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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 17 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni, recante il codice delle assicurazioni private, stabilisce, all'articolo 138, la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, nonché, all'articolo 139, la predisposizione, con la medesima procedura, di una specifica tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra uno e nove punti di invalidità;
    finalità degli articoli 138 e 139 del citato decreto legislativo, e dei successivi provvedimenti attuativi, è pertanto la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa della responsabilità civile automobilistica, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità;
    il Ministro della salute ha istituito, il 26 maggio 2004, una commissione di studio, composta dai rappresentanti del medesimo Ministero, dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dello sviluppo economico, della giustizia, dell'Inail, dell'Ania e da esperti in medicina legale, e successivamente integrata con rappresentanti delle associazioni familiari e vittime della strada e dell'osservatorio della Lega italiana dei diritti dell'uomo;
    i lavori della commissione di studio si sono conclusi con la redazione di uno schema di Tabella, oggetto di una valutazione preliminare del Consiglio dei ministri, il 3 agosto 2011, e successivamente del parere della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, l'8 novembre 2001;
    il 7 giugno 2011, tuttavia, era intervenuta in materia la sentenza della Corte di cassazione n. 12408, la quale aveva stabilito che, nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'articolo 1226 del codice civile deve garantire non solo l'adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile ed iniquo che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché le relative controversie sono decise da differenti uffici giudiziari; dall'affermazione del generale principio di uguaglianza, la Corte di cassazione aveva tratto la conclusione che, sempre in assenza dei criteri stabiliti dalla legge e in virtù dei suoi compiti di indicazione ai giudici di merito di criteri uniformi, i criteri per la liquidazione del danno alla persona fossero individuati nelle cosiddette «tabelle» di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso sul territorio nazionale;
    gli effetti distorsivi derivanti dalla differenziazione territoriale dei risarcimenti dei danni non patrimoniali sono stati rilevati anche nel citato parere del Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto che l'esigenza di porre rimedio a tali distorsioni «appare sicuramente condivisibile e coerente con le esigenze ordinamentali di parità di trattamento tra situazioni analoghe, nonché in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali della Corte di cassazione», tra i quali viene ricordata proprio la sentenza della Corte di cassazione, sezione III, 7 giugno 2011, n. 12408;
    se lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, datato marzo 2013 ed avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psicofisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 sembrerebbe, pertanto, risolvere in via definitiva il problema relativo all'adozione di criteri uniformi su tutto il territorio nazionale dei risarcimenti, dal confronto con le tabelle del tribunale di Milano emerge una riduzione dei valori risarcitori che ha suscitato molte proteste da parte delle associazioni delle vittime di sinistri stradali, che lo hanno considerato «fortemente lesivo della dignità umana e non rispondente alle esigenze di solidarietà consolatorie, riparatorie e satisfattive del danno da r.c. auto»;
    va considerato che il danno alla persona è composto da due componenti: il danno patrimoniale, calcolabile oggettivamente, e il danno non patrimoniale, non calcolabile oggettivamente, ma attribuito «equamente» dai tribunali o dalle tabelle, a sua volta distinto tradizionalmente in danno biologico, ossia il valore della perdita della funzionalità biologica dovuta alla lesione, il danno morale, variabile da caso a caso, tra il 25 ed il 50 per cento del danno biologico, e il danno esistenziale, molto soggettivo e variabile;
    la tabella unica è difficilmente comparabile con le tabelle del tribunale di Milano, poiché queste regolamentano tutto il danno non patrimoniale, inglobando accanto al danno biologico anche il danno morale con riferimento ad una liquidazione congiunta complessiva dei danni riconosciuti, mentre la tabella unica prevista nello schema di decreto del Presidente della Repubblica regolamenta il solo danno biologico «standard», ferma restando la necessità di determinazione aggiuntiva dell'eventuale danno morale, poiché, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, gli importi possono essere aumentati nella misura massima del 30 per cento per le macrolesioni e del 20 per cento per le lesioni lievi, quando la menomazione incida su aspetti dinamico relazionali della persona;
    indubbiamente, ragionare sulla congruità dell'ammontare dei risarcimenti è un esercizio difficile, perché attiene a un valore non monetizzabile, pertanto, lo scopo dell'emanando provvedimento dovrebbe essere esclusivamente quello di stabilire convenzionalmente criteri risarcitori certi e uniformi territorialmente, adeguati per le vittime e sostenibili relativamente alla spesa assicurativa;
    peraltro, esiste un'evidente correlazione tra importo dei premi ed entità dei risarcimenti che, per quanto riguarda il settore della responsabilità civile automobilistica, presenta dati articolati e non sempre univoci; tuttavia sono molti i fattori che influenzano il livello dei premi, come rilevato dalle recenti conclusioni dell'indagine svolta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle procedure di risarcimento diretto e gli assetti concorrenziali del settore;
    tutto ciò rende evidente come sia indispensabile, per il Parlamento, promuovere un approfondimento, mediante un'indagine conoscitiva, della materia nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo, sia con tutti gli altri soggetti coinvolti;
    questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti Commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400,

impegna il Governo

a sospendere l’iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psicofisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 fino all'espletamento di un approfondito ma rapido confronto nelle Commissioni parlamentari competenti, così da tenere conto delle indicazioni che emergeranno in tali sedi, anche al fine di garantire l'adeguato contemperamento tra le esigenze di tutelare le vittime degli incidenti stradali e quelle di contenere i costi delle polizze della responsabilità civile automobilistica.
(1-00099) «Boccuzzi, Causi, Verini, Martella, Fregolent, Gutgeld, Biffoni, Impegno, Lenzi, Pelillo, Sanga».


   La Camera,
   premesso che:
    relativamente al risarcimento del danno biologico per gli incidenti stradali nei casi di invalidità che vanno dal 10 al 100 per cento, l'articolo 138 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il codice delle assicurazioni private, prevedeva la predisposizione – finora mai attuata – di una specifica tabella, unica su tutto il territorio nazionale e da aggiornarsi annualmente, delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso;
    finora la monetizzazione dei danni subiti a seguito di un incidente stradale veniva calcolata sulla base di tabelle predisposte da ciascun tribunale, con la conseguenza di risarcimenti spesso diversi da regione a regione;
    al fine della predisposizione di un'unica tabella valida per l'intero territorio nazionale per il risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra 10 e 100 punti di invalidità, è in via di emanazione un decreto del Presidente della Repubblica, peraltro predisposto dal precedente Governo;
    detto schema di decreto adegua al ribasso i valori risarcitori (con un abbattimento medio del 60 per cento) che risultano così di gran lunga inferiori ai valori proposti dalle tabelle del tribunale di Milano, come recentemente aggiornate, considerate invece congrue dalla stessa Corte di cassazione;
    già l'Aneis (Associazione nazionale esperti infortunistica stradale), il 4 aprile 2013, ha chiesto di «difendere la dignità delle vittime degli incidenti stradali». L'applicazione della nuova tabella, infatti, ridurrebbe fino al 60 per cento i risarcimenti per tali eventi, rispetto ai parametri dettati dalle nuove tabelle del tribunale Milano;
    la stessa Aifvs (Associazione italiana familiari e vittime della strada) ha protestato contro lo schema di decreto del Presidente della Repubblica in via di emanazione, che peraltro mostrerebbe tutta la sua dubbia costituzionalità per il fatto che disciplinerebbe, in patente violazione del fondamentale articolo 3 della nostra Carta costituzionale, in modo diversissimo sotto il profilo monetario, situazioni relative a lesioni personali soltanto per via della genesi del fatto illecito. Peraltro, si preannunciano anche gravissime sperequazioni sotto il profilo della retroattività del provvedimento;
    si tratta di un provvedimento che, come sottolinea ancora l'Aifvs, «per salvaguardare gli interessi delle assicurazioni, vorrebbe mettere da parte anche le indicazioni della Corte di cassazione (sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011) che ha esteso a tutto il territorio nazionale i diffusissimi valori indicati nella tabella del tribunale di Milano, frutto di scrupolosa elaborazione ed assiduo aggiornamento»;
    si ricorda, infatti, che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 12408 del 2011, rilevata la disparità esistente fra i tribunali italiani, ha ritenuto di orientare i risarcimenti sui valori delle tabelle dei giudici di Milano, valutate più eque rispetto a quelle degli altri tribunali, in quanto costruite tenendo conto delle disposizioni normative e dei parametri individuati dalla giurisprudenza ai fini della personalizzazione del danno, così come stabiliti dalle famose sentenze «gemelle» a sezioni unite della Corte di cassazione del 2008, sul danno non patrimoniale;
    con l'eventuale approvazione definitiva di questo decreto del Presidente della Repubblica, il risparmio delle società assicuratrici sarà consistente, soprattutto se le tabelle verranno ritenute – come sembra – applicabili anche retroattivamente a tutti i sinistri per i quali non si siano concluse trattative in sede transattiva o non si sia giunti a sentenza definitiva;
    inoltre, dall'esame delle medesime tabelle dello schema di decreto in oggetto, si ricava una disparità tra l'infortunato uomo e l'infortunata donna, laddove la cifra per ogni punto di invalidità «femminile» è inferiore a quello «maschile»;
    va, peraltro, ricordato come le compagnie assicuratrici abbiano finora «beneficiato» sia del fatto che negli ultimi dieci anni – come certifica l'Istat – il numero degli incidenti stradali è andato progressivamente diminuendo, che della riduzione (prevista dal decreto del Ministero della salute del 3 luglio 2003) in questi anni dei risarcimenti da piccole invalidità. Il tutto a fronte di nessuna riduzione dei premi delle polizze per l'assicurazione obbligatoria da responsabilità civile automobilistica;
    questo schema di decreto del Presidente della Repubblica, qualora approvato definitivamente, anziché riconoscere il diritto delle vittime al congruo ed integrale risarcimento del danno, riducendo i risarcimenti, favorisce di fatto i profitti economici e imprenditoriali privati assicurativi a scapito di quei principi di solidarietà e di eguaglianza, anche sociale, sanciti dalla nostra Costituzione,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, di cui in premessa, in quanto ingiustificato e fortemente lesivo dei diritti dei danneggiati a ottenere un equo risarcimento;
   ad assumere iniziative per stabilire che le tabelle del tribunale di Milano siano prese a riferimento da tutti gli uffici giudiziari italiani, quali tabelle per definire l'entità del risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica a seguito di sinistro stradale o, più in generale, a causa di responsabilità civile;
   ad attuare, nell'ambito delle proprie competenze, azioni di contrasto a truffe e abusi ai danni delle compagnie assicuratrici, finalizzati all'ottenimento illegittimo del risarcimento dei danni.
(1-00100) «Piazzoni, Migliore, Daniele Farina, Aiello, Sannicandro, Nicchi, Ragosta».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, a seguito della riunione del 6 marzo 2013, ha aggiornato i valori per la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona derivante da lesione all'integrità psico-fisica e dalla perdita-grave lesione del rapporto parentale;
    gli importi sono stati adeguati all'aumento del costo della vita sulla base degli indici Istat nel periodo gennaio 2011-gennaio 2013, con conseguente incremento del 5,6535 per cento rispetto ai parametri precedentemente in vigore;
    con sentenza n. 12408 del 2011 la Corte di cassazione, ritenendo «intollerabile ed iniquo che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché le relative controversie siano decise da differenti uffici giudiziari» e «poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi», ha indicato le «tabelle milanesi» quali criteri di riferimento per la stima del danno alla persona;
    il Governo ha dichiarato l'intenzione di procedere all'approvazione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209»;
    secondo quanto disposto dallo schema di decreto allo studio del Governo, la liquidazione monetaria delle menomazioni all'integrità psico-fisica ivi prevista è notevolmente più bassa rispetto alle tabelle del tribunale Milano, arrivando addirittura ad una decurtazione del 60 per cento delle predette liquidazioni, il che ha provocato forti reazioni da parte di molte associazioni e familiari delle vittime di incidenti stradali;
    è necessario stabilire criteri risarcitori certi, uniformi, adeguati e sostenibili e assicurare, così, maggiore certezza ai diritti spettanti ai danneggiati, evitando sperequazioni e differenziazioni territoriali ed assicurare tutela del diritto inviolabile alla salute ed un adeguato e dignitoso risarcimento dei danni subiti;
    i costi delle polizze per la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada stanno subendo continui rincari, i quali hanno un peso considerevole sui bilanci delle famiglie;
    i rincari sono strettamente collegati al fenomeno, sempre più preoccupante, soprattutto nelle zone del Mezzogiorno, delle frodi assicurative. Se pure è stata dimostrata la forte incidenza del peso delle frodi sui costi delle polizze, questa non può tuttavia rappresentare un elemento di giustificazione da parte delle compagnie di assicurazione dell'incremento delle stesse polizze, a danno esclusivo dei consumatori onesti;
    nella XVI legislatura, gli interventi nel settore delle assicurazioni sono stati operati con il decreto-legge n. 1 del 2012 (il cosiddetto «decreto liberalizzazioni»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, e con il decreto-legge n. 179 del 2012 (il cosiddetto «decreto crescita»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012. Con il decreto legge n. 1 del 2012, in particolare, sono state previste una serie di disposizioni volte a rendere maggiormente concorrenziale e trasparente il settore assicurativo al fine di ridurre il costo delle polizze, anche attraverso il contrasto delle frodi;
    l'insieme degli interventi adottati non sembra aver avuto effetti decisivi rispetto all'obiettivo del contenimento dei costi delle polizze a beneficio dei consumatori;
    inoltre, la tabella relativa alle menomazioni di lieve entità, emanata ai sensi dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private, risulta essere molto più bassa di quella prevista dalle tabelle del tribunale di Milano;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, ha esteso l'applicazione della tabella ex articolo 138 del codice delle assicurazioni private alle menomazioni causate da responsabilità medica e, pertanto, ha tagliato la misura dei risarcimenti a tutt'oggi riconoscibili, con evidenti effetti dissuasivi all'incardinamento del contenzioso giudiziale,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto che definisce la tabella unica nazionale per il risarcimento standard del danno biologico alle vittime degli incidenti stradali, in attuazione dell'articolo 138 del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005);
   ad orientare la propria attività politica, nell'ambito della liquidazione del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale comportante lesioni dell'integrità fisica medicalmente accertabili, ai fini di un'imprescindibile omogeneità dell'intero quadro risarcitorio, nella direzione di un'ottemperanza della tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità approvata dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano nel marzo 2013 e delle sue relative successive modifiche;
   ad adottare iniziative più incisive per favorire la riduzione del costo dei premi relativi alla copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada a carico degli assicurati, anche attraverso il rafforzamento delle azioni di contrasto alle frodi che abbiano, come primo obiettivo, quello di evitare che le gravi inefficienze del settore assicurativo vengano pagate dagli onesti assicurati.
(1-00101) «Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Rondini, Gianluca Pini, Prataviera».


   La Camera,
   premesso che:
    spetta al Governo procedere all'adozione della proposta di decreto del Presidente della Repubblica contenente il regolamento che attua l'articolo 138 del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005); tale provvedimento consente di stabilire in maniera univoca, a livello nazionale, i valori economici e medico-legali per la liquidazione del danno in sede assicurativa in ordine alla responsabilità civile automobilistica;
    una bozza dello schema di decreto citato, di cui è stata data notizia negli scorsi mesi, contiene la tabella unica nazionale per il risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra 10 e 100 punti di invalidità;
    la tabella unica in questione si riferisce solo al danno biologico «standard», in quanto gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni consentono di aumentare l'importo risultante dall'applicazione della tabella fino al 30 per cento e al 20 per cento, rispettivamente per le macrolesioni e le microlesioni, laddove la menomazione accertata condizioni pesantemente determinati aspetti della persona;
    risulta ai sottoscrittori del presente atto di indirizzo che il Ministro della salute pro tempore, onorevole Renato Balduzzi, abbia valutato di non sottoporre al Consiglio dei ministri il relativo schema di decreto (frutto di un lungo, ma non costruttivo, confronto tra le parti interessate e gli uffici del Ministero competente), in quanto l'applicazione della nuova tabella avrebbe comportato la riduzione sino al 60 per cento dei risarcimenti per tali eventi, rispetto ai parametri dettati dalle tabelle del tribunale di Milano (alle quali la Corte di cassazione ha fatto rinvio per determinare il valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona da applicare all'intero territorio nazionale; tabelle che contemplano, oltre al danno biologico, anche quello morale), con conseguenze fortemente pregiudizievoli per le vittime degli incidenti stradali;
    spetta al decreto citato di fissare in maniera univoca i valori economici e medico-legali per la valutazione del risarcimento del danno derivante alla persona dalla circolazione stradale, applicabili anche alle persone danneggiate da eventi connessi alla responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189;
    la base giuridica del decreto citato, cioè gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, deve essere integrata con il riferimento all'evoluzione giurisprudenziale della nozione di danno biologico;
    esiste la riconosciuta esigenza, da un lato, di dettare criteri certi per evitare sperequazioni territoriali e un'indiscriminata corsa al rialzo, non correlata al concreto bene giuridico tutelato, dei valori risarcitori; dall'altro, di addivenire ad una progressiva, ma certa, diminuzione dei premi assicurativi, sia per quanto attiene alla responsabilità civile automobilistica, sia per quanto concerne la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie,

impegna il Governo

a riconsiderare prontamente, sul solco di quanto già avviato dal competente Ministero nei primi quattro mesi dell'anno 2013, l'intera problematica, valutando l'adeguatezza della base giuridica su cui adottare il citato decreto del Presidente della Repubblica e ispirandosi all'esigenza di dare congrua e piena soddisfazione alle vittime di incidenti stradali e di eventi avversi in campo sanitario, nel contempo perseguendo, anche attraverso la prosecuzione dei lavori del tavolo tra le categorie e le associazioni interessate, l'obiettivo di dare certezza all'intero comparto, anche al fine di permettere una graduale, ma significativa, riduzione dei premi assicurativi.
(1-00102) «Gigli, Binetti, Balduzzi, Sottanelli, Oliaro, Schirò Planeta, Sberna, Cera, Vargiu, Monchiero».


   La Camera,
   premesso che:
    è in discussione l'approvazione da parte del Governo del decreto del Presidente della Repubblica in attuazione degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), che predispone una specifica tabella unica su tutto il territorio nazionale delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra dieci e cento punti, nonché del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso;
    finalità dei suddetti articoli è, pertanto, la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa responsabilità civile auto, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità, con l'obiettivo, dunque, di ovviare ad un sistema eterogeneo fondato su tabelle predisposte dai singoli tribunali ed eventualmente suscettibili di dar vita a forti disuguaglianze e disparità di trattamento tra le vittime dei sinistri;
    fino ad oggi infatti tali valutazioni sono riservate alla giurisprudenza; recentemente la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 emessa dalla III sezione della Corte di cassazione ha esteso a tutto il territorio nazionale la tabella seguita dal tribunale di Milano (da tempo spontaneamente adottata da molti altri tribunali), dichiarando che gli importi risarcitori contenuti in quella tabella rappresentano il valore da ritenersi equo. Tale orientamento è stato confermato dalle sentenze Cass. civ. sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402, Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7272, e dall'ordinanza 4 gennaio 2013 n. 134;
    in particolare, con la sentenza n. 12408 del 2011 la Corte di cassazione ha ritenuto le tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano le più «congrue» sia per il metodo di calcolo, sia per i valori risarcitori; va rilevato, inoltre, che le suddette tabelle rappresentavano e rappresentano ancora il frutto di un annoso e meditato dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di danno alla persona;
    lo schema di decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 all'attenzione dell'Esecutivo, risulta essere profondamente penalizzante nei confronti delle vittime, in quanto produrrebbe, rispetto alle tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano, una consistente riduzione del risarcimento del danno biologico;
    per questo motivo si sono avute forti reazioni da parte delle molte associazioni dei consumatori e dei familiari delle vittime di incidenti stradali che ritengono il provvedimento fortemente lesivo del diritto di tutti i danneggiati ad un adeguato e dignitoso risarcimento dei danni subiti;
    sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica si è espresso in sede consultiva il Consiglio di Stato, con il parere reso all'adunanza generale in data 8 novembre 2011, rilevando che potrebbero derivare possibili effetti distorsivi connessi all'applicazione ai soli sinistri stradali degli indici parametrici di cui alle tabelle, rispetto ad analoghe situazioni di lesioni, non intervenute nell'ambito della circolazione stradale, chiedendo al Ministero di valutare l'opportunità di un'eventuale modifica normativa;
    pertanto, alla luce della delicatezza e dell'importanza del tema, che incide su diritti costituzionalmente garantiti, si reputa indispensabile per il Parlamento promuovere un approfondimento della materia, nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo che con tutti i soggetti coinvolti, mediante un'indagine conoscitiva e lo svolgimento di specifiche audizioni;
   questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
    inoltre, l'approfondimento suddetto risulta necessario in virtù della sopravvenienza normativa costituita dalla disposizione di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, che in materia di responsabilità professionale ha specificato che il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui ai già citati articolo 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005,

impegna il Governo

ad adottare il decreto del Presidente della Repubblica recante la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di cui in premessa, considerata l'importanza di uno strumento che garantisca certezza e uniformità valutativa al risarcimento del danno, solo successivamente ad un rapido, ma approfondito esame della materia da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che potranno eventualmente disporre un'indagine conoscitiva sull'argomento, con particolare riguardo al valore pecuniario attribuito ad ogni singolo punto di invalidità, alle modalità di adeguamento periodico della stessa e alle conseguenze sui premi delle polizze, al fine di garantire un giusto risarcimento alle vittime di gravi handicap psicofisici, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di cassazione e dell'importanza che riveste oggi in tale settore l'utilizzo, come parametro di riferimento, dei valori risarcitori previsti nelle tabelle del tribunale di Milano.
(1-00103) «Costa, Sisto, Baldelli, Abrignani».


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo sta predisponendo lo schema di decreto del Presidente della Repubblica contenente la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti, prevista dall'articolo 138 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
    la tabella dovrà riportare il valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità tra dieci e cento punti, comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, analogamente a come è già previsto per le lesioni di lieve entità, cioè comprese tra uno e nove punti di invalidità, dall'articolo 139 dello stesso codice delle assicurazioni private, a decorrere dal marzo del 2012;
    l'emanazione delle tabelle nasce dalla richiesta delle vittime di ottenere un sistema risarcitorio uniforme su tutto il territorio nazionale, posto che, sino a quando l'entità del risarcimento del danno ad esse riconosciuto era affidato unicamente alla discrezionalità dei giudici, venivano a crearsi delle discriminazioni de facto tra residenti nel sud Italia e residenti nelle regioni del Nord, a causa dell'estrema variabilità degli importi riconosciuti;
    sino ad oggi, nelle more dell'emanazione della tabella, si è proceduto ad un'unificazione dei parametri applicando su tutto il territorio nazionale le cosiddette tabelle del tribunale Milano, riconosciute da una sentenza della Corte di cassazione del 2011 quali quelle che meglio rappresentavano il principio di equità nel risarcimento del danno alla salute e all'integrità psicofisica;
    il fenomeno degli incidenti stradali nel nostro Paese, pur essendo lievemente in calo, comporta ancora costi altissimi in termini di vite umane e di danni alla salute, nonché in termini di costi sociali che ne conseguono, stimati in circa trenta miliardi di euro all'anno;
    si pensi che, a tutt'oggi, sulle nostre strade ogni giorno vengono ferite in media ottocento persone, mentre undici perdono la vita, e una percentuale molto elevata di queste vittime interessa i più giovani;
    se si considera che ogni anno il risultato di questo terribile flagello sono migliaia di persone che perdono un proprio caro o che sono condannate alla disabilità permanente, ci si rende conto come già di per sé la quantificazione di un simile danno sia di grandissima difficoltà, posto che alcuna cifra potrà mai degnamente ripagare le vittime;
    peraltro, il diritto che viene ad essere leso non è solo quello alla salute ed all'integrità psicofisica, bensì anche quello al lavoro, considerato che molte vittime, a causa delle menomazioni subite, non riescono più a svolgere il proprio lavoro;
    sembra che nella tabella allo studio del Governo i parametri di riferimento per la liquidazione dei danni siano di entità inferiore a quelli applicati sinora nel rispetto delle tabelle del tribunale Milano;
    questo si tradurrà in un danno ulteriore a carico delle vittime di incidenti, già gravate, peraltro, anche sul versante giudiziario dalla mancanza di effettività della pena in grande parte dei procedimenti giudiziari che riguardano gli omicidi colposi per violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale;
    inoltre, procedere proprio in un momento di crisi economica, come quello che il nostro Paese sta attraversando, ad una riduzione dell'entità dei risarcimenti penalizzerà, in modo ingiustificabile, doppiamente proprio le persone che non possono più lavorare a causa dei danni riportati,

impegna il Governo:

   ad assicurare, nell'approvazione della tabella di cui in premessa, che essa non comporti una riduzione dei parametri sin qui applicati, nel rispetto, da un lato, della citata sentenza della Corte di cassazione, e, dall'altro, delle vittime degli incidenti e dei loro diritti costituzionalmente riconosciuti;
   a promuovere iniziative di sensibilizzazione al tema delle conseguenze derivanti dagli incidenti stradali, anche evidenziando il disvalore sociale della guida irresponsabile e pericolosa.
(1-00104) «Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi dell'occupazione giovanile, inasprita dalla crisi globale economica e finanziaria, si rispecchia nell'alto tasso di disoccupazione, nella scarsa qualità dell'offerta di lavoro per i giovani e nell'ingresso lento e tardivo nel mercato del lavoro a condizioni dignitose;
    nel 2012, quasi 75 milioni di persone giovani nel mondo sono risultate fuori dal mercato del lavoro, 4 milioni in più rispetto al 2007; più di 6 milioni di loro, inoltre, hanno smesso di cercare lavoro;
    i dati del primo trimestre 2013 non sono più confortanti: nel marzo 2013 5,7 milioni di giovani erano privi di occupazione, dei quali 3,6 milioni nell'area euro; il tasso di disoccupazione giovanile ha registrato un più 23,5 per cento nell'Europa a 27 ed un 24 per cento pieno nell'area euro, in aumento di 1,5 punti percentuali su base annua;
    per affrontare il problema occorrono misure urgenti ed innovative, affinché nel lungo periodo non si erediti una generazione persa con relative problematiche socio-economiche-assistenziali;
    la carenza di posti di lavoro regolari e stabili impedisce alle giovani generazioni di pianificare il proprio futuro, relegandoli ad una permanente condizione adolescenziale di dipendenza dalle proprie famiglie;
    nelle conclusioni della Conferenza internazionale del lavoro 2012 è emersa l'urgenza di promuovere politiche macroeconomiche a favore dell'occupazione e incentivi fiscali che supportino una maggiore domanda aggregata e aumentino gli investimenti produttivi che migliorano la capacità di creare posti di lavoro e l'accesso al credito;
    in particolare, il rapporto della Commissione sull'occupazione giovanile ha rilevato l'urgente bisogno, per promuovere e mantenere posti di lavoro dignitosi e produttivi per i giovani, di invertire la tendenza, perché le politiche macroeconomiche messe in campo sono state inefficaci e non hanno portato un numero sufficiente di posti di lavoro, in generale, e per i giovani, in particolare;
    le recenti dichiarazioni del Ministro per la coesione territoriale, Carlo Trigilia, di destinare 1 miliardo di euro dei fondi dell'Unione europea in favore del lavoro dei giovani, ma solo al Sud del Paese, non lasciano supporre alcun cambio di rotta nelle strategie occupazionali;
    il Ministro, infatti, nel corso dell'audizione parlamentare del 12 giugno 2013, ha illustrato l'obiettivo del Governo di creare 50 mila nuovi posti di lavoro grazie alla decontribuzione e condizioni per ulteriori 100 mila giovani di avvicinarsi all'attività di impresa attraverso tirocini, incentivi all'imprenditorialità o alla formazione di cooperative, ma soltanto nelle regioni Campania, Calabria e Puglia;
    la scelta di assegnare, nel quadro di un'azione di riprogrammazione delle risorse dei fondi europei a rischio disimpegno, solo al Mezzogiorno le risorse per il lavoro è, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, palesemente discriminante ed irresponsabile nei confronti dei tanti giovani disoccupati del Nord,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per garantire l'uniformità di trattamento sul territorio nazionale – in termini di agevolazioni, esenzioni ed incentivi – a tutti i giovani disoccupati del nostro Paese ed alle imprese che intendano ampliare la base occupazionale, senza priorità alcuna ai lavoratori/disoccupati del Mezzogiorno.
(1-00105) «Prataviera, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».

