Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 11 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione (ex articolo 138, comma 2, del regolamento):


   La Camera,
   premesso che:
    all'interpellanza urgente n. 2-00062 presentata dalla firmataria del presente atto di indirizzo discussa nella seduta n. 22 del 23 maggio 2013 alla quale ci si riporta integralmente, ha risposto in rappresentanza del Governo il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche Carlo Dell'Aringa;
    la risposta non ha soddisfatto l'interpellante e per tali motivi è stata presentata la presente mozione ex articolo 138, comma 2;
    sul corretto inquadramento normativo degli enti previdenziali trasformati in associazioni e fondazioni di diritto privato ai sensi del decreto legislativo del 1994 il Sottosegretario ha sostenuto che tali questioni: «... coinvolgono profili decisionali che esulano dalle competenze del solo Ministero che rappresento, in quanto coinvolgono, talora perlomeno, scelte che spettano al Governo nella sua collegialità...»; sarebbe opportuno avere notizie in merito alla posizione che il Governo assumerà in relazione ai profili di illegittimità costituzionale sollevati dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo ed in particolare sul comportamento normativo da far applicare a tali soggetti;
    il Sottosegretario nel giustificare il comportamento degli enti e quella che alla firmataria del presente atto di indirizzo appare la negligenza del Ministero ha sostenuto in Aula che: «...le disposizioni, del decreto legislativo n. 509 del 1994 non hanno subito fino ad oggi alcuna modifica e sono tuttora pienamente operanti, nonostante nel tempo si siano moltiplicate le spinte del legislatore a incrementare il complesso dei vincoli finanziari e amministrativi imposti alle gestioni, attraendo nell'orbita della finanza pubblica anche le casse private di previdenza, sulla scorta della loro inclusione nell'elenco ISTAT di individuazione delle amministrazioni pubbliche... D'altra parte, ...alcune iniziative hanno invece contribuito a rafforzare proprio l'autonomia riconosciuta agli enti previdenziali privatizzati, salvaguardando gli equilibri delle gestioni, in funzione – questo è importante – della autosostenibilità di lungo periodo...»;
    è vero che con il decreto legislativo n. 509 del 1994 gli enti previdenziali sono stati trasformati in associazioni o in fondazioni con deliberazione dei competenti organi, ma ad una precisa condizione che non usufruissero più di finanziamenti o altri ausili pubblici di carattere finanziario, (articolo 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994), condizione che è stata a giudizio della prima firmataria del presente atto di indirizzo palesemente violata. È opportuno ricordare che tali enti non hanno rispettato le condizioni imposte dalla legge;
    sono enti che sussistono senza scopo di lucro, ma nella realtà quotidiana si comportano come qualsiasi società con l'unica finalità di monetizzare e speculare sul patrimonio immobiliare e sugli stessi inquilini utilizzando quel patrimonio che negli anni era stato acquistato con danaro pubblico e che aveva una finalità ben precisa quella di tutelare l'emergenza abitativa;
    la stessa Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nella segnalazione, approvata dal Consiglio nella seduta del 26 gennaio 2011, e depositata il successivo 3 febbraio, rafforza giuridicamente quanto illustrato, affermando che la contribuzione obbligatoria di tipo solidaristico, posta a carico degli iscritti, realizza una forma indiretta di concorso finanziario dello Stato; eppure, è lo stesso decreto legislativo n. 509 del 1994 che prevede che non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti;
    inoltre, è lo stesso allegato III della direttiva 2004/18/CE (modificabile solo seguendo la procedura all'uopo stabilita), ad elencare, in via non limitativa, gli organismi e le categorie di organismi di diritto pubblico, includendo espressamente in tale novero gli enti, che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza;
    quanto alla legge 23 agosto 2004, n. 243, articolo 1, comma 38, norma definita di interpretazione autentica, con cui il legislatore aveva escluso dalla dismissione di cui al decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, gli enti di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, la Corte di Cassazione in diverse occasioni si è espressa affermando che tale norma, seppur formulata come norma di interpretazione autentica, ha carattere innovativo, quindi confermando l'esigenza di tutelare dei rapporti giuridici che, secondo le leggi previgenti, avevano previsto la prelazione o l'opzione legale a favore del conduttore qualificato;
    quindi, tale legge detta una nuova regolamentazione per le situazioni non esaurite escludendo, appunto, gli enti previdenziali successivamente «privatizzati» dalla speciale disciplina posta dal decreto legislativo n. 104 del 1996, operando il consueto Limite delle situazioni esaurite, dove la locuzione «limite consueto» esprime l'esigenza di tutela dei rapporti giuridici che, secondo le leggi previgenti avevano previsto la prelazione o la opzione legale a favore del conduttore qualificato; la trasformazione dell'ente in fondazione ha determinato un effetto giuridico di natura successoria per tutti i rapporti giuridici pendenti e per tutti i diritti di credito o gli obblighi assunti, in mancanza di una diversa e specifica disciplina legislativa. Questo dice la Corte di Cassazione, queste sono le frasi utilizzate dai supremi giudici;
    allora, quelle case andavano vendute agli inquilini secondo i principi stabiliti nel decreto legislativo n. 104 del 1996 visto che le abitano sin dall'inizio degli anni ’70, le hanno continuate ad abitare anche quando la suindicata normativa obbligava gli enti a dismettere il patrimonio immobiliare, e purtroppo le vivono ancora oggi non potendole acquistare viste le gravose condizioni;
    infatti, il 90 per cento degli inquilini è affittuario delle case degli enti da prima del 1996 ed il legislatore con decreto legislativo n. 104 del 1996 (modificato ed integrato dalla legge n. 410 del 2001) aveva deciso di disciplinare l'attività in campo immobiliare degli enti previdenziali – secondo una specifica tabella (allegata alla legge n. 70 del 1975) tra cui era ricompresa anche ENASARCO oltre a tutti gli enti di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994;
    alla luce di quanto detto nell'interpellanza è gravoso che, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ritenga: «...difficile ipotizzare, come richiesto dall'interpellante, sistematici processi di omogeneizzazione di obiettivi e procedure (procedure in particolare, al di fuori delle prescrizioni generali dirette ad imporre il conseguimento del risultato fondamentale che è quello della sostenibilità pluriennale per garantire agli assicurati che avranno una pensione), alla luce della normativa vigente che continua a tutelarne l'autonomia e la ricerca individuale delle soluzioni più rispondenti alle esigenze delle categorie...»;
    invero, non applicare una procedura omogenea comporterebbe una palese violazione dei princìpi Costituzionali in particolare quelli previsti dall'articolo 3; infatti, non si comprende come sia possibile legittimare comportamenti diversi sia nelle vendite che negli affitti da parte degli stessi enti sottoposti alla stessa normativa e con conseguente danno a carico degli inquilini/affittuari;
    a contrario, dimentichi degli obiettivi di natura sociale, per cui sono stati istituiti e sostenuti, e che permangono a tutt'oggi, attraverso quella che alla firmataria del presente atto di indirizzo appare una falsa e distorta applicazione della normativa in materia, gli enti privatizzati hanno, col tempo, gestito la res publica, (perché frutto del danaro pubblico) come se fosse cosa privata amministrata da soggetto privato, in aperto contrasto con quanto dispone la normativa sovranazionale nella direttiva 2004/18/CE, e con quanto stabilisce la Corte di Giustizia. In ordine agli evidenziati profili, secondo la prima firmataria del presente atto di indirizzo emergono manifestamente dei profili di illegittimità costituzionale nell'affermare la disciplina privatistica nel caso de quo, per stridente contrasto non solo con i princìpi fondamentali della Carta costituzionale, ma anche con la normativa sovranazionale, laddove la diretta applicabilità delle direttive, che hanno i caratteri della chiarezza e della precisione, è stata, tra l'altro, ormai riconosciuta dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia (fin dal lontano 1963, nella sentenza relativa al Caso Van Gend en Loos, causa 26/62);
    sulla richiesta di un tavolo tecnico interistituzionale il sottosegretario, nel rispondere, affermava che, nella passata legislatura la direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva preso parte ad un tavolo tecnico unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze; i lavori si sono conclusi con delle ipotesi normative da cui si potrebbe ripartire; si chiede di avere copia di tale lavoro e di poter sapere dai Ministeri competenti quando potrà ripartire tale tavolo e quali saranno i soggetti che vi faranno parte;
    sarebbe necessario, però, rispondere in tempi brevi a tali necessità, in primis con l'abrogazione dell'articolo 1, comma 38 della legge 23 agosto 2004, n. 243, e dell'articolo 168 della legge n. 228 del 2012 nella parte in cui prevede che: «...le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione ENASARCO»;
    nelle more dell'instaurazione del tavolo tecnico, prima che vengano stabilite le modalità ed i tempi per attuare tale tavolo interministeriale per le vendite, i rinnovi delle locazioni e le conseguenti problematiche legate al patrimonio degli enti, gli stessi comunque proseguono nella vendita, ragion per cui sarebbe auspicabile anche alla luce dei quotidiani episodi di suicidio legati anche al problema casa, intervenire con un provvedimento urgente che possa in tempi brevi dirimere la controversia;
    oltre a ciò, non è dato comprendere il perché nessuna risposta è giunta dal Ministero a giustificazione delle perdite di Enasarco, situazione che tocca quasi tutti gli altri enti, e cioè quelle relative agli investimenti finanziari per un ammontare di circa 1,5 miliardi di euro, di questi ben 780 milioni di euro investiti nel fondo Anthracite delle Isole Cayman;
    sulla richiesta dell'interpellante di un'istanza di moratoria, alla luce delle difficili condizioni e gravose situazioni che moltissimi enti previdenziali utilizzano a danno degli inquilini è sicuramente contraddittoria o di difficile comprensione la posizione assunta dal Governo attraverso il sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali; infatti, lo stesso per tutelare le Casse ha citato l'articolo 38 della Costituzione, pur dimenticando che i comportamenti attuati dagli enti a danno degli inquilini violano gli articoli 2, 3, 10 e 97;
    ma vi è di più, non è chiaro come possa sostenersi che Enasarco ha rivolto particolare attenzione ai risvolti socioeconomici di tale operazione di dismissione, se i diretti interessati, gli inquilini, non sono riusciti a poter acquistare l'agognata casa o nei casi migliori si sono visti costretti a firmare mutui con condizioni allucinanti, perché le banche (MPS e BNL), a dispetto delle gare pubbliche cui erano obbligate, non hanno rispettato le condizioni prestabilite. Il tutto nell'assoluta inerzia delle istituzioni e degli enti preposti al controllo;
    non si comprende come può essere giustificata la circostanza che in data 11 settembre 2008, Enasarco nella persona del presidente Brunetto Boco e del direttore generale Carlo Felice Maggi, ha firmato un accordo con le organizzazioni sindacali, a dispetto della circostanza che la delibera del consiglio di amministrazione con la quale è stato approvato il piano di dismissione del patrimonio immobiliare, inteso a perseguire l'obiettivo di stabilità del bilancio tecnico ultratrentennale è datata 18 settembre del 2008;
    che la nomina del presidente di ENASARCO Brunetto Boco è avvenuta in contrasto con l'articolo 17 dello statuto è, secondo la prima firmataria del presente atto di indirizzo, assolutamente pacifico e lo si può affermare senza impelagarsi in inutili e fantasiose esasperazioni di diritto. È sufficiente leggere l'articolo 17 dello statuto della Fondazione, dove in modo chiaro, – e non si tratta di una mera presunzione – che per la nomina del presidente è richiesto il requisito della professionalità che, ai sensi dell'articolo 1, comma 4 lettera b) del decreto legislativo n. 509 del 1994, è ritenuto esistente solo nei soggetti appartenenti alla categoria degli agenti e rappresentanti di commercio, anche in stato di quiescenza. Il signor Brunetto Boco – non rivestendo la qualità di rappresentante di commercio né attivo né in pensione, non poteva essere eletto consigliere e conseguentemente presidente. Circostanze che a giudizio della firmataria del presente atto di indirizzo dovrebbero integrare i presupposti di cui all'articolo 2 comma 6, del decreto legislativo n. 509 del 1994 e di conseguenza comportare il commissariamento dell'Ente, e se ciò non dovesse accadere chi farà tale scelta se ne assumerà le conseguenze;
    ecco perché sarebbe adeguato far confluire tutti gli enti privatizzati di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 con i relativi patrimonio immobiliari, anche se conferiti a fondi pensioni SGR, nell'INPS, così come avvenuto per INPDAP e ENPALS, in modo da poter tutelare gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici, attuando le eventuali vendite anche attraverso fondi immobiliari completamente gestiti dal Ministero dell'economia e delle finanze. Tale possibilità porterebbe un duplice risultato: a) ridurre i costi sostenuti dalla Casse; b) rendere più agevole il controllo e la vendita del patrimonio immobiliare evitando così delle speculazioni a danno dei cittadini, cosa che invece sta accadendo,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative urgenti volte:
    a) ad abrogare sia l'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, che l'articolo 1 comma 168, della legge n. 228 del 2012 nella parte in cui prevede che: «... le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione Enasarco ...», poiché trattasi di norme ad avviso della firmataria del presente atto di indirizzo non in linea con i principi costituzionali;
    b) a precisare che alle dismissioni degli enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 si applica il decreto legislativo n. 104 del 1996;
    c) a stabilire altresì che il decreto legislativo n. 104 del 1996 trovi applicazione anche nei confronti delle dismissioni attuate attraverso Fondi immobiliari SGR che hanno avuto il conferimento del loro patrimonio da enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994;
    d) a sospendere gli sfratti per finita locazione e morosità degli inquilini degli enti previdenziali, anche se attuati attraverso fondi immobiliari SGR o altre società, per un tempo non inferiore ad un anno;
   a disporre in relazione alle dismissioni degli enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo 509 del 1994 un tavolo tecnico interistituzionale finalizzato a definire norme trasparenti per la stipula ed i rinnovi dei canoni di locazione nelle more della dismissione del patrimonio immobiliare;
   a verificare attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali la legittimità della nomina del Presidente di ENASARCO Brunetto Boco;
   ad accertare e a verificare tramite ispezione delle Agenzie del territorio competenti la reale rispondenza delle categorie catastali degli immobili di proprietà di ENASARCO a quelle denunciate dallo stesso ente;
   a porre rimedio, con un'adeguata iniziativa normativa, anche al conflitto d'interesse che sta scaturendo dal fatto che le stesse organizzazioni sindacali che compongono il consiglio d'amministrazione degli enti previdenziali sono anche firmatarie degli accordi di vendita del patrimonio e/o di rinnovi contrattuali degli affitti in rappresentanza degli inquilini;
   a valutare di far confluire tutti gli enti previdenziali privatizzati di cui al decreto legislativo 509 del 1994 con i relativi patrimoni immobiliari anche se conferiti a fondi pensione SGR, nell'INPS, così come avvenuto per INPDAP ed ENPALS, – tale scelta risolverebbe gran parte delle criticità su indicate – in modo da poter tutelare al meglio gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici.
(1-00092) «Lombardi».

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    come si rileva dalle relazioni annuali sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, quest'ultima, nei suoi ormai trentacinque anni di attuazione, ha dato buoni risultati e il nostro Paese ha visto una progressiva riduzione del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2011 sono state effettuate 109.538 interruzioni volontarie di gravidanza con un decremento del 5,6 per cento rispetto al 2010 e un decremento del 53,3 per cento rispetto al 1982, mentre il tasso di abortività per donna è calato all'8,3 per mille donne in età feconda dal 16,9 per mille del 1983;
    l'applicazione della legge ha trovato però recentemente un ostacolo nel sempre maggior ricorso all'obiezione di coscienza del personale sanitario. Infatti, dall'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, si evince che: «a livello nazionale, per i ginecologi, si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento del 2009 e al 69,3 per cento nel 2010; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 50,8 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,7 per cento nel 2010. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,7 per cento in Molise; 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 81,3 per cento a Bolzano e 80,6 per cento in Sicilia. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 75 per cento in Molise e Campania e 78,1 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e in Valle d'Aosta (26,3 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 86,9 per cento in Sicilia e 79,4 per cento in Calabria»;
    tre regioni (Campania, Molise e Basilicata) hanno segnalato la riduzione dei servizi effettivi relativi all'interruzione volontaria di gravidanza;
    una tale situazione porta a ritenere che il clima lavorativo non sia favorevole al medico non obiettore e che, sui pochi che non obiettano, gravino carichi pesanti di lavoro tali da favorire una sempre maggior tendenza all'obiezione, fino alla definitiva chiusura del servizio con la grave conseguenza che le donne si devono rivolgere a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali e all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute. Queste sono le situazioni che la legge n. 194 del 1978 si proponeva di combattere;
    vale la pena ricordare che l'obiezione di coscienza è prevista all'articolo 9 della legge n. 194 del 1978: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione»; al terzo comma si precisa che: «l'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento»;
    lo stesso articolo stabilisce, però, al quarto comma che: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la stessa legge n. 194 del 1978, quindi, distingue tra diritto del singolo all'obiezione e diritto della donna alla libera scelta in materia di procreazione, e tra diritto del singolo ad obiettare ad una legge dello Stato e obbligo per lo Stato di dare attuazione al servizio previsto;
    sul tema dell'obiezione di coscienza, istituto che risale nella sua prima applicazione al diritto ad obiettare al servizio militare, si è recentemente espresso il Comitato nazionale di bioetica. Il Comitato nel suo parere del 30 luglio 2012 così conclude:
     a) l'obiezione di coscienza in bioetica è costituzionalmente fondata (con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo) e va esercitata in modo sostenibile; essa costituisce un diritto della persona e un'istituzione democratica necessaria a tenere vivo il senso della problematicità riguardo ai limiti della tutela dei diritti inviolabili; quando l'obiezione di coscienza inerisce a un'attività professionale, concorre ad impedire una definizione autoritaria ex lege delle finalità proprie della stessa attività professionale;
    b) la tutela dell'obiezione di coscienza, per la sua stessa sostenibilità nell'ordinamento giuridico, non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge, né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale;
    su queste basi il Comitato nazionale di bioetica propone le seguenti raccomandazioni:
     a) nel riconoscere la tutela dell'obiezione di coscienza nelle ipotesi in cui viene in considerazione in bioetica, la legge deve prevedere misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi, eventualmente individuando un responsabile degli stessi;
     b) l'obiezione di coscienza in bioetica deve essere disciplinata in modo tale da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e, quindi, non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti;
     c) a tal fine, si raccomanda la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori. Controlli di norma a posteriori dovrebbero inoltre accertare che l'obiettore non svolga attività incompatibili con quella a cui ha fatto obiezione;
    una compiuta applicazione della legge deve tener conto di fenomeni nuovi rilevanti, quali la presenza delle donne immigrate da altri Paesi: ad oggi, il 34,2 per cento delle donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza sono immigrate;
    le donne immigrate tendono a ricorrere più facilmente all'aborto clandestino per la minor conoscenze dei loro diritti. Si pensi, ad esempio, all'importanza di un'adeguata informazione sulla possibilità di non riconoscere il bambino alla nascita o a quanto incide sulle scelte il timore di accedere a una struttura pubblica quando non si ha un regolare permesso di soggiorno;
    la relazione annuale sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 ha messo in luce come sia importante sviluppare un'adeguata campagna di prevenzione nei confronti di questa utenza e come essa debba basarsi sullo sviluppo e l'adeguamento ai nuovi bisogni della rete consultoriale, servizi a bassa soglia di accesso a cui già ora le donne immigrate tendono a rivolgersi in misura prevalente (il 53 per cento delle donne immigrate che hanno praticato l'interruzione volontaria di gravidanza si sono rivolte a un consultorio);
    dal 2005, prima in fase sperimentale realizzata all'ospedale Sant'Anna di Torino, poi con l'importazione diretta adottata in sei regioni (tra cui Toscana, Emilia Romagna, Puglia, Marche e Provincia autonoma di Trento) ed infine nel 2009, con l'autorizzazione in commercio da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, vi è la possibilità di somministrare il mifepristone o Ru486 per l'interruzione volontaria della gravidanza in regime di ricovero ordinario;
    secondo la nota «Interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine. Anni 2010-2011» del Ministero della salute, pubblicata il 28 febbraio 2013, si è passati dai 132 casi del 2005 (solo Toscana e Piemonte utilizzavano tale metodo) ai 7432 casi del 2011;
    tale incremento non è però omogeneo su tutto il territorio nazionale, basti pensare che nel 2011 nella regione Marche tale farmaco non è mai stato usato, mentre in Emilia Romagna ci sono stati 1717 casi, in Piemonte 1273 e nel Lazio solo 352,

impegna il Governo:

    a perseguire l'equilibrio tra il rispetto del diritto del singolo all'obiezione di coscienza e la necessità di dare piena attuazione alla legge n. 194 del 1978;
   a predisporre, nei limiti delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione;
   a promuovere un'equa diffusione della presenza sul territorio nazionale dei consultori familiari quale struttura socio-sanitaria in grado di aiutare la donna nella sua difficile scelta e strumento essenziale per le politiche di prevenzione e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole, tenendo conto della necessità di rivolgersi anche alle donne immigrate da altri Paesi;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere quale percorso intraprendere;
   a promuovere, d'intesa con le autorità scolastiche, attività di informazione ed educazione alla salute nelle scuole, con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela della salute sessuale e riproduttiva anche in collaborazione con la rete dei consultori;
   a presentare al più presto la relazione annuale al Parlamento così come prevista dalla legge n. 194 del 1978.
(1-00074) «Lenzi, Speranza, Bellanova, Sbrollini, Argentin, Beni, Carnevali, D'Incecco, Marzano, Miotto, Murer, Iori, Scuvera, Giuliani, Roberta Agostini, Martella».


   La Camera,
   premesso che:
    la società «Difesa Servizi spa» è stata costituita con la legge 23 dicembre 2009, n. 191, (articolo 2, commi 27 e 32-36), poi è stata oggetto di riassetto nell'articolo 535 del codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, allo scopo di svolgere attività negoziale diretta all'acquisizione di beni mobili, servizi e connesse prestazioni strettamente correlate allo svolgimento dei compiti istituzionali dell'amministrazione della Difesa, non direttamente collegate all'attività operativa delle Forze armate e, più in generale, al fine di valorizzare beni ed attività attualmente di pertinenza del Ministero della difesa e di ogni sua articolazione. È, pertanto, uno strumento mediante il quale l'amministrazione della Difesa intende perseguire una politica di autofinanziamento strutturale;
    tra i settori prioritari di intervento della Difesa Servizi spa rientrano la valorizzazione e la gestione degli immobili militari ed in particolare la valorizzazione energetica di caserme e strutture militari tramite l'installazione di impianti fotovoltaici;
    in data 7 aprile 2011 è stata firmata la prima convenzione attuativa con il Ministero della difesa che affida alla società Difesa Servizi spa la gestione di 64 siti in uso alla suddetta amministrazione ai fini della loro valorizzazione mediante l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile, direttamente o attraverso la concessione o la locazione a terzi a fronte della corresponsione di congruo corrispettivo;
    con l'articolo 65, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», allo scopo di limitare l'occupazione di suolo da parte di impianti fotovoltaici, è stato escluso l'accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, agli «impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole». Tale disposizione, peraltro, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 65, non si applica «agli impianti realizzati e da realizzare su terreni nella disponibilità del demanio militare»;
    la società Difesa Servizi spa ha pubblicato in data 22 settembre 2011 un bando pubblico per selezionare soggetti economici cui concedere a titolo oneroso l'uso di terreni per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonte solare fotovoltaica;
    agli esiti di tale bando la società aggiudicataria Belectric attraverso la Ciriè Centrale PV S.A.S. della Belectric Italia S.r.l., con sede legale in Roma e sede operativa in Sermoneta (Latina) ha presentato il progetto denominato «bonifica bellica, realizzazione di impianto per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica e successivo ripristino ambientale delle aree interne al poligono militare esperienze per l'armamento», che, modificato a seguito delle osservazioni fatte dalla provincia di Torino in relazione ad una prima ipotesi progettuale riguardante terreni localizzati all'interno di un sito di importanza comunitaria (IT1110005), prevede il frazionamento dell'impianto in lotti dislocati su diverse aree nei comuni di Lombardore, San Francesco al Campo e San Carlo Canavese, all'esterno del predetto SIC, ma insistenti, comunque, sul territorio della riserva naturale orientata della Vauda; tuttavia, anche questo secondo progetto prevede la costruzione di un impianto di una potenza pari a circa 45 megawatt che si estenderà su una superficie di circa 73 ettari;
    vale la pena ricordare che la zona di proprietà del demanio militare, all'interno dell'area protetta, utilizzata per lungo tempo come poligono militare, negli ultimi decenni è stata utilizzata molto sporadicamente per esercitazioni e prove di materiali, mentre gran parte dei terreni interessati dall'intervento citato sono stati concessi in uso ad imprenditori agricoli locali ed utilizzati, pertanto, esclusivamente per coltivazioni o finalità comunque legate alla produzione agricola;
    la Vauda Canavese è un ambiente semi-naturale di brughiera e costituisce una di quelle porzioni di territorio che, seppur modificate nel corso dei secoli dall'intervento umano, ha mantenuto alcune sue caratteristiche ecologiche tipiche, e legate alla naturalità del luogo. Per preservare tale tipicità ecologica l'area è stata costituita a riserva naturale orientata con legge regionale 7 giugno 1993, n. 23; tale legge prevede tra le finalità dell'istituzione della riserva: a) tutelare e conservare le caratteristiche naturali, e paesaggistiche dell'area, anche attraverso interventi di recupero ambientale; b) consentire, qualificare e valorizzare le attività agro-zootecniche, compatibilmente con la finalità indicata alla lettera a); c) promuovere il recupero del patrimonio forestale; d) assicurare la fruizione dell'area a fini culturali, scientifici e ricreativi;
    la zona è oggetto di attività turistiche e non (escursionismo a piedi, in bicicletta, a cavallo, fruizione di servizi di ristorazione, e altro) in quanto rappresenta una delle aree a bassa antropizzazione più estese dell'intera provincia di Torino e mantiene a pieno titolo la caratteristica di suolo libero da interferenze umane;
    l'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 dispone che l'ubicazione degli impianti di produzione di energia elettrica deve tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione e alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge 5 marzo 2001, n. 57, articoli 7 e 8, nonché al decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 14;
    la provincia di Torino si è dotata di un piano territoriale di coordinamento (PTCP2) approvato dalla regione Piemonte con deliberazione del consiglio regionale n. 121-29759 del 21 luglio 2011 pubblicata sul BUR n. 32 dell'11 agosto 2011 che tra i suoi fondamenti pone la salvaguardia dei suoli liberi del territorio provinciale;
    la giunta della regione Piemonte ha approvato con due delibere, pubblicate nel BUR n. 5 del 2 febbraio 2012, le nuove regole per l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili da cui emerge la necessità di salvaguardare le aree di interesse naturalistico da installazioni industriali per la produzione di energia da fonti rinnovabili;
    recentemente il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 176 del 15 gennaio 2013, ha evidenziato che, nell'ambito di una riserva naturale, l'interesse alla salvaguardia dell'ambiente deve essere considerato preminente rispetto all'esigenza di realizzare impianti da fonti energetiche rinnovabili;
    le dimensioni prospettate dell'impianto e la sua realizzazione nel territorio trasformeranno di fatto la riserva orientata naturale della Vauda in un'area industriale;
    molte associazioni di categoria, comitati spontanei di cittadini e amministrazioni locali, tra le altre la provincia di Torino, hanno espresso la propria contrarietà al progetto; inoltre, dei tre comuni interessati dal progetto solo uno, il comune di Lombardore, è rimasto favorevole alla realizzazione dello stesso,

impegna il Governo:

   ad avviare il processo di revisione delle norme relative alla realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonte fotovoltaica, equiparando i terreni agricoli di proprietà del demanio militare agli altri terreni agricoli, ai fini dell'accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28;
   a dare disposizioni affinché siano escluse dall'elenco dei compendi immobiliari di cui all'allegato A della convenzione citata in premessa, tra il Ministero della difesa e la società Difesa Servizi spa, i terreni compresi in aree protette o comunque di elevato pregio ambientale e paesaggistico, valutando la possibilità di compensare gli eventuali diritti acquisiti da terzi con interventi su tetti e coperture di caserme ed altri immobili dell'amministrazione della Difesa, pure presenti in gran numero nel suddetto elenco;
   a vincolare, comunque, la società Difesa Servizi spa, ad installare gli impianti di cui trattasi prioritariamente su aree compromesse dal punto di vista dell'utilizzo, come tetti di caserme e capannoni, aree a piazzale già cementificate e altro;
   ad attivare tutte le opportune iniziative atte ad impedire la realizzazione dell'impianto citato in premessa all'interno della riserva naturale orientata della Vauda, in provincia di Torino.
(1-00075) «Bonomo, Fregolent, Realacci, Bechis, Biondelli, Paola Bragantini, Busto, Castelli, Chimienti, Crippa, Della Valle, D'Ottavio, Fiorio, Lavagno, Mattiello, Patriarca, Piccoli Nardelli, Paolo Nicolò Romano, Taricco, Albanella, Amoddio, Braga, Cimbro, D'Incecco, Gandolfi, Grassi, Lattuca, Tentori, Zanin».


   La Camera,
   premesso che:
    la scuola pubblica è «organo costituzionale», come scriveva Piero Calamandrei; luogo dove principi fondativi e formazione civile si incontrano. La scuola è un diritto fondamentale che non può essere subordinato alla logica economica, unica norma di riferimento del tempo che viviamo, perché laddove accada i vincoli economici sarebbero illegittimi, come recentemente affermato dalla Corte dei conti della Campania;
   a settembre 2012, l'Ocse ha presentato il suo rapporto annuale «Education at a glance» con dati, grafici e statistiche sulla qualità dell'istruzione nei paesi Ocse; le indagini Ocse dimostrano che le società mediamente più colte sono più ricche e più sicure, perché dalla qualità dell'istruzione pubblica dipendono, oltre alla capacità di innovazione e di competizione internazionale del sistema produttivo, la qualità stessa della partecipazione civile e sociale, quindi della democrazia;
   il rapporto Ocse disegna un quadro disastroso per l'Italia, che si colloca tra gli ultimi sette paesi per livello di istruzione superiore ed universitaria. Solo il 35 per cento di italiani infatti possiede un adeguato livello di formazione culturale, contro il 50-70 per cento dei paesi più avanzati: la percentuale degli studenti inseriti in un percorso formativo in Italia non si è modificata dal 2005 al 2010; i diplomati sono il 44 per cento contro la media dell'Unione europea del 66 per cento, i laureati 11 per cento contro la media dell'Unione europea del 23 per cento; il 48 per cento della popolazione tra i 25 e 64 anni ha conseguito al massimo la licenza media, contro una media dell'Unione europea del 29 per cento; il 35 per cento di popolazione vive in situazione di sostanziale illetteratismo, rispetto a una media del 10-15 per cento dei paesi più avanzati, e un altro 30 per cento di adulti ha competenze esposte al rischio di rapida obsolescenza;
   strettamente legato a tali dati è l'aumento del numero di neet (giovani che non sono inseriti in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego e non stanno cercando un'occupazione), che raggiunge il 25 per cento, rispetto ad una media europea del 15,8 per cento, e che fa piazzare l'Italia quinta su 32 paesi Ocse;
   il numero di studenti e studentesse che proseguono il loro percorso accademico all'estero è fermo al 2,5 per cento;
   i dati dimostrano chiaramente le conseguenze di politiche scolastiche che hanno avuto come unico riferimento la logica della riduzione dei costi e del pareggio di bilancio, attuata con tagli indiscriminati ai finanziamenti e alle risorse umane, e come unico risultato lo smantellamento della scuola pubblica e il rafforzamento della tendenza alla «privatizzazione dei saperi». Il nostro Paese si colloca, infatti, 34esimo su un totale di 35 paesi per qualità generale della formazione, costo medio per lo Stato di ogni studente e investimenti in istruzione (dati Eurostat 2013, 8,5 per cento del prodotto interno lordo a fronte del 10,9 per cento dell'Unione europea): i contributi privati ormai arrivano a coprire il 10 per cento della spesa totale, solo il 20 per cento della spesa totale dedicata all'università è dedicata alle risorse per i sussidi (media Ocse circa il 25 per cento);
   a seguito dei tagli, dal 2008 al 2013 è stata prodotta una riduzione di organico pari a 81.614 docenti e 43.878 unità di personale ata, nonostante l'incremento delle iscrizioni, ed è stata mortificata, conseguentemente, l'offerta formativa: al compimento del primo ciclo della «riforma Gelmini» la scuola primaria passerà da un'offerta formativa settimanale di 30 ore a 27 ore, senza la possibilità di istituire nuove sezioni a tempo pieno; la secondaria di primo grado ha patito un'analoga riduzione dei quadri orari e la secondaria di secondo grado ha subito una forte riduzione dell'orario curriculare a discapito delle attività di laboratorio degli istituti tecnici e professionali, decurtate per il 30 per cento;
   dal 2010/2011 ad oggi il processo di dimensionamento indiscriminato ha ridotto il numero delle istituzioni scolastiche autonome da 9.131 dell'anno in corso a 8.646 dell'anno scolastico 2013/2014, cui si aggiunge la «istituzionalizzazione» delle scuole in reggenza perché sottodimensionate;
   quest'anno il fondo per il miglioramento dell'offerta formativa è stato decurtato per pagare gli scatti di anzianità del 2011 a detrimento del patto contratto con l'utenza, sancito dal piano dell'offerta formativa, strumento giuridico vincolante come da decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999;
   le gravi differenze territoriali tra Nord e Sud del Paese nella qualità del sistema educativo restano sostanzialmente invariate; la dispersione scolastica, intesa come uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, è particolarmente alta, oltre il 22 per cento in Sicilia, Sardegna e Campania, ma è soprattutto la quota di neet che presenta differenze territoriali particolarmente preoccupanti: mentre nel Nord si attesta a circa il 15 per cento, in Campania e Sicilia oltre un terzo dei giovani di 15-29 anni non studia, non è inserito in alcun programma di formazione e non lavora;
   le donne conseguono un titolo universitario più elevato rispetto agli uomini, tendono meno ad abbandonare gli studi, hanno un livello di competenza alfabetica migliore e fanno più formazione continua, ma resta più alta tra loro la quota di giovani che non studiano e non lavorano e più bassa la partecipazione culturale;
   oltre al ritardo rispetto alla media europea e al fortissimo divario territoriale, si riscontra, in tutti gli indicatori che rispecchiano istruzione, formazione continua e livelli di competenze, che il livello di istruzione e competenze raggiunto dipende in larga parte dall'estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio; la scuola, quindi, non riesce a produrre il cosiddetto «valore aggiunto» perché le diseguaglianze sociali restano tali;
   il percorso formativo, finalizzato a raggiungere e mantenere conoscenze e competenze adeguate per aumentare l'occupabilità delle persone e realizzare stili di vita adeguati alla società, è un percorso continuo che inizia con la scuola dell'infanzia e si estende oltre la scuola secondaria o l'università con la formazione continua e, più in generale, con le attività di partecipazione culturale; tuttavia, nell'attuale ordinamento l'obbligo di istruzione riguarda solo la fascia di età tra i 6 e i 16 anni;
   e tuttavia tra gli orientamenti recenti che si desumono dalla ricerca Ocse e dalle sollecitazioni europee è forte l'attenzione dei legislatori per l'espansione dell'accesso alla scuola della prima infanzia, nella convinzione, fondata su dati, che l'istruzione nella prima infanzia è correlata con i migliori risultati scolastici negli anni successivi. Dunque, è necessario pianificare l'istituzionalizzazione dell'obbligo di frequenza del terzo anno della scuola dell'infanzia per poi estenderla al segmento 3-18, perché una scuola di qualità accompagni la crescita dei bambini fino al compimento della maggiore età. In tal senso si dovrebbe avviare un processo di incremento del 10 per cento del numero di sezioni di scuola statale attualmente funzionanti, integrando i contributi alle scuole comunali per produrre un analogo incremento, ciò allo scopo di rispettare le vocazioni e le realtà territoriali;
   gli attuali parametri di calcolo per l'attribuzione delle somme del cosiddetto capitolone (decreto ministeriale n. 21 del 2007) non rispondono a quanto stabilito dalla legge sull'autonomia, che prevede una dotazione ordinaria e una dotazione perequativa, che non ha trovato attuazione, mentre è necessario che tutti i fondi statali destinati alle scuole abbiano un unico canale di finanziamento;
   la sfasatura dei tempi della contabilità generale dello Stato con quella delle istituzioni scolastiche ostacola il regolare funzionamento della scuola pubblica; la situazione finanziaria degli istituti scolastici è aggravata dal fatto che le scuole vantano, nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, crediti per oltre 1 miliardo di euro;
   l'Unione delle province d'Italia ha avvertito che l'anno scolastico 2013/2014 è a rischio a causa dei tagli della spending review e del Patto di stabilità, che rischiano di azzerare la capacità di programmare spese e investimenti per gli edifici scolastici gestiti dalle province (le superiori); secondo l'Unione delle province d'Italia almeno quattro-cinquecento istituti non dovrebbero riaprire a settembre 2013, perché avrebbero bisogno di interventi straordinari di manutenzione;
   l'introduzione affrettata delle tecnologie per il trattamento informatico dei provvedimenti amministrativi si è finora tradotto in un doppio lavoro per le segreterie e per gli utenti interni ed esterni della scuola (docenti, ata, genitori), dal momento che l'inserimento dei dati ha comportato la duplicazione (on line e cartacea) delle pratiche amministrative;
   occorre invertire le politiche relative alla riduzione del personale della scuola e ripristinare il numero di docenti necessario all'organico funzionale, affinché il numero di alunni per classe risponda alle normative sulla sicurezza e sia stabilito in base all'autonomia organizzativa delle scuole, al tipo di attività programmata e alle modalità di organizzazione della didattica, e adeguare il salario dei docenti ai parametri europei;
   nel rispetto del dettato costituzionale, deve essere garantito ai comuni che gestiscono direttamente le scuole dell'infanzia di poter continuare a farlo, impedendo il progressivo abbandono dell'erogazione pubblica diretta di questi servizi. A tal fine, ai comuni devono essere consentiti l'allentamento dei vincoli di spesa imposti dal Patto di stabilità e la possibilità di stabilizzare le educatrici e gli educatori anche al di fuori del blocco del turn over;
   dalle ricerche condotte sugli stage previsti dall'alternanza scuola-lavoro emerge che i diritti degli studenti sono tenuti in poco conto e che questi rischiano di essere sfruttati dall'azienda, anziché realmente formati; i tutor interni (docenti dell'istituto) ed esterni (supervisori dell'azienda) spesso sono assenti poiché costretti a seguire un numero eccessivo di studenti e con i tagli apportati dal decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, le ore di flessibilità legate alla formazione professionale sono aumentate a discapito di quelle trascorse a scuola; gli studenti non sono considerati assunti secondo un regolare contratto, quindi non vengono garantiti loro né il rimborso spese, né la remunerazione e la copertura assicurativa è parziale e vale solo nei casi di danni permanenti o di morte; prioritaria appare, dunque, la difesa dei loro diritti, con l'adozione dello statuto dei diritti degli studenti in stage;
   è necessario superare il metodo di valutazione dei test Invalsi, direttamente derivato dalla valutazione degli alunni e contestato nelle scuole e dagli esperti, perché si sovrappone alla funzione di valutazione degli alunni di cui sono competenti i docenti e non aggiunge altri criteri e rilevazioni legate ai contesti, all'organizzazione, alla disponibilità di risorse;
   secondo dati del Consiglio universitario nazionale, dal 2003-2004 c’è stato un calo delle immatricolazioni del 17 per cento, corrispondenti a 58 mila studenti in meno, fenomeno che cresce con il peggiorare della crisi; le fonti di finanziamento del diritto allo studio universitario sono tre: il fondo statale integrativo, la tassa per il diritto allo studio universitario e le risorse regionali, ma l'ammontare del fondo non è certo, ma è stabilito di volta in volta dalle leggi di stabilità, frutto di contrattazioni tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Ministero dell'economia e delle finanze; l'insufficienza delle risorse finanziarie e l'inadeguatezza del sistema di finanziamento comportano, da un lato, una limitata platea di aventi diritto al sistema delle borse di studio (10 per cento nel 2010/2011 sul totale degli studenti iscritti, rispetto a paesi, come la Francia e Germania, in cui risulta rispettivamente del 26 e 30 per cento), dall'altro, l'esistenza della figura dell’«idoneo non beneficiario», ovvero dello studente che corrisponde ai criteri previsti dal bando, ma non riceve la borsa di studio a causa della scarsità dei finanziamenti nazionali, con impressionante differenza tra le diverse regioni; nel 2011-2012 gli studenti «idonei non beneficiari» di borsa di studio sono stati 57.000 e la cifra è in costante aumento;
   occorre individuare le risorse necessarie, divise tra Stato e regioni, per coprire il fabbisogno di tutti gli idonei, senza gravare sugli studenti e sulle famiglie con ulteriori innalzamenti della tassa regionale; infatti, l'importo della tassa regionale per il diritto allo studio universitario – che fino al 2012 era fissata autonomamente entro un range nazionale (tra i 62 e i 133 euro) – a seguito del decreto legislativo n. 68 del 2012 è aumentata a 140 euro per tutti oppure è prevista una suddivisione in tre fasce 120, 140, 160 (elevabile fino a 200 euro) in base all'Isee;
   le risorse regionali sono pari ad almeno il 40 per cento dell'assegnazione relativa al fondo statale, ma non esistono criteri certi per calcolare le risorse regionali. Le regioni, ad esempio, ritengono che si debba comprendere nel computo delle risorse anche la spesa per gli alloggi e la ristorazione; elevato è lo squilibrio interregionale rispetto alle prestazioni: la soglia Isee per ricevere la borsa di studio varia da regione a regione (tra i 14.697 euro ed i 19.596 euro nel 2011/2012), nonché gli importi di borsa sono diversi, anche in base alle diverse detrazioni per alloggio e vitto, quando applicate, e ci sono tanti bandi quante sono gli enti, agenzie o uffici al diritto allo studio universitario (se ne contano più di 50), in assenza di livelli essenziali delle prestazioni vincolanti a livello macro-regionale;
   rispetto ai dati 2010/2011 i posti letto gestiti dagli enti regionali sono circa 43.000 a fronte di 85.000 aventi diritto fuori sede: in media, l'alloggio viene garantito ad uno studente su due degli aventi diritto. Sul totale degli studenti, la percentuale che beneficia di posto letto è del 3 per cento (in base ai dati Eurostudent, su 23 paesi europei l'Italia è penultima);
   la mobilità internazionale è fortemente influenzata dalla condizione sociale della famiglia di origine: il 9 per cento circa dei figli di laureati ha effettuato un'esperienza di studio all'estero, contro il 3 per cento circa di figli di genitori con istruzione medio-bassa (dati Eurostudent);
   la legge n. 390 del 1991 riconosce alle regioni la possibilità di disciplinare i prestiti d'onore incentivando la realizzazione di prestiti da parte delle regioni e delle università agli studenti, in molti casi come forme sostitutive delle borse di studio; negli ultimi anni sono stati stanziati complessivamente circa 50 milioni di euro su quattro differenti linee di azione non coordinate tra di loro: il fondo per la concessione una tantum di prestiti fiduciari (istituito con la Legge finanziaria per il 2004), il finanziamento agli atenei per progetti sperimentali e innovativi per la concessione agli studenti di prestiti d'onore (decreto ministeriale del 23 ottobre 2003), il progetto «DiamogliCredito» (2007) del Ministero delle politiche giovanili, poi trasformato nel progetto «DiamogliFuturo» (2010). Tali strumenti costituiscono forme di indebitamento per gli studenti che dovranno poi restituire il prestito entro alcuni anni dalla laurea con degli interessi non bassi;
   i servizi mensa vengono sempre più spesso esternalizzati da parte degli enti del diritto allo studio universitario, con aumenti dei costi a scapito della qualità e della possibilità di proporre un sistema di tariffe agevolate per accedere al servizio ristorazione che esenti dal pagamento gli studenti idonei alla borsa di studio;
   la «riforma Gelmini» ha determinato molti gravi danni nell'offerta didattica: si è voluto unire la didattica alla ricerca, affidando molte responsabilità ai dipartimenti, i quali non hanno gli strumenti per occuparsene; in molti casi sono sorte le scuole, con compiti di coordinamento che nessuno, finora, è riuscito a chiarire con precisione; il progressivo invecchiamento del corpo docente e le enormi difficoltà di reclutare nuovi insegnanti, a fronte di fondi in costante diminuzione, stanno decretando la morte dell'università pubblica;
   il Governo Monti ha tolto 300 milioni di euro al fondo di finanziamento ordinario, principale fonte di entrata degli atenei italiani, con il risultato che molte università sono sull'orlo del default, che sicuramente ci sarà in assenza di provvedimenti rapidi che assegnino nuove risorse alle università;
   il conseguimento di un adeguato rapporto tra spesa per ricerca e sviluppo e prodotto interno lordo è uno dei cinque obiettivi cardine stabiliti nell'ambito della strategia «Europa 2020» per accrescere i livelli di produttività, di occupazione e di benessere sociale; in tale prospettiva, particolare risalto viene dato alla necessità di incentivare l'investimento privato in ricerca e sviluppo. Nel 2010 – secondo dati diffusi dall'Istat a dicembre 2012 – il rapporto tra ricerca e sviluppo e prodotto interno lordo dell'Italia è all'1,26 per cento, inalterato rispetto al 2009; resta così per lo più stabile il gap con i paesi europei più avanzati. La debolezza italiana si conferma anche nel settore privato con un rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo delle imprese e prodotto interno lordo pari a 0,68 per cento, in leggero aumento rispetto al 2009, ma ancora stabilmente al di sotto della media europea (1,24 per cento nel 2010). Il personale impegnato in attività di ricerca (espresso in termini di unità equivalenti a tempo pieno) risulta pari a 225.632 unità, in calo dello 0,4 per cento rispetto all'anno precedente;
   a fronte di tutto questo, anche i provvedimenti più recenti, quali la proposta di test d'ingresso per le scuole superiori, l'approvazione del regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione da parte del Consiglio dei ministri in prorogatio dopo le elezioni e senza il coinvolgimento del mondo della scuola, l'annuncio di un piano nazionale contro la disoccupazione giovanile indicano il persistere di politiche emergenziali; occorre, invece, invertire la rotta con un graduale e costante incremento dell'investimento pubblico per l'istruzione, per portare l'Italia ai livelli della media dei paesi dell'Unione europea (oltre il 6 per cento) ed in linea con le strategie Lisbona e Horizon 2020, attraverso l'elaborazione di un progetto unico e coerente finalizzato a garantire un'istruzione pubblica di qualità, inclusiva, laica, aperta, accessibile a tutte e tutti in un sistema di apprendimento permanente lungo tutto l'arco della vita, in grado di ristabilire una stretta connessione tra conoscenza, sviluppo sostenibile, occupazione e partecipazione democratica;
   dalla crisi economica si esce anche con più investimenti nella cultura e nell'arte, in grado di stimolare consumi diversi, oltre che di produrre ricchezza, ma in maniera pervicace si continuano a tagliare le risorse del fondo unico per lo spettacolo;
   come riconosciuto dalla strategia «Europa 2020», i settori culturale e creativo costituiscono un'importante fonte potenziale di occupazione. Negli ultimi dieci anni l'occupazione complessiva in tali settori è cresciuta in misura tre volte superiore rispetto alla crescita occupazionale registrata dall'economia dell'Unione europea nel suo insieme. I settori culturale e creativo sono anche una fonte di creatività e di innovazione non tecnologica per l'intera economia, grazie alla produzione di servizi e beni competitivi e di alta qualità. Infine, attraverso i pertinenti legami con il settore dell'istruzione, la cultura può contribuire efficacemente alla formazione di una forza lavoro qualificata e adattabile, integrando così le prestazioni economiche,

impegna il Governo:

   ad aumentare la qualità complessiva dell'istruzione pubblica, recuperando i tagli effettuati negli ultimi anni (pari a circa il 6 per cento del suo bilancio);
   a rendere obbligatoria, prima dell'accesso alla scuola elementare, la frequentazione di un anno della scuola dell'infanzia, incrementando del 10 per cento il numero delle sezioni di scuola dell'infanzia, rispettandone le identità territoriali (comunale o statale);
   a innalzare l'obbligo scolastico a 18 anni, da svolgere esclusivamente nel sistema di istruzione, escludendo esplicitamente che l'ultimo anno dell'obbligo scolastico possa essere svolto attraverso i contratti di apprendistato nelle aziende;
   a rivedere il percorso scolastico complessivo dai 5 ai 18 anni; a garantire che in ogni parte del Paese sia soddisfatta la richiesta di percorsi di istruzione secondaria superiore espressa dagli studenti e dalle famiglie, offrendo tutti gli indirizzi previsti dal sistema;
   a combattere la dispersione scolastica con appositi strumenti e risorse, tenendo anche conto delle specificità territoriali e, in particolare, della gravità di tale fenomeno nelle regioni del Mezzogiorno;
   a consentire ai comuni di poter continuare la gestione diretta delle scuole dell'infanzia, escludendo dai vincoli di spesa imposti dal Patto di stabilità quelle sostenute per la gestione pubblica di tali servizi, e a permettere la stabilizzazione delle educatrici e degli educatori anche superando il blocco del turn over;
   ad assumere iniziative per ridurre e, progressivamente, eliminare il finanziamento delle scuole private anche se paritarie, destinando le risorse disponibili prima prioritariamente e poi esclusivamente alla scuola pubblica;
   a stabilire e attuare un piano nazionale per mettere in sicurezza gli edifici, individuando le risorse necessarie sulla base delle necessità rilevate dagli enti locali;
   a stabilizzare il personale precario della scuola, ripartendo da quanto previsto nel 2008 dal Governo Prodi, che aveva trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento ed aveva programmato un piano di assunzioni di 150.000 docenti precari in tre anni;
   a rivedere i modi e le finalità della prima formazione, del reclutamento, della formazione in servizio del personale della scuola;
   ad eliminare la somministrazione dei test Invalsi, individuando metodi che siano in grado di sviluppare lo spirito critico degli studenti e la valutazione da parte di tutte le componenti della scuola;
   a prevedere una valutazione del sistema scolastico affidata ad un ente autonomo, non di diretta nomina ministeriale, dotato di risorse adeguate e specifiche, facendo sì che tale valutazione non abbia finalità premiali, ma compensative e di supporto alle scuole e ai docenti, sia svolta con modalità statistiche e non in maniera censoria ed in collegamento con la valutazione europea dei sistemi scolastici;
   a riconoscere e a smobilizzare il miliardo di euro di crediti vantati dalle scuole nei confronti dello Stato;
   a stanziare risorse per investimenti e formazione mirati a garantire l'efficienza dell'amministrazione scolastica e il corretto uso delle tecnologie per il trattamento informatico dei procedimenti;
   a introdurre l'adozione e l'approvazione obbligatoria dello statuto delle studentesse e degli studenti in stage, per garantire i diritti basilari a tutti gli studenti che frequentano stage e momenti formativi all'interno delle aziende, in particolare il rimborso delle spese e una copertura assicurativa totale a favore degli studenti;
   ad intervenire in materia di diritto allo studio, nella prospettiva di un'autonomia responsabile, in modo da rendere più omogenea la materia sul territorio nazionale; a individuare principi generali e a disciplinare in maniera estensiva le garanzie di accesso, specie per gli studenti più deboli e i migranti, alle borse di studio, agli alloggi, alle mense e ai trasporti;
   a coinvolgere continuativamente i componenti del Forum delle associazioni studentesche, che dovranno svolgere un ruolo di proposta e di supporto nei confronti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca quando sarà elaborata la proposta di legge quadro in materia di diritto allo studio;
   ad elevare a 350 milioni di euro le risorse del fondo statale integrativo per il diritto allo studio universitario e a portare tale stanziamento a regime, con una pianificazione almeno triennale del finanziamento del fondo nazionale integrativo;
   a stabilire criteri standard per il calcolo delle risorse regionali da destinare al diritto allo studio universitario;
   a introdurre un bando unico per il diritto allo studio, che sarà costruito tenendo conto dei livelli essenziali delle prestazioni su base macro-regionale e che vincolerà le regioni a garantire un livello di prestazioni minime che potrà soltanto essere migliorato rispetto alle linee guida nazionali;
   a stabilire una soglia dell'Isee di 21.000 euro in tutte le regioni per l'accesso alla borsa di studio e un importo minimo della borsa su base nazionale, con importi massimi valutati sulla base dei costi della vita locale; a introdurre criteri automatici di revisione della soglia massima Isee, in corrispondenza delle modifiche di detti parametri;
   a prevedere l'esenzione dalla tassa regionale per il diritto allo studio per tutti gli studenti idonei a ricevere la borsa di studio e per quelli che, pur non potendo accedere alle borsa di studio, hanno redditi bassi e vanno sostenuti nella scelta di intraprendere e proseguire gli studi universitari; a stabilire, nell'applicazione della tassa, criteri di effettiva progressività in base al reddito per tutti gli altri;
   a rispettare la normativa prevista dalla legge n. 338 del 2000 che cofinanzia la realizzazione di nuovi studentati, incrementando le risorse statali disponibili e prevedendo una relazione annuale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al Parlamento che informi sulla disponibilità di nuovi alloggi e posti letto, sullo stato di avanzamento di quelli in corso di realizzazione e sul loro ammontare complessivo;
   a favorire il riutilizzo e la riconversione di edifici di proprietà degli enti pubblici che possano essere destinati ad abitazioni per studenti a canone calmierato, in modo da favorire la concorrenza al canone di libero mercato;
   a introdurre specifiche disposizioni a favore degli studenti che denunciano gli affitti in nero, anche cofinanziando l'istituzione di un fondo regionale per l'assistenza legale a tali studenti;
   a introdurre sgravi fiscali a favore dei proprietari di immobili sfitti che li mettano a disposizione a canone calmierato agli studenti, attraverso appositi contratti;
   a favorire esperienze di co-housing e social housing, anche attraverso sgravi fiscali sui contratti e sulle utenze, che sono risultate positive in molti paesi europei e che potrebbero svolgere un ruolo anche nel recupero di aree della città in stato di degrado;
   a rivedere i criteri di merito per l'assegnazione delle borse di studio, recependo le richieste delle organizzazioni studentesche, al fine di attuare realmente ed efficacemente il dettato costituzionale della garanzia della possibilità per «i capaci e i meritevoli anche se privi di mezzi» di accedere ai più alti gradi dell'istruzione; a coordinare l'intervento con gli atenei in modo da rispettare la loro autonomia didattica;
   ad aumentare i contributi per progetti, come Erasmus e Leonardo, che favoriscono la mobilità internazionale;
   a eliminare il prestito d'onore, nella sua regolamentazione attuale, facendo confluire gli stanziamenti previsti per «DiamogliCredito» e per il fondo per il merito all'interno del fondo integrativo nazionale per le borse di studio;
   a stabilire, d'intesa con le regioni, una tariffa massima nazionale per il servizio mensa, stanziando a tal fine idonee risorse pubbliche che rendano sostenibili i prezzi dei pasti da parte degli studenti e a introdurre sistemi di verifica della qualità dei servizi mensa rilevata dall'utenza;
   ad assegnare al fondo di finanziamento ordinario dell'università risorse sufficienti a sostenere i fabbisogni dell'università pubblica e comunque non inferiori a 300 milioni di euro;
   a incrementare, nell'ambito del piano nazionale della ricerca, la percentuale di prodotto interno lordo destinata alla ricerca e allo sviluppo, in modo da favorire il raggiungimento degli obiettivi europei entro il 2020;
   a incrementare lo stanziamento complessivo del fondo unico per lo spettacolo di almeno 150 milioni di euro per portarlo ai livelli del 2001;
   a destinare, già con le prossime iniziative di natura politica e finanziaria, adeguate risorse per il perseguimento degli obiettivi del presente atto di indirizzo, tenendo conto che tali disponibilità potrebbero essere eventualmente reperite attraverso:
    a) l'aumento delle aliquote prelievo erariale unico sugli apparecchi da intrattenimento;
    b) l'aumento dei canoni di concessione radio-tv;
    c) l'incremento del 15 per cento dell'aliquota dei capitali scudati;
    d) l'aumento della ritenuta sui redditi delle rendite finanziarie fino al 23 per cento;
    e) l'incremento dell'aliquota irpef per le persone fisiche con reddito complessivo oltre 100.000 euro;
    f) il definanziamento dei costi del programma F35;
    g) il definanziamento dell'acquisto dei sommergibili in base a quanto previsto dal documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2013-2015;
    h) l'adozione di nuove disposizioni per l'emersione di materia imponibile e contributiva con riferimento agli immigrati privi di permesso di soggiorno;
    i) la revisione ed eventuale soppressione di alcune agevolazioni fiscali (tax expenditures), considerato che l'ammontare complessivo degli effetti dei 263 regimi agevolativi indicato nell'allegato del bilancio di previsione per il 2013 è pari a 156.231 milioni per il 2013, a 156.168 milioni per il 2014 e a 155.423 milioni per il 2015;
    l) la tassazione progressiva sui grandi patrimoni immobiliari oltre gli 800.000 euro.
(1-00076) «Giancarlo Giordano, Costantino, Fratoianni, Migliore, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    una società democratica promuove una cittadinanza consapevole sviluppando politiche a favore della cultura, dell'educazione e dell'istruzione;
    cultura, educazione e istruzione rappresentano veri e propri beni comuni tutelati dalla Costituzione e condivisi tra i cittadini;
    nonostante l'unanime consenso sul valore della formazione e dell'istruzione, la scuola, l'università e il patrimonio culturale in questi anni sono stati depauperati;
    Internet ha allargato a dismisura e aperto a tutti l'accesso all'immensa mole di dati disponibili cambiando profondamente la nostra idea di cultura, apprendimento e istruzione e aprendo un divario tra ciò che si apprende a scuola e ciò si impara online, che dovrebbero, invece, essere connessi;
    va, quindi, rielaborato il modo in cui la società trasmette alle nuove generazioni i saperi fondamentali per comprendere il mondo, intendendo per «cultura» una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza, tutela e valorizzazione dei beni, promuovendo una trasformazione del sistema d'istruzione, in un rapporto dialettico tra sviluppo economico e culturale;
    appare evidente come la scuola debba essere sostenuta nel ruolo di fornire gli strumenti di base e le competenze chiave (i «saperi di cittadinanza») dentro un ambiente di apprendimento globale costituito dalle reti della conoscenza online e in una società sempre più «orizzontale» e che debba essere operato un forte investimento verso la sua digitalizzazione;
    l'università e la ricerca costituiscono un bene fondamentale per il sistema Paese. Il modello di sviluppo dei prossimi anni non può essere quello del passato, con scarsa capacità di produrre innovazione. L'investimento in questo campo non si misura su risultati immediati ma sulla capacità di rendere nuovamente competitiva l'Italia sul piano internazionale;
    il ruolo della cultura e del sistema di formazione, in particolare, risiede nell'attuazione del principio di una reale giustizia educativa, cioè il passaggio dalla proclamazione delle pari opportunità di accesso alla responsabilità dei sistemi formativi nel produrre uguali possibilità di riuscita facendosi carico delle differenze individuali e sociali, a garanzia di quella mobilità sociale indispensabile in una società democratica. Quindi, un sistema di istruzione deve essere realizzato secondo parametri non solo di efficienza ma anche di equità;
    il progresso di una società, infatti, come è messo in evidenza dal rapporto 2013 Cnel-Istat sul Bes (benessere equo e sostenibile), non si misura solo attraverso parametri di carattere economico, ma anche sociale e ambientale;
    la relazione del gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea (il gruppo dei «saggi» istituito dal Presidente Napolitano nell'aprile 2013) indica tra le priorità la lotta agli squilibri tra le aree del Paese e tra le singole scuole, messi in evidenza, tra gli altri, dai test Invalsi, dai dati Ocse Pisa, dai rapporti sulla qualità della scuola italiana di Tuttoscuola e dalla fondazione Agnelli;
    ancora oggi il successo scolastico e formativo è condizionato dalle origini socio-economiche, tanto che la probabilità di essere in ritardo alla fine delle medie da parte di uno studente figlio di genitori con licenza media è quattro volte superiore a quella del compagno figlio di genitori laureati;
    i divari sociali di apprendimento e le disparità in particolare nella lettura rischiano di compromettere il percorso scolastico, specialmente degli studenti di origine più svantaggiata, generando il grave fenomeno dell'abbandono e della dispersione scolastica, come dimostra anche l'alto numero di neet (ragazzi senza scuola e senza lavoro) tra i 15 e i 29 anni;
    va crescendo la disparità delle scuole che presentano buoni rendimenti e quelle di minore qualità, dove, tra l'altro, vengono spesso indirizzati gli alunni di origine immigrata, anche se nati e cresciuti in Italia;
    appare particolarmente grave la carenza di sicurezza generata dallo stato di incuria dell'edilizia scolastica, su cui il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha focalizzato l'attenzione;
    occorre, dunque, agire su diversi fronti: favorire la frequenza alla scuola dell'infanzia (di cui è provato l'effetto positivo sulla riuscita scolastica successiva), contrastare l'abbandono, collegare la formazione professionale con il territorio e il lavoro, potenziare il diritto allo studio, intervenire per gli alunni con bisogni educativi speciali, promuovere l'integrazione degli alunni immigrati divenuti ormai «cittadini» di fatto, valorizzare il ruolo delle famiglie, mettere in sicurezza la scuola; insomma una scuola inclusiva, interculturale e maggiormente coinvolgente, che non sia solo dello Stato, né solo delle famiglie o degli individui, ma della comunità;
    per operare queste trasformazioni non occorrono soltanto risorse, ma anche una rinnovata visione complessiva del sistema integrato di istruzione – comprendente la scuola statale e non statale – inteso come «bene comune», basato sul miglioramento della qualità attraverso quattro fondamentali processi, e cioè il potenziamento dell'autonomia, la valutazione (delle persone, dei docenti, degli istituti), l'apertura del sistema e la formazione dei docenti;
    occorre rendere effettiva l'autonomia delle scuole, liberandole da vincoli eccessivamente burocratici e introducendo una maggiore libertà di sperimentazione per gli istituti, pur nel controllo delle performance complessive in uscita; l'obiettivo strategico dell'attivazione di una larga autonomia vale sia per gli istituti scolastici sia per gli atenei, con responsabilizzazione piena dei rispettivi vertici;
    la valutazione e l'autovalutazione delle scuole e degli atenei costituiscono la via maestra per evitare sprechi e valorizzare la qualità. La messa a sistema della valutazione, promossa dal Governo precedente mediante l'applicazione del regolamento dell'8 marzo 2013, che istituisce e disciplina il sistema nazionale di valutazione delle scuole pubbliche e delle istituzioni formative accreditate dalle regioni, va rafforzata, favorendone la trasparenza e l'efficienza a livello internazionale;
    la cooperazione degli studenti e delle famiglie va promossa facilitando tutte le forme di partecipazione, anche economica, alla vita delle istituzioni scolastiche e universitarie, nella prospettiva della «sussidiarietà orizzontale» espressa dall'articolo 118 della Costituzione, concretizzando la possibilità di perseguire lo sviluppo della cultura come interesse generale da parte dei cittadini;
    è necessario agire sul nodo storico del reclutamento degli insegnanti, cercando di contemperare i diritti dei docenti «precari» e quelli dei giovani laureati, promuovendo un auspicato ricambio generazionale e favorendo l'aumento del numero dei docenti maschi in un insegnamento che negli ultimi anni si è notevolmente femminilizzato; in particolare, il meccanismo dei concorsi, che va messo a regime, presenta notevoli criticità per quanto riguarda i contenuti delle prove, nonché la competenza e le condizioni di lavoro degli esaminatori;
    altrettanto centrale appare l'organizzazione di un sistema coerente tra formazione iniziale, di tipo culturale ma anche orientata alla professionalizzazione – armonizzata con i traguardi di competenze definiti dalle indicazioni nazionali – e la formazione in servizio (da potenziare e promuovere con risorse adeguate); in questo quadro la scuola potrà riconoscere e creare figure di sistema collegate ad incentivi e ad una rendicontazione sociale dei risultati;
    in tale ambito va prestata particolare attenzione e risorse a una formazione dei docenti equilibrata tra la componente disciplinare e quella pedagogico-didattica, finora trascurata ma indispensabile per comprendere i nuovi bambini e adolescenti, agire sulla motivazione allo studio, affrontare i conflitti tra pari, valorizzare gli stili di apprendimento, sostenere i bisogni educativi speciali, curare la dimensione socio-affettiva tra reale e virtuale, gestire le nuove forme di razzismo, intolleranza e bullismo anche in rete, mentre ancora oggi il 78 per cento delle scuole medie dichiara di praticare maggiormente la lezione frontale;
    i casi di maltrattamento degli alunni nelle aule scolastiche da parte degli operatori educativi che dovrebbero proteggerli mostrano come la loro formazione non debba curare solo gli aspetti culturali o intellettuali, ma siano necessarie nuove e più mirate modalità per selezionare persone eticamente competenti, con attitudine alla professione educativa e personalità equilibrate;
    la dimensione educativa va valorizzata anche sostenendo tutte le forme di partenariato tra gli insegnanti e gli educatori professionali, e più in generale tra la scuola e il mondo associativo e del volontariato;
    va valorizzata, altresì, la risorsa costituita dagli insegnanti per gli insegnanti, cioè le possibilità offerte dal tirocinio e da altre forme di tutoring per i docenti in formazione, creando e sostenendo modelli di alleanza tra scuole e università nella formazione attiva e partecipata dei docenti,

impegna il Governo:

   a rimettere la cultura al centro dell'agenda politica, a promuovere una trasformazione del sistema di istruzione in direzione di una più larga autonomia, di una cultura della valutazione e autovalutazione degli obiettivi, di un'apertura alla sussidiarietà orizzontale e di una qualificazione della formazione dei docenti;
   ad investire con maggiore convinzione e risorse nell'equità della scuola come luogo di cittadinanza, nel rispetto e nella cura verso alunni e studenti, nel valore del ruolo dei docenti, nella capacità da parte del sistema formativo di gestire i nuovi processi di conoscenza e di intelligenza collettiva;
   a dare piena attuazione all'articolo 118 della Costituzione per favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello sviluppo della cultura, dell'educazione e dell'istruzione come bene comune, secondo il principio della sussidiarietà orizzontale;
   a contrastare la dispersione scolastica operando per una riduzione del tasso di abbandono scolastico precoce, oggi troppo alto (18 per cento), dando piena attuazione all'Agenda di Lisbona dell'Unione europea; ad assicurare a ogni adolescente che esce da un ciclo scolastico un servizio efficiente di orientamento scolastico e professionale; a rendere più efficaci le connessioni con il sistema produttivo;
   a completare, rafforzare e migliorare il nuovo sistema di valutazione, affidando una funzione di benchmark ad alcuni istituti come modello di buone pratiche nei confronti degli altri, operando anche per introdurre incentivi legati alla valutazione del corpo docente, posto che solo tale sistema di verifica, purché adeguato ai diversi contesti locali e sociali, permetterà di passare da una scuola che si limita a dichiarare il proprio operato attraverso i piani formativi ad una scuola che individui e consegua i suoi obiettivi in modo mirato secondo il principio delle competenze;
   a rivedere le modalità di organizzazione dei concorsi dal punto di vista delle tipologie delle prove, della selezione e delle condizioni di lavoro degli esaminatori, a garanzia dell'effettiva qualità della scelta degli idonei; ad approntare un piano di formazione degli insegnanti in servizio che parta dai bisogni mirati e contestualizzati localmente, si sviluppi secondo metodologie innovative di ricerca-azione anche basata sulle esperienze, con una valutazione finale degli esiti;
   ad operare in direzione di un'effettiva e decisa semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche che attualmente assorbono gran parte delle energie degli operatori scolastici;
   a produrre un monitoraggio attento degli effetti prodotti dalle riforme dell'università degli ultimi anni, evitando un ulteriore shock riformatore, accompagnato da una valutazione seria e equilibrata della ricerca di base ed applicata, scientifica e umanistica, secondo i criteri della valutazione della qualità della ricerca; ad investire sull'università in modo mirato e finalizzato, promuovendo una vera equità (borse di studio e prestiti d'onore), facilitando l'accesso a fondi per la ricerca, favorendo a tutti i livelli l'internazionalizzazione delle scuole e delle università.
(1-00077) «Santerini, Dellai, Capua, Molea, Vezzali, Caruso, Causin, Galgano, Rossi, Schirò Planeta, Vitelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il 7 ottobre 2010 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha approvato la risoluzione n. 1763 in materia di obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche;
    nella citata risoluzione si indicava, oltre alla necessità di garantire l'obiezione di coscienza per l'operatore sanitario:
     a) la necessità di garantire che le donne possano accedere ai servizi con tempestività;
     b) la preoccupazione che l'obiezione di coscienza potesse danneggiare le donne meno abbienti;
     c) la necessità di contemperare sia la garanzia dell'accesso alle cure mediche e la tutela della salute delle donne che la garanzia di libertà di coscienza degli operatori sanitari;
    appare di tutta evidenza che, pur nel diritto di obiezione di coscienza, si debba assicurare che le pazienti siano informate per tempo di eventuali obiezioni, in modo da poter essere indirizzate a un altro operatore sanitario che non abbia fatto la scelta di obiezione di coscienza;
    vanno, altresì, garantiti alle pazienti i trattamenti appropriati, in particolare nei casi di emergenza ma anche nelle fasi pre e post intervento di interruzione della gravidanza;
    in Italia in ambito medico-sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge e i settori in cui trova applicazione vanno dall'interruzione della gravidanza che è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, alla sperimentazione animale, prevista dalla legge n. 413 del 1993, fino alla procreazione medicalmente assistita, come prevista dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    relativamente all'interruzione volontaria di gravidanza il Ministero della salute afferma che l'obiezione di coscienza è esercitata in Italia da oltre il 70 per cento dei ginecologi nel servizio pubblico, mentre sono obiettori di coscienza oltre il 50 per cento degli anestesisti e oltre il 44,4 per cento per il personale non medico;
    è nelle regioni meridionali che si registra il dato più alto relativo agli obiettori di coscienza, solo tra i ginecologi risultano essere obiettori almeno 8 obiettori su 10;
    è di tutta evidenza che con un numero così elevato di ginecologi e operatori sanitari obiettori di coscienza appare problematica l'applicazione della legge n. 194 del 1978, con ricadute pesanti sulle donne che sono costrette alla ricerca di non obiettori o addirittura alla migrazione in altre regioni;
    sono stati oggetto di ricorsi al giudice anche casi nei quali l'obiezione di coscienza si è spinta fino al negare l'assistenza nelle fasi pre e post interruzione di gravidanza;
    casi sui quali è intervenuta la Corte di cassazione con la sentenza n. 14979 del 2 aprile 2013, che ha confermato la condanna ad un anno di carcere per omissione in atti d'ufficio con interdizione dell'esercizio della professione medica nei confronti di una dottoressa di un presidio ospedaliero che si era rifiutata di visitare una donna che, a seguito di interruzione volontaria di gravidanza, correva il rischio di un'emorragia, nonostante le richieste dell'ostetrica e dell'ordine di servizio avuto dal primario;
    il terzo comma 3 dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 esclude dall'obiezione l'assistenza antecedente e conseguente all'interruzione volontaria di gravidanza;
    si assiste anche a casi nei quali l'obiezione di coscienza da singola si trasforma in obiezione di coscienza della struttura, quando una struttura ha al suo interno personale esclusivamente obiettore; questo crea ulteriori difficoltà, in una situazione già difficile di per sé, alla donna nel suo diritto all'interruzione di gravidanza; si tratta di un'obiezione di struttura inaccettabile, in particolare in strutture che sono convenzionate con il sistema sanitario nazionale; in tali casi sarebbe opportuno intervenire sulle strutture «obiettrici» al fine di chiedere che sia presente anche personale non obiettore e, se persiste la situazione, occorrerebbe escludere tale struttura da qualsiasi convenzione pubblica;
    l'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza; va, quindi, ulteriormente affermato che l'obiezione di coscienza è un diritto della persona ma non della struttura;
    appare necessario procedere all'istituzione di un registro nazionale degli obiettori di coscienza e prevedere contestualmente che sul tesserino dell'ordine dei medici sia apposta la dicitura «obiettore di coscienza»;
    la crescita in questi anni del numero degli obiettori ha determinato la chiusura dei servizi, con ospedali privi di reparti di interruzione di gravidanza, perché praticamente la totalità di ginecologi, anestesisti e paramedici ha scelto l'obiezione di coscienza,

impegna il Governo:

   a garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, e in particolare quanto previsto dall'articolo 9, nonché la sua piena applicazione, a tutela dei diritti e della salute delle donne;
   ad assumere iniziative, di concerto con le regioni, affinché le strutture ospedaliere, in particolare quelle private convenzionate, garantiscano il personale al fine di consentire alle donne che lo richiedano di poter procedere all'interruzione di gravidanza, anche attraverso l'assunzione di personale non obiettore in maniera tale da garantire il servizio, con particolare riguardo alle strutture ospedaliere pubbliche;
   al fine di evitare che le singole obiezioni di coscienza degli operatori sanitari si trasformino in obiezioni di coscienza della struttura sanitaria, laddove persista da parte di strutture private convenzionate il diniego al servizio di interruzione volontaria di gravidanza, ad assumere iniziative affinché si proceda all'esclusione di tali strutture dall'elenco di quelle convenzionate con il sistema sanitario nazionale;
   ad istituire un osservatorio nazionale, che veda la presenza dei Ministeri interessati, delle regioni e delle associazioni delle donne, al fine di monitorare l'attuazione della legge n. 194 del 1978 allo scopo di avere dati periodici e certi, in particolare sul numero di consultori sull'intero territorio nazionale, sulla loro attività, sulla formazione degli operatori presenti nei consultori, sulle strutture ospedaliere pubbliche e private che effettuano interruzioni volontarie di gravidanza, sul numero di operatori disponibili per ogni struttura ospedaliera, sul numero delle strutture ospedaliere pubbliche e private convenzionate con il sistema sanitario nazionale, nelle quali non si effettuano interruzioni volontarie di gravidanza per l'assenza o il numero insufficiente degli operatori sanitari disponibili;
   ad assumere iniziative per istituire il registro nazionale degli obiettori di coscienza e per prevedere al contempo che sul tesserino dell'ordine dei medici sia apposta la scritta «obiettore di coscienza».
(1-00078) «Lorefice, Baroni, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Silvia Giordano, Grillo, Mantero, Manlio Di Stefano, Fantinati, Castelli, Colonnese, Busto, Artini, Villarosa».


