Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 5 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    fra i segnali più indicativi, sul piano economico e sociale, della gravità dell'attuale crisi economico-finanziaria che sta vivendo l'Unione europea, il più evidente risulta la crescita del tasso di disoccupazione;
    particolarmente preoccupante è l'andamento della disoccupazione giovanile: nel marzo 2013 ben 5,7 milioni di giovani, di cui 3,6 milioni nell'area euro, erano privi di lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile ha superato il 23,5 per cento nell'Europa a 27 e il 24 per cento nell'area euro, in aumento di 1,5 punti percentuali su base annua;
    la situazione, addirittura drammatica in Grecia, dove il tasso di disoccupazione giovanile tocca quasi il 60 per cento, e in Spagna (oltre il 55 per cento), appare tuttavia ormai insostenibile anche in Italia: nel nostro paese il tasso di disoccupazione giovanile ha infatti toccato il 40,5 per cento;
    i dati sono ancora più allarmanti nelle aree in ritardo di sviluppo, dove l'elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile si inserisce in un contesto già profondamente segnato dal disagio economico e sociale, acuendo i rischi di tensioni e conflittualità;
    la crescente difficoltà di trovare occasioni di lavoro stabili e regolari priva le giovani generazioni del diritto di guardare al proprio futuro con ragionevoli aspettative di realizzazione e li costringe a una umiliante condizione di vulnerabilità, incertezza e precarietà e di dipendenza economica dalle famiglie di origine;
    non possono esservi solide prospettive di ripresa economica e di crescita se le giovani generazioni sono costrette a una condizione di inattività; significativa, al riguardo, è la crescita costante della percentuale di giovani che appaiono totalmente privi di fiducia nel loro avvenire non lavorando e non partecipando a nessun ciclo di formazione e istruzione (i cosiddetti NEET): nell'Unione europea si tratta ormai di circa il 13 per cento dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni;
    le dimensioni del fenomeno impongono l'immediata adozione di misure appropriate, per entità delle risorse da stanziare e per la necessità di invertire rapidamente le tendenze in atto, al fine di allargare la base occupazionale, di offrire alle giovani generazioni credibili prospettive di formazione e di lavoro stabile e non precario, attraverso quelle reali politiche attive del lavoro che sono elemento essenziale del rilancio del modello sociale europeo;
    in questa materia l'adozione di iniziative a livello europeo risulta imprescindibile, in primo luogo perché l'esperienza ha dimostrato che non è possibile affidare alle limitate forze dei singoli Stati membri il compito di affrontare un'emergenza che ha assunto ormai le dimensioni cui si è fatto riferimento a prescindere da una strategia complessiva ed organica. Ciò vale in particolare per i Paesi i cui margini di intervento finanziari sono particolarmente ristretti per i vincoli derivanti dall'obbligo di perseguire politiche di risanamento del bilancio pubblico. In secondo luogo, non va sottovalutato il rischio che l'assenza di adeguate risposte da parte dell'Unione europea alimenti anche nelle giovani generazioni la disaffezione, già ampiamente diffusa, nei confronti delle istituzioni europee e mini la fiducia nel progetto dell'integrazione europea, che si aggiunge al rischio socio-politico già evidenziato dalla fase recessiva. Ciò sarebbe particolarmente grave, stante il fatto che le giovani generazioni sono quelle che hanno una più elevata consapevolezza dell'identità europea e appaiono più propense alla mobilità e allo scambio di esperienze formative e di lavoro: una mobilità che necessità di adeguato sostegno, con particolare riferimento ai programmi di scambio come il programma Erasmus (che attualmente rappresenta appena lo 0,35 per cento del budget europeo, che a sua volta rappresenta circa l'1 per cento del prodotto interno lordo europeo). In terzo luogo, il differenziale tra le condizioni occupazionali per i giovani all'interno dell'Unione europea (dal 59,1 per cento della Grecia al 7,6 per cento di Austria e Germania) può alimentare le frizioni interne che mettono a repentaglio la tenuta e la solidità dell'Unione;
    nel dicembre del 2012 la Commissione europea ha delineato, con il Youth Employment Package, una strategia volta a contrastare la disoccupazione giovanile e l'esclusione sociale attraverso una serie di misure dirette a promuovere l'offerta di lavoro, l'istruzione e la formazione raccomandando l'impegno degli Stati membri a tradurre concretamente, per quanto di loro competenza, le indicazioni fornite;
    il Consiglio europeo ha successivamente stanziato 6 miliardi di euro, nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020, allo scopo di sostenere le misure in materia di occupazione giovanile proposte dalla Commissione nel dicembre 2012, con particolare riguardo al progetto denominato Youth Guarantee;
    tale progetto, ispirato alle esperienze di alcuni Paesi (come Austria e Finlandia), è diretto a sostenere l'investimento nel capitale umano dei giovani fino ai 25 anni al fine di conseguire gli obiettivi previsti dalla Strategia Europa 2020: un tasso di occupazione del 75 per cento; il 40 per cento di laureati nella fascia tra 30 e 34 anni; un tasso di dispersione scolastica al di sotto del 10 per cento e la sottrazione alla povertà e all'esclusione sociale di 20 milioni di persone all'interno dell'Unione europea;
    le iniziative finora adottate richiedono, come prospettato dall'Unione europea, una forte mobilitazione degli Stati membri (i Governi dell'Unione europea si sono impegnati a istituire programmi nazionali di Youth Guarantee sulla base del modello sociale comunitario) e delle parti sociali secondo una logica di partenariato attivo;
    come notato nel memo della Commissione europea «EU measures to takle youth unemployment» del 28 maggio 2013, il costo dell'adozione di queste misure è molto più basso del costo dell'inazione, per le condizioni economiche presenti e per i rischi conseguenti di esclusione, povertà e salute;
    il prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013 dovrebbe dedicare un'attenzione particolare a questo tema, anche a seguito delle sollecitazioni e delle iniziative adottate al riguardo da diversi Paesi, tra cui in particolare l'Italia;

impegna il Governo:

   a intervenire, in occasione del prossimo Consiglio europeo, per verificare la possibilità di stanziare ulteriori risorse nell'ambito del Fondo sociale europeo per il finanziamento di progetti volti a contrastare in maniera efficace la disoccupazione giovanile attraverso l'offerta di lavoro stabile e regolare e a sostenere programmi di elevata qualità di istruzione e formazione per i giovani adeguati alle esigenze più avanzate del mercato di lavoro, verificando in questo contesto anche l'adeguata implementazione dei programmi per la mobilità, con particolare riferimento a EURES e al programma Erasmus for All, volto a supportare le opportunità di studio, formazione e volontariato all'estero per 4 milioni di europei dal 2014 al 2020, con un budget complessivo di 14,5 miliardi di euro (il doppio dei programmi attuali);
   a ottenere che la quota parte delle risorse spettante all'Italia nell'ambito dello stanziamento complessivo di 6 miliardi di euro per la Youth Employment Initiative possa essere impegnato interamente – o comunque nella massima misura possibile – già nel 2014;
   a promuovere con urgenza le misure necessarie in materia di adattamento dei centri per l'impiego (attraverso cui, secondo alcune stime, attualmente trovano lavoro solo il 2,7 per cento dei giovani) per supportare al meglio le iniziative a favore dell'occupazione giovanile;
   a manifestare l'esigenza di un più stretto collegamento tra le politiche attive del lavoro e il circuito scuola-università-lavoro, utilizzando le sinergie nell'ambito del Fondo sociale europeo per portare il livello di istruzione italiano all'altezza delle esigenze del sistema produttivo e per abbattere il «costo dell'ignoranza», ovvero il divario che impedisce all'Italia una piena partecipazione a una società europea della conoscenza, intervenendo in particolare sugli elementi essenziali per conseguire gli obiettivi europei della Strategia 2020 in merito al livello di laureati nella popolazione adulta e alla riduzione della dispersione scolastica, favorendo azioni mirate di sostegno al diritto allo studio e l'avvio di un piano nazionale per l'edilizia scolastica;
   a impegnarsi, nel contesto delle misure del pacchetto e di un generale orientamento sul capitale umano come base per crescita attraverso la creazione di un circuito virtuoso europeo tra formazione e impresa, a promuovere l'entrata in vigore entro l'estate 2013 dell'alleanza europea per l'apprendistato, volta a promuovere i programmi di apprendistato che hanno avuto maggior successo e a sviluppare curricula comuni per le professioni e adeguati sistemi di riconoscimento degli apprendistati effettuati all'estero;
   a valutare la possibilità di promuovere a livello europeo l'introduzione di misure premiali e/o sanzionatorie con riferimento all'impiego delle risorse utilizzabili allo scopo, per cui una quota dei fondi disponibili verrebbe assegnata ai Paesi che conseguono gli obiettivi stabiliti e la parte non utilizzata di risorse preassegnate sarebbe revocata se non utilizzata, in questo modo introducendo un meccanismo volto a responsabilizzare gli Stati membri ad impiegare rapidamente e in maniera efficace le risorse a disposizione;
   ad adottare sul piano nazionale tutte le iniziative necessarie per realizzare al più presto progressi concreti e apprezzabili in materia, (con particolare riferimento alla possibilità della defiscalizzazione totale per le assunzioni dei giovani a tempo indeterminato da parte delle imprese) anche utilizzando quota parte delle risorse ancora disponibili e non impegnate relative alle politiche di coesione per il periodo 2007-2013, oltre che quelle previste per il periodo 2014-2020, come prospettato dal Consiglio europeo del 22 maggio 2013.
(1-00070) «Ascani, Calabria, Tinagli, Prataviera, Giorgia Meloni, Speranza, Bonomo, Boschi, Bosco, Braga, Capozzolo, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Crimì, Culotta, Marco Di Maio, Donati, Fanucci, Fedriga, Gadda, Gregori, Gribaudo, Laforgia, Lattuca, Lotti, Madia, Moretto, Moscatt, Narduolo, Paris, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rampi, Scopelliti, Tentori, Ventricelli, Zardini, Manzi, Damiano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   in data 3 maggio 2013 greenreport.it, noto portale di informazione ambientale, riportava una intervista del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Andrea Orlando il quale a seguito di un sopralluogo effettuato dallo stesso all'isola del Giglio e, nello specifico, al cantiere di rimozione della Costa Concordia, ha, testualmente, riferito: «Il dato oggettivo è che Piombino è l'approdo più vicino e naturale per lo smaltimento della Costa Concordia e quindi bisogna lavorare in questa direzione. È essenziale che la nave venga demolita in un'area in cui ci siano le massime condizioni di sicurezza ambientale e dei lavoratori...»;
   le considerazioni fatte dal Ministro Orlando – in linea con quelle reiteratamente sostenute dal predecessore Ministro Clini (14 dicembre 2012; 13 gennaio 2013; 13 marzo 2013; 22 marzo 2013 ed altre) – a giudizio degli interpellanti non tengono conto di un documento informalmente richiesto dal Ministero dello sviluppo economico alla Fincantieri datato 8 aprile 2013, nel quale risulterebbe (a seguito di una analisi tecnico/economica) non conveniente il trasferimento a Piombino del relitto soprattutto in termini economici. L'elaborato pone a confronto le ipotesi in cui il relitto venga destinato al porto di Palermo o in quello di Piombino;
   con riferimento a quest'ultimo sito, Fincantieri fa presente che Piombino è sì vero che trattasi di sito più vicino all'Isola del Giglio ma che al momento lo stesso non è assolutamente in grado di accogliere il relitto della Concordia per oggettive e gravi carenze strutturali quali la carenza di un bacino di carenaggio, di una banchina adeguata, di un pescaggio che possa ricevere una nave di così grandi dimensioni e della manodopera qualificata necessaria;
   la realizzazione di un grande bacino e di opere infrastrutturali, del tipo di quelle ipotizzate ex novo per il porto di Piombino, inclusa la realizzazione di un cantiere di demolizione nel sito, richiederebbero un tempo non inferiore a tre anni – tempo assolutamente insostenibile per esigenze ambientali dell'Isola del Giglio che continuerebbe ad avere il relitto arenato sui suoi scogli – oltre ad ingenti spese pubbliche stimate in somme superiori ai 240 milioni di euro certamente di molto inferiori – appena 40 milioni circa – qualora si accogliesse la soluzione del porto di Palermo;
   le medesime dichiarazioni del Ministro Orlando sembrano, inoltre, non tenere in considerazione le caratteristiche infrastrutturali e manifatturiere di cui è dotato il nostro Paese; la direzione generale del trasporto marittimo infatti (su richiesta degli interpellanti) ha fatto pervenire un elenco dettagliato dei cantieri navali italiani che alla data odierna sono infrastrutturalmente dotati delle attrezzature necessarie allo smantellamento/riparazione della Costa Concordia che misura: 290 metri di lunghezza, 62 metri di larghezza e immersione 8 metri (che diventano 16 metri circa con le imbracature di galleggiamento che si stanno istallando). La stessa direzione infatti conferma che «l'unico bacino di carenaggio (...) esistente sul territorio nazionale, si trova presso lo stabilimento di Fincantieri di Palermo (...) e la manodopera utilizzata è presumibilmente di livello specialistico e capace, in quanto trattasi di uno degli stabilimenti più importanti d'Europa a livello di riparazione e trasformazione navale (...)»;
   rimanendo in tema di sopportazione dei costi necessari per la rimozione del relitto, preme sapere quanta parte di questi sarà effettivamente oggetto di risarcimento e/o di indennizzo da parte della compagnia assicuratrice della Costa Concordia e quanta alla fine inciderà sulle casse dello Stato;
   relativamente ad un costo allo Stato certamente non quantificabile – ci si riferisce al danno ambientale – si dovrà assolutamente evitare, a rischio di un gravissimo aumento dell'inquinamento medesimo, che si proceda nella dismissione del relitto della Costa Concordia nel porto di Piombino in assenza della messa in opera di un bacino di carenaggio adeguato alle dimensioni e alla stazza dello stesso –:
   quali considerazioni siano giunte (se si è costituito) dall'osservatorio ambientale (composto da tre rappresentanti delle 3 direzioni titolate del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della Commissione VIA e dell'ISPRA) la cui costituzione è stata richiesta in conferenza dei servizi in data 15 maggio 2012;
   se il Governo sia in grado di fornire un cronoprogramma dettagliato che informi la cittadinanza sulle operazioni dalla rimozione del relitto al trasferimento presso il cantiere di lavorazione;
   quale provvedimento il Governo intenda adottare, al fine di pervenire alla rimozione, della Costa Concordia dai fondali dell'isola del Giglio, che salvaguardi esigenze di tutela ambientale e, non ultimo, economiche;
   qualora venisse prescelta la soluzione di Palermo (o altra destinazione capace di accogliere il relitto), in quanto economicamente più sostenibile e con una tempistica di realizzazione senz'altro più immediata, se il Governo intenda adottare delle specifiche procedure volte alla raccolta degli inquinanti anche durante la fase di trasferimento dal sito dell'Isola del Giglio al sito del porto di Palermo, avvalendosi anche delle strutture di cui dispone il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (ISPRA).
(2-00079) «Mannino, Lupo, Di Benedetto, Di Vita, Nuti, Cancelleri, Grillo, Lorefice, D'Uva, Terzoni, Tofalo, Gagnarli».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIANCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da anni certa stampa che si riferisce ai cosiddetti poteri forti di questo Paese attacca ossessivamente, sovente con informazioni inesatte o distorte, il sistema dei partiti;
   in questo gioco al massacro si sono distinte penne famose che ne hanno tratto giovamento economico e notorietà, e testate famosissime, cosicché gli stessi mezzi di informazione finiscono col divenire malattie mortali per la democrazia, anziché stimolo e pungolo critico;
   peraltro, risulta ancora vigente un sistema contributivo all'editoria che coinvolge detti mezzi di informazione che dovrebbe invece cessare ogni forma di intervento in tal senso, nell'ottica di una reale rivisitazione della spesa pubblica –:
   se esistano ancora forme di contribuzione all'editoria che riguardano i quotidiani a maggior tiratura e, in caso affermativo, se si pensi di abolirle o meno.
(4-00712)


