Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 12 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il cambiamento climatico rappresenta una delle maggiori sfide che l'umanità dovrà affrontare nei prossimi anni. L'aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai, la maggiore frequenza degli episodi di siccità e delle alluvioni sono tutti sintomi di un mutamento climatico ormai in atto. I rischi per il pianeta e per le generazioni future sono enormi, e obbligano ad intervenire con urgenza;
    l'Unione europea è impegnata in questo campo da molti anni, sia sul piano interno che a livello internazionale, e ha fatto della lotta al cambiamento climatico una delle priorità del suo programma di interventi, di cui è espressione la sua politica climatica;
    l'Unione ha definito nella lotta al cambiamento climatico due tipologie di azioni: azioni di mitigazione e azioni di adattamento. L'adattamento (ossia la riduzione ed il contenimento del rischio) e la mitigazione (ossia la riduzione delle emissioni di gas serra) sono azioni complementari e rappresentano gli interventi indispensabili per affrontare la questione del cambiamento climatico. Attraverso l'adattamento e la mitigazione si potranno affrontare gli obiettivi politici generali, quali Europa 2020 – una strategia per la crescita, e la transizione verso un'economia sostenibile, efficiente e rispettosa nell'uso delle risorse e del territorio e a basse emissioni di carbonio;
    dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1992, i Governi si sono concentrati prevalentemente su azioni finalizzate alla riduzione delle emissioni di gas serra (mitigazione). Negli ultimi anni però, a fronte di un aumento dei disastri ambientali, della frequenza e dell'intensità dei fenomeni climatici estremi, a fronte di un incremento dei danni subiti dai territori e dalle comunità, è aumentata anche la consapevolezza di come sia necessario rafforzare le iniziative per l'adattamento a livello globale, e di conseguenza nazionale, regionale e locale;
    in particolare, l'adattamento ai cambiamenti climatici prevede l'adozione di misure volte a contrastare gli effetti e le vulnerabilità, di oggi e di domani, del mutamento climatico, nel contesto di una società in continua trasformazione. Il concetto di adattamento non vuole quindi solo significare protezione contro gli impatti negativi, ma anche adeguamento flessibile al cambiamento e capacità di trarre vantaggio dai suoi possibili benefici. Più rapidamente si pianificheranno misure di adattamento, migliore sarà la nostra preparazione per affrontare le sfide ambientali future;
    tutti i Paesi dell'Unione europea, sono esposti ai cambiamenti climatici. Una nota della Unione europea afferma tuttavia che alcune regioni sono più esposte al rischio di altre. Il bacino del Mediterraneo, le zone montane, le pianure con grande densità di popolazione, le zone costiere e le regioni isolate sono particolarmente vulnerabili. Inoltre, i tre quarti dei cittadini europei vivono in zone urbane, che spesso non hanno mezzi adeguati per adattarsi ai fenomeni meteorologici estremi e sono esposte ad ondate di calore, ad alluvioni o all'innalzamento del livello del mare. Molti settori economici dipendono direttamente dalle condizioni climatiche e devono già fare fronte all'impatto dei cambiamenti climatici: l'agricoltura, la selvicoltura, il turismo balneare e invernale, la sanità e la pesca. Sono colpiti anche i principali servizi di pubblica utilità, come i fornitori di energia e acqua. Gli ecosistemi e le risorse da loro fornite subiscono gli impatti negativi dei cambiamenti climatici, cui consegue un declino accelerato della biodiversità e una capacità ridotta degli stessi ecosistemi di assorbire gli eventi naturali estremi;
    nella relazione SEE (spazio economico europeo) n. 12 del 2012 si stima che il costo minimo del mancato adattamento ai cambiamenti climatici per tutta l'Unione europea parta da 100 miliardi di euro nel 2020 per raggiungere 250 miliardi di euro nel 2050. Tra il 1980 e il 2011 le perdite economiche dirette nell'Unione europea in seguito ad alluvioni hanno superato i 90 miliardi di EUR. Secondo le previsioni il dato è in crescita: il costo annuo dei danni da alluvione fluviale dovrebbe raggiungere 20 miliardi di euro nel decennio 2020-2030 e 46 miliardi di euro entro il decennio 2050-2060. A fronte di ciò, si stima che ogni euro speso in prevenzione da rischio inondazioni consentirebbe di risparmiare sei euro di danni;
    lo scorso 16 aprile, la Commissione europea ha presentato la strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici, COM (2013) 216 final, introducendo così un quadro normativo mirato a rendere l'Unione europea sempre più pronta ad affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici, attraverso un sostegno agli Stati Membri, alle organizzazioni transnazionali e agli operatori locali, con adeguate azioni a livello centralizzato, lanciando una strategia di adattamento applicabile a tutta l'Unione europea nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità;
    la strategia di adattamento europea si basa sul Libro Bianco «L'adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d'azione europeo» (2009), che prevedeva l'adozione di una strategia europea entro il 2013, ed è il risultato del coinvolgimento degli stakeholder tramite consultazioni pubbliche;
    la Strategia si basa su tre principali obiettivi:
   a) promuovere e supportare l'azione da parte degli Stati Membri. Oggi sono quindici i Paesi europei che hanno adottato una strategia di adattamento. La Commissione incoraggerà tutti gli Stati Membri a muoversi su questo fronte e metterà a disposizione fondi per aiutarli a migliorare le loro capacità di adattamento. Sosterrà inoltre gli sforzi delle città in tal senso, invitandole a sottoscrivere un impegno su modello del patto dei sindaci;
   b) promuovere l'adattamento nei settori particolarmente vulnerabili, facendo sì che l'Europa possa contare su infrastrutture più resilienti e promuovendo l'uso delle assicurazioni per la tutela contro le catastrofi;
   c) assicurare processi decisionali informati, colmando le lacune nelle conoscenze in fatto di adattamento e dando maggiore impulso alla piattaforma europea sull'adattamento ai cambiamenti climatici (Climate-ADAPT);
    la Strategia è costituita da una serie di documenti: il documento principale è appunto la Comunicazione della Commissione Europea «An EU Strategy on adaptation to climate change», che specifica le azioni da intraprendere nelle tre aree prioritarie sintetizzate in precedenza. La Comunicazione è accompagnata da documenti che affrontano il tema dell'adattamento in specifici settori e aree politiche (migrazioni, aree marine e costiere, salute, infrastrutture, agricoltura, politiche di coesione e assicurazioni) e da linee guida per la preparazione delle strategie nazionali di adattamento;
    la strategia incoraggia gli Stati membri ad adottare la propria strategia nazionale. Ad oggi, come già detto, 15 Stati membri hanno già adottato la Strategia: tutti sono sostanzialmente nelle prime fasi (early stage) e si rivolgono principalmente ai settori relativi a risorse idriche, agricoltura e silvicoltura, biodiversità e salute umana. Ma, se al 2017 la diffusione e la qualità delle strategie nazionali verrà considerata insufficiente, si ricorrerà a strumenti di «legally binding», cioè di impegno vincolante. Tra i 12 Paesi mancanti c’è anche l'Italia, che dovrà quanto prima attrezzarsi con un piano di adattamento nazionale e con sistema di incentivazione per lo sviluppo di politiche locali volte a costruire sistemi urbani, territori e città più resilienti, anche al fine di agganciare i prossimi fondi comunitari messi a disposizione dalla Commissione europea nella programmazione dei fondi 2014-2020;
    l'Unione europea sosterrà finanziariamente l'adattamento tramite i seguenti strumenti finanziari:
   a) Bando LIFE+2014-2020 (800 milioni di euro) (Rif. EU Adaptation Strategies Action 2: Provide LIFE funding to support capacity building and step up adaptation action in Europe. (2013-2020));
   b) Fondi strutturali per la coesione Territoriale, la politica agricola comunitaria e per la Pesca (Rif. EU Adaptation Strategie Action 6: Facilitate the climate-proofing of the Common Agricultural Policy (CAP), the Cohesion Policy and the Common Fisheries Policy (CFP));
   c) Nuovi strumenti finanziari ed assicurativi per investimenti infrastrutturali resilienti (Rif. EU Adaptation Strategies Action 8: Promote insurance and other financial products for resilient investment and business decisions);
   d) Horizon 2020 per la Ricerca e lo sviluppo;
   e) EU-ETS: è permesso l'utilizzo dei ricavati dalle aste delle emissioni per finanziare interventi di adattamento;
    si richiederà quindi un ruolo attivo delle città e dei sindaci, e la capacità dei territori di saper collaborare attraverso forme sempre più spinte di partnership pubblico/private: sulla scia del successo del proprio progetto pilota «Adaptation strategies for European cities», la Commissione continuerà a promuovere le strategie di adattamento urbane sul modello dell'iniziativa del Patto dei sindaci, lanciata dalla Commissione europea dopo l'adozione del pacchetto europeo su clima ed energia nel 2008, per sostenere gli sforzi compiuti dagli enti locali nell'attuazione delle politiche nel campo dell'energia sostenibile. I governi locali, infatti, svolgono un ruolo decisivo nella mitigazione degli effetti conseguenti al cambiamento climatico, soprattutto se si considera che l'80 per cento dei consumi energetici e delle emissioni di CO2 è associato alle attività urbane;
    le azioni di adattamento, seguendo questo modello, apriranno nuove opportunità sui mercati e creeranno nuovi posti di lavoro in settori quali quelli delle tecnologie agricole, della gestione degli ecosistemi, dell'edilizia di qualità, della gestione delle acque e delle assicurazioni, in linea con la strategia Europa 2020; le imprese italiane, incluse le Pmi, hanno l'occasione di fare da apripista nello sviluppo di prodotti e servizi funzionali ad aumentare la resilienza al cambiamento climatico dei territori, delle città e delle comunità, consentendo al contempo di cogliere opportunità commerciali in tutto il mondo;
    le misure di adattamento che sono già state intraprese nel nostro Paese a diversi livelli istituzionali (prevenzione dei disastri naturali, gestione sostenibile delle risorse, tutela della salute, e altro) devono essere integrate in un unico approccio strategico che ne garantisca l'adozione tempestiva, l'efficacia e la coerenza, considerando che esse possono implicare importanti ristrutturazioni in alcuni settori socio-economici particolarmente esposti alle evoluzioni del clima;
    a questo scopo, e sulla scia di altri Paesi europei, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) ha avviato un processo per l'elaborazione della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Tale processo, che non può prescindere da un dialogo strutturato con le parti interessate, con le istituzioni e con la società civile, è stato preceduto da una consultazione pubblica sull'argomento e dall'elaborazione di un questionario sviluppato dal Mattm con la collaborazione del Centro euro-Mediterraneo per i cambiamenti climatici (CMCC);
    sul finire del 2012 sono state presentate in bozza al CIPE le «Linee strategiche per l'adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio», che costituiscono l'inizio di un percorso di confronto e approfondimento tra le amministrazioni interessate, volto a definire una strategia di adattamento condivisa. La delibera CIPE individua le linee di indirizzo per la redazione della Strategia nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici, incluse le azioni da intraprendere in via prioritaria per la sicurezza del territorio, unitamente al Rapporto preliminare sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità e adattamento ai cambiamenti climatici;
    le linee di indirizzo per la Strategia prevedono: – l'aggiornamento e la revisione delle norme urbanistiche in materia di usi del territorio; – il divieto di procedure di condono edilizio; – l'obbligo per gli enti pubblici e per i privati della manutenzione dei boschi e dei corsi d'acqua; – la concessione in uso ad imprese o cooperative di giovani di terreni abbandonati nelle zone vulnerabili; – un Fondo rotativo per il credito a basso tasso di interesse;
    si prevede inoltre di attuare la Strategia mediante Piani annuali d'intervento predisposti dal Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, d'intesa con i Ministeri delle politiche agricole alimentari e forestali, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, sulla base dei piani di assetto idrogeologico (PAI);
    la bozza di delibera Cipe in commento, datata novembre 2012, prevedeva che entro il 10 marzo 2013 il Ministero dell'ambiente, d'intesa con i soggetti coinvolti, presentasse al Cipe la Strategia nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici; tuttavia ad oggi la delibera non è mai stata posta in discussione al Cipe,

impegna il Governo:

   ad approvare in tempi brevi le «Linee Strategiche per l'adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio» presentate lo scorso dicembre 2012 al Cipe al fine di adottare, quanto prima, una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che, sulla scia di quanto già avvenuto in quindici paesi dell'Unione europea e in linea con la strategia delineata dalla Unione europea, costituisca la cornice giuridica per lo sviluppo di piani di adattamento locali;
    ad integrare la delibera Cipe sulle linee strategiche con gli obiettivi e i contenuti della comunicazione della Commissione UE COM(2013)216 «Strategia dell'Unione europea di adattamento ai cambiamenti climatici», in modo da rendere i settori chiave dell'economia e delle varie politiche, così come esposto in premessa, più resilienti agli effetti dei cambiamenti climatici;
   ad individuare gli ambiti di intervento prioritari e le procedure più idonee per intercettare le molteplici e rilevanti fonti di finanziamento europee messe a disposizione, per avviare il percorso di conversione ecologica dell'economia attraverso l'approccio innovativo rappresentato dalla Strategia europea;
   a sostenere le regioni nella piena attuazione delle indirizzi definiti dalla Commissione europea per l'allocazione dei fondi strutturali 2014-2020, affinché siano pienamente recepite nei Programmi operativi regionali le aree tematiche numero 4 «Sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio» e numero 5 «Promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, prevenzione e la gestione dei rischi»;
   a promuovere l'identificazione di meccanismi premianti per le città che abbiano approvato il Piano d'azione per le energie sostenibili ed approvato un piano d'adattamento ai cambiamenti climatici, intervenendo sul patto di stabilità e consentendo quindi di liberare risorse utili all'attuazione delle azioni identificate nei piani.
(1-00093) «Lodolini, Speranza, Borghi, Mosca, Realacci, Gozi».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    la maggior parte delle infrastrutture militari presenti sul territorio nazionale è concentrata nelle regioni del centro, del nord e del nord-est del nostro Paese. Tale dislocazione trovava la sua ragion d'essere nella necessità, avvertita nel corso del novecento e acuitasi dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nel quadro geopolitico della contrapposizione tra due blocchi, di dare vita a un sistema di difesa nazionale basato sulla dislocazione di forze consistenti sulla cosiddetta «soglia di Gorizia»;
    con la fine della guerra fredda, la caduta del muro di Berlino, l'unificazione della Germania e l'ingresso nell'Unione europea di nazioni già appartenenti all'Europa dell'est, nonché l'allargamento dell'organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) a Paesi facenti parte dell'ex patto di Varsavia, la dislocazione delle nostre infrastrutture militari deve adeguarsi alle nuove esigenze derivanti dal mutato scenario politico-militare;
    questa necessità è stata riconosciuta con l'approvazione della legge 31 dicembre 2012, n. 244, recante «Norme di delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale». Infatti, i princìpi di delega contenuti all'articolo 2 della legge prevedono una razionalizzazione delle strutture operative, logistiche, formative, territoriali e periferiche che costituiscono l'assetto infrastrutturale delle Forze armate al fine di ottimizzarne gli obiettivi funzionali;
    un altro motivo fondamentale per prevedere una diversa dislocazione delle infrastrutture militari risiede nel fatto che, in seguito al passaggio da un esercito di leva a un esercito professionale (decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215, recante disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale): ha reso le strutture esistenti non più adatte ad accogliere e a soddisfare le esigenze dei nuovi «professionisti». Valga per tutte la evidente inadeguatezza delle camerate pluriletto nelle quali venivano accasermati i soldati di leva per pochi mesi e la presenza delle donne;
    l'obiettivo di realizzare una più equilibrata distribuzione degli enti e dei reparti delle Forze armate sul territorio nazionale deve realizzarsi riducendone la presenza, laddove può ormai, per ragioni superate dalla storia, considerarsi eccessiva;
    in questo quadro la regione Molise può sicuramente assumere l'onere di ospitare nel proprio territorio una significativa presenza delle nostre Forze armate. È del tutto evidente che un tale progetto deve farsi carico della necessità di realizzare infrastrutture adeguate alle esigenze di un Esercito professionale;
    accanto alla tradizionale «caserma» dovranno sorgere le unità abitative di edilizia economica e popolare da assegnare prioritariamente al personale militare e alle realtà civili che costituiscono il naturale indotto di ogni insediamento militare,

impegna il Governo

ad assumere ogni utile iniziative, con ogni possibile urgenza, che consenta la dislocazione sul territorio molisano di enti o reparti delle Forze armate.
(7-00035) «Leva, Scanu, Carlo Galli, Lattuca, Stumpo, Venittelli, Villecco Calipari, Valeria Valente».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    l'acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale, indivisibile, che si può annoverare fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione;
    con la promulgazione della Carta europea dell'acqua (Strasburgo 1968) la concezione dell'acqua come «bene comune» per eccellenza si è progressivamente affermata a livello mondiale;
    il bene acqua, pur essendo rinnovabile, per effetto dell'azione antropica può esaurirsi o, comunque, ridursi in modo da comprometterne l'accesso all'intera popolazione mondiale; è quindi responsabilità individuale e collettiva prendersi cura di tale bene, utilizzarlo con saggezza, e conservarlo affinché sia accessibile a tutti e disponibile per le future generazioni;
    la risoluzione del Parlamento europeo dell'11 marzo 2004 sulla strategia per il mercato interno afferma che, «essendo l'acqua un bene comune dell'umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle forme del mercato interno»;
    ancora il Parlamento europeo, con la risoluzione del 15 marzo 2006 sul IV Forum mondiale dell'acqua, ha dichiarato che «l'acqua è un bene comune dell'umanità» e ha chiesto che siano esplicati tutti gli sforzi necessari a garantire l'accesso all'acqua alle popolazioni più povere entro il 2015, insistendo affinché «La gestione delle risorse idriche si basi su un'impostazione partecipativa e integrata, che coinvolga gli utenti ed i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in modo democratico»;
    l'ONU, con la risoluzione dell'Assemblea generale del 28 luglio 2010 (GA/10967), ha dichiarato il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale; la risoluzione sottolinea ripetutamente che l'acqua potabile e per uso igienico, oltre ad essere un diritto di ogni uomo, concerne la dignità della persona, è essenziale al pieno godimento della vita, ed è fondamentale per tutti gli altri diritti umani; la medesima risoluzione raccomanda gli Stati ad attuare iniziative per garantire a tutti un'acqua potabile di qualità, accessibile, a prezzi economici; l'importante atto è stato approvato dall'Assemblea generale con 122 voti favorevoli – compresa l'Italia – 41 astensioni e nessun contrario:
    sono circa 2,61 miliardi i metri cubi di acqua che, annualmente, il sistema idrico italiano disperde a causa dei mancati investimenti relativi al miglioramento delle reti di distribuzione;
    l'inquietante dato è confermato dal Co.N.Vi.Ri., (Commissione nazionale per la vigilanza delle risorse idriche), e, ovviamente, rappresenta anche un'immediata, e diretta, perdita economica; le società di gestione degli acquedotti, infatti, spendono risorse per fornire l'energia elettrica e i servizi al fine di immettere l'acqua nelle condutture; un'attività che, secondo Federutility, equivale al 10 per cento dei costi industriali sostenuti per ogni metro cubo d'acqua; questi costi in Italia ammontano mediamente a 0,87 euro; in pratica i 2,61 miliardi di metri cubi di acqua perduta significano circa 226 milioni di euro sprecati ogni anno;
   l'Italia, peraltro, vanta il non invidiabile primato di una media percentuale delle perdite ben superiore a quella degli aliti Paesi occidentali; nel nostro Paese, in media, il 30 per cento delle acque immesse nelle condutture va perso o viene indebitamente sottratto; un valore ben superiore a quello degli altri. Paesi europei, dove la percentuale è compresa tra il 15 e il 20 per cento;
    secondo il rapporto sullo stato dei servizi idrici 2011, stilato dal Co.N.Vi.Ri., oggi l'Italia presenta le seguenti criticità:
   «è effettivamente ancora non sufficiente la copertura dei servizio di depurazione, ed ancora molto elevato il deficit fra utenti allacciati alla fognatura e utenti allacciati al depuratore, decisamente più accentuato al Sud e Isole;
   si evidenzia la presenza di una larga prevalenza di fognature miste e della mancanza di una normativa tecnica nazionale specifica sugli scaricatori di piena delle stesse che comporta il rinvenimento in ambiente di scarichi non depurati, aumentando naturalmente la percezione di mancata funzionalità o assenza degli impianti;
   a fronte di un parco impianti non particolarmente vetusto e sostanzialmente sviluppato verso una opportuna centralizzazione spinta (frutto degli ingenti sforzi finanziari pubblici degli ultimi anni), emerge in ampie zone d'Italia una forte carenza gestionale, testimonianza della mancanza di una specifica e adeguata cultura nella conduzione degli impianti; tale carenza rende vani i notevoli sforzi di finanza pubblica per la realizzazione degli impianti soprattutto nelle regioni del meridione italiano e delle Isole.
  Emerge, inoltre, in modo rilevante, come molta parte delle criticità percepite possa essere ricondotta direttamente a carenze di carattere gestionale; infatti sia nel rapporto con l'utenza, che nella garanzia di qualità delle acque distribuite, ma anche nelle perdite e nella efficacia ed efficienza della depurazione, rivestono un ruolo importante le pratiche gestionali che spesso emergono come poco adeguate e professionali.
  L'analisi dei dati dipinge una situazione complessiva di scarsa cultura della gestione che accentua le problematiche connesse sicuramente anche a deficit impiantistici che richiedono l'impegno di rilevanti risorse.
  Tale condizione, piuttosto diffusa nella cultura italiana, non appare affrontata sufficientemente neanche dalla normativa vigente: a parte generali e generici piani di gestione, difficilmente la normativa entra in maniera cogente nel merito della misura della qualità della gestione ed in atteggiamenti incentivanti le buone pratiche»;
    la diffusa convinzione della presunta liberalizzazione del settore dei servizi pubblici locali ed il conseguente obbligo, anch'esso presunto, per gli enti locali, di ricorrere esclusivamente alla messa a gara dei servizi quale unica forma possibile di gestione degli stessi, rischia di influenzare impropriamente le scelte degli enti locali, sulla base di non meglio precisati obblighi in tal senso che sarebbero stati introdotti dalla normativa comunitaria;
    fermo restando che il principio della concorrenza è da considerarsi uno dei principi ispiratori del diritto comunitario – come afferma l'articolo 3, lettera g), del trattato CE, che prevede la necessità di realizzare un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno – sembra tuttavia necessario sottolineare la presenza di altri principi, nell'ordinamento comunitario, che hanno la stessa rilevanza del principio di concorrenza e che sono da porre sullo stesso piano, senza gerarchie o priorità:
   a) articolo 16 del Trattato UE: «Fatti salvi gli articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti»;
   b) articolo 86 del Trattato UE: «Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata»;
    la missione affidata ai servizi pubblici locali è quella di promuovere la coesione sociale, territoriale ed economica della comunità europea, non certo quella di costituire una sorta di volano per la sviluppo della concorrenza;
    per questi motivi (anche per l'esplicito utilizzo del termine «limiti») possono giustificarsi delle ragionevoli limitazioni della concorrenza, in vista della realizzazione di interessi pubblici di portata essenziale; ciò, in particolare, secondo la Corte di giustizia europea, è legittimo nella misura in cui si rendano necessarie misure per garantire l'adempimento della specifica funzione attribuita alle imprese titolari dei diritti esclusivi;
    inoltre, nell'interpretazione dell'articolo 86 del Trattato fornita dalla stessa Commissione europea nel libro bianco sui servizi di interesse generale, del 12 maggio 2004 n. COM (2004) 374, si legge che «... in base al Trattato CE e in presenza delle condizioni di cui all'articolo 86, paragrafo 2, l'effettiva prestazione di un compito di interesse generale prevale, in caso di controversia, sull'applicazione delle norme del trattato. Pertanto, la normativa tutela i compiti piuttosto che le loro modalità di esecuzione, il trattato consente quindi di conciliare il perseguimento e la realizzazione degli obiettivi di politica pubblica con gli obiettivi di competitività dell'Unione europea nel suo insieme»; la Commissione, commentando la propria proposta di direttiva sui servizi di interesse generale, afferma inoltre che: «Un aspetto ancora più importante risiede nel fatto che la proposta non impone agli Stati membri di aprire i servizi di interesse economico generale alla concorrenza e non interferisce sulle modalità di finanziamento o di organizzazione»;
    più di recente, la Commissione, nella comunicazione interpretativa sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati, del 5 febbraio 2008, n. C (2007) 6661, ribadisce nuovamente che «nel diritto comunitario, le autorità pubbliche sono infatti libere di esercitare in proprio un'attività economica o di affidarla a terzi, ad esempio ad entità a capitale misto costituite nell'ambito di un partenariato pubblico-privato»;
    la stessa Commissione europea, notoriamente attenta ad impedire potenziali violazioni del principio di libera concorrenza, sembra comunque dar conto della cedevolezza del detto principio concorrenziale di fronte a quello di libertà di autorganizzazione degli Stati membri e delle loro articolazioni interne;
    l'articolo 5 del Trattato prevede il principio di auto-organizzazione amministrativa che trova il suo fondamento nel più generale principio di autonomia istituzionale; questo comporta almeno due conseguenze:
   a) la definizione stessa di servizi di interesse generale e di servizi economici di interesse generale compete agli Stati membri e alle loro «suddivisioni costituzionalmente riconosciute»: nel caso italiano, quindi, le autonomie locali;
   b) il diritto, per gli Stati membri e le istituzioni locali di ricorrere alla autoproduzione dei servizi;
    nella «Risoluzione sui Libro verde sui servizi di interesse generale (COM (2003) 270 – 2003/2152(INI))» del 14 gennaio 2004, il Parlamento europeo: «18, ribadisce l'importanza fondamentale del principio di sussidiarietà, a norma del quale le autorità competenti degli Stati membri possono operare la loro scelta in materia di missioni, organizzazione e modalità di finanziamento dei servizi di interesse generale e dei servizi di interesse economico generale; sottolinea che una direttiva non può stabilire una definizione europea uniforme dei servizi di interesse generale, poiché la loro definizione e strutturazione deve restare di competenza esclusiva degli Stati membri e delle loro suddivisioni costituzionalmente riconosciute; 35 auspica che, in ossequio al principio di sussidiarietà, venga riconosciuto il diritto degli enti locali e regionali di “auto produrre” in modo autonomo servizi di interesse generale a condizione che l'operatore addetto alla gestione diretta non eserciti una concorrenza al di fuori del territorio interessato; chiede, conformemente alla sua posizione sulle direttive concernenti i contratti di servizio pubblico, che le autorità locali vengano autorizzate ad affidare i servizi a entità esterne senza procedure d'appalto qualora la loro supervisione sia analoga a quella esercitata da esse sui propri servizi e qualora svolgano le loro principali attività mediante tale mezzo»;
    il 12 e 13 giugno 2011 si è tenuta una consultazione referendaria avente ad oggetto: 1) l'abrogazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 recante «Servizi pubblici di rilevanza economica»; 2) l'abrogazione dell'articolo 154, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (di seguito, «codice dell'ambiente»), rubricato «Tariffa del servizio idrico integrato», relativamente alla parte in cui prevedeva che i proventi ricavati dal sistema tariffario del servizio idrico integrato avrebbero dovuto remunerare in maniera «adeguata» anche il capitale investito dal gestore per la realizzazione e la manutenzione straordinaria delle infrastrutture funzionali all'erogazione di tale servizio;
    tale referendum si è concluso con una netta vittoria del «sì» a seguito della quale si è aperto un ampio dibattito giuridico e politico circa le conseguenze che da tale risultato sarebbero derivate, in primo luogo, sull'ammissibilità o comunque sulla validità ed efficacia degli affidamenti dei servizi pubblici locali a soggetti terzi, rilasciati in base alla normativa previgente-considerato che, come testualmente affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 26 gennaio 2011, n. 24, «(...) all'abrogazione dell'articolo 23-bis (...) conseguirebbe l'applicazione immediata nell'ordinamento italiano della normativa comunitaria relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (...)» – e, in secondo luogo, su un'altra tematica fondamentale oggetto dei quesiti referendari: quella relativa all'ammontare della tariffa del servizio idrico integrato;
    dal documento dal Forum italiano dei movimenti dell'acqua «Per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato dopo il referendum» è possibile evincere il contesto legislativo successivo al referendum:
   «Il 13 agosto 2011 il Governo ha approvato il decreto-legge n. 138 del 2011 (cd. decreto di Ferragosto) convertito con modificazioni dalla legge n. 148 del 2011, il cui articolo 4 era rubricato «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea». Tramite tale articolo sostanzialmente veniva, riproposta la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta nell'articolo 23-bis abrogata con i referendum del 12-13 giugno 2011 pur escludendo il servizio idrico. Va inoltre ricordato che l'articolo 4 aveva subito numerose modifiche, in particolare per effetto dell'articolo 9, comma 2, lettera n) legge n. 183 del 2011 (cd. legge di stabilità 2012) e dell'articolo 25 decreto-legge n. 1 del 2012 convertito con modificazioni dall'articolo 1, comma 1, legge n. 27 del 2012, nonché dell'articolo 53, comma 1, lettera b), decreto-legge, n. 83 del 2012, in fase di conversione. Le modifiche sopravvenute avevano limitato ulteriormente le ipotesi di affidamento dei servizi pubblici locali comprimendo ancor di più le sfere di competenza regionale in materia di SPL di rilevanza economica. Pertanto diverse Regioni, sin dall'autunno scorso, hanno promosso ricorsi difronte alla Corte costituzionale chiedendo di definirne l'illegittimità costituzionale. Il 20 luglio u.s. la Corte ha depositato la sentenza n. 199 del 2012 relativa a tali ricorsi dichiarando incostituzionale l'articolo 4 e le successive modifiche per palese violazione dell'articolo 75 della Costituzione con il quale si disciplina l'istituto referendario. La Consulta ha riconosciuto che “l'impugnato articolo 4, il quale nonostante sia intitolato ‘Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea’, detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell'abrogato articolo 23-bis”. [...] Poi prosegue ai punto 5.2.2 del considerato in diritto “La disposizione impugnata viola, quindi, il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall'articolo 75 Cost., secondo quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale”. Pertanto, a seguito di tale sentenza si può sostenere che a livello normativo in materia di gestione dei servizi pubblici locali le lancette dell'orologio siano tornate indietro al 21 luglio scorso quando sono entrati in vigore i decreti del Presidente della Repubblica n. 113 e n. 116 i quali hanno formalmente abrogato le norme oggetto dei referendum. Dunque ad oggi per chiarire il quadro normativo sui SPL (in particolare servizio idrico integrato, gestione dei rifiuti e trasporto pubblico locale) è opportuno richiamare quanto la Corte costituzionale ha sancito nella sentenza di ammissibilità dei 1o quesito (Sentenza n. 24 del 2011 relativa al referendum n. 149 «Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione»): «Nel caso in esame, all'abrogazione dell'articolo 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte – sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall'altro, conseguirebbe l'applicazione immediata nell'ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica». [...] «appare evidente che l'obiettiva ratio del quesito n. 1 va ravvisata, come sopra rilevato, nell'intento di escludere l'applicazione delle norme, contenute nell'articolo 23-bis, che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico). «In conclusione per i suddetti servizi pubblici locali la legislazione vigente è quella comunitaria, mentre per gli altri, ossia quelli esclusi dall'articolo 23-bis vale la disciplina di settore mai toccata dal referendum»;
    a seguito della già citata sentenza n. 199 del 2012, della Corte costituzionale è possibile sostenere un'interpretazione della complessa normativa di risulta, in base alla quale sarebbero escluse dal patto di stabilità interno le società in house nonché le aziende speciali affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali; quest'interpretazione si fonda sul seguente ragionamento: l'articolo 4 prevedeva l'assoggettamento al patto di stabilità interno delle società cosiddette «in house», la dichiarazione d'illegittimità di tale articolo ne fa dunque decadere gli effetti anche in questo ambito; analogamente, le aziende speciali erano state assoggettate al patto di stabilità interno sulla base dell'articolo 25, comma 2, lettera a) decreto-legge n. 1 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2012, ma la disposizione inerente al principio relativo all'assoggettamento al patto di stabilità è stata annullata dalla citata sentenza n. 199 e, quindi, anche la sua reiterazione in altra sede normativa è da ritenersi illegittima, per invalidità derivata;
    inoltre la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 325 del 2010, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 23-bis, comma 10, lettera a) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, limitatamente alla parte in cui si dava mandato al Governo di prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno; la questione è stata ritenuta, fondata, in quanto l'ambito di applicazione del patto di stabilità interno non attiene alla materia di competenza legislativa esclusiva statale; di conseguenza, anche alla luce di tale sentenza, il patto di stabilità non si applicherebbe a società in house ed aziende speciali affidatarie dirette di servizi pubblici locali, nonostante l'articolo 25 del decreto liberalizzazioni del Governo Monti disponga che le aziende speciali (e anche le spa a totale capitale pubblico) dal 2013 debbano essere sottoposte al patto di stabilità interno, con un decreto ministeriale da mettere a punto entro l'ottobre del 2013;
    in merito alle conseguenze del patto di stabilità interno sulle scelte delle amministrazioni locali appaiono opportune alcune considerazioni ulteriori: il patto di stabilità interno è stato il principale responsabile delle politiche restrittive cui sono andati incontro i comuni e gli enti locali in questi anni; in particolare, la conseguenza più rilevante dell'intervento del patto di stabilità è stata quella di ritardare e diminuire di molto gli investimenti; con la nuova versione del patto stesso, a partire dal 2012, si prevede anche un ridimensionamento della spesa corrente, e, quindi, anche della spesa sociale; secondo uno studio di IFEL (Fondazione dell'ANCI) sulla situazione finanziaria dei Comuni, nel triennio 2008-2010 il saldo finanziario medio nazionale dei comuni è stato di 26,5 euro pro capite e ciò è stato realizzato attraverso la concomitante riduzione delle entrate e delle spese complessive, con le prime che si sono ridotte di oltre 12,5 euro e le seconde che hanno subito una contrazione decisamente più marcata, di poco superiore ai 39 euro pro capite; quest'ultimo risultato, peraltro, deriva da una crescita delle spese correnti di quasi 39 euro e da una riduzione delle spese in conto capitale di 78 euro; detto in altri termini, in questi ultimi anni i comuni hanno sostanzialmente bloccato gli investimenti e ritardato i pagamenti degli stessi e, d'ora in avanti, come già detto, sorte analoga toccherà alla spesa corrente; il mancato rispetto del patto comporta inoltre conseguenze pesanti: limitazione delle spese di parte corrente, divieto di ricorrere all'indebitamento per finanziare gli investimenti, divieto assoluto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo; è evidente che sottoporre le aziende speciali al patto di stabilità significa, in primo luogo, estendere anche ad esse ciò che si è verificato per gli enti locali, ossia la creazione di una condizione per cui esse non saranno più in condizioni di effettuare investimenti, col rischio che, attraverso questo indebolimento strutturale ed economico delle aziende, si apra la porta in modo surrettizio ai processi di privatizzazione;
    per quanto riguarda le tematiche relative al secondo quesito referendario l'articolo 21, commi 13 e 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, il cosiddetto «salva Italia», ha trasferito all'Autorità per l'energia elettrica il gas «le funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici» con i medesimi poteri attribuiti dalla legge n. 481 del 1995, che prescrive che essa debba perseguire, nello svolgimento delle proprie funzioni, «la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza (...) nonché adeguati livelli di qualità nei servizi (...) assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela di utenti e consumatori»;
   il Dpcm 20 luglio 2012 in attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ribadisce e specifica all'articolo 2, comma 1, le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici, trasferite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (Aeeg), tra le quali assume un particolare rilievo come finalità la «tutela dei diritti e degli interessi degli utenti»;
    l'articolo 2, comma 1, del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 precisa inoltre che «le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici trasferite dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas sono da essa esercitate con i poteri e nel quadro dei principi, delle finalità e delle attribuzioni stabiliti dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e valutazione, nei rispetto degli indirizzi di politica generale formulati dal Parlamento e dal Governo»;
   il Consiglio di Stato, investito dall'Autorità, ha emesso parere il 23 ottobre 2012, col quale si prevede, anche in seguito all'esito referendario, l'abolizione della remunerazione del capitale investito calcolato in bolletta e si invita l'Autorità per l'energia elettrica e il gas a disporre che le società di gestione dell'acqua pubblica ricalcolino le tariffe, restituendo quanto indebitamente incassato in più a partire dalla data del 21 luglio 2011 fino alla data del 31 dicembre 2011;
    l'Autorità, con delibera n. 38 del 31 gennaio 2013, in ottemperanza al parere del Consiglio di Stato, ha avviato il procedimento per la restituzione, agli utenti finali, della componente tariffaria del servizio idrico integrato, relativa alla remunerazione del capitale, indebitamente versata da ciascun utente, in relazione al periodo 21 luglio 2011-31 dicembre 2011;
    l'Autorità, in precedenza, in attuazione dell'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, con delibera n. 585 del 28 dicembre 2012, aveva fissato i criteri per l'adozione di una tariffa transitoria, nelle more dell'adozione di un nuovo metodo tariffario a regime;
    il metodo tariffario transitorio trova applicazione per gli anni 2012-2013, configurandosi il 2012 come la prima annualità successiva al trasferimento della potestà tariffaria all'Autorità, in particolare dal 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, rendendo in tal modo retroattiva di un anno l'introduzione della tariffa provvisoria;
    all'articolo 4 della delibera n. 585 del 28 dicembre 2012, tra le componenti di costo del servizio idrico integrato, sulle quali viene definita la nuova tariffa provvisoria, sono previsti alla lettera a) «i costi delle immobilizzazioni, intesi come la somma degli oneri finanziari, degli oneri fiscali e delle quote di restituzione dell'investimento» e alla lettera d) l’«eventuale componente di anticipazione per il finanziamento dei nuovi investimenti», oltre ai «costi operativi endogeni e di efficientamento», lettera b), i «costi operativi esogeni» lettera c). A questi costi viene poi aggiunto l'aumento automatico al tasso di inflazione;
    in particolare, il riconoscimento dei cosiddetti oneri finanziari e fiscali avviene con un meccanismo di calcolo che è sostanzialmente la riproposizione della precedente remunerazione del capitale investito, abrogata con il referendum del giugno 2011 e, quindi, si configura a giudizio dei firmatari del presente atto come un'aperta violazione del suo esito,