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, in ambito medico-sanitario, il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo:
     a) all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978;
     b) alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993;
     c) alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    l'obiezione di coscienza è costituzionalmente fondata, con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo, così come ha riconosciuto recentemente il Comitato nazionale di bioetica, organo consultivo della Presidenza del Consiglio dei ministri, nel parere «obiezione di coscienza e bioetica», approvato il 12 luglio 2012;
    la risoluzione 1763 del 2010 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, «The right of conscientious objection in lawful medical care», afferma che: nessuna persona, ospedale o istituzione deve essere costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo per il rifiuto a eseguire, accogliere, assistere o sottoporsi a un aborto, all'esecuzione di un aborto spontaneo umano, o all'eutanasia o a qualsiasi atto che potrebbe causare, per qualsiasi ragione, la morte di un feto o di un embrione umano;
    i dati raccolti in modo capillare nelle regioni e presentati al Parlamento nella relazione annuale sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 sono attendibili, completi ed esaustivi. Questi dati evidenziano una continua e costante diminuzione del ricorso delle donne all'aborto nel nostro Paese, attraverso tutti gli indicatori utilizzati. In particolare, dall'ultima relazione, presentata al Parlamento il 9 ottobre 2012, i dati preliminari relativi al 2011 mostrano un tasso di abortività (numero delle interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni, cioè l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza), nel 2011 pari al 7,8 per mille, un valore fra i più bassi a livello internazionale. Dalle relazioni sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 si desume anche che per le minorenni il tasso di abortività in Italia è considerevolmente inferiore rispetto a quanto registrato negli altri Paesi, così come è minore l'abortività ripetuta;
    sempre dal confronto dei dati presentati nelle relazioni al Parlamento si evince che alla costante e continua diminuzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza corrisponde un aumento molto meno significativo del numero di obiettori di coscienza, sostanzialmente stabile negli ultimi anni;
    dalle cifre riportate nelle relazioni annuali sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 non sembra esistere alcuna correlazione fra numero di obiettori di coscienza e tempi di attesa delle donne che chiedono l'interruzione volontaria di gravidanza. Appare chiaro, invece, che le modalità di accesso all'aborto dipendono dal livello e dalle scelte di organizzazione del servizio sanitario nelle singole regioni. Sulla base dei dati disponibili si può notare come in alcune regioni all'aumentare degli obiettori di coscienza diminuiscano i tempi di attesa delle donne e, viceversa, in altre regioni, al diminuire del numero di obiettori, addirittura aumentino i tempi di attesa. Si considerino, ad esempio, gli anni dal 2006 al 2009, un triennio in cui gli obiettori sono in aumento, dal 69,2 al 70,7 per cento. La percentuale di donne che aspetta meno di una settimana (oltre la settimana di riflessione prevista per legge) è aumentata, dal 56,7 per cento al 59,3 per cento, il che significa che l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza è migliorato. Al tempo stesso, diminuisce la percentuale di donne (dal 12,4 per cento all'11,1 per cento) che aspetta da 22 a 28 giorni. Confrontando, sempre nello stesso triennio, i dati regione per regione, per verificare l'eventuale correlazione tra tempi di attesa e numero degli obiettori, i risultati sono contraddittori: nel Lazio e in Piemonte, gli obiettori aumentano e i tempi di attesa diminuiscono. In Lombardia, invece, gli obiettori diminuiscono e i tempi di attesa aumentano. In Umbria la situazione è come in Lombardia, mentre in Emilia-Romagna succede una cosa ancora diversa: diminuiscono gli obiettori e anche i tempi di attesa;
    se ne deduce che non è il numero di obiettori di per sé a determinare l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza, ma il modo in cui le strutture sanitarie organizzano l'applicazione della legge n. 194 del 1978;
    secondo i dati raccolti dalla Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della legga 194) alcuni medici non obiettori, per motivi non noti, non eseguono l'interruzione volontaria di gravidanza, e che già oggi è possibile attuare sia forme di mobilità del personale (come previsto dall'articolo 9 della stessa legge n. 194 del 1978), sia forme di reclutamento differenziato,

impegna il Governo:

   a garantire sempre il diritto all'obiezione di coscienza, costituzionalmente fondato, così come previsto dalla normativa vigente;
   a garantire, altresì, il pieno accesso al servizio sanitario su tutto il territorio nazionale, nel rispetto della normativa vigente;
   ad assumere ogni iniziativa volta ad eliminare qualsiasi discriminazione fra lavoratori obiettori e non obiettori di coscienza;
   ad assumere ogni iniziativa per la piena applicazione della legge n. 194 del 1978, in tutte le sue parti, compresa quella preventiva a tutela della maternità;
   ad informare le donne straniere sulle opportunità e sulle modalità di accesso ai servizi di salute della donna, compresa l'interruzione volontaria di gravidanza, per evitare il ricorso a strutture clandestine;
   a promuovere, in riferimento a quanto previsto dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, di concerto con le amministrazioni regionali e nel rispetto delle disposizioni vigenti sulla privacy, l'accesso totale alle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione del servizio relativo all'interruzione volontaria di gravidanza e le modalità di attuazione dell'intero percorso dell'interruzione volontaria di gravidanza, ivi compreso il monitoraggio regionale dedicato alle modalità di aborto con RU486.
(1-00079) «Brunetta, Calabrò, Roccella, Fucci, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo riconosce, all'articolo 3, il diritto alla vita sancendo che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona»;
    a livello comunitario, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2, afferma: «il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge»;
    la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, sottoscritta ad Oviedo nel 1997, nel delineare una sorta di costituzione europea in materia di diritto a nascere, non riconosce valore personale assoluto al diritto di interruzione della gravidanza;
    la Carta europea dei diritti, adottata dal Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2000 e alla quale, con il Trattato di Lisbona, è stata attribuita la stessa efficacia giuridica delle norme dei Trattati, dopo aver affermato, all'articolo 1, l'inviolabilità della dignità umana, all'articolo 2 dispone: «ogni individuo ha il diritto alla vita»;
    dopo sessanta anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che ha sancito il pieno rispetto della dignità e della vita di ogni persona non sono state attuate politiche internazionali volte alla concretizzazione di tali principi;
    la denatalità in Europa, e soprattutto in Italia, è ormai una emergenza: entro il 2025 i primi paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
    attualmente l'Europa ha un tasso di fecondità medio di 1,4 figli per donna, quando il livello di sostituzione – ossia il livello che permette di mantenere l'equilibrio – è di 2,1. L'evoluzione della percentuale di popolazione giovanile sul totale: nel 1950 si attestava su una percentuale del 26,2 per cento della popolazione europea al di sotto dei 15 anni, nel 1975 al 23,7 per cento, nel 2000 si sono ridotti al 17,5 per cento;
    in continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha ribadito (risoluzione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010) che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo;
    l'Assemblea parlamentare ha sottolineato la necessità di affermare il diritto all'obiezione di coscienza insieme con la responsabilità dello Stato per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure mediche lecite in modo tempestivo;
    stante l'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche e legali per tutelare il diritto alla salute, così come l'obbligo di garantire il rispetto del diritto della libertà di pensiero, di coscienza e di religione di operatori sanitari degli Stati membri, l'Assemblea ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici;
    in materia di obiezione di coscienza si devono ricordare le indicazioni contenute: nel VI articolo dei principi di Nuremberg; nell'articolo 10, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; negli articoli 9 e 14 della Convenzione europea dei diritti umani; nell'articolo 18 della Convenzione internazionale dei diritti civili e politici; la promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico è affermata nelle «linee guida» della federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia (Figo) e della Organizzazione mondiale della sanità (Who-Europe);
    in Italia il diritto all'obiezione di coscienza in campo medico è assicurato ed espressamente codificato dalle seguenti leggi: la legge n. 194 del 1978 che, all'articolo 9, ha introdotto una particolare specie di obiezione di coscienza, in materia di interruzione volontaria della gravidanza, riconosciuta al personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, salvo nei casi urgenti nei quali è in gioco la vita di una persona; peraltro, una disposizione similare è contenuta anche nel codice di deontologia medica, approvato anch'esso nel 1978, che all'articolo 28 stabilisce che «qualora al medico vengano richiesti interventi che contrastino col suo convincimento clinico o che discordino con la sua coscienza, come nel caso di sterilizzazione, aborto o interventi di plastica, egli può rifiutare la propria opera pur nel rispetto della volontà del paziente»; la legge n. 413 del 1993 che disciplina l'obiezione di coscienza per la sperimentazione animale; l'articolo 16 della legge n. 40 del 2004 che riguarda la procreazione medicalmente assistita e riconosce al personale sanitario ed esercente le attività sanitarie accessorie la facoltà di astenersi dal compimento della procedura, adottando un'impostazione similare alla disciplina in materia di aborto;
    il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana;
    Madre Teresa di Calcutta, Premio Nobel per la pace (17 ottobre 1979), nel discorso di premiazione disse di accettare il prestigioso riconoscimento esclusivamente a nome dei poveri e presentò l'aborto come il principale pericolo in grado di minacciare la pace nel mondo. La frase pronunciata dalla religiosa albanese – «Promettiamoci che in questa città nessuna donna possa dire di essere stata costretta ad abortire» – è carica di significati capaci di superare qualsiasi strumentalizzazione ideologica e diretta a considerare unicamente l'impegno nella tutela della vita nascente un'irrinunciabile prerogativa da parte di tutti;
    si ritiene, infatti, quanto meno singolare che proprio in un momento storico in cui l'opinione pubblica mostra una rinnovata attenzione alle tematiche di tutela della vita – basti pensare alle firme raccolte nella campagna (l'embrione uno di noi) finalizzata a sensibilizzare l'Unione europea sul tema della tutela della vita fin dal suo concepimento e alla grande manifestazione che ha visto scendere in piazza a Roma il 12 maggio 2013 più di trenta mila persone a difesa della vita) – si cerchi di aggirare lo spirito originario della legge n. 194 del 1978, con particolare riguardo agli aspetti di prevenzione-riflessione, proponendo campagne contro il diritto all'obiezione di coscienza e a favore della diffusione dell'aborto farmacologico;
    il tribunale amministrativo regionale della Puglia ha annullato, con la sentenza n. 3477 del 2010, la delibera di giunta regionale e i relativi atti dell'azienda sanitaria locale di Bari con cui venivano esclusi dalla presenza nei consultori ambulatoriali i medici obiettori di coscienza. Per i giudici amministrativi il provvedimento viola il principio costituzionale di eguaglianza, oltre che i principi posti a fondamento dell'obiezione di coscienza;
    pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato i consultori familiari per la società italiana, è doveroso, a distanza quasi di quarant'anni dall'approvazione della legge che ne prevedeva l'istituzione, riconsiderarne il lavoro svolto e l'attuale ruolo nel nostro Paese. Infatti, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale, è necessario dare nuova linfa vitale a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che nel 1975 aveva emanato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabile, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, deboli di quella necessaria sensibilità e competenza su problematiche sociali per i quali furono istituiti. In questa ottica sarebbe opportuno considerare come forza attiva anche il ruolo dei medici obiettori di coscienza all'interno dei presidi sociosanitari dei consultori familiari, anche al fine di dare piena attuazione alla prima parte della legge n. 194 del 1978, attraverso la reale presa in carico della donna per aiutarla a superare le cause che la inducono alla scelta di interrompere la gravidanza,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa (risoluzione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010);
   a promuovere iniziative finalizzate a mettere in campo tutte le risorse disponibili al fine di rafforzare gli interventi finalizzati ad offrire i giusti strumenti per far sì che la donna possa valutare la possibilità di considerare una scelta alternativa all'aborto;
   a farsi promotore presso le competenti istituzioni dell'Unione europea di politiche dirette al contrasto del fenomeno della denatalità.
(1-00080) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera».


   La Camera,
   premesso che:
    la libertà di coscienza trova ampio riconoscimento nel diritto internazionale, in particolare nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (articolo 18), nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (articolo 18) e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 9, il quale recita: «ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione»;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 10, comma 2, tutela specificamente il diritto all'obiezione di coscienza, confermando la crescente attenzione a livello internazionale verso la protezione di questo diritto;
    in continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha ribadito (risoluzione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010) che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un uomo, di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo;
    fermo l'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche legali per tutelare il diritto alla salute, così come l'obbligo di garantire il rispetto del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione degli operatori sanitari degli Stati membri, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici, volte soprattutto a garantire il diritto all'obiezione di coscienza in relazione alla partecipazione alla procedura medica in questione e a far sì che i pazienti siano informati di ogni obiezione di coscienza in modo tempestivo e ricevano un trattamento appropriato, in particolare nei casi di emergenza;
    la promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico è affermata nelle «linee guida» della Federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia (Figo) e della Organizzazione mondiale della sanità (Who-Europe);
    l'imperativo ad agire secondo coscienza e il diritto al rifiuto di prestazioni professionali contro coscienza è espressamente previsto dai codici deontologici delle principali professioni medico-sanitarie: dall'articolo 22 del codice di deontologia medica, dal punto 3.16 del codice deontologico 2010 dell'ostetrica/o e dall'articolo 8 del codice deontologico 2009 degli infermieri;
    il Comitato nazionale per la bioetica ha affrontato la questione dell'obiezione di coscienza nel documento «obiezione di coscienza e bioetica», pubblicato il 30 luglio 2012, nel quale si afferma che «l'obiezione di coscienza in bioetica è costituzionalmente fondata», «costituisce un diritto della persona» e risponde alla necessità di «assicurare una zona di rispetto della coscienza dei singoli», «anche in funzione del principio pluralista che caratterizza le democrazie contemporanee»;
    nello stesso documento il Comitato nazionale per la bioetica ricorda che l'obiezione di coscienza non è soltanto una forma di protezione della coscienza individuale, ma un’«istituzione democratica» che impedisce che «le maggioranze parlamentari o altri organi dello Stato neghino in modo autoritario la problematicità relativa ai confini della tutela dei diritti inviolabili»; in questo modo l'obiezione di coscienza si pone come «istanza critica» in un ordinamento democratico, segnando «una ulteriore presa di distanza dall'idea dello “Stato etico” come pretesa di imporre ex lege un solo punto di vista morale»;
    tale funzione di istanza critica è particolarmente evidente nell'obiezione di coscienza all'aborto, posto che il valore che ispira la scelta dell'obiettore è rappresentato dalla tutela della vita umana sin dal concepimento ed è noto che, nelle fondamentali sentenze nn. 27 del 1975 e 35 del 1997, la Corte costituzionale italiana ha affermato che «ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la cui situazione giuridica si colloca, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell'uomo riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 della Costituzione, denominando tale diritto come diritto alla vita, oggetto di specifica salvaguardia costituzionale»;
    la tutela del vita umana sin dal concepimento è del resto valore fondante della stessa legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», che, nel suo primo articolo, «riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio»; lo scopo dichiarato della legge n. 194 del 1978 è, infatti, quello di porre fine alla piaga dell'aborto clandestino e di evitare il ricorso all'aborto, rimuovendone e superandone le cause profonde di natura culturale, economica e sociale, attraverso una serie di azioni di informazione e di sostegno affidate prioritariamente ai consultori familiari istituiti dalla legge n. 405 del 1975;
    il Comitato nazionale per la bioetica ha, altresì, sottolineato che l'obiezione di coscienza deve essere esercitata in maniera «sostenibile», nel rispetto dei principi di legalità e di certezza del diritto (articolo 54 della Costituzione), oltre che dei diritti spettanti secondo la legge. A questo scopo ha formulato una serie di raccomandazioni tra cui la previsione di misure adeguate per:
     a) «garantire l'erogazione dei servizi, eventualmente individuando un responsabile degli stessi»;
     b) evitare la discriminazione tanto degli obiettori quanto dei non obiettori, non facendo gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti;
     c) predisporre «un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori»;
     d) accertare attraverso controlli a posteriori che l'obiettore non svolga attività incompatibili con la sua scelta di obiezione;
    il contributo degli obiettori di coscienza all'attuazione della legge n. 194 del 1978 nelle sue parti finalizzate alla prevenzione dell'aborto può essere una valida prova della sincerità e autenticità dell'obiezione, ma è spesso difficile, se non impossibile, anche a causa del meccanismo della revoca immediata dell'obiezione di coscienza di cui all'articolo 9, sesto comma, della legge n. 194 del 1978,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa e secondo le raccomandazioni espresse dal Comitato nazionale per la bioetica, nonché a prevedere adeguati strumenti per il coinvolgimento degli obiettori di coscienza nelle attività di prevenzione dell'aborto, anche valorizzando il ruolo degli ordini professionali;
   a dare attuazione a quanto indicato dal Comitato nazionale per la bioetica, in particolare per rendere «sostenibile» il diritto all'obiezione di coscienza, attraverso idonee misure che:
    a) garantiscano l'erogazione di tutti i servizi previsti dalla legge n. 194 del 1978;
    b) evitino la discriminazione tanto degli obiettori quanto dei non obiettori, anche per quanto riguarda i carichi di lavoro e la tipologia delle prestazioni professionali;
    c) accertino che il personale che si avvale del diritto all'obiezione non svolga attività non compatibili con tale scelta.
(1-00081) «Binetti, Balduzzi, Gigli, Sberna, Nissoli, Buttiglione, Cesa, Cera, De Mita, Marazziti, Santerini, Piepoli».


   La Camera,
   premesso che:
    la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, ha mostrato come in Italia il numero dei ginecologi obiettori di coscienza sia in considerevole aumento, passando, nei soli anni tra il 2005 e il 2009, dal 58,7 per cento al 70,7 per cento. Si è rilevato un aumento di obiettori anche tra gli anestesisti, passati dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si registrano principalmente al Sud: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise, 81,7 per cento in Sicilia e 81,3 per cento a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud, con un massimo di più di 77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia;
    parallelamente risultano in preoccupante aumento gli aborti dichiarati come «spontanei», passati secondo i dati Istat, dai quarantamila del 2008 ai settantacinquemila del 2011, un aumento del 75 per cento, che, secondo molte fonti, potrebbe essere il frutto di interventi illeciti non eseguiti in modo corretto;
    indagini delle forze dell'ordine testimoniano una crescente diffusione di fenomeni, come il contrabbando di farmaci (misoprostolo clandestino), che inducono l'interruzione di gravidanza con forti rischi per la salute e la vita delle donne, e il proliferare di cliniche e ambulatori fuorilegge. Solo nell'ultimo anno sono stati calcolati 188 procedimenti penali aperti per violazione della legge n. 194 del 1978, molti dei quali verso insospettabili professionisti che agivano indisturbati tra le mura dei loro studi;
    l'elevata presenza di medici obiettori sembra riflettersi anche sull'operatività e l'efficacia dei consultori nelle loro funzioni di prevenzione e supporto della donna nelle fasi antecedenti all'interruzione di gravidanza. Come evidenziato nella sopra citata relazione del Ministro della salute al Parlamento, l'efficacia ed il ruolo dei consultori nei processi di prevenzione e supporto all'interruzione di gravidanza appaiono in molti casi indebolita dalla mancanza di figure mediche adeguate o disponibili al rilascio della documento e della certificazione necessaria per l'interruzione volontaria della gravidanza, soprattutto al Sud. Un elemento che allontana le donne da queste strutture e dai loro indispensabili servizi di informazione, prevenzione e supporto. Infatti, nonostante i tassi di presenza di consultori sia di 1,5 consultori pubblici ogni 10.000 donne in età 15-49 anni tanto nell'Italia settentrionale quanto in quella meridionale; tuttavia, mentre al Nord il 50,6 per cento delle certificazioni per l'interruzione volontaria della gravidanza passano dai consultori, al Sud solo il 20,6 per cento e nelle isole addirittura il 15,8 per cento. In queste aree le donne, temendo di vedersi rifiutare la certificazione o di venire giudicate dal personale dei consultori, si rivolgono direttamente alle strutture che effettuano le interruzioni di gravidanza bypassando interamente il percorso consultoriale;
    l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza è previsto e disciplinato dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, secondo cui «il personale sanitario ed esercente le attività ausiliare non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione di gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza». Tuttavia, la stessa legge ne disciplina e regolamenta l'uso, stabilendo che «gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8» e stabilendo, inoltre, che la regione controlli e garantisca l'attuazione e l'effettiva erogazione di tali servizi «anche attraverso la mobilità del personale», una misura scarsamente se non per niente utilizzata dalle strutture fino ad oggi;
    l'obiezione di coscienza si configura, quindi, come un diritto della persona, ma non della struttura, che ha l'obbligo di erogare le prestazioni sanitarie previste dalla legge. La tutela del legittimo diritto all'obiezione di coscienza non può mettere a rischio la tutela del diritto alla salute fisica e psichica della donna che la legge n. 194 del 1978 mira a garantire ed è necessario trovare modalità affinché entrambi i diritti possano convivere armonicamente;
    il Comitato nazionale di bioetica, nel parere sull'obiezione di coscienza formulato al Governo il 30 luglio 2012, sostiene la necessità di un diritto all'obiezione «sostenibile», che «non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge, né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale». Il Comitato nazionale di bioetica raccomanda, inoltre, al Governo «la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'odc viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori»;
    non esistono al momento efficaci strumenti di monitoraggio, premialità o penalizzazione per verificare, stimolare o supportare l'effettiva funzionalità delle strutture preposte all'applicazione della legge n. 194 del 1978, nonché per analizzare adeguatamente l'impatto del fenomeno dell'obiezione di coscienza sulla loro funzionalità. Gli indicatori di efficienza attualmente rilevati, come, per esempio, i tempi di attesa per l'interruzione di gravidanza, non sono in grado, da soli, di valutare tali aspetti perché sono proprio le regioni e le strutture ospedaliere con minori obiettori ad attrarre maggiori richieste di interruzione volontaria della gravidanza e ad avere, quindi, liste di attesa più lunghe. Senza contare che, allo stato attuale, è praticamente impossibile verificare se le donne che si cancellano da una lista di attesa lo facciano perché hanno effettivamente cambiato idea o perché, all'allungarsi dei tempi d'attesa, decidono di ricorrere all'aborto clandestino,

impegna il Governo:

   a condurre un'analisi conoscitiva approfondita sull'impatto dell'obiezione di coscienza sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, un'analisi condotta a livello di struttura e che si basi su dati e indicatori sufficientemente articolati in grado di affrontare il problema dell'interdipendenza tra presenza di personale non-obiettore e lunghezza delle liste di attesa;
   ad adottare tutte le iniziative di competenza necessarie affinché si garantisca il rispetto e la piena attuazione della legge n. 194 del 1978 in tutte le strutture del territorio, adottando, ove necessario, una revisione dell'organizzazione delle mansioni e del reclutamento delle strutture sanitarie che faccia leva sugli strumenti di mobilità del personale previsti dalla legge e che preveda forme di reclutamento differenziato atti a riequilibrare il numero di obiettori e non obiettori, così come raccomandato dal Comitato nazionale di bioetica;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema di monitoraggio costante e rigoroso delle azioni intraprese e dei risultati ottenuti dalle regioni sul fronte dell'applicazione della legge n. 194 del 1978 e della tutela della salute della donna in tutte le strutture operanti sul loro territorio, collegando a tali risultati meccanismi di premialità e penalizzazione;
   a rafforzare l'attività dei consultori, monitorando l'effettiva disponibilità del personale che vi opera a erogare tutti i servizi legati alle richieste di interruzione volontaria della gravidanza e ad emettere le necessarie documentazioni, promuovendo una maggiore interazione tra questi e le strutture ospedaliere e definendo percorsi integrati secondo standard e procedure che consentano di seguire e supportare la donna in tutte le fasi legate all'interruzione volontaria della gravidanza e di valutarne poi i risultati (così come previsto dal progetto «obiettivo materno-infantile» varato nel 2000 e rimasto purtroppo inattuato nella maggior parte dei consultori);
   a promuovere campagne di informazione e azioni volte a supportare il ricorso, nell'ambito d'uso disciplinato dalla legge, alle tecniche di interruzione di gravidanza che riducono sia i rischi per la salute fisica e psichica delle donne che l'impegno di risorse da parte del sistema sanitario nazionale, come, per esempio, l'interruzione di gravidanza farmacologica.
(1-00082) «Tinagli, Andrea Romano, Capua, Nesi, Cimmino, Rabino, Zanetti, Vecchio, Oliaro, D'Agostino, Antimo Cesaro, Molea, Librandi».


   La Camera,
   premesso che:
    le scuole non statali raccolgono nel nostro Paese, il 7 per cento della popolazione scolastica pari a circa 700 mila studenti, dalle materne alle medie superiori. Per quanto riguarda la distribuzione nei vari gradi scolastici, un'indagine dell'Associazione scuole non statali assegna il 70 per cento degli iscritti alle scuole materne, l'8 per cento alla scuola elementare, il 9 per cento alla scuola media inferiore e il 13 per cento alla scuola superiore;
    di fronte ad una tale situazione si deve concludere che la scuola statale è un nostro grande patrimonio, che si sta via via depauperando a causa non solo della diminuzione di risorse ad essa destinate, ma anche a causa di motivazioni di ordine culturale e di modelli di insegnamento;
    per questo motivo si ritiene che sia necessario garantire il massimo sostegno alla scuola non statale, incentivando così la concorrenza tra istituti scolastici e rendendo finalmente effettivo il diritto di scelta da parte delle famiglie;
    bisogna riconoscere il valore della scuola non statale, consapevoli che così facendo anche quella statale sarà costretta a mettersi in gioco aggiornando i programmi e introducendo sempre maggiore autonomia soprattutto nella didattica;
    si ritiene necessario mettere in atto politiche volte a valorizzare la scuola privata, ma in un'ottica costante di miglioramento di quella pubblica, garantendo a tutti la possibilità scelta, indipendentemente dalle capacità economiche, e una scuola privata non elitaria che consenta ad un numero sempre crescente di alunni di frequentare le scuole migliori, affinché pubblico e privato siano messi finalmente sullo stesso piano in virtuosa concorrenza, eliminando progressivamente il monopolio statale nell'educazione;
    per una piena attuazione dell'autonomia scolastica e per recuperare competitività, la scuola deve poter contare su insegnanti con conoscenze culturali, storiche ed economiche del proprio territorio;
    in quest'ottica, una selezione basata sulle effettive capacità e preparazione in un quadro di valutazione omogeneo, con i criteri di verifica a livello regionale, consentirebbe di centrare l'obbiettivo, avviando un percorso virtuoso del quale si avvantaggerebbe l'intero Paese;
    una soluzione potrebbe essere quella di intervenire sulla disomogeneità di valutazione, segnalata anche dalle indagini internazionali, che penalizza vaste aree del Paese, avviando un percorso di riequilibrio attraverso il reclutamento del personale docente tramite concorsi regionali e mediante lo scorrimento delle graduatorie provinciali ad esaurimento;
    investire in cultura significa anche sviluppare la vocazione turistica di ogni singolo territorio, intendendo come cultura anche le bellezze naturali, gli usi, i costumi, le tradizioni e le manifestazioni popolari ed enogastronomiche di un luogo o di una regione, con lo scopo di valorizzarli;
    per quanto attiene alla ricerca scientifica, bisogna necessariamente distinguere fra ricerca strategica di interesse generale e ricerca finalizzata, connessa con le attività produttive del territorio;
    è indispensabile conseguentemente distinguere fra soggetti deputati allo svolgimento dell'attività di ricerca pura e soggetti diversi preposti a finanziarla e a coordinarla;
    per quanto afferisce a quest'ultimo aspetto è necessario sottolineare che il finanziamento pubblico si dovrebbe limitare ad investire nelle strutture essenziali per la ricerca, mentre la maggior parte degli interventi e dei finanziamenti dovrebbero provenire dal mondo produttivo, per finalizzare gli studi ai settori di punta per il mercato evitando di disperdere le sempre più limitate risorse disponibili,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative anche di natura economica, che consentano di attuare effettivamente il principio di parità scolastica, dando così la possibilità agli alunni e alle loro famiglie di poter decidere in libertà il tipo di scuola da frequentare, tutto ciò a reale vantaggio di una rinnovata competitività tra modelli educativi e per il miglioramento dell'offerta formativa nel suo complesso;
   ad assumere iniziative volte a pervenire gradatamente al reclutamento degli insegnanti su base regionale, anche al fine di evitare le numerose richieste di trasferimento con conseguenti rallentamenti nell'organizzazione della didattica;
   a promuovere la salvaguardia e la valorizzazione della cultura del Paese, posto che iniziative di tal genere assecondano la vocazione turistica e attrattiva del singoli territori e nell'attuale situazione di pesante crisi economica che attanaglia il Paese potrebbero consentire di arrivare a «vivere di cultura», con positivi risvolti occupazionali;
   a porre in essere politiche che nel settore della ricerca scientifica siano volte a incentivare il mondo produttivo ad investire in ricerca e sviluppo al fine di far riacquisire competitività al Paese e creare occupazione.
(1-00083) «Buonanno, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    è necessario cambiare profondamente le politiche perseguite dai Governi negli ultimi 5 anni sull'istruzione, l'università, la ricerca e la cultura, centrale su pesanti tagli lineari che hanno colpito in modo insostenibile mettendo a rischio anche i livelli minimi di funzionamento con la grave conseguenza non solo di mettere in discussione diritti fondamentali di cittadinanza ma anche di far venir meno uno dei punti di forza necessari per promuovere la fuori uscita dalla crisi economica e una nuova crescita e sviluppo sostenibile per il nostro Paese;
    il recente rapporto Osce 2012 evidenzia come la media di investimenti in istruzione dei Paesi membri sia cresciuta fortemente negli ultimi anni e risulti pari al 5,7 per cento del prodotto interno lordo, ma l'Italia si colloca al di sotto della media, investendo solo il 4,5 per cento del prodotto interno lordo. Penultima in graduatoria, davanti solo alla Slovacchia. Eppure è dimostrato che la maggiore spesa per istruzione produce rendimenti certi, come un maggior gettito fiscale ed una maggiore occupabilità e la stessa Banca d'Italia sostiene, sulla base di complesse analisi, che il rendimento medio dell'investimento in istruzione è dell'8,9 per cento;
    l'umiliazione sistematica delle istituzioni della conoscenza pubblica è in palese contrasto sia con la Strategia Europa 2010 che con quella del 2020 e ha contribuito in modo decisivo alla crisi economica del nostro Paese;
    l'Italia ha dunque commesso un errore strategico ignorando la risposta prevalente alla crisi nei Paesi più avanzati, in cui proprio gli investimenti sul sistema dell'istruzione, della ricerca e del patrimonio culturale non solo sono stati salvaguardati ma incentivati;
    gli obiettivi di Europa 2020 chiedono a tutti gli Stati membri di promuovere una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile basata sulla conoscenza come fattore di ricchezza e, conseguentemente, di attivare forti ed efficaci investimenti in capitale umano a partire dal potenziamento e dall'incremento della qualità dei sistemi di istruzione e formazione;
    tali investimenti, insieme ad un maggiore sostegno del sistema di apprendimento permanente, consentirebbero di proseguire, nel contempo la mobilità sociale – che nel nostro Paese è sostanzialmente bloccata – nonché la realizzazione personale e lavorativa. Grazie ad un efficace sistema di apprendimento per tutta la vita sarà possibile promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva, anche al fine di incoraggiare la creatività e l'innovazione a tutti i livelli dell'istruzione, della formazione, della ricerca e dell'economia;
    i «saggi» nominati dal Presidente della Repubblica, in linea con la strategia europea, dedicano un'intera sezione al ruolo strategico dell'istruzione e in particolare evidenziano che «Tutte le analisi condotte sul tema della crescita economica indicano nella disponibilità di un capitale umano di qualità uno degli ingredienti fondamentali per sfruttare appieno le nuove tecnologie, per favorire l'innovazione e l'aumento della produttività. Di conseguenza, migliorare le performance dei sistemi di istruzione e formazione è fondamentale per assicurare nel medio termine una crescita economica in grado di riassorbire la disoccupazione e la sottoccupazione di cui è affitto il nostro Paese»;
    il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento, ha tra l'altro sottolineato come «la società detta conoscenza e dell'integrazione si costruisca sui banchi di scuola e nelle università», impegnando il Governo a ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori e riducendo il ritardo rispetto all'Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica;
    gli elementi e i dati critici che sull'argomento riguardano il nostro Paese sono particolarmente preoccupanti:
     secondo le classifiche internazionali, l'Italia presenta un forte deficit in termini di qualità del capitale umano rispetto ai principali Paesi europei. Esso riguarda sia le competenze maturate dai giovani al termine della scuola dell'obbligo, sia la quota di laureati sulla popolazione. Inoltre, la formazione svolta dalle imprese è significativamente inferiore a quella tipica degli altri Paesi europei;
     il tasso di abbandono scolastico in Italia è al 18,8 per cento a fronte di una media del 13,4 per cento e dell'obiettivo posto dall'Europa 2020 di ridurla al 10 per cento; per quanto riguarda i laureati nella fascia di età tra i 30 e 34 siamo all'ultimo posto con il 20,3 per cento molto lontani dalla media europea del 34,6 per cento e dall'obiettivo 2020 del 40 per cento;
     il rapporto annuale 2012 dell'ISTAT, fa emergere un vero e proprio allarme educativo. L'Italia ha un altro primato negativo in Europa: 2 milioni di giovani trai 15 e i 24 anni non sono né a scuola, né al lavoro vivendo così in una condizione di vuoto a grandissimo rischio. Il dato cresce fino a 3,2 milioni se si apre la forbice fino ai 34 anni;
     nella scuola centinaia di migliaia di docenti e personale ata sono precari e l'Italia ha tagliato ben 132.000 posti negli organici del personale della scuola con legge n. 133 del luglio 2008. Dal 2009 al 2012 –10 per cento di docenti e –10 per cento di personale tecnico e amministrativo. La classe docente italiana è la più anziana d'Europa: oltre il 22 per cento ha più di 60 anni, contro il 6,9 per cento in Spagna, l'8,2 per cento in Francia, il 10,2 per cento in Germania; solo il 4,7 per cento dei docenti ha meno di 34 anni, contro il 31,6 per cento in Germania, il 22 per cento in Francia e il 19 per cento in Spagna. I giovani laureati che abbandonano l'Italia sono più che raddoppiati dal 2002 al 2011 (ISTAT); siamo al 18o posto su venti Paesi Ocse nel rapporto ricercatori e occupati;
     i salari dei docenti delle scuole italiane sono tra i più bassi d'Europa. Secondo i dati Eurydice, che si riferiscono all'anno scolastico 2011-2012, un maestro in Italia guadagna al massimo 32.924 euro lordi, di media 26.359. In Gran Bretagna circa il 60 per cento in più. Un professore delle scuole medie guadagna all'anno da 24.131 euro a 36,157 (in media 28.257). Un insegnante di liceo da 24.141 a 37.799 (la media è sotto i trentamila). Secondo il rapporto Education at a glance, lo stipendio di un docente italiano a fine camera è di 4.000 dollari in meno rispetto alla media Osce;
     nel sistema universitario, l'Italia coniuga tasse molto elevato (tersa in Europa dopo UK e Paesi Bassi, che però vantano una spesa per studente quasi doppia) e il peggior sistema di diritto allo studio. Ottiene una borsa di studio il 7 per cento degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6 per cento, della Francia (1,6 miliardi), il 30 per cento della Germania (2 miliardi) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2 per cento), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9 per cento, Germania +18,6 per cento, Spagna +39 per cento);
    non è da ignorare, inoltre, il data riportato dalle indagini internazionali sul rendimento degli studi che confermano la centralità e la decisiva influenza positiva esercitata dalla confortevole e adeguata organizzazione degli spazi scolastici sull'efficacia dell'attività didattica e sui livelli di apprendimento;
    la situazione dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è grave. Oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma e diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti;
    peraltro, la situazione ha rilievi di vera emergenza alla luce della politica scolastica assunti negli ultimi anni con l'aumento del rapporto alunni/docenti. Tale disposizione, attuata nel quadro di un sistema nazionale di edifici scolastici vetusti, spesse non a norma in termini di sicurezza, ha determinato il sovraffollamento degli alunni in classi non idonee ad ospitarli;
    si con dividono le lince programmatiche che la Ministra Maria Chiara Carrozza ha illustrato nel corso della seduta congiunta delle VII Commissione permanenti di Camera e Senato che segnano una netta discontinuità rispetto alle politiche governative perseguite nel passato e nelle quali si afferma tra l'altro, in linea con l'Europa, che «le politiche per l'istruzione, l'università e la ricerca sono di rilevanza strategica per il Governo. In particolare, il livello di istruzione e formazione ha legame diretto con il tasso di sviluppo economico di una certa popolazione e di un certo Paese in un dato momento storico. Tale legame è sempre esistito ma appare oggi ancora più forte per il rapido diffondersi dei nuovi modelli organizzativi e dell'uso delle tecnologie»;
    si apprezzano gli impegni contenuti nelle predette linee programmatiche relativamente alla cooperazione istituzionale tra lo Stato, le Regione e gli Enti Locali, nel quadro di una visione unitaria del sistema pubblico dell'istruzione, a partire dagli interdenti urgenti sull'edilizia scolastica e alla piena attuazione dell'autonomia scola idea, al potenziamento e allo sviluppo dell'offerta formativa dalle sezioni primavera alle scuole dell'infanzia, al tempo pieno e al tempo prolungato, all'istruzione superiore, all'alternanza scuola/lavoro e all'istruzione tecnica superiore, all'educazione degli adulti e all'educazione permanente, alle politiche per il personale con la valorizzazione professionale, la formazione in servizio, la stabilizzazione progressiva del personale precario e nuove norme di reclutamento per i giovani, l'avvio di un nuovo sistema di valutazione;
    si sottolineano anche gli impegni riferiti all'università, con particolare riferimento al ripristino di adeguati finanziamenti statali sia per le università che per la ricetta, insieme al definitivo sblocco delle assunzioni entro i limiti del bilancio degli atenei e degli enti di ricerca e il ripristino di livelli di autonomia responsabile degli atenei e degli enti;
    al settore universitario sono necessari adeguati finanziamenti a valere sul Fondo di finanziamento ordinario delle università e sul fondo del diritto allo studio e va eliminato il rigido contingentamento delle assunzioni introdotto dalla spending review 2012, che sta mettendo a rischio la sostenibilità dell'offerta formativa;
    il settore dell'Alta formazione artistica musicale e coreutica, uno dei vanti della cultura italiana ancora oggi in grado di attrarre centinaia di studenti stranieri, deve essere oggetto di un intervento diretto e urgente di riordino legislativo e di significativi investimenti finanziari con l'obiettivo di istituire un sistema unitario e integrato della formazione superiore post-secondaria che veda convivere con pari dignità e in pieno coordinamento tutte le istituzioni (università, politecnici, istituti universitari ad ordinamento speciale, accademie di belle arti, conservatori di musica eccetera), ciascuna mantenendo la propria autonomia, come garantito dalla Costituzione, e il proprio modello formativo, non di rado frutto di tradizioni storiche e di durature esperienze che hanno grande prestigio a livello mondiale; in questo quadro vanno anche affrontati e risolti i delicati problemi degli istituti musicali pareggiati e quelli del personale del settore;
    la necessità di una inversione di tendenza si palesa anche per il settore della cultura poiché anche le politiche culturali degli ultimi 5 anni sono state caratterizzate dalla perdurante riduzione dei finanziamenti pubblici;
    i beni culturali italiani, malgrado la situazione di grave difficoltà economica, sono una risorsi insostituibile e non delocalizzabile del patrimonio del Paese;
    occorre aumentare e rimodulare il finanziamento per le attività istituzionali di tutela e conservazione, presupposto indispensabile per la fruizione dei beni colturali del nostro Paese;
    una parte importante del patrimonio culturale del nostro Paese è costituito da biblioteche e archivi che conservano, racchiusi in preziose raccolte di volumi e fondi documentari di estrema importanza, la memoria storica e collettiva della nazione;
    occorre, dopo anni in cui gli Istituti di cultura e le riviste culturali hanno visto diminuire fino quasi a scomparire i trasferimenti pubblici, adeguare agli standard europei il sostegno dato alle fondazioni e istituzioni culturali;
    tra le diverse misure possibili, si ritiene essenziale proporre l'eliminazione del pagamento dell'IVA sugli acquisti degli Istituti (che non ricercano utili); la riduzione dell'IVA per le riviste che scelgono di pubblicare in formato digitale; tariffe differenziali se non gratuità per alcune spese come quelle postali; sistema differenziato di sussidi e sgravi per investimenti e per alcune categorie di spese degli Istituti e delle Riviste; revisione delle modalità di sgravi relative alle erogazioni liberali; eliminazione IRAP per le fondazioni;
    dare riconoscimento, dignità, diritti, certezze, ai professionisti della cultura e della creatività è un fatto di civiltà e crescita poiché le politiche attive per la cultura e la creatività rappresentano una delle condizioni indispensabili per uscire dalla crisi valorizzando un patrimonio trascurato;
    l'inadeguatezza e la scarsità degli stanziamenti per la produzione e l'industria dello spettacolo dal vivo e del cinema italiani potrebbero determinare la chiusura di interi settori di attività che, al contrario, sono da considerare strategici per la ripresa del Paese e necessitano di adeguatezza progettuale, sia in termini di finanziamento, sia in termini di programmazione e di politica di interventi;
    dai dati europei emerge con evidenza che le risorse destinate alle attività e ai beni culturali nel nostro Paese sono palesemente inadeguati. L'Italia, infatti, si colloca ai livelli più bassi delle varie graduatorie europee. Pertanto si pone la necessità di invertire la tendenza e porsi l'obiettivo di incrementare significativamente le risorse pubbliche e di attivare strumenti di programmazione che aiutino a spendere meglio e a evitare la dispersione di risorse e una seria politica di monitoraggio della spesa (pubblica e privata) in grado di qualificarne il volume e di definire qualità ed efficacia degli investimenti per la realizzazione della missione pubblica;
    il ministro Bray nel corso dell'audizione alla VII Commissione della Camera e del Senato, illustrando le sue linee programmatiche, ha indicato le nuove politiche culturali in discontinuità rispetto al passato ed ha opportunamente ribadito che: «la cultura è un bene comune e un diritto. La tutela, lo sviluppo e la diffusione dei beni, delle attività e dei valori della cultura si collocano necessariamente al centro degli obiettivi di crescita economica, civile e sociale del nostro Paese. La cultura costituisce un bene comune di straordinaria ricchezza e complessità, che in tutte le sue diverse manifestazioni deve essere protetto e potenziato»,

impegna il Governo:

   a riportare gradualmente l'investimento per l'istruzione e la formazione almeno al livello medio dei Paesi OCSE (5,7 per cento del prodotto interno lordo), tornando ad investire sulla conoscenza per garantire a tutti pari opportunità di apprendimento e di educazione e per promuovere una nuova crescita economica dell'Italia;
   a definire un piano pluriennale per la sicurezza e messa a norma del patrimonio scolastico, concordato e cofinanziato tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, anche prevedendo l'esclusione di questi ultimi dai vincoli del patto di stabilità: a favorire per quanto di competenza un rapido iter della proposta di legge finalizzata a destinare una quota dell'otto per mille del gettito irpef a diretta gestione statale a interventi di valorizzazione e ammodernamento del patrimonio immobiliare scolastico;
   ad attuare pienamente l'autonomia delle istituzioni scolastiche in campo didattico, finanziario, amministrativo e gestionale, partendo dall'attuazione dell'articolo 50 del decreto-legge n. 5 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012 con l'assegnazione almeno triennale dell'organico funzionale ad ogni istituzione scolastica e a livello di reti di scuole, con la definizione di un budget triennale e l'erogazione annuale tempestiva dei fondi prevedendo un consistente aumento del Fis, con l'avvio di un efficace sistema di valutazione nazionale con il compito di affiancare e sostenere le scuole per affermare la cultura dell'autovalutazione nella definizione degli obiettivi, nella verifica dei risultati, nell'individuazione delle criticità e nelle azioni per migliorare i risultati in modo da dare a tutti gli studenti le stesse opportunità di apprendimento e di successo scolastico;
   a potenziare le sezioni primavera e le scuole dell'infanzia e a favorire, per quanto di competenza un rapido iter della proposta di legge per il potenziamento e lo sviluppo dei servizi educativi e scolastici per l'infanzia da 0 a 6 anni poiché è decisivo investire sull'educazione dei più piccoli per promuovere un nuovo futuro per il Paese;
   a potenziare il tempo pieno e il tempo prolungato nella scuola primaria e nella scuola media o ad attuare pienamente l'obbligo scolastico a 16 anni;
   ad attivare il monitoraggio previsto per la verifica dell'attuazione del regolamento sul riordino della scuola superiore e a correggere le criticità riscontrate in particolare per quanto riguarda i laboratori e la riduzione e l'accorpamento delle classi di concorso;
   a rilanciare l'istruzione tecnica e professionale e l'alta formazione tecnica con la realizzazione di programmi e progetti mirati in particolare per facilitare tirocini e alternanza scuola-lavoro nonché realizzare dei veri e propri laboratori innovativi per favorire la crescita con un opportuno coordinamento tra istituti scolastici, imprese, enti locali e regioni, università ed enti di ricerca;
   a rilanciare una piena e corretta attuazione della legge n. 440 del 1997, i cui finanziamenti nel corso degli anni sono stati ridotti ad un terzo, con il ripristino almeno dell'iniziale stanziamento;
   a definire un piano pluriennale per l'immissione in ruolo del personale precario e il reclutamento di giovani insegnanti, prevedendo la stabilizzazione dei posti attualmente vacanti e coperti con incarichi annuali, compresi quelli destinati agli insegnanti di sostegno e quelli necessari per gli organici funzionali;
   ad intervenire affinché venga sanata l'ingiustizia subita dai lavoratori della scuola della cosiddetta «quota 96», favorendo, per quanto di competenza, un rapido iter della proposta di legge A.C. 249 già assegnata alla XI Commissione permanente della Camera, liberando migliaia di posti di lavoro e così favorendo l'allineamento all'Europa per quanto riguarda l'età anagrafica dei docenti;
   a favorire per quanto di competenza, un rapido iter della proposta di legge che modifica la norma, introdotta con la spending review (articolo 14, comma 13, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 per definire un piano per un adeguato utilizzo del personale dichiarato inidoneo, tenendo conto delle effettive condizioni di salute e delle competenze acquisite nonché, per coloro che lo richiedono e hanno i requisiti applicare l'istituto della dispensa;
   a elaborare un piano straordinario finalizzato a riconoscere il ruolo sociale e dare il giusto valore al personale della scuola, a partire dagli insegnanti, avviando una nuova stagione con il rinnovo del contratto di lavoro sia con la previsione dell'aumento dei salari che con la definizione di incentivi legati alla professionalità e all'impegno profuso nel migliorare la qualità e la sperimentazione di innovazione della didattica;
   a riprendere il percorso di riforma dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica seguendo la linea strategica indicata in premessa di istituire un sistema unitario e integrato di tutta la formazione superiore post-secondaria e ad affrontare e a risolvere i delicati problemi degli istituti musicali pareggiati e del relativo personale;
   ad assumere iniziative per riportare il finanziamento statale delle università e degli enti di ricerca almeno ai livelli di cinque anni fa e, comunque, a varare un programma graduale di investimenti che porti l'Italia a rispettare gli obiettivi previsti dal programma Europa 2020 in termini di spesa per l'istruzione e la ricerca, nonché di numero di laureati;
   a valutare l'opportunità di adottare specifiche iniziative volte al ringiovanimento del corpo docente universitario, mediante l'immissione di giovani ricercatori meritevoli, e alla salvaguardia di discipline scientifiche e umanistiche di grande tradizione, irrinunciabili nel panorama universitario di un Paese avanzato come l'Italia, abolendo comunque il blocco delle assunzioni pur entro un quadro di sostenibilità economica dei bilanci universitari e riequilibrando il personale tra le varie fasce docenti, garantendo possibilità di carriera a tutti coloro che lo meritano;
   a destinare al tema della contribuzione studentesca universitaria e del diritto allo studio universitario un'attenta e strategica riflessione complessiva e, di conseguenza, ad adottare un nuovo quadro organico di iniziative normative e di investimenti finanziari statali, allo scopo di sostenere gli studenti universitari capaci di meritevoli le cui famiglie non sono in grado di sostenere i costi di formazione superiore e di mantenimento agli studi, affinché i loro talenti possono liberamente esplicarsi nei tempi, nei modi e nei luoghi da loro scelti e affinché si contribuisca a riattivare la mobilità sociale per rendere la società italiana più equa e fiduciosa;
   ad assumere iniziative per ridefinire competenze e ruolo dell'ANVUR al fine di trasformare l'indispensabile valutazione della qualità dei risultati delle attività didattiche e di ricerca in una occasione per innescare un processo di miglioramento continuo e di piena responsabilizzazione in tutte le istituzioni, da incentivare anche con opportuni finanziamenti premiali aggiuntivi rispetto a quelli ordinari;
   a perseguire l'obiettivo di portare progressivamente la spesa pubblica per la cultura ai livelli europei considerando la cultura un investimento fondamentale per la crescita e lo sviluppo in una realtà come l'Italia che possiede il patrimonio culturale per quantità e qualità più grande del pianeta;
   ad avviare un piano di investimenti pluriennale per la tutela dei beni culturali non limitandosi ad interventi straordinari e urgenti;
   a individuare nel settore della cultura strumenti di programmazione certi che consentano un utilizzo più efficiente ed efficace delle risorse a partire dalla riorganizzazione dei finanziamenti straordinari;
   ad assumere iniziative per prorogare, a decorrere 1o gennaio 2014, l'erogazione delle misure fiscali del tax credit e del tax shelter a vantaggio dell'industria cinematografica e a reperire risorse aggiuntive a sostegno del settore dello spettacolo, anche attraverso il finanziamento del Fondo unico per lo spettacolo (FUS);
   a rilanciare il settore dei beni culturali, rendendo più stabili anche i contributi delle istituzioni di cultura tutelate dal Ministero che hanno un forte ruolo di riferimento per la ricerca e di formazione all'interno della società.
(1-00084) «Coscia, Bellanova, Speranza, Ghizzoni, De Micheli, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, De Maria, Fregolent, Garavini, Pollastrini, Rosato, Mauri, Ascani, Blazina, Bonafè, Bossa, Carocci, Coccia, D'Ottavio, La Marca, Malpezzi, Manzi, Malisani, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Raciti, Rampi, Rocchi, Zampa».


   La Camera,
   premesso che:
    le indicazioni dell'Unione europea, e in particolare di UE 2020 e precedentemente della strategia di Lisbona, individuano un nuovo tipo di percorso basato sull'economia della conoscenza, caratterizzato da riforme profonde e volto a promuovere una crescita sostenibile, intelligente, l'occupazione, l'innovazione, la competitività, il rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale. È necessario, in un momento di crisi economica e finanziaria come quello che attraversa il nostro Paese in questo momento, ridefinire la spesa pubblica e gli investimenti, in particolar modo quelli relativi alla istruzione, formazione, università e ricerca, in lirica con gli obiettivi UE2020. Tra le priorità della Strategia UE2020 viene individuata «una crescita basata sulla conoscenza». L'obiettivo è quello di creare uno spazio europeo della conoscenza che consente a tutti gli attori (studenti, docenti, ricercatori, istituti di istruzione, centri di ricerca e imprese) di beneficiare della libera circolazione delle persone, delle conoscenze e delle tecnologie, e pertanto di supportare ed incentivare tutta le misure volte alla mobilità;
    la Commissione europea inoltre osserva che alla tradizionale sequenza studi-lavoro-pensione vanno sostituendosi nuovi modelli di vita lavorativa, caratterizzati da interruzioni e riprese intermittenti dell'attività, che offrono maggiori opportunità ai lavoratori. La creazione di nuovi posti di lavoro renderà infatti necessarie nuove competenze, la gestione della transizione da un posto di lavoro ad un altro e tra periodi di formazione ed occupazione. Nel quadro del programma europeo «Istruzione e formazione» (ET2010) quattro sono gli obiettivi strategici: fare in modo che l'apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà, migliorare la qualità e l'efficienza dell'istruzione e della formazione, promuovere l'equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, incoraggiare la creatività e l'innovazione inclusa l'imprenditorialità a tutti i livelli dell'istruzione e della formazione. Tra gli standard individuati nelle conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 i più significativi sono:
     entro il 2020 il 15 per cento di adulti dovrebbe partecipare all'apprendimento permanente;
     entro il 2020 i risultati insufficienti di lettura, matematica, e scienze dovrebbero essere inferiori al 15 per cento;
     entro il 2020 la percentuale di persone tra i 30 anni e i 34 anni in possesso di un diploma di istruzione superiore dovrebbe essere almeno del 40 per cento;
    la qualità degli apprendimenti e la formazione degli studenti, nell'intera filiera dell'istruzione (scuola e università), è l'elemento centrale di qualsiasi azione e di qualsiasi intervento sia normativo sia amministrativo nel nostro sistema scolastico;
    le indagini nazionali (INVALSI) ed internazionali (OCSE-PISA) evidenziano che i quindicenni italiani hanno migliorato le loro competenze, anche se permangono alcune criticità. In particolare, nell'indagine PISA 2009 si evidenzia una scarsa competenza negli studenti quindicenni italiani in lettura, matematica e scienze. Bassa è anche la percentuale di studenti che completano il secondo ciclo di istruzione, di laureati, di persone con titoli di istruzione superiore;
    nel rapporto Education at a Glance del 2010, relativo all'area OCSE, si evidenzia che dato che i governi, a seguito della crisi economica globale, stanno ridefinendo i loro impegni finanziari, l'istruzione è al centro di un rinnovato interesse. Da un lato rappresenta una grande voce della spesa pubblica in molti paesi. Dall'altro investire in istruzione è essenziale se i Paesi vogliono sviluppare il loro potenziale di crescita di lungo periodo e per rispondere ai cambiamenti tecnologici e demografici che stanno ridisegnando i mercati del lavoro. Il rapporto evidenzia che tutti i Paesi OCSE investono fortemente in formazione e sottolinea, inoltre, che quest'ultima svolge un ruolo fondamentale anche nel contribuire a mantenere più a lungo i lavoratori in attività – un vantaggio che sta divenendo una necessità, per l'invecchiamento della popolazione nei paesi OCSE. Evidenti sono benefìci sociali ed economici dell'istruzione, ma al tempo stesso non sembra essere sufficiente semplicemente spendere di più. È preoccupante che all'aumento significativo della spesa per studente negli ultimi dieci anni non abbia corrisposto il miglioramento della qualità nei risultati dell'apprendimento. Anche il segretario generale dell'OCSE Angel Gurria nel suo editoriale in Education at a GLANCE ha voluto evidenziare che i risultati «sottolineano la portata dello sforzo che è necessario affinché l'istruzione si rinnovi, in modo da accrescere il valore dell'investimento»;
    sempre nel rapporto Education at a GLANCE del 2010 si sottolinea che l'apprendimento non finisce al terzo livello e molti adulti continuano la formazione e lo studio nel corso della loro vita lavorativa: nei paesi OCSE oltre il 40 per cento degli adulti partecipa ad attività di istruzione formale e non formale in un anno. Nella maggior parte dei paesi OCSE, negli ultimi dieci anni quasi tutti hanno avuto accesso ad almeno 12 anni di istruzione formale. La mobilità degli studenti – vale a dire gli studenti che si recano in un altro paese per seguire un corso di studi di livello terziario – continua ad espandersi. Nel 2008, oltre 3,3 milioni di studenti universitari erano iscritti al di fuori del loro paese di cittadinanza, con un aumento del 10,7 per cento rispetto all'anno precedente. La transizione dalla scuola al mercato del lavoro non è sempre invece agevole per i giovani, e in molti paesi alcuni ragazzi più grandi (15-19 anni) non sono in formazione e nemmeno tra le forze lavoro o in cerca di lavoro;
    attualmente l'autonomia scolastica è rimasta una enunciazione priva di «sostanza» se non quella didattica. Per passare da un sistema gerarchico ad uno che favorisca e sviluppi i rapporti di rete tra le scuole nell'ottica anche di realizzare un vero organico funzionale è necessario fare altri passi decisivi versa la piena autonomia delle istituzioni scolastiche. Anche sotto l'aspetto finanziario ormai le scuole gestiscono solo i fondi per il funzionamento ordinario ed i contributi dei genitori avendo quindi tutte le risorse umane e finanziarie ingessate da una idea ancora centralistica di gestione da parte dello Stato;
    le necessità che vengano attuate politiche di programmazione pluriennale dei finanziamenti a tutto il sistema nazionale di istruzione ed alle università diventa sempre più urgente, permettendo in questo modo alle istituzioni scolastiche e alle Università di disporre di budget finanziari che garantiscano l'autonomia nell'utilizzo delle risorse pubbliche stanziate, per il raggiungimento degli obiettivi, dei livelli essenziali di prestazione, degli standard definiti a livello nazionale;
    occorre fissare chiaramente obiettivi, standard e misure che definiscano il livello nazionale di istruzione e formazione, nell'ottica dell’accountability e, per quanto concerne la definizione di budget e della spesa, diventa sempre più necessario definire, inoltre costi standard;
    nell'ambito dei meccanismi di valutazione riguardanti l'allocazione dei fondi occorre una definizione chiara degli stessi, che si ispiri alla trasparenza ed alla meritocrazia, implementando e rendendo operativo il sistema di valutazione delle istituzioni scolastiche e del personale, sulla base di progetti Vsq (Valutazione per lo sviluppo delle scuole) e «Valorizza» per la valorizzazione e la valutazione del personale docente, avviati nell'anno scolastica 2010-2011;
    è doveroso definire politiche per migliorare la formazione degli studenti, anche al fine di impedire il fenomeno dell'abbandono precoce e della dispersione scolastica, fornendo loro le adeguate competenze richieste dal mercato del lavoro;
    è necessario stabilire nuove modalità di reclutamento dei personale del comparto scuola anche allo scopo di impedire eventuali contenziosi promossi contro la Pubblica Amministrazione;
    in questo quadro risulta fondamentale la qualità della formazione e del servizio offerto alle famiglie. Investire nella formazione, introducendo al contempo dei parametri di qualità e di valutazione degli istituti scolastici (sistema nazionale di valutazione) e una riforma del sistema di reclutamento, diventano elementi sempre più centrali. Qualità e servizio servono per combattere la dispersione scolastica e favorire l'inclusione sociale e la cittadinanza attiva;
    è necessario elaborare un nuovo piano triennale di assunzione in ruolo del personale precario, per il 2014/2017, anche in considerazione del turn-over complessivo di 44.000 unità, secondo i dati forniti dal MIUR;
    altri obiettivi sono la mobilità, l'occupabilità e l'apprendimento delle lingue, la qualità della formazione e del servizio offerto alle famiglie: l'obiettivo è quello di prevedere un piano di sviluppo degli asili nido, l'avvio e lo sviluppo dell'agenda digitale nelle scuole e l'autonomia da parte delle scuole nella scelta degli organici e nella gestione dell'offerta formativa;
    per quanto riguarda l'indicazione UE2020 relativa all'occupabilità è necessario un rafforzamento dell'asse tecnico-professionale, favorendo il rapporto scuola-impresa e sostenendo i percorsi di formazione professionale, sul modello tedesco. Va inoltre potenziata ed incentivata tutta la normativa inerente al rapporto scuola-impresa, università-impresa, intervenendo anche con una modifica della Riforma Fornero per ciò che concerne tirocini e apprendistato. In raccordo con il mondo produttivo: vanno incentivati gli sportelli di placement nelle scuole e nelle università, gli ITS (Istituti Tecnici Superiori), gli IFTS e i poli tecnicoprofessionali;
    occorre, per quanto concerne in particolare il dimensionamento, fare chiarezza sulle competenze, in base a quanto disposto ex articolo 117 della Costituzione, tra Stato e ragioni e rendere effettiva l'autonomia delle istituzioni scolastiche attraverso il raccordo con le realtà territoriali;
    nell'ottica di garantire la pluralità del sistema di istruzione è opportuno stabilizzare, su base pluriennale, il finanziamento alle scuole paritarie, anche per garantire la libertà di scelta delle famiglie nell'educazione scolastica dei propri figli;
    occorre individuare modalità, anche nuove, per esercitare il diritto allo studio con la creazione di nuove borse di studio e di residenze per gli studenti universitari e prevedere forme di rendicontazione pubbliche di verifica degli esiti e dei risultati raggiunti dalle scuole rispetto agli obiettivi, agli standard ed ai livelli essenziali di prestazione definiti a livello nazionale;
    i dati che risultano da alcuni studi relativi alla situazione attuale relativa all'edilizia scolastica rivelano che quest'ultima deve certamente essere considerata una priorità, legata non soltanto ad una situazione di grave emergenza e dunque di sicurezza per il personale scolastico e gli alunni, bensì anche per far sì che l'ammodernamento della scuola possa tenere il passo con le altre realtà europee. I dati sono davvero preoccupanti: da un rapporto stilato da Cittadinanzattiva sulla sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici è emerso infatti che la scuola italiana è una scuola di aule fatiscenti, di manutenzione sempre più scarsa e certificazioni di sicurezza assenti: una scuola su cinque (20,7 per cento) non è sicura, mentre una su tre (36 per cento), quanto a sicurezza, rasenta appena la sufficienza. Uno studio condotto dal Sole 24 ore ha invece rivelato che per mettere in sicurezza le scuole d'Italia è stato stanziato, negli ultimi due anni, più di un miliardo (1,188 per l'esattezza) e di fatto sano stati spesi soltanto 73 milioni. Su tale argomento il gruppo PDL ha richiesto l'avvio di un'indagine conoscitiva in Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera, in cui si evidenzia la necessità e l'urgenza di una pianificazione nazionale in materia, tenendo conto di un patrimonio edilizio antiquato, che per il 60 per cento è stato costruito in un periodo antecedente dell'entrata in vigore della normativa antisismica e che per circa il 33 per cento si trova in aree a rischio sismico e per il 10,67 per cento in aree a rischio sismico e per il 10,67 per cento in aree ad alto rischio idrogeologico. Nella richiesta di indagine conoscitiva si è sottolineata la necessità del completamento dell'anagrafe dell'edilizia scolastica, istituita dalla legge n. 23 dell'11 gennaio 1996, per evidenziare le emergenze e quantificare le risorse o razionalizzare l'erogazione. È necessaria inoltre una mappatura reale degli edifici scolastici, con un monitoraggio riservato agli asili nido ed alle scuole d'infanzia, con la realizzazione di strutture adeguate alle nuove esigenze didattiche;
    per quanto concerne il settore universitario è necessario sostenere un percorso di internazionalizzazione delle università, che devono diventare parte integrante del sistema di istruzione superiore europeo, rendendole così competitive;
    è indispensabile prevedere una serie di misure tra cui: una revisione del Fondo premiale (istituito con la legge 240/2010) permettendo l'inserimento nel tessuto produttivo dei laureati; la modifica della percentuale relativa al suddetta Fondo Premiale, elevandola rispetto ai parametri attuali: l'assegnazione delle risorse per il FF0 (Fondo Finanziario Ordinario) su base triennale; la revisione, nell'ottica di un ricambio delle professionalità nel mondo accademico, del meccanismo del turn over;
    è necessario altresì agire secondo un orizzonte temporale pluriennale, in cui il budget su cui sviluppare il sistema sia coerente con le politiche e le strategie che il Paese ha come obiettivo;
    in tema di reclutamento universitario bisogna continuare quanto stabilito dalla legge n. 240/2010, mentre sarebbe opportuno valutare forme di raccordo tra realtà universitarie e realtà territoriali;
    è altresì opportuno prevedere fauna di agevolazioni per gli studenti per l'accesso ai vari servizi, considerare l'inserimento nel percorso di laurea (triennale e magistrale) per favorire, sulla scorta della Comunicazione Europea Impresa ed Università del 2009, l'obbligo di un tirocinio formativo che colleghi l'ambito universitario con il mercato del lavoro;
    sarebbe infine necessario sostenere il diritto allo studio attraverso un raccordo concreto tra realtà universitario e territorio,

impegna il Governo:

   a completare il percorso dell'autonomia scolastica in modo da rendere le scuole in grado di essere riconosciute anche in base ai parametri europei come vere istituzioni autonome, favorendo, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, il raccordo con il territorio, gli enti locali, le associazioni di categoria, le università, i musei, le imprese, e a formare reti di scuole;
   a definire politiche per garantire la qualità della formazione degli studenti, riducendo, secondo i parametri della Strategia UE2020, l'abbandono scolastico e favorendo la formazione delle competenze chiave per l'apprendimento permanente, indicate nella raccomandazione del Parlamento e del Consiglio europeo del 18 dicembre 2006, finalizzate all'inclusione sociale, all'occupabilità e alla coesione sociale;
   a sostenere politiche di raccordo e di cooperazione costante tra formazione e mercato del lavoro, favorendo progetti di alternanza scuola-lavoro, tirocini, apprendistato, didattica laboratoriale e diffusione nell'istruzione terziaria degli ITS;
   a prevedere un piano di messa in sicurezza, di efficientizzazione energetica di abbattimento delle barriere architettoniche, di dotazione delle infrastrutture digitali del complesso degli edifici scolastici italiani, individuando le necessarie Sorse economico-finanziarie;
   ad adottare politiche, che attraverso la programmazione triennale dei finanziamenti al sistema nazionale di istruzione, alle università e agli ITS, permettono di disporre di un budget finanziario e dell'autonomia dell'utilizzo delle risorse pubbliche stanziate e finalizzate al raggiungimento degli obiettivi, dei livelli essenziali di prestazione, degli standard definiti a livello nazionale in relazione alla definizione della spesa anche secondo costi standard;
   a rendere stabile, su base triennale, le forme di sostegno alle scuote paritarie, per garantire la pluralità del sistema di istruzione come previsto dalla legge 10 marzo 2000, n. 62;
   ad individuare modalità, anche innovative, per esercitare il diritto allo studio per tutto il sistema nazionale d'istruzione attraverso la creazione di borse di studio, la collaborazione tra scuola, università, enti locali, associazioni di categoria, associazioni e la creazione di residenze per gli studenti universitari;
   a sviluppare, nell'ottica di valorizzare l'autonomia, il sistema nazionale di valutazione che permetta alle scuole di rendere trasparenti i risultati, il miglioramento e l’accountability, dimensione fondamentale di ogni autonomia in uno stato democratico, definendo meccanismi di valutazione e autovalutazione basati su criteri e parametri chiari e trasparenti, quantitativi e qualitativi, e anche meritocratici, a partire dalle esperienze del sistema di valutazione delle istituzioni scolastiche e dei docenti dei progetti «Vsq» e «Valorizza» avviati nell'anno scolastico 1010-2011, ciò al fine di pervenire alla costruzione di un sistema italiano in linea con quello dei Paesi dell'Unione europea, moderno ed efficiente di valutazione nell'ottica di un continuo miglioramento della qualità del sistema di istruzione e formazione;
   a dare continuità e ad implementare i progetti «VSQ» e «Valorizza» per attuare concretamente il sistema di valutazione definito dalla legge nel rispetto dell'autonomia delle tre componenti che costituiscono il sistema nazionale;
   a sostenere il percorso di internazionalizzazione e di mobilità di studenti e del personale, nell'ottica dell'implementazione della strategia UEE2020 e finalizzato alla creazione di uno spazio europeo della conoscenza e della mobilità;
   a definire percorsi di valorizzazione del ruolo e della professionalità dei docenti e di aggiornamento professionale, riconoscendo l'importante compito sociale svolto;
   a sviluppare il piano di innovazione digitale e di formazione del personale non solo docente delle scuole senza il quale qualunque nuova apparecchiatura rischia di rimanere inutilizzata indirizzo che va anche nella direzione di ridurre la dispersione scolastica creando la didattica più laboratoriale che rappresenta una dimensione essenziale per intercettare le intelligenze multiple di tanti ragazzi che invece restano ai margini, posto che questo processo di innovazione va incontro alle esigenze di rinnovamento dell'istruzione tecnica e professionale che deve caratterizzarsi proprio dal così detto «Learning by doing» che oggi è possibile estendere a tutte le discipline proprio grazie alle Ict;
   a definire nuove modalità di reclutamento del personale del comparto scuola che evitino la formazione di nuovo precariato e l'apertura di nuove graduatorie, che senza automatismi valorizzino le competenze e la professionalità acquisite e che riducano anche il rischio di eventuali contenziosi nei confronti dalla pubblica Amministrazione;
   a definire un nuovo piano triennale per l'assunzione dei docenti, che da diversi anni prestano servizio a tempo determinato e che prolunghi il Piano previsto dal decreto-legge 70/2011, articolo 9, comma 17;
   a prevedere, alla luce di una più netta e chiara individuazione delle competenze previste dall'articolo 117 della Costituzione e del percorso di riforma costituzionale intrapreso, le opportune forme di collaborazione tra amministrazione centrale e periferica, tra Stato e Regioni, in particolar modo per le questioni relative al dimensionamento scolastico ed alla gestione del personale;
   a sostenere un piano per lo sviluppo di asili nido, delle scuole dell'infanzia delle sezioni primavera e di servizi alle famiglie, con particolare attenzione per i disabili e per i bisogni educativi speciali;
   a prevedere forme di rendicontazione pubblica che verifichino gli esiti e i risultati raggiunti dalle scuole rispetto agli obiettivi, agli standard e ai livelli essenziali di prestazione definiti a livello nazionale;
   a rendere operativo, nel percorso di laurea (triennale e magistrale), il Dialogo dell'Unione Europea «Impresa ed Università», che prevede tirocini formativi e raccordi tra l'università e il mondo del lavoro e l'attuazione di diverse fonte di incontro tra università e tessuto produttivo, in modo da favorire anche la presenza di sportelli di placement in ogni ateneo;
   a considerare all'interno del Fondo Premiale (istituito dalla legge n. 240 del 30 dicembre 2010) anche l'inserimento nel tessuto produttivo dei laureati e a rivedere la percentuale di Fondo Premiale, elevandola rispetto agli attuali parametri;
   ad assegnare le risorse per il FFO (Fondo Finanziario Ordinario) su base triennale in modo da garantire ad ogni ateneo una pianificazione più efficiente e nell'ottica della definizione e dello sviluppo dell'identità dell'ateneo;
   a valutare una revisione del turn over per consentire l'ingresso nel mondo accademico di nuove leve e di valorizzare le professionalità, continuando a seguire le procedure indicate dalla legge n. 240 del 30 dicembre 2010 per il reclutamento universitario, senza ricorrere a procedure straordinarie e superate;
   a valutare forme di agevolazioni degli studenti che, affiancandosi al diritto allo studio, permettano l'accesso a servizi essenziali a condizioni agevolate;
   a sostenere, rendendo pienamente operativa, la Fondazione per il merito.
(1-00085) «Centemero, Baldelli, Gelmini, Abrignani, Galan, Lainati, Longo, Palmieri, Petrenga».


