Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 29 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il tema delle riforme istituzionali, che accompagna il dibattito politico italiano dalla fine degli anni ’70, s'intreccia oggi con le esigenze di rilancio della crescita economica e di rafforzamento della coesione sociale, ponendosi con esse al centro dell'attenzione del Parlamento e del programma di Governo;
    l'ammodernamento delle istituzioni repubblicane è condizione essenziale per favorire la stabilità del sistema politico e rendere più efficienti i circuiti decisionali di un sistema di governo multilivello tra Unione Europea, Stato e Autonomie territoriali assai più complesso e articolato che nel passato, elevando, per questa via, la qualità della vita democratica, la partecipazione dei cittadini, la tutela dell'interesse nazionale e la trasparenza delle Istituzioni;
    per avviare una stagione di riforme costituzionali di ampio respiro, occorre definire un metodo che consenta di affrontare, secondo un disegno coerente, le principali questioni sinora irrisolte, da ultimo richiamate nel discorso programmatico tenuto dal Presidente del Consiglio innanzi le Camere, concernenti la forma di Stato, la forma di Governo, il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari e la riforma del sistema elettorale, la quale – naturalmente – non potrà che essere coerente e contestuale con il complessivo processo di riforma costituzionale. Tuttavia, al fine di garantire che in ogni caso gli elettori non siano più chiamati a votare con la legge elettorale attualmente in vigore, si rende necessario che il Parlamento adotti entro e non oltre la pausa estiva una norma di salvaguardia che modifichi, sia pur parzialmente, la normativa attualmente in vigore, prevedendo, in particolare: 1) la modifica delle modalità di attribuzione del premio di maggioranza al Senato, al fine di favorire la governabilità; 2) una soglia minima per l'attribuzione del premio di maggioranza assegnato alla coalizione vincente, sia alla Camera, sia al Senato; 3) una modalità che consenta, almeno per la maggior parte dei seggi da assegnare, la possibilità per l'elettore di scegliere i candidati e le candidate da eleggere;
    rilevata, pertanto, la necessità di definire tempestivamente, attraverso l'approvazione di un'apposita legge costituzionale, una procedura straordinaria di revisione costituzionale che permetta di avviare un lavoro comune dei due rami del Parlamento, di programmare una tempistica certa e in linea con le attese del Paese dell'esame dei progetti di legge di revisione della Costituzione, di assicurare un più largo consenso parlamentare in sede di approvazione degli stessi e di potenziare il controllo dei cittadini sul risultato finale del processo riformatore; una procedura, dunque, idonea a valorizzare il ruolo del Parlamento e ad assicurare la partecipazione diretta dei cittadini;
    preso atto dell'intendimento del Governo di estendere il dibattito sulle riforme alle diverse componenti della società civile, anche attraverso il ricorso a una procedura di consultazione pubblica;
    valutato con favore il lavoro che stanno portando avanti i competenti organi delle Camere, al fine di pervenire in tempi rapidi all'approvazione di una riforma dei regolamenti parlamentari idonea a dare una prima efficace risposta alla domanda di modernizzazione delle nostre istituzioni, nella prospettiva di una piena valorizzazione del Parlamento, di un efficace controllo sull'operato del Governo e di un più stretto raccordo con le istanze della società civile, anche al fine di elevare la qualità della produzione legislativa. In particolare, occorrerà superare l'eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza e a votazioni di fiducia su maxi emendamenti, salvaguardando al contempo le prerogative del Governo, cui deve essere riconosciuta la facoltà di attivare procedure che, senza comprimere il ruolo delle Camere, garantiscano tempi certi per l'approvazione dei disegni di legge di attuazione del suo programma, nonché a rafforzare i diritti dei gruppi d'opposizione e lo statuto regolamentare delle iniziative legislative popolari;
    considerato che la necessità di individuare modifiche costituzionali che rendano più efficiente il sistema istituzionale può essere colta anche con l'individuazione di taluni principi fondamentali da esplicitare nella Carta Costituzionale quali, tra gli altri:
     a) l'inserimento di un tetto al prelievo fiscale e tributario, al fine anche di determinare un forzato virtuosismo nella gestione della spesa pubblica che dovrà essere uniformata alla disponibilità massima di entrata dello Stato nelle sue diverse articolazioni, al fine di evitare il progressivo innalzamento del prelievo ai danni del contribuente;
     b) la definizione del principio di equità generazionale che impedisca la formazione di debiti da trasferire alle successive generazioni. Ciò per determinare conseguenze virtuose quali, ad esempio, modalità obbligatorie di contenimento del debito pubblico e forme di razionalizzazione del sistema pensionistico tali per cui quanti da oggi avranno diritto ad un vitalizio determinato secondo il regime contributivo non siano chiamati a sopportare l'onere di chi per diritto acquisito beneficia del calcolo retributivo;
     c) la previsione della sovranità e dell'interesse nazionale, per la quale ogni atto, impegno o contribuzione determinata da organismi comunitari o sovranazionali potranno trovare applicazione previa valutazione della compatibilità con lo sviluppo socio-economico dei cittadini italiani e delle famiglie, e con la sicurezza nazionale;
     d) una più puntuale definizione delle forme politiche, dello status giuridico e dell'organizzazione di partiti e movimenti, nell'ottica di garantire libertà di partecipazione, forme di democrazia interna e trasparenza nell'impiego dalle risorse economiche;
     e) la previsione di una disciplina che, pur in vigenza dell'articolo 67 della Costituzione, favorisca il rispetto della volontà popolare, troppe volte tradita da parte dei parlamentari attraverso i cosiddetti ribaltoni;
     f) il diritto di elettorato attivo e passivo per tutti i maggiorenni;
     g) il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, la riforma della legge elettorale, la definizione delle funzioni del Presidente della Repubblica e le modalità della sua elezione, a suffragio universale e diretto, nonché delle competenze del Primo Ministro;
    richiamate le considerazioni espresse dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio al Parlamento, formulato nel giorno del giuramento, circa la necessità di non «sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana»,

impegna il Governo:

   a presentare alle Camere, entro il mese di giugno 2013, un disegno di legge costituzionale, che in coerenza con le finalità e gli obiettivi indicati nelle premesse, preveda, per l'approvazione della indicata riforma costituzionale, una procedura straordinaria rispetto a quella di cui all'articolo 138 della Costituzione, che tenda a agevolare il processo di riforma, favorendo una ampia convergenza politica in Parlamento. Il disegno di legge dovrà, altresì, prevedere adeguati meccanismi per un lavoro comune delle due Camere.
  In particolare, dovranno essere previsti:
   l'istituzione di un Comitato, composto da venti senatori e venti deputati, nominati dai rispettivi Presidenti delle Camere, su designazione dei gruppi parlamentari, tra i componenti delle Commissioni Affari Costituzionali, rispettivamente, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, in modo da garantire la presenza di ciascun gruppo parlamentare e di rispecchiare complessivamente la proporzione tra i gruppi, tenendo conto della loro rappresentanza parlamentare e dei voti conseguiti alle elezioni politiche e presieduto congiuntamente dai Presidenti delle predette Commissioni, cui conferire poteri referenti per l'esame dei progetti di legge di revisione costituzionale dei Titoli I, II, III, e V della Parte Seconda della Costituzione, afferenti alla forma di Stato, alla forma di Governo e all'assetto bicamerale del Parlamento, nonché, coerentemente con le disposizioni costituzionali, di riforma dei sistemi elettorali;
   l'esame dei progetti di legge approvati in sede referente dal Comitato bicamerale alle Assemblee di Camera e Senato, secondo intese raggiunte fra i due Presidenti;
   la previsione di modalità di esame, in sede referente e presso le Assemblee, dei progetti di legge che fermo restando il diritto di ciascun senatore e deputato, anche se non componente il Comitato o componente del Governo, di presentare emendamenti, assicurino la certezza dei tempi del procedimento, con l'obiettivo di garantire che l'esame parlamentare sui disegni di legge di riforma si concluda entro il 18 mesi dall'avvio;
   fermi restando i quorum deliberativi di cui all'articolo 138 della Costituzione, la facoltà di richiedere comunque, ai sensi del medesimo articolo, la sottoposizione a referendum confermativo della legge ovvero delle leggi di revisione costituzionale approvate dal Parlamento;
   ove il Governo non fosse in grado, entro il predetto termine del 30 giugno 2013, di presentare alle Camere un progetto di legge Costituzionale come sopra previsto,

impegna, inoltre, il Governo

a presentare alle Camere, entro il mese di luglio 2013, il testo della proposta di legge di modifica della Costituzione approvato dal Senato della Repubblica nel corso della XVI legislatura, al cui interno sono trattati i temi del superamento del bicameralismo paritario, della riduzione del numero dei parlamentari, del diritto di elettorato attivo e passivo per i giovani, dei regolamenti parlamentari e delle procedure di approvazione delle leggi, delle funzioni del Presidente della Repubblica e della sua elezione a suffragio universale e diretto, nonché delle competenze del Primo Ministro.
(1-00059) «Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    sono trascorsi quasi 12 anni dall'inizio della missione NATO in Afghanistan, uno dei conflitti più lunghi, controversi e sanguinosi, in cui hanno perso la vita oltre 3.000 soldati della coalizione, di cui 52 italiani e oltre 70.000 civili afghani;
    soltanto nel 2011, in base ad un rapporto dell'UNICEF, in Afghanistan sono stati uccisi o feriti, a causa del conflitto, 1.756 bambini, una media di 4,8 bambini al giorno; sempre lo stesso anno, 316 tra bambini e ragazzi sotto i 18 anni di età sono stati reclutati dalle parti in conflitto, in particolare dai gruppi armati di opposizione;
    trattasi di una missione che ha visto schierati 130.000 soldati stranieri, 4.000 dei quali italiani, e che è costata solo agli Stati Uniti oltre 150 miliardi di dollari, mentre l'Italia ha speso 5.415.640.096 euro di cui solo 217.903.400 destinati alla cooperazione;
    nel vertice della NATO, tenutosi a Lisbona nel novembre 2010, si è deciso di ritirare le truppe dall'Afghanistan entro il 2014, quando le forze di sicurezza afghane avranno assunto il controllo della sicurezza sul territorio, mentre nel vertice tenuto a Chicago nel maggio 2012 la NATO ha deciso che trasferirà la sicurezza alle forze afghane in tutto il territorio entro il 2013 e che resterà con un solo ruolo di sostegno fino alla fine del 2014; successivamente resteranno truppe di addestramento e saranno finanziati stipendi a soldati e poliziotti afghani, con un costo annuo di 4,1 miliardi di dollari per mantenere ed addestrare i 228.500 effettivi;
    al vertice di Chicago l'Italia si è impegnata a sostenere le forze di sicurezza negli anni 2015-2017 con 360 milioni di euro da spalmare nel triennio;
    la Conferenza dei donatori dell'Afghanistan, svoltasi a Tokyo nel luglio 2012, ha preso l'impegno di fornire più di 16 miliardi complessivi in aiuti civili entro il 2015 e di proseguire con i finanziamenti almeno fino al 2017;
    il prodotto interno lordo dell'Afghanistan, secondo la Banca mondiale, dipende per il 90 e 95 per cento dall'aiuto esterno; dunque la paura degli afghani è che finita la missione militare si verifichi un disimpegno della comunità internazionale sia a livello economico, che di attenzione verso le sorti del Paese;
    la Francia ha anticipato il ritiro del suo contingente, portando a casa nel 2012 le truppe da combattimento (circa 2000 soldati su 3550), gli altri hanno l'incarico di organizzare il rimpatrio del materiale e l'addestramento delle forze di sicurezza afghane; dopo il 2014 resterà una ridottissima presenza francese per una limitata cooperazione civile ed economica;
    anche Canada ed Australia hanno annunciato un ritiro anticipato delle loro truppe;
    gli enormi sforzi in termini di vite umane e investimenti economici sono stati ripagati da scarsi progressi di democrazia e sviluppo;
    secondo l'UNODC, l'ufficio dell'ONU per le droghe ed il crimine, il fenomeno della corruzione in Afghanistan ha toccato nel 2012 i 3,9 miliardi di dollari, con una crescita del 40 per cento rispetto al 2009, nello stesso anno circa un afghano su due ha pagato la «mazzetta» per ottenere un servizio pubblico;
    sempre da un rapporto dell'UNODOC, risulta che nel 2011 in Afghanistan le terre coltivate ad oppio siano 154.000 ettari, con un incremento del 18 per cento rispetto all'anno precedente, con una produzione di 3.700 tonnellate, con un calo del 36 per cento rispetto al 2010 a causa di malattie delle piante e cattive condizioni meteorologiche; quello dell'oppio è un business che rappresenta fra il 4 ed il 7 per cento del prodotto interno lordo del Paese;
    secondo il rapporto 2012 di Amnesty International, le autorità giudiziarie, la polizia e l'esercito nazionale afghano hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani. Sono continuate le detenzioni e gli arresti arbitrari, con ricorso sistematico alla tortura e ad altre forme di maltrattamento da parte dei servizi d’intelligence. Gli afghani, in particolare donne e ragazze, sono stati privati dei loro diritti alla salute e all'istruzione. Gli aiuti umanitari sono rimasti inaccessibili per gran parte della popolazione nelle zone controllate dai talebani e da altri gruppi d'insorti. La violenza contro donne e ragazze è stata diffusa ed è rimasta impunita, in particolare nelle zone controllate dagli insorti. L'Isaf e la Nato hanno continuato a lanciare attacchi aerei e raid notturni, mietendo decine di morti tra i civili;
    il Ministro della difesa pro tempore Giampaolo Di Paola aveva annunciato una riduzione della presenza militare italiana in Afghanistan del 25/30 per cento entro il 2013 e del restante 70/75 per cento entro il 2014;
    questa fase di passaggio è un'occasione per il Governo italiano di rilanciare la sua credibilità come attore rilevante nella cooperazione internazionale, con un importante contributo alla costruzione di una società afghana fondata sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali di donne e uomini,

impegna il Governo:

   ad annunciare l'immediata uscita del nostro Paese dalla missione ISAF, riportando quanto prima in Italia le truppe impegnate sul terreno, lasciando sul campo solo i militari necessari ad organizzare il rientro del materiale con precise regole d'ingaggio;
   a fornire al Parlamento una dettagliata analisi sulla presenza militare italiana in Afghanistan negli ultimi dodici anni e, in particolare, nell'ultimo periodo, ovvero da quando il Ministro pro tempore Di Paola ha annunciato la possibilità per gli aerei italiani di caricare bombe e colpire obiettivi a terra;
   nel rifinanziare le missioni per l'ultimo trimestre del 2013, ad assumere due iniziative normative urgenti, una per l'Afghanistan e una per tutte le altre missioni, finalizzando per la prima i fondi della missione militare al solo scopo di organizzare il ritiro delle truppe e destinando il 30 per cento di ogni euro risparmiato dalla missione militare alle politiche di cooperazione con l'Afghanistan;
   a sostituire quanto prima la missione militare con una civile con lo specifico compito di sostenere la popolazione afghana con progetti di sostegno alla cooperazione e di ricostruzione civile del Paese.
(1-00060) «Migliore, Scotto, Duranti, Claudio Fava, Piras, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    la normativa italiana definisce rifiuto radioattivo un qualsiasi materiale in forma solida, liquida o gassosa, per il quale non è previsto alcun ulteriore utilizzo e che contiene radioattività a valori superiori ai livelli di esenzione. Per la maggior parte dei materiali, il livello di esenzione è posto a 1 Bq/g, ma nel caso di materiali con emissione di radiazioni alfa, maggiormente pericolose per l'uomo e l'ambiente, tale livello può essere sensibilmente ridotto (0,1 Bq/g o inferiore);
    i rifiuti radioattivi, per il loro successivo trattamento e smaltimento sono classificati in funzione del contenuto di radioattività (da cui discende il necessario grado di isolamento dalla biosfera, quindi la tipologia e il numero di barriere di contenimento da interporre tra rifiuto ed ambiente) e del tempo di decadimento, che determina il periodo di isolamento del rifiuto dalla biosfera, affinché, attraverso il decadimento, perda il suo carico radioattivo;
    la normativa italiana, in coerenza con quella internazionale, ai fini dello smaltimento, classifica i rifiuti radioattivi in:
     a) Ia categoria – i rifiuti che decadono in mesi o al massimo qualche anno. Per questi è sufficiente la conservazione in sicurezza, affinché dopo il decadimento, possano essere smaltiti come rifiuti speciali nel rispetto della normativa in materia di tutela ambientale. La loro origine è riferibile alla produzione di energia nucleare, ma soprattutto al settore della ricerca e medico-sanitario, dove si usa la radioattività nella diagnostica e terapia medica (cura del cancro);
     b) IIa categoria – i rifiuti che hanno un contenuto di radioattività che raggiungerà valori dell'ordine delle centinaia di Bq/g entro qualche centinaio di anni, oppure contengono radionuclidi a vita molto lunga ma in concentrazione di tale ordine. Per questa categoria sono previsti interventi di trattamento e condizionamento, ovvero una serie di processi atti a convertire il rifiuto in una forma solida, stabile e duratura, tipicamente monoliti di cemento con determinate e qualificate caratteristiche, che ne permetta la manipolazione, lo stoccaggio, il trasporto e lo smaltimento, con garanzia di confinamento della radioattività in qualunque condizione. La loro provenienza è riferibile alle centrali nucleari, agli impianti del ciclo del combustibile, ma anche ad installazioni industriali, di ricerca e mediche ed alle sorgenti radioattive dismesse, usate in questi settori;
     c) IIIa categoria – i rifiuti che richiedono migliaia di anni (e più) per raggiungere concentrazioni di radioattività dell'ordine delle centinaia di Bq/g. Rientrano in questa categoria i rifiuti che contengono prodotti di fissione ed elementi transuranici (emettitori di radiazioni alfa e di neutroni) prodotti nei reattori di potenza. Anche il settore industriale, medico e della ricerca apporta un lievissimo contributo con le grandi sorgenti dismesse. I rifiuti di IIIa categoria, per l'isolamento dalla biosfera richiedono processi di condizionamento (trasformazione in monoliti di vetro o cemento) o, nel caso del combustibile esausto, d'incapsulamento in contenitori ad alta integrità;

    la generazione di energia elettrica da un reattore nucleare di media taglia (1.000 megawatt elettrici) produce all'anno circa 300 metri cubi di rifiuti di Ia e IIa categoria e circa 30 tonnellate di combustibile esausto. In Italia sono presenti, quindi, i rifiuti radioattivi proventi sia dall'esercizio delle centrali nucleari operative fra gli anni sessanta ed ottanta sia dalle attività di smantellamento (decommissioning) di quegli stessi impianti. Inoltre i comparti nazionali dell'industria, della ricerca e medico-ospedaliero contribuiscono con quantità significative, alcune centinaia di metri cubi l'anno, a questo inventario;
    i rifiuti radioattivi prodotti in Italia e stoccati sugli impianti o nei depositi temporanei in attesa di essere smaltiti (in una ventina di siti in circa 10 regioni, di cui buona parte gestiti da soggetti pubblici), secondo l'inventario dell'autorità nazionale di controllo ammontano a circa 30 mila metri cubi, ai quali andrà a sommarsi nei prossimi 20 anni un quantitativo analogo o lievemente superiore, proveniente prevalentemente dal programma di smantellamento delle vecchie centrali ed impianti del ciclo del combustibile;
    tali rifiuti sono per la maggior parte di IIa categoria e si pone con urgenza il problema del loro smaltimento definitivo, anche per completare il programma di decommissioning delle centrali chiuse a seguito del referendum del 1987;
    per i rifiuti di IIa categoria, che per decadere necessitano di alcuni secoli, normalmente si adotta lo smaltimento in depositi superficiali, composto da sole barriere ingegneristiche sovrapposte;
    i rifiuti di IIIa categoria ammontano, tra quelli già prodotti e quelli di cui è previsto il rientro dall'estero, a circa 10.000 metri cubi. Per tali rifiuti c’è l'urgenza di immagazzinarli in un deposito centralizzato a lungo termine, mentre si pone il tema delle decisioni sulle disposizioni finali da adottare;
    per tali rifiuti è fondamentale affidarsi non solo alle barriere ingegneristiche, la cui funzionalità non può essere garantita per periodi molto lunghi, ma a barriere geologiche di provata stabilità. In questo caso lo smaltimento avviene in formazioni geologiche, argillose, saline o granitiche, che sono quelle più adatte al contenimento della radioattività;
    per i rifiuti originati dall'industria, dalle attività sanitarie e dalla ricerca industriale l'ENEA ha messo a disposizione del Paese un «servizio integrato», prendendo in carico i rifiuti raccolti a livello nazionale da operatori qualificati da ENEA stesso, trattati, condizionati ed immagazzinati presso la società partecipata NUCLECO spa, in attesa di essere smaltiti. Tali rifiuti ammontano ad oggi a circa 4.500 metri cubi;
    la SoGIN spa è, invece, incaricata, oltre di portare a termine il piano di smantellamento degli impianti nucleari obsoleti e fuori servizio, di progettare e realizzare un deposito nazionale superficiale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi di IIa categoria e realizzare un deposito temporaneo a lungo termine per quelli di terza categoria;
    il deposito, secondo le indicazioni previste nella legge n. 99 del 2009 e nel decreto legislativo n. 31 del 2010, dovrà essere corredato da un parco tecnologico;
    sempre il decreto legislativo n. 31 del 2010, prevede che il parco tecnologico sia dotato di strutture comuni per i servizi e per le funzioni necessarie alla gestione di un sistema integrato di attività operative, di ricerca scientifica e di sviluppo tecnologico, di infrastrutture tecnologiche per lo svolgimento di attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile irraggiato, tra cui la caratterizzazione, il trattamento, il condizionamento e lo stoccaggio, nonché lo svolgimento di tutte le attività di ricerca, di formazione e di sviluppo tecnologico connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi. Come già ricordato, SoGIN è incaricata di realizzare il parco tecnologico ed in particolare anche il deposito nazionale e le strutture tecnologiche di supporto;
    nell'ambito della legge n. 99 del 2009, è stata istituita l'Agenzia per la sicurezza nucleare la quale ai sensi di quanto previsto del decreto legislativo n. 31 del 2010, come modificato dal decreto legislativo n. 41 del 2011, fungeva da soggetto attuatore e di controllo sia per la realizzazione di nuovi impianti (incluso il parco tecnologico) sia per le attività di decommissioning;
    in termini di gestione di rifiuti, a seguito del referendum popolare di giugno 2011, i compiti dell'Agenzia sono risultati circoscritti alle attività di sistemazione «definitiva» di quanto già esistente. Una più chiara definizione dei compiti dell'Agenzia, in questo senso, era avvenuta con il decreto legislativo n. 185 del 2011, di recepimento della direttiva 2009/71/EURATOM costituendo per la prima volta, dopo molti anni, un riferimento unitario e certo per questo settore;
    l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, dispone la soppressione dell'Agenzia per la sicurezza nucleare assegnando alcune funzioni autorizzative ai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di fatto determinando la necessità di un riordino funzionale del settore;
    per quanto attiene alle metodologie alternative di trattamento delle scorie nucleari ad alta attività ed a lunga vita, tipiche della filiera nucleare, una maggiore riduzione di queste potrebbe essere perseguita mediante trattamenti con i sistemi nucleari sottocritici guidati da acceleratori (ADS – accelerator driven system) che sono attualmente in fase di sviluppo a livello europeo e mondiale;
    gli accelerator driven system, essendo reattori sottocritici con sorgente di neutroni esterna, possono essere sfruttati più efficacemente per la trasmutazione degli attinidi, che sono gli elementi maggiormente responsabili per la lunghissima durata e della radiotossicità di questi materiali. Con tali sistemi, quindi, il combustibile nucleare esausto può essere trasmutato con la quasi esclusiva produzione di prodotti di fissione a breve vita, smaltibili in depositi superficiali;
    l'Italia possiede un consistente patrimonio di conoscenze e competenze immediatamente fruibili, infrastrutture e laboratori di prova all'avanguardia pubblici e privati, per lo sviluppo del reattore veloce di quarta generazione raffreddato al piombo, sia per lo sviluppo dei sistemi ADS (accelerator driven system) raffreddati con piombo liquido. L'insieme di tali progetti, oltre a quelli maggiormente mirati all'aumento della sicurezza operativa nella gestione dei materiali e dei rifiuti radioattivi, potrebbe proficuamente essere sviluppato in futuro;
    il Paese è quindi impegnato, da diversi anni e mediante diversi attori (ENEA, ANSALDO, e altro), ad operare su una consistente quantità di rifiuti radioattivi provenienti sia da varie attività economiche e sociali quanto dai vecchi reattori nucleari che hanno operato nel territorio nazionale;
    la modifica delle normative di riferimento operata nel corso della precedente legislatura a partire dalla cosiddetta «legge sviluppo», n. 99 del 2009 e proseguita con diversi decreti legislativi ed in ultimo con il decreto-legge n. 201 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha creato un quadro nuovo e, per certi aspetti, complesso nel settore della gestione dei materiali radioattivi;
    tale situazione è comunque passibile di ulteriori modifiche dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo del 19 luglio 2011, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, che dovrà essere recepita nella legislazione italiana entro il 23 agosto 2013;
    tale direttiva prevede, tra l'altro, che gli Stati membri istituiscono e mantengono un quadro legislativo, regolamentare e organizzativo nazionale («quadro nazionale») per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi che attribuisce la responsabilità e prevede il coordinamento tra gli organismi statali competenti;
    il quadro nazionale, che deve essere trasmesso alla Commissione al più presto e comunque non oltre il 23 agosto 2015, deve comprendere tutti gli elementi riguardanti il programma nazionale per l'attuazione della politica di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, il regime nazionale per la sicurezza, la suddivisione delle responsabilità tra gli organismi coinvolti nelle diverse fasi di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, i requisiti nazionali per l'informazione e la partecipazione del pubblico ed il regime di finanziamento;
    esistono diversi luoghi e situazioni nel Paese in cui stoccaggi temporanei di rifiuti radioattivi (in specie ove caratterizzati da elevata radiotossicità) potrebbero destare preoccupazioni relativamente agli effetti sulla pubblica salute di eventuali danni conseguenti ad eventi calamitosi in condizioni particolarmente avverse,

impegnano il Governo:

   a porre in atto tutte le azioni di propria competenza, con particolare riferimento all'ottimizzazione del quadro di riferimento relativo agli aspetti procedurali, agli iter autorizzativi, alle azioni necessarie ed ai soggetti responsabili, per garantire il completamento della messa in sicurezza, per il presente ed il futuro, dei rifiuti radioattivi nel nostro paese, prevedendo anche la promozione di attività di ricerca su forme avanzate di trattamento delle scorie ad alta radiotossicità;
   a porre in atto ogni azione di propria competenza per il completamento, in tempi certi, del processo di smantellamento degli impianti nucleari che hanno operato nel Paese.
(7-00023) «Benamati, Borghi, Mariani, Bobba».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «decreto Sviluppo») «Misure urgenti per la crescita del Paese» pubblicato sul supplemento ordinario n. 129 alla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 26 giugno 2012, all'articolo 11 proroga al 30 giugno 2013 le detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, ma riduce a partire dal 1o gennaio 2013 l'aliquota portandola al 50 per cento rispetto al 55 per cento previsto dai precedenti strumenti normativi e proroga al 30 giugno 2013 le detrazioni per ristrutturazioni edilizie incrementando l'aliquota dal 36 per cento al 50 per cento per interventi effettuati a partire dal 26 giugno 2012; lo stesso decreto infine riammette a far data dal 1o gennaio 2012 al beneficio del bonus del 36 per cento (50 per cento dal 26 giugno 2012) le opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici e allo sfruttamento delle fonti rinnovabili di energia;
    lo studio svolto da Cresme e Cna mostra che gli incentivi fiscali sul dare e avere dello Stato italiano rispetto agli incentivi per la riqualificazione edilizia, è fortemente positivo: lo è economicamente, visto che fermando le attività al 2012 avrebbe un conto economico attualizzato tra dare e avere, positivo per più di 2,3 miliardi di euro; lo è finanziariamente, dato che tra 1998 e 2012 ha incassato dall'attività avviata con gli incentivi, 49,5 miliardi di euro, a fronte di minor gettito maturato pari a 31,7 miliardi di euro. Il saldo al 2012 è quindi positivo per 17,8 miliardi di euro;
    altre forze politiche hanno depositato la risoluzione n. 7-00005 allo scopo di prorogare gli incentivi fiscali per le sole riqualificazioni edili;
   gli investimenti in edilizia di qualità, in risparmio energetico, in fonti rinnovabili, in innovazione e ricerca e, più in generale, in interventi di green economy, finalizzati alla riconversione ecologica dell'economia, sono un importante volano per la ripresa dell'economia italiana dalla grave e prolungata crisi economica in atto, perché consentono di coniugare l'obiettivo di maggiore competitività e di modernizzazione del Paese con un modello di sviluppo sostenibile per l'ambiente e la società, vicino alle esigenze delle persone, delle comunità e dei territori;
    l'Italia ha siglato accordi internazionali, con il protocollo di Kyoto, e con l'Unione europea nell'ambito del pacchetto «clima-energia» vincolanti per l'avvio di una transizione verso una economia a basso contenuto di carbonio attraverso un approccio integrato che preveda politiche energetiche e politiche per la lotta ai cambiamenti climatici; in tale contesto il contenimento delle emissioni di anidride carbonica per ridurre il rischio di mutamenti climatici è uno degli impegni più importanti e vincolanti per l'Italia;
    il perseguimento dell'efficientamento energetico è stato attuato anche mediante un sistema di incentivi fiscali efficaci e semplici per il cittadino, finalizzati a facilitare la realizzazione di interventi per l'efficienza energetica. Tra questi, particolare rilievo, hanno le agevolazioni fiscali del 55 per cento per interventi di riqualificazione energetica che hanno avuto un enorme successo;
    secondo un'indagine del Cresme-Enea, già un anno fa il volume complessivo di interventi connessi a tale strumento è stato pari a 1.400.000, per un totale di 17 miliardi di euro di investimento complessivi, ed ha interessato soprattutto piccole e medie imprese nell'edilizia e nell'indotto. Da rilevare il forte impatto occupazionale derivante dalla misura del 55 per cento che ha contribuito ad attivare ogni anno oltre 50 mila posti di lavoro nei settori coinvolti, soprattutto piccole e medie imprese nell'edilizia e nell'indotto: dalle fonti rinnovabili alla domotica, dagli infissi ai materiali avanzati. Si sono così favorite un'importante innovazione e una spinta di tutto il comparto verso la qualità;
    a tal proposito sarebbe opportuno prevedere l'istituzione obbligatoria del «fascicolo di fabbricato per la sicurezza sismica, uno strumento finalizzato alla razionalizzazione ed alla formalizzazione del processo conoscitivo e manutentivo del patrimonio edilizio, con l'obiettivo di prevenire, con gli opportuni adeguamenti strutturali, il rischio sismico degli edifici,

impegna il Governo:

  ad assumere iniziative volte:
   a) a mettere a regime le detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica di cui all'articolo 1, commi 344, 345 e 347, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
   b) a mettere a regime le detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;
   c) a verificare la modifica delle relative detrazioni in cinque quote annuali di pari importo;
   d) ad ampliare il ventaglio dei soggetti fruitori del beneficio fiscale anche in ordine alla capacità contributiva del soggetti fiscalmente incapienti che intendano investire in interventi di efficientamento energetico, seguendo l'esempio delle ESCO, metodo applicabile anche in questi casi e che può favorire la qualità degli interventi;
   e) a prevedere l'estensione degli interventi al consolidamento antisismico del patrimonio edilizio esistente compresi gli interi edifici rendendo obbligatoria la certificazione antisismica degli edifici pubblici e privati e i relativi controlli strutturali periodici;
   f) a prevedere nuovi strumenti che vaglino l'efficacia degli interventi sia sotto il profilo tecnico sia sotto il profilo economico, in relazione ai periodi di fruizione della detrazione, con opportuni adeguamenti degli incentivi fiscali in base ai risultati ottenuti (ad esempio incentivo del 66 per cento in caso di ottenimento di classe energetica minore di almeno 2 classi);
   g) a rivedere i meccanismi di incentivazione degli interventi di riqualificazione energetica degli edifici subordinando tali benefici fiscali anche alla garanzia che i materiali e i beni utilizzati per la riqualificazione siano soggetti alla dichiarazione ambientale di prodotto (DAP o EPD Environmental Product Declaration), così come disciplinato a livello comunitario e tenendo conto dell'esigenza di introdurre la valutazione del ciclo di vita (LCA - Life Cycle Assessment) come metodologia per l'identificazione e la quantificazione dell'impatto ambientale «complessivo» dei beni che vengono prodotti e la cui «impronta ecologica» non è riconducibile alla sola utilizzazione, ma che tiene conto in buona parte dell'impatto ambientale della produzione e trasporto.
(7-00025) «Barbanti, Pesco, Cancelleri, Chimienti, Pisano, Ruocco, Villarosa».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    Buonitalia spa nasce quale società per azioni a capitale interamente pubblico il 4 luglio 2003 dalla preesistente società «Naturalmenteitaliano Unipersonale Srl», costituita dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) il 24 luglio 2002 (articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99);
    la normativa di cui trattasi lo aveva previsto come strumento operativo-funzionale ed organico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con le finalità di promuovere e diffondere nel mondo la conoscenza del patrimonio agricolo e agroalimentare italiano; erogare servizi al sistema delle imprese agroalimentari al fine di favorirne l'internazionalizzazione; tutelare le produzioni italiane attraverso la registrazione e la difesa giuridica internazionale dei marchi associati alle produzioni nazionali di origine;
    il consiglio di amministrazione di Buonitalia del 28 luglio 2011 ha proposto lo scioglimento e la messa in liquidazione della società, ai sensi dell'articolo 2484 del codice civile, e nel corso dell'assemblea straordinaria dei soci del 13 settembre 2011, preso atto della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, sono stati deliberati lo scioglimento e la messa in liquidazione volontaria di Buonitalia spa, ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, numero 4, del codice civile, e dell'articolo 30.1 dello statuto della società;
    il 23 maggio 2012, per i 19 lavoratori dipendenti a tempo indeterminato di Buonitalia spa in liquidazione è stata avviata la procedura di licenziamento collettivo, ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223;
    il 29 maggio 2012 la Commissione agricoltura del Senato ha approvato, all'unanimità, una risoluzione che impegnava il Governo ad assicurare continuità alle attività di promozione dei prodotti agroalimentari nel mondo; a trasferire presso la nuova Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, le risorse umane e strumentali collocate in Buonitalia mantenendone immodificato il trattamento giuridico-economico; ad impartire al liquidatore della Buonitalia spa in liquidazione le disposizioni finalizzate alla liquidazione in bonis ed a sospendere immediatamente la procedura di licenziamento collettivo;
    nella seduta del 25 luglio 2012 della Camera dei deputati, in sede di approvazione della legge di conversione del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese (legge n. 134 del 7 agosto 2012), il Governo Monti aveva accolto come raccomandazione l'ordine del giorno n. 9/05312/158, con cui il Parlamento impegnava l'esecutivo «a promuovere ogni necessaria misura per la sospensione della procedura di licenziamento collettivo dei 19 lavoratori di Buonitalia; ad istituire presso il Ministero un tavolo di trattativa con le organizzazioni sindacali rappresentanti i dipendenti della medesima società; a porre in essere le misure necessarie al fine del trasferimento delle 19 unità di personale in carico a Buonitalia presso la nuova agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese (ICE) o presso altre società vigilate dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali»;
    da ultimo, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – all'articolo 12, comma 18-bis, ha disposto che «le funzioni, già svolte da Buonitalia s.p.a. in liquidazione, sono attribuite all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», nonché che «Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso, è disposto il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane di Buonitalia s.p.a. in liquidazione all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane di cui al comma in titolo», parificando in tal modo, nei diritti e nelle precedenze, il personale assunto per chiamata diretta al personale di un ente pubblico;
    il 28 febbraio 2013 il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha emanato il decreto per il trasferimento delle funzioni e delle risorse della società Buonitalia spa, ma in merito all'inquadramento del personale, in esso è previsto che si provvederà tramite un'apposita tabella di corrispondenza, da disporre con un ulteriore decreto, previo espletamento di apposita procedura selettiva di verifica dell'idoneità, da effettuare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali della medesima Agenzia;
    nelle more dell'emanazione del predetto ulteriore decreto ministeriale, l'assunzione dei 19 dipendenti non può essere effettuata da parte dell'Agenzia, recando gravi problemi agli interessati e prefigurando imminenti contenziosi nei confronti dello Stato;
    un'analoga situazione di emergenza sta interessando anche 4 dipendenti della soppressa società consortile Consorzio anagrafi animali (CO.AN.AN.), avvenuta ai sensi dell'articolo 14, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012. Trattasi di 4 dipendenti, per lo più giovani, impegnati, tra l'altro, nella predisposizione di progetti operativi connessi ad assicurare la tracciabilità e la sicurezza delle carni e dei prodotti della pesca. Anche in tali circostanze, per evitare che questi giovani perdessero il lavoro, in sede di conversione in legge del predetto decreto-legge n. 158 del 2012, presso la Camera dei deputati furono presentati specifici atti di indirizzo, tra cui l'ordine del giorno n. 9/05440-AR/069 (Oliverio ed altri), con cui si impegnava il Governo pro tempore a valutare la possibilità di intraprendere iniziative volte a prevedere la ricollocazione del predetto personale dipendente del CO.AN.AN, se del caso presso gli enti che costituivano la compagine consortile della società oppure presso l'AGEA o i ministeri subentranti,

impegna il Governo:

   ad intraprendere con urgenza le occorrenti iniziative e ad adottare i necessari provvedimenti volti a risolvere la situazione in cui versa il personale della estinta Buonitalia spa, in tal senso dando compiuta attuazione alle disposizioni di cui al comma 18-bis dell'articolo 12 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, trasferendolo definitivamente alla Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
   ad individuare, nell'immediato, una modalità definitiva di stabilizzazione dei quattro dipendenti del soppresso Consorzio anagrafi animali.
(7-00026) «Bellanova, Mongiello, Oliverio, Covello, Antezza, Zanin, Tentori, Cova, Anzaldi, Cenni, Terrosi, Venittelli, Luciano Agostini, Fiorio».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la protezione della fauna e dell'ambiente, nel nostro Paese, è stata carente e lacunosa e la stessa Unione europea, attraverso comunicazioni istituzionali e, nei casi più gravi, procedure di infrazione, ha invitato il nostro Paese al rispetto delle direttive in materia;
    il tema dei danni all'agricoltura e agli allevamenti richiede, quindi, risposte razionali e efficaci per garantire la sicurezza delle attività economiche. A questo proposito elemento fondamentale deve essere la garanzia di rapido risarcimento di coloro che sono danneggiati, evitando le lungaggini burocratiche che possono rappresentare un aggravamento del danno riportato;
    di recente è stato presentato alla Conferenza Stato-regioni dalle regioni stesse, un documento in cui è emerso come queste ultime ritengano animali da ripopolamento venatorio, come fagiani e lepri, causa di danni provocati alle attività agricole;
    per quanto riguarda in particolare la specie lupo, secondo il documento della Conferenza delle regioni e delle province, i danni rifusi nel periodo 2005-2009 per i capi predati ammontano allo 0,13 per cento dei danni registrati nel comparto zootecnico e in detta percentuale non è specificato se i capi predati sono tutti ascrivibili a predazione da lupo oppure anche ad altri animali (cane, volpe, e altri), e che quindi non esiste una disponibilità di dati puntuale e approfondita non solo sui danni arrecati da canidi ma più in generale sui danni arrecati dalla fauna selvatica;
    l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), attraverso l'elaborazione di specifiche ricerche, ha rilevato che nel nostro Paese, i lupi dopo aver rischiato l'estinzione, si sono riadattati a sopravvivere in raggruppamenti, localizzabili in alcune aree isolate dell'Appennino centrale e meridionale, riapparendo successivamente in vaste zone lungo l'intera dorsale appenninica e sulle Alpi marittime, interessando anche aree con grande vocazione rurale e da attività zootecniche;
    i dati su tale fenomeno, archiviati presso di enti competenti, sono piuttosto lacunosi, tanto è vero che l'ISPRA in occasione della stesura della «banca dati ungulati» ha interrogato i vari enti su diversi aspetti legati ai danni (specie/colture/cifre, erogate/area) ricevendo come risposta nella maggior parte dei casi solo la cifra complessivamente erogata per specie;
    sono necessari, quindi, ulteriori approfondimenti ad opera dell'ISPRA, unico organismo nazionale riconosciuto dalla legge quadro;
    nell'ambito delle dannose politiche venatorie di ripopolamento da parte degli enti locali e ATC, è da registrare quella che dura da tempo, dei cinghiali non autoctoni ma di importazione, che vengono accusati oggi di eccessiva riproduzione e di impatto negativo sulle attività agricole;
    si ignora spesso che efficaci funzioni di controllo naturali risultano essere esercitate dai predatori e dai lupi in particolare, che nel nostro Paese rappresentano una esigua popolazione – valutata in 600 – 800 esemplari su tutto il territorio nazionale – ma che paradossalmente vengono accusati di causare danni alle attività economiche contro ogni ragionevolezza ed evidenza;
    di tali danni vengono altresì accusati i cani «inselvatichiti» e «ibridi», ovvero cani stato di abbandono su cui la normativa di riferimento – legge n. 281 del 1991 (legge per la prevenzione del randagismo) già adotta una serie di misure estremamente chiare e concrete;
    sarebbe opportuno che le politiche locali incentivassero, quindi, l'applicazione della legge n. 281 del 1991, limitando il randagismo e l'abbandono dei cani padronali, e quindi i danni commessi dai cosiddetti «ibridi» e dai cani rinselvatichiti;
    esiste l'oggettiva difficoltà degli enti preposti alla verifica dell'indennizzo del danno che varia da regione a regione, ad esempio, in alcune regioni (Emilia Romagna, Marche, Toscana) la provincia ha la competenza nelle aree dove vige il divieto di caccia, gli ATC nei territori di loro competenza; in altri casi (Lombardia) la provincia verifica il danno e paga per il 90 per cento mentre il resto viene pagato dall'ATC/CA; in altri casi ancora (Abruzzo, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia) la competenza è per intero della provincia. Nelle aree protette nazionali i danni sono indennizzati dagli enti gestori;
    le misure da adottare in relazione a specifiche esigenze devono essere valutate successivamente all'analisi dei dati raccolti anche al fine di valutare la migliore soluzione tecnica possibile, che coniughi l'esigenza dettata dalle direttive europee della salvaguardia delle specie selvatiche e l'esigenza degli agricoltori di poter condurre la propria attività senza significative perdite economiche;
    il fenomeno dei danni provocati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche in molti casi denunciati dagli agricoltori, sollecita l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di misure preventive e di contrasto;

impegna il Governo:

   ad avviare un'approfondita ricerca sullo distribuzione del lupo su tutto il territorio nazionale al fine di creare una banca dati puntuale sui danni arrecati da questa specie nel comparto zootecnico attraverso un unico protocollo di ricerca, messo a punto e coordinato dall'ISPRA;
   a valutare la possibilità di attivare con urgenza, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, un piano di indennizzo nazionale per gli agricoltori danneggiati previa verifica dei danni realmente provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica;
   ad assumere iniziative, se del caso normative, per far sì che le regioni stesse effettuino un monitoraggio annuale sulle misure adottate da parte dei singoli operatori economici allo scopo di evitare il danno ricorrendo a misure di prevenzione, anche di facile e razionale attuazione;
   ad incentivare l'applicazione di metodi ecologici per ridurre i danni, quali vigilanza del bestiame, reti, dissuasori e bande che limitino la velocità dei veicoli in strada dove l'attraversamento della fauna selvatica è un rischio reale;
   ad incentivare programmi di management ambientale e decise azioni preventive, a partire dalla completa cessazione di qualsiasi attività di ripopolamento a scopo venatorio sul territorio e dall'adozione dei migliori piani di gestione già messi a punto;
   a promuovere, nelle opportune sedi comunitarie, strategie preventive ed iniziative di analisi e di ricerca anche congiuntamente alle autorità regionali e alle associazioni interessate, per assicurare la sostenibilità delle attività agricole e zootecniche nel rispetto delle esigenze di tutela delle specie animali ed al fine di migliorare il loro stato di conservazione;
   alla piena attuazione della legge n. 157 del 1992 – Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio – in particolar modo con riferimento all'articolo 19 sulla gestione faunistica per quanto riguarda l'attuazione dei metodi ecologici che vengono di consuetudine del tutto ignorati.
(7-00024) «Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Gallinella, Zaccagnini, Parentela, Terzoni, Benedetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOBBA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto del cinque per mille è stato istituito, inizialmente a titolo sperimentale, dai commi 337-340 dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per l'anno 2006), al fine di dare la possibilità al contribuente di vincolare il cinque per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), realizzando una forma di finanziamento delle organizzazioni non profit, delle università e degli istituti di ricerca scientifica e sanitaria che, a differenza delle donazioni, non comporta maggiori oneri, in quanto all'organizzazione prescelta (con l'indicazione del codice fiscale nella dichiarazione dei redditi) viene destinata direttamente una quota dell'IRPEF dovuta dal contribuente;
   detto istituto ha trovato una forte adesione nei cittadini ed è stata quindi riproposto attraverso le leggi finanziarie successive, senza però arrivare alla stabilizzazione legislativa;
   la legge finanziaria per il 2010 ha previsto la possibilità di destinare il cinque per mille delle proprie imposte ad associazioni di volontariato e non lucrative di utilità sociale, associazioni e fondazioni di promozione sociale, enti di ricerca scientifica, universitaria e sanitaria, comuni e associazioni sportive dilettantistiche, stabilendo un tetto massimo di 400 milioni di euro che lo Stato devolverà in base alle scelte fatte dai contribuenti;
   in particolare, i dati relativi alla raccolta delle adesioni dei cittadini sulla destinazione del proprio cinque per mille sono positivi al punto da superare il tetto stabilito: nel 2009, relativamente alla dichiarazione dei redditi del 2008, l'importo finale destinato è stato di circa 420 milioni di euro, attestando una partecipazione alla scelta di 15,4 milioni di cittadini; nel 2010, relativamente alla dichiarazione dei redditi del 2009, l'importo è salito a 463 milioni di euro con un'adesione di 16,1 milioni di cittadini;
   ad oggi non è dato di sapere, qualora il tetto di spesa venga superato come nei casi descritti, come venga ricalcolato il coefficiente per la devoluzione di fondi agli enti beneficiari scelti dai cittadini –:
   se non si ritenga doveroso e urgente esplicitare le modalità di calcolo relative ai casi di cui in premessa;
   poiché nel 2011, relativamente alla dichiarazione dei redditi del 2010, i cittadini aderenti all'istituto del cinque per mille sono stati 16,7 milioni e l'importo totale risulta pari a 391 milioni di euro, se questa sia la cifra totale raccolta, oppure l'importo ricalcolato, in quanto eventualmente superiore al tetto di spesa previsto, e secondo quali modalità sia stato ridefinito il coefficiente. (5-00192)