impegna il Governo:

   a promuovere l'approvazione di una normativa tesa a considerare l'acqua un diritto inviolabile alla stregua di quanto stabilito dall'articolo 2 della Costituzione, riconoscendole la peculiarità di «bene comune» e di diritto umano universale non assoggettabile a meccanismi di mercato;
   ad affermare la proprietà e la gestione pubblica del servizio idrico, il cui esercizio dovrà essere ispirato a criteri di equità, solidarietà e rispetto degli equilibri ecologici;
   ad attuare l'esito referendario, seguendo le indicazioni della proposta di legge di iniziativa popolare «Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizione per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato», depositata dal Forum italiano dei movimenti dell'acqua nel 2007 relativamente alla ripubblicizzazione del servizio idrico integrato come unica soluzione possibile per dare piena attuazione ai referendum del 2011;
   ad assumere iniziative normative per riportare, nell'ambito delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la fissazione dei criteri e del metodo tariffario relativo al servizio idrico, togliendole quindi all'autorità per l'energia elettrica e il gas;
   ad assumere le iniziative di competenza per costruire un nuovo metodo tariffario che recepisca integralmente l'esito del referendum popolare del 12-13 giugno 2011, con particolare riferimento all'eliminazione dalla tariffa di qualsiasi voce di costo riconducibile alla remunerazione del capitale investito e al rimborso ai cittadini delle quote indebitamente percepite;
   a promuovere tutti gli interventi necessari per l'immediata e duratura soluzione della grave contaminazione delle acque potabili di molti comuni italiani, in particolare a causa della concentrazione di arsenico, floruri e vanadio;
   a programmare investimenti pubblici volti a favorire i processi di ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, investimenti pubblici che dovranno essere posti come alternativa escludente della remunerazione del capitale dalle tariffe come richiesto dal secondo quesito referendario, in modo da impedire che con i fondi pubblici vengano realizzati gli investimenti fondamentali e che la remunerazione finisca nelle casse dei gestori privati;
   ad assumere iniziative per riformulare la normativa di settore, al fine di: ripubblicizzare la gestione del servizio idrico e garantire la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori; premiare l'efficienza dei gestori del servizio idrico e a colpire l'inefficienza; prevedere, con legge quadro, la fissazione di nuovi e più adeguati canoni di derivazione per il prelevamento dell'acqua pubblica; garantire la riduzione, fino al completo azzeramento in tempi congrui, degli sprechi nel trasporto dell'acqua potabile; adeguare agli standard europei i sistemi di depurazione e gli impianti di potabilizzazione;
   ad assumere iniziative per garantire maggiore libertà di scelta agli enti locali ai fini della realizzazione degli obiettivi citati in premessa e nella fissazione di politiche di entrate e di spesa anche intervenendo sul patto di stabilità ed escludendo le aziende speciali e le spa a totale capitale pubblico;
   ad individuare strumenti e risorse con l'obiettivo di finanziare, in modo agevolato, gli investimenti nei servizi pubblici essenziali.
(7-00036) «Daga, Zaratti, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pellegrino, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini, Zan, Zolezzi».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    l'acqua è un bene finito, indispensabile all'esistenza di tutti gli esseri viventi. Tutte le acque superficiali e sotterranee costituiscono una risorsa che va conservata ed utilizzata salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici;
    con decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, successivamente modificato dal decreto legislativo n. 258 del 2000, il Governo italiano ha attuato la delega conferitagli dalla legge del 22 febbraio del 1994 per il recepimento della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa all'inquinamento derivante dall'uso dei nitrati in agricoltura, emanando disposizioni vigenti attinenti la qualità delle acque e fornendo un corpus unitario per la tutela e la prevenzione dall'inquinamento idrico;
    con successivo decreto legislativo n. 152 del 2006 è stata recepita nell'ordinamento nazionale la direttiva europea 2000/60/CE (Water Framework Directive, WFD) che istituisce un quadro di riferimento per l'azione comunitaria in materia di acque ai fini della tutela e gestione delle risorse idriche, quali le acque interne superficiali e sotterranee, le acque di transizione e costiere;
    l'attuazione delle direttive impegna gli Stati membri a perseguire gli obiettivi per prevenire e ridurre l'inquinamento, risanare e migliorare lo stato delle acque, proteggere le acque destinate ad usi particolari, garantire gli usi sostenibili delle risorse e mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, in modo da raggiungere entro il 2015 un buono stato ambientale per tutte le diverse tipologie di acque, fiumi, laghi, acque marino-costiere, acque di transizione, corpi idrici artificiali e acque sotterranee;
    la direttiva 91/271 dispone che:
     a) gli Stati membri provvedono affinché gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti (AE) compreso fra 2.000 e 15.000 devono dotarsi di reti fognarie per le acque reflue urbane entro il 31 dicembre 2005, mentre per gli agglomerati con più di 15.000 AE il termine è fissato al 31 dicembre 2000;
     b) per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15.000 abitanti, le acque reflue urbane sono sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario (che avviene mediante un processo che in genere comporta un trattamento biologico con sedimentazioni secondarie);
     c) la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali;
     d) la progettazione degli impianti deve tenere conto inoltre delle variazioni stagionali di carico e deve lasciare la possibilità di prelevare campioni rappresentativi sia delle acque reflue in arrivo sia dei liquami trattati, prima del loro scarico nelle acque recipienti (12 è il numero minimo annuo dei campioni da raccogliere nel corso dell'anno);
    con sentenza 19 luglio 2012, causa C-565/10 (Commissione/Repubblica italiana), la Corte di giustizia europea, dando ragione alla Commissione europea che nel 2009 ha avviato una procedura d'infrazione contro l'Italia per il mancato rispetto delle norme dell'Ue e ha stabilito che l'Italia ha violato le norme comunitarie sulla raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue urbane omettendo di prendere le disposizioni necessarie:
     per garantire che siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane nei seguenti agglomerati: Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Bianco, Castrovillari, Crotone, Santa Maria del Cedro, Lamezia Terme, Mesoraca, Montebello Ionico, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rende, Rossano, Scalea, Sellia Marina, Soverato, Strongoli (Calabria), Cervignano del Friuli (Friuli-Venezia Giulia), Frascati (Lazio), Porto Cesareo, Supersano, Taviano (Puglia), Misterbianco e altri, Aci Catena, Adrano, Catania e altri, Giarre-Mascali-Riposto e altri, Caltagirone, Aci Castello, Acireale e altri, Belpasso, Gravina di Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Agrigento e periferia, Porto Empedocle, Sciacca, Cefalù, Carini e ASI Palermo, Palermo e frazioni limitrofe, Santa Flavia, Augusta, Priolo Gargallo, Carlentini, Scoglitti, Marsala, Messina 1, Messina e Messina 6 (Sicilia);
     per garantire che nei seguenti agglomerati le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte al trattamento: Lanciano-Castel Frentano (Abruzzo), Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Castrovillari, Crotone, Montebello Ionico, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rossano (Calabria), Battipaglia, Benevento, Capaccio, Capri, Ischia, Casamicciola Terme, Forio, Massa Lubrense, Napoli Est, Vico Equense (Campania), Trieste-Muggia-San Dorligo (Friuli-Venezia Giulia), Albenga, Borghetto Santo Spirito, Finale Ligure, Imperia, Santa Margherita Ligure, Quinto, Rapallo, Recco, Riva Ligure (Liguria), Casamassima, Casarano, Porto Cesareo, San Vito dei Normanni, Supersano (Puglia), Misterbianco e altri, Scordia-Militello Val di Catania, Palagonia, Aci Catena, Giarre-Mascali-Riposto e altri, Caltagirone, Aci Castello, Acireale e altri, Belpasso, Gravina di Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Macchitella, Niscemi, Riesi, Agrigento e periferia, Favara, Palma di Montechiaro, Menfi, Porto Empedocle, Ribera, Sciacca, Bagheria, Cefalù, Carini e ASI Palermo, Misilmeri, Monreale, Santa Flavia, Termini Imerese, Trabia, Augusta, Avola, Carlentini, Ragusa, Scicli, Scoglitti, Campobello di Mazara, Castelvetrano 1, Triscina Marinella, Marsala, Mazara del Vallo, Barcellona Pozzo di Gotto, Capo d'Orlando, Furnari, Giardini Naxos, Consortile Letojanni, Pace del Mela, Piraino, Roccalumera, Consortile Sant'Agata Militello, Consortile Torregrotta, Gioiosa Marea, Messina 1, Messina 6, Milazzo, Patti e Rometta (Sicilia);
     affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico negli agglomerati di: Lanciano-Castel Frentano (Abruzzo), Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Castrovillari, Crotone, Montebello Ionico, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rossano (Calabria), Battipaglia, Benevento, Capaccio, Capri, Ischia, Casamicciola Terme, Forio, Massa Lubrense, Napoli Est, Vico Equense (Campania), Trieste-Muggia-San Dorligo (Friuli-Venezia Giulia), Albenga, Borghetto Santo Spirito, Finale Ligure, Imperia, Santa Margherita Ligure, Quinto, Rapallo, Recco, Riva Ligure (Liguria), Casamassima, Casarano, Porto Cesareo, San Vito dei Normanni, Supersano (Puglia), Misterbianco e altri, Scordia-Militello Val di Catania, Palagonia, Aci Catena, Giarre-Mascali-Riposto e altri, Caltagirone, Aci Castello, Acireale e altri, Belpasso, Gravina di Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Macchitella, Niscemi, Riesi, Agrigento e periferia, Favara, Palma di Montechiaro, Menfi, Porto Empedocle, Ribera, Sciacca, Bagheria, Cefalù, Carini e ASI Palermo, Misilmeri, Monreale, Santa Flavia, Termini Imerese, Trabia, Augusta, Avola, Carlentini, Ragusa, Scicli, Scoglitti, Campobello di Mazara, Castelvetrano 1, Triscina Marinella, Marsala, Mazara del Vallo, Barcellona Pozzo di Gotto, Capo d'Orlando, Furnari, Giardini Naxos, Consortile Letojanni, Pace del Mela, Piraino, Roccalumera, Consortile Sant'Agata Militello, Consortile Torregrotta, Gioiosa Marea, Messina 1, Messina 6, Milazzo, Patti e Rometta (Sicilia);
    laddove il dispositivo della sentenza del 19 luglio 2012 non verrà rispettato, la Commissione potrà dare avvio ad una nuova procedura d'infrazione, che potrà comportare per lo Stato italiano l'applicazione in caso di condanna di sanzioni pecuniarie (articolo 260 del Trattato europeo) corrispondenti alternativamente:
     ad una penalità di mora, da un minimo di 11.904 euro ad un massimo di 714.240 euro, per ogni giorno di ritardo nell'adeguamento a decorrere dalla pronuncia della sentenza emessa ai sensi dell'articolo 260 del TFUE;
     una somma forfetaria che viene calcolata sulla base del prodotto interno lordo e che per l'Italia è pari come minimo a 9.920.000 euro;
    nella peggiore delle ipotesi, in caso di condanna, lo Stato potrebbe avviare azioni di rivalsa sui soggetti a valle (regioni, AATO, e altre) per spostare su di essi l'onere economico della sanzione, ai sensi dell'articolo 6, comma 1 lettera e) della «legge comunitaria 2007», con la presumibile conseguenza dell'aumento delle tariffe idriche a carico degli utenti del servizio idrico,

impegna il Governo:

   a rafforzare le politiche ambientali per la tutela e la gestione sostenibile delle risorse idriche attraverso il monitoraggio, la valutazione dello stato, la definizione degli obiettivi e infine il programma di misure da attuare;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per stabilire in sede europea che le spese per interventi di messa a norma degli impianti di depurazione non siano sottoposte alle norme relative al patto di stabilità;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per l'adozione di un programma straordinario degli interventi propedeutici ad ottemperare alle censure poste dalla Corte di giustizia europea con sentenza 19 luglio 2012, causa C-565/10 (Commissione/Repubblica italiana), al fine di scongiurare l'avvio una nuova procedura d'infrazione, che potrebbe comportare per lo Stato italiano l'applicazione in caso di condanna di sanzioni pecuniarie.
(7-00037) «Zaratti, Zan, Pellegrino, Daga, De Rosa, Busto, Mannino, Segoni, Terzoni, Tofalo, Zolezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   sul Colle di San Cosimo, tra Sulmona (L'Aquila) e Pratola Peligna (L'Aquila), è installata una vasta base militare di 134 ettari, completamente infrastrutturata che ospita un importante deposito di armi dell'Italia Centrale, intitolato alla madaglia d'oro al valor militare Enrico Giammarco;
   tale deposito militare fu realizzato prima della seconda guerra mondiale nel 1939 per accogliere la fabbrica di esplosivi della Montecatini Nobel in cui lavoravano per la produzione bellica oltre 2 mila lavoratori;
   nel 1954 gli impianti furono riconsegnati dalla Montecatini al Ministero della difesa, direzione generale di artiglieria;
   nel 1990 l'ENEA avrebbe predisposto un elenco riservato dove si individuano 4 aree militari del Paese, ritenute idonee per realizzarvi grandi depositi di materiale radioattivo;
   negli ultimi anni si è sviluppata una iniziativa culturale delle forze pacifiste e nonviolente, in accordo con gli enti locali della Valle Peligna per la riconversione del deposito militare a struttura logistica di riferimento per l'Abruzzo della protezione civile, in considerazione della sua collocazione centrale regionale e della sua notevole infrastrutturazione (collegamento ottimale con autostrada e ferrovia, edifici e gallerie, oltre che servizi di ogni genere) –:
   quali siano a tutt'oggi le funzioni precise e le caratteristiche militari del deposito di San Cosimo Enrico Giammarco;
   se corrisponda al vero che nella polveriera di San Cosimo siano custodite armi convenzionali per il rifornimento delle forze armate del centro sud Italia e se vengano custoditi armamenti di altro tipo;
   se il materiale esplosivo custodito possa presentare problemi per la salute dei cittadini del territorio limitrofo;
   se non ritenga necessaria un'adeguata informazione agli enti locali della Valle Peligna, e in particolare ai comuni di Sulmona e Pratola Peligna;
   se non si ritenga possibile prevedere una diversa utilizzazione pubblica del deposito di San Cosimo riconvertendolo da base militare a centro regionale della protezione civile per la regione Abruzzo.
(2-00091) «Melilla».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il trasporto aereo costituisce un elemento significativo per il sistema economico nazionale con un impatto diretto sull'economia, tale da renderlo determinante per lo sviluppo ed il rilancio del Paese; le connessioni a lunga distanza, infatti, facilitano l'accesso al mercato internazionale, favorendo esportazioni e turismo;
   il traffico aereo internazionale, nonostante la congiuntura economica globale, già nel 2011, è tornato a crescere del 6,5 per cento (circa 150 milioni di passeggeri) e secondo le previsioni della IATA (fine 2012) negli anni a venire si dovrebbe avere un incremento annuo del 5,3 per cento;
   l'Italia, con circa 800 mila passeggeri settimanali, si pone come uno dei più grandi mercati all'interno dell'Unione europea, tuttavia, nel 2012 ha subito una decrescita del 4,7 per cento di passeggeri;
   nel nostro Paese, come in altre parti della comunità, la crisi economica ed industriale ha determinato un aggravio della già incerta situazione del trasporto aereo nazionale a causa della carenza di specifiche ed efficienti politiche industriali. Gli attuali investimenti strutturali appaiono frammentari e non all'interno di un organico ed efficace sistema coordinato da una cabina di regia dalla quale avere una visione complessiva;
   il confronto con i grandi «hub» europei vede gli aeroporti italiani in bassa classifica: Fiumicino solo al 7° posto e Malpensa al 12°. La causa del forte ritardo è determinata dalla mancanza di investimenti, e da un piano nazionale degli aeroporti che sembra avvertire la mancanza di un'unica strategia;
   la chiusura di alcune direttrici a lungo raggio e la mancata apertura di altre, nonché l'appalto a terzi di numerose tratte «domestiche» (Carpatair) hanno prodotto una perdita d'immagine all'estero dell'intero settore;
   la liberalizzazione dei vettori non ha brillato nei risultati, ovvero nei servizi offerti;
   nell'ambito della concorrenza, i voli «low cost», se da un lato possono costituire dei vantaggi economici ed essere quindi localmente ben visti, dall'altra presentano gravi lacune di regolamentazione e di tutele per i lavoratori;
   la stipula di un CCNL non solo garantirebbe maggiori tutele per i diritti, i salari e l'occupazione dei lavoratori del settore, ma arrecherebbe anche meno disagi all'utenza e consentirebbe una più corretta competizione tra vettori;
   i risultati economici e finanziari attualmente raggiunti, nel settore del trasporto aereo, di cui Alitalia è parte significativa, non possono certo definirsi soddisfacenti. Il temuto ulteriore ridimensionamento della compagnia di bandiera, oltre l'ulteriore decadimento d'immagine, avrebbe pesanti effetti su tutto il trasporto aereo nazionale;
   per quanto poi concerne la società Cai-Alitala la situazione si presenta tale: il bilancio 2011, che nelle previsioni iniziali doveva rispettare l'obiettivo di pareggio chiude in rosso, per il terzo anno consecutivo; conseguenza di ciò sono oltre 500 milioni di euro la perdita complessiva dei primi tre anni dell'attuale gestione mentre il patrimonio netto si riduce a circa 450 milioni di euro, con una perdita secca del 38 per cento rispetto agli iniziali 1.170 milioni di euro di capitale. Il traguardo dell'utile di bilancio, originariamente previsto dal «piano Fenice» viene spostato al 2013 e non raggiunto, nonostante gli oltre 7.000 posti di lavoro persi al momento dell'acquisto della vecchia ALITALIA, la sterilizzazione degli interventi dell'Autorità antitrust e gli ulteriori 700 lavoratori messi, già da marzo 2011, in cassa integrazione dalla nuova Alitalia CAI. Nonostante gli aiuti ricevuti, la società CAI Alitalia, ha continuato a perdere quote di mercato con un network sempre più di corto e medio raggio e integrato con le esigenze di Air France –:
   se ritenga necessario continuare il confronto nazionale sul trasporto aereo riattivando, al più presto, il tavolo nazionale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avviato dal precedente Governo Monti per affrontare gli spinosi e drammatici nodi del settore: regole, authority, politiche industriali indirizzi di sistema e investimenti infrastrutturali.
(2-00092) «Miccoli, Piazzoni, Di Salvo, Mauri, Rizzetto, Madia».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAGORNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 una scossa di intensità pari al quinto grado della scala Mercalli, ha colpito la zona del Pollino, creando numerosi danni a edifici pubblici e privati del comune di Mormanno (Cosenza);
   per queste popolazioni si è trattato di una prova molto dura e che ha creato gravi disagi;
   in seguito, il Governo ha decretato lo stato di emergenza che a oggi deve essere ancora prorogato;
   l'area del Pollino è da almeno due anni al centro di uno sciame sismico che non da tregua agli abitanti di questa vasta zona;
   tuttora centinaia di scosse si susseguono senza interruzione alcuna;
   sembrerebbe che le abitazioni danneggiate dal sisma dello scorso anno nel Pollino e, quindi anche quelle ubicate nel territorio di Mormanno (Cosenza), non siano state esentate dall'IMU;
   molte di tali case, inoltre, risultano addirittura abbandonate o comunque non più abitate;
   la regione Calabria, a parere dell'interrogante, è totalmente assente non prestando di fatto la dovuta e incisiva attenzione istituzionale alla vicenda –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e intenda chiarire se il comune di Mormanno (Cosenza), colpito e danneggiato dal sisma del 2012, risulti effettivamente escluso dall'esenzione dell'IMU e dalla proroga dello stato di emergenza nell'area del Pollino;
   quali iniziative, eventualmente, il Presidente, per quanto di competenza, intenda assumere in maniera urgente perché il Governo decreti la proroga dello stato di emergenza nell'area del Pollino colpita dal sisma del 2012 e principalmente perché Mormanno (Cosenza) venga inserito fra i comuni colpiti da forti calamità naturali, che godono quindi delle esenzioni previste dalle leggi in vigore.
(5-00317)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUSSO, SARRO, CASTIELLO, CALABRÒ, PETRENGA, CARFAGNA, CIRIELLI, TAGLIALATELA e LUIGI CESARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio, onorevole Enrico Letta, di recente ha scelto i componenti della Commissione incaricata di assistere il Governo per la elaborazione delle riforme costituzionali da sottoporre all'esame del Parlamento per la relativa approvazione;
   dall'esame dei nomi dei trentacinque costituzionalisti inclusi nella predetta Commissione, si evince che nessuno di essi proviene dal mondo accademico campano;
   tale circostanza desta fondate perplessità, attesa l'indiscussa autorevolezza del contributo dottrinario offerto, nel corso dei decenni, dagli studiosi campani, ed in particolare dai docenti dell'università Federico II di Napoli, nella materia del diritto costituzionale;
   la riferita anomalia è stata recentemente evidenziata anche da illustri giuristi napoletani, primo fra tutti il professor Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale, il quale non ha mancato di rappresentare le proprie riserve in ordine ai criteri che hanno orientato la scelta del Presidente del Consiglio nella nomina degli esperti in questione, legati, a detta dell'insigne giurista, più a logiche di appartenenza politica che non ad obiettivi meriti scientifici –:
   quali siano i criteri che hanno ispirato le scelte del Governo in ordine alla individuazione dei soggetti chiamati a far parte della cosiddetta commissione per le riforme costituzionali;
   se non si intenda integrare la Commissione in questione con l'inclusione di personalità scientifiche provenienti dal mondo accademico campano, così colmando una incomprensibile lacuna. (4-00826)


   LIUZZI, CATALANO, DE LORENZIS, TONINELLI, COZZOLINO, SCAGLIUSI, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, SARTI, DEL GROSSO, TACCONI, PAOLO BERNINI, CARINELLI, SPESSOTTO, VIGNAROLI, DIENI, DADONE, BARONI, CECCONI, MUCCI e CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alle rilevazioni apparse sui quotidiani The Guardian e Washington Post nella scorsa settimana è emerso che il Governo americano per il tramite della National Security Agency (NSA) ha messo in atto, a partire dal novembre 2007, un progetto denominato Prism al fine di contrastare il terrorismo interno ed internazionale attraverso un capillare controllo delle informazioni veicolate attraverso la rete internet;
   da quanto è emerso sugli organi di stampa tale programma ha consentito alla NSA ed al Governo americano, senza un preventivo controllo giurisdizionale, di accedere ai tabulati telefonici del provider Verizon nonché di accedere direttamente ad informazioni personali (quali mail, video, foto, chat vocali, notifiche di accesso e ad altre informazioni) di utenti americani e non custodite sui server dei maggiori provider internet quali: Google, Facebook, Microsoft, Yahoo, PalTalk, AOL, Skype, YouTube e Apple;
   da quanto è emerso dagli articoli di stampa non è possibile escludere che tale attività controllo abbia coinvolto cittadini italiani ed europei che utilizzano i servizi dei suddetti provider;
   tali attività, ove verificate, costituirebbero una profonda lesione dei diritti fondamentali dei cittadini italiani, quali la privacy e la libertà di espressione in rete;
   il Garante italiano per la protezione dei dati personali Antonello Soro in data 6 giugno 2013 ha dichiarato in un comunicato a mezzo internet che «Preoccupa l'azione della National Security Agency statunitense, che a quanto si apprende avrebbe raccolto tabulati telefonici di milioni di cittadini, probabilmente non solo statunitensi. Preoccupa poi il fatto che tra i soggetti intercettati possano esservi anche cittadini europei, ai quali le discipline interne garantirebbero un livello di tutela ben più elevato. La difesa della democrazia passa sempre attraverso il consolidamento delle libertà e non deve essere affidata alle scorciatoie di una sorveglianza generalizzata della vita dei cittadini. Come lo stesso Presidente Obama ha più volte riconosciuto»;
   in data 10 giugno 2013 il Garante europeo per la protezione dei dati personali Peter Hustinx ha espresso viva preoccupazione per le possibili implicazioni negative per la privacy e altri diritti fondamentali dei cittadini europei derivanti dal programma Prism, sostenendo la richiesta del presidente dell’article 29 Working Party Jacob Kohnstamm rivolta alla Commissione europea di chiedere chiarimenti al Governo americano in occasione del summit UE-USA in programma per il 14 giugno 2013;
   in data 11 giugno nell'ambito della sessione plenaria del parlamento europeo, la Commissione europea ha espresso la propria preoccupazione in relazione al trattamento massivo di dati personali di cittadini europei che sarebbe avvenuto per il tramite programma Prism ed ha annunciato che chiederà chiarimenti alle autorità statunitensi nell'ambito del vertice ministeriale UE-USA in programma il 14 giugno –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di verificare se l'attività di controllo esercitata attraverso il programma Prism abbia riguardato dati ed informazioni afferenti a cittadini italiani e se tale attività sia stata conforme a quanto previsto dalle vigenti norme comunitarie e nazionali in materia di protezione dei dati personali nel rispetto degli accordi internazionali vigenti in materia. (4-00827)


   BRUNETTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi da 95 a 97, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, prevede che, a decorrere dall'anno 2013, sia istituito, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, un fondo per la concessione di un credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo, riservato alle imprese e alle reti di impresa che affidano attività di ricerca e sviluppo a università, enti pubblici di ricerca o organismi di ricerca, ovvero che realizzano direttamente investimenti in ricerca, nonché per la riduzione del cuneo fiscale;
   il suddetto fondo, da istituire secondo criteri e modalità definiti di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico, è finanziato mediante le risorse derivanti dalla progressiva riduzione degli stanziamenti di parte corrente e di conto capitale iscritti in bilancio destinati ai trasferimenti e ai contributi alle imprese;
   le suddette disposizioni prevedono, inoltre, che il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012, vale a dire dal 1o gennaio 2013, riferiscono alle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari in merito all'individuazione e alla quantificazione dei trasferimenti e dei contributi destinati alle imprese ai fini dell'adozione delle conseguenti iniziative di carattere normativo;
   in attuazione delle citate norme non risultano allo stato ancora trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari gli elementi suindicati –:
   se il Governo abbia provveduto all'individuazione dei trasferimenti e dei contributi alle imprese da ridurre, ai fini del finanziamento del fondo di cui all'articolo 1, comma 95, della legge n. 228 del 2012, e quali siano le iniziative normative che lo stesso intende conseguentemente adottare. (4-00829)


   VIGNAROLI, COLONNESE, NUTI, DI BENEDETTO, DALL'OSSO, TONINELLI, SPADONI, DI BATTISTA, LUIGI DI MAIO, NESCI, COZZOLINO, CASO, CECCONI, BARONI, MUCCI, GALLINELLA, BUSTO, SEGONI, DAGA, LIUZZI, PARENTELA, COMINARDI, DI VITA, ALBERTI, DEL GROSSO, VACCA, DELLA VALLE, CASTELLI, DA VILLA, ZOLEZZI, SIBILIA, L'ABBATE, SCAGLIUSI, VILLAROSA, MANLIO DI STEFANO, CANCELLERI, SPESSOTTO, DELL'ORCO, BENEDETTI, D'AMBROSIO, BRUGNEROTTO, ZACCAGNINI, COLLETTI, FRUSONE, MARZANA, LOREFICE, PESCO, MASSIMILIANO BERNINI, TOFALO, TURCO, TERZONI, CORDA, CIPRINI, SARTI, MICILLO, DE LORENZIS, PAOLO BERNINI, D'UVA, FICO, SORIAL, TRIPIEDI, BASILIO e CARINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   in esito alla valutazione delle informazioni raccolte a seguito dell'indagine EU-Pilot 629/09/ENVI, da cui è emerso che parte dei rifiuti depositati non sono sottoposti a previo trattamento, in violazione dell'articolo 6, lettera a), della direttiva europea 1999/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti, i servizi della direzione generale ambiente della Commissione europea hanno deciso di proporre alla Commissione stessa l'apertura di una formale procedura d'infrazione (2011/4021) contro la Repubblica italiana;
   in data 17 giugno 2011, la Commissione, accogliendo la proposta dei servizi della direzione generale ambiente, ha inviato al Governo italiano una lettera di costituzione in mora ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). La procedura d'infrazione è stata ormai trasmessa dalla Commissione alla Corte di giustizia europea, la quale potrebbe sanzionare l'Italia con una condanna e una mega multa che potrebbe elevarsi fino ad un milione di euro al giorno – multa che andrebbe a gravare ingiustamente sui cittadini italiani;
   la risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012 per un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse 2011/2068 al punto 32: «invita la Commissione a razionalizzare l’acquis in materia di rifiuti, tenendo conto della gerarchia dei rifiuti e della necessità di ridurre i rifiuti residui fino a raggiungere livelli prossimi allo zero; chiede pertanto alla Commissione di presentare proposte entro il 2014, allo scopo di introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica a livello europeo e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l'incenerimento dei rifiuti riciclabili e compostabili; ritiene che queste iniziative debbano essere accompagnate da idonee misure transitorie, tra cui l'ulteriore sviluppo di norme comuni basate sul concetto di ciclo di vita; invita la Commissione a rivedere gli obiettivi per il riciclaggio per il 2020 della direttiva quadro sui rifiuti; ritiene che un'imposta sullo smaltimento in discarica, già introdotta da alcuni Stati membri, potrebbe contribuire al raggiungimento di tali obiettivi»;
   la scelta di Monti dell'Ortaccio come sito alternativo a Malagrotta ha già destato grandi preoccupazioni alla Commissione per le petizioni del Parlamento europeo, che l'ha visitato nel mese di luglio 2012, in quanto si tratterebbe di un ulteriore sito idrogeologicamente inidoneo per la presenza di una falda acquifera affiorante esposta a grave rischio di inquinamento da percolato e caratterizzato anche da vicinanza con le case (500 metri dall'abitato) oltre che essere sita nella Valle Galeria, già dichiarata a rischio di incidente rilevante (decreto legislativo n. 334 del 1999, Seveso II);
   vanno considerati i preoccupanti valori emersi da un'indagine dell'ISPRA (ottobre 2010) finalizzata ad accertare i livelli di inquinamento nell'atmosfera e nella falda acquifera nell'area Valle Galeria-Malagrotta in cui si concentrano, nonostante il decreto legislativo n. 334 del 1999, Seveso II, la discarica più grande d'Europa un inceneritore di rifiuti ospedalieri, un gassificatore, una raffineria petrolifera, delle cave, un cementificio «[...] il quadro qualitativo delle acque sotterranee nell'area di Malagrotta risulta fortemente compromesso e i dati analizzati mostrano una contaminazione diffusa su tutta l'area causa delle attività industriali [...]»;
   in recenti video dei cittadini (riprese del 18 maggio e 7 giugno 2013) residenti della Valle Galeria (già inviati all'attenzione della Commissione europea) vengono riprese le azioni relative allo sversamento di rifiuto «tal quale», in aperto contrasto con le direttive europee in materia –:
   quali siano le iniziative specifiche e concrete messe in atto dal Governo e in particolare dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, o in procinto di essere messe in atto, per far fronte all'emergenza rifiuti di Roma e per uscire dalla procedura d'infrazione europea in maniera positiva e senza rovinose penalizzazioni in linea con le indicazioni contenute nella risoluzione del Parlamento europeo;
   quali relazioni e trattative siano a proposito intercorse fra il Ministero dell'ambiente e della tutela dei territorio e del mare e la Commissione europea con riferimento all'ultima proroga della discarica di Malagrotta, ai tentativi di gravare con nuovi impianti inquinanti in un'area a grande rischio ambientale (Valle Galeria) e di allargare il sito nella limitrofe cave sempre di proprietà del privato monopolista, ovvero Testa di Cane (sotto sequestro) e Monti dell'Ortaccio. (4-00833)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