Risoluzioni in Commissione:


   La III e IV Commissione,
   premesso che:
    come si legge sul suo sito ufficiale http://www.eurogendfor.org «La Forza di Gendarmeria Europea (EGF) è un'iniziativa multinazionale di cinque Paesi Membri dell'unione Europea: Francia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna, ai quali si è aggiunta la Romania nel 2008 – costituita per Trattato con lo scopo di rafforzare le capacità di gestione delle crisi internazionali e contribuire alla Politica di Difesa e Sicurezza Comune (PSDC). EUROGENDFOR può essere considerata come uno strumento integrato finalizzato a condurre missioni di polizia in diversi teatri, inclusi quelli destabilizzati, a supporto dell'Unione Europea (EU) l'Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (NATO), le Nazioni Unite (NU), l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europea (OSCE) o eventuali coalizioni ad hoc»;
    i suoi compiti sono quelli di: «condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese le attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l'ordine in caso di disordini pubblici» (articolo 4);
    il trattato Eurogendfor è stato firmato a Velsen (una piccola città olandese) il 18 ottobre 2007 da Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Italia e il 14 maggio 2010 la Camera dei deputati prima e poco dopo anche il Senato, hanno approvato il disegno di legge di ratifica dell'accordo all'unanimità; il 12 giugno, con la legge di ratifica n. 84 dello stesso anno, è entrato definitivamente in vigore in Italia;
    il primo dato che traspare è l'assoluta genericità del contenuto del trattato che esporrebbe il personale delle forze dell'ordine coinvolto nelle eventuali operazioni al rischio di perdere molte delle peculiarità e specificità che le hanno sempre caratterizzate, come una sorta di declassamento a polizia locale di sfondo livello;
    la EGF non è sottoposta al controllo dei Parlamenti nazionali o del Parlamento europeo, risponde direttamente ai Governi e svolgerà compiti militari di supporto alla fase iniziali di un conflitto e di transizione, da sola o insieme a forze che eseguono esclusivamente obiettivi militari;
    il trattato non contiene, neanche nel preambolo, alcuna disposizione che faccia riferimento al rispetto dei parametri del diritto internazionale umanitario e alla tutela dei diritti dell'uomo nel corso delle operazioni militari e del comportamento sul campo di quanti sono sottoposti alle regole di ingaggio,

impegnano il Governo:

   ad avviare, nelle sedi competenti, ogni iniziativa affinché venga elaborato un concetto strategico delle operazioni della Gendarmeria europea ispirato a precise regole che coinvolgano anche i diritti dell'uomo e il diritto umanitario e sia assicurato sempre da parte degli Stati membri della Gendarmeria europea il rispetto delle regole della convenzione europea dei diritti dell'uomo nello svolgimento delle operazioni di propria competenza;
   ad avviare nelle sedi competenti ogni iniziativa affinché la partecipazione di personale militare, di polizia e dell'Arma dei carabinieri del nostro Paese ad operazione della Gendarmeria europea avvenga nel rispetto delle specificità di ciascun Corpo di appartenenza.
(7-00042) «Corda, Sibilia, Artini, Frusone, Paolo Bernini, Rizzo, Basilio, Alberti, Manlio Di Stefano».


   La III Commissione,
   premesso che:
    ogni giorno, nel mondo, milioni di persone soffrono a causa delle conseguenze dirette o indirette di un commercio di armi poco regolamentato. A tal proposito le statistiche di Amnesty International, aggiornate a tutto il 2012 sono eloquenti: 1.500 persone muoiono ogni giorno, vittime della violenza armata; 26 milioni di persone sono state costrette a lasciare la propria casa a causa di un conflitto armato; 12 miliardi di pallottole sono prodotte ogni anno; il 74 per cento delle armi esistenti nel mondo è prodotto in 6 paesi: Cina, Germania, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti;
    la maggior parte delle vittime dei conflitti sono civili; oltre alle vittime dirette, milioni di esseri umani sono costretti a vivere sotto la minaccia costante delle armi utilizzate per commettere migliaia di violazioni dei diritti umani ogni anno;
    numerose sono state le campagne della società civile in tutto il mondo a favore di un forte e solido trattato sul commercio di armi, tra cui la campagna sul controllo delle armi e l'appello lanciato dai vincitori del Premio Nobel per la Pace avvicendatisi fino ad oggi;
    il 31 ottobre 2000, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all'unanimità la risoluzione 1325 (S/RES/1325/2000) su «Donne, pace e sicurezza». Si tratta della prima risoluzione di questo organo principale delle Nazioni Unite che menziona esplicitamente l'impatto dei conflitti armati sulle donne ed il contributo delle donne stesse per la risoluzione dei conflitti e una pace durevole;
    la risoluzione riconosce che le donne ed i fanciulli rappresentano i gruppi più colpiti dai conflitti armati; riconosce altresì che le donne svolgono un ruolo fondamentale e imprescindibile nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, nonché nelle attività di ricostruzione della pace; invita tutti gli Stati Membri dell'ONU ad assicurare una più ampia partecipazione delle donne a tutti i livelli decisionali, in particolare nei meccanismi di prevenzione, gestione e risoluzione del conflitto;
    la risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite 61/89 del 6 dicembre 2006, intitolata: «Verso un trattato sul commercio di armi: stabilire norme internazionali comuni per l'importazione, l'esportazione e il trasferimento di armi convenzionali», aveva dato il via ad un'iniziativa, sostenuta da 153 Stati membri delle Nazioni Unite, che ha segnato l'avvio formale del processo di adozione di un trattato sul commercio di armi. In seguito, con la risoluzione 64/48 del 2 dicembre 2009 sul Trattato sul commercio di armi (Arms Trade Treaty, ATT), sostenuta anche essa da 153 Stati membri, è stato deciso di convocare una Conferenza delle Nazioni Unite, relativa al trattato sul commercio di armi incaricata di riunirsi dal 2 al 27 luglio 2012 con lo scopo di elaborare uno strumento giuridicamente vincolante sulle norme comuni internazionali più rigorose possibili sul trasferimento di armi convenzionali e a concludere un forte e solido trattato. Il trattato serve a regolamentare il commercio di armi a livello internazionale e a creare degli standard per i trasferimenti puntando ad abbassare la vendita stessa delle armi, nel tentativo di disciplinarne anche da un punto di vista morale la compravendita;
    l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha, inoltre, affidato agli Stati il compito di garantire che i propri sistemi nazionali e controlli interni siano basati su norme quanto più rigorose onde evitare che le armi convenzionali siano dirottate dal mercato lecito al mercato illecito, in cui possono essere utilizzate a fini di attentati terroristici, criminalità organizzata e attività illecite diverse;
    il Trattato è stato aperto alla firma il 3 giugno 2013 presso il quartier generale delle Nazioni Unite a New York e la firma dell'Italia, tra i primi paesi che hanno scelto di sottoscrivere il Trattato internazionale sul commercio delle armi, ha rappresentato certamente un momento storico importante per tutti coloro che da anni si battono contro la diffusione indiscriminata di armamenti nel mondo, e soprattutto per tutte le vittime (una al minuto) che subiscono violenza e morte per causa delle armi;
    pur nella convinzione che il testo del Trattato sul commercio delle armi convenzionali rappresenta un compromesso al ribasso voluto da diversi paesi (tra cui Stati Uniti, Russia, India e Cina), finalmente, il 2 aprile 2013, è stato adottato il testo del Trattato con il voto favorevole di 154 Paesi tra cui l'Italia e gli Stati Uniti; le categorie di armi prese in considerazione dal Trattato sono 8: carri armati, mezzi corazzati da combattimento, sistemi di artiglieria a largo calibro, velivoli da combattimento, elicotteri da attacco, navi da guerra, missili e lanciamissili, e le armi leggere e di piccolo taglio;
    il Parlamento Europeo si è espresso nel merito con alcune risoluzioni (quella del 21 giugno 2007 relativa al trattato sul commercio di armi e la fissazione di criteri internazionali comuni per l'importazione, l'esportazione e il trasferimento di armi convenzionali, quelle del 13 marzo 2008 e del 4 dicembre 2008, entrambe sul codice di condotta dell'UE per le esportazioni di armi) che hanno sottolineato l'urgente necessità di un trattato sul commercio di armi;
    nonostante la direttiva 2009/43/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo del 6 maggio 2009 ha semplificato le modalità e le condizioni dei trasferimenti all'interno delle Comunità di prodotti per la difesa ed è stata recepita con il decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 105, secondo l'articolo 2 non incide sulla discrezionalità degli Stati membri in materia di politica di esportazione dei prodotti per la difesa;
    il 13 giugno 2012, a sostegno di quanto poi adottato in sede Onu, era stata approvata anche una Risoluzione del Parlamento Europeo, proprio relativa ai negoziati per il trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi;
    il nostro Paese si è impegnato, in maniera attiva nel corso del lungo iter diplomatico, affinché lo spirito del Trattato fosse in linea con le proprie priorità negoziati e con quanto da sempre sostenuto nell'ambito della tutela e della promozione dei diritti umani, del disarmo, della cooperazione e dello sviluppo e nel rispetto delle norme di diritto internazionale umanitario e con il richiamo all'obbligo di risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici;
    la legge n. 185 del 1990 rappresenta una delle più avanzate normative sul controllo dei materiali di armamento e con il recepimento della citata direttiva la direttiva sul controllo dei trasferimenti dei materiali di armamento il nostro sistema normativo risulta essere già in grado di poter attuare il Trattato sul commercio delle armi convenzionali;
    non esiste alcun trattato globale vincolante sulla regolamentazione dei trasferimenti di armi convenzionali e oltre 40 Stati membri delle Nazioni Unite non dispongono né di un quadro normativo nazionale per il controllo del trasferimento di armi né adempiono ad alcuna norma regionale o internazionale;
    il commercio di armi non controllato e non regolamentato costituisce una grave minaccia alla pace, alla sicurezza e alla stabilità a livello locale, nazionale, regionale e internazionale, ma anche alla democrazia, allo Stato di diritto e allo sviluppo sostenibile sociale ed economico; inoltre, è un fattore che contribuisce ai conflitti armati, allo sfollamento di popolazioni, alla criminalità organizzata e al terrorismo;
    certamente, il testo di Trattato è un primo livello di regole sui trasferimenti di armamenti, con sostegno e partecipazione da parte di tutti i principali Paesi produttori di armi e sarebbe oltremodo significativo che il percorso legislativo della ratifica si concludesse entro agosto 2013 per consentire il deposito dell'avvenuta approvazione in vista del prossimo appuntamento della sessione delle Nazioni Unite, previsto il 23 e 24 settembre 2013 a New York;
    considerata la peculiare rilevanza che il deposito della ratifica dell'ATT avrebbe per la proiezione internazionale del nostro Paese in vista del prossimo appuntamento della sessione ordinaria di Settembre prossimo, dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite,

impegna il Governo:

   a presentare nel più breve tempo possibile il disegno di legge di ratifica del Trattato sul Commercio delle armi (ATT);
   a farsi promotore, nelle sedi bilaterali e in quelle multilaterali, di tutte le iniziative diplomatiche necessarie a limitare il commercio domestico di armi e la possibilità stessa di possederne, in tutti i Paesi aderenti al Trattato;
   ad adoperarsi, attraverso tutte le opportune iniziative diplomatiche nelle sedi bilaterali e in quelle multilaterali nel quadro di un rafforzamento degli strumenti pattizi internazionali di prevenzione e risoluzione dei conflitti;
   a recepire le innovazioni apportate dal nuovo Trattato nel quadro della strategia nazionale di attuazione degli obiettivi posti a partire dalla risoluzione 1325 su «Donne, Pace e Sicurezza», del 31 ottobre del 2000 e, segnatamente, nel nuovo Piano di azione nazione su «Donne, Pace e Sicurezza», che sarà predisposto dal Comitato Interministeriale dei diritti umani, con riferimento al periodo 2014-2017.
(7-00043) «Manlio Di Stefano, Grande, Spadoni, Di Battista, Tacconi, Sibilia, Del Grosso, Scagliusi».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'evasione fiscale rappresenta un problema rilevante dal punto di vista economico e del benessere sociale perché comporta effetti negativi sull'equilibrio finanziario sull'equità, sulla distribuzione del reddito e sull'efficienza nell'allocazione delle risorse;
    il contrasto all'evasione deve essere un elemento centrale e imprescindibile nell'azione di risanamento della finanza pubblica, sia per i suoi effetti diretti sull'entità delle entrate sia per la redistribuzione del prelievo fiscale;
    secondo il direttore centrale per la ricerca economica della Banca d'Italia, nel corso della recente audizione sul Documento di economia e finanza, l'elevato livello di evasione fiscale rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente, determina distorsioni nell'offerta di fattori produttivi e fenomeni di concorrenza sleale ed è di ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese;
    il gruppo di lavoro sull'economia sommersa e i flussi finanziari istituito dal Ministero dell'economia e delle finanze ha stimato, per il 2008, il valore aggiunto prodotto nell'area del sommerso economico tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi di euro, pari rispettivamente al 16,3 e al 17,5 per cento del prodotto interno lordo;
    tuttavia, il concetto economico di valore aggiunto non è esattamente sovrapponibile a quello di base imponibile, così che per ottenere una corretta rappresentazione dei mancati versamenti d'imposta occorre quantificare il tax gap, che misura la differenza tra la raccolta «potenziale», ovvero ciò che dovrebbero versare i contribuenti in ottemperanza alla legislazione vigente, e la raccolta effettiva, vale a dire quanto viene effettivamente versato;
    l'Agenzia delle entrate si è dotata di uno strumento per misurare il tax gap, che include l'evasione intenzionale e i mancati versamenti dovuti a errori nell'interpretazione delle norme e alle crisi di liquidità indotte dal ciclo economico;
    è importante differenziare il tax gap per tipologie di imposta, poiché il comportamento del contribuente può variare sia in ragione delle fattispecie economiche che creano base imponibile, sia per le caratteristiche proprie del tributo: secondo uno studio pubblicato sulla rivista della società italiana di statistica, il gap Iva rispetto a quella potenziale risulta superiore al 25 per cento e si colloca su livelli più elevati di circa il 15 per cento rispetto alla media europea, mentre il gap Irap è inferiore a quello dell'Iva dimostrando la minore evadibilità di questo tributo rispetto all'Iva;
    le misure adottate con il decreto-legge n. 201 del 2011 – che hanno, tra l'altro, ridotto la soglia legale di utilizzo del contante per i pagamenti, previsto l'obbligo di comunicazione da parte delle banche e degli altri operatori finanziari delle movimentazioni risultanti dai conti intrattenuti con i clienti, anche ai fini della migliore programmazione dei controlli, e riconosciuto benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza – appaiono necessarie per favorire l'emersione delle basi imponibili e accrescere l'efficacia dell'azione di contrasto ma non sufficienti a garantire la necessaria riduzione dell'evasione;
    il disegno di legge di delega per la revisione del sistema fiscale presentato dal Governo il 18 giugno 2012, approvato in prima lettura dalla Camera, il cui iter non si è concluso entro il termine della legislatura scorsa, prevedeva tra l'altro specifiche norme per il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale nonché il riordino dei fenomeni di erosione fiscale;
    l'azione di controllo degli organi amministrativi non può che essere uno degli elementi della complessiva strategia messa in campo per accrescere la tax compliance e la legalità dei comportamenti fiscali, strategia che deve basarsi non solo sugli strumenti repressivi ma soprattutto sugli strumenti organizzativi, tecnologici e procedurali volti a sollecitare comportamenti collaborativi finalizzati all'emersione delle basi imponibili, rendendo non possibile o, comunque, non conveniente l'evasione;
   la Corte dei conti, nel Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, ha sottolineato «l'esigenza di un significativo mutamento nella strategia fiscale perseguita dal legislatore, che piuttosto che perseguire il recupero delle somme non versate dopo che l'evasione si è prodotta, possa favorire maggiormente l'emersione spontanea delle basi imponibili e la tempestiva acquisizione delle relative imposte attraverso un uso più efficace delle moderne tecnologie informatiche e telematiche e un ruolo attivo degli enti finanziari coinvolti»,

impegna il Governo:

   a dare rapida attuazione alle misure previste nel piano d'azione contro la frode e l'evasione fiscale presentato dalla Commissione europea il 6 dicembre 2012;
   a predisporre un rapporto annuale sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva, che fornisca una stima ufficiale dell'ammontare delle risorse sottratte al bilancio pubblico dall'evasione, con la massima disaggregazione possibile dei dati a livello territoriale, settoriale e dimensionale, e che individui le linee di intervento e prevenzione contro la diffusione del fenomeno dell'evasione e per stimolare l'adempimento spontaneo degli obblighi fiscali;
   a favorire in ogni modo l'adempimento spontaneo degli obblighi fiscali, mediante l'introduzione di norme volte alla costruzione di un migliore rapporto tra fisco e contribuenti attraverso forme di comunicazione e cooperazione rafforzata, di incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni, nonché forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata, prevedendo altresì che le imprese di maggiori dimensioni costituiscano sistemi aziendali strutturati di gestione e controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel sistema dei controlli interni;
   a valutare l'opportunità di prevedere l'obbligo di fatturazione elettronica e di trasmissione telematica dei corrispettivi, estendendo quanto già previsto nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 3 aprile 2013, n. 55, in attuazione della normativa prevista dai commi da 209 a 214 della legge 244 del 2007, a fronte di una riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili dei contribuenti, specie per le ditte individuali e i professionisti con il contestuale superamento degli obblighi di emissione di scontrini e ricevute di carattere fiscale e di compilazione del modello studi di settore;
   a valutare l'opportunità di mantenere l'obbligo di comunicazione dei dati dei clienti consumatori finali che hanno effettuato acquisti di importo superiore a 3.600 euro, misura che, oltre a sembrare oggi scarsamente utile, per il sovrapporsi all'obbligo di comunicazione delle operazioni da parte degli intermediari finanziari, rischia di indurre effetti negativi sui consumi o, peggio, di incrementare la propensione ad effettuare acquisti di beni e servizi «in nero»;
   a introdurre l'obbligo di transazione tracciata per tutte le operazioni tra soggetti IVA indipendentemente dai limiti di importo;
   a migliorare il flusso di informazioni riguardanti la formazione dell'IVA a debito e a credito, allineandosi alle best practice a livello europeo; verificando, in particolare, la possibilità di reinserire le dichiarazioni IVA periodiche;
   a verificare la possibilità di introdurre meccanismi di disincentivo all'evasione dell'IVA sui beni e servizi intermedi, con particolare riferimento ai meccanismi di reverse-charge, di applicazione del meccanismo di deduzione base da base per alcuni settori e di versamento dell'imposta da parte degli enti della pubblica amministrazione che acquistano beni o servizi soggetti all'imposta;
   a verificare la possibilità di promuovere una piattaforma informatica tra le Agenzie delle entrate territoriali e gli enti locali, finalizzata a strutturare e condividere un sistema informativo di monitoraggio e controllo del pagamento delle imposte/tributi erariali e locali;
   ad assumere iniziative dirette a prevedere l'obbligo di riscossione dei compensi professionali corrisposti da consumatori finali e soggetti non Iva mediante sistemi di pagamento tracciati e l'utilizzazione di un apposito conto corrente dedicato;
   a riconoscere come rilevanti ai fini fiscali solo i costi e le spese il cui pagamento sia effettuato mediante sistemi tracciati, sia nell'ambito delle attività d'impresa e professionali, sia ai fini della deduzione dal reddito complessivo o della detrazione dall'imposta di oneri;
   a emanare al più presto il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze finalizzato a individuare una lista di Paesi in ragione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni anche in materia fiscale di cui all'articolo 28, commi 7-bis e seguenti, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante la normativa antiriciclaggio, valutando altresì l'opportunità di stabilire una norma generale che renda inopponibili all'amministrazione finanziaria italiana i rapporti economici di qualsiasi tipo intercorsi, anche solo indirettamente, con soggetti domiciliati in stati che non forniscono informazioni idonee ad identificare gli effettivi titolari e beneficiari dei rapporti;
   a valutare l'opportunità di introdurre l'obbligo di autotutela da parte dei dirigenti dell'amministrazione finanziaria sia nel caso di errori determinati dalla stessa amministrazione che nell'ipotesi di errori sanabili commessi dal contribuente e, conseguentemente, a sopprimere l'istituto della mediazione fiscale che ha aggravato gli oneri per i contribuenti e ha indebolito la capacità di deterrenza del sistema di controlli;
   ad assumere iniziative per prevedere strumenti di controllo per le vendite effettuate tramite distributori automatici, ripristinando la previsione già contenuta nella legge n. 244 del 2007, inspiegabilmente abrogata poco prima che il sistema di controllo entrasse in operatività, dall'articolo 16, comma 4, del decreto-legge n. 185 del 2008;
   a valutare l'opportunità di aumentare a un terzo del minimo la sanzione amministrativa tributaria in caso di acquiescenza, adesione all'accertamento o al verbale di constatazione e a ripristinare la responsabilità degli amministratori di società, esclusa per effetto dell'articolo 7 del decreto-legge n. 269 del 2003;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per elevare la misura edittale delle sanzioni penali previste nei casi di condotte fraudolente, allo scopo di consentire, in presenza di gravi indizi, l'utilizzazione dei più efficaci mezzi di indagine giudiziaria;
   a riconsiderare l'assetto organizzativo dell'amministrazione finanziaria e le sue tecnologie, accrescendo la sua capacità di assistenza e di confronto con il contribuente già nella fase dell'adempimento fiscale, allo scopo di pervenire ad una effettiva semplificazione amministrativa e a una rilevante riduzione dei costi connessi all'adempimento medesimo.
(7-00041) «Causi, Colaninno, Fregolent, Bargero, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, De Maria, De Menech, Marco Di Maio, Fragomeli, Ginato, Lorenzo Guerini, Gutgeld, Leonori, Lodolini, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Rostan, Sanga».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella sua adunanza dell'11 giugno 2013 in merito al cartello costituitosi sul trasporto marittimo nelle rotte da e per la Sardegna ha disposto quanto segue:
     1)  relativamente alla gravità dell'infrazione, nel richiamare le considerazioni già svolte, si rileva che l'infrazione in esame, in quanto consistita nell'attuazione di una pratica concordata finalizzata ad aumenti del prezzo dei servizi di trasporto via traghetto da e per la Sardegna nel 2011, si connota come una violazione molto grave della disciplina antitrust;
     2)  l'intesa ha coinvolto le principali rotte di collegamento e in particolare la Civitavecchia-Olbia, la Genova-Olbia e la Genova-Porto Torres ed ha prodotto rilevanti incrementi dei prezzi, che si sono tradotti in un pregiudizio sia alla collettività dei consumatori sia, in particolare, per quanto riguarda la Sardegna, in una riduzione del flusso turistico e in un aumento del costo di trasporto delle merci;
     3)  l'intesa è stata posta in essere da imprese che complessivamente detengono quote di mercato molto elevate: tra il 35-40 per cento della rotta Civitavecchia Olbia e l'85-90 per cento della rotta Genova-Olbia nella stagione estiva 2011;
     4)  tutto ciò considerato, alla luce degli Orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende, la percentuale dell'importo base sanzionatorio va collocata su un livello significativo della forcella da questi prevista, commisurandola al 12 per cento;
     5)  per calcolare l'importo base della sanzione si è preso a riferimento il valore delle vendite dei servizi cui l'infrazione si riferisce, ossia il fatturato realizzato dalle parti sulle rotte Civitavecchia-Olbia, la Genova-Olbia e la Genova-Porto Torres, nell'ultimo anno intero in cui è avvenuta l'infrazione, e cioè il 2011. Nel caso di specie la società Marinvest, in quanto holding di partecipazioni, non risulta avere un fatturato specifico sui mercati interessati. Parimenti, la società SNAV ha affermato di non aver realizzato nel 2011 alcun fatturato per servizi di trasporto marittimo passeggeri sulla rotta Civitavecchia-Olbia, in quanto a maggio dello stesso anno ha ceduto tale attività a GNV;
     6)  con riguardo alla durata dell'infrazione, per Moby, GNV e Marinvest la partecipazione all'intesa deve essere imputata per il periodo compreso tra settembre 2010 e lo stesso mese del 2011. Quanto a SNAV occorre osservare che la società ha preso parte all'intesa da settembre 2010 fino a maggio 2011, avendo in tale data ceduto il relativo ramo d'azienda; il periodo di partecipazione all'infrazione è superiore a 6 mesi e, pertanto, ai fini del calcolo della sanzione, esso è considerato equivalente ad un intero anno;
     7)  in considerazione della gravità e della durata dell'infrazione, per Moby e GNV gli importi base sanzionatori risultano rispettivamente pari a 7.803.300 euro e 3.386.850 euro;
     8)  al fine di garantire una parità di trattamento di SNAV e Marinvest rispetto a Moby e GNV, per il calcolo delle sanzioni delle prime due si prenderà a riferimento l'incidenza degli importi base calcolati per Moby e GNV sui fatturati complessivi delle stesse società. Considerato che tali importi corrispondono rispettivamente al 2,7 per cento e all'1 per cento circa dei fatturati totali 2011 di Moby e GNV, le sanzioni di SNAV e Marinvest vengono proporzionate in un'ottica di favor alla minore di tali due percentuali;
     9)  con riguardo a Moby e GNV si osserva che non ricorrono né circostanze aggravanti né attenuanti. Con riferimento a SNAV, si deve invece valutare che la sua partecipazione all'intesa è stata limitata ad una sola rotta, Civitavecchia-Olbia, onde l'importo base della sanzione viene riproporzionato in ragione del peso di tale rotta sul complesso dei mercati interessati, e quindi ridotto del 60 per cento;
     10)  infine, in ragione del fatto che dai dati di bilancio disponibili risultano perdite che interessano tutte le società, si ritiene di applicare una riduzione all'importo base della sanzione nella misura del 30 per cento;
   l'autorità garante ha così disposto:
    a) che le società Moby S.p.A., SNAV S.p.A., Grandi Navi Veloci S.p.A. e Marinvest S.r.l. hanno posto in essere un'intesa finalizzata all'aumento dei prezzi per i servizi di trasporto passeggeri nella stagione estiva 2011 sulle rotte Civitavecchia-Olbia, Genova-Olbia e Genova-Porto Torres;
    b) che le Moby S.p.A., SNAV S.p.A., Grandi Navi Veloci S.p.A. e Marinvest S.r.l. si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell'infrazione accertata;
    c) che, in ragione della gravità e durata delle infrazioni di cui al punto a) alle società Moby S.p.A., SNAV S.p.A., Grandi Navi Veloci S.p.A. e Marinvest S.r.l. vengano applicate sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente pari a:
   per Moby 5.462.310 euro;
   per GNV 2.370.795 euro;
   per SNAV 231.765 euro;
   per Marinvest 42.575 euro;
   a tale decisione deve immediatamente seguire una puntuale corrispondenza con l'applicazione delle tariffe antecedenti al 2010 e una politica tariffaria in grado di ripristinare la legalità nel trasporto marittimo da e per la Sardegna, passeggeri e merci;
   la società Cin Tirrenia ha aumentato oltremodo tutte le proprie tariffe sia per quanto riguarda i passeggeri che le merci con incrementi che raggiungono anche il 100 per cento nell'ultimo anno;
   tali aumenti costituiscono un reiterato tentativo di speculazione ai danni della Sardegna e dei sardi considerato che negli ultimi anni sono stati persi milioni di passeggeri a favore di altre destinazioni proprio per il grave incremento del costo del trasporto marittimo,

impegna il Governo:

   ad individuare e adottare le procedure amministrative e le normative per introdurre anche sulle rotte marittime l'onere del servizio pubblico;
   ad individuare e mettere in essere le più efficaci e urgenti azioni perché sin dall'imminente stagione siano ripristinati i livelli tariffari antecedenti al 2010 a partire dalla decisione dell'Autorità garante della concorrenza;
   ad individuare e attuare percorsi amministrativi o normativi per consentire la restituzione ai passeggeri che hanno dovuto subire gli aumenti illegittimi e arbitrari dell'ammontare della sanzione secondo un riparto pro-quota degli oltre 8 milioni di euro che lo Stato dovrebbe riscuotere per la violazione delle norme sulla concorrenza;
   ad individuare ed attivare, con il coinvolgimento della Commissione competente, un'immediata revisione della convenzione dello Stato con la CIN-Tirrenia considerato che nonostante il contributo annuale di 72 milioni di euro la compagnia di navigazione anziché calmierare il mercato è protesa ad un costante aumento ingiustificato del costo del trasporto marittimo;
   ad individuare e mettere in atto un'azione di costante monitoraggio del livello tariffario applicato dalle compagnie di navigazione da e per la Sardegna.
(7-00045) «Biasotti, Pili».