   FIORIO, TARICCO, BARGERO e GRIBAUDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Langhe, Roero e Monferrato sono zone rinomate in tutto il mondo per la particolare bellezza dei luoghi e poiché ospitano alcuni tra i vitigni più prestigiosi al mondo. Si tratta di un paesaggio variegato in cui la cultura e le tradizioni legate al vino sono profondamente radicate nelle comunità e si manifestano in tutti gli aspetti della vita quotidiana: dalla letteratura all'arte, dalla gastronomia alla ricchezze ambientali;
   il paesaggio vitivinicolo rappresenta una preziosa opportunità per promuovere e valorizzare i territori di produzione integrando gli aspetti produttivi con quelli di tutela dell'ambiente e permettendo, allo stesso tempo, uno sviluppo sostenibile delle comunità locali e la valorizzazione della biodiversità della vite conservata nei territori d'origine;
   il primo giugno del 2006 è iniziato ufficialmente, da parte del gruppo di lavoro interministeriale permanente, il percorso relativo alla candidatura del sito «Paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato» quale patrimonio Unesco dell'umanità (il progetto era, comunque, già in discussione nei territori fin dal 2003);
   il progetto comprende sei aree di eccellenza per un'estensione di 10.789 ettari su 29 comuni, all'interno di una vasta area di protezione che interessa 101 comuni. Per essere iscritto nella lista Unesco un sito deve possedere un valore universale, dimostrando di essere depositario di un significato culturale unico, tale da essere riconosciuto e conservato come patrimonio dell'intera umanità;
   l'inizio concreto delle attività è avvenuto con la sottoscrizione, l'11 febbraio 2008, di un protocollo di intesa fra il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Piemonte e le province di Alessandria, Asti e Cuneo, finalizzato all'individuazione dei siti di eccezionale valore da iscrivere al Patrimonio Unesco e alla redazione del dossier di candidatura e del relativo piano di gestione;
   a livello operativo hanno collaborato alla predisposizione del dossier di candidatura, dell'analisi comparativa e del relativo piano di gestione del progetto un «Comitato di Pilotaggio», coordinato dalla regione Piemonte, e un «Gruppo Tecnico», coordinato dal Ministero per i beni e le attività culturali – direzione regionale per i beni culturali e per il paesaggio, insieme all'Istituto superiore sui sistemi territoriali dell'innovazione, incaricato nell'ottobre 2008, oltre ad altri esperti del settore;
   tra il 2008 ed il 2010 gli enti preposti hanno provveduto:
    a) alla definizione della perimetrazione delle «core zone», delle «buffer zone» e della relativa normativa di tutela;
    b) alla concertazione con le amministrazioni comunali che ha portato, mediante l'adozione di varianti ai piani regolatori generali comunali che introducono nella normativa urbanistica vigente una disciplina di salvaguardia delle aree di eccellenza perimetrale, alla individuazione della rete di tutela del paesaggio richiesta dall'Unesco;
    c) alla costituzione, il 10 gennaio 2011, dell'associazione per il patrimonio dei paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato, con finalità di sostegno e promozione del progetto di candidatura;
   il 21 gennaio 2011 il dossier di candidatura è stato consegnato a Parigi all'Unesco e, nell'ottobre 2011, un esperto Icomos (istituto dell'Unesco) ha visitato i territori della candidatura;
   l'esito della valutazione tecnica di Icomos, reso pubblico nel maggio 2012, è stato ripreso totalmente nella decisione del Comitato Unesco espressa a San Pietroburgo nel giugno 2012 e la proposta di candidatura è stata rinviata con richiesta di approfondimenti;
   il 16 gennaio 2013 il consiglio direttivo della commissione nazionale, con il voto unanime di tutti i suoi componenti, ha deliberato l'invio a Parigi, sede dell'Organizzazione internazionale, del dossier di candidatura del «Paesaggio vitivinicolo delle Langhe-Roero e Monferrato». Si tratta dell'unica candidatura italiana alla Lista del Patrimonio mondiale dell'umanità Unesco per il 2014;
   il sito piemontese, una delle massime espressioni del patrimonio rurale italiano, è il primo paesaggio italiano a essere candidato per ragioni legate alla propria tradizione vitivinicola nella prestigiosa lista che raccoglie i monumenti, gli edifici, i siti e i paesaggi culturali considerati Patrimonio dell'umanità;
   l'allora Ministro delle politiche agricole Mario Catania ha così commentato la decisione del Consiglio Direttivo: «Il lavoro da fare è ancora tanto. L'iscrizione nella lista avverrà solo dopo il giudizio degli organi valutatori. Dovremmo convincere infatti i 190 paesi, che aderiscono all'organizzazione internazionale, che il paesaggio di Langhe-Roero e Monferrato è unico al mondo e, quindi, deve avere un posto di riguardo tra le eccellenze dell'Unesco. Sono sicuro che l'impegno di tutti i soggetti coinvolti, dalle amministrazioni centrali e locali alle comunità interessate, stia andando nella giusta direzione. L'ottima documentazione a supporto della candidatura ci fa essere ottimisti. È fondamentale ora che il sistema paese sostenga questa candidatura in tutte le sedi istituzionali. Il Ministero delle politiche agricole farà la sua parte. L'iscrizione di tale sito nella prestigiosa Lista dell'Unesco riveste un'importanza strategica anche per l'intero settore vitivinicolo italiano»;
   il 31 gennaio 2013 la regione Piemonte ha presentato a Parigi il nuovo dossier di candidatura dei paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato a patrimonio dell'umanità dell'Unesco;
   la risposta definitiva da parte dell'Unesco arriverà nel mese di giugno 2014;
   risulta evidente come l'inserimento dei «Paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato» quale patrimonio Unesco dell'Umanità rappresenti, per il territorio e per l'intero «sistema Italia», uno straordinario volano di sviluppo occupazionale economico e sociale oltre che una opportunità strategica irrinunciabile per l'intero settore vitivinicolo nazionale –:
   quali iniziative Governo e Ministri interrogati intendano mettere in campo per promuovere e sostenere la candidatura dei Paesaggi vitivinicoli di «Langhe-Roero e Monferrato» quale patrimonio Unesco dell'Umanità. (5-00208)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Corte europea dei diritti dell'uomo ha confermato la condanna emessa l'8 gennaio 2013 contro l'Italia, in ragione del trattamento inumano e degradante inflitto alla sua popolazione carceraria;
   nel dispositivo, si intima all'Italia di provvedere a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario entro un anno e di corrispondere nel frattempo ai promotori della causa presso la Corte di Strasburgo una somma risarcitoria pari a centomila euro;
   l'arco di tempo previsto dalla Corte è chiaramente insufficiente al varo e al completamento del vasto piano di edilizia carceraria che occorrerebbe mettere in campo per assicurare ai detenuti spazi più ampi e condizioni di vita dignitose;
   una percentuale molto elevata della popolazione carceraria è tuttavia costituita da detenuti di nazionalità estera, 23.438 su 65.917, a fronte di una capacità teorica di ospitarne 47.045;
   il rimpatrio dei detenuti stranieri nei rispettivi Paesi di origine permetterebbe di ricondurre la popolazione carceraria entro i limiti della capienza effettivamente disponibile nei centri di custodia –:
   se il Governo intenda o meno attivarsi per creare le condizioni che permettano in tempi brevi di trasferire nei rispettivi Paesi di origine, affinché possano ivi scontarvi la pena loro inflitta, i detenuti stranieri attualmente in custodia nelle carceri italiane. (4-00619)


   ROSATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione avvia una procedura di infrazione quando si ritiene che uno Stato membro abbia mancato ad uno degli obblighi imposti dal diritto dell'Unione. In particolare, l'infrazione può consistere nella mancata attuazione di una norma europea oppure in una disposizione o in una pratica amministrativa nazionali che risultano con essa incompatibili;
   le decisioni relative all'apertura, all'aggravamento o alla chiusura di una procedura di infrazione sono adottate dal Collegio dei commissari europei, in apposite sessioni che hanno luogo a cadenza mensile. Il Collegio dei commissari adotta una decisione di archiviazione quando lo Stato membro si conforma ai rilievi della Commissione europea o quando quest'ultima si ritiene soddisfatta dalle osservazioni dello Stato in questione;
   il Collegio dei commissari nella riunione del 25 aprile 2013 ha deciso, per quanto riguarda l'Italia, 2 archiviazioni. È stata anche stabilita l'apertura di tre nuove procedure. Le procedure d'infrazione a carico dell'Italia scendono a 98, di cui 83 riguardano casi di violazione del diritto dell'Unione e 15 attengono al mancato recepimento di direttive;
   lo stato delle procedure di infrazione e, più in generale, del contenzioso riguardante l'Italia risulta quindi da alcuni anni particolarmente gravoso, sebbene più recentemente la situazione sia sensibilmente migliorata;
   le sanzioni che la Corte di giustizia può comminare ad uno Stato membro per violazioni del diritto dell'Unione europea consistono in una somma forfetaria e/o in una penalità di mora. Le due sanzioni possono essere inflitte cumulativamente qualora la violazione del diritto dell'Unione sia particolarmente grave e persistente;
   i criteri per la quantificazione di somma forfettaria e penalità di mora sono indicati in due comunicazioni della Commissione europea del 2005 e del 2010. La comunicazione del 2005 detta la disciplina generale, applicabile per tutte le violazioni del diritto dell'Unione europea, la comunicazione del 2010 attiene invece alla ipotesi in cui la Commissione chieda la condanna pecuniaria per il mancato recepimento di direttive. Il Trattato di Lisbona (all'articolo 260, par. 3 TFUE) ha infatti previsto che nel caso in cui uno Stato membro abbia disatteso l'obbligo di comunicare alla Commissione le misure adottate al fine di recepire una direttiva, quest'ultima può chiedere alla Corte, nell'ambito dello stesso ricorso per inadempimento, di comminare il pagamento di una sanzione pecuniaria. In sostanza, la Commissione può richiedere alla Corte direttamente di condannare lo Stato inadempiente al pagamento della sanzione pecuniaria, senza dover attendere l'esaurimento di un'ulteriore fase precontenziosa;
   la comunicazione del 2005 stabilisce che le sanzioni sono fissate in base a tre criteri generali: la gravità dell'infrazione, la durata dell'infrazione, la necessità di garantire l'efficacia dissuasiva della sanzione. Per applicare tali criteri sono previsti coefficienti (paragrafi 14 e seguenti della comunicazione del 2005) che tengono conto, caso per caso, della natura della violazione, della sua durata e della capacità dello Stato membro e sono aggiornati periodicamente;
   l'ultimo aggiornamento è stato operato nel 2012 ed è stato stabilito che per l'Italia la sanzione forfettaria minima è pari a circa 8.854.000 euro, cui può aggiungersi una penalità di mora pari ad un minimo di circa 10.700 ed un massimo di circa 650.000 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della sentenza, a seconda della gravità dell'infrazione;
   nell'unica condanna subita sinora dall'Italia, relativa al mancato recupero degli aiuti illegittimamente concessi dall'Italia per l'assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro, la condanna ammonta: a 30 milioni di euro a titolo forfettario e ad una ulteriore penalità, per ogni sei mesi di ritardo nell'attuazione della sentenza, pari alla moltiplicazione dell'importo di base di euro 30 milioni per la percentuale degli aiuti illegali incompatibili il cui recupero non è ancora stato effettuato o non è stato dimostrato rispetto al totale degli aiuti non recuperati. Tale infrazione è costata complessivamente ai cittadini italiani 46 milioni di euro;
   nel corso dell'audizione del Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, sulle linee programmatiche, svolta il 28 maggio 2013 dinanzi le Commissioni riunite politiche dell'Unione europea di Camera e Senato è stato riferito che:
    a) delle 98 procedure di infrazione ancora aperte la maggior parte sono nel settore ambiente (31), nel settore fiscalità (11), nel settore del lavoro e degli affari sociali (7), nel settore degli appalti (7), nel settore dei trasporti (5). Una ventina del totale di queste infrazioni riguarda regioni ed enti locali;
    b) delle procedure di infrazione, 11 su 98 sono a forte rischio di condanna di sanzioni da parte della Corte di Giustizia e, in particolare, il nostro Paese è a rischio di un'altra sanzione sui meccanismi di controllo delle discariche abusive: in questo caso c’è un inadempimento delle direttive europee e la Commissione ha chiesto di comminare 61,5 milioni di euro e una penalità semestrale di mora, in caso di ritardo, di 46 milioni di euro –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere il Governo per evitare le condanne nell'ambito delle procedure più a rischio di sanzione da parte della Corte di Giustizia e, in generale, per la chiusura delle procedure di infrazione ancora aperte nei confronti dell'Italia. (4-00628)


   ROSATO, BLAZINA, BRANDOLIN, COPPOLA, GIGLI, MALISANI, PRODANI e ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Hypo Alpe-Adria-Bank Italia spa, è un istituto di credito affiliato alla Hypo Kärnten, che impiega ad oggi circa 370 lavoratori su tutto il territorio nazionale, dopo la riduzione di personale avvenuta l'anno scorso con il licenziamento di 97 dipendenti;
   Hypo Group Alpe Adria, che è socio di riferimento, è stato nazionalizzato nel 2009 attraverso l'acquisizione da parte del Ministero delle finanze austriaco. L'operazione è stata approvata nel mese di agosto 2010 dalla Commissione europea a condizione di un ridimensionamento del volume di bilancio e della stesura di un progetto di riprivatizzazione degli istituti controllati, compreso quello italiano;
   superata la crisi finanziaria più acuta, nel 2011 è stata ufficializzata la vendita di Hypo Bank Italia e della omologa austriaca e di recente il commissario europeo per la concorrenza, Joaquìn Almunia, ha sollecitato il Governo austriaco a procedere con questa riprivatizzazione della banca entro e non oltre il 31 maggio 2013;
   secondo alcune fonti giornalistiche, lo staff convocato dal Ministero delle finanze austriaco per elaborare un progetto che riconducesse l'istituto di credito all'interno della normativa e dei principi dell'Unione europea, avrebbe ipotizzato un disimpegno di Hypo Group Alpe Adria dalla controllata italiana;
   il piano, che dovrà ottenere dapprima l'approvazione del Ministro austriaco e successivamente anche il via libera del commissario europeo per la concorrenza, prevedrebbe infatti la liquidazione del ramo italiano, la vendita entro l'estate di Hypo Austria, la cessione entro il 2015 delle controllate nei Balcani e il mantenimento di una «bad bank» in cui scaricare tutti i crediti non performanti e i rami non vendibili del gruppo;
   si fa presente che l'immediata liquidazione del ramo italiano comporterebbe il rapido licenziamento dei 370 lavoratori attualmente impiegati, senza che vi siano i presupposti per il ricorso agli strumenti di ammortizzazione sociale;
   a quanto risulta all'interrogante, vi sarebbero — in alternativa — alcune offerte di mercato per l'acquisizione della banca, di cui una avanzata da un gruppo di investitori privati italiani che vincolerebbero l'acquisto ad una compartecipazione del Land Carinzia in misura del 20 per cento –:
   se il Governo intenda interloquire con il Governo austriaco circa il processo di riprivatizzazione del gruppo Hypo, al fine di sollecitare il Ministero delle finanze a non prevedere nel suo progetto la liquidazione della controllata italiana ma, nel caso non fosse possibile scegliere la chiusura di un'altra controllata, la sua cessione, conservando l'integrità aziendale;
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di tutelare i 370 lavoratori di Hypo Bank Italia qualora venisse confermata l'ipotesi di liquidazione della controllata italiana dell'istituto bancario austriaco. (4-00637)