TIDEI, CIMBRO, SCOTTO, ARLOTTI, CARLO GALLI, LATTUCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Gerardo Hernàndez, Ramòn Laba-ñino, Antonio Guerrero, Fernando Gonzàles, René Gonzàles vennero arrestati sabato 12 settembre 1998 con l'accusa di spionaggio e per 17 mesi trattenuti in isolamento. Le accuse verso di loro erano di spionaggio, solo nel caso di Gerardo Hernàndez vi fu un'accusa di omicidio. Il processo si è concluso nel dicembre del 2001 con una condanna per tutti e 5 e rispettivamente: Gerardo Hernàndez Nordelo 2 ergastoli più 15 anni, Ramon Labañino Salazar 1 ergastolo più 18 anni, Antonio Guerrero Rodriguez 1 ergastolo più 10 anni, Fernando Gonzàlez Liort 19 anni, René Gonzàlez Seheweret 15 anni;
   i cinque erano agenti cubani infiltrati nella malavita a Miami ma dalle testimonianze fornite da parte di alti ufficiali statunitensi come quella dell'ammiraglio ritirato Eugene Carroll (trascrizioni ufficiali, pagine 8196-8301), del generale dell'Esercito ritirato Edward Breed Atkeson (idem, pagine 11049-11199), del generale ed ex comandante del commando Sud Charles Elliot Wilhelm (idem, pagine 11491-11547), e del tenente generale ritirato delle forze aeree James R. Clapper (idem, pagine 13089-13235) emerge come i 5 agenti cubani erano disarmati e il loro lavoro investigativo non ha mai visto conflitti a fuoco e non ha mai provocato colluttazioni di alcun genere;
   le condanne per i detenuti sono state pesantissime, anche in confronto ad altri condannati per accuse simili (ad esempio Khaled Abdel-Latif Dumesisi, accusato di essere un agente non registrato del Governo di Saddam Hussein. Fu condannato nell'aprile del 2004, nel mezzo del guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq, a 3 anni e 10 mesi di prigione. Gregg W. Bergersen, analista del dipartimento di difesa, fu accusato, nel luglio del 2008, di somministrare informazioni di difesa nazionale a persone non autorizzate in cambio di denaro e regali, e fu condannato a 4 anni e nove mesi di prigione);
   il gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie delle Nazioni Unite, costituito nel 1991 dalla estinta Commissione sui diritti umani dell'ONU (con la risoluzione 1991/42), è una delle «procedure speciali», (il cui mandato è stato rinnovato dal neo-istituito Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite, con risoluzione 6/4 dell'ONU), e nel 2005 arrivò alla conclusione che la privazione della libertà dei cinque detenuti fu arbitraria ed in violazione delle convenzioni sui diritti umani delle Nazioni Unite pertinenti (rapporto del gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria E/CN.4/2006/7/ add. 1, pagina 66, opinione n. 19/2005 – Stati Uniti d'America) –:
   se, alla luce delle ragioni descritte in premessa, il Ministro non ritenga opportuno attivarsi, in sede bilaterale e multilaterale, per sollecitare al Governo degli Stati Uniti un atto di clemenza per ragioni umanitarie per i cinque prigionieri cubani. (5-00326)


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 2 aprile 2013, l'amministrazione del Ministero degli affari esteri ha inviato alle sedi estere il telespresso prot. MAE00748432013, a firma del Min. Plen. Vincenza Lomonaco, direttore centrale per la promozione della cultura e della lingua italiana della Dgsp, riguardante le misure che si intendono adottare per il personale docente di ruolo in servizio nella scuola statale italiana di Asmara per il prossimo anno scolastico 2013/14 e in particolare il ricollocamento d'ufficio ad altra sede estera, del personale docente di ruolo al quinto e sesto anno, di servizio nella sede;
   a causa dell'accordo scolastico sottoscritto con il Governo italiano e le autorità eritree, e la possibilità per il personale scolastico italiano in servizio nella scuola statale italiana di poter rinnovare i permessi di lavoro per un periodo massimo di 5 anni, l'amministrazione del Ministero degli affari esteri sarà costretta a ridurre progressivamente la presenza del personale di ruolo e la chiusura della scuola statale;
   si tratta di oltre settanta docenti di ruolo che svolgono il loro servizio nella scuola italiana di Asmara, la istituzione statale italiana all'estero più grande, con oltre cento anni di storia e una utenza di oltre 1.300 studenti;
   le diverse questioni riguardanti lo status giuridico del personale scolastico, non ancora risolte dall'accordo sottoscritto con il Governo eritreo, potrebbero avere conseguenze ancora più drammatiche sul funzionamento della scuola e mettere seriamente a rischio la sua stessa esistenza a partire dal prossimo anno scolastico –:
   se e in che modo il Governo intenda tutelare sul piano giuridico ed economico i sopra menzionati docenti in servizio presso la scuola statale italiana di Asmara in possesso di un decreto di nomina all'estero da parte del Ministero degli affari esteri per altri tre anni scolastici;
   se il Ministro interrogato ritenga doveroso sollecitare, con un autorevole intervento e un'azione più incisiva della rete diplomatica italiana, il Governo eritreo al fine di individuare le soluzioni più adeguate per giungere rapidamente ad efficaci modifiche dell'accordo italo-eritreo per il mantenimento del personale docente di ruolo per il periodo di servizio all'estero, previsto dall'articolo 4-novies della legge n. 10 del 26 febbraio 2011, al fine di garantire un futuro certo a questa grande e importante istituzione scolastica all'estero. (5-00327)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il grande progetto delle Ferrovie del nord barese è una infrastruttura che permetterà la prima interconnessione delle reti ferroviarie e che inciderà in modo strategico sul sistema della mobilità della regione Puglia. L'importo del finanziamento è di 180 milioni di euro del programma operativo F.E. S.R. Puglia 2007-2013, il soggetto attuatore è la Ferrotramviaria spa;
   oggetto dell'intervento sono: il raddoppio per 13 chilometri del binario sulla tratta Corato-Barletta; l'interramento della ferrovia nell'abitato di Andria per 2,9 chilometri, di cui una zona di circa 460 metri in galleria, con tre nuove fermate; la realizzazione di parcheggi di scambio intermondiali dislocati in prossimità di 11 stazioni-fermate ferroviarie che offriranno circa 2.000 posti auto; l'eliminazione di 13 passaggi a livello sono l'interconnessione con la Rete ferroviaria italiana nelle stazioni di Bari centrale e Barletta. Sette i comuni interessati direttamente dall'intervento: Barletta, Andria, Corato, Ruvo, Terlizzi, Bitonto e Bari;
   il nodo di scambio di Barletta fra Ferrotramviaria ed Rfi darà accesso, non solo ai residenti nei, comuni serviti dalle Ferrovie del Nord ma anche a tutta l'area della Capitanata, al collegamento ferroviario con l'aeroporto di Bari. Sono previste ricadute importanti anche sul capoluogo regionale attraverso la realizzazione della prima interoperabilità funzionale nel nodo ferroviario di Bari della linea adriatica con le linee regionali. I treni della Ferrotramviaria provenienti dall'aeroporto arriveranno, infatti, direttamente al quinto binario del piazzale ovest della stazione delle Ferrovie dello Stato;
   dal punto di vista amministrativo, dopo l'approvazione del Consiglio regionale dei lavori pubblici e degli uffici dell'assessorato all'ambiente per la valutazione di impatto ambientale, e dopo i restanti adempimenti presso la Commissione europea per gli ultimi aspetti di valenza economica, potranno partire le procedure di appalto. La cantierizzazione dei lavori dovrà essere attuata quanto prima, poiché il collaudo, per problematiche connesse al finanziamento, dovrà essere effettuato entro il 2015 –:
   se si intenda verificare che non vi siano motivi ostativi, anche in sede europea, alla cantierizzazione dei lavori;
   se si intenda porre in essere ogni opportuna iniziativa, per quanto di competenza per agevolare la realizzazione di questa strategica infrastruttura ferroviaria non solo per il nord-barese, ma anche per la regione Puglia. (4-00836)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COMINELLI, BORGHI, BRATTI, MATARRESE, BAZOLI, MARIANI, BRAGA, MORETTO, GADDA, ZARDINI, GIOVANNA SANNA, CIVATI, GIUDITTA PINI e MARIASTELLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società SOGESID s.p.a. era stata istituita, ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 3 aprile 1993, n. 96, successivamente modificato dall'articolo 20 del decreto-legge 8 febbraio 1995, n. 32, convertito, dalla legge del 7 aprile 1995, n. 104, allo scopo di affidare alla stessa, in regime di concessione, gli impianti idrici già detenuti dalla Cassa del Mezzogiorno;
   nel corso degli anni, tuttavia, la Sogesid s.p.a. ha visto continuamente ampliate le sue competenze e le peculiarità relative alle modalità e agli strumenti di intervento, grazie a successivi passaggi normativi fra i quali, ad esempio, l'articolo 3 del decreto legislativo n. 163 del 2006, in forza del quale la Sogesid s.p.a. – come si legge tutt'oggi nel sito internet della società – rientra nel novero di quei soggetti che non sono tenuti ad espletare le procedure di evidenza pubblica per lo svolgimento delle attività ad essa affidate, ovvero la legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), che ne ha disposto, all'articolo 1, comma 503, la trasformazione in una società in-house, cioè un ente strumentale alle finalità ed alle esigenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, consentendo, in forza di tale trasformazione, che alla Sogesid s.p.a. fossero trasferite molte competenze istituzionali del Ministero;
   attualmente, quindi, l'operato della Sogesid s.p.a. insiste nei più svariati settori – quali l'assistenza tecnica alle varie direzioni generali del Ministero, inclusa la direzione VIA, la definizione di interventi di messa in sicurezza e bonifica di siti contaminati di interesse nazionale, il supporto alla redazione dei piani di tutela delle acque e talvolta a quelli di monitoraggio, senza peraltro il coinvolgimento delle ARPA, che di tali attività sono titolari, la partecipazione a tavoli tecnici, forum e progetti internazionali in materia di risorse idriche, anche con funzioni di rappresentanza, lo svolgimento di campagne informative in materia ambientale, il monitoraggio e la vigilanza in materia di rifiuti;
   le attività affidate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a Sogesid s.p.a. nella maggioranza dei casi sono subappaltate da quest'ultima a soggetti terzi;
   la Sogesid s.p.a. a quel che consta agli interroganti assumerebbe personale bypassando le procedure concorsuali costituzionalmente prescritte per l'accesso ai ruoli dello Stato;
   in un articolo pubblicato il 14 febbraio 2012 secondo il quotidiano Italia Oggi, la Sogesid aveva assegnato 203 consulenze, per un valore complessivo di 4 milioni e 359 mila euro; infine, nel corso dell'audizione in VIII Commissione della Camera dei deputati del 18 luglio 2012 sulla spending review, e come riportato dalle agenzia di stampa, il Ministro pro tempore Corrado Clini aveva affermato che si preparava alla chiusura della società in house del ministero SOGESID, immaginando una fase transitoria con una gestione commissariale. Dal 2009 SOGESID ha assorbito dal ministero 426 milioni di euro. Il problema che abbiamo – ha poi spiegato il Ministro Clini a margine dell'audizione – è quello di garantire la continuità dell'amministrazione, perché le segreterie tecniche sono state soppresse. Siccome il decreto-legge prevede che le società in house finiscano entro il 31 dicembre 2013 e SOGESID ha in portafoglio importanti progetti e finanziamenti del ministero, stiamo valutando come operare per fare in modo che SOGESID lavori coerentemente con il ministero in questi mesi;
   nonostante gli annunci di chiusura della Sogesid, in una recente presentazione dell'Arpa di Brescia sullo stato ambientale della provincia, la cui notizia è stata anche pubblicata sul Giornale di Brescia del 29 maggio 2013, emerge che la Sogesid abbia ricevuto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della Regione Lombardia, sulla scia del protocollo d'intesa del 2009, l'incarico per la bonifica del sito di interesse nazionale Gaffaro-Brescia, con il conseguente sblocco dei primi, 3,9 milioni di euro;
   la SOGESID, oltre i corrispettivi ad essa riconosciuti con riferimento ai quadri economici dei singoli progetti ed interventi, per ogni intervento finanziato riceverebbe un compenso forfettario pari al 26.50 per cento dell'intero importo finanziato, e nel caso di Brescia ciò comporta che circa 1.100.000 euro sarebbero sottratti alla effettiva destinazione per interventi di bonifica previsti –:
   quale sia lo stato della procedura di chiusura e di eventuale commissariamento della Sogesid e come questo sia compatibile con l'affidamento della bonifica del sito della Caffaro, una delle emergenze ambientali più rilevanti del Paese, a causa della quale il territorio bresciano ha pagato un prezzo altissimo, in termini di costi sociali, di danni all'ambiente e alla salute dei cittadini;
   se comunque non si ritenga necessario assumere iniziative, anche normative, per rivedere ruolo, competenze, risorse e quadro amministrativo della società SOGESID s.p.a., formalmente strumento in house del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, favorendo azioni di valutazione e di controllo, in particolare per quanto riguarda l'utilizzo delle risorse e la pubblicità degli atti;
   se non ritenga di intervenire per impedire che, oltre ai compensi professionali stabiliti per legge, SOGESID riceva una quota percentuale delle risorse stanziate per ogni intervento pari al 26,50 per cento dell'intero importo stanziato, sottraendo in tal modo cospicue risorse agli interventi di messa in sicurezza e di bonifica;
   quali siano, in un'ottica di trasparenza fondamentale per scongiurare i rischi sopra evidenziati di sovrapposizione di competenze, di conflitto d'interesse e di distorsione del mercato, il numero dei contratti stipulati dalla Sogesid s.p.a., la tipologia contrattuale e, per ogni singolo contratto, l'ammontare economico e le controparti contrattuali, nonché quante volte negli ultimi anni e per quali importi la Sogesid s.p.a. abbia operato a causa di ordinanze di protezione civile o di stato di emergenza rifiuti. (5-00338)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Albumi, istituito nel 1991, si estende su un territorio di circa 181.048 ettari, dalla costa tirrenica fino ai piedi dell'Appennino campano-lucano;
   dalla necessità di tutelare il Cilento dalle speculazioni edilizie e da un distruttivo turismo di massa, nonché per finalità di riorganizzazione e ottimizzazione delle attività economiche, in particolare, agricole, zootecniche, forestali e turistiche, è nato nel 1995 l'Ente Parco;
   le eccessive restrizioni in materia edilizia, tutte giustificate nell'ottica della salvaguardia ambientale, hanno portato negli ultimi anni alla paradossale situazione per cui le attività produttive esistenti nell'area parco rischiano di scomparire;
   in particolare, il piano del parco, quale fondamentale strumento di pianificazione urbanistico-territoriale, dispone espressamente all'articolo 8 che «nelle zone C1 e C2 la costruzione di nuovi edifici e ogni intervento edilizio eccedente quanto previsto alle lettere a, b, c, dell'articolo 31 legge n. 457 del 1978, fatti salvi gli interventi di ricostruzione di immobili danneggiati dai sismi di cui alla legge n. 219 del 1981, sono ammessi solo in funzione degli usi agricoli, agrituristici nonché della residenza dell'imprenditore agricolo, nei limiti delle esigenze adeguatamente dimostrate e di quanto stabilito dalla legge regionale 14/1982»;
   sulla base di questa norma, l'Ente Parco sosterrebbe fermamente che ai sensi della legge regione Campania n. 14 del 20 marzo 1982 nelle zone agricole le opere di nuova edificazione e/o ampliamento e di ristrutturazione di fabbricati di tipo rurale adibiti in funzione degli usi agricoli possono essere realizzate esclusivamente da imprenditori agricoli professionali (IAP);
   questa interpretazione ha causato una preoccupante situazione che ha assunto negli anni grosse dimensioni e che inevitabilmente porterà alla scomparsa delle piccole proprietà contadine con le proprie tradizioni e quindi all'abbandono di una vasta area del territorio;
   la lettura della legge regionale n. 14 del 1982 operata dall'Ente parco genera, infatti, una situazione assurda a danno di proprietari conduttori in economia e/o dei coltivatori diretti, che si vedrebbero impossibilitati a procedere alla manutenzione del fabbricato o alla sua ristrutturazione se non in possesso della qualifica di IAP, rilasciata dalla regione Campania a conclusione di un corso biennale;
   a ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione che, stante la conformazione territoriale del Cilento, caratterizzata da un'estrema parcellizzazione della proprietà, la qualifica di IAP diventerebbe di fatto impossibile da acquisire, occorrendo a tal fine che una significativa parte della capacità reddituale provenga dall'attività agricola;
   in realtà, la citata legge regionale, al titolo II – articolo 1, comma 8, cita testualmente: «nelle zone agricole la concessione ad edificare per le residenze può essere rilasciata per la conduzione del fondo esclusivamente ai proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, ovvero ai proprietari concedenti, nonché agli affittuari o mezzadri aventi diritto a sostituirsi al proprietario nell'esecuzione delle opere e considerati imprenditori agricoli a titolo principale ai sensi dell'articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153»;
   una corretta interpretazione della norma evidenzia come il requisito di imprenditore agricolo a titolo principale debba essere posseduto dagli affittuari o dai mezzadri che conducono un fondo agricolo in modo professionale, quale attività principale;
   suddetta legge regionale non vieta, invece, al proprietario conduttore in economia, che eventualmente svolga un'attività lavorativa principale diversa e che abbia o meno concesso in affitto il fondo, di ristrutturare e/o edificare fabbricati, nei limiti naturalmente delle norme urbanistiche;
   è evidente che opere di ristrutturazione edilizia e urbanistica contribuirebbero in maniera importante alla conservazione e valorizzazione dello stupendo patrimonio immobiliare del Cilento e del Vallo di Diano;
   la nascita del parco dovrebbe rappresentare per il territorio e i suoi cittadini uno strumento di crescita e non di immobilismo;
   ciò è ancora più vero in un periodo come quello che si sta vivendo, nel quale anche un piccolo intervento edilizio e/o artigianale diventa vitale per combattere la crisi economica che attanaglia il Paese –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza ritengano opportuno adottare al fine di chiarire la problematica delle eccessive restrizioni in materia edilizia che preoccupa i comuni situati nel parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. (4-00831)


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 novembre 2011 con determinazione dirigenziale n. 7756 la provincia di Roma ha autorizzato la costruzione e l'esercizio di un impianto a biogas denominato «impianto biogas da derrate agricole» nel comune di Cerveteri, località Sasso, Pian della Carlotta e detto impianto, secondo quanto descritto in sede di richiesta di autorizzazione dalla società proponente società agricola Aurelia s.r.l. è composto di fermentatori anaerobici a secco, che trattano mais, sorgo e triticale, la cui fermentazione produce un biogas che viene bruciato in un cogeneratore dalla potenza elettrica dichiarata di 999 chilowatt. Il vegetale insilato sarà conservato in una trincea della capacità di 12.000 metri cubi. Secondo quanto dichiarato mais, sorgo e triticale proverranno da 120 ettari di una proprietà agricola che si estende su circa 800 ettari e che le integrazioni alle forniture, necessarie vista la capacità produttiva di 120 ettari, verranno dichiaratamente effettuate acquistandole localmente;
   la pronuncia di valutazione di incidenza della regione Lazio del 16 novembre 2010 ha ritenuto che fossero superabili i vincoli relativi alla ZPS prescrivendo che: «i lavori dovranno essere eseguiti nel minor tempo possibile, al fine di ridurre il tempo di esposizione a disturbi da rumore e di presenza umana e sospesi, al fine di non interferire con la stagione riproduttiva di diverse specie di uccelli, nei mesi da aprile a giugno». A fronte della mancata interruzione dei lavori tuttora in corso diversi Comitati locali fin dal 29 marzo 2013 hanno sollecitato le autorità preposte al rispetto di quanto disposto in sede di valutazione di incidenza, e che nonostante questo i lavori sono proseguiti;
   a fronte del mancato rispetto dell'obbligo di sospensione dei lavori e delle reiterate sollecitazioni e denunce promosse dai comitati locali la regione Lazio ha ritenuto di concedere una deroga alla sospensione dei lavori in considerazione del fatto «...che i lavori rimanenti da realizzare per il completamento dell'impianto, sono di finiture e montaggi interni alle strutture realizzate che non richiedono l'uso di macchinari particolarmente rumorosi»;
   una perizia redatta dal dottor Stefano Montanari – direttore scientifico del laboratorio Nanodiagnostics di Modena – su incarico del comune di Cerveteri comprova ed aggrava i timori già manifestati dai comitati, e registra come dalla documentazione sulla base della quale è stata rilasciata l'autorizzazione rilevino inesattezze sia relativamente alla vicinanza degli insediamenti urbani sia relativamente alla presenza di corsi d'acqua, sorgenti sulfuree e ferruginose, acque idrotermali e movimenti franosi nonché, a giudizio della perizia, una grave mancanza di dati tecnici essenziali riguardanti l'alimentazione dell'impianto, le precauzioni assunte per evitare il rischio di ricontaminazione dei digestati, l'effettiva quantità di azoto contenuta nel biogas e la presenza di altri componenti, la temperatura di uscita dei fumi, il computo emissivo;
   come sollecitato da diversi comitati e associazioni alle istituzioni locali l'area presso la quale insiste l'impianto è sottoposta a plurime forme di tutela (ZPS, PAI, Natura 2000, e altro) per i suoi singolari pregi naturalistici, paesaggistici, archeologici e termali –:
   quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, intenda il Ministro interrogato intraprendere, al fine di tutelare e salvaguardare la qualità ambientale di un'area tutelata come quella descritta;
   quali iniziative intenda assumere per rafforzare la salvaguardia della diverse aree tutelate previste (ZPS, SIC, Natura 2000), anche in ragione di una significativa debolezza normativa, pur nel quadro istituzionale di competenze concorrenti, per impianti di produzione da energia elettrica da biogas. (4-00832)


D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area costiera della Capitanata, e in particolare il golfo di Manfredonia, rappresenta uno dei beni italiani più preziosi per la tutela della biodiversità, in quanto sono presenti in questa zona importanti zone umide costiere ricomprese sia all'interno della rete natura 2000 (SIC zone umide della Capitanata IT9110005, ZPS paludi presso il golfo di Manfredonia IT9110038, SIC foce Ofanto lago Capacciotti IT9120011, SIC valle del Cervaro, bosco dell'Incoronata IT9110032), e parte di questi biotopi sono compresi in due istituti di tutela: il Parco nazionale del Gargano, e il Parco regionale del fiume Ofanto;
   le seguenti aree risultano essere riserva naturale statale di popolamento animale: Palude di Frattarolo, riserva naturale statale di popolamento animale Saline di Margherita di Savoia, riserva naturale statale di popolamento animale il Monte. Tra le tante zone umide del golfo una, le Saline di Margherita di Savoia è riconosciuta come zona Ramsar, (mentre per le altre si sta ancora spettando il riconoscimento). Tutto quanto detto fa si che questo polo di zone umide risulti tra i più importanti del bacino del Mediterraneo;
   questo formidabile sistema di zone umide in quanto legate all'apporto acqua da parte dei corpi superficiali, risulta particolarmente sensibile all'inquinamento proveniente dal non funzionamento dei depuratori ed in particolare del depuratore di Foggia;
   infatti, in riferimento alla qualità delle acque in uscita dai depuratori della provincia di Foggia si fa presente che in base ai dati rilevati dall'ARPA il principale torrente (il Candelaro) che alimenta l'area, presenta un giudizio di conformità non idonea alla vita dei pesci. In generale rispetto al livello di inquinamento da macrodescrittori la valutazione è la peggiore tra i corpi idrici superficiali della Puglia, ovvero presenta un giudizio pessimo;
   anche tutti gli altri corpi idrici superficiali presenti in provincia di Foggia si caratterizzano comunque per avere un quadro abbastanza simile al Candelaro;
   in seguito ad una interrogazione di un consigliere regionale circa il non funzionamento dei depuratori, l'ARPA ha così risposto: «come da protocollo stabilito con la Regione Puglia presso l'impianto di depurazione comunale di Foggia ARPA deve eseguire n. 24 prelievi annuali di reflui effluenti. Di questi 18 costituiscono controlli relativi al rispetto dei limiti della tab. 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006 mentre gli altri 6 riguardano la tab. 3 dello stesso decreto. Al 31 ottobre risultano eseguiti n. 20 campionamenti, di cui 14 per tali, 1 e 6 per tab. 3. Tutti i 6 controlli relativi alla tab. 3 hanno rivelato la non conformità dello scarico, mentre una non conformità è stata rilevata per 10 dei 14 controlli relativi alla tab. 1. Tali risultati sono indubbiamente sintomo della presenza di criticità strutturali o funzionali presso l'impianto in questione. Tutte le non conformità rilevate (16 su 20) sono state trasmesse alla Provincia, al Sindaco, all'AQP, alla Pura Depurazione ed alla Regione Puglia, come da prassi. Il giudizio sull'eventuale «corretto funzionamento» dell'impianto, comunque, non è competenza di questa Agenzia, poiché implica un'analisi di dettaglio strutturale-gestionale del processo che essa non è titolata e qualificata svolgere autonomamente. L'uso agricolo degli effluenti, nel caso specifico, non è autorizzato, non esistendo un apposito impianto di affinamento e il sistema di gestione della distribuzione che necessiterebbero per rendere sicura e controllata tale pratica. Tale uso, pertanto, risulta illegittimo; sta agli organi di controllo territoriale e di PG rilevarlo e sanzionarlo. Eventuali rischi sanitari diretti possono derivare prevalentemente proprio da tale comportamento illegittimo;
   si sottolinea che questo dato appare ancora più grave tenuto conto delle modalità, con cui viene gestita l'attivazione delle centraline per l'auto-campionamento, che servono a monitorare la qualità delle acque trattate. Infatti sembrerebbe che l'attivazione delle stesse avvenga indistintamente sia dall'ARPA che dagli addetti di Pura (società SPA controllata dall'AQP, deputata alla gestione dei depuratori), ossia da controllati e dai controllori in maniera indistinta;
   è emerso dall'indagine giornalistica prodotta dagli attivisti del gruppo (www.foggia5stelle.eu), che gli enti territoriali competenti per il controllo non dialogano tra di loro e pertanto si assiste ad un mancato controllo ed a una modalità quantomeno discutibile di rilasciare autorizzazioni al prelievo per usi irrigui di acque che non possono a logica rientrare nei parametri stabiliti dal decreto legislativo n. 152 del 2006;
   si ricordano l'importanza strategica che ha la risorsa acqua e del valore biologico degli stessi torrenti; tale situazione appare come una delle criticità ambientali in riferimento al mantenimento di adeguati livelli di biodiversità più gravi che investono la nostra provincia. Tale situazione compromette la sopravvivenza di diverse specie d'interesse comunitari ai sensi della direttiva habitat 92/43/CEE, nonché presenti nella Red List delle specie minacciate come l'Alborella meridionale Alburnus albidus, il Nono Aphanius fasciatus, lo Spinarello Gasterosteus aculeatus, il Ghiozzetto di laguna Knipowitschia panizzae, l'Anguilla Anguilla anguilla, per non parlare delle centinaia di specie di uccelli, molte delle quali ritenute prioritarie ai sensi della direttiva Uccelli 79/409 CEE;
   è anche utile riflettere sul fatto che la Capitanata non si caratterizza per essere una delle province più industrializzate ed appare quindi evidente che il contributo dei depuratori al pessimo stato di salute dei torrenti e delle zone umide costiere nonché della situazione dei tratti di mare prospicienti, è da ritenersi rilevante –:
   quali siano i modi e i tempi necessari per un intervento definitivo e risolutivo dell'emergenza ambientale che affligge il golfo di Manfredonia e i corpi idrici superficiali della provincia di Foggia onde evitare l'apertura di una probabile infrazione comunitaria ai sensi delle numerose violazioni sia delle direttive comunitarie uccelli 79/409/CEE, direttiva habitat 92/43/CEE, direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE;
   se il Ministro in indirizzo ritenga di dover avviare una verifica anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente in ordine alla mancata risoluzione dei problemi che affliggono il golfo di Manfredonia e i corpi idrici superficiali della provincia di Foggia anche attraverso la verifica dei seguenti ulteriori aspetti:
    valutare quanti camion di fanghi sono partiti dal depuratore (ad esempio di Foggia) negli ultimi anni, confrontando l'attuale gestione con le precedenti;
    verificare la coerenza tra lo stato di degrado dei corpi idrici superficiali e la certificazione della qualità delle acque in uscita dai depuratori;
    valutare con attenzione l'idoneità dei fanghi prodotti (per esempio dal depuratore di Foggia) e dagli altri depuratori per lo spandimento nei terreni;
    valutare il funzionamento della linea di trattamento che dovrebbe rendere idoneo il fango all'utilizzo in agricoltura per esempio nel depuratore di Foggia;
    verificare la composizione dei terreni in cui sono stati effettuati gli spandimenti per controllare se, come sicuramente sarà stato, i fanghi hanno effettivamente raggiunto i terreni;
    come sia possibile il prelievo di acque a fini irrigui (con apposite stazioni di pompaggio), a ridosso della recinzione dell'impianto di depurazione di Foggia;
    valutare se vi sia una correlazione tra piene dei torrenti e ritmo di smaltimento dei fanghi;
    valutare la cause del non funzionamento ottimale degli impianti, stante il fatto che i problemi relativi al depuratore di Foggia sono riscontrabili in tutti o quasi tutti i depuratori pugliesi;
    se all'interno del sedime del depuratore di Foggia, siano stati interrati fanghi durante le precedenti gestioni;
   se in virtù di quanto esposto e dei rischi su esposti, relativi al possibile avvio di una procedura d'infrazione comunitaria, non sia il caso di promuovere l'istituzione di una task force al fine di verificare e rimuovere i motivi che stanno provocando un tale scempio ambientale. (4-00835)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sul Monte Gibli, nel comune di Mazzarino (CL), sono state insediate nel tempo un gran numero di antenne, utilizzate per la radiotrasmissione televisiva e per la telefonia cellulare. Tali installazioni insistono in un contesto di alto valore naturalistico e paesaggistico, molto vicine a zone densamente abitate;
   nei primi giorni di aprile 2013 sono cominciati i lavori per l'installazione di un ulteriore impianto, di grandi dimensioni, presumibilmente utile alla trasmissione radio;
   al fine di fare chiarezza sulla legittimità di tali installazioni, e sulla eventuale nocività delle stesse, alcuni cittadini della zona hanno costituito il comitato «Libero Comitato contro l'inquinamento elettromagnetico». A seguito di una raccolta firme, cui hanno aderito 1200 cittadini (circa il 10 per cento della popolazione della zona), il comitato ha proceduto ad interpellanze alle autorità locali e regionali, per conoscere l'avvenuta procedura autorizzativa delle installazioni ed al fine di avere rassicurazioni circa l'impatto ambientale delle stesse. L'autorità regionale ARPA (agenzia regionale protezione ambiente) e l'ufficio sanitario locale non hanno però dato alcun riscontro ed anche il riscontro del comune di Mazzarino (benché l'interpellanza sia stata sottoscritta da 10 consiglieri comunali) non è stato esaustivo. I lavori di costruzione della nuova antenna sono stati però sospesi, presumibilmente a seguito delle pressioni dello stesso comitato;
   il Comitato ritiene che nel comune di Mazzarino vi sia un'alta incidenza di patologie, soprattutto tumorali, potenzialmente correlate all'inquinamento elettromagnetico. A tal fine, ed ancora senza risposta, ha chiesto alle autorità sanitarie di porre in essere, laddove non sia già stata posta, un'indagine epidemiologica specifica –:
   di quali elementi disponga sulla vicenda il Governo e se si intendano promuovere studi di carattere epidemiologico per accertare l'incidenza di patologie correlate all'inquinamento elettromagnetico nella zona di Monte Gibli, studi che parrebbero necessari vista l'alta concentrazione di antenne installate in una zona altamente popolata, considerata la crescente preoccupazione della popolazione. (4-00837)


   MAGORNO e COVELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Shell Italia con altre compagnie petrolifere ha chiesto e avviato i procedimenti per l'esecuzione delle trivellazioni al largo delle coste del Mar Jonio comprese tra il Golfo di Taranto e quello di Sibari, comprese le relative procedure di valutazione di impatto ambientale;
   in merito risulta formalizzato esito positivo delle verifiche tecnico-amministrative relative alla procedibilità dell'istanza di valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   i comuni costieri interessati hanno formalmente deliberato la ferma opposizione delle popolazioni locali considerato il rilevante impatto ambientale e la vocazione turistica del territorio interessato che verrebbe compromessa irreversibilmente da un'eventuale attività estrattiva;
   in particolare l'area della piana di Sibari, costituisce un'eccellenza agroalimentare che contrasterebbe con la ricerca di idrocarburi nel prospiciente Mar Jonio;
   al largo della costa tra i comuni di Amendolara, Albidona e Trebisacce, si trova la «secca di Amendolara», già proposta quale patrimonio dell'UNESCO;
   l'intera costa jonica è costituita da bellezze naturali e ambientali di particolare pregio artistico e architettonico, con numerosi siti archeologici (Sibari, Francavilla, Amendolara, Roseto Capo Spulico e Broglio di Trebisacce);
   tutti i comuni costieri hanno avviato iniziative turistiche ecosostenibili inconciliabili con la ricerca degli idrocarburi al largo della costa jonica in quanto essa altererebbe il paesaggio nonché la stessa salubrità delle acque fra le più pulite e trasparenti del mediterraneo;
   le progettate trivellazioni sarebbero pregiudizievoli per ogni possibilità di sviluppo del litorale ionico calabrese e del suo comprensorio con gravi danni sia dal punto di vista turistico che agricolo e economico;
   la regione Calabria ad oggi non ha adottato, a quanto consta agli interroganti, alcun provvedimento diretto a scongiurare tale pericolo –:
   se e come il Governo, per quanto di competenza, intenda intervenire per scongiurare, sulla base di quanto esposto in premessa, l'installazione di piattaforme finalizzate alla ricerca di idrocarburi nel Mar Ionio in quanto incompatibili con la vera vocazione di questo comprensorio litoraneo. (4-00839)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Castellanza (provincia di Varese), nell'area dell'ex polo chimico Montedison, al confine con i comuni di Olgiate Olona, Busto Arsizio e Legnano (Milano), è prevista la realizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti chimici e farmaceutici della multinazionale israeliana Elcon;
   tale impianto è previsto all'interno della suddetta area chimica-industriale che si affaccia sul Sempione, zona densamente abitata, a pochi metri dalle case dei cittadini e non lontano da asili, scuole e dall'università Liuc;
   l'area in questione è fortemente inquinata; il sito del progetto che fa parte della Valle Olona, è parte di una vasta area produttiva in gran parte dismessa, contaminata nel suolo principalmente da mercurio, e per la quale è dunque necessario procedere alla bonifica preventiva prima di qualsiasi intervento di edificazione;
   in particolare gli obiettivi di bonifica devono riguardare le acque di falda e il soggetto subentrante dovrà compartecipare agli oneri e alle azioni di bonifica dell'acquifero;
   i sindaci dei comuni interessati dalla realizzazione dell'opera hanno espresso forte preoccupazione in ordine allo scarico delle acque di processo dell'impianto, in relazione anche allo stato di qualità attuale del fiume Olona e alle difficoltà attuali di gestione del depuratore consortile di Olgiate Olona; infatti, l'impianto, produrrebbe 150 mila metri cubi all'anno di acqua inquinata che verrebbe inviata al depuratore di Olgiate Olona e, da lì, al fiume Olona, peggiorando, di conseguenza, la situazione già critica del fiume;
   il fiume Olona è stato dichiarato area sensibile dall'articolo 91 del codice dell'ambiente di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni; le aree sensibili sono individuate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che provvede, ogni quattro anni, alla riedificazione di tali aree e dei rispettivi bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento delle aree sensibili;
   dagli anni ottanta è in atto un'azione di bonifica del fiume Olona, con la costruzione di depuratori;
   lo Stato ha assegnato anche specifiche risorse all'area ad elevato rischio di crisi ambientale «Lambro-Olona-Seveso», nell'ambito dei programmi triennali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'azione pubblica e per la tutela ambientale;
   è in corso presso la regione Lombardia il procedimento di valutazione di impatto ambientale, ai fini della valutazione degli impatti che verrebbero prodotti dal funzionamento del nuovo impianto che interessano, oltre la falda acquifera, e conseguentemente le acque del fiume Olona, anche la qualità dell'aria, profondamente compromessa nella zona da polveri sottili generate dagli impianti industriali e dalla congestione del traffico; il nuovo impianto creerebbe un ulteriore aggravio del traffico, generando un indotto di oltre 30 camion al giorno che passerebbero all'interno dei centri abitati;
   inoltre, l'impianto rilascerebbe in atmosfera sostanze pericolose per la salute, quali polveri, benzene, ossidi di azoto, NOX, SOX, HCL, CO, COT, HF, ammoniaca, metalli pesanti, diossine e furani, oltre ai PM 2,5, non controllati dal sistema di misura delle emissioni; oltre a ciò l'impianto rilascerebbe vapore acqueo (pari al 75 per cento dell'acqua presa dai pozzi barriera) contenente arsenico, formaldeide, ferro; si tratta di inquinanti che trasformandosi in particolato secondario peggiorano la qualità dell'aria della pianura padana, con ricadute anche a distanza e ciò peggiorerebbe la situazione italiana nei confronti della commissione europea anche in considerazione della procedura di infrazione contro il nostro Paese per superamento dei limiti del PM10 che interessa soprattutto la pianura padana;
   la Elcon è una società israeliana fondata ad Haifa nel 2003, che ha sviluppato una tecnologia per il trattamento e lo smaltimento chimico e fisico dei rifiuti liquidi, pericolosi e non, principalmente scarti di aziende chimiche e farmaceutiche; attualmente l'unico impianto esistente è stato realizzato proprio ad Haifa ed è funzionante dal 2004; ma da allora, in tutto il mondo, la tecnologia proposta, che utilizza enormi volumi di acqua per i processi di raffreddamento, non ha trovato altre applicazioni;
   l'impianto è previsto a meno di venti chilometri dalla sede di Expo 2015 e un inquinamento della falda acquifera e del fiume Olona, proprio a ridosso dell'evento considerato strategico per il Paese, ove, peraltro, si discuterà di alimentazione sana, acqua potabile, prevenzione di malattie e stili di vita sostenibili, sarebbe il peggior deterrente per il rilancio del Paese a livello internazionale –:
   se si intendano assumere iniziative normative al fine di evitare che siano realizzati impianti di smaltimento di rifiuti chimici e farmaceutici in aree sensibili come quella in prossimità del fiume Olona, considerati gli effetti che tali impianti possono determinare in termini di inquinamento del suolo, della falda idrica e dell'atmosfera. (4-00843)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOSSA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   l'archivio Parisio è la vera e propria memoria fotografica della città di Napoli; una raccolta straordinaria di foto ospitata da quasi novant'anni nello studio che Giulio Parisio aprì nel 1926 a piazza del Plebiscito a Napoli, e che custodisce un milione di negativi su diversi supporti e formati;
   si tratta di un importante patrimonio visivo che costituisce un archivio fra i più compatti e omogenei disponibili nel sud dell'Italia e documenta l'evoluzione della storia sociale, culturale e urbana della città di Napoli e della Campania;
   l'archivio Parisio, è stato rilevato nel 1995 dal fotografo Stefano Fittipaldi, che lo prese dalle mani di Fabrizio Parisio, l'ultimo rappresentante della famiglia di fotografi napoletani;
   l’atelier fotografico è collocato in una delle botteghe del porticato di piazza Plebiscito; le botteghe del porticato erano di proprietà dei Borbone, poi dei Savoia e infine dello Stato. Dopo il Concordato furono affidate al Fondo edifici di culto (Fec), presso il Ministero dell'interno;
   sull'archivio Parisio pende una incredibile vicenda giudiziaria; il Fondo edificio di culto ha chiesto canoni arretrati per l'occupazione dei locali di piazza Plebiscito per oltre 200 mila euro; il fotografo Fittipaldi ha proposto di lasciare piazza del Plebiscito e spostare tutto in altra sede per non dover pagare il fitto ma non può perché la soprintendenza regionale dei beni culturali, dal canto suo, ha vincolato foto e locali; l'archivio Parisio, di fatto, è inamovibile;
   in sostanza da un lato, il Ministero per i beni e le attività culturali ha emesso due provvedimenti di vincolo, uno del 1998 ed uno del 2002, che obbligano l'archivio e il suo gestore a restare nei locali di piazza del Plebiscito, dall'altro il Ministero dell'interno che tramite il Fondo edificio di culto si dice proprietario della bottega e rivendica un canone dall'occupante, il quale, a sua volta, non può pagarlo né andare via;
   la vicenda pende di fronte alla nona sezione civile del tribunale di Napoli. Manca infatti solo la sentenza nel processo avviato nel 2008 dal Ministero dell'interno contro Stefano Fittipaldi per il pagamento dei canoni dei locali di piazza Plebiscito –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga, e in che modo, di intervenire per dare alla vicenda dello storico archivio Parisio un assetto stabile, una tutela complessiva, mettendo ordine nel complesso intreccio normativo e stilando un programma di valorizzazione e cura di quello straordinario patrimonio fotografico. (5-00311)