   MIGLIORE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la crisi finanziaria del 2008 ha messo in evidenza alcune carenze strutturali dell'economia europea;
   la risposta dell'Unione europea è stata quella di elaborare un nuova strategia politico-istituzionale che desse un nuovo abbrivio per il rilancio dell'economia europea, cercando di allentare il gap tecnologico, fissare nuovi obiettivi in materia di occupazione, produttività e coesione sociale;
   a tal proposito è stata elaborata dalla Commissione europea la strategia «Europa 2020» che fissa obiettivi ben precisi per l'occupazione e la crescita dell'Europa da raggiungere entro il 2020;
   per stimolare la crescita e l'occupazione sono state individuate dall'Europa sette iniziative prioritarie: agenda digitale europea, unione dell'innovazione, youth on the move (all'interno del pacchetto «Crescita Intelligente»), un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse, una politica industriale per l'era della globalizzazione (all'interno del pacchetto «Crescita Sostenibile»), un'agenda per le nuove competenze e i nuovi lavori e la piattaforma europea contro la povertà (all'interno del pacchetto «crescita solidale»);
    l'agenda digitale europea si propone si sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per favorire l'innovazione – abbattendo il cosiddetto «divario digitale», digital divide – la crescita economica e il progresso;
   tutte queste linee programmatiche sono state riassunte in una comunicazione (COM(2010)245) del 19 maggio 2010 indirizzata al Parlamento europeo, Consiglio europeo, Comitato economico e sociale, Comitato delle regioni;
   il titolo della comunicazione è: «Un'agenda digitale europea», il cui obiettivo principale è quello di voler sviluppare un mercato unico digitale con cui condurre l'Europa verso una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva;
   in data 22 giugno 2012 il Governo Monti ha emanato il decreto-legge n. 83 del 2012: «Misure urgenti per la crescita del Paese» (cosiddetto decreto sviluppo»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012;
   l'articolo 19 del decreto prevede l'istituzione dell'Agenzia digitale per Italia, nata dalla soppressione di DigitPA e dall'Agenzia per la diffusione delle tecnologie e per l'innovazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
   l'Agenzia per l'Italia digitale, sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio o del Ministro da lui delegato, opera sulla base dei principi di autonomia organizzativa, tecnico-operativa, gestionale, di trasparenza, economicità e persegue gli obiettivi di efficacia, efficienza, imparzialità, semplificazione e partecipazione dei cittadini e delle imprese;
   l'Agenzia per l'Italia digitale è preposta alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla cabina di regia di cui all'articolo 47 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, e con l'Agenda digitale europea;
   l'articolo 21 del decreto-legge n. 83 del 2012 disciplina «organi e statuto» dell'Agenzia. Gli organi dell'Agenzia sono: il direttore generale, il comitato di indirizzo e il collegio dei revisori dei conti;
   il direttore generale dell'Agenzia viene nominato entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto, previo avviso pubblico, è il legale rappresentante dell'Agenzia, la dirige e ne è responsabile, e resta in carica tre anni;
   a conclusione dell'avviso pubblico e dopo aver vagliato i curricula dei candidati, nella riunione del 30 ottobre 2012, il Consiglio dei ministri ha preso atto dell'avvenuta nomina del direttore generale dell'Agenzia nella persona dell'ingegnere Agostino Ragosa;
   in una nota di Palazzo Chigi si legge che: «...la nomina è il frutto di una valutazione collegiale, a cui si è giunti attraverso una procedura innovativa e aperta, per l'individuazione della figura professionalmente più adatta, sui principali siti dei Ministeri competenti è stato infatti pubblicato per 15 giorni un apposito avviso, al quale hanno risposto oltre 200 candidati...»;
   l'articolo 21, comma 4, del decreto-legge dispone che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, viene approvato lo statuto dell'Agenzia entro il termine di quarantacinque giorni dalla nomina del direttore generale;
   in data 18 ottobre 2012 il Governo Monti ha emanato il decreto-legge n. 179 del 2012: «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese (cosiddetto decreto sviluppo bis o decreto crescita 2.0) convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, con cui è stata approvata l'Agenda digitale;
   l'Agenzia per l'Italia digitale è lo strumento cardine per la realizzazione dell'agenda digitale;
   nel mese di marzo 2013 il Governo ha spedito alla Corte dei Conti per la registrazione lo statuto dell'Agenzia per l'Italia digitale;
   da notizie di stampa si è appreso che in data 24 aprile 2013 il Governo ha chiesto alla Corte dei Conti di avere indietro lo statuto dell'Agenzia per l'Italia digitale;
   da notizie di stampa emergerebbe che lo statuto sia stato ritirato, perché presentava più di un punto debole, quindi, per evitare la bocciatura dalla Corte dei Conti il Governo ha ritirato l'atto per poterlo modificare;
   la parte dello Statuto che andrebbe riscritta è quella relativa alla dotazione organica; precisamente, lo statuto fissa il tetto in 150 unità, mentre la norma istitutiva, articolo 22 del decreto-legge n. 83 del 2012, parla di un organico che dovrà essere formato dall'accorpamento del personale della soppressa DigitPA (circa 120 unità) e dall'Agenzia per la diffusione delle tecnologie e per l'innovazione della Presidenza del Consiglio dei ministri (due unità);
   il comma 6 dell'articolo 22 del decreto-legge n. 83 del 2012 recita che: «...entro quarantacinque giorni dalla nomina del Direttore Generale dell'Agenzia, è determinata l'effettiva dotazione delle risorse umane, nel limite del personale effettivamente trasferito ai sensi dei commi 3 e 4, con corrispondente riduzione delle dotazioni organiche delle amministrazioni di provenienza, fissate entro il limite massimo di 150 unità, nonché la dotazione delle risorse finanziarie e strumentali necessarie al funzionamento dell'Agenzia stessa, tenendo conto del rapporto tra personale dipendente e funzioni dell'Agenzia, in un'ottica di ottimizzazione delle risorse e di riduzione delle spese per il funzionamento e per le collaborazioni esterne...»;
   la cifra di 150 unità è la cifra massima, che non necessariamente deve essere raggiunta, mentre lo Statuto afferma che la dotazione dell'Agenzia è fissata in numero di 150 unità;
   alla Corte dei Conti ha destato seri dubbi la situazione relativa alla composizione del comitato di indirizzo che è presieduto dal direttore generale, una situazione questa che potrebbe creare un cortocircuito dato che nel ruolo amministrativo apicale della struttura, che deve fornire le linee di operatività, e, dunque, allo stesso direttore, sieda lo stesso direttore;
   l'ultimo articolo dello statuto, il quale prevede, in via transitoria, la copertura in posti dirigenziali per garantire la piena operatività al nuovo organismo, assegna al direttore generale la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato, per un massimo di due anni non rinnovabili, a persone di comprovata professionalità, da assumere con qualifiche dirigenziali, di cui tre di livello generale. Anche quest'aspetto è stato oggetto di dubbi di legittimità da parte della Corte dei Conti a causa di possibili spese eccessive e fuori luogo;
   alla luce di quanto descritto al punto precedente il direttore generale, ingegner Agostino Ragosa, sempre secondo notizie di stampa, vorrebbe carta bianca sulle assunzioni dei dirigenti e dell'organico di 150 persone, non tenendo conto che il cosiddetto decreto crescita 2.0 stabilisce che l'Agenzia ha diritto a circa 28 unità in meno alle attuali 150, cioè lo stesso numero di dipendenti provenienti dagli altri due enti soppressi e accorpati nell'Agenzia, questo anche nell'ottica di un risparmio dei costi per le casse dello Stato, così come previsto dallo stesso decreto istitutivo dell'Agenzia;
   le organizzazioni sindacali con una missiva indirizzata al direttore generale, ingegner Agostino Ragosa, hanno protestato rispetto alla stesura dello Statuto, fatta da un Governo dimissionario, e al tentativo dell'approvazione dello statuto, venuto meno grazie all'atteggiamento accorto della magistratura contabile, il quale contiene «previsioni» che appaiono in assoluto contrasto con la stessa norma di risparmio e contenimento della spesa pubblica, si pensi al decreto-legge n. 95 del 2012, cosiddetto decreto spending review, e al decreto istitutivo dell'Agenzia stessa;
   altre notizie di stampa affermano che lo statuto è stato ritirato per evitare una bocciatura da parte della Corte dei Conti;
   il direttore generale, ingegner Agostino Ragosa, ha affermato su quotidiani nazionali che lo statuto è stato ritirato dal Governo per un vizio di procedura: è stato spedito alla Corte dei Conti dal Ministero dello sviluppo economico, mentre sarebbe dovuto arrivare direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   risulta da notizie di stampa e, precisamente, da un virgolettato del direttore generale dell'Agenzia, che si starebbe lavorando ad un programma per gli anni 2013-2015 da 26 miliardi di euro che saranno assegnati con gare pubbliche;
   la prima gara pubblica sarà di 2,5 miliardi di euro e verrà assegnata entro ottobre 2013 con lo scopo di creare il sistema pubblico di connettività (SPC);
   a tutt'oggi si è accumulato un gravissimo ritardo rispetto ai decreti attuativi del decreto-legge n. 83 del 2012, l'unico decreto attuativo emanato è soltanto quello della nomina del direttore generale dell'Agenzia, e del decreto-legge n. 179 del 2012 per il quale sono stati emanati tre decreti attuativi a fronte di 36 decreti attuativi mancanti;
   da un articolo pubblicato in data 4 maggio 2013 sul quotidiano Il Sole24ore, il direttore generale dell'Agenzia, ingegner Agostino Ragosa, ha affermato che: «...rispetto alla partenza dell'Agenda Digitale andrebbe individuato un meccanismo di semplificazione tant’è che la governance del sistema digitale italiano è un capolavoro di bizantinismo. Da un lato si è fatto ordine nelle varie strutture tecniche – DigitPa, Agenzia per l'innovazione, Dipartimento per la digitalizzazione della Presidenza del Consiglio – accorpandole in un ’unica agenzia, dall'altro si è scelto di non scegliere affidando la vigilanza e il coordinamento politico della stessa Agenzia a quattro ministeri, oltre che alla Presidenza del Consiglio e a due rappresentati della Conferenza Unificata. Oltretutto, il Comitato di indirizzo che dovrebbe essere espressione di questo mostro burocratico non si è ancora insediato, in attesa che vengano nominati i membri regionali...»;
   secondo le dichiarazioni rese dal direttore generale dell'Agenzia l’impasse in cui versa lo stesso ente sarebbe da imputare al «...capolavoro di bizantinismo...» partorito dalle leggi istitutive. Sempre secondo le sue stesse affermazioni ci sarebbero degli impedimenti oggettivi per far partire i primi step dell'Agenda digitale italiana;
   da una lettura della legge istitutiva dell'Agenzia, emergono evidenti gli adempimenti che il direttore generale dell'Agenzia, avrebbe dovuto e potuto porre in essere per consentire un normale svolgimento della sua attività ossia: definire le risorse finanziarie, strumentali e professionali propedeutiche all'elaborazione e, successiva emanazione dello statuto;
   pur in assenza dello statuto dell'Agenzia, il direttore generale avrebbe potuto agire in base da quanto stabilito dal comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge n. 83 del 2012 che così recita: «... Il Direttore Generale esercita in via transitoria le funzioni svolte dagli enti soppressi e dal Dipartimento di cui all'articolo 20, comma 2, in qualità di Commissario Straordinario, fino alla nomina degli altri organi dell'Agenzia per l'Italia Digitale...»;
   emerge dalla lettura dello statuto e, in relazione alla legge istitutiva, la dubbia legittimità dell'articolo 6, comma 3, dello statuto (attribuzione del direttore) perché è in palese contrasto con i princìpi normativi enunciati dal decreto legislativo n. 165 del 2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui si fa confusione tra gestione e indirizzo dell'Agenzia;
   l'articolo 11, commi 1 e 2, dello statuto (princìpi generali di organizzazione e di funzionamento) a giudizio degli interroganti non è in linea l'articolo 22, comma 8, della legge istitutiva dell'Agenzia che così recita: «...All'attuazione degli articoli 19, 20, 21 e 22 si provvede con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica...»;
   desta sorpresa e preoccupazione l'inserimento all'articolo 15 dello statuto (norma transitoria per la copertura provvisoria di posizioni dirigenziali e in materia di assunzioni) di una norma transitoria per la copertura provvisoria di posizioni dirigenziali, senza che ci sia una espressa previsione legislativa di rango superiore ed, inoltre, in evidente contrasto con i princìpi enunciati dal decreto legislativo n. 165 del 2001;
   da ultimo, è opportuno tenere in debita considerazione quanto affermato da recenti analisi macroeconomiche fatte da esperti di economia e dall'OCSE, che individuano nell'Agenda digitale europea un importante moltiplicatore della crescita economica dell'Unione europea –:
   quali siano stati i criteri di selezione «innovativi» per individuare i candidati che avessero i requisiti necessari a ricoprire l'incarico di direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale;
   se non si ritenga, alla luce di quanto suddescritto, di rimuovere l'organo di gestione dell'Agenzia per l'Italia digitale, ossia il direttore generale, ingegner Agostino Ragosa, dall'incarico che ricopre in base alla normativa prevista in materia;
   quali siano stati i pregiudizi di natura economico-patrimoniale cagionati al «sistema Paese» da quella che agli interroganti appare l'inefficienza del management dell'Agenzia digitale per l'Italia;
   se il Governo non ritenga opportuno valutare preventivamente e concordemente con lo spirito della legge che istituisce l'Agenzia e dà avvio all'Agenda digitale per l'Italia, le opportune iniziative che rispettino in modo cogente i crismi stabiliti dalle norme in materia. (4-00734)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   ZAN, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a gennaio e febbraio del 2013, a Camere ormai sciolte, l'ex Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Clini ha presentato al Parlamento per il parere, uno schema di decreto del Presidente della Repubblica per l'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime di AIA;
   dopo un parere favorevole con condizioni, espresso molto rapidamente dalla Commissione ambiente del Senato il 16 gennaio 2013, senza peraltro che nessun senatore fosse intervenuto in discussione, la Commissione ambiente della Camera, il successivo 11 febbraio, aveva invece espresso parere negativo al medesimo schema di decreto del Presidente della Repubblica;
   da quel momento, di detto decreto del Presidente della Repubblica sui combustibili solidi secondari, se ne sono perse le tracce, e finora non è ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
   intanto però, sono stati recentemente pubblicati due decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: il decreto 14 febbraio 2013, n. 22 (Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2013) recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), dove vengono stabiliti – tra l'altro – i criteri da rispettare affinché determinate tipologie di combustibile solido secondario (CSS), cessino di essere qualificate come rifiuto; e il decreto 20 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2013) che modifica l'allegato X della parte quinta del codice ambientale, in materia di utilizzo del combustibile solido secondario (CSS), che recepisce i criteri contenuti nel suddetto decreto del 14 febbraio 2013, n. 22, che devono essere rispettati affinché determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS) cessino di essere qualificate come rifiuto e possano quindi essere riutilizzati;
   la momentanea mancata pubblicazione in Gazzetta del decreto del Presidente della Repubblica sull'utilizzo in alcune categorie di cementifici dei combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, nulla toglie alla sempre dichiarata ferma volontà del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Clini, di aver voluto proseguire nella scorciatoia dell'incenerimento dei rifiuti nei cementifici, bruciando rifiuti solidi urbani per alimentare i forni di cottura del clinker, cioè la componente principale del cemento;
   per i cementieri dell'Aitec (Associazione italiana tecnico economica cemento) si tratta di recupero energetico, per l'Associazione medici per l'ambiente «la combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare di diossine e metalli pesanti»;
   l'utilizzo di CSS per alimentare i forni di cottura dei cementifici, produrrebbe, tra l'altro, gravi conseguenze in diverse aree del Paese, dove sono ubicati numerosi cementifici in termini di inquinamento ambientale e di peggioramento degli attuali livelli di raccolta differenziata dei rifiuti;
   a ciò va aggiunta l'aggravante della mancanza nel nostro Paese di un serio ed efficace sistema nazionale di controlli ambientali;
   utilizzare i combustibili solidi secondari è dannoso per la salute e soprattutto è superato in quanto esistono moderne tecnologie e soluzioni alternative alla combustione che creano maggiori posti di lavoro e sono più sostenibili a livello economico e ambientale;
   la scelta dell'incenerimento dei rifiuti (CSS) nei cementifici non è condivisibile se consideri la diversità esistente fra i limiti delle emissioni di inquinanti pericolosi per la salute previsti per i cementifici: polveri totali: mg 30/Nm3; biossido di zolfo: mg 600/Nm3; ossido di azoto: mg 1.800/Nm3; mentre i limiti per gli stessi inquinanti prodotti dagli inceneritori sono: polveri totali: mg 10/Nm3; biossido di zolfo: mg 50/Nm3, ossido di azoto: mg 200/Nm3;
   peraltro continuare a bruciare rifiuti è uno spreco di risorse e un costo altissimo in termini ambientali, e non si rispettano le disposizioni europee sul recupero della materia che è prioritario nella gerarchia d'intervento, continuando a ignorare anche la direttiva 96/62/CE, sulle polveri sottili finanche dopo la condanna dell'Italia da parte della Corte di Giustizia del 19 dicembre 2013;
   il ricorso indiscriminato all'incenerimento dei rifiuti va infatti in tutt'altra direzione rispetto alla corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti e al necessario incremento della raccolta differenziata –:
   se non si ritenga di non procedere all'adozione del regolamento sulla disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), già presentato per il parere presso le Commissioni parlamentari competenti dal precedente Governo, e se siano stati pienamente valutati – nella decisione di utilizzare in alcune categorie di cementifici i combustibili solidi secondari (CSS) – gli effetti di tale scelta sulla salute pubblica. (5-00261)


   BORGHI, MARIANI, BRATTI e GHIZZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 luglio 2002, la società Independent gas management srl (IGM), ha presentato al Ministero delle attività produttive istanza per concessione di stoccaggio sotterraneo di gas naturale nell'area di «Rivara», provincia di Modena, comprendendo porzioni territoriali dei comuni di San Felice Sul Panaro, Finale Emilia, Camposanto, Medolla, Mirandola, e Crevalcore in provincia di Bologna. L'area interessata dal citato progetto è compresa, com’è noto, nella vasta zona interessata dai disastrosi eventi sismici dello scorso maggio. I comuni interessati dal deposito sotterraneo sono tutti compresi nell'elenco, di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 1o giugno 2012, relativo ai comuni danneggiati del terremoto;
   il progetto prevede uno stoccaggio di 3,2 miliardi di metri cubi di gas in un'area di 120 chilometri quadri e sarebbe, in Italia, il primo impianto di questo tipo;
   nell'agosto del 2009 la società Erg Rivara Storage, costituita dalla precedente richiedente e dalla società Erg Power e Gas, ha presentato un nuovo progetto di stoccaggio nel medesimo sito allo scopo di esperire la procedura di compatibilità ambientale;
   il 25 maggio 2011 la Commissione ambiente e lavori pubblici ha approvato una risoluzione con la quale impegna il Governo «ad assumere una posizione politica precisa sull'inopportunità della scelta della realizzazione del deposito di gas Rivara, allo scopo di evitare di sottoporre il territorio e i cittadini a rischi imprevedibili conseguenti alla mancanza di sicurezza sismica e geologica del sito che dovrebbe ospitare il deposito, oltre che per ragioni di criticità ambientale»;
   con parere approvato il 17 giugno del 2011 la Commissione VIA-VAS, esprimeva il proprio consenso all'avvio di una campagna di indagini geognostiche secondo il programma e con le finalità indicate dal proponente, vale a dire indagini dirette ad accertare in concreto la realizzabilità dell'impianto di stoccaggio, facendo presente che l'autorizzazione definitiva, come previsto dalla normativa vigente, fosse di competenza del Ministro dello sviluppo economico d'intesa con la regione Emilia Romagna;
   la regione Emilia Romagna, che già nell'ottobre 2009, con la risoluzione del consiglio regionale n. 4903/2009, aveva invitato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a valutare soluzioni alternative, ha espresso parere contrario al progetto con delibera in data 8 febbraio 2011, fornendo «oggettivi, ineludibili e incontestabili elementi di pericolosità presenti nell'area di Rivara» che renderebbero il sito incompatibile con «operazioni di immissione ed estrazione del gas», ed esporrebbero la popolazione e l'ambiente ad un «rischio difficilmente quantificabile anche a seguito di ulteriori studi e pertanto non valutabile con il margine di certezza necessario in applicazione del principio di precauzione sancito dal diritto comunitario»;
   ripetutamente a partire dal 2005, i comuni interessati e la provincia di Modena, hanno espresso, sulla scorta delle indicazioni fornite da numerosi esperti, la contrarietà all'intervento, in quanto l'impianto non avrebbe fornito sufficienti garanzie in termini di sicurezza e tutela ambientale; oltre alle istituzioni e agli enti locali, anche i comitati dei cittadini, appositamente costituiti, tra gli altri il «Comitato Ambiente e Salute di Rivara», e le forze politiche locali, hanno più volte manifestato analoga contrarietà al progetto, evidenziandone l'insufficiente sicurezza; il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dopo l'avverarsi degli eventi sismici citati, ha ripetutamente rilasciato dichiarazioni alla stampa locale dalle quali emergeva chiaramente l'intenzione di negare ogni autorizzazione relativa allo stoccaggio di gas di Rivara, motivando tale nuovo orientamento con la evidente drammatica consapevolezza della sopraggiunta inidoneità del sito;
   già nella scorsa legislatura, anche da parte di alcuni tra gli interroganti, erano stati presentati atti di sindaco ispettivo (5-06464; 5-08419), per sollecitare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a negare ogni autorizzazione relativa all'istanza per concessione di stoccaggio sotterraneo di gas naturale nell'area di «Rivara», presentata dalla Erg Rivara Storage da ultimo nell'agosto 2009;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispondendo, in data 18 ottobre 2012, all'interrogazione n. 5-08154, specificava che con nota del 7 agosto 2012 il Ministero dello sviluppo economico aveva comunicato il rigetto, con decreto direttoriale in data 6 agosto 2012, dell'istanza di autorizzazione del programma di ricerca «Rivara – Verifica di fattibilità dello stoccaggio» presentata dalla società Erg Rivara Storage e che con tale atto si era concluso con esito negativo l’iter amministrativo della domanda di verifica di fattibilità presentata dalla società Erg Rivara Storage;
   nella risposta fornita alla succitata interrogazione n. 5-08154, si riferisce che «il supplemento di istruttoria è stato richiesto alla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS antecedentemente alla data di respingimento dell'istanza da parte del Ministero dello sviluppo economico ed immediatamente a valle degli eventi sismici del 20 e 29 maggio scorso. Dal momento che le finalità di questa attività superano il caso specifico, si è comunque ritenuto di non interrompere il summenzionato supplemento istruttorio, perché i dati che esso potrà fornire si inquadrano nel più generale tema delle eventuali correlazioni tra stoccaggi in acquifero profondo ed eventi sismici, anche di eccezionale gravità»;
   il 5 febbraio 2013, la società Erg Rivara Storage ha annunciato tramite un comunicato ufficiale sul proprio sito web la volontà di disimpegnarsi dal progetto di Rivara e, a quanto risulta agli interroganti da notizie di stampa, di sollevare dall'incarico l'amministratore delegato Mr. Nash;
   infine, con decreto del direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello sviluppo economico in data 3 aprile 2013, è stata rigettata anche la citata istanza presentata nel luglio 2002, per il «rilascio della concessione di stoccaggio di gas naturale in unità geologica profonda» –:
   se il Ministro interrogato, alla luce delle suesposte considerazioni, non ritenga opportuno chiarire in modo inequivocabile e definitivo che anche per quanto riguarda il suo Ministero, in considerazione delle relative indagini in corso e alla luce dell'ultimo e conclusivo rigetto da parte del Ministero dello sviluppo economico, l'autorizzazione allo stoccaggio di gas di Rivara è una eventualità definitivamente tramontata, mettendo così fine ad una situazione di tensione e preoccupazione nella quale vivono da molti anni le popolazioni e le imprese residenti nei luoghi coinvolti dal progetto di stoccaggio, e colpiti gravemente dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. (5-00262)


   GRIMOLDI e RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la chimica Saronio ha rappresentato per il comune di Melegnano uno dei più importanti insediamenti industriali, con una attività che ha inizio nel lontano 1926 fino alla data di chiusura della fabbrica nel 1966;
   l'attività ha interessato la produzione di vernici e, come area militare, fino al 1943, la produzione di gas urticanti; a tutt'oggi il Ministero della difesa sembra che intima a chiunque di non avvicinarsi;
   la situazione è resa ancora più grave, dall'abbandono in cui versa l'ex area militare della Saronio, una vera e propria chemical city;
   nei quarant'anni di attività il polo chimico si è espanso notevolmente occupando 200 mila metri quadri sul territorio del comune di Melegnano e su quello confinante di Cerro al Lambro, lasciando, dopo la chiusura, stratificazioni di fanghi residui della produzione, vasche di decantazione inquinate, discariche;
   si tratta di terreni altamente contaminati da ammine aromatiche che sono «sostanze fondamentali nel processo produttivo dei coloranti per tessuti, e impiegate nello stabilimento senza alcuna misura di prevenzione o di protezione nei confronti dello sviluppo di vapori e polveri»;
   le ammine sono generalmente tossiche e quelle aromatiche sono composti cancerogeni sospetti o accertati;
   le analisi effettuate dall'Asl hanno evidenziato anche importanti quantitativi di benzene, oltre a cloroformio, diclorobenzene e cloronitrobenzene in concentrazioni anche mille volte superiori ai limiti della soglia di contaminazione stabiliti dalla legge;
   i risultati di un'indagine condotta nel 1977 dallo SMAL (Servizio medicina ambiente di lavoro) evidenziano nell'area 38 casi di morte per tumori alla vescica accertati, pari a tre volte la mortalità media nazionale per tale malattia;
   negli anni settanta e ottanta sono state realizzate urbanizzazioni incuranti del fatto che sui terreni sorgesse una fabbrica chimica e che i terreni erano ad elevato inquinamento legato alla tossicità delle lavorazioni e produzioni che vi venivano svolte;
   il 13 gennaio 2003 il comune di Melegnano ha affidato la società Edison succeduta nella proprietà dell'area, a «provvedere ai sensi dell'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate»;
   le operazioni di bonifica sul terreno inquinato consistono nel confinamento dei terreni limitatamente lungo il nuovo tracciato dell'alta velocità, con relativa raccolta controllata delle acque meteoriche, e nell'inizio della bonifica in un'area di 26 mila metri quadrati, destinata in passato ad ospitare spettacoli viaggianti, che in realtà interessa un decimo del totale delle aree di proprietà della fabbrica;
   fra polemiche, contrattempi e ritardi i lavori di quest'ultima bonifica si protraggono fino al 12 luglio 2006; contestualmente al collaudo dell'ARPA la provincia di Milano ha creato una decina di pozzetti di controllo della falda acquifera nella periferia ovest;
   in una riunione del 19 luglio 2007, presso la direzione generale sanità della regione, tra ASL MI2, ARPA, provincia di Milano, regione Lombardia (unità organizzativa prevenzione e ufficio bonifiche), con oggetto «Sito di interesse regionale denominato ex Società Saronio. Interventi o tutela della pubblica salute», è stata ritenuta indispensabile l'installazione di una barriera idraulica, come ne sono già state realizzate in provincia di Lodi, con l'obiettivo di raccogliere l'acqua inquinata e mandarla a un depuratore allo scopo di salvaguardare le falde più profonde dalla contaminazione;
   da notizie stampa si apprende che sono stati decisi controlli da parte dell'ARPA sull'inquinamento indoor, sostanzialmente quello provocato dalle evaporazioni del benzene e degli idrocarburi in locali tipo cantine e garage, ed è stato inoltre deciso il coinvolgimento dell'Istituto superiore di sanità nella valutazione dei dati e delle azioni da intraprendere e dell'ICPS (Centro internazionale per gli antiparassitari e la prevenzione sanitaria) per una valutazione sulle possibili interazioni tra inquinanti e ortaggi e coltivazioni in generale su terreni contaminati; sono emersi inquinamenti nella prima e seconda falda;
   nell'ottobre 2007, a circa due anni dall'inizio dell'operazione di bonifica, sono stati rimossi anche gli ultimi vincoli imposti dalla provincia e l'area è diventata libera e pronta per l'attuazione di un piano di lottizzazione;
   tra scarico di responsabilità e contenziosi aperti tra Edison e amministrazioni comunali, l’iter per l'approvazione del piano di urbanizzazione dell'area è proseguito;
   il progetto prevede un complesso residenziale composto da 115 appartamenti distribuiti su due palazzine, proprio su una parte dell'area inquinata; il 27 ottobre 2008 hanno inizio i lavori del complesso residenziale;
   nonostante le analisi effettuate abbiano dimostrato la presenza di veleni come arsenico, diossine e piombo, tutt'attorno all'area inquinata, nel frattempo, è nata un'intera città –:
   se il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze per la tutela dell'ambiente, intenda approfondire lo stato di inquinamento del suolo e della falda idrica dell'area della chimica Saronio, anche sulla base delle indagini e degli accertamenti già effettuati. (5-00263)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i danni da fauna selvatica costituiscono oggi per l'agricoltura una vera e propria emergenza, non essendo stati rinnovati i principi della pianificazione faunistico-venatoria del territorio e della programmazione dell'attività venatoria che su di esso si svolge;
   tale fenomeno diviene ancora più incontrollabile quando i siti danneggiati si trovano all'interno (o nelle prossimità) di aree protette o comunque afferenti a parchi, posto il divieto assoluto in essi dell'attività venatoria;
   su tale ultimo profilo, sembra essere mancato un controllo rigido da parte degli enti parco della fauna selvatica insistenti su dette aree, con gravi ripercussioni sulle attività agricole limitrofe;
   ad oggi, per quantificare tali danni, non è possibile poter contare su dati nazionali ufficiali, data la frammentarietà delle stime, spesso calcolate dalle singole province sulla base delle richieste di risarcimento presentate dalle imprese agricole;
   tale carenza di informazioni sui danni si evince anche dalle stesse pubblicazioni del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali o dell'ISPRA;
   l'ultimo dato attendibile (fonte Coldiretti) risale al 2007, sulla base di un rapporto dell'Eurispes, che stimava in Italia un danno superiore ai 70 milioni di euro. Secondo, infatti, l'Istituto in Italia negli ultimi dieci anni, gli animali selvatici si sono quasi decuplicati, passando dai 123.000 esemplari degli anni a cavallo tra il 1990 e il 1995, all'attuale 1.000.000. Ed è in aumento anche il numero delle specie selvatiche, passato dalle settanta del 1991 alle centoquindici del 2000;
   le norme della legge n. 157 del 1992, che avrebbero dovuto controllare il fenomeno, hanno di fatto fallito sia sul piano della prevenzione che su quello del risarcimento dei danni, tanto che oggi le imprese agricole sono messe forte in difficoltà dalla mancanza di strumenti adeguati ad arginare il fenomeno;
   un altro aspetto importante è quello dell'individuazione, attraverso gli strumenti di programmazione e pianificazione, della densità ottimale delle singole specie per ciascuna unità territoriale di gestione, in modo tale che si regolamenti la presenza sul territorio della fauna, contemperando le esigenze di natura ecologico-ambientale con quelle economiche;
   si auspica che tutte le regioni, le province e gli stessi enti parco, per quanto di loro competenza, attivino un meccanismo virtuoso di dialogo tra le istituzioni al fine di individuare gli strumenti e le misure più idonee al territorio di riferimento –:
   se non reputi necessario, data la gravità della situazione, attivarsi egli stesso, nell'ambito delle sue competenze, assumendo iniziative urgenti, anche sul piano normativo al fine di scongiurare il rischio che la mancata od imprecisa applicazione della normative determini un'alterazione della biodiversità dalla quale derivano i danni di cui in premessa. (5-00264)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ha dichiarato siti di interesse nazionale l'area industriale ex Liquichimica di Tito, in provincia di Potenza, e l'area industriale della Val Basento, in provincia di Matera;
   con decreto dell'8 luglio 2002 il Ministero ha proceduto, altresì, alla perimetrazione del sito di Tito, includendovi tutta l'area industriale per un estensione di 480 ettari, e con decreto del 26 febbraio 2003 ha individuato le aree da inserire nel perimetro del sito di interesse nazionale della Val Basento ricadenti nei comuni di Ferrandina, Pisticci, Grottole, Miglionico, Pomarico e Salandra;
   per effetto dell'intervenuta perimetrazione, le aree interessate, diversamente non utilizzabili, sarebbero dovute essere sottoposte ad interventi di caratterizzazione e messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale e ad attività di monitoraggio;
   la regione Basilicata ha redatto, tra il 2004 e 2005, i piani di caratterizzazione delle aree inquinate della Val Basento e di Tito con i quali sono state definite le misure di messa in sicurezza;
   nonostante le azioni avviate permane il grave stato di inquinamento dei siti;
   tale situazione desta allarme e preoccupazione sul futuro delle aziende e sulle attività produttive delle aree e ne condiziona qualsiasi progetto di rilancio produttivo;
   la situazione di inquinamento diffuso mette a repentaglio non solo lo sviluppo futuro delle aree industriali di Tito e della Val Basento, ma grava quotidianamente da anni sulla salute di centinaia di lavoratori che operano in quei luoghi e sulla salubrità degli insediamenti urbani limitrofi ai siti;
   è doveroso, quindi, che gli enti e i soggetti interessati attivino tutti gli interventi necessari per completare l'opera di risanamento avviata anche al fine di salvaguardare l'ambiente e la salute pubblica e mettano a disposizione le risorse necessarie per la definitiva bonifica delle aree e per il recupero produttivo dei siti di interesse nazionale di Tito e della Val Basento –:
   quale sia lo stato di avanzamento dei progetti di bonifica delle aree della Val Basento e dell'ex Liquichimica di Tito per avere contezza degli atti posti in essere fino ad oggi dagli enti e soggetti interessati con particolare riferimento alle iniziative urgenti che intende intraprendere a partire dal reperimento delle risorse necessarie per garantire il completamento del risanamento delle aree. (5-00265)