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TOFALO, SEGONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel numero del 23 maggio 2013 del settimanale L'Espresso è stato inserito un dossier, a firma di Fabrizio Gatti, sulla situazione in Italia in materia di prevenzione dal rischio terremoti. L'articolo si basa sui dati della protezione civile ai quali il giornalista ha avuto accesso e che riguardano la pianificazione degli interventi di emergenza in caso di terremoto. In particolare si fa riferimento a schede redatte per ciascun comune del territorio italiano nelle quali sono riportate le stime di eventuali danni ad edifici e perdite in vite umane in caso del verificarsi di forti scosse;
   nel suddetto dossier si fa riferimento a situazioni particolarmente allarmanti nelle regioni Calabria e Sicilia dove nel 2012, dopo decenni di assenza di movimenti tellurici, è stata registrata una importante ripresa dell'attività con conseguente intensificazione dei processi di monitoraggio e, si legge nell'articolo, «a marzo 2013 l'allarme degli scienziati per un forte terremoto era ancora in corso», e ancora «Il dato corrente, aggiornato a inizio maggio, è tenuto segreto. Viene comunicato soltanto alle agenzie governative»;
   viene sottolineata infine la mancanza di informazione alla popolazione che è tenuta all'oscuro riguardo ai pericoli ai quali è esposta, ma manca soprattutto l'informazione e la preparazione dei funzionari pubblici delle questure e delle prefetture che, interpellati dal giornalista, si sono dichiarati inconsapevoli di tale rischio. Per questo in molti casi mancano i piani di evacuazione, un piano organico per il primo intervento e l'eventuale «dislocazione» dei feriti nelle diverse strutture ospedaliere dei territori colpiti. Soprattutto, come si legge in una considerazione ampiamente condivisibile del direttore della protezione civile Franco Gabrielli riportata in calce all'articolo, «Abbiamo popolazioni inconsapevoli del rischio e perciò esse stesse poco esigenti verso chi li amministra»;
   i dati riportati sono allarmanti ma non hanno del tutto stupito gli interroganti in quanto sono note a tutti, purtroppo, le condizioni in cui versano la maggior parte degli edifici pubblici e privati nel nostro Paese. È altrettanto evidente che le esperienze ravvicinate degli ultimi eventi calamitosi del 1997 Umbria-Marche, del 2009 a L'Aquila e del 2012 in Emilia non hanno insegnato niente e non sono bastate per stimolare un rapido avvio di riqualificazione dell'esistente in ottica del miglioramento sismico. Un processo che dovrebbe far realizzare quello che potrebbe essere considerato il più grande cantiere mai conosciuto in Europa e che, a nostro parere, dovrebbe ricevere quegli incentivi e assorbire quegli investimenti che invece vengono dirottati verso le famosi grande opere che quasi nessun valore aggiunto sono in grado di dare ai nostri cittadini in termini di miglioramento della qualità della vita. Investimenti e incentivi che andrebbero a sostituire le enormi e maggiori spese che si devono sostenere ogni volta che si interviene nei momenti di emergenza;
   anche sul sito della protezione civile è possibile leggere che «In Italia, il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l'energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri Paesi ad elevata sismicità, come la California o il Giappone. Ad esempio, il terremoto del 1997 in Umbria e nelle Marche ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32.000, danno economico: circa 10 miliardi di euro) confrontabile con quello della California del 1989 (14,5 miliardi di dollari), malgrado fosse caratterizzato da un'energia circa 30 volte inferiore. Ciò è dovuto principalmente all'elevata densità abitativa e alla notevole fragilità del nostro patrimonio edilizio –:
   se i dati e le considerazioni riportate nell'articolo siano veritieri e attendibili;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ritenga di rendere pubblici e consultabili i dati di rischio sismico riferiti alla situazione dell'attività in corso nelle regioni Calabria e Sicilia aggiornata al mese di maggio 2013;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati non ritengano opportuno avviare un'interlocuzione con le commissioni competenti in materia al fine di un'ampia condivisione delle scelte per quanto riguarda l'individuazione delle linee guida per gli interventi, il reperimento dei fondi necessari e l'attivazione dei meccanismi necessari per convogliare le risorse disponibili prioritariamente verso questo grande progetto;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno avviare un'indagine in grado di stabilire in breve tempo quale sia la situazione dei piani di evacuazione e di prima accoglienza e soccorso nei diversi comuni italiani;
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori previsti, nel disposto della ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3274/2003 sulla verifica sismica delle opere infrastrutturali e degli edifici strategici più volte prorogata nel tempo ed il cui termine è fissato attualmente al 31 marzo 2013, dato che ad oggi pare irrealistico il completamento nei termini di legge delle verifiche di tutte le opere strategiche nelle zone sismiche 1 e 2 così come definite nell'ordinanza citata (3274/2003) e a questo riguardo quale sia il bilancio tra le somme finanziate e le realizzazioni;
   se esista un piano organico che preveda quali strutture coinvolgere per risolvere in un tempo ragionevole dal verificarsi di un evento calamitoso le problematiche dell'assistenza dei potenziali feriti e dell'accoglienza dei senza-tetto e degli sfollati;
   se il Governo sia a conoscenza della situazione generale relativa alla redazione dei piani di emergenza e quali iniziative intenda assumere considerati i rischi per la popolazione derivanti dalla mancata adozione di tali piani;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno avviare un processo di verifica, un indagine conoscitiva, dello stato degli edifici pubblici, partendo dalle zone a più alto rischio, fino al raggiungimento del totale del patrimonio immobiliare pubblico, specie per quanto riguarda gli edifici scolastici e sanitari in modo da avere un quadro esaustivo dello stato dell'arte in ambito antisismico;
   se non si ritenga necessario predisporre, sulla falsariga del POD (Programma operativo degli interventi), uno strumento che consenta di seguire l'avanzamento delle opere di monitoraggio e adeguamento;
   se intenda chiarire in maniera definitiva e univoca le responsabilità in caso di mancato adempimento delle misure già previste dalla vigente legislazione che regola la materia in attesa di rivedere il quadro normativo, come già dichiarato anche dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in occasione dell'audizione svoltasi il 21 maggio 2013 – presso la sala del Mappamondo di Palazzo Montecitorio alla presenza della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici. (4-00641)


   GRIBAUDO, VILLECCO CALIPARI, ROSSOMANDO, GHIZZONI, MARIANI, D'OTTAVIO, FABBRI, ERMINI, BRAGA, GIUSEPPE GUERINI, RUBINATO, ROTTA, PARIS, GNECCHI, GREGORI, BOSCHI, BONOMO, BONAFÈ, MARCO DI MAIO, GINEFRA, DECARO, CULOTTA, GIUDITTA PINI, COMINELLI, CIVATI, ZAMPA, GADDA, MANFREDI, PASTORINO, MORETTO, TENTORI e DE MARIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la procura generale di Stoccarda ha respinto in data 21 maggio 2013 il ricorso contro l'archiviazione dell'inchiesta per la strage di Sant'Anna di Stazzema nella quale morirono 560 civili il 12 agosto 1943 (presentato dall'avvocato Gabriele Heinecke per conto del presidente dell'Associazione dei martiri della strage, Enrico Pieri);
   le motivazioni della decisione recitano che «non ci sarebbero nuovi elementi in grado di dimostrare una premeditazione da parte degli ex membri della 16/a Divisione Reichsfuehrer per l'eccidio»; e anzi, «è certamente possibile che il massacro sia stato programmato, tuttavia non si è potuto accertare con la sicurezza giuridicamente necessaria che si sia trattato di un'azione di sterminio pianificata sin dall'inizio e che, per queste ragioni, nel caso di un'imputazione la corte assolverebbe gli imputati con alta probabilità»;
   nel processo italiano conclusosi nel 2005 sono stati condannati, nei tre gradi di giudizio all'ergastolo, i responsabili della stragi;
   decisioni del genere non sono certo le più idonee per portare avanti quel processo ai «pacificazione» che anche di recente, proprio a Sant'Anna, è stato ritenuto necessario, concordemente dalle più alte cariche istituzionali dell'Italia e della Germania –:
   quali iniziative intenda assumere per manifestare agli organismi che rappresentano la Germania nel nostro Paese ed allo stesso Governo della Repubblica tedesca l'indignazione e il dolore che la citata iniziativa ha suscitato nelle popolazioni interessate, così come nelle Associazioni e nei cittadini che auspicano da sempre che la vicenda delle stragi nazifasciste del 43-45 trovi una conclusione nel quadro della giustizia e della verità;
   quali ulteriori iniziative si intendano promuovere – nonostante simili «incidenti» e nell'intento di superarli e prevenirli – perché possa proseguire in modo adeguato il processo intrapreso dai Governi tedesco ed italiano con il lavoro del gruppo storico italo-tedesco, di recente concluso col deposito di una relazione nella quale si formulano esplicite raccomandazioni per avviare un processo di «memoria condivisa». (4-00643)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 26 maggio 2013 nel pomeriggio si è sviluppato un vasto incendio nella pineta di Policoro con gravi danni al patrimonio ambientale e allo stabilimento balneare «Sporting Beach»;
   le fiamme si sono sviluppate rapidamente anche per la presenza del forte vento che soffiava;
   nell'azione di spegnimento sono state impegnate fino a sera squadre dei vigili del fuoco di Policoro, Matera e Tinchi di Pisticci nonché i volontari dei vigili del fuoco di Montalbano Jonico ed un canadair;
   non sono state ancora appurate le cause dell'incendio e purtroppo non è la prima volta che la pineta è stata teatro di incendi;
   la scorsa stagione estiva è stata per la provincia di Matera una stagione nera dal punto di vista degli incendi con le fiamme che hanno distrutto migliaia di ettari di vegetazione e solo per citarne alcuni ricordo gli incendi che hanno colpito i territori di Pisticci, Salandra, Montalbano jonico, Pomarico;
   questo episodio di Policoro preoccupa perché potrebbe annunciare un'altra stagione critica –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per rafforzare l'azione di prevenzione e cura del patrimonio boschivo nell'ambito della pineta di Policoro e più in generale lungo tutta la fascia jonica metapontina coinvolgendo tutte le amministrazioni interessate e nel contempo potenziando le dotazioni organiche e di mezzi del Corpo dei vigili del fuoco della provincia di Matera.
(3-00087)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOGGIA, CRIVELLARI, MARTELLA, MOGNATO, MURER e MORETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno dell'erosione da anni sta interessando la costa della provincia di Venezia e di Rovigo con ingentissimi danni sia di natura ambientale sia dal punto di vista economico per quanto concerne il settore turistico;
   facendo esclusivamente riferimento alla stagione invernale 2012/2013 e a questo scorcio di primavera, i danni quantificati dagli amministratori della costa veneta, San Michele al Tagliamento, Caorle, Eraclea, Jesolo, Cavallino Treporti, Chioggia, Lido di Venezia, Rosolina, Porto Tolle, Porto Viro, ammontano tra i 25 e i 30 milioni di euro;
   il comprensorio costiero in oggetto ricade in aree Sic (siti di importanza comunitaria) e ZPS (zone di protezione speciale) ed è anche una realtà economica che fa registrare ogni anno oltre 25 milioni di presenze turistiche;
   le mareggiate degli ultimi giorni hanno distrutto gli arenili e i lavori di rinascimento che erano stati effettuati per l'avvio della stagione turistica e per rimediare ai danni delle mareggiate dello scorso autunno/inverno;
   solo a Jesolo, per fare un esempio, il maltempo registrato in queste settimane ha devastato lavori già effettuati per opera del magistrato delle acque pari a 5 milioni di euro, a Bibione l'acqua ha divorato 15 metri di litorale e persino le famose «passeggiate» che rappresentano una peculiarità della località turistica;
   gli operatori sono stati messi davvero a dura prova da questa ulteriore calamità naturale e stanno facendo il massimo sforzo per evitare che venga compromessa l'intera stagione estiva 2013;
   le amministrazioni comunali chiedono a regione e Governo interventi strutturali in grado di fermare il fenomeno erosivo e salvaguardare il litorale costiero dalle mareggiate;
   non è più sufficiente il ripascimento tecnicamente definito «morbido», poiché com’è stato dimostrato basta un evento meteorologico a mandare in fumo tale intervento –:
   se e quali iniziative il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, intenda promuovere per affrontare il problema dell'erosione costiera veneta istituendo un tavolo istituzionale ad hoc con la presenza anche degli operatori turistici al fine di promuovere interventi strutturali, a partire dalla prossima stagione invernale, ed anche concertando interventi in materia di concessione demaniale evitando ulteriori penalizzazioni ad un comparto che rappresenta una voce fondamentale dell'economia veneta e del Paese. (5-00209)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alle numerose denunce dell'associazione «Noi con l'Italia», è emerso un grave fenomeno di inquinamento da amianto nella città di Angri (SA);
   in particolare, sarebbero stati localizzati tre vasti siti di prefabbricati risalenti al post terremoto dell'80, dove giacerebbero abbandonate diverse lastre in eternit in evidente stato di sfaldatura;
   suddette abitazioni, ancorché disabitate, versano in situazione di degrado e pericolo per l'intera cittadinanza;
   come rimarcato nell'atto di denuncia, a ciò si aggiungerebbe la presenza ingiustificata di numerosi rifiuti di varia natura (pneumatici, apparecchiature elettroniche, e altro) mai rimossi dalle amministrazioni locali;
   nonostante i continui appelli rivolti dai cittadini impegnati in questa battaglia al sindaco di Angri e al prefetto di Salerno, nulla risulterebbe essere stato fatto per la bonifica dei siti contaminati;
   tale situazione, segno di profonda inciviltà e incuria, non solo pregiudica il decoro della città di Angri, ma, soprattutto, crea allarme nella popolazione per il pericolo che incombe su tutti i residenti;
   la presenza di materiali e fibre di amianto negli edifici e negli ambienti di vita e di lavoro costituisce, infatti, un reale pericolo per la salute pubblica, posto che, se respirate, costituiscono una grave forma di inquinamento dell'organismo;
   stando alle stime degli pneumologi italiani ogni anno 3 mila persone vengono stroncate da patologie gravi correlate all'asbesto;
   l'Italia è uno dei Paesi in cui il consumo di amianto, produzione e importazione, è stato tra i più alti del mondo, essendone stato fatto un uso massiccio e indiscriminato dal dopoguerra al 1992, quando la legge n. 257 ne ha vietato l'utilizzo;
   a tutt'oggi, nonostante siano trascorsi ben 21 anni dalla suddetta legge, l'amianto è ancora molto diffuso in Italia e troppi siti contaminati attendono ancora di essere bonificati;
   malgrado i numerosi e continui appelli rivolti dalla cittadinanza e dall'associazione «Noi con l'Italia», l'amministrazione locale continua a glissare le denunce dei cittadini –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, ritengano opportuno adottare per addivenire a una rapida composizione della vicenda.
(4-00618)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   sulla stampa locale di Fano, a fine 2012, sono comparse notizie, riportate dal «Comitato per il no alla cancellazione di un altro servizio pubblico a Fano», circa la volontà della Soprintendenza di voler chiudere la sezione dell'Archivio di Stato di Fano;
   quanto riportato dagli organi di stampa recita che «Alcuni illustri esponenti della cultura che hanno incontrato in maniera non ufficiale esponenti della Soprintendenza ci riferiscono della volontà di chiudere la sezione di Fano e del trasferimento della documentazione all'Archivio di Stato di Pesaro»;
   gli amministratori della città di Fano hanno subito evidenziato motivata preoccupazione sebbene nessuna comunicazione ufficiale, né ufficiosa, della Soprintendenza sia pervenuta nella sede comunale;
   la questione riguarda un comodato dato tanti anni fa agli Archivi di Stato per trasferire la nuova sede a Palazzo Nolfi, comodato che non ha poi trovato attuazione per il crollo che ha coinvolto palazzo Nolfi rendendolo inagibile;
   il 16 dicembre 2011 il comune firmò con la direzione generale per gli archivi di Stato del Ministero per i beni e le attività culturali e l'Archivio di Stato di Pesaro, un protocollo d'intesa per dare completezza e concludere l'annosa vicenda di dare una sede all'Archivio fanese, prevedendo la conferma della concessione in comodato gratuito di Palazzo Nolfi, a fronte della ricostruzione della parti crollata da parte degli Archivi di Stato per un costo di 447 mila euro. L'ente comunale, da parte sua, avrebbe concorso nei costi di ristrutturazione con un impegno di spesa di circa 288 mila euro, con l'aggiunta di uno stanziamento ottenuto dall'Arcus s.p.a. per 500.000 euro;
   dalla data di cui sopra l'appalto non è stato ancora definito nonostante il comune abbia più volte sollecitato sia gli Archivi di Stato sia, per conoscenza, la prefettura affinché si risolvesse il problema importantissimo della messa in sicurezza dell'immobile;
   il 4 maggio 2013 il prefetto ha scritto al sindaco di Fano di aver interessato gli archivi regionali affinché procedano con la massima celerità a questo appalto;
   gli archivi di Stato rivestono un valore storico e culturale inestimabile sia come depositari dell'importante patrimonio storico di una comunità sia come collegamento con le giovani generazioni e gli studenti che necessitano della loro consultazione;
   la sezione fanese dell'Archivio di Stato, istituita con decreto ministeriale nel 1965, conserva tutto l'archivio storico comunale dal 1240, gli archivi notarili mandamentali di Fano (dal 1364), San Costanzo (dal 1391), Mondolfo (dal 1526), e Cartoceto (dal 1695), gli archivi ottocenteschi dei Governi di Fano e Cartoceto, la Giudicatura di Pace del periodo napoleonico, gli archivi delle corporazioni religiose soppresse, fra cui l'antichissimo archivio della Abbazia di San Paterniano che contiene documenti dal 1173. Non di secondaria importanza sono gli archivi di famiglia, fra i quali Ferri Saladini, Marcolini, Benedetti Forestieri, Gabuccini, Fonti Biscaccianti. L'Archivio contiene anche testimonianze più recenti, come i documenti della Società di Mutuo Soccorso dei Marinai, poi Coomarpesca, quello del secondo circolo didattico di Fano e della Comunità del Basso Metauro. Senza parlare dei Codici malatestiani che costituiscono un unicum a livello mondiale;
   il trasferimento dell'Archivio di Stato, sezione di Fano, determinerebbe una penalizzazione alla terza città delle Marche, procurando un danno culturale, sociale ed economico nella perdita di una parte della propria memoria –:
   se il Ministro, confermato che l'archivio di Stato, sezione di Fano, non verrà trasferito altrove, intenda attivarsi presso l'archivio di Stato di Pesaro, perché venga data pronta esecuzione, in ogni sua parte, al protocollo siglato con il comune di Fano nel 2011. (4-00617)