   BOSSA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la Reggia di Caserta, con il suo monumentale giardino, è uno dei palazzi reali più belli al mondo ma versa in condizioni di intollerabile degrado, che è stato di recente segnalato da importanti giornali stranieri;
   il giornale inglese Daily Mail ha titolato, a tal proposito: «Vandali e sciacalli minacciano il palazzo reale più maestoso al mondo»; nell'articolo vengono evidenziati alcuni aspetti eclatanti: pioggia e ruggine avrebbero ridotto le garitte, strutture in metallo a ridosso degli ingressi della Reggia, a dei veri e propri tunnel senza luce e con pavimenti pieni di buche;
   un altro giornale internazionale come il Telegraph, con un articolo a firma del giornalista Nick Squires dal titolo «Italy's Royal Palace of Caserta facing chronic neglect» (la Reggia di Caserta alle prese con un degrado cronico), spiega come il degrado della Reggia di Caserta rappresenti soltanto l'ultimo esempio del declino dello straordinario patrimonio culturale italiano, schiacciato tra recessione e tagli da parte del Governo;
   il giornale australiano Herald Sun, invece, denuncia il comportamento dei turisti che visitano il palazzo. L'ex residenza reale, infatti, sarebbe deturpata da graffiti e le strutture di marmo rovinate dalle staffe in ferro arrugginite;
   giornali come Repubblica e Il Mattino hanno documentato lo stato di abbandono del viale di ingresso alla Reggia, ormai preda di ambulanti abusivi e bancarelle;
   nei giorni scorsi, i carabinieri della Compagnia di Caserta, nell'ambito dell'inchiesta coordinata dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, hanno appurato che all'ombra del monumentale palazzo reale c’è un fiorente giro di spaccio di sostanze stupefacenti; sono finite in manette quattro donne, che spacciavano anche all'esterno dei giardini a pochi metri dall'ingresso principale della Reggia –:
   se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e come il Governo intenda agire per tutelare uno dei tesori del patrimonio storico, artistico e architettonico italiano. (5-00312)


   CHAOUKI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale della città di Caserta ha recentemente approvato – dapprima il progetto preliminare e poi quello definitivo, nella seduta dell'organo amministrativo dell'8 aprile 2013 con deliberazioni n. 43 e n. 44 – un progetto finalizzato alla realizzazione di un «wine bar» nel sito museale delle scuderie del reale belvedere di San Leucio;
   come noto, il complesso monumentale di San Leucio ha ottenuto l'attribuzione di patrimonio mondiale dell'umanità da parte dell'Unesco e merita massimo sforzo e attenzione per la sua tutela e valorizzazione, nel rispetto delle sue caratteristiche storiche, architettoniche e culturali;
   la singolare decisione dell'amministrazione comunale di Caserta sarebbe stata giustificata dall'asserita mancanza di progetti alternativi, nonostante che nel corso degli ultimi anni fossero state avanzate proposte ben più coerenti con le caratteristiche del sito, quali la creazione di un centro di ricerche d'avanguardia sulla seta e, più in generale, sulle fibre tessili di interesse ingegneristico-strutturale, ipotesi che ebbe il sostegno del polo delle scienze e delle tecnologie dell'università degli studi di Napoli Federico II, della SUN, di Confindustria nazionale o la destinazione degli spazi del belvedere quale sede della Biblioteca dell'istituto italiano di studi filosofici, che oggi sembrano giacere nel disinteresse generale in alcuni container;
   sulla base delle informazioni a disposizione dell'interrogante, non sembra che su tale decisione l'amministrazione comunale abbia acquisito un parere preventivo della competente Soprintendenza;
   in passato sono state presentate diverse denunce, anche alla competente procura, su alcuni scempi edilizi perpetrati a danno della «Locanda Trattoria», che funge da «pronao» al sito; opere che, dopo una serie di visite ispettive, sono all'attenzione di un'apposita commissione dell'Unesco che sta valutando se cancellare il reale belvedere dall'elenco dei siti «patrimonio dell'umanità» a causa della grave incuria in cui versa, dell'improprio allestimento dei locali e della mancanza di qualsivoglia struttura di supporto degna di un museo europeo –:
   quali siano le informazioni a disposizione del Ministro interrogato sulla decisione sommariamente esposta in premessa;
   se ritenga compatibile con le caratteristiche del sito l'idea di realizzare un «wine bar» all'interno delle scuderie del reale belvedere di San Leucio;
   quali iniziative intenda assumere al fine di verificare il reale stato di conservazione e gestione del complesso monumentale di San Leucio, per scongiurare il protrarsi del suo degrado e snaturamento e la conseguente compromissione di un bene di straordinario valore, con il rischio che possa comportare anche la cancellazione dall'elenco dei siti «patrimonio dell'umanità» dell'Unesco. (5-00332)

DIFESA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   nel 2001 scoppia il caso «Sindrome nei Balcani», con l'emergere dei primi casi di militari italiani ammalatisi o deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo, due paesi bombardati dalla Nato, nel 1995 e nel 1999, con proiettili all'uranio impoverito (DU);
   l'uranio impoverito (depleted uranium) deriva da materiale di scarto delle centrali nucleari e viene usato per fini bellici per il suo alto peso specifico e la sua capacità di perforazione. Quando un proiettile al depleted uranium colpisce un bunker o un carro armato, vi entra senza incontrare resistenza e alla sua esplosione ad altissima temperatura rilascia nell'ambiente nano-particelle di metalli pesanti. Ad oggi, viene confermato dalla ricerca scientifica che questi proiettili sono pericolosi sia per la radioattività emanata sia per la polvere tossica che rilasciano nell'ambiente. Una neverending story anche per i cittadini di Bosnia, Serbia e Kosovo: nonostante il battage mediatico, poco si è fatto per analizzare in maniera approfondita le conseguenze di quei bombardamenti. Una sentenza del 18 marzo 2013, emessa dalla Corte dei Conti della regione Lazio, accoglie il ricorso di un militare ammalatosi di tumore, al quale il Ministero della difesa aveva rigettato la richiesta di pensione privilegiata. Il Ministero ha rifiutato la richiesta in base al parere negativo del comitato di verifica per le cause di servizio che ha definito la malattia del militare di tipo ereditario e non dipendente dal servizio svolto nei Balcani. Dalla sentenza della Corte laziale emergono invece due fatti; la diagnosi del Comitato è errata e la malattia è correlata alle condizioni ambientali in cui è stato prestato il servizio in Kosovo;
   «Sono 307 i militari morti e oltre 3.700 i malati, per quanto riguarda i dati di cui siamo in possesso» ha dichiarato Domenico Leggiero – portavoce dell'Osservatorio militare – a Osservatorio Balcani e Caucaso (Obc);
   sono 17 le sentenze di condanna per l'amministrazione della Difesa in vari ordini di giudizio. Tar, tribunali civili, Corte dei conti di varie zone d'Italia indicano l'uranio come colpevole delle malattie dei militari e condannano l'amministrazione perché sapeva e aveva taciuto i pericoli. I militari, ma anche civili che hanno operato nei Balcani, si sono rivolti agli avvocati per non aver ottenuto dallo Stato il riconoscimento della causa di servizio e gli indennizzi per i quali era stato istituito un fondo di 30 milioni di euro con la finanziaria per il 2008. Come emerge dalla relazione finale della terza Commissione d'inchiesta sul depleted uranium, approvata il 9 gennaio, ad oggi sono pochissime le domande prese in esame e accolte –:
   quali iniziative intenda intraprendere per dare risposte alle esigenze poste dai militari delle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo malati o morti di cancro in conseguenza dei bombardamenti Nato con proiettili all'uranio impoverito.
(2-00093) «Melilla».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   CORDA, ALBERTI, RIZZO, FRUSONE, PAOLO BERNINI, BASILIO e ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti di stampa si apprende che cinquecento marines sono stati trasferiti nei giorni scorsi in Sicilia dalla base di Rota in Spagna. Gli uomini fanno parte della Marine Air Ground Task Force (MAGTF), la forza speciale costituita nel 1989 per garantire al Corpo dei Marines flessibilità e rapidità d'azione nei differenti scacchieri di guerra internazionali;
   l'unità di Rota è stata attivata dal Pentagono da un paio di mesi per sostenere il Comando Usa in Africa (AFRICOM) nell'addestramento e la formazione delle forze armate dei partner continentali e intervenire rapidamente in Africa in caso di crisi. La decisione di dar vita alla nuova task force è stata presa nel settembre 2012 dopo l'attentato terroristico contro il consolato Usa di Bengasi in cui persero la vita quattro funzionari tra cui l'ambasciatore in Libia, Christopher Stevens;
   secondo il portavoce del Pentagono, George Little, i marines potranno intervenire da Sigonella in tempi rapidissimi nel caso di nuovi attacchi al personale diplomatico o ai cittadini Usa presenti in Libia per «effettuarne eventualmente l'evacuazione»;
   al seguito dei marines sono giunti a Sigonella otto velivoli da trasporto e assalto anfibio Bell Boeing CV-22 «Osprey» (falco pescatore). Si tratta dei controversi «convertiplani» (bi-turboelica in grado di atterrare e decollare come un elicottero e volare come un normale aereo), capaci di trasportare fino a 24 soldati del tutto equipaggiati, alla velocità di 509 chilometri all'ora;
   l’Osprey è oggetto di forte discussione a cause delle sue scarse condizioni di sicurezza in volo. Da quando è divenuto operativo, il velivolo è stato al centro di numerosi incidenti e una trentina tra contractor e militari sono morti durante test ed esercitazioni. Nella primavera dello scorso anno due Osprey si sono schiantati al suolo, il primo durante un'esercitazione militare in Marocco (morti due marines) e il secondo in Florida. Per l'alto rischio di incidenti e l'insostenibile rumore emesso dal velivolo durante le operazioni di decollo e atterraggio, migliaia di cittadini giapponesi hanno dato vita a numerose manifestazioni di protesta contro la decisione di dislocare 12 convertiplani nella grande base aerea Usa di Okinawa;
   i risultati della guerra di Libia, lungi dall'aver portato stabilizzazione e democrazia nel Paese, consegnano una nazione divisa per eserciti tribali, in preda a ripetute operazioni terroristiche (a Bengasi e non solo) e con una forte penetrazione delle componenti più estreme e pericolose del fondamentalismo islamico. Si ha l'impressione che alle forze occidentali, che a diversi livelli sono intervenute nel conflitto armato contro Gheddafi, interessi non tanto il ripristino dei diritti umani e delle libertà democratiche fondamentali, quanto la messa in sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi come dimostrano gli innumerevoli contratti estrattivi stipulati dalle multinazionali del petrolio, Eni tra queste, e il precario nuovo governo di Tripoli;
   l'attività degli otto velivoli da trasporto e assalto anfibio Bell Boeing CV-22 «Osprey» è destinata a comportare un ulteriore appesantimento del traffico aeronavale con uno specifico impatto sull'attività dell'aeroporto civile di Fontanarossa e sull'incolumità della popolazione soprattutto sul piano dell'inquinamento acustico nella zona –:
   se il Governo italiano sia stato informato, anche ai fini del coinvolgimento delle Forze armate italiane, della decisione del Pentagono di spostare dalla base di Rota la task force di 500 marines, che configura un ulteriore impatto sul processo di militarizzazione in atto in Sicilia, così maggiormente esposta al rischio di diventare bersaglio di ritorsioni terroristiche, nonché un aggravio per le problematiche ambientali della zona. (5-00328)


   DURANTI, SCOTTO e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento all'attentato avvenuto l'8 giugno 2013, nella zona di Farah, area meridionale nell'ovest dell'Afghanistan considerata particolarmente a rischio, in cui un blindato VTLM Lince, con a bordo sette uomini, di rientro alla base dopo aver svolto attività di sostegno alle unità dell'esercito afghano, secondo ricostruzioni dello Stato maggiore della difesa mentre rallentava nei pressi di una rotatoria è stato oggetto di un attacco da parte di elementi ostili che lanciavano un ordigno esplosivo all'interno del veicolo;
   nell'attentato, successivamente rivendicato dalle milizie talebane, perdeva la vita l'ufficiale dell'esercito capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa, di 31 anni, e rimanevano feriti altri tre componenti dell'equipaggio, immediatamente trasferiti all'ospedale della base di Farah senza risultare in pericolo di vita;
   il 12 giugno 2013 si è svolta in Aula un'informativa urgente resa dal Ministro della difesa, Mario Mauro, per riferire, tra l'altro, sulla dinamica dell'attentato; nella stessa giornata si sono svolte comunicazioni del Governo davanti alle Commissioni esteri di Camera e Senato sul tema delle missioni internazionali;
   il Lince è un veicolo tattico leggero multiruolo (VTLM) a trazione integrale 4x4, che può essere impiegato in ogni ambiente operativo;
   soltanto a maggio del 2009, a seguito di una lettera proveniente da un soldato italiano operante in Afghanistan che lamentava una sequela di inadeguatezze all'equipaggiamento, ivi compresa quella dei blindati, meno sicuri a suo dire dell’High mobility multi-purpose wheeled vehicle in dotazione all'esercito statunitense a causa della differenza connessa con il tetto del mezzo, sul quale era prevista la presenza di una torretta remotizzata (una mitragliatrice comandata dall'interno del veicolo), il Ministero della difesa decideva di emanare un bando di gara a livello europeo con procedura «ristretta accelerata» per l'acquisto di torrette remotizzate da installare, per l'appunto, sui Lince;
   la torretta remotizzata, allo stato attuale, risulta non essere stata montata su tutti i Lince impiegati in Afghanistan;
   il primo obiettivo del Governo deve essere la tutela e l'incolumità dei militari italiani impegnati nelle missioni internazionali e che il VTLM Lince, oggetto di attentato l'8 giugno 2013, sembra fosse sprovvisto della torretta remotizzata e quindi incapace di garantire la sicurezza dell'equipaggio –:
   se il Governo sia in grado di motivare la mancata dotazione di tutti i VTLM Lince presenti in Afghanistan di torrette remotizzate. (5-00329)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ARIENZO e MARCON. — Al Ministro della difesa, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta era il risultato di numerose iniziative che si erano proposte nel tempo, a seguito di quanto disposto dall'articolo 8, comma 2, lettera e), della legge 8 luglio 1998, n. 230, che affidava all'Ufficio nazionale per il servizio civile il compito di «predisporre, d'intesa con il Dipartimento della Protezione civile, forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta»;
   già a partire dal 2001, infatti, l'Ufficio proponeva iniziative relative a forme di ricerca e sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta sulla base di un ordine del giorno della Camera dei deputati del 14 aprile 1998;
   in particolare, l'Ufficio aveva ritenuto quanto mai opportuno costituire un Comitato «di carattere tecnico e ad elevata specializzazione» ai sensi dell'articolo 18, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in quanto il perseguimento di questo importante obiettivo richiedeva il coinvolgimento di soggetti pubblici che garantivano l'apporto di specifiche competenze professionali;
   il primo Comitato è stato costituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 febbraio 2004 successivamente integrato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2004 ed ha operato fino al termine della XIV legislatura. Successivamente il Ministro della solidarietà sociale pro tempore confermava il Comitato con decreto in data 27 dicembre 2007 e poi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 gennaio 2010, integrato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 aprile 2010, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 ottobre 2010, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2010;
   tale organismo era composto da diciotto membri, sei dei quali rappresentavano le amministrazioni centrali maggiormente coinvolte (dipartimento per la protezione civile; affari esteri; difesa; interno; regioni e province autonome; ANCI), mentre i restanti erano individuati in quanto esperti in materia di difesa civile non armata e nonviolenta;
   nel corso di questi anni, il Comitato ha formulato un piano di programmazione delle attività che è stato presentato all'Ufficio nazionale affinché finalizzasse le proprie iniziative nel contesto dei principi enunciati nell'articolo 1 della legge n. 230 del 1998 e in quelli enunciati nell'articolo 1 della legge n. 64 del 2001, quale primo adempimento della legislazione che riconosce la difesa non armata e nonviolenta come espressione del dovere costituzionale di difesa della Patria;
   in particolare, il Comitato ha approvato un programma di lavoro sottoposto all'Ufficio e alla Consulta nazionale per il servizio civile, che contemplava distintamente due forme di attività: ricerca e sperimentazione. Per la prima, era stato proposto all'Ufficio di approfondire alcune tematiche attraverso attività seminariali, ricerche mirate e raccolta di materiale e di documentazione;
   nel dettaglio, era stata proposta e realizzata una ricerca avente per oggetto «le attività formative civili relative a peacekeeping e peace research»;
   riguardo alla sperimentazione, invece, il Comitato ha proposto all'Ufficio il documento recante «Criteri e requisiti per la valutazione di progetti sperimentali di servizio civile all'estero nell'ambito della Dcnan» per l'incentivazione di progetti sperimentali di difesa civile non armata e nonviolenta all'estero. Inoltre, era stato conseguentemente convocato un incontro preliminare con gli enti interessati allo scopo di poter mettere a punto elementi e possibili misure specifiche per la presentazione e la gestione di tali progetti;
   senza dubbio, tra le iniziative proposte dal Comitato, particolare rilievo ha assunto l'organizzazione del seminario di studio «L'evoluzione del principio costituzionale del sacro dovere di difesa della patria alla luce dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale: la difesa civile non armata e nonviolenta», tenutosi a Roma il 19 maggio 2005;
   il Comitato in parola, nonostante non avesse prodotto spesa – erano previsti solo il rimborso del biglietto ferroviario per le riunioni a Roma – è stato soppresso con il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, di revisione della spesa pubblica –:
   se non si ritenga di assumere iniziative per la riattivazione dell'organismo per la qualità dell'impegno e del lavoro svolti. (4-00815)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARCOLIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto dei cittadini e delle imprese del nostro Paese con il fisco è da tempo segnato da distanza ed incomprensione: ad una pressione fiscale tra le più alte d'Europa si contrappone un sistema di riscossione complesso, lento, appesantito da gravami burocratici che logorano la volontà di chi intende adempiere ai propri doveri fiscali e crea spazi e incentivi all'evasione;
   la necessità di un «fisco amico», proposto ma mai realizzato da molti governi, passa anche attraverso l'offerta di un servizio di gestione fiscale disponibile al confronto e all'assistenza nelle controversie, facile da raggiungere, o perlomeno strutturato in modo tale che il dialogo con le agenzie deputate non costituisca di per se un ulteriore aggravio per cittadini ed imprese;
   in conseguenza dei provvedimenti di spending review l'Agenzia delle entrate ha annunciato a diverse riprese la chiusura di alcune sedi, peraltro senza stabilire date chiare ma con indicazioni generiche e successive sospensioni; ciò ha creato allarme ed incertezza nei territori di riferimento;
   tecnicamente l'Agenzia delle entrate intende perseguire l’«economizzazione dei costi di gestione e i carichi di lavoro esigui per i quali non si giustificano gli oneri connessi al loro funzionamento»;
   l'immediata reazione delle associazioni di categoria, ma anche degli amministratori di molti dei territori interessati fa ben comprendere come invece la necessità di uffici decentrati sia molto importante per il tessuto economico indipendentemente dai volumi delle pratiche espletate;
   in particolare in due regioni del nord, l'Agenzia delle entrate intenderebbe chiudere gli uffici territoriali di Nizza Monferrato, Cessato, Bra, Chieri, Domodossola, Santhià in Piemonte e di Pieve di Cadore, Badia Polesine, Castelfranco Veneto, Vittorio Veneto e Arzignano in Veneto, facendo seguito alla chiusura, disposta già nel luglio scorso, di altri 17 uffici nello stesso territorio;
   il risparmio ottenuto in questo modo dall'Agenzia delle Entrate, peraltro tutto da quantificare, è in realtà un rovesciamento dei costi sull'utenza, un mero spostamento dell'onere e quindi non un taglio di costi ma un aggravio per l'economia –:
   se il Governo intenda intervenire per scongiurare la chiusura delle menzionate sedi dell'Agenzia delle Entrate, evitando di penalizzare ulteriormente un tessuto economico e territoriale già duramente provato dalla crisi. (5-00320)


FANUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'emergenza relativa al pagamento delle spettanze agli operatori ippici e alle società di corse che tardano ad arrivare rischia di generare incomprensioni e una situazione di iniquità, tanto che in questi giorni sono state annunciate molte proteste;
   Stato e concessionari hanno già ricevuto le loro spettanze, mentre operatori ippici e società di corse sono ancora in attesa, per questioni legislative che non riguardano il mondo ippico;
   agli operatori ippici spettano circa a 40 milioni di euro, a saldo del pagamento dei premi relativi al 2012, al momento coperti solo parzialmente dai 17,5 milioni di euro provenienti dal prelievo erariale unico (PREU) di cui all'articolo 30-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2;
   la situazione a questo punto è oramai insostenibile per tutti coloro lavorano in questo settore –:
   quali siano le ragioni (anche sulla base di quanto eventualmente risulti agli atti) dei ritardi accumulati dalla precedente legislatura nell'emanazione del decreto per semplificare e velocizzare i pagamenti dei premi a partire dalle due mensilità di marzo e aprile 2013 da effettuare in unica soluzione;
   se siano effettivamente disponibili i 17,5 milioni provenienti dal prelievo erariale unico (PREU) di cui all'articolo 30-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 e quale sia la tempistica della loro distribuzione;
   come stia operando il Governo per garantire la normalizzazione dei pagamenti dei premi entro 60 giorni per i restanti mesi del 2013. (5-00321)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la sigaretta elettronica, detta anche e-cig, è un nuovo prodotto che si sta diffondendo sul mercato in tutta Europa, soprattutto tra la clientela abituale della sigaretta classica;
   la rete di vendita della sigaretta elettronica conta nel territorio nazionale su numerosi punti specializzati;
   infatti, la legge che disciplina i monopoli di Stato vieta alle tabaccherie la vendita di prodotti succedanei al tabacco e definisce questi, come quei prodotti «atti a surrogare il tabacco da fumo o da fiuto»;
   secondo un'interpretazione dell'amministrazione dei monopoli di Stato, alle tabaccherie va, quindi, confermato il divieto di vendita per questo prodotto, ma all'interrogante risulta che l'interpretazione delle norma, però, non è omogenea su tutto il territorio nazionale, in quanto non è condivisa unanimemente la classificazione della sigaretta elettronica come prodotto surrogato;
   alla luce delle difformi interpretazioni, si ravvede la necessità di un chiarimento da parte del Governo;
   si fa presente, tra l'altro, che le nuove preferenze di mercato, posto che dati ufficiali non sono stati ancora pubblicati, stanno comportando un minor introito per le tabaccherie autorizzate e il permanere del divieto di vendita di queste sigarette potrebbe recare un grave pregiudizio ad una categoria già provata da diverse crisi –:
   quale interpretazione dia il Governo sulla classificazione della sigaretta elettronica quale prodotto surrogato o meno;
   se, coerentemente con l'interpretazione adottata, e in considerazione del fatto che le nuove preferenze di mercato svantaggiano l'economia di una categoria, come quella delle tabaccherie, che versa già in difficoltà, se il Governo ritenga di assumere iniziative per rimuovere o confermare il divieto di vendita della sigaretta elettronica alle tabaccherie. (4-00813)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è dei mesi scorsi la notizia, assolutamente positiva e da accogliere con entusiasmo, di una nuova boccata d'ossigeno per le piccole e medie imprese italiane: l'Abi (l'Associazione banche italiane) ha deciso una nuova proroga, fino al 30 giugno 2013, per aderire alla moratoria dei debiti delle pubbliche e medie imprese;
   si tratta dell'accordo sulle «Nuove misure per il credito alle pubbliche e medie imprese» sottoscritto nel febbraio 2012, il cui termine era fissato, in base all'ultimo slittamento, alla fine del mese di marzo e che invece proseguirà fino alla fine di giugno;
   la decisione è stata presa dal comitato esecutivo dell'Abi ed è inserita in un pacchetto di misure a sostegno delle imprese messo a punto dalle banche con i Ministeri dell'economia e dello sviluppo economico e con le associazioni delle imprese che permette di sospendere mutui e leasing, allungarne la durata, ottenere anticipazioni e finanziamenti connessi ad aumenti di mezzi propri delle pubbliche e medie imprese;
   l'accordo si rivolge alle pubbliche e medie imprese con meno di 250 dipendenti e fatturato inferiore a 50 milioni di euro, oppure con un totale attivo di bilancio fino a 13 milioni di euro e la proroga è stata decisa in considerazione della «situazione economica ancora complessa per il Paese e in vista del varo di nuove iniziative di sostegno alle piccole e medie imprese»;
   questo accordo rappresenta il modello di collaborazione che tutti i protagonisti della vita economica del nostro Paese dovrebbero perseguire quotidianamente:
   la proroga della moratoria rappresenta un passo «per individuare soluzioni e strumenti alternativi alla moratoria e utili ad affrontare l'emergenza credito e le tensioni sul fronte della liquidità delle piccole imprese che ancora oggi sono tra i principali fattori di ostacolo all'attività di impresa» e la stessa Abi annuncia di aver avviato il confronto con i rappresentanti delle imprese per individuare un nuovo accordo entro la fine di giugno, cioè quando scadrà la moratoria. Dal confronto, spiega l'Abi, è già emersa «una visione comune su una serie di temi per lo sviluppo del Paese, che potranno essere inseriti nel nuovo accordo. Fra cui l'attenuazione degli impatti di Basilea 3 sulle pubbliche e medie imprese, il potenziamento dell'operatività del Fondo di garanzia per le pubbliche e medie imprese, lo sviluppo delle reti d'impresa;
   a giudizio dell'interrogante questa iniziativa deve assolutamente prorogarsi almeno fino al 31 dicembre di quest'anno e le associazioni di categoria, banche ed imprese, devono trovare soluzioni efficaci per risolvere la crisi economica che attraversa il nostro Paese;
   il Governo e, nello specifico, i Ministri interrogati devono farsi parte attiva nella ricerca di soluzioni e devono partecipare a queste iniziative portando in tali consessi il contributo essenziale della «parte pubblica» dell'economia italiana –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per aiutare concretamente le piccole e medie imprese italiane e contribuire al raggiungimento di nuovo accordo tra le stesse ed il mondo del credito bancario nazionale. (4-00821)


   DEL BASSO DE CARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 10, del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35 ha «istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, denominato “Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili”», con una dotazione di 10.000 milioni di euro per il 2013 e di 16.000 milioni di euro per il 2014;
   il comma 13 dell'articolo 1 del decreto-legge 35 del 2013 prescrive «Gli enti locali che non possono far fronte ai pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine a causa di carenza di liquidità, in deroga agli articoli 42, 203 e 204 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, chiedono alla Cassa depositi e prestiti S.p.A., secondo le modalità stabilite nell’addendum di cui al comma 11, entro il 30 aprile 2013 l'anticipazione di liquidità da destinare ai predetti pagamenti. L'anticipazione è concessa, entro il 15 maggio 2013 a valere sulla sezione di cui al comma 11 proporzionalmente e nei limiti delle somme sullo stesso annualmente disponibili ed è restituita, con piano di ammortamento a rate costanti, comprensive di quota capitale e quota interessi, con durata fino a un massimo di 30 anni”»;
   la giunta del comune di Benevento, con deliberazione n. 46 del 2013, ai sensi dell'articolo 1, comma 10, 11 e 13 del decreto-legge 8 aprile 2013 n. 35, ha autorizzato il legale rappresentante dell'ente ed il responsabile del servizio finanziario a richiedere, in deroga degli articoli 42, 203 e 204 del testo unico sugli enti locali n. 267 del 2000, l'anticipazione alla Cassa depositi e prestiti per euro 39.501.047,10. Tale richiesta di liquidità in data 26 aprile 2013 è stata inoltrata alla Cassa depositi e prestiti che ha provveduto a protocollare la domanda assegnando il numero di posizione 000000000000000596;
   in data 8 maggio 2013 la Cassa depositi e prestiti ha invitato il comune di Benevento:
    1) a prendere visione della nota del Ministero dell'economia e delle finanze Prot. 36140 del 7 maggio 2013, ove è rappresentato: «Codesta CDP ha inoltre chiesto chiarimenti in merito alla possibilità di richiedere l'anticipazione di liquidità per il pagamento di:
   a) debiti fuori bilancio;
   b) debiti di natura finanziaria a breve o a medio-lungo termine;
   c) debiti verso il personale dipendente;
   con riferimento ai debiti sub a), si significa che i debiti fuori bilancio possono essere inclusi tra quelli oggetto dell'anticipazione di liquidità, purché siano stati riconosciuti, prevedendo le relative coperture finanziarie, con le procedure di cui all'articolo 194 del testo unico sugli enti locali, entro il 31 dicembre 2012;
   con riferimento ai debiti sub b), si significa che tali debiti sono esclusi dalla possibilità di finanziamento tramite anticipazione di liquidità in quanto l'obiettivo del provvedimento legislativo, come si evince dalle premesse del decreto-legge 35 del 2013, nonché dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge è il pagamento alle imprese dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni. Dalla definizione di debiti commerciali devono pertanto ritenersi esclusi i debiti di natura finanziaria;
   con riferimento ai debiti sub c), si significa che tali debiti possono essere ammessi all'anticipazione di liquidità in assenza di contrarie disposizioni in materia»;
    2) a ritrasmettere entro il 10 maggio 2013 la richiesta di anticipazione tenendo presente la nota del Ministero dell'economia e delle finanze;
   alla luce dell'interpretazione restrittiva fornita dal Ministero dell'economia e delle finanze rispetto a quanto previsto dal decreto legge e sul presupposto che la ritrasmissione della richiesta doveva avvenire in tempi brevissimi, senza che fosse data agli enti la possibilità di inoltrare specifici quesiti agli organi competenti (la richiesta di un successivo inoltro dell'anticipazione, infatti, non è stata prevista dalla norma), è stata adottata la delibera di G.C. n. 57 del 9 maggio 2013. Con tale atto il legale rappresentante ed il responsabile finanziario sono stati autorizzati a chiarire la natura dell'importo di euro 39.501.047,10, e, lungi dal rideterminare la somma richiesta alla Cassa depositi e prestiti, hanno confermato, la prima richiesta inoltrata nei tempi previsti dal decreto-legge 35 del 2013, con modello EP 090 inviato in data 26 aprile pari, per l'appunto, ad euro 39.501,047,00 corrispondenti a debiti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2012. La conferma dell'importo è stata effettuata sulla considerazione che la norma non può intendersi sostituita e/o rettificata da una nota, sia pure proveniente da autorevole fonte quale il Ministero dell'economia e delle finanze. Nella nota integrativa del Comune, inoltre, è stato anche quantificato in euro 3.843.484,99, l'importo corrispondente a quanto indicato nella nota del Ministero dell'economia e delle finanze;
   in data 15 maggio, la Cassa depositi e prestiti ha comunicato che l'importo di anticipazione concesso al Comune di Benevento «determinato sulla base del criterio proporzionale in relazione al rapporto tra le risorse statali disponibili annualmente nella Sezione e l'importo complessivo delle domande di anticipazione pervenute ed accolte» era solo di 2.402.215,70 euro;
   è evidente, da quanto sopra descritto, che la Cassa depositi e prestiti sia incorsa in errore, ancor più evidente se si confrontano le somme assegnate ai Comuni della Provincia di Benevento e ai capoluoghi di Provincia della Regione Campania, nonché ai numerosi altri Comuni che sul piano nazionale hanno ricevuto sia l'anticipazione di cui al decreto-legge 35 del 2013 sia l'accesso al fondo di rotazione ai sensi del decreto-legge 174 del 2012;
   inoltre con nota protocollo n. 041033 del 2013, il comune di Benevento ha richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Cassa depositi e prestiti di modificare l'assegnazione disposta, ricalcolandola sulla scorta della anticipazione richiesta per l'importo di euro 39.501.047,10 corrispondenti a debiti certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2012, ma a tutt'oggi non ha ricevuto risposta –:
   se il Ministro interrogato abbia condiviso l'operato della Cassa depositi e prestiti, che l'interrogante ritiene illegittimo nei confronti del comune di Benevento, al quale non è stata concessa l'anticipazione richiesta, nonostante questa si presentasse come indispensabile, in considerazione dell'accesso al piano di riequilibrio pluriennale, di cui all'articolo 243-bis del testo unico sugli enti locali, cui detto comune ha fatto ricorso con delibera di consiglio n. 50 dell'11 dicembre 2012 e la n. 7 del 6 febbraio 2013, chiarendo che detto ente non ha inteso richiedere l'accesso al fondo di rotazione di cui al decreto-legge 174 del 2012;
   in caso contrario, che cosa il Ministro interrogato intenda fare per impedire che si concretizzi a danno del comune di Benevento la ripartizione dei fondi effettuata, allo stato, in maniera secondo l'interrogante errata per numerosi altri comuni che al momento hanno avuto l'anticipazione;
   se il Ministro abbia disposto controlli affinché tutte le somme assegnate a titolo di anticipazione per debiti fuori bilancio siano riconducibili a fattispecie già riconosciute dai rispettivi consigli comunali ai sensi dell'articolo 194 testo unico sugli enti locali come preteso dal Ministero dell'economia e delle finanze nella nota di cui sopra e non già dalla norma stessa.
(4-00828)