   La X Commissione,
   premesso che:
    la direttiva dell'Unione europea 2012/27 sull'efficienza energetica introduce degli impegni anche per quel che riguarda la riqualificazione energetica degli edifici pubblici. Secondo il testo, i Paesi membri devono elaborare e attuare un piano di efficientamento degli «edifici riscaldati e/o raffrescati posseduti ed occupati dal loro Governo centrale»;
    l'obiettivo è riqualificare, a un tasso minimo del 3 per cento all'anno, la superficie coperta utile, a cominciare dagli immobili più energivori. In questa prima fase, l'obbligo riguarda gli immobili con superficie coperta utile superiore ai 500 metri quadri. Dal 9 luglio 2015, invece, la soglia sarà abbassata a 250 metri quadri. Per individuare quali sono gli interventi da attuare, la pubblica amministrazione dovrà stilare il catasto delle prestazioni energetiche degli edifici;
    per i fabbricati di proprietà dello Stato, già nel luglio del 2012, si era iniziato a parlare di efficienza energetica. L'Agenzia del demanio, ha anche realizzato, nell'ambito del portale PA, il software IPER (indicatore di performance) per l'aggiornamento e inserimento dei dati relativi ai consumi energetici dei vari edifici utilizzati dalle Amministrazioni dello Stato. Fino ad ora sono stati raccolti i dati del 30 per cento di questi immobili;
    per raggiungere gli obiettivi che l'Europa ci chiede è necessaria la stretta collaborazione dei soggetti istituzionali interessati: il Ministero dello sviluppo economico, l'Enea e il gestore del servizio energetico. In particolare, il Ministro dello sviluppo economico e l'Enea dovrebbero elaborare al più presto di un piano strategico d'azione per aumentare l'efficienza degli immobili pubblici. Il Gse, invece, dovrebbe fornire alle Amministrazioni pubbliche di servizi specialistici in campo energetico. Per quanto riguarda la realizzazione degli interventi necessari, infine, sarà necessario coinvolgere anche le Energy Service Company (ESCO),

impegna il Governo

  ad assumere ogni iniziativa di competenza volta:
   a) ad elaborare al più presto un piano strategico d'azione per aumentare l'efficienza degli immobili pubblici;
   b) intraprendere un censimento degli edifici pubblici di classe G, con utilizzo continuativo superiore a 8 mesi all'anno, ai fini di valutare economicamente il loro passaggio, qualora possibile, tenuto conto dei vincoli normativi dell'edificio, almeno in classe D e il risparmio annuo in termini energetici.
(7-00044) «Fantinati, Crippa, Petraroli, Vallascas, Mucci, Da Villa, Prodani».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nonostante il consumo di carne di coniglio sia in costante aumento, da diversi anni la filiera cunicola italiana attraversa una fase di grave crisi. L'Italia, dopo la Cina, rappresenta la seconda realtà mondiale nella coniglicoltura ed è leader europeo con il 54 per cento della produzione comunitaria, seguita dalla Francia e dalla Spagna. Il settore, oltre ad assumere una posizione di primo piano in ambito comunitario, è il quarto comparto della zootecnia nazionale, dopo quello dei suini, bovini e polli; tuttavia la filiera cunicola è completamente trascurata;
    la crisi fino ad ora ha causato il fallimento del 30-40 per cento degli allevamenti italiani e del 15-20 per cento di macelli; si macellano circa cinquecentomila conigli a settimana e al sud non ci sono più macelli in grado di offrire un libero servizio agli allevamenti professionali anche a seguito della grave restrizione del mercato che costringe gli allevatori a sottoscrivere contratti di soccida (fornitura mangime-ritiro carne);
    inoltre gli allevatori denunciano l'impossibilità di assorbire la crescita dei costi di produzione mediante incremento dei prezzi all'origine dei loro prodotti, mentre l'industria di macellazione, l'industria mangimistica, i grossisti e la distribuzione continuano a determinare la maggior parte della struttura del prezzo e ad accumulare profitti;
    per detti motivi il comparto cunicolo è stato oggetto di attenzione del precedente Parlamento con due risoluzioni a seguito delle quali, il 29 aprile 2010, in sede di Conferenza Stato-regioni, è stato sancito un accordo su un «Piano di intervento per il settore cunicolo», con l'obiettivo di offrire una risposta organica alla crisi di redditività che coinvolge l'intera filiera, prevedendo un programma organico di interventi, così come definiti nell'ambito del tavolo di filiera;
    ad oggi l'unica misura adottata dal piano è la Commissione unica nazionale (CUN), avviata dopo una lunga gestazione, con lo scopo di formulare le tendenze di mercato e dei prezzi della categoria di prodotto «conigli vivi da allevamento nazionale» in maniera trasparente e neutrale;
    al riguardo, l'Autorità garante del mercato e della concorrenza, nel suo parere inviato al Governo il 29 aprile 2011, ha sancito che l'attività della CUN deve ispirarsi ai princìpi di trasparenza e neutralità, elementi fondamentali per tutelare il libero mercato e la libera concorrenza e per consentire di superare i meccanismi discrezionali delle attuali borse merci e decretando l'autorevolezza della CUN stessa;
    il Piano di intervento per il settore cunicolo prevedeva anche azioni per l'introduzione dell'etichettatura di origine obbligatoria della carne di coniglio; al contrario il 6 luglio 2011, il Parlamento europeo – nel ratificare l'accordo con la Commissione europea e il Consiglio sui regolamento relativo alla fornitura di informazioni sui prodotti alimentari ai consumatori – ha purtroppo escluso dall'obbligo di etichettatura d'origine la carne di coniglio;
    la decisione del legislatore europeo è penalizzante per l'Italia che si trova a fronteggiare situazioni anticoncorrenziali e fraudolenti nelle importazioni rese agevoli dall'assenza di etichettatura obbligatoria;
    l'Associazione nazionale liberi allevatori di conigli (ANLAC), ha più volte segnalato la presenza di fenomeni fraudolenti da parte degli importatori, evidenziando altri comportamenti anticompetitivi, in violazione delle regole della concorrenza, tutelate dall'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
    l'ANLAC ha denunciato anche in sede europea la presenza di un mercato parallelo d'importazione dei conigli da Paesi extraeuropei, in particolare dalla Cina. L'importazione si aggira in oltre 100.000 conigli alla settimana, dei quali oltre il 60 per cento è rappresentato da prodotti congelati, mettendo in atto un vero e proprio dumping;
    risulta inoltre che alcuni macellatori abbiano dichiarato d'importare dalla Francia o dalla Spagna conigli macellati a prezzi (euro 2,70-2,90 al chilogrammo) sensibilmente inferiori a quelli praticati negli stessi mercati di origine, che secondo i dati forniti da Ismea viaggiano quasi intorno al doppio (euro 5,00-5,20 al chilogrammo);
    da quanto si apprende dalla stampa sarebbero in atto anche vendite sottocosto praticate dalla CUN e dalle borse merci di Verona e Padova, che ancora svolgono la loro attività nonostante un parere negativo dell'autorità garante della concorrenza e del mercato;
    secondo un consolidato orientamento della Corte di giustizia, gli Stati membri dell'Unione non possono – in virtù del principio di leale collaborazione – adottare o mantenere in vigore misure, anche di natura legislativa o regolamentare, che possano rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza del Trattato applicabili alle imprese. La giurisprudenza della Corte di giustizia ha espressamente riconosciuto non solo ai giudici, ma anche a tutti gli organi dello Stato, incluse le pubbliche amministrazioni, l'obbligo di disapplicare una norma nazionale contrastante con il diritto comunitario;
    in un momento in cui i cittadini sono sempre più attenti alla qualità delle merci che acquistano, sia da un punto di vista merceologico e nutrizionale sia per ciò che riguarda la salute, esiste il rischio che le carni di coniglio in arrivo dai Paesi extraeuropei, arricchite con antibiotici, possano finire sugli scaffali dei supermercati europei come carni italiane, a danno dei consumatori e della competitività tra produttori; i conigli importati spacciati per italiani penalizzano inoltre l'attività degli allevatori italiani che, rispettando invece le regole di mercato, vengono sopraffatti dalla vendita a prezzi fortemente competitivi di prodotti stranieri;
    l'Italia dovrebbe intensificare i controlli presso i macellatori, in particolare quelli dotati anche di laboratorio per le seconde lavorazioni e verificare attentamente la corrispondenza tra bolle estere di accompagnamento e quantità di conigli effettivamente scaricati, in maniera analitica;
    un prodotto non fatturato o privo di bollino sanitario europeo, potrebbe essere peggiore sotto il profilo sanitario soprattutto nei periodi di crisi, dove è più facile abusare della propria forza per concentrare il mercato; i dati dimostrano infatti che la Francia esporta in Italia conigli ad un prezzo più basso, circa la metà, rispetto al prezzo per lo stesso prodotto praticato all'interno del proprio Paese, mettendo in atto un vero e proprio dumping;
    la Commissione per le petizioni del Parlamento Europeo ha aperto un dossier, chiedendo l'intervento della Commissione Europea, sui profili di violazione delle regole in materia di etichettatura e di tracciabilità della carne di coniglio,

impegna il Governo:

   a fornire elementi sullo stato di attuazione delle risoluzioni e del piano di settore e a dare attuazione immediata ai contenuti della risoluzione unitaria n. 8-00141 del 27 luglio 2011 della Commissione agricoltura della Camera e della risoluzione Antezza n. 7-00025 del 6 maggio 2009 della Commissione agricoltura del Senato applicando il piano di interventi per il settore cunicolo, previsto dall'accordo concluso il 29 aprile 2010 in sede di Conferenza Stato-regioni, rispettando gli impegni già assunti con la filiera;
   ad effettuare programmi straordinari di controllo e sostegno al comparto per definire un sistema di rilevazione delle quotazioni dei conigli a periodicità mensile o trimestrale, predisponendo i necessari controlli per verificare se sono in atto vendite sottocosto sulla carne di coniglio di importazione;
   ad attivare uno specifico programma di controlli utilizzando gli strumenti della legge n. 71 del 2005 per contrastare qualsiasi fenomeno di contraffazione e di agropirateria nel settore, come i conigli congelati che vengono spacciati per freschi, al fine di reprimere il commercio di prodotti falsamente indicati come made in Italy;
   ad intervenire con urgenza presso le competenti istituzioni comunitarie, per introdurre l'obbligo di etichettatura di origine anche per le carni di coniglio e per i prodotti trasformati a base di coniglio, sia intero che porzionato, al fine di garantire una maggior certezza giuridica a tutti gli operatori della filiera e una corretta informazione ai consumatori;
   a valutare l'opportunità di sollecitare le autorità europee alfine di indagare sulla presenza di aiuti di Stato vietati o di comportamenti anticoncorrenziali e fraudolenti da parte di alcuni stati membri dell'Unione, le cui imprese praticano prezzi diversi sui vari Stati membri dell'unione creando di fatto una barriera al commercio internazionale;
   ad intervenire nelle opportune sedi comunitarie affinché sia superato l'attuale sistema di classificazione che ha un medesimo codice di nomenclatura sia per le lepri sia per i conigli, per consentire una precisa individuazione della carne di coniglio e quindi una corretta rilevazione statistica e un sistema di controlli più efficace;
   a dar conto di quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere il Governo – in una fase grave di credit crunch – al fine di agevolare l'accesso al credito sancito in favore degli allevatori in stato di crisi, e ormai non più in bonis, in modo da permettere loro di diluire le passività e di ristrutturare il debito;
   a valutare gli opportuni provvedimenti per garantire un processo di miglioramento del regolamento istitutivo della CUN stessa, che indichi in maniera più dettagliata i requisiti di trasparenza e neutralità;
   a valutare gli opportuni provvedimenti per «disapplicare» i regolamenti delle borse merci di Verona e Padova atteso che le loro commissioni favoriscono comportamenti d'impresa in contrasto con l'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ovvero ne legittimano o rafforzano gli effetti, di fatto eludendo il divieto recato da siffatta norma;
   per la tutela della concorrenza e del benessere dei consumatori, a chiedere l'apertura di una indagine conoscitiva da parte dell'autorità garante della concorrenza e del mercato, in relazione al mercato delle carni di coniglio.
(7-00040) «Antezza, Oliverio, Luciano Agostini, Anzaldi, Carra, Cenni, Cova, Covello, Dal Moro, Ferrari, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   VECCHIO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la legge regionale 12 luglio 2011 n. 11, pubblicata sulla GURS n. 30 del 14 luglio 2011, il legislatore regionale siciliano, al fine di favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità giovanile e femminile, ha previsto l'esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive, per i cinque periodi d'imposta a decorrere dalla costituzione o dall'inizio dell'attività, per le nuove imprese giovanili o femminili;
   in mancanza del codice di esenzione nel modello Irap/2013, per l'anno d'imposta 2012, pubblicato sul sito dell'Agenzia delle entrate, relativamente alla regione Sicilia, gli ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili siciliani, in data 22 aprile hanno richiesto alla direzione regionale della Sicilia dell'Agenzia delle entrate l'attivazione del codice;
   il direttore regionale con nota del 2 maggio 2013 ha risposto affermando che per la decorrenza del provvedimento si era in attesa di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   l'assessorato regionale dell'economia ha trasmesso la nota del 22 maggio 2012 al Ministero dell'economia e delle finanze, con la quale si richiede l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri –:
   se il Governo stia provvedendo a emanare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, vista l'ormai prossima scadenza per la presentazione dei modelli di dichiarazione dei redditi dei contribuenti interessati. (3-00122)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la necessità di consolidare gli abitati minacciati da movimenti franosi si è posta sin dall'inizio del ’900, quando furono emanati provvedimenti per far fronte ai casi più urgenti di dissesto idrogeologico con stanziamenti pluriennali di fondi statali per interventi di consolidamento delle frane;
   nei casi in cui le aree interessate non risultavano recuperabili mediante normali interventi di consolidamento furono individuati alcuni centri abitati da trasferire in parte o in tutto in altri siti più o meno vicini;
   la normativa relativa al problema dei centri abitati interessati da movimenti franosi è contenuta nella legge 9 luglio 1908, n. 445, concernente i provvedimenti a favore della Basilicata e della Calabria. Al titolo IV, rubricato «Consolidamento di frane minaccianti abitati e trasferimenti di abitati in nuova sede» fa riferimento l'allegata tabella E che comprende un elenco di abitati ammessi al trasferimento. Questo elenco ha subito nel tempo integrazioni e modifiche apportate da diversi e molteplici provvedimenti, segno della diffusione del problema del dissesto del territorio e del coinvolgimento sempre più ampio di centri abitati o parte di essi, anche in coincidenza di progressivi ampliamenti delle zone urbanizzate;
   agli abitati indicati nella tabella menzionata, con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1962, n. 839 è stata aggiunta la frazione San Nicola del comune di Centola, in provincia di Salerno, interessata da un parziale trasferimento;
   nel corso del tempo, il numero dei centri abitati ammessi a consolidamento o trasferimento è aumentato, quando la nuova legislazione in materia di difesa del suolo ha modificato il tipo di approccio alle problematiche di gestione e programmazione degli interventi di consolidamento dei fenomeni franosi. Nel contempo gli elenchi degli abitati interessati dalla citata legge n. 445 del 1908 sono rimasti in vigore, risultando non aggiornati da oltre trenta anni;
   al mancato aggiornamento degli elenchi si aggiunge anche quello relativo alle zone interessate dagli interventi richiamati. Invero, nel caso di specie del comune di Centola citato, la perimetrazione della zona istituita con il relativo decreto presidenziale in seguito ai movimenti franosi costituisce ad oggi un vincolo che impedisce qualsiasi intervento di recupero della chiesa di san Nicola, simbolo del piccolo centro, che versa in pessime condizioni statiche –:
   se non ritenga opportuno, proprio in vista del rilancio economico, della riqualificazione del patrimonio di tanti piccoli centri abitati del Paese e della semplificazione amministrativa, assumere le iniziative di competenza, in collaborazione con le amministrazioni, anche locali, e con gli organismi coinvolti, per una modifica del decreto del Presidente della Repubblica richiamato in premessa, al fine di consentire l'avvio delle opere di recupero di una piccola ma importante parte dell'architettura religiosa del comune di Centola. (5-00367)


   RUBINATO, ZAMPA e GRIBAUDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'attività di «rassegna stampa», secondo quanto prescritto dalla convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie del 1886 che ne riconosce la liceità, è «un insieme di citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo»;
   sino al 14 marzo 2013 i cittadini hanno avuto la possibilità di consultare varie rassegne stampa, on line, tra le quali anche quella della Camera dei deputati, opportunità che ha certamente contribuito alla realizzazione concreta della libertà di informazione prevista dalla nostra Carta Fondamentale;
   la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale conferma infatti che la libertà di informazione di cui all'articolo 21 contempla pure un profilo passivo, che va identificato nel diritto a ricevere notizie e quindi nel diritto ad essere informati, comprendente pure l'interesse del cittadino a ricercare informazioni;
   le rassegne stampa concorrono con la loro attività a rendere possibile l'esercizio del diritto di informare ed essere informati, si pensi ad esempio alla valenza del diritto di rettifica;
   l'accesso libero alle rassegna stampa negli ultimi 15 anni ha sicuramente contribuito ad agevolare l'effettiva partecipazione da parte di migliaia di cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese specie per quanto riguarda l'oscuramento degli archivi delle rassegne stampa pregresse che rappresentano fonte informativa preziosa per cittadini e studiosi – italiani e stranieri – e che nulla hanno a che fare con i cali delle vendite dei quotidiani;
   va considerato altresì che i cittadini, attraverso la fiscalità generale contribuiscono al finanziamento dell'editoria;
   la legislazione per la tutela del diritto d'autore risale al 1941 e non appare al passo coi tempi e l'evoluzione dei mass media;
   il comparto delle società che offrono servizi di rassegna stampa rappresenta un'importante risorsa per una pluralità di soggetti e le azione italiane che offrono questo servizio hanno realizzato nel corso del 2012 un giro d'affari di 40 milioni di euro occupando circa 600 dipendenti in totale;
   il DIE, Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio, aveva organizzato nel novembre 2011 un tavolo tecnico per concordare un compenso equo tra editori e società di rassegna stampa che non fosse in contrasto con i diritti ad essere informati e di informare, tavolo tecnico a cui aveva invitato editori (Fieg, Uspi, Fisc, Anes, Mediacoop), giornalisti (FNSI) e assorassegne stampa;
   il settore delle rassegne stampa ha recentemente ribadito di essere disponibile a riconoscere un compenso all'editoria per il materiale trattato, seppure questo non sia previsto ex lege, ma con «garante pubblico» a tutela appunto della libertà di informazione di cui all'articolo 21 della Costituzione;
   la licenza rilasciata da PROMOPRESS s.r.l., società di cui FIEG detiene oltre il 97 per cento, consentirebbe di inserire in rassegna stampa solo le testate che hanno conferito un mandato alla stessa, che ad oggi risultano essere solo il 6 per cento dell'intero settore;
   la discrezionalità della gestione della suddetta società e della revoca della licenza a inserire una testata nelle rassegne stampe, potrebbe comportare grave danno al diritto di essere informati ed informare, specie nelle rassegne stampa dei siti istituzionali –:
   se non ritenga necessario avviare nuovamente il tavolo tecnico presso il dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri per la definizione di un accordo sulle regole per l'accesso pubblico alle rassegne stampa con le Associazioni degli Editori ivi comprese quelle delle istruzioni pubbliche;
   se non ritenga utile prevedere iniziative normative che identifichino un ente unico collettore dell'equo compenso per gli editori, capace di assicurare terzietà ed unificare la raccolta dei compensi e la copertura di tutti i soggetti interessati, come la SIAE. (5-00369)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 155 del 2012 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148) il tribunale di Sala Consilina (SA) veniva soppresso per essere accorpato al tribunale di Lagonegro (PZ);
   con l'ordinanza del tribunale di Sala Consilina – giudice monocratico dottoressa Enrichetta Cioffi resa in data 20 febbraio 2013 si accoglieva l'istanza presentata dagli avvocati del foro di Sala Consilina, avvocati Gentile e Di Paola, in merito alla questione di legittimità costituzionale relativa alla soppressione dello stesso tribunale di Sala Consilina;
   sono in atto le fasi preliminari per il trasferimento, da eseguirsi dal 13 settembre 2013, del tribunale di Sala Consilina in un'altra regione (dalla Campania alla Basilicata);
   ad oggi, il tribunale di Lagonegro, non è in grado di accorpare, con le proprie strutture il tribunale di Sala Consilina di gran lunga maggiore per dimensioni, per numero di carichi pendenti e per bacino d'utenza –:
   se il Governo intenda adottare iniziative normative affinché si possa scongiurare l'irragionevole e antieconomico accorpamento del tribunale di Sala Consilina a quello di Lagonegro o quanto meno si possa pervenire a un congruo slittamento dei termini di attuazione del decreto legislativo n. 155 del 2012 in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale. (4-00878)


   ROSATO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le cronache di stampa riportano un malcostume che sconfina, più dettagliatamente, nel reato di truffa ai danni dello Stato: parenti di cittadini defunti che tacciono la morte dei propri cari al fine di intascarne le pensioni erogate dagli enti previdenziali;
   di recente, un'operazione condotta dalla Guardia di finanza nella sola provincia di Lecco ha fatto emergere 300 casi per una truffa dal valore complessivo di 700 mila euro;
   la proficua attività delle forze dell'ordine costantemente rileva truffe simili, come anche l'intestazione di ricette mediche a parenti ormai defunti;
   la burocrazia italiana è sempre precisa ed impietosa con i cittadini onesti ai quali vengono spesso chieste certificazioni ridondanti, mentre non vi sono strumenti di condivisione dei dati tra gli enti;
   i parenti dei cittadini defunti sono obbligati a presentare il certificato di morte all'ente previdenziale con un evidente carico di lavoro che un banale collegamento tra gli uffici dell'anagrafe e gli enti previdenziali potrebbe evitare –:
   con che modalità e tempistica i comuni informano gli enti previdenziali, assistenziali e il servizio sanitario dei decessi;
   se il Governo non ritenga che sia necessario che le diverse banche dati siano collegate e che ogni decesso venga comunicato automaticamente in tempo reale a tutte le istituzioni e gli enti pubblici;
   quali tempistiche il Governo ritenga che siano necessarie per poter provvedere in tal senso. (4-00885)


   SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di distribuzione dell'acqua potabile della città di Caserta è, sin dal 1990, effettuato in concessione Compagnia napoletana di illuminazione e scaldamento col gas (Napoletanagas), società quasi interamente controllata dall'Italgas s.p.a., a sua volta interamente controllata dalla SNAM s.p.a.; tale società gestisce il servizio di distribuzione dell'acqua potabile anche in altri altri comuni della provincia di Caserta, ovvero Casaluce, Galluccio e Roccaromana, con circa 94.600 abitanti serviti;
   la Napoletanagas ha espresso l'intenzione di uscire dal settore idrico, invitando ad avanzare manifestazioni di interesse alla cessione di ramo di azienda;
   tale intenzione, insieme all'attività del comune di Caserta stesso, di cui si farà cenno successivamente, ha generato nella cittadinanza fondati motivi di preoccupazione: è a tutti noto infatti che in provincia di Caserta lo Stato si trova a fronteggiare forme particolarmente insidiose ed aggressive di penetrazione nel tessuto economico di capitali di difficile «tracciabilità»;
   la volontà politica espressa dall'amministrazione comunale della città di Caserta è quella di procedere all'affidamento del servizio idrico con una «gara trentennale»;
   la stessa amministrazione ha preliminarmente presentato ricorso di fronte al TAR della Campania contro la delibera della giunta regionale n. 813 del 27 dicembre 2012, pubblicata sul BURC Campania n. 3 del 14 gennaio 2013 avente ad oggetto determinazioni in merito alle autorità d'ambito, dei provvedimenti di nomina dei commissari straordinari degli ATO, nonché degli atti connessi;
   tale ricorso è stato respinto in data 8 maggio 2013;
   la regione Campania è tra le poche regioni che non ha legiferato in merito alla nuova organizzazione dei servizi idrici conseguente all’«abrogazione» degli ATO (prevista dall'articolo 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009 n. 191, introdotto dall'articolo 1, comma 1-quinquies della legge 26 marzo 2010, n. 42, che ha soppresso le autorità d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni e integrazioni con decorrenza 31 marzo 2011, termine prorogato al 31 dicembre 2012 con decreto-legge dicembre 2011, n. 216, convertito dalla legge n. 24 febbraio 2012, n. 14), e pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2013, essendo definitivamente soppresse le autorità d'ambito, le funzioni alle stesse assegnate non possono più essere assolte in carenza di una disciplina regionale che le riassegni, con gravi ripercussioni per i servizi pubblici essenziali inerenti al ciclo integrato delle acque, essendo, tra l'altro, i commissari nominati con la richiamata delibera della giunta regionale n. 813 del 27 dicembre 2012 tenuti alla sola ordinaria amministrazione;
   intanto la giunta regionale campana con decreto dirigenziale n. 229 del 29 marzo 2013 ha aumentato le tariffe della fornitura dell’«acqua all'ingrosso» del 30 per cento, traslando, con una singolare interpretazione dello stesso insufficiente metodo tariffario transitorio, i costi sui cittadini senza alcuna valutazione sull'efficienza del sistema regionale;
   l'amministrazione di Caserta ha di fatto tentato, con scarso successo, di realizzare una vacatio della funzione di indirizzo e controllo esercitata dall'autorità d'abito competente, ben sapendo che tentativi analoghi sono stati frustrati dalle sentenze della giustizia amministrativa;
   ad opinione dell'interrogante, alla luce del caso esposto in premessa, l'azione di Governo deve essere caratterizzata da un intervento diretto nel settore della gestione del ciclo idrico perché, al di là di posizioni di principio, in aree ad alta presenza di capitali illegali, privatizzare rischia di significare, in concreto, la consegna ad ambigui speculatori (e per molti anni) della gestione di risorse essenziali;
   questa visione è rafforzata dall'esito del referendum del 12 e 13 giugno del 2011 che ha sancito l'emersione a livello costituzionale, normativo, giurisprudenziale e di politica del diritto della categoria dei beni comuni, in primis l'acqua, che vanno collocati fuori commercio perché appartengono a tutti e non possono in nessun caso essere privatizzati;
   il caso della gestione dei servizi idrici nella città di Caserta dimostra come, nonostante gli esiti del referendum del 12 e 13 giugno 2011, possa sussistere il rischio di una gestione privata di un bene che i cittadini hanno sancito debba essere pubblica –:
   se alla luce di vicende come quelle descritte in premessa, il Governo, per quanto di competenza non intenda monitorare come le indicazioni date dal popolo italiano con il referendum del 12 e 13 giugno 2011 siano state rispettate.
(4-00893)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO e BOCCADUTRI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la pubblicazione sul quotidiano inglese Guardian nel giugno 2013 delle rivelazioni dell'agente dell'NSA Edward Snowden stanno generando una vera e propria crisi diplomatica internazionale, oltre che un dibattito molto acceso nell'opinione pubblica statunitense;
   il programma «Prism» rappresenta un sofisticato strumento ideato ed eseguito dalla National security agency per gestire informazioni raccolte da fornitori di servizi elettronici relative a cittadini statunitensi e di altri Paesi: comunicazioni dal vivo e informazioni memorizzate, come foto, trasferimenti di dati, video, e-mail, videochat, conversazioni VoiP, chat vocali, notifiche di accesso e dettagli relativi a social network;
   il «Datagate», come ribattezzato dalla stampa americana, avrebbe determinato inoltre ben 61.000 operazioni di hackeraggio contro obiettivi cinesi, incluse università e aziende, entrando nei gangli delle principali reti di comunicazione;
   anche in Europa ci si interroga sulla penetrazione di questo programma, che metterebbe a rischio la privacy di milioni di cittadini: sarebbe stato infatti possibile penetrare nei sistemi informatici transnazionali più utilizzati dai comuni cittadini di tutto il mondo, compresi ad esempio Facebook, Gmail, Itunes e motori di ricerca come Google;
   l'Europa ha chiesto attraverso Viviane Reding, responsabile della giustizia della Commissione europea, chiarimenti agli Stati Uniti d'America sul programma «Prism», avviando le prime due cause contro la NSA per chiedere il «rispetto del diritto fondamentale di tutti i cittadini europei alla protezione dei loro dati personali»;
   la Commissione ha chiesto inoltre che il programma «Prism» sia esclusivamente limitato a casi individuali «fondati su sospetti specifici», senza controlli a largo raggio ed indiscriminati, in quanto si rischierebbe di mettere a repentaglio la protezione e la confidenzialità dei dati;
   il garante della privacy onorevole Antonello Soro, ha denunciato, nella prima relazione annuale, che in Italia soltanto nel 2012 sono aumentate le violazioni accertate dall’autorithy, e le segnalazioni di abusi da parte di operatori di marketing telefonico sono arrivate a quota 7.000;
   il diritto alla privacy è costituzionalmente riconosciuto e va difeso sia da intromissioni interne che internazionali;
   episodi di questo tipo non sono nuovi, come ci ricorda il quotidiano francese Le Monde, giacché risale al 2006 la scoperta che gli Stati Uniti avevano accesso ai dati riservati di SWIFT, una società con base in Belgio con il compito di gestire ed analizzare l'intero flusso finanziario globale che passa attraverso le banche; questi problemi non sono stati evidentemente ancora risolti;
   i colossi citati nel «Datagate», da Google a Facebook, operano con server che si trovano al di fuori della giurisdizione europea, aggirando in tal modo le norme comunitarie e nazionali che impongono l'autorizzazione della magistratura per le intercettazione di comunicazioni private;
   le parole del garante sopra citate palesano ancora una volta l’«emergenza privacy» nel nostro Paese e confermano la necessità di un aggiornamento legislativo riguardo le norme in materia;
   il professore Francesco Pizzetti, presidente di «Alleanza per Internet» ed ex garante della privacy, in un'intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica il 13 giugno 2013 ha manifestato la scarsa reattività da parte delle autorità italiane rispetto alla vicenda «Datagate», a differenza della Commissione Europea e della Germania, che hanno chiesto immediatamente spiegazioni –:
   quali iniziative abbia assunto il Governo italiano al fin di conoscere il livello di coinvolgimento di cittadini ed imprese italiane nel cosiddetto «Datagate»;
   quali iniziative intenda assumere affinché venga fatta piena luce sulla vicenda e siano regolamentati i programmi di raccolta e gestione dati così da garantire la privacy dei cittadini italiani. (4-00888)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come lamentato, anche recentemente ed in diverse occasioni, dalle associazioni di categoria e dai consorzi per la raccolta e il riciclo di pneumatici risulta sempre più necessario combattere il preoccupante fenomeno della vendita al dettaglio degli pneumatici attraverso «canali web» senza l'applicazione del contributo ambientale da parte di soggetti commerciali con sede all'estero;
   in base ad alcune stime, infatti, questo rappresenta un settore in sensibile crescita e già oggi copre circa il 3 per cento del mercato, equivalente a 2 milioni di pezzi che corrispondono a circa 12 mila tonnellate di PFU. Da queste stime il potenziale mancato versamento del contributo ambientale ammonterebbe a circa 5 milioni di euro. Questo comporta 3 gravi conseguenze per il settore. Innanzitutto, un mancato introito per l'erario pari a 1 milione di euro, in ragione dell'IVA applicata al contributo. In secondo luogo, questo ingiusto vantaggio sul prezzo di vendita, ottenuto dalla mancata applicazione del contributo, comporta una distorsione della concorrenza che danneggia i produttori e gli importatori che applicano correttamente la legge e il contributo. Terza e ultima conseguenza consta nel fatto che questi pneumatici, non contabilizzati come immessi sul mercato, una volta giunti a fine vita ricadono sulla collettività, per la loro raccolta e trattamento, per un costo stimabile in circa 5 milioni di euro;
   le società straniere, come già espresso, non applicano il predetto contributo nella vendita online poiché intrattengono il rapporto commerciale direttamente con il consumatore acquirente, senza l'intermediazione di un importatore, sfuggendo alle categorie previste dalla normativa vigente concepita quando ancora gli acquisti online risultavano essere marginali e che risulta oramai obsoleta;
   da ultimo questa lacuna normativa innesca poi il rischio di abbandono illegale poiché in caso di acquisto online di pneumatici è, nella quasi totalità dei casi, previsto il montaggio presso un gommista autorizzato, che in assenza di pagamento del contributo di smaltimento su quelli nuovi non accetta il ritiro degli pneumatici e che spesso vengono così dispersi nell'ambiente –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e se non intendano intervenire con urgenza sulla normativa vigente ovvero, ove possibile, anche attraverso una circolare ministeriale, imponendo il pagamento del contributo ambientale anche per gli acquisti online di pneumatici venduti da soggetti commerciali con sede all'estero al fine di tutelare l'ambiente, la concorrenza e combattere l'elusione fiscale dell'IVA. (4-00876)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, PICCOLI NARDELLI, COSCIA e CAROCCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il dibattito insorto su un'eventuale riordino degli archivi di Stato – a causa del quale sono state già avviate sul web iniziative di petizione e interventi di illustri studiosi – sta generando nel settore grande preoccupazione che rimanda alla paventata possibilità di una ulteriore contrazione della capacità operativa degli istituti archivistici;
   gli istituti archivistici tutelano un patrimonio materiale e cospicuo di documentazione di interesse storico e ricoprono un ruolo, in termini non solo di conservazione ma di valorizzazione e promozione, quanto mai rilevante, specialmente laddove essi sono i principali, se non unici, siti archivistici funzionanti – come veri e propri «poli» – che permettono la fruizione di un patrimonio inestimabile e unico al mondo;
   il valore intrinseco degli archivi non nasce esclusivamente dalla funzione conservativa della memoria storica di una nazione ma dalla funzione di tutela e garanzia che deriva dalla documentazione prodotta e conservata all'interno di un sistema codificato, che ne garantisce appunto l'integrità e l'autenticità;
   l'uso degli archivi diventa essenziale anche per la valorizzazione della memoria collettiva e come strumento di educazione del cittadino;
   riteniamo sostenibile l'avvio di un confronto che coinvolga le istituzioni e il settore per un processo di riforma che tuteli gli archivi nelle loro due principali specificità: quella del patrimonio culturale, archivi per la memoria storica, per la fruizione e valorizzazione della cultura del territorio, e quella della governance, archivi come strumenti di democrazia e diritto;
   è indiscutibile il valore di tutti gli istituti, la loro articolazione, la vantata rete capillare – priva di doppioni – che deve essere considerata funzionalmente ed economicamente sostenibile –:
   se e come il Ministro interrogato intenda procedere al riordino degli archivi di Stato e se, in tal caso, non ritenga ineludibile avviare un confronto che coinvolga le istituzioni e il settore. (5-00362)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAROCCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   risulta che si stia approntando un progetto di riorganizzazione del Ministero, in base al quale gli archivi di Stato, esistenti in ogni capoluogo di provincia, saranno divisi in due categorie: archivi nazionali, nel quale troveranno posto gli archivi considerati più importanti e archivi provinciali, retti da un funzionario, che dipenderanno dalle Soprintendenze archivistiche;
   nel web è sorta una petizione che numerosi studiosi, non solo italiani, hanno firmato con la richiesta del mantenimento dell'archivio di Stato di Genova al rango di archivio nazionale;
   da tale petizione si evince, infatti, che l'elenco degli archivi nazionali presente nel progetto di riforma è composto da nove istituti situati nelle seguenti città: Venezia, Firenze, Torino, Milano, Roma, Napoli, Palermo, Bologna, Bari;
   se così fosse, si ritiene che non sarebbero tenute in debito le ragioni per le quali a Genova deve essere mantenuto l'archivio nazionale: Genova, capoluogo di regione e città metropolitana, è da sempre sede dirigenziale, e subirebbe da questo progetto di riforma un radicale declassamento;
   è necessario sottolineare che se la discriminante del declassamento fosse la consistenza della documentazione conservata, Genova, in base alle statistiche ufficiali del Ministero, è pari e in alcuni casi supera quella di alcuni archivi inclusi nell'elenco. La stessa considerazione vale se si applica il criterio del numero di presenze di utenti nella sala di studio. Se si vuole elevare al rango di archivi nazionali gli istituti delle città capitali degli Stati preunitari, vale la pena rammentare che Genova è stata capitale ininterrottamente per sette secoli, dalla fine del secolo XI al 1805, più a lungo di circa la metà delle città incluse nell'elenco. Se, infine, ci si vuole basare sull'importanza del patrimonio documentario conservato e sulla sua notorietà a livello nazionale e internazionale sarà bene ricordare che l'archivio di Stato di Genova custodisce il più antico e vasto archivio notarile del mondo, con il più antico registro che ci sia pervenuto, risalente al 1154 –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere al riordino degli archivi di Stato e se, in tal caso, non ritenga ineludibile intervenire per impedire che l'archivio di Stato di Genova venga declassato.
(4-00881)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI, CARIELLO, D'AMBROSIO, BASILIO, BRESCIA, CORDA, FRUSONE, RIZZO e ZOLEZZI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Parco nazionale dell'Alta Murgia, istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 10 marzo 2004, è una area naturale protetta situata in Puglia, nelle province di Bari e di Barletta-Andria-Trani; è un ente autonomo regolato dalla legge n. 394 del 1991: nel gennaio 1993 tutti i comuni interessati deliberano la propria adesione al progetto di istituzione del parco; il 14 ottobre 1993 la conferenza dei servizi costituisce il comitato tecnico che deve elaborare una proposta di perimetrazione e le relative norme provvisorie di salvaguardia; il 24 novembre 1993 la conferenza dei servizi approva all'unanimità la proposta di perimetrazione del comitato tecnico e avvia l’iter amministrativo per l'istituzione del Parco; nel marzo 1997 si approva la legge quadro regionale sulle aree protette pugliesi (legge regionale n. 19 del 1997) nella quale si prevede l'istituzione del parco regionale dell'Alta Murgia; nel dicembre 1998 la Camera dei deputati approva in via definitiva il disegno di legge «Nuovi interventi in campo ambientale» (legge n. 426 del 1998) che prevede l'istituzione del parco nazionale dell'Alta Murgia; nel 1999 c’è la presentazione della bozza di perimetrazione del Parco nazionale dell'Alta Murgia elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; l'11 novembre 2002 si arriva all'accordo preliminare comuni-regione-Ministero su perimetrazione e norme transitorie di salvaguardia; nel 2003 si arriva alla delibera regionale di approvazione definitiva;
   il parco ha un'estensione di circa 68.077 ettari, ripartiti in tre zone a tutela differenziata:
    zona 1 – di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio «steppico» e rupicolo;
    zona 2 – di valore naturalistico, paesaggistico e storico culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio agricolo;
    zona 3 – di connessione ecologica e di promozione di attività economiche compatibili con le finalità del parco. In tale zona sono comprese le aree interessate da accordi di programma, ai sensi delle norme regionali in materia;
   flora e fauna sono costantemente monitorati: nel Parco nazionale si ritrovano per lo più esemplari di alberi tipici della regione, sono molto diffuse specie di erba bassa e media, è possibile trovare piante o arbusti ad interesse alimentare, alcune specie fungine e, inoltre, benché non sia riscontrabile una particolare varietà di fauna, è stata accertata la presenza di donnole, faine, lepri, roditori, volpi e, dopo la reintroduzione di alcune coppie di cinghiali che si sono rapidamente moltiplicati, si è potuto assistere al riaffacciarsi di lupi generalmente provenienti dall'Abruzzo o dalla più vicina Lucania, così come attestano documentazioni fotografiche;
   l'istituzione dei parco è dovuta soprattutto alle rilevanti valenze naturalistiche del territorio che costituisce una delle più importanti aree steppiche d'Italia con la presenza di vari endemismi floristici e una delle maggiori popolazioni di avifauna delle steppe;
   l'area ha inoltre una forte valenza paesaggistica e culturale, grazie alla presenza di fenomeni carsici che hanno modellato il calcare della zona e reso possibili originali architetture rurali, e di numerose testimonianze preistoriche come i ritrovamenti de l'Uomo di Altamura; inoltre l'aspetto prevalente del territorio è caratterizzato da paesaggi quasi «lunari» che sono frutto di un'azione di erosione millenaria da parte di venti e acque piovane che hanno modellato nel secoli le forme dell'altopiano calcareo, creando un eccezionale patrimonio di fenomeni di origine carsica;
   nel Parco nazionale dell'Alta Murgia sono presenti poligoni militari estesi per circa il 30 per cento del territorio, come da delibera regionale n. 400 del 23 febbraio 1983 che approva la delibera di giunta n. 9116 del 20 settembre 1982 con la quale si destina, a poligoni militari permanenti, un'area complessiva di circa 15.000 ettari; nel territorio insistono le seguenti istallazioni ad uso militare, con relative servitù: deposito munizioni Poggiorsini – Poggiorsini, C.N.A. di Monte Caccia – Spinazzola-Andria; e i seguenti poligoni occasionali: poligono Torre di Nebbia – Spinazzola, poligono di tiro di Madonna del Buon Cammino – Altamura (parzialmente compreso nel territorio del Parco), poligono Parisi Vecchio, poligono La Sentinella – Altamura, poligono Scorzone – Minervino;
   gli accordi relativi alla possibilità di utilizzare una parte del territorio del parco per effettuare esercitazioni militari sono antecedenti all'istituzione del Parco stesso, regolati tra le stesse autorità militari e la regione Puglia;
   tali esercitazioni hanno un impatto ambientale deleterio per la zona, così come riportato da diversi studi scientifici: le esplosioni prodotte dalle simulazioni di guerra rilasciano nano particelle di metalli pesanti nell'aria e sul terreno, inquinando la falda acquifera e entrando nei tessuti umani (e non solo) senza più uscirne causando gravi malattie fra cui formazioni tumorali;
   da diversi anni la popolazione pugliese si è espressa in maniera inequivocabile contro il protrarsi delle installazioni militari nella regione, che bloccano lo sviluppo produttivo e sociale della regione;
   la presenza militare con le sue attività condiziona lo sviluppo economico dei territori con le servitù militari e talvolta imponendo scelte alle amministrazioni locali che vanno in contrasto con la volontà delle popolazioni interessate;
   rispetto alla scelta di tenere esercitazioni militari nel territorio interessato, il Presidente dell'ente parco, Cesare Veronico ha dichiarato che: «Noi non possiamo autorizzare alcuna esercitazione militare – afferma Veronico –: si tratta di decisioni che spettano esclusivamente al Ministero della difesa e nelle quali, purtroppo, non abbiamo modo di intervenire. I poligoni addestrativi, voglio che sia chiaro, sono in aperta contraddizione con i nostri obiettivi e sono il lascito di decisioni precedenti all'istituzione del Parco: esistono dagli anni 70 e tempi e modalità del loro utilizzo sono stati stabiliti in sede di comitato misto paritetico tra le autorità militari e la Regione Puglia. Nel corso dell'incontro di cortesia dello scorso 8 febbraio 2013, tenutosi a Bari presso il comando della Brigata meccanizzata «Pinerolo» con il comandante del 2o Comando Forze di difesa generale Vincenzo Lobs, non ho in alcun modo espresso parere favorevole all'attuazione di un incremento delle attività di esercitazione militare; ho, al contrario, disapprovato tali interventi. Proprio nelle ore in cui l'Alta Murgia intraprende ufficialmente il percorso per il conseguimento della Carta europea per il Turismo Sostenibile, prendo atto con rammarico della prosecuzione delle attività militari. Questo Parco deve essere percepito come un luogo di pace e di serena convivenza. Chiederò immediatamente un incontro a tutti i parlamentari, in particolare a quelli dell'Alta Murgia, perché si attivino per modificare il quadro normativo ed impedire le operazioni militari nelle aree protette. Quanto all'ipotesi dell'istituzione di nuovi poligoni militari all'interno dei Parco, si tratta di pure farneticazioni» –:
   considerati gli accordi stabiliti in sede di Comitato misto paritetico tra le autorità militari e la regione Puglia che regola la possibilità di effettuare esercitazioni militari nel territorio del Parco –, quale sia il criterio generale per il quale è possibile continuare ad utilizzare «aree di reperimento» di grande pregio ambientale elencate nella legge quadro sulle aree protette (legge n. 394 del 1991, articolo 34) in cui l'Alta Murgia è stata inserita insieme ad altre zone del territorio italiano, per i suddetti usi;
   se non sia opportuno individuare una serie di aree più idonee a tali usi poiché, come già riportato in premessa, le attività militari svolte hanno un forte impatto ambientale sul territorio che, proprio per questo, necessiterebbe di periodiche attività di bonifica;
   se sia possibile intraprendere, di concerto con la regione Puglia, un piano di riordino delle attuali servitù militari presenti nella regione, al fine di ridurre quanto più possibile le aree militari presenti nel territorio pugliese che per troppi anni è stato oggetto di un interesse prevalente da parte del Ministero della difesa che ha seriamente compromesso l'ambiente e la naturale vocazione turistica delle aree interessate, limitandone in maniera considerevole lo sviluppo economico e sociale;
   se non ritengano di intervenire affinché si possa avviare un'intesa atta a smilitarizzare, in un futuro prossimo, la zona interessata e, nel contempo, pensare il prima possibile ad un riordino delle servitù coinvolte. (5-00357)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   i volontari in ferma breve (VFB) erano delle figure di volontari reclutati per ferme di tre anni, accertata la loro idoneità fisico-psico-attitudinale attraverso un bando di concorso e espletato un periodo di formazione;
   lo Stato, in numerose campagne informative, ha assicurato l'intenzione di istituire un'arma specializzata e più professionale attraverso l'individuazione di un contingente di volontari ai quali garantire, al termine dei tre anni, il transito nel servizio permanente effettivo o comunque una rafferma di ulteriori due anni nei quali poter effettuare altri concorsi per il servizio permanente;
   la figura dei volontari in ferma breve è stata, oggi, superata da quella dei volontari in ferma prefissata annuale (VFP1) o quadriennale (VFP4) ai quali sono riservati, sino al 2020, i concorsi per l'accesso alle carriere iniziali delle Forze di Polizia;
   all'interrogante risulta che a partire dall'11esimo corso VFB fino al 19esimo, la Marina militare e l'Esercito non siano proceduti con il transito dei VFB in servizio permanente effettivo o con il rinnovo agli stessi di ulteriori due anni di rafferma, preferendo l'assunzione di nuovo personale proveniente dai nuovi profili;
   i volontari in ferma breve dopo essere stati formati sono stati, quindi, congedati dall'Esercito e dalla Marina militare;
   in una risposta del sottosegretario Alfano in Commissione, si è ricordato come le forze di polizia fossero state autorizzate ad assumere negli anni 2010, 2011 e 2012 personale proveniente dai volontari in ferma breve in servizio o in congedo;
   da una verifica sui bandi di concorso svolti dal 2010 ad oggi dalle amministrazioni della Polizia di Stato, polizia penitenziaria, guardia di finanza, Arma dei carabinieri e Corpo forestale dello Stato, si evince che nessuno di questi sia stato riservato anche ai volontari in ferma breve –:
   posto che vanno tutelati i vincitori dei concorsi già espletati e non bisogna avviare guerre tra giovani che parimenti vantano delle aspettative nei confronti delle amministrazioni, come il Governo intenda tutelare i volontari in ferma breve che si ritrovano oggi ad essere congedati e senza possibilità di partecipare ai concorsi per l'accesso alle carriere iniziali delle Forze di Polizia. (4-00874)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FARAONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la proprietà azionaria di Telespazio, (67 per cento Finmeccanica e 33 per cento Thales) richiama per le questioni riguardanti l'attività dell'azienda e dei suoi lavoratori, il coinvolgimento diretto del Ministero dell'economia e delle finanze e nella fattispecie la crisi dello stabilimento dello Scanzano il coinvolgimento diretto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   Telespazio è tra i principali operatori mondiali nella gestione dei satelliti, nei servizi di osservazione della terra, di navigazione satellitare, di connettività integrata, attività che possono risultare decisive anche nelle attività di monitoraggio ambientale e di protezione civile;
   gli altri siti produttivi di Telespazio, quello del Fucino (Abruzzo) e quello del Lario (in Lombardia) risultano aver raggiunto la quota dell'80 per cento di saturazione degli impianti oltre la quale non è possibile andare, mentre quello di Scanzano (Sicilia) risulta sotto sfruttato;
   il centro spaziale dello Scanzano conta un organico di 26 risorse e di queste 19 unità dal 7 gennaio 2013 sono in cassa integrazione guadagni ordinaria a rotazione, ha a disposizione 5 antenne per servizi satellitari di cui 2 attualmente inutilizzate;
   lo stabilimento dello Scanzano riveste un ruolo fondamentale per il territorio della Piana degli Albanesi, a Palermo, e la stessa struttura, oggi sotto utilizzata, è di altissima qualità e valore costruttivo, tanto da rendere difficoltosa anche una sua dismissione;
   Telespazio è in procinto di transitare la GIGO dei lavoratori di Scanzano in CIGS data la crisi definita strutturale;
   nel giugno 2012 l'ex amministratore di Telespazio, dottor Carlo Gualdaroni, illustrando il piano industriale ha relazionato su una serie di risultati positivi per l'azienda, comunicando strategie industriali ambiziose e di grande interesse e che, l'attuale amministratore ingegnere Luigi Pasquali ha legato le sorti del sito di Scanzano solo al fatto che Telespazio si aggiudichi la gara internazionale EGNOS, pur sembrando che questo non porterà alcun beneficio in termini di lavoro alla sede di Scanzano, svolgendosi l'attività principalmente a Tolosa (Francia);
   diverse sono state già le proposte per progetti che potrebbero essere attuati dalla regione Sicilia per la creazione di rete internet regionale, dedicata in prima istanza alle realtà istituzionali, tramite satellite in alternativa a quella ben più costosa e impegnativa in fibra ottica (costo di circa 13 chilometri di fibra pari a 2 milioni di euro); creazione di un sistema integrato di controllo e osservazione del territorio per la gestione di emergenze, catasto, protezione civile; creazione di un centro di ricerca e studi attivando un circolo virtuoso tra università/istituzioni/aziende; solo per citarne alcuni –:
   se non ritengano di dover intervenire sui vertici aziendali di Finmeccanica/Telespazio al fine di programmare immediatamente una diversa e più equa distribuzione di progetti e commesse, e quindi lavoro ed entrate economiche, tra tutti i centri di produzione di Telespazio, con particolare attenzione al rilancio e mantenimento dello stabilimento di Scanzano;
   se non ritengano di dover intervenire sui vertici aziendali Finmeccanica/Telespazio al fine di aprire un tavolo che prenda in considerazione progetti e commesse future;
   se non ritengano di dover intervenire presso i vertici di Finmeccanica al fine di programmare tutte le possibili soluzioni per un rilancio del centro di Scanzano, anche rivedendone mission e attività, per evitarne la chiusura. (5-00366)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARRONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è noto che il sovraffollamento nelle carceri italiane abbia raggiunto da tempo limiti intollerabili; tuttavia, mentre a livello nazionale tale fenomeno si è stabilizzato su un indice percentuale del 140 per cento (rapporto tra presenze effettive di detenuti e capienza regolamentare, dato al 5 maggio 2013) nel Lazio, viceversa, alla stessa data, l'indice del rapporto, è di circa 150 per cento con tendenza da tempo in aumento;
   nel Lazio insistono due tra i più importanti istituti penitenziari d'Italia dal punto di vista storico, per capienza e sicurezza: Regina Coeli e Rebibbia N.C. che insieme ospitano circa 2.800 detenuti;
   entrambi gli istituti sono sovraffollati con indici di rapporto analoghi a quelli regionali ed in particolare Regina Coeli che soffre per una logistica ormai vetusta, fatiscente ed assolutamente inadeguata ai moderni standard previsti per le carceri europee ed italiane. Nonostante ciò il maggior numero degli arrestati a Roma è tradotto a Regina Coeli;
   l'istituto di Rebibbia N.C., è uno dei più grandi del Paese ed è articolato in numerose ed affollate sezioni detentive, ognuna delle quali ha una sua peculiarità (dalla sezione precauzionale G9; al reparto infermeria G14; al reparto dei 41-bis area riservata) nello stesso istituto, tuttavia, si svolgono numerose ed importanti attività trattamentali;
   il governo di tali strutture detentive, ciascuna delle quali ha delle specificità e delle complessità straordinarie, richiede uno sforzo applicativo continuo e costante da parte di tutte le componenti professionali che operano in carcere, a cominciare dalla direzione;
   il direttore della C.C. di Rebibbia N.C., dottor Carmelo Cantone, dall'estate del 2012 ha assunto il ruolo di provveditore dell'amministrazione penitenziaria della Toscana ed in ragione di ciò, da allora, il posto di direttore di Rebibbia N.C. è vacante;
   nelle more di una sostituzione effettiva, il ruolo di direttore dell'istituto di Rebibbia N.C. è stato affidato, dall'amministrazione penitenziaria, al dottor Mauro Mariani che, al tempo stesso, dirige il carcere di Regina Coeli;
   il dottor Mariani, sicuramente svolge i ruoli assegnati con il massimo dell'impegno, dell'abnegazione e della professionalità;
   oggettivamente, tuttavia, non è pensabile ritenere di surrogare ancora in una sola persona due funzioni direzionali così pesanti, articolate e complesse non correndo il rischio di compromettere ulteriormente, visto il così grave sovraffollamento, la funzionalità delle due strutture di pena, sia in ordine alla sicurezza sia al trattamento e più in generale alla vivibilità di tutti coloro che vi sono ristretti e che vi lavorano;
   l'amministrazione penitenziaria è stata da tempo sollecitata a risolvere questo che, ormai, è diventato un annoso problema –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali azioni intenda intraprendere per superare questa situazione anomala e dotare entrambi gli istituti di un direttore a tempo pieno.
(5-00359)

Interrogazione a risposta scritta:


   AMODDIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ispettore Massimo Prado nato a Noto il 15 giugno 1964, nel ruolo della polizia di Stato dal 1985 ed ispettore della polizia di Stato dal 1995 in servizio dall'ottobre 1997 al 23 aprile 2004 presso il commissariato di pubblica sicurezza di Noto è stato imputato in tredici procedimenti penali e segnatamente: Proc. Pen. R.G.N.R. 83/02; Proc. Pen. R.G.N.R 7737/02; Proc. Pen. R.G.N.R 2753/04; Proc. Pen. R.G.N.R 1222/04; Proc. Pen. R.G.N.R. 3430/04; Proc. Pen. R.G.N.R 10826/04; Proc. Pen. R.G.N.R. 12329/04; Proc. Pen. R.G.N.R. 7922/04; Proc. Pen. R.G.N.R. 1113/05; Proc. Pen. R.G.N.R. 278/05; Proc. Pen. R.G.N.R. 273/05; Proc. Pen. R.G.N.R. 405/05; Proc. Pen. R.G.N.R. 2309/05;
   per ben undici procedimenti penali gli avvisi di garanzia venivano notificati all'ispettore Prado dalla procura della Repubblica di Siracusa in meno di un anno;
   tutti i procedimenti penali – ad eccezione di quello iscritto al R.G.N.R 7922/2004 – tutt'ora pendente innanzi al tribunale di Messina sezione penale – si sono conclusi senza alcuna condanna dell'ispettore Prado – o con sentenza di non luogo a procedere da parte del giudice per le indagini preliminari o con sentenza di assoluzione emessa al dibattimento; altri con richiesta di archiviazione;
   per alcuni processi le sentenze di assoluzione di primo grado, sono state impugnate dai pubblici ministeri con ricorso in appello ed in Cassazione – e si definivano con pronuncia confermativa dell'assoluzione;
   in seguito alle indagini da parte della procura di Siracusa l'ispettore Massimo Prado è stato oggetto di numerosi procedimenti disciplinari tutti conclusi con l'archiviazione;
   in data 10 marzo 2005 l'ispettore Massimo Prado inviava al Ministro della giustizia un esposto a sua firma che perveniva alla segreteria particolare dell'onorevole Ministro in data 16 marzo 2005;
   in data 6 maggio 2005 inviava altro esposto al Ministro di grazia e giustizia, al Consiglio superiore della magistratura, al Presidente della Repubblica anche nella qualità di presidente del C.S.M., al Ministero dell'interno, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della Commissione giustizia della Camera al Presidente della commissione giustizia del Senato; l'esposto perveniva alla segreteria particolare del Ministro della giustizia in data 10 maggio 2005 ed al Consiglio superiore della magistratura;
   i richiamati esposti pervenivano anche al Consiglio superiore della magistratura il 16 marzo 2005 n. protocollo 12360 ed il 13 luglio 2005 n. protocollo 34158;
   in data 12 settembre 2007 l'ispettore Prado inviava altro esposto al Ministro della giustizia ed al procuratore generale della Corte di cassazione pervenuto al Ministro in data 17 settembre 2007;
   i pubblici ministeri indicati negli esposti e coinvolti a vario titolo nei procedimenti penali dall'ispettore Massimo Prado sono il dottor Giuseppe Toscano – all'epoca dei fatti procuratore capo aggiunto presso il tribunale di Siracusa – il dottor Roberto Campisi – all'epoca dei fatti procuratore capo presso il tribunale di Siracusa – il dottor Maurizio Musco – all'epoca dei fatti sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siracusa – il dottor Giancarlo Longo – sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siracusa;
   per fatti diversi da quelli oggetto della presente interrogazione, ma correlati all'esercizio delle funzioni giudiziarie presso il tribunale di Siracusa nei confronti di alcuni dei menzionati magistrati – e segnatamente il dottor Roberto Campisi, ed il dottor Maurizio Musco – sono stati esercitati dal Ministro di giustizia nel 2012 i poteri di ispezione amministrativa, al fine di verificare la condotta dagli stessi tenuta nell'esercizio della funzione giudiziaria nei procedimenti penali segnalati da altro parlamentare nella precedente legislatura;
   a seguito dell'ispezione amministrativa disposta dal Ministro è stato avviato un procedimento disciplinare allo stato pendente nei confronti del dottor Maurizio Musco – trasferito in via cautelare presso la procura della Repubblica di Palermo dal mese di ottobre 2012;
   per fatti che coinvolgono l'esercizio della funzione giudiziaria – diversi da quelli oggetto della presente interrogazione – la procura della Repubblica di Messina ha chiesto il rinvio a giudizio del dottor Roberto Campisi e del sostituto procuratore Maurizio Musco per abuso d'ufficio e l'udienza innanzi al giudice per l'udienza preliminare è fissata per il 20 settembre 2013;
   per fatti diversi da quelli oggetto della presente interrogazione il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Messina ha disposto il rinvio a giudizio per tentata concussione del sostituto procuratore Maurizio Musco ed è pendente il relativo giudizio innanzi al tribunale penale di Messina;
   negli esposti dell'ispettore Massimo Prado sono contenuti rilievi di assenza di imparzialità nelle condotte di alcuni magistrati ed è altresì contenuta una richiesta di audizione per riferire personalmente fatti che non ha ritenuto di riportare negli esposti –:
   se a seguito degli esposti presentati dall'ispettore Massimo Prado sia stata avviata dal Ministero della giustizia una qualsivoglia attività ispettiva al fine di verificare quanto contenuto negli stessi;
   nell'ipotesi in cui sia stata avviata dal Ministero della giustizia un'attività ispettiva quali siano stati gli esiti degli accertamenti compiuti;
   nell'ipotesi in cui non è stata avviata dal Ministero della giustizia alcuna attività ispettiva per quali motivi ciò non sia avvenuto. (4-00894)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MONGIELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 18 della legge 29 luglio 2010, n. 120, recante «Disposizioni in materia di sicurezza stradale», modificando il testo previgente dell'articolo 117, comma 2-bis, del codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ha rimodulato il rapporto tra tara e potenza dei veicoli la cui guida è consentita nel primo anno ai neopatentati, con patente di categoria B, ed ha disposto l'entrata in vigore di tali nuove previsioni a far data dal centottantesimo giorno successivo alla sua entrata in vigore;
   in tali circostanze, dal mese di febbraio del 2011 al conducente neopatentato è fatto divieto di condurre veicoli con potenza specifica, riferita alla tara, superiore a 55kW/t e ad ogni modo, se di categoria M1, con una potenza massima superiore a 70 kW;
   stante la vigente normativa, l'unico ambito di esclusione è posto nel terzo periodo del predetto articolo 117, comma 2-bis, del codice della strada, con riferimento ai veicoli adibiti al servizio di persone invalide; 
   l'applicazione concreta di tale disposizione ha rivelato due profili di criticità, oltre a quello connaturato alla fattispecie stessa che presuppone necessariamente la contestazione immediata di siffatta violazione;
   numerosissimi utenti hanno lamentato la necessità di dover procedere all'acquisto di un veicolo ad hoc per il neopatentato, ulteriore e/o diverso rispetto a quello già in dotazione della famiglia, peraltro per un solo anno. In alternativa, la sola scelta possibile sarebbe quella di non far guidare il neopatentato per un anno;
   inoltre, un grave profilo di incoerenza lamentato dai cittadini riguarda la circostanza che il titolare di foglio rosa, con persona in qualità di istruttore seduta al suo fianco, può guidare veicoli di qualunque rapporto tara/potenza, mentre, una volta conseguita la patente, lo stesso soggetto, ancorché accompagnato, non potrebbe più farlo;
   fatta salva ed anzi ribadendo l'affermazione di un principio di limitazione nei veicoli la cui guida è consentita ai neopatentati, sarebbe necessario rendere maggiormente coerenti e meno vessanti le norme di cui trattasi ed in tal senso consentire il superamento della predetta limitazione alla guida, almeno quando la guida dell'ormai titolare di patente avviene alle stesse condizioni alle quali era consentita al titolare di foglio rosa;
   si persegue in tal modo un'evidente finalità di coerenza tra due distinte previsioni normative (articoli 117, comma 2-bis, e 122, comma 2 del codice della strada), oltre che un doveroso obiettivo di risparmio per le famiglie –:
   se non intenda adottare iniziative, se del caso di natura normativa urgente, volte a superare i profili problematici esposti in premessa, ed in particolare a prevedere una modifica dell'articolo 117, comma 2-bis, del codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, nel senso di escludere le limitazioni previste dal medesimo articolo, oltre che per i veicoli adibiti al servizio di persone invalide autorizzate, purché la persona invalida sia presente sul veicolo, anche per i veicoli sui quali, al fianco del conducente neopatentato, si trovi persona di età non superiore a sessantacinque anni, munita di patente di guida di categoria B da almeno dieci anni, ovvero di patente di guida di categoria superiore. (5-00363)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Trenitalia effettua i servizi di trasporto passeggeri sulla lunga percorrenza secondo due tipologie:
    a) servizi di trasporto passeggeri nazionale sulla lunga e media distanza. Il contratto di servizio è tra i Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e Trenitalia. I servizi inseriti in tale contratto sono denominati servizi universali e sono a carico finanziario dello Stato: ne fanno parte gli Intercity notte (ICN) gli Intercity (IC), e collegamenti con bus;
    b) servizi di trasporto passeggeri nazionale sulla lunga e media distanza. Sono i cosiddetti treni a mercato e sono finanziati da risorse proprie di Trenitalia, per cui se un servizio economicamente è vantaggioso e produce ricavi, continua ad essere effettuato, altrimenti viene soppresso. Servizi a mercato sono, ad esempio le frecce (frecciarossa, frecciabianca, frecciargento);

   sulla tratta Ancona-Roma (linea 70) dal dicembre 2011 è stata eliminata la coppia di treni con partenza da Ancona per Roma a metà mattina e con rientro da Roma alle 19,30;
   questa soppressione impedisce di fatto il rientro in giornata a chi si reca a Roma per lavoro e penalizza in modo particolare i pendolari;
   l'amministratore delegato di Trenitalia Vincenzo Soprano, nel corso di un incontro presso la regione Marche con l'assessore ai trasporti, dottor Luigi Viventi, ha motivato tale scelta dichiarando che i collegamenti tra Roma e Ancona sono poco redditizi e che i costi non consentono più il mantenimento del servizio e che l'unica possibilità è che siano inseriti nel contratto di servizio con il Ministero;
   l'amministratore delegato di Trenitalia ha inoltre comunicato che anche il mantenimento della corsa della coppia di frecciabianca Ancona-Roma (FB9852: Roma 17,35 - Falconara M. 20,28; FB9851 Falconara-Roma 10.25) è oggetto di valutazione da parte dell'azienda, perché non produce già utili necessari a mantenere il servizio;
   tale prospettiva aggraverebbe il già difficile collegamento con Roma e determinerebbe di fatto un fortissimo ridimensionamento del servizio sulla direttrice Roma - Ancona con gravi ripercussioni sui tanti utenti, operatori economici, lavoratori pendolari e semplici cittadini;
   la regione Marche ha ripetutamente chiesto di mantenere tutti i servizi attualmente esistenti e anche di ripristinare il treno che parte da Roma alle 19,30 inserendo quest'ultimo nel contratto nazionale –:
   se intenda attivarsi con urgenza, per quanto di competenza, per: a) evitare un'ulteriore soppressione dei treni nella tratta Ancona-Roma; b) ripristinare i collegamenti che sono stati disattivati ed in particolare quelli in partenza alle 19,30 da Roma Termini e da Ancona nella fascia oraria fra le 9,00 e le 13,30. (4-00889)


   MARCON. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Venezia sono in corso degli interventi di regolazione dei flussi di marea con sbarramenti mobili alle bocche di porto meglio conosciuti come Mo.S.E.;
   lo stato di avanzamento dei lavori è giunto alla fase di installazione della schiera di 21 paratoie sul lato Lido-Treporti ed è stata indetta la gara d'appalto per l'altra schiera di 20 paratoie sul lato Lido-S.Nicolò;
   il comune di Venezia, considerate le numerose criticità rilevate nel sistema Mo.S.E., aveva commissionato nel 2008 alla società francese Principia R.D. (società di consulenza tra le più qualificate e riconosciute per autorevolezza a livello mondiale in ambito di modellistica di sistemi marini complessi che interagiscono tra loro in moto ondoso) uno studio volto ad analizzare il comportamento dinamico della paratoia del Mo.S.E. Tale comportamento è determinante sia per il corretto funzionamento della barriera sia per il dimensionamento strutturale dei suoi componenti;
   per confronto, alla valutazione della Principia R.D. è stata sottoposta anche la paratoia a gravità, che era stata indicata dal comune di Venezia come valida alternativa al MoS.E. e scartata, con una relazione del comitato tecnico del magistrato alle acque di Venezia nella fase di valutazione delle alternative;
   i risultati dello studio della società francese rivelano la presenza del fenomeno della «risonanza» ovvero l'instabilità dinamica nelle paratoie del Mo.S.E. nonché la sua assenza nella paratoia a gravità che risulta invece stabile. Tale instabilità comporta che l'angolo di oscillazione delle paratoie, in presenza di moto ondoso con mare irregolare, aumenti a dismisura facendo entrare acqua in laguna e compromettendo dunque l'effetto diga la cui efficacia dovrebbe rappresentare la ragione per cui si sta costruendo tale opera;
   il fenomeno della «risonanza» fu messo in rilievo come possibile criticità fin dall'inizio della progettazione del Mo.S.E. nonché in fase di approvazione del progetto di massima, tanto che tale approvazione da parte degli esperti internazionali, veniva subordinata al superamento del fenomeno medesimo dal quale sarebbe derivata l'inefficacia dell'opera;
   lo studio Principia ha evidenziato che al fenomeno di «risonanza» sarebbe tuttora soggetta la paratoia del progetto definitivo, approvato dal comitato tecnico del magistrato alle acque di Venezia;
   in risposta allo studio di Principia il comitato tecnico del magistrato alle acque di Venezia ha redatto nel novembre del 2009 un documento volto a mettere in dubbio la validità del primo. Tale documento non ha mai sostenuto un contraddittorio tecnico scientifico in sedi diverse da quelle che lo hanno generato e non è peraltro neanche mai stato reso pubblico;
   risultano depositati alla commissione per le petizioni del Parlamento europeo tutti gli atti dello studio di Principia R.D. i quali denunciano inoltre, un mancato confronto tecnico scientifico sulla materia in questione con studi o commissioni tecniche indipendenti, rischiando così di incorrere in una pericolosa situazione di conflitto di interessi;
   l'opera del Mo.S.E è interamente finanziata con risorse pubbliche ed ogni significativa variante in corso d'opera potrebbe comportare ingenti aumenti della spesa ai danni dello Stato e dei contribuenti –:
   quali verifiche intendano fare i Ministri interrogati sulla correttezza e l'oggettività dei pareri tecnici, riguardanti in particolare la questione della «risonanza», che riguardano la praticabilità nonché l'efficace funzionamento del progetto Mo.S.E.;
   se non ritengano che le gare d'appalto relative alla costruzione della seconda tranche di paratie debbano essere prontamente sospese, prima di commettere eventualmente ulteriori errori che potrebbero rappresentare perdite ancor più significative. (4-00890)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, CATALANO, CRISTIAN IANNUZZI e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ispettorato di vigilanza sulle concessioni autostradali (IVCA) è stato istituito nel novembre 2006 nell'ambito del processo di riorganizzazione interna posto in essere da ANAS spa, l'ente nazionale per le strade, al fine di separare le attività gestionali da quelle di vigilanza e controllo sulle società concessionarie autostradali;
   l'ispettorato, posto alle dirette dipendenze di un presidente, ora amministratore unico, opera in condizioni di autonomia organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile, ai limiti della terzietà, pertanto è dotato di proprio personale e di un proprio budget annuo, pari ad una quota del 42 per cento del canone di concessione di cui all'articolo 1, comma 1020, della legge n. 296 del 2006, a sua volta pari all'1 per cento dei ricavi di ANAS derivanti dai canoni autostradali imposti alle concessionarie. Risorse umane e finanziarie impiegate per attività di controllo che si esplicano in visite ispettive riferite sia alla concessione autostradale che alla costruzione di nuove opere. Infatti, nel corso del quinquennio 2007-2010, le visite ispettive relative all'esercizio autostradale hanno registrato un incremento passando da 443 del 2007 a 1.427 nel 2011. Controlli che l'ispettore di vigilanza sulle concessioni autostradali espleta con potere sanzionatorio qualora siano accertate violazioni agli obblighi convenzionali;
   l'articolo 36 del decreto-legge n. 98, del 6 luglio 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111, del 15 luglio 2011, e successive modificazioni ed integrazioni ha istituito l'Agenzia delle infrastrutture stradali ed autostradali prevedendo che in essa confluissero l'ispettorato vigilanza concessioni autostradali, gli altri uffici ANAS e le competenti amministrazioni dello Stato, che svolgono le funzioni trasferite all'Agenzia. Istituzione che il comma 5 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 216 del 2011, come modificato dal comma 78 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 95 del 2012, proroga al 30 settembre 2012, stabilendo altresì che nel caso di mancata adozione entro la suddetta data dello statuto dell'Agenzia e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per il trasferimento del personale, la stessa è soppressa ed i relativi compiti sono trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) dal 1o ottobre 2012;
   non essendo stati adottati nel suddetto termine del 30 settembre 2012 lo statuto dell'agenzia ed il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per l'individuazione del personale da trasferire, a decorrere dal 1o ottobre 2012 l'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali è stata soppressa ed i compiti già attribuiti alla medesima, nonché le risorse finanziarie, umane e strumentali relative all'IVCA, sono stati trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   con decreto ministeriale n. 341 del 1o ottobre 2012 è stata, quindi, istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la Struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali per l'espletamento dei compiti già attribuiti all'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali; come è emerso anche nella relazione della Corte di conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di ANAS s.p.a. per l'esercizio 2011, del 14 maggio 2013, non possono essere sottaciute le problematiche di carattere operativo che la formulazione del comma 5, dell'articolo 11 del decreto-legge n. 216 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 95 del 2012, ha determinato con riferimento al trasferimento ex lege al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti delle competenze attribuite all'Agenzia e delle risorse umane, finanziarie e strumentali dell'ispettorato di vigilanza sulle concessioni autostradali. La gestione di tale fase, infatti, è risultata particolarmente complessa a causa del ritardo con il quale è stato deciso di attribuire al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le competenze dell'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali, nonché, conseguentemente, della mancata preventiva indicazione delle modalità operative con le quali il trasferimento sarebbe dovuto avvenire. In effetti, solo negli ultimi giorni del mese di settembre 2012, l'ANAS è stata informata che, a fronte della mancata adozione dello Statuto dell'Agenzia e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, le risorse umane dell'ispettorato di vigilanza sulle concessioni autostradali, assunte a tempo indeterminato ed in forza alla data del 31 maggio 2012, sarebbero state trasferite ex lege al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Tale circostanza ha permesso ad ANAS di procedere alle necessarie comunicazioni al personale interessato e agli enti competenti solo in prossimità del termine previsto, causando non poco disagio al personale trasferito. Ad oggi, peraltro, non è ancora stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto all'articolo 4 dal decreto ministeriale n. 341 del 1o ottobre 2012, per il definitivo inquadramento del personale oggetto di trasferimento, con possibili riflessi sull'operatività della predetta struttura;
   l'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2012, n. 214 istituisce, ai fini di una maggiore liberalizzazione del settore dei trasporti, l'Autorità indipendente di regolazione dei trasporti, competente anche per l'accesso alle infrastrutture autostradali «fatte salve le competenze dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali di cui all'articolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111» autorità non ancora operativa perché il Governo non ha ancora proceduto alla nomina dei suoi componenti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per risolvere la problematica relativa all'avvenuto trasferimento presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del personale dell'ispettorato di vigilanza sulle concessioni autostradali di ANAS considerato che la natura contrattuale e privatistica dello stesso comporta ingenti problematiche di carattere giuridico ed economico che si ripercuotono sui lavoratori interessati da tale trasferimento;
   come intenda risolvere la sovrapposizione di norme qualora la nascita di una nuova «autorità dei trasporti», anch'essa chiamata a operare in materia di vigilanza sulla rete autostradale in concessione «ferme restando le competenze dell'Agenzia per le infrastrutture stradali in concessione», venga effettivamente fatta divenire operativa, e se non ritenga opportuno trasferire il personale e le funzioni, oggi attribuite alla struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti all'autorità dei trasporti ponendo così fine alle problematiche di natura contrattuale, giuridica ed economica venutesi a creare nei confronti dei dipendenti e dirigenti oggetto di trasferimento, nonché ponendo fine ad un ambiguo ruolo «operativo» che rimarrebbe assegnato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti anziché alla costituenda autorità dei trasporti;
   se non ritenga, quindi, opportuno, conseguentemente al trasferimento del personale e delle funzioni oggi in capo alla SVCA presso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti all'interno della futura autorità dei trasporti, di trasferire le risorse attinenti alle dotazioni finanziarie e strumentali spettanti come da articolo 1, comma 1020, della legge 27 dicembre 2006 n. 296;
   come intenda risolvere il perpetuarsi del conflitto di interesse ancora in essere all'interno dell'ANAS in virtù del fatto che le società concessionarie di interesse regionale co-concedenti siano rimaste in quota parte anche in capo all'ANAS la quale dovrebbe esercitare il ruolo esclusivo di concessionario e non altresì di co-concedente. (4-00891)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'11 giugno 2013, alcuni militanti calabresi di Forza Nuova hanno effettuato dei blitz, alle prime luci dell'alba, in tutta la Calabria, affiggendo sui muri dei centri cittadini e in particolare sia nelle sedi del Partito democratico, sia in alcuni luoghi simbolici, dove spesso si riuniscono gli immigrati, decine di striscioni con la scritta «l'immigrazione uccide !» e, talvolta, con la raffigurazione di una sagoma rappresentante una mano insanguinata;
   le città interessate da questa dimostrazione violenta sono Crotone, Catanzaro, Lamezia, Rossano, Reggio Calabria, Cosenza, ed altri borghi minori;
   la scelta di colpire simbolicamente e maggiormente le sedi del Partito democratico è stata rivendicata e motivata da Forza Nuova sulla base della considerazione che i militanti non tollererebbero che alcuni esponenti del partito cui appartiene l'interrogante – come il Ministro per l'integrazione Cécile Kyenge o l'interrogante stesso – hanno avviato un dibattito intorno allo lus soli e a una possibile riforma della legge sulla cittadinanza;
   tali fatti appaiono ancor più gravi alla luce del fatto che nello stesso mese di maggio si sono già registrati episodi analoghi, in altre parti di Italia, come testimoniato dal question time n. 3/00076 del collega Fiano e altri, svoltosi in aula il 22 maggio 2013 e che sembrano rappresentare l'ennesimo segno di una escalation sul piano dell'intimidazione ad opera di questi movimenti;
   secondo quanto propagandato dagli stessi esponenti di Forza Nuova, il loro timore principale sarebbe costituito dall'esistenza di una società multietnica, considerata «pericolosa» per la contaminazione della purezza italiana, e pertanto il blocco totale dell'immigrazione, considerata «distruttiva», costituirebbe una delle loro richieste al fine di scongiurare l’«invasione» dell'Italia;
   secondo quanto riportato da fonti a mezzo stampa, i militanti di Forza Nuova avrebbero riaffermato questa loro convinzione attraverso gli atti violenti compiuti, come il danneggiamento di sedi di partito o l'aver imbrattato i muri delle città –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine facilitare il lavoro delle autorità competenti per l'individuazione quanto prima dei responsabili dei gravi fatti riportati in premessa e per garantire, anche sotto il profilo della tutela dell'ordine pubblico, la prevenzione di condotte illegali;
   quali iniziative di competenza anche normative, il Ministro interrogato intenda adottare per impedire che movimenti politici quali quello citato in premessa, che si profila sempre più violento e antidemocratico, possano continuare ad agire in maniera indisturbata. (5-00364)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO e BOSCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   appare sempre più evidente la grave carenza di organico alla quale è sottoposta la polizia di Stato, nonostante via sia stato negli ultimi due anni un aumento dei reati, in controtendenza ai dati positivi registrati sin prima del 2011;
   il Ministero dell'interno nel 2006 e nel 2008 ha bandito due concorsi per titoli ed esami, per il reclutamento di 1.507 e 907 (poi divenuti 1078) allievi agenti della polizia di Stato, e in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, la prima aliquota (corrispondente al 55 per cento superiore della graduatoria dei vincitori) è stata immessa direttamente nel ruolo di agenti della polizia di Stato, mentre la seconda aliquota (il restante 45 per cento dei vincitori della graduatoria) è stato preso in carico dalle Forse armate in qualità di volontario in ferma prefissata quadriennale;
   la stessa amministrazione nel 2010 ha proceduto a bandire un concorso per titoli ed esami per il reclutamento di 1.600 allievi agenti della polizia di Stato, ma alla graduatoria di merito non ha applicato le quote fissate dall'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, aumentando i posti per i quali è prevista l'immissione immediata nei ruoli della polizia di Stato;
   a novembre 2011, poi, il Ministero dell'interno ha indetto un nuovo concorso per 2.800 allievi agenti della polizia di Stato applicando, anche in questo caso, delle quote diverse da quelle indicate dall'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, – ovvero predisponendo una prima aliquota composta dai primi 2.654 vincitori e una seconda aliquota composta dai successivi 146 vincitori;
   inoltre, con tre distinti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri dell'ottobre 2009, del novembre 2009 e del settembre 2010 che dovevano servire alla successiva assunzione dei vincitori della II aliquota, si è proceduto all'assunzione degli idonei in sovrannumero delle graduatorie relative ai concorsi 2003, 2004 e 2005;
   i vincitori della seconda aliquota del concorso 2006 hanno terminato il loro servizio in ferma quadriennale e non sono stati successivamente assunti in polizia di Stato come da concorso;
   più in generale si diffonde il timore, quindi, che i vincitori delle II aliquote – che stanno ultimando il loro percorso nelle Forze armate – alla sua conclusione potrebbero non essere presi in carico nel corpo per il quale hanno vinto il concorso;
   i 1.700 vincitori delle seconde aliquote sono giovani che hanno vinto un regolare concorso, la cui assunzione è condizionata al servizio presso le Forze armate non per esigenze formative –:
   come intenda tutelare e garantire l'assunzione in polizia di Stato dei vincitori delle seconde aliquote che hanno terminato o stanno ultimando il loro servizio nelle Forze armate. (4-00886)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI e ZAMPA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in vista dell'inizio dell'anno scolastico 2013-2014 si stanno approntando, in molti comuni della regione Emilia Romagna, le graduatorie per l'accesso alle scuole dell'infanzia e primarie statali;
   le prime ricognizioni effettuate nel rapporto tra popolazione scolastica/organico di diritto assegnato evidenziano, nella sola provincia di Bologna, una lista d'attesa di oltre 700 bambini per l'ammissione alle scuole materne statali e una forte richiesta non evasa di tempo pieno per le scuole primarie;
   la recente riforma della scuola, e i tagli alla spesa di personale docente e non docente ha purtroppo, a parere degli interroganti, prodotto effetti deleteri per quanto riguarda la qualità della scuola stessa e la prosecuzione del tempo pieno. Si è tolto infatti ad un numero importante di bambini un diritto come le 40 ore settimanali;
   il corpo docente di diritto assegnato ad oggi, non soddisfa l'incremento demografico e quindi un fabbisogno già noto e palese. Si viene così a creare un rapporto sbilanciato tra popolazione scolastica e organico effettivamente attribuito;
   in Emilia-Romagna le donne lavorano con percentuali alte e il tempo pieno ha rappresentato una conquista importante che ha consentito lo sviluppo, la ricchezza, la coesione sociale, alla quale si è arrivati dopo tante battaglie e che fa ormai parte integrante del modello organizzativo della società e dell'economia locale;
   le famiglie sono profondamente cambiate, molte sono ormai quelle monoparentali e la stessa società, inoltre, è profondamente cambiata con una rete familiare «ridotta» o distante; rispetto a qualche anno fa le giovani coppie non possono più contare su zii, nonni e altri parenti, spesso lontani oppure impossibilitati a fornire quel supporto pomeridiano ai bambini più piccoli;
   stante la crisi economica e disoccupazionale, il tempo pieno significa per quelle donne che lavorano non solo la possibilità di riuscire a conciliare i tempi di vita familiare con quelli del lavoro ma il presupposto stesso per la conservazione del posto di lavoro, bene che diventa primario e imprescindibile per le famiglie monoparentali;
   pertanto il venir meno di questo servizio implica che ancora una volta ad essere penalizzate e discriminate sono le donne che si trovano a dover optare tra lavoro e cura dei figli;
   la rilevanza dei numeri degli esclusi dimostra come il tempo scuola sia un'esigenza ormai irrinunciabile per il nostro Paese per un innalzamento della qualità dell'offerta formativa –:
   se non reputi tale esclusione una privazione di un diritto fondamentale per i bambini per la valenza formativa ed educativa del tempo pieno, nonché un sostegno necessario per i genitori lavoratori, in particolare per le madri, che resterebbero penalizzate nella vita lavorativa, economica e sociale;
   se e quali azioni intenda assumere al fine di assicurare l'offerta della scuola dell'infanzia e della scuola primaria in modo adeguato alle necessità delle famiglie. (5-00360)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIGONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto professionale del Marmo «P. Tacca», comunemente conosciuto come scuola del marmo nel territorio di Carrara e dell'intera provincia, detiene dal tempo della sua fondazione l'esclusiva per la formazione degli artigiani specializzati nel settore della lavorazione e decorazione artistica del marmo;
   nasce infatti alla fine dell'Ottocento per iniziativa di un consorzio di aziende private e studi artigianali con lo scopo di formare maestranze e vanta la preparazione del 90 per cento della forza lavoro specializzata ed artigiana che ancora oggi costituiscono la base produttiva dell'industria lapidea locale;
   lo Stato ne ha riconosciuto l'interesse pubblico e nel 1954 la trasforma in istituto autonomo dotato di personalità giuridica che detiene ancor oggi, sebbene accorpato al liceo Gentileschi di Carrara e al Palma di Massa a formare il Polo Artistico di Massa Carrara perché in situazione di sofferenza;
   attualmente nel panorama nazionale, la scuola è l'unico istituto professionale statale con indirizzo specifico per il marmo; attorno ad essa e nel suo Comitato tecnico scientifico ruotano diversi interessi e nuove idee espressi dall'Unione degli industriali, da Federmanager, da CCIAA, da CNA, dai sindacati di settore, dagli enti locali che possono vanificarsi se si dovesse ritenere questa scuola un istituto professionale come tanti, se si tentasse di costringere i sui programmi dentro ai programmi ministeriali esistenti per gli istituti del settore artigianato, mortificandoli;
   questo sta già avvenendo, e a breve si correrà il rischio di svilire ulteriormente la scuola e con lei l'offerta formativa non solo provinciale ma dell'intera nazione;
   da tempo la scuola partecipa a progetti internazionali quali il Leonardo – FSE e organizza campus estivi di scultura a livello internazionale convinta che l'internalizzazione rappresenti un valore aggiunto importante per gli allievi, per i docenti e per il territorio tutto;
   vista l'importanza dell'Istituto professionale del Marmo «P. Tacca» unico nel suo genere a livello nazionale, che garantisce a molti giovani una prospettiva di lavoro, sarebbe fondamentale intervenire al fine di prevedere una deroga nel reclutamento degli insegnamenti delle materie d'indirizzo, attingendo dal mondo del lavoro e delle professioni in compresenza con i docenti curricolari; consentire l'ammissione ai corsi serali ad allievi già in possesso di titolo di studio di scuola superiore, permettendo l'accesso ai diplomati o laureati anche stranieri che necessitano d'affinare conoscenze tecniche che solo questa scuola può fornire –:
   quali iniziative, il Ministro interrogato, intenda avviare al fine di sostenere la didattica dell'istituto professionale del Marmo «P. Tacca» di Carrara che forma realmente figure professionali altamente specializzate, in grado di svolgere significativi ruoli nel sistema produttivo del settore locale;
   se intenda intervenire al fine di riconoscere a questo istituto il requisito di «specificità» in quanto unico istituto professionale nel territorio nazionale, con indirizzo specifico per la lavorazione e il decoro del marmo;
   se intenda attivarsi e sostenere presso l'Usr della regione Toscana la richiesta del suddetto istituto «Tacca» per l'ottenimento dell'opzione ad operare nel settore «produzioni artigianali, e industriali del territorio». (4-00875)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere — premesso che:
   nel 1982 nasce ad Assisi, come associazione non profit, il Centro, italiano di studi superiori sul turismo (CST) che, tra i primi in Italia, sviluppa attività di formazione nell'industria dell'ospitalità. L'ideatore dell'iniziativa fu il professor Giovanni Peroni, allora docente di marketing all'università di Perugia. Soci fondatori furono l'università degli studi di Perugia, l'università italiana per stranieri di Perugia, il comune di Assisi, la regione Umbria affiancati nel tempo da numerosi altri enti, pubblici privati;
   nel 1984 il CST selezionò un gruppo di neolaureati che, dopo un percorso formativo biennale, è venuto a costituire il nucleo di docenti-ricercatori che, a tutt'oggi, rappresentano un'eccellenza nei rispettivi campi disciplinari;
   nel 1985 fu avviata una singolare esperienza formativa dedicata alla formazione superiore nel turismo, strutturata in un corso triennale post diploma, finanziato dal FSE, che consentì di sperimentare programmi, tecniche, metodologie di ricerca e formazione nell'ambito dell'economia del turismo;
   sulla base di tale esperienza, nei primi anni ’90, il Ministero istituti, nell'ordinamento universitario italiano, i diplomi universitari in economia e gestione dei servizi turistici (corso triennale) e i corsi di laurea in «Economia del turismo» (corso quadriennale) che vennero attivati presso diversi atenei italiani;
   fino al 2009, il CST ha collaborato con la facoltà di economia dell'università di Perugia nello svolgimento del corso di laurea di primo livello (triennale) in «economia e gestione dei servizi turistici» e del corso di laurea specialistica di secondo livello (biennale) in «economia del turismo»;
   nel 2010 l'università degli studi di Perugia, per rispetto della riforma universitaria chiude la laurea specialistica e attiva, con l'università italiana per stranieri, la laurea in economia internazionale del turismo;
   nel giugno 2013, in applicazione del decreto ministeriale 30 gennaio 2013, n. 47 l'università di Perugia (facoltà di economia) chiude anche questo corso, malgrado 64 iscritti al primo anno e le potenzialità di lavoro nel turismo (in Italia, sino al 2020, 500.000 nuovi posti di lavoro);
   Assisi può diventare il «centro italiano di formazione sul Turismo», fra i più importanti a livello internazionale, con la laurea, la laurea specialistica, corsi post laurea e di specializzazione anche legati all'Organizzazione mondiale del turismo –:
   se non ritenga opportuno verificare la possibilità assumere ogni utile iniziativa di competenza per consentire di ripristinare il corso di laurea in economia internazionale del turismo di Assisi. (4-00879)