   La Camera,
   premesso che:
    la strategia per la crescita dell'Europa, detto «Strategia 2020», fissa cinque obiettivi quantitativi validi per l'intera Unione europea, da raggiungere entro l'anno 2020;
    questi obiettivi vengono poi tradotti in obiettivi nazionali che riflettano la situazione e le circostanze specifiche di ogni Paese;
    nell'audizione dell'allora Presidente Istat, oggi Ministro, Enrico Giovannini, tenuta il 23 aprile 2013 di fronte alle Commissioni speciali della Camera e del Senato per l'esame di disegni di legge di conversione di decreti-legge e di altri provvedimenti urgenti adottati dal Governo, sono stati forniti dati che evidenziano quanto lontana sia l'Italia dal raggiungimento degli obiettivi fissati;
    in particolare le difficoltà si evidenziano tra l'altro in aree molto importanti quali il numero di laureati, gli abbandoni scolastici, gli investimenti in ricerca e sviluppo;
    la percentuale di prodotto interno lordo speso in Italia nel 2011 (fonte Istat) per la ricerca e lo sviluppo, ad esempio, è pari all'1,25 per cento, mentre l'obiettivo dell'Europa è il raggiungimento del 3 per cento. L'Italia punta ad arrivare ad una spesa dell'1,53 per cento, poco più della metà, quindi, di quanto previsto dall'Europa;
    per quel che riguarda il numero di laureati, l'Italia raggiunge sempre nel 2011 la quota del 21,7 per cento e si pone come obiettivo il 26-27 per cento, mentre l'Europa punta al 40 per cento nel 2020;
    infine, per quel che riguarda la riduzione degli abbandoni scolastici (per 100 persone di 18-24 anni), nel nostro Paese si raggiunge la quota del 17,6 per cento e si punta ad arrivare al 2020 con il 16 per cento di abbandoni. L'Unione europea vuole arrivare al 10 per cento;
    dietro questi dati vi sono certo realtà diverse per territori e tipologia di soggetti, ma sta di fatto che il mondo legato in vario modo alla conoscenza soffre particolarmente nel nostro Paese;
    preoccupa il fatto che si continui a parlare di Unione europea solo per i parametri economico-finanziari, mentre la «Strategia 2020» per quel che riguarda, in particolare, i temi della conoscenza, passa quasi totalmente sotto silenzio nella discussione pubblica. Ciò impedisce che si comprenda il valore non solo pratico ma anche simbolico di questa strategia;
    questo assordante silenzio fa sì anche che alla fin fine il nostro Paese si accontenti di obiettivi mediocri, che lo collocano nelle ultime posizioni di tutte le classifiche europee, mentre sarebbe necessario lavorare con convinzione per superare gli obiettivi mediocri e puntare a raggiungere quelli fissati dall'Unione europea nella sua strategia;
    invece l'investimento italiano in conoscenza e gli obiettivi che ci si è posti per quel che riguarda il fondamentale settore della ricerca e sviluppo, sono deboli e marginali quando, invece dovrebbero essere prioritari per la strategia di sviluppo italiana;
    la stessa «Strategia 2020» della Unione europea considera l'università come motore dello sviluppo economico e sociale di ogni Paese;
    in Italia il numero di laureati cresce rispetto al passato, ma il distacco con l'Unione europea rimane invariato, mentre si riduce il numero delle iscrizioni alle università, anche per le difficili situazioni economiche nelle quali si trovano molte famiglie;
    purtroppo, il Fondo statale per il diritto allo studio, che di solito era pari a 150 milioni di euro l'anno, è stato ridotto rispettivamente a 15 e 13 milioni per il 2013 e 2014, colpendo duramente quei giovani meritevoli, ma in condizioni economiche disagiate, che si sono visti chiudere la possibilità di studiare;
    la scarsità di investimenti nella conoscenza non è indifferente alle difficoltà sempre maggiori che il nostro Paese incontra. Non è affatto vero, come venne improvvidamente affermato in passato, che la «cultura non si mangia». Senza cultura, senza conoscenza, senza ricerca un Paese muore anche dal punto di vista economico;
    lo testimonia bene la cosiddetta «fuga di cervelli». È, infatti, vero che molti giovani italiani laureati, soprattutto nelle scienze sulle quali si basa lo sviluppo moderno (nanotecnologie, informatica, e altro), lasciano l'Italia per andare a lavorare in altre nazioni, laddove ottengono migliori gratificazioni economiche e hanno maggiori speranze di fare carriera di quanto non sia possibile in Italia. Ma il vero problema non sta nel fatto che i giovani italiani vadano all'estero, in particolare in Europa. Si tratterebbe di un fenomeno naturale e positivo se vi fosse uno scambio con altri Paesi europei. Al contrario, invece, ben pochi laureati non italiani decidono di venire a lavorare da noi, e altrettanto pochi italiani decidono di rientrare in Italia dopo un periodo di lavoro all'estero;
    questo stato di cose non può che deprimere anche l'economia di un Paese che si trova sempre di più a dover fare a meno delle migliori intelligenze, non riuscendo, quindi a seguire il processo di innovazione tecnologica e produttiva sempre più forte in Europa;
    in più, in Italia si registra un altissimo numero di abbandoni scolastici da parte dei giovani immigrati che vivono in Italia stabilmente. Si tratta di un'occasione sprecata perché tutti i dati confermano l'aumento di imprese individuali di stranieri, che mostrano, in particolare i giovani, una forte volontà di affermazione e riscatto, che se correttamente sostenuta dal mondo della scuola non potrebbe che portare vantaggi all'intero Paese, che avrebbe forze fresche e preparate per migliorare la competitività italiana, oltre, ovviamente, a ridurre tutte quelle difficoltà di integrazione che incontrano gli «stranieri» che vivono, studiano e lavorano in Italia, soprattutto i più giovani;
    conoscenza è anche protezione e valorizzazione dei beni culturali ed architettonici italiani. Si tratta come è noto, di una ricchezza unica al mondo, che però appare spesso trascurata e negletta, come se spendere in difesa del patrimonio culturale italiano fosse sprecare soldi in un momento tanto delicato per la nostra economia, le nostre imprese e le nostre famiglie;
    investire in questo campo, invece, è fondamentale per rilanciare anche l'economia, che non può non basarsi sulla protezione e sulla valorizzazione di questo patrimonio culturale. Infatti, una migliore valorizzazione dei luoghi d'interesse culturale del nostro Paese porterebbe certamente benefici nel settore dell'occupazione e in quello delle risorse da poter utilizzare per poter effettuare lavori di conservazione e restauro essenziali al mantenimento in buon essere dell'immensità dei beni culturali che il Paese possiede e creando occupazione con l'assunzione di personale qualificato nella gestione e valorizzazione dei beni culturali;
    nonostante, ed anzi proprio a causa, dell'attuale stato di crisi appare, quindi, necessario investire nei sistemi dell'istruzione, della formazione, della ricerca, ed in quello della valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, in modo da favorire la crescita del nostro Paese, andando oltre la pur importante valutazione del prodotto interno lordo perseguendo un'idea di futuro nuova e coraggiosa, che attualmente sembra mancare oggi al nostro Paese,

impegna il Governo:

   a riconsiderare gli obiettivi italiani di crescita relativi alla Strategia Europea 2020, aggiornandoli in maniera più ambiziosa in modo da raggiungere entro la data fissata il livello degli altri grandi Paesi europei per quel che riguarda i settori della conoscenza, non essendo accettabile l'idea che l'Italia si rassegni ad obiettivi minori e poco ambiziosi;
   ad assume iniziative per reintegrare, compatibilmente con le esigenze di bilancio, la dotazione del fondo statale per il diritto allo studio, in modo che sia possibile concretamente aiutare i giovani meritevoli e disagiati economicamente;
   ad attuare, come annunciato dal Presidente del Consiglio nel suo discorso d'insediamento, una politica industriale che incentivi anche le tante piccole e medie imprese italiane, che restano la spina dorsale del sistema produttivo italiano, ad investire in ricerca e sviluppo e quindi in competitività;
   ad attuare, come più volte annunciato, tutte le iniziative volte a frenare la «fuga di cervelli» italiani verso l'estero, in modo da evitare un sempre più accentuato impoverimento anche intellettuale del nostro Paese, in settori di grande importanza strategica;
   ad intraprendere tutte quelle iniziative necessarie per reperire risorse, anche chiedendo l'intervento di sponsor privati, necessarie alla protezione ed alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, artistico e paesaggistico, in modo, non solo da salvaguardare per le future generazioni quelle bellezze che sono state affidate dai nostri antenati, ma anche per farne concreto volano di sviluppo economico per il nostro Paese in modo da ottenere una crescita, anche economica, duratura.
(1-00086) «Formisano, Tabacci, Pisicchio, Capelli, Lo Monte».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, con la raccomandazione 1763 dell'ottobre 2010, ha ribadito esplicitamente il pieno riconoscimento del diritto di sollevare obiezione di coscienza in campo sanitario, quale espressione della più ampia libertà di opinione, coscienza, religione;
    il documento si pone in linea con le norme del diritto internazionale quali, ad esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione europea sui diritti dell'uomo, nelle quali viene garantita ad ogni individuo la pienezza del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione;
    in particolare nella raccomandazione si legge che «nessuna persona, nessun ospedale o altro istituto sarà costretto, reso responsabile o sfavorito in qualsiasi modo a causa di un rifiuto ad eseguire, facilitare, assistere o essere sottoposto ad un aborto, all'esecuzione di un parto prematuro, o all'eutanasia o a qualsiasi atto che potrebbe provocare la morte di un feto o di un embrione umano, per qualsiasi ragione»;
    a tal proposito l'Assemblea ha sollecitato gli Stati membri che ne sono ancora privi, a definire e ad adottare specifici regolamenti e normative chiare per disciplinare e garantire l'obiezione di coscienza in relazione agli operatori dei servizi medici e sanitari;
    nello stesso documento l'Assemblea ha segnalato la necessità che sia garantita alle donne la possibilità di accedere ai servizi con tempestività, ed ha espresso il timore che l'obiezione di coscienza possa danneggiare le norme meno abbienti;
    inoltre, l'Assemblea ha indicato la necessità di ben regolamentare l'obiezione di coscienza, tenendo conto dell'obbligo di garantire sia l'accesso alle cure mediche e la tutela della salute, sia la libertà di coscienza degli operatori sanitari;
    per quanto gli Stati membri della Unione europea devono operare per garantire il diritto all'obiezione di coscienza, ma anche la possibilità delle pazienti di ricevere i trattamenti appropriati, in particolare nei casi di emergenza, e di venire informate in tempo di eventuali obiezioni per poter reperire rapidamente un altro operatore sanitario non obiettore;
    nella medesima risoluzione 1763, si conferma il pieno diritto all'obiezione di coscienza dell'operatore sanitario ma all'interno di un «bilanciamento» con il diritto del paziente all'assistenza sanitaria. La risoluzione, esplicitamente, si preoccupa delle possibili discriminazioni che le donne possono subire, e ribadisce con forza la necessità di regole ben precise che garantiscano ai pazienti il trattamento sanitario adeguato;
    in Italia, il diritto all'obiezione di coscienza da parte degli operatori sanitari è disciplinato e garantito in particolar modo dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, che prevede una specifica forma di obiezione di coscienza legata all'interruzione volontaria della gravidanza. Anche la legge n. 40 del 2004, in relazione alla procreazione medicalmente assistita, ha previsto la possibilità per il personale sanitario di astenersi dal compiere le procedure richieste «quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione»;
    la relazione del Ministero della salute sull'attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento il 9 ottobre 2012, ha confermato il dato risaputo di una notevole diffusione del fenomeno dell'obiezione di coscienza, «ma nel 2010 si evince una stabilizzazione generale del fenomeno dell'obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni. Infatti, a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento nel 2009 e al 69,3 per cento nel 2010; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 50,8 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,7 per cento nel 2010. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud; 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 85,7 per cento in Molise, 80,6 per cento in Sicilia, come pure a Bolzano con l'81 per cento. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osserva al sud (con un massimo di più di 75 per cento in Molise e in Campania e 78,1 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e in Valle d'Aosta (26,3 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi, con un massimo di 86,9 per cento in Sicilia e 79,4 per cento in Calabria. In materia di obiezione di coscienza è da segnalare che il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) ha recentemente formulato un parere, nel quale ha riconosciuto che l'obiezione di coscienza è un diritto fondamentale della persona, costituzionalmente tutelato, e ha altresì affermato che la tutela dell'obiezione di coscienza «non deve limitare a rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge». Al riguardo, il CNB, affinché l'obiezione di coscienza venga esercitata in modo sostenibile, raccomanda che la legge preveda, accanto alla tutela dell'obiezione di coscienza, «misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi», che la disciplina si a tale «da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e quindi non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti», nonché «la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento (...) che può prevedere forme di mobilità del personale di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori. A queste considerazioni si aggiunge inoltre che può essere attentamente valutata l'opportunità di un coinvolgimento del personale obiettore di coscienza in attività di prevenzione dell'aborto, in maniera coerente con le convinzioni di coscienza manifestate»;
    alla luce dei dati qui sopra riportati, appare necessario comunque sottolineare che il rispetto del diritto di sollevare obiezione di coscienza non può prescindere dalla considerazione di altri diritti fondamentali;
    si è, infatti, di fronte a due soggetti entrambi titolari diritti soggettivi riconosciuti dalla legge, e a due principi che idealmente dovrebbero poter convivere, ma che spesso entrano in contrasto perché l'elevato numero di obiezioni di coscienza può rendere difficoltosa l'applicazione corretta della legge n. 194 del 1978;
    va ricordato, inoltre, che il diritto all'obiezione di coscienza, sancito dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, è un diritto strettamente personale e non della struttura, la quale deve garantire, a norma di legge, l'espletamento delle procedure e degli interventi necessari per l'interruzione di gravidanza;
    come osserva la citata Relazione del Ministro della salute al Parlamento sullo stato della legge n. 194, «Il ricorso al Consultorio familiare per la documentazione/certificazione rimane ancora basso (40,4 per cento), specialmente al Sud e Isole, anche se in aumento, in gran parte per il maggior ricorso ad esso da parte delle donne straniere (53,3 per cento) rispetto a 33,9 per cento dalle italiane). Le cittadine straniere ricorrono più facilmente al Consultorio familiare in quanto servizio a bassa soglia di accesso, anche grazie alla presenza in alcune sedi della mediatrice culturale. Il numero dei consultori familiari pubblici notificato recentemente dalle Regioni, è stato 2.204 e 149 quelli privati; pertanto risultano 0,7 consultori per 20.000 abitanti, come nel periodo 2006-2009, valore inferiore a quanto previsto dalle legge n. 34 del 1996 (1 ogni 20.000 abitanti)»,

impegna il Governo:

   ad adottare le misure opportune per dare piena attuazione alle indicazioni dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e al tempo stesso assicurare il diritto alla salute di tutti i cittadini e il diritto di ricevere le cure richieste;
   ad attivarsi, per quanto di sua competenza, al fine di assicurare, pur nel rispetto del diritto all'obiezione di coscienza, il pieno ed efficiente espletamento da parte degli enti ospedalieri delle procedure necessarie per le eventuali richieste di interruzione volontaria di gravidanza;
   a promuovere un potenziamento della presenza sul territorio del nostro Paese dei consultori familiari, quali strutture in grado di aiutare la donna nella difficile scelta che ha di fronte, ed anche strumento indispensabile per le politiche di prevenzione, oltre che come strumento essenziale di attivazione del percorso per l'interruzione volontaria della gravidanza;
   ad assicurare la tempestività dell'intervento regolatorio, come richiesto anche dall'Unione europea, in modo da consentire una buona programmazione delle attività sanitarie, che implichino la legittimità dall'obiezione di coscienza, ma anche l'accesso alle cure mediche e la tutela della salute, in modo da evitare una potenziale conflittualità dannosa per lo stesso diritto alla salute.
(1-00087) «Formisano, Tabacci, Pisicchio, Capelli, Lo Monte».


   La Camera,
   premesso che:
    tra gli squilibri più evidenti che caratterizzano la società quello alimentare è senz'altro il più grave ed assume i connotati di un vero e proprio paradosso: a fronte di oltre un miliardo di persone che soffrono per la mancanza di cibo, un numero equivalente si ammala per cause connesse ad eccessiva alimentazione, quali sovrappeso, diabete e malattie cardiovascolari;
    dati recenti evidenziano che solo il 10 per cento delle morti per fame è provocato da guerre e carestie, il resto è causato da malnutrizione cronica dovuta ad una complessità di elementi che vanno dai meccanismi del sistema economico globale fino agli effetti dei cambiamenti climatici;
    tra i dati registrati quello riferito all'entità dello spreco alimentare mondiale è indubbiamente il più allarmante: nonostante la crisi, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo viene sprecato ogni anno; lo spreco annuale dei Paesi ricchi, pari a circa 222 milioni di tonnellate, è pari all'intera produzione alimentare netta dell'area sub sahariana e impone una riflessione non solo in considerazione dell'impatto economico ed ambientale ma anche e soprattutto per la portata etica e sociale dei suoi effetti;
    una della questioni più rilevanti è lo squilibrio nella produzione e nella destinazione di cereali: nel mondo sono presenti circa tre miliardi di animali da allevamento e un terzo della intera produzione alimentare globale è riservata alla nutrizione zootecnica;
    una quota crescente di terreni agricoli è destinata alla produzione di biocarburanti, negli Stati Uniti addirittura il 45 per cento del consumo annuale di mais è destinato alla produzione di etanolo per carburanti, in competizione con le colture da cibo non solo per la destinazione del prodotto ma anche per l'uso del terreno e dell'acqua usata per l'irrigazione;
    le cause di perdite e sprechi alimentari sono molteplici e si differenziano a seconda delle varie fasi della filiera agroalimentare; da un lato il problema riguarda la filiera produttiva che non calcola picchi di produzione, conservazione e ottimizzazione, dall'altro investe le abitudini alimentari dei Paesi industrializzati determinando un trend preciso di spreco, di poco rispetto per il cibo, per l'agricoltura e per i Paesi in via di sviluppo che soffrono per la fame, la denutrizione e la cattiva alimentazione;
    mentre nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima fase della filiera, per limiti logistici e strutturali, nei Paesi industrializzati gli sprechi si concentrano sul consumo domestico e la ristorazione, principalmente per cause comportamentali;
    le perdite alimentari che si verificano nella fase di coltivazione e raccolto, nei Paesi in via di sviluppo sono soprattutto il risultato di un'agricoltura poco efficiente, competenze tecniche limitate, pratiche arretrate e dotazioni infrastrutturali inadeguate, mentre nei Paesi a più alto reddito le motivazioni delle perdite in questa fase sono legate più al mancato rispetto di standard qualitativi ed estetici;
    le perdite che si verificano nella fase di trasformazione agricola ed industriale sono dovute soprattutto ad inefficienze dei processi produttivi che provocano danneggiamenti agli alimenti che per questo vengono scartati;
    le perdite nella fase di distribuzione e vendita sono soprattutto dovute ad una errata previsione della domanda, ai limiti della tecnologia impiegata per la conservazione dei prodotti, agli standard di vendita che determinano l'esclusione di prodotti non conformi, alle strategie di marketing come il 3x2 – che determinano una maggiore vendita dei prodotti ma che determinano lo spostamento dello spreco alimentare al consumo finale;
    gli sprechi nella fase finale di consumo domestico e ristorazione sono dovuti soprattutto alla errata pianificazione degli acquisti, all'inadeguata conservazione del cibo, all'errata interpretazione delle etichette di scadenza degli alimenti, alla scarsa consapevolezza dell'impatto economico ed ambientale degli sprechi alimentari;
    per stimare l'impatto ambientale di un alimento andrebbe considerato il suo intero ciclo di vita, dalle emissioni di gas serra generate dai processi all'utilizzo di risorse idriche; in base a questo si valuta che il cibo sprecato che incide maggiormente sull'ambiente è rappresentato dai prodotti di origine animale, principalmente latte e carne;
    le stime indicano che a livello europeo la quantità di cibo sprecato ogni anno ammonta a 89 milioni di tonnellate, 180 chilogrammi pro capite, il 42 per cento nell'uso domestico, il 39 per cento della fase di produzione, il 14 per cento nella fase di ristorazione, il 5 per cento nella fase di vendita all'ingrosso ed al dettaglio;
    secondo lo studio della commissione europea che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione in Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite – valore sopra la media mondiale indicata dalla FAO in 95-115 chilogrammi pro capite;
    nel nostro Paese, nonostante gli effetti della crisi economica ed il calo dei consumi alimentari, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, sufficienti a nutrire 44 milioni di persone, quindi circa il 3 per cento del prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura;
    sulla base dei dati rilevati dall'ISTAT, la percentuale della produzione agricola rimasta nei campi ammonta al 3,25 per cento del totale, la percentuale più alta della produzione non raccolta è quella relativa ai cereali, mentre nella filiera ortofrutticola solo in parte il prodotto ritirato viene destinato alla distribuzione gratuita alle fasce deboli della popolazione, in gran parte viene destinato alla distillazione alcolica, al compostaggio e all'alimentazione animale, impieghi da considerarsi sprechi in quanto non destinati al consumo umano per cui erano stati coltivati;
    nell'industria agroalimentare i prodotti scartati sono gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi; maggiori sprechi sono quelli dell'industria lattiero-casearia e della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    a livello del consumatore finale, i dati indicano che ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, soprattutto di prodotti freschi (35 per cento), 19 per cento di pane e 16 per cento di frutta e verdura;
    nel gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per adottare misure urgenti per dimezzare, entro il 2025, gli sprechi alimentari nell'Unione europea e per migliorare l'accesso al cibo per i cittadini più vulnerabili, e, considerando che gli alimenti sono sprecati lungo tutta la catena – produttori, trasformatori, distributori, ristoratori e consumatori, ha chiesto l'attuazione di una strategia coordinata, che combini misure a livello europeo e nazionale per migliorare l'efficienza, comparto per comparto, dell'approvvigionamento alimentare e contrastare con urgenza lo spreco di cibo,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    a) dare immediata attuazione alle indicazioni contenute nella risoluzione adottata dal Parlamento europeo contro lo spreco alimentare per contribuire concretamente all'obiettivo di dimezzare entro il 2025 gli sprechi alimentari;
    b) promuovere, anche in collaborazione con le scuole di ogni ordine e grado programmi e corsi di educazione alimentare, di economia ed ecologia domestica per rendere il consumatore consapevole degli sprechi di cibo, acqua ed energia e dei loro impatti ambientali ed economico-sociali anche al fine di dimostrare come rendere più sostenibile l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale degli alimenti;
    c) assumere iniziative per rivedere le regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera in modo da privilegiare in sede di aggiudicazione, a parità di altre condizioni, le imprese che garantiscono la ridistribuzione gratuita a favore dei cittadini meno abbienti e che promuovono azioni concrete per la riduzione a monte degli sprechi, accordando la preferenza ad alimenti provenienti da filiere corte, locali e stagionali, prodotti il più vicino possibile al luogo di consumo;
    d) sostenere tutte le iniziative, sia pubbliche che private finalizzate al recupero di alimenti rimasti invenduti e scartati lungo l'intera filiera agroalimentare per ridistribuirli gratuitamente alle categorie di cittadini meno abbienti;
    e) assumere iniziative per prevedere una diversa articolazione delle informazioni contenute nelle etichette dei prodotti alimentari integrando la data prevista per la scadenza commerciale con una relativa al termine utile per il consumo dell'alimento.
(1-00088) «Gagnarli, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gallinella, Parentela, Zaccagnini, Baldassarre, Lupo, Barbanti, Pesco, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 22 maggio 1978, n. 194, ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità per le donne di ricorrere, con tempi e modalità determinate, alla interruzione volontaria di gravidanza, affiancando tuttavia il diritto alla procreazione cosciente e responsabile al valore sociale della maternità e la tutela della vita umana fin dal suo inizio, nella prospettiva, anzitutto, di fornire le più ampie forme di assistenza in quel particolare contesto nel quale viene a trovarsi la donna dinanzi all'ipotesi di una interruzione della propria gravidanza;
    l'approvazione di questa legge era stata preceduta da due importanti avvenimenti in materia di sostegno alle donne in gravidanza, quali, in primo luogo l'approvazione della legge 29 luglio 1575, n. 405, e, in secondo luogo, la sentenza n. 27 del 1975 della Corte costituzionale;
    con la prima erano stati disciplinati i consultori familiari, ed erano state espressamente indicate, tra le loro finalità, quella di fornire assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità e alla paternità responsabile, la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile, nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti, la tutela della salute della donna e del nascituro, la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza, consigliando i metodi e i farmaci adatti a ciascun caso;
    con la legge n. 405 quindi, il consultorio viene a costituire un autentico snodo non solo medico, ma anche sociale, diffuso sul territorio, all'interno del quale le donne potranno trovare un punto di riferimento gratuito e aperto a tutti per ogni questione attinente (anche, ma non solo) alla propria vita procreativa;
    nello stesso anno, la pronuncia della Corte costituzionale, intervenuta sul tema quando era ancora vigente la legislazione che sanzionava penalmente l'interruzione volontaria della gravidanza, ancorò il diritto della donna in gravidanza e il diritto alla vita del concepito nel sistema costituzionale, individuando principi poi recepiti nella legge n. 194 e consolidatisi nella giurisprudenza successiva, comprendendoli entrambi, in linea generale, nella tutela costituzionale della protezione della maternità di cui all'articolo 31;
    sotto il profilo costituzionale, la tutela del concepito e quella della madre trovano poi, altresì, separato e ulteriore fondamento in ulteriori disposizioni, quali l'autonoma tutela del concepito, riconducibile all'articolo 2 della Carta, laddove riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, la tutela della madre, nell'ambito dell'articolo 32 a protezione della salute;
    secondo la citata sentenza della Corte, il legislatore avrebbe avuto l'obbligo predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto fosse procurato senza sere accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che sarebbero potuti derivare alla madre dal proseguimento della gestazione, stabilendo che la liceità dell'aborto dovesse essere «ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla»;
    la legge 194 recita nel suo primo articolo: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizia. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite»;
    l'articolo 2 della legge riprende, invece, il tema dei consultori e della loro funzione in relazione alla materia della legge, indicando il dovere che hanno nei confronti della donna in stato di gravidanza, informandola sui diritti garantitegli dalla legge e sui servizi di cui può usufruire, sui diritti delle gestanti in materia laborale;
    inoltre, i consultori dovrebbero assolvere alla funzione di «contribuire a far superare le cause che possono portare all'interruzione della gravidanza», anche attraverso la formulazione di proposte agli enti locali per il sostegno alle maternità contrassegnate da particolari problematiche;
    l'esperienza applicativa della legge n. 194 del 1978, ha posto in evidenza come, dopo un iniziale, aumento per la completa emersione dell'aborto dalla clandestinità, la cui entità prima della legalizzazione era stimata tra i 220 e i 500 mila aborti l'anno, si sia potuta osservare una costante diminuzione dell'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro Paese;
    dal 1983 i tassi di abortività sono diminuiti in tutti i gruppi di età, più marcatamente in quelli centrali, mentre, per quanto riguarda le minorenni, il tasso di abortività nel 2010 è risultato pari a 4,5 per 1.000 (4,4 per 1.000 nel 2009), con valori più elevati nell'Italia settentrionale e centrale, ma, come già negli anni precedenti, si conferma il minore ricorso all'aborto tra le giovani in Italia rispetto a quanto registrato negli altri Paesi dell'Europa Occidentale;
    in generale, nel corso degli anni le più rapide riduzioni del ricorso all'aborto sono state osservate tra le donne più istruite, tra le occupate e tra le coniugate, per le quali, anche grazie o una maggiore competenza di partenza, sono risultati più efficaci i programmi e le attività di promozione della procreazione responsabile, principalmente svolti dai consultori familiari;
    il tasso di abortività (numero delle interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni), l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza nel 2011 è risultato pari a 7,8 per 1.000, con un decremento del 5,3 per cento rispetto al 2010 (8,3 per 1.000) e un decremento del 54,7 per cento rispetto al 1982 (17,2 per 1.000), e il valore italiano è tra i più bassi di quelli osservati nei paesi industrializzati;
    a fronte della continua riduzione del ricorso all'aborto tra le donne italiane, riduzione più lenta nelle condizioni di maggiore svantaggio sociale, l'aumento degli aborti effettuati da donne straniere, dovuto al costante incremento della loro presenza nel Paese, rappresenta una criticità importante;
    questi dati, tuttavia, devono essere inquadrati nell'ambito della generale e progressiva riduzione del numero delle gravidanze e delle nascite in Italia dagli anni Ottanta ad oggi, e allora si evince come in proporzione alle gravidanze avviate quelle oggetto di interruzione volontaria di gravidanza non rappresentano affatto un trend in diminuzione;
    permangono, infatti, delle forti criticità nell'applicazione della legge 194 del 1978 sia sotto il profilo della prevenzione e della comunicazione, proprio tra i più giovani, tra le donne straniere, nelle fasce sociali più deboli e disagiate, sia sotto il profilo delle possibili alternative per le donne che pensano di ricorrere all'aborto, laddove, invece, il legislatore voleva esattore proprio questo ruolo dissuasivo rispetto al non portare a termine la propria gravidanza;
    sotto il profilo dell'assistenza e del sostegno alle donne in gravidanza, solo per citare un esempio, appare ancora sottodimensionato (importantissimo ruolo svolto dai centri di aiuto alla vita, istituiti dalla stessa legge, che ogni anno accolgono migliaia di donne in difficoltà, quasi la metà delle quali sono incinta, e che ancora non hanno raggiunto la necessaria diffusione sul territorio nazionale;
    sono gravissime le notizie riportate in questi giorni dagli organi di stampa circa il diffuso ritorno a pratiche di aborto clandestino da parte di donne che non otterrebbero adeguata assistenza nelle strutture pubbliche;
    gli aborti illegali calcolati dal ministero della Sanità nel 2008 sarebbero stati ventimila, e il fenomeno sarebbe in costante crescita;
    gli aborti clandestini sarebbero praticati in strutture cliniche illegali, con farmaci di contrabbando, e mettono seriamente in pericolo la salute, se non la stessa vita, delle donne che li praticano, per non parlare del fatto che in quelle sedi neanche la pur minima esigenza di tutela della vita del nascituro gode di alcuna considerazione,

impegna il Governo:

   a verificare che, nel rispetto della libertà degli obiettori di coscienza, le strutture pubbliche sanitarie continuino a garantire l'applicazione della legge 194 del 1978, preservando le donne che scelgono di interrompere la propria gravidanza da pratiche illegali e pericolose per la propria salute e la propria vita, prevedendo al contempo che anche la somministrazione della pillola RU 486 avvenga nel pieno rispetto dei pareri espressi dal Consiglio superiore di Sanità;
   a potenziare, attraverso l'opera dei consultori, l'attività per la prevenzione dell'aborto, mediante adeguate campagne di informazione e sensibilizzazione, in particolare tra i più giovani e nelle fasce sociali più disagiate, non ultimo attraverso l'educazione sessuale;
   a sostenere, a livello normativo e finanziario, tutte quelle iniziative che offrano a queste madri un'alternativa all'aborto, attraverso la creazione di ulteriori Centri di aiuto che possano accoglierle e sostenerle nella loro maternità, attraverso forme di sostegno economico erogato direttamente alle madri, attraverso la creazione di politiche abitative che favoriscano questa categoria ed individuando ogni altra iniziativa utile a sostenere questi nuovi genitori;
   ad adottare adeguate politiche a sostegno della natalità e della famiglia, quali l'introduzione del quoziente familiare, l'applicazione dell'aliquota agevolata dell'IVA sui prodotti per l'infanzia, la previsione della possibilità di astenersi dal lavoro per periodi determinati per entrambi i genitori, il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche applicando il modello delle Tagesmutter;
   a rimuovere le cause economiche e sociali, che portano a rinunciare alla maternità, attraverso forme di sostegno, una corretta applicazione della legislazione vigente, ed attraverso il rilancio dell'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro.
(1-00089) «Giorgia Meloni».


   La Camera,
   premesso che:
    il diritto allo studio ed all'istruzione nel nostro Paese sono riconosciuti come diritti fondamentali e come tali trovano menzione nella nostra Carta costituzionale, che dedica al tema ben due articoli, il 33 ed il 34;
    la scuola, anche e soprattutto per la sua caratteristica di obbligatorietà rispetto all'istruzione universitaria, rappresenta un percorso formativo di straordinaria importanza per ciascun individuo;
    attraverso di essa, i bambini hanno il primo approccio al sapere ed allo studio, e dovrebbero scoprire il fascino dell'apprendimento e della cultura;
    in una fase successiva, l'istruzione universitaria dovrebbe permettere ai nostri giovani di affrontare sia il mondo accademico, sia quello del lavoro, con un livello di preparazione, anche sotto il profilo della conoscenza delle lingue, tale da poter sostenere il confronto con i giovani laureati di tutto il resto del mondo;
    purtroppo, a partire dagli anni settanta, il sistema scolastico italiano, all'epoca uno dei punti i forza del nostro Paese, ha subito un lento ma inarrestabile declino, i cui segni più evidenti sono stati, nei decenni, l'abbassamento degli standard qualitativi dell'istruzione primaria e gli elevati tassi di abbandono degli studi universitari;
    questo declino ha numerose cause ma passa sempre, inesorabilmente, attraverso l'incapacità degli attuali modelli d'insegnamento di conquistare i ragazzi all'istruzione, di conquistarli alla lettura, di appassionarti alle materie oggetto d'insegnamento;
    a questo si sono aggiunti, negli anni, sempre più problemi strutturali, organizzativi e di bilancia che hanno sovente, purtroppo, portato con loro anche la disaffezione dello stesso corpo docente;
    in un mondo sempre più competitivo e nel quale la sfida per i nostri figli diviene ogni giorno più difficile, l'Italia dovrà essere in grado di formare in modo adeguato le nuove generazioni, e perciò deve ripensare tutto il suo sistema educativo,

impegna il Governo:

   a razionalizzare gli investimenti pubblici sia nel campo della scuola, destinandolo alla formazione dei docenti e alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, sia nel campo universitario, abbattendo i privilegi e lottando contro gli sprechi, affinché ad essa sia restituita la sua vera missione culturale e sociale;
   ad avviare le procedure per accelerare il conseguimento dei titoli professionali, mettendo i nostri giovani in condizione di affrontare la sfida dei propri coetanei europei ed intercontinentali;
   a rafforzare il legame tra strutture universitarie ed imprese, al fine di poter offrire ai giovani meritevoli immediate soluzioni professionali;
   a riavviare il processo di autonomia amministrativa e finanziaria delle istituzioni scolastiche universitarie, coniugandolo con seri criteri di responsabilità di gestione;
   ad effettuare una ricognizione geografica delle strutture e delle istituzioni universitarie su tutto il territorio nazionale, al fine di evitare duplicazioni, sedi inutili e sprechi;
   a procedere, attraverso i competenti organismi a ciò preposti, ad una implementazione dei sistemi di valutazione e di aggiornamento del corpo docente, per permettere ai professori di svolgere al meglio il proprio compito e riconoscendo ad essi a centralità della funzione docente nell'ambito della società contemporanea;
   ad incentivare, attraverso la sottoscrizione di accordi e convenzioni con associazioni culturali, ricreative e sportive, ed enti di varia natura, l'apertura delle sedi scolastiche ed universitarie anche oltre l'orario didattico, al fine di farne dei poli di aggregazione anche sociale;
   a potenziare in questo quadro il ruolo dello sport nelle scuole primarie e secondarie, riconoscendo ad esso il suo fondamentale valore come momento di aggregazione ed inclusione;
   a rivedere i criteri per la ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario delle Università, attribuendo maggior peso a criteri qualitativi, parametri di efficienza, eccellenza, qualità dei servizi e della ricerca, rispetto all'applicazione di criteri meramente quantitativi, quale, ad esempio, il numero degli iscritti;
   ad operare nel senso di uno snellimento delle procedure per favorire la mobilita dai nostri studenti e attraverso lo sviluppo di nuovi scambi e partnership tra le Università e gli enti pubblici di ricerca.
(1-00090) «Giorgia Meloni, Rampelli, Corsaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il recente rapporto Ocse 2012 evidenzia come la media di investimenti in istruzione dei paesi membri sia cresciuta fortemente negli ultimi anni e risulti pari al 5,7 per cento del Pil, ma l'Italia si colloca al di sotto della media, investendo solo il 4,5 per cento del PIL. Penultimi in graduatoria, davanti solo alla Slovacchia. Eppure è dimostrato che la maggiore spesa per istruzione produce rendimenti certi, come un maggior gettito fiscale ed una maggiore occupabilità e la stessa Banca d'Italia sostiene, sulla base di complesse analisi, che il rendimento medio dell'investimento in istruzione è dell'8,9 per cento;
    le indicazioni dell'Unione europea, in particolare della Strategia UE2020 e della precedente Strategia di Lisbona e della UE2020, sono volte a sviluppare un'economia basata sulla conoscenza, caratterizzata da riforme profonde e volta a promuovere una crescita sostenibile, intelligente, l'occupazione, l'innovazione, la competitività, il rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale. In un momento di crisi economica e finanziaria, come quello che attraversa il nostro Paese, risulta indispensabile ridefinire la spesa pubblica e gli investimenti, in particolar modo quelli relativi alla istruzione, formazione, università e ricerca, in linea con gli obiettivi UE2020, Ulteriore obiettivo è creare uno spazio europeo della conoscenza che consenta a tutti gli attori (studenti, docenti, ricercatori, istituti di istruzione, centri di ricerca e imprese) di beneficiare della libera circolazione delle persone, delle conoscenze e delle tecnologie, e pertanto di supportare ed incentivare tutte le misure volte alla mobilità. Nel quadro del programma europeo «Istruzione e formazione» (ET2010) inoltre quattro sono gli obiettivi strategici: fare in modo che l'apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà, migliorare la qualità e l'efficienza dell'istruzione e della formazione, promuovere l'equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, incoraggiare la creatività e l'innovazione inclusa l'imprenditorialità a tutti i livelli dell'istruzione e della formazione;
    il rapporto Education at a Glance del 2010, relativo all'area OCSE, si evidenzia che dato che i governi, a seguito della crisi economica globale, stanno ridelineando i loro impegni finanziari, l'istruzione è al centro di un rinnovato interesse. Sono infatti evidenti i benefici sociali ed economici dell'istruzione, ma al tempo stesso non sembra essere sufficiente semplicemente spendere di più. E preoccupante che all'aumento significativo della spesa per studente negli ultimi dieci anni non abbia corrisposto il miglioramento della qualità nei risultati dell'apprendimento. Anche il segretario generale dell'OCSE Angel Gunia nel suo editoriale in Education at a Glance ha voluto evidenziare che i risultati «sottolineano la portata dello sforzo che è necessario affinché l'istruzione si rinnovi in modo da accrescere il valore dell'investimento»;
    tali investimenti, insieme ad un maggiore sostegno del sistema di apprendimento permanente, consentirebbero di perseguire, nel contempo la mobilità sociale – che nel nostro Paese è sostanzialmente bloccata – nonché la realizzazione personale e lavorativa. Grazie ad un efficace sistema di apprendimento per tutta la vita sarà possibile promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva, anche al fine di incoraggiare la creatività e l'innovazione a tutti i livelli dell'istruzione, della formazione, della ricerca e dell'economia;
    la Relazione del Gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea (il gruppo dei «saggi» istituito dal Presidente Napolitano nell'aprile 2013) indica tra le priorità la lotta agli squilibri tra le aree del paese e tra le singole scuole, messi in evidenza, tra gli altri, dai test Invalsi, dai dati Ocse Pisa, dai rapporti sulla qualità della scuola italiana di Tuttoscuola e dalla Fondazione Agnelli. Ancora oggi il successo scolastico e formativo è condizionato dalle origini socio-economiche, tanto che la probabilità di essere in ritardo alla fine delle medie da parte di uno studente figlio di genitori con licenza media è quattro volte superiore a quella del compagno figlio di genitori laureati. I divari sociali di apprendimento e le disparità in particolare nella lettura, rischiano di compromettere il percorso scolastico, specialmente degli studenti di origine più svantaggiata, generando il grave fenomeno dell'abbandono e della dispersione scolastica, come dimostra anche l'alto numero di NEET (ragazzi senza scuola e senza lavoro) tra i 15 e i 29 anni;
    va crescendo la disparità delle scuole che presentano buoni rendimenti e quelle di minore qualità, dove tra l'altro vengono spesso indirizzati gli alunni di origine immigrata, anche se nati e cresciuti in Italia;
    i «saggi» nominati dal Presidente della Repubblica, in linea con la strategia europea, dedicano un'intera sezione al ruolo strategico dell'istruzione e in particolare evidenziano che «Tutte le analisi condotte sul tema della crescita economica indicano nella disponibilità di un capitale umano di qualità uno degli ingredienti fondamentali per sfruttare appieno le nuove tecnologie, per favorire l'innovazione e l'aumento della produttività. Di conseguenza, migliorare le performance dei sistemi di istruzione e formazione è fondamentale per assicurare nel medio termine una crescita economica in grado di riassorbire la disoccupazione e la sottoccupazione di cui è afflitto il nostro Paese»;
    il presidente del Consiglio Enrico Letta, nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento, ha tra l'altro sottolineato come «la società della conoscenza e dell'integrazione si costruisca sui banchi di scuola e nelle università», impegnando il governo a ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori e riducendo il ritardo rispetto all'Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica;
    gli elementi e i dati che sull'argomento riguardano il nostro Paese sono particolarmente preoccupanti:
     secondo le classifiche internazionali, l'Italia presenta un forte deficit in termini di qualità del capitale umano rispetto ai principali paesi europei. Esso riguarda sia le competenze maturate dai giovani al termine della scuola dell'obbligo, sia la quota di laureati sulla popolazione. Inoltre, la formazione svolta dalle imprese è significativamente inferiore a quella tipica degli altri paesi europei;
     il tasso di abbandono scolastico in Italia è al 18,8 per cento a fronte di una media UE del 13,4 per cento e dell'obiettivo posto dall'Europa 2020 di ridurlo al 10 per cento; per quanto riguarda i laureati nella fascia di età tra i 30 e 34 siamo all'ultimo posto con il 20,3 per cento, molto lontani dalla media europea del 34,6 per cento e dall'obiettivo 2020 del 40 per cento;
     il rapporto annuale 2012 dell'ISTAT, fa emergere un vero e proprio allarme educativo. L'Italia ha un altro primato negativo in Europa: 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni non sono né a scuola, né al lavoro vivendo così in una condizione di vuoto a grandissimo rischio. Il dato cresce fino a 3,2 milioni se si apre la forbice fino ai 34 anni;
     i salari dei docenti delle scuole italiane sono tra i più bassi d'Europa. Secondo i dati Eurydice, che si riferiscono all'anno scolastico 2011-2012, un maestro in Italia guadagna al massimo 32.924 euro lordi, di media 26.359. In Gran Bretagna circa il 60 per cento in più. Un professore delle scuole medie guadagna all'anno da 24.131 euro a 36.157 (in media, 28.257). Un insegnante di liceo da 24.141 a 37.799 (la media è sotto i trentamila). Secondo il rapporto Education at a glance, lo stipendio di un docente italiano a fine carriera è di 4.000 dollari in meno rispetto alla media Ocse;
     nel sistema universitario, l'Italia coniuga tasse molto elevate (terza in Europa dopo UK e Paesi Bassi, che però vantano una spesa per studente quasi doppia) e il peggior sistema di diritto allo studio. Ottiene una borsa di studio solo il 7 per cento degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi), il 30 per cento della Germania (2 miliardi) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2 per cento), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9 per cento, Germania +18,6 per cento, Spagna +39 per cento);
    va poi evidenziata come vera e propria emergenza la situazione dell'edilizia scolastica nel nostro Paese. Oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma e diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti. Non è inoltre stata ancora completata l'anagrafe dell'edilizia scolastica. Su questa emergenza verrà avviata un'indagine conoscitiva in Commissione VII;
    si condividono le linee programmatiche che la Ministra Maria Chiara Carrozza ha illustrato nel corso della seduta congiunta delle VII Commissione permanenti di Camera e Senato, in linea con l'Europa, che «le politiche per l'istruzione, l'università e la ricerca sono di rilevanza strategica per il Governo. In particolare, il livello di istruzione e formazione ha un legame diretto con il tasso di sviluppo economico di una certa popolazione e di un certo Paese in un dato momento storico. Tale legame è sempre esistito ma appare oggi ancora più forte per il rapido diffondersi dei nuovi modelli organizzativi e dell'uso delle tecnologie»;
    si apprezzano gli impegni contenuti nelle predette linee programmatiche relativamente alla cooperazione istituzionale tra lo Stato, le Regione e gli Enti Locali, nel quadro di una visione unitaria del sistema pubblico dell'istruzione, a partire dagli interventi urgenti sull'edilizia scolastica e alla piena attuazione dell'autonomia scolastica, al potenziamento e allo sviluppo dell'offerta formativa dalle sezione primavera alle scuole dell'infanzia, al tempo pieno e al tempo prolungato, all'istruzione superiore, all'alternanza scuola/lavoro e all'istruzione tecnica superiore, all'educazione degli adulti e all'educazione permanente, alle politiche per il personale con la valorizzazione professionale, la formazione in servizio, la stabilizzazione progressiva del personale precario e nuove norme di reclutamento per i giovani, l'avvio di un nuovo sistema di valutazione;
    secondo quanto previsto dai Regolamenti attuativi delle Riforme si sottolinea l'importanza di effettuare il monitoraggio sull'attuazione dei regolamenti ed in particolare per quanto riguarda i laboratori e la riduzione e l'accorpamento delle classi di concorso;
    si sottolineano anche gli impegni riferiti all'università, con particolare riferimento al ripristino di adeguati finanziamenti statali sia per le università che per la ricerca, insieme al definitivo sblocco delle assunzioni entro i limiti del bilancio degli atenei e degli enti di ricerca e il ripristino di livelli di autonomia responsabile degli atenei e degli enti;
    il settore dell'Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica deve essere oggetto di un intervento diretto e urgente di riordino legislativo e di significativi investimenti finanziari con l'obiettivo di istituire un sistema unitario e integrato della formazione superiore post-secondaria che veda convivere con pari dignità e in pieno coordinamento tutte le istituzioni (università, politecnici, istituti universitari ad ordinamento speciale, accademie di belle arti, conservatori di musica eccetera), ciascuna mantenendo la propria autonomia; in questo quadro vanno anche affrontati e risolti i delicati problemi degli istituti musicali pareggiati e quelli del personale del settore;
    si evidenzia inoltre la necessità di nuovi investimenti per il settore della cultura: i beni culturali italiani sono una risorsa insostituibile e non delocalizzabile del patrimonio del Paese. Una parte importante del patrimonio culturale del nostro Paese è costituito da biblioteche e archivi che conservano, racchiusi in preziose raccolte di volumi e fondi documentari di estrema importanza, la memoria storica e collettiva della nazione. Occorre adeguare agli standard europei il sostegno dato alle fondazioni e istituzioni culturali, agli Istituti di cultura e alle riviste culturali;
    dare riconoscimento, dignità, diritti, certezze, ai professionisti della cultura e della creatività poiché le politiche attive per la cultura e la creatività rappresentano una delle condizioni indispensabili per uscire dalla crisi valorizzando un patrimonio trascurato;
    la produzione e l'industria dello spettacolo dal vivo e del cinema italiani sono da considerare strategici per la ripresa del Paese e necessitano di adeguatezza progettuale, sia in termini di finanziamento, sia in termini di programmazione e di politica di interventi;
    il Ministro Bray nel corso dell'audizione alla VII Commissione della Camera e del Senato, illustrando le sue linee programmatiche, ha indicato le nuove politiche culturali in discontinuità rispetto al passato ed ha opportunamente ribadito che: «la cultura è un bene comune e un diritto. La tutela, lo sviluppo e la diffusione dei beni, delle attività e dei valori della cultura si collocano necessariamente al centro degli obiettivi di crescita economica, civile e sociale del nostro Paese. La cultura costituisce un bene comune di straordinaria ricchezza e complessità, che in tutte le sue diverse manifestazioni deve essere protetto e potenziato»,

impegna il Governo:

   a portare gradualmente l'investimento per l'istruzione e la formazione almeno ai livello medio dei Paesi OCSE (5,7 per cento) del PIL), tornando ad investire sulla conoscenza per garantire a tutti pari opportunità di apprendimento e di educazione e per promuovere una nuova crescita economica dall'Italia;
   ad agire altresì attivando processi di miglioramento della qualità a partire dalle risorse interne della scuola e dell'università;
   a definire un piano pluriennale, utilizzando l'anagrafe dell'edilizia scolastica come strumento di analisi del sistema e di programmazione degli interventi, per la sicurezza, messa a norma, l'efficienza e l'ecosostenibilità energetica, l'abbattimento delle barriere architettoniche, la dotazione di infrastrutture digitali del patrimonio scolastico, concordato e cofinanziato tra lo Stato, le regioni e gli enti Locali, anche prevedendo la deroga al patto di stabilità; sostenere L'approvazione urgente della proposta di legge finalizzata a destinare una quota dell'otto per mille del gettito Irpef;
   ad attuare pienamente il percorso dell'autonomia scolastica in modo da rendere le scuole, nell'ambito del sistema nazionale unitario dell'istruzione, in grado di essere riconosciute anche in base ai parametri europei come vere istituzioni autonome, favorendo, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, il raccordo con il territorio, gli enti locali, le associazioni di categoria, le università, gli enti di ricerca, i musei, le imprese, favorendo anche la formazione di reti di scuole, a tal fine risultando particolarmente importante l'attuazione dell'articolo 50 del decreto-legge n. 5 del 2012 con l'assegnazione, almeno triennale, dell'organico funzionale ad ogni istituzione scolastica, anche a livello di reti di scuole;
   a sostenere l'autonomia delle scuole attraverso una programmazione certa dei finanziamenti, attraverso la definizione di un budget triennale, l'erogazione annuale tempestiva di fondi e il ripristino del Fondo d'istituito e dei finanziamenti originariamente previsti dalla legge n. 440 del 1997;
   ad attivare, rafforzare e migliorare, nell'ottica della valorizzazione dell'autonomia scolastica, il sistema nazionale di valutazione, che affiancando e sostenendo le scuole possa consentire l'affermazione della cultura della valutazione e dell'autovalutazione, qualitativa e quantitativa, al fine di definire gli obiettivi, verificare i risultati, individuare le criticità e le azioni per migliorare i risultati, in modo da dare a tutti gli studenti le stesse opportunità di apprendimento e di successo scolastico;
   a potenziare il tempo pieno e il tempo prolungato nella scuola primaria e nella scuola secondaria di II grado e ad attuare pienamente l'obbligo scolastico a 16 anni e il diritto-dovere alla formazione fino a 18 anni;
   a continuare il rilancio dell'istruzione tecnica e professionale e l'alta formazione tecnica (ITS) con la realizzazione di programmi e progetti atti a facilitare l'alternanza scuola-lavoro, i tirocini e l'apprendistato, al fine di realizzare forme innovative e laboratori, attraverso un opportuno coordinamento tra istituti scolastici, imprese, enti locali e regioni, università ed enti di ricerca per favorire la crescita;
   a definire un piano pluriennale per l'immissione in ruolo del personale precario, per dare certezza e stabilità alle scuole, prevedendo la stabilizzazione dei posti attualmente vacanti e coperti con incarichi annuali compresi quelli destinati agli insegnanti di sostegno e quelli necessari per gli organici funzionali; parallelamente curare il reclutamento di giovani laureati, rivedendo e semplificando le modalità concorsuali e l'individuazione degli esaminatori;
   ad intervenire a favore dei lavoratori della scuola della cosiddetta «quota 96», favorendo per quanto di competenza un rapido iter della proposta di legge AC 249 già assegnata alla XI Commissione Permanente della Camera, consentendo così nuove assunzioni e favorendo l'allineamento all'Europa per quanto riguarda l'età anagrafica dei docenti;
   a favorire per quanto di competenza un rapido iter della proposta di legge che modifica la norma, introdotta con la «spending review» (articolo 14, comma 13, legge 135 del 2012), definendo un piano per un adeguato utilizzo del personale inidoneo, tenendo conto delle effettive condizioni di salute e delle competenze acquisite nonché, per coloro che lo richiedono e hanno i requisiti applicare l'istituto della dispensa;
   a sviluppare il piano di innovazione digitale e di formazione del personale non solo docente delle scuole, senza il quale qualunque nuova apparecchiatura rischia di rimanere inutilizzata. Indirizzo che va anche nella direzione di ridurre la dispersione scolastica, creando una didattica più laboratoriale e di introdurre nella scuola un utilizzo critico dei media;
   a elaborare un piano straordinario finalizzato a riconoscere il ruolo sociale e a dare il giusto valore al personale della scuola, a partire dagli insegnanti, avviando una nuova stagione con il rinnovo del contratto di lavoro sia con la previsione dell'aumento dei salari che con la definizione di incentivi legati alla professionalità e all'impegno profuso nel migliorare la qualità e la sperimentazione di innovazione della didattica tale valorizzazione va collegata anche alla formazione in servizio, e a una rendicontazione sociale dei risultati;
   a sostenere il percorso di internazionalizzazione e di mobilità di studenti e del personale, nell'ottica dell'implementazione della strategia UE2020 e finalizzato alla creazione di uno spazio europeo della conoscenza e della mobilità;
   a riprendere il percorso di riforma dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, seguendo la linea strategica indicata in premessa di istituire un sistema unitario e integrato di tutta la formazione superiore post-secondaria e affrontare e risolvere i delicati problemi degli istituti musicali pareggiati e del relativo personale;
   a ripristinare i 300 milioni di euro a valere sull'FFO delle università statali alle università e i 51 milioni agli Enti di Ricerca e comunque a varare un programma graduale di investimenti che porti l'Italia a rispettare gli obiettivi previsti dalla Strategia UE2020;
   ad intervenire affinché siano sbloccati le assunzioni ed il turn over, entro un quadro di sostenibilità economica dei bilanci universitari e riequilibrando il personale ira le varie fasce docenti, garantendo possibilità di carriera a tutti coloro che lo meritano;
   a destinare al tema della contribuzione studentesca universitaria e del diritto allo studio universitario un'attenta e strategica riflessione complessiva e, di conseguenza, ad adottare un nuovo quadro organico di provvedimenti legislativi e di investimenti finanziari statali, allo scopo di sostenere gli studenti universitari capaci e meritevoli le cui famiglie non sono in grado di sostenere i costi di formazione superiore e di mantenimento agli studi affinché i loro talenti possano liberamente esplicarsi nei tempi nei modi e nei luoghi da loro scelti e così si contribuisca a riattivare la mobilità sociale per rendere la società italiana più equa e fiduciosa;
   a migliorare il sistema di valutazione dell'università e della ricerca, a partire dal ruolo dell'ANVUR, semplificando i vincoli burocratici in direzione di una piena responsabilizzazione in tutte le istituzioni, da incentivare anche con opportuni finanziamenti premiali aggiuntivi rispetto a quelli ordinari;
   a perseguire l'obiettivo di portare progressivamente la spesa pubblica per la cultura ai livelli europei, considerando la cultura un investimento fondamentale per la crescita e lo sviluppo;
   ad avviare un piano di investimenti pluriennali per la tutela dei beni culturali non limitandosi ad interventi straordinari e urgenti;
   a individuare nel settore della cultura strumenti di programmazione certi che consentano un utilizzo più efficiente ed efficace delle risorse a partire dalla riorganizzazione dei finanziamenti straordinari;
   ad avviare una politica di monitoraggio della spesa pubblica e privata in ambito culturale in grado di quantificarne il volume e di definire qualità ed efficacia degli investimenti per la realizzazione della missione pubblica;
   a rilanciare il settore dei beni culturali, rendendo più stabili anche i contributi delle istituzioni di cultura tutelate dal ministero che hanno un forte ruolo di riferimento per la ricerca e di formazione all'interno della società.
(1-00091) «Coscia, Centemero, Santerini, Ghizzoni, Ascani, Blazina, Bonafè, Bossa, Carocci, Coccia, D'Ottavio, La Marca, Malpezzi, Manzi, Malisani, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Raciti, Rampi, Rocchi, Zampa, Gelmini, Galan, Lainati, Longo, Palmieri, Petrenga, Abrignani, Capua, Molea, Vezzali, Piccione, Biondelli, Antezza, Amoddio».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII e la X Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha novellato la normativa relativa alle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare ed in particolare il regime autorizzatorio connesso alle medesime attività. In particolare, il comma 1 del citato articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha sostituito l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come già modificato dal decreto legislativo n. 128 del 2010;
    in base alla precedente normativa era vietato cercare ed estrarre gas o petrolio all'interno di aree marine o costiere protette a qualsiasi titolo sulla base di norme nazionali e internazionali. Detto divieto era poi esteso per ulteriori 12 miglia all'esterno di tali aree. Eccezione alla proibizione di cui sopra era prevista per il petrolio, per il quale, lungo tutta la fascia marina della penisola italiana, il divieto di ricerca e coltivazione era limitato entro cinque miglia dalla costa. Tale divieto comprendeva non solo le attività di ricerca e coltivazione già in atto, ma anche i procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, mentre venivano fatti salvi i titoli già rilasciati alla medesima data;
    il nuovo articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, fissa un'unica e più rigida fascia per l'estrazione dell'olio e del gas, pari ad un'estensione di dodici miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione. Rimane immutato il divieto con riferimento alle attività suddette all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette sulla base di norme nazionali, comunitarie e internazionali (in tal modo aggiungendosi per legge anche i sic e le zps marine e costiere di promanazione comunitaria);
    la nuova disciplina nasce quindi con l'evidente intento di perseguire una maggiore tutela ambientale in tema di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in mare, anche mediante un aumento sia pur contenuto delle relative royalty che restano, comunque, ancora esigue. Da questo buon proposito si genera tuttavia un effetto controproducente: infatti, il nuovo articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, stabilisce che il divieto di ricerca ed estrazione entro i limiti territoriali fissati, faccia salvi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010. Così disponendo, esso fa salvi in modo retroattivo i procedimenti autorizzatori già in corso prima del 26 agosto 2010;
    con l'introduzione dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, viene inoltre confermata la disposizione secondo cui le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA). Tuttavia, sono fatte salve, rispetto al regime di sottoposizione alla VIA, le attività di cui all'articolo 1, comma 82-sexies, della legge 23 agosto 2004, n. 239, autorizzate, nel rispetto dei vincoli ambientali da esso stabiliti, dagli uffici territoriali di vigilanza dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, che trasmettono copia delle relative autorizzazioni al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Si tratta delle attività finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi, compresa la perforazione, se effettuate a partire da opere esistenti e nell'ambito dei limiti di produzione ed emissione dei programmi di lavoro già approvati. Anche in questo caso, le modifiche proposte avranno inevitabili conseguenze sull'ambiente marino, sfuggendo ad ogni preventiva verifica di natura ambientale;
    l'estrazione di petrolio è un processo altamente inquinante. Per raggiungere il giacimento le trivelle utilizzano sostanze chimiche dette «fanghi e fluidi perforanti» necessari per eliminare gli strati rocciosi, controllare la pressione, lubrificare e raffreddare lo scalpello delle trivelle e consolidare il foro di perforazione. In particolar modo nei pozzi petroliferi off-shore si usano dei fanghi del tipo SBM (Synthetic based mud) costituito da oli sintetici con un certo grado di tossicità. Tali fluidi sono difficili e costosi da smaltire ed hanno la capacità di contaminare acque e terreni. I fanghi devono essere smaltiti con particolari procedure. Generalmente il controllo per le trivellazioni sulla terraferma costringe allo smaltimento. In mare, invece, la prassi ordinaria è quella di rigettarli nelle acque;
    secondo gli studi effettuati il petrolio presente nei nostri fondali oltre ad essere esiguo è anche ricco di impurità, e di difficile estrazione. Il petrolio estratto nell'Adriatico si presenta dunque come una fanghiglia corrosiva, melmosa e densa che necessita di una lunga lavorazione per l'utilizzo di destinazione, a processo che inizia già sulle piattaforme marine;
    è noto come la maggior parte degli sversamenti di idrocarburi in mare, circa l'80 per cento, sia dovuto allo svolgimento di attività di routine di manutenzione degli impianti, di estrazione e trasporto degli idrocarburi. Una piattaforma in mare nell'arco della sua vita rilascia mediamente 90.000 tonnellate di sostanze inquinanti; il Mediterraneo ha una densità di catrame pelagico di 38 milligrammi per metro quadro, una percentuale altissima ormai assolutamente insostenibile. Anche gli incidenti sulle piattaforme non sono rari;
    i permessi di ricerca di idrocarburi interessano zone costiere di particolare rilevanza naturale, ambientale e paesaggistica la cui tutela verrebbe irrimediabilmente compromessa come la costa teatina, il canale di Sicilia e le isole Tremiti. In Sardegna il «Progetto Eleonora», che prevede trivellazioni per la ricerca di gas naturale ad Arborea, rischia di compromettere il delicato ecosistema dello stagno S'Ena Arrubia, sito di interesse comunitario, tutelato anche per la presenza di uccelli palustri come aironi e fenicotteri rosa;
    si è recentemente svolta, a Venezia, la «Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche» dove si è discusso di salvaguardia delle coste delle regioni del mare Mediterraneo dall'estrazione di idrocarburi in mare. Al termine dei lavori le regioni promotrici dell'iniziativa hanno votato un ordine del giorno che invita tra l'altro il Parlamento italiano a sostenere la ratifica da parte dell'Unione europea del protocollo offshore che impone una serie di condizioni da soddisfare prima che sia consentito l'avvio delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, e a promuovere con gli stessi Paesi dell'Unione europea, ma anche altri Paesi che si affacciano su Adriatico e Ionio una cooperazione inter-istituzionale che porti, in breve tempo, a firmare un protocollo di intesa per una regolamentazione comune delle attività estrattive e di esplorazione degli idrocarburi,

impegnano il Governo:

   a sospendere ogni forma di autorizzazione per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti petroliferi nell'Adriatico e più in generale nel Mediterraneo in attesa che un'apposita Conferenza dei Paesi rivieraschi individui, sul modello della citata «Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche», una regolamentazione comune delle attività estrattive e di esplorazione degli idrocarburi;
   ad assumere iniziative per modificare la normativa riguardante le attività di ricerca, di prospezione e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, ripristinando il divieto nello spazio di 12 miglia dalla costa per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, per evitare che si creino situazioni che ne disattendano la finalità, cioè la garanzia di maggiore rigore nella tutela ambientale, e per rendere le disposizioni chiare, certe e applicabili, in condizioni di equità, a tutti i soggetti che operano nel settore della ricerca, prospezione e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
   a non mettere a rischio e a non pregiudicare, neanche potenzialmente, lo stato delle aree di reperimento di parchi costieri e marini e di aree marine protette, impedendo quindi l'avvio di nuovi impianti e attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in mare oltre ad assoggettare a valutazione ambientale per motivi di dovuta cautela e precauzione e con il massimo coinvolgimento delle comunità interessate anche le attività finalizzate a migliorare le prestazione degli impianti di coltivazione di idrocarburi di cui all'articolo 1 comma 82-sexies della legge 23 agosto 2004 n. 239;
   ad adottare tutte le iniziative necessarie, anche normative, affinché i titolari di concessioni per ricerca ed estrazione di idrocarburi garantiscano adeguati piani di emergenza e le risorse economiche per la copertura degli interventi immediati di sicurezza, disinquinamento e bonifica, in caso di incidente, anche attraverso il deposito di adeguate cauzioni;
   a verificare la sussistenza dei requisiti economici e tecnici delle società titolari di permessi di ricerca in modo da garantire efficienza tecnica, sicurezza e pieno rispetto di tutte le prescrizioni e dei vincoli stabiliti dalle autorità competenti: non solo degli obblighi – stabiliti dal Ministero dello sviluppo economico – per la gestione degli impianti e la sicurezza mineraria – ma anche, in particolare dei vincoli disposti da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalle regioni per gli aspetti di compatibilità ambientale nella realizzazione e gestione di impianti e pozzi, tenuto conto delle tecniche e delle conoscenze più avanzate per il «buon governo» dei giacimenti.
(7-00034) «Mariastella Bianchi, Ginefra, Borghi, Realacci, Braga, Bratti, Carrescia, Cassano, Cominelli, Dallai, Decaro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Moretto, Giovanna Sanna, Zardini».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    nel 2010 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha avviato un nuovo decennio di iniziative per la sicurezza stradale 2011-2020 per ridurre ulteriormente il numero di decessi da incidenti stradali nel mondo; la Commissione europea, in occasione dell'avvio della nuova decade di iniziative per la sicurezza stradale, ha indicato essenziali ed urgenti linee guida;
    le statistiche nazionali più aggiornate – il rapporto ACI-ISTAT 2011 sugli incidenti stradali – segnalano, rispetto all'anno precedente, una diminuzione del numero degli incidenti (-2,7 per cento) e dei feriti (-3,5 per cento) e un calo più consistente del numero dei morti (-5,6 per cento), nonostante permanga elevato il numero di incidenti stradali con lesioni a persone (205.638);
    nel 2011 la diminuzione del numero di morti, rispetto al 2001, risulta pari al 45,6 per cento; l'obiettivo fissato dall'Unione europea nel libro bianco del 2001, impegnava i Paesi membri ad una riduzione della mortalità del 50 per cento entro il 2010; benché sia vicina a questo traguardo, l'Italia non ha ancora raggiunto tale livello;
    occorre peraltro sottolineare che il calo registrato in Italia, del 45,6 per cento, è più elevato del valore medio europeo, che è pari a -44,5 per cento;
    l'indice di mortalità mostra che gli incidenti più gravi avvengono sulle strade extraurbane e sulle autostrade; gli incidenti sulle strade urbane nonostante siano più frequenti, sono meno gravi;
    tra i 2.690 conducenti deceduti a seguito di incidente stradale, i più colpiti sono individui compresi nella fascia di età tra i 20 e i 39 anni;
    l'analisi del sottoinsieme dei conducenti morti e feriti in incidenti stradali per categoria di veicolo mostra come la frequenza più elevata di persone decedute riguardi le autovetture e i motocicli per gli uomini e quasi esclusivamente le autovetture per le donne; si rileva, inoltre, rispetto al 2010, un aumento, del 7,2 per cento dei conducenti di biciclette morti in incidenti stradali; le biciclette, infatti, rappresentano il terzo veicolo, in graduatoria, dopo autovetture e motocicli, con il maggior numero di conducenti morti;
    la categoria di veicolo maggiormente coinvolta negli incidenti stradali è costituita dalle autovetture, seguita dai motocicli; i motocicli, pur rappresentando una percentuale più bassa di veicoli coinvolti in incidente stradale rispetto alle autovetture, sono responsabili del 32,1 per cento dei decessi;
    nel 2010 gli incidenti stradali con lesioni a persone e in cui è stato coinvolto un ciclomotore o un motociclo sono stati 71.108, con il decesso di 1.244 persone e il ferimento di 84.548; nel 34 per cento del totale degli incidenti stradali è coinvolto un veicolo a due ruote; una vittima della strada su tre perde la vita in un incidente in cui è stato coinvolto un motoveicolo; sulle strade urbane si sono verificati ben 62.238 incidenti con il coinvolgimento di un motoveicolo (87,5 per cento del totale); questi hanno causato 73.826 feriti (87,3 per cento del totale) e 655 morti (52,7 per cento del totale);
    è da notare che nonostante il maggior numero di incidenti avvenga sulle strade urbane, l'indice di mortalità per i veicoli a due ruote sulle strade urbane è di 1,1 morti per 100 incidenti; sulle strade extraurbane è, invece, molto più elevato: di 7,1 morti ogni 100 incidenti;
    anche l'analisi territoriale dell'incidentalità stradale conferma che, in alcune regioni in particolare, molti sinistri con lesioni gravi e decessi coinvolgono i veicoli a due ruote;
    tali dati sull'incidentalità sono particolarmente gravi anche in considerazione del fatto che i veicoli a due ruote sono circa il 21 per cento del parco veicoli totale e che hanno una percorrenza chilometrica complessiva annua molto inferiore al dato della percorrenza generale; rappresentano infatti non più del 3-4 per cento del totale dei chilometri percorsi da tutti gli altri veicoli;
    la crescente diffusione dell'uso dei veicoli a due ruote come mezzo di trasporto alternativo all'automobile, più veloce ed economico per gli spostamenti, soprattutto nelle aree urbane, ha fatto emergere l'esigenza di approfondire l'analisi dell'incidentalità che vede coinvolta questa tipologia di veicolo;
    gli interventi legislativi sulla sicurezza stradale – molti su iniziativa del partito Democratico – nonché l'adozione di nuove tecnologie per il miglioramento della sicurezza dei veicoli e la realizzazione di infrastrutture stradali più sicure, hanno determinato una riduzione della mortalità per tutti gli utenti della strada, riduzione che risulta tuttavia più contenuta nel caso di incidenti con motoveicoli;
    tra le prime tre cause di incidente che coinvolge almeno un motoveicolo vi sono i comportamenti errati di guida, e, in particolare, il mancato rispetto delle regole di precedenza, la guida distratta e la velocità troppo elevata (il 45,2 per cento dei casi); sono quindi di particolare importanza le iniziative di formazione ed educazione stradale, ed un'attenta e costante vigilanza e controlli – anche elettronici – su strade urbane e extraurbane e autostrade;
    i motociclisti sono esposti al rischio di incidenti in misura maggiore rispetto ad altri utenti della strada; a fattori di rischio come le condizioni del fondo stradale, le condizioni meteorologiche e gli ostacoli, occorre aggiungere un rischio specifico che riguarda i motociclisti: i guardrail e i relativi paletti di sostegno, che sono causa di conseguenze gravi o fatali per i motociclisti nel caso di impatto accidentale;
    l'installazione delle protezioni di sicurezza sulle strade è utile ad impedire, in caso di caduta, l'urto diretto dei motociclisti sulla parte tagliente dei paletti dei guardrail, che risulta essere la causa principale di morte o lesioni gravi in caso di incidente di motocicli con le barriere stradali,

impegna il Governo:

   a realizzare infrastrutture stradali più sicure, anche stanziando risorse adeguate per l'installazione di strumenti di sicurezza idonei, quali gli attenuatori d'urto, e sistemi per la protezione dei motociclisti su barriere e pali, con priorità nei percorsi stradali ad alto tasso di incidenti per i veicoli a due ruote;
   a sollecitare e promuovere l'uso di dispositivi di sicurezza attiva e passiva nei veicoli;
   a promuovere l'incremento dell'applicazione di tecnologie intelligenti su tutte le strade;
   a migliorare la formazione e l'educazione degli utenti della strada, anche mediante l'utilizzo di simulatori;
   a rafforzare i controlli, in modo da scoraggiare e sanzionare severamente comportamenti stradali scorretti, come l'uso del telefono alla guida;
   a migliorare le condizioni di illuminazione delle strade, con l'impiego delle conoscenze e delle tecnologie più avanzate;
   ad assumere iniziative per garantire una manutenzione continua ed efficiente delle infrastrutture stradali, per la riduzione dei feriti e la sicurezza dei motociclisti;
   a promuovere, in ambito comunitario, la definizione degli standard di sicurezza stradale, in particolare per i dispositivi di sicurezza attiva a protezione dei motociclisti (barriere e pali);
   ad assumere iniziative per destinare quota parte del gettito rinveniente dalle multe e dalle sanzioni sulla circolazione stradale all'installazione di strumenti di sicurezza sulle strade, in particolare per i motociclisti.
(7-00030) «Tullo, Brandolin, Cardinale, Coppola, Ferro, Mauri, Meta, Mura, Rotta, Velo, Culotta, Mognato».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    è notizia riportata dalla stampa il 7 giugno 2013 quella di un bliz a Napoli contro i «falsi invalidi», che ha portato all'arresto di 45 persone per truffa e falso;
    per l'accusa, i titolari del trattamento pensionistico avevano ottenuto la pensione di invalidità sulla base di documentazioni e visite mediche false;
    tra gli arresti anche un dipendente dell'azienda sanitaria locale Napoli 1, addetto alla gestione amministrativa delle pratiche d'invalidità che, secondo gli investigatori, sarebbe il responsabile delle false certificazioni di invalidità; mentre sono indagati a piede libero anche due consiglieri della municipalità di Poggioreale, quartiere di residenza di numerose persone coinvolte nell'operazione;
    nella scorsa legislatura, in virtù dell'articolo 80 del decreto-legge n.112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, era stata prevista l'attuazione, da parte dell'Inps nel corso 2009, di un piano straordinario di 200 mila verifiche dei titolari di invalidità civile;
    l'intento era quello di procedere ad un giro di vite sulle cosiddette «false invalidità» per contrastarne il fenomeno e punire chi da troppo tempo approfitta delle casse pubbliche per garantirsi un reddito senza lavorare a scapito di chi effettivamente necessita di quel reddito;
    a tal fine, con la finanziaria per il 2010 era stato previsto un programma di ulteriori 100 mila verifiche nel 2011 e 200 mila nel 2012 e 2013, aggiuntive rispetto ai 200 mila accertamenti di cui ai predetto decreto-legge n. 112 del 2008;
    secondo i dati sulle verifiche condotte al 30 giugno 2009, gli accertamenti avevano portato alla revoca del 13 per cento delle pensioni di invalidità, con punte di quasi il 22 per cento in Sardegna e Sicilia, del 19 per cento in Calabria e del 15,5 per cento in Campania e Puglia; nel 2011 di finti invalidi ne sono stati scovati 3 mila in soli 7 mesi;
    da anni, i casi eclatanti di truffe e false pratiche di invalidità si sono sempre registrati al Centro-Sud, come il caso dei sessanta finti ciechi o dei 400 finti pazzi a Napoli nel 2010 o gli intrecci tra aziende sanitarie locali e politica – assegno in cambio di voto – a Palermo e Siracusa emersa nel febbraio 2010,

impegna il Governo:

   a triplicare il numero di verifiche di invalidità laddove maggiore è stato, dal 2009 ad oggi, il tasso di revoca del trattamento a seguito dell'attuazione delle verifiche straordinarie di cui in premessa;
   ad intraprendere nell'immediato le opportune iniziative per il recupero delle somme indebitamente percepite nei casi in cui vengono rilevati elementi di responsabilità per danno erariale, anche attraverso azioni nei riguardi dei medici compiacenti ad attestare la disabilità di persone sane, tenuti per legge al risarcimento delle somme versate dall'Inps per i non aventi diritto da loro certificati.
(7-00031) «Fedriga».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, convertito, con modificazione dalla legge n. 189 dell'8 novembre 2012, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», all'articolo 13, integra le procedure di registrazione per i prodotti omeopatici, modificando di fatto l'articolo 20 del decreto legislativo n. 219 del 24 aprile 2006;
    il decreto del Ministero della salute del 21 dicembre 2012 «Aggiornamento degli importi delle tariffe e dei diritti per le prestazioni rese a richiesta e a utilità dei soggetti interessati» riguarda la registrazione di medicinali omeopatici e di medicinali di origine vegetale basata sull'uso tradizionale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 2013 prevede un innalzamento dei costi dei rinnovi di registrazione dei farmaci omeopatici, con tariffe per le registrazioni e le variazione dei medicinali omeopatici non sostenibili da questo settore produttivo;
   infatti ogni azienda omeopatica ha la necessità di registrare diverse centinaia di farmaci, peraltro da anni presenti sul mercato, con un aggravio di spesa eccessivo avendo tali aziende in genere un fatturato di piccola o media entità;
    l'Italia rappresenta il terzo mercato europeo di farmaci omeopatici dopo Francia e Germania e secondo i dati Doxa 2012, circa il 18 per cento dei cittadini ricorre a questa tipologia di medicinali;
    il comparto dei farmaci omeopatici è costituito da circa 20 aziende, con un fatturato complessivo di circa 160 milioni di euro che producono una spesa totalmente a carico dei cittadini di circa 300 milioni;
    è necessario tener conto delle differenze sostanziali tra medicinali omeopatici e farmaci della farmacopea ufficiale, poiché per i medicinali omeopatici è prevista una registrazione semplificata e l'assenza di indicazioni terapeutiche specifiche;
    una eventuale deprecabile scomparsa della disponibilità di medicinali omeopatici rischierebbe di penalizzare non solo il comparto della medicina omeopatica (produttività, ricerca scientifica, occupazione) ma anche i milioni di italiani, pari a circa il 18 per cento dell'intera popolazione, cui di fatto verrebbe negata la libertà di scelta terapeutica;
    è quindi fondamentale facilitare la registrazione di medicinali omeopatici, a tutela del diritto di scelta terapeutica dei cittadini e di cura del medico nonché di sicurezza per la popolazione,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le iniziative normative e regolamentari necessarie per garantire l'effettiva applicazione delle disposizioni concernenti le procedure e i requisiti per la registrazione semplificata dei medicinali omeopatici, di cui al decreto-legge 12 settembre 2012, n. 158, e del decreto ministeriale del 21 dicembre 2012, garantendo, fra l'altro, i seguenti obiettivi:
    a) la ricostituzione di un tavolo di confronto fra le aziende produttrici ed Aifa per la definizione nel dettaglio delle procedure per la registrazione previste dal decreto legislativo n. 158 del 2012;
    b) tempi necessari alle aziende omeopatiche e ad Aifa per espletare le pratiche relative all'applicazione delle norme vigenti, eventualmente valutando l'opportunità di prorogare i tempi di attuazione della normativa stessa;
    c) la sostenibilità delle disposizioni riconsiderando l'entità delle tariffe previste dal decreto del Ministero della salute del 21 dicembre 2012.
(7-00033) «Fossati, Lenzi, Grassi, Patriarca, Casati, Iori, Biondelli, Miotto».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la crisi della filiera cunicola italiana persiste da alcuni anni e si è acuita nel periodo più recente;
    a partire dal 2007 le quotazioni del prezzo del coniglio all'origine in Italia riportano consistenti abbattimenti, cosa che appare anomala e incoerente con il trend di aumento dei carburanti e dei mangimi, come da dati dell'Associazione nazionale dei produttori di alimenti zootecnici, Assalzoo; l'anomalia è tanto più consistente in quanto l'offerta nazionale di conigli è di fatto sempre più scarsa, con i prezzi alla produzione in discesa;
    molti produttori italiani da anni denunciano un ingiustificato aumento delle importazioni della carne di coniglio, caratterizzata da prezzi insolitamente bassi;
    nel corso del 2009 l'intera Europa ha appreso dagli organi di informazione dei problemi di maltrattamento e di igiene in importanti settori della filiera cunicola ungherese, cosa che è corrisposta nella scelta di molti importatori, tra cui alcuni italiani, di bloccare o limitare l’import di settore dall'Ungheria;
    il 12 maggio 2009 la Commissione agricoltura del Senato ha approvato la risoluzione n. 7-00025 con l'impegno per il Governo ad assumersi la responsabilità di una batteria di misure per fronteggiare la crisi del settore cunicolo;
    il 29 aprile 2010, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è stato stabilito un «Piano di intervento per il settore cunicolo» atto ad aiutare il settore in crisi; detto piano ad oggi non è risultato utile in termini reali di efficacia;
    alcune regioni hanno deliberato lo stato di crisi del settore chiedendo l'attivazione del fondo per le crisi di mercato di cui all'articolo 1, comma 1072, della legge 27 dicembre 2006, attivazione a cui non si è potuto attendere anche a seguito di alcune incongruità con la normativa comunitaria;
    il 27 luglio 2011 la Commissione agricoltura della Camera ha approvato la risoluzione n. 8-00141 con cui impegnava il Governo ad assumere una serie di ulteriori misure per fronteggiare la crisi del settore cunicolo;
    nella risoluzione n. 8-00141 della Camera veniva rilanciato l'allarme sulla crisi di settore impegnando il Governo tra l'altro ad avviare una campagna di controlli sulle vendite sottocosto e sulla vendita di carne di coniglio, al fine di reprimere il commercio di prodotti falsamente indicati come nazionali e attivare uno specifico programma di controlli per contrastare qualsiasi fenomeno di contraffazione e di pirateria nel settore;
    nel maggio del 2013 è stata presentata all'onorevole Mazzoni del Parlamento europeo una petizione sulla grave confusione esistente sul mercato cunicolo; la Commissione per le petizioni ha aperto immediatamente un dossier chiedendo l'intervento della Commissione europea sui profili di violazione delle norme in materia di etichettatura e tracciabilità;
    la stessa onorevole Mazzoni in una dichiarazione rilasciata in occasione della presentazione della sua petizione ha affermato: «Credo sia utile agire con prontezza alle necessarie indagini al fine di evitare che il commercio della carne di coniglio diventi un nuovo possibile scandalo comunitario che vede coinvolto il nostro paese»;
    nella grande distribuzione organizzata (GDO) in molte parti d'Italia permangono forti elementi di incertezza per il consumatore sulla provenienza della carne di coniglio venduta a prezzi notevolmente bassi;
    da circa due anni le importazioni italiane di coniglio hanno subito una metamorfosi nelle quote imputabili alle diverse aree di provenienza e presentano alcune anomalie. La Germania, pur non essendo un produttore europeo di conigli, ha occupato gli spazi dell'Ungheria, sicché mentre nel 2010 la quota di mercato in volume dell'Ungheria nel mercato italiano era del 45,2 per cento, nel 2012 si è ridotta al 6 per cento, mentre quella della Germania è passata dal 10,6 per cento al 41,3 per cento nello stesso periodo di riferimento; le dimensioni delle esportazioni tedesche verso l'Italia hanno così superato quelle di Spagna e Francia insieme, che notoriamente sono al secondo e terzo posto tra i produttori europei dopo l'Italia. Il volume di importazione per l'Italia (dalla sola Germania) è pari a circa duemila tonnellate all'anno, persistendo dubbi sulla provenienza di detti conigli (congelati o refrigerati) da altre zone europee o extraeuropee;
    oltre alla possibile presenza sul mercato italiano di carni di coniglio di dubbia qualità che possono mettere a rischio la salute dei consumatori, comunque caratterizzate da provenienze confuse, sfiorando, tra l'altro, il reato di frode in commercio, sussiste in ogni caso nel settore una forte distorsione della concorrenza;
    la distorsione della concorrenza avviene sia immettendo sul mercato italiano carni di coniglio di bassa qualità ed extraeuropee sia per esempio con metodi di dumping scorretto;
    i comportamenti scorretti nel commercio internazionale, che i macellatori italiani sinora non hanno ancora contrastato, prefigurano un'ipotesi di dumping: il surplus di conigli macellati francesi, ad esempio, viene immesso in commercio in Italia ad un prezzo inferiore al valore normale del prodotto praticato all'interno del Paese di origine; tale fenomeno che si ripete ciclicamente da aprile ad agosto di ogni anno, delinea una discriminazione internazionale dei prezzi che non tiene conto delle perdite dei produttori italiani, tende a favorire pratiche di monopolio e altera la struttura del commercio tra Stati europei;
    risulta infatti che alcuni macellatori e grossisti abbiano dichiarato d'importare dalla Francia o dalla Spagna conigli macellati a prezzi (euro 2,70-2,90 al chilogrammo) sensibilmente inferiori a quelli praticati negli stessi mercati di origine, che secondo i dati forniti da Ismea sono invece quasi intorno al doppio (euro 5,00-5,20 al chilogrammo);
    risulta infine che alcuni macellatori, presenti sia nella filiera cunicola che in quella suinicola, barattino conigli dall'estero in cambio di maiali italiani o altre forniture zootecniche (countertrade), lasciando alla regolamentazione in denaro un ruolo marginale,