   PISO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 Giugno 2013 i quotidiani il Tempo, Libero, Il Messaggero, Il Giornale riportavano con ampia evidenza notizie riguardanti la onlus Imagine, con sede in Roma in via dei Volsci numero 10, presieduta da Ignazio Marino;
   tutti gli articoli facevano riferimento ad una presunta serie di illeciti avvenuti all'interno della onlus attraverso un rappresentazione contrattuale e contabile non veritiera di tre consulenti assunti da Ignazio Marino, nella sua qualità di legale rappresentante della onlus in questione;
   secondo notizie raccolte dall'interrogante i tre consulenti sarebbero il signor Marco, Franco, Carlo tutti assunti il primo marzo 2012, con regolare contratto di collaborazione sottoscritto da Ignazio Marino, in ossequio alle disposizioni della legge n. 30 del 2003 sui contratti di collaborazione occasionali;
   i contratti appaiono viziati fin dall'origine almeno per due delle tre persone visto che ai loro codici fiscali non corrisponde alcuna identità nell'anagrafe tributaria e che non risiedono affatto agli indirizzi riferiti nel contratto come chiunque può facilmente controllare;
   a ben vedere non esistono elementi certi per affermare che i signori M.S. e F.B. esistano sul serio o, qualora esistessero, che siano al corrente di essere titolari di un contratto in cui i loro dati anagrafici e di residenza sono stati distorti;
   il signor C.P. è invece l'unico dei tre ad avere un codice fiscale esistente ed una residenza verificata ed è anche l'unico che i giornali sono riusciti a rintracciare: infine è anche l'unico che abbia lasciato traccia della propria attività nel sito della onlus e sui social network dove si presenta come un consulente informatico impegnato in alcuni progetti in Congo;
   secondo la ricostruzione dei giornali, la onlus attribuiva, con una serie di assegni emessi a valere sulla Banca Popolare di Sondrio di piazza dei Sanniti 10/11 in Roma, il denaro spettante a ciascuno dei collaboratori: in realtà tutti gli assegni venivano incassati dal solo C.P. attraverso la cessione dei titoli di credito intestati a M.S. e a F.B. mediante girata;
   ne consegue che la rappresentazione contrattuale di questi rapporti di lavoro è stata deliberatamente travisata fin dall'inizio, visto che in pratica non c'erano tre consulenti ma un solo dipendente;
   la già richiamata legge n. 30 del 2003 prevede che nel caso si superino i 30 giorni di lavoro con il committente in un anno solare, il rapporto debba essere considerato di natura coordinata e continuativa e che comunque non debba eccedere i 5.000 euro lordi di retribuzione: è chiaro che la onlus dividendo per tre il compenso del signor C.P. si è sottratta all'obbligo di corrispondere i relativi versamenti previdenziali e l'opportuno inquadramento fiscale, presentando un rapporto effettivamente continuativo e coordinato come una prestazione occasionale;
   non sussistono dubbi sul fatto che il signor C.P. abbia incassato il totale delle retribuzioni dei signori M.S. e F.B., visto che alcuni giornali pubblicano le foto degli assegni;
   la onlus dichiara di avere un bilancio certificato ed è evidente che in questo bilancio è stata data una rappresentazione non corrispondente al vero dei rapporti di lavoro realmente intercorrenti con il personale: non soltanto perché il signor C.P. in effetti si trova nella situazione retributiva sopra richiamata, ma anche perché gli altri due contratti, quelli di M.S. e F.B., sembrano del tutto fittizi ed è persino incerta l'esistenza dei due consulenti;
   qualora F.B. e M.S. risultassero inesistenti o inconsapevoli della loro posizione contrattuale, la situazione della onlus e del suo presidente sarebbe penalmente disastrosa: Ignazio Marino avrebbe infatti firmato due contratti falsi, consentendo così alla onlus di eludere i versamenti previdenziali, di frodare il fisco, di rappresentare in bilancio costi del lavoro di fatto inesistenti, senza contare altre conseguenze riguardanti il diritto del lavoro che potrebbero essere facilmente impugnate dal signor C.P.;
   qualora i signori F.B. e M.S. esistessero davvero, sebbene con diversa residenza e differenti codici fiscali, e fossero consapevoli della loro posizione contrattuale, sarebbero a giudizio dell'interrogante dei prestanome utilizzati allo scopo di consentire al C.P. di guadagnare 15.000 euro l'anno rimanendo un semplice collaboratore occasionale: anche in questo caso le posizioni della onlus e di Ignazio Marino potrebbero essere penalmente perseguibili, ma almeno al direttore della onlus sarebbe risparmiata l'onta di aver emesso titoli di credito a favore di beneficiari inesistenti;
   ove fosse accertata la veridicità dei fatti di cui sopra, che l'interrogante ritiene difficilmente controvertibile, andrebbero verificate fino in fondo le relative responsabilità –:
   se si intenda procedere ai necessari accertamenti di natura fiscale e previdenziale necessari ad individuare e sanzionare ogni responsabile di questa vicenda;
   se si intendano svolgere tempestivamente i controlli sopra richiamati, al fine di evitare che i responsabili abbiano il tempo di distruggere prove e di alterare la contabilità della onlus;
   se intendano verificare le posizioni di tutto il personale della onlus anche nelle eventuali rendicontazioni dei progetti finanziati con il contributo della direzione per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri di altri soggetti pubblici. (4-00841)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 23 maggio 2013, ha adottato due delibere in merito alla richiesta di collocamento in aspettativa, ai sensi dell'articolo 23-bis, 1o comma del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato con legge 27 dicembre 2006 n. 296, da parte dei magistrati ordinari dottor Domenico Carcano e dottor Renato Finocchi Ghersi;
   il Ministero della giustizia il 10 maggio 2013 ha presentato per i due magistrati in questione un'istanza con la quale è stata richiesta l'autorizzazione al collocamento fuori ruolo per assumere il primo l'incarico di Capo dell'ufficio legislativo del Ministero della giustizia ed il secondo quello di capo di gabinetto dello stesso Ministero;
   il 22 maggio 2013 entrambi i magistrati hanno presentato, in riferimento all'assunzione dei suddetti incarichi, un'istanza con la quale si richiede il collocamento in aspettativa, senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio, a cui ha fatto seguito una nota del Ministero della giustizia nella quale si conferma la volontà di avvalersi della loro collaborazione anche in posizione di aspettativa;
   la disciplina che regola il collocamento in posizione di fuori ruolo per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato è contenuta nella legge n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione) e nello specifico all'articolo 1, comma 66, che così recita: «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semiapicali, compresi quelli di titolarità dell'Ufficio di gabinetto, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell'incarico. Gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   il testo della norma fa riferimento esplicito a tutti gli incarichi che a vario titolo sottraggono il magistrato alle sue funzioni naturali e contempla dunque anche tutti quegli incarichi che pur non formalmente riconoscibili nel «fuori ruolo» lo erano di fatto, come ad esempio la messa in aspettativa senza assegni;
   tanto è stata chiara la volontà del legislatore che questi inserisce nella norma l'obbligo per tutti gli altri incarichi di contestuale messa in fuori ruolo per tutta la durata dell'incarico, spingendosi addirittura a prevedere che «gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto se nei 180 giorni successivi non viene adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo»;
   la circolare che il Csm emanava lo scorso 11 marzo 2013 (protocollo P5017/2013, «Destinazione dei magistrati a funzioni diverse da quelle giudiziarie») inequivocabilmente, a parere dell'interrogante, recepiva il dettato normativo, come dimostrato al primo punto in cui si dice «Le seguenti disposizioni si applicano allo stabile esclusivo e continuativo svolgimento di funzioni in posizione di fuori ruolo organico, ad eccezione degli incarichi di membri di governo, delle cariche elettive, anche presso l'organo di autogoverno, degli incarichi di componenti presso le Corti internazionali comunque denominate» (...) «Le medesime disposizioni si applicano anche all'aspettativa prevista dall'articolo 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 ove compatibili»;
   al terzo punto della medesima circolare, in relazione agli elementi di cui il Csm deve tener conto in merito alla valutazione della «sussistenza dell'interesse dell'amministrazione della giustizia» al punto d) si dice esplicitamente: «della durata della permanenza fuori ruolo del magistrato, tenuto conto degli incarichi eventualmente già svolti in funzioni non giudiziarie, in rapporto allo durata complessiva della carriera»;
   il principio secondo cui nella carriera di un magistrato non vi possono essere più di dieci anni di funzioni non giudiziarie viene esplicitamente normato al comma 68, articolo 1, della legge n. 190 del 2012, in cui si dice che: «salvo quanto previsto dal comma 69, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato non possono essere collocati in posizione di fuori ruolo per un tempo che, nell'arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi. Il predetto collocamento non può comunque determinare alcun pregiudizio con riferimento alla posizione rivestita nei ruoli di appartenenza»;
   a quanto risulta all'interrogante sia il dottor Carcano che il dottor Finocchi Ghersi non potrebbero essere collocati in posizione di fuori ruolo per evidenti limiti di legge (il primo è stato in fuori ruolo 15 anni ed il secondo 11);
   nell'approvazione delle due delibere riguardanti i magistrati Carcano e Finocchi Ghersi, il Csm, oltre a non tener conto – a parere dell'interrogante – degli elementi pur indicati come oggetto di valutazione nella circolare dell'11 marzo (e cioè la durata della permanenza fuori ruolo e gli incarichi già svolti in rapporto alla durata complessiva della carriera), reinterpreta la disciplina vigente violandone di fatto i principi sostanziali, da un lato sostenendo che il comma 66 non esclude l'applicabilità del diverso istituto dell'aspettativa anche se testualmente parla di «collocamento fuori ruolo» e dall'altro ritenendo inapplicabile il limite di dieci anni per i fuori ruolo all'istituto dell'aspettativa;
   in una nota diffusa dalle agenzie lo scorso 6 giugno il Csm precisa che «alla messa in aspettativa, consegue necessariamente il collocamento fuori ruolo come previsto dalla legge e disposto dalla delibera del Csm. I due magistrati non svolgeranno quindi alcun doppio incarico»; tuttavia la legge recita testualmente che «tutti gli incarichi (...) devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo», dunque contestuale e non conseguente. In ogni caso tale collocamento «necessariamente conseguente» a giudizio dell'interrogante e in base alla legge vigente, non avrebbe potuto essere autorizzato in quanto i due magistrati hanno ampiamente superato il limite temporale previsto dal comma 68;
   a parere dell'interrogante, dunque, la nomina dei due magistrati in questione configura ad avviso dell'interrogante, una palese violazione dei commi 66, 68 e 72 della legge n. 190 del 2012, che anche a prescindere dalla valutazione del Csm, il Governo non può non tenere in conto;
   il 31 ottobre 2012 nella seduta n. 712 della Camera dei deputati l'interrogante ha presentato un ordine del giorno (9/4434-B12) al disegno di legge S. 2156 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione» (poi legge n. 190 del 6 novembre 2012), cofirmato dal collega Reguzzoni, accolto dal Governo ed approvato all'unanimità dall'Aula che impegnava il Governo a costituire, entro sessanta giorni dall'approvazione della legge, presso il Ministero della giustizia e la Presidenza del Consiglio un'unica banca dati consultabile pubblicamente, anche online attraverso i rispettivi siti, nella quale fossero raccolti e classificati in maniera dettagliata i magistrati amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato in posizione di fuori ruolo; contestualmente l'ordine del giorno prevedeva anche il deposito di copia della medesima banca dati, entro sessanta giorni dall'approvazione della legge, alla Presidenza della Camera dei deputati e a quella del Senato della Repubblica, da trasmettere alle Commissioni competenti;
   ad oggi, a distanza di quasi otto mesi dall'approvazione della suddetta legge, non risulta che il Governo abbia ottemperato ad alcuno degli impegni indicati nell'ordine del giorno in questione –:
   a prescindere da quanto deliberato in merito dal Csm, se il Ministro non intenda revocare l'assegnazione degli incarichi da svolgere presso il suo Ministero ai magistrati Carcano e Finocchi Ghersi, poiché attribuiti secondo l'interrogante in palese violazione della legge n. 190 del 2012;
   come il Ministro giustifichi il ritardo nella predisposizione della banca dati sui fuori ruolo, oggetto di un ordine del giorno approvato all'unanimità dalla Camera, e quali iniziative si intendano assumere affinché ne venga data immediata attuazione. (3-00119)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI e BONAVITACOLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 155 del 2012 è stata decisa la soppressione del tribunale di Sala Consilina (Salerno) con il conseguente accorpamento con il tribunale di Lagonegro (Potenza): tale decisione ad avviso degli interroganti contrasta con l'applicazione di quei criteri oggettivi ed omogenei indicati e tipizzati dal legislatore nelle legge-delega n. 148 del 2011 e ha determinato una situazione grave e preoccupante;
   sono stati, in particolare, violati i criteri e principi direttivi specificati nelle lettera b) ed e) del comma 2 dell'articolo 1 della citata legge n. 148 del 2011;
   sono stati previsti infatti, nella riorganizzazione degli uffici giudiziari, parametri obiettivi, quali il numero di abitanti, i carichi di lavoro, l'indice delle sopravvenienze degli attuali Uffici giudiziari; la lettura attenta di tutti questi criteri evidenzia come il tribunale di Sala Consilina – che serve le popolazioni del Vallo di Diano, del Tanagro e del Bussento – versi in una situazione più rilevante e consistente rispetto a quella, pur degna di ogni attenzione, del tribunale di Lagonegro; al tribunale di Sala Consilina sono addetti 11 magistrati, mentre a Lagonegro sono assegnati 8. Alla luce dei dati ISTAT 2011, la popolazione residente nel circondario di Sala Consilina è 89.648 unità, a fronte delle 79.374 nel circondario di Lagonegro;
   i carichi di lavoro medio ammontano, per il tribunale di Sala Consilina a 11.830 affari a cui vanno aggiunti 1.300 affari per la sede distaccata di Sapri, per un totale di più di 13.000 affari; l'indice delle soppravenienze medie, nel periodo 2006-2010, è pari per il tribunale di Sala Consilina a 4.147, mentre nel caso del tribunale di Lagonegro si ferma a 3.751;
   inoltre 6 comuni salernitani, attualmente ricadenti nella competenza territoriale del tribunale di Salerno, hanno già manifestato la volontà, con atti deliberativi formali, di essere ricompresi nel perimetro del tribunale di Sala Consilina: precisamente i comuni di Buccino, Sicignano degli Alburni, Romagnano al Monte, Ottati, Bellosguardo, Postiglione per complessivi 13.019 abitanti. Altri comuni nella medesima condizione stanno per assumere o assumeranno presto analoghe decisioni;
   già ad oggi, quindi, il tribunale di Sala Consilina abbraccia un bacino di popolazione superiore ai 100.000 abitanti, destinato a crescere ulteriormente per le ragioni anzidette;
   proprio questa vicenda porta in primo piano il criterio direttivo di cui alla lettera e) del comma 2 e che si potrebbe definire generale e sovraordinato rispetto a quelli più specifici posti alla lettera b): si tratta del riequilibrio – che deve essere assunto come prioritaria linea di intervento nell'applicazione degli altri criteri direttivi – «delle attuali competenze territoriali demografiche e funzionali fra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni». Tale principio fondamentale conduce alla salvaguardia ed al potenziamento del ruolo del tribunale di Sala Consilina, che può e deve attrarre altri territori ed altri comuni, come già sta accadendo, proprio nella giusta logica del ridisegno della geografia delle diverse sedi giudiziarie nel salernitano, secondo linee di maggiore ed utilissimo equilibrio territoriale;
   questi aspetti gravi di costituzionalità saranno al vaglio della Corte Costituzionale nella prossima udienza del 2 luglio 2013 con precipuo riferimento proprio alla palese violazione del criterio direttivo ex lettera e) ed alla questione rimessa, nella veste di giudice a quo, dal tribunale di Sala Consilina con ordinanza del 20 febbraio 2013 (reg. ordinanza Corte Costituzionale n. 105 del 2013);
   il tribunale di Sala Consilina, proprio nel rispetto della complessa e articolata situazione geografica della provincia di Salerno, è naturalmente preposto ad assicurare il riequilibrio fra gli uffici giudiziari salernitani ed, in particolare, l'indispensabile e auspicabile alleggerimento del carico e del volume di affari e di contenzioso;
   questo riequilibrio delle attuali competenze del diversi uffici giudiziari è ancor più necessario in provincia di Salerno, nella quale insiste una popolazione di ben 1.109.705 abitanti, secondo i dati ISTAT al 1o gennaio 2011: una popolazione così consistente da richiedere la conservazione degli attuali 4 tribunali salernitani, fra i quali quello di Sala Consilina. In questa direzione conduce anche il parere approvato dalla Commissione giustizia della Camera dei Deputati lo scorso 1o agosto 2012 sullo schema di decreto legislativo delegato. Difatti tale parere ha evidenziato che il tribunale di Sala Consilina, accorpato al «più piccolo Tribunale di Lagonegro (...) come rilevato criticamente dal Procuratore distrettuale, dal Consiglio Giudiziario e dall'ANM» deve essere conservato e salvaguardato come ufficio giudiziario e come tale mantenuto nel distretto della corte di appello di Salerno;
   del resto l'accorpamento con il tribunale di Lagonegro sarebbe secondo gli interroganti assolutamente ingiustificato e sbagliato. Basti considerare, accanto a tutti i dati già menzionati, che la popolazione della provincia di Potenza raggiunge 383.791 abitanti, appena 1/3 di quella della provincia di Salerno. E poi verrebbero così accorpati due tribunali di due province diverse, di due regioni diverse, di due corti di appello diverse: francamente una soluzione priva di ogni ragionevolezza e di ogni fondamento;
   tutte queste considerazioni sono state ribadite dal primo firmatario della presente interrogazione anche nel corso della audizione del Ministro in Commissione giustizia della Camera dei deputati, lo scorso 22 maggio 2013;
   la stessa legge di delega n. 148 del 2011, all'articolo 1 – comma 5, prevede che il Governo, entro due anni dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 155 del 2012, possa «adottare disposizioni integrative e correttive» –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per riesaminare, alla luce dei dati obiettivi sopra evidenziati e di una istruttoria ben più approfondita e completa, la situazione del tribunale di Sala Consilina, ingiustificatamente ed immotivatamente soppresso ed accorpato con il tribunale di Lagonegro. (5-00322)

Interrogazione a risposta scritta:


   DIENI, NESCI, PARENTELA, GALLINELLA, L'ABBATE, GAGNARLI, BARBANTI, DADONE, COZZOLINO, SIMONE VALENTE, BATTELLI e TONINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la recente cronaca della città di Reggio Calabria ha messo in luce minacce e irruzioni ai danni della procura;
   nel mese di marzo 2013 il pubblico ministero Giuseppe Lombardo, che a Reggio Calabria sta cercando di sventrare il sistema criminale calabrese conducendo inchieste scomode, è stato destinatario dell'ennesima minaccia, avendo ricevuto una missiva accompagnata da cinquanta grammi di polvere da sparo con allegato il seguente messaggio: «Fermati. Perché se non ti fermi da solo lo facciamo noi con altri 200 chili»;
   il 20 marzo 2013 dentro il palazzo della procura è pervenuta una busta con proiettile destinata al sostituto procuratore Francesco Mollace e al pubblico ministero dell'antimafia Antonio de Bernardo;
   a pochi giorni dalla nomina a Reggio Calabria del nuovo procuratore della Repubblica Federico Cafiero De Raho, c’è stata un'irruzione da parte di ignoti negli uffici della direzione distrettuale antimafia siti al quinto piano del palazzo del Cedir, sede della stanza riservata in cui sono custoditi l'archivio dell'ex procuratore capo Giuseppe Pignatone e fascicoli archiviati di intercettazioni preventive su personaggi politici e magistrati, fascicoli di inchieste importanti;
   negli ultimi anni lo strumento delle intercettazioni preventive è stato utilizzato per ascoltare avvocati, commercialisti, politici, giornalisti e la maggior parte dei magistrati reggini, tanto che nel novembre 2011 la camera penale G. Sardiello di Reggio Calabria ha organizzato un'assemblea degli avvocati penalisti precisando in una nota che «le conversazioni tra avvocato e assistito vengono intercettate nonostante l'esistenza di un chiaro divieto normativo»;
   è di questi giorni, infine, la notizia della scomparsa del collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice che, prima di far perdere le sue tracce, ha inviato un memoriale e un video attraverso cui ha descritto la procura di Reggio come caratterizzata da molte ombre e ha spiegato di essere stato indotto a rendere dichiarazioni false per accontentare quei magistrati che gli chiedevano sempre nuove «verità» che inventava per accontentarli –:
   di quali informazioni si disponga in merito ai fatti riportati in premessa e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare;
   se dispongano di informazioni in merito all'irruzione da parte di ignoti negli uffici della direzione distrettuale antimafia del Cedir avvenuta pochi giorni prima dell'arrivo a Reggio Calabria del nuovo procuratore capo Federico Cafiero De Raho;
   se non intenda disporre iniziative ispettive presso la procura di Reggio Calabria alla luce dei fatti descritti in premessa. (4-00838)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo stato di inattività che perdura da quasi un anno del cantiere allestito dalla ditta CO.GE.S srl di San Felice sul Panaro (MO) aggiudicataria dell'appalto dei lavori di realizzazione del nuovo Ponte Silogno di Baceno, nel tratto compreso tra il chilometro 12+800 e il chilometro 13+600 della strada statale 659;
   la prima approvazione di uno studio di fattibilità condiviso con l'amministrazione comunale risale addirittura all'anno 2000, che l'approvazione del progetto definitivo risale al 2006 e che l'avvio dei lavori è avvenuto nell'ottobre 2011;
   nell'ultima comunicazione scritta, risalente al dicembre 2012, la committente ANAS ha imputato il rallentamento dei lavori ad alcune necessità tecniche di modifica del progetto esecutivo emerse in corso d'opera, nonché ad una situazione di criticità dell'impresa sopraggiunta a seguito degli eventi sismici in Emilia Romagna del maggio 2012 che hanno comportato la concessione di una proroga di 6 mesi dei lavori, inizialmente previsti per 820 giorni, pari a 27 mesi;
   il termine ultimo, comprensivo delle modifiche previste dalla perizia di variante per le modifiche nonché della proroga di cui sopra, colloca la fine dei lavori nella primavera 2014;
   perdurare dello stato di abbandono del cantiere da parte dell'impresa aggiudicataria e le rare apparizioni del personale ANAS presso il medesimo –:
   quali siano le motivazioni circa il perdurare della sospensione dei lavori, in particolare quali azioni intenda intraprendere al fine di sollecitare la committente ANAS circa la ripresa dei lavori, tenuto conto che le condizioni di degrado in cui versa l'area di cantiere, in assenza di un'attività dello stesso che ne giustifichi il disagio temporaneo, si traducono altresì in un pessimo biglietto da visita per l'intera nell'imminente avvio della stagione turistica estiva. (5-00333)


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha individuato nel DPEF 2008-2012 tra le opere infrastrutturali prioritarie e strategiche il completamento dello schema idrico Basento-Bradano, in Basilicata;
   l'intervento prevede:
    a) attrezzamento settori G: realizzazione delle opere necessarie per l'adduzione e la distribuzione dell'acqua ad uso irriguo nei comuni di Genzano di Lucania, Oppido Lucano, Irsina e Banzi. L'alimentazione di tali reti sarà assicurata dalla disponibilità idriche presenti nell'invaso di Genzano facente parte dello schema idrico Basento-Bradano. Il CIPE con delibere n. 107 del 29 marzo 2006 approvava il progetto definitivo per l'importo di 85,7 milioni di euro, concedendo un contributo in via programmatica di 70 milioni di euro, assegnato definitivamente con delibera n. 146 del 17 novembre 2006;
    b) tronco di Acerenza – distribuzione 3o lotto: l'opera si sviluppa dalla diga di Genzano alla vasca del Marascione. Gli interventi previsti completano la linea di adduzione dello schema idrico Basento-Bradano e realizzano un primo stralcio di distribuzione irrigua nel distretto B nel territorio del consorzio di Bonifica Vulture-Alto Bradano (Potenza). Con delibera n. 106 del 29 marzo 2006 il CIPE approvava il progetto preliminare per un importo di 104,50 milioni di euro;
   l'intervento di completamento dello schema idrico-irriguo lucano avrebbe dovuto garantire un più efficace ed efficiente utilizzo delle risorse idriche e avrebbe dovuto contribuire al rilancio produttivo dell'area bradanica consentendo, grazie ai processi irrigui, di sviluppare accanto all'agricoltura tradizionale, basata per lo più su produzioni cerealicole, un'agricoltura moderna con colture intensive e nuove filiere produttive;
   la realizzazione dell'opera, oltre a consentire lo sviluppo del distretto agro-alimentare dell'area, darebbe, tra l'altro, un'innegabile impulso all'occupazione del settore edile che soffre una crisi senza precedenti;
   ad oggi si registra un forte ritardo nel completamento dello schema idrico Basento-Bradano a causa dello stallo nelle procedure di appalto delle opere da parte degli enti competenti;
   è necessario conoscere i tempi certi di realizzazione degli interventi indispensabili per il miglioramento dell'irrigazione dell'Alto Bradano e degli altri comprensori irrigui della regione anche al fine di sostenere il settore edile e di sviluppare il comparto agro-industriale della Basilicata –:
   quale sia lo stato di avanzamento dei progetti di completamento dello schema idrico Basento-Bradano, e in particolare quali azioni urgenti intenda porre in essere per garantire il completamento dell'infrastruttura che garantirebbe un più efficace ed efficiente utilizzo delle risorse idriche, contribuendo allo sviluppo del comparto agro-industriale lucano e al rilancio del settore edile della Basilicata. (5-00334)


   DE ROSA, BARBANTI, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tra le opere connesse all'Esposizione universale che si terrà a Milano a partire dal 1o maggio 2015 (Expo 2015), è stato inserito l'intervento per la riqualificazione ed il potenziamento della strada provinciale n. 46 Rho-Monza, il cui iter è stato avviato con la sottoscrizione, in data 28 luglio 2006, della convenzione tra la provincia di Milano e la Milano Serravalle – Milano Tangenziali spa, il tracciato complessivo è lungo 9,2 chilometri: dall'attuale tangenziale nord (A52) all'altezza di Paderno Dugnano, all'autostrada A8 Milano – Laghi all'altezza dello svincolo di Rho Fiera;
   il nodo principale di questo progetto è il collegamento tra la tangenziale nord (A52), che attualmente finisce a Paderno Dugnano in quartiere Calderara, e la Rho-Monza (SP46) che attualmente parte dal quartiere Villaggio Ambrosiano. Questo collegamento avverrà con la realizzazione di un nuovo tratto di tangenziale, al momento inesistente, di 2 corsie per senso di marcia più corsia di emergenza per un totale di 6 corsie. Questo nuovo tratto sarà affiancato all'attuale Milano-Meda, per cui è previsto un potenziamento dalle attuali 2 corsie per senso di marcia, a 3 corsie più emergenza, per un totale di 8 corsie. Se a questo aggiungiamo, la realizzazione di complanari per la circolazione locale, ci ritroveremo con un totale di 14 corsie autostradali più 4 di complanari in uno spazio di circa 70 metri circondato da costruzioni residenziali;
   i comuni, pur favorevoli alla realizzazione dell'opera, hanno fortemente criticato la realizzazione di tratti sopraelevati di attraversamento dei centri abitati, che, in molti casi, si trovano a breve distanza dalle abitazioni dei cittadini, in particolare da una scuola che ospita circa 2000 studenti;
   sono state segnalate evidenti criticità dell'opera, tra cui l'insufficiente considerazione del corridoio ecologico regionale; l'eccessivo consumo di territorio, in particolare nell'area del parco locale di interesse sovracomunale della Balossa; la non conformità con gli strumenti urbanistici vigenti, in particolare per quanto riguarda le aree verdi; il potenziamento di una mobilità su ruota a discapito dell'investimento di una mobilità su ferro, i potenziali effetti dannosi sulla salute dei cittadini, sia sotto l'aspetto dell'inquinamento acustico, per la modesta efficacia della «galleria fonica», sia sotto l'aspetto dell'inquinamento atmosferico, per il prevedibile aumento di emissioni di agenti inquinanti legati al traffico veicolare;
   gli enti locali hanno anche proposto un progetto alternativo approvato da tutti gli organi di governo dei comuni e condiviso dai comitati di cittadini presenti sul territorio; in particolare, la proposta avanzata prevede la realizzazione di tratti in trincea ed in galleria (in particolare nel tratto in cui la strada Rho-Monza si sviluppa a fianco della strada Milano-Meda) con lo specifico obiettivo di contenere l'impatto acustico, visivo e l'inquinamento determinato dalle polveri ed inquinanti, seguendo i criteri applicati per la realizzazione delle più recenti infrastrutture realizzate in contesti analoghi a livello europeo;
   le motivazioni presentate per non accettare le proposte alternative al progetto preliminare riguardano la necessità di realizzare l'opera con urgenza in vista dell'Expo 2015 (nonostante sia opera, accessoria e non essenziale, non è in legge obiettivo e attualmente è priva della dichiarazione di pubblica utilità), quando invece i tempi di realizzazione dell'opera sono in contrasto con il programma iniziale e ad oggi, è prevista l'ultimazione dei lavori ad aprile 2015, con la concreta possibilità di veder slittare la conclusione dell'opera durante lo svolgimento dell'Expo 2015 o addirittura oltre;
   in caso di mancata conclusione dell’iter approvativo del progetto nel termine di 42 mesi dalla data dell'aggiudicazione provvisoria, la stazione appaltante chiuderà la procedura di gara senza procedere all'aggiudicazione. Considerato che il progetto presentato, intervenuta l'aggiudicazione provvisoria, diviene bene di Milano Serravalle, qualora la mancata conclusione dell’iter approvativo non dipenda da responsabilità diretta o colpa dell'aggiudicatario provvisorio, la stazione appaltante riconoscerà in via equitativa all'aggiudicatario provvisorio la somma di euro 700.000 a titolo di contributo per le spese sostenute –:
   quali provvedimenti il Governo intenda adottare in merito alle richieste dei comuni interessati ai tre diversi Lotti del progetto e dei Comitati e Associazioni locali, riguardanti la realizzazione di riqualificazione della strada provinciale 46 in trincea e/o interramento e in merito ad ogni altra proposta di modifica del progetto che possa contribuire a ridurre l'impatto ambientale, sociale, sanitario e paesaggistico dell'intervento. (5-00335)