   MATARRESE, COMINELLI, CAUSIN e D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa e dal documento di analisi dell'ARPA di Brescia, redatto e sottoscritto dal direttore del dipartimento dottor Giulio Sesana, sembrerebbe che a Brescia insista, da anni, il caso dell'azienda Caffaro Srl stabilimento chimico responsabile, sino ad oggi, dello sversamento nel sottosuolo di sostanze altamente inquinanti (PCB);
   secondo quanto disposto dal decreto ministeriale ambiente 24 febbraio 2003, lo stabilimento di proprietà della Caffaro è inserito nei siti di interesse nazionale in quanto rappresenta un'area contaminata molto estesa e che necessita di bonifica del suolo che possa garantire la difesa dell'ambiente e della salute dei cittadini abitanti di quelle zone;
   le sostanze inquinanti avrebbero ormai contaminato anche le falde acquifere e i canali irrigui dei comuni limitrofi a Brescia, quali Capriano del Colle, Castelmella, Flero, e con ogni probabilità Poncarale e questo rappresenta, ormai, un evidente pericolo non solo per l'ambiente ma anche per la salute dei cittadini;
   secondo quanto espressamente affermato nel documento ARPA Brescia, al fine di appurare o di escludere l'eventuale contaminazione delle acque delle rogge, ed in particolare in relazione all'uso irriguo di tali acque, «...nella seconda metà del 2012 e inizio 2013 sono stati effettuati anche accertamenti sulle acque superficiali: i risultati indicano la presenza di PCB in concentrazione significativa, compresa fra 0,01 e 0,09 ug/L...» e «...rilevanti per entità»;
   secondo quanto riferito nell'articolo pubblicato sul Corriere della Sera della sera 9 aprile 2013 a firma Gorlani, lo stabilimento Caffaro sarebbe responsabile dello sversamento di «...tre etti al mese di PCB...»;
   l'Arpa, sia nell'anno 2008 che nell'anno 2013, avrebbe comunicato ufficialmente, e per quanto di competenza, alle autorità ed al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i risultati e le osservazioni circa la grave situazione di pericolosità ambientale rappresentata dal sito di interesse nazionale, Caffaro sia per il comune di Brescia che per i comuni limitrofi indicati in premessa;
   sembrerebbe che la bonifica del sito di interesse nazionale e dei comuni limitrofi interessati dall'inquinamento non sarebbe mai stata effettuata;
   come si evince dagli organi di stampa, il Ministero si sarebbe recato sul posto per indagare su eventuali responsabilità, competenze ad intervenire ed omissioni;
   secondo quanto disposto dall'articolo 252 del testo unico delle norme in materia ambientale n. 152 del 2006, ed in particolare dai punti 4) e 5), il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe la competenza ad intervenire. In particolare, così è disposto: 4. La procedura di bonifica di cui all'articolo 242 dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero delle attività produttive. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può avvalersi anche dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente delle regioni interessate e dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati. 5. Nel caso in cui il responsabile non provveda o non sia individuabile oppure non provveda il proprietario del sito contaminato né altro soggetto interessato, gli interventi sono predisposti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, avvalendosi dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), dell'Istituto superiore di sanità e dell'E.N.E.A. nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative intenda adottare conseguentemente. (5-00266)


   DE ROSA, TRIPIEDI, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sabato 10 luglio 1976, alle ore 12:37, dallo stabilimento Icmesa di Seveso, uscì una nube altamente tossica, composta da tetraclorodibenzo-p-diossina, «TCDD», che contaminò il comune di Seveso con 54 per cento del proprio territorio inquinato, Cesano Maderno il 52 per cento, Meda il 20 per cento e Desio il 18 per cento e costringendo la popolazione dei territori interessati al domicilio coatto in altri luoghi; l'emissione atmosferica provocò l'inquinamento di un'area di 1810 ettari;
   l'area colpita venne divisa in tre zone, A, B, R, a contaminazione del suolo decrescente;
   negli anni successivi al disastro si susseguirono interventi di bonifica e studi epidemiologici sulla popolazione residente, nonché studi di valutazione dei rischi per la stessa popolazione tra i quali si segnala quello del gruppo di lavoro costituito, tra gli altri, da fondazione Lombardia per l'ambiente e dai rappresentanti dei comuni di Seveso, Meda, Cesano Maderno e Desio che concludeva un lungo lavoro con la presentazione nel 2003 del rapporto «analisi di rischio relativa alla presenza di diossina residua nella zona b di Seveso»;
   confermando la presenza di diossina nei territori dei comuni sopracitati, mettendo alla luce una concentrazione (10 volte oltre il valore di legge) di diossine nel suolo in zona B;
   i comuni di Seveso, Meda, Desio, Cesano Maderno sono interessati dal progetto del Sistema viabilistico pedemontano lombardo per la costruzione di una nuova autostrada di 67 chilometri, che collegherà le province di Bergamo, Monza e Brianza, Milano, Como, Varese e tramite il completamento del sistema tangenziale di Varese Nord si congiungerà con il valico svizzero del Gaggiolo;
   il tracciato prevede inoltre successivi sbancamenti di terreni adiacenti la zona bonificata o in aree che recenti indagini hanno classificato ancora contaminate e non ancora bonificate;
   la società Pedemontana ha svolto tra aprile e giugno 2008 un piano di indagini preliminari sull'area ex-Icmesa a seguito delle prescrizioni del Cipe sul progetto preliminare che hanno confermato la presenza di diossina e pertanto furono disposte indagini integrative;
   detto piano non risulta tuttavia aver coinvolto il territorio del Comune di Desio, nonostante lo stesso sia ampiamente interessato dalla presenza di diossine;
   il piano di indagini integrative sull'area influenzata dall'incidente Icmesa è stato redatto nell'agosto 2008 ed è stato approvato dagli enti competenti in data 10 settembre 2008. Le indagini sono state eseguite nell'ottobre 2008; anche i risultati del «piano di indagini integrative» sono stati validati da Arpa e confermano la presenza di diossine e la loro concentrazione che in diversi casi ha superato il limite per le zone a verde e/o il limite industriale soprattutto in corrispondenza dello strato superficiale (0-15 centimetri);
   con l'approvazione del progetto definitivo, avvenuta durante la seduta del 6 novembre 2009, con delibera n. 97 del 2009 pubblicata sul supplemento ordinario n. 34 alla Gazzetta ufficiale n. 40 in data 18 febbraio 2010, il Cipe ha impartito nuove prescrizioni obbligatorie alle quali ottemperare durante la progettazione esecutiva e la fase di realizzazione tra cui la prescrizione n. 3 che recita testualmente:
    «Tratta B2 – in corrispondenza dell'interferenza del tracciato con le aree influenzate dall'incidente Icmesa dei comuni di Seveso, Meda, Cesano Moderno e Bovisio Masciago dovranno essere realizzate ulteriori indagini dettagliate sui terreni interessati da contaminazione da diossina, poiché nel corso delle indagini preliminari per la verifica della concentrazione residua sono stati riscontrati superamenti dei valori limite per questo parametro, ai fini della gestione secondo l'articolo 5 del decreto ministeriale 3 agosto 2005» le stesse aree sono interessate anche da altre prescrizioni: 11, 154, 156 e 208.
   è in corso la progettazione esecutiva e, prima della sua conclusione, devono essere esperite le indagini di cui alla prescrizione. Ad oggi non si ha alcuna notizia in merito alle risultanze di tali studi e si registra una crescente difficoltà nelle relazioni tra gli enti e la concessionaria;
   il Comune di Desio, il cui suolo è interessato per larga parte dalla presenze di diossine e che, inspiegabilmente, non è stato incluso tra i comuni destinatari delle prescrizioni di cui sopra ha fatto ufficiale richiesta (lettera al CIPE) di estensione delle indagini anche al proprio territorio comunale;
   destano particolare preoccupazione i recenti arresti dei i titolari di aziende lombarde specializzate nel movimento terra nei cantieri legati alle realizzande infrastrutture in Lombardia, come riportata sul portale www.repubblica.it, ed è evidente l'esigenza di garantire che il movimento terra legata alla realizzazione dell'opera avvenga nel pieno rispetto della normativa in materia di rifiuti –:
   se il ministro interrogato sia al corrente della forte concentrazione di diossine ed altre sostanze potenzialmente nocive per l'ambiente nel suolo e nel sottosuolo della zona interessata dal progetto dell'autostrada Pedemontana lombarda, avendo esercitato la propria azione di prevenzione prevista dall'articolo 304, 3 comma del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che consente ad esso di acquisire dall'operatore Società Pedemontana informazioni sull'entità del rischio per la salute a seguito dell'introduzione nel suolo di sostanze nocive per l'ambiente e se non ritenga, in via cautelare, avvalendosi eventualmente della collaborazione dell'ISPRA, di dover avviare il monitoraggio del suolo nel territorio del comune di Desio per individuare l'eventuale presenza di sostanze nocive e in modo da poter valutare con la più ampia cognizione di causa i potenziali rischi legati alla realizzazione dell'autostrada Pedemontana lombarda. (5-00267)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI, VALLASCAS, PINNA, CRISTIAN IANNUZZI, CORDA e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul litorale dunale di Badesi (Oristano) sono in corso ingenti lavori di natura edilizia in località Baia delle Mimose, nome del contiguo villaggio turistico realizzato nel corso degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso;
   in seguito a varie azioni legali (2011-2013) da parte delle associazioni ecologiste Amici della Terra e Gruppo d'intervento giuridico onlus, il servizio S.A.V.I. dell'assessorato della regione autonoma della Sardegna, con nota prot. n. 7354 del 3 aprile 2013, ha comunicato di aver richiesto al comune di Badesi anche con precedenti note protocollo n. 22067 del 29 settembre 2011 e n. 27517 del 25 novembre 2011 «la documentazione amministrativa e tecnica utile a verificare se le opere in questione debbano essere assoggettate alle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale e di Incidenza Ambientale, ai sensi del D. Lgs. 152/2006 e ss.mm.ii., della DGR 34/33 del 2012 e del decreto del Presidente della Repubblica 357/1997 e s.m.i.», significando la perdurante e plateale assoluta assenza di alcun preventivo svolgimento della procedura di verifica di assoggettabilità riguardo i lavori attualmente in corso;
   infatti, la realizzazione di «villaggi turistici di superficie superiore a 5 ha, centri residenziali turistici ed esercizi alberghieri con oltre 300 posti-letto o volume edificato superiore a 25.000 m3, o che occupano una superficie superiore ai 20 ha, esclusi quelli ricadenti all'interno dei centri abitati» (come quello in argomento) deve essere preceduta da positiva conclusione di procedura di verifica di assoggettabilità, ai sensi della direttiva n. 2011/92/UE (allegato II, punto 12, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni (articolo 20, allegati II e IV), delle legge regionale n. 1 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni (articolo 31) e deliberazione giunta regionale n. 24/24 del 23 aprile 2008 (allegato B), estesa a ampliamenti e/o modifiche al fine di verificarne gli impatti cumulativi, come da giurisprudenza costante (Corte di Giustizia CE, Sez. III, 25 luglio 2008, n. 142; Corte di Giustizia CE, Sez. II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07; Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2004, n. 4163; T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 febbraio 2012, n. 427; T.A.R. Sardegna, sez. II, 30 marzo 2010, n. 412);
   l'area rientra nel sito di importanza comunitaria – SIC «Foci del Coghinas» (codice ITB010004) ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE –:
   se il Ministro in oggetto sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda attivare per evitare che lo Stato sia coinvolto in un'eventuale ma molto probabile procedura di infrazione (articolo 258, Trattato U.E. versione unificata) per palese violazione delle direttive n. 92/43/CEE e n. 2011/92/UE. (4-00717)


   LODOLINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la combustione sul campo dei residui vegetali derivanti da lavorazione agricola e forestale si configura come illecito smaltimento dei rifiuti, seppur non pericolosi, sanzionato dall'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 con l'arresto da tre mesi a un anno o con un'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro, e che la pena detentiva aumenta nel caso d'illecito smaltimento di rifiuti pericolosi;
   con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, è diventato reato bruciare sterpaglie o rami in ogni stagione; in particolare l'articolo 13 del decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, modificando l'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, stabilisce che paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo forestale naturale non pericoloso, se non utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente o mettono in pericolo la salute umana, devono essere considerati rifiuti e come tali devono essere trattati;
   in precedenza, i regolamenti di pulizia rurale degli enti locali disciplinavano la pratica dei fuochi controllati in agricoltura, prevedendo il divieto di accendere fuochi solamente durante il periodo compreso tra il 15 giugno e il 15 ottobre di ogni anno;
   il decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010 sopra richiamato recepisce la normativa europea sui rifiuti, ed in particolare la direttiva 2008/98/CE, e trattandosi di direttiva comunitaria, obbliga al risultato, lasciando spazio all'iniziativa normativa di ogni Stato cui è diretta;
   va considerata la forte sensibilità ambientale del mondo agricolo e il contributo dato alla salvaguardia del patrimonio ambientale e paesaggistico contrastando l'abbandono dei terreni incolti e il dissesto idrogeologico;
   già molte imprese agricole hanno adottato pratiche per lo smaltimento dei residui colturali quali la trinciatura e l'interramento totale o parziale, il compostaggio, la raccolta e la valorizzazione energetica (caldaie e centrali a biomasse, biogas, syngas), dimostrandosi consapevoli degli aspetti negativi della combustione, quali la produzione d'inquinanti in atmosfera e la distruzione della struttura e della flora microbica del suolo;
   molti comuni stanno predisponendo isole ecologiche e centri di raccolta dove conferire i residui vegetali per poterli correttamente smaltire;
   è tuttavia riscontrabile come la pratica di bruciare i residui colturali sia tuttora ampiamente diffusa, non solo per la velocità con cui si consegue l'eliminazione dei residui agricoli, ma anche per alcuni oggettivi vantaggi che la pratica comporta, come la riduzione del carico di erbe infestanti e delle avversità biotiche sui terreni interessati;
   alcuni enti, come ad esempio la regione Marche, in un parere rilasciato alla provincia di Ancona sull'argomento (prot. N. 50026 del 25 marzo 2013), afferma che in determinate condizioni l'attività di abbruciamento risulta essere consentita, poiché individuata come ordinaria pratica agricola. Nel dettaglio la regione Marche fa ricorrere tale ipotesi nel caso in cui la bruciatura riguardi ramaglie di potature di colture arboree aziendali, quando sia finalizzata alla distruzione di forme svernanti di patogeni vegetali o fitofagi –:
   essendo auspicabile una modifica del decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, se intenda promuovere una rivisitazione del dettato normativo, prevedendo, in particolare:
    a) una revisione del divieto assoluto di fuochi in agricoltura;
    b) una correzione in modo meno sanzionatorio e afflittivo delle sanzioni penali e amministrative previste dall'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
    c) un'armonizzazione della normativa in materia, recependo, ad esempio, l'interpretazione fatta dalla regione Marche, che consente di utilizzare l'attività di abbruciamento, onde evitare fenomeni di contagio, in modo da addivenire ad una normativa più corretta e coerente con le buone pratiche agricole. (4-00720)


   PES e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Saras spa ha presentato nel giugno 2011, e regolarizzato ad agosto 2011, l'istanza di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale relativa alla «realizzazione di un pozzo esplorativo per la ricerca di idrocarburi nel permesso di ricerca denominato Eleonora»;
   il progetto prevede la realizzazione di un pozzo denominato Eleonora 1 Dir, della profondità di 2.850 metri, entro l'area del permesso di ricerca «Eleonora» che si estende su una superficie di circa 44.300 ettari nell'entroterra del Golfo di Oristano;
   il pozzo sarà realizzato con tecnica a rotazione e circolazione inversa di fanghi bentonitici e dopo i primi 450 metri verrà direzionato, con un angolo di deviazione di circa 30o dalla verticale, in modo da consentire il raggiungimento di cinque obiettivi minerari a profondità variabile, non allineati sulla stessa verticale ma traslati progressivamente verso NNE;
   il punto di intesto del pozzo è situato a circa 4,5 chilometri dall'abitato di Arborea e a circa 180 metri dal SIC ITB 030016 «Stagno di S'Ena Arrubia e territori limitrofi» e dalla ZPS ITB 034001 «Stagno di S'Ena Arrubia», la cui perimetrazione coincide con quella della zona umida di importanza internazionale IT 016 «Stagno di S'Ena Arrubia»;
   per l'allestimento del cantiere, che occupa una superficie di 570 metri quadri sono previsti la rimozione preliminare dello strato superficiale di circa 40 centimetri di terreno vegetale, la realizzazione di una pavimentazione superficiale costituita da uno strato di pietrisco costipato e rullato, la messa in opera delle opere civili (cantina, basamenti degli impianti, canalette di raccolta acque, e altro) oltre che l'installazione di impianti (torre di perforazione di altezza 45 metri, top drive, generatori elettrici, circuito fanghi, bacini di stoccaggio fanghi esausti, e altro);
   le operazioni di perforazione prevedono l'infissione nel suolo mediante battipalo di un tubo guida del diametro di 20 fino alla profondità di 50 metri o fino a rifiuto totale, la perforazione, all'interno del tubo guida, del primo tratto del pozzo fino a una profondità di 450 metri, successivo rivestimento con colonna da 13 3/8 (colonna di ancoraggio) e cementazione dell'intercapedine tra pareti del foro e superficie esterna della colonna, la perforazione del tratto intermedio del pozzo (da 450 metri a 1.550 metri), rivestimento con colonna da 9 5/8 e cementazione dell'intercapedine; la perforazione dell'ultimo tratto, da 1.550 metri a 2.850 metri, rivestimento con liner da 7 e cementazione;
   il paese di Arborea è il principale distretto agricolo e di allevamento bovino di tutta la Sardegna;
   vi sono circa 200 aziende e oltre 30.000 capi bovini che producono il 98 per cento del latte vaccino sardo per un giro d'affari di diverse centinaia di milioni di euro;
   la realizzazione del pozzo avrebbe un grosso impatto sull'economia locale;
   è nato un comitato civico per opporsi al «progetto Eleonora» che ha evidenziato da subito le carenze del progetto e la totale incompatibilità con la storia e l'identità di Arborea e di tutta la provincia di Oristano;
   una delibera dell'assessorato regionale all'industria del 2009 autorizzava la Saras spa ad ispezionare il territorio in esame;
   inizialmente la regione Sardegna non aveva ritenuto necessaria la valutazione di impatto ambientale;
   in seguito alle richieste e alle osservazioni pervenute al servizio SAVI da parte del comitato civico «no al Progetto Eleonora», di diverse associazioni ambientaliste, di centinaia di cittadini e di ProgReS Progetu Repùblica si è ritenuto di dover richiedere la valutazione di impatto ambientale;
   con delibera del 18 aprile 2012, infatti, la giunta regionale ha deciso di sottoporre alla procedura di valutazione di impatto ambientale l'intervento in questione, proprio «in considerazione delle criticità legate, principalmente, all'ubicazione dell'intervento in aree ad elevata sensibilità ambientale, con particolare riferimento al fatto che l'area di cantiere ricade all'interno della fascia costiera; è interna all'Oasi di protezione faunistica “S'Ena Arrubia” (istituita con decreto dell'ass. dif. ambiente n. 111 del 20 luglio 1978), si trova a meno di 150 metri da SIC, ZPS e aree umide Ramsar, è interna alla perimetrazione dell'IBA 218 “Sinis e stagni di Oristano”. Nondimeno è risultata critica la vicinanza dell'area di intervento a recettori sensibili (aziende, abitazioni, e altro), da cui il cantiere dista poche centinaia di metri»;
   il 7 maggio 2012 il comune di Arborea ha deliberato la propria opposizione al «progetto Eleonora» così come aveva fatto in precedenza l'amministrazione comunale di Marrubiu, consapevole del fatto che il territorio non è organizzato per compartimenti stagni e che eventuali danni al territorio di Arborea si sarebbero inevitabilmente riversati anche sui comuni limitrofi;
   con comunicazione del 27 marzo 2012 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiamava l'assessorato regionale e il comune di Arborea a fornire informazioni in merito alle possibili incidenze negative sullo stagno S'Ena Arrubia SIC-ZPS e zone limitrofe;
   il Ministro era già intervenuto in proposito con nota del 23 dicembre 2011 nella quale aveva chiesto rassicurazioni alla regione Sardegna e all'amministrazione comunale;
   come già evidenziato nella prima nota di dicembre, il Ministero scriveva che «in relazione ad eventuali alterazioni dello stato di conservazione del sito Stagno di S'Ena Arrubia, ipotizzabili come derivate dalla compromissione della falda freatica durante le attività di trivellazione, si sottolinea l'importanza di condurre un approfondito studio da parte della Società proponente di tutte le possibili interferenze indirette nei confronti dei siti Natura 2000 presenti»;
   inoltre, il Ministro ha ricordato che la zona riceve dei finanziamenti (progetto LIFE) per scopi ambientali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga che la realizzazione di un pozzo esplorativo per la ricerca di idrocarburi nel permesso di ricerca denominato Eleonora possa recare grave pregiudizio ai siti Natura 2000 interessati dal progetto;
   se sia sua intenzione porre in opera tutte le iniziative di competenza necessarie per tutelare le aree ad elevata sensibilità ambientale interessate dal progetto «Eleonora» anche in considerazione delle numerosi procedure di infrazione aperte dall'Unione europea in materia ambientale. (4-00725)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BATTELLI, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA e D'UVA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una delibera commissariale della SIAE, datata 15 novembre 2011, in presunta conformità al mandato presidenziale di risanamento economico della società, ha modificato il Fondo di solidarietà, interrompendo dall'oggi al domani l'erogazione degli assegni di professionalità dell'importo di 615 euro mensili;
   gli autori italiani avevano acquisito il diritto agli assegni di professionalità, accantonando i loro soldi versati negli anni con il 4 per cento dei proventi maturati;
   da decenni gli autori considerano i sussidi erogati dal Fondo di solidarietà un diritto acquisito, sul quale contare per compensare in età avanzata la mancanza di regolari entrate da lavoro – comunque precario ad ogni età – o l'assenza di pensione, a volte impossibile da ottenere per la difficoltà di raggiungere i requisiti per l'accesso alle prestazioni previdenziali;
   la condizione di insicurezza economica riguarda la stragrande maggioranza dei beneficiari del Fondo di solidarietà e, con la firma della delibera, il loro diritto ad un sostegno economico, per altro piccolo, è stato totalmente cancellato con effetto immediato. Con esso la polizza assicurativa collettiva collegata al Fondo;
   si tratta di autori di musica, teatro, radio, cinema, televisione, ma anche di vedove e orfani di professionisti che hanno fatto la storia della cultura e dello spettacolo italiani; ci sono anziani e disabili; alcuni sono personaggi noti ancora sulla cresta dell'onda, tanti sono coloro in prossimità di uscire dal mercato del lavoro;
   gli «artisti», si erano organizzati attraverso la Siae, che tratteneva una percentuale dai diritti d'autore costituendo un Fondo di solidarietà, alimentato in maniera più consistente dai più fortunati, per garantire un piccolo assegno mensile per gli anni più difficili, perché il mestiere dell'autore è fatto di alti e bassi; in tal modo sono riusciti ad accantonare ben 87 milioni di euro; considerato che il fondo che si erogava ammontava a circa 10 milioni di euro all'anno, erano disponibili fondi per la copertura di 9 anni, anche sufficienti nella gradualità per eventuali allargamenti della platea dei richiedenti;
   inoltre, gli autori criticano duramente che sia la sola gestione commissariale a decidere il nuovo utilizzo dei circa 87 milioni del Fondo di solidarietà, in quanto questi soldi, frutto del versamento di una percentuale dei diritti di ogni autore (il 4 per cento) e di ogni editore (il 2 per cento), a scopo solidaristico, debbano essere per decisione commissariale solo parzialmente usati a tale scopo e per il resto genericamente utilizzati a «favore degli autori»;
   sarebbe senz'altro più opportuno che spettasse a chi, per imposizione statutaria, ha versato questi soldi, decidere se chiederne la restituzione o stabilirne un differente e dettagliato utilizzo;
   pur comprendendo e condividendo le finalità di «risanamento e rifondazione» della SIAE contenute nel mandato presidenziale e concordando che il regolamento del Fondo vada riformato per non contravvenire alle leggi normative delle casse previdenziali, si contesta l'affermazione della gestione commissariale che l'erogazione dei sussidi, una volta estesa a tutti gli autori professionisti, non sia sostenibile dal Fondo stesso e dunque dannosa per la SIAE;
   la questione è stata a lungo vagliata da un comitato di autori ed esperti, in precedenza incaricato della stesura di un nuovo regolamento per il Fondo; regolamento oggi non accettato dagli organi di vigilanza, nonostante i loro rappresentanti seduti nel consiglio di amministrazione, per anni abbiano condiviso le discussioni sull'argomento senza mai sollevare eccezioni di illegittimità;
   sarebbe auspicabile che si tenga conto delle indicazioni fornite da questo regolamento, efficace in senso economico e rispettoso della finalità di mutua assistenza, per cui autori più fortunati offrono sostegno a colleghi professionisti, nella comune consapevolezza che si tratta di un lavoro precario e sempre suscettibile di alterne fortune; in attesa, ovviamente, che anche per gli autori arrivi finalmente il tempo di una legge che ne garantisca ammortizzatori sociali e welfare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione esposta in premessa e di come intendano adoperarsi affinché venga annullata la delibera relativa al Fondo di solidarietà e sia restituita validità al vigente regolamento finché organi sociali democraticamente eletti non provvedano tempestivamente alle modifiche più opportune, anche perché la SIAE ritorni al più presto alla gestione ordinaria, durante la quale le esigenze e i diritti degli autori vengano rispettati. (5-00255)