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la chiesa dei santi Ippolito e Cassiano, costruita nel XII secolo a San Casciano, è una delle opere storiche e artistiche più importanti, un tempo meta dei cultori dello stile conosciuto come romanico-pisano;
   detta chiesa, con le sue magnifiche architravi, ideate dallo scultore Biduino, oltre al valore storico-artistico, riveste anche un valore sociale, contribuendo alla costruzione di un positivo senso di identità ed appartenenza di coloro che fanno parte della comunità locale;
   ripercorrendo la storia architettonica della chiesa, gli studiosi segnalano almeno cinque diversi campanili: il primo, costruito intorno al ’600, poggiante sulla navata destra della chiesa, ma sostituito nell'800 con uno nuovo, con pretese di stile medioevale, posto a sinistra dell'abside, fortunatamente fatto crollare dai tedeschi, durante la seconda guerra mondiale;
   nel 1946 la popolazione decise di recuperare le macerie del precedente campanile ricostruendone uno nuovo, da «dopoguerra»;
   nel 1986 la soprintendenza competente ha approvato la realizzazione di un progetto per la messa in sicurezza del campanile, tenendo conto della regola secondo la quale «il restauro deve apportare modifiche che rendano gli edifici antichi riconoscibili»;
   il campanile restaurato somiglia a giudizio degli interroganti a un «orrendo» parallelepipedo di cemento, del tutto fuori contesto storico rispetto all'architettura della chiesa millenaria in parola, tanto da suscitare critiche violente da parte di intellettuali, storici e critici d'arte, che si dividono tra coloro che ne invocano la demolizione, e altri convinti della necessità di rivestire il «brutto manufatto», con formelle in ceramica che richiamino i valori religiosi e storici del territorio circostante;
   esistono sul territorio pisano tantissimi campanili, ricostruiti nel periodo del «dopoguerra», «sbeffeggianti» la solennità di tante chiese romaniche;
   i rappresentanti istituzionali territoriali si sarebbero attivati per valorizzare il patrimonio romanico, attraverso un progetto di cooperazione territoriale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio insistente sulle pendici del Monte Pisano, la Valdiera e la Valdicecina, escludendo, in questa prima fase, le chiese romaniche –:
   se non ritenga opportuno adoperarsi per sollecitare un tavolo tecnico con i rappresentanti istituzionali territoriali, critici, storici, associazioni culturali, mecenati privati, per affrontare il tema della tutela delle chiese romaniche pisane dal punto di vista architettonico, con particolare riguardo al tema dei campanili e della relativa e impropria ricostruzione dal dopoguerra ad oggi. (4-00623)


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-09973 presentata in data 14 dicembre 2010, nella seduta n. 408, l'interrogante ha già rappresentato la necessità di interventi urgenti per la tutela della basilica romanica dei Santi Pietro e Paolo sita nel comune di Carate Brianza;
   la predetta «basilica» è uno degli esempi più significativi di architettura romanica in Brianza: edificata nel IX secolo, presenta una bella facciata in ciottoli di fiume, con un bel portale sovrastato da due monofore con la figura del Cristo nella lunetta, e due porte laterali: l'interno è a tre navate, con archi e colonne in pietra di riuso risalenti al IV-V secolo con scritte sui capitelli;
   originariamente la pieve, così come l'attiguo battistero, doveva essere ricoperta da affreschi del XI-XV secolo, mentre ora sopravvivono solo minime porzioni di intonaco affrescato sulle due ultime arcate della navata di sinistra e nella volta a botte; il battistero, a cui si accede dalle absidi laterali, è uno dei pochi esempi di battistero a sette lati con piccola nicchia absidale, probabilmente coevo e uguale alla basilica nella tecnica costruttiva, al cui interno, si conservano affreschi altomedievali, trecenteschi e quattrocenteschi: interessanti sono inoltre la cripta, realizzata nel XII secolo, e la settecentesca sacrestia; verso la fine dell'800, il complesso religioso di Agliate subì massicci lavori di restauro coordinati dall'architetto Luca Beltrami; della stessa epoca è anche il campanile di forma quadrata;
   il sopra citato atto di sindacato ispettivo ha posto all'attenzione del Ministro interrogato il pericolo derivante dalle copiose infiltrazioni d'acqua e forti vibrazioni all'interno della Basilica, causate dal passaggio di tir lungo la strada limitrofa alla Basilica stessa;
   per far fronte a tale fenomeno già nel 2008 la soprintendenza per i beni architettonici di Milano ha eseguito un sopralluogo con i tecnici della parrocchia di Agliate, (proprietaria del monumento), il parroco stesso e il presidente del parco della valle del Lambro, al fine di vagliare lo stato delle infiltrazioni e delle vibrazioni all'interno della Basilica;
   nel 2011 la parrocchia di Agliate avrebbe incaricato due tecnici per redigere un progetto di restauro della copertura della Basilica e, attraverso l'uso di un cestello aereo, sarebbe stata eseguita una prima ispezione sulla copertura al fine di verificarne lo stato di conservazione –:
   se il progetto di restauro della copertura della Basilica dei Santi Pietro e Paolo in parola abbia messo in sicurezza l'edificio dalle infiltrazioni d'acqua;
   se, in considerazione dei danni provocati alla stabilità della basilica dal traffico veicolare pesante dalla strada provinciale 155, non ritenga opportuno intervenire per sollecitare un'ispezione urgente da parte della competente soprintendenza, in modo tale da valutare le eventuali e ulteriori gravi ripercussioni causate dalle citate scosse sismiche sulla struttura dell'edificio medesimo. (4-00625)


   DAGA, FRATOIANNI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa (http://www.paesesera.it/Cronaca/San-Lorenzo-il-sit-in-dei-cittadini-Salviamo-l-ex-fonderia-Bastianelli) vi è il concreto pericolo che venga avviata la demolizione di uno stabile di potenziale interesse storico e architettonico sito nello storico quartiere di San Lorenzo in Roma;
   l'immobile, sito in via dei Sabelli, 104, risulta essere stato costruito nel 1908, ed ha ospitato le Fonderie Bastianelli, storica industria romana;
   il comune di Roma ha rilasciato il permesso di costruire n. 328 del 26 luglio 2012 alla Sabelli Trading S.r.l., per un intervento di demolizione e ricostruzione di detto fabbricato, con cambio parziale di destinazione d'uso a residenziale con incremento di SUL;
   in relazione al complesso dell'ex fonderie Bastianelli attualmente di proprietà della Sabelli Trading s.r.l., è in corso una vertenza dei cittadini di San Lorenzo allarmati per l'imminente rischio di smantellamento e demolizione dello storico complesso, tesa ad evitare la speculazione edilizia su di un edificio di interesse storico-architettonico e che ha dato vita ad una petizione on line (http://www.rivoltaildebito.org);
   la sovrintendenza comunale con nota prot. n. 67517 del 14 agosto 2012 ha segnalato che l'edificio oggetto di demolizione rappresenta l'edificio delle Fonderie Bastianelli risalente al 1908, circostanza che non sembra essere stata presa in considerazione nell’iter procedurale del permesso di costruire;
   il dirigente del dipartimento programmazione ed attuazione urbanistica – direzione attuazione degli strumenti urbanistici, U.O. permessi di costruire – ha comunicato alla Sabelli Trading s.r.l. l'avvio del procedimento di verifica del permesso di costruire e la sospensione dell'efficacia del richiamato permesso nelle more della conclusione del relativo procedimento;
   attualmente sono state presentate dalla Sabelli Trading s.r.l. due varianti al permesso di costruire n. 328/2012, che prevedono comunque lo smantellamento del fabbricato storico per la costruzione di appartamenti e parcheggi interrati in contrasto con le previsioni provvedimentali realmente acconsentite dalle amministrazioni competenti;
   l'edificio in questione assume una rilevanza storico-architettonica di particolare pregio per le ragioni di seguito illustrate:
    a) il medesimo edificio è stato il cantiere ove è stato realizzato il monumento equestre raffigurante Re Vittorio Emanuele II, sito al centro del Monumento denominato Altare della Patria, realizzato sul progetto del famoso scultore Enrico Chiaradia e completato da Emilio Gallori;
    b) la scultura rappresenta un esemplare unico per grandezza e perizia stilistica, conferendo ulteriore importanza e rilevanza all'opera della Fonderia;
    c) è notorio come detto monumento rappresenti altresì la principale attrattiva turistica otto-novecentesca della zona centrale del comune di Roma;
    d) la medesima Fonderia ha realizzato la fornitura per il comune di Roma di gran parte dei tombini attualmente visibili per le vie del centro storico di Roma;
    e) l'intero edificio, in ragione di quanto sopra detto, è oggi considerabile esempio mirabile ed unico di archeologia industriale, ciò è reso evidente dalla possente struttura portante a capriate in legno, su pilastri in ferro, ancora in ottime condizioni, che deve essere tutelata, protetta e riqualificata secondo quanto prescrive la vigente normativa in materia;
    f) l'attuale conformazione del fabbricato risulta immutata dai primi decenni del secolo, come emerge inequivocabilmente dal raffronto tra l'elaborato grafico allegato all'atto notarile di divisione del 26 ottobre 1932, rep. n. 11140 e lo stato attuale dei luoghi, desumibile dalla documentazione fotografica e dall'estratto catastale, giacché il medesimo edificio è risultato indenne ai bombardamenti avvenuti nel luglio del 1943 nel quartiere San Lorenzo e pertanto merita senza alcun dubbio di essere presentato come esemplare originale della preesistente conformazione architettonica del tessuto urbano del medesimo quartiere;
   l'edificio è censito nella carta della qualità – allegata al piano regolatore generale in vigore – come appartenente ad «impianto con progetto unitario a disegno urbano e struttura geometrica restare»;
   nella carta dell'Agro è rappresentato quale specifico esempio di archeologia industriale;
   all'articolo 16 delle NTA, comma 16, viene prescritto che «se gli elementi inseriti nella Carta non sono tutelati per legge l'approvazione dei relativi progetti o di quelli soggetti alle prescrizioni di cui al comma 5, è subordinata al parere favorevole della Soprintendenza comunale, che si esprime entro 60 giorni dalla richiesta formulata dal responsabile del procedimento di abilitazione; nei casi di progetti abilitati tramite DIA il parere della Soprintendenza comunale è acquisito dal soggetto attuatore preventivamente alla presentazione della DIA e ne correda gli elaborati»;
   al successivo punto 6 dell'articolo 24 delle NTA si riporta come per gli interventi di demolizione e ricostruzione, come nel caso di specie, questi sono ammessi «previa verifica da parte del Comune di interesse storico-architettonico e ai criteri appositamente definiti nella “Guida per la qualità degli interventi”»;
   per il quartiere di San Lorenzo è prevista l'elaborazione de «Il Progetto urbano»: «...è una procedura finalizzata alla definizione progettuale delle previsioni di PRG, in relazione alle parti della città interessate direttamente o indirettamente da interventi di rilievo urbano; tale procedura consente, anche confrontando soluzioni alternative, un'accurata verifica della sostenibilità urbanistica, ambientale, economica e sociale delle iniziative proposte, che devono assicurare altresì elevati livelli di qualità urbana ed ambientale e di partecipazione democratica», ex articolo 16 delle citate NTA;
   i lavori previsti, tanto nel permesso di costruire originario quanto nelle sue successive varianti, andrebbero a stravolgere irrimediabilmente la morfologia del fabbricato storico delle ex Fonderie, arrecando un danno irreversibile al patrimonio storico-architettonico dell'intero quartiere di San Lorenzo;
   il sottosuolo di San Lorenzo è formato prevalentemente da terreno da riporto, che in fase di scavo, per la costruzione dei parcheggi interrati, potrebbero determinare problemi di tenuta statica degli edifici circostanti, come successo in fase di scavo nella ex Vetreria Sciarra in via dei Volsci; è inoltre presente una falda acquifera sul sottosuolo che ha già aperto delle voragini, tra cui una in via dei Reti e l'altra in via dei Sardi dove la medesima proprietà (la Sabelli Trading srl) aveva iniziato dei lavori di costruzione di un nuovo complesso, che ha prodotto l'allagamento della zona –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative, in via cautelativa, per la sospensione di ogni intervento edilizio sull'immobile in questione e di avviare contestualmente le debite indagini al fine di definire se il complesso delle ex Fonderie Bastianelli sia dotato delle caratteristiche necessarie per rientrare tra i beni caratterizzati da interesse storico ed archeologico «particolarmente importante» ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera a), del decreto legislativo n. 42 del 2004, e quindi meritevole dell'emissione di un provvedimento di tutela. (4-00636)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   DURANTI, MIGLIORE, PIRAS, MARCON e SCOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto rivelato dal quotidiano britannico Guardian, il Pentagono ha stanziato 11 miliardi di dollari per ammodernare il proprio arsenale di bombe atomiche, comprese quelle depositate nelle basi americane all'estero o in quelle di Paesi alleati;
   si tratta di 200 bombe B61 a caduta libera, realizzate alla fine degli anni ’60, che pesano fino a 320 chilogrammi, sono lunghe 3,56 metri con un diametro di 33 centimetri, con una potenza massima di 340 chilotoni, oltre 30 volte la bomba di Hiroshima, anche se quelle presenti in Europa, si attestano sui 50 chilotoni;
   tali ordigni sono depositati nelle basi NATO europee in Belgio, Olanda, Germania e Turchia. In Italia risultano esserci 90 bombe di cui 50 custodite nella base di Aviano in Friuli e 40 a Ghedi, vicino a Brescia, anche se le ultime stime parlano della metà, cioè 20;
   nella base di Aviano è dislocata la 31 st Fighter Wing, la squadriglia di cacciabombardieri USA F-16, mentre a Ghedi Torre, in caso di necessità possono essere armati con ordigni nucleari i nostri Tornado;
   degli 11 miliardi di dollari stanziati, 10 servirebbero per prolungare la vita operativa delle B61 e 1 miliardo per dotare gli ordigni di alette di coda per trasformarle in bombe atomiche guidate;
   le 200 nuove B61 dovrebbero essere pronte tra il 2019 ed il 2020 in tempo per essere usate con il nuovo caccia F35, l'aereo di quinta generazione con caratteristiche stealth e netcentriche in grado di caricare ordigni nucleari;
   le nuove B61-12 al contrario delle vecchie B61, che hanno il sistema di puntamento analogico, avranno il puntamento digitale, compatibile con i sistemi elettronici dell'F35-A;
   l'Italia allo stato attuale ha deciso di acquistare 90 cacciabombardieri F35, di cui 60 nella versione A e 30 nella versione B destinata alla portaerei Cavour;
   il combinato disposto delle potenzialità stealth dell'F35, ovvero la capacità di sfuggire ai radar nemici e quindi penetrare a fondo nelle linee di difesa nemiche e la possibilità di sganciare le nuove testate B61-12 con grande precisione e potenza variabile, possono costruire una combinazione offensiva che mette in discussione qualsiasi accordo di riduzione delle armi nucleari, espone strategicamente il Paese e viola la Costituzione;
   essendo l'Italia tra i Paesi che hanno aderito al trattato si non proliferazione nucleare, non può dotarsi di armi nucleari;
   in base agli accordi NATO di condivisione nucleare «Nuclear Sharing agreements», prodotti nel periodo della guerra fredda, quando la deterrenza nucleare era fondata sulla minaccia di distruzione reciproca, ancora in vigore, si prevedono una serie di impegni di condivisione di strutture ed infrastrutture. Oltre allo stoccaggio delle bombe, che restano sotto il controllo degli Stati Uniti, è previsto l'addestramento di piloti italiani per il possibile uso delle armi e la partecipazione italiana alle riunioni del Nuclear Planning Committee della NATO;
   la volontà espressa dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama il 5 aprile 2009 a Praga di fare passi concreti verso un mondo senza armi nucleari, rafforzando il trattato di non proliferazione, aveva portato alcuni alleati europei, in particolare la Germania a chiedere la revisione degli accordi di «nuclear-sharing», ritirando le armi tattiche presenti in Europa;
   considerando che Belgio ed Olanda hanno chiesto di rivedere tali accordi di «nuclear sharing» e la Germania non acquisterà i famigerati caccia F35, l'Italia rischia di essere la «prima linea» europea;
   il repentino cambio di rotta degli USA, tra le altre cose, rischia di compromettere ulteriormente i rapporti con la Russia, già deteriorati dalla decisione americana di costruire lo scudo antimissile, riportando la relazione tra le due superpotenze a fondamenti di deterrenza e minaccia dell'uso di armi nucleari, proprio come ai tempi della guerra fredda –:
   se non ritenga doveroso cancellare la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35 ed attivarsi con la NATO e gli Stati Uniti per chiedere una immediata rimozione di qualsiasi ordigno nucleare presente sul nostro territorio interrompendo la partecipazione italiana agli accordi di Nuclear Planning Commitee della NATO. (5-00201)