ZARATTI, ZAN e PELLEGRINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera n. 50 del 2004 il CIPE aveva approvato il progetto preliminare del 1o stralcio funzionale del «corridoio tirrenico meridionale»;
   il 19 novembre 2009 veniva rilasciato dall'area VIA regione Lazio parere positivo al progetto «Corridoio Intermodale Roma Latina», che modificava sostanzialmente il precedente trasformandolo in adeguamento autostradale della strada statale Pontina tra Tor de’ Cenci e Latina, non prevedendo alcun raccordo di collegamento con la A12;
   tale progetto veniva poi modificato sostanzialmente dalla nuova giunta regionale, insediatasi nel giugno 2010, dunque annullando la validità delle autorizzazioni precedenti, tra cui la VIA e di altri pareri ambientali, paesaggistici, idrogeologici e archeologici, utilizzando, a quanto risulta, anche l'istituto del silenzio-assenso, il quale come noto non è applicabile in caso simile e quindi con riferimento al Progetto «Completamento corridoio tirrenico meridionale A12-Appia e bretella autostradale Cisterna-Valmontone, tratto A12 Roma Civitavecchia-Roma (Tor de’ Cenci)» allo stato risulta assente dei necessari pareri;
   nel progetto modificato nel 2010 è stata esclusa la componente dell'intermodalità, contra la pronuncia di compatibilità ambientale (VIA) dell'opera, che ne costituiva il parere fondante e vincolante, ritenendo le opere connesse ineludibili e sulla cui realizzazione dovrà tenersi conto nella verifica di ottemperanza prevista dalla normativa regionale;
   con delibera n. 88 del 2010 il CIPE ha approvato i progetti definitivi della tratta autostradale Roma (Tor de’ Cenci)-Latina Nord (Borgo Piave), comprensiva delle complanari, della tratta autostradale Cisterna-Valmontone e relative opere connesse;
   con delibera n. 86 del 2012 si precisa il limite di spesa dell'intero intervento – quantificato in 2.728,7 milioni di euro e si esprime parere favorevole in merito allo schema di convenzione, ma con la specificazione che, riguardo alcune parti dell'opera la progettazione, realizzazione e gestione restano subordinate all'avverarsi della condizione che si realizzi l'assegnazione di ulteriori risorse pubbliche necessarie;
   il 24 aprile 2013 si è adunata la Corte dei conti in sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato in merito alla delibera CIPE 86 del 3 agosto 2012 avente oggetto l'approvazione progetto definitivo «Completamento corridoio tirrenico meridionale A12-Appia e bretella autostradale Cisterna-Valmontone, tratto A12 Roma Civitavecchia-Roma (Tor de’ Cenci)»;
   riguardo l'oggetto erano già emerse in sede di esame istruttorio perplessità, per cui l'ufficio di controllo ha chiesto all'amministrazione chiarimenti circa il progetto definitivo e lo schema di convenzione e relative prescrizioni e, di conseguenza, il DIPE inoltrava risposta in data 8 aprile 2013 e 12 aprile 2013;
   i chiarimenti forniti non hanno consentito di superare le osservazioni relative: la situazione economico-finanziaria; l’(omessa) integrazione, prevista in delibera, della materia della regolazione economica del settore autostradale con la disciplina dei requisiti di solidità patrimoniale delle concessionarie autostradali; l'aggiornamento tariffario in relazione al piano economico finanziario;
   l'ufficio ha precisato di aver appreso che le assegnazioni riferite sono destinate esclusivamente al collegamento tra l'area pontina e l'A2 (Cisterna-Valmontone), che, nella delibera, non è oggetto di copertura finanziaria;
   poiché nella delibera n. 86 del 2012 si dispone che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dovrà presentare al CIPE una proposta di adeguamento alla delibera n. 39 del 2007 lo stesso ufficio non è stato in grado di accertare le ragioni di tale omesso adempimento;
   la questione era stata già affrontata in occasione di altre cinque delibere del CIPE trasmesse, poi ritirate proprio per l'omessa previsione di criteri oggettivi in tema di sospensione dell'applicazione dell'indice di solidità patrimoniale delle concessionarie. Dunque tali provvedimenti risultano ancora in attesa di definizione;
   l'ufficio ha sottolineato che il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica ha comunicato di non aver ricevuto alcuno schema di delibera in materia dal Ministero stesso e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il DIPE ha riferito di aver «evidentemente previsto che in sede di gara il piano economico finanziario debba essere riformulato» e tuttavia tale precisazione, a parere dell'ufficio, non chiarirebbe l'omesso inserimento di un'ulteriore prescrizione;
   l'ufficio di controllo ha ritenuto rilevante ai fini dell'accertamento della conformità della delibera in esame alla normativa di riferimento tale omesso chiarimento, atteso che i pareri sono stati espressi sulla base di un piano economico finanziario non più attuale ma che dovrà essere oggetto di riformulazione;
   la sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato è stata chiamata il 23 maggio 2013 a pronunciarsi sulla legittimità della delibera CIPE n. 86 del 2012;
   il Collegio ha osservato, nel diritto, quanto segue:
    a) che nonostante il lungo arco di tempo trascorso tra l'adozione della delibera (3 agosto 2012) ed il suo arrivo al competente ufficio di controllo (23 gennaio 2013), essa è giunta priva di importante documentazione a corredo, essenziale ai fini del corretto esercizio dell'attività istruttoria;
    b) che si impone una maggiore riflessione sulla necessità di accelerazione dei tempi di conclusione anche di precedenti fasi dell'intero procedimento, costituendo quello del controllo soltanto l'ultima fase;
    c) che la delibera non chiarisce le ragioni ed i criteri in base ai quali si è provveduto alla destinazione delle risorse assegnate esclusivamente al collegamento tra l'area pontina e l'A2 Cisterna-Valmontone e che ciò che desta perplessità;
    d) che con riferimento al contratto con la Cassa depositi e prestiti, non si comprendono i criteri di all'erogazione del mutuo;
    e) che è innegabile che tale ultima delibera aveva allocato i finanziamenti inizialmente disposti con la delibera n. 50 del 2004 sull'intero asse autostradale;
    f) che la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento Cisterna-Valmontone ed opere connesse sono subordinate all'avverarsi della condizione che si realizzi l'assegnazione di ulteriori risorse pubbliche;
    g) Che non possono ritenersi puntualmente e correttamente individuate le risorse finanziarie idonee ad assicurare la copertura finanziaria delle tratte cui si riferisce lo schema di convenzione;
    h) che in ordine all'ulteriore questione, sollevata in sede istruttoria, circa l'espressa previsione in della necessaria integrazione della Direttiva in materia di regolazione economica del settore autostradale ex delibera CIPE n. 39 del 2007, la stessa non ha avuto alcun seguito, e che l'amministrazione coinvolta ha chiarito che difficilmente si potrebbe provvedere in tal senso;
    i) che le delibere, oggetto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non devono contenere prescrizioni errate o destinate ab origine ad essere disattese;
    j) che le delibere citate nelle premesse del provvedimento, e poi ritirate ancora non hanno avuto alcuna definizione, e che il riferimento nel provvedimento alle predette delibere è da ritenere privo di significato, oltre che fuorviante;
    k) che è dirimente la questione dell'assenza di tale evocata integrazione della Direttiva in materia di regolazione del settore autostradale la disciplina in materia di requisiti di solidità patrimoniale;
   alla Sezione non sono apparse persuasive le argomentazioni esposte riguardo ad eventuali disparità di trattamento tra le concessionarie autostradali e, tra quelle che hanno avuto proprie convenzioni approvate per legge e non;
   il CIPE ha accolto le osservazioni espresse dal dipartimento del tesoro finalizzate all'espunzione della formula tariffaria semplificata dallo schema di convenzione, ma, pur ammettendo riformulazione del piano economico finanziario in sede di gara, non ha motivato adeguatamente l'omessa previsione di una disposizione inerente l'aggiornamento dello stesso in relazione all'adozione della formula tariffaria del price cap;
   alla luce delle considerazioni il provvedimento è stato giudicato dalla Sezione non conforme a legge –:
   se alla luce della complessa e motivata serie di osservazioni che hanno condotto la Corte dei conti a giudicare il provvedimento CIPE non conforme alla legge, nonché considerate le numerose e sostanziali possibili lacune nell’iter autorizzativo, con particolare riferimento ai pareri ambientali e paesaggistici, dato l'altissimo impatto economico, sociale e ambientale dell'opera, nonché l'urgenza di dare una risposta alle esigenze dei cittadini provvedendo alla messa in sicurezza della strada statale Pontina, non si intenda rivedere l'intero iter del progetto, considerando la possibilità di tornare ad una formulazione dell'opera fondata su un iter autorizzativo verificato, che disponga della necessaria copertura finanziaria, e nel quale si considerino prioritarie e inderogabili le opere relative la messa in sicurezza dell'attuale viabilità di collegamento tra Roma e Latina, l'intermodalità ed ogni altra forma di riduzione del traffico su gomma, nonché la tutela delle aree protette. (5-00336)


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto preliminare della tangenziale est esterna di Milano (TEM) ha ottenuto nel luglio 2005 l'approvazione del CIPE, tra le opere previste dalla legge obiettivo n. 443 del 2001;
   nel novembre 2007 è stato definito l'accordo di programma per la realizzazione della TEM, che prevede anche il potenziamento del trasporto pubblico collettivo, quale, tra l'altro, il prolungamento delle linee metropolitane MM2 e MM3;
   ad oggi, risulta in corso la progettazione definitiva della TEM e delle opere ad essa connesse a carico del concessionario (opere di tipologia A), mentre restano allo stadio di fattibilità le opere di tipologia B e C;
   relativamente al trasporto collettivo, risulta svolta la revisione dei progetti preliminari dei prolungamenti delle linee metropolitane MM2 e MM3 verso Vimercate e Paullo; tali progetti, però, non hanno tuttora ricevuto l'approvazione del CIPE ed i conseguenti finanziamenti;
   la regione Lombardia e tutti gli enti locali della zona interessata si sono adoperati per ribadire l'importanza della realizzazione di tutte le opere previste nell'accordo di programma;
   l'area metropolitana milanese e la provincia di Monza e Brianza, tra le aree più popolate ed urbanizzate d'Europa, soffrono di gravissimi problemi di inquinamento dovuti all'eccessivo utilizzo di autovetture ed alla mancanza cronica di mezzi di spostamento alternativi;
   la zona è fortemente industrializzata ed è sede di numerose multinazionali;
   nel 2015 a Milano ed in Lombardia si terrà l'Expo, con la previsione di milioni di visitatori che andranno ad utilizzare il sistema infrastrutturale milanese; è dunque necessario agire in modo tempestivo affinché le opere previste vengano approvate e finanziate in tempi brevi –:
   se il Ministro non intenda adoperarsi affinché venga rispettato integralmente l'accordo di programma di cui alle premesse e vengano dunque approvate, finanziate e realizzate in tempi rapidi tutte le opere infrastrutturali previste in tale accordo, ed in particolare i prolungamenti delle linee metropolitane MM2 e MM3, assumendo le iniziative necessarie ad assicurare lo stanziamento nel bilancio dello Stato delle risorse necessarie per tali fondamentali opere. (5-00337)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI, REALACCI, BORGHI, BONAVITACOLA, D'ATTORRE, OLIVERIO, ANTEZZA, BRATTI, MARIANI, BRAGA e IMPEGNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A3, Salerno-Reggio Calabria costituisce una grande infrastruttura di assoluta valenza nazionale, essenziale e strategica non solo per il Mezzogiorno, ma per l'intero Paese;
   i lavori relativi al progetto di ammodernamento e messa in sicurezza dell'autostrada hanno raggiunto uno stadio rilevante e significativo, con circa 270 chilometri, ultimati e fruibili;
   su circa 110 chilometri, i lavori sono in corso ovvero sono stati appaltati;
   occorre accelerare i lavori in corso per addivenire rapidamente alla loro conclusione;
   sono, invece, ancora da finanziare, progettare, ovvero in via di mera progettazione 12 interventi, per circa 58 chilometri, che ricomprenderanno alcuni lotti ed alcuni nuovi svincoli autostradali, per complessivi circa 3 miliardi di euro;
   andrebbe ricompreso nelle opere da finanziare il raccordo Salerno-Avellino nel primo tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, che funge da raccordo fra le autostrade A30 Caserta-Roma ed A3 Salerno-Reggio Calabria, il cui tracciato attuale è inadeguato e pericoloso per la sicurezza della circolazione e che, come tale, va potenziato con la costruzione della terza corsia e con la messa in sicurezza secondo le norme vigenti;
   occorre completare con rapidità l'intera opera, strategica per il sistema dei collegamenti e delle modalità per lo sviluppo del sistema economico e produttivo, un opera fondamentale per l'Italia –:
   quale sia il quadro aggiornato, lotto per lotto, dei lavori lungo l'Autostrada A3, precisando – alla luce dell'abituale report sullo stato delle opere periodicamente curato dall'ANAS – la percentuale di esecuzione dei lavori per ciascun lotto, i termini previsti per la loro ultimazione, nonché i tempi e i provvedimenti con i quali il Governo intenda erogare i finanziamenti ancora mancanti. (5-00316)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio italiano sono presenti 96 aeroporti, come riportato dal sito ufficiale dell'Enac, molti dei quali di dimensioni esigue e con un traffico passeggeri irrisorio. Si pensi che solo 40 hanno registrato, nel 2007, un traffico superiore a 10.000 passeggeri e solo 25, nel 2009, hanno movimentato un traffico superiore ai 500 mila passeggeri;
   nella regione Lazio, mentre l'aeroporto di Ciampino riceve, pur avendo forti limiti di crescita strutturali, più di 2 milioni di euro pubblici annui per il servizio di assistenza volo e i pompieri, è in previsione l'apertura di un nuovo scalo a Viterbo. Nella regione Toscana, oltre all'aeroporto di Firenze e di Pisa, sembra essere in progetto anche un aeroporto a Siena. Sull'asse Torino-Venezia ogni 50 chilometri c’è una pista di atterraggio;
   la regione Lombardia sta cercando di differenziare i business in modo preciso, così da garantire la sopravvivenza dei vari scali: Malpensa dovrebbe diventare l’hub intercontinentale, Linate il city airport per i voli a breve raggio, Bergamo la capitale dei low cost e Brescia lo snodo per le merci;
   il forte aumento del traffico previsto al 2030 (si dovrebbe passare dagli attuali 130 milioni di passeggeri a un traffico compreso fra 243 e 295 milioni con incrementi compresi tra l'87 e il 127 percento) è un potenziale straordinario che metterebbe l'Italia in linea con i più importanti Paesi europei, ma rischia di essere perso se non si adegua rapidamente la capacità dei nostri scali aeroportuali più importanti. Da un'analisi fatta da un importante agenzia, sembra che Fiumicino possa raggiungere la saturazione già nel 2017;
   una concentrazione del traffico aereo su un numero di scali limitati eviterebbe investimenti infrastrutturali di collegamento costosi e poco utili, puntando a mettere in rete e collegare fra loro le infrastrutture davvero fondamentali, come l'alta velocità ferroviaria e gli aeroporti intercontinentali;
   nella direzione opposta si muove invece la scelta di Trenitalia di sospendere il collegamento Frecciarossa da Milano Malpensa verso Roma e Napoli, dirottando le partenze sulla stazione centrale di Milano e arrecando quindi un grave danno allo scalo aeroportuale milanese –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire nel settore aeroportuale con un piano programmatico che porti alla definizione di macroaree di interesse strategico in cui concentrare il traffico aereo, rispondendo così al duplice obiettivo di razionalizzare i contributi pubblici erogati a favore di scali sottoutilizzati e contribuendo al contempo allo sviluppo del territorio secondo una logica di differenziazione dell'offerta. (4-00814)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE MENECH. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in merito alla realizzazione della nuova sede della questura di Belluno presso la struttura dell'ex caserma Fantuzzi sono stati già previsti, sulla base del programma triennale del provveditorato interregionale alle opere pubbliche-nucleo operativo di Belluno 8 milioni di euro per gli anni 2013 e 2014 e 4 milioni di euro per l'anno 2015;
   la nuova sede consentirebbe non solo di ottimizzare la funzionalità degli uffici, attualmente dislocati in cinque strutture diverse, ma anche e soprattutto di risparmiare denaro pubblico abbattendo i 165 mila euro annui spesi per canone di affitto;
   va anche sottolineato il fatto che la futura caserma Fantuzzi sarebbe l'unico degli edifici strategici rispondente alla normativa antisismica;
   con la nuova sede della questura va affrontato in maniera ineludibile la questione della carenza di organico della polizia di Stato sul territorio provinciale che come attestato dallo stesso dipartimento di pubblica sicurezza si attestava al giugno di un anno fa a 72 unità su 342 posti;
   a questi numeri vanno aggiunti gli ulteriori vuoti d'organico determinati da unità, circa una decina, che hanno maturato i requisiti previdenziali e trasferimenti;
   al 31 dicembre prossimo i vuoti che si registreranno per la questura e il commissariato di cortina si attesteranno a 31 unità su 155 previste solo per quanto riguarda i ruoli di agenti, assistenti e sovrintendenti;
   come evidenziano le organizzazioni sindacali la questura prevederebbe una forza complessiva di 124 dipendenti tra il ruolo dei sovrintendenti, assistenti ed agenti e al 31 dicembre 2012 ne mancavano 18 a cui devono essere aggiunte altre 7 unità che andranno via entro la fine del 2013;
   per quanto riguarda il commissariato di pubblica sicurezza di Cortina mancano 6 operatori sui 31 previsti;
   si tratta di numeri significativi per un territorio complesso e comunque che ha parametri simili ad altre realtà come Sondrio, Aosta, Lecco, Varese che invece hanno rapporti dotazione/effettivi meno deficitarie –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare alla luce di quanto esposto in premessa in merito alle risorse disponibili per la realizzazione della nuova sede della questura di Belluno presso l'ex caserma Fantuzzi;
   quali iniziative e in che tempi intenda assumere circa la indispensabile necessità, di portare le dotazioni di organico della polizia di Stato in provincia di Belluno in linea con quanto prevede il dipartimento di pubblica sicurezza per garantire maggiore sicurezza e funzionalità degli uffici. (5-00310)


   LACQUANITI, FRANCO BORDO, MATARRELLI, GIUSEPPE GUERINI, SCUVERA, MALPEZZI, MAURI, MARANTELLI, COMINELLI, RAMPI, LORENZO GUERINI, SANGA, PETRAROLI, PESCO, BASILIO, ALBERTI, CASO, DE ROSA, MANLIO DI STEFANO, CATALANO, DE LORENZIS, SENALDI, FRAGOMELI, SCALFAROTTO, CRIPPA, PRODANI e PELUFFO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è di qualche giorno fa la chiusura del presidio della direzione investigativa antimafia dislocato presso l'aeroporto di Malpensa, scalo fra i più importanti d'Europa e purtroppo anche fra quelli maggiormente interessati dal traffico internazionale di stupefacenti. Secondo il rapporto del Ministro all'interno pro tempore Maroni il 60 per cento del traffico di stupefacenti è legato allo scalo di Malpensa;
   si tratta di una decisione, a giudizio degli interroganti, piuttosto incomprensibile, contraria alla necessità di dover implementare la presenza della direzione investigativa antimafia sul territorio lombardo, vista l'importanza strategica del sito e della presenza presso lo scalo aeroportuale di Malpensa di presidi di tutte le forze di polizia;
   secondo le dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa dalle organizzazioni sindacali Silp-Cgil la chiusura del nucleo della direzione investigativa antimafia dell'aeroporto milanese di Malpensa, motivata da ragioni di ottimizzazione delle risorse, è una scelta grave e sbagliata. Come afferma in una nota all'Ansa del 28 aprile 2013 il segretario generale Silp-Cgil, Daniele Tissone «decidere di sopprimere un presidio indispensabile per un riscontro diretto di così delicate attività info-investigative, oltre a suscitare la nostra assoluta contrarietà, comunica un preoccupante segnale che di certo non incoraggia la lotta contro la criminalità organizzata»;
   anche in una recente mozione approvata all'unanimità al consiglio regionale della Lombardia, con primo firmatario il consigliere regionale del PD Gian Antonio Girelli e sottoscritta da tutti i componenti della commissione consiliare antimafia, si esprime grande preoccupazione per la chiusura del presidio del distretto investigativo antimafia (Dia) all'aeroporto di Malpensa e si sollecita un confronto con i Ministeri interessati per far sì che il Governo revochi prontamente la decisione, anche in vista dell'appuntamento con Expo 2015;
   la chiusura della direzione investigativa antimafia di Malpensa appare anche in contrasto con le dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta in occasione della sua visita a Milano del 20 maggio 2013, nella quale ha sostenuto la necessità di implementare il contrasto alle organizzazioni criminali in Lombardia anche in previsione di Expo 2015;
   i lavori di Expo 2015 devono essere preservati da ogni possibile infiltrazione della criminalità organizzata, purtroppo presente e attiva anche in provincia di Varese;
   negli ultimi anni è già stata segnalata la presenza della criminalità organizzata in particolare di gruppi affiliati alla ’ndrangheta in due comuni limitrofi all'aeroporto, Busto Arsizio e Lonate Pozzolo, quest'ultimo adiacente all'aeroporto. In particolare nelle indagini Infinito e Bad Boys condotte negli ultimi anni dalle forze dell'ordine è emerso chiaramente il legame fra le cosche legate alla criminalità organizzata e il territorio limitrofo a Malpensa;
   anche nell'ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia, viene evidenziato con chiarezza il preoccupante fenomeno dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico lombardo;
   inoltre secondo l'ultimo Rapporto Ecomafia (2012) di Legambiente, la Lombardia si conferma la prima regione del Nord per numero di reati legati alle ecomafie: all'ottavo posto della classifica nazionale con oltre 1600 reati, il 4,8 per cento del totale nazionale, e con 1442 persone denunciate, 100 in più rispetto all'anno precedente. Va rilevato che è particolarmente il ciclo del cemento, soprattutto quello del movimento terra, il settore economico in cui la ’ndrangheta detiene in Lombardia il primato assoluto. Abusivismo edilizio, appalti pubblici truccati, escavazioni illegali nei fiumi riempiono il campionario lombardo che per il 2011 ha registrato ben 344 reati, 455 persone denunciate e 23 sequestri, posizionando la Lombardia alla nona posizione nella classifica nazionale per le infrazioni legate al cemento;
   sempre sul tema, un articolo pubblicato sul quotidiano on line Il Fatto Quotidiano.it a firma Davide Milosa il 7 giugno 2013, evidenzia «la fotografia, impietosa e preoccupante, che arriva dagli analisti della Dia di Milano». A pagina 1 della relazione semestrale al Parlamento del 23 maggio 2013, firmata dal capocentro Alfonso Di Vito, si legge: «L'azione di contrasto alle organizzazioni criminali, valutata sulla scorta dei provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie, ha evidenziato un'ulteriore flessione rispetto alle ultime analisi prodotte, nell'occasione delle quali tale trend negativo si era già manifestato». E così dopo il biennio 2008-2010 culminato con la maxi-operazione Infinito, la Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo non sembra più in grado di menare colpi decisivi alle cosche. Ma c’è di più. Nelle 61 pagine del report Dia si lancia un allarme anche per Expo 2015. In particolare viene segnalato come la piattaforma informatica «sia di fatto inutilizzabile a causa di vistose lacune relative alla scarsa intuitività del sistema e alla carenza della documentazione richiesta» –:
   se si intenda verificare la possibilità di revocare la disposizione relativa alla chiusura del presidio della direzione investigativa antimafia di Malpensa e al contempo la disponibilità di risorse per mettere in campo tutti gli strumenti necessari per rendere più efficace ed operativo il contrasto alla criminalità organizzata nel territorio lombardo, soprattutto in vista dell'Expo 2015, evento in cui i riflettori di tutto il mondo si accenderanno sul nostro Paese. (5-00318)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il settore del gioco d'azzardo legale è la terza impresa italiana per giro d'affari, con quasi 100 miliardi di euro di fatturato, in continua crescita;
   dopo Giappone e Regno Unito, l'Italia è il terzo Paese al mondo per volume di gioco;
   i giocatori in Italia sono 15 milioni: 3 milioni sono a rischio dipendenza ed 800 mila sono i malati;
   la tassazione sulle slot machines è bassissima: nel 2005 era pari, in media, al 29 per cento; oggi è, in media, dell'8 per cento;
   da un lato lo Stato guadagna 8 miliardi dal gioco d'azzardo, dall'altro però ne spende 5-6 per curare i giocatori affetti da dipendenza, ignorando in sostanza gli effetti devastanti sulla società;
   i problemi connessi all'apertura di sale slot sono molteplici: degrado e problemi di ordine pubblico, schiamazzi notturni, gravissimi problemi e costi sociali, costi affettivi, con famiglie rovinate dal gioco ma soprattutto aumento e diffusione della criminalità organizzata;
   la criminalità organizzata guadagna con il gioco d'azzardo più che con gli altri traffici illeciti, in quanto il gioco d'azzardo è meno rischioso e più redditizio;
   la criminalità organizzata agisce attraverso prestanome, pressioni sui gestori, la pratica dell'usura, il riciclaggio di denaro di dubbia provenienza, e l'adescamento di nuovi affiliati insospettabili, ovvero i giocatori malati;
   in molte città, tra cui Bergamo, il problema è molto sentito: le sale slot sono in continua crescita;
   alcune di queste sale sono a pochi metri da scuole, oratori e da contesti particolarmente delicati per l'ordine pubblico;
   i residenti, i commercianti, gli insegnanti delle scuole ed i parroci, fortemente preoccupati, sono intervenuti, supportati dai quotidiani locali, con diverse iniziative volte a scongiurare l'apertura di queste sale (raccolte firme, riunioni, assemblee pubbliche) ed è in programma una manifestazione davanti alla Prefettura di Bergamo;
   il comune di Bergamo, così come molti altri comuni, ha approvato alla fine del 2012 il regolamento «Disposizioni per la valorizzazione del commercio negli ambiti del tessuto urbano consolidato» che vieta, tra l'altro, l'apertura di sale slot nei borghi storici e a 400 metri dai luoghi di culto, ospedali, case di cura, cimiteri, caserme, scuole di qualsiasi ordine e grado ed insediamenti destinati all'educazione ed allo svago di bambini e ragazzi;
   l'autorizzazione per l'apertura di nuove sale slot è però concessa, a norma di legge, direttamente dal questore, in quanto licenza di pubblica sicurezza;
   difatti, una recente circolare del Ministero dell'interno afferma che il rilascio delle licenza di pubblica sicurezza alle sale può avvenire «eventualmente anche in contrasto con regolamenti comunali che, se adottati, non possono interferire con la competenza dell'autorità di pubblica sicurezza»;
   le questure autorizzano l'apertura di nuove sale esclusivamente sulla base di tre requisiti previsti dalla legge nazionale: il titolare della sala non deve avere precedenti penali, la sala deve avere accessi controllabili e deve essere presente un sistema di videosorveglianza;
   se i comuni limitano in qualche modo, con regolamenti od ordinanze, queste attività, nel 90 per cento dei casi i Tar hanno annullato questi provvedimenti (ad esempio Vicenza, Milano, Verbania);
   ciò ha comportato, nei fatti, una proliferazione delle sale senza che i comuni possano intervenire, ad eccezione dei controlli;
   la tutela dell'ordine pubblico e della salute pubblica è da intendere anche come prevenzione delle condizioni che potenzialmente le minacciano;
   la scelta operata alcuni anni fa dal legislatore nazionale di rimettere al mercato la regolazione del numero di sale dedicate ad ospitare slot e VLT si scontra con le esigenze dei comuni, ai quali non si può impedire ogni possibilità di intervento;
   oltre 160 sindaci hanno aderito al «Manifesto dei Sindaci per la legalità» per chiedere maggiori poteri;
   numerosissimi comuni stanno affrontando questa problematica e hanno recentemente organizzato a Pavia la prima manifestazione nazionale no-slot –:
   se il Ministro non ritenga opportuno ed urgente assumere iniziative dirette a modificare la normativa relativa al rilascio delle licenze per sale slot VLT in modo tale da permettere ai sindaci di esprimere parere preventivo e vincolante per l'apertura di nuove sale e di regolamentarle in particolar modo per quanto attiene la vicinanza a luoghi sensibili e gli orari di apertura. (4-00820)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sul finire dell'ottobre 2008 veniva inaugurato ad Andria, presso la dolina carsica di Gurgo, in un immobile confiscato alla criminalità organizzata, un Comando stazione del Corpo forestale dello Stato, avente competenza sul Parco nazionale dell'Alta Murgia;
   tale immobile, di proprietà comunale venne concesso in comodato gratuito al Comando regionale del CFS;
   nei programmi futuri, considerato che con legge n. 148 dell'11 giugno 2004, era stata istituita la sesta provincia pugliese, denominata di Barletta-Andria-Trani, vi era la possibilità di allocare in Andria, città co-capoluogo, il comando provinciale della forestale, tenuto conto che Andria con i suoi 40 km quadrati rientra tra i comuni non solo con maggiore superficie boschiva della regione ma è anche il secondo territorio per numero di ettari rientranti nella perimetrazione del Parco nazionale dell'Alta Murgia;
   nello statuto provinciale, approvato in data 21 maggio 2010, Andria veniva individuata quale polo dell'ordine e della sicurezza pubblica, e che pertanto, oltre ad essere sede legale della sesta provincia, doveva essere realizzata la sede della questura e del comando provinciale del Corpo forestale dello Stato;
   ad Andria vi è una forte recrudescenza dei reati predatori, quali furti di auto, estorsioni, rapine e violazioni della proprietà privata e pubblica, per cui è necessario provvedere ad un costante monitoraggio del vasto agro cittadino (si segnalano numerose scoperte di vere e proprie discariche di auto rubate e di pericoloso amianto);
   buona parte del territorio andriese si estende sulle propaggini dell'altopiano murgiano;
   almeno nelle dichiarazioni di intenti, da parte di questo Governo non si vogliono tollerare «zone d'ombra» dove la criminalità possa impunemente agire e rilevato che le competenze del Comando stazione del Corpo forestale dello Stato di Andria sono limitate alla sola competenza dell'ente parco;
   occorre tenere conto della scarsità di uomini e mezzi dei presidi delle altre forze dell'ordine, in primis della polizia di Stato che attende ancora di veder realizzata la questura;
   nel territorio di Andria sorge il monumento simbolo della Puglia, il maniero federiciano di Castel del Monte, patrimonio universale dell'UNESCO e varie volte incendi e attentati all'ambiente hanno messo in pericolo tale sito storico-ambientale;
   rilevata l'esiguità del personale della forestale assegnato a detto Comando stazione, con mezzi obsoleti e scarso equipaggiamento tecnologico;
   da parte della IV Commissione permanente del comune di Andria era stato chiesto alla forestale, unitamente all'ARPA ed alla ASL/BT, di procedere ad una indagine conoscitiva dei luoghi, anche attraverso indagini specifiche nelle cavità carsiche in cui potrebbero celarsi rifiuti anche altamente tossici –:
   se intenda predisporre ogni atto utile ad incrementare la presenza di personale e mezzi, in particolare della polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato sul territorio della sesta provincia e di Andria, per attuare un più stringente controllo del territorio, al fine del mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, in particolare per il territorio murgiano, dove maggiore è la presenza di bande criminali;
   se intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito all'operatività del previsto comando provinciale del Corpo forestale dello Stato nella città di Andria, atteso che locali utili allo scopo potrebbero essere reperiti, oltre che presso l'ente provincia – Istituto Tecnico Agrario «Umberto I» –, anche utilizzando immobili non già destinati ad altro del centro ricerche Bonomo nei pressi di Castel del Monte oppure immobili confiscati dalla magistratura alla criminalità organizzata nella disponibilità del comune di Andria. (4-00823)


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge istitutiva dei Centri di identificazione ed espulsione, varata durante l'ultimo Governo Berlusconi, allunga a 18 mesi i tempi di permanenza. Già nel corso della sua visita in Italia, il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Muiznieks, ha denunciato queste strutture come «violazione dei diritti umani»;
   anche l'Unione europea proprio in questi giorni ha criticato fortemente il nostro Paese sulle condizioni dei nostri Centri di identificazione ed espulsione e delle nostre prigioni;
   il centro situato in Gradisca d'Isonzo è in fase di ristrutturazione, ergo anche il personale ospitato è numericamente inferiore rispetto al solito a causa della ristrettezza dello spazio disponibile;
   le difficoltà legate all'identificazione dei soggetti sono dovute anche ad un atteggiamento di lasseiz faire da parte di alcune ambasciate dei Paesi del Maghreb in particolare di quella marocchina, etnia che vede un numero copioso di ospiti presso il centro di identificazione ed espulsione, con conseguente allungamento dei tempi di detenzione e di esborso di risorse da parte dell'amministrazione dell'Interno;
   vi sono 13 richieste di rinvio a giudizio nell'inchiesta giudiziaria sugli appalti al Cie e al Cara che vedono tra gli altri Giuseppe Scozzari presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del consiglio di amministrazione, Vittorio Isoldi direttore della Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce dal 2008 i due centri immigrati, i quali devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e a inadempienze di pubbliche forniture. La gestione dello stesso Cie è stata data in appalto ad un'associazione esterna con conseguenti costi per la pubblica amministrazione –:
   se sia intenzione di codesto Governo sottoscrivere un Protocollo d'intesa con il Regno del Marocco al fine di sviluppare maggiore cooperazione nell'ambito dell'identificazione degli ospiti dei CIE;
   se sia intenzione di codesto Esecutivo valutare con urgenza la possibilità di revocare l'appalto vinto dall'Associazione Connecting people e di affidare le attività che ne sono oggetto al personale militare di stanza presso la Caserma «Ugo Polonio» al fine di evitare qualsiasi intromissione sino a pronunzia definitiva da parte della Magistratura a tutti i livelli.
(4-00825)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 giugno 2013 quattrocento dipendenti dell'acciaieria Ast di Terni, ex Thyssen, hanno partecipato ad una manifestazione autorizzata indetta da tutti i sindacati di categoria, occupando i binari della stazione in segno di protesta per lo smembramento annunciato dalla multinazionale finlandese che l'ha acquisita;
   dopo l'occupazione pacifica della stazione, alla quale hanno partecipato numerosi esponenti politici, in solidarietà con gli operai, sono esplosi scontri con la polizia in cui è rimasto ferito anche il sindaco di Terni, che è stato successivamente medicato in ospedale con due punti di sutura alla testa;
   in uno Stato democratico deve essere sempre garantita la possibilità di manifestare in modo pacifico –:
   se il Ministro non ritenga opportuno condannare i gravi fatti di violenza accaduti a Terni e come intenda intervenire per appurare, per quanto di competenza le responsabilità di quanto accaduto. (4-00840)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


   BRESCIA, LUIGI GALLO, BATTELLI, DI BENEDETTO, D'UVA, MARZANA, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi le Province gestiscono 5179 edifici scolastici che accolgono circa 2.600.000 alunni;
   in questi giorni l'Unione Province d'Italia ha pubblicato un dossier sui tagli ai bilanci delle province ed alla scuola da cui emerge che, a causa delle manovre economiche che si sono susseguite e dei vincoli sugli obiettivi di Patto di stabilità, le province nel periodo 2008-2012 sono state costrette ad effettuare i seguenti tagli:
    la spesa per il funzionamento delle scuole delle province è diminuita di 434.520.937 euro, un taglio del 24 per cento;
    la spesa per investimenti e quindi sulla realizzazione di nuovi edifici scolastici, sulla messa in sicurezza e sugli interventi strutturali è diminuita di 366.772.055. Un crollo del 51,8 per cento;
    sono state chiuse circa 1000 palestre in orario extrascolastico. Notizia che susciterà senz'altro l'interesse del Presidente del Consiglio che, nel suo discorso per la fiducia, ha affermato di voler «Valorizzare lo sport»;
   in base alla rilevazione effettuata dall'Upi, per quanto riguarda il piano programmatico delle opere, le province per il 2013, avevano definito impegni di spesa per investimenti nelle scuole pari a 727.894.774 euro;
   a causa dei tagli imposti e degli obiettivi di patto di stabilità, le province sono state costrette a ridurre questi impegni di 513.272.984 euro e quindi potranno essere realizzate opere solo per 212.080.789 euro: ovvero solo un terzo delle spese programmate;
   a causa di questa grave situazione molte province non saranno in grado di fare opere di manutenzione entro l'estate, come richiesto dalle procure, e viene seriamente messa a rischio l'apertura di ben 400 istituti nel nuovo anno scolastico –:
   come il Governo intenda gestire questa emergenza e se i suddetti lavori potranno o meno incominciare entro questa estate, anche in considerazione del fatto che il Ministro dell'istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha indicato l'edilizia scolastica come il primo tema di cui occuparsi. (5-00339)


   DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dalle linee programmatiche esposte dal Ministro in audizione congiunta Camera e Senato emerge la volontà di risolvere l'urgente problema del precariato con interventi per il personale della scuola e per i precari e come riportato «...intende avviare una riflessione per il nuovo reclutamento dei dirigenti scolastici e dei docenti (non tralasciando il TFA)»..., in questi anni, la mancata risoluzione del problema del precariato e della creazione di un sistema di reclutamento chiaro e ordinato nella scuola, ha generato una situazione che con il passare del tempo ha assunto dimensioni drammatiche, e che l'originaria ragione sociale che ha supportato l'attivazione del T.F.A è stata la seguente: «Vista la rilevazione sul fabbisogno di personale nelle Scuole Secondarie di I e di II Grado per ciascuna classe di abilitazione, maggiorato al limite del 30 per cento in relazione al numero di pensionamenti previsti, effettuata dalla Direzione Generale per il Personale Scolastico, pari a complessivi 4.275 posti per il T.F.A. per la Scuola Secondaria di Primo Grado e 15.792 posti per il T.F.A. per la Scuola Secondaria di Secondo Grado.» (Decreto Ministeriale del 14 marzo 2012 n. 31, relativo alla «Definizione dei posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazioni ai corsi di Tirocinio Formativo Attivo per l'Abilitazione all'insegnamento nella Scuola Secondaria di Primo e Secondo Grado, per l'a.a. 2011-12»);
   a complicare la situazione accade che il ministro Profumo ha ratificato la modifica al regolamento del decreto ministeriale n. 249 del 2010, inserendovi le procedure di attivazione al T.F.A. Speciale, destinato ai docenti non abilitati con 3 anni di servizio e 180 giorni di incarico, e confermando che i titoli di abilitazione conseguiti al termine del percorso costituiscono solo requisito di ammissione alle procedure concorsuali, che, come è ben noto, danno, in caso di superamento, diritto al ruolo, mentre diversamente non viene riconosciuta l'idoneità all'insegnamento, come per i vecchi concorsi, e quindi l'accesso alle graduatorie ad esaurimento. Quindi chi ora consegue l'abilitazione alla docenza con il T.F.A. risulta essere fortemente penalizzato sotto qualsiasi punto di vista: a) in quanto vincitore di un concorso che non ha alcuna ricaduta professionale ed occupazionale; b) con snaturamento del valore abilitante e della sua spendibilità nel mercato del lavoro sia a livello pubblico che privato;
   ultimamente il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sta provocando una inaccettabile guerra tra precari, sostenendo l'approvazione dei cosiddetti T.F.A. Speciali da destinarsi ai docenti non abilitati in possesso di almeno 180 giorni svolti in 3 anni di servizio, i quali conseguirebbero lo stesso titolo dei T.F.A. ordinari senza affrontare alcuna prova concorsuale; occorre precisare che il Regolamento al T.F.A. Speciale, inserito nella bozza di modifica al regolamento del decreto ministeriale n. 249 del 2010 di giugno 2012, è ambiguo sia nella forma che nella sostanza, e si confonde con altri punti che, invece, riguardano più strettamente il T.F.A. ordinario. Con una eventuale situazione del genere chi conseguirebbe il titolo T.F.A. ordinario, di cui ancora non è chiaro il punteggio finale, si troverebbe scavalcato, in qualsiasi tipo di graduatoria, da chi ha l'abilitazione con il T.F.A. Speciale, in quanto per quest'ultimi verrebbe calcolato il punteggio sul servizio pregresso prestato sia nelle scuole pubbliche che private;
   in attesa dell'elaborazione di un sistema di reclutamento docenti realmente efficiente sarebbe necessario aprire almeno le graduatorie ad esaurimento per gli abilitati ai TFA ordinari –:
   quali interventi intenda porre in essere per garantire la funzionalità delle scuole alla luce di quanto affermato in premessa. (5-00340)