   BOSSA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   tre appalti aggiudicati per i lavori nell'area archeologica di Pompei presentano ribassi che superano il 50 per cento;
   una gara riguarda i lavori di consolidamento e restauro della Casa dei Dioscuri, e aveva uno stanziamento di circa un milione e mezzo di euro; questa secondo quanto comunicato dalla Sovrintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 del 18 marzo 2013, è stata aggiudicata alla impresa Perillo Costruzioni generali con un ribasso del 52,11 per cento;
   un'altra gara riguarda lavori di consolidamento e restauro per la Casa del Criptoportico, con uno stanziamento di circa 560 mila euro; anche in questo caso secondo quanto comunicato dalla Sovrintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 del 18 marzo 2013, è stata aggiudicata alla impresa Perillo Costruzioni generali con un ribasso del 56,70 per cento;
   una terza gara è stata aggiudicata in questi giorni; riguarda i lavori di consolidamento e restauro delle strutture della Casa di Sirico; importo complessivo euro 1.243.326,33; aggiudicataria, anche in questo caso, la Perillo Costruzioni generali srl, con un ribasso del 54,950 per cento;
   ribassi così consistenti generano preoccupazione rispetto alla capacità di garantire lavori di qualità; l'intervento su Pompei, infatti, non è un'opera pubblica qualunque; si tratta di consolidamenti e restauro di pezzi straordinari del nostro patrimonio archeologico;
   la preoccupazione dei sindacati, in modo particolare della Fillea-Cgil, è che, per rispettare ribassi così pesanti, si possa realizzare anche un risparmio sul lavoro e sulla sicurezza –:
   se non ritenga che ribassi di tale portata su appalti così delicati possano comportare il pericolo di un abbassamento della qualità e della cura dei cantieri di Pompei che si andranno ad aprire;
   se non ritenga di assumere iniziative, e quali, per garantire ai cantieri qualità e cura, oltre che sicurezza e legalità sul lavoro. (5-00269)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

V Commissione:


   MARCHI, CAUSI e VERINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il patto di stabilità interno per gli enti locali è attualmente disciplinato dall'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, come successivamente modificato ed integrato dall'articolo 1, commi 428-447, della legge di stabilità per il 2013;
   il rispetto del patto di stabilità per gli enti locali consiste nel raggiungimento di uno specifico obiettivo di saldo finanziario – calcolato quale differenza tra entrate e spese finali, comprese dunque le spese in conto capitale, con l'eccezione di alcune voci – espresso in termini di competenza mista;
   nel corso della legislatura i meccanismi di calcolo degli obiettivi di saldo sono stati rivisti più volte: mentre nella prima parte della legislatura, il saldo obiettivo di ciascun ente è stato rapportato al saldo finanziario raggiunto dall'ente medesimo in un esercizio precedente, a partire dal 2011, con la legge n. 220 del 2010, gli obiettivi sono stati ancorati alla capacità di spesa di ciascun ente locale, corrispondente al livello di spesa corrente mediamente sostenuto in un triennio, criterio che ha reso ancor più stringenti ed impegnativi gli obiettivi da raggiungere;
   in particolare, per gli anni dal 2013 al 2016, il saldo obiettivo viene determinato, per ciascun ente, applicando alla spesa corrente media da esso sostenuta nel triennio 2007-2009 – così come desunta dai certificati di conto consuntivo – determinati coefficienti, fissati in maniera differenziata per le province e i comuni;
   ai fini della determinazione dell'obiettivo per ciascun anno, quindi, la normativa vigente prevede che sia considerata la spesa registrata nei conti consuntivi senza alcuna esclusione;
   l'assenza di un maggiore dettaglio nella tipizzazione delle spese da prendere in considerazione ai fini del rispetto del patto determina una situazione paradossale nel caso degli enti locali che gestiscono funzioni e servizi in maniera associata, poiché, come espressamente previsto in alcune circolari del Ministero dell'economia e delle finanze, «dalle spese sostenute dall'ente capofila della gestione medesima non è esclusa la quota di spesa gestita per conto degli altri enti locali»;
   l'applicazione di questa disposizione ha determinato in moltissimi casi il mancato rispetto degli obiettivi del patto da parte degli enti capofila con conseguente taglio dei trasferimenti e difficoltà, se non impossibilità, di approvazione dei bilanci;
   è evidente la «schizofrenia» di un sistema normativo che, da un lato obbliga gli enti locali all'utilizzo delle forme associative per la gestione di servizi e funzioni e, dall'altro, penalizza in termini finanziari l'ente capofila di quelle gestioni –:
   se il Governo intenda intervenire per superare questa paradossale penalizzazione di alcuni enti locali con una iniziativa normativa che escluda dalle spese correnti del comune capofila quelle effettuate per conto degli altri comuni. (5-00260)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 31, commi 45 e seguenti, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 – legge finanziaria del 1999 – ha dato la facoltà ai comuni di cedere in proprietà le aree comprese nei Peep (Piani di edilizia economica e popolare), già concesse in diritto di superficie, agli attuali proprietari degli alloggi;
   in particolare la disposizione prevede, per gli assegnatari delle aree in superficie, l'opportunità di ottenere la pienezza del diritto di proprietà dell'immobile posseduto e di disporre del medesimo senza più alcun vincolo e condizionamento giuridico; per tale fattispecie il corrispettivo da pagare al comune è determinato entro il 31 marzo di ogni anno dalla giunta comunale secondo determinati criteri e parametri;
   la legge 24 dicembre 2007, n. 244 – legge finanziaria 2008 – (articolo 2, comma 89), novellando i commi 1 e 2, dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, ha successivamente introdotto nuovi parametri per la determinazione del corrispettivo;
   la Corte dei conti (con sentenza n. 22/CONTR/11 del 14 aprile 2001), pur promuovendo una applicazione agevolata, uniforme ed indifferenziata della cessione delle aree comprese nei Peep, ha confermato tale rideterminazione del corrispettivo;
   l'applicazione di tali parametri, la cui interpretazione consente comunque una autonomia da parte delle singole amministrazioni comunali rispetto alle indicazioni degli uffici competenti (come ad esempio la rivalutazione in base agli indici Istat), sta creando alcune criticità consistenti nelle molteplici differenziazioni dei corrispettivi da pagare;
   le differenziazioni dei corrispettivi, oltre a generare gravi disparità di trattamento economico fra i cittadini rispetto alla tempistica di richiesta del riscatto ed alla residenza (oltre a ricorsi nei tribunali competenti), stanno di fatto bloccando e rallentando numerose pratiche di cessione;
   in alcuni pronunciamenti delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emerge chiaramente sia la necessità di agevolare l'adesione dei cittadini all'operazione di «riscatto», cercando di contenere il prezzo da pagare ai comuni, sia la necessità di rispettare un'esigenza di equità, evitando disparità di trattamento tra i cittadini (cioè tra coloro che già anno proceduto al riscatto e coloro che intendono farlo in futuro), cercando di garantire nel tempo uniformità nella determinazione del prezzo del riscatto;
   tale situazione di incertezza sta inoltre creando un mancato introito per alcune amministrazioni comunali, già colpite dalle recenti e ingenti riduzioni dei trasferimenti da parte dello Stato;
   sarebbe auspicabile, anche in relazione alla crisi economica ed occupazionale che sta investendo il nostro Paese e per promuovere il diritto all'abitazione, addivenire ad una definizione di criteri uniformi, su tutto il territorio nazionale, che possa agevolare l'acquisto degli alloggi nelle aree comprese nei Peep, risolvendo il problema delle domande che ad oggi risultano bloccate ed impedendo di fatto alle singole amministrazioni comunali interpretazioni difformi della norma in oggetto;
   il Governo nella XVI Legislatura ha accolto un ordine del giorno (9/5534-bis-B/3) che lo impegna a valutare l'opportunità, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, di rivedere i parametri normativi relativi alla cessione delle aree Peep, per promuovere una applicazione agevolata uniforme ed indifferenziata, nelle diverse realtà territoriali, per l'acquisto in piena proprietà delle aree in oggetto, da parte dei soggetti già titolari di diritto di superficie delle stesse –:
   se non ritenga opportuno assumere, alla luce di quanto esposto in premessa, un'iniziativa normativa urgente volta a rimodulare i parametri normativi relativi alla cessione delle aree comprese nei piani di edilizia economica e popolare, al fine di applicare la normativa in modo uniforme ed indifferenziato, in tutte le realtà territoriali. (5-00259)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 marzo 1996, n. 108, attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze la funzione di rilevare trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale;
   i rilievi in questione sono classificati per categorie omogenee di operazioni, tenuto conto della natura, dell'oggetto, dell'importo, della durata, dei rischi e delle garanzie;
   fino al 31 dicembre 2012 gli intermediari finanziari che hanno effettuato le comunicazioni alla Banca d'Italia sono 197, mentre gli istituti bancari sono 32.881;
   il limite, di cui al terzo comma dell'articolo 644, oltre il quale gli interessi sono qualificati usurai, è dato dal tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, relativo alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali;
   nonostante i rilievi vengano effettuati da numerose banche ed intermediari finanziari e considerata anche l'estrema volatilità dei mercati in questo periodo di crisi, si rileva che per alcune categorie di operazioni sono stati rilevati i medesimi valori in relazione a più trimestri distanziati nel tempo; ad esempio nel 2005, per la categoria dei tassi variabili a distanza di due trimestri, si ripresentano gli stessi valori al centesimo (3,86); lo stesso dicasi nel 2007 per la categoria dei tassi fissi, dove il tasso rimane praticamente del 6,630 per ben due trimestri;
   in data 27 marzo 2013, il Ministero dello sviluppo economico ha inviato una nota al governatore della Banca d'Italia, professor Ignazio Visco, con la quale ha chiesto chiarimenti sulla stabilità del valore del tasso medio e sui controlli effettuati dalla Banca d'Italia in merito alle comunicazioni degli intermediari dei tassi medi ai fini della legge 7 marzo 1996, n. 108;
   nella suddetta nota si riteneva infatti quanto meno bizzarro, da un punto di vista matematico e statistico, che il tasso calcolato dalla Banca d'Italia sulla media di cinquanta comunicazioni, risulti identico al centesimo, nella stessa categoria di credito per più di due, tre trimestri consecutivi –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative per valutare, per quanto di competenza, la congruità e l'attendibilità dei tassi medi comunicati dalle banche e dagli intermediari. (4-00729)


   BIONDELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ex direttore generale della Banca d'Italia dottor Fabrizio Saccomanni, oggi Ministro dell'economia e delle finanze, nel corso dell'incontro tenutosi l'11 aprile 2013, aveva sottoposto alle organizzazioni sindacali aziendali un nuovo progetto di riorganizzazione della rete periferica che prevedeva la chiusura, nel biennio 2014-2015, di ben 23 delle 25 filiali specializzate nei servizi all'utenza, nonché il riassorbimento (chiusura) presso le sedi regionali anche delle 6 divisioni delocalizzate di vigilanza coinvolgendo così la vita lavorativa di quasi 600 lavoratori;
   a seguito del prospettato intervento, che segue quello già deciso nel 2007 e conclusosi nel 2011, la Banca d'Italia manterrebbe in sostanza la propria presenza nei soli capoluoghi di regione smentendo così la riorganizzazione appena conclusa, voluta dall'ex governatore Draghi, e mettendo in discussione l'obiettivo della crescita qualitativa e quantitativa dei servizi offerti alla collettività;
   secondo gli impegni assunti nel 2007 in materia di potenziamento dei compiti e delle funzioni della rete periferica, era naturale aspettarsi un progetto di rafforzamento dei presidi territoriali in comparti particolarmente delicati quali quelli del credito e della finanza;
   il rischio di una crescita di fenomeni come l'usura, il pericolo di possibili infiltrazioni criminali nell'economia, la mala gestione dell'attività di recupero crediti e di quella di intermediazione creditizia e finanziaria, nonché il cruciale ruolo che un presidio efficace e tempestivo dei meccanismi del credito e della finanza può avere per le piccole e medie imprese che con grandissima fatica cercano di superare questa congiuntura negativa dovrebbero condurre ad un rafforzamento degli organismi di controllo e vigilanza e non ad un loro ridimensionamento come previsto dall'attuale piano appena presentato;
   la regione Piemonte, ha già subito, con il precedente piano, la chiusura delle filiali di Alessandria, Asti, Vercelli (comprendente anche la provincia di Biella), la chiusura della filiale di Cuneo e la trasformazione in unità delocalizzata specializzata nella vigilanza bancaria e finanziaria nonché la trasformazione della filiale di Novara (comprendente anche la provincia di Verbania) in filiale specializzata nei servizi all'utenza;
   a seguito del nuovo intervento si tratterebbe non solo di chiudere le sedi di Cuneo e Novara, ma verrebbero a cessare i servizi oggi resi al pubblico sul territorio quali: l'informazione sui dati della centrale di allarme interbancaria; accesso ai dati della centrale dei rischi; esposti in materia di servizi bancari e finanziari; di pagamento ed emissione dei vaglia cambiari; cambio delle banconote e delle monete; esame delle banconote sospette di falsità; consultazione di documenti storici; i servizi relativi all'arbitro bancario finanziario, nonché le funzione di tesoreria dello Stato (attualmente per le province di Novara, Biella, Verbania e Vercelli) –:
   se il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza al fine di salvaguardare i livelli occupazionali, in particolare sul territorio della regione Piemonte già fortemente sacrificata dal precedente piano di riordino. (4-00731)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NASTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'11 aprile 2013, con una lettera inviata al direttore dell'Istituto penitenziario di Novara, il segretario provinciale del Sinappe-Sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria di Novara, ha evidenziato la necessità di potenziare l'organico della polizia penitenziaria, in considerazione di una situazione di difficoltà che persiste da circa dieci anni, causata dell'elevata quantità di lavoro amministrativo e ordinario della segreteria;
   alla suesposta richiesta, confermata da parte dell'amministrazione, non è seguito nella fase successiva un comportamento corretto e idoneo dello svolgimento dell'attività volta ridurre il volume delle pratiche arretrata da parte di uno degli agenti di polizia penitenziaria chiamato a sostenere il lavoro della segreteria, il quale secondo quanto sostiene il segretario provinciale del Sinappe di Novara, anziché svolgere mansioni di segreteria ad egli assegnate, ha invece svolto compiti di tipo ordinario;
   tale condotta dello stesso operatore temporaneamente preposto, non sembra essere nuova secondo quanto risulta dalla medesima lettera, avendo infatti già in altre occasioni egli stesso, manifestato comportamenti difformi rispetto a quanto gli era stato attribuito, a cui si aggiunge anche una pratica di congedo straordinario non prevista, con le conseguenze della violazione dell'accordo locale sulla mobilità;
   il contenuto della risposta da parte del direttore dell'Istituto penitenziario di Novara, a seguito di quanto notificatogli dal medesimo sindacato sulla violazione degli accordi del personale applicato presso la segreteria, appare all'interrogante tuttavia essere in contraddizione rispetto ai rilievi critici espressi dal rappresentante sindacale, in considerazione che secondo la direzione dell'amministrazione del carcere novarese, attraverso una nota del 13 aprile 2013, l'operatore addetto temporaneamente all'ufficio di segreteria, stava svolgendo un semplice controllo sul sistema SGP1, (la banca dati per la gestione dei dati di tutto il personale, il cui accesso richiede una specifica formazione autorizzata) non ravvisando pertanto alcuna violazione degli accordi intrapresi e precedentemente riportati;
   la controreplica del segretario provinciale Sinappe, a seguito di quanto sostenuto dalla direzione dell'Istituto penitenziario suindicato, è apparsa ulteriormente critica e di netta contrarietà in considerazione che a giudizio del sindacato, per l'accesso al sistema SGP1, occorrono specifici corsi e autorizzazioni che necessitano oltre ad una apposita autorizzazione ministeriale, anche l'assegnazione di credenziali di accesso, (username password) e che pertanto il comportamento dell'operatore addetto temporaneamente alla segreteria, appariva di evidente irregolarità e di mancato rispetto dei regolamenti allo scopo previsti;
   a giudizio dell'interrogante, quanto suesposto dimostra un evidente stato di tensione e di ostilità nell'ambito dell'esercizio del funzionamento e dell'osservanza delle competenze previste all'interno del carcere di Novara, fra gli esponenti della polizia penitenziaria, il sindacato Sinappe e la dirigenza dello stesso istituto penitenziario;
   quanto si evince dalla corrispondenza, a parere dell'interrogante, evidenzia infatti una mancanza di serenità nello svolgimento di un'attività professionale le cui caratteristiche considerando l'ambiente in cui si svolge che sono di per sé già difficili e rischiose, necessitano di azioni volte a migliorare il livello di efficienza e che pertanto l'assenza di uno spirito di collaborazione fra i diversi reparti preposti all'interno della casa circondariale di Novara, dimostra come possa pregiudicarsi il regolare andamento dell'attività lavorativa;
   le ulteriori osservazioni indicate dalla dirigenza del medesimo istituto penitenziario, secondo le quali è necessario l'utilizzo del sistema SGP1 da parte del personale temporaneamente preposto all'ufficio di segreteria, per ridurre le pratiche arretrate di malattia arretrate da circa dieci anni, come previsto dalle disposizioni ministeriali, non sembrano inoltre, a giudizio dell'interrogante accertare la correttezza e l'osservanza delle norme previste, nonché l'esatta dinamica di quanto sia realmente accaduto e precedentemente esposto) –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se sia a conoscenza della situazione conflittuale esistente all'interno dell'istituto penitenziario di Novara, fra la direzione amministrativa ed i rappresentanti della polizia penitenziaria e se pertanto non ritenga avviare un'indagine ministeriale al fine di stabilire con esattezza lo svolgimento di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga infine opportuno prevedere in considerazione dell'elevata quantità di pratiche e documenti che sono in attesa di essere espletate da diversi anni, a causa dell'organico del personale evidentemente insufficiente, un potenziamento del corpo di polizia penitenziaria all'interno del carcere novarese, al fine di evitare il ripetersi di avvenimenti come quello esposto in premessa che dimostrano come le condizioni generali dell'intero sistema delle carceri italiane necessitano una profonda rivisitazione delle politiche d'intervento di sostegno e di maggiore efficienza a livello nazionale. (5-00272)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ALBANELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   basta leggere quanto scrive, nell'ultima relazione letta per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, il presidente della corte d'appello di Catania Alfio Scuto, proprio in tema di tribunale lavoro, per rendersi conto del livello di degrado cui si è arrivati;
   nella sezione lavoro del tribunale di Catania si mantiene la condizione di assoluta inadeguatezza del numero di magistrati addetti. Infatti, l'organico è composto da dieci unità, ma, allo stato, sono effettivi solo sei. Tutto questo è accentuato dal trasferimento ad altri uffici giudiziari di ben tre unità e dal collocamento in quiescenza, nel dicembre 2001, del presidente titolare;
   permane senz'altro la situazione di estrema urgenza in cui operano i singoli magistrati addetti all'ufficio, essendo questo caratterizzato con evidenza da un carico lavorativo che può senz'altro definirsi assolutamente intollerabile;
   nello specifico dalla relazione del presidente Scuto emerge che sono pendenti oltre 10.000 procedimenti per quanto riguarda il settore lavoro, mentre in materia di previdenza la pendenza è di oltre 12.000 procedimenti; in queste condizioni una causa di lavoro dura in media sette anni;
   questo comporta gravi problemi ai lavoratori licenziati, ai precari e a tutti coloro che si rivolgono alla giustizia per vedere affermati i loro diritti, in quanto nel frattempo, non hanno di che sopravvivere –:
   stante la situazione di grande criticità, quale soluzione intenda fornire il Governo e se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia integrato l'organico della sezione lavoro del tribunale di Catania. (4-00715)


   BIONDELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con i due decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012, il Governo – a fini di riduzione della spesa e di miglioramento dell'efficienza del sistema giustizia – ha dato attuazione alla delega conferitagli dalla legge n. 148 del 2011 per la revisione della geografia giudiziaria;
   con il decreto n. 155 si procede alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie e si detta la nuova organizzazione degli uffici giudiziari di primo grado sopprimendo 31 tribunali, mentre con il decreto n. 156 si opera analoga riorganizzazione in relazione agli uffici del giudice di pace, riducendone significativamente il numero;
   con la finalità di realizzare risparmi di spesa ed incremento di efficienza, l'articolo 1 della legge n. 148 del 2011 ha delegato il Governo a rivedere la geografia giudiziaria in modo da realizzare unariduzione complessiva degli uffici giudiziari sul territorio secondo i principi e criteri qui sotto elencati:
    a) riduzione degli uffici giudiziari di primo grado, fatti comunque salvi i tribunali ordinari attualmente esistenti nei comuni capoluogo di provincia;
    b) ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici giudiziari, eventualmente trasferendo territori dall'attuale circondario a circondari limitrofi, anche al fine di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane. A tal fine il Governo doveva tener conto di «criteri oggettivi e omogenei» che comprendesse alcuni parametri (estensione del territorio, numero degli abitanti, carichi di lavoro, indice delle sopravvenienze, specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, presenza di criminalità organizzata);
    c) ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici requirenti, con la possibilità di accorpare più uffici di procura indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali;
    d) soppressione ovvero riduzione delle 220 sezioni distaccate di tribunale;
    e) riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale, caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni;
    f) garanzia che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello comprendesse non meno di tre degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica;
    g) disciplina relativa alla destinazione del personale di magistratura e amministrativo in servizio presso uffici giudiziari di primo grado soggetti alla riorganizzazione territoriale;
    h) regole specifiche per la riorganizzazione territoriale degli uffici del giudice di pace. In particolare, si tratta: della riduzione degli uffici dislocati in sede diversa da quella circondariale, da operare tenendo in specifico conto, in coerenza con i criteri generali, dell'analisi dei costi rispetto ai carichi di lavoro; della riassegnazione del personale amministrativo in servizio presso gli uffici soppressi; della possibilità per gli enti locali di ottenere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, facendosi carico delle relative spese;
    i) divieto di maggiori oneri per la finanza pubblica;
   esistono ben 12 ricorsi alla Corte costituzionale, che sostengono l'illegittimità della legge-delega e i decreti attuativi della stessa;
   per quanto riguarda la regione Piemonte, forse la regione più penalizzata da questa riforma, la riorganizzazione ha previsto la soppressione di 5 tribunali e di 7 sezioni distaccate generando forte preoccupazione sia nell'opinione pubblica che negli addetti ai lavori per le eventuali ripercussioni negative sull'intero «sistema giustizia» che è e dovrebbe rimanere uno dei cardini della convivenza civile;
   in particolare, il tribunale di Novara, per il quale sono stati compiuti in questi anni investimenti economici di notevole entità e dove addirittura era stato chiesto il riconoscimento di sede di corte d'appello, verrebbe fortemente limitato con grave nocumento per la sicurezza territoriale della stessa provincia e della stessa città di Novara vista l'importanza dei fenomeni delinquenziali e criminali che si manifestano sul suo territorio dovuti anche alla presenza di realtà «familiari» che aggrediscono il tessuto sociale ed imprenditoriale sano –:
   se il Ministro interrogato, visti i ricorsi pendenti presso la Corte costituzionale e alla luce delle forti preoccupazioni generate dall'attuazione dei decreti legislativi n. 155 e n. 156, non ritenga opportuno assumere iniziative normative per far slittare l'operatività della riforma prevista per il 13 settembre 2013;
   se il Ministro, per quanto riguarda la regione Piemonte, non ritenga opportuno predisporre iniziative normative per una modifica alla riorganizzazione geografica dell'assetto organizzativo dei tribunali, in particolar modo evitando la forte penalizzazione del territorio novarese che si vedrebbe così esposto in futuro ad una sempre maggiore presenza della criminalità a tutto discapito di una realtà produttiva, sociale ed economica che, seppur in difficoltà, presenta i caratteri di una sana vivibilità. (4-00726)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAESTRI, DAL MORO e ZARDINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 19/2009 il CIPE ha approvato il progetto preliminare del raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia (cosiddetta «Pontremolese») prendendo atto del carattere prioritario del lotto Parma-Osteriazza, a sua volta suddiviso in tre sub lotti funzionali (Parma-Vicofertile, Vicofertile-Collecchio, Collecchio-Osteriazza), e ha assegnato 234,6 milioni di euro per la realizzazione del primo sub lotto Parma-Vicofertile, la predisposizione del cui progetto definitivo è stata affidata ad RFI;
   nella seduta del 26 maggio 2010 delle Commissioni riunite VIII e IX, con l'approvazione della risoluzione 8-00068, il Governo si è impegnato a finanziare l'intervento di raddoppio della linea ferroviaria «Pontremolese» per successivi lotti funzionali al fine di pervenire al completamento della stessa in tutte le sue parti ancora da realizzare;
   ottemperando a quanto previsto dal decreto-legge n. 98 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, che aveva stabilito la revoca dei finanziamenti concessi alle opere che entro il 31 dicembre 2011 non avessero ancora prodotto obbligazioni vincolanti verso terzi, a seguito della dichiarazione di RFI di non cantierabilità immediata dell'opera, il CIPE, nella seduta del 20 gennaio 2012 ha revocato il finanziamento precedentemente concesso e destinato le risorse ad altri interventi;
   nelle settimane e nei mesi successivi le istituzioni locali interessate dalla realizzazione dell'opera hanno espresso forte preoccupazione per il definanziamento della stessa che rientra tra gli interventi funzionali al completamento del corridoio intermodale Tirreno-Brennero;
   il completamento di detto corridoio intermodale prevede anche il potenziamento dell'asse ferroviario Parma-Verona;
   nelle scorse settimane CEPIM spa e la società Tirreno-Brennero S.r.l. hanno presentato pubblicamente uno studio sul traffico merci nel nodo Parma-Verona e, ribadendo l'importanza di giungere quanto prima al potenziamento della direttrice ferroviaria in questione, hanno proposto di anticipare al potenziamento della tratta Parma-Verona via Suzzara-Poggio Rusco che necessiterebbe di interventi infrastrutturali radicali e onerosi (circa 700 milioni di euro) l'elettrificazione del segmento ferroviario via Piadena-Mantova;
   lo studio commissionato evidenzia che il potenziamento di questa tratta (elettrificazione dei 40 chilometri di ferrovia tra Parma e Piadena) comporterebbe un investimento di circa 80 milioni di euro e consentirebbe di ridurre i tempi di percorrenza di oltre 30 minuti rispetto alla direttrice Parma-Suzzara-Poggio Rusco –:
   quale sia lo stato di redazione e approvazione del progetto definitivo del primo sub lotto Parma-Vicofertile dell'intervento di raddoppio della linea ferroviaria «Pontremolese» e quali siano gli intendimenti del Governo circa il reintegro dei 234,6 milioni di euro già stanziati per il potenziamento del primo sub lotto in parola;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della proposta di potenziamento del nodo ferroviario Parma-Verona via Piadena-Mantova e quali siano i suoi orientamenti in proposito. (5-00256)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto preliminare della tangenziale est esterna di Milano (TEM) ha ottenuto nel luglio 2005 l'approvazione del CIPE, tra le opere previste dalla legge obiettivo n. 443 del 2001;
   nel novembre 2007 è stato definito l'accordo di programma per la realizzazione della TEM, che prevede anche il potenziamento del trasporto pubblico collettivo, quale, tra l'altro, il prolungamento delle linee metropolitane MM2 e MM3;
   ad oggi, risulta in corso la progettazione definitiva della TEM e delle opere ad essa connesse a carico del concessionario (opere di tipologia A), mentre restano allo stadio di fattibilità le opere di tipologia B e C;
   relativamente al trasporto collettivo, risulta svolta la revisione dei progetti preliminari dei prolungamenti delle linee metropolitane MM2 e MM3 verso Vimercate e Paullo; tali progetti, però, non hanno tuttora ricevuto l'approvazione del CIPE ed i conseguenti finanziamenti;
   la regione Lombardia e tutti gli enti locali della zona interessata si sono adoperati per ribadire l'importanza della realizzazione di tutte le opere previste nell'accordo di programma;
   l'area metropolitana milanese e la provincia di Monza e Brianza, tra le aree più popolate ed urbanizzate d'Europa, soffrono di gravissimi problemi di inquinamento dovuti all'eccessivo utilizzo di autovetture ed alla mancanza cronica di mezzi di spostamento alternativi;
   la zona è fortemente industrializzata ed è sede di numerose multinazionali;
   nel 2015 a Milano ed in Lombardia si terrà l'Expo, con la previsione di milioni di visitatori che andranno ad utilizzare il sistema infrastrutturale milanese; è dunque necessario agire in modo tempestivo affinché le opere previste vengano approvate e finanziate in tempi brevi –:
   se il Ministro non intenda adoperarsi affinché venga rispettato integralmente l'accordo di programma di cui alle premesse e vengano dunque approvate, finanziate e realizzate in tempi rapidi tutte le opere infrastrutturali previste in tale accordo, ed in particolare i prolungamenti delle linee metropolitane MM2 e MM3, assumendo le iniziative necessarie ad assicurare lo stanziamento nel bilancio dello Stato delle risorse necessarie per tali fondamentali opere. (4-00719)


   DEL GROSSO, VACCA e COLLETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia Sulmona-Carpinone, detta la Transiberiana d'Italia per il suo percorso in quota tra le montagne di Abruzzo e Molise, è stata progressivamente abbandonata a livello di interesse commerciale da parte dell'impresa ferroviaria Trenitalia con la silente accettazione delle amministrazioni regionali, nel corso di un decennio, fino alla totale soppressione dei treni completata sul finire del 2011;
   la predetta linea ferroviaria percorre uno dei tratti paesaggistici più belli d'Europa e per quanto riguarda il nostro paese la seconda per quote toccate, oltre 1300 sl, dopo quelle del Brennero;
   con la regionalizzazione del trasporto pubblico locale (TPL) avvenuto con il decreto legislativo n. 422 del 1997 (cosiddetto decreto Burlando), la Sulmona-Carpinone, è diventata una linea ferroviaria i cui contratti di servizio sono attualmente stipulati con la regione Abruzzo;
   l'attuale contratto (2009/2014), ancora in vigore, prevede delle coppie di treni sulla tratta. Esse sono state progressivamente tagliate e sostituite da bus che percorrono la strada statale n. 17, con percorso per lunghi tratti completamente distaccato dal tracciato ferroviario, con il solo scopo di non incorrere nella interruzione di pubblico servizio e senza alcuno studio di mobilità per offrire un servizio utile all'utenza. Far circolare dei bus vuoti, infatti, garantisce la copertura del servizio a livello formale e il rispetto delle clausole contrattuali, attraverso una politica di minimizzazione dei costi. Inoltre, gli orari completamente inutili dei bus ne garantiscono la sufficienza in quanto ad offerta di posti a sedere: se gli orari fossero diversi (ad esempio durante le ore di punta del traffico), molto probabilmente ci sarebbe una domanda maggiore di posti che obbligherebbe l'azienda a mettere in strada una corsa bis e a chiedere alla regione un raddoppio dei costi;
   in sostanza c’è una politica sbagliata che, nel nome del maggiori risparmi attributi, senza fondati studi sulla mobilità, tende ad abolire linee ferroviarie per sostituirle con linee automobilistiche in un Paese come il nostro che ha circa 225 auto per chilometri di strada. Tutto ciò ha dell'assurdo. Inoltre, un reale studio per verificare la fattibilità dei servizi ferroviari ed eventualmente rilanciarli integrandoli con uno sfruttamento turistico della linea in ordine alle bellezze naturalistiche e alle importanti località d'arte e sciistiche che attraversa non è mai stato ipotizzato né dalla regione né dall'impresa ferroviaria;
   per rendere le linee ferroviarie più produttive ed economicamente più vantaggiose, sarebbero necessari orari diversi, coincidenze rispettati e tempi di percorrenza minori; cercando inoltre insieme alla istituzioni politiche e le comunità locali di elaborare progetti di valorizzazione del territorio per fini turistici. Questo è lo sforzo che si dovrebbe fare attraverso le ferrovie dello Stato, mentre sembra che lo sforzo sia diretto in senso opposto, cioè di rendere il trasporto su rotaie sempre meno appetibile sostituito con mezzi su gomma, più inquinanti e più pericolosi visto che ogni anno muoiono più di 6000 persone sulle strade;
   infine, va sottolineato il fatto che la quota tasse relative al trasporto ferroviario che lo Stato trasferisce alle regioni con la legge di delega – decreto legislativo n. 422 del 1997 (cosiddetto decreto Burlando) – relativamente al territorio servito dalla Sulmona-Isernia è oggi pari a circa 130 euro/annuo e che secondo uno studio dell'Assoutenti, oggi in controvalore i contribuenti non ricevono nulla essendo l'esercizio ferroviario sospeso –:
   quali siano le intenzioni del Governo e quali iniziative lo stesso intenda assumere in merito alle problematiche sopra esposte, nei confronti di Trenitalia al fine di riaprire un tavolo di discussione tra gli enti pubblici locali, lo Stato e le regioni interessate per rilanciare una tratta ferroviaria fondamentale per le attività socio-economiche del territorio. (4-00721)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul sito internet delle Ferrovie dello Stato è attualmente possibile consultare alcune pagine relative alle politiche per la sicurezza che il gruppo adotta per tutelare l'incolumità dei viaggiatori, del personale e dei beni, sia nelle stazioni ferroviarie che a bordo dei treni, con una serie di indicazioni pratiche e consigli utili per l'utenza;
   particolare risalto viene attribuito, in particolare, alla presenza all'interno delle stazioni degli agenti di polizia ferroviaria e al ruolo svolto da FS Holding, per il tramite della direzione protezione aziendale, nella cura delle politiche della security in collaborazione con la Polfer;
   sono tuttavia numerose le segnalazioni di cittadini e utenti che, quotidianamente, subiscono furti, borseggi, rapine ed aggressioni all'interno e nelle aree esterne antistanti le stazioni ferroviarie, in particolar modo durante le ore serali e notturne;
   di analogo rilievo sono le condizioni di sicurezza a bordo dei convogli, sia quelli adibiti al trasporto locale che quelli a media e lunga percorrenza, da molti ritenuti privi di idonea sorveglianza anche per la scarsa presenza di personale all'uopo utilizzato;
   negli ultimi anni in Italia si è verificato un notevole incremento dei controlli di sicurezza all'interno degli aeroporti, divenuti «luoghi sensibili» in particolare a seguito dei tragici attentati dell'undici settembre 2001 ed oggetto di un costante quanto opportuno presidio da parte delle forze dell'ordine e del personale addetto;
   le stazioni ferroviarie italiane, specie quelle principali site nei maggiori centri metropolitani, per l'elevato numero di utenti che quotidianamente utilizzano il treno ed i cittadini che lavorano presso i centri commerciali posti, all'interno delle stazioni stesse, rappresentano di fatto dei luoghi sensibili meritevoli di sistemi di sicurezza analoghi a quelli presenti negli aeroporti;
   peraltro eventuali attentati dinamitardi sui treni, soprattutto quelli ad alta velocità, per il numero di utenti potrebbero provocare danni e vittime addirittura superiori rispetto ad un atto terroristico commesso ai danni di un aereo;
   risulta pertanto evidente la necessità di potenziare fortemente i controlli ed i sistemi di sicurezza all'interno ed all'esterno delle stazioni ferroviarie, in particolare quelle servite dai treni ad alta velocità;
   le suddette esigenze potrebbero essere soddisfatte anche attraverso l'impiego di personale esterno, rappresentato da volontari in ferma prefissata che, attraverso apposite procedure selettive ed al termine di un periodo di specifica formazione da parte di Trenitalia, potrebbero essere prontamente utilizzati per incrementare le politiche di security sopra citate –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di soddisfare l'esigenza di maggiore sicurezza all'interno ed all'esterno delle stazioni ferroviarie, anche attraverso forme di collaborazione con i soggetti pubblici e privati coinvolti, introducendo sistemi di controllo analoghi a quelli presenti negli scali aeroportuali, con particolare riferimento ai treni ad alta velocità;
   se il Governo ritenga possibile, anche in considerazione dello stato di inoccupazione di aliquote di personale militare fuori servizio, previsto dal blocco del turn-over, prevedere l'impiego di volontari in ferma prefissata per assolvere alle funzioni di presidio e controllo dei principali scali ferroviari. (4-00722)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 125 ha una valenza strategica per la Sardegna orientale. Un percorso viario di 354 chilometri che da Cagliari conduce a Palau;
   otto lotti della nuova strada statale 125 sono stati realizzati a valere sul POP 1994-1999 per un importo totale di euro 141.000.000,00 e a valere sul POR Sardegna 2000-2006 per ulteriori euro 144.381.835,00 per un investimento complessivo di euro 285.000.000,00;
   rimangono da ultimare rispetto al tratto Cagliari-Tortolì i seguenti lotti: IV lotto 2 stralcio, I Lotto 1 e 2 stralcio;
   in data 3 agosto 2011 con delibera CIPE n. 62 del 2011 sono stati stanziati i fondi FAS 2007/2013 da destinare alle infrastrutture e reti di servizio in Sardegna;
   tra le opere immediatamente cantierabili è stata inserita anche la nuova strada statale n. 125;
   la delibera è stata registrata alla Corte dei conti il 21 dicembre 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2011;
   nello schema riportato dalla Gazzetta, 19 milioni di euro sono stati destinati al completamento del tratto 4o lotto, 2o stralcio, per il quale risultano già disponibili circa 13 milioni di euro, e ulteriori 90 milioni di euro sono stati stanziati per il tronco I lotto di cui 40 milioni per il 1 stralcio e 50 milioni per il 2 stralcio;
   con la nota n. 606/ Gab. del 10 aprile 2012 l'assessorato ai lavori pubblici della regione autonoma della Sardegna conferma che la strada statale 125 è infrastruttura viaria di primaria importanza e rispetto ai lavori di completamento dei lotti IV e I informa che:
   a) IV lotto, 2 stralcio. Il relativo progetto definitivo è stato trasmesso alla direzione generale dell'Anas con nota 16605 del 21 aprile 2012 per il parere di competenza;
   b) I lotto, 1 stralcio. L'intervento è inserito nel nuovo aggiornamento dell'intesa generale quadro in corso di definizione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e fa parte delle opere individuate dalla delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011 (piano per il Sud), che prevede una copertura dei costi dell'intervento mediante fondi FAS 2007/2013 (euro 40.000.000) e risorse liberate (euro 30.000.000);
   c) I lotto, 2 stralcio. L'opera è inserita nel nuovo aggiornamento dell'intesa generale quadro in corso di definizione con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e fa parte delle opere individuate dalla delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011 (piano per il Sud) che prevede una copertura dei costi dell'intervento mediante fondi FAS 2007/2013 (euro 50.000.000) e risorse liberate (euro 40.000.000);
   il completamento dell'infrastruttura rappresenta condizione per il rilancio sociale ed economico del territorio servito e per la garanzia di standard minimi di sicurezza anche in considerazione delle recenti tragedie stradali che, ancor di più, hanno messo in luce i ritardi e le inefficienze in relazione al completamento e alla messa in sicurezza dell'asse viario considerato;
   il completamento di cui sopra definirebbe peraltro la realizzazione della continuità territoriale fra il capoluogo regionale e la Sardegna orientale, annullando inoltre gli svantaggi derivanti dall'isolamento geografico dell'Ogliastra –:
   se il Governo sia a conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori di completamento della strada statale 125 e delle motivazioni che ne ostacolano il completamento;
   se il Governo intenda inserire il completamento della strada statale 125 fra gli interventi infrastrutturali prioritari, impartendo apposite e urgenti direttive agli organismi competenti affinché siano accelerate e snellite le procedure al fine di addivenire a una rapida cantierabilità dei lotti interessati al completamento dell'arteria in questione;
   se il Governo intenda adottare, anche in relazione a questo intervento infrastrutturale e per la realizzazione dei tre lotti mancanti, un contratto istituzionale di sviluppo (CIS) di concerto con la regione e l'Anas, con eventuale previsione di adeguamento della copertura finanziaria, finalizzato alla rapida cantierabilità dei lotti interessati al completamento dell'arteria in questione. (4-00727)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA e CAPONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sugli organi di stampa odierni si legge la notizia che riguarda 35 extracomunitari «accampati alla meglio in città da 45 giorni, senza un tetto ed un bagno, in attesa di conoscere l'esito della loro richiesta di asilo politico». Queste persone, molte delle quali giovani, si trovano a Lecce ed attualmente si sono sistemati come potevano nel Campetto del dopolavoro delle ferrovie in via Diaz;
   si tratta di persone irachene di etnia kurda ed afgani di etnia pashtun in fuga da territori di guerra, nei quali molto spesso se gli uomini si rifiutano di prestare consenso alla guerriglia sono sottoposti a misure durissime e inumane;
   sugli organi di stampa emergono racconti dolorosi, come quello di Abdel, uno di questi ragazzi, che parla del padre, guerriero talebano e della sua decisione di fuggire dall'Afghanistan per scampare all'arruolamento della milizia. «Non voglio combattere — dice srotolando una coperta che usa per ripararsi dall'umido della notte — sono scappato dal mio paese e adesso non so dove andare, ieri notte è venuta qui la polizia e ci ha detto di andarcene. Ma dove ?»;
   queste persone sono sbarcate sulle coste salentine in 50, facendo poi richiesta dello status di rifugiato alla Commissione territoriale governativa di Bari. Da ciò che emerge sembrerebbe abbiano chiesto ospitalità presso il CARA (centro di accoglienza per i richiedenti asilo) di Bari, ma a causa del sovraffollamento sono state costrette a rientrare nel Salento e trovare una sistemazione di fortuna in attesa dell'esito della richiesta previsto per la metà di giugno;
   tra gli immigrati, 15 hanno trovato accoglienza nella casa della carità gestita dalla Caritas diocesana. Gli altri hanno cercato per giorni una sistemazione tra i vicoli della città di Lecce, nei pressi della stazione ferroviaria per collocarsi alla fine presso il campetto del dopolavoro ferroviario, luogo evidentemente nel quale gli stessi hanno considerato potessero non dare alcun fastidio;
   in questo posto di fortuna, però, non c’è un tetto, nessun bagno, ma solo pochi alberi che consentono di avere un riparo dal sole ed una piccola struttura prefabbricata nella quale ripararsi dalla pioggia;
   in questa difficile situazione, sia dal punto di vista prettamente umano che psicologico, si sono attivate le associazioni di volontariato che hanno teso una mano a queste persone in termini di assistenza e di soddisfacimento dei bisogni primari, quali il pasto quotidiano;
   è noto, purtroppo, che la burocrazia ha dei tempi che spesso non collimano con le necessità umane delle persone, ma si ritiene che questa situazione non possa protrarsi poiché è altamente lesiva della dignità di questi esseri umani, oltre a mettere a repentaglio la vita stessa, in termini di sicurezza e salute, di queste persone –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire con urgenza affinché episodi gravissimi, come quello riportato, non si verifichino nuovamente sulla pelle di persone che già provengono da realtà difficilissime ed affrontano estenuanti viaggi con la speranza di trovare un aiuto da parte delle istituzioni italiane, e che invece si trovano a vivere ulteriori condizioni di esclusione ed emarginazione;
   se il Ministro interrogato, in attesa che il nostro Paese si doti di una legge organica in materia di asilo politico, non ritenga utile avviare con celerità un monitoraggio dei centri di accoglienza per i richiedenti asilo con la finalità di individuare le situazioni critiche e di sovraffollamento, approntando a tal proposito un piano utile a poter accogliere e non dover rispedire per strada queste persone che chiedono solo un supporto. (5-00257)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel nord la maggior parte dei vigili del fuoco sono volontari;
   difatti, molti distaccamenti dei vigili del fuoco in questa parte del Paese garantiscono il servizio di emergenza grazie ai vigili del fuoco volontari;
   i vigili del fuoco volontari vengono formati attraverso dei corsi della durata di 120 ore;
   la carenza di tali corsi compromette l'attività dei distaccamenti, che rischiano quindi di chiudere in mancanza di vigili del fuoco volontari formati;
   l'eventuale problema dei costi di questi corsi di preparazione può essere risolto attraverso l'organizzazione dei corsi direttamente presso i distaccamenti volontari, attraverso idonea garanzia e responsabilità del comandante dei vigili del fuoco volontari di ciascun distaccamento e successivo esame presso il comando provinciale –:
   se il Ministro non ritenga opportuno salvaguardare i distaccamenti dei vigili del fuoco volontari attraverso la promozione dei corsi formativi di 120 ore rivolti ai vigili del fuoco volontari. (4-00716)