impegna il Governo:

   ad illustrare quale sia, ad oggi, lo stato di attuazione di quanto previsto nella risoluzione unanime del luglio 2011 della Commissione agricoltura della Camera e nella risoluzione unanime del maggio 2009 della Commissione agricoltura del Senato;
   ad illustrare quale sia, ad oggi, lo stato di attuazione del piano di settore, da cui doveva scaturire una politica di sostegno e sviluppo, e se i tempi della pianificazione indicati nel piano siano stati rispettati;
   a valutare se intenda assumere le opportune iniziative per garantire la trasparenza delle informazioni attraverso la costituzione di una banca dati di macellazione che utilizzi le informazioni a disposizione del Ministero della salute attraverso la rete asl e i dati import-export attraverso il collegamento in rete con l'Agenzia delle dogane;
   a sollecitare le autorità europee al fine di indagare sulla presenza di aiuti di Stato vietati o comportamenti anticoncorrenziali (dumping) da parte di alcuni Stati membri dell'Unione, le cui imprese praticano prezzi diversi sui vari Stati membri dell'Unione creando di fatto una barriera al libero commercio internazionale;
   a sollecitare le autorità europee al fine di indagare se gli scambi commerciali in cui l'esportatore accetta in pagamento dal Paese importatore prodotti che poi rivenderà su altri mercati (countertrade) non siano una modalità anticoncorrenziale tesa a rendere competitivi certi prodotti abbassando il loro valore di scambio, di accertare se con tale modalità, anziché generare scambi addizionali si sostituiscono quelli tradizionali, creando di fatto un ostacolo al libero commercio internazionale nonché di verificare la redditività delle operazioni atteso che i beni oggetto dello scambio di solito vengono considerati di valore equivalente;
   a sollecitare le autorità europee, in particolare la Commissione e l'Organizzazione mondiale delle dogane di Bruxelles, ad evitare errori nella classificazione delle merci attraverso l'esatta individuazione del codice di nomenclatura combinata per le carni di coniglio differenziandolo chiaramente dalle lepri, in modo da poter rimuovere gli ostacoli ad una corretta rilevazione statistica e contrastare la contraffazione in questo settore;
   a sollecitare le opportune sedi comunitarie al fine di prevedere l'obbligo di etichettatura di origine anche per le carni di coniglio sia intero che, soprattutto, porzionato, al fine di prevenire frodi e inganni ai consumatori ai quali da tempo viene venduto per italiano un prodotto che italiano non è;
   ad avviare, a tutela della salute pubblica, di concerto tra ispettorato centrale repressione frodi, Ministero della salute e Agenzia delle dogane, un programma nazionale di monitoraggio e di controllo specifico nel settore attraverso controlli sanitari al fine di indagare sulla presenza di residui nel prodotto importato, in primis nei reni, presso laboratori di sezionamento e in particolare nei depositi di carni all'ingrosso, nei magazzini frigoriferi in outsourcing e sulle navi frigo destinate al trasporto di carico refrigerato, congelato o surgelato che attraccano nei porti italiani;
   ad accertare la lealtà delle transazioni attraverso il controllo degli effettivi flussi fiscali di animali importati presso tutte le industrie di macellazione di conigli e i laboratori di sezionamento e la coerenza nella tracciabilità sino alle piattaforme della distribuzione organizzata, al fine di prevenire e reprimere frodi di natura fiscale;
   ad accertare presso i laboratori di sezionamento carni la regolare tenuta della documentazione amministrativo-contabile (tracciabilità) relativa alla detenzione di conigli importati e la corretta rietichettatura come conigli provenienti dall'estero e non dall'Italia, al fine di prevenire e reprimere frodi in commercio;
   a chiedere, a tutela della concorrenza e del benessere dei consumatori, l'apertura di un'indagine conoscitiva da parte dell'Autorità garante del mercato e della concorrenza in materia di mercato delle carni di coniglio.
(7-00032) «Gagnarli, Zaccagnini, Lupo, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gallinella, L'Abbate, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   i decreti-legge n. 5 del 2012, n. 83 del 2012 e n. 179 del 2012 hanno dato avvio alla realizzazione dell'Agenda digitale italiana, in coerenza con le indicazioni della comunicazione della Commissione europea relativa all'Agenda digitale europea (COM(2010)245);
   in particolare, il decreto-legge n. 5 del 2012 ha istituito presso il Ministero dello sviluppo economico una cabina di regia interministeriale con il compito di accelerare il percorso di attuazione dell'Agenzia, coordinando gli interventi dei diversi soggetti pubblici; il decreto-legge n. 83 del 2012 ha proceduto all'istituzione di un'Agenzia per l'Italia digitale finalizzata alla promozione della realizzazione dell'Agenda digitale; il decreto-legge n. 179 del 2012 ha inserito nell'ordinamento numerose disposizioni volte a dare attuazione dell'Agenda;
   il processo di attuazione dell'impianto normativo sopra richiamato si sta però rivelando faticoso: in particolare l'Agenzia per l'Italia digitale non risulta ancora operativa, non essendone stato emanato il relativo statuto e, in base alle stime compiute, dei quarantasette atti (regolamenti, decreti ministeriali, regole tecniche) di attuazione previsti solo quattro risultano già emanati, pur essendo in molti casi già scaduti i relativi termini;
   a fronte di questa lentezza, l'attuazione dell'Agenda digitale mantiene intatto il suo valore di priorità strategica per il Paese;
   infatti, le rilevazioni di numerose istituzioni internazionali confermano il potenziale impatto economico dello sviluppo delle misure previste dall'Agenda digitale: ad esempio, studi della Banca mondiale evidenziano come un aumento della percentuale di diffusione della banda larga di dieci punti possa generare un aumento di 1,21 punti percentuali del prodotto interno lordo pro capite nelle economie dei Paesi sviluppati;
   nel contesto italiano, appare in particolare urgente una politica di promozione della banda ultralarga che veda un impegno maggiore di quanto finora perseguito nello sviluppo, a fianco della realizzazione delle reti in fibra ottica, dei sistemi di trasmissione wireless, a partire dal sistema che appare più promettente, Lte;
   a tal fine, andrebbero agevolato l'utilizzo per tali sistemi delle bande di frequenza fin qui utilizzate per lo spettro radiotelevisivo, in coerenza con le indicazioni dell'Unione europea;
   la promozione dei sistemi wireless richiede anche un ripensamento della disciplina legislativa in materia: infatti la soppressione per gli esercizi pubblici e i circoli privati dell'obbligo di licenza da parte della questura per l'installazione di zone wi-fi e dell'obbligo di monitoraggio dell'accesso alla rete (obblighi previsti dal decreto-legge n. 144 del 2005, cosiddetto «decreto Pisanu», e soppressi con il decreto-legge n. 225 del 2010) non sembra aver prodotto, in termini di diffusione di tale tecnologia, i risultati sperati; d'altra parte un'ampia diffusione del wi-fi libero, anche se limitato, può essere un valore aggiunto per l'offerta turistica del nostro Paese, dal momento che molti turisti tendono a privilegiare le zone con copertura wi-fi che permette loro di trovare più facilmente informazioni su Internet e rendere la loro esperienza turistica migliore; permane pertanto l'esigenza, da un lato, di individuare adeguate misure di incentivazione della diffusione del wi-fi libero, e, dall'altro lato, di evitare che vengano richiesti agli utenti delle zone wi-fi forme di identificazione particolarmente complesse e quindi disincentivanti all'utilizzo della rete, privilegiando forme di autenticazione federata;
   con riferimento a tale ultimo profilo andrebbe peraltro chiarita in modo inequivoco l'avvenuta abrogazione del decreto ministeriale 16 agosto 2005, contenente tutti gli obblighi di identificazione e monitoraggio degli utenti delle zone wi-fi, in quanto emanato in attuazione del comma 4 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 144 del 2005, abrogato dal decreto-legge n. 225 del 2010; conseguentemente tutti gli obblighi di identificazione e monitoraggio devono intendersi venuti meno;
   un altro aspetto dell'Agenda digitale suscettibile di notevoli sviluppi è rappresentato dalla messa a disposizione, da parte delle amministrazioni pubbliche, dei propri dati in formato aperto e dal loro riutilizzo, attuando e sviluppando le misure già previste dall'articolo 9 del decreto-legge n. 179 del 2012, in particolare è di fondamentale importanza prevedere che gli stessi sistemi informativi che elaborano i dati all'interno delle pubbliche amministrazioni vengano modificati per aggiungere la funzionalità di esportazione automatica su internet in modo da evitare che l'obbligo alla trasparenza dei dati in formato aperto si trasformi in un enorme sovraccarico per i dipendenti della pubblica amministrazione –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo per assicurare una più rapida attuazione dell'Agenda digitale, a partire dall'emanazione dello statuto dell'Agenzia per l'Italia digitale;
   quali siano i motivi, a parere del Governo, per cui nonostante da molti anni le forze politiche siano tutte concordi nell'affermare che l'informatizzazione e la digitalizzazione siano di fondamentale importanza per il nostro Paese, questo abbia accumulato un enorme ritardo rispetto agli altri Paesi europei, e quali siano le contromisure che il Governo ha adottato o intende adottare per evitare che questo ritardo continui ad accumularsi;
   se il Governo non intenda individuare, a fronte dell'organismo tecnico dell'Agenzia, un forte centro di coordinamento politico per l'attuazione dell'Agenda digitale, superando il coordinamento «debole» rappresentato dalla cabina di regia;
   se non si ritenga che, in consideratone del carattere strategico e trasversale rispetto alle competenze dei singoli Ministeri dell'Agenda digitale, tale centro di coordinamento debba essere individuato in apposite strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri.
(2-00088) «Coppola, Parrini, Gelli, Rosato, Bruno Bossio, Magorno, Tullo, Blazina, Bonafè, Capodicasa, Mariastella Bianchi, Lotti, Martelli, Nardella, Cardinale, Vazio, Marantelli, Rughetti, Zanin, Brandolin, Velo, Gozi, Malisani, Rotta, Fregolent, Paolucci, Gandolfi, Mura, Bonaccorsi, Fossati, Rubinato, Luciano Agostini, Pollastrini, Bellanova, Valeria Valente, Stumpo, Zoggia».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari esteri, il Ministro per gli affari europei, per sapere – premesso che:
   Eni SpA è una società per azioni quotata in borsa i cui azionista di maggioranza è il Governo italiano, tramite il Ministero dell'economia e finanze e la Cassa depositi e prestiti (anche questa controllata dallo stesso Ministero);
   il 7 dicembre 2011 l'agenzia stampa Reuters ha riportato la notizia dell'acquisto da parte di Eni Spa e dell'anglo-olandese Royal Dutch Shell della concessione OPL 245 situata al largo del delta del fiume Niger, in Nigeria per l'ammontare di oltre 1 miliardo di dollari. Secondo l'agenzia, Eni e Shell avrebbero acquistato la licenza al 50 per cento e Eni sarebbe l'operatore;
   secondo lo stesso articolo, la proprietà della licenza sarebbe della società nigeriana Malabu Oil and Gas, di proprietà dell'ex Ministro del petrolio nigeriano del governo militare di Sani Abacha, Dan Etete; tuttavia Eni e Shell avrebbero pagato il governo nigeriano;
   il 23 giugno 2011, il quotidiano La Repubblica riporta in un articolo degli stralci delle testimonianze di Luigi Bisignani e Gianluca Di Nardo che fanno riferimento all'acquisto della suddetta licenza. In particolare l'articolo riporta che Gianluca Di Nardo avrebbe affermato «Conosco Bisignani da 15 anni – parlai con lui di un potenziale investimento in centro Africa: seppi che il mio contatto africano Dan Etete (quello che chiamiamo “il ciccione”), già ministro del petrolio in Nigeria, voleva cedere una concessione petrolifera, e si era già rivolto a Eni, a Total e a Shell. Mi rivolsi proprio a Bisignani perché era noto che era legato ai vertici dell'Eni»; e ancora «I dirigenti locali dell'Eni in Nigeria si erano messi in contatto direttamente con Etete, avevano scavalcato me e la banca d'affari. Ribadisco che non se ne è fatto più nulla»;
   il 12 novembre 2012 l'agenzia stampa Reuters ha riportato che alcuni quotidiani nigeriani avrebbero ripreso la dichiarazione del Ministro della giustizia nigeriano Mohammed Adoke nel maggio 2012 secondo cui «Shell e Eni si sarebbero accordate per pagare la società Malabu per il blocco OPL 245, con l'intermediazione del governo nigeriano»;
   lo stesso articolo ha riportato una dichiarazione dell'organizzazione inglese anti-corruzione Global Witness secondo cui «se Shell e Eni sapevano che il destinatario ultimo del pagamento sarebbe stata la società Malabu e Dan Etete, allora questa transazione potrebbe essere stata fatta in violazione della normativa anti-corruzione del Regno Unito»;
   l'11 maggio 2013, il quotidiano La Repubblica riprende alcuni dei punti sollevati da Simon Taylor direttore di Global Witness, intervenuto durante l'assemblea degli azionisti dell'Eni svoltasi a Roma il 10 maggio 2013. In particolare l'articolo riporta che secondo Global Witness «Eni e Shell si accordarono per ottenere la concessione di sfruttamento di un campo petrolifero al largo dei Delta del Niger, sapendo che questo avrebbe portato a un pagamento a ex funzionari del governo nigeriano. Le corporation avrebbero dovuto sapere che un pagamento del genere era illegale»;
   secondo lo stesso articolo, due intermediari esclusi dalla ripartizione del compenso da Dan Etete avrebbero fatto causa alla società Malabu a New York e a Londra, arrivando a ottenere il congelamento di 215 milioni di dollari fermi per mesi su un conto del governo nigeriano alla JP Morgan. Questa somma sarebbe spettata alla società Evp, il cui titolare è il nigeriano Emeka Obi, «oltre il prezzo di acquisto». Come segnalato nell'articolo «La percentuale dovuta a Obi era dunque un ammontare inconsueto (19 per cento circa, ndr) persino per questo genere di affari, che secondo Etete doveva essere spartito anche con alcuni dirigenti della compagnia petrolifera italiana»;
   il 17 maggio 2013, il mensile Altreconomia riporta sul proprio sito web che l'Amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni avrebbe risposto in modo evasivo alle domande poste da Simon Taylor in merito ai diversi incontri avvenuti tra top manager dell'azienda e Dan Etete prima della firma del contratto, come anche sull'altissima commissione richiesta da uno dei due intermediari, Emeka Obi;
   nel luglio 2010 il Dipartimento di Giustizia (DoJ) e la Security and Exchange commission (SEC) del Governo degli Stati Uniti hanno dichiarato l'allora Snamprogetti (oggi Saipem, controllata da Eni) e altre tre aziende partner nel consorzio TSKJ di avere pagato tangenti per 182 milioni di dollari al Governo nigeriano per aggiudicarsi il contratto per la costruzione dell'impianto di liquefazione del gas di Bonny Island, in Nigeria. L'Eni ha dovuto pagare una multa di 365 milioni di dollari alle autorità statunitensi, e nell'ambito dello stesso patteggiamento, ha firmato un Accordo («deferred prosecution agreement») in base al quale l'Eni sostanzialmente riconosceva la propria colpevolezza nell'aver violato la legge statunitense anti-corruzione (US Foreign and Corrupt Practices Act, FCPA) e si impegnava ad adottare e implementare entro i due anni successivi un adeguato sistema anti-corruzione per prevenire future violazioni della stessa normativa;
   come segnalato nel dossier presentato dalla Fondazione culturale responsabilità etica all'Eni, in vista dell'assemblea degli azionisti del 10 maggio 2013 nel corso della precedente assemblea degli azionisti, in data 8 maggio 2012, l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni avrebbe dichiarato che «lo strumento principale dell'Eni per gestire gli scandali è un adeguato ed efficace sistema interno di controllo e gestione del rischio, basato sulle migliori pratiche internazionali e valutato su base annua dal Board sulla base dei rapporti degli organi competenti. Speciale attenzione viene dedicata al sistema per la prevenzione dei crimini in violazione della legge n. 231, anti-corruzione, al rispetto dei codice etico aziendale»;
   la procura di Milano negli ultimi anni ha aperto diverse indagini su eventuali reati di corruzione associati ad attività specifiche di Eni o sue controllate in Kazakistan, Iraq, Nigeria e Algeria –:
   se il Governo, in qualità di principale azionista dell'Eni Spa intenda chiarire;
   se i Ministri interpellati siano informati dei numerosi incontri intercorsi nel periodo 2009-2011 tra Claudio Descalzi, Vincenzo Armanna e Roberto Casula, per conto di Eni, e Dan Etete, titolare della società Malabu già condannato per riciclaggio in Francia nel 2007, e quali siano la natura, l'obiettivo e i contenuti di tali incontri;
   se i Ministri siano informati della relazione tra Luigi Bisignani, Gianluca Di Nardo e gli alti dirigenti Eni in riferimento al caso in questione, e quali provvedimenti abbia messo in atto per verificare se vi siano stati rapporti diretti tra Eni e Dan Etete in seguito alla pubblicazione della testimonianza di Di Nardo;
   quale sia la posizione del Governo riguardo ai recenti scandali di corruzione internazionale in cui è coinvolta l'azienda per fatti avvenuti tra il 2010 e oggi, in particolare nel periodo di pendenza coperto dal «Deferred prosecution Agreement» firmato con le autorità statunitensi, date le responsabilità dirette al riguardo del Governo italiano in seguito agli accordi internazionali anti-corruzione firmati in sede OCSE;
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere con urgenza perché sia fatta chiarezza rispetto al caso Malabu/OPL 245 vista la probabile inadeguatezza del codice di condotta interno o della sua implementazione da parte del management dell'Eni;
   fino a che punto la dirigenza Eni fosse a conoscenza del fatto che il beneficiario ultimo del pagamento per l'acquisto della concessione OPL 245 sarebbe stata la società Malabu e Dan Etete, già condannato per riciclaggio, anche visto che lo stesso accordo di acquisto dice che «per il pagamento [...] della somma di USD 1.092.040.000 in un escrow account finalizzato a permettere al Governo Federale della Nigeria di risolvere tutte le controversie in essere sulla concessione 245 [...];
   se risulti per quali ragioni il pagamento sia avvenuto in un conto escrow a Londra e non sul conto del Governo federale nigeriano titolato a gestire la compravendita di concessioni petrolifere;
   se il Governo in quanto maggiore azionista di Eni SpA, fosse a conoscenza di queste operazioni dell'azienda, e nel caso non lo fosse stato, che cosa abbia intenzione di fare a riguardo.
(2-00090) «Di Battista, Lupo, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Battelli, Marzana, Barbanti, Vacca, Dall'Osso, Scagliusi, Sibilia, Parentela, Cristian Iannuzzi, Nicola Bianchi, De Rosa, Daga, Liuzzi, De Lorenzis, Brugnerotto, Artini, Alberti, Currò, Pisano, Vignaroli, Zolezzi, Cariello, Della Valle, Nuti, Spessotto, Corda».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DA VILLA, SPESSOTTO, COZZOLINO, ZACCAGNINI, BRUGNEROTTO, D'INCÀ e BENEDETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dopo la tragedia della nave da crociera «Costa Concordia» all'isola del Giglio è stato emesso, in data 2 marzo 2012, un decreto interministeriale (sottoscritto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Clini, e da quello delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, Passera) che, per la laguna di Venezia, vieta il transito delle navi superiori alle 40.000 tonnellate di stazza nel bacino di S. Marco e nel canale della Giudecca;
   tale divieto non viene applicato in attesa della soluzione alternativa che lo stesso decreto demanda alla autorità marittima con il risultato che a tutt'oggi il traffico delle grandi navi da crociera di oltre 130.000 tonnellate di stazza (oltre 300 metri di lunghezza, 40 metri di larghezza, 60 metri di altezza) non solo continua, ma sta addirittura aumentando;
   come se non fosse stata sufficiente la tragedia dell'isola del Giglio si è purtroppo assistito di recente ad un'altra strage nel porto di Genova che dimostra ancora una volta che, pur in presenza di condizioni ottimali, il tragico evento è sempre possibile, per cui si ripropone drammaticamente l'urgenza di una soluzione per l'allontanamento definitivo delle grandi navi crociera dal delicatissimo ecosistema della laguna (peraltro tutelata dalla legislazione speciale per Venezia) e dal tessuto urbano della città di Venezia;
   non risulta, allo stato attuale, che sia stata assunta alcuna iniziativa concreta sul tema nonostante la forte preoccupazione dell'opinione pubblica veneziana, nazionale ed internazionale, che si è espressa attraverso numerose manifestazioni ed una petizione popolare di oltre 12.500 firme raccolte dal Comitato no grandi navi, unitamente alle specifiche prese di posizione del comune di Venezia attraverso le norme urbanistiche del nuovo PAT (piano di assetto del territorio);
   la proposta avanzata dall'autorità portuale di Venezia di scavare un nuovo canale (S. Angelo Contorta) in mezzo alla laguna per una lunghezza di 5 chilometri, una larghezza di 100 metri ed una profondità di 12 metri avrebbe conseguenze gravissime per l'equilibrio idrodinamico e per gli aspetti morfologici della laguna veneta;
   tale proposta sta sollevando un'ondata di proteste da parte dell'opinione pubblica, con una mobilitazione di massa, e vede il pronunciamento contrario dei comuni di Venezia, di Mira e della provincia di Venezia;
   esistono delle ulteriori opzioni alternative al passaggio delle navi in bacino San Marco, ovviamente da approfondire sotto il profilo tecnico-ambientale e da studiare attraverso un concorso internazionale di idee, con il mantenimento delle navi da crociera anche al di fuori della laguna (creazione di una struttura reversibile nello spazio interno o comunque in prossimità della bocca del lido con possibile beneficio legato ad una variante in corso d'opera del progetto MOSE in ragione della necessità d'una minore profondità della bocca del lido stessa) –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per attuare quanto previsto dal decreto interministeriale del 2 marzo 2012, con quali tempi di esecuzione e impegni finanziari;
   quali strumenti il Governo intenda porre in essere per garantire procedure trasparenti affinché le decisioni siano prese dopo un confronto tra soluzioni progettuali differenti fra loro e con la consultazione di tutti i soggetti interessati così come prevede la normativa in materia ambientale per la realizzazione di opere di interesse pubblico di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», come modificato dal successivo decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, per quanto attiene le procedure di VIA (valutazione di impatto ambientale), VAS (valutazione ambientale strategica) ed AIA (autorizzazione integrata ambientale);
   quali iniziative di competenza il Governo intenda attuare per far sì che l'autorità portuale di Venezia proceda, pur con ritardo ventennale, all'attuazione della legge 28 gennaio 1994, n. 84, «Riordino della legislazione in materia portuale», che prescrive, all'articolo 5, una generale pianificazione, d'intesa con i comuni interessati, per la stesura di PRP (piano regolatore portuale) e della relativa valutazione di impatto ambientale, visto che il precedente strumento risale al 1904 e considerato che l'autorità portuale di Venezia è l'unica in Italia a non aver ancora provveduto. (5-00297)


   NICOLA BIANCHI e DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 134 del 2008 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2008), con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2008 Alitalia linee aeree italiane spa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria ed è stato nominato quale commissario straordinario il professor Augusto Fantozzi;
   con successivi decreti del Ministro dello sviluppo economico in data 15 e 16 settembre 2008 sono state ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, con individuazione del commissario straordinario nel medesimo professor Fantozzi, anche le società del gruppo Alitalia servizi spa; Alitalia express spa; Alitalia airport spa; Volare spa;
   l'articolo 15, comma 5, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha previsto, «al fine di contenere i tempi di svolgimento delle procedure di amministrazione straordinaria» che nelle grandi imprese in stato di insolvenza il commissario monocratico sia affiancato da due ulteriori commissari;
   conseguentemente all'entrata in vigore del decreto-legge, il 19 luglio 2011 il commissario straordinario Fantozzi ha presentato le sue dimissioni, ritenendo fosse «venuta meno la fiducia del Governo nei suoi confronti» (comunicato del 19 luglio 2011 in www.alitaliaamministrazionestraordinaria.it); il Consiglio dei ministri ha quindi provveduto, con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 ed 8 agosto 2011 alla nomina a commissari straordinari del professor Stefano Ambrosini, del professor Gianluca Brancadoro e del professor Giovanni Fiori (comunicato del 1o settembre 2011 in www.alitaliaamministrazionestraordinaria.it);
   in data 18 luglio 2011 (il giorno prima delle dimissioni, quindi) il commissario straordinario Fantozzi aveva depositato presso il Ministero dello sviluppo economico e il Comitato di sorveglianza istanza di autorizzazione ai fini della preposizione dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci nella procedura di amministrazione straordinaria relativa ad Alitalia;
   in base a notizie di stampa l'azione di responsabilità sarebbe stata rivolta, per tre miliardi di euro, nei confronti di quarantatré persone, tra amministratori e sindaci, per la gestione del periodo 2003-2008; peraltro nell'ultima relazione depositata dal commissario Fantozzi, nel febbraio 2011, ci si esprimeva ancora in senso dubitativo sull'opportunità di avviare un'azione di responsabilità poiché «non poteva escludersi che i costi necessari all'istruzione ed all'esercizio delle azioni di responsabilità eccedano, in concreto, l'importo che potrebbe eventualmente recuperarsi a seguito del vittorioso esperimento delle azioni e dell'esecuzione delle relativa condanne» (paragrafo 8.4.2 pagina 246);
   al riguardo, la prima relazione presentata dai nuovi commissari, nel dicembre 2011, segnala che sull'istanza presentata dal precedente commissario il comitato di sorveglianza, nel corso della seduta del 27 luglio 2011, «al fine di evitare che la proponenda azione di responsabilità non sia esposta a possibili eccezioni di genericità e indeterminatezza [...] ha [...] rilevato la necessità di adeguati approfondimenti» con riferimento alla «consumazione o meno dei relativi termini prescrizionali»; «all'individuazione degli specifici fatti dannosi riferibili a ciascuno»; alla «verifica del criterio di determinazione del danno in relazione al contributo causale apportato da ciascuno dei convenuti» (p. 107);
   nel frattempo, come segnalato dall'ultima relazione semestrale relativa ad Alitalia linee aeree italiane spa, aggiornata al 31 dicembre 2012, il procedimento penale per bancarotta fraudolenta avviato fin dal 2008 dalla procura della Repubblica di Roma ha concluso la fase delle indagini preliminari con la decisione del 19 febbraio 2013 del giudice per l'udienza preliminare di rinviare a giudizio, fissando per il 18 giugno 2013 la prima udienza dibattimentale innanzi alla IV sezione penale del Tribunale di Roma, in qualità di precedenti amministratori o dirigenti apicali del gruppo Alitalia, Giancarlo Cimoli, Francesco Mengozzi, Gabriele Spazzadeschi, Pierluigi Ceschia, Gennaro Tocci; in tale procedimento i commissari straordinari si sono costituiti parte civile, avanzando una richiesta di risarcimento per 745.274.342,30 euro (paragrafo VI.1 pagine 27-29);
   la medesima relazione annuncia il deposito presso il Ministero dello sviluppo economico e il comitato di sorveglianza di una nuova azione civile di responsabilità contro i medesimi amministratori e dirigenti per un valore di 82.200.000 euro, relativa alla sola società Alitalia linee aeree italiane spa (paragrafo VI.2, pagine 29-31), mentre non si è ritenuto esistessero gli estremi per avanzare eguale istanza con riferimento ad Alitalia servizi (cfr. la relativa relazione, paragrafo VI.2, pagine 22-24); Alitalia Airport (cfr. la relativa relazione, paragrafo V1.2, pagine 16-17); Alitalia Express (cfr. la relativa relazione, paragrafo VI.2, pagina 16) e Volare (paragrafo VI.2, pagine 16-17);
   l'azione di responsabilità sarebbe prossima alla prescrizione (fra 4 mesi) –:
   quali siano le differenze tra l'azione di responsabilità prospettata dal precedente commissario Fantozzi e quella avviata dai commissari Ambrosini, Brancadoro e Fiori;
   quali siano le motivazioni di tali differenze e se il lasso di tempo intercorso tra le due iniziative sia giustificato da ragioni oggettive, anche nell'ottica del rispetto di quel «contenimento dei tempi delle procedure di amministrazione straordinaria delle imprese» che la riforma della gestione commissariale operata con il decreto-legge n. 98 del 2011 intendeva garantire. (5-00299)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FARAONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in ordine alla rimozione, trasferimento e smaltimento della Costa Crociera arenatasi all'Isola del Giglio dopo i ben noti e tragici fatti, il Governo ha ritenuto di indicare il porto di Piombino come destinazione delle operazioni di smaltimento;
   tale decisione, quale unica proposta della regione Toscana emersa in sede di conferenza di servizi, sembra sia stata assunta frettolosamente dal Governo – Consiglio dei ministri dell'8 marzo 2013 (almeno a dar retta al tenore delle interviste rilasciate dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore), «per evitare che rimanesse incertezza sulla destinazione del relitto e potesse verificarsi il trasferimento extraeuropeo della Concordia»;
   lo stesso Consiglio dei ministri, nell'assumere la decisione, tuttavia ha subordinato la fattibilità della stessa, dando mandato al commissario Franco Gabrielli, congiuntamente ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e delle infrastrutture e dei trasporti, «di effettuare la verifica di fattibilità del progetto della Regione, in particolare accertando se i lavori già previsti dal piano regolatore portuale per l'adeguamento di fondali e banchine – e per i quali sono disponibili le risorse finanziarie necessarie – possono essere completati in tempo utile per consentire il ricovero del relitto previsto per la fine di ottobre 2013»;
   tale decisione, seppure comprensibile per la vicinanza della struttura portuale al luogo del disastro, tuttavia non è efficace rispetto alla risoluzione del problema e non è economicamente vantaggiosa perché non consente di realizzare entro i termini previsti di ottobre 2013, l'attesa rimozione e il trasferimento, stante che il porto di Piombino non è adatto, nelle condizioni attuali, a garantire le complesse operazioni di carenaggio necessarie all'accoglienza della nave e all'espletamento delle altrettanto complesse operazioni di smaltimento che la stazza del relitto richiedono, avendo necessità, per lo svolgimento del compito individuato, da una parte, di notevoli e prioritari, indispensabili, lavori di adeguamento il cui costo presunto si aggira a circa 140 milioni di euro; dall'altra, dovendosi rispettare i necessari tempi tecnici di esecuzione (acquisizione delle valutazioni di incidenza e di impatto ambientale, espletamento delle procedure di affidamento), operazioni e procedure, queste, complesse e lunghe, che difficilmente consentono la rimozione e dismissione della nave entro il termine prefissato;
   al fine di rispettare i termini fissati per la rimozione della nave (ottobre 2013) è utile e conveniente individuare una struttura portuale alternativa già in grado di poter accogliere la nave per poter procedere celermente alle operazione di smaltimento senza ulteriore aggravio di spesa e con un enorme vantaggio anche in termini di sicurezza per la dimensione e le caratteristiche della cantieristica richiesta per tali complesse operazioni;
   prioritario e urgente è il rispetto assoluto del termine fissato per il mese di ottobre 2013 quale termine ultimo per la rimozione della nave e ciò anche al fine, da una parte, di ripristinare, quanto più celermente possibile, le condizioni ambientali dell’habitat marino ex ante alterate in conseguenza dell'arenaggio della Costa Crociera; dall'altra ripristinare le normali condizioni di abitabilità dell'isola gravemente colpita e danneggiata nei suoi interessi economici;
   a tal fine è possibile individuare e scegliere altre strutture portuali esistenti nell'area del bacino tirrenico, quali, per esempio, il porto di Palermo che è in grado di accogliere e sovrintendere, fin da subito, a tutte le complesse operazioni di smaltimento in quanto è dotato di uno dei maggiori cantieri navali italiani e del bacino del Mediterraneo e di una fra le più qualificate maestranze di settore –:
   se non si ritenga opportuno e doveroso rivedere e riconsiderare la scelta operata di individuare il porto di Piombino quale sito adatto per lo smaltimento della Costa Crociera, in quanto non in grado, alle condizioni strutturali attuali, di accogliere la nave se non prima di consistenti e costosi interventi di adeguamento strutturale nonché di complesse procedure burocratiche per l'affidamento e l'esecuzione dei lavori di adeguamento e di garantire, per ciò stesso, il rispetto del termine prefissato quale conclusione delle operazioni di rimozione e smaltimento non più procrastinabile;
   se corrisponda al vero che in fase di valutazione tecnica, da parte dell'Alto commissario dell'emergenza e della stessa protezione civile, in primo momento, sia stata valutata positivamente la scelta di individuare nel porto di Palermo il sito più idoneo atto ad accogliere il relitto e garantire le complesse operazioni di smaltimento;
   se non si ritenga più saggio e più efficace individuare il porto di Palermo quale porto in grado di accogliere e garantire le complesse operazioni di smaltimento, in quanto già dotato delle necessarie condizioni cantieristiche atte ad assolvere pienamente a tale compito nel pieno rispetto del termine fissato per la conclusione della rimozione della nave (ottobre 2013) e con un notevole risparmio di spesa. (4-00768)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 59 del 14 maggio 2012, convertito dalla legge n. 100 del 12 luglio 2012 (Gazzetta Ufficiale del 13 luglio; entrata in vigore della legge il 14 luglio), recante disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile, all'articolo 3-bis definisce il sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico;
   la finalità del sistema è allertare e attivare il servizio nazionale della protezione civile ai diversi livelli territoriali;
   il governo e la gestione del sistema di allerta nazionale sono assicurati dal dipartimento della protezione civile e dalle regioni, attraverso la rete dei centri funzionali e dal servizio meteorologico nazionale distribuito – SMND, oltre che da reti strumentali di monitoraggio e sorveglianza, dai presidi territoriali, dai centri di competenza e da altri soggetti che vi concorrono;
   il servizio meteorologico nazionale distribuito doveva essere realizzato entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge sopracitata, con compiti stabiliti con decreto del Presidente della Repubblica;
   pertanto, entro il 14 gennaio 2013, si sarebbe dovuto provvedere alla attuazione del servizio meteorologico nazionale;
   risulta inoltre che sia stato messo al lavoro presso la Presidenza del Consiglio, dipartimento della protezione civile, un gruppo coordinato dal presidente dell'ISPRA, dottor De Bernardinis, con il compito di predisporre uno schema di decreto;
   poiché in Italia non è mai stato organizzato un servizio nazionale, ad oggi svolgono funzioni di servizi pubblici nazionali l'Aeronautica militare italiana e l'UCEA (ufficio centrale di ecologia agraria) e il Servizio idrografico mareografico nazionale. Esistono poi servizi privati e servizi regionali (la Società meteorologica italiana, la Società italiana di meteorologia applicata, l'Associazione italiana di Agrometeorologia, l'Associazione geofisica italiana, il sistema delle ARPA, i centri agrometeo e altri);
   l'Italia è infatti l'unico Paese (insieme alla Grecia) del mondo occidentale che ha un servizio meteorologico nazionale militare e non civile;
   all’European Meteorological Society, la federazione di tutte le società meteorologiche europee, che si occupa di scienza dell'atmosfera, di favorire scambi e conoscenze di informazioni scientifiche e di creare un codice europeo per la certificazione professionale della figura di esperto in scienze dell'atmosfera, partecipano infatti diversi soggetti italiani (dall'Associazione italiana di agrometeorologia alla Società meteorologica italiana, dalla Associazione geofisica italiana alla Unione meteorologica del Friuli Venezia Giulia) rispetto alla partecipazione dei singoli servizi nazionali europei;
   il servizio meteorologico dell'Aeronautica militare possiede ad oggi le competenze nazionali nel settore della meteorologia generale in virtù dei decreti della Presidenza della Repubblica n. 1477 del 1965, n. 48 del 1981 e n. 556 del 1999. Partecipa anch'esso ad altri network internazionali, dal OMM dell'ONU al European Metereological Network;
   appare urgente avere un servizio nazionale civile che stia in rete con i servizi nazionali degli altri Paesi e che promuova ricerca, informazione, formazione, e perfino una nuova occupazione in un settore con grandi potenzialità scientifiche e tecnologiche;
   sono trascorsi altri 5 mesi dalla scadenza, senza che siano pervenute informazioni al riguardo –:
   se il gruppo costituito presso la Presidenza del Consiglio, dipartimento della protezione civile, abbia concluso nei tempi previsti i suoi lavori predisponendo uno schema di decreto;
   se tale proposta sia stata portata all'attenzione del Consiglio dei ministri.
(4-00769)


   DI LELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la regione Campania ed il Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno cofinanziato tra il 2008 ed il 2010 due interventi per la riqualificazione delle competenze dei disoccupati di lunga durata denominati Bros e Isola;
   le due iniziative hanno riguardato un bacino di utenza derivante da un percorso che ha visto protagoniste le istituzioni locali nella gestione della fase di transizione dai vecchi uffici di collocamento alla nuova normativa che ha disciplinato l'iscrizione ai nuovi servizi per l'impiego ed ha riguardato migliaia di persone dell'area metropolitana di Napoli;
   tale programma ha visto la partecipazione delle istituzioni sia sul piano locale, regione, comune e provincia, che nazionale, con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   circa 4000 disoccupati hanno partecipato a selezioni per percorsi formativi, preceduti da un primo periodo di «orientamento» di 78 ore (con una spesa di 9 milioni di euro) ed una seconda fase di generica formazione (400 ore finanziate con i fondi POR 2000-2006), finalizzati a sostenere l'inserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro, promossi e finanziati dal Governo (22 milioni di euro), dalla regione Campania (8 milioni di euro) oltre che dalla provincia e dal comune di Napoli;
   al termine di tali programmi denominati I.S.O.L.A., gli aderenti al programma hanno potuto prendere parte a «stage» presso aziende locali che purtroppo però non hanno dato vita che a esperienze lavorative di assoluta genericità;
   molte di queste attività sono state indirizzate alla acquisizione di competenze nel settore ambientale, che però vista la crisi attraversata dalla Regione Campania in ordine al grave problema dei rifiuti e della devastazione del territorio, il movimento dei disoccupati ha rivendicato un radicale cambio di rotta nella gestione della quarta fase del programma;
   in seguito a diverse fasi di confronto, il movimento dei precari ha ottenuto una ulteriore fase di incentivo al reddito e formazione finanziata con altri 30 milioni di euro e ha rivendicato e ottenuto la riconversione dell'intero progetto in direzione della qualificazione nel settore ambientale di tutti i soggetti interessati, attraverso work experience effettuate in collaborazione con imprese realmente operanti nel settore ambientale, anche al fine di prevedere una concreta stabilizzazione lavorativa per tutta la platea di persone coinvolte, cui hanno fatto seguito formali riconoscimenti in fase di trattative con impegni per un reale sbocco occupazionale;
   le varie convenzioni e delibere stipulate tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la regione Campania, la provincia e il, comune di Napoli impegnavano queste stesse istituzioni a realizzare azioni dirette all'avviamento al lavoro degli ex corsisti Isola e formalizzavano la trasformazione di costoro in una platea di assegnatari di un budget individuale per il reinserimento occupazionale e sociale previsto da quelle stesse convenzioni (progetto Bros);
   a tal fine venivano stanziati 20 milioni di euro: 10 milioni finanziati dal Governo ed altri 10 stanziati dalla regione. La totale assenza di progetti ha significato il lento esaurimento di gran parte dei fondi (12,5 milioni) trasformati in sostegno al reddito per gli ex corsisti e per il rilascio del libretto formativo;
   con l'avvicendamento politico del 2010 della giunta Caldoro, la regione ha firmato con il Governo Berlusconi un'altra convenzione con cui, oltre a riconoscere la platea dei lavoratori Bros ed il loro percorso formativo, ha stanziato ulteriori fondi per coprire un periodo di sostegno al reddito, come misura per contenere il disagio sociale, impegnandosi a dare corso all'intesa interistituzionale siglata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel mese di luglio del 2009 dal Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali pro tempore, Senatore Pasquale Viespoli e dall'assessore regionale al lavoro della Campania, onorevole Corrado Gabriele;
   in conseguenza di questa decisione, la giunta regionale della Campania su proposta dell'assessore regionale al lavoro Severino Nappi, con proprio atto deliberativo ha inserito nel piano regionale straordinario per il lavoro tale misura destinata ai cosiddetti precari BROS con un importo di 10 milioni di euro;
   secondo quanto affermato in diversi tavoli di confronto dall'assessore regionale Nappi per la platea dei precari Bros la soluzione occupazionale doveva essere ricercata nelle misure previste dal bando «Più sviluppo più lavoro» (con uno stanziamento di 24 milioni di euro) ed in particolare della linea di intervento 1, esplicitamente dedicata a questo bacino in quanto riconosciuto dalle convenzioni del 26 giugno 2006 e del 14 aprile 2008 (tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regione Campania, provincia e comune di Napoli) ai sensi della deliberazione della giunta regionale n. 342 del 29 febbraio 2008;
   a distanza di circa 3 anni dal varo del piano straordinario per il lavoro, nessun passo concreto in avanti è stato maturato per gli aderenti alla platea di precari Bros;
   il comune di Napoli e la provincia di Napoli, a seguito di confronto e con l'avallo della stessa regione, hanno elaborato linee di intervento per avviare progetti occupazionali per i lavoratori Bros;
   il comune di Napoli ha approvato, con delibera n. 385 del 20 maggio 2013, le linee guida per l'introduzione negli appalti di lavori e di servizi di una clausola sociale a favore dell'occupazione di persone con particolari difficoltà di inserimento lavorativo, cui potrebbero essere opportunamente destinate le risorse residue dell'intesa interistituzionale non ancora spese;
    su tale strategia si è positivamente espresso lo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali in diverse occasioni di confronto dichiarando in tal senso l'effettiva disponibilità è sbloccare fondi finalizzati all'occupabilità dei Bros pari a circa 7,5 milioni di euro non ancora trasferiti alla regione Campania;
   la soluzione obbligata sarebbe, a detta dei rappresentanti istituzionali di comune di Napoli e provincia di Napoli, quella di trasferire i fondi per i lavoratori Bros dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali direttamente a comune e provincia di Napoli, enti proponenti dei progetti e già firmatari della suddetta intesa –:
   se il Governo non intenda procedere alla riconvocazione di un tavolo interistituzionale che includa regione Campania, provincia e comune di Napoli, al fine di individuare una soluzione positiva alla vertenza anche attraverso una diversa allocazione delle risorse residuali;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per varare ulteriori misure straordinarie per la promozione dell'occupazione di fasce svantaggiate del mercato del lavoro nell'area metropolitana di Napoli, anche attraverso interventi di sostegno al reddito legati a particolari periodi di stagnazione occupazionale. (4-00794)


   MARTELLA e MOGNATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006 fu avviata una collaborazione internazionale tra la Federazione Russa e l'Italia finalizzata a costituire una jont venture tra Alenia aeronautica e Sukhoi per commercializzare, modificare e supportare il nuovo velivolo regionale «Sukhoi Superjet 100» (SS100);
   nell'ambito del suddetto accordo, nel 2007 fu costituita la società SUPERJET INTERNATIONAL spa (SJI) con sede a Venezia, partecipata al 51 per cento da Alenia (FINMECCANICA) e da Sukhoi Civil Aircraft Company (SCAC);
   la collaborazione suddetta puntava:
    alla rivitalizzazione dei settori aeronautici civili di Alenia attraverso il rilancio degli impianti di Venezia Tessera ormai in crisi per la chiusura delle storiche «Officine Aeronavali»;
    ad assorbire le maestranze già OAN evitando crisi occupazionali e perdita irreversibile di alte professionalità aeronautiche;
    a costituire in ambito locale un centro di eccellenza per il design la costruzione e l'integrazione degli interior sfruttando possibili sinergie con l'indotto locale già attivo nel settore della cantieristica navale;
    a consentire ad Alenia l'ingresso nel promettente mercato di Jet regionali dopo il successo conseguito attraverso ATR, nel settore di turboprop regionali;
    a costituire un centro di manutenzione aeronautica completa, che basandosi sulla domanda di manutenzione dei clienti del nuovo velivolo potesse espandersi verso mercati differenziati e profittevoli;
    a creare un centro logistico mondiale per tutta la ricambistica e supporto di tutti i clienti del velivolo;
    a organizzare con alto livello qualitativo un settore di progettazione, per il design, la installazione e la certificazione delle modifiche del velivolo base in nuove versioni; cargo, business, istituzionali;
    ad organizzare un unico centro di addestramento per tutti gli operatori del «SS100» (piloti e manutentori);
   dopo circa 6 anni di attività, anche a causa dei ritardi del programma, gli obiettivi prefissati sono stati solo parzialmente raggiunti ed in maniera ancora insufficiente;
   nel frattempo Alenia (proprietaria al 51 per cento di SJI), a quanto consta agli interroganti, ha lasciato che si cumulassero consistenti e prevedibili perdite economiche dovute alle caratteristiche dei programmi aeronautici di lungo periodo nel ritorno degli investimenti;
   sono finora mancati adeguati investimenti necessari per il conseguimento degli obiettivi di lungo periodo, sia per un'incerta conferma della mission aziendale, che tali investimenti prevedeva, che per una gestione timida e ondivaga nei rapporti societari con il partner russo;
   perdurando tale situazione, non sembrano confermate le premesse per prospettive future di sviluppo, con grave perdita di credibilità internazionale e possibile danno irreversibile per il riassorbimento e sviluppo occupazionale del territori;
   Superjet International sta entrando in una fase operativa di attività con l'avvio delle prime consegne ai clienti e la necessità di disporre delle opportune risorse anche finanziarie –:
   quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, si intendano attuare per confermare la mission aziendale riaffermando i termini e il work sharing della partnership con Sukhoi e garantendo le necessarie risorse finanziarie, organizzative e manageriali per sbloccare una situazione ad alto rischio dai punti di vista industriale e occupazionale;
   se si intendano emanare direttive alla capogruppo «Finmeccanica» per confermare e raggiungere gli obiettivi strategici individuati in occasione dell'avvio della joint venture, ma soprattutto, per evitare che il fallimento della collaborazione Alenia-Sukhoi comporti una perdita di immagine internazionale dell'Italia mettendo a rischio quegli spazi di rilancio della presenza aeronautica civile che il Paese si aspettava, grazie alla iniziativa avviata nel 2006. (4-00796)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARUSO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   tra i tanti servizi erogati dai consolati per gli italiani residenti nelle circoscrizioni di propria competenza, c’è anche quello notarile. L'ufficio notarile consolare si occupa di alcune funzioni notarili e, nello specifico, del ricevimento di atti pubblici (procure, testamenti), di atti notori, di autenticazioni e di sottoscrizioni apposte a scritture private;
   si tratta di un servizio, dunque, utile al cittadino italiano residente all'estero, ma anche a cittadini italiani residenti in Italia ma temporaneamente all'estero per svariati motivi. La comodità è senza dubbio legata alla facilità di potersi esprimere in italiano con il funzionario e di poter usufruire delle sue competenze in ambito della legislazione italiana;
   l'ufficio in questione è ad oggi un servizio attivo in tutti i consolati della maggior parte del mondo. Si fa riferimento alla maggior parte perché in realtà non sono tutti. Dal 1o gennaio 2012, l'erogazione dei servizi notarili da parte degli uffici consolari aventi sede in Austria, Belgio, Francia, Germania e Lettonia risultano soppressi. Questa decisione è stata presa in base al decreto del Ministro degli affari esteri del 31 ottobre 2011, in attuazione dell'articolo 28 del decreto legislativo n. 71 del 2011;
   le ragioni a supporto di questa decisione sono l'esistenza di convenzioni bilaterali o multilaterali che hanno soppresso, per gli atti provenienti da tali Paesi, la necessità di legalizzazione o apostille e, in secondo luogo, il fatto che i notariati presenti in tali Paesi hanno aderito all'Unione internazionale del notariato (U.I.N.L.), elemento ritenuto idoneo a garantire la presenza in loco di adeguati servizi notarili;
   nonostante queste motivazioni siano, all'apparenza, sensate e mirate all'eliminazioni di servizi diventati superflui, l'interrogante fa presente che la situazione è ben diversa da quel che sembra;
   si sono creati una serie di disagi che è premura dell'interrogante qui di seguito elencare. Innanzitutto l'ufficio notarile consolare garantiva una competenza sulla legislazione italiana. Trovare un notaio del luogo non sempre assicura tale competenza e spesso i cittadini italiani si ritrovano con pratiche non utilizzabili in Italia. Un notaio del luogo che quindi parla la lingua del luogo, va ad accrescere l'evidente disagio perché non sempre il cittadino parla in maniera fluida la lingua locale. Ultima, ma non sicuramente per importanza, è la difficoltà economica. L'ufficiale consolare non percepisce onorario, mentre un notaio locale sì. Una pratica svolta prima al consolato, oggi quindi costa tre o quattro volte di più al cittadino italiano;
   per riassumere, la pratica oggi dev'essere fatta da un notaio locale, che spesso non parla italiano, altrettanto spesso non conosce la legislazione italiana ed è più caro perché percepisce onorario; inoltre, sono aumentati i passaggi burocratici: l'atto ora va tradotto da un traduttore riconosciuto dal consolato di riferimento e infine va legalizzato da un ufficiale consolare;
   appurato quant’è il costo del mancato servizio per l'utente, se si guarda la questione dalla prospettiva del bilancio consolare, il taglio di questo servizio non ha eliminato solo una voce di spesa, ma ha rimosso una considerevole voce di entrata. In fin dei conti, è sempre stato un servizio in attivo, che, in parole più chiare, «si pagava da solo». Per questa ragione non si riesce ad accettare questo taglio;
   chiunque sarebbe d'accordo sulla razionalizzazione della spesa, per scongiurare speculazioni e sprechi. Ma questo non è il caso. L'Ufficio notarile consolare non può essere considerato uno spreco –:
   se si intenda rivedere la decisione presa in base al decreto del Ministro degli affari esteri del 31 ottobre 2011 e permettere la riapertura degli uffici nei Paesi sopraelencati nel minor tempo possibile.
(5-00290)


   NISSOLI, FEDI, MARAZZITI e PREZIOSI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 2 aprile 2013 l'amministrazione del Ministero degli affari esteri ha inviato alle sedi estere il telespresso prot. MAE00748432013, a firma del Min. Plen. Vincenza Lomonaco, direttore centrale per la promozione della cultura e della lingua italiana della direzione generale per la promozione del Sistema Paese, riguardante le misure che si intendono adottare per il personale docente di ruolo in servizio nella scuola statale italiana di Asmara per il prossimo anno scolastico 2013/2014 e in particolare il ricollocamento d'ufficio ad altra sede estera, oppure, in mancanza di sedi disponibili, il rientro al termine dell'anno scolastico del personale docente di ruolo al quinto e sesto anno, di servizio nella sede;
   a causa dell'accordo scolastico sottoscritto con il Governo italiano e le autorità eritree, e della possibilità per il personale scolastico italiano in servizio nella scuola statale italiana di poter rinnovare i permessi di lavoro per un periodo massimo di 5 anni, l'amministrazione del Ministero degli affari esteri sarà costretta a ridurre progressivamente la presenza del personale di ruolo e la chiusura della scuola statale;
   oltre settanta docenti di ruolo svolgono il loro servizio nella scuola italiana di Asmara, l'istituzione statale italiana all'estero più grande, con oltre cento anni di storia e una utenza di oltre 1.300 studenti;
   le diverse questioni riguardanti lo status giuridico del personale scolastico, non ancora risolte dall'accordo sottoscritto con il Governo eritreo, potrebbero avere conseguenze ancora più drammatiche sul funzionamento della scuola e mettere seriamente a rischio la sua stessa esistenza a partire dal prossimo anno scolastico –:
   se e in che modo il Governo intenda tutelare sul piano giuridico ed economico i sopra menzionati docenti in servizio presso la scuola statale italiana di Asmara e in particolare i casi di due docenti che potrebbero essere restituiti ai ruoli metropolitani, pur in possesso di un decreto di nomina all'estero da parte del Ministero degli affari esteri per altri tre anni scolastici;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno intervenire affinché sia posta in essere un'azione politico-diplomatica al fine di modificare l'accordo italo-eritreo per il mantenimento del personale docente di ruolo per il periodo di servizio all'estero, previsto dall'articolo 4-novies della legge n. 10 del 26 febbraio 2011, al fine di garantire un futuro certo a questa grande e importante istituzione scolastica italiana all'estero. (5-00303)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta immediata:


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   i dazi antidumping sono miranti a scoraggiare la pratica del dumping, cioè l'esportazione di beni ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel Paese d'origine. Con questa azione il produttore si assicura un certo grado di penetrazione nei mercati grazie alla concorrenzialità dei suoi prezzi;
   la libera circolazione delle merci all'interno dell'Unione europea in una fase iniziale era stata concepita nell'ambito di un'unione doganale tra gli Stati membri con l'abolizione dei dazi doganali, delle restrizioni quantitative agli scambi e di tutte le altre misure di effetto equivalente, e con la fissazione di una tariffa doganale comune nei rapporti della Comunità con i Paesi terzi. In seguito, è stato posto l'accento sull'eliminazione di tutti gli ostacoli restanti alla libera circolazione, in modo da realizzare il mercato interno, definito come uno spazio senza frontiere interne, ove le merci circolano liberamente come all'interno di un mercato nazionale;
   le sentenze della Corte di giustizia che hanno introdotto la libera circolazione dei beni all'interno dell'Unione europea e l'istituzione dell'unione doganale hanno riguardato e riguardano i 27 Stati membri e il processo di progressiva creazione del mercato interno;
   la politica commerciale dell'Unione europea e il suo ruolo in seno all'Organizzazione mondiale del commercio riguardano la fissazione delle tariffe doganali per l'ingresso nell'Unione europea di beni prodotti in Paesi terzi, così come fatto con il regolamento della Commissione europea che istituisce i dazi antidumping sulle importazioni di fotovoltaici di provenienza della Repubblica popolare cinese;
   la globalizzazione, oltre ad alcune conseguenze positive, come l'apertura di nuove opportunità di mercato per il nostro tessuto produttivo, ne ha prodotte altre assai nefaste. Il venir meno, secondo le regole imposte dall'Organizzazione mondiale del commercio, delle barriere di carattere protezionistico alla libera circolazione delle merci ha indubbiamente alimentato il diffondersi di fenomeni negativi. Tra essi figurano: la dilagante violazione dei diritti di proprietà intellettuale, la contraffazione dei prodotti e dei marchi dei Paesi europei, l'ingresso nell'Unione europea di prodotti che non rispettano le normative ambientali, sociali e gli standard di sicurezza. Si tratta, quasi sempre, di pericoli provenienti da produttori situati nell'area asiatica e, in particolare, della Cina. Gli effetti negativi di questi fenomeni sono particolarmente preoccupanti per i settori produttivi del cosiddetto made in Italy e per i distretti produttivi locali che ne costituiscono l'ossatura portante;
   la lentezza e l'atteggiamento renitente con cui la Commissione europea sta operando, si manifesta con l'assenza dei necessari provvedimenti antidumping che penalizza le molte piccole e medie imprese, in particolare del Nord, che hanno scelto di produrre prodotti di qualità sul proprio territorio senza delocalizzare e che oggi sono seriamente minacciate dalla sleale concorrenza proveniente dai Paesi del Sud-Est asiatico, dove i metodi di produzione sono difficilmente controllabili dall'Unione europea e la qualità dei prodotti non è sempre garantita. Inoltre, le modalità con cui sono regolamentati a livello europeo gli strumenti di difesa commerciale, oggetto peraltro di imminente riforma, rendono assai difficile al nostro tessuto produttivo la possibilità di presentare denuncia con gli elementi di prova per ottenere in tempi brevi l'apertura di procedure antidumping;
   il tessuto produttivo del nostro Paese già fortemente provato dalla crisi economica in atto e che si trova anche a dover affrontare la concorrenza di Paesi, come la Cina, che non osservano le regole di un mercato equilibrato e leale, che usufruiscono di manodopera a bassissimo costo e di politiche di dumping a discapito dei lavoratori e dei consumatori italiani ed europei;
   la Commissione europea, con il regolamento 513/2013 del 4 giugno 2013, istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese e che modifica il regolamento (UE) n. 182/2013, che dispone la registrazione delle importazioni dei suddetti prodotti originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese;
   non si è fatta attendere la reazione da parte della Repubblica popolare cinese che, per voce del Ministero del commercio, ha annunciato l'avvio di un'indagine antidumping e anti-sussidi contro il vino importato dall'Europa;
   sarà adottato un approccio graduale: l'aliquota del dazio sarà fissata all'11,8 per cento sino al 6 agosto 2013. A partire da tale data il dazio sarà quindi fissato al 47,6 per cento, che è il livello necessario per eliminare il pregiudizio causato dal dumping all'industria europea;
   la Germania, come altri Paesi dell'Unione europea, per voce del Ministro dell'economia tedesco, Philipp Roesler, ha espresso la sua contrarietà all'applicazione di questa misura nei confronti della Cina, perché intenzionata a risolvere la controversia con il dialogo e negoziato e non andando allo scontro;
   la volontà della Commissione europea e del Ministro europeo del commercio, De Gucht, è quella di arrivare ad una soluzione accomodante, nata dalla volontà di puntare al dialogo, non una mera misura punitiva e ciò si evincerebbe anche dalla fissazione di un'aliquota molto bassa e insufficiente per i primi due mesi di entrata in vigore del provvedimento;
   la Commissione europea afferma di essere pronta a partecipare a una riunione del comitato congiunto Unione europea-Cina nelle prossime settimane per discutere in maniera costruttiva di tutti gli aspetti delle nostre relazioni commerciali, in linea con gli impegni comuni in sede di Organizzazione mondiale del commercio e nello spirito del nostro partenariato strategico –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire la posizione del Governo su quanto riportato in premessa, facendosi portavoce in sede europea di una politica intesa ad applicare, quando possibile ed opportuno, le misure doganali necessarie per impedire pratiche di concorrenza sleale a tutela del made in Italy. (3-00109)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2012 è stato sottoscritto a Trieste l'accordo di programma fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, i comuni di Muggia e Trieste, EZIT (l'Ente zona industriale di Trieste) e l'autorità portuale di Trieste per gli «Interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale (SIN) di Trieste»;
   l'obiettivo dell'accordo è quello di facilitare i soggetti responsabili e i soggetti interessati a operare la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica dei suoli, delle falde, delle acque superficiali e delle aree marino-costiere del SIN, offrendo la possibilità di adottare procedure celeri con tempi certi di risposta, indicati al comma 15 dell'articolo 15 dell'accordo stesso, tenendo conto del diverso impatto esercitato sulle aree di rispettiva competenza;
   la copertura delle spese previste, contenuta nell'articolo 11 dell'accordo, prevede il ricorso a risorse pubbliche e private. Le prime sono quantificate in 13.432.000 euro e sono suddivise tra il «Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale» (10.832.000 euro) assegnate alle regione Friuli Venezia Giulia e il decreto d'impegno protocollo 8717/QdV/DI/G/SP del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (2.600.000 euro), mentre le seconde devono essere quantificate in fase di approvazione del piano di caratterizzazione generale unitario;
   per favorire la caratterizzazione e la bonifica del SIN di Trieste sono state individuate tre aree territoriali distinte: «piccoli operatori», che comprende le zone appartenenti all'Ente zona industriale di Trieste e alle piccole e medie imprese; «grandi operatori», che riguarda l'area in cui insistono infrastrutture o progetti industriali di grandi dimensioni; «area a mare», che include le acque, gli arenili e i sedimenti del porto di Trieste;
   il piano di caratterizzazione generale unitario deve includere, oltre alla caratterizzazione e bonifica dei suoli, anche quella della acque sotterranee (articolo 6) e superficiali, degli arenili e dei sedimenti marini (articolo 7). La competenza per la realizzazione del modello idrogeologico dell'intero SIN spetta alla regione Friuli Venezia Giulia – che si avvale dell'Ente zona industriale di Trieste – mentre per l'area a mare è del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ricorre all'autorità portuale di Trieste (articolo 10, commi 6 e 7);
   l'articolo 12 del testo stabilisce che il soggetto responsabile dell'accordo è il direttore generale della direzione tutela delle risorse idriche e del territorio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o un suo delegato;
   il soggetto responsabile verifica l'attuazione del programma di interventi redigendo una relazione da allegare al rendiconto annuale che deve essere presentato dai soggetti sottoscrittori;
   in base all'articolo 13 del documento il «Comitato d'indirizzo e controllo per la gestione dell'accordo» – composto dai rappresentanti delle istituzioni e degli enti sottoscrittori – è convocato dal soggetto responsabile, o su richiesta di uno dei componenti, almeno una volta l'anno per svolgere alcune funzioni come il monitoraggio dello stato di attuazione dei lavori e provvedere all'aggiornamento del cronoprogramma;
   l'articolo 15 dell'accordo prevede una serie di semplificazioni amministrative per velocizzare le procedure di approvazione di alcuni provvedimenti, come il piano di caratterizzazione, il documento di analisi di rischio, lo studio per l'individuazione di obiettivi di bonifica che devono essere approvati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con un proprio decreto, valutati gli esiti della preventiva e necessaria conferenza dei servizi;
   ad oggi le procedure sembrano ferme alla sola caratterizzazione di alcune parti del SIN, peraltro su superfici di territorio ridotte, e quindi non sarebbe stata avviata nessuna opera di bonifica –:
   come e se siano state spese le risorse pubbliche previste nell'articolo 11 dell'accordo;
   se si sia giunti alla fase che consente di individuare le risorse private con l'approvazione del piano di caratterizzazione generale unitario;
   se siano state almeno caratterizzate, in base alle competenze specifiche previste dall'accordo, le acque sotterranee, gli arenili, i sedimenti marini e le acque superficiali del SIN;
   se il soggetto responsabile abbia convocato il comitato d'indirizzo e controllo per la gestione dell'accordo e se abbia redatto la prevista relazione da allegare al rendiconto annuale che deve essere presentato dai soggetti sottoscrittori per la verifica dell'attuazione del programma di interventi;
   per quali motivi a distanza di più di un anno non sia stata ancora avviata la bonifica del SIN di Trieste. (4-00776)


   CURRÒ, GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO, LOREFICE, DI BENEDETTO, CANCELLERI, D'UVA, LUPO, ZACCAGNINI e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 giugno 2013 in seguito ad un guasto all'impianto topping 1 allo stabilimento petrolchimico Eni di Gela (CL) si registrava una consistente fuoriuscita di greggio per non meno di una tonnellata che ha raggiunto la foce dello stesso fiume Gela per poi spandersi in mare aperto e nel tratto di costa antistante la foce medesima;
   il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Gela, Lucia Lotti, ha disposto il «sequestro per esigenze probatorie e di cautela» dell'impianto «Topping 1», presso la raffineria in premessa e le indagini, avviate dalla direzione aziendale e dalla capitaneria di porto, hanno permesso di accertare una serie di concause all'origine del disservizio;
   gli stessi sindacati confederali della chimica e dell'energia in una nota hanno affermato che: «non è ammissibile una perdita di prodotto da uno scambiatore che, dalle prime notizie in nostro possesso pare sia stato sottoposto a manutenzione durante il periodo della recente fermata»;
   il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta nell'immediatezza degli eventi sì è sentito in dovere di dichiarare: «da tempo, per Gela, sono state concesse le autorizzazioni ambientali, regionali e nazionali, necessarie per rafforzare la sicurezza degli impianti, l'Eni ha sempre assicurato che tali investimenti sarebbero stati realizzati al più presto possibile, mentre non si riesce ad avere un cronoprogramma preciso. I gruppi industriali petroliferi dovrebbero cominciare a dirci con chiarezza cosa intendono fare rispetto a impianti che hanno bisogno di tanti investimenti e manutenzioni straordinarie, per renderli compatibili con il rispetto dell'ambiente e la sicurezza e la salute dei cittadini» –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative rapide e solerti per verificare, per quanto di competenza, che vengano assicurati tutti i monitoraggi per la salute della cittadinanza, la sicurezza dei lavoratori dell'impianto e la salubrità del patrimonio ambientale locale;
   quali iniziative intendano adottare per evitare che si possano ripetere ulteriori tragedie ambientali di questa portata nelle aree petrolchimiche nazionali;
   quali iniziative intendano intraprendere per obbligare le società operanti nelle aree a destinazione petrolchimica ai dovuti investimenti in sicurezza ambientale e per la salvaguardia dei lavoratori e della salubrità delle popolazioni che insistono nelle rispettive aree circostanti le attività industriali inquinanti. (4-00779)


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Repubblica di Siracusa ha avanzato richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di sei tra dirigenti e responsabili della società SAI 8, società che gestisce il depuratore del servizio idrico di Siracusa, nel procedimento penale n. 7011/11 RGNR;
   si è svolta l'udienza preliminare il 26 aprile 2013;
   gli imputati hanno richiesto il giudizio immediato e l'udienza avanti il tribunale collegiale di Siracusa è fissata in data 5 dicembre 2013;
   i reati contestati ineriscono a gravissime violazioni in materia ambientale, con riferimento al trattamento dei rifiuti del depuratore delle acque del comune di Siracusa. Si riportano i capi d'imputazione:
    a) «Per il delitto previsto dall'articolo 81 cpv, 110 cp, 6 lett. B) del decreto-legge 172/08 (convertito in legge 210/08) perché – con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro in qualità di dirigenti e responsabili della società SAI 8 spa (società che gestisce il servizio idrico integrato) e nelle rispettive qualità:
   F.M. di Amministratore Delegato (dal 26 marzo 2009);
   L.M.R. di Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante (dal 4 giugno 2008);
   A.A. di Responsabile delle Infrastrutture (dal 25 giugno 2006) e di Procuratore Speciale (dal 21 settembre 2001);
   P.G. di Responsabile del coordinamento del servizio Gestioni (dal 3 ottobre 2011) e di procuratore speciale (dal 25 ottobre 2011);
   T.S. di direttore generale Gestioni Reti ed Impianti (dal 15 novembre 2010), di Procuratore Speciale (dal 21 settembre 2011) e di co-Amministratore delegato (dal 15 novembre 2011);
   F.R. di Responsabile della manutenzione del depuratore (dal 2 settembre 2008);
   in territorio in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato, ai sensi della legge 225/92, con l'articolo 1 del DPCM n. 46994 del 9/7/10 – immettevano rifiuti speciali non pericolosi nelle acque superficiali e, segnatamente, smaltivano i fanghi provenienti dal ciclo di depurazione dell'impianto di C.da Canalicchio (da considerarsi rifiuti ex articolo 127 decreto legislativo 152/06), immettendoli direttamente nelle acque del torrente Grimaldi (e conseguentemente, nei mare), invece di provvedere al loro regolare smaltimento. In Siracusa negli anni 2010, 2011 e fino al settembre 2012 (periodo nel quale la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto da parte del custode nominato a seguito del sequestro del 24 marzo 2012 consentiva di ricondurre l'impianto al corretto funzionamento).

    b) Per il delitto previsto dall'articolo 81 cpv, 110 cp, 6 co. Lett. B n.2 del decreto-legge 172/08 (convertito in legge n. 210/08) perché – con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro in qualità di dirigenti e responsabili della società SAI 8 spa (società che gestisce i servizio idrico 3 integrato) e nelle rispettive qualità:
   F.M. di Amministratore Delegato (dal 26 marzo 2009);
   L.M.R. di Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante (dal 4 giugno 2008);
   A.A. di Responsabile delle Infrastrutture (dal 25 giugno 2006) e di Procuratore Speciale (dal 21 settembre 2001);
   P.G. di Responsabile del coordinamento del servizio Gestioni (dal 3 ottobre 2011) e di procuratore speciale (dai 25 ottobre 2011);
   T.S. di Direttore Generale Gestioni Reti ed Impianti (dal 15 novembre 2010), di Procuratore Speciale (dal 21 settembre 2011) e di co-Amministratore delegato (dal 15 novembre 2011);
   in territorio in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato, ai sensi della legge 225/92, con l'art. 1 del DPCM n. 46994 del 9/7/10 – immettevano rifiuti speciali non pericolosi nelle acque superficiali e, segnatamente, smaltivano i fanghi provenienti dal ciclo di depurazione dell'impianto di C.da Canalicchio (da considerarsi rifiuti ex articolo 127 decreto legislativo 152/06), immettendoli direttamente nelle acque del torrente Grimaldi (e conseguentemente, nel mare), invece di provvedere al loro regolare smaltimento.
  In Siracusa negli anni 2010, 2011 e fino al settembre 2012 (periodo nel quale la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto da parte del custode nominato a seguito del sequestro del 24 marzo 2012 consentiva di ricondurre l'impianto al corretto funzionamento).

    c) Per il reato previsto negli artt. 81cpv, 110, 674 c.p. perché – nelle qualità indicate nei capi A e B, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro – gettavano nelle acque del torrente Grimaldi e, conseguentemente, nel mare i fanghi provenienti dal ciclo di depurazione dell'impianto di C.da Canalicchio idonei ad imbrattare il predetto corso d'acqua e a molestare i proprietari degli immobili situati nelle vicinanze dello stesso torrente Grimaldi.
  In Siracusa negli anni 2010, 2011 e fino al settembre 2012 (periodo nel quale la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto da parte del custode nominato a seguito del sequestro del 24 marzo 2012 consentiva di ricondurre l'impianto al corretto funzionamento).

    d) Per il reato previsto dagli artt. 81 cpv, 110, 635, c. 1 e 2 n. 3, in relazione all'articolo 625 n. 7 cp perché – nelle qualità indicate nei capi a e b, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro – gettavano nelle acque del torrente Grimaldi e, conseguentemente, nei mare i fanghi provenienti dal ciclo di depurazione dell'impianto di C.da Canalicchio, danneggiavano e deterioravano sia le acque del torrente Grimaldi sia quelle del Porto Grande di Siracusa, determinando cambiamenti nella colorazione delle acque, presenza di sospensioni scure gelificate, cattivi odori, proliferazione della flora acquatica tali da disturbare lo svolgimento delle normali attività connesse all'utilizzo dello specchio d'acqua prospiciente al porto grande di Siracusa (navigazione da diporto, visite turistiche, balneazione).
  Con l'aggravante di avere commesso i fatti su cose esposte per necessità alla pubblica fede e destinate a pubblica utilità.
  In Siracusa negli anni 2010, 2011 e fino al settembre 2012 (periodo nel quale la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto da parte del custode nominato a seguito dei sequestro del 24 marzo 2012 consentiva di ricondurre l'impianto al corretto funzionamento).

    e) Del reato di cui all'articolo 81, 110 cp – 734 cp – 181, c1 decreto legislativo n. 42/2004, in relazione all'articolo 42 lett. c) stesso testo legislativo, ed all'articolo 44 lett. c) decreto del Presidente della Repubblica 380/01 perché – nelle qualità indicate nei capi A e B, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro – gettando illecitamente nelle acque del torrente Grimaldi e, conseguentemente, nel mare i fanghi provenienti dal ciclo di depurazione dell'impianto di C.da Canalicchio – alteravano le bellezze naturali di beni sottoposti a speciali protezione dell'autorità e di interesse paesaggistico e, nello specifico, il bacino del Porto Grande di Siracusa (dichiarato di notevole interesse pubblico e sottoposto a vincolo paesaggistico con decreto assessoriale del 30 settembre 1988), intervenendo su di essi in modo tale da determinare cambiamenti nella colorazione delle acque, presenza di sospensioni scure gelificate, cattivi odori, proliferazione della flora acquatica, tali da disturbare lo svolgimento delle normali attività connesse all'utilizzo dello specchio d'acqua prospiciente ai porto grande di Siracusa (navigazione da diporto, visite turistiche, balneazione). In Siracusa negli anni 2010, 2011 e fino al settembre 2012 (periodo nel quale la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto da parte del custode nominato a seguito del sequestro del 24 marzo 2012 consentiva di ricondurre l'impianto al corretto funzionamento).

    f) Per il reato di cui agli artt. 81cpv, 110, 335, 356 cp perché – in concorso tra loro e nelle qualità indicate nei capi A e B, quali gestori dell'impianto di trattamento delle acque reflue urbane sito in Siracusa, C.da Canalicchio – omettevano di adempiere agli obblighi derivanti dal contratto di servizio e affidamento del Servizio Idrico Integrato stipulato con l'ATO Idrico della Provincia di Siracusa ed in particolare:
   1) Facevano mancare opere necessarie allo svolgimento del pubblico servizio in oggetto, con l'aggravante di cui al comma 2 n. 3 dell'articolo 335 cp, atteso che si tratta di opere destinate ad ovviare ad un comune pericolo o ad un pubblico infortunio. In particolare, mantenevano l'impianto in esercizio, nonostante il malfunzionamento delle seguenti apparecchiature:
    Sedimentatori primari (del tutto fuori servizio);
    Sedimentatori secondari (inefficiente sistema di ripartizione sui tre sedimentatori);
    Digestori (completamente fuori servizio e senza centrifuga in efficienza); Commettevano frode nell'esecuzione della convenzione di gestione del servizio idrico integrato e, segnatamente, nonostante la percezione da parte degli utenti del corrispettivo previsto per l'attività, non adempivano agli obblighi negoziali relativi alla corretta gestione e smaltimento dei rifiuti (in particolare di quelli liquidi provenienti dagli impianti di smaltimento delle acque reflue urbane) immettendoli, almeno in parte, direttamente nell'effluente (torrente Grimaldi), omettendo di eseguire l'attività di trattamento e corretto smaltimento dei fanghi e risparmiando così sui costi di depurazione.
   In Siracusa negli anni 2010, 2011 e fino al settembre 2012 (periodo nel quale la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto da parte del custode nominato a seguito del sequestro del 24 marzo 2012 consentiva di ricondurre l'impianto al corretto funzionamento)».
   Individuate le PP.OO. in:
    «Consorzio A.T.O. Siracusa nella persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Siracusa, via Malta n. 106;
    Comune di Siracusa nella persona del Sindaco pro tempore;
    Legambiente circolo Chico Mendes Onlus con sede in Siracusa, Piazza Santa Lucia n. 20 nella persona del legale rappresentante pro tempore difeso di fiducia dall'avv. Danila Tuttoilmondo presso il cui studio ha eletto domicilio in Siracusa, v.le Scala Greca n. 301;
    Legambiente comitato regionale siciliano con sede a Palermo via Agrigento n. 67 nella persona del legale rappresentante pro tempore difeso di fiducia dall'avv. Danila Tuttoilmondo presso il cui studio ha eletto domicilio in Siracusa, v.le Scala Greca n. 301/A;
    Associazione Natura Sicula Onlus nella persona del legale rappresentante pro tempore difeso di fiducia dall'avv. Glauco Reale del foro di Siracusa presso il cui studio è domiciliato ex lege»;

   evidenziata l'acquisizione delle ulteriori fonti di prova:
  «Consulenza tecnica a firma dei dott.ri SANNA e SCIOLETTE;
  consulenza tecnica informatica sui PC in uso agli indagati;
  attività di indagine svolta dal NICTAS con particolare riferimento alla gestione dei fanghi provenienti dal ciclo di depurazione dell'impianto sito in C.da Canalicchio;
  accertamenti svolti dall'ARPA di Siracusa;
  relazioni del custode giudiziario nominato;
  documentazione acquisita presso l'ATO Idrico, il comune di Siracusa, la SAI 8 ed altri enti pubblici;
  sommarie informazioni rese dai soggetti informati dei fatti;
  interrogatorio di L.M.R.;
  ogni altro atto contenuto nel fascicolo delle indagini preliminari»;
   appare evidente che l'incidenza delle contestazioni leda primari diritti di ordine costituzionale, quali quello alla salute ed alla salubrità dell'ambiente e di conseguenza sussiste la legittimazione e l'interesse da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di costituirsi parte civile;
   ai sensi dell'articolo 311 decreto legislativo n.152 del 2006, spetta al Ministro dell'ambiente, e della tutela territorio e del mare la legittimazione alla costituzione di parte civile nel procedimento per reati ambientali, al fine di ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda costituirsi parte civile nel processo penale che si terrà avanti il tribunale di Siracusa sezione penale in data, 5 dicembre 2013, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda in ogni caso assumere a tutela dell'ambiente, del territorio, del mare e delle acque del territorio di Siracusa. (4-00805)


   BIASOTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 205 del decreto legislativo n. 152 del 2006 fissava gli obiettivi di raccolta differenziata per gli ambiti territoriali ottimali e gli enti locali, i quali avrebbero dovuto raggiungere a fine 2012 la misura percentuale del 65 per cento rispetto al rifiuto urbano prodotto;
   la regione Liguria, con la legge regionale n. 18 del 1999 individuava, all'articolo 28, il territorio di ciascuna provincia quale ambito territoriale;
   la situazione degli ambiti territoriali della Liguria risulta ancora oggi non allineata rispetto agli obiettivi fissati dalla normativa di settore, raggiungendo un dato medio relativo all'anno 2012 stimato in circa il 35 per cento;
   il presidente della giunta regionale della Liguria, con nota PG/2013/55256 del 4 aprile 2013, inviata al presidente della conferenza Stato-regioni esponeva una relazione generale sullo stato della gestione dei rifiuti urbani in Liguria analizzando le principali problematiche del settore, indicava le azioni di sistema da attuare nel breve periodo, sottolineava le criticità di natura territoriale, tecnica, funzionale ed economica che hanno condizionato l'applicazione dei sistemi organizzativi per la raccolta differenziata in Liguria, riteneva praticabile la richiesta formalizzata da alcuni comuni circa l'attivazione della procedura di cui all'articolo 205 comma 1-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 atta ad ottenere una deroga rispetto agli obiettivi fissati dalla normativa nazionale evidenziando come nel periodo compreso tra il 2006 e il 2011 nessuno dei 235 comuni liguri, ad eccezione di alcuni quantificabili nell'ordine delle unità, abbiano raggiunto le percentuali di raccolta differenziata previste dalla normativa;
   la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Liguria, con sentenza n. 83 del 2013, condannava gli amministratori ed il funzionario responsabile del settore ambientale del comune di Recco, per danno erariale non avendo il comune raggiunto, negli anni dal 2006 al 2010, gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dalla normativa nazionale;
   la Corte dei conti contesta agli amministratori del comune il mancato rispetto delle disposizioni previste dal decreto n. 22 del 1997 in ordine al mancato raggiungimento delle percentuali minime previste e che ciò ha comportato a carico del comune il pagamento di oneri aggiuntivi per il conferimento in discarica del materiale che avrebbe dovuto essere destinato alla raccolta differenziata arrecando, perciò, un danno patrimoniale al comune di Recco;
   il comune di Recco ha segnato, dal 2006 ad oggi, un costante incremento della quota di raccolta differenziata così come certificato dalle delibere della giunta regionale 738/2008, 876/2009, 751/2010, 741/2011;
   nel 2012 la percentuale media di raccolta differenziata in Italia si è assestata attorno al 35,53 per cento, segnando una crescita rispetto all'anno precedente e confermando il trend costante di crescita nazionale, il dato resta comunque al di sotto degli obiettivi prefissati dalla normativa nazionale anche a causa di impedimenti di natura tecnica ed ambientale –:
   se e quali iniziative, di competenza, abbia previsto al fine di superare le possibili criticità che possono scaturire da questo precedente e quale percorso ritenga intraprendere per sostenere i comuni nell'incremento della quota di differenziata senza che si configurino ipotesi di danno erariale, al non raggiungimento della quota normativa prevista, per gli stessi, rischiando così di compromettere lo svolgimento dell'attività amministrativa. (4-00808)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI e ZARATTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 dicembre 2002, in sede di esame del piano regolatore generale adottato dal consiglio comunale di Ciampino, la Soprintendenza per i beni e le attività culturali del Lazio ha definito ville e casali storici, come quello dei Monaci, Maruffi e dei Francesi, la presenza storico-monumentale più significativa del comune di Ciampino;
   l'area delle Mura dei Francesi del comune di Ciampino, situata tra la via dei Laghi, via del Sassone e via dell'Ospedaletto è delimitata da una cinta muraria impreziosita dal portale, gioiello dell'arte barocca del XVII secolo, opera dell'architetto Girolamo Rainaldi, noto per aver progettato palazzo Pamphili a piazza Navona e terminato i lavori del Campidoglio dopo la morte di Michelangelo, suo maestro;
   il portale, recentemente crollato per incuria e per responsabilità degli attuali proprietari, con decreto 9 febbraio 1935, venne dichiarato di importante interesse e sottoposto a tutela ai sensi della legge 20 giugno 1909, n. 364;
   le mura segnano i confini di quella che fu la tenuta Colonna che comprendeva un giardino privato (Parco/Barco) e la «Casina-buen ritiro» del cardinale Ascanio Colonna, Viceré di Aragona, dove fu accolto Papa Clemente VIII Aldobrandini, primo Papa a villeggiare nella campagna romana dai tempi di Sisto V;
   nell'area delle Mura dei francesi, il tribuno Cola di Rienzo, nel 1347, fece accampare il proprio esercito durante la guerra intrapresa contro gli Orsini di Marino;
   la stessa area fu teatro dell'epica battaglia di Marino, vinta da Alberico da Barbiano contro i «francesi» della famigerata compagnia bretone al soldo dell'antipapa Clemente VII, all'epoca dello Scisma d'Occidente;
   con delibera di consiglio comunale n. 42 del 27 marzo 2006, il comune di Ciampino ha destinato l'area delle Mura dei francesi a piano di zona di edilizia economica e popolare, ex legge 18 aprile 1962, n. 167;
   il 4 febbraio 2008, la Soprintendenza per i beni architettonici e del paesaggio del Lazio, con la nota n. 37350/B, ha comunicato agli interessati e al comune di Ciampino l'avvio della procedura per l'individuazione di un'arena di rispetto al bene denominato Portale seicentesco e Mura dei francesi, avente come finalità di conservare lo scenario in cui si trova che conserva, altresì, i residuali connotati della tenuta Colonna, garantendone l'integrità e la fruibilità pubblica;
   il comune di Ciampino, in data 6 marzo 2008, con nota inviata alla direzione regionale per i beni e le attività culturali del Lazio e alla Soprintendenza per i beni architettonici e del paesaggio del Lazio, opponendosi al vincolo sull'intera area, ha confermato la volontà di realizzare il piano di zona edilizia per soddisfare contemporaneamente sia i bisogni della Soprintendenza che del comune, entrambi generati da pubblico interesse;
   in data 3 febbraio 2009, il CO.RE.CO. della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, proponendo l'ampliamento dell'area di tutela, ha confermato all'unanimità le prescrizioni indicate nella comunicazione di avvio del procedimento (non modificabilità dello stato dei luoghi con particolare riferimento ai coni visivi che si aprono sui Colli Albani, la non abbattibilità delle alberature, l'edificabilità solo per uso agricolo e altro);
   il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'epoca, come risulta dal verbale, concordò con le decisioni del CO.RE.CO. Successivamente però, in data 15 giugno 2009, decretò il vincolo solo per i portali e le mura, rendendo possibile la costruzione degli edifici di edilizia economica e popolare in un'area di grande rilevanza paesaggistica, storica e culturale;
   numerose sono le testimonianze archeologiche da ricondurre all'area, inscritte e distinte dal toponimo Casale o Mura dei Francesi. Rinvenimenti di strutture e manufatti antichi sono documentati dal XIX secolo, quando furono messi in luce «ambienti romani» al di sotto della vaccheria e un'iscrizione con dedica alla divinità italica Semo Sancus; quindi, senza indicazione topografica puntuale, i resti di un edificio sacro di età tardo-antica che attesterebbe una delle prime presenze del culto cristiano nel Patrimonium Appiae ed, infine, una fistula acquaria in piombo menzionante Valerius Messalla;
   nel corso delle indagini archeologiche, preventive alla realizzazione del piano di zona a edilizia economica e popolare (ex legge n. 167), recentemente sono stati rinvenuti i ricchi ambienti di una grande villa, di fatto attribuita a Valerio Corvino Messalla, console del 31 a.c. e mecenate augusteo delle arti letterarie; ci si trova di fronte alla residenza suburbana di uno dei personaggi più influenti della cultura di età augustea del cui circolo letterario Tibullo e Ovidio furono principali esponenti;
   la recente revisione del vincolo da parte della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, di fatto non modifica l'assetto della tutela apposta dal giugno 2009 esclusivamente sulle mura e ad una fascia di rispetto di soli 20 metri da esse;
   l'esigenza di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico, culturale, archeologico e paesaggistico del territorio è fortemente avvertita dalla popolazione e da numerosi studiosi del settore quali Filippo Coarelli, Lorenzo Quilici, Giuseppina Pisani Sartorio, Salvatore Settis, Adriano La Regina Bernard Andreae, Henner von Hesberg che hanno firmato un appello al Ministro, alla direzione regionale per i beni culturali, alle Soprintendenze e al sindaco di Ciampino –:
   se non intenda, anche alla luce dei recenti ritrovamenti archeologici, assumere tutte le iniziative di competenza necessarie a tutelare la godibilità pubblica di tutta l'area compresa nelle antiche Mura dei Francesi, garantendone l'integrità e la fruibilità;
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa necessaria affinché la competente direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici – anche a seguito dell'appello sottoscritto da chiarissimi esponenti del mondo accademico nazionale ed internazionale – estenda l'assetto dei vincoli esistenti all'intera area compresa all'interno delle Mura dei Francesi, garantendo la tutela integrale del sito, così come proposto dalla stessa direzione regionale prima del giugno 2009;
   se non si ritenga, infine, necessario assumere iniziative da parte del Ministero per i beni e le attività culturali per un percorso volto alla delocalizzazione dei piani di zona ex 167 altrove rispetto ad aree di pregio paesaggistico, archeologico e/o culturale nel territorio del comune di Ciampino. (4-00770)


   POLVERINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la società Ales – Arte lavoro e servizi spa è stata costituita nel 1998 ai sensi dell'articolo 1, lettera A), 2 e 3, del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, e dell'articolo 20, commi 3 e 4, della legge 24 giugno 1997, n. 196, al fine di consentire la stabilizzazione di personale impiegato in attività socialmente utili, già operante all'interno delle strutture del Ministero per i beni e le attività culturali fin dal 1991;
   l'articolo 1, comma 2, dello statuto prevede che «la Società è sottoposta alla vigilanza, in via esclusiva, del Ministero per i beni e le attività culturali che esercita i diritti dell'azionista mediante la Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 91 del 2009 ed in conformità al modello comunitario di in house providing»;
   la società svolge, prevalentemente per il Ministero per i beni e le attività culturali, secondo le direttive e gli indirizzi vincolanti forniti dallo stesso, attività finalizzate al miglioramento delle condizioni di fruibilità del patrimonio archeologico, artistico, architettonico, paesaggistico e archivistico e bibliotecario italiano nonché di svolgimento di attività strumentali alla gestione tecnico - amministrativa dei procedimenti di tutela;
   interi siti museali della regione Campania e della regione Lazio, quali ad esempio palazzo reale, il museo archeologico nazionale, l'archeologica di Cuma, la reggia di Caserta, gli scavi di Ostia, la galleria d'arte moderna e contemporanea, la biblioteca di palazzo Venezia a Roma e altro, riescono ad aprire le loro sale al pubblico grazie alla presenza dei lavoratori della Società Ales – arte lavoro, che fin dal 1991 svolgono mansioni di custodia, manutenzione e attività amministrative;
   lo statuto della società Ales – arte lavoro e servizi spa ha sempre previsto una serie di compiti che sinora non sono mai stati realizzati, mentre i lavoratori, di fatto, hanno continuato a svolgere le stesse mansioni che già svolgevano dal 1991;
   la società Ales – arte lavoro e servizi spa ha, un numero di dipendenti pari a 579, la cui età media è di 55-58 anni;
   attualmente il finanziamento pubblico destinato alla società Ales – arte lavoro e servizi spa ammonta a circa 28 milioni di euro;
   non è stato mai prodotto un piano industriale, nonostante i 7 amministratori delegati che si sono succeduti ed i circa 15 direttori generali in 13 anni di attività;
   mentre ogni anno si investono circa 28 milioni di euro per società Ales – arte lavoro e servizi spa, il fondo unico per lo spettacolo è stato negli ultimi anni fortemente depauperato, causando enormi problemi per fondazioni lirico-sinfoniche e centinaia di prestigiose associazioni culturali, private del necessario sostegno economico, oltre i gravi problemi di organico delle sovrintendenze e biblioteche nazionali;
   si vocifera l'ipotesi di privatizzare la società Ales – arte lavoro e servizi spa garantendo però, da parte del Ministero per i beni e le attività culturali le future commesse;
   per l'età media di cui sopra, entro 7-8 anni, degli attuali 579 dipendenti rimarrebbero in servizio soltanto il 20 per cento;
   con operazioni opportune, tra cui l'assorbimento di una parte dei lavoratori in extra-organico, come è stato fatto per i lavoratori ETI e Ente tabacchi, esodo incentivato e volontario, chiusura delle due sedi di Roma e Napoli, eliminazione dei privilegi per il personale di staff, dirigenti, consiglio di amministrazione, la spesa complessiva si ridurrebbe, da subito, a zero –:
   quali iniziative intenda adottare per assicurare il futuro dei lavoratori della società Ales – arte lavoro e servizi spa, garantendo al tempo stesso una sempre più proficua tutela e valorizzazione dell'enorme patrimonio storico-artistico solo in minima parte sopra citato. (4-00780)


   MOGNATO, MARTELLA, MORETTO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la fondazione «Biennale di Venezia» nel 2004 ha promosso un concorso internazionale di progettazione per il nuovo Palazzo del cinema, con lo scopo di individuare una soluzione per superare i problemi di inadeguatezza degli spazi a disposizione della «Mostra internazionale di arte cinematografica»;
   il progetto vincitore individuato dalla giuria prevedeva la realizzazione di un nuovo edificio all'interno di un quadro di riqualificazione urbana dell'area anche per un impiego della struttura lungo tutto il corso dell'anno;
   il nuovo Palazzo del cinema e dei congressi del Lido di Venezia è stato inserito nell'elenco delle opere relative alle Celebrazioni per il 150o anniversario dell'Unità d'Italia, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 novembre 2007 e, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3746 del 12 marzo 2009 è stato nominato il commissario delegato per la sua realizzazione;
   l'intervento sarebbe stato finanziato per 20 milioni di euro dallo Stato (tramite il Ministro per i beni e le attività culturali), per 10 milioni di euro dalla regione Veneto, per circa 50 milioni di euro dal comune di Venezia (a valere sulla valorizzazione delle aree dell'ex ospedale al mare);
   il commissario delegato ha approvato il progetto definitivo del nuovo Palazzo del cinema, provveduto alle procedure per l'individuazione a l'affidamento al soggetto esecutore (ATI avente come capofila SACAIM spa) e dato avvio ai lavori, interrotti per la scoperta durante gli scavi del cantiere di ingenti quantità di amianto in situ e per la necessaria opera di bonifica ambientale;
   i lavori, eccezion fatta per l'intervento di bonifica, sono stati sospesi e oggi l'area si trova in stato di messa in sicurezza provvisoria;
   il 31 dicembre 2012 è cessata la gestione del commissario delegato, la titolarità rientrando quindi nelle competenze del comune di Venezia, che con deliberazione del consiglio comunale n. 28/2013 ha provveduto all’«Individuazione della zona di degrado, da assoggettare a Piano di Recupero di Iniziativa Pubblica, relativa all'area del Palazzo del Cinema e del Casinò al Lido di Venezia, ai sensi dell'articolo 10.3 delle NTA della VPRG per l'isola del Lido»;
   il Ministro per i beni e le attività culturali Massimo Bray, nel corso della recente cerimonia di apertura della 55a Biennale di Arti Visive ha dichiarato: «voglio che Venezia torni ad essere una grande Mostra del Cinema. Voglio individuare le risorse necessarie per fare questo» affermando altresì che «occorre sciogliere alcuni nodi che credo siano indispensabili per tornare a fare di Venezia una grande mostra: uno di questi è incrementare il mercato e quindi anche pensare a tutti gli spazi necessari per fare» –:
   se il Ministro interrogato ravvisi la necessità di agire al più presto, quali siano gli interventi, le risorse che intenda individuare e porre a finanziamento per confermare e consolidare su scala internazionale la Mostra d'arte cinematografica di Venezia. (4-00810)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Faro della Vittoria, fra le attrazioni turistiche più importanti della città di Trieste, risulta attualmente chiuso al pubblico;
   un avviso posto all'esterno dell'ingresso principale della struttura chiarisce che: «Le visite al Faro sono temporaneamente sospese in attesa del rinnovo della convenzione tra la Marina Militare e la Provincia di Trieste»;
   tale convenzione risale al 1986 ed è stata periodicamente rinnovata fino al 31 dicembre 2012, data a partire dalla quale il Faro è stato chiuso;
   l'assessore al demanio della provincia di Trieste, Mariella De Francesco, ha affermato di attendere l'avvio di un confronto con i rappresentanti del Ministero della difesa e di ritenere opportuno il coinvolgimento nella gestione del Faro della Vittoria di altre amministrazioni e competenze, per incrementare l'offerta di servizi ed iniziative collegate alla fruizione del sito;
   ciò nonostante, nessuna autorità si è fatta avanti per avviare una discussione sui tempi e le modalità della riapertura del Faro della Vittoria;
   le persone che visitano il Faro, monumento nazionale, sono mediamente seimila all'anno;
   esiste il serio pericolo che la struttura rimanga chiusa al pubblico per tutta la stagione estiva –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per sbloccare la situazione e far riaprire al più presto al pubblico il Faro della Vittoria di Trieste. (4-00767)


   SCOTTO, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sono trascorsi quasi dodici anni dall'inizio della missione NATO in Afghanistan, uno dei conflitti più lunghi, controversi e sanguinosi, in cui hanno perso la vita oltre 3.000 soldati della coalizione, di cui 53 italiani, e oltre 70,000 civili afgani;
   soltanto nel 2011, in base ad un rapporto dell'Unicef, in Afghanistan sono stati uccisi o feriti, a causa del conflitto, 1.756 bambini, una media di 4,8 bambini al giorno; sempre nello stesso anno, 316 tra bambini e ragazzi sotto i diciotto anni di età, sono stati reclutati dalle parti in conflitto, in particolare dai gruppi armati di opposizione;
   la missione ha visto schierati 130.000 soldati stranieri, 4.000 dei quali italiani, ed è costata all'Italia 5.415.640.096 euro di cui solo 217.903.400 destinati alla cooperazione;
   nel vertice tenutosi a Chicago nel maggio 2012 la NATO ha deciso di trasferire la sicurezza di tutto il territorio alle forze afgane entro il 2013 così da restare con un solo ruolo di sostegno fino alla fine del 2014;
   in tale occasione l'Italia si è impegnata a sostenere le forze di sicurezza negli anni 2015-2017 con 360 milioni di euro da spalmare nel triennio;
   la Francia ha anticipato il ritiro del suo contingente, così come il Canada e l'Australia;
   l'8 giugno 2013, alle ore 10.30 locali, nella zona di Farah, area meridionale nell'ovest dell'Afghanistan considerata particolarmente a rischio, un blindato VTLM Lince, con a bordo sette uomini, di rientro alla base dopo aver svolto attività di sostegno alle unità dell'esercito afgano, secondo ricostruzioni dello Stato Maggiore della Difesa mentre rallentava nei pressi di una rotatoria è stato oggetto di un attacco da parte di elementi ostili che lanciavano un ordigno esplosivo all'interno del veicolo;
   nell'attentato, successivamente rivendicato dalle milizie talebane, perdeva la vita l'ufficiale dell'Esercito Capitano dei Bersaglieri Giuseppe La Rosa, di 31 anni, e rimanevano feriti altri tre componenti dell'equipaggio, immediatamente trasferiti all'ospedale della base di Farah senza risultare in pericolo di vita;
   i talebani, nel rivendicare l'attacco, attraverso il loro portavoce Qari Yousef Ahmadi, dichiaravano che l'assaltatore che aveva lanciato la granata contro il mezzo blindato sarebbe stato un bambino di undici anni, ma tale affermazione veniva respinta prima dal portavoce del governo provinciale di Farah, Abdul Rahman Zhawandai, e poi dal Ministro degli affari esteri Emma Bonino, che dichiaravano responsabile un maschio adulto che, dopo l'attentato, si dava alla fuga nelle vie del vicino mercato;
   fonti della Difesa, come riportato dall'articolo on line de «La Repubblica» intitolato «Afghanistan, ucciso militare italiano», affermano che non è stato un uomo che vestiva un'uniforme delle forze di sicurezza afgane a lanciare l'ordigno e che la dinamica dei fatti è ancora in corso di accertamento;
   il Lince è un veicolo tattico leggero multiruolo (VTLM) a trazione integrale 4x4, che può essere impiegato in ogni ambiente operativo;
   soltanto a maggio del 2009, a seguito di una lettera proveniente da un soldato italiano operante in Afghanistan che lamentava una sequela di inadeguatezze all'equipaggiamento, ivi compresa quella dei blindati, meno sicuri a suo dire dell’High mobility multi-purpose wheeled vehicle in dotazione all'esercito statunitense a causa della differenza connessa con il tetto del mezzo, sul quale era prevista la presenza di una torretta remotizzata (una mitragliatrice comandata dall'interno del veicolo), il Ministero della difesa decideva di emanare un bando di gara a livello europeo con procedura «ristretta accelerata» per l'acquisto di torrette remotizzate da installare, per l'appunto, sui Lince;
   la torretta remotizzata, allo stato attuale, risulta non essere stata montata su tutti i Lince impiegati in Afghanistan;
   il primo obiettivo del Governo deve essere la tutela e l'incolumità dei militari italiani impegnati nelle missioni internazionali;
   il VTLM Lince oggetto di attentato l'8 giugno 2013 sembra fosse sprovvisto della torretta remotizzata e quindi incapace di garantire la sicurezza dell'equipaggio;
   il Governo italiano ha disposto l'acquisto di 90 cacciabombardieri F-35 dal costo di circa 120 milioni di euro per esemplare –:
   se il Governo sia in grado di giustificare il perché non tutti i VTLM Lince presenti in Afghanistan siano dotati di torrette remotizzate;
   se il Governo sia in grado di fare chiarezza sulla dinamica dei fatti, e in particolare sull'identità dell'attentatore;
   se non sia più opportuno ed utile cancellare il «programma F-35» così da reinvestire parte di quei fondi nell'approvvigionamento di strumentazioni che garantiscano maggior sicurezza ai nostri militari;
   se non sia giunto il momento di annunciare l'immediata uscita del nostro Paese dalla missione ISAF, riportando quanto prima in Italia le truppe impegnate sul terreno, lasciando sul campo solo i militari necessari ad organizzare il rientro del materiale con precise regole d'ingaggio, e di sostituire quanto prima la missione militare con una civile con lo specifico compito di sostenere la popolazione afgana con progetti di sostegno alla cooperazione e di ricostruzione civile del Paese. (4-00804)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per la coesione territoriale, per sapere – premesso che:
   l'opportunità di un collegamento ferroviario che eliminando lo scambio alla stazione di Falconara consenta di collegare direttamente Roma con Rimini ha origine con lo studio del corridoio adriatico (studio di fattibilità promosso nel 1997 dalle regioni adriatiche, con il cofinanziamento dell'Unione europea e del Ministero dei trasporti, tratto 5 chilometri, costo 63 miliardi di lire = 32,35 milioni di euro);
   in quel progetto la nuova linea prevedeva un tracciato che sostanzialmente seguiva l'andamento dell'autostrada, arretrandosi all'altezza del casello autostradale di Ancona nord;
   nel 2001, a seguito del grave incidente avvenuto nel 1999 alla raffineria API di Falconara, nell'intenzione di allontanare il tracciato ferroviario dalla raffineria, venne proposto da RFI un nuovo tracciato, detto appunto by-pass API, che passa tra l'aeroporto e la raffineria stessa, alle spalle dell'abitato di Fiumesino e che comprende anche lo spostamento di un tratto di linea adriatica;
   il tracciato di progetto del by-pass API insiste su un territorio giudicato al massimo grado di rischio idrogeologico che è stato oggetto nel 2006 e nel 2011 di eventi alluvionali riconosciuti come «calamità naturali», a seguito dei quali è stata modificata la perimetrazione delle aree a rischio esondazione individuate da piano di assetto idrogeologico regionale, giungendo a ricomprendere quasi l'intero tracciato della nuova linea;
   su quel territorio così vulnerabile sono previste opere in rilevato ed in viadotto che alterano ulteriormente il già precario sistema di deflusso delle acque superficiali;
   oltre al rischio idrogeologico si deve considerare l'interferenza che l'opera verrebbe ad avere con il cono di volo dell'aeroporto internazionale Raffaello Sanzio, il quale vedrebbe pesantemente limitate le proprie possibilità di potenziamento e sviluppo, come si evince anche da uno studio tecnico effettuato da una società specializzata nell'analisi dei rischi aeroportuali;
   questo stato di fatto, estremamente critico, non è stato considerato nelle valutazioni ambientali (VIA e VAS) che si sono riferite a scenari antecedenti alle alluvioni suddette e non adeguate ai moderni criteri di sicurezza aeroportuale;
   le valutazioni ambientali hanno inoltre omesso di considerare la proposta alternativa di tracciato ferroviario promossa dalla provincia di Ancona nel 2004 che prevede l'arretramento della linea ferroviaria adriatica verso il tracciato autostradale e già oggetto di intese interistituzionali tra le province di Ancona e Pesaro-Urbino;
   il costo dell'opera è elevatissimo se si considera che oggi ormai supera i 41 milioni di euro a chilometro (240 milioni per 5,9 chilometri di nuove linee complessivi) ben al di là del costo unitario medio di una linea ad alta velocità, che è pari a circa 25-30 milioni di euro a chilometro, pur non trattandosi affatto di alta velocità né potendovisi adeguare in futuro, perché il raggio di curvatura non lo consente;
   è da sottolineare, sul piano economico finanziario, l'assenza del calcolo del TIR (tasso interno di rendimento) in un momento di grave crisi, in contrasto con il disposto normativo e con l'esplicito richiamo contenuto nell'ultima relazione dell'ex governatore di Banca Italia Draghi che rilevava la necessità dell'analisi economica degli investimenti pubblici. Inoltre, anche il VAN (valore attuale netto dell'investimento per la cui determinazione è richiesta un'analisi costi-benefici) diventa a giudizio degli interpellanti un mero «numero da cabala» dopo lo sdoppiamento del progetto in due fasi;
   i comitati cittadini formatisi per contestare l'opera, il suo elevato costo e il rischio ambientale che si determinerebbe, hanno sostenuto da subito l'opportunità di ritornare al tracciato originario, a ridosso dell'autostrada, meno costoso e compatibile con un futuro arretramento del tratto anconetano della linea adriatica, sì da renderla compatibile con l'alta velocità migliorando la funzionalità della linea stessa;
   nel 2004 la provincia di Ancona, recependo le osservazioni avanzate dai cittadini, promosse uno studio di fattibilità per l'arretramento della linea ferroviaria in modo da risolvere sia la questione del collegamento Roma-Rimini che il necessario spostamento della linea anche da altre situazioni a rischio, come la frana Barducci di Ancona o l'area in dissesto idrogeologico della bassa vallesina, prima che queste comportino gravi problemi già oggi prevedibili per effetto dei cambiamenti climatici in atto;
   ciò nonostante la regione Marche ha sempre posto il by-pass API all'interno dell'elenco di opere dell'intesa Stato-regioni ed il CIPE, con la delibera 128/2012, ha reiterato la finanziabilità dell'intervento sebbene limitandola ad un primo stralcio del costo dichiarato di 174 milioni di euro (+ 537,8 per cento rispetto alla soluzione del corridoio adriatico del 1997, che diviene + 741,88 per cento se riferito all'attuale importo totale dell'opera);
   il costo dell'intera opera sembra lievitare di anno in anno sia passando dalla prima soluzione – il corridoio adriatico – alla seconda soluzione – il by-pass nodo ferroviario di Falconara –, sia con l'allungarsi dei tempi dello start-up dell'opera: anno 2002: costo previsto 129 milioni di euro; anno 2008: costo previsto 204 milioni di euro; previsione di costo al 30 aprile 2011: 240,000 Fonte: RFI spa; disponibilità al 30 aprile 2011: fondi pubblici 210,000, fonte: DPEF 2010-2013; progettazione definitiva conclusa; importo lavori: 147.000.000,00; costo progetto aggiudicatario: 1.381.988,14;
   nel frattempo la crisi ha enormemente diminuito il traffico ferroviario nella tratta Roma Rimini, specie il traffico merci, anche a causa della politica di RFI che da anni ha rinunciato al trasporto merci: su 1300 milioni di tonnellate di merci movimentate in Italia nel 2011 appena 40 milioni sono transitate su ferrovie;
   l'API raffineria ha sospeso la raffinazione per alcuni mesi del 2013 ed i segnali che giungono dai mercati petroliferi fanno ritenere che non riaprirà i battenti successivamente, avviando una fase di ristrutturazione del sito in cui l'eliminazione del rischio industriale e dell'inquinamento appare essere un punto fermo;
   nella linea Ancona Milano è entrata in esercizio la freccia rossa con la prospettiva di adeguare anche la tratta Ancona Bologna all'alta velocità, adeguamento che sarebbe reso impossibile proprio dal by-pass API;
   a fronte di questo scenario in rapida trasformazione la realizzazione del solo primo lotto dei lavori avrà una durata prevista di 6 anni;
   si è di fronte a quello che agli interpellanti appare un tipico esempio di cattiva gestione di denaro pubblico in un'opera che, così come congegnata, non si dimostra soltanto inutile, ma addirittura dannosa e contraria ad un processo di efficiente infrastrutturazione del territorio. Un'opera che trascinerà una serie di problemi ambientali, di sicurezza, di inefficienza trasportistica che graveranno ancora sulle tasche dei cittadini e sul territorio di Falconara, procrastinando nel tempo la risoluzione dei veri problemi di quel territorio, aggiungendo degrado a degrado;
   ci si trova di fronte, secondo gli interpellanti, a gravissime omissioni nel processo di valutazione dell'opera;
   non sembra saggio, responsabile e giusta in un momento di crisi vanificare 174 milioni di euro in un'opera con dubbie ricadute positive per la collettività;
   non appare ammissibile che un'opera pubblica che costava complessivamente 129 milioni di euro nel 2002 sia arrivata a costare 240 milioni di euro nel 2011, senza alcuna variazione di tracciato, con un costo al chilometro ben maggiore a quello di una linea ad alta velocità, pur essendo una linea di vecchia concezione. Un quadro economico, quello del by-pass Api che ad avviso degli interpellanti merita sicuramente la valutazione da parte della Corte dei Conti;
   non si comprende come si possa ancora oggi sottostimare una situazione acclarata di grave rischio idrogeologico nell'area interessata dal tracciato dell'opera;
   non si comprende come si possano non tenere in adeguata considerazione i nuovi criteri di sicurezza della navigazione aerea laddove è ben noto che nel cono di volo dell'aeroporto falconarese è ricompresa addirittura una parte della raffineria Api;
   occorrerebbe infine chiarire, anche all'Europa, se l'atteggiamento tenuto nella valutazione del by-pass Api sia davvero rispettoso delle direttive comunitarie –:
   se risultino le ragioni per le quali non è stato considerato nel processo di VIA e di VAS il nuovo scenario di rischio idrogeologico conseguente alle devastanti alluvioni che hanno interessato l'area di intervento nel 2006 e nel 2011;
   per quali motivi non sia stata adeguata la valutazione ai nuovi criteri di sicurezza in termini di navigazione aerea emanati nel 2010;
   per quali motivi non sia stata presa in considerazione come alternativa tecnica al tracciato del by-pass Api la soluzione di arretramento della linea ferroviaria adriatica proposta dalla provincia di Ancona, ovvero il tracciato del collegamento Roma-Rimini proposto nel progetto del corridoio adriatico nel 1997;
   per quali motivi a fronte di un progetto originario del costo di 32,35 milioni di euro e compatibile con il futuro scenario di arretramento della linea adriatica previsto dalla provincia di Ancona si dovrebbe preferire un diverso tracciato, certamente più invasivo nel territorio, con assai minore capacità di ammodernamento della rete infrastrutturale e del costo che raggiunge già i 240 milioni di euro.
(2-00086) «Terzoni, Busto, De Rosa, Tofalo, Zolezzi, Segoni, Mannino, Daga, Cecconi, Agostinelli».

Interrogazione a risposta orale:


   MONGIELLO, OLIVERIO, CENNI, DAL MORO, ANTEZZA, TENTORI, TERROSI, COVA, TARICCO e VALIANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   destano allarme le recenti notizie su una prossima decisione da parte della Cina di imporre nuovi e pesanti dazi sulle esportazioni di vino europeo come presunta ritorsione contro le misure adottate dall'Unione europea volte ad introdurre dazi sui pannelli solari cinesi e che si applicheranno dal 6 giugno con un'aliquota dell'11,8 per cento fino al 6 agosto per aumentare al 47,6 per cento dopo quella data se nel frattempo non si troverà una soluzione amichevole tra le due parti;
   questa minaccia è stata rilanciata dalle maggiori organizzazioni professionali agricole ed in particolare dalla Coldiretti che ha ricordato come sui media cinesi siano rimbalzate le notizie sulle misure antidumping adottate dall'Europa sollecitando una dura reazione da parte dei produttori di vino cinesi;
   sulla base di tali decisioni comunitarie, le autorità cinesi, sembra anche su sollecitazione della Chinese Alcoholic Drinks Association, l'associazione dei produttori cinesi di vino e alcolici, avrebbero aperto un'indagine per accertare eventuali sussidi abusivi offerti dall'Unione europea sul vino esportato in Cina;
   che si tratti di un pretesto lo si evince dal fatto, giuridicamente noto ad ogni Stato che intrattiene rapporti con l'Unione europea, che la politica agricola comune, in particolare la organizzazione comune di mercato del vino (OCM vino), non consente aiuti all'esportazione per tale merce ma solo aiuti ai produttori per azioni di penetrazione e di promozione sui mercati esteri;
   il mercato cinese per i produttori italiani di vino è di rilevante interesse. Dal 2008 a oggi, secondo un'analisi Coldiretti su dati Istat, le esportazioni nazionali in valore nel Paese asiatico sono passate da 19 milioni di euro a 77 milioni, e anche i primi due mesi dell'anno in corso hanno confermato il trend, con un aumento record del 42 per cento;
   l'eventuale imposizione di dazi sul vino esportato verso la Repubblica cinese rappresenterebbe un duro colpo per l'intera produzione vitivinicola europea oggi anche costretta a fare i conti con consumi che secondo la predetta Coldiretti sarebbero cresciuti leggermente solo in Francia, sarebbero stabili in Germania, Portogallo e Grecia mentre sarebbero scesi oltre che in Italia, anche in Spagna di ben 60 milioni di litri in un anno;
   in Italia si starebbe assistendo ad un crollo record del consumo di vino che sarebbero scesi al minimo storico dall'Unità d'Italia;
   in più, sempre secondo la Coldiretti, il quadro negativo potrebbe peggiorare dal prossimo 1o luglio, quando, se non interverranno modifiche, l'imposta di valore aggiunto passerà dal 21 al 22 per cento su alcuni prodotti tra cui, appunto, il vino;
   il bilancio del settore si mantiene attivo solo grazie alle esportazioni, con l'Italia che detiene il primato a livello mondiale e ha fatto segnare un aumento del 15 per cento nel primo bimestre del 2013 dopo aver fatto registrare il record di 4,7 miliardi nel 2012 –:
   quali informazioni possano riferire in ordine alla questione esposta in premessa e quali iniziative intendano intraprendere per scongiurare l'eventualità che la Repubblica cinese introduca dazi sull'importazione di vino proveniente dall'Unione europea;
   se stiano studiando misure volte ad evitare l'incremento dell'aliquota IVA che a legislazione vigente dovrebbe applicarsi dal mese di luglio 2013, provocando gravi ripercussioni anche sulle vendite dei prodotti vitivinicoli sul mercato nazionale. (3-00107)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARISI e BERNARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la deputazione generale della Fondazione del Monte dei Paschi di Siena, in scadenza di mandato, ha deliberato il 15 maggio 2013 un nuovo testo statutario, trasmettendolo al Ministero dell'economia e delle finanze per l'approvazione ai sensi di quanto disposto dall'articolo 10, comma 3, lettera c), del decreto legislativo n. 153 del 1999, recante «Disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1998, n. 461»;
   le modifiche statutarie suindicate sono state approvate dalla deputazione generale di detta Fondazione al termine di un processo «partecipativo» nel corso del quale «tutti gli enti pubblici e privati, radicati sul territorio senese che si considerino, per loro scopi e per tradizione storica, portatori di interessi meritevoli di essere “rappresentati” dall'Organo di indirizzo della Fondazione, possono far pervenire eventuali osservazioni e proposte sul documento in consultazione»;
   gli interroganti evidenziano come fra gli enti pubblici avrebbe evidentemente dovuto essere incluso in modo naturale, anche il comune di Siena, che, nell'attuale statuto della Fondazione è oltretutto ente nominante di 8 su 16 membri della deputazione generale;
   all'interno delle modifiche proposte e approvate, gli interroganti rilevano, anche la revisione della composizione di detta deputazione generale, in virtù anche della esigenza di far corrispondere il nuovo statuto al dettato normativo;
   gli interroganti rilevano altresì, come gli attuali membri della deputazione generale siano anch'essi in scadenza di mandato e sono stati nominati, per quanto riguarda le nomine di competenza dell'amministrazione comunale due consiliature fa;
   il comune di Siena, a seguito dello scioglimento del consiglio comunale che ha determinato le dimissioni del sindaco Franco Ceccuzzi, è stato sciolto il 12 giugno 2012, con la nomina a commissario straordinario per la gestione provvisoria dell'ente il prefetto dottor Enrico Laudanna;
   a seguito del commissariamento erano state indette nuove elezioni amministrative stabilite nelle giornate del 26 e 27 maggio 2013, con eventuale turno di ballottaggio previsto per i prossimi 9 e 10 giugno 2013;
   a quanto consta agli interroganti nella nota del 14 marzo 2013 (protocollo comune di Siena n. 12385) il commissario straordinario per la gestione provvisoria dell'ente, dottor Enrico Laudanna, ha evidenziato al presidente della Fondazione del Monte dei Paschi di Siena che: «correttezza e rispetto per l'attuale, transitoria incompetenza del vertice comunale nel fornire consapevoli e legittimate valutazioni su tematiche di forte caratura politico-strategica e comunque esulanti dall'ordinaria e strettamente tecnica amministrazione dell'Ente richiedono dunque che l'acquisizione del parere del Comune di Siena a proposito della bozza di revisione in argomento sia differita quando (tra breve) il Comune stesso potrà disporre degli organi elettivi in ravvicinato arrivo»;
   risulta importante evidenziare, a giudizio degli interroganti, come una pluralità di forze politiche locali abbia sottolineato ripetutamente e pubblicamente l'inopportunità di procedere a modifiche di rilevante importanza dello statuto della Fondazione, in assenza dell'organismo rappresentativo della sovranità popolare (sindaco e consiglio comunale) e inoltre con una Reputazione Generale in scadenza di mandato –:
   quale sia l'orientamento del Governo, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se siano a conoscenza che la procedura di consultazione esposta in premessa, abbia escluso il principale ente nominante l'attuale organo amministrativo della Fondazione;
   se siano altresì a conoscenza della nota del 14 marzo 2013 (protocollo comune di Siena n. 12385), anch'essa citata in premessa, con la quale il commissario straordinario per la gestione dell'ente ha sollecitato la fondazione a rinviare per un lasso di tempo breve, la consultazione del comune, al fine di consentire che si esprimano organi pienamente legittimati;
   se non ritengano opportuno rinviare alla Fondazione Monte dei Paschi le modifiche proposte ed evidenziate nella premessa, affinché si possa perfezionare il processo di modifica anche con il concorso dell'amministrazione comunale, stante anche la brevità dei tempi, in considerazione del fatto che il 9 e 10 giugno 2013 si è svolto il turno di ballottaggio per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di Siena. (5-00289)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARNEVALI e MISIANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il settore dei giochi è stato oggetto di numerosi interventi legislativi, finalizzati da un lato al contrasto del fenomeno del gioco illegale, alla tutela dei minori e alla lotta alla ludopatia, e dall'altro a reperire maggiori entrate per la copertura degli oneri recati dalle manovre di finanza pubblica, anche attraverso l'assegnazione di nuove concessioni;
   una organica revisione normativa sulla materia era contenuta nel disegno di legge delega fiscale approvato dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura (articolo 4, commi 6 e 7, dell'atto Senato 3519), il cui iter parlamentare non si è tuttavia concluso;
   il comparto del gioco rappresenta il 4 per cento del prodotto interno lordo italiano, con un giro d'affari intorno ai 90 miliardi di euro ed entrate erariali pari a oltre 8 miliardi. Nel 2012 la raccolta è stata pari a 87,1 miliardi, determinando un incremento del 9 per cento rispetto al 2011 (79,9 miliardi). Di tale raccolta 70 miliardi di euro sono tornati ai giocatori come vincite (fonte Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato). Considerando il dato relativo al 2010 (61,4 miliardi), in due anni c’è stato un aumento della raccolta del 42 per cento. Dal 2003 a oggi la raccolta è aumentata di oltre il 500 per cento;
   sempre secondo i dati dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) in Italia sono in esercizio più di 400.000 apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro e più di 6.000 locali e agenzie autorizzate al gioco legale che risultano frequentate da circa 15 milioni di giocatori abituali;
   secondo l'indagine «L'Italia in gioco», realizzata da Eurispes, risulta che già nel 2009 erano ben 35 milioni gli italiani coinvolti nel gioco lecito. Si tratta di cifre evidentemente parziali che non tengono conto dell'ampiezza del fenomeno alimentato anche dal gioco illegale, con una fetta consistente di consumatori d'azzardo che, pur non entrando nelle statistiche ufficiali, costituiscono spesso l'indotto sotterraneo del business dei giochi (usura, truffa, estorsione, criminalità organizzata, riciclaggio);
   di fronte a questi numeri si nascondono spesso drammi familiari e umani legati alla dipendenza da gioco;
   i commi 37 e 38 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, hanno disposto la messa a gara di ulteriori 7.000 punti vendita di giochi in luoghi pubblici;
   le sale giochi proliferano sempre di più in tutti i centri urbani e, tuttavia, le amministrazioni locali non riescono ad intervenire efficacemente per fermare il dilagante fenomeno, anche per la mancanza di poteri effettivi da parte delle autorità comunali di imporre norme restrittive in grado di impedire almeno la vicinanza delle sale giochi con i luoghi cosiddetti «sensibili» o per far rispettare una distanza congrua fra una sala e l'altra;
   anche la recente campagna contro le slot machine portata avanti da numerosi sindaci di importanti città italiane e di diversi schieramenti politici – «Basta con le slot» – sollecita l'urgenza di un intervento legislativo in materia;
   sarebbe quanto mai urgente dotare di strumenti efficaci anche gli enti locali per il governo dei territori, modificando la normativa nazionale in materia di esercizi commerciali e ridefinendo i poteri delle autorità competenti ai fini dell'autorizzazione dell'esercizio del gioco lecito, nonché dare potestà ai comuni di prevedere misure più restrittive per l'esercizio dell'attività –:
   quale sia l'orientamento del Ministro circa una possibile modifica della normativa nazionale, ferma restando la garanzia di invarianza del gettito erariale, al fine di dotare le autorità comunali di poteri atti ad imporre norme restrittive in materia di autorizzazione all'esercizio dell'attività di gioco nonché in materia di pubblicità dei giochi con vincita in denaro;
   quale sia l'orientamento del Ministro circa una possibile modifica della normativa nazionale al fine di dotare le autorità comunali di poteri di regolamentazione atti a stabilire norme più restrittive in materia di pubblicità dei giochi con vincita in denaro, ad evitare l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di gioco nei pressi di luoghi sensibili quali istituti scolastici, luoghi di culto, impianti sportivi, centri giovanili, strutture sanitarie e strutture ricettive per categorie protette, nonché a concedere l'autorizzazione per un tempo massimo di cinque anni rinnovabile alla scadenza. (4-00778)


   LATRONICO, ANTEZZA e FOLINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 52 del 2012 la sezione I giurisdizionale centrale della Corte dei conti ha pronunciato giudizio di responsabilità – notificato all'università degli studi della Basilicata il 17 aprile 2012 – nei confronti degli allora componenti del consiglio di amministrazione, per il danno erariale subito dall'università degli studi della Basilicata in seguito alla corresponsione dei maggiori emolumenti legati alle progressioni economiche verticali di personale tecnico-amministrativo perfezionatesi nel 2005;
   la citata sentenza, nell'illustrare – in via incidentale – le procedure amministrative sottese alle citate progressioni economiche verticali, ha prospettato profili di illegittimità nella incompiutezza delle politiche programmatorie sul fabbisogno del personale e nel mancato rispetto delle disposizioni relative alle percentuali da riservare all'esterno;
   per effetto di tale pronuncia, l'amministrazione universitaria ha avviato (marzo-aprile 2013), in regime di autotutela, i provvedimenti di retrocessione del personale interessato (pari a 111 dipendenti inquadrati in varie categorie);
   le illegittimità riscontrate dalla Corte dei conti, che hanno determinato l'avvio del procedimento di annullamento delle progressioni, sono riscontrabili nelle procedure concorsuali di molte università e di altri enti pubblici. Nel periodo compreso tra il 2001 ed il 2009, sono state messe in atto circa 809.708 (29.129 per il comparto università) progressioni verticali con procedure simili, in sostanza, a quelle adottate dall'ateneo lucano e non solo (relazione sul costo del lavoro del pubblico impiego, Corte dei Conti, sezioni riunite, anno 2011 – articolo 60 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165);
   l'avvio delle retrocessioni del personale universitario potrebbe avere l'effetto di generalizzare e moltiplicare i ricorsi nell'intera pubblica amministrazione, anche alla luce dei dati contenuti nella suddetta relazione della Corte dei conti, la quale rileva, altresì, che il contesto in cui si sono tenute tali progressioni, oggi ampiamente superato dalla legislazione attuale, farebbe riferimento al periodo storico in cui le linee programmatorie erano in evoluzione e non indicavano alle università alcun obbligo anche in ragione del complesso e diversificato quadro organizzativo delle professionalità che tali enti presentano;
   un analogo caso relativo alla legge 4 agosto 2004, n. 14, della regione Puglia, la quale è stata dichiarata incostituzionale nella parte relativa al consolidamento degli effetti delle progressioni verticali per più di seicento dipendenti, ha trovato soluzione nel decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (cosiddetto Milleproroghe 2011), il quale ha sanato le predette progressioni;
   dopo l'espletamento negli anni 2004 e 2005 dei concorsi per titoli ed esami, i dipendenti interessati sono stati impiegati in vitali funzioni di supporto alla didattica e alla ricerca per l'istituzione universitaria e per i soggetti fruitori (studenti, docenti, enti pubblici e privati e altri);
   tali funzioni sono state svolte per un decennio (decorrenza giuridica dal 1o luglio 2003) nel presupposto della legittimità della loro attribuzione, contribuendo a formare preziose professionalità tecnico-amministrative che ora rischiano di andare del tutto perse;
   le procedure di retrocessione interessano complessivamente centoundici dipendenti dell'università degli studi della Basilicata inquadrati nelle categorie C, D ed EP, pari ad oltre il 35 per cento dell'attuale dotazione organica, molti dei quali occupano posizioni di vertice. Tra le aree interessate: l'area di ragioneria, l'area delle segreterie studenti, l'area dei servizi informatici, alcuni, settori della ricerca e della didattica dei dipartimenti universitari, molti uffici (affari internazionali, organi collegiali, ufficio reclutamento, ufficio supporto nucleo di valutazione, ufficio bilancio) e numerosi laboratori di didattica e ricerca;
   è grazie a tali dipendenti che l'istituzione universitaria ha progressivamente affrontato e assolto il sempre maggiore carico lavorativo derivante dall'aumentata offerta didattica, dal numero crescente di studenti e dal consolidamento e crescita del polo decentrato di Matera. Quest'ultimo ha potuto in particolare mitigare gli effetti della riduzione di personale da 391 unità all'attuale 278 ed è stato in grado di affrontare le sfide delle nuove facoltà raddoppiate da 4 ad 8 ed del nuovo assetto organizzativo di cui alla legge 30 dicembre 2010, n. 240, di riforma del sistema universitario con l'istituzione delle scuole e dei dipartimenti;
   tale situazione propone lo scenario di una università che, essendo l'unica nella propria regione, vede conseguenze catastrofiche sul funzionamento e sulle prospettive di crescita della stessa e messa in pericolo l'erogazione di servizi adeguati all'utenza;
   si prevedono numerosi contenziosi che irromperanno nei processi di attuazione della citata legge n. 240 del 2010;
   appare, pertanto, conforme a criteri di equità sociale promuovere un intervento statale che consenta di coniugare la garanzia del buon andamento delle attività didattiche e di ricerca con la salvaguardia della posizione dei dipendenti dell'università degli studi della Basilicata interessati dalla procedure di retrocessione a distanza di dieci anni dall'espletamento dei concorsi pubblici relativi alle progressioni verticali sanzionate dalla magistratura contabile (decorrenza giuridica 1o luglio 2003) –:
   se sussistano i presupposti per iniziative, anche di carattere normativo, volte a tutelare le posizioni lavorative dei dipendenti interessati anche in ragione della professionalità da questi acquisita nell'arco dei dieci anni e del legittimo affidamento che su di essi si è consolidato, avendo questo personale svolto – e svolgendo tuttora – funzioni vitali per l'università degli studi della Basilicata. (4-00788)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dai dati Istat e da quelli dell'Agenzia del territorio/entrate emerge una netta riduzione delle compravendite immobiliari;
   la causa è certamente dovuta alla generale situazione di crisi in cui versa l'Italia ma anche alla forte tassazione che grava sugli immobili;
   nel primo trimestre 2012 in corrispondenza con l'applicazione dell'IMU, si ebbe una diminuzione del 16,9 per cento rispetto al corrispondente trimestre dell'anno precedente e, nel secondo trimestre 2012, ben del 23,7 per cento, sempre rispetto al corrispondente trimestre del 2011;
   alle stesse conclusioni si giunge sulla base dei dati dell'Agenzia del territorio/entrate che ha registrato una diminuzione nei quattro trimestri del 2012, sempre rispetto ai corrispondenti trimestri del 2011 – del 17,7 per cento, del 24,9 per cento, del 25,9 per cento e del 29,6 per cento;
   la fiscalità immobiliare è però caratterizzata non solo da una rilevante gravosità ma anche da forti contraddizioni;
   il proprietario disposto a concedere una riduzione del canone a un proprio inquilino che rischia di diventare moroso deve registrare la modifica del contratto per ridurre il carico d'imposte gravanti sul canone;
   il ridotto introito del canone determina infatti una minor base imponibile e dunque il pagamento di meno imposte;
   la registrazione all'Agenzia delle entrate comporta però il pagamento di un'imposta fissa di 67 euro oltre al bollo (14,62 euro);
   la riduzione del canone, auspicabile in momenti di grande difficoltà per tante famiglie, finisce così per essere disincentivata dal costo meramente burocratico dell'operazione;
   se per locazioni di immobili di pregio tale obbligo ha ragione di essere, per la riduzione delle locazioni di civili abitazioni di minor valore immobiliare e commerciale l'onere si appalesa secondo l'interrogante come un inutile imposizione;
   è perciò auspicabile che si conceda al locatore l'esenzione dagli oneri di bollo e registro nel caso di diminuzione del canone se i conduttori hanno redditi inferiori a quello medio regionale –:
   se il Governo intenda porre rimedio a questa situazione e adottare un'iniziativa normativa che conceda al locatore l'esenzione dagli oneri di bollo e registro nel caso di diminuzione del canone ove i conduttori abbiano redditi inferiori a quello medio regionale. (4-00802)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSSOMANDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155, recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero», attuativo della delega di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, è stata prevista la riorganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio nazionale;
   con questo provvedimento, la cui entrata in vigore è stata fissata al 13 settembre 2013, sono stati soppressi 31 tribunali, 31 procure e tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale;
   inoltre, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 5, comma 4, del decreto legislativo n. 155 del 2012, il Ministro della giustizia ha emanato in data 18 aprile 2013 il decreto ministeriale per là determinazione delle nuove piante organiche degli uffici giudiziari, dopo aver acquisito il parere favorevole da parte del Consiglio superiore della magistratura;
   sul piano nazionale, l'attuazione di questa riforma, riconosciuta comunque giusta nella sua finalità di assicurare una più razionale riorganizzazione delle risorse umane e materiali e di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, sta registrando una serie di ritardi e di criticità di varia natura, legati principalmente alla realizzazione delle nuove strutture, che comportano lavori onerosi, e nel riassetto dei nuovi uffici in termini di personale e delle relative risorse logistico-strumentali;
   in particolare, per quanto riguarda il tribunale di Ivrea, che assorbirà da Torino le due sezioni distaccate di Chivasso e Cirié, si profila una situazione di criticità, come denunciato dal presidente dello stesso tribunale, Carlo M. Garbellotto in alcuni articoli comparsi nelle scorse settimane su La Stampa;
   infatti, a fronte di un significativo ampliamento del bacino dell'utenza (con oltre 520.000 abitanti Ivrea diventerà il secondo polo regionale) e il conseguente aumento del carico di lavoro, i magistrati operanti nel tribunale eporediese passeranno dagli attuali 11 a 18, con un incremento giudicato del tutto insufficiente per fare fronte all'aumento del carico di lavoro che graverà sulla struttura;
   è proprio di qualche giorno fa la notizia che sarebbero circa 500 le cause penali, relative alle sedi distaccate di Cirié e Chivasso, che passerebbero dal tribunale di Torino a quello di Ivrea, che da metà settembre diventerà sede competente;
   a questo si aggiunge la ormai cronica carenza del personale amministrativo, situazione comune a tutti gli uffici giudiziari regionali (con un deficit di risorse umane che, ad Ivrea, arriverebbe al 50 per cento del fabbisogno) –:
   quali iniziative di competenza ritenga necessario adottare affinché la riforma prevista dal decreto legislativo n. 155 del 2012 di riorganizzazione degli uffici giudiziari, con particolare riferimento ai profili critici indicati in premessa e relativi al tribunale di Ivrea, possa essere attuata, considerando le problematiche conseguenti alle importanti modifiche della geografia giudiziaria piemontese, al fine di garantire alle sedi giudiziarie un adeguato organico, sia con riferimento all'adeguamento delle piante organiche degli uffici giudiziari che al potenziamento del personale amministrativo. (5-00296)


   VENTRICELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con i due decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012, il Governo – a fini di riduzione della spesa e di miglioramento dell'efficienza del sistema giustizia – ha dato attuazione alla delega conferitagli dalla legge n. 148 del 2011 per la revisione della geografia giudiziaria. Il decreto n. 155 procede alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie e detta la nuova organizzazione degli uffici giudiziari di primo grado sopprimendo 31 tribunali; il decreto n. 156 opera analoga riorganizzazione in relazione agli uffici del giudice di pace, riducendone significativamente il numero;
   il decreto legislativo n. 155 del 2012 («Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero») prevede la soppressione di 31 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace. Nella riorganizzazione generale che riguarda la Puglia, il Governo ha mantenuto i tribunali nelle sole province, ne consegue la soppressione del tribunale di Lucera, che il Governo riterrebbe lontano dai parametri individuati e non particolarmente rilevante sotto il profilo dell'impatto della criminalità organizzata;
   il tribunale di Lucera viene dunque accorpato a quello di Foggia, nonostante l'elevata entità del contenzioso registrato in quell'ufficio giudiziario, così come risulta dagli atti ufficiali;
   la provincia di Barletta-Andria-Trani conserva il tribunale di Trani, le cui sezioni distaccate di Andria e Barletta sono soppresse, al pari di tutte le altre sezioni distaccate; in base all'AG455, Lucera mantiene l'ufficio del giudice di pace, mentre il medesimo ufficio è invece soppresso in tutte le attuali sedi distaccate di tribunale;
   il suddetto decreto fissa in dodici mesi il termine, decorso il quale diventano effettivi i «tagli» degli uffici giudiziari ordinari, nonché le disposizioni relative alle ricadute (di natura organizzativa) di soppressioni e accorpamenti degli uffici nei confronti di magistrati, personale amministrativo e personale di polizia giudiziaria: l'effettiva efficacia della riforma è, quindi, fissata al 13 settembre 2013;
   attualmente, fino a tale data, le udienze già fissate davanti ad uno degli uffici destinati alla soppressione continuano ad essere tenute presso i medesimi tribunali o sezioni distaccate di tribunale; le udienze che, invece, cadono in una data successiva alla scadenza del periodo di dodici mesi e quindi dopo il 13 settembre 2013, saranno tenute dinanzi all'ufficio che ha accorpato quelli soppressi;
   tale decreto legislativo appare problematico proprio in riferimento alla sua idoneità a dare attuazione della delega, i cui principi e criteri direttivi riguardano, in particolare: a) la riduzione degli uffici giudiziari di primo grado, fatti comunque salvi i tribunali ordinari attualmente esistenti nei comuni capoluogo di provincia; b) la ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici giudiziari, eventualmente trasferendo territori dall'attuale circondario a circondari limitrofi, anche al fine di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane. A tal fine il Governo deve tenere conto di «criteri oggettivi e omogenei» che comprendano alcuni parametri (estensione del territorio, numero degli abitanti, carichi di lavoro, indice delle sopravvenienze, specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, presenza di criminalità organizzata); c) la ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici requirenti, con la possibilità di accorpare più uffici di procura indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali; d) la soppressione ovvero riduzione delle attuali 220 sezioni distaccate di tribunale; e) il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale, caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni; f) la garanzia che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello comprenda non meno di tre degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica (cosiddetta regola del tre); g) la disciplina relativa alla destinazione del personale di magistratura e amministrativo in servizio presso uffici giudiziari di primo grado soggetti alla riorganizzazione territoriale; h) le regole specifiche per la riorganizzazione territoriale degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, da operare tenendo in specifico conto, in coerenza con i criteri generali, dell'analisi dei costi rispetto ai carichi di lavoro, della riassegnazione del personale amministrativo in servizio presso gli uffici soppressi, della possibilità per gli enti locali di ottenere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, facendosi carico delle relative spese; i) il divieto di maggiori oneri per la finanza pubblica;
   la II Commissione permanente (Giustizia) della Camera dei deputati ha esaminato lo schema di decreto recante la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, approvando nella seduta del 1o agosto 2012, un parere favorevole a condizione che fossero accolte tutte le indicazioni ivi previste. In particolare, la Commissione ha individuato nel proprio parere alcuni tribunali non suscettibili di essere soppressi: a) in quanto situati in aree caratterizzate da fenomeni di criminalità organizzata; b) in presenza di strutture dedicate agli uffici giudiziari, di recente costruzione e realizzazione, che hanno comportato notevoli investimenti di risorse pubbliche; c) in quanto necessari per decongestionare le aree metropolitane; d) in ragione della grande estensione territoriale del circondario. La Commissione ha inoltre rilevato l'incongruità di alcuni accorpamenti che possono avere incidenza negativa, comportando forti disagi organizzativi e funzionali sia per gli utenti che per il servizio giustizia. La Commissione ha ritenuto inoltre opportuno: il mantenimento dei tribunali sub provinciali soppressi, quali «presidi territoriali di giustizia» dei tribunali accorpanti, per un periodo transitorio non superiore a cinque anni; il mantenimento, sempre per un periodo transitorio non superiore a cinque anni, di quelle sole sezioni distaccate attualmente esistenti che, per carico di lavoro riferito alle sopravvenienze, bacino di utenza, estensione territoriale (in alcuni casi più ampio della sede accorpante), caratteristiche specifiche della collocazione geografica (quale ad esempio l'insularità e le peculiarità delle zone montane o di confine) risultano oggettivamente necessarie per ovviare a disagi organizzativi per la popolazione e funzionali per il servizio giustizia;
   la II Commissione permanente (Giustizia) del Senato, in sede di esame dello schema di decreto legislativo recante nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero (seduta n. 336 del 31 luglio 2012), pur esprimendo apprezzamento per la finalità di assicurare una più razionale riorganizzazione delle risorse umane e materiali al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, nel rispetto dei criteri e principi direttivi di delega, ha criticato la originaria scelta governativa di non procedere contestualmente, da un lato, alla modifica della distribuzione sul territorio degli altri uffici giudiziari di primo grado e, dall'altro, alla revisione dell'assetto territoriale degli uffici del giudice di pace ed ha ritenuto che nell'esercizio del potere delegato il Governo non si sia strettamente attenuto, nella individuazione degli uffici da mantenere o da sopprimere, a tutti i criteri di delega – disattendendo di fatto alcuni dei principi della legge delega, in particolare riconoscendo ai criteri che impongono, da un lato, di tenere conto delle «specificità territoriali del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione infrastrutturale» e del «tasso di impatto della criminalità organizzata» e, dall'altro, di assumere come prioritaria linea di intervento nell'attuazione il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche, e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensione, un ruolo residuale e succedaneo rispetto a quelli oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze;
   ritenendo che una corretta ed equilibrata applicazione dei suddetti principi unitamente al perseguimento di indispensabili fini di efficienza, tali da garantire un'adeguata e funzionale presenza di uffici giudiziari sul territorio, impone un diverso processo di revisione rispetto a quello previsto per quanto concerne la soppressione dei cosiddetti tribunali minori, ridimensionando la portata ablativa del provvedimento in esame e prevedendosi, altresì, che nelle sedi dei tribunali sopprimendi sia comunque mantenuta una sede distaccata del tribunale accorpante, la Commissione giustizia del Senato ha ritenuto non conforme ai criteri di delega la decisione governativa di procedere alla totale soppressione di tutte le sezioni distaccate, constatando al riguardo come si assista ad una paradossale situazione per la quale da un lato si procede alla soppressione delle sezioni distaccate e alla drastica riduzione dei tribunali minori, in ragione del fatto che il ruolo del giudice di prossimità dovrebbe essere garantito dai giudici di pace, e dall'altro però si dà seguito ad una netta riduzione anche del numero degli uffici di giudici di pace dislocati sul territorio;
   così come è facile comprendere, pur rispettando la scelta che determina la chiusura di talune sedi, l'area murgiana non può rimanere sprovvista di un presidio che rappresenta la legalità e che è assolutamente necessario in zone che più volte e in più occasioni sono state teatro di atti illeciti ed episodi di violenza;
   pensare di accorpare tutto in un unico tribunale, che ancora prima di diventare definitivamente operativo ha già al suo attivo, e suo malgrado, una serie di pratiche inevase e di udienze in attesa di essere calendarizzate, potrebbe rendere ancora più gravosa la volontà di rendere più sicuro il territorio e più efficiente la macchina della giustizia;
   il tribunale è nella percezione diffusa di tutti i cittadini il punto di riferimento della giustizia e alcuni tribunali storici, più di altri, fanno parte integrante del tessuto culturale, sociale ed economico di determinati territori;
   senza voler rinnegare, come già detto, la stringente necessità di un riassetto e di una riorganizzazione, si potrebbe pensare ad una riforma della geografia giudiziaria che sia migliorativa e non, anche involontariamente, penalizzante per determinati territori;
   sarebbe bene, dunque, introdurre alcuni cambiamenti alla norma rivolti al recupero di alcune sedi tagliate senza criteri, ripensare al mantenimento almeno di una sede distaccata significativa nelle realtà in cui i tribunali sono stati chiusi, a valutare con maggiore attenzione il parametro dell'efficienza, poiché è da ritenere inaccettabile che tutto ciò che persegue l'eccellenza, se non rientra nei parametri numerici indicati, debba essere soppresso –:
   se non intenda assumere iniziative per rivedere il testo del decreto legislativo recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero» in attuazione della legge 14 settembre 2011, n. 148, al fine di evitare la penalizzazione delle realtà locali dell'area murgiana;
   se non intenda disporre, in particolare, il mantenimento degli uffici giudiziari che riguardano la suddetta area di competenza, al fine di assicurare una effettiva razionalizzazione della geografia giudiziaria, funzionale ad un rafforzamento dell'efficienza del sistema giustizia nella regione Puglia. (5-00301)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MONGIELLO, MARIANI, BELLANOVA, GINEFRA e CAPONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   diverse testate giornalistiche hanno raccontato la storia di Suad: una giovane donna saudita, con passaporto britannico e sposata con un cittadino italiano, di recente arrestata e obbligata a dimorare presso il domicilio del marito in attesa di un'eventuale richiesta di estradizione;
   Suad è stata fermata il 26 aprile 2013 dalla polizia di Stato a seguito di una richiesta di arresto internazionale, passata tramite Interpol, per la fattispecie di falso documentale; reato che, a detta del suo avvocato, in Italia non è contemplato dal codice penale;
   l'arresto è stato, quindi, convalidato dalla corte d'appello di Bologna il 30 aprile 2013 e la ragazza è stata scarcerata e messa all'obbligo di dimora come misura cautelare, confermata successivamente dal Ministero della giustizia in attesa della richiesta formale di estradizione;
   tanto il legale che il marito hanno raccontato ai cronisti dell'opposizione al matrimonio da parte del padre della ragazza, definito persona di grande influenza presso la casa reale saudita, il quale l'avrebbe segregata in casa per un anno dopo il matrimonio;
   Saud sarebbe riuscita a fuggire solo dopo aver ottenuto il passaporto britannico, concessole perché nata a Londra, e utilizzando il passaporto di un'amica per lasciare l'Arabia Saudita, perché i cittadini sauditi possono varcare la frontiera solo con il passaporto del proprio Stato; anche per tale ragione, a detta del marito, se tornasse in patria, Saud rischierebbe di essere segregata e uccisa –:
   se e come il Ministro della giustizia intenda agire anche in considerazione dell'assenza di un trattato di estradizione fra Italia e Arabia Saudita per garantire la libertà personale e l'incolumità di Suad. (4-00797)


   NASTRI. — Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   l'approvazione da parte del Governo precedente dei decreti legislativi riguardanti la revisione e la redistribuzione delle circoscrizioni giudiziarie, i cui modelli organizzativi sono stati spesso precari ed inefficienti sotto il profilo della produttività e della carenza di specializzazione e il cui impiego di risorse a volte, è risultato spropositato rispetto alle esigenze, è stato oggetto nel corso degli anni, di approfondite analisi e di valutazioni anche critiche;
   a giudizio dell'interrogante risulta in conseguenza di quanto suddetto condivisibile la necessità di adeguare le dimensioni dei tribunali e conseguentemente degli uffici del pubblico ministero, ad una serie di variate situazioni sociali, strutturali e criminali, sebbene alcune disposizioni introdotte siano discutibili;
   il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri il 10 agosto 2012 dispone, nell'ambito della ridefinizione della geografia giudiziaria, la rideterminazione delle piante organiche delle procure e dei tribunali;
   le norme indicate dal suddetto provvedimento, con riferimento alla nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero della regione Piemonte in particolare, a giudizio dell'interrogante, determineranno nel breve periodo una serie di singolari ed anomale conseguenze;
   nella città di Alessandria, la cui dotazione organica dei magistrati della procura, dovrebbe passare da 8 a 14 magistrati, 3 dei quali provenienti a seguito dell'accorpamento dalle sedi di Tortona, Acqui Terme e Casale Monferrato, si determinerà un sovraccarico dell'attività professionale, in considerazione del numero di iscrizioni pari a 9405 a mod. 21 nell'anno 2009-2010 per tutte e quattro le attuali e suddette sedi, a differenza della procura di Novara il cui numero di iscrizioni risulta essere 6745;
   quanto suesposto, a giudizio dell'interrogante, implicherà la conseguenza che, per un numero di iscrizioni superiore ad una percentuale che non raggiunge il 50 per cento, la procura di Alessandria avrà l'80 per cento in più dei magistrati rispetto a quelli di Novara;
   il raffronto con la procura della città di Cuneo, invece, risulta essere peggiore se si valuta che il numero di magistrati complessivo, risulterà essere di 12 unità ed un numero complessivo di iscrizioni a mod. 21 pari a 7653, determinando un disequilibrio in considerazione del fatto che per circa mille affari iscritti e trattati saranno previsti 4 magistrati in più rispetto a Novara;
   a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto esposto, occorre un'analisi più approfondita da parte del Ministro interrogato, al fine di evitare disarmonie e squilibri, come quelli riferiti alle citate procure della regione Piemonte, le cui conseguenze rischiano di determinare pesanti e negative ripercussioni per alcuni uffici giudiziari, che non avendo avuto sedi sub provinciali da accorpare, saranno evidentemente penalizzati;
   a giudizio dell'interrogante inoltre, risulta altresì necessario, rivedere i parametri utilizzati dal Ministero, per l'assegnazione della presenza che, stante l'attuale impostazione delle disposizioni previste, appare casuale e non legata a ragioni di razionalità di sedi sub provinciali;
   un dimensionamento medio degli uffici giudiziari che non sia inferiore a 35-40 unità per i tribunali e di circa 14-15 unità per quelli del pubblico ministero, a parere dell'interrogante, è in grado di garantire la specializzazione, l'eliminazione delle incompatibilità tra giudicanti e soprattutto la possibilità di assorbire le carenze e le eventuali criticità –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, con riferimento alla ridefinizione delle piante organiche delle procure e dei tribunali in particolare della regione Piemonte, nonché alla situazione complessiva configurata in merito alle procure della medesima regione, non ritenga opportuno assumere ulteriori iniziative normative volte a prevedere un dimensionamento degli uffici giudiziari che consideri i rilievi esposti in premessa. (4-00798)


   FARAONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 febbraio 2013, è entrata in vigore la legge n. 247 del 2012, recante la «Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense», il cui articolo 21, comma 8, prevede: «L'iscrizione agli Albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense». Al momento dell'entrata in vigore della novella legislativa risultavano iscritti all'albo, ma non iscritti alla Cassa forense oltre 56.000 avvocati, in gran parte infra 40enni;
   in data 4 febbraio 2013, il presidente della Cassa di previdenza e assistenza forense ha indetto le elezioni per il rinnovo del comitato dei delegati per il prossimo 18 novembre. Successivamente, il consiglio d'amministrazione di Cassa forense ha determinato la distribuzione dei seggi per ogni distretto di corte d'appello, escludendo dall'elettorato attivo coloro che non erano iscritti alla Cassa di previdenza in data antecedente al 2 febbraio 2013;
   se è vero che la normativa previdenziale (articolo 22 della legge n. 141 del 1980) precedente alla riforma forense, disponeva che l'iscrizione alla Cassa forense avveniva a domanda e, solo successivamente alla mancata presentazione della domanda, d'ufficio, è altrettanto certo che dopo il 2 febbraio 2013, non può resistere la figura dell'iscritto all'albo non iscritto alla Cassa, anche in attesa dell'adozione del regolamento ex comma 9 dell'articolo 21, sulla determinazione dei contributi minimi che dovranno versare gli avvocati, che in precedenza non erano iscritti alla Cassa;
   infatti, ai sensi del comma 1 dell'articolo 65 della legge n. 247 del 2012, «fino alla data di entrata in vigore dei regolamenti previsti nella presente legge, si applicano se necessario e in quanto compatibili le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate»;
   è evidente che l'articolo 22 della legge n. 141 del 1980, che disciplinava il regime dell'iscrizione a domanda alla Cassa, è incompatibile con la contestuale iscrizione albo – Cassa prevista dall'articolo 21 della legge n. 247 del 2012, perché nel nuovo sistema non è più possibile iscriversi alla Cassa a domanda, ma automaticamente e contestualmente all'iscrizione all'albo;
   d'altra parte è ovvio che il futuro regolamento della Cassa, che verrà adottato ai sensi del comma 9 del citato articolo 21, non potrà di certo prevedere la decorrenza dell'iscrizione automatica alla Cassa dal 2014, ma evidentemente dal 2013;
   quindi, in forza dell'attuale delibera del Consiglio di amministrazione della Cassa, si avranno avvocati iscritti all'albo e alla Cassa con decorrenza 2013, che però non potranno esercitare il loro diritto di voto nelle prossime elezioni per il comitato dei delegati di Cassa forense, costituendo una categoria anomala di iscritti con obblighi previdenziali ma senza diritti;
   la delibera del Consiglio di amministrazione di Cassa forense viola il diritto elettorale di moltissimi giovani avvocati –:
   se il Governo sia a conoscenza della delibera assunta dal consiglio d'amministrazione della Cassa forense e se intenda assumere iniziative per garantire un corretto svolgimento del procedimento elettorale per il rinnovo del comitato dei delegati, includendo e riconoscendo l'elettorato attivo a tutti gli avvocati italiani iscritti alla data d'indizione delle elezioni. (4-00803)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   CATALANO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla liberalizzazione del mercato dei servizi a terra, la società SEA spa, operatore pubblico che gestisce gli aeroporti di Milano Malpensa e Milano Linate, ha costituito la SEA Handling spa operativa dal 1o giugno 2002, partecipata al 100 per cento da SEA spa e responsabile per la gestione della movimentazione merci e bagagli sotto bordo per conto di Alitalia e altre compagnie;
   il capitale sociale di SEA, ad oggi, è pari a 27.500.000,00 euro, suddiviso in 250 milioni di azioni e gli azionisti si suddividono in azionisti pubblici che detengono il 55,65 per cento delle azioni (tra i principali il comune di Milano con il 54,81 per cento, la provincia di Varese con il 0,64 per cento e il comune di Busto Arsizio con 0,06 per cento) e azionisti privati che ne detengono il 44,35 per cento;
   come si apprende dal comunicato stampa della Commissione europea del 19 dicembre 2012, la SEA Handling ha ricevuto, nel periodo 2002-2012, da parte di SEA spa, 360.000.000 di euro;
   suddetti apporti di capitale sono stati segnalati alla Commissione europea da una società di handling concorrente il 13 luglio 2006;
   nella denuncia di cui sopra, riguardante un presunto aiuto di Stato concesso alla società SEA Handling spa (reg. CP 175/06), si accusava la SEA Handling, quasi interamente di proprietà di enti pubblici, di aver ricevuto tra il 2001 e il 2005, da SEA spa sovvenzioni destinate a ricoprire le perdite di esercizio subìte, attività continuata anche dopo il 2005. Si affermava, inoltre, che il comune di Milano aveva svolto un ruolo attivo nel garantire l'equilibrio finanziario e i livelli di occupazione di SEA Handling;
   in particolare, limitatamente al periodo oggetto di denuncia, gli importi delle perdite compensate da SEA a favore di SEA Handling, sono i seguenti:
    nel 2002 SEA Handling ha registrato una perdita totale di 43.639.040,39 EUR (1o giugno 2002-31 dicembre 2002), coperta con apporto di capitale da parte di SEA;
    nel 2003 SEA Handling ha registrato una perdita totale di 49.489.577,23 EUR (1o gennaio 2003-31 dicembre 2003), coperta con apporto di capitale da parte di SEA;
    nel 2004 SEA Handling ha registrato una perdita totale di 47.962.810 EUR (1o gennaio 2004-31 dicembre 2004);
    nel 2005 SEA Handling ha registrato una perdita totale di 42.430.169,31 EUR (1o gennaio 2005-31 dicembre 2005), coperta con apporto di capitale da parte di SEA;
    secondo i dati indicati nel bilancio del gruppo SEA trasmesso dal denunciante, nel 2006 SEA Handling ha subito perdite per 44.200.000 EUR;
   con lettera del 9 febbraio 2007 le autorità italiane hanno fornito le delucidazioni richieste dalla Commissione a seguito della succitata denuncia;
   la Commissione, con lettera del 30 maggio 2007, ha informato il denunciante che non disponeva di elementi sufficienti per concludere che fosse soddisfatto uno dei criteri di applicazione dell'articolo 107, paragrafo 1, del TFUE, e che quindi tali aiuti potessero considerarsi aiuti di Stato;
   il 2 luglio 2007, il denunciante ha fornito informazioni aggiuntive, integrando la propria istanza e inducendo la Commissione a riesaminare la denuncia;
   le autorità italiane, su richiesta della Commissione, hanno trasmesso copia dell'intesa sindacale del 26 marzo 2002 (con lettera del 10 aprile 2008) e copia dell'intesa sindacale conclusa il 13 giugno 2008 (con lettera del 20 novembre 2008);
   in seguito all'esame di suddette informazioni, la Commissione ha stabilito che gli importi corrisposti sono incompatibili con il dettato dell'articolo 107 del TFUE, per il quale gli aiuti devono perseguire obiettivi di benessere comune come la protezione dell'ambiente, la ricerca e lo sviluppo regionale, senza falsare indebitamente la concorrenza tra le imprese nel mercato interno;
   secondo la Commissione, gli aiuti sono incompatibili anche con gli orientamenti dell'Unione europea per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà del 2004, i quali prevedono che: le imprese interessate elaborino un piano solido di ristrutturazione che ripristini la redditività a lungo termine e permetta loro di funzionare senza continuare a ricevere sovvenzioni da parte dello Stato; le imprese beneficiarie dell'aiuto attuino adeguate misure compensative finalizzate a ridurre al minimo le distorsioni di concorrenza create dall'aiuto dello Stato e ad apportare un considerevole contributo al piano di ristrutturazione mediante risorse proprie; l'impresa riceva un aiuto alla ristrutturazione una volta ogni dieci anni;
   i ripetuti apporti di capitale, secondo la Commissione hanno quindi conferito a SEA Handling un indebito vantaggio rispetto ai suoi concorrenti, infatti, la società, come emerge dalle perdite ingenti registrate nel bilancio, non sarebbe stata in grado di ottenere i finanziamenti sul mercato e gli importi versati si configurano, pertanto, secondo la Commissione, come aiuti di Stato;
   come si apprende dal comunicato stampa del 19 dicembre 2012, la Commissione europea ha ordinato il «recupero di 360.000.000 di euro illegalmente concessi a SEA Handling»;
   SEA Handling e il comune di Milano, rispettivamente il 15 e il 18 marzo 2013, hanno presentato ricorso, al quale si è associato il Governo uscente, contro la decisione della Commissione per aver valutato le misure controverse imputabili al Comune (e quindi allo Stato), insoddisfacenti il criterio dell'investitore privato operante in condizioni di mercato e incompatibili con gli orientamenti per la salvaguardia e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà;
   l'obbligo immediato della presentazione del bilancio 2012 impone tempi strettissimi che, coniugati con la rilevanza economica della vicenda, e le possibili conseguenze sull'occupazione, palesa l'urgenza del problema –:
   come il Ministro interrogato giudichi il comportamento di ENAC, quale ente preposto a svolgere un'attività di regolazione economica del settore e intenda, alla luce dei fatti sopra esposti, tutelare l'occupazione e le possibili ricadute socio-economiche sul territorio. (5-00305)