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, ha predisposto un «piano straordinario stralcio di interventi urgenti sul patrimonio scolastico», che prevedeva la realizzazione di 1.706 interventi. Si trattava di un nuovo programma di interventi, dopo il «Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici», e successive rimodulazioni, selezionati tra oltre 6.900 richieste degli Enti interessati, per un costo totale; di oltre 950 milioni di euro;
   gli stanziamenti per la messa in sicurezza degli edifici scolastici hanno seguito, nell'ultimo decennio, tre filoni di intervento: un primo filone scaturito dalle risorse individuate nell'ambito del Programma delle infrastrutture strategiche avviato dalla legge obiettivo (legge n. 443 del 2001);
   un secondo filone derivante dalla programmazione dell'edilizia scolastica prevista dalla legge 23 del 1996 e, infine, un terzo filone residuale, contenente ulteriori interventi finalizzati all'adeguamento antisismico delle strutture scolastiche, avviato con la finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007). Con l'emanazione del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, è stato poi previsto un nuovo «Piano nazionale di edilizia scolastica» nell'ambito di una serie di disposizioni (recate dall'articolo 53 del decreto-legge n. 5 del 2012) finalizzate alla modernizzazione e all'efficientamento energetico del patrimonio immobiliare scolastico;
   quanto alle misure di finanziamento, si ricorda che la legge finanziaria 2007 (articolo 1, comma 625, della legge 296 del 2006) ha autorizzato la spesa di 250 milioni di euro per il triennio 2007-2009 (50 milioni di euro per l'anno 2007 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009) per i piani di edilizia scolastica di cui all'articolo 4 della legge 23 del 1996. Con il decreto ministeriale 16 luglio 2007 sono stati ripartiti i finanziamenti autorizzati dalla predetta legge finanziaria 2007 a favore delle regioni, per l'attivazione dei piani di edilizia scolastica, per il triennio 2007-2009;
   per il triennio 2010-2012, non sono state stanziate risorse nazionali per i piani triennali ex articolo 4 della legge 23 del 1996, e la formulazione degli indirizzi per la programmazione in materia di edilizia scolastica è stata effettuata a livello regionale. In proposito nella delibera CIPE n. 66/2012 si sottolinea che, a partire dal 2009, la predetta legge non è stata più rifinanziata con risorse nazionali;
   la legge finanziaria 2008 (articolo 2, comma 276, della legge n. 244 del 2007) ha previsto un finanziamento di 20 milioni di euro attraverso l'incremento del Fondo per gli interventi straordinari della Presidenza del Consiglio (istituito dall'articolo 32-bis del decreto-legge 269/200 per la realizzazione di interventi infrastrutturali con priorità per quelli volti alla riduzione del rischio sismico). Il citato Fondo è stato quindi incrementato, ai sensi del citato comma 276, di 20 milioni di euro a decorrere dal 2008, al fine di conseguire l'adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico, nonché la costruzione di nuovi immobili sostitutivi degli edifici esistenti, laddove indispensabili a sostituire quelli a rischio sismico;
   ulteriori interventi di adeguamento antisismico degli edifici del sistema scolastico sono stati previsti dall'articolo 2, comma 1-bis, del decreto-legge n. 137 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 169 del 2008 che ha disposto il versamento al bilancio dello Stato delle risorse iscritte nel conto dei residui del bilancio medesimo per l'anno 2008, a seguito di quanto disposto dall'articolo 1, commi 28-29, della legge n. 311 del 2004 e non utilizzate alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione, da destinarsi al finanziamento di interventi per l'edilizia scolastica e per la messa in sicurezza degli istituti scolastici ovvero di impianti e strutture sportive dei medesimi. Lo stesso comma 1-bis ha demandato il riparto delle risorse, con l'individuazione degli interventi e degli enti destinatari, ad apposito decreto interministeriale, da emanarsi in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari;
   in attuazione di tale disposizione, in data 23 dicembre 2008, le Commissioni riunite V e VII della Camera hanno approvato la risoluzione n. 8-00025 di indirizzo al Governo, cui quest'ultimo ha dato seguito con il decreto ministeriale 9 aprile 2009, che ha provveduto a ripartire, tra gli enti indicati in allegato al decreto stesso, la somma di 12,5 milioni di euro;
   al fine di garantire su tutto il territorio nazione l'ammodernamento e la razionalizzazione del patrimonio immobiliare scolastico, anche in modo da conseguire una riduzione strutturale delle spese correnti di funzionamento, l'articolo 53 del decreto-legge n. 5 del 2012 ha previsto l'approvazione da parte del CIPE di un Piano nazionale di edilizia scolastica, che non è stato ancora attuato. Il comma 4-sexies prevede l'istituzione, a decorrere dall'esercizio finanziario 2013, di un Fondo unico per l'edilizia scolastica nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in cui confluiscono tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica;
   secondo i dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca gli edifici scolastici italiani soffrono della stessa malattia del corpo docente: sono vecchi; il 4 per cento (1517 plessi) ha oltre 100 anni, essendo stato costruito prima del 1900. Mentre il 44 per cento (circa 15.872 strutture) ha un'età variabile fra i trenta e gli oltre cinquanta anni. Con anni di costruzione che vanno dal 1961 al 1980. Gli edifici più nuovi, quelli costruiti dopo il 1980, sono 9.067 (il 25 per cento). E quanto emerge dai primi dati dell'anagrafe dell'edilizia scolastica che il ministero ha deciso di pubblicare, dopo anni di attesa, lo scorso settembre; anche le cifre della sicurezza antincendio sono preoccupanti: solo il 17,7 per cento degli edifici risulta in possesso del certificato di prevenzione incendi. Ma i requisiti per ottenerlo sono diversi e, guardando a questi ultimi, il 66 per cento delle scuole possiede un impianto idrico antincendio, il 49,3 dispone di una scala interna di sicurezza, il 61,5 per cento possiede la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico, il 63 per cento è munito di un sistema di allarme, il 98,3 per cento, in possesso di estintori portatili, il 95,1 per cento possiede un sistema di segnaletica di sicurezza. Sono le regioni del Sud che presentano, da questo punto di vista, le maggiori criticità. Qualche altro dato: il 4,2 per cento degli edifici risulta essere in affitto. L'89,9 per cento ha il certificato di valutazione dei rischi;
   il primo nodo da sciogliere è legato all'Anagrafe dell'edilizia scolastica: dopo quasi diciassette anni dalla sua istituzione (Legge n. 23 del 1996) l'Anagrafe stenta non solo a partire ma anche ad essere completata. Ciò è confermato anche: dai primi dati forniti, resi pubblici a partire dal 2012 dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dati che evidenziano ancora molte lacune e molte manchevolezze. Il completamento dell'anagrafe dovrebbe essere invece il primo passo per evidenziare le emergenze, quantificare in maniera ragionata le risorse e razionalizzarne l'erogazione. È da segnalare che la Onlus «Cittadinanza attiva» ha già avviato un monitoraggio di circa 250 edifici scolastici in tutta Italia per valutarne il livello di sicurezza, qualità e comfort, nonché la presenza di barriere architettoniche e non solo. Ma il compito di monitorare e mappare dovrebbe essere di matrice istituzionale;
   sarebbe necessario predisporre una mappatura su tutto il territorio nazionale dedicando un monitoraggio riservato agli asili nido e alle scuole d'infanzia, per quantificarne il numero esatto e lo stato degli edifici, sia per le scuole statali che comunali e paritarie. Una verifica di tale tipo fornirebbe peraltro un utile dato propedeutico anche per cercare di porre riparo ad un'altra ma altrettanto annosa questione legata al comparto scuola, quella relativa alle liste d'attesa per l'accesso ai nidi e alle scuole d'infanzia;
   una visione d'insieme permetterebbe inoltre una reale mappatura non solo degli edifici scolastici ma anche di ciò che sta intorno ad essi, con particolare controllo del rischio ambientale. Sono praticamente prive di monitoraggio le scuole ubicate vicino a fonti d'inquinamento. Se, ad esempio, è aumentato il controllo sulla presenza di amianto negli edifici scolastici, sono ancora pochi i casi di reale bonifica –:
   in quali tempi e con quali procedure intenda attivare il nuovo Piano dell'edilizia scolastica su base pluriennale, che, utilizzando l'anagrafe dell'edilizia scolastica, da completare in tempi rapidi, come strumento di analisi del sistema e di programmazione, e tenendo conto ed armonizzandosi con le misure e con i provvedimenti già posti in atto, individui gli interventi, per la sicurezza, la messa a norma, l'efficienza e l'eco-sostenibilità energetica, l'abbattimento delle barriere architettoniche, la dotazione di infrastrutture digitali del patrimonio scolastico di tutti gli ordini e gradi di scuole, con particolare attenzione per le scuole dell'infanzia, degli edifici dipendenti da altri Ministeri (Ministero dei Beni Culturali e Ministero della Difesa) e delle Università, semplificando le procedure di attivazione e attuazione, in accordo con le regioni e gli enti locali.
(5-00341)


   COSCIA, CAROCCI, ASCANI, BLAZINA, BONAFÈ, BOSSA, COCCIA, D'OTTAVIO, GHIZZONI, LA MARCA, MALPEZZI, MANZI, MALISANI, NARDUOLO, ORFINI, PES, PICCOLI NARDELLI, RACITI, RAMPI, ROCCHI e ZAMPA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio nazionale della pubblica istruzione (CNPI) è un organismo istituito a norma del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416, attualmente regolamentato dagli articoli 23, 24 e 25 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, approvato con decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297;
   il CNPI, in quanto organo di consulenza tecnico-professionale del Ministro, formula pareri facoltativi o obbligatori, espressamente richiesti dall'amministrazione o pronunce di propria iniziativa e, come supporto all'azione amministrativa del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, formula pareri obbligatori su questioni attinenti lo stato giuridico del personale docente;
   in applicazione della delega conferita al Governo dall'articolo 21, comma 15, della legge 15 marzo 1997, n. 59, è stato emanato il decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233, il quale ha introdotto nuovi organi collegiali territoriali (Consiglio superiore della pubblica istruzione – a livello centrale – Consigli regionali dell'istruzione e Consigli scolastici locali), in sostituzione dei precedenti organi disciplinati dai capi, II, III e IV, titolo 1 del decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 (Consiglio nazionale della pubblica istruzione, Consigli scolastici provinciali e distrettuali);
   la procedura per la costituzione di detti nuovi organi non sono state attivate in quanto, a partire dal 2001, si è pensato che il decreto de quo fosse inattuabile, in attesa dell'approvazione di una nuova, ancora non avvenuta, riforma degli organi collegiali, nonché per i problemi connessi con le modifiche legislative medio tempore intervenute a livello di normativa costituzionale (Titolo V della Costituzione);
   in seguito alla mancata approvazione della riforma degli organi collegiali, attesa da tempo e ormai ritenuta indispensabile, il Consiglio nazionale della pubblica istruzione ha continuato a funzionare in un regime di proroga;
   si evidenzia che allo stato attuale l'organismo nazionale di consultazione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per il settore scolastico, non è funzionante in quanto la validità del Consiglio nazionale della pubblica istruzione è venuta a cessare alla data del 31 dicembre 2012, ultima proroga disposta dall'articolo 14 del decreto-legge n. 216 del 29 dicembre 2011, convertito nella legge n. 14 del 24 febbraio 2012;
   la mancanza dell'organo collegiale territoriale a livello nazionale ha creato un vuoto normativo, in quanto tutte le funzioni di competenza del CNPI risultano interdette, pur non essendo state abrogate né espressamente, né implicitamente da successivi provvedimenti legislativi le relative disposizioni;
   inoltre, la mancata proroga delle attività svolte dell'organismo nazionale di consultazione riguardo a provvedimenti per i quali è previsto per legge il parere obbligatorio, può insorgere in contenziosi che potrebbero vedere l'amministrazione soccombente –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente avviare un opportuno intervento normativo che ricostituisca un nuovo organismo nazionale di consultazione, in considerazione del fatto che il decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233 non appare coerente con le nuove competenze regionali, introdotte con l'intervenuta modifica al titolo V della Costituzione e, nelle more, prevedere la proroga del Consiglio nazionale della pubblica istruzione.
(5-00342)


SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comma 2-ter dell'articolo 14 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, ha istituito una fascia aggiuntiva alle graduatorie ad esaurimento di cui all'articolo 1, commi 605, lettera c), e 607, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni;
   tali graduatorie restano comunque chiuse limitatamente ai docenti che hanno conseguito l'abilitazione dopo aver frequentato ...omissis... il secondo e il terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A, nonché i corsi di laurea in scienze della formazione primaria negli anni accademici 2008-2009, 2009-2010 e 2010-2011;
   il decreto ministeriale n. 53 del 2012 ha fissato i termini per l'inserimento nelle predette graduatorie aggiuntive a decorrere dall'anno scolastico 2012-2013. In particolare, l'articolo 1, comma 1 prevede che «possono presentare domanda di inclusione in una fascia aggiuntiva alla III fascia delle graduatorie ad esaurimento costituite in applicazione del decreto ministeriale 12 maggio 2011 n. 44, modificato dal decreto ministeriale 26 maggio 2011, n. 47, i docenti che negli anni accademici 2008/2009, 2009/2010 e 2010/2011 hanno conseguito l'abilitazione dopo aver frequentato ...omissis... il secondo e il terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A, nonché i corsi di laurea in scienze della formazione primaria.»;
   secondo l'articolo 10 del predetto decreto le domande di inserimento nella nuova fascia andavano presentate entro e non oltre il termine del 10 luglio 2012;
   tale termine perentorio ha escluso, di fatto, tutti quei docenti che avrebbero conseguito l'abilitazione, presso le facoltà di scienza della formazione primaria quadriennale e mediante il secondo e il terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale, successivamente a tale data;
   è molto probabile, se non certo, che il mancato inserimento nella fascia aggiuntiva, per motivi legati alla data di conseguimento della laurea, (fatto non previsto né dal regolamento di facoltà, né dalla normativa di riferimento per l'inserimento in graduatoria prevista all'atto dell'immatricolazione al corso medesimo), produrrà un considerevole contenzioso;
   il mancato inserimento nella fascia aggiuntiva di coloro che non hanno presentato domanda di inserimento entro il termine del 10 luglio 2012 costituisce una chiara disparità tra colleghi che hanno avviato un percorso formativo con indicazioni del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca;
   tale disparità pone in condizione diversa studenti iscritti al medesimo corso di laurea; ciò si eviterebbe includendo nella graduatoria tutti coloro che conseguiranno la laurea in scienze della formazione primaria immatricolati con l'ordinamento quadriennale (decreto MURST 26 maggio 1998 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 luglio 1998, n. 153);
   si tratta, infatti, di giovani laureati per i quali non si chiede una eccezione, ma solo di ristabilire una condizione di equità, in quanto essi hanno iniziato il percorso formativo facendo in tal modo un investimento che rischia di essere vanificato –:
   quali iniziative urgenti, anche di tipo normativo, intenda adottare, al fine di ripristinare condizioni paritarie di trattamento tra coloro che hanno conseguito la laurea in scienza della formazione primaria quadriennale al fine di evitare un costoso ed inutile contenzioso che potrebbe scaturire dal perdurare di tale obiettiva situazione di iniquità. (5-00343)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NACCARATO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 24 aprile 2013, il dipartimento per l'istruzione ha diramato la circolare 3943 con la quale si attivano tre nuove classi di concorso di lingua e civiltà straniera per l'istruzione secondaria di secondo grado;
   in particolare le classi di concorsi riguardano le lingue albanese-sloveno (A746), arabo-ebraico (A846), cinese-giapponese (A946);
   nella circolare si specifica che per la ristrettezza dei tempi e per evitare il mal funzionamento della procedura di definizione delle cattedre, le stesse sono state abbinate a due a due per consentire di assegnare le ore di lingua straniera alle classi che le hanno prescelte, considerato che le attuali disposizioni non consentono l'attivazione di classi formate con gruppi di ragazzi che studiano lingue diverse;
   il procedimento di attivazione delle nuove classi appare poco chiaro, specialmente nel passaggio tra il momento dell'attivazione e quello della effettiva assegnazione in organico, con relativa codificazione;
   le direttive dell'Unione europea raccomandano la tutela delle lingue comunitarie, in particolare, al fine di affiancare alla lingua inglese, lo studio di una seconda lingua comunitaria –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti fin qui esposti;
   in che modo il Ministro intenda chiarire il procedimento di attivazione;
   se il Ministro intenda dare corso alle disposizioni delle direttive dell'Unione europea che chiedono agli Stati dell'Unione di potenziare l'insegnamento della seconda lingua comunitaria. (5-00313)


   SBROLLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'università di Padova sta avviando la procedura di chiusura dei corsi di laurea in scienze infermieristiche di Portogruaro (VE) e Montecchio Precalcino (VI) e la sospensione dei corsi di Conegliano (TV) e Feltre (BL);
   ciò accade in base al decreto ministeriale n. 47 del 2013, che stabilisce i requisiti minimi di qualità che le università devono rispettare, definendo per le sedi periferiche limiti e criteri diversi rispetto alle sedi centrali;
   gli infermieri del Veneto e il coordinamento dei collegi infermieri (IPASVI) del Veneto sono preoccupati perché l'università di Padova non sembra trovare soluzioni alternative alla chiusura dei poli formativi periferici;
   tale chiusura comporterebbe un totale di 225 posti di formazione in meno ogni anno. Attualmente Portogruaro conta 65 posti, Montecchio Precalcino 65, Conegliano 60 e Feltre 65;
   il corso di laurea in scienze infermieristiche risulta essere il maggior contribuente dell'ateneo patavino. In questo senso sarebbe preferibile dedicarsi al miglioramento della formazione anziché alla chiusura dei poli periferici;
   in Veneto si assiste da sempre a una grande richiesta di infermieri, rallentata in questo momento storico dallo slittamento del pensionamento previsto dalla «riforma Fornero», (ad oggi ci sono 230 infermieri veneti inoccupati). Tuttavia, non appena la situazione si sbloccherà permettendo molti pensionamenti, si teme che i neo laureati possano essere numericamente insufficienti a coprire i posti disponibili;
   impoverire le aree decentrate significa togliere un'offerta formativa ai tanti studenti che abitano nei territori dove sono presenti gli attuali poli periferici La percentuale di tali studenti risulta essere vicina all'80 per cento;
   una formazione infermieristica diffusa nel territorio garantisce un importante legame culturale con la propria zona di appartenenza oltre che con l'utenza;
   gli infermieri del Veneto chiedono al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di intervenire con ogni mezzo per garantire il mantenimento e il miglioramento della formazione infermieristica in Veneto –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra riportato; se e come intenda intervenire, per quanto di competenza, nell'ambito delle sue competenze al fine di evitare sia la chiusura del corso di laurea in scienze infermieristiche nei poli periferici di Portogruaro (VE) e Montecchio Precalcino (VI) sia la sua sospensione nei poli di Conegliano (TV) e Feltre (BL); se non intenda, per le motivazioni in premessa, assumere ogni iniziativa di competenza per permettere la deroga ai requisiti minimi richiesti ai poli formativi decentrati così come previsto per le sedi centrali. (5-00314)


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 16 maggio 2012, con la nota n. 3714 (Attuali classi di concorso su cui confluiscono le discipline relative al primo, secondo e terzo anno di corso degli istituti di II grado interessati al riordino – a.s. 2012/2013), il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha reso possibile ad alcune classi di concorso, definite atipiche, di poter accedere all'insegnamento di nuove discipline;
   ciò è avvenuto senza tener conto della classe 7A (arte della grafica pubblicitaria e della fotografica) e senza alcuna motivata ragione che tuttavia ha causato l'ingresso di non abilitati. Il decreto ministeriale n. 39 del 1998 sulla regolamentazione delle classi di concorso elenca infatti chiaramente, una per una, le discipline, con i titoli indispensabili per l'accesso al loro insegnamento ed è chiarissima la professionalità inerente, specifica per i docenti di grafica della 7A a differenza della 21A, 22A, 18A. Sembrerebbe pertanto che con questo nuovo inserimento il Ministero contravvenga ai suoi stessi decreti poiché queste ultime classi di concorso non possiedono i requisiti necessari;
   l'arte della grafica nasce dall'esigenza di produrre più esemplari di una stessa immagine in serie, è il commercio che la fa sviluppare e ad esso rimane strettamente legata, è comunicazione aziendale tramite le immagini che non sono fine a se stesse ma rispondono ad obiettivi specifici a cui un prodotto o un'azienda mira. Il dépliant, il manifesto, lo spot non sono altro che comunicazioni fatte dalle aziende, associazioni pubbliche e private ai propri clienti-utenti, lontanissime dall'espressione soggettiva di un artista: una cultura artistica di base è ovviamente fondamentale, ma non lo sono di meno le capacità tecniche che il nuovo mondo della grafica richiede;
   grazie alle nuove tecnologie, la grafica oggi è inscindibile dai software Illustrator, Photoshop e da molti altri che i docenti delle tre classi in questione non conoscano; non si può ancora oggi credere ad una grafica che sia solo espressione «decorativa», nessun cliente affiderebbe la sua comunicazione, da cui dipendono decine se non centinaia di lavoratori ad una bellissima decorazione e basta. Dietro la grafica c’è il commercio, nelle indicazioni ministeriali non si accenna alla grafica d'arte, quella dell'incisione, dell'acquaforte, ma si allude chiaramente a quella pubblicitaria, dei mezzi di comunicazione, della strategie di comunicazione e questo è campo della 7A: arte della grafica pubblicitaria e della fotografia;
   inoltre, le abilitazioni, fissate con decreti emanati dallo stesso Ministero, sono diverse. I piani di studio delle abilitazioni sono quattro – la 7A non è stata inglobata nelle abilitazioni delle altre tre – e quindi sono totalmente differenti (si vedano i programmi riportati nel decreto ministeriale ottobre 2004 n. 82). Mentre per la 7A si studiava «storia della fotografia» e «storia della grafica pubblicitaria», per la 21A, la 22A, la 18A si studiavano rispettivamente «lettura dell'opera d'arte» e «storia della pittura moderna e contemporanea»; «storia della scultura ed elementi di urbanistica e architettura», «storia dell'architettura». Mentre gli aspiranti alla 7A apprendevano «fotografia digitale», quelli della 21, 22 e 18A approfondivano rispettivamente i «linguaggi pittorici e contesti ambientali», «linguaggi plastici e contesti ambientali», «analisi e progettazione dell'arte ambientale» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere per la specificità della classe di concorso 7A, al fine di sanare questa incongruenza generata da disposizioni confliggenti derivanti dalla medesima amministrazione.
(5-00315)


   COSCIA e GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 197, comma 1, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ha stabilito che «(...) il titolo conseguito nell'esame di maturità a conclusione dei corsi di studio dell'istituto magistrale abilita all'insegnamento nella scuola elementare (...)»;
   l'articolo 15, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 323, stabilisce che «I titoli conseguiti nell'esame di Stato a conclusione dei corsi di studio dell'istituto magistrale iniziati entro l'anno scolastico 1997/1998 conservano in via permanente l'attuale valore legale e abilitante all'insegnamento nella scuola elementare. Essi consentono di partecipare ai concorsi per titoli ed esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare»;
   inoltre l'articolo 197, comma 1, del decreto interministeriale 10 marzo 1997 ha stabilito che «è attribuito valore abilitante all'insegnamento nelle scuole materne ed elementari ai titoli che si conseguono al termine del corso di studi della scuola magistrale e dell'istituto magistrale» e l'articolo 2, comma 1, decreta che: «I titoli di studio conseguiti al termine dei corsi triennali e quinquennali sperimentali di scuola magistrale e dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell'istituto magistrale, iniziati entro l'anno scolastico 1997-1998, o comunque conseguiti entro l'a.s. 2001-2002, conservano in via permanente l'attuale valore legale e consentono di partecipare alle sessioni di abilitazione all'insegnamento nella scuola materna, previste dall'articolo 9, comma 2, della citata legge n. 444 del 1968, nonché ai concorsi ordinari per titoli e per esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare, secondo quanto previsto dagli articoli 399 e seguenti del citato decreto legislativo n. 297 del 1994»;
   per tutti i diplomati magistrali e per coloro che abbiano conseguito il titolo di istituto magistrale non risulta essere mai stato posto l'obbligo a frequentare il successivo corso di laurea abilitante in scienze della formazione e di conseguenza è evidente l'attuale riconoscimento del diploma magistrale quale titolo abilitante in virtù delle succitate norme;
   in data 11 marzo 2013 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sottoscritto il CCNL mobilità scuola statale il quale sancisce che: «Conservano valore di abilitazione all'insegnamento nella scuola elementare i titoli di studio conseguiti al termine dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell'istituto magistrale, entro l'anno scolastico 2001/2002, ai sensi del decreto ministeriale 10 marzo 1997.»;
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 466 del 1997, obiter dictum, ha sostenuto che il diploma magistrale «è in sé abilitante», a prescindere dai concorsi a cattedra;
   mai prima d'ora, era stato messo in discussione il valore di abilitazione all'insegnamento dei diplomi di maturità magistrale, in quanto né i concorsi per titoli ed esami per la scuola primaria, né i corsi ex decreto ministeriale n. 85 del 2005 hanno mai avuto funzione di abilitazione all'insegnamento, costituendo, i primi, semplice procedura concorsuale per l'arruolamento nelle scuole statali senza finalità abilitanti, i secondi corsi finalizzati esclusivamente all'acquisizione della cosiddetta «idoneità» all'inserimento nelle graduatorie permanenti/ad esaurimento;
   per i diplomati magistrali non risulta essere mai stato posto l'obbligo a frequentare il successivo corso di laurea abilitante in scienze della formazione e di conseguenza è evidente l'attuale riconoscimento del diploma magistrale quale titolo abilitante in virtù delle succitate norme;
   l'articolo 15, comma 16, del decreto ministeriale 10 settembre 2012, n. 249, istituisce «percorsi formativi finalizzati esclusivamente al conseguimento dell'abilitazione per la scuola dell'infanzia e per la scuola primaria»;
   tale disposto è ad avviso degli interroganti in sé incoerente con la delega conferita dall'articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in quanto finalizzato a conferire una «abilitazione» a personale docente già, per legge, abilitato, e che certamente non necessita di una «formazione iniziale», giacché trattasi di personale che ha completato un corso di studio professionalizzate concluso con un esame di Stato avente funzione di conseguimento sia del titolo di studio di «maturità» sia della qualifica professionale di «abilitazione» magistrale e che, in molti casi, presta da anni servizio nelle scuole primarie statali o paritarie;
   è attestato e comprovato che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha, nel corso degli anni, riconosciuto quali titoli di abilitazione all'insegnamento nella scuola primaria italiana diplomi di scuola secondaria di II grado, di livello, quindi, equiparabili al diploma di maturità magistrale, conseguiti in altri Stati membri dell'Unione europea, in particolare in Romania ed appare quindi non solo immotivata qualunque forma di disparità di trattamento e discriminazione tra cittadini italiani in possesso di titolo definito per legge abilitante e cittadini di altri Stati membri in possesso di titolo analogo e definiti anch'essi abilitati nei rispetti Paesi, ai quali lo Stato italiano ha consentito l'accesso alle graduatorie permanenti/ad esaurimento, se non addirittura al ruolo, senza che a quest'ultimi fosse richiesto il superamento di alcuna procedura concorsuale per titoli ed esami;
   si apprende che, in questi giorni, a seguito di diverse denunce giunte in sede europea circa il mancato riconoscimento della qualifica italiana per lo svolgimento dell'attività di insegnante del ciclo prescolastico o primario in altro Stato membro, la Commissione europea, attraverso EU Pilot, dopo aver esaminato la legislazione italiana, è giunta alla conclusione che per insegnare nella scuola primaria è «giuridicamente necessario essere in possesso di una delle seguenti qualifiche: laurea in scienze dell'educazione primaria e diploma di maturità magistrale», chiarendo, altresì, che il superamento del concorso è necessario soltanto per ottenere una assunzione a tempo indeterminato nelle scuole statali, predisponendo a tal fine la elaborazione di una lettera di richiamo alle autorità italiane per chiarire e riconsiderare la posizione finora adottata sulla questione –:
   se non intenda, considerata l'interpretazione fornita dalla Commissione europea, provvedere all'attuazione, con apposite iniziative, del riconoscimento del valore abilitante dei corsi di istituto magistrale iniziati entro l'anno scolastico 1997-98 e conclusi entro l'anno scolastico 2001-02 così da ridurre il rischio di sanzioni da parte delle autorità dell'Unione europea e di eventuali azioni di rivalsa da parte dei cittadini italiani privati arbitrariamente e senza giustificato motivo della possibilità di esercitare quanto in loro diritto. (5-00319)


   COSCIA, GHIZZONI, CAROCCI, MALPEZZI e ROCCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 24 marzo 2013, a seguito di un lungo iter, il ministro Profumo ha firmato tre provvedimenti ministeriali recanti disposizioni in materia di formazione iniziale degli insegnanti;
   il primo di essi modifica ed integra il decreto ministeriale n. 249 del 2010, istitutivo dei cosiddetti Tfa Speciali con cui oltre a prevedere nuovi criteri di programmazione del numero dei posti dei docenti abilitati necessari per il funzionamento del sistema formativo nazionale, ha affiancato al Tfa ordinario percorsi abilitanti riservati a docenti precari con particolari requisiti di servizio come misura transitoria limitata;
   il suindicato decreto, tuttavia, non ha preso in considerazione l'osservazione formulata dalla VII Commissione cultura della Camera nel febbraio 2013 secondo cui ai fini del calcolo dei giorni necessari per accedere al Tfa speciale, si sarebbe dovuto includere anche l'anno scolastico in corso;
   condizione questa tanto più ragionevole considerato il fatto che ad oggi i corsi inerenti i Tfa speciali non sono ancora partiti –:
   se non intenda intervenire affinché si accolga la condizione formulata dalla Commissione cultura con cui si chiede di considerare l'anno scolastico in corso ai fini del calcolo necessario per accedere al Tfa speciale. (5-00324)