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   presso il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania) con Sede Legale in Piazza Roma 16 Cap 95125 Catania e con Sede effettiva in SS. 417 Contrada Cucinella Residence degli Aranci 95044 Mineo (Catania) sono presenti numerosi cani randaggi;
   a seguito di un intervento del Corpo delle guardie zoofile dell'ente nazionale protezione animali della sezione di Catania è stato possibile stimare la presenza di 12 adulti e di 21 cuccioli;
   alla sezione Enpa di Catania sono giunte segnalazioni inquietanti da parte di operatori del centro e di pubblici ufficiali rispetto a gravissime forme di maltrattamento e di uccisione di alcuni di questi cani in modo efferato e violento;
   a seguito del sopralluogo dell'Enpa è stata trasmessa al sindaco del comune di Mineo (Catania) e per conoscenza al prefetto, al dirigente della polizia di Catania, al comando di polizia municipale e al direttore generale della Asp 3 di Catania, una dettagliata nota, richiamando lo stesso all'espletamento dei compiti previsti secondo quanto stabilito dalle normative vigenti, tra cui la legge n. 281 del 1991 e la rispettiva legge regionale n. 15 del 2000, al fine di prendere i dovuti accorgimenti per mettere in sicurezza gli animali e di provvedere alle indagini e agli accertamenti per individuare i responsabili e per evitare che simili reati possano essere reiterati;
   si aggiunge per altro che la condizione del randagismo in Sicilia è a dir poco a livelli inquietanti, e ciò causa non solo un danno alla condizione stessa degli animali, ma anche all'immagine del Paese che, attraverso i turisti, si trasmette all'estero: come pessimo esempio di gestione di un problema che si sarebbe dovuto risolvere in oltre 22 anni dall'entrata in vigore della legge n. 281 del 1991 «Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo»;
   in generale si ritiene che causa di questa inaccettabile situazione è e resta la gravissima e diffusa inadempienza da parte di numerosi sindaci e Asl, i quali, omettendo atti dovuti e certi di non essere sanzionati, sono secondo l'interrogante corresponsabili della diffusione del fenomeno del randagismo –:
   se non si ritenga che sia prioritario intervenire immediatamente sul caso segnalato al fine di garantire non solo il rispetto della normativa vigente, ma soprattutto la tutela stessa dei cani presenti nel centro CARA;
   se non si ritenga opportuno e urgente prevedere che nella prossima manovra finanziaria, i fondi destinati alla legge n. 281 del 1991 possano essere interamente (e non solo il 60 per cento) investiti in straordinarie campagne di sterilizzazione, vista la attuale situazione emergenziale, soprattutto nelle regioni del Sud;
   come il Governo intenda procedere per rispondere alle sollecitazioni da parte di tutte le associazioni animaliste che da anni svolgono un ruolo fondamentale non solo nella gestione, ma anche nella prevenzione del randagismo, sostituendosi spesso alle istituzioni preposte nei compiti previsti per legge e sobbarcandosi spese e oneri consistenti. (4-00723)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 4 Maggio 2013 – per quanto riportato da varia stampa calabrese, che ha ripreso un comunicato dell'AIAB (Associazione italiana agricoltura biologica) – più di 80 piante di olivo della biodiversità regionale sono state tagliate da ignoti, verosimilmente a scopo intimidatorio, nell'azienda agricola Fattoria Sant'Anna, sita a Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria;
   in un servizio del giornalista Pietro Melia – in onda sul telegiornale del 12 maggio 2013 della Rai Calabria, edizione delle ore 19,30 – Salvino Moro, marito della titolare della suddetta attività, signora Anna Maria Staltari, ha riferito che nel passato simili atti hanno già colpito l'azienda;
   nell'ultimo anno, restando al comunicato di cui più sopra, sono stati perpetrati 5 attentati ad aziende associate alla sezione calabrese dell'AIAB, organizzazione impegnata per lo sviluppo del settore e contro l'illegalità, anche in zone della provincia di Reggio Calabria con forte presenza criminale;
   nel gennaio 2011, a Laureana di Borrello ignoti esplosero quattro colpi di arma da fuoco calibro 9 contro l'auto di un residente e di seguito contro il garage di proprietà del di lui fratello, secondo le cronache regionali;
   il 25 marzo 2012, per come riassunto in un articolo apparso sul quotidiano regionale Calabria Ora del 27 marzo dello stesso anno, un incendio doloso rischiò di mandare in fumo una pizzeria in una frazione del Laureana di Borrello;
   nell'aprile 2012, la stampa calabrese informò dell'esplosione di otto colpi di pistola calibro 7,65 nei confronti di un uomo appena uscito dalla sua abitazione in una frazione di Laureana di Borrello, con tre proiettili andati a segno e il ferimento della vittima;
   il 22 settembre 2012, a Laureana di Borrello veniva tratto in arresto un minore, secondo una nota stampa della questura di Reggio Calabria, ritenuto responsabile di tentato omicidio e detenzione illegale di armi e munizionamento;
   l'intera area della piana di Gioia Tauro-Rosarno, in cui si inserisce Laureana si Borrello, risulta profondamente minata dalle azioni della ’ndrangheta, che impedisce lo sviluppo economico, assolda manovalanza e invia precisi segnali per imporre subordinazione, silenzio e rinuncia, come nel caso delle intimidazioni all'imprenditore Antonino De Masi, con sede aziendale a Gioia Tauro, di cui l'interrogante si è occupata con apposita interrogazione, n. 4-00294 del 29 Aprile 2013 –:
   di quali informazioni dispongano in ordine alla descritta vicenda della Fattoria Sant'Anna, a Laureana di Borrello;
   quali misure ritengano di dover predisporre a garanzia della sicurezza e del lavoro dell'azienda sopra citata;
   se non ritengano prioritario e improrogabile, per le singole competenze, affrontare le questioni della sicurezza nella Piana di Gioia Tauro, anche mediante adeguamenti degli organici delle forze dell'ordine e della magistratura, allo scopo di potenziare i controlli e le indagini.
(4-00724)


   PANNARALE, PILOZZI, PIAZZONI, COSTANTINO, DURANTI, CLAUDIO FAVA, FRATOIANNI, LACQUANITI, NICCHI, PAGLIA, RICCIATTI e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sito internet tutti i crimini degli immigrati (http://tuttiicriminidegliimmigrati.com/), si propone quale sito d'informazione ed è basato – come enunciato nel titolo – su fatti di cronaca nera che avrebbero come protagonisti cittadini stranieri, migranti, rom e sinti;
   la pagina web in questione, propone, ad opera degli amministratori del sito, slogan, nonché immagini di stampo razzista e xenofobo; il risultato è un insieme di stereotipi, frasi violente ed immagini offensive dal chiaro esito potenziale di incitare all'odio razziale e alla discriminazione, in aperta violazione dei principi della nostra Carta Costituzionale e della normativa in materia;
   tale sito chiede anche la collaborazione degli utenti: «Segnalaci un crimine, un sopruso o una situazione di degrado causata dalla presenza di immigrati di cui sei stato testimone» e spiega la sua «mission» nel sottotitolo: «Hic sunt leones – Gli altri parlano d'integrazione, noi ve la mostriamo»;
   tale iniziativa, a giudizio degli interroganti vergognosa ed indegna, si colloca peraltro nel solco di quanto sollevato con allarme dal Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione razziale (CERD) nelle osservazioni conclusive e raccomandazioni all'Italia del 9 marzo 2012; il Comitato, infatti, aveva fatto riferimento esplicito alla diffusione preoccupante nel nostro Paese dell'incitamento all'odio razziale e di forme violente di razzismo attraverso i mass media, internet, e i social network, invitando le autorità italiane a una applicazione severa delle normative di contrasto penale alla discriminazione e all'incitamento all'odio razziale –:
   se, alla luce di quanto illustrato in premessa, non ritenga doveroso assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia valutata la sussistenza dei presupposti per l'immediata chiusura di tale sito. (4-00733)


   PETITTI, ARLOTTI e PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di maggio 2013, il movimento Forza Nuova di Rimini si è reso protagonista di due distinte azioni dai caratteri chiaramente razzisti, omofobi e istigatori all'odio. In particolare, nella notte fra il 16 e il 17 maggio, davanti agli uffici municipali, alla Casa della Pace, e alla sede della locale CGIL, sono stati affissi dagli attivisti riminesi di Forza Nuova manifesti con frasi omofobe. Nella notte fra il 17 e il 18 maggio i militanti di Forza Nuova hanno invece messo a segno davanti alla sede provinciale del Partito Democratico di Rimini, così come in altre sedi PD in numerose città italiane, un blitz (rivendicato dallo stesso segretario nazionale di FN Roberto Fiore) contro l'immigrazione, contro la proposta di legge per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza ai figli degli immigrati e contro il Ministro Cécile Kyenge, facendo scempio del Tricolore;
   per quanto accaduto a Rimini, sono stati ipotizzati i reati di vilipendio alla bandiera nazionale, istigazione all'odio razziale, minacce, danneggiamento e imbrattamento;
   sempre Forza Nuova ha dato il via recentemente ad una campagna sia su internet e sui social network, sia con azioni come quelle sopra esposte, dal titolo «L'immigrazione uccide», che fomenta l'odio contro gli immigrati associando in maniera del tutto impropria ed arbitraria i drammatici fatti di cronaca recente al dibattito politico sullo ius soli;
   già lo scorso anno era stata presentata dagli onorevoli Marchioni e Fiano un'interrogazione per segnalare un «Campo di formazione militante», denominato Campo comunitario di formazione militante forzanovista, che prevedeva «corsi di autodifesa, uso del coltello e del bastone. Infine coordinamento e preparativi in vista del corteo del 29 settembre a Rimini» e contava tra gli organizzatori Mirko Ottaviani, segretario locale di Forza Nuova, già condannato con sentenza di grado definitivo per tentato incendio;
   Forza Nuova annuncia ora a Rimini una manifestazione indetta per la sera del 15 giugno, con un corteo nel centro storico e nel Borgo Marina, quartiere popolato da numerosi cittadini immigrati extracomunitari. La pagina Facebook creata da Forza Nuova Rimini per diffondere l'evento conta già quasi un centinaio di aderenti –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere a fronte di un movimento politico che incita alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali e se intenda eseguire un monitoraggio costante delle attività del movimento di Forza Nuova peraltro più volte oggetto di indagini e condanne da parte della magistratura. (4-00735)


   SCOTTO, PICIERNO, MICILLO, RAGOSTA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Orta di Atella, in provincia di Caserta, è guidato dal 2010 dal sindaco Angelo Brancaccio, già primo cittadino dal 1996 al 2005;
   nella tornata elettorale del marzo 2010 anche la provincia di Caserta ha rinnovato i suoi organi elettivi, e in tale occasione il sindaco Brancaccio è stato eletto consigliere provinciale;
   nel maggio 2007 Angelo Brancaccio è stato arrestato dai carabinieri del reparto operativo di Caserta con una serie di accuse gravissime (peculato, corruzione per atto contrario ai doveri del proprio ufficio, estorsione, concussione e altro) e per i reati narrati è sottoposto a procedimento penale tuttora pendente presso la procura della Repubblica del tribunale di Santa Maria Capua Vetere;
   dal 2005 al 2010 il signor Brancaccio ricopriva la carica di consigliere regionale, mentre ad Orta di Atella veniva eletto sindaco Salvatore Del Prete, già vicesindaco di Brancaccio e ritenuto uomo di sua strettissima fiducia;
   l'amministrazione di Orta di Atella, dal 2008 al 2010, è stata commissariata per condizionamento da parte della criminalità organizzata ex articolo 143 Tuel (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali);
   il 2 giugno 2008, nel disporre con decreto la sospensione cautelare del consiglio comunale, del sindaco e della giunta, il prefetto di Caserta faceva esplicito riferimento a «chiari elementi su collegamenti degli organi elettivi del comune con la criminalità organizzata, nonché a forme di condizionamento dell'attività amministrativa»;
   negli ultimi dieci anni Orta di Atella ha conosciuto un vero e proprio boom demografico, passando dai 13.070 abitanti del censimento del 2001 agli oltre 25.000 residenti attualmente iscritti nei registri dell'anagrafe comunale;
   in questo lasso di tempo si è costruito in misura abnorme, grazie a permessi illegittimi e a semplici delibere di giunta relative a varianti al piano regolatore generale mai approvate dalla provincia;
   il sindaco Brancaccio ha nominato un tecnico esterno, tale ingegner Claudio Valentino, per occuparsi delle vicende urbanistiche del paese, e in particolare delle concessioni edilizie, oggetto di pesante e motivata censura da parte della commissione d'accesso;
   l'ingegner Valentino è stato inquisito per turbativa d'asta, con l'aggravante del favoreggiamento alla camorra nell'ambito di un'indagine concernente il comune di Villa Literno;
   nel marzo 2012 il comando provinciale dell'Arma dei carabinieri ha effettuato sul territorio di Orta di Atella il sequestro di due complessi immobiliari su suoli inedificabili e realizzati in assenza di piano di lottizzazione, e in tale occasione ha deferito all'autorità giudiziaria per i fatti tecnici comunali e titolari di imprese di costruzione;
   tale sequestro riguardava quasi 300 appartamenti, per un valore di 45 milioni di euro;
   mercoledì 29 maggio 2013, sempre ad Orta di Atella, i carabinieri del comando provinciale di Caserta, in esecuzione di un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere su richiesta della procura della Repubblica, hanno sequestrato otto fabbricati per un totale di 1444 unità immobiliari, suddivisi in appartamenti, box ed attività commerciali, per un valore complessivo stimato in circa 75 milioni di euro;
   la procura della Repubblica presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, rispetto all'ultimo evento descritto, ha sottoposto a indagine ventinove persone tra funzionari e dipendenti dell'ufficio tecnico comunale e imprenditori edili del casertano e del napoletano per ipotesi di reato che vanno dal concorso in abuso di ufficio alla lottizzazione abusiva. Tra gli indagati compare anche Salvatore Del Prete ex sindaco di Orta di Atella e ad oggi responsabile del settore Suap presso lo stesso comune di Orta di Atella;
   la giunta comunale si appresta ad approvare un nuovo piano urbanistico comunale che nelle intenzioni di chi lo propone dovrebbe sanare parte degli abusi presenti sul territorio;
   il territorio è stato devastato dall'imponente cementificazione selvaggia, determinandosi inoltre un grave nocumento alla convivenza civile e al concetto stesso di legalità;
   centinaia di famiglie nel corso degli anni hanno acquistato, in molti casi anche in buona fede, a basso costo (1.000 euro a metro quadro) gli appartamenti ora sequestrati e rischiano di perdere la casa. Si è di fronte ad una vera e propria emergenza sociale;
   gli atti del prefetto e le indagini della procura di Santa Maria Capua Vetere hanno messo più volte in luce la contiguità tra amministrazione comunale e imprese edili notoriamente vicine ad ambienti collegati alla criminalità organizzata –:
   se non si ritenga, alla luce degli elementi descritti in premessa, di disporre l'accesso, con le modalità previste dalla normativa vigente in materia, per accertare se, nell'ambito dell'apparato politico-amministrativo, emergano elementi su collegamenti diretti e indiretti con la criminalità organizzata, ovvero sussistano forme di condizionamento degli amministratori che possano compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento dell'amministrazione comunale, nonché il regolare funzionamento dei servizi alla stessa affidati.
   (4-00736)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto professionale internazionale per l'artigianato liutaio e del legno (IPIALL) nacque per regio decreto-legge il 21 settembre 1938, col nome di scuola internazionale di liuteria, all'indomani delle celebrazioni per il bicentenario della scomparsa di Antonio Stradivari, con lo scopo di far rinascere a Cremona l'arte della liuteria;
   nel 1960, con decreto presidenziale, la scuola venne trasformata in istituto e alle specializzazioni iniziali ne furono gradualmente aggiunte altre nel campo della lavorazione artigianale ed artistica del legno. La nuova struttura scolastica si affermò in tutto il mondo per la qualità dei suoi insegnamenti;
   lo stretto legame con il tessuto produttivo e con le esigenze di ampliamento e articolazione delle competenze professionali sono sempre stati elementi centrali per l'aggiornamento dell'offerta formativa;
   oggi l'istituto è soggetto attivo e propositivo all'interno di una rete che connette enti, istituzioni e associazioni del settore liutario a diversi livelli, da quello locale a quello internazionale;
   con la riforma della scuola secondaria superiore, l'IPIALL diviene istituto d'istruzione superiore (ISS) «Antonio Stradivari», proponendo una molteplicità di offerte formative (liceo musicale, scuola internazionale di liuteria, design di moda e design d'interni), sede della Scuola internazionale di Liuteria;
   nel 2011 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso un proprio decreto, aveva concesso all'IPIALL «Stradivari» il riconoscimento di scuola a ordinamento speciale, consentendo all'istituto, per il 2012 e in via sperimentale anche per i cinque anni successivi, di derogare dai parametri rigidi del sistema scolastico tradizionale, quali il numero di allievi, l'organico docente e il piano di studio, in modo da consentire alla scuola di esprimere appieno il proprio straordinario potenziale;
   anche per l'anno 2012/2013, regione e enti territoriali avevano richiesto la deroga per l'Istituto «Stradivari» in relazione alla sua atipicità e in quanto sede, dall'anno scolastico 2010/2011, del nuovo liceo musicale;
   nel giugno 2012 l'IPIALL «Stradivari», con i suoi 402 iscritti, è stato inserito dall'ufficio scolastico regionale della Lombardia fra gli istituti sotto dimensionati, in quanto la normativa (articolo 19, comma 5, della legge n. 111 del 15 luglio 2011 come modificato dall'articolo 4 della legge n. 183 del 12 novembre 2011) prevede che le strutture con meno di 600 studenti non possano più avere dirigenti e i direttori amministrativi titolari;
   le recenti norme di razionalizzazione del sistema scolastico comportano, dunque, che scuole con un numero di allievi inferiore al parametro prescritto perdano l'autonomia nonché le figure del dirigente scolastico e del titolare dei servizi generali amministrativi (DSGA);
   in questi anni l'IPIALL ha mantenuto rapporti collaborativi, oltre che con la regione Lombardia e gli altri enti territoriali quali le amministrazioni comunale e provinciale di Cremona, con le università di musicologia e di architettura, il museo Stradivariano, la fondazione Stauffer, la fondazione Stradivari – La Triennale, le associazioni di categoria, la camera di commercio ed il consorzio liutai ed archettai di Cremona;
   come anche evidenziato da una lettera inviata in data 16 luglio 2012 dal presidente della provincia di Cremona a sostegno della piena autonomia della scuola, lettera peraltro approvata anche dalla «Rete musicale cremonese», la figura del liutaio opera in un mercato di nicchia che, tuttavia, produce beni di elevata qualità, destinati a musicisti professionisti di tutto il mondo, estremamente esigenti in merito alle qualità sonore ed artistiche degli strumenti, e ciò impedisce alla scuola di coinvolgere un numero elevato di studenti dovendo curare in modo particolare la loro professionalità –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno preservare l'autonomia di una scuola a ordinamento speciale per la liuteria che, oltre ad affiancarsi a un liceo musicale e ad un'offerta di istruzione e formazione professionale regionale, anche superiore, è un'eccellenza nazionale ed internazionale, tale da garantire non solo effettive opportunità di crescita e di sviluppo sia per la scuola che per l'intero settore liutaio ma anche grande lustro alla scuola italiana in tutto il mondo. (5-00258)


   BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto «SS. Trinità e Paradiso» di Vico Equense (Napoli) nasce nel 1677 per volontà di Monsignor Giambattista Repucci, già vescovo della città di Vico Equense; il presule, infatti, con atto pubblico del 26 maggio 1677, rogato Cioffi, diede vita al conservatorio femminile detto, appunto, della «SS. Trinità e Paradiso», il cui fine primario era quello di provvedere alla educazione ed istruzione di fanciulle appartenenti a famiglie di civile condizione;
   l'istituto «SS. Trinità e Paradiso» è uno degli istituti della Campania che, insieme agli educandati, ai collegi di Maria e ad alcuni altri istituti, costituiscono il complesso degli istituti pubblici di educazione femminile esistenti in Italia;
   tali istituti, che erano stati ordinati dal regio decreto 23 dicembre 1929, n. 2392, e dal regio decreto 1o ottobre 1931, n. 1312 (ora abrogati), sono attualmente disciplinati dall'articolo 204 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994. Di conseguenza, l'istituto «SS. Trinità e Paradiso» è da considerare pubblico non statale e, come tale, soggetto alla normativa degli enti pubblici, anche sotto il profilo patrimoniale;
   esso è amministrato da un consiglio di amministrazione, composto da un presidente e da due consiglieri, nominato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   nel corso degli anni si sono succeduti molteplici consigli di amministrazione e gestioni commissariali; in data 26 ottobre 2012 è terminato il mandato del consiglio di amministrazione in quel momento in carica;
   in data 18 febbraio 2013, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore Francesco Profumo firma un decreto ministeriale (n. 113) con cui nomina il Consiglio di amministrazione dell'Istituto «SS. Trinità e Paradiso»;
   la nomina a quanto consta all'interrogante viene fatta sulla base di una nota (del 4 febbraio 2013) della direzione scolastica regionale della Campania e su una richiesta ufficiale del sindaco di Vico Equense;
   vengono nominate nel consiglio di amministrazione tre persone, di cui due, al momento della nomina, sono consiglieri comunali in carica presso il comune di Vico Equense; la cosa non è mai avvenuta in duecento anni di vita dell'istituto e si configura, ad avviso dell'interrogante, come un classico conflitto di interessi, essendo ripetute le situazioni in cui l'istituto e il comune sono in contrapposizione; a tal proposito si cita uno sfratto per morosità chiesto dall'Istituto ai danni del comune per alcuni locali occupati da questi senza la corresponsione del canone;
   un ulteriore motivo di inopportunità va segnalato rispetto alla nomina di uno dei consiglieri di amministrazione che è stato condannato in primo grado a sei mesi di reclusione per il reato di falso, mentre sarebbe imminente il giudizio su un altro procedimento a suo carico per reati contro la pubblica amministrazione;
   l'articolo 6 della legge n. 145 del 15 luglio 2002 sancisce che le nomine degli organi di vertice e dei componenti dei consigli di amministrazione o degli organi equiparati degli enti pubblici, conferite dal Governo o dai Ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura, o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le camere, possono essere confermate, revocate o rinnovate entro sei mesi dal voto sulla fiducia al nuovo Governo –:
   se non ritenga, alla luce di tutto quanto esposto in premessa, di garantire un intervento sulla vicenda al fine di rimuovere cause di anomalia, di incompatibilità e di conflitto di interesse nella nomina in questione. (5-00268)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   dal 1o maggio 2013 sembrerebbe che l'INPS abbia deciso la sospensione delle visite fiscali d'ufficio per le assenze per malattia dei lavoratori del settore privato, lasciando in essere solo quelle a richiesta dei datori di lavoro. Tale decisione pare sia scaturita dalla necessità di far fronte alla richiesta di riduzione della spesa degli enti pubblici di previdenza e assistenza sociale;
   una decisione, quella sopra citata, che sta determinando una enorme preoccupazione tra i 1.381 medici fiscali iscritti nelle liste di medicina fiscale presso l'INPS, che prima del 1o maggio svolgevano la funzione di accertamento per l'ente in regime di convenzione come liberi professionisti, sette giorni su sette. Si tratta di professionisti che per anni hanno dedicato esclusivamente la loro attività alla medicina fiscale e che purtroppo, oggi, per l'effetto della drastica sospensione rischiano di ritrovarsi senza un lavoro e con una oggettiva difficoltà di reinserimento nel circuito lavorativo, anche perché si tratta, per la maggior parte, di persone alle soglie dei cinquant'anni;
   tale servizio, sinora, è stato assicurato, su tutto il territorio nazionale, da medici con un'elevata professionalità maturata in media da almeno 15 anni di attività, tra l'altro eseguita a titolo prevalente a seguito delle pesanti incompatibilità loro imposte dall'INPS;
   su tale scelta si sono espressi anche i rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici (FNOMCeO) parlando a tal proposito di una scelta boomerang, poiché il rischio che si paventa è che in assenza di controlli aumentino le assenze per malattia con un ulteriore aggravio di spesa. Da quanto si apprende, infatti, nel 2012 con il regime delle visite fiscali di ufficio, il costo totale per le indennità di malattia a carico dell'Inps è stato pari a 2 miliardi di euro –:
   quale sia la stima del Ministro circa i possibili rischi di incremento dei tassi di assenteismo che si potrebbero determinare a seguito della scelta adottata dall'INPS di sospendere o, quanto meno, fortemente ridimensionare il servizio di ispezioni mediche;
   se il Ministro interpellato non ritenga utile attivare celermente un confronto con l'INPS e con le rappresentanze delle organizzazioni sindacali dei medici fiscali volto ad individuare soluzioni organizzative atte ad assicurare un livello credibile di visite fiscali d'ufficio per le assenze per malattia, anche al fine di offrire prospettive di continuità lavorativa per questi professionisti, tenendo conto dei rischi di aggravio dei costi a carico dello Stato che ne potrebbero scaturire.
(2-00078) «Lenzi, Bellanova, Amato, Antezza, Argentin, Arlotti, Biondelli, Blazina, Burtone, Carnevali, Censore, D'Incecco, D'Ottavio, Del Basso De Caro, Cinzia Maria Fontana, Fregolent, Gelli, Giacobbe, Ginoble, Gregori, Maestri, Magorno, Malpezzi, Manfredi, Miotto, Mongiello, Montroni, Simoni, Valiante, Zampa, Benamati».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MALPEZZI, COSCIA, BLAZINA, D'OTTAVIO, BONAFÈ, CAROCCI, MANZI, MALISANI, ZAMPA, BOSSA, COCCIA, ORFINI, ASCANI, RAMPI, ROCCHI, PICCOLI NARDELLI, NARDUOLO, RACITI e PES. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 25 luglio 2012 veniva approvata la risoluzione n. 8-00196;
   tale risoluzione ripercorreva la vicenda del personale ausiliario ed amministrativo (ATA) e degli insegnanti tecnico pratici (ITP) trasferiti, secondo l'articolo 8 della legge 3 maggio 1999 n. 24, dai ruoli degli enti locali a quelli dello Stato attraverso il riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell'anzianità maturata presso l'ente locale di provenienza;
   il succitato articolo 8 della legge n. 124 del 1999 garantiva ai lavoratori il riconoscimento delle anzianità maturate e l'inquadramento nelle qualifiche corrispondenti;
   l'accordo sindacati-ARAN del 20 luglio 2000 ha stravolto l'articolo 8 della legge n. 124 del 1999, determinando l'inquadramento del personale trasferito allo Stato non più attraverso il riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell'anzianità maturata presso l'ente locale di provenienza (come stabilito dalla legge), bensì attraverso quanto percepito nell'ente di provenienza, al netto di tutte quelle indennità che negli enti locali contribuivano in massima parte a determinare l'entità dello stipendio stesso, inserendo un non ben identificato principio della cosiddetta «temporizzazione»; il suddetto accordo ha determinato l'obbligo della restituzione di ingenti somme di denaro sino allora percepite dal personale interessato, penalizzando ulteriormente la situazione economica già difficile di molte famiglie;
   lo stesso accordo ARAN in applicazione dell'articolo 8 della legge n. 124 del 1999, al punto 6 dell'articolo 2, sancisce che: «Agli ITP e agli assistenti di cattedra appartenenti alla VI qualifica funzionale degli enti locali si applicano gli istituti contrattuali della scuola per quanto attiene alla funzione docente»;
   occorre peraltro ricordare che l'articolo 8 della legge n. 124 del 1999 ha stabilito il trasferimento degli insegnanti tecnico pratici e del personale ATA, dai ruoli degli enti locali a quelli dello Stato, garantendo loro il completo riconoscimento dell'anzianità maturata presso l'ente di provenienza; il citato articolo 8 della legge n. 124 del 1999 ha determinato, inoltre, una netta distinzione tra le due figura professionali, collocando il personale ATA al comma 2 e gli insegnanti tecnico-pratici al comma 3;
   i criteri di inquadramento adottati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca risultano in contrasto con la specifica disposizione contenuta nell'articolo 8, comma 2, della legge n. 124, norma con la quale il legislatore aveva inteso riconoscere ai fini giuridici ed economici l'intera anzianità di servizio maturata presso l'ente locale di provenienza;
   una parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che la pretesa degli ATA e ITP in parola non potesse trovare accoglimento posto che al citato articolo 8 della legge n. 124 del 1999 è stata data attuazione mediante decreto ministeriale di recepimento di apposito accordo sottoscritto con le organizzazioni sindacali più rappresentative, cui è stata riconosciuta valenza normativa ex articolo 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   il contenzioso determinatosi dopo l'applicazione dell'accordo ARAN ha visto il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca soccombere nella quasi totalità delle sentenze dei tribunali, delle corti di appello e nella totalità delle sentenze di tutte le sezioni della Corte di cassazione che hanno smentito l'accordo ARAN ritenuto privo di natura normativa ripristinando così come previsto dall'articolo 8 della legge n. 124 del 1999, il diritto del personale al riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell'anzianità maturata presso l'ente di provenienza;
   la legge finanziaria per il 2006 (articolo 1, comma 218) dettando un'interpretazione «autentica», disconosceva i diritti acquisiti dai lavoratori ex dipendenti locali;
   nel 2007 la Corte costituzionale ha ravvisato la legittimità dell'articolo 1, comma 218, della citata disposizione, ed in conseguenza della nuova legge, la Corte di cassazione, di fatto smentendo se stessa nei successivi pronunciamenti sui ricorsi pendenti, ha dato torto ai lavoratori;
   va peraltro ricordato, in analogia con quanto sopra riportato, che il suddetto comma 218 esclude totalmente dalla sua formulazione il personale docente ITP; infatti esso recita così: «Il comma 2 dell'articolo 8 della legge 1999, n. 124, si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali sulla base del trattamento economico complessivo in godimento dell'atto del trasferimento», a riprova che il personale ITP sia escluso dalla legge finanziaria per il 2006, che faceva riferimento solo agli ATA, vi è il fatto che le sentenze e le ordinanze emesse dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto legittimo il comma 218 della finanziaria sulle ordinanze di rinvio emesse da tribunali e corti di appello, si sono unicamente riferite al comma 2 dell'articolo 8 della legge n. 124 del 1999, riguardante, appunto, il personale ATA e mai gli insegnanti tecnico pratici di cui al comma 3 dell'articolo 8 della suddetta legge;
   nella legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007) si rimandava la soluzione dell'annosa questione alla contrattazione collettiva nella stipula dell'allora successivo contratto collettivo nazionale;
   da allora più nulla è avvenuto se non la richiesta ai lavoratori che avevano vinto le cause di restituzione delle somme percepite a seguito delle sentenze favorevoli;
   successivamente, con una sentenza emessa il 7 giugno 2001, la Corte europea dei diritti umani ha riconosciuto che in seguito al comma 218 dell'articolo 1 della legge n. 266 del 2005, i lavoratori si sono visti negare il diritto ad un giusto processo, quindi lo Stato italiano ha violato l'articolo 6, comma 1, della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Inoltre, la giurisprudenza a loro favorevole fino a quel momento aveva fatto maturare in essi un «legittimo affidamento» e di conseguenza l'aspettativa di avere soddisfazione. La Corte ha respinto tutti gli argomenti presentati dal Governo, compreso il richiamo alla causa di utilità pubblica come giustificazione dell'ingerenza della legge nella giurisprudenza;
   con sentenza n. C-108/10 del 6 settembre 2011, la Grande Sezione della Corte di giustizia europea ha definitivamente confermato la correttezza delle richieste del personale di cui in premessa, sancendo l'illegittimità di un inquadramento comportante «un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell'anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario»;
   la citata risoluzione non solo sottolineava la necessità di trovare una soluzione per questa delicata e annosa questione, anche al fine di bloccare immediatamente le richieste di recupero illegittimo delle somme già corrisposte agli ITP, prima dell'emanazione del comma 218 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che rappresenta un onere assolutamente insostenibile per le famiglie coinvolte, oltre che delle somme percepite dal personale ATA a seguito delle sentenze favorevoli di primo e secondo grado, atteso anche che la Corte di Cassazione ha cassato diverse sentenze precedenti, rinviandole alle corti di appello, ma impegnava il Governo «a definire un percorso che pervenga, entro tempi brevi, ad una equilibrata risoluzione della vicenda di cui in premessa, con obiettivo di giungere ad una definitiva soluzione della questione del personale ITP e del personale ATA, che si protrae ormai da molto tempo, al fine di provvedere al riconoscimento delle posizioni giuridiche ed economiche;
   nonostante la risoluzione nulla ad oggi è cambiato –:
   in quale modo i Ministri interrogati intendano intervenire per dare attuazione a quanto stabilito nella risoluzione sopra citata. (5-00271)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATARRESE, CAUSIN, PIEPOLI, MONCHIERO, D'AGOSTINO, SOTTANELLI, RABINO e ANTIMO CESARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 41, comma 7, della legge n. 289 del 2002, così come modificato dall'articolo 44, comma 9-bis legge n. 326 del 2003 e, da ultimo, dall'articolo 1, comma 314, legge n. 288 del 24 dicembre 2012, ha previsto che «per gli anni 2004-2015 le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 6, 7 e 8, del decreto-legge 11 giugno 2002, n. 108, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2002, n. 172, si applicano anche ai lavoratori licenziati da enti non commerciali operanti nelle aree individuate ai sensi degli obiettivi 1 e 2 del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, con un organico superiore alle 1.800 unità lavorative, nel settore della sanità privata ed in situazione di crisi aziendale in seguito a processi di riconversione e ristrutturazione aziendale. Il trattamento economico, comprensivo della contribuzione figurativa e, ove spettanti, degli assegni per il nucleo familiare, è corrisposto in misura pari al massimo dell'indennità di mobilità prevista dalle leggi vigenti, per la durata di 66 mesi dalla data di decorrenza del licenziamento e nel limite di 400 unità, calcolato come media del periodo. Ai lavoratori di cui al presente comma si applicano, ai fini del trattamento pensionistico, le disposizioni di cui all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e relativa tabella A., nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n. 449»;
   tale disposizione, nello stabilire una speciale indennità di mobilità per i lavoratori dipendenti da enti non commerciali operanti in aree disagiate, con un organico superiore alle 1.800 unità lavorative, nel settore della sanità privata, ha previsto, altresì, che gli stessi possano accedere al pensionamento con il possesso dei soli requisiti di cui «all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n. 449»;
   i predetti requisiti sembrerebbero più favorevoli per i lavoratori rispetto a quelli stabiliti, successivamente, dalla legge n. 243 del 2004 e dal decreto-legge n. 201 del 2011, a ragione della particolare situazione economica del settore suddetto. Infatti, la legge n. 289 del 2002 dispone l'accesso al trattamento pensionistico con soli 57 anni di anzianità anagrafica e con 35 di anzianità contributiva mentre il decreto-legge n. 201 del 2011 aumenterebbe questi requisiti a oltre 66 anni di anzianità anagrafica con 20 anni di anzianità contributiva;
   sembrerebbe trattarsi di una norma di carattere speciale, con la conseguenza che la stessa non potrebbe ritenersi abrogata dalle successive disposizioni in materia di ordinamento pensionistico (ultima tra tutte, l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011);
   la disposizione, infatti, è stata prorogata di anno in anno (da ultimo, dall'articolo 1, comma 314, legge 288 del 24 dicembre 2012), senza che sia stato modificato il riferimento «all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n. 449»;
   inoltre, al momento dell'emanazione della legge n. 289 del 2002, era all'esame della Camera dei deputati la legge n. 243 del 2004 e, quindi, ad avviso degli interroganti, il riferimento alla legge n. 724 del 1994 ed alla legge n. 449 del 1997 non può che interpretarsi come una espressa volontà legislativa di stabilizzare tale disciplina pensionistica;
   la Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza (DON UVA), ente che rientra nell'ambito di applicazione della suddetta disposizione, ha avviato, con lettera del 23 ottobre 2014, una procedura di licenziamento collettivo ex articolo 24 legge della n. 223 del 1991, avente ad oggetto 587 lavoratori del settore sanitario;
   tale procedura si è conclusa con accordo del 22 febbraio 2013, stipulato presso la competente direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la previsione, in particolare, del criterio di scelta costituito dalla possibilità di accedere ad un trattamento pensionistico entro la durata dell'indennità di mobilità in questione;
   l'accoglimento della suddetta interpretazione consentirebbe di ridurre notevolmente l'impatto sociale della procedura di licenziamento in questione –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero ed in particolare, se la suddetta interpretazione sia corretta e se, quindi, i lavoratori di cui all'articolo 41, comma 7, della legge n. 289 del 2002 possano accedere ai trattamenti pensionistici di vecchiaia e di anzianità con il possesso dei requisiti di cui «all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n. 449»;
   se siano applicabili nei confronti dei lavoratori in questione particolari «finestre» pensionistiche;
   se possano beneficiare dei ridotti requisiti pensionistici solamente i lavoratori percettori dell'indennità di cui trattasi o tutti i lavoratori dipendenti dai datori di lavoro di cui all'articolo 41, comma 7, della legge n. 289 del 2002 che siano licenziati per motivi di carattere oggettivo;
   se l'organico minimo di 1.800 dipendenti debba intendersi riferito al momento di entrata in vigore dell'articolo 41, comma 7, della legge n. 289 del 2002, ovvero debba sussistere in occasione dell'attivazione delle procedure di licenziamento collettivo ex legge n. 223 del 1991 o di licenziamento individuale ex articolo 7 della legge n. 604 del 1966. (4-00711)


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 concernente la sicurezza sul lavoro equipara i volontari ai lavoratori dipendenti; ciò comporta che i volontari debbano necessariamente essere visitati da un medico del lavoro per ottemperare agli obblighi del decreto;
   per un'associazione di volontariato i costi relativi alle visite prestate ai propri volontari da un medico del lavoro, quindi esterno all'associazione, sono molto elevati e difficili da sostenere;
   i volontari della Croce Bianca di Brescia sono sottoposti ad un'accurata visita medica da parte del direttore sanitario della stessa associazione, anch'esso volontario e quindi non pagato;
   la visita medica prestata dal direttore sanitario dell'associazione soddisfa pienamente le disposizioni del succitato decreto sulla sicurezza del lavoro; nella sostanza, cambia solamente la qualifica del medico visitante –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a equiparare, ai soli fini del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, il direttore sanitario dell'associazione al medico del lavoro. (4-00718)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   attualmente sono circa 282 i vincitori e gli idonei di concorsi pubblici banditi dall'amministrazione civile della difesa negli anni 2008-2009 e che risultano essere in attesa di assunzione;
   le procedure concorsuali sono quelle di seguito specificate:
   a) concorso su base circoscrizionale per n. 111 posti di funzionario di amministrazione, area, funzionale C, posizione economica C1, bandito con Gazzetta Ufficiale 4a Serie Speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 24 del 25 marzo 2011. Tale procedura si è conclusa nel 2009 e i relativi cittadini risultati vincitori/idonei (attesa di 4 anni);
   b) concorso su base circoscrizionale per n. 9 posti di collaboratore bibliotecario, area funzionale C, posizione economica C1, bandito con Gazzetta Ufficiale 4a Serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 8 aprile 2009 (attesa di 4 anni);
   c) concorso su base circoscrizionale per n. 63 posti di collaboratore tecnico, elettrotecnico ed elettromeccanico area funzionale C, posizione economica C1, bandito con Gazzetta Ufficiale 4a Serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 14 novembre 2008 (attesa di 5 anni);
   d) concorso su base circoscrizionale per 4 posti di funzionario tecnico, settore elettronico, optoelettronico e delle telecomunicazioni area funzionale C, posizione economica C2, bandito con Gazzetta Ufficiale 4a Serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 15 dicembre 2008 (attesa di 5 anni);
   e) concorso su base circoscrizionale per n. 5 posti di ingegnere del settore elettrotecnico ed elettromeccanico, area funzionale C, posizione economica C2, bandito in data 16 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 28 novembre 2008 (attesa di 5 anni);
   f) concorso su base circoscrizionale per n. 30 posti di assistente tecnico del settore motoristico e meccanico, area funzionale B, posizione economica B3, bandito con Gazzetta Ufficiale 4a Serie speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 15 dicembre 2008 (attesa di 5 anni);
   la direzione generale del personale civile (Persociv) ha inoltrato al dipartimento della funzione pubblica, già dal 2011 la richiesta di autorizzazione all'assunzione del personale risultato vincitore/idoneo che, successivamente rimodulata sulla base delle risorse disponibili, riguarda n. 208 assunzioni complessive, di cui:
    a) n. 175 per la cosiddetta area 3a (riferite alla copertura dei posti messi a bando delle procedure da punti 1 a 4 specificati in premessa) per la copertura, nel numero esatto, di carenze nell'area risultanti alla data del 31 ottobre 2012 per effetto della rideterminazione delle dotazioni organiche avvenuta a seguito dei tagli imposti dalla spending review (decreto-legge n. 95 del 2012);
    b) n. 24 per la cosiddetta area 2a (riferite alla copertura dei posti messi a bando di cui al punto 6 specificato in premessa);
    c) n. 7 ripartite tra dirigenti, professori, vittime del terrorismo, e altre categorie;
   le mancate assunzioni in parola accentuano una situazione critica, avvertita in particolare negli arsenali e negli altri enti della cosiddetta area industriale della difesa, presso i quali l'immissione di nuove figure professionali qualificate è stata ripetutamente giudicata come strategica ai fini della stessa missione istituzionale e necessaria a fronte del progressivo invecchiamento della forza lavoro civile nell'amministrazione della difesa (età media intorno ai 56 anni);
   gli elevati oneri sostenuti dalla pubblica amministrazione per esperire le citate procedure concorsuali risulterebbero dispersi se non finalizzati al reclutamento dei vincitori/idonei dei relativi concorsi –:
   quali iniziative nell'immediato si intendano porre in essere al fine di consentire il reclutamento dei vincitori di concorso citati in premessa, prima che decadano le rispettive graduatorie. (4-00710)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   RAMPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Public Policy il 27 maggio 2013, il prossimo 7 giugno entrerà in vigore il nuovo regolamento sul funzionamento e l'organizzazione dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà (INMP);
   il relativo decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed è stato firmato dal Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, di concerto con il Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione pro tempore, Filippo Patroni Griffi, e con il Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore, Vittorio Grilli;
   l'Istituto è una struttura pubblica che ha sede a Roma nell'ex ospedale San Gallicano, dove gestisce un poliambulatorio che si occupa di assistenza ai cittadini sia italiani, sia stranieri, regolari e non;
   l'Istituto è sorto nel 2007, durante il secondo Governo Prodi, per volontà dell'allora Ministro della salute Livia Turco, con una fase iniziale di sperimentazione che sarebbe dovuta durare tre anni, – con una dotazione finanziaria di 25 milioni di euro (5 per il 2007, e 10 per ciascuno degli anni 2008 e 2009), l'Istituto ha attivato nel Lazio, in Puglia e in Sicilia, diverse iniziative sperimentali di assistenza sanitaria ai migranti, regolari e non, e alle persone senza fissa dimora, a donne vittime di violenza, ed a minori non accompagnati;
   nel 2010, al termine della fase sperimentale, l'attività dell'INMP, secondo quanto riportato sul suo sito, «è stata prorogata, per un'altra annualità, fino al 28 ottobre 2011»;
   un'ulteriore proroga è stata disposta nel luglio del 2011 con il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, proposto dall'allora Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, che ha autorizzato la prosecuzione delle attività di sperimentazione gestionale fino al 31 dicembre 2013, con un ulteriore stanziamento di 5 milioni di euro per il 2011;
   il decreto-legge n. 98 del 2011, tuttavia, prevedeva anche «una verifica da parte del Ministero della salute, da realizzarsi entro il 30 giugno del 2013, sull'andamento della sperimentazione gestionale» e che, in caso di mancato raggiungimento dei risultati, il Ministro della salute avrebbe provveduto alla soppressione e liquidazione dell'INMP;
   molto prima della scadenza del 30 giugno 2013, nel settembre del 2012, il Governo ha, invece, definitivamente stabilizzato l'Istituto, attraverso il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», che all'articolo 14, comma 2, recita: «(...) l'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà (Inmp) già costituito quale sperimentazione gestionale, è ente con personalità giuridica di diritto pubblico, dotato di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, vigilato dal Ministero della salute, con il compito di promuovere attività di assistenza, ricerca e formazione per la salute delle popolazioni migranti e di contrastare le malattie della povertà»;
   né il testo del decreto-legge da ultimo citato, né il regolamento pubblicato in questi giorni in Gazzetta Ufficiale, fanno alcun riferimento alla verifica sull'andamento della sperimentazione;
   la trasformazione in ente stabile, si legge ancora nel decreto-legge Balduzzi, ha come scopo quello di «limitare gli oneri per il Servizio sanitario nazionale per l'erogazione delle prestazioni in favore delle popolazioni immigrate»;
   la dotazione economica dell'Istituto è stata di cinque milioni di euro nel 2012 e di dieci milioni di euro per ciascuna annualità a decorrere dal 2013;
   con il decreto-legge n. 158 del 2012, oltre al nuovo regolamento è stato istituito un nuovo Consiglio d'indirizzo, a capo del quale siede Livia Turco, ex parlamentare del Pci, del Pds, dei Ds e del Pd e Ministro della salute tra il 2006 e il 2008;
   tutti i servizi erogati dall'Istituto in oggetto sono già forniti dal Sistema sanitario nazionale, attraverso le aziende sanitarie locali –:
   se il Ministero della salute abbia realizzato la citata verifica prescritta dall'articolo 17, comma 8, del decreto-legge n. 98 del 2011, che avrebbe dovuto monitorare l'operato dell'Istituto affinché si procedesse, successivamente, alla sua stabilizzazione o abrogazione;
   se non si ritenga opportuna la soppressione dell'istituto, alla luce della crisi economica e finanziaria che attraversa l'Italia e che sta costringendo il Governo a un ridimensionamento degli ospedali e all'aumento dei ticket sanitari e posto che ad avviso dell'interrogante tale istituto è un «doppione» nell'ambito di un sistema, quale il Sistema sanitario nazionale, che ha il suo naturale interfaccia con l'utente nelle aziende sanitarie locali;
   quale sia l'effettiva realizzazione dei progetti di assistenza sanitaria per i popoli migranti e di contrasto alla povertà, attraverso la trasmissione di dati quali il numero delle prestazioni effettuate, la tipologia delle prestazioni, e l'efficacia degli interventi;
   se non ritenga la nomina dell'onorevole Livia Turco inopportuna, visto e considerato che è stata la fondatrice dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà;
   per quale motivo, la designazione del presidente del consiglio d'indirizzo non sia stata preceduta da una selezione mediante bando pubblico, per verificare la presenza di altre personalità disponibili a ricoprire tale posizione, anche in possesso di titoli superiori di quelli dell'ex parlamentare.
(3-00103)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI, ZANIN, OLIVERIO, MONGIELLO, TENTORI, CARRA, TERROSI, TARICCO, FIORIO e COVA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del Ministro della salute dell'11 aprile 2013 lo Stato ha richiesto alla Commissione europea l'introduzione delle misure di urgenza ai sensi dell'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1828/2003 in merito al mais geneticamente modificato MON810;
   nella precedente richiesta si considera che i molteplici studi scientifici successivi al parere dell'Autorità europea sulla sicurezza alimentare del 15 giugno 2009 sulla domanda di rinnovo dell'autorizzazione del mais MON810 motivano la sospensione urgente dell'autorizzazione alla messa in coltura di tale prodotto e l'adozione di adeguate misure di gestione;
   la Commissione europea, direzione generale salute e consumatori, con lettera del 17 maggio 2013, ha ritenuto che non sia stata dimostrata, da parte dello Stato, l'urgenza di adottare misure ai sensi dell'articolo 53 del regolamento (CE) n. 178/2002;
   alcuni Stati membri dell'Unione, tra cui la Francia, hanno già attivato la procedura prevista dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178 del 2002 con il divieto di messa in coltura su tutto il territorio di mais MON810 senza che il provvedimento (16 marzo 2012) risulti, ancora, impugnato innanzi alla Corte di giustizia Ue;
   nel frattempo, la Corte di giustizia dell'Unione europea con ordinanza 8 maggio 2003, nell'ambito di un procedimento penale, a carico di un produttore imputato di aver messo a coltura, in Friuli Venezia Giulia, varietà di mais geneticamente modificato senza aver ottenuto l'autorizzazione prescritta ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 212, ha statuito che uno Stato membro non possa opporsi alla messa in coltura di organismi geneticamente modificati quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati in base alla vigente disciplina europea;
   la precitata ordinanza sembra escludere che l'ottenimento dell'autorizzazione rilasciata con provvedimento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro della salute, sentita la regione interessata per territorio, possa integrare una specifica misura di coesistenza atta ad evitare la presenza indesiderata di organismi geneticamente modificati in altre colture;
   anche all'interno della cornice dei princìpi disposti dal decreto-legge n. 279 del 2004 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, lo Stato sembra privo di misure adeguate a valutare le regole di coesistenza rispetto all'eventuale richiesta di messa a coltura di varietà geneticamente modificate, al fine di non compromettere la biodiversità ambientale e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare nazionale;
   il Senato della Repubblica, nella seduta del 21 maggio 2013, ha votato l'impegno del Governo ad adottare misure di salvaguardia o, comunque, provvisorie e di urgenza al fine di evitare qualsiasi contaminazione tra colture geneticamente modificate convenzionali e biologiche –:
   se non ritenga che il ritardo accumulato costituisca un rischio evidente per la qualità e la sicurezza della produzione agricola del Paese e quali eventuali ragioni ostacolino la necessaria assunzione dell'impegno di provvedere al divieto temporaneo e di urgenza della coltivazione di varietà geneticamente modificate così come accaduto in altri Stati membri e richiesto da tutte le rappresentanze politiche oltre che dalla prevalenza di cittadini, consumatori ed agricoltori. (5-00270)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VELO e FONTANELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il centro meccanico di smistamento postale di Ospedaletto di Pisa, inaugurato nell'aprile 2010, è uno dei più moderni ed avanzati del Paese, grazie ai significativi investimenti di diversi milioni di euro per le apparecchiature installate che lo rendono il secondo impianto in Italia per produttività ed efficienza, secondo parametri aziendali. Nonostante ciò, già nello scorso anno, la società Poste italiane ne annunciò la chiusura, decisione che dovrebbe perfezionarsi entro il prossimo settembre, per trasferire le relative attività al centro di Firenze;
   tale decisione di Poste italiane rientra in un piano di ristrutturazione organizzativa complessiva del servizio postale che prevede, tra l'altro, una diversa distribuzione dei portalettere sul territorio con pesanti effetti occupazionali e sulla regolarità del servizio, tali da far temere la volontà di procedere a un progressivo abbandono del servizio di recapito, compromettendo una delle funzioni proprie della società e il concetto stesso del servizio universale per il quale lo Stato riconosce i relativi contributi proprio per assicurare la capillarità e la qualità del recapito postale;
   se, al momento sembrano scongiurate le ricadute più pesanti e immediate sul piano occupazionale, grazie alla trattativa avviata dalle organizzazioni sindacali, quello che non sembra chiarito è il tipo di servizio che si ritiene di voler assicurare agli utenti dell'area di Pisa e di tutta la fascia costiera toscana, stante i problemi logistici connessi alla decisione di spostare la lavorazione al centro di Firenze;
   tali scelte sembrano essere state assunte senza un confronto preventivo con le organizzazioni dei lavoratori e con le amministrazioni locali interessate –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in merito all'iniziativa annunciata dalla società Poste italiane relativa alla chiusura del centro di Ospedaletto di Pisa e, più in generale, in materia di riorganizzazione del servizio di recapito e se tale piano sia considerato compatibile con gli obiettivi del contratto di programma e con il principio dell'universalità del servizio;
   come si giustifichi la decisione di abbandonare uno dei centri di smistamento più moderni ed efficienti del Paese, aperto solo tre anni fa e sul quale sono stati realizzati importanti investimenti che, a breve, rischierebbero di essere persi;
   quali iniziative intenda assumere al fine di consentire l'apertura di un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali, con la regione Toscana e le amministrazioni locali interessate, volto a individuare le soluzioni più opportune per la definizione di soluzioni organizzative che scongiurino i rischi di peggioramento del servizio postale per un'ampia e importante fascia del territorio toscano. (5-00254)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Battipaglia (SA) è, ormai da tempo, al centro di una preoccupante e delicata vicenda riguardante il piano di ristrutturazione del personale operata dalla multinazionale Alcatel Lucent;
   nel 2010 l'azienda ha attuato una strategia mirata a spostare le attività produttive verso paesi del nord Italia, impegnandosi però a mantenere e rilanciare il centro ricerca e sviluppo della zona industriale di Battipaglia;
   come riportato da organi di stampa locali e nazionali, nel giugno 2010, Alcatel Lucent avrebbe sottoscritto con il Governo, gli enti locali e i sindacati un accordo di programma per il mantenimento delle attività produttive, l'assunzione di 10 unità nell'ambito della Ricerca e Sviluppo e il mantenimento dei livelli occupazionali del sito di Battipaglia;
   nel luglio 2012, però, rinnegando l'accordo preso, la multinazionale francese avrebbe stipulato un ulteriore accordo quadro, che prevedeva la cassa integrazione straordinaria per 31 lavoratori su un totale di 120 dipendenti, un quarto della forza lavoro, con la motivazione del profondo stato di crisi aziendale seguito all'andamento generale dell'economia mondiale;
   l'azienda, inoltre, avrebbe messo in atto un piano di razionalizzazione logistica finalizzata allo spostamento delle attività di ricerca presso il sito Alcatel di Vimercate, in Brianza;
   la migrazione forzata di un certo numero di lavoratori verso la sede di Vimercate e il contestuale avvio della procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per le restanti unità lavorative coinvolte ha comportato un indebolimento sistematico del sito di Battipaglia;
   ad oggi, quelli che avrebbero dovuto essere solo provvedimenti di cassa integrazione straordinaria, finalizzati a una ricollocazione interna del personale, rischiano di diventare esuberi strutturali;
   come denunciato dagli stessi sindacati, infatti, lo smantellamento del sito di Battipaglia sembrerebbe essere dovuto esclusivamente a una scelta dell'azienda di favorire altri siti e altre regioni piuttosto che tener fede agli accordi sottoscritti;
   stando al piano industriale che il neo amministratore delegato della multinazionale francese dovrà presentare entro la metà di luglio, ci saranno pesanti tagli e ristrutturazioni in tutti i siti italiani e, in particolare, per il sito di Battipaglia si prevedono nuovi tagli e una rotazione della cassa integrazione che coinvolgerà i 114 dipendenti, tecnici e ingegneri specializzati, rimasti in servizio;
   tale preoccupante vicenda sta mettendo in discussione una delle più importanti presenze produttive di Battipaglia e dell'intera provincia di Salerno;
   il Centro ricerca e sviluppo di Battipaglia rappresenta un'assoluta eccellenza, tra le poche nel Meridione d'Italia, da sempre fiore all'occhiello dell'industria della piana del Sele;
   il personale impiegato nel sito di Battipaglia è altamente qualificato e potrebbe fornire, anche ricollocato in altri settori aziendali, un grande contributo alla crescita della multinazionale francese;
   l'ennesimo vertice tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico lo scorso 21 maggio si è concluso in un nulla di fatto, con il rinvio della problematica al prossimo incontro, probabilmente a giugno;
   in occasione di tale ultimo incontro l'Alcatel, rifiutando la richiesta di avvio di una nuova procedura di cassa integrazione straordinaria per i lavoratori in esubero, avrebbe, tra l'altro, proposto di sostituire l'accordo firmato nel 2012 con un nuovo, che preveda la cassa integrazione ordinaria per sei mesi, estesa anche a nuove unità lavorative battipagliesi, a conferma della reale volontà dell'azienda di chiudere il sito;
   la vicenda ormai si prolunga da tempo, con accordi sindacali non rispettati e promesse sempre disattese, che vedono i lavoratori perdere ogni speranza per il proprio futuro lavorativo;
   è indispensabile definire con celerità la trattativa in corso con il Governo per l'adozione di ogni iniziativa a tutela dei lavoratori e dei livelli occupazionali nella fabbrica Alcatel di Battipaglia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuta la risoluzione della problematica prioritaria per le sorti del territorio della provincia di Salerno, quali iniziative ritengano opportuno adottare per porre fine al processo di desertificazione del tessuto produttivo di quello che fu uno dei principali poli industriali del Mezzogiorno, anche attraverso l'individuazione di soluzioni occupazionali alternative. (4-00713)