   D'ARIENZO e SCANU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 244 del 2012 ha delegato il Governo ad emanare due o più decreti legislativi al fine di disciplinare una revisione in chiave riduttiva dello strumento militare;
   pur in assenza dei richiamati decreti legislativi, risulta che lo Stato Maggiore dell'Esercito stia procedendo alla soppressione di alcuni comandi e alla contestuale costituzione di altri sulla base di un decreto ministeriale del precedente Ministro della difesa;
   in particolare, sarebbe stata disposta la soppressione del 1o comando forze di difesa con sede in Vittorio Veneto (Treviso); la soppressione del comando brigata Pozzuolo del Friuli con sede in Gorizia; la creazione di un comando militare interregionale con sede in Padova; infine, la creazione di un comando divisione con sede in Firenze presso la caserma Predieri e avente le stesse competenze del 1o comando forze di difesa;
   ciò avviene nonostante l'ordine del giorno n. 9/5569/22, approvato nella XVI legislatura, con il quale il Parlamento ha impegnato il Governo ad adottare i decreti legislativi in modo da consentire che il nuovo Parlamento potesse esplicare i propri poteri di indirizzo e controllo in relazione ai contenuti degli atti attuativi della delega conferita con il provvedimento in esame e con ciò riaffermando la centralità del Parlamento nella delicata materia;
   non è peraltro noto il risparmio che potrebbe derivare dalla chiusura della sede di Vittorio Veneto per ricollocare il medesimo comando come divisione a Firenze in una caserma, la Predieri, dove pare che siano state effettuate spese di ammodernamento e, quindi, a giudizio degli interroganti in contrasto con l'articolo 1, comma 4, della citata legge n. 244 del 2012 secondo il quale dall'attuazione dei decreti legislativi di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
   inoltre, risulta agli interroganti che al personale in servizio permanente a Vittorio Veneto, sia stato proposto di presentare domanda di trasferimento a Firenze, quindi senza alcuna indennità, pena il possibile trasferimento d'autorità a Vipiteno o a Merano;
   in particolare, le misure in questione dovrebbero essere accompagnate da un piano alloggiativo per accogliere i militari di tutte le categorie, singoli o con famiglia, visti i costi degli affitti a Firenze che sono proibitivi se rapportati agli stipendi medi del personale militare;
   in alternativa alle misure adottate, si sarebbe potuta valutare l'ipotesi di una riduzione del numero delle infrastrutture utilizzate a Vittorio Veneto o una ridislocazione del comando in caserme situate nelle vicinanze di Vittorio Veneto, inutilizzate ma efficienti come, ad esempio, la caserma «Serena» di Treviso che sarebbe stata «abbandonata» dall'Esercito;
   in simili circostanze, è comunque doveroso valutare l'impatto delle misure da adottare sul personale e sulle loro famiglie, alcune delle quali hanno comprato casa nell'area di Vittorio Veneto accollandosi mutui anche ultraventennali, nonché sui relativi costi che ne deriverebbero, eventualmente ascoltando gli organi di rappresentanza in merito ai disagi dei trasferimenti in questione –:
   se il Governo non ritenga di sospendere l'attuazione di ogni provvedimento sopra menzionato nel rispetto del Parlamento e della legge che prevede in modo inequivocabile che la revisione dello strumento militare sia attuata mediante decreti legislativi sottoposti al parere delle Commissioni permanenti competenti e con il coinvolgimento, nei casi previsti, degli organismi della rappresentanza militare e sindacale. (5-00202)


   NASTRI e CIRIELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   tutti i concorsi pubblici degli ultimi anni per il reclutamento di allievi agenti della Guardia di finanza o di altre Forze del comparto sarebbero riservati ai soli «volontari in ferma prefissata di un anno ovvero in rafferma annuale», con esclusione dei volontari in ferma breve di cui alla disciplina previgente alla legge n. 226 del 2004;
   l'articolo 2, comma 209, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, prescrive espressamente che le assunzioni nelle carriere iniziali dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco negli anni 2010, 2011 e 2012 devono essere destinate non soltanto ai volontari in ferma prefissata, ma anche ai volontari in ferma breve;
   suddetta possibilità è ulteriormente confermata dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 che, pur intervenendo sulla legge n. 191 del 2009, non ha abrogato o modificato il testo del citato articolo 2, comma 209;
   tale preoccupante nuova forma di disoccupazione, spesso giustificata alla luce del cosiddetto «blocco del turn over», investe anche quanti hanno rischiato la loro vita nelle missioni internazionali;
   nonostante l'esistenza e la validità delle graduatorie di concorsi già espletati, le pubbliche amministrazioni del comparto continuano però a bandire nuovi concorsi, con evidenti elevati oneri finanziari per l'amministrazione interessata;
   più razionale sarebbe il preventivo esaurimento delle graduatorie formate alla conclusione delle precedenti procedure concorsuali;
   altra preoccupante situazione, che rischia di determinare il collasso del funzionamento del settore sicurezza, è poi quella che investe quanti sono risultati, non solo idonei, ma altresì vincitori di concorsi pubblici e ancora in attesa di essere arruolati;
   nella legge di stabilità 2012, sono stati approvati interventi correttivi per contrastare il ridimensionamento delle dotazioni organiche delle forze dell'ordine e innalzare il limite del turn over –:
   se il Ministro, presupposta la conoscenza da parte sua dei fatti esposti in premessa e, ritenuto che tale «selezione preventiva» rappresenta una palese disparità di trattamento, intenda esaminare la possibilità di soddisfare la richiesta dei cittadini che hanno prestato servizio nelle Forze armate quali volontari in ferma breve e quali iniziative di competenza, intenda assumere per porre rimedio alla problematica legata agli idonei, vincitori.
(5-00203)


   FRUSONE, ALBERTI, ARTINI, BASILIO, CORDA e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della legge n. 185 del 1990 che regolamenta l'esportazione, importazione e il transito dei materiali di armamento, il Governo Monti avrebbe già dovuto rendere nota, entro il 31 marzo, la relazione annuale sulle esportazioni di sistemi militari;
   a questo punto, la responsabilità della ritardata pubblicazione della relazione, completa di tutte le sue parti, e dell'invio al Parlamento spetta al Governo Letta ma non è dato sapere se, a parziale giustificazione della mancata trasmissione degli atti dovuti, si stiano apportando alla relazione già predisposta dal precedente Governo le necessarie integrazioni per adeguarla alle recenti modifiche della normativa;
   infatti, il Governo Monti con un decreto legislativo ha modificato la legge n. 185 che dal 1990 regolamenta l'esportazione dei materiali di armamento. La modifica si era resa necessaria per recepire una direttiva europea che «semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all'interno delle Comunità di prodotti per la difesa», ma non è ancora chiaro quali materiali di armamento siano stati fatti rientrare in questa categoria e, soprattutto, come verranno riportati nella relazione governativa;
   le attese e le preoccupazioni delle tante associazioni della società civile che si occupano della materia sono molteplici. Infatti, secondo gli analisti di Rete Disarmo, la relazione resa nota nel 2012 dal Governo Monti, a fronte di un volume di affari in crescita (nel 2011 le autorizzazioni all'esortazione hanno superato i 3 miliardi di euro di cui oltre 2 miliardi, il 67 per cento sono stati diretti a Paesi non UE-Nato a cui vanno sommati gli oltre 2,2 miliardi per i programmi intergovernativi), è risultata mancante di numerose informazioni di primaria importanza per poter valutare la conformità dell'attività del Governo al dettato legislativo;
   innanzitutto non è stata resa nota la tabella che dettagliava le autorizzazioni all'esportazione a ogni singolo Paese destinatario per ammontare e tipologia di sistemi militari (la Tabella 15) ed è risultato mancante anche l'allegato che per diversi anni ha riportato «l'Elenco dei Paesi ritenuti dall'ONU responsabili di gravi violazioni dei diritti umani o che destano preoccupazione sotto tale profilo»;
   inoltre, lo scorso anno è risultata ancora mancante dalla sezione della relazione curata dal Ministero dell'economia e della finanze (dipartimento del tesoro), l'importante «Riepilogo in dettaglio suddiviso per Istituti di Credito», un elenco che manca dalle relazioni dall'avvento dell'ultimo Governo Berlusconi, ma che è indispensabile per conoscere i dettagli delle singole operazioni di incassi per esportazioni di armamenti autorizzate agli istituti di credito, tra cui i compensi di intermediazione;
   a fronte di indagini per corruzione che hanno investito l'esportazione di armamenti negli ultimi anni (come il recente caso dei 12 elicotteri Agusta all'India) appare quanto mai urgente e opportuno che il Governo ripristini quell'elenco presente nelle relazioni ministeriali indispensabile anche per valutare l'effettiva applicazione delle direttive che numerosi istituti di credito hanno messo in atto su pressione delle campagne della società civile;
   le cifre che l'Italia ha comunicato all'Unione europea per esportazioni di armamenti (cioè per le consegne realmente effettuate) negli ultimi due anni sono ampiamente differenti rispetto a quelle riportate nelle relazioni inviate al Parlamento italiano: la relazione consegnata al Parlamento il 31 marzo 2011 riporta, relativamente all'anno 2010, un ammontare di «operazioni effettuate» (consegne) di oltre 2.754 milioni di euro, mentre nella relazione dell'Unione europea è segnalata una cifra di esportazioni (export) dall'Italia solamente di circa 615 milioni di euro; invece, quella depositata il 23 aprile 2012 riporta, per l'anno 2011, un ammontare di «operazioni effettuate» (consegne) di oltre 2.664 milioni di euro, mentre nella relazione dell'Unione europea è segnalata una cifra di esportazioni (export) dall'Italia di poco più di 1.022 milioni di euro;
   occorre, insomma, che il Parlamento abbia la possibilità di valutare attentamente la relazione nelle Commissioni di riferimento per non far mancare il necessario controllo sull'esportazione di materiali d'armamento e per valutare anche la politica estera e di sicurezza del nostro Paese;
   la presentazione dei dati, infatti, potrebbe fornire l'occasione per discutere la problematica relativa all'applicazione della citata legge sull’export armato: infine, a parere degli interroganti, sarebbe quanto mai opportuno, alla luce di quanto dichiarato nelle relazioni precedenti e della recente normativa internazionale dell'ATT (trattato internazionale sul commercio delle armi), che nella relazione fossero documentate con criteri analoghi ai materiali militari anche le forniture all'estero di armi leggere a uso civile –:
   per quanto di propria competenza, quali siano gli intendimenti del Ministro della difesa in relazione a quanto esposto in premessa e come intenda fare chiarezza su diverse altre anomalie che riguardano le esportazioni italiane di armamenti per una più puntuale e trasparente informazione sui temi riguardanti l'esportazione di armamenti. (5-00204)