   BOBBA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato, nel suo intervento davanti alle commissioni riunite del Senato e della Camera per illustrare le linee programmatiche del suo dicastero, ha reso noto «un nuovo piano triennale di assunzione in ruolo del personale precario per il 2014/17, periodo per il quale è previsto un turn-over complessivo di 44.000 unità»;
   nella stessa sede il Ministro ha fatto presente che: «è opportuno varare» il piano «per assicurare l'assorbimento delle consistenti masse di personale precario che tuttora presta servizio con contratti a tempo determinato nella scuola e per evitare ogni tipo di tensione, anche in considerazione del fatto che le nomine per l'a.s. 2013/2014 saranno necessariamente limitate, attesa l'incidenza preponderante della ultima riforma del sistema pensionistico sulle cessazioni dal servizio al prossimo 1o settembre 2013»;
   sul quotidiano La Stampa del 6 giugno 2013, pagina 51, provincia Vercelli, sono stati pubblicati estratti della lettera della dirigente scolastica dell'Istituto comprensivo di Varallo, Giovanna Rizzolo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nella quale esprime preoccupazione in seguito alla definizione degli organici per la scuola secondaria di primo grado per l'anno 2013/2014;
   nella citata lettera la dirigente Rizzolo scrive: «La media di Varallo ha un tempo-scuola cosiddetto normale – continua Giovanna Rizzolo –, il che significa che occorre dare agli alunni 30 ore settimanali e che l'orario dei docenti è appena sufficiente per coprirlo. Non esistono ore per il tempo mensa, per fare recupero e per sostituire i colleghi assenti. Altro grave problema perché non potendo nominare supplenti, se non su assenze lunghe oltre i 10 giorni, non ci sono né risorse umane, né risorse economiche sufficienti a retribuire le ore aggiuntive che i docenti dovrebbero fare» e ancora «Si formano classi sempre più numerose – sottolinea la preside – a Varallo avremo tre classi con una media di 25 alunni per sezione, di cui cinque disabili e un numero significativo di alunni con bisogni educativi speciali e particolari, per i quali sarebbe necessaria una individualizzazione dei programmi di studio.»;
   sempre nella provincia di Vercelli, alcuni esponenti istituzionali di comuni, insegnanti e anche genitori, hanno segnalato all'interrogante le medesime preoccupazioni e in particolare per le scuole secondarie di primo grado;
   nel comune di Quarona, dove anche i genitori sono molto preoccupati, il prossimo anno scolastico 2014/15, vedrà una forte contrazione dei costi con la conseguenza che l'orario di una delle due sezioni della 1o media sarà a tempo ridotto e non prolungato come tutte le altre sezioni, causando notevoli problemi alla comunità e alle famiglie che hanno adattato la vita sociale e lavorativa in base e grazie all'orario prolungato della scuola;
   grazie all'istituzione scolastica, il comune di Quarona è una piccola eccellenza che mantiene alto il valore economico e sociale della provincia; l'offerta formativa a tempo pieno del citato istituto permette infatti ai genitori di avere più facilità nella gestione lavoro/famiglia;
   nel comune di Crescentino, l'Istituto comprensivo, sempre relativamente alla scuola secondaria di primo grado, per l'anno scolastico 2013/14, si vedrà decurtare una classe a tempo prolungato, la futura classe 1b, nonostante le iscrizioni siano già chiuse e le famiglie avessero già optato per la soluzione a tempo prolungato;
   a seguito di quanto precisato, l'Istituto di Crescentino vedrà attivati tre corsi a tempo normale, con due rientri pomeridiani, e un solo corso a tempo prolungato o pieno, per 3 pomeriggi, con la conseguenza del venir meno del servizio mensa e la conseguente perdita del lavoro degli stessi addetti al servizio, degli insegnanti e del personale ata, ma soprattutto gravando sulle famiglie, avendo già esplicitato l'opzione per la possibilità di usufruire del tempo prolungato –:
   se non si ritenga urgente e doveroso considerare possibili interventi già per l'anno scolastico 2013/2014 al fine di non penalizzare gli alunni, in termini di diritto e qualità dell'istruzione e di non far ricadere sulle famiglie e sulle comunità afferenti i costi della gestione scolastica. (5-00325)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Selex ES ha presentato alle organizzazioni sindacali un piano di riorganizzazione industriale che prevede una eccedenza di 1.938 lavoratori, di cui 840 diretti e 1.098 indiretti;

   dal 1o luglio 2013 al 30 giugno 2015 ha annunciato la messa in cassa integrazione straordinaria a zero ore di 1.822 lavoratori e sempre nello stesso periodo i restanti 10 mila lavoratori faranno fermate periodiche di cassa integrazione di 4 ore settimanali;

   naturalmente i sindacati unitariamente hanno respinto queste scelte e chiesto di condividere le scelte di riorganizzazione industriale del gruppo attraverso un piano che utilizzi gli ammortizzatori sociali in una chiave di solidarietà sociale e di risanamento e di rilancio delle attività produttive;
   a Chieti scalo in Abruzzo è interessato il sito Selex ES che conta 118 addetti e rappresenta una delle poche fabbriche sopravvissute dalla crisi industriale che ha investito in questi anni l'intera Val Pescara;
   i sindacati hanno scioperato martedì 11 giugno 2013 –:
   quali iniziative intendano assumere per la ricerca di un accordo tra le parti sociali che tuteli l'occupazione e operi per il risanamento di un gruppo industriale strategico per l'Italia come la Selex ES. (3-00118)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   NICCHI, PIAZZONI e AIELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge finanziaria per il 2007 e a seguito dell'intesa in sede di Conferenza unificata del 26 settembre 2007, il nostro Paese ha dato l'avvio al «Piano straordinario di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia», per conseguire entro il 2010 l'obiettivo comune europeo della copertura territoriale del 33 per cento per la fornitura di servizi per l'infanzia (bambini al di sotto dei tre anni), come fissato dall'Agenzia di Lisbona;
   il «Piano straordinario» ha indubbiamente sostenuto lo sviluppo delle politiche di diffusione dei servizi educativi per la prima infanzia dopo una prolungata fase di stallo delle politiche nazionali (ricordiamo che la legge istitutiva degli «asili nido» è la 1044/1971);
   con la successiva intesa in sede di Conferenza unificata del 7 ottobre 2010, veniva destinata una quota del Fondo per le politiche della famiglia per rafforzare il sostegno allo sviluppo del sistema integrato dei servizi per la prima infanzia; definendo le finalità e i criteri di ripartizione delle risorse, e la necessità di monitorare il suddetto Piano di sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia;
   la rete dei servizi educativi per bambini 0-3 anni, soffre di pesanti disomogeneità territoriali, alle quali il Piano avviato nel 2007 avrebbe dovuto dare una risposta risolutiva;
   ancora oggi i tassi di accoglienza dei nidi e dei servizi integrativi per la prima infanzia rimangono bassi (18,9 per cento), con qualche eccezione per alcune regioni del Centro-Nord;
   il rapporto 2011 relativo al «monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia», curato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dal dipartimento per le politiche della famiglia, ci ricorda «la netta spaccatura tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, con regioni come l'Umbria, l'Emilia Romagna e la Toscana che raggiungono rispettivamente tassi di accoglienza pari al 31,9 per cento, 31,5 per cento, e 30,1 per cento e altre regioni come la Sicilia, la Calabria e l'Abruzzo che registrano rispettivamente tassi di accoglienza pari al 4,9 per cento, 6,2 per cento, 6,9 per cento»;
   lo stato dei servizi per l'infanzia nelle regioni meridionali, inoltre, continua inoltre a rappresentare una delle più evidenti cause indirette che concorrono ad aggravare il basso tasso di natalità e dell'occupazione femminile;
   il 19 aprile 2012 è stata sancita, in sede di Conferenza unificata, una intesa sull'utilizzo di risorse da destinarsi al finanziamento di servizi socio educativi per la prima infanzia in favore degli anziani e della famiglia che ha stabilito i criteri di ripartizione delle risorse disponibili a valere sui capitoli di pertinenza delle Politiche della famiglia del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri, per complessivi 45 milioni di euro, da destinarsi sia al finanziamento di servizi socio educativi per la prima infanzia che ad azioni in favore degli anziani e della famiglia, dove le regioni concorreranno ai finanziamenti secondo le rispettive disponibilità;
   le suddette risorse dovranno ora essere ripartite con l'indicazione dei servizi socio educativi e le azioni da finanziare in favore degli anziani e della famiglia;
   riguardo alle risorse complessive, il suddetto rapporto 2011 relativo al «monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia» sottolinea come «la limitatezza delle risorse finanziarie, l'incertezza e i ritardi della loro assegnazione pregiudicano gravemente la continuità del servizio» –:
   se non si ritenga indispensabile, di concerto con le regioni, rafforzare sia in termini di incremento quantitativo che di crescita qualitativa, le politiche a favore dei servizi socioeducativi per la prima infanzia, attraverso la previsione di maggiori e più adeguate risorse finanziarie ad essi dedicate, con particolare attenzione alla riduzione delle attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi. (5-00330)


ARGENTIN, LENZI e MIOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge del 24 dicembre 2012 n. 228 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge di stabilità 2013) prevede all'articolo 1, comma 272 «Per gli interventi di pertinenza del Fondo per le non autosufficienze di cui all'articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ivi inclusi quelli a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica, è autorizzata la spesa di 275 milioni di euro per l'anno 2013»;
   fin dall'inizio, anche sull'onda emotiva della protesta che ci fu nei giorni in cui venne approvata la legge di stabilità, si parlò di fondi «per i malati di SLA», suscitando preoccupazioni da parte di chi fosse affetto da grave disabilità non derivante da sclerosi laterale amiotrofica;
   è necessario lavorare e intervenire non tanto su patologie specifiche, come può essere la SLA, ma anche riconoscere i valori di cura e di assistenza delle famiglie che, avendo un familiare affetto da disabilità grave, hanno esigenze economiche ed organizzative diverse dalle altre e sono nel contempo fortemente provate dalla situazione in cui vivono;
   in data 24 gennaio 2013 la Conferenza delle Regioni ha dato il via libera al riparto del Fondo per la non autosufficienza e al Fondo nazionale per le politiche sociali per l'anno 2013, specificando però che queste risorse rappresentano solo un primo e insufficiente riscontro alle esigenze drammatiche del settore, ripetutamente ribadite dalle regioni in ogni sede istituzionale e che per i 275 milioni del Fondo per le non autosufficienze la priorità riguarderà interventi in favore di persone con disabilità gravissime, inclusa la SLA, per il sostegno e la cura domiciliare con una presa in carico integrata socio-sanitaria;
   in particolare il Fondo nazionale per le politiche sociali 300 milioni di euro, e il Fondo per le non autosufficienze 275 milioni saranno distribuiti utilizzando i seguenti criteri:
    a) popolazione residente, per regione, d'età pari o superiore a 75 anni, nella misura del 60 per cento;
    b) criteri utilizzati per il riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328, nella misura del 40 per cento –:
   quali iniziative urgenti, anche di carattere finanziario, si intendono adottare al fine di approntare una risposta organica in grado di venire incontro alle legittime esigenze di assistenza e sostegno di tutti i cittadini con disabilità gravi. (5-00331)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENI, PATRIARCA e LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 16 del 2 marzo 2012 (articolo 8, comma 23), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 26 aprile 2012, l'Agenzia per il terzo settore (ex agenzia per le onlus) è stata soppressa e le sue funzioni sono state trasferite al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   l'agenzia per il terzo settore fu istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 settembre 2000 – in osservanza delle disposizioni contenute nell'articolo 3, commi 190/193, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 – e regolamentata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 329 del 21 marzo 2001 e successive modifiche, ed è stata operativa dal 7 marzo 2002 al 2 marzo 2012;
   ente di diritto pubblico di emanazione governativa vigilato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, l'Agenzia ha operato per garantire la corretta osservanza delle disposizioni legislative in materia di organizzazioni non lucrative di utilità sociale e di enti non profit. Le sue funzioni sono state di vigilanza, promozione, indirizzo e controllo sugli enti non profit, con i quali si intende l'insieme delle organizzazioni non aventi finalità di lucro (onlus, enti non commerciali, organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, imprese sociali, e altro);
   nel corso del suo secondo mandato l'Agenzia ha realizzato un sito tematico dedicato a promuovere il progetto strategico «il sostegno a distanza in chiaro» (www.ilsostegnoadistanza.it), ha istituito l'osservatorio SaD, ha prodotto numerosi documenti cosiddetti di soft law finalizzati a fornire regole di trasparenza e indicazioni di condotta per innalzare gli standard operativi delle organizzazioni non profit e valorizzare ulteriormente il ruolo che esse svolgono nell'ambito della società civile (linee guida per il bilancio di esercizio; linee guida per il bilancio sociale; linee guida per la raccolta dei fondi; linee guida per la raccolta dei fondi nei casi di emergenza umanitaria; linee guida per il sostegno a distanza di minori e giovani; linee guida per la gestione dei registri del volontariato; linee guida sulla rappresentanza e la partecipazione del terzo settore alla determinazione delle politiche pubbliche locali);
   l'Agenzia, seppur ente di emanazione governativa, ha svolto, negli anni in cui è stata operativa, un importante ruolo di «terzietà» tra organizzazioni non profit e istituzioni, e questo le ha permesso di assolvere non solo alla funzione di controllo e vigilanza cui era preposta, ma anche di essere utile ed autorevole strumento di promozione, consulenza, orientamento e indirizzo per tutto il terzo settore italiano, in modo autonomo e non immediatamente legato all'azione di Governo –:
   quali iniziative siano state prese a seguito della chiusura dell'Agenzia del terzo settore al fine di dare continuità alle funzioni di vigilanza e controllo, di promozione e indirizzo nei confronti degli enti non profit. (5-00323)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'Accordo di programma per la disciplina degli interventi di reindustrializzazione delle aree coinvolte dalla crisi del Gruppo Antonio Merloni del 18 ottobre 2012 siglato dal Ministero dello sviluppo economico e dalle regioni Marche e Umbria si legge che «Nel corso degli anni 2007 e 2008 una prolungata crisi produttiva e di mercato ha coinvolto il Gruppo delle aziende facenti parte della Antonio Merloni S.p.A. Il Gruppo Antonio Merloni, che ha impiegato circa 3000 persone e si è articolato in diverse società, ha svolto la sua attività in diversi settori produttivi facenti perno sulla produzione del cosiddetto “bianco” ed i suoi stabilimenti produttivi italiani sono localizzati nei territori delle Regioni Emilia Romagna, Marche ed Umbria. La crisi che ha coinvolto il Gruppo Antonio Merloni ha assunto peculiari ed emblematici caratteri di gravità nel quadro delle crisi industriali italiane, in quanto riguarda un settore di assoluta rilevanza del sistema italiano con ripercussioni sull'economia di più regioni ad elevata specializzazione manifatturiera. Nel territorio dei Comuni umbro-marchigiani ricompresi nell'accordo di programma Merloni si sono determinate nel corso degli anni le condizioni per lo sviluppo di un articolato sistema dell'indotto del Gruppo Merloni che, al manifestarsi della crisi dell'azienda, ha subito pesanti ripercussioni sui livelli di attività con un grave impatto sulla tenuta dell'occupazione»;
   la Merloni spa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria prevista dall'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 e all'attrazione alla procedura madre delle società controllate Antonio Merloni Cylinders & Tanks srl, Tecnogas spa ed Elmarc spa e i commissari hanno presentato al Ministero un programma avente per oggetto la cessione dei complessi aziendali facenti capo al Gruppo Antonio Merloni ai sensi della lettera a), comma 2, dell'articolo 27 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270;
   in questo contesto le parti in data 19 marzo 2010 siglavano un primo Accordo di programma di reindustrializzazione dell'area interessata definendo coerentemente le risorse nazionali, comunitarie e regionali a disposizione; l'accordo del 19 marzo 2010 prevedeva i seguenti obiettivi: a) tutelare l'apparato produttivo esistente; b) assicurare il rilancio delle attività; c) salvaguardare l'occupazione;
   con atto di cessione del 27 dicembre 2011 del «perimetro aziendale» del gruppo Antonio Merloni alla J&P Industries spa, la quale ha acquisito la proprietà di tutti gli stabilimenti della Merloni (compresi i complessi produttivi di Umbria e Marche), sono stati ricollocati una parte dei dipendenti del gruppo mentre altri 1510 lavoratori sono rimasti in carico alla azienda in amministrazione straordinaria e si trovano in cassa integrazione guadagni straordinaria;
   al primo accordo di programma del 19 marzo 2010 è seguita la sottoscrizione di un atto integrativo del 18 ottobre 2012 siglato tra Ministero dello sviluppo economico, Regione Umbria e Marche per la «rimodulazione» degli interventi con l'obiettivo di 1) riassorbire il maggior numero possibile di personale diretto attualmente in cassa integrazione guadagni straordinaria; 2) favorire la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Antonio Merloni, con particolare riferimento alla quota parte dello stabilimento di Gaifana, oggetto del diritto di opzione alla vendita o alla locazione concesso dalla società J&P Industries spa; 3) sostenere il rilancio della PMI dell'indotto;
   la vendita dei complessi produttivi (compresi gli stabilimenti di Nocera Umbra e Fabbriano) della Merloni spa in amministrazione straordinaria alla società J&P Industries spa (Q.S. Group spa) è oggetto di una controversia giudiziaria pendente innanzi al Tribunale di Ancona intrapresa dalle banche creditrici nei confronti dell'acquirente Q.S. Group spa e della stessa Merloni spa in amministrazione straordinaria ed avente ad oggetto la nullità e/o inefficacia per violazione delle norme di cui agli articoli 62 e 63 decreto legislativo n. 270 del 1999 delle suddette operazioni di cessione del complesso aziendale;
   inoltre rappresentanti del comitato dei lavoratori metalmeccanici umbri della (ex) Merloni spa hanno segnalato criticità in riferimento alla produttività degli impianti oggetto di cessione, ad avviso dei quali emergerebbe il progressivo «depauperamento» delle lavorazioni e «smantellamento» dei macchinari dei reparti di stampaggio plastica con conseguente riduzione dell'attività lavorativa;
   gli obiettivi dell'Accordo di programma prevedevano il riassorbimento del maggior numero possibile di personale attualmente in cassa integrazione guadagni straordinaria e favorire la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Antonio Merloni spa; tuttavia emergerebbe un quadro di incertezza delle sorti degli stabilimenti e dei lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria per effetto della pendenza del contenzioso innanzi al Tribunale di Ancona in merito alla legittimità della cessione del complesso produttivo e della prossima scadenza della cassa integrazione guadagni straordinaria –:
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, siano a conoscenza o meno della descritta situazione in seno all'area industriale tutta ed in particolare di quella relativa agli stabilimenti di Nocera Umbra (PG) e Fabriano (AN);
   quali siano i dati aggiornati dei dipendenti della Merloni spa, in amministrazione straordinaria, che si trovano ancora in cassa integrazione guadagni straordinaria anche alla luce della imminente scadenza del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria dei suddetti lavoratori e quali misure i Ministri intendano adottare;
   quali misure urgenti e/o provvedimenti i Ministri intendano assumere per promuovere il dialogo con la proprietà allo scopo di predisporre un piano industriale efficace per salvaguardare la produzione e i livelli occupazionali, anche nell'ipotesi in cui si dovesse pervenire all'annullamento della cessione per effetto dell'accoglimento dell'impugnativa pendente innanzi al tribunale di Ancona;
   quali altre misure e/o azioni urgenti i Ministri, ciascuno per quanto di competenza, intendano adottare o stiano adottando per garantire il sostegno del reddito ai lavoratori che si trovano in cassa integrazione guadagni straordinaria e non assunti dalla J&P Industries spa e per favorire la piena utilizzazione degli stabilimenti produttivi della Antonio Merloni di Nocera Umbra e Fabriano, garantire prospettive economiche certe e salvaguardare i livelli occupazionali degli stabilimenti;
   se i Ministri dispongano di notizie in merito alla posizione assunta in ordine alla controversia pendente innanzi al tribunale di Ancona avente ad oggetto la nullità/inefficacia della intervenuta cessione. (4-00822)


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, ha istituito presso il Ministero dei lavori pubblici, ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione;
   suddetta legge prevede la possibilità, per gli inquilini in condizioni svantaggiate, di richiedere un contributo integrativo per il pagamento del canone di locazione;
   si tratta, pertanto, di un aiuto di vitale importanza per tutte quelle famiglie che richiedono un sostegno economico per pagare l'affitto di casa, uno dei problemi più gravi e spesso insostenibili per tantissime famiglie, soprattutto in tempi di crisi come quelli attuali;
   come denunciato da diversi comuni italiani, ad oggi, proprio quelle persone che avrebbero diritto a suddetto contributo economico rischiano di non riceverlo;
   l'ultima legge finanziaria, infatti, non ha previsto stanziamenti per questo capitolo e, pertanto, mancherebbero le risorse statali che ogni anno, seppure in misura minima, venivano assegnate alle regioni e da queste ripartite tra i comuni;
   nel nostro Paese, nel corso degli ultimi dieci anni, si è registrata una nuova esplosione della questione abitativa, con un allargamento dalle categorie sociali più deboli al ceto medio;
   la crisi in atto riguarda proprio le famiglie che vivono in abitazioni in affitto a canone di mercato e il fenomeno sembra concentrarsi non soltanto nelle grandi aree metropolitane, dove sono stati più consistenti gli incrementi dei canoni negli ultimi anni, ma anche nei centri urbani medio-piccoli;
   l'impiego di risorse a favore dei contributi alloggiativi ha la finalità primaria di sostenere le famiglie per un diritto all'abitazione, ma risponde anche al principio della lotta all'evasione che mai come nel caso degli affitti non dichiarati o sotto dichiarati, affligge le nostre città –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per garantire il diritto alla casa, consentendo ai comuni di continuare ad attuare le politiche di sostegno alle famiglie più bisognose. (4-00824)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   le imbarcazioni della marineria di Pescara per 16 mesi non hanno potuto svolgere nessuna attività di pesca per l'insabbiamento del porto a seguito del mancato dragaggio da parte dello Stato e della regione Abruzzo;
   le imbarcazioni sono tornate in mare il 3 giugno 2013 riprendendo l'attività dopo un danno economico e occupazionale gravissimo per l'intera economia legata direttamente e indirettamente alla pesca;
   c’è il rischio adesso di un nuovo blocco delle attività a seguito del fermo biologico per la riproduzione delle specie ittiche che avviene in estate;
   in considerazione del blocco durata ben 16 mesi della marineria di Pescara, gli operatori economici e la regione Abruzzo, con il parere positivo del CNR, hanno chiesto al Ministero la deroga al fermo biologico per la sola marineria di Pescara per evidenti ragioni economiche e sociali;
   un nuovo fermo delle attività di pesca determinerebbe infatti la crisi definitiva del settore con danni enormi su tutta l'economia pescarese, soprattutto nel periodo estivo, nel pieno delle attività turistiche –:
   quali iniziative intendano assumere per ottenere la deroga al fermo biologico per la marineria di Pescara. (4-00817)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le pubbliche amministrazioni, nell'organizzare autonomamente la propria attività, utilizzano le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione, nonché per la garanzia dei diritti dei cittadini e delle imprese, ai sensi di quanto disposto dal codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni ed integrazioni;
   la riorganizzazione strutturale e gestionale delle pubbliche amministrazioni volta al perseguimento degli obiettivi di efficientamento e risparmio avviene anche attraverso il migliore e più esteso utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'ambito di una coordinata strategia che garantisca il coerente sviluppo del processo di digitalizzazione;
   in attuazione a tali obiettivi, le pubbliche amministrazioni devono provvedere in particolare a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese, assicurando che l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione avvenga in conformità alle prescrizioni tecnologiche definite nelle apposita disciplina normativa sopra richiamata;
   in particolare, ai sensi dell'articolo 6 del codice dell'amministrazione digitale, le pubbliche amministrazioni sono tenute nello svolgimento dei propri compiti ed attività ad attenersi all'utilizzo del sistema di posta elettronica certificata – PEC;
   esse devono quindi dotarsi di una casella di posta elettronica certificata per qualsiasi scambio di comunicazioni, documenti e informazioni e per ciascun registro di protocollo, secondo quanto disposto dall'articolo 47, comma 3, del medesimo codice;
   esse devono altresì pubblicare nella pagina iniziale del proprio sito web istituzionale l'indirizzo PEC a cui i cittadini possono rivolgersi per acquisire informazioni e documenti o rivolgere istanze, come previsto dall'articolo 54, comma 2-ter, del codice;
   le pubbliche amministrazioni devono rendere comunicazione all'Agenzia per l'Italia digitale, istituita dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, in sostituzione di DigitPa, degli indirizzi PEC disposti per ciascun registro di protocollo;
   DigitPA è chiamata a svolgere anche apposite funzioni di vigilanza e controllo sull'attività dei certificatori qualificati e dei gestori di posta elettronica certificata;
   nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili come previste negli appositi piani, le pubbliche amministrazioni devono attuare anche politiche di formazione del personale finalizzate alla conoscenza e all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
   il codice dell'amministrazione digitale definisce anche gli obblighi in capo ai titolari e ai certificatori dei documenti di firma elettronica;
   l'utilizzo della posta certificata nella pubblica amministrazione costituisce un mezzo che consente di svolgere l'attività amministrativa in tempi più rapidi e con minori costi a carico dell'erario pubblico, oltre che in primis un obbligo di legge;
   sennonché ad oggi le predette disposizioni sull'utilizzo del sistema di PEC non vengono osservate da molte amministrazioni pubbliche senza che esista in capo ad esse e ai dirigenti preposti ai rispetti ruoli generali una specifica sanzione per il caso di violazione delle prescrizioni normative, ovvero di loro inosservanza o inottemperanza –:
   se si intendano assumere le necessarie iniziative volte a garantire l'osservanza delle richiamate disposizioni di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il codice dell'amministrazione digitale, in riferimento all'obbligo per le pubbliche amministrazioni di utilizzo del sistema di posta elettronica certificata – PEC, nonché delle previsioni in tema di amministrazione aperta e accessibilità delle informazioni della pubblica amministrazione, affinché le stesse trovino definitiva e compiuta attuazione, valutando anche l'opportunità di introdurre una specifica sanzione per il caso di inottemperanza ovvero inosservanza da parte delle amministrazioni pubbliche. (4-00819)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute, in data 23 maggio 2013 ha emesso la circolare n. 11949 indirizzata alle autorità sanitarie locali di tutto il territorio nazionale, recante indicazioni per l'individuazione e la prevenzione dell'epatite virale di tipo A;
   la necessità di tali raccomandazioni è sorta, stando al documento citato, a seguito del rilevato aumento dei casi di epatite A sia sul territorio europeo che su quello nazionale;
   la circolare, in particolare, fa riferimento ad alcuni dati evidenziati dal sistema di monitoraggio SEIEVA dell'Istituto superiore della sanità secondo cui, nel periodo tra marzo ed aprile del 2013, si è rilevato il preoccupante aumento del 70 per cento dei casi di epatite A rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   la circolare in questione evidenzia alcuni criteri cui fare riferimento per l'individuazione tempestiva del virus nonché il suo conseguente isolamento. La citata circolare raccomanda anche l'avvio di indagini sul territorio volte all'individuazione delle cause scatenanti nonché al sequenziamento del genoma del virus;
   in particolare, oltre ai criteri identificati in sede diagnostica e di laboratorio, risulta di particolare interesse l'individuazione di quelle che sono le cause scatenanti il focolaio epidermico in questione;
   stando a quanto evidenziato dal Sistema di Epidemic intelligence europeo e dai dati SEIEVA, infatti, è risultato certo che parte del focolaio epidemico abbia origine alimentare, essendo scaturito dall'assunzione di frutti di bosco surgelati provenienti da Paesi extra europei;
   fatti salvi gli episodi di contaminazione riscontrati su turisti rientranti dall'Egitto e dai Paesi del Nord Europa, rimangono da chiarire le eventuali origini alimentari dei restanti casi, anche alla luce dell'avvenuta attivazione del sistema di allerta rapido comunitario RASFF sugli alimenti;
   la circolare in questione raccomanda infine una trasmissione diretta e senza indugio al Ministero dei dati d'interesse riscontrati dalle autorità sanitarie di tutto il territorio –:
   se non intenda fare chiarezza in merito ai riscontri e ad eventuali risultanze pervenute al Ministero della salute ed in particolare:
    a) se corrisponda al vero che si sia pervenuti ad un preoccupante aumento dei casi accertati di epatite A o se al contrario, il picco epidemiologico sia un fatto del tutto eccezionale;
    b) se alla luce di tali risultanze, non ritenga necessario diffondere protocolli di prevenzione tra i cittadini al fine di tutelarne la salute;
    c) se, per quanto attiene il sequenziamento del virus, si sia potuto giungere ad una sua individuazione. (4-00818)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le acciaierie di Terni sono una risorsa importante per il Nord e per l'Umbria, contribuendo da sole a circa il 20 per cento del prodotto interno lordo regionale;
   circa un anno fa sono state cedute dalla TK Tyssen Krupp Acciai speciali Terni al gruppo finlandese Outokumpu, che si è impegnato a rilanciarne l'operatività;
   l'annuncio da parte del gruppo finlandese di voler mettere sul mercato il sito industriale di Terni per ottenere il via libera da parte dell’Antitrust europeo all'acquisizione della Inoxum, ha messo in stato di forte agitazione le organizzazioni sindacali e i lavoratori dell'acciaieria di Terni che vedono a rischio il posto di lavoro;
   la cessione dell'ATS, che oltre ad essere il fiore all'occhiello dell'Umbria è anche un sito strategico per l'economia italiana, appare molto probabile in quanto rappresenta, secondo l'azienda, l'unica soluzione ad evitare la concentrazione del mercato di acciaio inossidabile, la quale rappresenta per l'Unione europea un ostacolo alla libera concorrenza;
   le organizzazioni sindacali esprimono forte preoccupazione sulle decisioni relative al nuovo progetto di sviluppo delle acciaierie di Terni, ritenendole dannose per i lavoratori, peraltro esclusi da qualsiasi conoscenza e decisione, e peggiorative del quadro industriale di riferimento;
   il pericolo reale è che il sito AST di Terni potrebbe essere svenduto a qualche fondo di investimento cinese o americano, che, non avendo alcun interesse ad investire in questa importante realtà produttiva, a sua volta potrebbe smembrarlo e cederlo al miglior offerente –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e quali iniziative intenda adottare nell'immediato per salvaguardare l'operatività della storica industria umbra dell'acciaio e i livelli occupazionali. (4-00816)


   VELO, MANCIULLI e SANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore della produzione di energia elettrica da bioliquidi attraversa un periodo di grave difficoltà determinata da fattori legati al mercato, quali la dipendenza dall'estero per l'approvvigionamento della materia prima e gli alti costi funzionali; fattori comuni agli altri settori produttivi, quali la difficoltà di accedere al credito e fattori dipendenti dalla mancata adozione da parte del Governo di quei provvedimenti, pure previsti dalla normativa vigente, che garantirebbero a questo settore, così importante anche per il beneficio ambientale che produce, il sostegno indispensabile per superare la crisi. È il caso della mancata adozione dei provvedimenti previsti dal comma 7-quater dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 28 del 2011, il cui termine di adozione è scaduto da cinque mesi;
   la citata norma impone al Ministro dello sviluppo economico di emanare un decreto per stabilire i criteri per l'attuazione delle norme, che introducono varianti operative favorevoli alle imprese, contenute nei commi 7-bis e 7-ter del medesimo articolo 25 del decreto legislativo n. 28 del 2011. Con tali disposizioni si riconosce agli impianti: la possibilità di esercitare una opzione, di anno in anno, per l'erogazione di un incentivo maggiore di quello previsto dalla normativa per la medesima tipologia di impianto, rimodulando nel contempo la quota di energia incentivabile al fine di escludere oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato; un ulteriore diritto di opzione: lavorare, ad esempio, 8.300 ore con un coefficiente moltiplicativo di 1,3 oppure un numero minore di ore con un coefficiente moltiplicativo di 1,8, mettendo di conseguenza un tetto massimo ai costi a carico dello Stato;
   con il decreto legislativo in questione, inoltre, si pone un limite all'ammontare complessivo degli incentivi alle rinnovabili non fotovoltaiche in 5,8 miliardi euro. Nell'anno 2012 sono stati spesi appena 4 miliardi. Tale circostanza dimostra chiaramente quali margini operativi vi siano per rivedere la normativa in questione;
   ulteriori difficoltà per il settore della generazione elettrica da bioliquidi, ma più in generale per l'intero settore delle rinnovabili, derivano dalla riduzione degli incentivi che erano stati assicurati agli operatori al momento della pianificazione degli investimenti, circostanza che ha di fatto reso antieconomici molti di tali investimenti rendendo impossibile il prosieguo delle attività per molti produttori;
   come se non bastasse, infine, il GSE dal mese di gennaio 2013 non emette i certificati verdi, che per molte imprese rappresentano una quota maggioritaria del fatturato, adducendo, a quanto consta agli interroganti, come giustificazione l'aggiornamento del software; il problema, naturalmente, si ripercuote sugli acquirenti dei certificati, i grandi produttori di energia, in particolare, che pur di acquistarli sarebbero oggi disposti a pagarli contestualmente, o quasi, all'emissione della fattura;
   appare importante ulteriormente segnalare che la produzione di energia elettrica da bioliquidi reca maggiori vantaggi rispetto ad altre fonti rinnovabili in virtù della assoluta stabilità e programmabilità del funzionamento e della produttività degli impianti, in questo – dunque perfettamente assimilabili a quelli alimentati da combustibili fossili –:
   se non reputi il Ministro interrogato di dover provvedere senza ulteriore indugio all'adozione del decreto previsto dal comma 7-quater dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 28 del 2011; se non ritenga opportuno, inoltre, segnalare al GSE la necessità che si riprenda al più presto ad emettere i certificati verdi, fonte primaria di reddito per i produttori di energia da fonti rinnovabili. (4-00830)


   FARAONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si premette che l'ente di formazione professionale CEFOP in A.S., con sede in Palermo è da oltre un anno in amministrazione straordinaria e viene amministrato da tre commissari straordinari nella persone dell'avvocato Giuseppe Benedetto, del senatore Ciro Falanga e dell'avvocato Bartolo Antoniolli, gestendo in atto un consistente numero di corsi di formazione professionali con finanziamenti comunitari ricevuti sulla scorta del cosiddetto Bando «Avviso 20», sotto il controllo dell'assessorato regionale alla formazione;
   si aggiunge che l'Ente, essendo da oltre un anno in amministrazione straordinaria, riceve sulla scorta della cosiddetta «Legge Prodi» consistenti aiuti economici dal Ministero allo sviluppo economico, ivi comprese le indennità di carica di detti amministratori;
   nell'ambito di un'operazione di risanamento economico, a fine 2012 l'Ente com’è noto ha proceduto al licenziamento di circa 350 dipendenti sul totale di circa 950;
   avverso detto provvedimento alcuni dipendenti hanno opposto impugnativa dinanzi al giudice del lavoro del tribunale di Palermo e di Termini Imerese, evidenziando una palese illegittimità dell'atto di licenziamento, in quanto non sarebbero stati applicati nella selezione del personale da licenziare i criteri concordati con le organizzazioni sindacali;
   detti giudici con le varie sentenze (la prima è del 24 aprile 2013) hanno annullato i licenziamenti dei ricorrenti e condannato il CE.FO.P. in A.S. alla loro reintegrazione nei propri posti di lavoro e al pagamento in loro favore di un'indennità risarcitoria pari all'ultima retribuzione globale di fatto dalla citata data del licenziamento a quella della reintegrazione, oltre che al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione e nel contempo hanno condannato il CEFOP in A.S. alla rifusione delle spese di lite delle parti ricorrenti;
   rispetto a dette pronunce il CEFOP in A.S. a quanto risulta all'interrogante non ha dato esecuzione a detti giudicati, che per legge, com’è noto, sono «immediatamente esecutivi», non provvedendo alla disposta reintegrazione nel proprio posto di lavoro dei vari ricorrenti, contravvenendo in tal modo ad un preciso obbligo di legge;
   il Ministro dello sviluppo economico, per i motivi sopra indicati, esercita anche il ruolo di controllo sull'operato dell'ente in amministrazione straordinaria che riceve finanziamenti per l'espletamento delle proprie attività statutarie nel settore della formazione al fine di addivenire ad una condizione di salvataggio finanziario nell'interesse anche dei propri dipendenti –:
   se sia a conoscenza dello stato di detti contenziosi che si sono aperti a seguito di detti licenziamenti e che si sono conclusi in favore dei lavoratori che erano stati licenziati;
   se non ritenga di dover intervenire sui commissari straordinari chiedendo le ragioni per le quali ritengono di non dare esecuzione alle predette sentenze, rimarcando l'inadempienza con la conseguente lesione del diritto dei lavoratori, oltre al danno che si arreca all'Ente inadempiente;
   se non ritenga di evitare la nomina di parlamentari come commissari straordinari di enti controllati in vario modo dal Governo, anche in considerazione dell'esigenza di rispettare il principio della «trasparenza dell'azione della pubblica amministrazione» e dell'evidente conflitto d'interesse fra soggetto che controlla e quello che viene controllato;
   se non ritenga nell'ambito delle proprie funzioni, di dovere disporre una adeguata ispezione per verificare lo stato di sana e corretta gestione di detto Ente.
(4-00834)


   DI LELLO, DI GIOIA, LOCATELLI e PASTORELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Radio Maria è la radio privata italiana con il maggior numero di ripetitori (oltre 850) sparsi in tutto il territorio nazionale, che trasmette in monofonia, sistema che garantisce una ricezione ottimale al punto che a copertura nazionale è superiore a quella di Radio Rai;
   nei giorni scorsi alcuni organi d'informazione on line e oggi il quotidiano La Repubblica hanno dato conto di un'iniziativa di codesta emittente che da tempo invia a persone anziane e sole, lettere nelle quali si chiede di sostenere la Radio nella sua opera di evangelizzazione corredandole di bollettino conto-corrente e soprattutto con la sollecitazione a fornire, mediante la compilazione di un questionario allegato, i dati anagrafici, con l'invito a prendere in considerazione la possibilità di effettuare un «lascito testamentario» al fine di sostenere la Radio;
   in detto questionario vengono esplicitate le modalità per la compilazione del testamento olografo e in un quesito successivo si domanda quali siano i motivi che ancora eventualmente trattengano dal concedere una parte dei beni alla Radio, arrivando ad offrire la consulenza di un esperto per essere assistiti nello stendere il testamento, nonché «La guida al lascito testamentario» un volume da cui attingere ogni informazione sull'argomento –:
   se non si intendano assumere iniziative normative per meglio disciplinare attività di propaganda come quelle di cui in premessa, che, secondo gli interroganti, risultano ben lontane dall'apparire alla stregua di messaggi di tipo spirituale e confliggono al contrario, con un corretto uso, sotto il profilo deontologico, del mezzo radiofonico;
   se siano state avviate indagini in merito a quanto descritto in premessa.
(4-00842)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Marcon e altri n. 1-00051, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marzano.

  La mozione Bobba e altri n. 1-00058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Burtone.

  La mozione Ascani e altri n. 1-00070, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: D'Incecco, Cardinale.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Mariastella Bianchi e altri n. 7-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scalfarotto.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Ferrara e Scotto n. 4-00777, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ricciatti.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Chaouki e Garavini n. 5-00288, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fiano.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-00719 del 5 giugno 2013.

ERRATA CORRIGE

  Mozione ex articolo 138, comma 2, Lombardi n. 1-00092 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 31 dell'11 giugno 2013. Alla pagina 1851, prima colonna, dalla riga decima alla riga undicesima deve leggersi: «ispezione dell'Agenzia delle entrate la reale rispondenza delle categorie» e non «ispezione delle Agenzie del territorio competenti la reale rispondenza delle categorie», come stampato.