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Poste italiane spa, presumibilmente nell'ottica di un ridimensionamento aziendale, sarebbe pervenuta alla decisione della chiusura, a partire da metà marzo 2012, dell'ufficio postale che serve l'area di Statigliano, frazione del comune di Roccaromana, in provincia di Caserta;
   come si legge nel verbale di deliberazione del consiglio comunale di Roccaromana in sessione straordinaria n. 4 del 26 marzo 2012, tale determinazione sarebbe stata assunta senza una tempestiva comunicazione ai cittadini e alle amministrazioni locali, in palese violazione dell'articolo 3 del decreto 22 giugno 2007 del Ministero delle comunicazioni sugli obblighi di informazione all'utenza e al comune interessato;
   la decisione della chiusura dell'ufficio postale di Statigliano, le cui ripercussioni più gravi ricadrebbero, come sempre in questi casi, sulle fasce più deboli della cittadinanza come anziani e disabili, ha sollevato vivaci proteste e comprensibile preoccupazione nella cittadinanza;
   la frazione di Statigliano, disterebbe ben tre chilometri dal più vicino ufficio postale di Roccaromana, che, allo stato attuale, servirebbe tre frazioni distribuite su un territorio di oltre 15 chilometri;
   come se non bastasse, suddetto ufficio postale, sarebbe attivo solo quattro giorni a settimana e andrebbe avanti a intermittenza per le continue interruzioni del servizio dovute a non meglio precisati «motivi tecnici»;
   da quanto si evince da organi di stampa e segnalazioni pervenute da residenti della zona, la decisione della chiusura dell'ufficio postale di Statigliano si somma a una lunga serie di disagi che la popolazione è costretta a sopportare da diverso tempo;
   lo stesso ufficio postale, infatti, sarebbe già stato oggetto di un piano di rimodulazione e riorganizzazione, che avrebbe portato alla riduzione degli orari e all'apertura a due soli giorni a settimana, prima della sua chiusura definitiva;
   Poste italiane spa, avrebbe dato seguito al piano di riorganizzazione cancellando altri, uffici postali della provincia di Caserta, tutti posizionati su territori montani, con popolazione appartenente a fasce deboli, uffici che costituiscono punto di riferimento per pagare le bollette, riscuotere la pensione, depositare i risparmi e usufruire di tanti altri servizi;
   tale drastica decisione non può essere supportata da logiche di razionalizzazione dei costi ed efficacia dei servizi, posto che nei piccoli comuni o nelle frazioni dislocate e disagiate geograficamente, soprattutto se montane, la salvaguardia e il potenziamento dei servizi essenziali diventano indispensabili per gli abitanti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità degli stessi, se ritenga opportuno assumere adeguati iniziative per sollecitare la direzione dell'azienda Poste italiane a provvedere alla tempestiva riapertura dell'ufficio postale di Statigliano, al fine di assicurare un servizio efficiente ai cittadini e alle attività produttive che operano nel bacino di utenza del comune di Roccaromana. (4-00714)


   RAGOSTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto dirigenziale n. 377 del 14 luglio 2010 l'A.G.C. 12, sviluppo economico settore 4 regolazione dei mercati della regione Campania, ha autorizzato la società proponente Essebiesse Power srl alla costruzione di un impianto eolico di 40 megawatt e della connessa stazione elettrica Terna 150/220 kV a Montesano sulla Marcellana (SA);
   con successivo decreto dirigenziale n. 19 del 15 aprile 2011 il decreto autorizzativo è stato volturato in favore della società Terna spa;
   l'autorizzazione della regione Campania (D. D. n. 377 del 14 luglio 2010) appare all'interrogante viziata, essendo la Essebiesse Power srl ad avere chiesto ed ottenuto l'autorizzazione della stazione per conto di Terna;
   inoltre, detta autorizzazione appare rilasciata in violazione dell'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011: «I gestori di rete, per la realizzazione di opere di sviluppo funzionali all'immissione e al ritiro dell'energia prodotta da una pluralità di impianti non inseriti nei preventivi di connessione, richiedono l'autorizzazione con il procedimento di cui all'articolo 16, salvaguardando l'obiettivo di coordinare anche i tempi di sviluppo delle reti e di sviluppo degli impianti di produzione»;
   l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 in materia di interventi per lo sviluppo delle reti elettriche di trasmissione prevede che «Terna Spa individua in un'apposita sezione del Piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale gli interventi di cui all'articolo 4, comma 4, tenendo conto dei procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti in corso»;
   la ratio di queste disposizioni è quella di evitare speculazioni e, soprattutto, di evitare l'utilizzo di leggi emanate per finalità giuste per raggiungere fini che invece non lo sono;
   il suddetto piano di sviluppo (PdS) della rete di trasmissione nazionale (RTN) è un documento che deve essere predisposto e approvato annualmente dal Ministero dello sviluppo economico prima che le opere elettriche (nella fattispecie stazione elettrica di trasformazione) siano autorizzate;
   il decreto sulle liberalizzazioni, all'articolo 23 (semplificazione delle procedure per l'approvazione del piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale), dispone che: « 1. Fermi restando l'obbligo di predisposizione annuale di un Piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale e le procedure di valutazione, consultazione pubblica ed approvazione previste dall'articolo 36, comma 12, del decreto legislativo 10 giugno 2011, n. 93, il medesimo Piano è sottoposto annualmente alla verifica di assoggettabilità a procedura VAS di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ed è comunque sottoposto a procedura VAS ogni tre anni. 2. Ai fini della verifica di assoggettabilità a procedura VAS di cui al comma precedente, il piano di sviluppo della rete e il collegato rapporto ambientale dovranno evidenziare, con sufficiente livello di dettaglio, l'impatto ambientale complessivo delle nuove opere»;
   la stazione elettrica di trasformazione di Montesano sulla Marcellana, già autorizzata, è assente nel piano di sviluppo vigente all'epoca dell'autorizzazione (PdS 2009) e in tutti i piani di sviluppo successivamente approvati, risultando presente solamente nella proposta al piano di sviluppo 2011 del RTN;
   nella proposta la società Terna, a pagina 124, afferma che «in data 14 luglio 2010 è stato emesso dal Ministero dello sviluppo economico il decreto autorizzativo alla costruzione ed all'esercizio della futura SE 380 kV di Montesano sulla Marcellana»;
   il Ministero dello sviluppo economico non avrebbe potuto mai emettere, il decreto autorizzativo della stazione elettrica di Montesano sulla Marcellana in assenza di un piano di sviluppo approvato dallo stesso Ministero;
   non risulta sia stata fatta un'analisi delle ipotesi localizzative alternative, né che, qualora non vi fossero alternative, sia documentato e dimostrato che, come spesso accade, la scelta sia dettata dalla convenienza progettuale piuttosto che dall'assenza di alternative offerte dal territorio;
   nonostante l'irrazionalità nella scelta del sito, non essendo presente in nessun piano di sviluppo approvato dal Ministero dello sviluppo economico, è comunque stato autorizzato dall'amministrazione regionale. Tra l'altro, la regione Campania ha autorizzato la stazione elettrica di Terna spa, non perché ne abbia fatto richiesta la stessa Terna, essendo proprietaria/committente, ma per richiesta della società proponente un impianto da fonte rinnovabile e proprietaria esclusivamente di un impianto virtuale;
   l'opzione iniziale collocava la stazione di trasformazione in una zona disabitata e la maggior parte dei pareri sono stati espressi senza valutare l'esposizione alle onde elettromagnetiche delle persone che ivi risiedono;
   le stazioni di trasformazione trasformano l'energia dalla tensione di trasporto a quella della rete di distribuzione ad alta tensione e sono il punto di arrivo e di partenza di più linee aeree, solitamente costruite in zone in assenza di abitazioni e, pertanto, generalmente non pongono problemi dal punto di vista dell'esposizione della popolazione;
   sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, a distanza dalla sorgente, i campi elettromagnetici si distribuiscono su superfici sempre più ampie e l'intensità di essi diminuisce man mano che essi si propagano. Dunque, è evidente che la concentrazione massima delle radiazioni si ha appunto nei luoghi immediatamente vicini alla stazione di trasformazione;
   nella fattispecie in esame il sito indicato è ubicato a meno di 26 metri dall'abitazione più vicina e a ridosso dell'intero centro abitato, a circa 500 metri dai presidi scolastici e da un'importante struttura alberghiera, in palese contrasto con la legge quadro sulla protezione da esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici n. 36 del 22 febbraio 2001;
   le possibili irregolarità, a giudizio dell'interrogante, sono suscettibili di arrecare ingiusti vantaggi alle società e un altrettanto ingiusto danno alla collettività per realizzare, illogicamente, opere ad alto impatto per l'ambiente e la salute dei cittadini di Montesano sulla Marcellana –:
   se non ritenga il Governo di accertare con la massima urgenza, nell'ambito delle proprie competenze, quanto esposto in premessa circa l'operato di Terna in materia di VIA e di procedimento amministrativo, anche al fine di valutare se vi siano state eventuali violazioni di legge;
   come intenda il Governo rafforzare la tutela dell'ambiente e della salute, conformemente a quanto richiesto dalle direttive europee che più volte hanno ribadito la necessità e l'urgenza di innalzare il livello di attenzione per le ricadute negative sull'ambiente e sulla salute in merito alla costruzione delle infrastrutture energetiche;
   come intenda il Governo affrontare l'anomalo e preoccupante proliferare di megastazioni elettriche di Terna spa, ciascuna delle quali ricopre, puntualmente, decine di migliaia di metri quadrati di superficie di terreno agricolo ad alta produttività, in contesti estranei a qualunque tipo di attività economica e industriale come quella che si vuole realizzare in provincia di Salerno nel comune di Montesano sulla Marcellana. (4-00728)


   MOSCA, RAMPI e CENTEMERO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Interfila srl è un'azienda di prodotti cosmetici con sede a Limbiate (Monza e Brianza) del gruppo Intercos e presente sul territorio dal 1960, ed opera nel settore producendo nello stabilimento di Limbiate matite cosmetiche in legno ed è considerata leader del mercato a livello mondiale;
   in Italia, sono presenti altri due siti. Agrate (MB) e Dovera (CR), nei quali sono poste in essere tutte le fasi del processo produttivo per la realizzazione di matite cosmetiche. I prodotti di Interfila sono commercializzati, quali prodotti finiti, in tutti i mercati di riferimento del Gruppo Intercos, il quale opera attraverso società e stabilimenti dislocati in Italia, Stati Uniti, Malesia e Cina, nonché attraverso 8 uffici commerciali dislocati nei mercati strategicamente più rilevanti (USA, Francia, Italia, Regno Unito, Malesia e Cina);
   nel sito di Limbiate lavorano 146 dipendenti, per la maggior parte donne, residenti in Limbiate e paesi limitrofi, con età media 42 anni circa. In questa azienda si realizza un prodotto particolare, matite e pennarelli da trucco a base in legno, per il quale vi è un livello di manualità molto elevato e una ricerca di qualità per un mercato rivolto ai più prestigiosi marchi europei: Chanel, Dior, Sisley, E.Lauder, e altri che ad oggi richiedono il made in Italy sui loro prodotti;
   tuttavia, si è registrata negli ultimi anni una diminuzione degli ordini (nel 2011 sono stati prodotti 45 milioni di pezzi, nel 2012 scesi a 25 milioni e le previsioni del 2013 sono di 14 milioni di pezzi) e negli ultimi mesi, ai dipendenti di Limbiate la direzione ha confermato che a seguito della diminuzione dei volumi di ordini/commesse, rispetto agli anni precedenti avevano stimato circa 25 lavoratori in esubero, ed era stato concordato un percorso di smaltimento ferie residue anno precedente più la Cigo per 13 settimane, per sopperire al fatto della diminuzione del lavoro;
   pur essendo passate solo sette settimane dall'apertura della Cigo, ed avendone usufruite solo tre perché entrando ordini era ripresa l'attività lavorativa spinta da urgenze di produttività è stato comunicato che il sito di Limbiate chiuderà entro fine anno, con la possibilità di integrare solo 60 dipendenti negli altri stabilimenti, dove ad oggi vi è una forza lavoro interinale pari a 150 persone. Il trasferimento in altre aziende sarebbe in realtà molto complicato, sia per la distanza da percorrere (130 chilometri andata e ritorno) e sia perché l'azienda non garantisce il contributo al trasferimento con i pullman e neanche promuoverebbe degli incentivi economici all'esodo volontario;
   sono state avviate trattative sindacali con la direzione, ma intanto Intercos aprirà la mobilità per tutti i lavoratori e poi chiederà la Cassa integrazione straordinaria di 24 mesi, nella trattativa si studiano degli incentivi all'esodo, delle modalità di disponibilità del pullman, e vi è la richiesta di rivalutare il numero di posti disponibili fino ad arrivare a collocare tutti quelli che lo desiderano –:
   quali iniziative intenda avviare al fine di tutelare i lavoratori coinvolti nella dismissione dell'azienda Interfila e quali iniziative il Governo vuole promuovere per il rilancio del settore cosmetico. (4-00730)


   SCOTTO e AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'AR – Industrie Alimentari spa, dedita all'attività di trasformazione del pomodoro, di proprietà della famiglia Russo, dal 1971 ha uno stabilimento sul territorio di Sant'Antonio Abate;
   nell'ottobre del 2010 i Nac (nucleo antifrodi carabinieri) di Salerno, hanno sequestrato 500 tonnellate di pomodoro etichettato AR – industrie Alimentari ma soggetto in realtà a contraffazione, e le indagini hanno portato alla condanna del numero uno di AR – Industrie Alimentari Antonino Russo da parte del tribunale di Nocera Inferiore a quattro mesi e al pagamento di 6.000 euro di multa per aver venduto pomodoro cinese spacciandolo come prodotto made in Italy, come riportato nell'articolo «Salviamo l'oro rosso campano» tratto da Il Punto del 20 aprile 2012;
   nel febbraio 2012 il 51 per cento dell'azienda è stata ceduta a Princes Ltd, gruppo industriale anglo-nipponico che fa capo a Mitsubishi, già partner commerciale dell'imprenditore Russo dal 2001;
   il 26 marzo 2012 l'amministratore delegato del gruppo AR, ingegner Gaetani, per conto dell'imprenditore Antonino Russo annuncia, nel corso di una riunione sindacale, la chiusura degli stabilimenti conservieri abatesi ex IPA, ex Conserviera Sud ed ex Elvea;
   la chiusura degli stabilimenti per mancanza di un piano industriale ha coinvolto circa 225 operai fissi ed un indotto, comprensivo dei lavoratori stagionali, di circa 1.500 dipendenti, generando gravissimi problemi occupazionali nelle aree stabiese e dell'agro nocerino-sarnese;
   la gravità di tale situazione si è manifestata immediatamente attraverso una serie di mobilitazioni da parte di lavoratori ed organizzazioni sindacali;
   nel 2005 il gruppo Russo aveva aperto uno stabilimento nella città di Incoronata di Foggia, costato tra gli 80 e i 90 milioni di euro stanziati in larga parte dall'Agenzia nazionale per lo sviluppo d'impresa e l'attrazione degli investimenti;
   in tale occasione il deputato del PdL Gioacchino Alfano come riportato da fonti di stampa aveva chiesto con interrogazione parlamentare, subito ritirata, di far luce sul futuro occupazionale dei lavoratori di Sant'Antonio Abate vista la creazione del nuovo opificio;
   l'allora Ministro per le attività produttive Antonio Marzano, e con lui Massimo Caputi, amministratore di Sviluppo Italia, rassicurava i lavoratori affermando che gli stabilimenti abatesi sarebbero restati aperti;
   nel febbraio 2013 la regione Campania ha sospeso per 12 mesi l'attività produttiva dello stabilimento di Sant'Antonio Abate sito in via Buonconsiglio, per non aver concesso i vertici aziendali l'accesso ai funzionari dell'Asl Napoli 3 Sud per effettuare controlli per la verifica del rispetto delle norme igienico-sanitarie all'interno dello stabilimento;
   la sospensione dell'attività produttiva ha causato l'interruzione delle trattative tra il gruppo Russo e la regione Campania per salvaguardare i posti di lavoro;
   lo stabilimento di Sant'Antonio Abate è stato definitivamente smantellato, e solo 40 dipendenti sono stati spostati presso l'ex Elvea Scatolificio di Angri;
   la chiusura dello stabilimento di Sant'Antonio Abate ha aggravato i problemi occupazionali di una zona, quella stabiese e dell'agro nocerino-sarnese, già martoriata da una profonda crisi economica;
   nonostante i cospicui finanziamenti pubblici ricevuti dall'Unione europea, dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e dalla regione Campania, il gruppo Russo non ha esitato un solo istante a chiudere il sito di Sant'Antonio Abate, avviando la procedura di mobilità per i 225 lavoratori ed il conseguente licenziamento dei numerosi dipendenti dell'indotto –:
   se, alla luce di quanto affermato, non si ritenga di dover attivare al più presto un tavolo tecnico con i Ministeri interessati e la partecipazione dei rappresentanti delle categorie professionali e dei soggetti coinvolti, al fine di individuare delle soluzioni in grado di tutelare il posto di lavoro e i diritti dei lavoratori. (4-00732)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Gregori e altri n. 1-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Moretto, Cominelli, Moscatt.

  La mozione Bobba e altri n. 1-00058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Capone, Mattiello, Mariano, Pastorino, Guerra, Lauricella.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Bergamini n. 7-00020, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Biasotti.

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza Matarrese e altri n. 2-00069, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antimo Cesaro.

  L'interpellanza urgente Bobba e altri n. 2-00076, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Coppola, Valeria Valente.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in commissione Gadda e altri n. 5-00222, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Senaldi.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Zan n. 4-00420 del 14 maggio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Rondini n. 5-00131 del 15 maggio 2013;
   interpellanza urgente Palazzotto n. 2-00060 del 21 maggio 2013.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Allasia e altri n. 1-00064 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 27 del 3 giugno 2013. Alla pagina 1602, prima colonna, alla riga trentanovesima, deve leggersi: «pendenza massima del 12 per mille e una» e non «pendenza massima del 12 per cento e una», come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Prodani e Rizzetto n. 4-00677 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 27 del 3 giugno 2013. Alla pagina 1634, prima colonna, dalla riga trentacinquesima alla riga trentaseiesima, deve leggersi: «aperto a 19 chilometri a ovest del capoluogo giuliano, perché non sono disponibili» e non «aperto a 19 chilometri a ovest del capoluogo friulano, perché non sono disponibili», come stampato.