   TULLO, TERROSI e DALLAI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si è registrato un progressivo ridimensionamento dei servizi ferroviari non rientranti nell'alta velocità che ha penalizzato in massima parte i pendolari e gli studenti;
   in particolare i treni al servizio della città di Orvieto hanno subito variazioni di orario tali da rendere estremamente disagevole il percorso di coloro che per motivi di studio e di lavoro devono raggiungere le città di Roma e Firenze;
   in particolare il collegamento verso Roma è assicurato solo fino alle 7.24 del mattino – orario dell'ultimo Intercity disponibile – mentre quello verso Firenze è assicurato da un treno regionale veloce, con cambio su un treno regionale normale, con conseguente aggravio di costo sugli abbonamenti, dal momento che per poter usufruire di treni Intercity, treni regionali e treni regionali veloci è necessario dotarsi di un abbonamento con estensione regionale;
   i treni Euronight in servizio che percorrono le tratte Tarvisio-Roma e Roma-Vienna non rappresentano un'alternativa al servizio Intercity poiché dispongono al massimo di due carrozze al di fuori delle cuccette, con un numero di posti estremamente limitato;
   le variazioni previste penalizzerebbero ulteriormente i cittadini, dal momento che è previsto che si anticipi l'orario di partenza da Firenze e si posticipi l'orario di ritorno da Roma, con cambio della stazione di partenza, da Termini a Tiburtina;
   tali variazioni impediscono ai cittadini di Orvieto di usufruire delle coincidenze con la funicolare e l'ascensore che coprono il tratto Orvieto stazione-Orvieto città e con gli autobus extraurbani di collegamento –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare nei confronti di Trenitalia affinché i cittadini di Orvieto siano messi in condizione di usufruire di tale servizio in modo efficace e non disagevole. (5-00306)


   BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è stato pubblicato di recente in Francia il libro di denuncia di un pilota Ryanair che descrive un modello economico di gestione dell'azienda improntato all'estrema riduzione dei costi per ottimizzare i guadagni, spesso a scapito della sicurezza;
   sembrerebbe quindi che, dopo il personale di cabina, a denunciare condizioni di lavoro stressanti sia ora un pilota della Compagnia, che usando un nome di invenzione, evidenzierebbe una situazione lavorativa per i dipendenti Ryanair spesso confusa, imprevedibile e vessatoria, tale da avere ripercussioni in termini di efficienza professionale e, conseguentemente, di servizio all'utenza;
   l'autore descrive in particolare un episodio che sarebbe avvenuto in Italia, quando un aereo è stato dirottato da Pisa a Genova a causa di violenti temporali nella regione, costringendo passeggeri e personale a pernottare nel capoluogo ligure. Fletcher – questo il nome di fantasia – racconta di ore di riposo ridotte al minimo e trascorse in condizioni di fortuna;
   sembrerebbe che non sia la prima volta che i piloti Ryanair si trovino a dover ammettere di essere sotto pressione, costretti, oltre che a condizioni di lavoro inique e pesanti, a comportamenti professionali non proprio corretti, come emerge anche dal libro-denuncia, quali manovre in volo non ortodosse o frenate brutali per liberare in fretta piste di atterraggio allo scopo di compensare ritardi dei voli o risparmiare carburante;
   Ryanair è una delle compagnie che è stata più volte oggetto di incidenti, denunce e inchieste legate a problemi di sicurezza;
   in Spagna, l'Agenzia pubblica di sicurezza aerea spagnola la scorsa estate ha aperto un'inchiesta per i tre mayday lanciati a Valencia il 26 luglio 2012 per il basso livello di carburante, analoghe denunce hanno avuto luogo in Olanda, ma anche in Italia si sono verificati episodi preoccupanti e sono stati evidenziati comportamenti censurabili del personale navigante e di terra in tema di sicurezza: annunci ai passeggeri legati alle informazioni di sicurezza solo in inglese, indicazioni di sicurezza fornite in maniera superficiale e sbrigativa;
   carenze del vettore sono state inoltre spesso rilevate anche nell'assistenza ai passeggeri in situazioni di disagio. Si ricorda che il 15 maggio 2010 il vettore è stato multato dall'ENAC per circa tre milioni di euro per non aver provveduto all'assistenza dei passeggeri (pasti, bevande e alloggio) in 178 casi di cancellazione del volo per effetto del blocco degli spazi aerei in quasi tutta Europa, a seguito dell'eruzione del vulcano l'Eyjafjöll –:
   di quali elementi si disponga in merito ad una eventuale o meno conferma di quanto esposto in premessa e se si intendano assumere anche per il tramite dell'Enac iniziative volte a far piena luce sui fatti e a garantire la massima sicurezza.
(5-00307)


   BIASOTTI e CICU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel quadro dello sviluppo infrastrutturale delle reti di trasporto merci e passeggeri transeuropee TEN-T, che costituiscono un progetto fondante delle politiche dei trasporti dell'Unione europea, l'interrogante rileva come, nel corso degli ultimi anni, gli interventi volti a garantire adeguate misure per il potenziamento dei sistemi di collegamento e di misure per favorire una integrazione più rapida di aree geografiche del Mediterraneo come la Sardegna, siano marginali e spesso insufficienti, come confermano anche le risultanze superficiali dei programmi TEN-T in cui emerge l'emarginazione in tema di intermodalità ed interoperabilità nei confronti dell'isola;
   l'interrogante evidenzia altresì come, nonostante la Commissione europea lo scorso dicembre sembrerebbe aver ricompreso la città di Cagliari all'interno della Rete transeuropea dei trasporti, il cui documento unisce i principali snodi urbani europei, attribuendo al capoluogo sardo una dotazione finanziaria di almeno 60 miliardi di euro, nell'ambito della programmazione 2014-2020, gli interventi indicati dal medesimo progetto europeo siano nel complesso di manifesta esclusione di investimenti nella rete e di dismissione delle attività trasportistiche nei riguardi della Sardegna;
   nell'ambito delle politiche di sviluppo e di competitività del sistema integrato di porti, interporti ed aeroporti che costituiscono una vera e propria infrastruttura sistemica, il progetto di reti transeuropee – TEN, a giudizio dell'interrogante, avrebbe dovuto considerare con maggiore attenzione la suindicata isola, quale snodo centrale dei traffici verso la Spagna, la Francia e il nord Africa, consentendo ad essa di svolgere un ruolo diverso da quello a cui è costretta, i cui ostacoli costituiti dall'insularità aggravano con il trascorrere degli anni, il gap di competitività in termini infrastrutturali;
   l'esclusione della Sardegna dai più ampi programmi di investimento, anche con riferimento alle cosiddette «autostrade del mare», dalle reti transeuropee dei trasporti – TEN-T, indispensabili per favorire la coesione economica, sociale e territoriale nell'Unione europea e, di conseguenza, la completa integrazione del mercato unico ed il perseguimento degli obiettivi della Strategia UE 2020, a giudizio dell'interrogante, rischia di determinare una serie di prevedibili conseguenze negative per l'economia nazionale e isolana in particolare, relegandola in un ruolo marginale nell'assetto trasportistico europeo –:
   se siano confermati l'inserimento della città di Cagliari all'interno della «Rete transeuropea dei trasporti», nell'ambito della programmazione 2014-2020 e le risorse finanziarie attribuite al capoluogo sardo e quali siano complessivamente gli interventi previsti dal documento europeo nell'ambito delle risorse stanziate a favore della Sardegna, anche con specifico riferimento alle «autostrade del mare». (5-00308)


   OLIARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il settore del trasporto via mare è uno dei settori dell'economia marittima vulnerabile al confronto competitivo con gli altri porti mediterranei ed europei;
   nei porti nazionali dedicati prevalentemente ad operazioni di trasbordo da nave a nave (ed. «transhipment») – Gioia Tauro, Cagliari e Taranto – si è registrata negli anni 2010, 2011 e 2012 una sostanziale tenuta dell'andamento dei traffici, anche in conseguenza del fatto che le autorità portuali di tali porti hanno goduto della facoltà di applicare in quegli anni il meccanismo sperimentale di flessibilità impositiva di cui all'articolo 5, comma 7-duodecies, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, come modificato dall'articolo 11, comma 1, lettera b), del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14;
   il citato articolo 5, recante proroga di termini in materia di infrastrutture e trasporti, al fine di fronteggiare la crisi di competitività dei porti nazionali, con riguardo anche all'attività prevalente di transhipment ha previsto al comma 7-undecies che le disposizioni relative all'adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi di cui all'articolo 1, comma 989, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 4, commi 1 e 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, si applicassero a decorrere dal gennaio 2012;
   il medesimo articolo ha tuttavia disposto, al comma 7-duodecies, che «Nel rispetto delle finalità di cui al comma 7-undecies, in via sperimentale, per gli anni 2010, 2011 e 2012, nelle more della piena attuazione dell'autonomia finanziaria delle Autorità portuali ai sensi dell'articolo 1, comma 982, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, alle Autorità portuali è altresì consentito, nell'ambito della loro autonomia di bilancio e nel rispetto dell'equilibrio di bilancio, stabilire variazioni in aumento fino ad un tetto massimo pari al doppio della misura delle tasse di ancoraggio e portuale così come adeguate ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, nonché in diminuzione fino all'azzeramento delle singole tasse medesime»;
   tale comma ha pertanto previsto una fase sperimentale per gli anni 2010 e 2011 (successivamente prorogata anche per l'anno 2012 dall'articolo 11 del decreto-legge n. 216 del 2011) nella quale le autorità portuali, nelle more del completamento dell'autonomia finanziaria, potevano stabilire l'importo delle tasse da applicare operando, solo in caso di riduzione della tassazione (che poteva arrivare fino all'azzeramento), una corrispondente riduzione delle spese correnti ovvero un corrispondente aumento delle altre entrate, conseguito attraverso la propria autonomia impositiva e tariffaria;
   l'introduzione della misura di flessibilità ha permesso ai porti nazionali che operano sulle linee di navigazione del transhipment di recuperare, almeno in parte, competitività rispetto agli scali nordafricani ed europei concorrenti, ove risultano pressoché inesistenti lavori di costo legata a regimi tributari;
   l'articolo 1, comma 388, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), ha da ultimo prorogato al 30 giugno 2013 la facoltà delle autorità portuali di variare le tasse portuali come adeguate dal citato decreto del Presidente della Repubblica 107 del 2009;
   il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, del 24 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 gennaio 2013, n. 4, recante «Adeguamento dell'ammontare delle tasse e dei diritti marittimi ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107» ha previsto aumenti delle aliquote relative alla tassa di ancoraggio e portuale derivanti dalla rivalutazione ventennale in base al costo della vita dei tributi portuali i cui importi erano fermi al 1993;
   in particolare, le suddette aliquote sono aumentate applicando su ciascuna di esse il 75 per cento del tasso di inflazione FOI accertato dall'ISTAT per il periodo dal 1o gennaio 1993 al 31 dicembre 2011, risultato pari al 59,3 per cento;
   pertanto la misura della tassa di ancoraggio delle navi e delle tasse sulle merci imbarcate e sbarcate aumenta dal 2013 del 29,4 per cento dal 2014 di un ulteriore 15 per cento;
   l'onerosità di questi adeguamenti all'indice di inflazione degli ultimi anni, applicata nei porti italiani, rischia di dirottare i grandi gruppi armatoriali verso i porti europei e del Nord Africa più competitivi nelle operazioni di transhipment;
tuttavia, l'inasprimento dei tributi portuali può essere in parte attenuato dalla possibilità per le autorità portuali di diminuire fino all'azzeramento l'importo delle tasse stesse, facoltà che peraltro è prevista in via transitoria e che la legge di stabilità 2013 ha prorogato solo fino al 30 giugno 2013;
   il permanere delle sfavorevoli condizioni di mercato sul piano della competitività e l'incremento delle aliquote tributarie rendono necessaria l'introduzione di uno stabile meccanismo di flessibilità impositiva a favore delle autorità portuali –:
   se non ritenga opportuno che sia prorogata ulteriormente la fase sperimentale scadente al 30 giugno 2013 o sia addirittura prevista la stabilizzazione di tale meccanismo di flessibilità impositiva che ha consentito in questi anni ai porti italiani di transhipment di fronteggiare la forte concorrenza dei porti europei e nord-africani e di registrare una sostanziale tenuta dell'andamento dei traffici, con effetti positivi sia in termini di entrate fiscali e contributive sia in termini di impiego del personale. (5-00309)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANZI e MORANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attesa della pubblicazione del nuovo orario estivo adottato da Trenitalia sembra sempre più accreditata l'ipotesi della cancellazione del treno Frecciabianca Roma-Falconara-Ravenna, in entrambe le tratte, unico treno veloce che collega Ancona con la Capitale;
   la possibile cancellazione, annunciata dai vertici di Trenitalia, si aggiunge ad altri tagli e sostituzioni di Eurostar con treni più lenti, avvenuti in precedenza, così come sembra sfumata la possibilità di ripristinare i due Intercity Ancona-Roma delle 11:39 e Roma-Ancona delle 19:32, già soppressi nei mesi scorsi;
   inevitabili sono le pesanti ripercussioni negative che la dismissione delle linee regionali e a lunga percorrenza sono destinate ad avere sui cittadini marchigiani, creando notevoli disagi non solo ai pendolari diretti nella capitale, ma anche al settore turistico e al comparto del business, accentuando di fatto una crisi economica che già caratterizza il territorio marchigiano;
   la regione Marche, a seguito delle pressanti segnalazioni dell'utenza e a fronte di un riscontrato effettivo problema creato dall'eliminazione del treno Roma-Ancona delle 19:32, molto utilizzato dai pendolari, ha inviato a Trenitalia esplicita richiesta di ripristino del treno, evidenziando come l'attuale situazione del trasporto pubblico su rotaia sta di fatto condannando le Marche all'isolamento;
   Trenitalia, nella persona dell'amministratore delegato, ha motivato tale mancato ripristino sostenendo che il servizio non è per l'azienda commercialmente sostenibile, ma che tuttavia potrebbe essere finanziato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti attraverso il contratto di servizio, per il quale la stessa, su richiesta della regione Marche, ha inviato, nella scorsa legislatura, al Ministero una scheda di fattibilità tecnico-economica, rimasta lettera morta a causa delle dimissioni del Governo Monti;
   le scelte operate da Trenitalia sarebbero dettate prevalentemente da questioni connesse all'equilibrio di bilancio, senza considerare, in maniera appropriata, le rilevanti esigenze di mobilità che dovrebbero essere tenute in considerazione nel guidare le scelte di una società che è totalmente a capitale pubblico;
   a ciò si aggiunge la netta diminuzione dei trasferimenti erariali alle regioni, che ha visto le Marche fortemente penalizzata, quando al criterio della premialità si è sostituito quello della linearità nell'assegnazione degli stessi, in base al cosiddetto decreto Monti;
   togliere risorse al trasporto pubblico è un grande errore strategico, perché, da un lato, viene fortemente limitato il diritto alla mobilità dei cittadini e, dall'altro, si aumentano i costi sociali legati all'inquinamento, all'incidentalità e alla qualità della vita, oltre a compromettere lo sviluppo economico di intere aree del nostro Paese già duramente provate dalla crisi in atto;
   trasporti efficienti e veloci sono il presupposto per favorire la libera circolazione delle persone e la crescita economica –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in riferimento alla decisione operata da Trenitalia, secondo logiche di mercato ad avviso degli interroganti discutibili, di riclassificare e sopprimere alcuni treni a media e lunga percorrenza, decisione che, a parere di molti, compromette gli obblighi di servizio pubblico cui l'azienda è tenuta;
   se, alla luce dei fatti sopra menzionati, si ritenga ipotizzabile e realizzabile ripristinare talune tratte del servizio ferroviario nelle regione Marche, precedentemente soppresse, attraverso un contratto di servizio. (5-00295)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDELLI e ABRIGNANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'eliminazione del treno Roma-Ancona delle 19,30, l'ipotesi di cancellazione del Frecciabianca 9852 Roma-Falconara-Ravenna delle 17.35, nonché della corsa delle 7,44 del mattino da Falconara Marittima a Roma (Frecciabianca 9851), rischia nel versante dei collegamenti di impoverire ulteriormente una regione come le Marche che già storicamente soffre di gravi carenze infrastrutturali, di ledere i diritti dei tanti pendolari marchigiani che per vari motivi hanno bisogno di raggiungere quotidianamente le regioni limitrofe, di bloccare le potenzialità di sviluppo economico delle località direttamente colpite da queste decisioni –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di sua competenza, per il ripristino da parte di Trenitalia del treno soppresso Roma-Ancona delle 19,30 e per salvaguardare il mantenimento dell'attuale tratta (e relativi orari e stazioni di fermata) del Frecciabianca 9851 Ravenna-Falconara-Roma e del Frecciabianca 9852 Roma-Falconara-Ravenna. (4-00774)


   ROSATO, BLAZINA, BRANDOLIN, COPPOLA e MALISANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 1o maggio 2004 la Repubblica di Slovenia è entrata a far parte dell'Unione europea e alla mezzanotte tra il 21 e il 22 dicembre 2007, è entrata a far parte dell'area di Schengen;
   con lo storico abbattimento dei confini tra l'Italia e la Slovenia si è dato avvio ad una nuova fase di relazioni diplomatiche tra i due Paesi e anche la gestione della frontiera ha subito un radicale mutamento rispetto al passato;
   la minor concentrazione di forze di polizia alla frontiera con la Repubblica di Slovenia ha necessitato un ripensamento dell'utilizzo delle strutture prima esistenti e i posti di blocco sono oggi inutilizzati;
   risulta agli interroganti che le diverse esigenze tecniche, però, si sono tramutate in un abbandono delle strutture anziché in un loro riutilizzo;
   si segnalano pertanto i casi più eclatanti dei valichi di Rabuiese e Pese (in provincia di Trieste) e di Merna e via San Gabriele (in provincia di Gorizia) dove lo stato di degrado è evidente e si presta ad essere un pessimo biglietto da visita per i turisti dell'est europeo che scelgono quelle frontiere per fare il loro ingresso nel nostro Paese;
   a titolo esemplificativo si segnala che nei primi due valichi di frontiera (di I categoria) sono presenti calcinacci, immondizie di ogni genere e gli uffici, ormai abbandonati, contengono ancora documentazione risalente agli anni in cui il posto di blocco era in servizio; mentre anche nei secondi valichi citati (di II categoria) le strutture degli ex posti di blocco sono in condizioni di assoluta trascuratezza e il deterioramento e l'incuria che ne sono seguiti hanno reso gli edifici pericolosi per la stessa circolazione delle vetture;
   va detto che lo stato di abbandono è reso ancor più evidente dalle buone condizioni in cui versano gli stessi valichi per la parte spettante al Paese confinante;
   preme sottolineare all'interrogante che vi sono anche esigenze di sicurezza stradale e non solo d'immagine a fondamento della necessaria richiesta di maggiore attenzione verso gli ex valichi di confine –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire per recuperare i valichi di frontiera dallo stato di abbandono e degrado in cui versano;
   posto che la competenza sulle strutture dei valichi di confine di entrambe le categorie è posta in capo allo Stato, come il Ministro intenda in accordo con gli enti locali, riutilizzare utilmente le strutture presenti ai valichi di frontiera al momento abbandonate ed inutilizzate. (4-00801)


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio SAMAC, vincitore dell'appalto per la realizzazione del quarto lotto della terza corsia dell'autostrada A14, nel tratto Ancona Nord-Senigallia centro di 18,9 chilometri ha abbandonato i lavori con pesanti ripercussioni sui circa 120 dipendenti e le imprese dell'indotto;
   la Società Autostrade per l'Italia ha risolto il contratto sottolineando che «nonostante i solleciti della Direzione dei lavori la società appaltatrice del tratto Senigallia-Ancona Nord ha arbitrariamente rallentato le attività di cantiere fino a interromperle del tutto, illegittimamente, nel corso del mese di maggio. A seguito di tale interruzione, dal 3 giugno il contratto di appalto è stato risolto»;
   questa situazione sta comportando gravi disagi anche ai comuni di Senigallia e Montemarciano per la devastazione del paesaggio, in una zona interessata da un intensa attività turistica, dovuta alle strade di collegamento ai cantieri e per i danni alla rete stradale secondaria per il passaggio dei mezzi pesanti e per le opere di compensazione a favore dei comuni che rischiano di non essere realizzate. È una situazione che potrebbe procrastinarsi, se non si interviene prontamente, nel tempo;
   Autostrade Italia non è infatti in grado di definire una data precisa per la ripresa dei lavori. Viene solo garantito il presidio minimo per il mantenimento in sicurezza del cantiere;
   oltre a questa inaccettabile situazione viaria, ambientale ed occupazionale sussistono pesanti ripercussioni per i numerosi imprenditori locali che hanno fornito servizi alla società appaltatrice e che non riescono a riscuotere i crediti vantati;
   in tale contesto è necessario ed opportuno che la società Autostrade per l'Italia riavvii la procedura più veloce che legittimamente consenta l'immediata ripresa dei lavori –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti e del rischio di un'incompiuta che penalizzerebbe gravemente l'economia locale e, in generale, l'intero sistema produttivo della regione Marche;
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per assicurare il rapido completamento dell'opera in questione. (4-00811)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del 6 giugno 2013, intorno alle 22.30, a Velletri, il leader del gruppo musicale «99 Posse» comunemente noto come «Zulu» è stato aggredito nel piazzale antistante il pub «Passo Carrabile», locale presso il quale avrebbe dovuto tenere un concerto con la sua band;
   il cantante Zulu e un fonico, sempre secondo la ricostruzione degli avvenimenti riportate dalle cronache, appena scesi dalla propria auto sarebbero stati aggrediti da una non meglio identificata squadra di picchiatori che però, a detta degli aggrediti, esibivano simboli di estrema destra;
   l'intervento della sicurezza del locale ha evitato conseguenza ben più gravi per i due aggrediti allontanando il gruppo degli aggressori;
   nessun episodio di aggressione violenta e mirata può e deve essere sottovalutato, anche alla luce del moltiplicarsi di rigurgiti di estremismo neofascista e neonazista –:
   se e quali siano gli elementi a disposizione del Ministro in merito a quanto accaduto a Velletri nei confronti della nota band musicale e come intenda agire per intensificare azioni di vigilanza finalizzate al contrasto dei fenomeni di violenza politica in particolar modo di stampo neofascista. (3-00108)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHAOUKI e GARAVINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari europei, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da fonti a mezzo stampa si è appresa la notizia da giorni dell'esistenza di un numero imprecisato di profughi, provenienti dal Togo, dal Ghana e dalla Nigeria, che trovandosi in Libia al momento dello scoppio della crisi, sono arrivati in Italia, dove avrebbero ricevuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari e la somma di cinquecento euro ciascuno per provvedere alle prime necessità;
   in base alle notizie riportate dai giornali tedeschi, trecento di questi profughi vivrebbero accampati attualmente ad Amburgo, senza fissa dimora né riscaldamento, ed avrebbero fondato un sito, «Lampedusa ad Amburgo», per denunciare la loro condizione, che risulta drammatica dal punto di vista umano, e confusa dal punto di vista giuridico;
   secondo le autorità tedesche, infatti, la Germania non può accogliere queste persone, perché il regolamento comunitario Dublino II consente solo all'Italia, Paese di prima accoglienza, di poterli regolarizzare; il permesso concesso dall'Italia, della validità di un anno, consentirebbe a questi migranti di recarsi in altri Paesi dell'area Schengen per un periodo non superiore ai tre mesi, e la Germania ha già preannunciato la ferma intenzione di ricondurre questi migranti in Italia allo scadere dei tre mesi;
   il responsabile dei servizi sociali della città di Amburgo avrebbe peraltro rimarcato come Amburgo non possa accoglierli, considerata l'assenza di un quadro normativo che consenta di prestare loro anche i servizi di welfare minimo: i primi profughi arrivati nella metropoli anseatica sarebbero stati infatti assistiti tramite un programma di emergenza invernale, ma ora che la stagione più fredda è finita, non è più possibile dar loro alcun supporto;
   da notizie a mezzo stampa, il Ministero dell'interno italiano avrebbe reso noto che il 17 maggio 2013 si sarebbe tenuta a Berlino la prima riunione di una task-force italo-tedesca in materia di immigrazione ed asilo e che, da parte italiana, sarebbero state illustrate in quell'occasione le iniziative assunte a seguito della cessazione dell'emergenza Nord Africa, avvenuta il 31 dicembre 2012;
   in occasione della prima riunione della citata task force, l'Italia avrebbe altresì assicurato di continuare a prestare accoglienza per i soggetti vulnerabili e per coloro che sono in attesa dell'esame della loro posizione; di aver rilasciato agli aventi diritto il permesso di soggiorno, a seconda della forma di protezione internazionale riconosciuta, e il documento di viaggio, nel rispetto della normativa vigente; di aver avviato percorsi di reinserimento socio-lavorativo per facilitare l'integrazione e di aver deciso di corrispondere la somma forfettaria di 500 euro per contribuire alle spese di prima necessità e a supporto di un percorso di integrazione in Italia, somma reperita attraverso l'utilizzazione di fondi esclusivamente nazionali; e di aver infine posto in essere misure di rimpatrio assistito;
   da notizie a mezzo stampa, il portavoce del commissario agli affari interni, Cecilia Malmström, avrebbe affermato che la Commissione europea aprirà un'inchiesta sul caso al fine di raccogliere tutti gli elementi, anche per valutare il comportamento del Governo italiano, e degli altri Esecutivi europei su questa materia;
   al di là delle valutazioni sull'avvenuto rispetto della normativa esistente, non c’è dubbio che la vicenda ripropone con forza il tema della necessità di una risposta comune europea per affrontare e gestire il problema tanto dei richiedenti asilo, quanto di coloro che usufruiscono di una qualche forma di protezione internazionale o nazionale;
   destano gravi preoccupazioni le drammatiche condizioni di vita in cui stanno vivendo questi migranti, anche alla luce del fatto che son rimasti sospesi in una confusa situazione giuridica, che si pone al centro di uno scontro diplomatico tra l'Italia e la Germania –:
   se i fatti riportati corrispondano al vero, quale sarà la, sorte di questi migranti allo scadere del permesso temporaneo di soggiorno, e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, anche congiuntamente con le autorità tedesche, al fine di garantire che sia comunque assicurata a questi migranti una tutela adeguata e dignitosa della persona umana;
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare per promuovere quanto prima, nelle opportune sedi europee, una revisione della normativa in materia ed evitare il ripetersi di fatti analoghi, soprattutto lo spettacolo indecoroso di migranti dall'incerta condizione giuridica, «ostaggio» dei contrasti diplomatici tra due Stati membri. (5-00288)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FARAONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con bando del 24 novembre 2011 è stato indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 2800 Allievi Agenti della Polizia di Stato riservato, ai sensi dell'articolo 2199, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale. Di questi, 2654 candidati nominati Allievi Agenti della Polizia di Stato ed ammessi direttamente alla frequenza del prescritto corso di formazione e 146 candidati nominati Allievi Agenti della Polizia di Stato ed ammessi alla frequenza del prescritto corso di formazione dopo aver prestato servizio nelle Forze Armate in qualità di volontari in ferma prefissata quadriennale;
   con la pubblicazione della graduatoria avvenuta con avviso su GURI n. 87 del 6 dicembre 2012, si è già proceduto alla chiamata dei vincitori, mentre, per effetto di un centinaio di rinunce, si è proceduto al suo scorrimento chiamando chi si è trovato utilmente collocato fin quasi alla posizione numero 3000;
   la suddetta graduatoria è ancora valida tanto che le procedure di utilizzazione sono tutt'ora in svolgimento, non è quindi esaurita e può ben essere utilizzata per effettuare nuove assunzioni connesse alle esigenze della polizia di Stato o agli altri Corpi, con ciò, fra l'altro, senza dover sostenere ulteriori costi aggiuntivi per l'attivazione di un altro analogo iter concorsuale;
   al fine proprio di utilizzare la suddetta graduatoria, di recente è stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 gennaio 2013 con il quale si autorizzano ad assumere, i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le ulteriori unità di personale scaturenti dalle proprie necessità di carenza d'organico;
   nel contempo, nella GURI – 4a Serie speciale – «Concorsi ed esami» del 26 marzo 2013 è stato pubblicato il concorso pubblico per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 964 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 1, decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, a volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale in rafferma annuale, i quali se in servizio abbiano svolto alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno, cioè ad identico personale riservista di quello già utilmente collocato in graduatoria;
   gli idonei utilmente collocati nella graduatoria de qua sono circa 800 e quindi potrebbero ben essere assunti, possedendo essi i requisiti di merito a seguito del superamento della prova concorsuale e della idoneità conseguita;
    l'attingimento alla graduatoria predetta, come per altro è stato fatto a seguito dello scorrimento per rinuncia, garantirebbe l'immediata presa in servizio del personale necessario e consentirebbe, alla pubblica amministrazione di non dover sostenere ulteriori spese per le nuove procedure concorsuali che, specie in questi tempi di spending review, è auspicabile che avvenga;
   semmai, si potrebbe limitare il nuovo bando ai soli posti residui necessitanti alla polizia di Stato una volta attinto dalla graduatoria vigente;
   non operare nel senso di questa funzionale razionalità sembra illogico e incomprensibile, oltre che gravoso –:
   se non ritenga utile e opportuno, con l'urgenza del caso, che ci si avvalga della graduatoria, tuttora valida, per l'assunzione degli ulteriori 964 allievi agenti della polizia di Stato anziché procedere con un sovrapposto, analogo bando pubblico, nella fattispecie riservato allo stesso identico personale;
   se, di conseguenza, non ritenga, nell'interesse della stessa polizia di Stato, assumere iniziative per ritirare il bando di concorso, per titoli ed esami, pubblicato nella GURI – 4a Serie speciale – «Concorsi ed esami» del 26 marzo 2013, per il reclutamento di n. 964 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 1, decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, o, al limite, riformarlo, destinando al nuovo bando i posti residui necessitanti alle esigenze dell'amministrazione a seguito della completa utilizzazione della graduatoria del precedente bando di concorso pubblico qui richiamato. (4-00772)


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel pomeriggio del 25 maggio 2013 si è svolta a Parma una manifestazione nazionale organizzata dagli «antagonisti», raccolti nella sigla «Assemblea di lotta contro la repressione», per protestare contro il carcere duro e il regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis;
   a causa di tale manifestazione è stata disposta la chiusura al traffico delle strade direttamente interessate e i commercianti hanno dovuto tenere chiusi i propri esercizi commerciali;
   dalle testate locali si apprende che durante il corteo i manifestanti hanno imbrattato banche, negozi, case e coperto con scritte ingiuriose anche la chiesetta di Vicopò, che fu guidata dall’«angelo dei detenuti», don Guido Magnini, un gesto che ha profondamente amareggiato i fedeli della parrocchia;
   successivamente alla manifestazione, sono seguite numerose polemiche da parte degli abitanti e dei commercianti, tanto che sulla Gazzetta di Parma è stato pubblicato un sondaggio che attesta che il 69 per cento dei parmigiani che hanno votato ha subito danni nel corso della manifestazione;
   la manifestazione ha impegnato un ingente schieramento di forze dell'ordine e, pare, anche due elicotteri, per circa 200 manifestanti che hanno gridato slogan e hanno imbrattato i muri sul loro itinerario;    
   risulta che trattandosi di evento nazionale, la manifestazione sia stata autorizzata da Roma, cioè dal Ministero dell'interno ed altresì che anche tutta l'organizzazione per la sicurezza e la vigilanza del corteo sia stata predisposta direttamente da Roma con indicazione al comune di Parma di adeguarsi –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto accaduto durante la manifestazione a Parma, come sia stato organizzato il servizio di sicurezza e vigilanza del corteo, quali siano stati i costi e le risorse impiegate per garantire tale servizio, quale sia la quantificazione dei danni subiti dai cittadini e commercianti di Parma e quali iniziative di competenza intendano predisporre per contribuire ad individuare i responsabili dei danni subiti dalla comunità parmense. (4-00784)


   ZAN, PANNARALE, DURANTI, NICCHI, MELILLA, LACQUANITI e PILOZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da fonti giornalistiche, risulta che due cittadine kazake, una mamma con una bambina di 6 anni, rispettivamente moglie e figlia del principale oppositore politico al dittatore kazako, Mukhtar Ablyazov, in data 31 maggio 2013, siano state espulse dal territorio italiano con una procedura rispetto alla quale, come dichiara, in data odierna, al il Messaggero il Ministro degli affari esteri, Emma Bonino: «non siamo stati avvisati e riteniamo la procedura anomala»;
   la vicenda da circa una settimana sta suscitando polemiche non solo sulla stampa italiana, ma anche su quella internazionale, con risvolti poco chiari relativamente al ruolo delle istituzioni e delle forze dell'ordine del nostro Paese;
   come riportato dall'agenzia ANSA del 31 maggio 2013 «Alma Shalobayeva, moglie dell'oppositore politico kazako Mukhtar Ablyazov, ricercato in patria per presunte truffe ed associazione criminale, è stata espulsa da Roma, dove risiedeva dallo scorso anno, insieme con la figlia di sei anni ed imbarcata su un aereo, appositamente arrivato dal Kazakistan, per riportarla in patria»;
   a giudizio dei legali – come riportato dall'agenzia ANSA citata – si tratta di «un fatto di una gravità inaudita» poiché «la signora Shalabayeva non ha commesso alcun illecito ed ora è esposta all'elevatissimo rischio trattamenti crudeli, disumani e degradanti analoghi a quelli cui fu sottoposto il marito nel 2003, quando si opponeva al regime di Nursultan Nazarbayev, e denunciati da Amnesty Internationar», nonché dal Parlamento europeo, dall'OSCE e dal dipartimento di stato americano;
   la donna sarebbe stata prelevata la notte del 29 maggio 2013 dalla polizia nel corso di un'operazione finalizzata alla ricerca, risultata vana, del marito;
   alla vicenda è stato dato ampio risalto da un articolo de il Messaggero del 1o giugno 2013, nonché da un articolo del Corriere della Sera del 2 giugno 2013, nel quale, in particolare, si sostiene che «secondo le autorità italiane, la donna aveva con sé un passaporto della Repubblica Centroafricana falso»;
   lunedì 3 giugno, il Financial Times ha riportato che secondo i legali della signora Shalabayeva le autorità italiane non avrebbero verificato che la Shalabayeva aveva un passaporto valido del Kazakistan e un permesso di soggiorno valido rilasciato dalla Lettonia, un Paese dell'Unione europea; in ogni caso – si sostiene nell'articolo del Corriere della Sera – «dopo aver affidato la piccola Alua (che andava a scuola in Italia) alla zia, la polizia ha trasportato la madre nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, vicino a Roma. Intanto all'aeroporto di Ciampino è arrivato un jet privato pronto per partire per Astana. Neanche il tempo di coinvolgere la Procura per verificare la condizione e i pericoli ai quali sarebbe andata incontro la donna, che la squadra mobile, la DIGOS e l'Ufficio Falsi della Questura avevano già deciso per l'espulsione immediata». Inoltre, sempre in base alla ricostruzione del Corriere della Sera, nell'articolo citato scritto dal corrispondente da Mosca, «all'insaputa dei parenti, la polizia ha portato all'aeroporto anche la figlia Alua, preziosissima merce di scambio»;
   secondo l'ANSA, «I legali della donna si sono opposti rappresentando alla Questura ed alla Procura i rischi di un trasferimento in Kazakistan e la disponibilità della donna ad abbandonare volontariamente il suolo nazionale»;
   l'articolo 19 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) che, in particolare, tratta dei divieti di espulsione e di respingimento, prevede: «In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione»;
   di tale delicata vicenda – che, anche per i tempi rapidissimi con i quali si è svolta, a parere degli interroganti, non può non apparire preoccupante in termini di garanzie democratiche – se ne è occupata anche la stampa internazionale, dal Financial Times, al The Guardian, The Observer, la principale agenzia di stampa Austriaca, il Frankfurter Allgemeine;
   tali testate, nei servizi dedicati all'episodio, di certo non hanno espresso elogi relativamente all'operato delle forze dell'ordine e delle istituzioni italiane; inoltre, in un articolo de il Messaggero si viene a sapere che il Ministero degli affari esteri «ha espresso la sua “contrarietà” alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell'interno per aver saputo dell'operazione a fatti avvenuti»;
   ad avviso degli interroganti è stato compiuto un grave abuso nei confronti di cittadini stranieri innocenti sul territorio del Paese, nonché sui diritti della minore;
   in relazione all'episodio, appare quantomeno «singolare» la collaborazione tra le forse dell'ordine o le autorità italiane e il Governo kazako –:
   di quali informazioni disponga il Governo sulla vicenda illustrata in premessa e, in particolare sullo stato in cui si trovano attualmente Alma Shalabayeva e la figlia;
   di quali elementi disponga il Governo riguardo al rispetto delle procedure relative alle dovute informative e al coinvolgimento dei Ministeri competenti in materia;
   se le autorità italiane abbiano avuto le dovute assicurazioni relativamente alla sicurezza e all'incolumità della donna e di sua figlia minorenne prima di deciderne l'espulsione verso un Paese che detiene un record vergognoso ampiamente documentato di violazione dei diritti umani.
(4-00792)


   CARUSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2199, comma 4, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che riproduce l'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n. 226, abrogata dallo stesso codice, dispone che i concorrenti per il ruolo degli agenti e assistenti della polizia di Stato, giudicati idonei e utilmente collocati nelle graduatorie di merito, vengono suddivisi in due cosiddette aliquote: una parte, corrispondente al 55 per cento, è immessa direttamente nelle carriere iniziali; la restante, pari al 45 per cento, viene immessa nelle carriere iniziali, dopo avere prestato servizio nelle forze armate in qualità di volontario in ferma prefissata quadriennale;
   il comma 6 dispone, in particolare, che i criteri e le modalità per l'ammissione dei concorrenti alla ferma prefissata quadriennale, la relativa ripartizione tra le singole forze armate e le modalità di incorporazione sono stabiliti con decreto del Ministro della difesa, sulla base delle esigenze numeriche e funzionali delle forze armate, rimandando, di fatto, tali dinamiche di ammissione alle disponibilità dell'amministrazione e, quindi, ad un principio di discrezionalità amministrativa;
   malgrado la sussistenza di una seconda aliquota in tutti i concorsi, a partire dal 2006 sono stati comunque banditi nuovi concorsi che hanno determinato l'incremento delle unità di personale rientranti nella cosiddetta seconda aliquota: dal 2006 al 2011 sono stati banditi 4 concorsi per una domanda di reclutamento pari a 6.814 unità di personale;
   nonostante le evidenti e più volte ribadite esigenze di incremento delle risorse umane e strumentali in capo al Ministero dell'interno, paradossalmente, al momento, risultano inoperativi circa 1.700 vincitori di concorso, collocati nella cosiddetta seconda aliquota e non più transitati dall'esercito alla polizia di Stato, sebbene titolari di una priorità di inserimento;
   il Ministro pro tempore rispondendo all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea presso la Camera del 26 settembre 2012, ha precisato che: «L'assunzione nel ruolo della polizia di Stato, una volta terminato il periodo di ferma, deve comunque essere valutata alla luce dei ridimensionamenti imposti dalla spending review, che incidono anche sul sistema delle dinamiche del turnover per il personale delle Forze di polizia. La quota dei volontari che non potrà essere subito assunta sarà, comunque, immessa in servizio con il venir meno delle limitazioni imposte dal turnover»;
   nell'ambito della discussione parlamentare relativa alla legge di stabilità per l'anno 2013, è stata superata una parte delle criticità relativa alla configurazione del turnover nel comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco, così come delineato dalla spending review del luglio 2012: nello specifico, con i commi aggiuntivi all'articolo 1 (commi 89 e 90), i Ministeri interessati «sulla base di metodologie per la quantificazione dei relativi fabbisogni (...) procedono alla rimodulazione e alla riprogrammazione delle dotazioni dei programmi di spesa» finalizzate anche «ad assunzioni a tempo indeterminato» sulla base di procedure concorsuali già avviate;
   il 28 novembre 2012, in quella circostanza il Ministro pro tempore rispondendo ad un'altra interrogazione a risposta immediata (3-02626) presentata dal firmatario del presente atto evidenziò che «viene ad ampliarsi, secondo l'auspicio dell'interrogante, anche la possibilità di attingere risorse da coloro i quali hanno terminato il servizio nelle Forze armate in qualità di volontari in ferma permanente quadriennale»;
   in data 26 marzo 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un bando per «Concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 964 allievi agenti, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale» che, indicendo un nuovo concorso, con conseguente e notevole dispendio di risorse, vanifica la prospettiva di immissione nelle carriere iniziali dei giovani vincitori di concorso, oltre a contraddire quanto previsto dalla normativa e dalle disposizioni previste dai concorsi a cui i giovani hanno preso parte;
   in una prospettiva di reale razionalizzazione, inoltre, per far fronte al fabbisogno di personale, le amministrazioni competenti dovrebbero utilizzare le graduatorie ancora vigenti dei concorsi pubblici già espletati a decorrere dal 2006 per il reclutamento di personale a tempo indeterminato, e non limitarsi ai concorsi già avviati, ricorrendo a tali graduatorie quando si tratta di procedere all'assunzione di profili corrispondenti o analoghi a quelli previsti nei bandi dei concorsi ai quali si riferiscono le graduatorie medesime –:
   quali siano le ragioni che hanno condotto ad indire un nuovo e dispendioso concorso e quali iniziative si intendano intraprendere al fine di far fronte agli impegni già contratti dal Governo pro tempore nella XVI legislatura nei confronti dei giovani, già vincitori di concorsi per i ruoli della polizia di Stato ma rientranti nelle seconde aliquote. (4-00793)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la sera del 28 maggio 2013, a Monaco di Baviera un giovane ingegnere italiano di origini lucane, Domenico Lorusso, è stato violentemente aggredito, senza un apparente motivo, da uno sconosciuto mentre tornava a casa;
   colpito più volte con un coltello, Domenico Lorusso è morto tragicamente;
   l'intera comunità lucana è rimasta scossa dal terribile evento che ha stroncato la vita ad un giovane professionista emigrato per ragioni professionali e di lavoro, provocando un dolore incolmabile alla famiglia ed a quanti lo conoscevano;
   è necessario che il Governo italiano svolga tutte le iniziative presso la polizia e gli organi inquirenti della Germania perché sia fatta luce sull'accaduto e sia assicurato alla giustizia il colpevole dell'atto criminale –:
   quali iniziative di competenza il Governo abbia assunto e intenda assumere per fare rapida e profonda chiarezza sulla morte del giovane ingegnere lucano Domenico Lorusso morto a Monaco di Baviera a seguito di una violenta aggressione. (4-00800)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 12 giugno 2013 il Ministro interrogato firmerà il nuovo decreto ministeriale sulle modalità delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2013-2014 che sostituirà quello emanato il 24 aprile 2013;
   il decreto, prevede la ridefinizione dei criteri di valorizzazione del percorso scolastico e il posticipo delle date delle prove a settembre (il 3 settembre per i corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico, direttamente finalizzati alla formazione di architetto; il 4 settembre per i corsi di laurea delle professioni sanitarie; il 9 settembre per i corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia e odontoiatria e protesi dentaria; il 10 settembre per il corso di laurea magistrale in medicina veterinaria);
   il provvedimento, che mantiene la graduatoria nazionale, prevede dunque l'emanazione da parte delle università di nuovi bandi entro il 25 giugno e, lo stesso giorno, la riapertura delle iscrizioni sul portale Universitaly con possibilità di aggiornare le informazioni (incluse le preferenze), stabilendo la nuova scadenza per le iscrizioni on line del 18 luglio, e prevedendo per il pagamento dei contributi di iscrizione presso le Università la scadenza al 25 luglio;
   tuttavia, occorre precisare, che questo cambiamento di rotta non giova agli studenti dal momento che sarà difficile avere un corretto inizio delle lezioni, e non giova agli amministratori degli atenei, in quanto non si tiene conto del tempo materiale necessario per passare dalla graduatoria nazionale alla scelta da parte degli studenti e all'avvio delle segreterie delle facoltà. Sarà quindi molto difficile iniziare le attività didattiche in maniera puntuale, creando problemi ad un corretto svolgimento del semestre e disattendendo al diritto di studio di tanti studenti e famiglie –:
   quali iniziative normative intenda intraprendere al fine di dare risposte chiare alle studentesse e agli studenti iscritti ai test in merito alle nuove modalità di svolgimento delle prove e alle tempistiche, e di garantire procedure chiare per la reiscrizione evitando che accadano ingiustizie;
   quali fattori di correzione intenda apportare al bonus relativo agli esami di maturità per farne una misura equa e realmente confrontabile sul piano nazionale. (3-00106)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUONANNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   uno degli ultimi atti firmati dal Ministro pro tempore Francesco Profumo è il decreto ministeriale del 24 aprile 2013, n. 334, che prevede prove a luglio per i test universitari a numero chiuso, graduatoria su scala nazionale e bonus fra i 4 ed i 10 punti per chi al voto di maturità ottiene dall'80 al 100;
   in particolare, il decreto fissa le date al 23 luglio per medicina, al 24 per veterinaria ed al 25 luglio per architettura; più tempo invece per chi vuole accedere alle facoltà di professioni sanitarie, i cui test si svolgeranno il 4 settembre;
   i test di medicina in lingua inglese si son svolti addirittura il 15 aprile 2013 nei sei atenei italiani in cui il corso è stato attivato: Roma (La Sapienza e Tor Vergata), Milano, Pavia, Napoli e Bari;
   a partire dal 2014 i test per accedere alle facoltà a numero chiuso nelle università italiane si svolgeranno ad aprile: 8 aprile per medicina ed odontoiatria, 9 aprile per veterinaria, 10 aprile per architettura; solo per le professioni sanitarie la data resta a settembre (il 3);
   il predetto anticipo è stata fortemente contestato dall'Unione degli universitari (UDU), lamentando che così si mettono in crisi i diplomandi, alle prese quasi in contemporanea con doppio impegno: maturità e preparazione ai test d'ingresso all'università;
   affrontare i test d'ingresso a luglio, infatti, significa per molti studenti dover prepararsi in pochissimo tempo su materie a volte mai affrontate nel loro percorso di studi, peraltro non è detto che tutte le Commissioni avranno terminato per quella data gli esami orali, per cui gli studenti rischiano di dover giocoforza optare per la maturità e, quindi, non poter partecipare ai test di ammissione universitaria nonostante l'impegno e gli sforzi per prepararsi;
   indubbiamente tale anticipo comporta sui ragazzi uno stress psico-fisico notevole; essi sono sotto pressione da una lato con la preparazione e l'allenamento a risolvere i quiz di logica, matematica, fisica, e altro, e dall'altro nell'affrontare la fase più calda dell'anno scolastico, con compiti in classe, interrogazioni, verifiche mirate alla preparazione all'esame di maturità;
   tra le motivazioni alla base di tale anticipo si adduce che «l'anticipo è fatto per conformarci all'Europa», che «l'anticipo permette una miglior organizzazione logistica dei candidati» e che «la nuova data agevola gli studenti stranieri»;
   a parere dell'interrogante trattasi di motivazioni superficiali, che non tengono conto della diversità dei percorsi educativi-informativi in Europa (ad esempio, in Germania o in Francia non sono richiesti i test), né tantomeno della immediata peggior organizzazione di studio dei ragazzi italiani rispetto a quella futura della logistica per chi volesse frequentare l'università, per non parlare poi di quella che all'interrogante appare l'assurdità di distruggere psicologicamente la gioventù per favorire qualche centinaio – forse – di studenti stranieri –:
   se, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, non ritenga opportuno e doveroso per gli studenti italiani rivedere il citato decreto ministeriale n. 334 del 2013. (5-00292)


   VACCA, LUIGI GALLO, BATTELLI, BRESCIA, DI BENEDETTO, D'UVA, MARZANA, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Per sapere – premesso che:
   il 24 aprile 2013, il giorno in cui il Presidente della Repubblica ha affidato all'onorevole Letta l'incarico di formare il Governo italiano, il Ministro pro tempore Profumo si affrettava a emanare il decreto ministeriale circa le modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale anno accademico 2013/2014;  
   i test di ammissione dei corsi di medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, di medicina veterinaria e di architettura sono stati programmati tra il 23 e il 25 luglio, anticipando le prove di oltre 40 giorni rispetto agli anni passati;
   l'anticipo di tali date ha provocato un coro di protesta sia da parte degli atenei che degli studenti; infatti le università si vedono costrette a dover organizzare i test di ammissione con mesi di anticipo e in piena sessione estiva di esami e di tesi di laurea e i neo diplomati delle scuole superiori saranno fortemente penalizzati in quanto avranno pochissimi giorni per prepararsi ai test di ammissione e nessun giorno di riposo;
   il punteggio massimo che può essere attribuito al candidato per la prova di ammissione è la somma tra la valutazione del test (massimo 90 punti) e la valutazione del percorso scolastico (massimo 10 punti);
   il punteggio per la valutazione del percorso scolastico viene attribuito esclusivamente ai candidati che hanno ottenuto un voto di maturità almeno pari a 80/100, a partire da un minimo di 4 punti fino ad un massimo di 10 punti;
   si creerebbe una iniqua discriminazione tra uno studente che, ad esempio, ha ottenuto un voto di maturità di 79/100 e un altro che ha ottenuto un voto di 80/100, in quanto la differenza di 4 punti in una graduatoria è quasi incolmabile: basti pensare che nella graduatoria del 2012 dell'università di Bari, corso di laurea medicina e chirurgia, tra il primo escluso (al 344o posto con un punteggio di 44) e il 167o in classifica, con punteggio di 48, vi sono ben 177 candidati;
   un'attribuzione di punteggio proporzionale al voto di maturità rispecchia maggiormente criteri di merito –:
   se sia nelle intenzioni del Ministro posticipare le date dei test di ammissione al mese di settembre e correggere il punteggio legato alla valutazione del percorso scolastico in modo da renderlo più equo rispetto a quanto stabilito nel decreto ministeriale citato. (5-00294)


   D'UVA, VACCA, BRESCIA, DI BENEDETTO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto direttoriale n. 751 del 19 dicembre 2012, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, decretava la nomina della commissione per l'abilitazione scientifica nazionale nel settore concorsuale 11/A2, storia moderna;
   all'articolo 1 del decreto in esame veniva riportato l'elenco dei membri nominati a far parte della commissione, tra i quali figurava il professor Angelo Sindoni, docente di storia moderna presso l'università degli studi di Messina;
   la partecipazione alla procedura di formazione della commissione avveniva previa presentazione delle domande presentate dai professori ordinari in servizio presso le università italiane, andando a formare un elenco da presentare presso l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario, l'ANVUR, la quale avrebbe valutato le relative domande per ottenere la nomina di commissario, andando successivamente a formare un elenco di aspiranti commissari valutati come idonei a ricoprire tale ruolo, visti i rispettivi curricula;
    il decreto direttoriale n. 682 del 7 dicembre 2012 costituiva la lista degli aspiranti commissari per il settore concorsuale 11/A2 – storia moderna, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del decreto direttoriale n. 181 del 2012, mentre in data 12 dicembre 2012 avvenivano i relativi sorteggi per l'individuazione dei membri della commissione, a seguito del quale veniva nominato come commissario il professor Angelo Sindoni;
   a seguito di una successiva verifica il curriculum del professor Angelo Sindoni, così come presentato nella domanda, comprendeva al suo interno un elenco di opere che non risultavano in realtà essere mai state pubblicate dalla casa editrice «Rubbettino» nell'anno 2010, diversamente da quanto riportato dallo stesso Sindoni in sede di domanda e di presentazione dei curricula o, quantomeno, le stesse risultano non più reperibili, così come riportato in data 25 febbraio 2013 dal quotidiano di stampa Il Secolo XIX;
   palesi incongruenze si rinvengono dalle dichiarazioni rilasciate dalla casa editrice «Rubbettino», la quale riferiva circa la ormai prossima ristampa di tali opere, in quanto immediatamente esaurite a seguito di stampa, rispetto alle dichiarazioni rese dallo stesso professor Angelo Sindoni, il quale riferiva che solamente uno dei testi in esame era stato effettivamente pubblicato, mentre un secondo, pubblicato in via «provvisoria», attendeva di essere stampato in via definitiva, mentre un terzo veniva riportato all'interno del curriculum sotto la voce «altre pubblicazioni» e quindi non soggetto a eventuale valutazione, affermazione rivelatasi falsa in quanto presente anche tra le «pubblicazioni principali»;
   all'interno del curriculum del professor Angelo Sindoni figuravano parti di uno stesso libro, quali capitoli e introduzione, come produzioni distinte o ulteriori, benché lo stesso ente di valutazione, l'ANVUR, preveda espressamente un divieto a tale operazione –:
   se sia a conoscenza di tale situazione di sospetta illegittimità di uno dei componenti della Commissione per l'abilitazione scientifica nazionale nel settore concorsuale 11/A2, storia moderna;
   se non ritenga necessario verificare che quello del professor Sindoni sia solamente un caso isolato e che all'interno della Commissione per l'abilitazione scientifica nazionale non siano presenti casi analoghi;
   se intenda verificare la sussistenza di tale illegittimità, ripristinando, in caso di positivo riscontro, lo stato di legalità attraverso la sostituzione del commissario professor Angelo Sindoni, consentendo così alla Commissione di svolgere il proprio operato secondo i fondamentali requisiti di trasparenza e di imparzialità. (5-00298)


   VALIANTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina relativa alla classe di concorso A048, matematica applicata, fino al periodo previgente la riforma di cui al decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, era insegnata negli istituti tecnici ad indirizzo Igea (economico, giuridico e aziendale) e Mercurio (indirizzo programmatori), con una scansione oraria settimanale pari a 5-5-4-4-3 nei cinque anni di corso, negli istituti tecnici turistici e ad indirizzo Erica (relazioni internazionali per il marketing), con una scansione oraria settimanale pari a 4-4-3-3-3 nei cinque anni di corso, negli istituti tecnici industriali a indirizzo informatico e in taluni istituti professionali;
   l'entrata in vigore della riforma citata ha comportato:
    una contrazione del monte ore settimanale negli istituti tecnici a indirizzo Igea di 4 ore, passando così a una partizione oraria pari a 4-4-3-3-3, equiparando il monte ore complessivo a quello degli istituti tecnici turistici. In particolare, nel biennio la sottrazione oraria è stata utilizzata per ricollocare i docenti di trattamento testi in esubero;
    la soppressione dell'indirizzo Mercurio, precludendo la possibilità ai docenti della classe di concorso A048 di insegnare nel nuovo indirizzo sistemi informativi aziendali a vantaggio della classe di concorso A047;
    l'assegnazione delle ore degli istituti tecnici industriali ad indirizzo informatico alla classe di concorso A047, estromettendo la classe di concorso A048 da tale tipologia di istituti;
    la quasi impossibilità per i docenti di matematica applicata di insegnare negli istituti professionali, dove questa classe di concorso è considerata atipica, quindi preclusa ai precari della stessa, utilizzata temporaneamente dagli esuberi dei docenti di ruolo per poi tornare nelle disponibilità della classe di concorso A047;
    la riorganizzazione del sistema di istruzione superiore mediante la razionalizzazione degli indirizzi. Questo aspetto si sostanzia nella costituzione di nuovi istituti di istruzione superiore in cui l'insegnamento della matematica negli indirizzi tecnici, quali ad esempio quelli turistici, è affidato alla classe di concorso A047 (utilizzando un criterio di prevalenza fra i diversi indirizzi che compongono l'istituto) anche dove storicamente era utilizzata la classe di concorso A048, lasciando la scelta alla discrezionalità dei docenti e dei presidi;
    l'entrata in vigore delle tabelle di confluenza delle classi di concorso ex quadri orari, lasciando sostanzialmente alla mera discrezionalità delle scuole l'attribuzione a una o all'altra classe di concorso, con la conseguenza che l'una o l'altra potrà essere avvantaggiata là dove vi sia una maggiore rappresentanza dei relativi docenti nei collegi;
   nonostante il piano di razionalizzazione delle classi di concorso, previsto a norma dell'articolo 64 del già menzionato decreto-legge n. 112 del 2008, abbia avuto come ratio l'accorpamento delle classi stesse con una comune matrice culturale e professionale nonché l'intento di semplificare la gestione del personale, incrementandone la flessibilità e l'efficienza, quella distinzione tra matematica e matematica applicata, rappresentate da classi di concorso diverse, permane ancora come distinzione tra matematica e scienze matematiche applicate, assegnando a quest'ultima il fuorviante codice A-47;
   la conseguenza di quanto rappresentato è, a giudizio degli operatori interessati, una ghettizzazione della classe di concorso A048 negli istituti tecnici commerciali e la preclusione di ogni possibile sbocco lavorativo di centinaia di precari abilitati;
   nei prossimi anni i docenti di ruolo abilitati soltanto alla classe di concorso A048 potrebbero vedere le loro cattedre scomparire del tutto e i docenti precari di questa disciplina potrebbero rischiare di non diventare più di ruolo, pur avendo acquisito abilitazioni e altri titoli culturali con dispendio di risorse economiche e non solo e pur potendo vantare punteggi di servizio elevati. Nei loro riguardi le nomine da parte degli uffici scolastici provinciali o dei presidi non sortiranno effetti. Inoltre, i docenti di sostegno dell'area disciplinare AD01 che passeranno di ruolo non potranno chiedere l'insegnamento della disciplina di matematica applicata –:
   alla luce di quanto premesso, quali iniziative intenda tempestivamente adottare, al fine di porre rimedio a questa disparità di trattamento tra docenti di matematica e docenti di matematica applicata, per la quale chi ha insegnato soltanto la prima disciplina (A047) potrà continuare a farlo e chi invece, aderendo alla classe di concorso A048 e insegnando oltre a matematica anche matematica finanziaria, è tagliato fuori;
   se non ritenga opportuno, anche in vista del prossimo riordino delle classi di concorso, modificare la situazione attuale, proponendo una modifica normativa che accorpi le due classi di concorso A047 e A048, e istituire una sola graduatoria di matematica. (5-00300)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBROLLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    i comuni montani, tra cui quello di Valli del Pasubio (Vicenza), per le implicanze di carattere demografico, trovano difficoltà nella costituzione e nel dimensionamento delle classi scolastiche;
   in particolare, per effetto della definizione del tetto massimo di 27 bambini per classe, elevabile a 31 o 32, in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, articolo 10, sono in pericolo la qualità e il futuro delle scuole primaria e secondaria di primo grado di Valli del Pasubio (Vicenza), servizi essenziali per la sopravvivenza della stessa comunità montana;
   i comuni montani hanno la responsabilità di garantire agli studenti pari opportunità di istruzione rispetto ai coetanei dei grossi centri urbani, di promuovere e sostenere con azioni di supporto la coerenza e la continuità in verticale e in orizzontale tra i diversi gradi ed ordini di scuole ai sensi dell'articolo 138, comma 3, della legge regionale 13 aprile 2001, n. 11, in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
   l'andamento demografico negli ultimi anni (2728 bambini per annata) si è attestato prossimo al limite massimo imposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, articolo 10;
   nella scuola di Valli del Pasubio (Vicenza) sono attivi due tempi scuola, 27 ore e 40 ore. Chiuderne uno impoverirebbe l'offerta della scuola montana. Non permettere una sezione a 27 ore metterebbe ulteriormente in difficoltà le famiglie colpite dalla crisi, che nella vallata sta producendo gravi sofferenze per la chiusura delle poche realtà produttive presenti. Tali famiglie sarebbero costrette a erogare 700 euro per la mensa scolastica, soluzione obbligatoria vista la lontananza del 90 per cento delle abitazioni dalla scuola. Impedendo la costituzione di una sezione a 40 ore, il gruppo insegnanti della scuola primaria in 4 anni scenderebbe dagli attuali 13 a 7, con evidente rischio di perdita della continuità didattica e conseguente impoverimento delle opportunità per i ragazzi di questo paese. Gli stessi effetti si riprodurrebbero, a seguire, nella scuola secondaria;
   Valli del Pasubio (Vicenza) è un comune montano di 3500 abitanti, a molti chilometri dalle città di pianura. Il centro abitato è ridotto, mentre il grosso della popolazione vive in contrade sparse nel territorio a decine di chilometri di distanza dal centro, dove il servizio di trasporto alunni risulta indispensabile nonché costoso. Mentre il centro si trova a circa 200 metri sul livello del mare, le contrade più alte si trovano a circa 900 metri sul livello del mare, per un'estensione comunale totale di circa 60 chilometri;
   i ragazzi delle contrade più alte salgono sul pulmino alle 6,50 del mattino e gli ultimi nel pomeriggio scendono dal pulmino alle 17. Ogni attività extra scolastica comporta spostamenti di decine di minuti. Una sezione con un'unica offerta di tempo scuola, non sarebbe un atto di equità paragonando la complessa situazione del comune montano alla semplicità di accesso ai servizi dei paesi di pianura;
   la perdita di una delle due offerte scolastiche escluderebbe la tutela delle esigenze di parte delle famiglie, soprattutto le più giovani, costringendole all'abbandono del territorio montano –:
   se e quali iniziative di competenza, anche normative, il Ministro intenda assumere per avvantaggiare la costruzione di un sistema di salvaguardia forte delle scuole primarie e secondarie di primo grado presenti nei territori di montagna; se non ritenga di permettere, per le scuole dei comuni montani, la deroga al limite massimo di alunni per classe, consentendo il tetto massimo di 21, e dare così la possibilità di mantenere due offerte di tempo scuola, a 27 e a 40 ore, garantendo le esigenze di tutte le famiglie. (4-00773)


   BRUNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2004 si è svolto il concorso per dirigenti scolastici bandito in attuazione dell'articolo 29 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dell'articolo 22, commi 8 e 10 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, per la scuola primaria e secondaria di primo grado, per la scuola secondaria superiore e per le istituzioni educative;
   numerosi partecipanti hanno ritenuto di dover fare ricorso in seguito a gravi irregolarità procedurali e all'esito delle prove;
   la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria per il 2006), ha immesso in ruolo docenti che avevano partecipato al concorso pur avendo ancora il contenzioso in atto; alcuni dirigenti sono rimasti addirittura in servizio pur avendo avuto sentenza negativa, altri, a distanza di otto anni aspettano ancora che il TAR si pronunci;
   il 16 settembre 2011 il Ministero aveva sollecitato la reggenza in attesa di risoluzione del contenzioso, ma l’iter è stato bloccato dall'anticipato scioglimento delle Camere;
   si rileva una discrezionalità particolare per alcune regioni: il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana con sentenza n. 1065 del 10 novembre 2009 aveva deciso per l'annullamento delle prove di tutto il concorso predetto, ma la legge 3 dicembre 2010, n. 202, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 4 dicembre 2010, n. 170, stabiliva la necessità di assicurare la continuità didattica e di fatto vanificava la sentenza;
   in Trentino Alto Adige e in Emilia Romagna è stata autorizzata la nomina con contenzioso in atto –:
   se e come il Ministro interrogato intenda intervenire per permettere anche a tutti gli altri partecipanti al concorso di sanare la loro posizione e per garantire trasparenza ed equità. (4-00775)


   AMODDIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le recenti disposizioni, legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), orientate al contenimento della spesa, sono intervenute a ridimensionare numericamente il personale docente e dirigente destinato a prestare servizio in posizione di fuori ruolo presso l'amministrazione centrale e periferica ai sensi della legge 23 dicembre 1998, n. 448, per lo svolgimento dei compiti connessi con l'attuazione della autonomia scolastica, fissandone peraltro la decorrenza dell'anno scolastico 2013/2014;
   si è dato attuazione alla legge 24 dicembre 2012, n. 228, con il decreto-legge n. 336 del 24 aprile 2013;
   dal prossimo anno scolastico, il personale destinato a coprire l'esigenza di cui sopra è fissato in 150 unità anziché 300, numero quest'ultimo già ridotto, (dal 2012/2013), con l'articolo 4, comma 68, della legge n. 183 del 2011 rispetto alle 500 unità normativamente stanziate per detto fine dalla legge n. 448 del 1998;
   il contingente dei posti assegnati in Sicilia all'amministrazione periferica è di n. 10 unità;
   nel dettaglio n. 8 posti sono concentrati a Palermo: 3 posti per l'area A, 1 per l'area B, 2 per l'area D, 1 per l'area C, 1 per l'area E;
   nella circolare n. 14 del 2013 è previsto che i direttori generali degli uffici scolastici regionali provvederanno, a loro volta, a destinare i dirigenti scolastici e i docenti alle rispettive strutture tenendo presenti le varie esigenze territoriali;
   con la nota 10239 del 15 maggio 2013 la direzione regionale ha bandito i posti per i comandi destinati a docenti e dirigenti che svolgeranno i compiti relativi all'attuazione dell'autonomia scolastica e delle problematiche legate all'handicap e alla dispersione scolastica;
   dalla predetta nota si evince che delle nove province siciliane, ben 6 sono state escluse dall'assegnazione del posto destinato al riguardo e ciò nonostante nelle province escluse sono presenti numerosi alunni disabili, di cui circa la metà in situazione di gravità, che frequentano le scuole di ogni ordine e grado;
   la nota della direzione regionale è in contrasto, con quanto indicato nella circolare ministeriale prot. n. AOODGPER 4739 del 14 maggio 2013 e precisamente con la necessità che «i Direttori Scolastici Generali provvedano a destinare tali figure alle rispettive strutture tenendo presenti le varie esigenze territoriali» tanto che il Ministero stesso ha provveduto immediatamente a dimezzare i posti presso le proprie strutture, proprio per favorire il territorio; viceversa in Sicilia si opera in senso contrario;
   la ripartizione dei futuri posti destinati all'attuazione dell'autonomia delle scuole a livello provinciale manifesta una grave discriminazione nei confronti delle province di Siracusa, Ragusa, Enna, Agrigento, Caltanissetta e Trapani;
   si ribadisce su 10 posti disponibili ben 8 sono destinati alla sola città di Palermo;
   la scelta motivata per «assicurare la presenza di comandati nelle province con maggiore popolazione scolastica», danneggia nelle province non comprese nel riparto e la qualità del servizio;
   negli anni passati, la presenza degli esperti, che si sono occupati nell'ambito territoriale di dispersione, integrazione e disabilità, ha consentito la soluzione delle complesse problematiche;
   la scelta del direttore regionale vanificherà le esperienze maturate negli anni, che inesorabilmente si perderanno;
   a titolo esemplificativo ci si chiede chi si occuperà del settore sostegno per l'ambito territoriale di Siracusa per l'anno scolastico 2013-2014 (gestione dell'adeguamento dell'organico di sostegno e delle deroghe, la valutazione delle richieste dei posti da parte delle scuole in seno al Gruppo di Lavoro sull'Handicap e le attività del Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali);
   il settore che si occupa dell'integrazione del disabile nella scuola e nelle società merita un'attenzione particolare, a maggior ragione da quando il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è risultato soccombente in numerosi giudizi;
   ulteriori criticità si creeranno in tanti altri settori: formazione del personale docente e del personale ata, dispersione scolastica, bullismo, educazione alla legalità, consulta degli studenti, valutazione dei PON, orientamento, immigrazione, Centri Territoriali Permanenti e altro, che non si possono certamente demandare al personale che non ha competenze specifiche in ambito psico-pedagogico-didattico;
   non è dato comprendere perché mai nella città di Palermo sono state previste posizioni che si occupano del medesimo servizio, sebbene a livelli differenti, nell'ambito territoriale e nell'ufficio scolastico regionale, mentre rimangono carenti gli ambiti territoriali delle altre province;
   sarebbero stati sufficienti 14 unità per la Sicilia per evitare che interi ambiti territoriali rimanessero sprovvisti delle figure sopra menzionate;
   in ogni caso, con il contingente assegnato alla Sicilia si sarebbero potuti mantenere ugualmente i «presidi» almeno per le province che hanno una popolazione scolastica rilevante, evitando un accentramento del contingente nella città di Palermo;
   il non aver previsto alcun docente/dirigente per le altre province con la motivazione di assicurarne la presenza nelle province con maggiore popolazione scolastica non trova alcuna giustificazione attesi i bisogni relativi alla popolazione scolastica con bisogni educativi speciali (sostegno) presenti in maniera più o meno equivalente in tutte le province. Siracusa ha un elevato numero di disabili;
   il non assicurare almeno un docente per provincia o per aggregazioni provinciali (esempio Agrigento con Trapani, Caltanissetta con Enna, Ragusa con Siracusa), ostacolerà i progetti in itinere e, soprattutto, alcune attività ricorrenti e molto complesse, quali ad esempio la gestione dell'adeguamento dell'organico di sostegno e delle deroghe, la valutazione delle richieste dei posti da parte delle scuole in seno al Gruppo di Lavoro sull'Handicap e le attività del Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali – il gruppo di lavoro previsto dall'articolo 15 della legge n. 104 del 1992; tutte attività, queste, che si attiveranno già dai prossimi giorni e per le quali è prevista, per legge (n. 104 del 1992), la presenza del docente/dirigente comandato;
   i problemi sopra evidenziati si presenteranno nell'immediatezza in quanto, il personale oggi comandato gode di molti giorni di ferie non godute per esigenze di servizio, e quindi sin dalle prossime settimane gli uffici si troveranno senza alcun supporto;
   altre situazioni critiche si verificheranno per ciò che riguarda la formazione del personale, la dispersione scolastica, il bullismo, educazione alla legalità (peraltro, sono stati da poco ricostituiti i gruppi osservatori regionali con la presenza del personale oggi comandato) la consulta degli studenti, valutazione dei PON, orientamento, immigrazione, CTP, bisogni educativi speciali, disturbi specifici dell'apprendimento e altro e per i relativi progetti già attivati dalla direzione regionale per i quali si è utilizzata la professionalità del personale oggi comandato;
   deve essere aggiunto che ai fini dell'attuazione di quanto previsto dalla normativa richiamata non può prescindersi dal constatare che la conoscenza del territorio è necessaria per realizzare gli obiettivi fissati dalla legge, ovvero:
    sostegno e supporto alla ricerca educativa e alla didattica, in relazione alla attuazione dell'autonomia: supporto alla pianificazione dell'offerta formativa, con particolare riferimento ai processi di innovazione in atto, iniziative di continuità tra i vari gradi di scuola, organizzazione flessibile del tempo scuola, formazione e aggiornamento del personale, innovazione didattica, progetti di valutazione e qualità della formazione, progetti di carattere internazionale, attività di orientamento, attuazione del diritto-dovere all'istruzione e formazione professionale e altro;
    sostegno e supporto per l'attuazione dell'autonomia nel territorio, ai processi organizzativi e valutativi dell'autonomia scolastica (documentazione, consulenza, iniziative di sportello, monitoraggio, valutazione e altro);
    sostegno alla persona e alla partecipazione studentesca: educazione degli adulti, educazione alla convivenza civile (alla cittadinanza, stradale, ambientale, alla salute, alimentare, all'affettività), integrazione scolastica dei soggetti disabili, pari opportunità donna-uomo, dispersione scolastica, disagi della condizione giovanile, consulte provinciali studentesche, orientamento scolastico, attività complementari e integrative;
    raccordi interistituzionali (alternanza scuola-lavoro, esperienze formative e stage), istruzione e formazione superiore integrata, rapporti col territorio;
    gestione e organizzazione, ivi compresi i supporti informativi (organi collegiali, attivazione di reti di scuole, utilizzo delle nuove tecnologie, e altro) –:
   se il Ministro interrogato possa fornire elementi sulle ragioni che hanno condotto la direzione regionale della Sicilia ad escludere le sei province della Sicilia dal contingente di posti assegnati e se i medesimi criteri siano stati utilizzati dalle altre direzioni regionali;
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di tutelare, in ogni caso, i «presidi» almeno per le province che hanno una popolazione scolastica rilevante, evitando un accentramento del contingente nella città di Palermo e quali tempistiche siano previste per la soluzione della vicenda. (4-00781)