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, aveva definito le modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale per l'anno accademico 2013/2014;
   in particolare, l'articolo 10, comma 3, del decreto stabilisce che per la valutazione delle prove, un massimo di 90 punti è assegnato per la valutazione dei test e un massimo di 10 punti è assegnato per la valutazione del percorso scolastico;
   i suddetti 10 punti erano attribuiti esclusivamente ai candidati che avrebbero ottenuto un voto di maturità almeno pari a 80/100, rapportato alla distribuzione in percentili dei voti ottenuti dagli studenti che avrebbero conseguito la maturità nella stessa scuola nell'anno scolastico 2011/12;
   il 31 maggio 2013 il Ministero provvedeva a pubblicare, sul sito www.universitaly.it, i suddetti percentili calcolati per ogni scuola;
   dall'applicazione del meccanismo di cui al decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, risultavano premiati gli studenti che frequentano scuole dove i voti degli esami di Stato, nell'ultimo anno, sono stati generalmente bassi; dall'applicazione dei suddetti percentili, risultavano in particolare premiati gli studenti iscritti a scuole paritarie e penalizzati coloro che frequentano istituti pubblici i cui studenti si sono distinti;
   in seguito alle numerose proteste sollevate da diversi istituti scolastici, il Ministero provvedeva a ritirare il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, e ad adottare il decreto ministeriale 12 giugno 2013, n. 449;
   con il nuovo decreto sono state rinviate a settembre le prove di ammissione ai corsi di laurea a numero programmato ed è stato ridefinito il meccanismo di attribuzione del bonus di 10 punti;
   in particolare, si stabilisce che «il punteggio viene attribuito esclusivamente ai candidati che hanno ottenuto un voto all'esame di stato almeno pari a 80/100 e il cui voto sia non inferiore all'80esimo percentile della distribuzione dei voti della propria commissione d'esame nell'anno scolastico 2012/13 secondo una tabella»;
   l'applicazione del «criterio del percentile», pur inteso quale condicio sine qua non, alle singole commissioni causa delle evidenti disparità in virtù delle quali, per esempio, in talune commissioni (quelle dove vi sono voti nella media più alti) il punteggio potrebbe essere attribuito solo agli studenti che si diplomano con il voto 100/100, mentre in altre (quelle dove vi sono voti nella media più bassi) verrebbe attribuito anche a studenti che si diplomano con il voto di 80/100;
   il suddetto decreto, dunque, è addirittura peggiorativo del precedente poi ritirato, perché lascia immutata la discriminazione tra scuole con studenti nella media meno bravi e scuole con studenti nella media più bravi, introducendo tuttavia forme di discriminazione all'interno della stessa scuola; come è noto, infatti, le commissioni sono create all'interno della stessa scuola accorpando due o più classi, non sempre omogenee come livello di preparazione; a ciò si aggiunga che il percentile (criterio statistico) può dare questi risultati fortemente discriminatori se applicati ad un campione piccolo –:
   quali urgenti iniziative il Ministro intenda adottare per evitare la suddetta grave disparità di trattamento. (4-00880)


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le istituzioni scolastiche vantano nei propri bilanci consistenti residui attivi nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, residui certificati e iscritti nei Conti consuntivi delle singole scuole e attesi da anni (sia da parte degli uffici scolastici regionali fino al 2006, che da parte del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca dal 2007 a tutt'oggi), nonché oggetto di numerose e ripetute rilevazioni; i suddetti residui ammonterebbero, secondo taluni dirigenti amministrativi del Miur, circa 580 milioni di euro;
   la maggior parte dei suddetti crediti vantati dalle istituzioni scolastiche consistono in anticipazioni effettuate negli anni per garantire la didattica e il regolare svolgimento delle lezioni, assicurando, a fronte di stanziamenti di risorse insufficienti del Miur, il pagamento (cosiddetto «netto in busta») degli stipendi del personale supplente e/o i compensi per lo svolgimento degli esami di Stato con le uniche risorse a disposizione negli anni, cioè i contributi delle famiglie e/o fondi propri delle scuole;
   quello che è accaduto, diventando prassi consolidata in tutte le istituzioni scolastiche, è che i direttori scolastici per la gestione amministrativa e i dirigenti scolastici, per garantire – pur in assenza delle risorse del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca – il corretto funzionamento delle scuole, hanno pagato con i fondi dei contributi delle famiglie le supplenze e i compensi per gli esami di Stato, senza effettuare tuttavia il pagamento degli oneri contributivi, in attesa di ricevere i dovuti versamenti da parte del Ministero; le scuole sono solite poi provvedere, in occasione delle restituzioni di risorse con erogazioni in conto residui attivi da parte del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca (ancorché parziali, e insufficienti), di volta in volta e fino alla concorrenza del finanziamento ricevuto, a regolarizzare i pagamenti con le Agenzie delle entrate per contributi e ritenute (IRPEF, addizionali regionali e/o comunali, INPS/INPDAP e IRAP) relative agli stipendi e/o compensi anticipati «al netto»;
   per i suddetti ritardati pagamenti, non imputabili alle istituzioni scolastiche, sono comminate sanzioni onerose, con more molto elevate da parte delle Agenzie delle entrate e/o da Equitalia e con diritto di rivalsa sul dirigente scolastico e sul direttore scolastico per la gestione amministrativa;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fino ad ora non è intervenuto, o l'ha fatto individuando addirittura profili disciplinari e responsabilità dirette del direttore scolastico per la gestione amministrativa e del dirigente scolastico, pur riconoscendo «la scarsità delle risorse finanziarie disponibili e la necessità del vincolo di destinazione delle stesse»;
   questa situazione paradossale mette in ulteriore difficoltà economica le scuole, facendo ricadere sui direttori scolastici per la gestione amministrativa e i dirigenti scolastici la responsabilità di un omesso o ritardato pagamento degli oneri contributivi di cui e causa esclusivamente il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, che con ritardo è solito provvedere a liquidare le somme dovute –:
   come i Ministri interrogati intendano intervenire affinché non si applichino sanzioni e more a carico delle istituzioni scolastiche, dei dirigenti scolastici e dei direttori scolastici per la gestione amministrativa che non hanno potuto pagare in tutto o in parte i contributi a carico dello Stato (datore di lavoro) e/o le ritenute a carico dei lavoratori nei tempi dovuti, a causa della mancata erogazione a tempo debito di finanziamenti specifici con vincolo di destinazione da parte dello Stato stesso. (4-00884)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRAGOMELI, TENTORI e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sulla stampa locale è apparsa la notizia che circa 300 persone in provincia di Lecco continuavano a percepire indebitamente la pensione dei propri parenti nonostante questi fossero defunti da tempo. Situazioni analoghe sono emerse negli ultimi mesi anche in altre zone d'Italia;
   grazie all'intervento dei finanzieri del comando provinciale di Lecco, che hanno controllato oltre 10 mila posizioni pensionistiche, è emerso che numerose persone decedute per l'anagrafe comunale risultassero per l'INPS ancora vive. È stata disposta l'immediata sospensione delle prestazioni pensionistiche non dovute, consentendo il rientro nelle casse dello Stato di oltre 100 mila euro;
   secondo il direttore dell'INPS di Lecco si tratta di alcune anomalie emerse grazie ad un controllo aggiuntivo operato dalla guardia di finanza e nello specifico si tratterebbe nella maggior parte dei casi, di una rata percepita indebitamente dagli eredi, quasi mai per dolo, ma per la comunicazione del decesso recepita anche di pochi giorni in ritardo che ne ha permesso così l'accredito. All'INPS di Lecco risultano solo cinquanta denunce e in tutti gli altri casi si è proceduto al recupero dei soldi o in via amministrativa o legale;
   l'articolo 20 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008, al comma 12 recita: Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'Istituto nazionale della previdenza sociale mette a disposizione dei Comuni modalità telematiche di trasmissione per le comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile da effettuarsi obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell'evento;
   i comuni sono obbligati ad effettuare tale comunicazione, con rischi di sanzioni pecuniarie e hanno 30 giorni di tempo per adempiere a tali obblighi di legge –:
   se i decessi in questione siano antecedenti al 2008, anno di entrata in vigore delle procedure di comunicazioni telematiche per quanto riguarda decessi e variazioni di stato civile, o se invece siano più recenti e quindi imputabili a malfunzionamenti del sistema o ad omessi controlli;
   se non reputi doveroso accertare il profilo di responsabilità e criticità attribuibile ai singoli enti interessati dagli adempimenti sopraccitati;
   in che misura il problema suesposto sia diffuso su tutto il territorio nazionale, in particolare nella provincia di Lecco e Bergamo. (5-00371)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO e RAGOSTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   il servizio trasporto infermi in 118 per Benevento e provincia, sin dalla sua istituzione, è stato esternalizzato attraverso aziende private;
   il controllo della qualità del servizio e la verifica dell'applicazione da parte delle aziende private della contrattazione collettiva nazionale, richiamata con cadenza triennale nei vari capitolati di appalto dei bandi di gara, sono rimasti in capo all'Asl;
   il 20 febbraio 2009 l'Asl procedeva a pubblicare il bando di gara triennale per l'aggiudicazione del servizio 118;
   il 14 maggio la gara, con determinazione dirigenziale, veniva dichiarata deserta e si procedeva a procedura negoziata per l'affidamento del servizio;
   il servizio veniva così aggiudicato con procedura negoziata il 23 luglio 2009. Ad ogni modo il contratto veniva annullato il 27 agosto 2009;
   da allora le aziende gestrici dell'appalto, Modisan e Sani.t, hanno continuato ad operare in assenza di un capitolato speciale da rispettare;
   attualmente i paramedici dipendenti di aziende private, operanti nel servizio del 118, sono rispettivamente 44 assunti dalla Modisan e 70 dalla Sani.t;
   in particolare la Sani.t, avrebbe compiuto, nel corso di questo periodo, una serie di irregolarità nei confronti dei suoi dipendenti, tra cui il mancato pagamento degli stipendi e la non conformità degli stessi al CCNL e il mancato versamento dei contributi previdenziali;
   a seguito di queste inadempienze, l'Asl, nel febbraio del 2012, ha anche bloccato i versamenti alla azienda capofila (Sani.t) e per converso anche quelli a favore della azienda associata (Modisan), sino a quando l'azienda Sani.t non avesse certificato di aver regolarizzato la sua posizione in merito al rispetto del CCNL e al versamento contributivo;
   a parere degli interroganti l'Asl ha tardivamente adempiuto alle sue funzioni di controllo e specificatamente del rispetto del CCNL da parte delle aziende responsabili del servizio;
   questo ha avuto conseguenze sulla qualità del servizio nonché rischiato di compromettere il servizio del 118 stesso, causando gravi disagi ai cittadini –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro per garantire la tutela dei diritti dei lavoratori interessati ed il rispetto del CCNL. (4-00882)


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Merloni spa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria prevista dall'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 e all'attrazione alla procedura madre delle società controllate Antonio Merloni Cylinders & Tanks s.r.l, Tecnogas s.p.a. ed Elmarc s.p.a. e i Commissari hanno presentato al Ministero un programma avente per oggetto la cessione dei complessi aziendali facenti capo al Gruppo Antonio Merloni ai sensi della lettera a), comma 2, dell'articolo 27 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270;
   in questo contesto, il Ministero dello sviluppo economico, la regione Umbria e Marche in data 19 marzo 2010 siglavano un primo Accordo di programma di reindustrializzazione dell'area interessata definendo coerentemente le risorse nazionali, comunitarie e regionali a disposizione; l'accordo del 19 marzo 2010 prevedeva i seguenti obiettivi: 1) tutelare l'apparato produttivo esistente; 2) assicurare il rilancio delle attività; 3) salvaguardare l'occupazione;
   con atto di cessione del 27 dicembre 2011 la società J&P Industries spa ha acquistato la proprietà del «perimetro aziendale» del Gruppo Antonio Merloni, acquisendo anche i complessi industriali umbro marchigiani di Nocera Umbra e Fabbriano; rimangono in carico all'azienda in amministrazione straordinaria circa 1.500 dipendenti;
   al primo Accordo di programma del 19 marzo 2010 è seguita la sottoscrizione di un Atto integrativo del 18 ottobre 2012 siglato tra Ministero dello sviluppo economico, regione Umbria e Marche per la «rimodulazione» degli interventi con l'obiettivo di: 1) riassorbire il maggior numero possibile di personale diretto attualmente in CIGS; 2) favorire la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Antonio Merloni, con particolare riferimento alla quota parte dello stabilimento di Gaifana, oggetto del diritto di opzione alla vendita o alla locazione concesso dalla società J&P Industries s.p.a.; 3) sostenere il rilancio della PMI dell'indotto;
   la vendita dei complessi produttivi della Merloni spa in amministrazione straordinaria alla società J&P Industries spa (Q.S. Group spa) è oggi oggetto di una controversia giudiziaria pendente innanzi al tribunale di Ancona intrapresa dalle banche creditrici nei confronti dell'acquirente Q.S. Group spa e della stessa Merloni spa in amministrazione straordinaria ed avente ad oggetto la nullità e/o inefficacia per violazione delle norme di cui agli articoli 62 e 63 decreto legislativo n. 270 del 1999 delle suddette operazioni di cessione del complesso aziendale;
   a seguito di un sopralluogo dell'aprile 2013, i rappresentanti del Comitato dei lavoratori metalmeccanici umbri della (ex) Merloni spa hanno segnalato criticità in riferimento alla ripresa della produttività degli impianti oggetto di cessione nonché la pericolosa presenza di amianto negli stabilimenti di Nocera Umbra e Fabbriano della ex Merloni spa;
   numerosi dipendenti della Merloni spa hanno presentato denuncia alla procura della Repubblica di Perugia e avrebbero segnalato la presenza del materiale pericoloso anche all'ispettorato del lavoro e all'Inail;
   è noto che la presenza di materiali e fibre di amianto negli edifici e negli ambienti di vita e di lavoro rappresenta un reale pericolo per la salute pubblica, posto che, se respirate, costituiscono una grave forma di inquinamento dell'ambiente, dei luoghi di lavoro e pregiudizio all'integrità fisica e alla salute dei lavoratori –:
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, siano a conoscenza o meno della descritta situazione relativa agli stabilimenti di Nocera Umbra (PG) e Fabriano (AN) della Merloni spa;
   se alcuna informazione sia giunta al Governo e se lo stesso sia informato in merito al se e quando risalgono le ultime visite e/o controlli delle Asl e degli Uffici competenti – Ufficio prevenzione, igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro – o di altra autorità e cosa vi sia scritto in merito alle condizioni dei luoghi di lavoro e alla eventuale presenza di amianto;
   se siano giunte o risultino denunce e/o segnalazioni all'Inail e/o all'ispettorato del lavoro in merito alla presenza di amianto negli stabilimenti suddetti;
   quali misure e/o azioni urgenti i Ministri, ciascuno per quanto di competenza, intendano adottare o stiano adottando per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro e la salute dei lavoratori degli stabilimenti della (ex) Merloni spa.
(4-00883)


   BALDASSARRE, BECHIS, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 24 della legge n. 214 del 2011 si afferma che a far data 1° gennaio 2012 tutte le pensioni saranno agganciate esclusivamente ai contributi versati (sistema contributivo);
   nella circolare INPS n. 35/2012 viene esemplificato che i lavoratori che avevano maturato 18 anni di anzianità contributiva alla data 31 dicembre 1995 rientreranno in un sistema di calcolo misto, retributivo fino al 31 dicembre 2011 e contributivo pro rata a far data 1° gennaio 2012;
   la prima «quota», calcolata con sistema retributivo, viene determinata con le modalità previste dagli articoli 7 e 13 del decreto legislativo n. 503 del 1992, la seconda «quota» è determinata con il sistema contributivo pro rata per il periodo che intercorre tra il 1o gennaio 2012 e la data di pensionamento;
   l'interpretazione data dalla circolare INPS n. 35/2012 apparirebbe restrittiva rispetto alle disposizioni effettivamente dettate dall'articolo 24 della legge n. 214 del 2011;
   l'interpretazione data da INPS e INPDAP in fase applicativa del calcolo pensionistico, sembra prendere in considerazione l'ultima retribuzione percepita all'atto del pensionamento anche se successivo all'entrata in vigore della riforma, 1o gennaio 2012;
   secondo interpretazioni diverse da quelle offerte da INPS, che provengono da più parti tra gli operatori del settore, il calcolo non dovrebbe essere effettuato sull'ultima retribuzione percepita all'atto del pensionamento, bensì su quella percepita al 31 dicembre 2012 –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno porre la propria attenzione, per quanto di competenza, sulla problematica sopra descritta, al fine di verificare l'esattezza interpretativa data dalla circolare stessa. (4-00887)


