione straordinaria per dimissione del sito, ciò a decorrere dal 7 luglio 2013;
   il centro spaziale dello Scanzano costa, tutto compreso, solo 1,8 milioni di euro l'anno ed è un sito dalle grandi potenzialità produttive; il centro, nel territorio di Piana degli Albanesi (Palermo), conta un organico di circa 26 unità e 5 antenne; le attività ricoprono il campo delle telecomunicazioni voce e dati e dei servizi di radionavigazione e infomobilità;
   tale centro riveste un ruolo fondamentale per il territorio, per cui non è immaginabile che venga sottoposto ad un ingiustificato piano di dimensionamento quando dovrebbe essere al centro di un nuovo corso di sviluppo che sia da volano per l'economia del territorio già fortemente penalizzato; a giudizio degli interroganti, l'importanza del medesimo sito spaziale, appare strategica ed essenziale sia, come precedentemente riportato, per la sua posizione geografica favorevole e cruciale, in considerazione del fatto che il sito siciliano dello Scanzano situato nei pressi dell'omonimo lago artificiale, a circa 40 chilometri da Palermo, rispetto alle regioni oceaniche dell'Atlantico e dell'Indiano, consente la visibilità di gran parte dei satelliti delle due aree con condizioni operative ottimali, che nell'ambito delle potenzialità enormi che il centro spaziale può offrire sia nella telecomunicazione satellitare che nel telerilevamento e la meteorologia;
   il Governo Letta con l'annunciato decreto del «fare» ha ribadito la volontà di investire su settori strategici che riguardano l'innovazione tecnologica, la new economy e il rilancio dell'industria italiana in settori importati come le telecomunicazioni, proprio con i protagonisti dell'aerospazio;
   non si comprende per quale motivo l'azienda non abbia applicato un criterio di riequilibrio interno delle attività tra i vari centri, distribuendo le commesse a tutti i centri, viceversa ha preferito privilegiare le strutture di Lario e Fucino che a tutt'oggi non soffrono alcuna riduzione di attività;
   si è dovuto attendere il 2012 per fornire il sito di Scanzano, con un investimento di 2 milioni di euro, di una risorsa fondamentale quale un collegamento in fibra ottica ridondato verso la rete telematica italiana, quando già nel 2005 tale collegamento si è rivelato di vitale importanza per rendere il sito di interesse per operatori e clienti nell'ambito delle telecomunicazioni satellitari;
   la riduzione delle attività prevista dalla Telespazio peraltro rende inutile anche l'investimento sulla fibra ottica precedentemente citato;
   non è comprensibile infine la ragione per cui non si è provveduto prima a recuperare gli «asset» satellitari a giudizio degli interroganti «svenduti» da Telecomitalia nel 2002 durante la «gestione del gruppo Pirelli» –:
   se il Governo non ritenga che con la cancellazione di Telespazio in Sicilia, di fatto, si è annullata qualsiasi politica industriale nel settore delle telecomunicazioni, con un comportamento che appare agli interroganti gravemente discriminatorio nei confronti delle aree del Sud che ancora una volta vengono penalizzate dalle scelte dei Governi;
   se il Ministro disponga di elementi in merito alle scelte di Telespazio e se in particolare nei piani aziendali di tale azienda, sia stato considerato il futuro dei lavoratori di Scanzano, compreso tutto l'indotto;
   quali azioni intenda intraprendere a tutela dei lavoratori di Scanzano ma anche a tutela di un territorio, quello siciliano, che vede sempre più aziende abbandonare i loro siti dopo anni in cui hanno beneficiato di contributi quasi mai totalmente reinvestiti nei siti locali;
   quali siano state le scelte che hanno portato alla crescita del personale sull'area romana del 30 per cento negli ultimi 2 anni in contrapposizione all'utilizzo di ammortizzatori sociali, quali la cassa integrazione speciale a zero ore e a rotazione attivata dal mese di gennaio del 2013 nel sito di Scanzano;
   quali siano gli ostacoli per avviare delle sinergie tra l'ASI – Agenzia spaziale italiana – e Telespazio al fine di utilizzare al meglio il centro di Scanzano;
   quali siano gli ostacoli per avviare delle sinergie o collaborazioni con il Ministero della difesa per l'uso del sito in ambito militare;
   quali siano gli ostacoli per avviare delle sinergie o collaborazioni con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per sfruttare ai fini della ricerca gli impianti del sito di Scanzano;
   quali siano gli ostacoli per avviare delle sinergie o collaborazioni con la protezione civile in ambito nazionale e regionale;
   se non ritenga opportuno assumere l'impegno di convocare un tavolo congiunto con la regione siciliana, coinvolgendo Finmeccanica e la stessa Telespazio, in una discussione sul futuro della politica dell'industria delle telecomunicazioni in Sicilia e nello specifico del centro Telespazio di Scanzano. (5-00412)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Scuvera e altri n. 1-00108, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Blazina.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Valeria Valente e altri n. 5-00395, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Salvatore Piccolo.

  L'interrogazione a risposta scritta Gagnarli n. 4-00969, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: L'Abbate, Parentela, Massimiliano Bernini, Benedetti, Zaccagnini, Baldassarre, Gallinella, Lupo.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 20 giugno 2013, alla pagina 2447, prima colonna, dalla riga quarantesima alla riga quarantatreesima deve leggersi «Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini, Zolezzi, Gasbarra, Marzano, Decaro, Pastorino, Mattiello, Gigli, Gadda» e non come stampato.