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   presso l'Istituto statale sordi di Roma, sito in via Nomentana n. 52-58, ha sede l'istituto statale di istruzione specializzata per sordi (Isiss) «Magarotto» con 3 classi di scuole di infanzia, 6 classi di scuola elementare e 3 classi di scuola media;
   presso lo stesso istituto ha sede anche il micronido Montessori, convenzionato con il comune di Roma;
   si tratta di un'integrazione didattica tra bambini udenti e bambini sordi di straordinario valore, così come riconosciuto anche dalla stessa amministrazione scolastica e dai plurimi encomi ricevuti da varie istituzioni regionali e nazionali oltre a essere l'unica esperienza, oltre Padova, a livello nazionale;
   con decreto del direttore generale n. 334 del 9 novembre 2012, è uscita la graduatoria aggiornata della qualità delle istituzioni scolastiche laziali ai fini della retribuzione del personale dirigenziale e l'Isiss è risultato al primo posto;
   l'Isiss al proprio interno altresì ospita: l'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr; il Gruppo Silis, Gruppo per lo studio e l'informazione sulla lingua dei segni; la Roberto Wirth fund onlus, che opera a favore dei bambini sordi e sordo-ciechi in particolare nella età prescolare; la cooperativa sociale «Le Farfalle», che fornisce consulenze e servizi a famiglie, bambini e ragazzi sordi o con disabilità comunicative; la compagnia cineteatrale «Laboratorio zero», operante fin dal 1976, la quale ha tradotto in lingua dei segni varie opere teatrali con lo scopo di avvicinare le persone sorde alla cultura teatrale; l'Anios, Associazione interpreti di lingua dei segni italiana; l'Aich, Associazione italiana Còrea di Huntington-Roma onlus che promuove la ricerca scientifica sulla malattia e le possibili terapie; l'Afisfbi, Associazione famiglie italiane sordi per il bilinguismo; il circolo ricreativo terza età «T. Silvestri» che ospita gli ex alunni dell'Istituto; l'Asis, Associazione silenziosa italiana scacchisti che organizza campionati italiani assoluti individuali e a squadre per sordi; l'associazione «Leonardo Da Vinci arte» onlus; l'Associazione internazionale artisti non udenti, onlus che conduce laboratori di pittura, scultura, ceramica e restauro per persone sorde e non; la cooperativa sociale «Il Treno», che organizza attività per bambini, ragazzi, sordi e udenti presso una ludoteca e il consiglio regionale dell'Ente nazionale sordi onlus;
   l'Istituto è da anni in attesa dell'emanazione del «regolamento di riordino» che lo trasformerebbe in ente nazionale di supporto all'integrazione dei minorati dell'udito, dotato di personalità giuridica e di autonomia amministrativa, sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, secondo quanto previsto alla parte I, titolo II, capo III, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994 ed all'articolo 21, comma 10, della legge n. 59 del 1997, concernente la riforma delle scuole e degli istituti atipici;
   in virtù di tale inadempienza l'Istituto è affidato da anni ad una gestione commissariale straordinaria e dal 2007 il ruolo di commissario straordinario è ricoperto dal professor Ivano Spano ed è quindi privo di un ordinario consiglio di amministrazione, che ne garantisca una regolare gestione;
   con delibera commissariale datata al 12 ottobre 2012 il professor Spano ha autorizzato la definizione e pubblicazione di un bando per la concessione del diritto di sfruttamento del sottosuolo al fine di realizzare un parcheggio multipiano seminterrato sul terreno di proprietà dell'Istituto statale sordi di Roma;
   il parcheggio che si intende costruire si inserirebbe in una zona di Roma congestionata dal traffico e dove scarseggiano i posti macchina in superficie, ma dove non mancano affatto quelli multipiano a pagamento o per abbonamento, peraltro ben più cari di quelli comunali delle fasce blu;
   nel bando si prevede che i lavori per il parcheggio possano durare fino a 3 anni impedendo in questo modo ai bambini, la cui età varia da uno fino a 13 anni, l'uso dell'unico spazio aperto disponibile per tutta la durata dei lavori;
   sono previsti lavori anche all'interno dell'edificio, che sacrificheranno la palestra dell'Istituto e faranno sì che le aule scolastiche affaccino direttamente sul cantiere;
   il progetto ultimato sembrerebbe prevedere che vadano a regime dispositivi non sicuri per i bambini, quali gli sfiati del parcheggio posizionati sotto le finestre dell'asilo nido. In generale, si sospetta l'incompatibilità di questo progetto con il rispetto delle normative vigenti in termini di agibilità, sicurezza, igiene ed eliminazione delle barriere architettoniche cui deve comunque rispondere l'edilizia scolastica (legge n. 23 del 1996 e decreto del Ministro dei lavori pubblici del 18 dicembre 1975, in materia di tecniche per l'edilizia scolastica);
   vi è un fondato sospetto che, nonostante l'edificio e l'area su cui insiste non siano soggetti a vincolo, vista la vicinanza con villa Torlonia, dove sono presenti ramificatissime catacombe ebraiche del III secolo dopo Cristo, anche l'area in questione possa ospitare nel sottosuolo importanti preesistenze archeologiche. Ciò comporterebbe il coinvolgimento della soprintendenza per i beni archeologici per i sopralluoghi e i rilievi necessari, cosa che potrebbe ritardare ulteriormente i tempi del cantiere, prolungando il disagio oltre i 3 anni previsti nel bando;
   le lavorazioni per la realizzazione del parcheggio (esecuzione di diaframmi profondi, scavi, gestione del materiale di risulta, esecuzione delle opere in cemento armato, eccetera) comporteranno emissione di polveri sottili e di forte inquinamento acustico cui i bambini verrebbero comunque esposti, in particolare quelli del nido e della materna, le cui aule si trovano al piano terra e affaccerebbero direttamente sull'area di cantiere;
   per ridurre, pur solo parzialmente, l'esposizione a polveri sottili e rumori sarebbe indispensabile sigillare le finestre delle aule, costringendo i bambini a trascorrere anni importanti della loro vita chiusi all'interno di aule ventilate con sistemi di aerazione non naturale;
   non è stato peraltro preliminarmente valutato il rischio per la salute dei circa 200 bambini ospitati in un luogo dove sarà attivo un cantiere molto invasivo né vi è alcun accenno a tale accertamento nel bando;
   non è stata avviata alcuna procedura di partecipazione, ascolto e coinvolgimento dei genitori, degli insegnanti, delle associazioni e degli enti ospitati, se non attraverso l'informazione obbligatoria avvenuta nella Gazzetta Ufficiale e nel sito dell'ente;
   una richiesta in tal senso era stata formalizzata senza esito;
   a causa dei lavori nel giardino della scuola verrà abbattuta vegetazione di pregio, tra cui numerosi alberi ad alto fusto;
   forte è il rischio che molti genitori ritirino i propri figli dalle scuole, interrompendo così un'esperienza unica di integrazione scolastica la quale ha avuto la fortuna di essere ospitata anche dal Capo dello Stato –:
   quali siano lo stato di elaborazione e i tempi di approvazione del regolamento di cui in premessa e se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, visto il protrarsi dei tempi, ripristinare il fisiologico funzionamento dell'ente nominandone il presidente ed il consiglio di amministrazione;
   se, nelle more dell'insediamento di tali organi, non ritenga di dover effettuare un fisiologico avvicendamento del commissario straordinario in carica ormai da 6 anni;
   se non ritenga adottabili modalità di finanziamento dell'Istituto che abbiano impatto minore sul diritto alla regolare istruzione dei bambini ivi ospitati, quali ad esempio la concessione onerosa di locali scolastici come la palestra o il giardino;
   se non intenda attivarsi per quanto di competenza per promuovere l'interruzione della procedura di gara diretta alla realizzazione di un parcheggio multipiano al fine di verificarne l'impatto sotto tutti i profili di interesse pubblico. (4-00790)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha adottato il 3 marzo 2013 il nuovo piano strategico denominato Europa 2020 nel cui ambito ha individuato cinque assi di intervento ritenuti chiave per rilanciare l'economia comunitaria – occupazione, ricerca e sviluppo, clima ed energia, lotta alla povertà e istruzione – fissando per ciascuna linea di azione degli obiettivi molto concreti da raggiungere entro il 2020;
   per quanto riguarda l'istruzione, i paesi dell'Unione europea sono chiamati a: ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10 per cento nella popolazione di età compresa tra i 18 e i 24 anni; conseguire una percentuale di laureati pari almeno al 40 per cento nella fascia di età tra i 30-34 anni;
   investire in capitale umano e nei talenti è dunque funzionale all'ottenimento di quattro delle cinque finalità identificate e, di conseguenza, rappresenta una priorità a cui gli Stati membri dovranno dedicare rilevante attenzione e risorse;
   l'importanza del capitale umano come driver per il rilancio dell'economia appare ancor più marcata in Italia dove è necessario incrementare i livelli di produttività del lavoro;
   inoltre, dotarsi di capitale umano specializzato e caratterizzato da competenze professionali eccellenti costituisce il requisito basilare per continuare a orientare il nostro sistema produttivo verso attività a elevato valore aggiunto;
   al fine di concretizzare le indicazioni espresse in ambito comunitario, è stato intrapreso negli ultimi anni un percorso legislativo che si è imperniato su tre provvedimenti chiave: la legge n. 240 del 2010 «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», il decreto-legge n. 70 del 2011 e il Programma nazionale di riforma adottato dal Consiglio dei ministri il 13 aprile 2011;
   il Fondo per il merito è stato istituito con la sopra citata legge n. 240 del 2010 cosiddetta riforma dell'università dove all'articolo 4 si prevede una misura volta è promuovere l'eccellenza fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e di laurea magistrale attraverso l'erogazione di premi, buoni studio e garanzie pubbliche per prestiti, da restituire una volta trovato lavoro;
   nell'aspetto più autenticamente innovativo il Fondo consiste nella garanzia dello Stato, riconosciuta a studenti selezionati sulla base di prove standard uniformi valide su tutto il territorio nazionale, per il finanziamento da parte di banche delle spese per gli studi;
   in Italia, con la disposizione in oggetto sembra trovare timidamente ingresso un nuovo diritto, il «diritto al merito», appunto, non ancorato a parametri reddituali ma alla misurazione delle capacità del singolo, che non sostituisce ma si affianca al tradizionale «diritto allo studio»;
   attraverso un processo di delegificazione che ha contribuito a semplificare il quadro normativo è stato emanato il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (cosiddetto decreto sviluppo), convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 che, all'articolo 9 commi da 3 a 16, ha previsto l'istituzione della «Fondazione per il Merito» al fine di realizzare gli obiettivi del Fondo;
   gli interventi di «delegificazione» adottati nel passaggio dalla legge n. 240 del 2010 al cosiddetto «Decreto Sviluppo» sono stati finalizzati a semplificare e velocizzare l'implementazione dell'iniziativa: in particolare, per la disciplina di determinate materie, sono stati previsti atti dell'organo deliberante della Fondazione per il merito al posto dei decreti ministeriali. Nella sua originaria formulazione, l'articolo 4 della legge n. 240 del 2010 prevedeva tra gli adempimenti necessari per l'attuazione del dettato legislativo, l'adozione di almeno quattro decreti ministeriali, che disciplinavano in dettaglio numerosi aspetti. Dopo l'intervento, il numero di decreti previsti si è ridotto a due e, fermo restando il rispetto delle prerogative della Conferenza Stato-regioni, sono stati trasferiti agli organi della Fondazione tutti gli aspetti di fine tuning e di gestione che necessariamente richiedono meccanismi decisionali più rapidi rispetto a quelli legati all'adozione dei decreti ministeriali;
   infine è stato deliberato dal Consiglio dei ministri del 13 aprile 2011 il Programma Nazionale di Riforma (PNR) che ha identificato tra le proprie priorità il tema «Istruzione e merito» al fine di favorire l'eccellenza nella direzione di consentire una piena applicazione dell'articolo 3 della Costituzione –:
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare al più presto i provvedimenti previsti al fine di rendere pienamente operativo il sistema dal momento che è necessaria l'approvazione del decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il parere della Conferenza Stato-regioni ex articolo 4, comma 3 legge n. 240 del 2010 che disciplinerà aspetti quali i criteri di accesso alle prove, i criteri ai attribuzione dei premi, l'ammontare massimo garantito, i requisiti di merito, le modalità di utilizzo dei premi e le caratteristiche dei finanziamenti ed è necessaria l'adozione del decreto ministeriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze ex articolo 9, comma 5, decreto-legge n. 70 del 2011 che permetterà l'approvazione dello statuto della Fondazione e determinerà la quota a carico degli studenti per la partecipazione al test. (4-00791)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro per i beni e le attività culturali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2000, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144, ha previsto incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, al fine di favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale nonché lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese;
   le disposizioni contenute nel decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, in particolare, sono dirette a:
    a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditorialità, anche in forma cooperativa;
    b) promuovere la formazione imprenditoriale e la professionalità dei nuovi imprenditori;
    c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile;
    d) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi;
    e) promuovere la formazione imprenditoriale e la professionalità delle donne imprenditrici;
    f) favorire la creazione e lo sviluppo dell'impresa sociale;
    g) promuovere l'imprenditorialità e la professionalità dei soggetti svantaggiati;
    h) agevolare l'accesso al credito per le imprese sociali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381;
    i) favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità in agricoltura;
    l) promuovere l'imprenditorialità e la professionalità degli agricoltori;
    m) agevolare l'accesso al credito per i nuovi imprenditori agricoli;
   le misure incentivanti di cui al suddetto decreto legislativo sono applicabili nei territori di cui ai nuovi obiettivi 1 e 2 dei programmi comunitari, nelle aree ammesse alla deroga di cui all'articolo 87 (già articolo 92), paragrafo 3, lettera c), del trattato di Roma, come modificato dal trattato di Amsterdam, nonché nelle aree svantaggiate di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 14 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 1995, n. 138, e successive modificazioni;
   ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, ai soggetti ammessi alle agevolazioni sono concedibili i seguenti benefici:
    a) contributi a fondo perduto e mutui agevolati, per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall'Unione europea;
    b) contributi a fondo perduto in conto gestione, secondo i limiti fissati dall'Unione europea;
    c) assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative;
    d) attività di formazione e qualificazione dei profili imprenditoriali, funzionali alla realizzazione del progetto;
   le agevolazioni previste dal decreto legislativo n. 185 del 2000 per l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità sono state gestite da Invitalia – Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa – che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo;
   dai risultati aggiornati al 2011 risultano 102.296 iniziative finanziate, con 172.306 nuovi occupati grazie, appunto, alle misure agevolative per l'autoimpiego e non c’è un solo comune del Sud Italia da cui non risulti pervenuta almeno una domanda;
   ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo n. 123 del 1998, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, con comunicato apparso sulla Gazzetta Ufficiale n. 96 del 24 aprile 2013, ha reso noto l'avvenuto esaurimento delle risorse finanziarie disponibili concernenti gli incentivi in materia di autoimprenditorialità ed autoimpiego previste rispettivamente dal titolo I e II del decreto legislativo n. 185 del 2000 –:
   se il Governo intenda ancora favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale nonché lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese, attraverso incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, assumendo iniziative per riattivare tempestivamente la dotazione finanziaria per le linee di finanziamento di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000.
(2-00089) «Censore, Carrescia, Carocci, Fregolent, Crivellari, Cassano, Bossa, Battaglia, Argentin, Castricone, Bersani, Martella, Cominelli, Civati, Stumpo, Valeria Valente, Roberta Agostini, Marchi, Lauricella, D'Attorre, Morani, Tidei, Carlo Galli, Giovanna Sanna, Scanu, Ribaudo, Pelillo, Patriarca, Nissoli, Aiello, Ragosta, Zaratti, Galati, Oliverio».

Interrogazioni a risposta immediata:


   TINAGLI, ANTIMO CESARO, DELLAI, ANDREA ROMANO e SCHIRÒ PLANETA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto «salva-Italia» (decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) sono stati introdotti, nel dicembre 2011, aiuti fiscali alle imprese che avrebbero assunto giovani under 35. Si trattava di un intervento che prevedeva la deducibilità integrale delle imposte dirette dell'irap, relativa alla quota imponibile per le spese per il personale. In pratica si cercava di dare una spinta all'occupazione giovanile riducendo in modo consistente, e diretto, sia le tasse che il costo del lavoro per chi assumeva gli under 35;
   nello specifico l'articolo 24, comma 27, del citato decreto-legge n. 201 del 2011 prevedeva che venissero integrate le risorse sull'autorizzazione di spesa relativa al fondo per il finanziamento di interventi in termini quantitativi e qualitativi a favore dell'occupazione giovanile e delle donne;
   il comma 252 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, (legge di stabilità 2013), introducendo il comma 12-bis all'articolo 4 della legge n. 92 del 2012 (riforma del mercato del lavoro), ha ribadito quanto precedentemente disposto dal decreto interministeriale del 5 ottobre 2012 emanato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   in definitiva è stato riproposto l'incentivo di euro 12.000 qualora un'azienda decida di trasformare un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato. Tale incentivo è previsto ogni qual volta si proceda a una stabilizzazione di rapporti di lavoro, trasformando le collaborazioni coordinate e continuative, anche a progetto, e i contratti di associazioni in partecipazione con apporto di solo lavoro in contratti a tempo indeterminato, anche a tempo parziale;
   il decreto interministeriale ha previsto anche incentivi per coloro che assumono donne di qualunque età e giovani fino a 29 anni assunti a tempo determinato, fino a un massimo di dieci contratti di lavoro per ogni datore di lavoro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati relativi al numero dei giovani, delle donne e dei disoccupati/inoccupati che hanno usufruito del varo dei sopra citati incentivi, ai fini di una valutazione dell'impatto delle norme stesse sull'occupazione. (3-00110)


   PIAZZONI, NICCHI, AIELLO e DURANTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il fondo per le non autosufficienze, finalizzato a garantire su tutto il territorio nazionale l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali in favore delle persone non autosufficienti, ha visto in questi ultimi anni ridurre sensibilmente le risorse ad esso assegnate;
   i disabili sono oltre 2,6 milioni di persone, mentre gli anziani sono oltre 4 milioni di persone. Le famiglie con almeno un disabile grave sono circa un milione e mezzo, pari a quasi il 7 per cento delle famiglie italiane;
   in aggiunta alle risorse stanziate per le medesime finalità dalle regioni, la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 1264) aveva istituito il fondo per le non autosufficienze, con una dotazione di 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Successivamente la legge finanziaria per il 2008 (articolo 2, comma 465), ne ha incrementato lo stanziamento di 100 milioni per l'anno 2008 e 200 milioni per il 2009. Per il 2010 il fondo ha potuto contare su 400 milioni di euro;
   per il 2011, il 2012 e il 2013, i Governi non hanno più voluto rifinanziare organicamente, e con carattere pluriennale, il fondo per le non autosufficienze;
   nel 2011 sono state assegnate alle non autosufficienze solo 100 milioni di euro e finalizzati ad interventi integrati socio-sanitari per i malati di sclerosi laterale amiotrofica;
   per il 2012 il fondo per le non autosufficienze è stato, di fatto, azzerato. Le risorse, infatti, che inizialmente erano state previste dal decreto-legge n. 95 del 2012, sono state soppresse dalla legge di stabilità per il 2013;
   il 2013 vede uno stanziamento di 275 milioni di euro (più ulteriori 40 milioni di euro che dovrebbero arrivare dai risparmi attesi dal piano straordinario di verifiche Inps sulle invalidità), per le non autosufficienze – inclusi gli interventi a sostegno dei malati di sclerosi laterale amiotrofica – ma il decreto di riparto delle risorse a favore delle regioni non è ancora stato emanato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   peraltro, andrebbero anche rivisti i criteri di assegnazione alle regioni delle risorse statali stanziate, laddove il criterio della ripartizione in base alla popolazione, andrebbe rivisitato considerando il numero reale dei malati interessati;
   l'insufficiente rifinanziamento del fondo obbliga molti parenti dei pazienti non autosufficienti a provvedere da sé, e in sostanziale «solitudine», alle cure del malato o ricorrendo al «badantato», con costi sostanzialmente a carico delle famiglie;
   in questi ultimi anni molte associazioni di disabili chiedono più possibilità di assistenza, più sostegno economico, più impegni certi da parte delle istituzioni;
   il Governo deve farsi carico di questa realtà, promuovendo politiche che mirino ad estendere significativamente la rete dei servizi puntando sull'assistenza a domicilio e sul territorio, per fornire risposte ai bisogni quotidiani di ogni singola persona non autosufficiente e delle famiglie, così da pervenire a un universalismo vero, superando la frammentarietà e i forti squilibri territoriali che sino ad ora hanno contraddistinto la rete dei servizi esistenti;
   sotto questo aspetto è, quindi, indispensabile provvedere non solo ad un congruo rifinanziamento su base pluriennale del fondo per le non autosufficienze, ma sviluppare un opportuno programma che miri prioritariamente all'assistenza territoriale e alle cure domiciliari e finalizzato a consentire – laddove possibile e richiesto – il permanere in famiglia, con particolare riferimento ai disabili gravissimi e per tutti quei casi bisognosi di assistenza vigile per i bisogni vitali, favorendo a tal fine la formazione di assistenti familiari e l'attività di soggetti specializzati nell'erogazione delle relative prestazioni;
   l'attuazione di detto obiettivo, peraltro, consentirebbe nel tempo un sensibile risparmio di risorse complessive investite e avrebbe ricadute positive in termini di occupazione –:
   se non si ritenga indispensabile adottare iniziative al fine di incrementare le risorse complessivamente destinate al fondo per le non autosufficienze, prevedendo il ritorno ad un finanziamento su base pluriennale, nonché il concreto avvio di un programma finalizzato al potenziamento della rete dei servizi socio-sanitari in questo ambito, volto a incentivare le strutture territoriali e l'intervento assistenziale e di cura domiciliare per i disabili gravi, sulla base di progetti individuali, stabiliti da equipe multidisciplinare, anche favorendo, laddove possibile, il permanere del disabile grave in ambito famigliare. (3-00111)


   ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER e SCHULLIAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 12 maggio 2012, n. 57, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 101, ha modificato la normativa in materia di valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro di cui all'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, prevedendo che le aziende che occupano fino a 10 dipendenti debbano effettuare la valutazione dei rischi sulla base di procedure standardizzate;
   attraverso varie proroghe, da ultimo l'articolo 1, comma 388, della legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) è stato disposto che fino al 30 giugno 2013 i datori di lavoro di che hanno meno di 10 lavoratori potessero autocertificare l'avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi;
   in realtà, però, una circolare ministeriale della direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro ha poi specificato che l'autocertificazione della valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro terminava il 31 maggio 2013;
   la procedura standardizzata per la valutazione dei rischi, ai sensi dell'articolo 6, comma 8, lettera f), del medesimo decreto legislativo n. 81 del 2008, è una procedura troppo onerosa per le piccole imprese, soprattutto per quelle artigiane, le quali potrebbero, invece, continuare agevolmente a produrre la dichiarazione sostitutiva;
   in funzione anticrisi sarebbe auspicabile agevolare il lavoro delle piccole imprese, che risultano essere quelle più colpite dalla crisi, come emerge dai dati della Cgia di Mestre, secondo la quale tra le 85.500 imprese che non ci sono più ben 77.670 (il 90,9 per cento) erano imprese artigianali –:
   se ritenga opportuno adottare iniziative volte a prorogare ulteriormente l'entrata in vigore della procedura standardizzata per la valutazione dei rischi in azienda per le piccole imprese fino a 10 dipendenti o, in alternativa, prevedere una semplificazione, per esempio mantenendo la dichiarazione sostitutiva. (3-00112)


   TERZONI, GALLINELLA, CECCONI, CIPRINI, CASTELLI e GRILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si assiste per l'ennesima volta nel nostro Paese in ambito lavorativo a un'azienda, che dopo aver ricevuto finanziamenti da parte dello Stato italiano, sta delocalizzando all'estero, gettando nello sconforto migliaia di famiglie e provocando una forte depressione a livello occupazionale e sociale di intere aree che già stanno subendo le conseguenze della crisi economica;
   è il caso di Indesit company che ha annunciato 1451 esuberi. Le produzioni italiane non sarebbero sostenibili e alcuni impianti saranno spostati in Polonia e Turchia, dove da diversi anni ormai i lavoratori italiani altamente specializzati sono mandati a trasmettere le proprie conoscenze ai lavoratori del posto;
   si rileva che tra il 2011 e il 2012, Indesit company ha sostenuto elevatissimi costi per investimenti a dir poco discutibili e che non hanno portato ritorni, né in termini di fatturato, né di quote di mercato e le cui conseguenze ora vengono fatte ricadere sulla vita di migliaia di famiglie che non sono solo quelle toccate dagli esuberi, ma anche di tutto l'indotto;
   sarebbe giusto in questi casi che le aziende che delocalizzano lascino qui in Italia sedi, capannoni, mezzi di produzione, macchine, progetti, perché è frutto del lavoro e dell'intelligenza dei lavoratori, pena la restituzione dei finanziamenti pubblici ricevuti e il risarcimento del danno causato alla collettività locale. A riguardo bisogna prevedere forme di partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende in ossequio all'articolo 46 della Costituzione –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare i lavoratori a rischio, anche attivando un tavolo di confronto che coinvolga pienamente i rappresentanti dei lavoratori, la dirigenza aziendale e i Ministeri competenti, che individui ogni possibile soluzione volta ad evitare ripercussioni negative sugli attuali livelli occupazionali, e, in particolare, al di là della specifica grave situazione collegata ad Indesit, quali misure il Ministro interrogato intenda porre in essere per incentivare misure di sostegno a favore del mantenimento sul territorio italiano delle realtà lavorative nazionali. (3-00113)


   BELLANOVA, GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, FARAONE, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MADIA, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, SIMONI, ZAPPULLA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo il recente rapporto dell'area attuariale dell'Inps sugli effetti finanziari che si determineranno a seguito della riforma pensionistica introdotta con il cosiddetto decreto-legge «salva Italia», nel periodo compreso tra il 2012 e il 2021, si determineranno risparmi per 80 miliardi di euro, pur tenendo conto dei costi delle salvaguardie, aggiuntivi rispetto a quelli conseguiti a seguito delle normative varate dal 2004 al 2011;
   in base a detto studio si evince una dinamica della spesa pensionistica che registra una notevole contrazione, con un picco nel 2019 quando si raggiungerà una riduzione di oltre un punto di prodotto interno lordo, con una soglia complessiva di poco superiore all'8,6 per cento del prodotto interno lordo;
   come si vede, si tratta di importi e percentuali ben superiori a quanto indicato nei documenti che accompagnarono la recente riforma e sui quali si basò la discussione e il confronto nelle aule parlamentari, nella società civile e sugli organi di informazione;
   già in occasione dell'esame del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, da parte del Partito Democratico, si sottolineò come la gran parte degli effetti positivi sul bilancio dello Stato della manovra poggiassero essenzialmente sulle misure previdenziali, con il brusco innalzamento dell'età pensionabile e l'eliminazione delle pensioni di anzianità;
   il protrarsi della crisi economica e le pesanti ricadute sull'occupazione, in particolar modo di quella giovanile, come opportunamente sostenuto dal Governo, richiedono una nuova strategia, anche in ambito comunitario, di rilancio dell'economia anche attraverso la predisposizione di un vigoroso piano per il sostegno dell'occupazione;
   come noto, la distribuzione del reddito negli ultimi decenni ha visto un netto peggioramento nel nostro Paese a tutto danno del lavoro, risultato a cui ha certamente contribuito il diffondersi dei contratti atipici, soprattutto tra i giovani lavoratori. Al riguardo, vanno sottolineate le opportune riflessioni recentemente sviluppate dal Presidente della Banca centrale europea: «Una più equa partecipazione ai frutti della produzione della ricchezza nazionale contribuisce a diffondere la cultura del risparmio e, dunque, della compartecipazione. Sentirsi parte integrante della nazione e cointeressati alle sue sorti economiche aumenta la coesione sociale e incentiva comportamenti economici individuali che conducono, nell'aggregato, al successo economico della collettività»;
   appare di tutta evidenza, soprattutto alla luce dei citati dati dell'Inps sugli effetti della riforma pensionistica, che il mondo del lavoro vanta un credito con lo Stato e con la società tutta in termini di equità e di opportunità;
   le anticipazioni di stampa sulle prossime iniziative del Governo sembrano delineare misure che si inseriscono in questa strategia –:
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per favorire il sostegno dell'occupazione, soprattutto quella giovanile e femminile, oltre che per porre rimedio ai più vistosi errori della riforma pensionistica, quali la rottura del patto tra stato e cittadini e la mancanza di gradualità nelle modifiche, stante il carico di sacrifici chiesti al mondo del lavoro in questi ultimi anni. (3-00114)


   POLVERINI e BALDELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha modificato le regole per l'accesso al trattamento pensionistico, prevedendo una disciplina in deroga per determinate tipologie di lavoratori (i cosiddetti esodati) con una copertura pari a 65 mila unità;
   successivamente, il Parlamento, in due distinti atti, ha ampliato ulteriormente la platea, stanziando risorse per 65.300 unità, di cui 55 mila a valere sul decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, e 10.300 sulla legge 24 dicembre 2012, n. 228;
   in base alle informazioni fornite anche dalle associazioni che tutelano gli interessi dei salvaguardati, al 3 aprile 2013 risultano essere state accolte 62 mila domande, di cui 2.950 in attesa di verifica, sulle 65 mila iniziali, con circa 7.500 lavoratori che alla data dell'8 maggio 2013 hanno già avuto accesso al trattamento pensionistico; con riferimento al secondo scaglione; la procedura è ancora in larga parte ferma alle direzioni territoriali del lavoro;
   un particolare rilievo assumono le situazioni del personale dipendente transitato in Inps, in particolare ex Ipost, relativamente all'impossibilità di procedere ai versamenti contributivi volontari a causa del mancato invio dei relativi bollettini, e del personale dipendente licenziato o esodato in seguito ad accordi collettivi o individuali stipulati prima del 2007 –:
   se sia intenzione del Governo rendere disponibili le risorse non impiegate nella prima e nella seconda procedura per le istanze che saranno presentate successivamente e se dal monitoraggio effettuato dall'Inps si evidenzino particolari criticità nella procedura di istanza e/o nelle attività delle singole direzioni territoriali del lavoro, valutando a riguardo anche la situazione relativa al personale dipendente transitato in Inps, in particolare ex Ipost, e quella del personale dipendente licenziato o esodato in seguito ad accordi collettivi o individuali stipulati prima del 2007. (3-00115)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista a Il Corriere della Sera del 25 maggio 2013, il Ministro interrogato, con riferimento all'ipotesi di un taglio delle pensioni più elevate, ha dichiarato che «non si vede perché nel momento in cui si chiedono sacrifici a tutti qualcuno debba essere escluso» e che «una misura del genere non porterebbe molti soldi ma sarebbe un'operazione di giustizia sociale»;
   nel corso delle passate settimane alcuni quotidiani hanno, inoltre, riportato la notizia secondo la quale il Ministro interrogato avrebbe pensato di destinare i proventi del taglio delle pensioni d'oro alle misure per contrastare la disoccupazione giovanile;
   è notizia di pochissimi giorni fa che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2013, ha dichiarato l'illegittimità del contributo di solidarietà, introdotto nell'estate 2011 dal Governo Berlusconi e poi confermato dal Governo Monti, ovvero il prelievo extra sulle cosiddette pensioni d'oro, cioè quelle pensioni pubbliche e private superiori rispettivamente ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l'anno –:
   quali siano le intenzioni del Ministro interrogato, a fronte della più recente pronuncia della Corte costituzionale, e quali metodi alternativi di copertura siano allo studio per finanziare le annunciate misure contro la disoccupazione giovanile. (3-00116)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riporta un comunicato stampa della Confsal-Vigili del fuoco, nell'ultimo confronto tra Governo e parti sociali sui temi del lavoro la Confederazione sindacale Confsal non sarebbe stata convocata;
   al tavolo presieduto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali erano presenti solamente Cgil, Cisl, Uil e Ugl;
   tale esclusione risulta, per i dirigenti sindacali della Confsal come Franco Giancarlo della federazione dei vigili del fuoco e per l'interrogante, incomprensibile posto che detta Confederazione rappresenta circa un milione di lavoratori ed è ampiamente presente su tutto il territorio nazionale;
   tali errate valutazioni sono figlie di un panorama sindacale, sociale e culturale ormai definitivamente mutato e confederazioni sindacali che raccolgono un gran numero di iscritti non possono essere escluse dai principali processi decisionali del Paese;
   il giudizio che le rappresentanze sindacali escluse da tali consessi hanno su questi comportamenti è che essi rappresentano «privilegi del passato»;
   la Confsal e le altre Confederazioni sindacali autonome, si caratterizzano per l'indipendenza dalle formazioni politiche di riferimento o sono completamente apolitiche. Hanno un approccio pragmatico ai problemi del lavoro e sono attente ai risultati da conseguire al solo fine di ottenere un miglioramento nelle condizioni lavorative degli italiani;
   la presenza delle Confederazioni autonome a questi tavoli governativi contribuirebbe ad una visione più ampia ed articolata delle necessità del mondo del lavoro che il Paese attende con urgenza –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché si provveda a convocare ai tavoli governativi la maggior parte delle Confederazioni sindacali.
(4-00766)


   FEDI e LA MARCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la verifica di esistenza in vita è una necessaria operazione di controllo che gli istituti previdenziali, tra cui l'INPS, debbono portare avanti con assoluta precisione e tempestività;
   la verifica dovrebbe avvenire automaticamente attraverso lo scambio di informazioni con gli enti previdenziali e fiscali, nonché gli istituti di credito preposti al pagamento delle pensioni medesime e ogni altra banca dati collegata agli istituti previdenziali o alla quale i medesimi possono accedere;
   la verifica dell'esistenza in vita per i residenti all'estero avviene attraverso l'invio cartaceo di una dichiarazione che deve essere compilata, firmata, autenticata e rispedita all'istituto di credito;
   dal 10 febbraio 2012, il servizio del pagamento delle pensioni INPS per beneficiari residenti all'estero è svolto da Citibank NA, con sede legale a New York e con sede secondaria a Milano;
   l'accertamento dell'esistenza in vita è basato sulla richiesta di compilare e restituire a Citibank un'attestazione di esistenza in vita avallata da un «testimone accettabile», e per «testimone accettabile» si intende un rappresentante di un'ambasciata o consolato italiano o un'autorità locale abilitata ad avallare la sottoscrizione dell'attestazione di esistenza in vita;
   nei casi di impedimento alla certificazione ordinaria, in conseguenza di incapacità alla firma oppure nei casi di degenza in strutture medico-sanitarie, non potendosi applicare le procedure di verifica ordinaria da parte di un testimone, viene richiesto di completare uno specifico modello, di colore verde, che prevede, per le persone incapaci o sottoposte a tutela, la certificazione da parte di un notaio della conformità all'originale della documentazione medico-sanitaria o legale da allegare al modulo stesso;
   tale nuova condizione obbliga sempre il pensionato, o i suoi famigliari, ad effettuare un pagamento al notaio, o allo studio notarile, che oscilla tra i 50 e gli 80 dollari australiani –:
   quali immediate iniziative si intendano adottare per evitare un costo a giudizio degli interroganti inutile ai pensionati ed alle loro famiglie, per verificare «la conformità all'originale», che potrebbe essere certificata dagli stessi soggetti abilitati alla verifica della esistenza in vita;
   se non si ritenga indispensabile, infine, alfine di evitare situazioni di grave disagio ai connazionali nel mondo, semplificare le procedure definendo i soggetti legali abilitati localmente, e riconosciuti in base alle disposizioni di legge nazionali ed internazionali, a svolgere direttamente la verifica di esistenza in vita e le certificazioni di natura medico-sanitaria e legale ad essa connesse, inclusa la conformità all'originale, evitando di rendere sempre più complesse le procedure di verifica dell'esistenza in vita. (4-00795)


   GIUSEPPE GUERINI e MISIANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia Brembo spa (realtà di eccellenza tra i produttori mondiali di sistemi frenanti per auto e moto) occupa 2.889 addetti in 3 siti produttivi, tutti situati in provincia di Bergamo (Curno, Mapello e Stezzano);
   la società nel primo trimestre 2013 ha registrato una crescita dei ricavi del 6,3 per cento e margini in crescita sia per quanto riguarda l'EBITDA (+10,2 per cento) che l'EBIT (+9,3 per cento);
   il 9 maggio 2013, la società ha comunicato alle organizzazioni sindacali la decisione di delocalizzare nei propri stabilimenti in Polonia e in Cecoslovacchia importanti produzioni di pinze in alluminio per i clienti Mercedes e Porsche;
   questa decisione comporta 200 esuberi, di cui 170 dello stabilimento di Curno e 30 di quello di Mapello, con la previsione di una tempistica compresa tra gli ultimi mesi 2013 e la primavera 2014. Gran parte degli esuberi (circa 150 su 200) sono lavoratori che hanno lavorato in Brembo con contratti a termine (alcuni anche per 28/30 mesi) e che stanno aspettando di essere richiamati e che a seguito di questa scelta non rientreranno più in azienda;
   le organizzazioni sindacali (Fiom, Fim e Uilm) unitariamente hanno espresso all'azienda la preoccupazione, sostenendo che tale scelta oltre all'impatto occupazionale potrebbe prefigurare un minore interesse nei confronti degli stabilimenti italiani della società;
   questa delocalizzazione si inserisce nel contesto di una crisi che ha portato, in provincia di Bergamo, alla chiusura di numerose aziende ed alla perdita di migliaia di posti di lavoro –:
   quali iniziative si intendano assumere per favorire la tutela dei livelli occupazionali degli stabilimenti italiani di Brembo spa. (4-00799)


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si trascina oramai da troppo tempo l’affaire «esodati», creatosi all'indomani del varo del cosiddetto decreto salva-Italia e divenuto nel frattempo una vera e propria emergenza sociale;
   i successivi interventi legislativi hanno assunto una connotazione di misure «tampone», semplici palliativi, piuttosto che risolutivi della problematica;
   a giudizio dell'interrogante, costante del Governo Monti, infatti, è stata quella di porre rimedio agli errori commessi ingarbugliando ancor di più la situazione già complessa, con l'indicazione di dati discordanti circa le cifre degli interessati dalle misure di salvaguardia;
   l'attuale Premier Letta ha inserito l'intento di risolvere la questione esodati nel discorso programmatico, tuttavia non è ancora chiaro come intenda affrontare la problematica;
   il Ministro si è limitato ad esplicitare la stesura prossima di un decreto che permetterebbe un'uscita graduale e la necessità di essere più rigorosi nelle valutazioni future;
   purtroppo, però, è ancora tutto troppo nebuloso ed alla drammatica situazione di difficoltà che gli esodati stanno vivendo si aggiunge anche quella di forte disagio per i potenziali salvaguardati;
   risulta, infatti, all'interrogante che nessuna risposta è stata ancora data a chi potenzialmente dovrebbe rientrare nella platea dei 55 mila ed ha presentato istanza a fine gennaio, inizi febbraio 2013 –:
   se l'attuale Governo sia in grado di fornire l'esatto numero degli esodati ed il relativo costo per consentire loro l'accesso alla pensione;
   se, in che termini ed entro quali tempi, il Governo intenda assumere iniziative per estendere il periodo di salvaguardia per gli esodati a dopo il 2014;
   se e come il Governo intenda accelerare le attività di Inps e direzione territoriali del lavoro ai 3 decreti attuativi della salvaguardia, al fine di ridurre al minimo i disagi dei beneficiari.
(4-00812)

PARI OPPORTUNITÀ, SPORT E POLITICHE GIOVANILI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   con atto notarile di compravendita in data 10 ottobre 2006 la Coni servizi spa alienava alla Società SAI Immobiliare Srl la proprietà del complesso sportivo denominato «Velodromo Pierino Baffi» sito in Crema (Cremona), di proprietà del C.O.N.I. dall'anno 1941;
   dagli anni ’50 sino al momento dell'alienazione nel 2006 l'immobile in questione era stato concesso in uso al comune di Crema da C.O.N.I. attraverso la stipula di una convenzione, che sanciva l'interesse pubblico della struttura destinata alla promozione e alla pratica dello sport, in particolare per l'attività di ciclismo su pista. Molti campioni della pista sono infatti cresciuti fin dalle categorie giovanili nel contesto delle attività federali svoltesi a Crema;
   con decreto 20 novembre 2007 il Ministero per i beni e le attività culturali, direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, dichiarava il Velodromo di Crema di interesse storico artistico ai sensi dell'articolo 10, comma 1, decreto legislativo n. 42 del 2004, sottoponendolo quindi a tutte le disposizioni di tutela contenute nel predetto decreto;
   con sentenza n. 20/2010 il tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione II) respingeva i ricorsi proposti da Coni Servizi spa e da SAI Srl contro il Ministero per i beni e le attività culturali;
   con sentenza n. 03894/2011 il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respingeva gli appelli per la riforma della sentenza Tar Lombardia n. 20/2010 presentati da Coni Servizi spa e da SAI Srl;
   il contratto di compravendita tra la Coni Servizi spa e la Società SAI Srl veniva quindi a cessare nel mese di maggio 2012 e il Velodromo Pierino Baffi di Crema ritornava quindi di proprietà del C.O.N.I.;
   è intenzione della Coni Servizi spa procedere comunque all'alienazione del Velodromo, su cui tuttavia permane il doppio vincolo: quello della Soprintendenza e quello urbanistico della destinazione d'uso a fini sportivi;
   l'amministrazione comunale di Crema ha proposto a Coni Servizi spa la sottoscrizione di una convenzione per la gestione dell'impianto anche temporanea, in attesa di una definizione della pratica;
   la città di Crema si trova del resto nella spiacevole situazione di assistere al degrado e all'incuria di un patrimonio sportivo rilevante per il territorio, in quanto non più concesso in uso ormai da un anno, mentre l'affidamento in gestione al comune ne permetterebbe l'utilizzo e la cura adeguata;
   all'ente C.O.N.I. permane la funzione di indirizzo, promozione, organizzazione e regolazione per l'attività promozionale dello sport in Italia –:
   quali iniziative intenda il Governo adottare per garantire l'utilizzo della struttura e, di conseguenza, la sua destinazione alla pratica sportiva del ciclismo su pista, attraverso la sottoscrizione pur temporanea di una nuova convenzione tra il comune di Crema e la Coni Servizi spa, trattandosi di un bene che è sempre stato al servizio della città di Crema e di tutto il territorio limitrofo. (4-00789)


   PIAZZONI, MARCON, NICCHI, MELILLA e AIELLO. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   il Servizio civile nazionale consente a tanti giovani dai 18 ai 28 anni di servire l'Italia in modo non armato e nonviolento, sviluppando un alto senso civico nell'aiuto concreto a persone svantaggiate (dai disabili ai rifugiati, dagli immigrati ai minori a rischio, ai malati terminali), nella cooperazione internazionale all'estero, nella tutela del patrimonio pubblico artistico, ambientale, culturale e nella protezione civile;
   le risorse finanziarie destinate al Servizio civile nazionale sono state ridotte drasticamente di anno in anno: nel 2008 erano 266,1 milioni di euro, nel 2009 sono scese a 210,6 milioni, nel 2010 a 170,3 milioni, nel 2011 a 123,4 milioni, nel 2012 a 68,8 milioni, nel 2013 a 61,2 milioni con conseguente inevitabile riduzione del numero complessivo dei giovani impegnati nelle varie attività;
   nel 2007 i posti a disposizione per i giovani del servizio civile erano 51.273 a fronte di 104.815 domande, nel 2011 sono scesi a 20.157 a fronte di 86.571 domande;
   per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro più altre risorse che dovrebbero derivare dal fondo di cui all'articolo comma 270 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012;
   il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione pro tempore aveva reperito altri 50 milioni di euro assicurando che si sarebbero potuti emanare i bandi 2013 e 2014 per un contingente di 18.800 volontari annui;
   alcuni giorni fa, diversamente da quanto annunciato nel giugno scorso dal Ministro pro tempore Riccardi, il Ministro interrogato ha dichiarato che il bando servizio civile per il 2013, sarà realizzato a settembre e permetterà l'avvio al servizio di soli 15.000 giovani in Italia e 450 all'estero;
   questa scelta avrà pesanti conseguenze sui giovani e sugli enti, che aspettano da 2 anni, l'uscita del bando, e pone forti dubbi sulla sostenibilità dell'intero sistema rimettendo in discussione, autonomamente un accordo condiviso tra Ministro, Ufficio nazionale del servizio civile, enti e rappresentanti dei giovani in servizio civile –:
   quali siano le motivazioni che impediscono di utilizzare per i bandi che partiranno a fine 2013 anche i fondi previsti per il 2014 come sempre successo;
   quali siano le effettive risorse che il Governo intende destinare per il 2013 al Servizio civile nazionale, quanti posti conseguentemente sia possibile mettere a bando e quale sia la reale volontà politica per aumentare le risorse rilanciando questo istituto della Repubblica e invertendo l'andamento al ribasso che ha portato il servizio civile dai 50.000 avvii del 2008 ai 15.000 del 2013;
   quali siano le cause e quali eventuali iniziative intenda prendere il Governo in relazione ai ritardi nelle procedure di valutazione dei progetti che causano lo slittamento della pubblicazione dei bandi per i giovani. (4-00806)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   MONGIELLO, REALACCI, RUSSO, CATANIA, OLIVERIO, CENNI, BELLANOVA, MARIANO, FIORIO, FERRARI, MARROCU, DECARO, ANZALDI, GINEFRA, COVELLO, TENTORI, CERA, DI GIOIA, CINZIA MARIA FONTANA, TARICCO, VENITTELLI, FAENZI, LUCIANO AGOSTINI, MAZZOLI, SCANU, MATTIELLO, MONTRONI, MORETTI e ANTEZZA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'olio extravergine di oliva è uno dei prodotti agroalimentari italiani più esposto a rischio di frode e contraffazione a danno dei consumatori, con la frequente immissione sul mercato, tra l'altro, di oli di oliva deodorati, di bassa qualità, aventi un valore di mercato molto inferiore a quelli di reale provenienza nazionale;
   con la legge 14 gennaio 2013, n. 9 è stato approvato un complesso di norme finalizzate ad assicurare la massima trasparenza e legalità nella filiera degli oli di oliva vergini; le norme approvate risultano strategiche anche per garantire la solidità, la competitività e la distintività del Made in Italy e delle imprese agricole italiane;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari e, nello specifico, degli oli di oliva vergini prodotti da olive nazionali, è uno strumento fondamentale per le imprese agricole italiane al fine di battere la concorrenza sul mercato di olio proveniente da altri Paesi, spesso di qualità inferiore e con minori garanzie di salubrità;
   l'olivicoltura italiana è una risorsa importante per la maggior parte delle regioni, svolgendo anche una pregevole funzione paesaggistica oltre a garantire la produzione di oli di oliva vergini di elevata qualità, tanto da rappresentare un settore produttivo strategico per il Made in Italy agroalimentare e per l'economia locale;
   con segnalazione AS 1048 del 23 maggio 2013, l'Autorità garante ha formulato osservazioni sulle norme di riforma in materia di qualità e trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, approvate con legge 14 gennaio 2013, n. 9, recante «Norme sull'indicazione dell'origine e la classificazione degli oli di oliva»;
   specificatamente, l'Autorità ha segnalato alcune criticità della legge relative alle modalità di adozione – con riferimento alla violazione della direttiva comunitaria 98/34/CEE che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche – alle limitazioni temporali introdotte per la vendita sottocosto ed all'introduzione di alcune tipologie di pratiche commerciali ingannevoli;
   la segnalazione formulata dall'Autorità garante, le cui osservazioni non sembrano condivisibili sotto molteplici aspetti, contrasta con gli obiettivi di trasparenza e tutela della concorrenza e della legalità che la stessa è chiamata istituzionalmente a perseguire;
   con specifico riferimento alla procedura di adozione della legge n. 9 del 2013 le Autorità italiane, hanno notificato alla Commissione, oltre alle disposizioni qualificabili come tecniche, l'intero progetto di legge per mera completezza di lettura e di informazione e, nell'ambito della procedura avviata il 21 novembre 2012 con la notifica da parte dell'Italia del progetto di legge, la Commissione ha formulato osservazioni soltanto su due disposizioni, senza nulla rilevare sul resto del testo;
   il semplice fatto di portare a conoscenza della Commissione il complesso delle disposizioni contenute nella legge non impedisce di mettere in vigore immediatamente e quindi senza attendere i risultati della procedura d'esame prevista dalla direttiva, le disposizioni che non costituiscono regole tecniche (così Corte di Giustizia, punto 42, sentenza 16 settembre 1997, nella causa C-279/94);
   con specifico riferimento alle vendite sottocosto, tali operazioni commerciali, seppure, nella normalità, legittime e utili strumenti concorrenziali, nel settore dell'olio extravergine di oliva rischiano di legittimare pratiche commerciali scorrette ed hanno l'unico effetto di pregiudicare le imprese nazionali virtuose, operanti nel pieno rispetto delle norme di legge e che, per questa ragione, hanno costi di produzione maggiori;
   rispetto alla ingannevolezza delle pratiche commerciali in cui risultino omesse o falsate le indicazioni relative alla zona geografica degli oli vergini di oliva, consolidato indirizzo giurisprudenziale nazionale più volte ha confermato la decettività di marchi che richiamino caratteristiche rilevanti dell'olio da località rinomate per la produzione (cfr, a titolo di esempio, Consiglio di Stato, sezione VI, 6 marzo 2001, n. 1254) e la stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato in numerose delibere ha evidenziato la necessità di rafforzare il contrasto a pratiche commerciali ingannevoli per quanto riguarda l'origine geografica degli oli;
   la richiamata segnalazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato pubblicata a distanza di cinque mesi dall'approvazione della legge 14 gennaio 2013 n. 9 appare agli interroganti intempestiva oltre che priva di incidenza in ordine alla valutazione della eventuale natura di regola tecnica delle disposizioni evidenziate;
   appare altresì fuorviante che la stessa autorità abbia sollevato critiche, argomentando sulla pretesa violazione della clausola standstill in ordine a precise disposizioni – come la vendita sotto costo – neppure osservate dalla Commissione europea come risulta dalla richiesta di informazioni del 28 febbraio 2013 (EU – PILOT/4632 137AGRI);
   l'Autorità ha omesso inoltre di valutare, e quindi di evidenziare, che tra le finalità precipue della legge vi siano quelle di assicurare il corretto funzionamento del mercato degli olii di oliva vergini ed al contempo di introdurre strumenti di controllo giustificati da esigenze di interesse generale concernenti, in particolare, la tutela della collettività da fenomeni di criminalità organizzata nel settore agroalimentare –:
   quale sia la posizione del Governo in merito alla segnalazione dell'Autorità;
   se, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, il Ministro interrogato non ritenga opportuno ignorare la segnalazione dell'Autorità;
   quali controlli e verifiche siano stati posti in essere in merito all'attuazione della nuova legge n. 9 del 2013 e se non intenda in ogni caso assumere iniziative per assicurare la piena attuazione della legge citata. (3-00117)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, GAGNARLI, PARENTELA, GALLINELLA, BENEDETTI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea 2009/128/CE ha istituito un quadro per gli interventi comunitari sull'utilizzo dei pesticidi, prevedendo che entro il 14 dicembre 2012 tutti gli Stati membri avrebbero dovuto trasmettere alla Commissione un proprio PAN, piano d'azione nazionale sull'uso sostenibile dei pesticidi;
   la direttiva europea è stata recepita in Italia con il decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, che, all'articolo 6, prevede che «è adottato, entro il 26 novembre 2012, il Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari»;
   il PAN è uno strumento fondamentale per definire gli obiettivi quantitativi, le misure e i tempi di ciascuno Stato membro al fine di ridurre i rischi e gli impatti dell'utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente, e anche al fine di incoraggiare lo sviluppo e l'introduzione della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi per ridurre la dipendenza dall'uso di pesticidi, per questo dovrebbe essere considerato una priorità;
   allo stato attuale, risulta sia stata completata una bozza di piano d'azione predisposta dai Ministeri competenti. Tale bozza, nel dicembre 2012, è stata destinata alla consultazione pubblica – prevedendo il termine per la presentazione delle osservazioni al 15 gennaio 2013 – al fine di rendere partecipi enti o associazioni interessate per l'elaborazione di osservazioni o altre proposte di integrazione;
   16 organizzazioni ambientaliste – tra le quali Unapi, Upbio, Federbio, FAI, Slow Food Italia, Lipu – si sono concentrate in particolare su sette azioni prioritarie per rafforzare il PAN italiano: definire gli obiettivi del piano in modo concreto e misurabile; rafforzare il riferimento all'agricoltura biologica e definire una road map che permetta l'incentivazione del metodo biologico, ridurre i rischi concernenti l'uso dei pesticidi a qualsiasi livello; affrontare in maniera decisa il legame tra pesticidi e OGM, promuovere ricerca e formazione in questo contesto e infine, sostituire il termine «prodotti fitosanitari» con quello più corretto – e tra l'altro esplicitato dalla direttiva europea – di «pesticidi»;
   dei 27 Stati membri, 19 hanno già presentato il proprio PAN; all'appello, oltre l'Italia, mancano ancora Belgio, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Polonia, Portogallo e Svezia;
   i pesticidi sono tra le principali cause di inquinamento delle falde acquifere italiane, compromettendo sia la purezza delle acque superficiali che sotterranee e, di conseguenza, la vita degli organismi acquatici. Inoltre, l'uso indiscriminato dei pesticidi in Italia sta mettendo a rischio la vita delle api che impollinano il 50 per cento dei fiori, garantendo così la riproduzione della metà delle piante presenti sul pianeta –:
   in base a quanto esposto in premessa, a che punto sia l'esame delle osservazioni presentate e quali siano, quindi, i tempi per una revisione e predisposizione definitiva del piano d'azione nazionale da trasmettere alla Commissione europea. (5-00291)


   ZACCAGNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 66 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, prevede che entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con decreto (...) individua i terreni agricoli e a vocazione agricola, non utilizzabili per altre finalità istituzionali (...) da alienare a cura dell'Agenzia del demanio (...);
   l'8 maggio 2013 il Ministro De Girolamo ha espresso, attraverso numerose agenzie stampa nonché durante una assemblea dei giovani imprenditori della Cia-Confederazione italiana agricoltori, la volontà di riaprire il tavolo di discussione inerente la vendita o l'affitto di terreni demaniali, finora rimasto sulla carta di questo decreto, con diritto di prelazione ai giovani agricoltori;
   le intenzioni del Ministro – «Bisogna dare ai giovani la possibilità di fare agricoltura attraverso gli strumenti dell'agricoltura, primo fra tutti, la terra» – sono di certo condivisibili, ma non appare chiaro agli interroganti, quale sia lo strumento attraverso il quale il Ministero avrebbe intenzione di agevolare concretamente l'accesso alla terra ai giovani;
   l'idea del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali è, infatti, quella di coinvolgere in questo processo la Cassa depositi e prestiti che dovrebbe occuparsi della stima e della valutazione dei terreni nonché della loro vendita, e attraverso la quale si potrebbe creare un fondo con le anticipazioni di cassa destinato ai giovani imprenditori o alle imprese in crisi;
   la Cassa depositi e prestiti non può essere considerata propriamente parte dello Stato, come affermato dallo stesso Ministro, in quanto, diventata nel 2003 una società per azioni, è controllata per l'80,1 per cento del capitale dal Ministero dell'economia e delle finanze, ma per il 18,4 per cento del capitale da fondazioni di origine bancaria e per il restante 1,5 per cento da «azioni proprie»;
   le sue funzioni hanno subìto nel corso degli anni, e in base a diversi interventi legislativi – leggi n. 403 del 1990, n. 724 del 1994 –, importanti cambiamenti, specie per ciò che riguarda i processi di finanziamento agli enti locali. In particolare, le modalità di funzionamento dei mutui erogati sono cambiate, mutando, di fatto, anche le quantità erogate scese da 6,2 miliardi di euro nel 2011 a 3,3 miliardi di euro nel 2012;
   analogamente, il rilevante interesse delle banche in questo organo potrebbe non rendere agevole, a parere degli interroganti, il transitare dell'intero ammontare ricavato dalla vendita dei terreni nel fondo ipotizzato dal Ministro;
   lo strumento dell'alienazione dei terreni agricoli non è, ad avviso degli interroganti, lo strumento adatto a risollevare e valorizzare il settore agricolo nazionale, al contrario, l'accesso alla terra in quanto bene comune dovrebbe essere garantito a tutti secondo modalità e strumenti che di certo esulano dalla vendita;
   i beni rurali – e particolarmente quelli abbandonati ed incolti – sono risorse importanti con cui, senza alcun costo, le amministrazioni pubbliche avrebbero la possibilità di affidare spazi ed occasioni di vita, di lavoro, di progettualità a tutti coloro che intendono sperimentare modelli diversi di vita e di economia, potenzialmente utili a tutta la società e con ciò ricercare alternative praticabili e sostenibili ad un modello socioeconomico manifestamente in crisi;
   sulla base di quanto previsto dall'articolo 66 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, nonché di quanto appare nelle intenzioni del Ministro, il rischio, infatti, è che un domani tali terreni agricoli alienati da parte dello Stato possano assolvere a diverse funzioni ma soprattutto che il ricavato derivante dalla vendita non venga totalmente destinato allo scopo di incentivare l'economia agricola locale e giovane;
   gli interroganti ritengono inoltre che quanto previsto dall'articolo succitato sia in contrasto con l'articolo 44 della Costituzione nel punto in cui prevede che al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera –:
   se non si ritenga frettolosa la modalità di intervento lasciata intendere dalle dichiarazioni di cui in premessa, in ragione del fatto che la vendita dei terreni a vocazione agricola, oltre ad essere assolutamente lesiva del patrimonio pubblico nazionale, potrebbe non essere la soluzione per i giovani agricoltori, anche considerando la natura duplice – statale e bancaria – della Cassa depositi e prestiti che potrebbe non garantire il raggiungimento dell'obiettivo preposto dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, e cioè la possibilità di incentivare effettivamente le attività agricole dei giovani, e se non ritenga altresì urgente ripensare le modalità di gestione dei terreni agricoli previste dall'articolo 66 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1.
(5-00293)


   ZACCAGNINI, PARENTELA, L'ABBATE, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, LUPO e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 30 aprile 2013, con deliberazione della giunta regionale, la regione Basilicata ha approvato un bando relativo al PSR 2007/2013, per l'attuazione della misura 214, azione 6, concernente l'introduzione di tecniche di agricoltura conservativa;
   il suddetto bando è stato emanato nelle more della decisione della commissione europea sulla modifica del piano di sviluppo rurale regionale che prevede proprio l'introduzione delle tecniche di agricoltura conservativa; qualora l'approvazione dell'Unione europea non dovesse arrivare entro il 1o agosto 2013, il bando, scaduto il 15 maggio 2013 decadrebbe;
   la disponibilità di risorse pubbliche per la realizzazione di quanto previsto nel bando ammonta a 3 milioni di euro e i beneficiari sono individuati tra gli agricoltori che seminano nel primo anno di impegno cereali autunno vernini;
   come noto, l'introduzione di tecniche di agricoltura comporta, per i primi 5-7 anni, una fase di significativa flessione produttiva, accompagnata ad un incremento sensibile di fitofarmaci e fertilizzanti;
   una delle modalità di agricoltura conservativa, infatti, è la semina su sodo che permette di preservare il terreno dall'erosione, lo mantiene ricco in sostanza organica e acqua, ma necessita di una più accurata attenzione verso le erbe infestanti;
   ciò, ad avviso degli interroganti, contrasta con quanto richiesto dall'Unione europea e cioè l'adozione di misure agroambientali finalizzate alla sostituzione di pesticidi e diserbanti chimici con tecniche biologiche;
   i finanziamenti previsti dal bando succitato sembrerebbero infatti in buona parte destinati all'acquisto di disseccanti o erbicidi utili ad avviare l'implementazione di tecniche di agricoltura conservativa;
   tra i disseccanti più utilizzati per contrastare le erbe infestanti c’è il Roundup, prodotto dalla Monsanto e contenente glifosate, un «erbicida totale» che, come dimostrato da numerose evidenze scientifiche, causa malformazioni genetiche nei feti degli animali da laboratorio –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere posto che quanto previsto dall'azione 6 alla misura 214 del PSR della regione Basilicata contrasta con la promozione dell'agricoltura biologica nel Paese;
   se non ritenga opportuno avviare iniziative per la messa al bando degli erbicidi a base di glifosate;
   se non ritenga di dover urgentemente intervenire presso le opportune sedi comunitarie al fine di non consentire l'utilizzo indiscriminato di pesticidi. (5-00302)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, PARENTELA e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha appena ritirato la proposta di regolamento volta ad introdurre il divieto per i pubblici esercizi di proporre oli di oliva vergini in confezioni prive di idoneo dispositivo di chiusura «antirabocco», tale che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata, ovvero non adeguatamente etichettate in modo che sia indicata l'origine del prodotto e il lotto di produzione a cui appartiene;
   tale normativa, già adottata da alcuni Paesi membri tra i quali l'Italia, è indispensabile a garantire la sicurezza del consumatore e la sua corretta informazione, posto che evita manipolazioni difendendo l'olio di qualità, e consente una più efficace azione di contrasto alla contraffazione, fenomeno assai rilevante nel settore dell'olio vergine ed extravergine di oliva e che danneggia in modo particolare il nostro Paese, in cui il sistema olivicolo-oleario rappresenta una grande biodiversità con una propensione all'eccellenza che ne fa un unicum nel panorama mondiale;
   in passato e non solo, come confermano le ultimissime notizie di cronaca, in Italia si sono verificati miriadi di frodi inerenti alla genuinità degli oli di oliva;
   l'Italia è il secondo produttore mondiale di olio di oliva con circa 250 milioni di piante e una produzione di oltre mezzo milione di tonnellate e vanta oltre 40 oli extravergine d'oliva certificati dop e igp con un fatturato stimato in 2 miliardi di euro e un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative;
   è indispensabile una normativa europea a tutela del settore oleario mediterraneo ed italiano in particolare, a garanzia dei consumatori e dei produttori nazionali costretti a sostenere elevatissimi costi di produzione e danneggiati dalla concorrenza di operatori stranieri che contano su una organizzazione produttiva e commerciale basata su una olivicoltura meccanizzata che sacrifica la qualità del prodotto finale a vantaggio di una maggior economicità;
   l'applicazione della legge 14 gennaio 2013, n. 9, recante norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, è attualmente di fatto sospesa a causa di alcuni rilievi posti dalla Commissione europea –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere presso la Commissione europea per consentire l'immediata applicazione della legge citata;
   se non ritenga urgente intervenire, presso le competenti sedi comunitarie, al fine di tutelare il sistema olivicolo-oleario nazionale. (4-00765)


   LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, PARENTELA, ZACCAGNINI, BARONI, CECCONI, DI VITA, DALL'OSSO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO e MANTERO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 31 maggio 2013 da tutti i quotidiani on line si è appreso di un'indagine in provincia di Caserta del Corpo forestale dello Stato come polizia giudiziaria, delegata dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, in materia di salubrità della filiera bufalina;
   già l'11 settembre 2008 l'opinione pubblica italiana venne informata da un dettagliato e lungo articolo del settimanale l'Espresso firmato da Fittipaldi delle connessioni tra Camorra e alcuni settori zootecnici casertani bufalini anche nell'attività di occultare i casi di brucellosi in taluni allevamenti di bufali; Fittipaldi testualmente scriveva «I padrini della nuova mafia campana non temono nulla: figuriamoci i veterinari. L'unico nemico che non riescono a fermare è la brucellosi. Quando l'epidemia diventa inarrestabile e le autorità non possono più chiudere gli occhi, loro trovano comunque una soluzione. Importano clandestinamente bufale dalla Romania, animali non utili per la produzione di mozzarella e di costo basso, e le sostituiscono ai capi infetti da eliminare. In questo modo intascano i rimborsi pubblici per gli abbattimenti e continuano a mungere i bovini ammalati per confezionare mozzarella. Francesco Schiavone mi rispose che quelle dei paesi dell'est non erano idonee alla produzione del latte ma solo per la carne. Mi spiegò tuttavia che le bufale della Romania potevano essere utilizzate per sostituire dei capi infettati destinati all'eliminazione, che dovevano essere occultati e sottratti agli abbattimenti disposti dall'autorità, al fine di continuare a usarle per fare la mozzarella di bufala. Mi disse che alcuni allevatori di Casale già stavano acquistando degli animali in Romania per sostituire le bufale infette (...)» Le dichiarazioni del «pentito» riguardano fatti recentissimi: dal 2002 al 2007. Nel suo racconto però gli inganni sulla mozzarella sono prassi antica. «Ricordo ancora che nel 1988-89 vi fu un'epidemia di una malattia che colpiva le bufale alla bocca al punto che gli animali morivano perché non riuscivano più a mangiare. Dopo di questa malattia intervenne l'Asl competente che procedette a fare dei controlli finalizzati ad accertare focolai di brucellosi. All'epoca i pubblici veterinari che intervenivano avevano ottimi rapporti con noi casalesi... Allora decidemmo di mandare un fiancheggiatore del clan ad acquistare delle giovenche piccole esenti da brucellosi da un'azienda di Latina che noi sapevamo essere a norma. Comprate queste otto giovenche, ovvero giovani capi bufalini, ce li siamo passati azienda per azienda sottoponendo sempre quest'ultimi e non gli altri capi ai controlli veterinari allo scopo di falsarne le risultanze di laboratorio. Questa procedura era al corrente del personale sanitario che interveniva per fare i controlli, i quali tuttavia soprassedevano agli evidenti illeciti intimoriti dal fatto che potevano essere sottoposti ad azioni violente»;
   il procuratore aggiunto Raffaella Capasso a proposito dell'indagine di Caserta del Corpo forestale ha dichiarato «Si è scoperto un ingegnoso e illegale sistema di mascheramento della brucellosi ai danni della salute pubblica e del consumatore»; il sistema criminale consiste appunto nel fatto che alcuni capi bufalini erano stati sottoposti alla somministrazione di dosi massicce di vaccino, servito a mascherare e occultare la presenza della brucellosi durante i controlli sanitari;
   l'espediente criminale della vaccinazione sui capi bufalini infetti è servito in un primo momento a evitare l'abbattimento obbligatorio dell'animale infetto, come previsto dal programma europeo contro la brucellosi, al fine di sfruttarlo fino allo stremo per ricavarne quanto più latte possibile; i capi alla fine venivano abbattuti per percepire comunque i contributi previsti dall'Unione europea;
   la mozzarella di bufala è uno dei più importanti prodotti del made in Italy agroalimentare conosciuto in Europa e nel mondo e deve esser assolutamente tutelato da ogni tentativo di pirateria e di azione criminale fraudolenta che ne svilisca l'immagine;
   la brucellosi è una patologia presente sia nei bovini che negli ovini ed è trasmissibile all'uomo da ferita o microferita da animale infetto, da utensili infetti per inalazione o da ingestione di prodotti caseari contaminati;
   la brucellosi è ritenuta una malattia professionale di allevatori e veterinari, ma è anche, e soprattutto, come evidenziato dalla letteratura scientifica concorde, compresa quella italiana, una patologia umana connessa al consumo di alimenti infetti da Brucella; l'incidenza della brucellosi è passata nel nostro Paese negli ultimi 15 anni da svariate centinaia di casi a poche decine di casi l'anno;
   la brucellosi è una patologia che ha una mortalità poco sotto il 2 per cento rispetto all'evenienza della malattia e comunque l'Organizzazione mondiale della sanità stima un'incidenza reale della brucellosi almeno 10 volte superiore alle denunce ufficiali –:
   se siano a conoscenza dei fatti citati in premessa e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati intendano adottare per fronteggiare sia l'infiltrazione del crimine organizzato nella zootecnia bufalina sia l'allarme causato dall'occultamento criminale di episodi di brucellosi in alcuni allevamenti bufalini in Campania, allarme che crea apprensione su un prodotto di pregio del made in Italy come la mozzarella di bufala, in relazione alla tutela del controllo della patologia in questione sugli animali di allevamento e sull'uomo, anche attraverso un monitoraggio più efficace dell'incidenza della brucellosi sulle popolazioni. (4-00782)


   SBROLLINI e GINATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la pioggia record delle scorse settimane (230 millimetri nel Vicentino solo nella giornata di giovedì 16 maggio 2013) ha imbevuto terreni ormai incapaci di assorbire: nei primi quattro mesi dell'anno sono caduti 600 millimetri d'acqua, su una media annuale di circa mille millimetri, vale a dire il 60 per cento dell'intera piovosità annuale;
   si tratta di un flagello per l'agricoltura in maggio, mese destinato per eccellenza a semine e tagli di fieno. Il 40 per cento della superficie destinata alle barbabietole non è ancora stata seminata, stessa sorte per il 30 per cento di superficie a mais; 32 mila ettari di superficie agricola regionale deputata agli ortaggi sono ancora vuoti, gli sfalci di erba medica che servono per i foraggi sono completamente perduti;
   sembra che si assisterà al 40 per cento in meno di raccolti per mancate semine. I problemi riguardano anche la frutta, in particolare pesche e ciliege, poiché sembra compromesso metà del raccolto nel Veronese e il 30 per cento nelle altre zone battute dalla pioggia;
   da anni ci sono in cantiere opere importanti tra cui l'idrovia Padova-Venezia per la cui realizzazione servono 200 milioni di euro. Cinque bacini di laminazione (tra cui Caldogno e Trissino) vengono ormai dati per acquisiti, ma i finanziamenti non sembrano arrivare –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra riportato; se e come intenda attivarsi per accelerare lo stanziamento dei finanziamenti promessi ai fini della realizzazione di opere volte alla riduzione del rischio idrogeologico e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere per alleviare gli ingentissimi danni che l'agricoltura ha subito a causa di una piovosità eccezionale che ha messo in ginocchio il settore. (4-00785)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA, CAPONE e MARIANO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 19 settembre 2012, a seguito di alcune dichiarazioni, del Ministro pro tempore dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini, apparse sulla stampa in merito alla lettura di alcuni dati sulla mortalità per tumore e pubblicati dall'Istituto superiore di sanità di concerto con l'osservatorio dei tumori della Puglia, l'interrogante ha presentato ai Ministri interrogati un atto parlamentare (interrogazione n. 5-07970, XVI legislatura);
   oggetto dell'interrogazione di cui sopra erano, appunto, alcune dichiarazioni del Ministro Clini che in merito al caso Ilva asseriva che: «la mortalità per tumore nella città di Lecce è superiore a quella di Taranto» e che nei dati ufficiali non si parla di un eccesso di mortalità a Taranto. Solo poche ore dopo, a chi obiettava alla sua affermazione opponendogli i dati relativi al progetto Sentieri, replicava affermando che: «È tutto da dimostrare che i morti siano provocati dalle emissioni dell'Ilva. Insomma, esistono margini di incertezza sul rapporto causa ed effetto della mortalità per tumori [...]» la rilevazione “Sentieri” formula delle ipotesi “che hanno bisogno di una verifica” in particolare i dati hanno dei margini di incertezza dichiarati [...] “vogliamo risanare il più grande centro siderurgico d'Europa, vogliamo proteggere i cittadini, ma senza allarmismi” che potrebbero frenare il risanamento»;
   alla richiesta di chiarimento e alla sollecitazione di attivare i doverosi riscontri per fornire le giuste risposte che la cittadinanza salentina, allarmata, richiedeva a gran voce, non è però giunta alcuna risposta nel corso dei mesi;
   da tempo, oramai, campeggiano sulla stampa le note vicende dell'Ilva, dalle quali, purtroppo, emerge un aspetto chiaro: la speculazione che per troppo tempo si è consumata sulla contrapposizione tra diritto al lavoro e diritto alla salute. La preoccupazione dei cittadini pugliesi e salentini nel leggere o ascoltare di agenti inquinanti, emissioni e delle correlazioni reali o presunte tra l'attività dell'Ilva e le malattie respiratorie, cardiovascolari e tumorali è aumentata a dismisura, fino ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio allarme sociale;
   qualche giorno addietro sulla stampa è emerso anche un articolo che parlava di «Salento in maglia nera» a tal proposito si legge «la Provincia di Lecce si aggiudica il triste primato del più alto tasso di mortalità in Puglia a causa di fattori ambientali». Il pezzo giornalistico si rifà ai numeri forniti dai dati dalla Lega Tumori estrapolati da uno studio del 2012. Si legge «dal 2006 ad oggi il trend delle malattie tumorali e delle morti è in crescita. Da 1965 decessi del primo anno analizzato, i numeri sono saliti a 2034 nel 2007 e a 2096 nel 2008. Con un tasso «grezzo» di mortalità passato da 24,3 a 25,8 nel giro di due anni contro la media regionale pugliese del 23,2»;
   i dati dell'atlante sulla mortalità avevano segnalato nella provincia di Lecce un eccesso di decessi per neoplasie polmonari nei maschi, tendenza confermata dai dati elaborati dal registro tumori dell'U.O.C. epidemiologia e statistica della ASL di Lecce, primo dei registri tumori della regione Puglia accreditato da ARTUM, che segnalano come l'incidenza delle neoplasie polmonari della popolazione maschile nel quadriennio 2003-2006 sia divenuta sovrapponibile a quello che si registra nelle zone urbanizzate del centro nord, pur essendo caratterizzato da ridotta presenza di insediamenti industriali ad elevato impatto ambientale;
   ad una situazione di tensione che investe, purtroppo, in pieno la città di Taranto ed i suoi lavoratori e cittadini, si aggiunge per un'assenza di chiarezza, un clima di incertezza misto a preoccupazione dei cittadini salentini che leggono costantemente sui quotidiani dell'aumento della casistica delle malattie sopra citate sul territorio e di una correlazione alla questione dell'Ilva;
   a parere dell'interrogante risulta essenziale un'azione mirata da parte del Governo che in tal senso sia portata a fare finalmente chiarezza tra i cittadini salentini –:
   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto premesso, non ritengano necessario, per dirimere le giustificate preoccupazioni dei cittadini salentini e pugliesi, attivarsi con estrema urgenza anche prevedendo la concertazione e l'attivazione di un tavolo tematico con le parti interessate e propedeutico ad un monitoraggio della correlazione tra inquinamento provocato dall'Ilva e incidenza delle malattie per l'area salentina e pugliese, atto a chiarire la situazione attraverso dati di estrema attendibilità. (5-00304)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CULOTTA, MOSCATT, AMODDIO, GULLO, RIBAUDO, TARANTO, PICCOLI NARDELLI, ZOGGIA e MORETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione siciliana con delibera n. 141 del 2012 ha predisposto uno stanziamento di fondi per la realizzazione di un progetto interregionale, volto ad ottimizzare l'assistenza sanitaria nelle piccole isole e nelle località caratterizzate da eccezionali difficoltà d'accesso;
   successivamente la regione siciliana ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione in data 29 marzo 2013 il decreto 8 marzo 2013 «Modifica ed integrazione del decreto 2 dicembre 2011, concernente riordino e razionalizzazione della rete dei punti nascita», un piano programmatico e di riordino per accedere a tali fondi, ma il progetto è stato rigettato dal Ministero della salute, in quanto non rispondente al criterio ministeriale secondo il quale questo doveva essere redatto insieme a Toscana e Veneto, dove alla Sicilia spettava la parte relativa all'assistenza territoriale, alla Toscana l'aspetto dell'integrazione tra ospedale e territorio e al Veneto quello dell'emergenza; il bando ministeriale per accedere al finanziamento milionario affida quindi alle tre regioni il compito di scrivere un progetto unico articolato in tre sezioni;
   la stessa regione siciliana, a seguito di tale rigetto, ha ripresentato al Ministero della salute, in data 5 aprile 2013 un nuovo piano di riorganizzazione dei punti nascita;
   ad oggi non si hanno notizie circa l'esito di questa nuova istanza;
   la situazione che si è determinata nel punto nascita di Pantelleria è a metà tra il ridicolo e il tragico, stante il fatto che le donne dell'isola vengono, di fatto, indirizzate con spese di viaggio e permanenza a loro carico verso le strutture ospedaliere della città di Trapani, con rischi gravissimi, facilmente immaginabili, per la salute e per la vita loro e dei nascituri;
   tutto ciò oltre a procurare un danno per le donne dell'isola di Pantelleria è, a giudizio dell'interrogante, anche una palese violazione di diritti sanciti dalla Costituzione –:  
   quale sia attualmente lo stato dell’iter del nuovo piano inviato in data 5 aprile 2013 e, se il Ministro, per le parti di sua competenza, non ritenga opportuno intervenire urgentemente per porre rimedio a questa situazione umiliante, accelerando anche i tempi previsti per l'erogazione dei fondi in questione. (4-00786)