   ZAPPULLA e FARAONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il prolungarsi della recessione ha acuito la condizione di disagio economico di larga parte della popolazione, rischiando di mettere a repentaglio la tenuta sociale del Paese; il Governo dimostra consapevolezza del profondo e perdurante stato di crisi in cui versa l'Italia e della necessità di reperire le risorse volte alla copertura dei costi relativi agli ammortizzatori sociali, divenuti in questi anni un indispensabile strumento di sopravvivenza per centinaia di migliaia di persone;
   le risorse stanziate sinora, purtroppo, risultano essere solo in minima parte sufficienti a garantire il fabbisogno delle regioni, le quali stanno, insieme alle parti sociali, richiamando con sempre maggior forza l'attenzione su tale problematica; in particolare, i rappresentanti delle organizzazioni sindacali e delle regioni del meridione – caratterizzate da un tessuto economico più fragile rispetto alle altre – temono che il mancato reperimento di ulteriori risorse possa aggravare i rischi di tensione sociale;
   in Sicilia, nel 2012, gli ammortizzatori sociali hanno comportato un costo di poco più di 200 milioni di euro. Le previsioni relative all'anno in corso delineano un quadro ancora più negativo: i dati disponibili evidenziano un incremento percentuale delle ore e dei lavoratori posti in cassa integrazione e la crescita si fa esponenziale se si parla della cassa integrazione straordinaria o in deroga;
   a tal proposito, l'assessore regionale al lavoro della regione Sicilia, Ester Bonafede, dopo un incontro con i rappresentanti del Governo, ha annunciato che fino a luglio non sono previsti finanziamenti per gli accordi relativi alla concessione di nuovi ammortizzatori sociali sottoscritti nei mesi scorsi – riguardanti diverse richieste di imprese in crisi – e che, da quella data, in mancanza di un intervento, anche i lavoratori che attualmente stanno percependo i relativi trattamenti si ritroveranno nell'impossibilità di continuare a farlo;
   la necessità di rapidi interventi di rifinanziamento è avvertita con vivezza – oltre che dalla popolazione – dalle istituzioni locali e dalle rappresentanze sindacali, consapevoli dell'esigenza di uno sforzo che garantisca anche per il 2013 la corresponsione di risorse almeno eguali a quelle dell'anno precedente –:
   allo scopo di attenuare le ripercussioni della grave crisi occupazionale e sociale che ha colpito il nostro Paese, e più in particolare la regione Sicilia, quali urgenti iniziative intenda adottare allo scopo di garantire nel minor tempo possibile le condizioni, anche e soprattutto di carattere finanziario, per assicurare il riconoscimento degli ammortizzatori sociali necessari ad affrontare la sfavorevole congiuntura economica per tutto il 2013.
(4-00895)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   BENEDETTI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, LUPO, L'ABBATE, PARENTELA e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2012 il Ministero e la sua immagine sono state colpite dallo scandalo che ha visto coinvolto l'ex capo di gabinetto del MiPAAF Giuseppe Ambrosio, la moglie Stefania Ricciardi, dirigente dell'ufficio per la promozione della qualità agroalimentare; Francesco Saverio Abate, direttore generale della Pesca marittima e dell'acquacoltura; Ludovico Gay, dirigente pubblico già direttore di Buonitalia spa; Alfredo Bernardini, dirigente della Confederazione italiana agricoltori; Michele Mariani, impiegato presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, Luca Gaudiano, funzionario del Ministero; Riccardo Deserti, direttore del Consorzio Parmigiano Reggiano; gli imprenditori Claudia Maria Golinelli, Luigi Cardona e Oliviero Sorbini, indagati per gravi reati contro la pubblica amministrazione;
   nell'operazione di polizia giudiziaria, denominata «Centurione», i pubblici ministeri hanno indagato 37 persone di cui 13 dirigenti e funzionari pubblici quasi tutti del Ministero; i reati contestati vanno dalla corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio alla turbata libertà degli incanti, fino alla turbata libertà nella scelta del contraente;
   secondo i capi d'accusa, Giuseppe Ambrosio e i funzionari del Ministero facilitavano contributi pubblici e contratti, pilotavano gare d'appalto in cambio di benefit e vacanze, ma anche oggetti d'arredamento e prodotti alimentari, come dazione dagli imprenditori;
   secondo gli inquirenti ammonterebbero ad oltre 32 milioni di euro i fondi pubblici impropriamente finiti nelle tasche degli imprenditori; nell'ordinanza del giudice delle indagini preliminari Flavia Costantini si spiega che è stato accertato «un diffuso sistema corruttivo radicato nell'ambito del Mipaaf, posto in essere sistematicamente e con modalità seriali in occasione di elargizioni di denaro pubblico»;
   il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi ha descritto in questo modo la situazione all'interno del Ministero «un vero e proprio giro di privilegi e malaffare; ci troviamo di fronte a un sistema in cui c’è una spesa pubblica che dovrebbe essere interessata a favorire un settore importante come l'agricoltura e la pesca invece viene distorta e inquinata da un'attività corruttiva diffusa»;
   prima dell'evenienza dell'inchiesta «Centurione» si è avuta la richiesta da parte di 500 dipendenti dell'ICQ l'Ispettorato centrale della tutela e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, che denunciavano le difficoltà nell'effettuare i controlli nel settore alimentare e addirittura chiedevano all'allora Ministro Luca Zaia l'accorpamento dell'ICQ nel Corpo forestale dello Stato, come nucleo specializzato nella prevenzione e repressione delle frodi agroalimentari;
   in occasione della conferenza stampa presso il Ministero, convocata in seguito alla notizia degli arresti, il Ministro pro tempore Catania indicò i provvedimenti che sarebbero stati presi: e cioè la sospensione per tutti gli indagati e una verifica per capire se episodi come quello in questione si fossero verificati anche in altri dipartimenti non direttamente coinvolti nello scandalo;
   nella stessa sede il Ministro pro tempore Catania annunciò inoltre il ridimensionamento di spesa, fino all'azzeramento, del settore comunicazione istituzionale e promozione del Ministero, che il Ministro Catania definì «ad alto tasso di discrezionalità nell'erogazione dei fondi» –:
   se sia prevista una fase di verifica dettagliata, già suggerita dal precedente Ministro Catania, sull'eventualità che la corruzione abbia riguardato anche altri settori e quali interventi si intendano attuare a tal proposito;
   quali azioni intenda assumere il ministro per garantire trasparenza, correttezza amministrativa ed affidabilità alle attività del settore comunicazione e promozione, settore coinvolto nello scandalo;
   quali azioni intenda assumere il Ministro per garantire controlli efficaci, liberi da qualsiasi condizionamento, sulla gestione delle risorse pubbliche affidate al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed in particolar modo sui controlli nel settore alimentare. (3-00121)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI, OLIVERIO, FIORIO, ZANIN, COVA, LUCIANO AGOSTINI, CARRA, MONGIELLO, TERROSI, VALIANTE, FERRARI e TENTORI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura biologica è un metodo di produzione normato con il regolamento CEE 2092/91, sostituito successivamente dai regolamenti (CE) 834/07 e 889/08 e a livello nazionale con il decreto ministeriale 18354/09;
   come è noto il termine «agricoltura biologica» indica un metodo di coltivazione e di allevamento che esclude l'utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi);
   l'agricoltura biologica si fonda su un modello di produzione sostenibile, che esclude lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, che fa uso di solo materiale organico ed evita, ricorrendo ad appropriate tecniche agricole, qualsiasi forma di sfruttamento intensivo;
   anche nella zootecnia si pone la massima attenzione al benessere degli animali, si predilige il libero pascolo e l'alimentazione vegetale biologica, non si utilizzano antibiotici, ormoni o altre sostanze che stimolino artificialmente la crescita e la produzione di latte;
   secondo i dati del sesto censimento Istat sull'agricoltura italiana sono 45.167 le aziende che al 24 ottobre 2010 risultano adottare metodi di produzione biologica per coltivazioni o allevamenti. Esse rappresentano il 2,8 per cento delle aziende agricole totali. Di queste, 43.367 aziende applicano il metodo di produzione biologico sulle coltivazioni (2,7 per cento delle aziende in complesso con SAU) mentre 8.416 lo adottano per l'allevamento (3,9 per cento delle aziende in complesso con allevamenti). Sono invece 6.616 le aziende quelle che utilizzano metodi di produzione biologica sia per le coltivazioni sia per gli allevamenti;
   secondo recenti stime il fatturato in Italia relativo ai prodotti di agricoltura biologica, è pari a circa 3 miliardi di euro annui, con un aumento di circa il 7,3 per cento nel 2012. Durante le stesse audizioni svolte recentemente in XIII Commissione, le associazioni rappresentative del settore hanno parlato di un aumento della produzione biologica nel Paese nel 2013 di circa il 7 per cento. Si tratta di cifre che pongono con tutta evidenza l'Italia ai primi posti nel mondo per tale produzione;
   in questi ultimi anni è cresciuto il livello di fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti da agricoltura e zootecnia biologica, in virtù di tale fiducia ed affidabilità si sono strutturate filiere e piattaforme finalizzate ad incentivare la vendita diretta, l'acquisto di prodotti biologici locali, la fornitura per mense scolastiche, che tali filiere, in virtù di quanto previsto specificamente dai regolamenti garantiscono altresì l'assenza di Ogm;
   il 6 giugno 2013 la Guardia di finanza di Pesaro, con la collaborazione dell'Ispettorato repressioni frodi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, avrebbe confiscato 800 tonnellate di semi di soia provenienti dall'India e 340 tonnellate di panello e olio di colza turchi, falsamente certificati come «biologici» e contaminati da sostanze fitosanitarie nocive. Tali prodotti, che potevano essere commercializzati su tutto il territorio nazionale da aziende di Cremona, Brescia e Pesaro, sarebbero stati utilizzati per preparare numerosi alimenti, fra cui biscotti, dolciumi, snack, pasta, riso e sostituti del pane;
   questa operazione segue il sequestro, già avvenuto, di 1500 tonnellate di mais ucraino e 76 tonnellate di soia indiana;
   il 7 giugno 2013 la Guardia di finanza di Cagliari ha individuato una maxi truffa nel mercato biologico pari ad oltre 135 milioni di euro. Tale intervento ha portato a 16 ordinanze di custodia cautelare, nei confronti di una organizzazione, che aveva come vertice una azienda di Capoterra, che avrebbe presentato false certificazioni relative a prodotti biologici, destinati al mercato nazionale ed europeo, senza che i prodotti fossero realmente «bio». Le ordinanze sono state notificate oltre che in Sardegna, nel Lazio, Marche, Emilia Romagna, Veneto e Puglia;
   risulta del tutto evidente come tali frodi, insistendo su produzioni che si caratterizzano per una filiera di alta qualità, sicurezza, certificate di disciplinari e marchi Unione europea, rappresentino un gravissimo danno al settore ed all'intero sistema agroalimentare nazionale;
   secondo quanto dichiarato da alcune associazioni di rappresentanza del settore, questo tipo di reati si ripeterebbe con frequenza perché mancherebbe ancora «a livello europeo e nazionale, quella sicurezza alle frontiere tale da garantire al 100 per cento la certificazione dei prodotti, ed un sistema sanzionatore così severo da scoraggiare questo tipo di frodi»;
   come noto le falsificazioni del Made in Italy e l'azione criminale delle agromafie causano al settore agroalimentare nazionale una perdita annua totale pari a 72,5 miliardi di euro. In particolare, il volume d'affari delle agromafie ammonta oggi a 12,5 miliardi di euro (pari al 5,6 per cento dell'intero business criminale), e gli interessi economici della criminalità organizzata nel settore agroalimentare stanno crescendo ed espandendosi in tutte le filiere produttive;
   questa situazione allarmante, che penalizza il Paese sia dal punto di vista economico e produttivo, viene confermata dai risultati della indagine promossa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della contraffazione e della pirateria in campo commerciale e agroalimentare, redatta nella scorsa Legislatura;
   risulta comunque altrettanto evidente come il sistema dei controlli di cui il nostro paese si è dotato sta consentendo di portare alla luce e sanzionare importanti situazioni come quelle in oggetto;
   così come è evidente che la volontà del legislatore, delle amministrazioni pubbliche con competenza in materia di agricoltura e di sicurezza alimentare si sia pronunciata chiaramente in direzione di norme certe in materia di tracciabilità ed etichettatura dei prodotti –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, e considerato che la produzione biologica può rappresentare un settore di mercato con potenzialità di ulteriore crescita, ritenga urgente ed opportuno intraprendere ulteriori provvedimenti utili per prevenire e contrastare le frodi alimentari, per tutelare la salute del consumatore, i livelli occupazionali e produttivi delle aziende del settore, l'immagine dell'intero sistema agroalimentare italiano, anche attraverso un più efficace coordinamento degli attori deputati ai controlli (a livello nazionale e comunitario), e verificando anche unitamente al Ministro competente, iniziative normative per l'inasprimento delle pene previste per tali reati;
   se non ritenga utile promuovere ulteriormente ed incentivare, come sollecitato dai produttori agricoli del settore, ogni iniziativa utile ad accorciare la filiera nazionale per i prodotti biologici e l'acquisto diretto da parte dei consumatori dai produttori italiani che garantiscono con certezza la provenienza e la certificazione di tali alimenti;
   se non ritenga, al fine di favorire una filiera di proteine vegetali nazionali (soia, pisello proteico, favino) destinate all'alimentazione zootecnica biologica e di qualità, libera da Ogm, di promuovere, anche attraverso gli strumenti dei piani di sviluppo rurale la promozione di un piano nazionale di proteaginose bio di livello nazionale più volte sollecitato da numerose associazioni di rappresentanza agricola. (5-00361)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane è montata nuovamente la protesta degli operai idraulici forestali della regione Campania a causa del mancato accreditamento dei fondi da parte della regione;
   sono complessivamente circa 4500 i forestali idraulici impiegati nelle 27 comunità montane della regione. Enti dei quali era stata prevista alcuni anni fa la soppressione, ma che sono stati poi salvati da una sentenza della Corte costituzionale;
   queste realtà, se adeguatamente fornite di mezzi e se gestite in maniera razionale, potrebbero contribuire a garantire la tutela del territorio – dai sentieri alla prevenzione degli incendi anche in vista dell'imminente avvio della nuova stagione estiva –;
   accade, invece, da quanto risulta da notizie di stampa e da diversi siti internet locali, che le suddette comunità montane «senza il trasferimento delle risorse restano fermi anche i mezzi deputati all'antincendio. Mancano addirittura i soldi per acquistare il carburante, per pagare le assicurazioni ed effettuare la manutenzione primaria»;
   gli stessi lavoratori sono ormai allo stremo delle forze, viste le difficoltà quotidiane delle loro famiglie che non si ritrovano più neanche i soldi per pagare le bollette di casa o per pagare l'assicurazione delle auto o le stesse rate universitarie dei propri figli;
   è, assolutamente, necessario intervenire tempestivamente per ridare lavoro e dignità a un territorio già colpito duramente dalla disoccupazione e da diversi disagi sociali;
   tutto il comparto della forestazione si trova in un momento particolarmente delicato nelle regioni del sud Italia a causa delle già note difficoltà nel reperire risorse finanziarie a cui si somma la mancanza di progetti di riforma del settore, necessario a conferire stabilità ad un settore già di per se precario –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza, anche normative, intendano adottare per garantire i necessari finanziamenti alla regione Campania, indispensabili per ridare stabilità e serenità ai tanti lavoratori del settore, da mesi senza stipendio e inseriti in un contesto di grave crisi economica e ciò per evitare che si manifestino tra i lavoratori idraulici forestali eventuali episodi di violenza, mediante l'attribuzione, come già accaduto in passato per altre ragioni, di fondi dello Stato. (4-00892)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AIELLO, CECCONI e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento ha di recente approvato la legge n. 57 del 23 maggio 2013: «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2013, recante disposizioni urgenti in materia sanitaria» (cosiddetto decreto «Stamina»);
   tale decreto-legge disciplina, all'articolo 2, l'impiego di medicinali per terapie avanzate preparati su base non ripetitiva e l'impiego terapeutico dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica. Esso contiene una serie di disposizioni dirette, in primo luogo, ad autorizzare le strutture pubbliche in cui sono stati avviati, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, trattamenti su singoli pazienti con medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali a completare i trattamenti medesimi, sotto la responsabilità del medico proscrittore;
   l'articolo 2 prevede, in secondo luogo, che il Ministero della salute, con l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e il Centro nazionale trapianti (CNT), promuove lo svolgimento di una sperimentazione clinica, coordinata dall'Istituto superiore di sanità (ISS), da completarsi entro 18 mesi a decorrere dal 1o luglio 2013, concernente l'impiego di medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali, a condizione che i predetti medicinali, per quanto attiene alla sicurezza del paziente, siano preparati in conformità alle linee guida dettate dall'Unione europea. Per l'attuazione di tale sperimentazione sono stati stanziati 1 milione di euro per l'anno 2013 e 2 milioni di euro per l'anno 2014, vincolando a tal fine una quota del fondo sanitario nazionale –:
   quali siano le attività previste a livello ministeriale per il monitoraggio dell'attività di somministrazione dei trattamenti su singoli pazienti con medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali, che sono attualmente in corso presso gli spedali civili di Brescia sia per effetto della convenzione tra la struttura stessa e la regione Lombardia, sia a seguito delle sentenze dell'autorità giudiziaria che hanno ordinato la prosecuzione dei trattamenti medesimi;
   se siano stati presi contatti tra le autorità preposte all'avvio della sperimentazione e «Stamina Onlus», per avviare il percorso di collaborazione propedeutico all'inizio della fase di sperimentazione;
   se sia pertanto possibile confermare il termine del 1o luglio 2013, secondo quanto disposto dalla legge approvata, per il concreto avvio della fase di sperimentazione. (5-00356)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BASSO, TULLO, CAROCCI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1o gennaio 2013 è stata costituita la Selex electronic systems attraverso la concentrazione delle attività di Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi Integrati, tre società controllate da Finmeccanica s.p.a., con l'obiettivo di perseguire un miglior posizionamento competitivo nel settore di riferimento;
   per raggiungere questo obiettivo, Selex ha avviato un percorso finalizzato a una politica di investimenti e alla realizzazione di economie di scala, ritenute necessarie per poter competere sul mercato globale, che prevedono un piano di riorganizzazione aziendale;
   in risposta all'interpellanza urgente (n. 2-00074), presentata il 4 giugno 2013, il Viceministro dello sviluppo economico rileva che l'azienda si impegna a non intraprendere alcuna azione unilaterale senza il preventivo confronto con i sindacati e che, nel caso in cui la vicenda non perviene ad una soluzione positiva e condivisa, in termini di produttività ed occupazione, il Ministero è a disposizione per svolgere un ruolo più attivo per favorire la ricerca di una soluzione a tutela dell'occupazione e della competitività dell'azienda e del settore nel suo complesso;
   la Selex electronic systems ha presentato lo scorso 6 giugno 2013 un piano industriale per la razionalizzazione dei siti ed il dimensionamento degli organici che prevede la chiusura di 22 stabilimenti, la cassa integrazione per due anni a zero ore per 1.822 dipendenti e 4 ore di cassa integrazione settimanali per altri 10 mila lavoratori del gruppo in Italia;
   dal piano di razionalizzazione la città più colpita è Roma, con 470 esuberi su 2.700 dipendenti; subito dopo vengono le attività genovesi: 303 esuberi su nemmeno 2.000 addetti, equivalente al 15 per cento della forza lavoro: una scelta non coerente con l'obiettivo di rafforzare Genova come sito di ricerca e innovazione sulle tecnologie «Smart City» per tutto il gruppo;
   il continuo ricorso agli esuberi sembrerebbe finalizzato più al contenimento dei costi che non al perseguimento di un chiaro indirizzo industriale con un conseguente impoverimento di competenze e centri di eccellenza che metterebbe a rischio anche la competitività dell'azienda;
   i sindacati dei lavoratori propongono soluzioni alternative che prevedono processi di alleggerimento dell'organico attraverso pre-pensionamenti e contratti di solidarietà;
   già durante la scorsa legislatura, i parlamentari del PD avevano più volte interrogato il Governo sul futuro di Finmeccanica, chiedendo, in tema di piano industriale, precise garanzie su occupazione, strategie di sviluppo e investimenti;
   da ultimo, lo scorso 9 aprile 2013 è stata presentata l'interrogazione a risposta in commissione (5-00073) per chiedere al Governo quale sia il quadro generale in cui si colloca la progressiva riorganizzazione di Finmeccanica;
   è necessario che il Governo si prenda in carico questa situazione, in una fase di crisi così acuta per il Paese, per evitare l'emorragia di altri posti di lavoro –:
   se il Governo non ritenga di intervenire aprendo al più presto un tavolo di trattativa con azienda e parti sociali affinché venga discusso seriamente un Piano industriale che offra garanzie sul fronte della tenuta occupazionale e della competitività dell'azienda. (5-00358)


   BOBBA e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 maggio 2013 la società Enel spa nella persona di Giovanni Mancini, scriveva, tramite raccomandata a/r, al Ministero dello sviluppo economico per richiedere di «cessare l'esercizio delle unità di produzione elettrica installate nella centrale» termoelettrica «G. Ferraris» sita in località Leri, comune di Trino, in provincia di Vercelli;
   secondo la stessa società Enel spa le cause della richiesta di cessazione dell'esercizio sono dovute a «mutate esigenze del mercato elettrico, assieme alla più generalizzata e sfavorevole congiuntura economica»;
   secondo il quotidiano «La Stampa» pagina 45 – provincia di Vercelli –, dell'11 giugno 2013, la chiusura dell'impianto Leri Cavour «si concretizzerà tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014», aggiungendo che «La centrale, costruita tra il 1991 e il 1997 per diventare la seconda centrale elettronucleare di Trino, è già spenta da circa quattro anni, ma ora, completato l’iter sindacale e la messa in sicurezza, chiuderà i battenti, diventando a tutti gli effetti un ecomostro tra le risaie»;
   secondo il sindaco di Trino, Alessandro Portinaro, «L'ipotesi di spegnimento dell'impianto apre una serie di preoccupazioni», relativamente alle «prospettive occupazionali sia dei lavoratori Enel che dei lavoratori delle ditte che forniscono servizi esterni. Se per i primi ci sono alcune rassicurazioni da parte dei sindacati, per i secondi la situazione potrebbe essere più complicata»;
   nella stessa missiva del 28 maggio 2013, di cui in premessa la società Enel spa faceva presente che verranno predisposte «entro 30 giorni dal ricevimento delle stesse (disposizioni attuative) un piano di dismissione agli Enti preposti, contenente il dettaglio delle attività di fermata e messa in sicurezza degli impianti e delle strutture, affinché sia evitato ogni rischio per l'ambiente e la salute»;
   nella citata raccomandata si tace relativamente alle sorti dell'imponente impianto, ormai privo di benefici per la comunità in termini occupazionali diretti e di indotto, costituito anche da torri di raffreddamento in mezzo al paesaggio naturale delle risaie, così come nulla viene specificato per ciò che concerne la bonifica dell'area;
   non vi sono peraltro informazioni relativamente alle modalità individuate per garantire la sicurezza dell'area che attualmente ospita l'impianto, nella fase successiva alla dismissione; elemento importante anche a fronte dei continui e ripetuti atti di vandalismo che si sono verificati negli anni presso l'attiguo Borgo di Leri;
   lo stesso sindaco di Trino, secondo il citato quotidiano, aggiunge: «Siamo preoccupati anche dall'assenza di notizie ufficiali in merito all'impianto fotovoltaico che Agatos Green Power dovrebbe realizzare nell'area adiacente la centrale», progetto, ad oggi tramontato a cui era legato anche il recupero dello stesso borgo di Trino –:
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente e doveroso, per quanto di competenza, verificare le conseguenze della cessazione definitiva della centrale «Galileo Ferraris» del comune di Trino sia in termini di tutela occupazionale, soprattutto per i lavoratori e per le aziende facenti parte dell'indotto, sia per la bonifica dell'area per ciò che attiene all'impatto ambientale e paesaggistico;
   se ci sia un piano di sviluppo all'attenzione dei Ministeri interrogati relativo all'impianto fotovoltaico, di cui in premessa. (5-00365)


   GINEFRA, LOSACCO, MARIANO e VENTRICELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il «distretto del mobile imbottito» si sviluppa in un'area geografica compresa tra Matera, Altamura e Santeramo in Colle, a cavallo tra Basilicata e Puglia, e rappresenta la realtà economica più significativa del territorio, con un indotto di circa 200 aziende che occupano attualmente oltre 7.000 addetti;
   il distretto del mobile imbottito dell'area murgiana, dopo diversi anni di crescita e sviluppo, a partire dal 2003 è interessato da una situazione di crisi, che ha portato alla progressiva perdita di quote di mercato interno ed internazionale, alla riduzione del numero delle imprese e alla perdita di numerosi posti di lavoro;
   tra i fattori della crisi del distretto del mobile imbottito dell'area murgiana si segnalano le difficoltà di accesso al credito da parte delle aziende, la carenza di un sistema infrastrutturale, l'apprezzamento dell'euro, con conseguente riduzione del quantitativo di domanda dei prodotti, la crescita della concorrenza asiatica, in particolare sui segmenti di mercato a minore valore aggiunto, il rincaro delle materie prime e, in particolare, delle pelli;
   il gruppo Natuzzi, creato nel 1959, è una delle più grandi aziende italiane nel settore dell'arredamento i cui prodotti vengono realizzati in 11 stabilimenti di cui 7 si trovano in Italia;
   il 28 maggio il consiglio di amministrazione di Natuzzi spa ha approvato i risultati consolidati relativi al primo trimestre del 2013 che registrano un aumento del 3,4 per cento (+5,1 per cento in volumi) delle vendite nette del salotto rispetto al primo trimestre 2012, un dato positivo seppure in un trend complessivo di perdita netta;
   da notizie di stampa si apprende che l'azienda avrebbe comunicato l'intenzione di fermare per quattro settimane la produzione in alcuni stabilimenti e quantificato il numero degli esuberi in 1.900, un numero sensibilmente più alto di quelli che erano stati individuati in precedenza;
   i lavoratori degli stabilimenti di Ginosa, Laterza e altri stabilimenti hanno proclamato una serie di scioperi, chiedendo all'azienda chiarimenti in merito a queste decisioni, anche con riferimento a possibili delocalizzazioni e alla ridefinizione del piano industriale;
   l'8 febbraio 2013 è stato stipulato un accordo di programma tra il Ministero dello sviluppo economico, la regione Puglia e la regione Basilicata finalizzato allo stanziamento di 101 milioni a sostegno degli investimenti delle aziende del polo murgiano –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali azioni intenda intraprendere per scongiurare il rischio di una ulteriore perdita dei livelli occupazionali in territori già duramente colpiti dalla crisi. (5-00368)


   FREGOLENT, BIONDELLI, BOCCUZZI, DAMIANO e MATTIELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Selmat è un'azienda piemontese che realizza componenti e sistemi in materiale plastico per l'allestimento interno ed esterno di autovetture e veicoli industriali;
   il gruppo Selmat è costituito dalle società Selmat Automotive, Selmat Veicoli Speciali, Martinplast e Hcm Stampi. I dipendenti sono circa 700, in quattro siti produttivi in Piemonte: oltre ad Airasca, Sant'Antonino di Susa (Torino), San Martino Alfieri (Asti) e Dronero (Cuneo). A questi se ne aggiunge uno recente in Polonia. Il gruppo ha inoltre acquisito la top plastic, azienda che impiega circa 200 persone nel sito produttivo di Beinasco e controlla le società Top plastic Poland, la Top Plastic Ve in Turchia e la italiana Radicar;
   il gruppo Selmat è uno storico fornitore della Fiat; in particolare è attualmente fornitore unico per la Fiat su alcuni componenti, come gli interni in plastica dei veicoli;
   tra Selmat e Fiat è in corso da alcuni mesi un duro contenzioso che ha anche aperto un fronte giudiziario con la presentazione incrociata di due esposti. La Fiat ha sostanzialmente addebitato lo stop di alcuni suoi stabilimenti alla mancata fornitura di componenti plastici da parte del gruppo piemontese. Selmat, per voce dell'amministratore delegato del gruppo, Enzo Maccherrone, ha replicato che lo stop agli stabilimenti Fiat sarebbe stato causato «da altre cause, indipendenti dalle forniture»;
   a fine aprile 2013 Selmat ha comunicato ai sindacati la messa in cassa integrazione per una settimana di circa 80 dipendenti della fabbrica di Airasca, giustificandola con la mancanza di commesse da parte di Fiat;
   nel mese di maggio 2013 alcuni stabilimenti del gruppo automobilistico Fiat, sono stati fermati, secondo fonti ufficiali della stessa azienda, a causa della mancanza delle forniture del gruppo Selmat: nello specifico l'impianto di officine Maserati di Grugliasco (anche se Selmat ha risposto che la causa era da attribuirsi alla mancanza di motori forniti dalla Fiat stessa), lo stabilimento di Fiat Automobiles in Serbia, e quello di Madrid;
   tale situazione sta creando gravi preoccupazioni tra i lavoratori, le associazioni sindacali e le istituzioni locali per le ripercussioni che sta causando e potrà causare sui livelli occupazionali e produttivi delle due aziende;
   il contenzioso che si è aperto tra Fiat e Selmat sulla definizione dei costi delle forniture a Fiat non può danneggiare i lavoratori;
   la vicenda Selmat è emblematica in quanto la crisi dell'indotto sta provocando situazioni paradossali con aziende che avrebbero lavoro ma non hanno liquidità. E questo è colpa dei grandi gruppi che hanno imposto le loro regole sulla fornitura scaricando sulle aziende piccole tutti i problemi;
   le forze sociali, politiche e sindacali territoriali hanno già chiesto alla regione Piemonte e provincia di Torino di convocare un tavolo di confronto tra l'amministratore delegato del gruppo Selmat, i dirigenti del gruppo Fiat e le organizzazioni sindacali, in modo tale da trovare soluzioni che salvaguardino prioritariamente i posti di lavoro del Gruppo Selmat –:
   se i ministri interrogati, anche alla luce della difficile situazione economica ed occupazionale nazionale, non intendano attivarsi per ricercare soluzioni efficaci atte a risolvere il contenzioso tra gruppo Fiat e gruppo Selmat, al fine di tutelare i livelli occupazionali interessati;
   se i ministri non ritengano quindi necessario convocare in tempi brevi il tavolo istituzionale di concertazione, richiamato in premessa e già richiesto dalle componenti sociali, politiche e sindacali territoriali. (5-00370)

Interrogazione a risposta scritta:


   DURANTI, FRATOIANNI, MATARRELLI, PANNARALE e SANNICANDRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Natuzzi è formato da 11 stabilimenti integrati verticalmente, di cui 7 in Italia e 4 fra Brasile, Cina e Romania;
   è un gruppo leader nel settore del mobile imbottito, avendo presentato nel 2011 un fatturato pari 486,4 milioni di euro, esportando l'88 per cento della produzione in 123 mercati e detenendo quote di mercato pari al 50 per cento in Europa e al 36 per cento in America;
   l'8 febbraio 2013 è stato firmato un accordo di programma fra la regione Puglia ed il Governo per rilanciare il settore del mobile imbottito. Tale accordo mette a disposizione 101 milioni (di cui 40 stanziati direttamente dalla regione), utili a innovare e riqualificare le produzioni in modo tale da preservare uno dei settori strategici per la Puglia e per l'Italia;
   in passato, Natuzzi ha a già ristrutturato gli stabilimenti e ridotto i posti di lavoro, collocando in cassa integrazione 1.900 lavoratori su 2.700 totali circa, la cassa integrazione scadrà il prossimo ottobre 2013;
   ad oggi Natuzzi non ha presentato alcun progetto per attingere alle risorse dell'accordo di programma e non ha predisposto alcun piano industriale. Di contro continua ad annunciare ulteriori esuberi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione illustrata in premessa e di eventuali progetti di ulteriore delocalizzazione della produzione;
   se il gruppo Natuzzi abbia presentato eventuali richieste di finanziamenti o di aiuti per il rilancio degli stabilimenti italiani;
   come il Ministro intenda intervenire per scongiurare una ennesima crisi a fronte di un impegno della regione Puglia e dei sindacati per il rilancio del settore, ed in presenza di ingenti risorse messe a disposizione dall'accordo di programma.
(4-00877)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Colletti e altri n. 1-00021, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bonafede, Businarolo, Ferraresi, Sarti, Baldassarre, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Cecconi, Colonnese, D'Ambrosio, Del Grosso, Fico, Nuti, Terzoni.

  La mozione Gregori e altri n. 1-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Boccuzzi, Martelli.

  La mozione Ascani e altri n. 1-00070, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Dorina Bianchi, Antezza, Boccuzzi.

  La mozione Binetti e altri n. 1-00094, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Monchiero.

  La mozione Bonomo e altri n. 1-00097, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mattiello.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza Valeria Valente e altri n. 2-00080, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Amendola, Manfredi, Tartaglione, Tullo, Valiante.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-00033, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gigli.

  L'interrogazione a risposta orale Mongiello e altri n. 3-00117, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Iacono.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Gregori n. 1-00034, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 14 dell'8 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea ha recentemente lanciato un'importante iniziativa a favore dell'occupazione giovanile, mirata, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione, i cosiddetti neet, nelle regioni dell'Unione europea con un tasso di disoccupazione giovanile, nel 2012, superiore al 25 per cento. Si tratta della cosiddetta garanzia per i giovani (youth guarantee), il nuovo pacchetto occupazionale europeo;
    la principale novità è legata all'istituzione di un fondo europeo di garanzia per l'occupazione giovanile, circa sei miliardi di euro dal 2014 al 2020, dei quali 3 miliardi di euro provenienti da una linea di bilancio specifica e gli altri 3 miliardi di euro dal Fondo sociale europeo. I fondi destinati all'iniziativa intendono rafforzare e accelerare le misure descritte nel pacchetto per l'occupazione giovanile del dicembre 2012. Tali fondi verranno messi a disposizione degli Stati membri per finanziare, nelle regioni per le quali è ammessa la contribuzione, misure attuative della raccomandazione relativa alla garanzia per i giovani concordata nell'ambito del Consiglio dei ministri del lavoro e degli affari sociali dell'Unione europea del 28 febbraio 2013;
    va ricordato che l'Italia rientra, purtroppo, nei parametri fissati di accesso al fondo. Infatti, secondo quanto riportano i dati Istat, nel gennaio 2013 il tasso di disoccupazione per i 15-24enni è salito al 38,7 per cento rispetto al 37,1 per cento del dicembre 2012. In particolare, il fenomeno dei neet in Italia è cresciuto esponenzialmente. Stando al Rapporto sul benessere equo e sostenibile del 2013, nel 2009, anno di inizio della crisi, i neet erano il 19,5 per cento, mentre in due anni, nel 2011, sono cresciuti di oltre tre punti percentuali, raggiungendo il 22,7 per cento. Il dato sui neet è particolarmente allarmante in quanto spia di un disagio estremo, prima di tutto psicologico, che diventa particolarmente acuto se si considera che tra tutti i neet, l'8,8 per cento è costituito da laureati che, quindi, non possono neppure accedere ad un livello più alto di formazione per potersi rimettere in gioco. Del resto, gli strumenti comunitari di garanzia per i giovani sono già attivi in alcuni Stati membri, come la Svezia e la Finlandia, e si sono dimostrati particolarmente positivi nel rilancio del mercato del lavoro dei giovani;
    l'esperienza della partecipazione italiana agli strumenti finanziari europei dimostra come sia assolutamente necessario approntare meccanismi di coordinamento a livello nazionale e territoriale in grado di operare a livello di sistema Paese, per ottenere i massimi benefici in termini di messa in atto delle politiche europee;
    la garanzia per i giovani dovrebbe essere rivolta, in particolare, a tutti i giovani compresi nella fascia di età dai 15 ai 29 anni che hanno appena terminato gli studi, hanno perso un lavoro, sono inseriti in percorsi formativi e di apprendistato, nel rispetto delle definizioni stabilite dalla normativa europea. A differenza della proposta comunitaria, che fissa il limite di 25 anni per i giovani che possono accedere agli schemi di garanzia per i giovani, tali misure andrebbero estese fino ai 29 anni, in virtù della particolare configurazione demografica del nostro Paese e visto che tale limite è quello utilizzato dai principali istituti di statistica per inquadrare la problematica dei neet in Italia,

impegna il Governo:

   a riconoscere l'estrema importanza degli strumenti comunitari messi in atto per il rilancio dell'occupazione giovanile, mirati, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione (neet);
   a mettere in campo tutte le misure necessarie a recepire il sistema europeo di garanzia per i giovani, istituendo una serie di meccanismi d'intervento differenziati su più livelli, e, quindi: a) misure di contrasto alla dispersione scolastica e di sostegno al rientro nei percorsi di studio; b) misure a sostegno dell'inserimento lavorativo dei giovani diplomati e laureati; c) contrasto alla segmentazione generazionale del mercato del lavoro e della segregazione di genere;
   a potenziare ed armonizzare il ruolo dei centri per l'impiego, e di tutti gli strumenti per le politiche attive sul lavoro, su tutto il territorio nazionale, rafforzandone le prerogative e istituendo una figura professionale di consulenza in materia di politiche europee per l'occupazione, attivazione dei fondi specifici e orientamento mirato;
   ad attivare adeguate sedi di confronto con i rappresentanti delle regioni e delle amministrazioni locali nonché con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su base nazionale, al fine di predisporre un'azione coordinata e condivisa per dare attuazione alle misure volte a favorire l'occupazione giovanile previste dal programma di garanzia per i giovani;
   a valutare la possibilità di assumere le necessarie iniziative per istituire, al più presto e in armonia con le previsioni di bilancio, un fondo nazionale per l'attuazione della garanzia per i giovani, composto dalla quota assegnata al nostro Paese da parte del fondo europeo di garanzia per i giovani e da ulteriori risorse previste anche da altre linee di intervento comunitarie, nel quadro della programmazione 2013-2020;
   ad assumere iniziative per dare vita alla defiscalizzazione ed alla decontribuzione delle nuove assunzioni a tempo indeterminato per i giovani per un periodo adeguato.
(1-00034)
(Ulteriore nuova formulazione) «Gregori, Rizzetto, Polverini, Epifani, Speranza, Damiano, Ferro, Miccoli, Bellanova, Pastorino, Carella, Casellato, Carnevali, Culotta, Cinzia Maria Fontana, Tino Iannuzzi, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Lorenzo Guerini, Guerra, Marco Di Maio, Antezza, Moretto, Cominelli, Moscatt, Ascani, Bonomo, Narduolo, Quartapelle Procopio, Raciti, Baruffi, Faraone, Paris, Giorgio Piccolo, Gnecchi, Madia, Tentori, Zappulla, Albanella, Pizzolante, Coccia, Boccuzzi, Martelli».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Colletti n. 1-00021, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 9 del 16 aprile 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il 20 marzo 2013 l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha aggiornato i valori per la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita-grave lesione del rapporto parentale;
    gli importi sono stati adeguati all'aumento del costo della vita sulla base degli indici Istat nel periodo gennaio 2011-gennaio 2013, con conseguente incremento del 5,65 per cento rispetto ai parametri precedentemente in vigore;
    la Corte di cassazione, a sezioni unite, con sentenza n. 12408 del 2011, ha introdotto il principio della necessità di applicare su tutto il territorio nazionale un unico criterio di liquidazione, affermando che quell'unico criterio è rappresentato dalle cosiddette «tabelle di Milano»;
    la medesima sentenza ha, altresì, affermato che le predette tabelle milanesi «costituiranno d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi «equo»;
    il Governo ha recentemente elaborato uno schema di decreto del Presidente della Repubblica riferito alla tabella per le menomazioni all'integrità psico-fisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
    da una prima lettura della tabella formulata dal Governo emerge che la liquidazione monetaria delle menomazioni all'integrità psico-fisica ivi prevista è notevolmente più bassa rispetto alle cosiddette tabelle di Milano, arrivando addirittura a prevedersi una decurtazione del 60 per cento delle predette liquidazioni;
    già la tabella relativa alle menomazioni di lieve entità emanata ai sensi dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private risulta essere molto più bassa di quella prevista dalle tabelle di Milano;
    da ultimo il cosiddetto decreto Balduzzi, decreto-legge n. 158 del 2012, ha già allargato, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo illegittimamente, la sfera di applicazione della tabella ex articolo 138 del codice delle assicurazioni private alle menomazioni causate da responsabilità medica, e per l'effetto ha tagliato la misura dei risarcimenti a tutt'oggi riconoscibili, con evidenti effetti dissuasivi all'incardinamento del contenzioso giudiziale e con una palese lesione degli articoli 24 e 32 della Costituzione;
    quindi, qualora venisse applicata questa nuova tabella, pazienti e soggetti che hanno subito delle gravi menomazioni non avranno più la tutela accordata dagli articoli 24 e 32 della Costituzione relativi alla tutela del diritto inviolabile alla salute ed al pieno risarcimento del danno;
    l'illegittimità costituzionale di cui si parla è fortemente aggravata da un quadro risarcitorio generale palesemente in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, dato che, in Italia, il medesimo danno finisce con l'essere ingiustamente ed immotivatamente risarcito in maniera differente a seconda della fonte del danno stesso;
    dallo schema di decreto messo a punto dal Governo pro tempore (Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, poco «tecnico» ed assai «politico», soprattutto quando si parla di banche e finanza) emerge con preoccupante chiarezza il tentativo di favorire le lobby delle assicurazioni; quelle stesse lobby che, da sempre, lavorano alacremente assieme ai Governi per vedere tutelate le loro posizioni in spregio dei diritti dei consumatori e dei cittadini;
    la più recente «Indagine sui prezzi r.c.a.» pubblicata in data 1o gennaio 2013 dall'Ivass (Istituto di vigilanza sulle assicurazioni) ha, infatti, evidenziato che, nonostante gli interventi di riforma messi in campo negli ultimi anni, l'aumento dei prezzi delle assicurazioni per responsabilità civile auto imposti ai cittadini non ha arrestato la sua corsa. Negli ultimi dodici mesi, ad esempio, il premio richiesto a una 18enne è cresciuto del 13,5 per cento, mentre il profilo di un virtuoso del volante, un 55enne in massima classe di sconto, ha subito un rincaro del 5,6 per cento;
    sul citato schema di decreto hanno espresso un parere fortemente contrario sia il Consiglio di Stato (parere n. 4209 del 17 novembre 2011, adunanza generale dell'8 novembre 2011), sia il Parlamento attraverso un'apposita mozione approvata a larga maggioranza (atto n. 1-00740 – seduta 24 ottobre 2011, n. 540);
    per il massimo organo di giustizia amministrativa, la sequenza dei coefficienti moltiplicatori della tabella formulata dal Governo «non sembra rispettare il criterio della crescita più che proporzionale rispetto all'aumento dei punti di invalidità» e «un eventuale scostamento del testo regolamentare dal criterio previsto espressamente dalla legge autorizzativa provocherebbe con molta probabilità la disapplicazione della norma regolamentare da parte del giudice civile investito dalla domanda risarcitoria, con conseguente inutilità dell'esercizio della potestà normativa in esame». Il Consiglio di Stato suggerisce poi di adottare, a livello normativo, l'estensione per analogia dei parametri economici anche ad altre discipline risarcitorie quando vengano lesi diritti alla persona sostanzialmente sovrapponibili, ma determinati da fatti diversi dalla circolazione stradale. Se si limitasse l'applicazione ai soli incidenti stradali, «infatti, analoghe conseguenze sul piano lesivo verrebbero ad ottenere differenti trattamenti risarcitori, a seconda del solo fatto che la lesione sia avvenuta nell'ambito della circolazione stradale o meno»;
    con la mozione dell'ottobre del 2011, la Camera dei deputati ha addirittura impegnato il Governo «a ritirare il provvedimento, ingiustificato e lesivo dei diritti dei danneggiati, e a predisporre, in tempi rapidi, un nuovo decreto teso a determinare valori medi di risarcimento del danno biologico per le lesioni di non lieve entità che prendano a riferimento quelli delle tabelle elaborate dal tribunale di Milano»;
    da parte del gruppo Movimento 5 Stelle in Commissione giustizia della Camera dei deputati, in data 28 maggio 2013, è stata presentata la proposta di legge n. 1063 – Bonafede ed altri – tesa ad affermare per via legislativa, senza ulteriori deleghe al Governo, l'adozione dei valori individuati dalle tabelle del tribunale di Milano come parametro unico nazionale per il risarcimento del danno alla persona,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto concernente la tabella delle menomazioni all'integrità psico-fisica di cui in premessa, in quanto contrario, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, agli articoli 24 e 32 della Costituzione relativi alla tutela del diritto inviolabile alla salute ed al pieno risarcimento del danno;
   ad adottare, nell'ambito della liquidazione del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale comportante lesioni dell'integrità fisica medicalmente accertabili, ai fini di una imprescindibile omogeneità dell'intero quadro risarcitorio, un provvedimento che utilizzi i valori stabiliti dalla tabella per le menomazioni all'integrità psico-fisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità approvata dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano nel marzo 2013 e dalle sue relative successive modifiche;
   a valutare l'opportunità di concorrere alla revisione dell'intero impianto normativo in materia di risarcimento del danno non patrimoniale nell'interesse esclusivo dei cittadini, sulla base dei contenuti enunciati dalla ricordata proposta di legge n. 1063 del 28 maggio 2013.
(1-00021)
(Nuova formulazione) «Colletti, Di Vita, Ciprini, D'Incà, Dadone, D'Uva, Frusone, Mantero, Rostellato, Agostinelli, Nesci, Vacca, Zaccagnini, Bonafede, Businarolo, Ferraresi, Sarti, Baldassarre, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Cecconi, Colonnese, D'Ambrosio, Del Grosso, Fico, Nuti, Terzoni».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Ascani n. 1-00070, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 29 del 5 giugno 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    fra i segnali più indicativi, sul piano economico e sociale, della gravità dell'attuale crisi economico-finanziaria che sta vivendo l'Unione europea, il più evidente risulta la crescita del tasso di disoccupazione;
    particolarmente preoccupante è l'andamento della disoccupazione giovanile: nel marzo 2013 ben 5,7 milioni di giovani, di cui 3,6 milioni nell'area euro, erano privi di lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile ha superato il 23,5 per cento nell'Europa a 27 e il 24 per cento nell'area euro, in aumento di 1,5 punti percentuali su base annua;
    la situazione, addirittura drammatica in Grecia, dove il tasso di disoccupazione giovanile tocca quasi il 60 per cento, e in Spagna (oltre il 55 per cento), appare tuttavia ormai insostenibile anche in Italia: nel nostro Paese il tasso di disoccupazione giovanile ha, infatti, toccato il 40,5 per cento;
    i dati sono ancora più allarmanti nelle aree in ritardo di sviluppo, dove l'elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile si inserisce in un contesto già profondamente segnato dal disagio economico e sociale, acuendo i rischi di tensioni e conflittualità;
    la crescente difficoltà di trovare occasioni di lavoro stabili e regolari priva le giovani generazioni del diritto di guardare al proprio futuro con ragionevoli aspettative di realizzazione e li costringe a un'umiliante condizione di vulnerabilità, incertezza e precarietà e di dipendenza economica dalle famiglie di origine;
    non possono esservi solide prospettive di ripresa economica e di crescita se le giovani generazioni sono costrette a una condizione di inattività; significativa, al riguardo, è la crescita costante della percentuale di giovani che appaiono totalmente privi di fiducia nel loro avvenire non lavorando e non partecipando a nessun ciclo di formazione e istruzione (i cosiddetti neet): nell'Unione europea si tratta ormai di circa il 13 per cento dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni;
    le dimensioni del fenomeno impongono l'immediata adozione di misure appropriate, per entità delle risorse da stanziare e per la necessità di invertire rapidamente le tendenze in atto, al fine di allargare la base occupazionale, di offrire alle giovani generazioni credibili prospettive di formazione e di lavoro stabile e non precario, attraverso quelle reali politiche attive del lavoro che sono elemento essenziale del rilancio del modello sociale europeo;
    in questa materia l'adozione di iniziative a livello europeo risulta imprescindibile, in primo luogo perché l'esperienza ha dimostrato che non è possibile affidare alle limitate forze dei singoli Stati membri il compito di affrontare un'emergenza che ha assunto ormai le dimensioni cui si è fatto riferimento a prescindere da una strategia complessiva ed organica. Ciò vale, in particolare, per i Paesi i cui margini di intervento finanziari sono particolarmente ristretti per i vincoli derivanti dall'obbligo di perseguire politiche di risanamento del bilancio pubblico. In secondo luogo, non va sottovalutato il rischio che l'assenza di adeguate risposte da parte dell'Unione europea alimenti anche nelle giovani generazioni la disaffezione, già ampiamente diffusa, nei confronti delle istituzioni europee e mini la fiducia nel progetto dell'integrazione europea, che si aggiunge al rischio socio-politico già evidenziato dalla fase recessiva. Ciò sarebbe particolarmente grave, stante il fatto che le giovani generazioni sono quelle che hanno una più elevata consapevolezza dell'identità europea e appaiono più propense alla mobilità e allo scambio di esperienze formative e di lavoro: una mobilità che necessità di adeguato sostegno, con particolare riferimento ai programmi di scambio come il programma Erasmus (che attualmente rappresenta appena lo 0,35 per cento del budget europeo, che a sua volta rappresenta circa l'1 per cento del prodotto interno lordo europeo). In terzo luogo, il differenziale tra le condizioni occupazionali per i giovani all'interno dell'Unione europea (dal 59,1 per cento della Grecia al 7,6 per cento di Austria e Germania) può alimentare le frizioni interne che mettono a repentaglio la tenuta e la solidità dell'Unione stessa;
    nel dicembre del 2012 la Commissione europea ha delineato, con il Youth employment package, una strategia volta a contrastare la disoccupazione giovanile e l'esclusione sociale attraverso una serie di misure dirette a promuovere l'offerta di lavoro, l'istruzione e la formazione, raccomandando l'impegno degli Stati membri a tradurre concretamente, per quanto di loro competenza, le indicazioni fornite;
    il Consiglio europeo ha successivamente stanziato 6 miliardi di euro, nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020, allo scopo di sostenere le misure in materia di occupazione giovanile proposte dalla Commissione europea nel dicembre 2012, con particolare riguardo al progetto denominato Youth guarantee;
    tale progetto, ispirato alle esperienze di alcuni Paesi (come Austria e Finlandia), è diretto a sostenere l'investimento nel capitale umano dei giovani fino ai 25 anni, al fine di conseguire gli obiettivi previsti dalla strategia «Europa 2020»: un tasso di occupazione del 75 per cento; il 40 per cento di laureati nella fascia tra 30 e 34 anni; un tasso di dispersione scolastica al di sotto del 10 per cento e la sottrazione alla povertà e all'esclusione sociale di 20 milioni di persone all'interno dell'Unione europea;
    le iniziative finora adottate richiedono, come prospettato dall'Unione europea, una forte mobilitazione degli Stati membri (i Governi dell'Unione europea si sono impegnati a istituire programmi nazionali di Youth guarantee sulla base del modello sociale comunitario) e delle parti sociali secondo una logica di partenariato attivo;
    come notato nel memo della Commissione europea «EU measures to takle youth unemployment» del 28 maggio 2013, il costo dell'adozione di queste misure è molto più basso del costo dell'inazione, per le condizioni economiche presenti e per i rischi conseguenti di esclusione, povertà e salute;
    il prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013 dovrebbe dedicare un'attenzione particolare a questo tema, anche a seguito delle sollecitazioni e delle iniziative adottate al riguardo da diversi Paesi, tra cui in particolare l'Italia,

impegna il Governo:

   a intervenire, in occasione del prossimo Consiglio europeo, per verificare la possibilità di stanziare ulteriori risorse nell'ambito del fondo sociale europeo per il finanziamento di progetti volti a contrastare in maniera efficace la disoccupazione giovanile attraverso l'offerta di lavoro stabile e regolare e a sostenere programmi di elevata qualità di istruzione e formazione per i giovani adeguati alle esigenze più avanzate del mercato del lavoro, verificando in questo contesto anche l'adeguata implementazione dei programmi per la mobilità, con particolare riferimento a Eures e al programma Erasmus for all, volto a supportare le opportunità di studio, formazione e volontariato all'estero per 4 milioni di europei dal 2014 al 2020, con un budget complessivo di 14,5 miliardi di euro (il doppio dei programmi attuali);
   a ottenere che la quota parte delle risorse spettante all'Italia nell'ambito dello stanziamento complessivo di 6 miliardi di euro per la Youth employment initiative possa essere impegnato nella massima misura possibile già nel 2014;
   a promuovere con urgenza le misure necessarie in materia di adattamento dei centri per l'impiego (attraverso cui, secondo alcune stime, attualmente trovano lavoro solo il 2,7 per cento dei giovani) per supportare al meglio le iniziative a favore dell'occupazione giovanile;
   a manifestare l'esigenza di un più stretto collegamento tra le politiche attive del lavoro e il circuito scuola-università-lavoro, utilizzando le sinergie nell'ambito del fondo sociale europeo per portare il livello di istruzione italiano all'altezza delle esigenze del sistema produttivo e per abbattere il «costo dell'ignoranza», ovvero il divario che impedisce all'Italia una piena partecipazione a una società europea della conoscenza, intervenendo, in particolare, sugli elementi essenziali per conseguire gli obiettivi europei della «strategia 2020» in merito al livello di laureati nella popolazione adulta e alla riduzione della dispersione scolastica, favorendo azioni mirate di sostegno al diritto allo studio e l'avvio di un piano nazionale per l'edilizia scolastica;
   a impegnarsi, nel contesto delle misure del pacchetto e di un generale orientamento sul capitale umano come base per crescita attraverso la creazione di un circuito virtuoso europeo tra formazione e impresa, a promuovere l'entrata in vigore entro l'estate 2013 dell'alleanza europea per l'apprendistato, volta a promuovere i programmi di apprendistato che hanno avuto maggior successo e a sviluppare curricula comuni per le professioni e adeguati sistemi di riconoscimento degli apprendistati effettuati all'estero;
   a valutare la possibilità di promuovere a livello europeo l'introduzione di misure premiali e/o sanzionatorie con riferimento all'impiego delle risorse utilizzabili allo scopo, per cui una quota dei fondi disponibili verrebbe assegnata ai Paesi che conseguono gli obiettivi stabiliti e la parte non utilizzata di risorse preassegnate sarebbe revocata se non utilizzata, in questo modo introducendo un meccanismo volto a responsabilizzare gli Stati membri ad impiegare rapidamente e in maniera efficace le risorse a disposizione;
   ad adottare sul piano nazionale tutte le iniziative necessarie per realizzare al più presto progressi concreti e apprezzabili in materia (con particolare riferimento alla possibilità della defiscalizzazione per le assunzioni dei giovani a tempo indeterminato da parte delle imprese), anche utilizzando quota parte delle risorse ancora disponibili e non impegnate relative alle politiche di coesione per il periodo 2007-2013, oltre che quelle previste per il periodo 2014-2020, come prospettato dal Consiglio europeo del 22 maggio 2013.
(1-00070)
(Nuova formulazione) «Ascani, Rostellato, Calabria, Tinagli, Scotto, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider, Speranza, Bonomo, Boschi, Bosco, Braga, Capozzolo, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Crimì, Culotta, Marco Di Maio, Donati, Fanucci, Fedriga, Gadda, Gregori, Gribaudo, Laforgia, Lattuca, Lotti, Madia, Moretto, Moscatt, Narduolo, Paris, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rampi, Scopelliti, Tentori, Ventricelli, Zardini, Manzi, Damiano, Rizzetto, Baldassarre, Ciprini, Pinna, Giammanco, D'Incecco, Cardinale, Costantino, Ricciatti, Dorina Bianchi, Antezza, Boccuzzi».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Boccuzzi n. 1-00099, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 34 del 17 giugno 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni, recante il codice delle assicurazioni private, stabilisce, all'articolo 138, la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni alla integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, nonché, all'articolo 139, la predisposizione, con la medesima procedura, di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psico-fisica comprese tra uno e nove punti di invalidità;
    finalità degli articoli 138 e 139 del citato decreto legislativo, e dei successivi provvedimenti attuativi, è pertanto la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa della responsabilità civile automobilistica, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità;
    il Ministro della salute ha istituito, il 26 maggio 2004, una commissione di studio, composta dai rappresentanti del medesimo Ministero, dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dello sviluppo economico, della giustizia, dell'Inail, dell'Ania, e da esperti in medicina legale, e successivamente integrata con rappresentanti delle associazioni familiari e vittime della strada e dell'osservatorio della Lega italiana dei diritti dell'uomo;
    i lavori della commissione di studio si sono conclusi con la redazione di uno schema di tabella, oggetto di una valutazione preliminare del Consiglio dei ministri, il 3 agosto 2011, e successivamente del parere della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, l'8 novembre 2011;
    il 7 giugno 2011, tuttavia, era intervenuta in materia la sentenza della Corte di cassazione n. 12408, la quale aveva stabilito che nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'articolo 1226 del codice civile, deve garantire non solo l'adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile ed iniquo che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché le relative controversie sono decise da differenti uffici giudiziari dall'affermazione del generale principio di uguaglianza, la Corte di cassazione aveva tratto la conclusione che, sempre in assenza dei criteri stabiliti dalla legge e in virtù dei suoi compiti di indicazione ai giudici di merito di criteri uniformi, i criteri per la liquidazione del danno alla persona fossero individuati nelle cosiddette «tabelle» di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso sul territorio nazionale;
    gli effetti distorsivi derivanti dalla differenziazione territoriale dei risarcimenti dei danni non patrimoniali sono stati rilevati anche nel citato parere del Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto che l'esigenza di porre rimedio a tali distorsioni «appare sicuramente condivisibile e coerente con le esigenze ordinamentali di parità di trattamento tra situazione analoghe, nonché in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali della Corte di cassazione», tra i quali viene ricordata proprio la sentenza della Corte di cassazione, sezione III, 7 giugno 2011, n. 12408;
    se lo schema di decreto del Presidente della Repubblica datato marzo 2013 ed avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psico-fisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 sembrerebbe, pertanto, risolvere in via definitiva il problema relativo all'adozione di criteri uniformi su tutto il territorio nazionale dei risarcimenti, dal confronto con le tabelle del tribunale di Milano emerge una riduzione dei valori risarcitori che ha suscitato molte proteste da parte delle associazioni delle vittime di sinistri stradali, che lo hanno considerato «fortemente lesivo della dignità umana e non rispondente alle esigenze di solidarietà consolatorie, riparatorie e satisfattive del danno da RC-auto»;
    va considerato che il danno alla persona è composto da due componenti: il danno patrimoniale, calcolabile oggettivamente, e il danno non patrimoniale, non calcolabile oggettivamente, ma attribuito «equamente» dai tribunali o dalle tabelle, a sua volta distinto tradizionalmente in danno biologico, ossia il valore della perdita della funzionalità biologica dovuta alla lesione, il danno morale, variabile da caso a caso, tra il 25 ed il 50 per cento del danno biologico, e il danno esistenziale, molto soggettivo e variabile;
    la tabella unica è difficilmente comparabile con le tabelle del tribunale di Milano, poiché queste regolamentano tutto il danno non patrimoniale, inglobando accanto al danno biologico anche il danno morale con riferimento a una liquidazione congiunta complessiva dei danni riconosciuti, mentre la tabella unica prevista nello schema di decreto del Presidente della Repubblica regolamenta il solo danno biologico «standard», ferma restando la necessità di determinazione aggiuntiva dell'eventuale danno morale, poiché, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private gli importi possono essere aumentati nella misura massima del 30 per cento per le macrolesioni e del 20 per cento per le lesioni lievi, quando la menomazione incida su aspetti dinamico relazionali della persona;
    indubbiamente, ragionare sulla congruità dell'ammontare dei risarcimenti è un esercizio difficile, perché attiene a un valore non monetizzabile, pertanto, lo scopo dell'emanando provvedimento dovrebbe essere esclusivamente quello di stabilire convenzionalmente criteri risarcitori certi e uniformi territorialmente, adeguati per le vittime e sostenibili relativamente alla spesa assicurativa;
    peraltro, esiste una evidente correlazione tra importo dei premi ed entità dei risarcimenti che, per quanto riguarda il settore della responsabilità civile automobilistica, presenta dati articolati e non sempre univoci; tuttavia sono molti i fattori che influenzano il livello dei premi, come rilevato dalle recenti conclusioni dell'indagine svolta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle procedure di risarcimento diretto e gli assetti concorrenziali del settore;
    tutto ciò rende evidente come sia indispensabile, per il Parlamento, promuovere un approfondimento, mediante un rapido e approfondito confronto sulla materia nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo sia con tutti gli altri soggetti coinvolti;
    questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza, che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti Commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400,

impegna il Governo

a sospendere l’iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psico-fisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 fino all'espletamento di un approfondito ma rapido confronto nelle Commissioni parlamentari competenti, così da tenere conto delle indicazioni che emergeranno in tali sedi, anche al fine di garantire l'adeguato contemperamento tra le esigenze di tutelare le vittime degli incidenti stradali e quelle di contenere i costi delle polizze della responsabilità civile automobilistica.
(1-00099)
(Nuova formulazione) «Boccuzzi, Causi, Verini, Martella, Fregolent, Gutgeld, Biffoni, Impegno, Lenzi, Pelillo, Sanga, Antezza».

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-00864, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 33 del 13 giugno 2013.

   PAGLIA, LAVAGNO e RAGOSTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto di sindacato ispettivo n. 500237 il 5 giugno 2013 l'interrogante chiedeva al Ministro interrogato di conoscere l'entità, in termini di andamento nel quinquennio, dei pignoramenti eseguiti da parte del sistema bancario e di Equitalia, del loro stato di esecuzione, della loro ripartizione rispetto all'ente esecutorio, rispetto al territorio, rispetto alla classe di valore del bene pignorato, nonché all'anno di inserimento a ruolo;
   nello stesso atto l'interrogante dimostrava preoccupazione per le dimensioni assunte dal suddetto fenomeno che ci consegna quasi quotidianamente casi drammatici di episodi consequenziali all'espropriazione della casa di abitazione ed al suo pignoramento, scenario che impone al Parlamento, nel quadro di una riforma organica del sistema tributario, di modificare le attuali regole della riscossione dei debiti fiscali e contributivi per adattarle alle reali condizioni dei nostri concittadini, anche con la previsione, per legge, della salvaguardia di un bene primario come quello della casa di abitazione non di lusso attraverso la dichiarazione d'impignorabilità;
   la risposta del Ministro interrogato, seppur tempestiva, ha fornito dati solo con riferimento alle azioni esecutive di Equitalia, lasciando totalmente inevasa la richiesta di dati riguardo ai pignoramenti effettuati dal sistema bancario;
   un rapporto elaborato da Adusbef e Federconsumatori, sulla base dei dati raccolti nei principali tribunali italiani, alla data del 30 settembre 2012 e proiettati al 31 dicembre, consegna un trend allarmante: se tra il 2008 e il 2011 i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 75 per cento; nello studio si stima che con il +22,8 per cento del 2012, il quinquennio si chiude con un dato praticamente raddoppiato. Ciò significa che nel solo 2012, oltre 45 mila famiglie, circa 8.500 in più rispetto al 2011, sono state costrette ad abbandonare la propria casa nell'impossibilità di reggere il pagamento delle rate del mutuo ed oltre 100 mila case sono finite all'asta –:
   quali siano i dati in possesso del Governo relativamente ai pignoramenti effettuati nell'ultimo quinquennio dal settore bancario con particolare riguardo al loro stato di esecuzione, alla loro ripartizione rispetto al territorio italiano, alla classe di valore del bene pignorato, nonché all'anno di inserimento a ruolo. (4-00864)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Iacono n. 2-00025 del 29 aprile 2013;
   interrogazione a risposta scritta Iacono n. 4-00374 del 7 maggio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Fedriga n. 5-00125 del 15 maggio 2013;
   interrogazione a risposta scritta Cirielli n. 4-00750 del 6 giugno 2013;

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta orale Binetti e Gigli n. 3-00047 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 15 del 14 maggio 2013. Alla pagina 1003, seconda colonna, dalla riga quarantunesima alla riga quarantaduesima deve leggersi: «coordinare le nuove reti, valorizzando adeguatamente coloro che sono già» e non «coordinare le nuove reti regionali, valorizzando adeguatamente coloro che sono già», come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Bianchi Nicola e altri n. 4-00717 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 29 del 5 giugno 2013. Alla pagina, 1738, seconda colonna, dalla riga tredicesima alla riga quattordicesima deve leggersi: «sul litorale dunale di Badesi (Olbia-Tempio) sono in corso ingenti lavori di» e non «sul litorale dunale di Badesi (Oristano) sono in corso ingenti lavori di», come stampato.