   DI LELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nonostante l'Italia sia il terzo Paese in Europa per presenza di casi con dolore cronico severo che colpisce più di 15 milioni di pazienti, di cui solo il 10 per cento per motivazioni oncologiche, rimane agli ultimi posti in Europa nella prescrizione di farmaci oppioidi;
   il dolore incide notevolmente sulla vita quotidiana: secondo recenti indagini, il 23 per cento delle persone con dolore dichiara di aver dovuto cambiare la propria posizione sociale; il 14-17 per cento di aver perso il lavoro; il 20 per cento di aver cambiato lavoro; il 28 per cento di aver avuto un cambio di responsabilità della propria mansione;
   anche le conseguenze psicologiche non sono trascurabili: nel 18 per cento dei casi, le persone con dolore dicono di vivere un senso di abbandono e la sensazione di perdere il proprio ruolo all'interno della famiglia; al 22 per cento è stata diagnosticata depressione, mentre il 50 per cento prova un senso di sfiducia e malessere;
   più di dieci anni sono passati dalla emanazione della legge n. 39 del febbraio 1999, primo atto formale dello Stato italiano per le cure palliative, in cui veniva previsto un programma nazionale per la creazione in tutte le regioni italiane di strutture di degenza (Hospice) per accogliere i malati in fase terminale;
   ad oggi sono poco più di 500 le strutture esistenti in Italia, distribuite sul territorio in modo disomogeneo che denunciano ancora una volta il pesante divario esistente tra Nord e Sud anche a causa del ritardo di alcune regioni a deliberare in merito dando attuazione alla legge;
   nonostante l'introduzione della legge n. 38 del 2010 abbia sancito il diritto per ogni cittadino all'accesso alle cure palliative e alla cura del dolore considerato in tutte le sue forme, inserendo le stesse cure tra gli obiettivi prioritari del piano sanitario nazionale, l'incremento annuo della vendita di confezioni di oppiacei è stato pari al 30 per cento; con forti differenze nell'utilizzazione dei farmaci oppiopidi, sia forti che deboli, tra le varie regioni italiane; il maggior utilizzo è stato registrato nelle regioni del Centro-nord;
   la stessa legge prevede inoltre l'istituzione di una rete pediatrica del dolore che non tutte le regioni hanno ancora recepito con apposita delibera;
   i ritardi ad avviso dell'interrogante appaiono attribuibili alla scarsa attenzione verso un problema la cui soluzione viene ritenuta non urgente rispetto ad altre priorità, sottovalutando i pesanti effetti che possono determinarsi sul piano economico e sociale –:
   se risulti quante e quali siano le regioni che devono ancora dare attuazione a quanto disposto dalla legge n. 38 del 2010 con l'emanazione delle necessarie delibere di giunta regionale;
   se e quali siano le difficoltà che hanno sinora impedito nelle varie realtà territoriali l'attuazione della richiamata legge;
   quale sia l'indice di attuazione della legge n. 38 del 2010, riferito alle cure pediatriche, in termini di realizzazione di idonee strutture, di loro diffusione sul territorio e di erogazione delle cure;
   quali iniziative il Governo intenda prendere sul piano normativo e nei rapporti con le regioni affinché in tempi rapidi possa essere recuperato il ritardo accumulato nell'applicazione della legge n. 38 del 2010 e siano così assicurate ai cittadini le cure più palliative appropriate per combattere il dolore che considerando la forte espansione del numero di persone colpite, sta creando un forte allarme sociale. (4-00807)


   BINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i trattamenti farmacologici per la degenerazione maculare rientrano tra i più importanti recenti successi della medicina;
   questo è il caso pratico di farmaci con un prezzo troppo alto per essere utilizzati negli ospedali italiani, con il rischio di vedere pazienti non trattati per motivi economici;
   la maculopatia è una malattia degenerativa della porzione centrale della retina (macula) che determina una perdita progressiva della visione centrale, e colpisce 1 persona su 3 dopo i 75 anni. Le principali terapie farmacologiche per la cura delle maculopatie sono Avastin e Lucentis;
   mentre Lucentis, prodotto dalla Novartis, ha l'indicazione registrata per la maculopatia, Avastin, prodotto dalla Roche, con indicazione per patologie oncologiche, era largamente utilizzato off label in quanto incluso nella lista della 648 del 1996 (soprannominata ex-legge Di Bella);
   intorno al 2005 l'azienda farmaceutica americana Genetech, controllata da Roche, mise a punto un anticorpo monoclonale per la cura del cancro del colon, il cui brevetto fu poi ceduto alla stessa Roche. Durante l'utilizzo di Avastin per il trattamento del cancro del colon, il farmaco si dimostrò efficace anche per il cancro del polmone, della mammella e del rene. La stessa Roche chiese l'allargamento delle indicazioni di registrazione ad AIFA, ottenendo tutte le autorizzazioni necessarie;
   contemporaneamente si evidenziò, come effetto secondario, un importante miglioramento della vista nei pazienti trattati con Avastin per il cancro ed affetti anche da maculopatia;
   il dosaggio di Avastin a scopo oncologico varia dai 5 ai 15 mg per Kg-peso, mentre in ambito oculistico è di circa 1 mg totale;
   pertanto la terapia oncologica risulta economicamente più vantaggiosa per l'azienda Roche, avendo il costo di 3,36 euro a 1 mg di Avastin. Così che non è mai convenuto a Roche immettere sul mercato un flacone ad uso oculistico, a maggior ragione se consideriamo che Novartis detiene ben il 30 per cento delle azioni di Roche;
   ma percepita la grande opportunità di fare introiti, Genetech sviluppa una molecola molto simile ad Avastin e cede questa volta il brevetto a Novartis, che lo registra come Lucentis con indicazione oculistica al costo di ben 900 euro a dose. È da considerare che un paziente affetto da maculopatia riceve da un minimo di 3 ad un massimo di 20-25 dosi nella storia della sua malattia. Nel frattempo si iniziano a fare studi clinici in tutto il mondo per comparare l'efficacia clinica dei due farmaci nell'ambito della maculopatia;
   nel 2011 è stato pubblicato, su un'importantissima rivista scientifica (New England), uno studio clinico (CATT) che dimostra la parità di efficacia clinica per le due terapie. Parliamo di uno studio clinico condotto su 1208 pazienti, mentre gli studi registrativi di Novartis per Lucentis sono stati condotti rispettivamente su 716 e su 423 pazienti, e cioè circa la metà dei pazienti arruolati nello studio CATT;
   l'utilizzo off-label (fuori indicazione di registrazione) di farmaci è legalmente permesso in Nord America, Europa ed Asia ed è una pratica comunemente accettata, quando necessaria ed utile, sia dai medici che dalle istituzioni sanitarie, ed anche da alcune assicurazioni (vedi Stati Uniti);
   l'Italia è un paese in cui la prescrizione off-label è consentita dalla legge n. 648 del 1996 oltre che da leggi regionali;
   questa procedura è sempre stata considerata anche un modo per migliorare le conoscenze ed offrire più precocemente nuove terapie ai pazienti;
   nell'assistenza garantita dal Sistema sanitario nazionale tutti i pazienti la cui patologia rientri nelle indicazioni di Lucentis, potrebbero essere trattati. Ma i costi proibitivi per molte ASL italiane le costringono al «non trattamento» o alla migrazione dei loro pazienti;
   la popolazione italiana, sta diventando sempre più anziana, questa patologia è un problema urgente da risolvere;
   in un periodo di risorse economiche definite, per offrire la possibilità del trattamento ad un numero maggiore di pazienti, molti ospedali e strutture sanitarie hanno valutato la possibilità di utilizzare Avastin off-label nonostante che Lucentis abbia l'indicazione ministeriale, ma i ricorsi fatti dalla Novartis scoraggiano ogni iniziativa;
   la regione Emilia-Romagna, con una specifica delibera, ha autorizzato gli oftalmologi della propria regione all'utilizzo di Avastin ad uso oculistico. Ma Novartis ha presentato ricorso al TAR, vincendolo e richiedendo i danni economici;
   altre indicazioni invece off-label sempre di Avastin (glioblastoma e carcinoma ovarico) approvate con delibere ad hoc da regioni come la Toscana ne permettono l'utilizzo senza subire, nessun ricorso;
   è paradossale che per alcuni vincoli normativi, il Sistema sanitario nazionale non possa utilizzare il meno costoso ma altrettanto efficace Avastin, solo per la mancata estensione delle indicazioni;
   nella precedente legislatura, la prima stesura del decreto Balduzzi, nell'articolo 11, comma 3, veniva autorizzato l'uso di farmaci off-label se il corrispettivo con indicazione registrata avesse avuto un costo superiore del 50 per cento rispetto al farmaco registrato, ma, ad avviso dell'interrogante incredibilmente, questa disposizione è stata abrogata in sede di conversione del decreto-legge;
   per di più a fine ottobre 2012 è stata diffusa una nota del direttore generale dell'AIFA in cui si ribadiva la natura off-label del trattamento con «Avastin intravitreale» e l'esclusione della lista di farmaci autorizzati nella 648 del 1996 che ne preclude la rimborsabilità per il Sistema sanitario nazionale;
   dopo circa 30 giorni da questa lettera è stato pubblicato in gazzetta l'allargamento delle indicazioni per Lucentis oltre che per la maculopatia senile anche nell'edema maculare diabetico e nelle trombosi retiniche concedendo a Novartis nuove fasce di mercato a scapito del Sistema sanitario nazionale;
   dopo circa un altro mese viene diffusa su tutti i media l'apertura da parte dell’antitrust di una procedura di infrazione per violazione del libero mercato da parte di Novartis e Roche con il sospetto che le due multinazionali si siano accordate –:
   se il Ministro, in attesa del pronunciamento dell’antitrust, non ritenga opportuno intervenire affinché sia reinserito nella lista dei farmaci off-label autorizzati dalla legge 648 del 1996 l'utilizzo di «Avastin uso oculistico». (4-00809)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il 25 settembre 2001 ENEL Produzione ha presentato un progetto di riattivazione, attraverso la riconversione a biomasse, di uno dei due gruppi della centrale termoelettrica del Mercure – risalente alla metà degli anni ’60 e ormai completamente inattiva da oltre 15 anni – sita nel territorio del comune di Laino Borgo (CS), all'interno di un'area doppiamente protetta a livello nazionale e comunitario (Parco nazionale del Pollino e zona di protezione speciale – ZPS – Pollino e Orsomarso – IT 9310903);
   al progetto si oppongono, con grande forza e determinazione, l'intera popolazione della Valle, nonché le amministrazioni delle comunità più a rischio e l'Ente parco nazionale del Pollino, attraverso sia il consiglio direttivo che la comunità del parco, oltre a istituzioni – tra cui la regione Basilicata e la provincia di Potenza –, rappresentanti politici e amministratori di ogni appartenenza, associazioni e comitati locali e nazionali;
   tale opposizione è motivata dai rischi per la salute, connessi al funzionamento della centrale – per via delle emissioni aeree di inquinanti e al loro persistere all'interno della Valle del Mercure, dotata di scarsissima ventilazione – nonché per le attività economiche locali – legate alla vocazione turistica e agro-alimentare di qualità – e, ancora, per lo sviluppo occupazionale dell'intera area, calabrese e lucana, interessata;
   le numerose azioni legali intraprese contro il progetto dell'Enel hanno condotto alla sentenza 04400/2012 del Consiglio di Stato – depositata il 1o agosto 2012 – che, in pratica, lo boccia definitivamente;
   con decreto n. 16459 del 19 novembre 2012 la regione Calabria – dipartimento n. 5/attività produttive – settore politiche energetiche, non tenendo praticamente in alcun conto il pronunciamento del Consiglio di Stato, ha incredibilmente autorizzato la riattivazione della sezione 2 della centrale, attraverso l'utilizzo di atti che devono ritenersi nulli, senza attivare le procedure previste dalla vigente normativa e contro il parere dell'ente parco nazionale del Pollino, ente gestore del territorio su cui sorge la centrale;
   avverso tale improvvido provvedimento sono in corso ulteriori iniziative legali per ripristinare il principio di legalità e tutelare i legittimi interessi e i diritti delle popolazioni interessate, che hanno immediatamente dato luogo, da parte loro, a vibrate proteste e manifestazioni, a testimonianza ulteriore della delicatezza della vicenda e della unanime opposizione, popolare e istituzionale ad uno sciagurato progetto che, se portato a compimento, li danneggerebbe irreparabilmente, oltre a devastare un'area protetta tra le più belle d'Italia;
   tra i motivi di maggior allarme tra i cittadini è la presenza di grandi quantità di amianto in entrambi i gruppi costituenti la vecchia centrale del Mercure, fonte di continua preoccupazione per le popolazioni della valle;
   Enel ha pubblicamente dichiarato di non aver bonificato il gruppo uno della centrale per motivi economici, ma di essersi limitata alla messa in sicurezza dell'amianto ivi presente, mentre completamente bonificato sarebbe stato, sempre a detta dell'Enel, il gruppo due, da riconvertire a biomasse;
   sono passati ormai diversi anni da tali interventi e non è dato sapere quale sia l'attuale condizione dell'amianto contenuto nel gruppo uno della centrale;
   ugualmente non sono state fornite informazioni dettagliate, come pure sarebbe stato opportuno e necessario, né sulle quantità di amianto rimosse dal gruppo sottoposto – a detta dell'Enel – a bonifica, né sulle modalità della bonifica, né sul suo effettivo completamento;
   tale inadeguatezza di informazioni su aspetti importanti e delicati di salute pubblica hanno forse anche contribuito ad alimentare voci insistenti che riportano la non completa rimozione dell'amianto – che, si dice, sarebbe stato semplicemente «ricoperto» – dal gruppo due della centrale;
   ad alimentare ulteriormente le preoccupazioni della popolazione, vi sono anche strani accadimenti, da molti messi in connessione con l'avvio, seppur «a singhiozzo», dell'impianto. Tra questi, presenza di odori cattivi e persistenti nell'area circostante la centrale e, ancora, disturbi generali che hanno colpito – ad inizio del mese di maggio 2013 – alcuni escursionisti. Episodi che avrebbero allarmato anche le istituzioni locali, fino a far chiedere l'intervento delle forze dell'ordine e dell'ARPA Calabria, per gli accertamenti del caso;
   sono altresì motivo di preoccupazione le attività attualmente in corso all'interno della centrale del Mercure, in quanto a fermi prolungati si intervalla un'attività, di norma notturna, accompagnata da forti e allarmanti rumori che disturbano la tranquillità notturna e mettono in allarme le popolazioni –:
   quali urgenti iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare, anche attivando verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, per:
    a) tutelare il diritto alla salute e la tranquillità delle popolazioni della Valle del Mercure, attraverso la chiara definizione delle attività a suo tempo svolte e connesse alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell'amianto contenuto nei due gruppi costituenti la centrale del Mercure, nonché della situazione attuale relativamente a tale pericolosissimo materiale;
    b) accertare quanto realmente stia accadendo all'interno dell'area e nella centrale medesima, in relazione alle modalità di funzionamento della stessa, assicurando con ogni iniziativa di competenza quanto stabilito nella sentenza del Consiglio di Stato del 1o agosto 2012, sentenza che, a parere degli interrotti, è stata elusa e disconosciuta;
    c) proteggere il prezioso e delicatissimo ambiente del parco nazionale del Pollino da una iniziativa che arrecherebbe, direttamente e indirettamente – attraverso, ad esempio, il transito di ben oltre cento veicoli pesanti al giorno, necessari al trasporto dell'ingente quantità di biomassa necessaria ad alimentare la centrale, su strade, poste all'interno del perimetro del parco, assolutamente inidonee a sopportare un tale impatto veicolare – un danno gravissimo ed irreversibile, danneggiando così non soltanto aspetti naturalistici di grandissimo pregio, ma anche il concreto sviluppo economico ed occupazionale cui l'area del parco è, per sua stessa natura ed unanime convincimento, vocata.
(2-00087) «Migliore, Placido, Aiello, Zan, Pellegrino, Zaratti, Nicchi, Piazzoni».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDELLI e ABRIGNANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Indesit Company ha presentato ai sindacati un piano di razionalizzazione dell'attuale assetto industriale che prevede 1.425 esuberi nei tre poli italiani del gruppo;
   in segno di protesta contro questi esuberi previsti dal gruppo Indesit, circa 400 lavoratori degli stabilimenti di Albacina e Melano hanno dato vita il 5 giugno 2013 a scioperi spontanei, assemblee e cortei, con l'occupazione simbolica della direzione aziendale a Fabriano;
   anche gli operai dell'indotto, come nel caso della Tecnowind di Fabriano, necessitano di garanzie sul loro futuro occupazionale;
   i circa 500 esuberi (su 1.425 in Italia) dichiarati dalla Indesit Company che interesseranno il territorio marchigiano, se sommati alla crisi e chiusura di altre attività produttive di questo settore, rischiano di appesantire una situazione occupazionale locale che è già molto preoccupante, specie in un territorio storicamente produttivo e vitale –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende intraprendere per salvaguardare il tessuto occupazionale e produttivo delle Marche, in relazione al piano industriale della Indesit e alla crisi dell'indotto, e se il Governo non intenda aprire un tavolo tecnico per cercare di contenere le gravi ricadute che il piano di razionalizzazione della Indesit Company avrà sull'economia reale della regione Marche. (4-00771)


   FERRARA e SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Indesit è stata un'azienda italiana produttrice di elettrodomestici e di elettronica. Fu fondata nel 1953 a Torino con la denominazione Spirea e nel 1961 a Rivalta di Torino, assunse la ragione sociale definitiva. Nacque il marchio Indesit;
   Indesit produceva quasi tutti gli elettrodomestici come lavatrici, frigoriferi, congelatori, lavastoviglie e cucine, mentre nel settore elettronico, produceva televisori e registratori di cassa. L'azienda conobbe un rapido sviluppo produttivo e commerciale nel periodo del boom economico, divenendo la terza del settore a livello nazionale. Conquistò ampie quote sia nel mercato nazionale che estero degli elettrodomestici;
   negli anni sessanta e settanta, Indesit contava ben otto impianti produttivi, di cui cinque al Nord (sparsi tra Rivalta, None e Orbassano) e due al Sud (Teverola e Carinaro (CE)), dove vennero impiegati circa 12.000 addetti;
   Indesit partecipò per il 6 per cento nella Sèleco di Pordenone all'epoca in cui vi era Giovanni Mario Rossignolo che ne deteneva il controllo, cedendo impianti in disuso di fabbricazione di televisori. Zanussi e Rel erano i maggiori azionisti in Sèleco in quell'epoca;
   nel 1980, la Indesit andò in crisi e venne posta in amministrazione controllata, da cui uscì nel 1984, quando fu ricapitalizzata per 74 miliardi di lire e vi entrarono nuovi soci. Per l'azienda torinese la crisi continuava e la ripresa non avveniva, e perciò nel 1985 cedette la sua divisione elettronica alla Olivetti. Molte furono le trattative per trovare un partner industriale e finanziario, ma la situazione era talmente grave da portare, nello stesso anno, l'azienda all'amministrazione straordinaria in base alle legge Prodi e il tribunale di Torino nominò commissario il dottor Giacomo Zunino. Da tempo i posti di lavoro erano drasticamente diminuiti, ed erano ridotti a poco più di 7.000 addetti, la maggior parte dei quali in cassa integrazione;
   nonostante fosse commissariata l'azienda migliorò gradualmente i conti, e nel 1987 fu acquistata all'asta dalla Merloni Elettrodomestici fino ad allora principale concorrente della Indesit stessa. Nell'operazione il gruppo marchigiano investì ben 50 miliardi nell'acquisizione della società, e altri 100 miliardi ne furono previsti per la ristrutturazione e il risanamento. Indesit divenne il primo marchio dell'azienda, e furono mantenuti soltanto gli stabilimenti di None, Carinaro e Teverola;
   sotto la gestione Merloni, il marchio Indesit ritornò protagonista nel mercato degli elettrodomestici, tanto da permettergli, nel corso degli anni novanta, di divenire il secondo in Europa. Nel febbraio 2005 la Merloni Elettrodomestici viene rinominata Indesit Company. Oggi la Indesit Company usa i marchi: Ariston abbinato ad Hotpoint, assieme a Sholtes, e Indesit. Vi sono poi controllate e joint venture in Russia e Cina con marchi anche locali avendo effettuato nuove acquisizioni che hanno portato l'azienda ad essere tra i leader nei vari mercati;
   dalle agenzie di stampa e da alcuni articoli di giornale si apprende che il 4 giugno 2013, Indesit ha presentato a Roma ai sindacati un piano di salvaguardia e razionalizzazione per gli anni 2013/2016 dell'assetto del gruppo in Italia, con un forte impatto sia sull'occupazione che sulle produzioni oggi realizzate nei siti italiani. Per rispondere alla difficile situazione di mercato infatti il gruppo di Fabriano punterebbe ad accorpare gli attuali stabilimenti italiani in tre siti (Comunanza, Caserta e Fabriano) attraverso la chiusura di ulteriori due stabilimenti (Melano e Teverola) per concentrare nei tre poli italiani le produzioni top ad alto contenuto di innovazione e tecnologia, e a portare invece in Polonia e Turchia le produzioni italiane non più sostenibili;
   la riorganizzazione del gruppo, che attualmente impiega in Italia circa 4.300 addetti, coinvolge complessivamente oltre 1.400 persone tra dirigenti (25), impiegati delle sedi centrali (150) e operai e impiegati di fabbrica (1.250);
   i posti di lavoro a rischio sarebbero 230 nel sito di Comunanza (AP), 480 a Fabriano (AN) e 540 tra Teverola e Carinaro, entrambi in provincia di Caserta. In questo ultimo caso, secondo alcune stime dei sindacati i posti di lavoro che verrebbero a mancare, tra lavoratori Indesit e indotto sarebbero almeno un migliaio, che si aggiungerebbero ai già 400 posti di lavoro persi negli ultimi 4/5 anni;
   a detta della dirigenza del gruppo che fa capo alla famiglia Merloni una riorganizzazione sarebbe necessaria come risposta all'attuale scenario competitivo europeo, con un mercato ancora negativo rispetto ai volumi del 2007 (Europa Occidentale -10 per cento e Italia -25 per cento), e la pressione di nuovi competitor dai Paesi a miglior costo che con forte aggressività di prezzo e prodotto hanno portato al deterioramento di prezzi e margini e ad una sovraccapacità produttiva ormai strutturale;
   a parere degli interroganti il piano Indesit ha conseguenze gravissime sui livelli occupazionali, infatti i 1.425 esuberi dichiarati si aggiungono agli oltre 330 esuberi oggi ancora presenti in Indesit in conseguenza della riorganizzazione effettuata nel 2010 e nel 2012 e che ha interessato gli stabilimenti di Brembate Refrontolo e None. Inoltre, il piano della Indesit renderebbe ancora più drammatica la situazione in cui versa il settore elettrodomestico in Italia –:
   se non si ritenga necessario intervenire immediatamente coinvolgendo tutti i soggetti interessati e con il sostegno delle istituzioni locali, al fine di mettere in atto interventi di politica industriale atti a garantire in questo momento drammatico l'occupazione e a scongiurare il rischio della cancellazione del secondo settore produttivo per numero di addetti del nostro Paese, come quello elettrodomestico. (4-00777)


   CARUSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Retitalia Internazionale è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è interamente posseduto dall'ex Istituto nazionale per il commercio estero (ICE), attualmente Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, svolge compiti di analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'ICE, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, nonché di fornitura di assistenza qualificata al personale dell'ICE e alle piccole e medie imprese italiane;
   il carattere strategico delle funzioni e del coinvolgimento operativo della suddetta società sono stati ulteriormente confermati dall'assegnazione da parte del Ministero dello sviluppo economico nel giugno del 2011 del progetto del portale made in Italy, un sistema di commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale, e nell'aprile 2012 del progetto «International Trade Hub-Italia», un portale sponsorizzato dal «tavolo strategico nazionale per la trade facilitation» che consente alle imprese italiane di accedere ad un unico punto a tutti processi relativi all'internazionalizzazione;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 2 del regolamento di organizzazione e funzionamento dell'Ice-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, tra i princìpi in conformità dei quali sono da attuarsi i fini istituzionali dell'agenzia medesima vi è «accrescere la capacità di innovazione e la competitività dell'agenzia anche ai fine di favorire l'integrazione di sistema con gli altri soggetti preposti all'internazionalizzazione» e «ricorrere a tecnologie informatiche e telematiche avanzate al fine di una migliore integrazione dei processi di comunicazione, erogazione dei servizi coordinamento della rete, tutela della sicurezza e riservatezza dei dati»;
   risulta all'interrogante che sia stato predisposto un piano di risanamento volto «al riequilibrio dei fattori produttivi ed a un riposizionamento strategico sul mercato», procedendo però all'alienazione della società ai sensi dell'articolo 4 comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dal decreto-legge n. 135 del 2012;
   a tal riguardo appare opportuno evidenziare che l'articolo 4, comma 1, del citato provvedimento ha previsto, tra l'altro, «l'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato»;
   alla luce delle suddette evidenze normative l'Ice-Agenzia per la promozione, con delibera 036/13 del 22 gennaio 2013, ha inteso autorizzare l'attivazione di «tutte le procedure necessarie per esplicitare quanto richiesto dalla legge n. 135 del 2012 per l'alienazione della società Retitalia internazionale spa» ritenendo la procedura «maggiormente conveniente in termini di economicità, efficienza ed efficacia, in un contesto proiettato al libero mercato che assicura, comunque, la continuità dei servizi informativi a vantaggio dell'operatività dell'Ice-Agenzia» rispetto alle altre opzioni contemplate dall'articolo 4 del citato provvedimento;
   malgrado l'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 preveda che le disposizioni del comma non si applichino «alle società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica, (...) quelle che gestiscono banche dati strategiche per il conseguimento di obiettivi economico-finanziari, individuate, in relazione alle esigenze di tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati» l'Ice-Agenzia non ha ritenuto collocare Retitalia internazionale nella suddetta fattispecie malgrado la non trascurabile portata dei progetti ad essa affidati dal Ministero dello sviluppo economico negli ultimi due anni;
   a tal riguardo, nella citata delibera, il Presidente del Consiglio pro tempore Monti ha evidenziato che l'opzione di cui al comma 3 dell'articolo 4 della suindicata legge «si ritiene non percorribile poiché la società Retitalia internazionale spa risulta essere una società strumentale dell'ex-Ice con il compito di gestire e manutenere il sistema informativo dell'Istituto e curare la realizzazione dei software utilizzati dallo stesso per la propria operatività» a giudizio dell'interrogante ridimensionando in maniera vistosa le attività, le funzioni e la pregnanza operativa di quanto invece è rappresentato da Retitalia;
   alla luce di quanto indicato, appaiono non chiare all'interrogante le ragioni della mancata collocazione della società in house nella fattispecie di cui al comma 3 del citato articolo 4, anche in assenza di uno specifico parere da parte degli organi competenti e del Ministero dello sviluppo economico, cosa che rischia di configurare la decisione di avviare le procedure di alienazione come di dubbia legittimità o motivata da ragioni ultronee rispetto alla originaria mission della spending review;
   dalla costituzione dell'Agenzia per la promozione in sostituzione dell'Ice, ai sensi dell'articolo 22, comma 6, della legge n. 214 del 2011, stando a quanto riferito dai vertici della stessa società in house l'entità delle commesse affidate a Retitalia sarebbe stata di molto ridimensionata sollecitando una riformulazione del contratto in essere con l'ex Ice e una conseguente riduzione dei canoni e sviluppi pari a circa il 40 per cento rispetto alle condizioni precedentemente vigenti tanto da indurre l'azienda a fare ricorso dal 7 maggio 2012 alla cassa integrazione guadagni ordinaria, la cui scadenza era prevista per il 4 maggio 2013;
   in data 10 aprile 2013 la dirigenza di Retitalia internazionale spa ha evidenziato alla rappresentanza sindacale unitaria della medesima società, la necessità «di usufruire di un periodo di 12 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per il personale dipendente della sede aziendale»;
   in data 30 aprile 2013 si è svolto l'esame congiunto finalizzato al completamento della richiesta di cassa integrazione straordinaria avviata dalla società Retitalia internazionale spa nei confronti dei 67 lavoratori operativi presso l'unità produttiva di Roma, in occasione del quale non si è giunti ad alcuna comune intesa, ma che ha previsto la sospensione a zero ore dei lavoratori senza rotazione;
   risulta all'interrogante inoltre che alla luce del «particolare stato di crisi aziendale» la società non è tenuta nemmeno ad anticipare al personale il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria, con ovvie quanto deleterie conseguenze sulle garanzie economiche dei lavoratori;
   nello specifico appare importante segnalare a titolo esemplificativo che a partire dal prossimo mese di giugno 2013 9 lavoratori percepiranno 0 euro e circa 20 lavoratori dai 200 ai 450 euro mensili in virtù del suindicato mancato accordo tra aziende e sindacati;
   alla luce delle dinamiche riorganizzative suindicate, le professionalità e lo stesso patrimonio informatico, in gestione a Retitalia internazionale spa, rischiano di andare dispersi in conseguenza dell'alienazione;
   sarebbe auspicabile, al fine di salvaguardare gli investimenti fatti, capitalizzare le risorse e le conoscenze professionali disponibili e valutare ipotesi di integrazione di Retitalia internazionale spa nella struttura della pubblica amministrazione, intese come soluzioni più economiche e meno rischiose per l'integrità del patrimonio informativo messo a disposizione della ex Ice nel corso degli anni;
   appare ulteriormente opportuno segnalare che nella legge di stabilità 2013 è stato previsto un incremento delle risorse destinate al funzionamento dell'Ice-Agenzia pari a dieci milioni di euro per l'anno 2013;
   in data 13 dicembre 2012 nell'ambito della discussione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, è stato accolto alla Camera dei deputati l'ordine del giorno n. 9/5626/33 che impegnava il Governo a valutare compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'opportunità di procedere all'integrazione di tutto il personale a tempo indeterminato appartenente alla società Retitalia internazionale spa nei ruoli dell'Agenzia per l'Italia digitale previa procedura selettiva, finalizzata al collocamento del personale all'interno dell'Agenzia;
   il suindicato impegno veniva rinnovato al Governo in data 21 dicembre 2012 nell'ambito della discussione della legge di stabilità con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/5534-bis-B/36 nella cui premessa veniva evidenziato che alla luce degli incrementi previsti dalla legge di stabilità 2013 alle risorse dell'Ice-Agenzia «sarebbe ipotizzabile che parte di quelle risorse potesse essere utilizzata al fine di garantire il mantenimento di quel patrimonio di know-how ed expertise rappresentato dalla società Retitalia internazionale spa e messo al servizio della pubblica amministrazione»;
   si ritiene importante sottolineare che malgrado l'alienazione, Retitalia internazionale spa continuerà a fornire servizi informativi all'Ice-Agenzia attraverso un contratto quinquennale il cui valore massimo – ai sensi della succitata delibera – sarà pari a euro 15 milioni, che paradossalmente corrisponde al costo del mantenimento della società «in house» –:
   quale sia la posizione del Ministro interrogato circa il futuro di Retitalia internazionale spa;
   quali siano state le motivazioni che hanno condotto l'Ice-Agenzia ad autorizzare l'alienazione della società con le modalità e le procedure previste dalla spending review, e se a legittimazione di siffatta scelta sia stato prodotto un parere dal Ministero dello sviluppo economico;
   se si ritenga opportuno specificare le motivazioni che hanno impedito alla società in house di rientrare nella deroga di cui al comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012;
   quali iniziative si intendano intraprendere al fine di salvaguardare i 67 lavoratori della società in house, attraverso soluzioni alternative al procedimento di alienazione;
   se si intenda dar seguito a quanto indicato negli atti di indirizzo indicati in premessa, prevedendo l'eventuale integrazione del personale della società in house nelle strutture della pubblica amministrazione al fine di salvaguardare le conoscenze maturate, la tenuta dei progetti già avviati e garantire una opportuna continuità operativa segnatamente sul versante della integrazione ed interconnessione dei servizi e dei sistemi informativi con i sistemi esterni. (4-00783)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il processo di liberalizzazione nel settore delle public Utilities, avviato dalla Commissione europea agli inizi degli anni Novanta, si è concretizzato, per quanto riguarda il settore postale, con l'introduzione della direttiva 97/67/CE;
   tra i principali elementi della citata direttiva vi è l'obbligo a carico di ciascuno Stato membro di garantire il mantenimento di un servizio postale universale su tutto il proprio territorio (articoli 3 e 4);
   il decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, ha recepito la direttiva 97/67/CE, per lo sviluppo e il miglioramento del mercato interno dei servizi postali comunitari e della qualità del servizio, affidando alle Poste il servizio postale universale (articolo 23);
   il finanziamento avviene in parte attraverso trasferimenti posti a carico dello Stato, secondo quanto disposto dall'articolo 3 del decreto, come da ultimo modificato dall'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58;
   gli obblighi di servizio universale sono ribaditi, da ultimo, nel contratto di programma relativo al triennio 2009-2011;
   parallelamente, è avvenuta la trasformazione delle Poste da «Amministrazione dello Stato» a «ente pubblico economico», e successivamente a «società per azioni», che ha prodotto la graduale divisione tra il settore del servizio universale e quello degli altri servizi tradizionalmente erogati;
   negli ultimi anni, i piani industriali di Poste s.p.a. hanno privilegiato largamente i servizi a maggior valore aggiunto apparente, a scapito del servizio universale;
   infatti, i dati relativi ai servizi erogati nell'ambito del servizio universale rivelano una diminuzione di 30.000 unità nel settore impegnato nella lavorazione di pacchi e corrispondenza negli ultimi 12 anni, e di circa 14.000 negli ultimi anni;
   inoltre, il piano di riorganizzazione aziendale, presentato da Poste Italiane s.p.a. il 17 aprile 2012, ed inviato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, prevede la chiusura di 1.156 sportelli presenti sul territorio nazionale, la razionalizzazione di 638 uffici con una riduzione dei giorni e degli orari di apertura e la soppressione di 1.410 zone di recapito;
   tale piano, secondo le organizzazioni sindacali, come si apprende dalla stampa, ha determinato, nel 2012, l'ulteriore riduzione di 1.765 lavoratori nelle regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Basilicata, mentre nel 2013, con l'estensione del provvedimento a tutto il territorio nazionale, la riduzione potrebbe essere dell'ordine di 10-12.000 unità con la chiusura di circa 2.000 uffici postali e una riduzione del 50 per cento degli appalti;
   la riorganizzazione è stata decisa nonostante i risultati di bilancio 2011 siano positivi, 846 milioni di utili, migliorati nel 2012 raggiungendo i 1032 milioni di utile netto, che collocano il gruppo ai primi posti per redditività rispetto ai principali operatori internazionali;
   i tagli non garantiranno più il servizio universale nei termini di uniformità di servizio su tutto il territorio, tariffe contenute, soddisfacente qualità del recapito nei termini stabiliti dal contratto di programma;
   per contratto, infatti, la società è tenuta ad assicurare, sino all'anno 2016 (e con possibilità di proroga fino al 2026), per cinque giorni lavorativi a settimana, la fornitura su tutto il territorio nazionale delle prestazioni comprese nel servizio universale;
   le politiche di spending review poste in essere da Poste s.p.a. non rispettano gli obblighi del servizio universale e rispondono ad una logica strettamente economica, estranea all'operato di un'azienda che eroga un servizio pubblico;
   il recapito a giorni alterni considerato da Poste s.p.a., abolirà il servizio quotidiano per i comuni più piccoli, creando una difformità tra zone ad alto e basso indice di popolazione;
   negli ultimi anni, Poste s.p.a. ha incentivato l'esodo dei lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento;
   poste s.p.a. deve affrontare il problema dei lavoratori cosiddetti esodati, ovvero dipendenti che hanno accettato di lasciare il posto per essere accompagnati alla pensione, e che si trovano oggi in difficoltà a causa dell'innalzamento dell'età pensionabile introdotto dalla riforma pensionistica realizzata dal Governo Monti (articolo 24 del decreto-legge 201 del 2011, cosiddetta riforma Fornero) la quale, a decorrere dal 2012, ha sensibilmente incrementato i requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso al pensionamento;
   le problematiche connesse all'attuazione della riforma hanno indotto Governo e Parlamento a rivedere la platea dei soggetti ammessi al pensionamento secondo la normativa previgente, estendendola a più riprese;
   la circolare n. 76 dell'INPS riepiloga le disposizioni normative relative alle cosiddette prima seconda e terza operazione di salvaguardia: prima salvaguardia (cosiddetta salvaguardia 65.000), articolo 24, commi 14 e 15, della legge n. 214 del 2011; seconda salvaguardia (cosiddetta salvaguardia 55.000), articolo 22, comma 1, della legge n. 135 del 2012; Terza Salvaguardia (cosiddetta salvaguardia 10.130). articolo 1, commi 231 e successivi, della legge n. 228 del 2012;
   per effetto dei ripetuti interventi del legislatore, è stata garantita copertura previdenziale ad un totale di circa 140.000 lavoratori (fino al 2014);
   attualmente, tuttavia, la molteplicità dei casi possibili, la necessità di certificazioni da parte dell'INPS, e i tetti prefissati dagli interventi di salvaguardia, non consentono di ridurre il livello di attenzione per i lavoratori esposti;
   nello specifico, le aziende di fatto controllate dallo Stato, titolari di contratto di programma, i cui amministratori e manager vengono nominati dallo Stato, non hanno dato a giudizio dell'interrogante alcun segnale di condivisione e solidarietà sul problema;
   a detta dell'interrogante, il loro unico obiettivo strategico sembra essere quello di scaricare sulla fiscalità generale tutte le presunte inefficienze al fine di presentarsi al mercato al meglio. Propongono, infatti, piani industriali centrati sempre sul drastico abbattimento del personale, l'unico asset non gradito, ripartendo gli effetti negativi, da una parte sullo Stato, in termini di costo e dall'altro sui cittadini in termini di qualità del servizio;
   è significativo, come si apprende dalla stampa, l'atteggiamento di chiusura del presidente di Poste s.p.a., Giovanni Ialongo, per il quale il rientro in azienda dei lavoratori è impossibile, perché si tratta di personale uscito, che è stato incentivato con l'assunzione di un figlio o con un incentivo economico;
   le difficili condizioni dei lavoratori succitati potrebbero avere risvolti drammatici: proprio sul sito di Poste s.p.a. viene evidenziata la tragica sequela di suicidi che hanno coinvolto i postini francesi in seguito alla ristrutturazione molto pesante operata nel settore della distribuzione da parte dell'omologa azienda francese;
   come si legge sulla relazione al bilancio nel suo sito internet, Poste s.p.a. si è impegnata, per il 2013, a trasformare il rapporto di lavoro, da tempo parziale a tempo pieno, di un numero di risorse paria 400 nel 2013 e a 300 nel 2014;
   nonostante l'effetto combinato dello sviluppo delle nuove tecnologie informatiche e della crisi economica sia potenzialmente drammatico per il settore, il gruppo, nel suo complesso, realizza ricavi per oltre 24 miliardi di euro con utile netto per oltre 1 miliardo con più di 144.000 dipendenti. I dipendenti potenzialmente esposti rappresenterebbero meno dell'1 per cento della forza lavoro;
   il gruppo ha previsto a bilancio accantonamenti cospicui a fronte di rischi per contenzioso in atto con l'Agenzia delle entrate e fondi per vertenze con il personale a vario titolo (inizialmente oltre 45.000);
   il gruppo Telecom, con una dichiarazione congiunta con le rappresentanze sindacali, si è detto disponibile al reintegro dei lavoratori esodati, eventualmente esclusi, fino al raggiungimento dei requisiti pensionistici;
   in attesa di soluzioni certe e definitive da parte del legislatore, Poste s.p.a., a detta dell'interrogante, dovrebbe farsi carico dei propri lavoratori con senso di responsabilità e di appartenenza –:
   se non ritenga opportuno richiamare il management di Poste s.p.a. ad una politica più rispettosa delle potenzialità delle proprie risorse umane, innovando i processi e migliorando i servizi, senza ricorrere alla ricetta elementare della riduzione del numero degli occupati per effetto dello sviluppo tecnologico, posto che un'azienda socialmente sostenibile è in grado di utilizzare e valorizzare lo sviluppo tecnologico per liberare risorse preziose da utilizzare diversamente per altri prodotti e/o servizi esistenti o da creare;
   se non ritenga opportuno di assumere iniziative per una revisione dell'attuale piano industriale, che presenti le alternative praticabili in termini di livelli occupazionali, con le relative conseguenze economiche;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché Poste si faccia carico del problema dei lavoratori esodati istituendo, all'interno di Poste Italiane s.p.a., un fondo di solidarietà a cui attingere per il versamento degli importi pattuiti con i lavoratori, anticipandoli, se del caso, per assicurare la fluidità dei pagamenti necessaria per la vita quotidiana, in attesa della definizione INPS;
   se non ritenga di assumere iniziative affinché Poste s.p.a. modifichi il meccanismo della premialità manageriale, introducendo un obiettivo specifico per la conservazione e la riallocazione del personale esistente e dedicando parte dei premi a sostegno degli esodati. (4-00787)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  Mozione Ascani, Calabria, Tinagli, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider ed altri n. 1-00070, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta del 5 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Rostellato, Rizzetto, Baldassarre, Ciprini, Pinna, e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato «Ascani, Calabria, Rostellato, Tinagli, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider, Speranza, Bonomo, Boschi, Bosco, Braga, Capozzolo, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Crimì, Culotta, Marco Di Maio, Donati, Fanucci, Fedriga, Gadda, Gregori, Gribaudo, Laforgia, Lattuca, Lotti, Madia, Moretto, Moscatt, Narduolo, Paris, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rampi, Scopelliti, Tentori, Ventricelli, Zardini, Manzi, Damiano, Rizzetto, Baldassarre, Ciprini, Pinna, Giammanco».

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00017, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

  La mozione Gregori e altri n. 1-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Quartapelle Procopio.

  La mozione Luigi Gallo e altri n. 1-00035, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rigoni.

  La mozione Migliori e altri n. 1-00045, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rigoni.

  La mozione Bobba e altri n. 1-00058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Coccia, Moretti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Sorial e altri n. 4-00705, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Basilio.

  L'interrogazione a risposta scritta Sorial e Alberti n. 4-00709, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Basilio, Cominardi.

  L'interrogazione a risposta in commissione Garavini n. 5-00235, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fiano.

  L'interrogazione a risposta in commissione Cenni e altri n. 5-00270, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valiante.

  L'interrogazione a risposta in commissione Picierno e altri n. 5-00274, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Morani.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Migliore n. 1-00045, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 19 del 20 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, in ambito medico-sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo: all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978; alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993; alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario in relazione all'interruzione volontaria di gravidanza riveste particolare importanza, per le sue ricadute socio-sanitarie sulle donne e sulla stessa funzionalità del servizio sanitario nazionale;
    l'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, riporta – tra l'altro – i dati definitivi sull'obiezione di coscienza esercitata da ginecologi, anestesisti e personale non medico nel 2010. I dati che emergono sono molto eloquenti e impongono ancora una volta, e con forza, una seria riflessione sulla garanzia e la qualità del servizio per l'interruzione della gravidanza disciplinata dalla legge n. 194 del 1978;
    la relazione dice che in Italia ben il 69,3 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza. In pratica, quasi sette medici ginecologi su dieci è obiettore. Se si analizzano i dati su base territoriale, si trova che, ad eccezione della Valle d'Aosta, dove i ginecologi obiettori sono solamente il 16,7 per cento, le percentuali regionali non scendono mai al di sotto del 51,5 per cento. I dati medi aggregati per Nord, Centro, Sud e Isole indicano percentuali di ginecologi obiettori di coscienza pari rispettivamente al 65,4 per cento, al 68,7 per cento, al 76,9 per cento e al 71,3 per cento. Il maggior numero di ginecologi obiettori si trova al Sud, con la punta più alta in Molise, dove si raggiunge l'85 per cento;
    i dati della relazione al Parlamento in realtà non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio nazionale, che risulta ben più grave di quella riferita dal Ministro pro tempore;
    si ricordano, in tal senso, i dati resi noti da Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della legge 194) il 14 giugno 2012 e risultanti da un attento monitoraggio dello stato di attuazione della legge nella regione Lazio, dai quali emerge una situazione reale ben più grave di quanto riportato nella relazione del Ministro pro tempore: nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi che invocano una obiezione «di struttura» e le cliniche accreditate, la maggior parte delle quali ignora semplicemente il problema) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Nella medesima regione ha posto obiezione di coscienza il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri. In 3 province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici, il che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi centri della capitale, sempre più congestionati, o in altre regioni, o all'estero;
    molte strutture ospedaliere, per garantire l'applicazione della legge, ricorrono a specialisti esterni convenzionati con il sistema sanitario ed assunti esclusivamente per le interruzioni di gravidanza (medici Sumai), o a medici «a gettone», con un significativo aggravio per il sistema sanitario nazionale;
    a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e, quindi, del sistema sanitario nazionale, sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza;
    la drammaticità dello stato di applicazione della legge comporta l'allungamento dei tempi di attesa, con maggiori rischi per la salute delle donne e maggiori rischi professionali per i pochi non obiettori, costretti loro malgrado ad una cattiva pratica clinica;
    a fronte di questo stato «di emergenza» le donne devono spesso migrare da una regione all'altra o addirittura all'estero e, sopratutto tra le immigrate, risulta necessario il ricorso all'aborto clandestino;
    il diritto all'obiezione di coscienza in materia di aborto per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie è sancito dall'articolo 9 della suddetta legge n. 194 del 1978, che, allo stesso tempo, prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano «tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la legge n. 194 del 1978 prevede, quindi, scelte individuali e responsabilità pubbliche. L'obiezione di coscienza è, infatti, un diritto della persona, ma non della struttura;
    al personale sanitario viene garantito di poter sollevare l'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo, non è un diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha, anzi, l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
    i dati sopra indicati sulle percentuali molto elevate di obiettori comportano, oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza e, quindi, sulle donne che rivendicano l'inviolabile libera scelta a farne ricorso, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più pochi medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio più che concreto di una dequalificazione professionale e di conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
    il diritto della donna ad interrompere una gravidanza indesiderata e quello del personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza dovrebbero poter convivere, affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà. Di fatto, tale ipotesi trova estrema difficoltà nel realizzarsi per i numeri esorbitanti dei medici obiettori, che spesso si rifiutano anche di segnalare alle pazienti un medico non obiettore o un'altra struttura sanitaria autorizzata all'interruzione volontaria di gravidanza;
    dal 2009 l'Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato l'immissione in commercio del mifepristone, o Ru486, per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978; tale articolo prevede che l'interruzione volontaria di gravidanza possa essere praticata in ospedali pubblici generali e specializzati e «case di cura autorizzate e presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati». L'articolo 8 non precisa il regime in cui deve essere praticata l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica (ricovero ordinario, day hospital, prestazione ambulatoriale). Il Ministro della salute pro tempore, in data 24 febbraio 2010, ha chiesto in proposito il parere del Consiglio superiore di sanità; il Consiglio superiore di sanità, nella seduta del 18 marzo 2010, ha individuato il ricovero ordinario come il regime più idoneo per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica;
    i dati riportati dalla letteratura internazionale, nonché i dati della regione Emilia-Romagna che ha adottato il regime di day hospital, non confermano la scelta e le raccomandazioni del Consiglio superiore di sanità; gli stessi dati del Ministero della salute sull'interruzione volontaria di gravidanza medica dicono che dal 2005 al 2011 circa 15 mila donne hanno scelto il metodo farmacologico e che il 76 per cento delle pazienti ha scelto la dimissione volontaria dopo la somministrazione del mifepristone, senza che vi siano state complicazioni maggiori rispetto alle donne che sono state ricoverate fino all'espulsione;
    risulta improrogabile la necessità di valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile. Come conferma anche l'ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, «nel tempo i consultori familiari non sono stati, nella maggior parte dei casi, potenziati né adeguatamente valorizzati. In diversi casi l'interesse intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenza il mancato adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi»,

impegna il Governo:

   a garantire il rispetto e la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel pieno riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza;
   ad attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento, da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
   a garantire il pieno rispetto della legge da parte di ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio), posto che solo a fronte di questo impegno può essere concesso l'accreditamento;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia offerta come opzione a tutte le donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica possa essere praticata in regime di day hospital, che non comporta, come evidenziato dalla letteratura scientifica internazionale e dalla stessa relazione del Ministero della salute pro tempore, maggiori rischi per la salute e che costa meno, considerato che l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica viene da tempo praticata in regime ambulatoriale o di day hospital negli altri Paesi europei e nella stessa regione Emilia-Romagna;
   a farsi promotore nei confronti delle regioni, e attivando a tal fine le opportune forme di monitoraggio, affinché:
    a) la gestione organizzativa e del personale delle strutture ospedaliere sia realizzata in modo da evitare che vi siano presidi con oltre il 30 per cento di obiettori di coscienza, anche attraverso un controllo più stringente sull'attuazione delle previste procedure di mobilità del personale sanitario;
    b) il requisito della non obiezione sia introdotto per chi deve essere assunto o trasferito in presidi, fissando la percentuale di personale sanitario non obiettore, al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978;
   ad assumere opportune iniziative anche legislative, di propria competenza, finalizzate a prevedere che il requisito della non obiezione sia condizione all'espletamento delle funzioni apicali nelle strutture di ostetricia e ginecologia dei presidi ospedalieri;
   ad assumere iniziative volte a prevedere – anche ai fini di una maggiore trasparenza nel rapporto tra cittadini e medici di base – che i medici di famiglia siano tenuti a comunicare agli ordini provinciali dei medici chirurghi e odontoiatri ai quali sono iscritti, se intendono esercitare il loro diritto all'obiezione di coscienza, facendo sì che da dette comunicazioni i suddetti ordini ricavino un apposito elenco pubblico;
   ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori familiari, quale servizio fondamentale nell'attivare la rete di sostegno per la sessualità e la procreazione responsabile, nonché strutture essenziali per l'attivazione del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza;
   a confermare e diffondere la conoscenza dei diritti in tema di contraccezione di emergenza, anche tramite adeguate azioni informative sull'esclusione del diritto all'obiezione di coscienza per i farmacisti.
(1-00045)
(Nuova formulazione) «Migliore, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lenzi ed altri n. 1-00074, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 31 dell'11 giugno 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    come si rileva dalle relazioni annuali sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, quest'ultima, nei suoi ormai trentacinque anni di attuazione, ha dato buoni risultati e il nostro Paese ha visto una progressiva riduzione del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2011 sono state effettuate 109.538 interruzioni volontarie di gravidanza con un decremento del 5,6 per cento rispetto al 2010 e un decremento del 53,3 per cento rispetto al 1982, mentre il tasso di abortività per donna è calato all'8,3 per mille donne in età feconda dal 16,9 per mille del 1983;
    l'applicazione della legge ha trovato però recentemente un ostacolo nel sempre maggior ricorso all'obiezione di coscienza del personale sanitario. Infatti, dall'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, si evince che: «a livello nazionale, per i ginecologi, si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento del 2009 e al 69,3 per cento nel 2010; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 50,8 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,7 per cento nel 2010. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,7 per cento in Molise; 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 81,3 per cento a Bolzano e 80,6 per cento in Sicilia. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 75 per cento in Molise e Campania e 78,1 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e in Valle d'Aosta (26,3 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 86,9 per cento in Sicilia e 79,4 per cento in Calabria»;
    tre regioni (Campania, Molise e Basilicata) hanno segnalato la riduzione dei servizi effettivi relativi all'interruzione volontaria di gravidanza;
    una tale situazione porta a ritenere che il clima lavorativo non sia favorevole al medico non obiettore e che, sui pochi che non obiettano, gravino carichi pesanti di lavoro tali da favorire una sempre maggior tendenza all'obiezione, fino alla definitiva chiusura del servizio con la grave conseguenza che le donne si devono rivolgere a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali e all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute. Queste sono le situazioni che la legge n. 194 del 1978 si proponeva di combattere;
    vale la pena ricordare che l'obiezione di coscienza è prevista all'articolo 9 della legge n. 194 del 1978: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione»; al terzo comma si precisa che: «l'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento»;
    lo stesso articolo stabilisce, però, al quarto comma che: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la stessa legge n. 194 del 1978, quindi, distingue tra diritto del singolo all'obiezione e diritto della donna alla libera scelta in materia di procreazione, e tra diritto del singolo ad obiettare ad una legge dello Stato e obbligo per lo Stato di dare attuazione al servizio previsto;
    sul tema dell'obiezione di coscienza, istituto che risale nella sua prima applicazione al diritto ad obiettare al servizio militare, si è recentemente espresso il Comitato nazionale di bioetica. Il Comitato nel suo parere del 30 luglio 2012 così conclude:
   a) l'obiezione di coscienza in bioetica è costituzionalmente fondata (con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo) e va esercitata in modo sostenibile; essa costituisce un diritto della persona e un'istituzione democratica necessaria a tenere vivo il senso della problematicità riguardo ai limiti della tutela dei diritti inviolabili; quando l'obiezione di coscienza inerisce a un'attività professionale, concorre ad impedire una definizione autoritaria ex lege delle finalità proprie della stessa attività professionale;
   b) la tutela dell'obiezione di coscienza, per la sua stessa sostenibilità nell'ordinamento giuridico, non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge, né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale;
    su queste basi il Comitato nazionale di bioetica propone le seguenti raccomandazioni:
    a) nel riconoscere la tutela dell'obiezione di coscienza nelle ipotesi in cui viene in considerazione in bioetica, la legge deve prevedere misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi, eventualmente individuando un responsabile degli stessi;
    b) l'obiezione di coscienza in bioetica deve essere disciplinata in modo tale da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e, quindi, non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti;
    c) a tal fine, si raccomanda la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori. Controlli di norma a posteriori dovrebbero inoltre accertare che l'obiettore non svolga attività incompatibili con quella a cui ha fatto obiezione;
    una compiuta applicazione della legge deve tener conto di fenomeni nuovi rilevanti, quali la presenza delle donne immigrate da altri Paesi: ad oggi, il 34,2 per cento delle donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza sono immigrate;
    le donne immigrate tendono a ricorrere più facilmente all'aborto clandestino per la minor conoscenze dei loro diritti. Si pensi, ad esempio, all'importanza di un'adeguata informazione sulla possibilità di non riconoscere il bambino alla nascita o a quanto incide sulle scelte il timore di accedere a una struttura pubblica quando non si ha un regolare permesso di soggiorno;
    la relazione annuale sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 ha messo in luce come sia importante sviluppare un'adeguata campagna di prevenzione nei confronti di questa utenza e come essa debba basarsi sullo sviluppo e l'adeguamento ai nuovi bisogni della rete consultoriale, servizi a bassa soglia di accesso a cui già ora le donne immigrate tendono a rivolgersi in misura prevalente (il 53 per cento delle donne immigrate che hanno praticato l'interruzione volontaria di gravidanza si sono rivolte a un consultorio);
    dal 2005, prima in fase sperimentale realizzata all'ospedale Sant'Anna di Torino, poi con l'importazione diretta adottata in sei regioni (tra cui Toscana, Emilia Romagna, Puglia, Marche e Provincia autonoma di Trento) ed infine nel 2009, con l'autorizzazione in commercio da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, vi è la possibilità di somministrare il mifepristone o Ru486 per l'interruzione volontaria della gravidanza in regime di ricovero ordinario;
    secondo la nota «Interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine. Anni 2010-2011» del Ministero della salute, pubblicata il 28 febbraio 2013, si è passati dai 132 casi del 2005 (solo Toscana e Piemonte utilizzavano tale metodo) ai 7432 casi del 2011;
    tale incremento non è però omogeneo su tutto il territorio nazionale, basti pensare che nel 2011 nella regione Marche tale farmaco non è mai stato usato, mentre in Emilia Romagna ci sono stati 1717 casi, in Piemonte 1273 e nel Lazio solo 352,

impegna il Governo:

    a dare piena attuazione alla legge n. 194 del 1978 nel rispetto del diritto del singolo all'obiezione di coscienza;
    a predisporre, nei limiti delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione;
    a promuovere un'equa diffusione della presenza sul territorio nazionale dei consultori familiari quale struttura socio-sanitaria in grado di aiutare la donna nella sua difficile scelta e strumento essenziale per le politiche di prevenzione e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole, tenendo conto della necessità di rivolgersi anche alle donne immigrate da altri Paesi;
    ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere quale percorso intraprendere;
    a promuovere, d'intesa con le autorità scolastiche, attività di informazione ed educazione alla salute nelle scuole, con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela della salute sessuale e riproduttiva anche in collaborazione con la rete dei consultori;
    a presentare al più presto la relazione annuale al Parlamento così come prevista dalla legge n. 194 del 1978.
(1-00074)
(Nuova formulazione) «Lenzi, Speranza, Bellanova, Sbrollini, Argentin, Beni, Carnevali, D'Incecco, Marzano, Miotto, Murer, Iori, Scuvera, Giuliani, Roberta Agostini, Martella».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lorefice ed altri n. 1-00078, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 31 dell'11 giugno 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il 7 ottobre 2010 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha approvato la risoluzione n. 1763 in materia di obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche;
    nella citata risoluzione si indicava, oltre alla necessità di garantire l'obiezione di coscienza per l'operatore sanitario:
   a) la necessità di garantire che le donne possano accedere ai servizi con tempestività;
   b) la preoccupazione che l'obiezione di coscienza potesse danneggiare le donne meno abbienti;
   c) la necessità di contemperare sia la garanzia dell'accesso alle cure mediche e la tutela della salute delle donne che la garanzia di libertà di coscienza degli operatori sanitari;
    appare di tutta evidenza che, pur nel diritto di obiezione di coscienza, si debba assicurare che le pazienti siano informate per tempo di eventuali obiezioni, in modo da poter essere indirizzate a un altro operatore sanitario che non abbia fatto la scelta di obiezione di coscienza;
    vanno, altresì, garantiti alle pazienti i trattamenti appropriati, in particolare nei casi di emergenza ma anche nelle fasi pre e post intervento di interruzione della gravidanza;
    in Italia in ambito medico-sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge e i settori in cui trova applicazione vanno dall'interruzione della gravidanza che è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, alla sperimentazione animale, prevista dalla legge n. 413 del 1993, fino alla procreazione medicalmente assistita, come prevista dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    relativamente all'interruzione volontaria di gravidanza il Ministero della salute afferma che l'obiezione di coscienza è esercitata in Italia da oltre il 70 per cento dei ginecologi nel servizio pubblico, mentre sono obiettori di coscienza oltre il 50 per cento degli anestesisti e oltre il 44,4 per cento per il personale non medico;
    è nelle regioni meridionali che si registra il dato più alto relativo agli obiettori di coscienza, solo tra i ginecologi risultano essere obiettori almeno 8 obiettori su 10;
    è di tutta evidenza che con un numero così elevato di ginecologi e operatori sanitari obiettori di coscienza appare problematica l'applicazione della legge n. 194 del 1978, con ricadute pesanti sulle donne che sono costrette alla ricerca di non obiettori o addirittura alla migrazione in altre regioni;
    sono stati oggetto di ricorsi al giudice anche casi nei quali l'obiezione di coscienza si è spinta fino al negare l'assistenza nelle fasi pre e post interruzione di gravidanza;
    casi sui quali è intervenuta la Corte di cassazione con la sentenza n. 14979 del 2 aprile 2013, che ha confermato la condanna ad un anno di carcere per omissione in atti d'ufficio con interdizione dell'esercizio della professione medica nei confronti di una dottoressa di un presidio ospedaliero che si era rifiutata di visitare una donna che, a seguito di interruzione volontaria di gravidanza, correva il rischio di un'emorragia, nonostante le richieste dell'ostetrica e dell'ordine di servizio avuto dal primario;
    il terzo comma 3 dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 esclude dall'obiezione l'assistenza antecedente e conseguente all'interruzione volontaria di gravidanza;
    si assiste anche a casi nei quali l'obiezione di coscienza da singola si trasforma in obiezione di coscienza della struttura, quando una struttura ha al suo interno personale esclusivamente obiettore; questo crea ulteriori difficoltà, in una situazione già difficile di per sé, alla donna nel suo diritto all'interruzione di gravidanza; si tratta di un'obiezione di struttura inaccettabile, in particolare in strutture che sono convenzionate con il sistema sanitario nazionale; in tali casi sarebbe opportuno intervenire sulle strutture «obiettrici» al fine di chiedere che sia presente anche personale non obiettore e, se persiste la situazione, occorrerebbe escludere tale struttura da qualsiasi convenzione pubblica;
    l'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza; va, quindi, ulteriormente affermato che l'obiezione di coscienza è un diritto della persona ma non della struttura;
    appare necessario procedere all'istituzione di un registro nazionale degli obiettori di coscienza e prevedere contestualmente che sul tesserino dell'ordine dei medici sia apposta la dicitura «obiettore di coscienza»;
    la crescita in questi anni del numero degli obiettori ha determinato la chiusura dei servizi, con ospedali privi di reparti di interruzione di gravidanza, perché praticamente la totalità di ginecologi, anestesisti e paramedici ha scelto l'obiezione di coscienza,

impegna il Governo:

   a garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, e in particolare quanto previsto dall'articolo 9, nonché la sua piena applicazione, a tutela dei diritti e della salute delle donne;
   ad assumere iniziative con le amministrazioni regionali allo scopo di istituire tavoli di monitoraggio a livello locale, anche con la partecipazione di rappresentanti di associazioni per la tutela della salute delle donne, per verificare l'attuazione della legge n. 194 del 1978, allo scopo di avere dati periodici e certi, in particolare sul numero dei consultori sul territorio, nelle loro attività, sulla formazione degli operatori presenti nei consultori, nelle strutture ospedaliere che effettuano interruzione volontaria di gravidanza, sul numero di operatori coinvolti nell'interruzione volontaria di gravidanza per ogni struttura ospedaliera, sul numero delle strutture nelle quali non si effettuano attività di interruzione volontaria di gravidanza.
(1-00078)
(Nuova formulazione) «Lorefice, Baroni, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Silvia Giordano, Grillo, Mantero, Manlio Di Stefano, Fantinati, Castelli, Colonnese, Busto, Artini, Villarosa».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-00764, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 30 del 6 giugno 2013.

   PARENTELA, NESCI, DIENI e BARBANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la sanità calabrese è gestita per l'attuazione del piano di rientro da un commissario ad acta, nella persona del governatore regionale Giuseppe Scopelliti, affiancato dai due sub commissari nominati dal Governo e dai tecnici dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. La struttura ha predisposto nell'ottobre 2010 il riassetto della rete ospedaliera che prevede, per tutta la regione, due reparti di cardiochirurgia;
   nel capoluogo della regione, Catanzaro, esiste già – nel policlinico universitario di Germaneto – un reparto di cardiochirurgia di riconosciuta efficienza, strategico per collocazione geografica in ambito regionale e oltre;
   nel decreto n. 18 del 2010, preso atto che in Calabria esistono solo due presidi (di cui uno privato) di cardiochirurgia, entrambi a Catanzaro, è scritto dell'opportunità di dislocare in altra sede una delle due strutture, a Cosenza o a Reggio Calabria in relazione, tra l'altro, al potenziale bacino di utenza;
   nel predetto decreto la Calabria è divisa in tre aree: nord (Cosenza) con popolazione pari a 733.508 abitanti, centro (Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia) con 708.694 abitanti e sud (Reggio Calabria), corrispondente a 566.507 abitanti;
   con il decreto n. 110 del 5 luglio 2012, il governatore regionale Giuseppe Scopelliti approvò – in veste di commissario per l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario – uno schema per un'intesa fra la regione Calabria e l'università degli Studi «Magna Graecia» di Catanzaro, sulla base del quale all'azienda ospedaliera universitaria «Mater Domini» spettavano 225 posti ordinari e 25 in day hospital, all'azienda ospedaliera «Pugliese-Ciaccio» 20 posti di ostetricia-ginecologia e chirurgia toracica e all'azienda ospedaliera BMM di Reggio Calabria 20 posti di cardiochirurgia e neurologia;
   a opinione degli interroganti il governatore Scopelliti, commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, con proluvie di notizie, decreti e interventi ambigui, non ha garantito la conoscenza del reale status della cardiochirurgia catanzarese e del suo futuro, pure impedendo la creazione di cardiochirurgia a Cosenza;
   gli interroganti evidenziano che, nonostante il governatore regionale Giuseppe Scopelliti si sia profuso in rassicurazioni sul futuro della cardiochirurgia catanzarese e della Fondazione Campanella, alla data odierna non risulta siglato il ricordato protocollo di intesa tra università di Catanzaro e regione Calabria;
   il direttore dell'unità operativa di cardiochirurgia Attilio Renzulli, con atto del 5 febbraio 2013, in seguito a gravi infezioni a pazienti della cardiochirurgia pubblica, ha chiesto ai vertici dell'azienda Mater Domini e della Regione Calabria, nonché al rettore dell'università Magna Graecia, l'attivazione di tutti gli interventi – tra cui l'uso esclusivo della terapia intensiva – diretti a tutelare e a garantire la salute dei pazienti, con riserva, in mancanza, di esposto al Ministero della salute e alla procura della Repubblica al fine di verificare l'idoneità igienico-sanitaria dei locali del reparto;
   dopo la riferita richiesta, il direttore dell'unità operativa della cardiochirurgia è stato prima sospeso – da parte dell'azienda ospedaliera universitaria Mater Domini (che ricomprende l'università Magna Graecia) – dall'attività medico/assistenziale, e di seguito, da parte dell'università Magna Graecia e dall'azienda Mater Domini, rimosso dalla carica di direttore dell'U.O. cardiochirurgia e sostituito con altro direttore;
   per realizzare il «centro del cuore» di Reggio Calabria sono stati finora spesi oltre 20 milioni di euro e il reparto di cardiochirurgia è rimasto chiuso, con macchinari inutilizzati e relativi, intuibili sprechi;
   la Calabria continua ad avere un debito sanitario che ha indotto il Ministero dell'economia e delle finanze a sanzionare regione con l'aumento dell'addizionale regionale Irpef dello 0,30 per cento dell'aliquota fiscale Irap dello 0,15 per cento per tutto l'anno in corso e con il blocco delle assunzioni fino al 31 dicembre 2013 –:
   se non si ritenga, in virtù della divisione in macroaree di cui all'indicato decreto n. 18 del 2010, che debba essere istituito a Cosenza un reparto di cardiochirurgia, mantenendo l'omologo reparto pubblico a Catanzaro;
   se, anche per il tramite del Commissario ad acta per il rientro dei disavanzi sanitari, non ritengano opportuno adoperarsi perché vengano rendicontate, in maniera chiara e documentata, le spese sostenute per creare il reparto di cardiochirurgia di Reggio Calabria, ad oggi inattivo;
   nella situazione – anche giuridicamente – straordinaria della sanità in Calabria, quali iniziative di competenza intendano adottare perché sia preservata e migliorata l'efficienza della cardiochirurgia pubblica di Catanzaro, pure per la riduzione dell'emigrazione sanitaria, causa di deficit e mancati investimenti della regione a garanzia del diritto alla salute;
   se intenda valutare, alla luce della insoddisfacente gestione della sanità calabrese da parte del commissario presidente Scopelliti, se procedere alla nomina di uno o più sub commissari al fine di affrontare in maniera adeguata le problematiche rappresentate in premessa. (4-00764)

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo ulteriormente riformulato della mozione Migliore n. 1-00045, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 19 del 20 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, in ambito medico-sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo: all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978; alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993; alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario in relazione all'interruzione volontaria di gravidanza riveste particolare importanza, per le sue ricadute socio-sanitarie sulle donne e sulla stessa funzionalità del servizio sanitario nazionale;
    l'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, riporta – tra l'altro – i dati definitivi sull'obiezione di coscienza esercitata da ginecologi, anestesisti e personale non medico nel 2010. I dati che emergono sono molto eloquenti e impongono ancora una volta, e con forza, una seria riflessione sulla garanzia e la qualità del servizio per l'interruzione della gravidanza disciplinata dalla legge n. 194 del 1978;
    la relazione dice che in Italia ben il 69,3 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza. In pratica, quasi sette medici ginecologi su dieci è obiettore. Se si analizzano i dati su base territoriale, si trova che, ad eccezione della Valle d'Aosta, dove i ginecologi obiettori sono solamente il 16,7 per cento, le percentuali regionali non scendono mai al di sotto del 51,5 per cento. I dati medi aggregati per Nord, Centro, Sud e Isole indicano percentuali di ginecologi obiettori di coscienza pari rispettivamente al 65,4 per cento, al 68,7 per cento, al 76,9 per cento e al 71,3 per cento. Il maggior numero di ginecologi obiettori si trova al Sud, con la punta più alta in Molise, dove si raggiunge l'85 per cento;
    i dati della relazione al Parlamento in realtà non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio nazionale, che risulta ben più grave di quella riferita dal Ministro pro tempore;
    si ricordano, in tal senso, i dati resi noti da Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della legge 194) il 14 giugno 2012 e risultanti da un attento monitoraggio dello stato di attuazione della legge nella regione Lazio, dai quali emerge una situazione reale ben più grave di quanto riportato nella relazione del Ministro pro tempore: nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi che invocano una obiezione «di struttura» e le cliniche accreditate, la maggior parte delle quali ignora semplicemente il problema) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Nella medesima regione ha posto obiezione di coscienza il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri. In 3 province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici, il che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi centri della capitale, sempre più congestionati, o in altre regioni, o all'estero;
    molte strutture ospedaliere, per garantire l'applicazione della legge, ricorrono a specialisti esterni convenzionati con il sistema sanitario ed assunti esclusivamente per le interruzioni di gravidanza (medici Sumai), o a medici «a gettone», con un significativo aggravio per il sistema sanitario nazionale;
    a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e, quindi, del sistema sanitario nazionale, sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza;
    la drammaticità dello stato di applicazione della legge comporta l'allungamento dei tempi di attesa, con maggiori rischi per la salute delle donne e maggiori rischi professionali per i pochi non obiettori, costretti loro malgrado ad una cattiva pratica clinica;
    a fronte di questo stato «di emergenza» le donne devono spesso migrare da una regione all'altra o addirittura all'estero e, sopratutto tra le immigrate, risulta necessario il ricorso all'aborto clandestino;
    il diritto all'obiezione di coscienza in materia di aborto per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie è sancito dall'articolo 9 della suddetta legge n. 194 del 1978, che, allo stesso tempo, prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano «tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la legge n. 194 del 1978 prevede, quindi, scelte individuali e responsabilità pubbliche. L'obiezione di coscienza è, infatti, un diritto della persona, ma non della struttura;
    al personale sanitario viene garantito di poter sollevare l'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo, non è un diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha, anzi, l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
    i dati sopra indicati sulle percentuali molto elevate di obiettori comportano, oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza e, quindi, sulle donne che rivendicano l'inviolabile libera scelta a farne ricorso, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più pochi medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio più che concreto di una dequalificazione professionale e di conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
    il diritto della donna ad interrompere una gravidanza indesiderata e quello del personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza dovrebbero poter convivere, affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà. Di fatto, tale ipotesi trova estrema difficoltà nel realizzarsi per i numeri esorbitanti dei medici obiettori, che spesso si rifiutano anche di segnalare alle pazienti un medico non obiettore o un'altra struttura sanitaria autorizzata all'interruzione volontaria di gravidanza;
    dal 2009 l'Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato l'immissione in commercio del mifepristone, o Ru486, per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978; tale articolo prevede che l'interruzione volontaria di gravidanza possa essere praticata in ospedali pubblici generali e specializzati e «case di cura autorizzate e presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati». L'articolo 8 non precisa il regime in cui deve essere praticata l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica (ricovero ordinario, day hospital, prestazione ambulatoriale). Il Ministro della salute pro tempore, in data 24 febbraio 2010, ha chiesto in proposito il parere del Consiglio superiore di sanità; il Consiglio superiore di sanità, nella seduta del 18 marzo 2010, ha individuato il ricovero ordinario come il regime più idoneo per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica;
    i dati riportati dalla letteratura internazionale, nonché i dati della regione Emilia-Romagna che ha adottato il regime di day hospital, non confermano la scelta e le raccomandazioni del Consiglio superiore di sanità; gli stessi dati del Ministero della salute sull'interruzione volontaria di gravidanza medica dicono che dal 2005 al 2011 circa 15 mila donne hanno scelto il metodo farmacologico e che il 76 per cento delle pazienti ha scelto la dimissione volontaria dopo la somministrazione del mifepristone, senza che vi siano state complicazioni maggiori rispetto alle donne che sono state ricoverate fino all'espulsione;
    risulta improrogabile la necessità di valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile. Come conferma anche l'ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, «nel tempo i consultori familiari non sono stati, nella maggior parte dei casi, potenziati né adeguatamente valorizzati. In diversi casi l'interesse intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenza il mancato adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi»,

impegna il Governo:

   a garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel pieno riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze;
   ad attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento, da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
   a garantire il pieno rispetto della legge da parte di ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio), posto che solo a fronte di questo impegno può essere concesso l'accreditamento;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia garantita come opzione a tutte le donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere;
   a promuovere il monitoraggio specifico regionale dell'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, anche praticata in day hospital, al fine di verificare la piena applicazione della legge, nonché ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere quale percorso intraprendere, fornendo alle medesime la piena conoscenza delle modalità e dei risultati emersi;
   ad assumere iniziative per costituire un tavolo tecnico di monitoraggio con gli assessori regionali per verificare la piena e corretta attuazione della legge n. 194 del 1978, con particolare riferimento agli articoli 5, 7 e 9, al fine di evitare ogni forma di discriminazione fra operatori sanitari, obiettori e non obiettori;
   anche ai fini di una maggiore trasparenza nel rapporto tra cittadini e medici di famiglia, ad assumere iniziative per mettere in condizione gli ordini provinciali dei medici chirurghi e degli odontoiatri di monitorare l'applicazione della legge n. 194 del 1978, anche in riferimento agli articoli 5, 7 e 9;
   ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori familiari, quale servizio fondamentale nell'attivare la rete di sostegno per la procreazione responsabile, nonché strutture assistenziali per l'attivazione del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza nel rispetto delle scelte e della salute delle donne;
   fermi restando l'obbligo di dispensazione dei farmaci e l'adeguata informazione degli utenti previsti dalla legislazione vigente, ad assumere iniziative affinché le competenti federazioni nazionali degli ordini professionali del personale sanitario si adoperino per garantire uniformità sul territorio nazionale in ordine agli indirizzi deontologici relativi all'esercizio dell'obiezione di coscienza.
(1-00045)
(Ulteriore nuova formulazione) «Migliore, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti, Rigoni».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori: mozione Santerini n. 1-00077 dell'11 giugno 2013.
   mozione Coscia n. 1-00084 dell'11 giugno 2013.
   mozione Centemero n. 1-00085 dell'11 giugno 2013.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-00645 del 30 maggio 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformato su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nicola Bianchi e Di Vita n. 4-00316 del 29 aprile 2013 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-00299;
   interrogazione a risposta orale Mongiello e altri n. 3-00089 del 29 maggio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-00797.