   CICU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge 31 dicembre 2012, n. 244, dispone il conferimento di una delega al Governo per il complessivo riordino dello strumento militare intervenendo in termini riduttivi sull'assetto strutturale e organizzativo del Ministero della difesa, sulle dotazioni organiche complessive del personale militare dell'Esercito italiano, della Marina militare e dell'Aeronautica militare, nonché sulle dotazioni organiche complessive del personale civile del Ministero della difesa;
   i decreti legislativi attuativi della legge delega non sono stati adottati dal Governo precedente, nel corso della XVI legislatura, in quanto, in sede di votazione della legge stessa, il Parlamento ha approvato un ordine del giorno con il quale le forze politiche hanno, in modo unanime, impegnato il Governo ad adottare i decreti legislativi in modo da consentire che il nuovo Parlamento potesse pienamente esplicare i propri poteri di indirizzo e di controllo –:
   se non ritenga opportuno chiarire quali siano i tempi di presentazione e i contenuti dei provvedimenti di attuazione della legge delega sulla riforma dello strumento militare. (5-00205)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FONTANELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   vi è una diffusa preoccupazione per il futuro dell'azienda Selex Electronic System, conglomerata dell'elettronica per la difesa con capogruppo Finmeccanica;
   preoccupazioni motivate dal piano di riorganizzazione e razionalizzazione del gruppo presentato nel mese di aprile che interviene pesantemente sui livelli occupazionali e, per questo, oggetto di numerose interrogazioni al Presidente del Consiglio e ai Ministeri dell'economia e dello sviluppo economico, considerato il ruolo fondamentale di Finmeccanica;
   forti sono sono le perplessità circa il rischio di un indebolimento della politica industriale del Paese in settori strategici a causa di scelte affrettate e immotivate di Finmeccanica, soprattutto in un campo, come quello dei sistemi di sicurezza, in cui l'Italia, proprio attraverso Selex ES, ha conquistato uno spazio apprezzato e riconosciuto a livello internazionale;
   infatti le attività della Selex ES nei settori come quello dell'avionica, della difesa e della sicurezza sono tra le più avanzate d'Italia e oggetto di programmi e di collaborazioni di valore internazionale. Basta pensare al programma ESSOR, di cui si è relazionato negli anni passati anche in Commissione difesa, finalizzato alla definizione della normativa da mettere alla base degli standard internazionali per le comunicazioni radio volte a migliorare l'interoperabilità nelle operazioni di coalizione, in particolare con gli Stati Uniti e la NATO;
   un ridimensionamento di queste attività, attraverso una penalizzazione delle professionalità acquisite, potrebbe mettere a repentaglio la riuscita del progetto per il consorzio europeo OCCAR con rilevanti danni per la stessa Selex ES, inoltre comprometterebbe la prosecuzione della fase 2 di ESSOR e di altre opportunità in ambiti NATO per le attività di ricerca e sviluppo di Finmeccanica;
   poi bisogna anche ricordare che un team di Selex ES opera dal 2002 nella gestione informatizzata del centro addestramento equipaggi (NTC), presso la 46 brigata aerea di Pisa, avendo appositamente sviluppato uno specifico sistema per la gestione dei corsi di formazione dei piloti. Dal 2008 tali corsi vengono usufruiti anche da al Paesi che usano i velivoli C-130J e C-27J –:
   se il Ministero sia conoscenza della situazione di Selex ES e delle problematiche di un possibile ridimensionamento connesse al piano di riorganizzazione e quale sia il suo orientamento nel merito;
   se esista il rischio o la possibilità che tale riorganizzazione possa portare ad un ridimensionamento dell'impegno di Finmeccanica nei settori della difesa e della sicurezza; se tale ridimensionamento possa indebolire il peso e l'autonomia del nostro Paese sul piano internazionale;
   se e come intenda operare per far presenti i valori strategici della ricerca e dello sviluppo nelle politiche per la difesa e la sicurezza e, dunque, la necessità di salvaguardare al miglior livello possibile le esperienze e professionalità che l'Italia ha sviluppato in questi settori. (5-00195)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   BUONANNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'azione delle banche nei confronti di cittadini e imprese ha contribuito a determinare la situazione di disastro economico in cui versa il Paese;
   tale strategia invece di andare incontro ai cittadini accordando linee di credito punisce gli stessi in presenza di garanzie anche personali con il risultato di far chiudere o fallire tantissime imprese;
   lo scandalo societario che ha coinvolto il Monte dei Paschi di Siena, con buchi enormi è foriero di perdite miliardarie;
   nonostante i loro debiti infiniti sia il Monte dei Paschi di Siena che Unicredit continuano a «sponsorizzare» con ingenti somme squadre di basket e di calcio a discapito di risparmiatori, piccole e medie imprese;
   in tal modo si utilizzano in definitiva fondi per pagare ingaggi milionari ai giocatori o per l'acquisto dei cartellini, mentre le piccole e medie imprese in ginocchio molto spesso non ricevono gli aiuti indispensabili per la loro sopravvivenza, aiuti che comunque vengono «strapagati» con gli interessi praticati dagli istituti di credito, che uniti a tutte le varie clausole si avvicinano notevolmente ai tassi d'usura –:
   quali iniziative, se del caso normativo, intenda assumere per promuovere un mutamento dell'attuale politica del sistema bancario italiano nei confronti di cittadini e imprese in particolare alla luce della scelta delle banche di concedere a tassi intorno al 7-8 per cento il denaro che ricevono dalla BCE all'1 per cento.
(3-00090)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MICHELE BORDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i recenti e recentissimi fatti di cronaca violenta, le preoccupanti instabilità politiche nei Paesi dell'area Mediterranea, nonché le crescenti tensioni sociali causate dalla crisi hanno rafforzato l'urgenza di intervenire con misure strutturali di rafforzamento degli organici e delle dotazioni dei settori dello Stato che si occupano della sicurezza interna e della difesa;
   in tutti i settori del comparto sicurezza-difesa si lamenta la carenza di personale nonostante siano stati svolti, anche 20 anni fa, concorsi per l'assunzione di personale a tempo indeterminato le cui graduatorie non sono ancora state esaurite;
   la legge di stabilità per il 2013 (24 dicembre 2012 n. 228), articolo 1 – commi 89, 90 e 91, ha istituito un fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze, pari a 10 milioni di euro per l'anno in corso, specificamente destinato a «procedere ad assunzioni a tempo indeterminato sulla base delle procedure concorsuali già espletate» allo scopo di «incrementare l'efficienza» del comparto di sicurezza-difesa e del Corpo dei vigili del fuoco;
   per tali assunzioni, autorizzate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta dei Ministri dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e la semplificazione, si prevede una «deroga alle percentuali di turn over stabilite dalla normativa vigente» e, per conseguenza, la possibilità di incrementare le percentuali stesse fino al 50 per cento per il 2013 e il 2014 e fino al 70 per cento per il 2015;
   sulla base di tali previsioni normative, numerosi vincitori di concorso hanno dato mandato a diffidare il Ministero dell'interno, la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Presidenza della Repubblica a procedere all'applicazione dei commi 89, 90 e 91 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2013 –:
   se ed in quali termini il Governo intenda procedere alla costituzione del fondo indicato per poi attivare le procedure di assunzione di centinaia di vincitori di concorso ancora in attesa di vedere riconosciuti i propri diritti. (5-00197)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a tutt'oggi non risultano ancora effettivamente erogate le somme spettanti alle diverse ONLUS e associazioni (operanti nel campo del volontariato) e derivanti dalle libere scelte dei cittadini attraverso le quote del 5 per mille, relative alle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF per l'anno 2010, presentate nel 2001;
   già da diversi mesi queste somme sono nella disponibilità finanziaria dello Stato e ciononostante, non sono state erogate alle singole ONLUS ed alle associazioni beneficiarie il cui elenco, peraltro, è già stato pubblicato nel sito della Agenzia delle entrate fin dal 9 maggio scorso;
   questo ritardo è assolutamente grave ed ingiustificato e sta causando un pregiudizio assai pesante nello svolgimento delle attività istituzionali e del servizio sociale e di concreta solidarietà, che vengono ogni giorno svolti fra innumerevoli difficoltà e con tanti sacrifici e con spirito di nobile dedizione e di fattivo aiuto a persone bisognose, che versano in condizioni di sofferenza e disagio;
   molteplici sono già state le sollecitazioni avanzate nei confronti del Ministero da diverse associazioni di volontariato ed ONLUS, a cominciare dall'Unione italiana ciechi –:
   quando verranno finalmente erogate, senza ulteriori ed ingiustificati ritardi, alle diverse ONLUS ed alle associazioni di volontariato che ne hanno titolo, le somme ad esse spettanti in relazione al riparto delle quote del 5 per mille sulle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF, presentate dai cittadini nel 2011 e relative all'anno 2010, tenuto conto che tali somme sono indispensabili per la prosecuzione delle attività istituzionali, sociali e di solidarietà svolte ogni giorno con dedizione encomiabile, con spirito civico e di vicinanza alle persone, che versano in condizione di difficoltà, di sofferenza e di disagio. (5-00199)


   GREGORI, BARUFFI, GNECCHI e MADIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta all'interrogante, è attualmente in corso una selezione pubblica per l'assunzione a tempo indeterminato di 855 unità per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, profilo professionale funzionario, per attività amministrativo-tributaria presso l'Agenzia delle entrate;
   in data 19 aprile 2013 si è svolta la seconda prova psico-attitudinale del concorso, costituita da un totale di 80 quiz, di cui 40 vertevano su 8 brani di ragionamento critico-verbale e 40 vertevano su 8 tabelle di ragionamento critico-numerico;
   nelle more della selezione delle tracce da somministrare, l'Agenzia ha utilizzato una specifica banca dati, in precedenza impiegata per il concorso-corso del comune di Napoli del 2010 e successivamente resa pubblica e messa online. In particolare, su un totale di 80 domande, ben 75 provenivano da questa banca dati, mentre le restanti cinque provenienti dalla banca dati della società privata Shl;
   sul bando in questione non è indicato nessun riferimento all'utilizzo di una banca dati specifica e non sono forniti riferimenti su eventuali tipologie di quiz da studiare per la prova; tuttavia, risulta evidente come, coloro che hanno potuto studiare e scaricare online i quiz della banca dati, o semplicemente coloro che avevano partecipato al già richiamato concorso-corso del comune di Napoli, hanno potuto ottenere un ampio vantaggio in sede di prova;
   già in passato, ad esempio, durante la selezione pubblica per l'assunzione di 1180 funzionari del 2008, l'Agenzia delle filtrate aveva utilizzato una banca dati ufficiale specifica, ma ciò accadeva previa specifica indicazione espressa nel bando e ne veniva data pubblicità sul sito internet dell'Agenzia stessa; al contrario, in quest'occasione, non rendendo pubblica tale intenzione, l'Agenzia ha determinato una situazione di obiettiva disparità tra tipologie di candidati diversi, violando sia il principio di pari trattamento, sia il principio d'imparzialità della pubblica amministrazione;
   inoltre, non si capisce la ratio operativa che ha portato alla scelta di una serie di quiz comunque già utilizzati in occasione di concorsi pubblici precedenti e, invece, non si è proceduto a selezionare quiz nuovi, che avrebbero certamente rappresentato garanzia di maggiore equità;
   a riguardo va ricordato come, il combinato disposto degli articoli 3 e 97 della costituzione disegna un preciso obbligo per la pubblica amministrazione di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia, evitando ogni discriminazione e arbitrio nell'attuazione dell'interesse pubblico. Il principio d'imparzialità si esplica proprio a partire da uno dei momenti più delicati della vita amministrativa, ovvero il reclutamento del personale attraverso il meccanismo concorsuale –:
   se, i Ministri interrogati, intendano o meno, e con quali mezzi, verificare la correttezza procedurale della selezione pubblica in questione e qualora si dovessero riscontrare delle anomalie in merito alla selezione e svolgimento della prova, quali misure s'intendano mettere in atto, al fine di ripristinare una corretta ed imparziale procedura concorsuale.
(5-00210)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la città di Roma ha avuto dal 1960 il suo luna park permanente conosciuto come il «Luneur» e la società «LUPPRO spa» ha gestito il complesso in tutti questi anni, effettuando tutte le opere di urbanizzazione a sue complete spese;
   in prossimità della scadenza del contratto si sono svolti innumerevoli incontri con l'allora amministratore delegato Mauro Miccio, nominato dal comune di Roma, con sindaco Walter Veltroni, e già consigliere di amministrazione di alcune società del gruppo Cinecittà, il cui presidente è Luigi Abete, al fine di cercare di garantire il rinnovo del contratto di locazione con la salvaguardia di tutti gli operatori del parco;
   a tali incontri tutte le proposte del società conduttore «LUPPRO spa» comprendenti importanti investimenti di riqualificazione, garantiti dal medio credito centrale e da una banca inglese, sono state rifiutate dall'allora amministratore delegato Mauro Miccio;
   nel luglio 2007 «Eur spa» comunicava l'avvio di una gara ad evidenza pubblica europea per la selezione di un gestore a cui affidare la conduzione del complesso;
   il bando conteneva tra l'altro condizioni di tutela dei cosiddetti sub-conduttori e dei lavoratori stessi, meglio descritto nell'articolo 3 del citato bando di gara;
   il bando di gara è stato vinto dalla società «Cinecittà Entertainment spa», il cui presidente Luigi Abete si è avvalso della società veicolo «Luneur park spa»
   a tutt'oggi l’«Eur spa» non ha convocato i sub-conduttori per sapere la loro collocazione nel business plan di cui all'articolo 3 del bando di gara;
   nella seduta convocata dalla commissione consiliare trasparenza del comune di Roma dello scorso 30 settembre 2010, commissione effettuata su richiesta degli operatori, venivano convocati il consiglio di amministrazione di Eur spa, nella persona dell'attuale amministratore delegato Riccardo Mancini, nominato dall'attuale amministrazione comunale, ed il consiglio di amministrazione della società veicolo di «Cinecittà Entertainment spa», società «Luneur Park spa», che è risultata assente;
   l'amministratore delegato di «Eur spa» Riccardo Mancini, nella seduta della commissione, dichiarava che nel testo del contratto di locazione che è stato firmato tra «Eur spa» e «Cinecittà Entertainment» (necessario per partecipare alla fase vincolante del bando di gara, insieme alla domanda e a tutti i documenti previsti nell'articolo 5 del bando di gara) sparisce il riferimento alle prescrizioni vincolanti dei punti «i-I» ed appare al suo posto la dicitura «libero da cose e persone»;
   sempre l'amministratore delegato di «Eur spa» Mancini dichiara che l'omissione dei riferimenti al futuro degli operatori, e delle attrezzature, che invece era stato puntualmente previsto nel bando di gara, rende molto difficile l'attuale situazione per gli operatori, considerato che «Eur spa», trovandosi in presenza di un contratto regolarmente sottoscritto non può che adempiervi;
   nel verbale di verifica della commissione istituita per il bando da «Eur spa» viene riportata solo ed esclusivamente la proposta fatta a latere dell'offerta vincolante, e non tutti i documenti previsti dall'articolo 3; tale obbligo viene sostanzialmente aggirato con l'articolo 6 del bando, che recita «Eur spa selezionerà le offerte vincolanti a suo insindacabile giudizio, tenuto conto degli elementi contenuti nelle offerte vincolanti e delle eventuali ulteriori informazioni fornite dai candidati a qualificazione delle medesime»;
   la società veicolo «Luneur Park SpA», invece di firmare tutte le obbligazioni sottoscritte da «Cinecittà Entertainment spa» come previsto nel bando di gara, si avvale dell'articolo 6 e firma un nuovo contratto di locazione che non tutela i sub-conduttori;
   l'amministratore delegato Mancini ribadisce ulteriormente che «Eur Spa» in questa vicenda è un soggetto danneggiato, in quanto ha firmato un nuovo contratto; lo stesso Mancini non ha però spiegato perché è stato firmato un contratto diverso da quello presentato in sede di gara dove invece erano previsti gli elementi di tutela sia di «Eur spa» sia dei sub-conduttori;
   la commissione trasparenza inviava successivamente una lettera al sindaco in cui evidenziava le gravi anomalie tra il bando di gara ed il contratto sottoscritto tra «Eur spa» da una parte e da «Cinecittà Entertainment spa» ed il veicolo «Luneur Park spa» all'uopo costituita;
   i soci di «Eur spa» sono il Ministero dell'economia e delle finanze per il 90 per cento ed il comune di Roma per il restante 10 per cento –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione; perché il Ministero, quale socio di riferimento di «Eur spa», non richieda chiarimenti relativamente a queste anomalie;
   se non intenda intervenire con estrema urgenza presso «Eur spa» per scongiurare il drammatico destino di tutti gli operatori coinvolti nella vicenda e quindi delle loro famiglie (circa 150 nuclei) che vedevano il loro futuro garantito dal bando di gara ad evidenza europea indetto da «Eur spa», modificato successivamente nel nuovo contratto di locazione. (4-00631)


   GALPERTI e BORGHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 prevede che il rilascio delle concessioni di grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico (impianti di produzione con potenza nominale media superiore a 3.000 kW) debba intervenire mediante procedura concorsuale, con selezione del concessionario in base «all'offerta di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, alle misure di compensazione territoriale, alla consistenza e qualità del piano di interventi per assicurare la conservazione della capacità utile di invaso e, prevalentemente, all'offerta economica per l'acquisizione dell'uso della risorsa idrica e all'aumento dell'energia prodotta o della potenza installata»;
   al sensi del comma 2 dell'articolo 12 citato, le concrete modalità di svolgimento delle gare di cui sopra dovevano essere determinate, entro il 30 aprile 2012, con provvedimento del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997;
   non risulta che il provvedimento ministeriale anzidetto sia stato ad oggi emanato;
   il menzionato termine del 30 aprile 2012 è stato introdotto da uno dei molteplici interventi di modifica dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999, per cui l'inadempienza ha, in realtà, durata ultradecennale, poiché è da riferire all'obbligo in tal senso previsto dalla originaria previsione dello stesso articolo 12;
   la mancanza del provvedimento ministeriale in questione ha impedito alle regioni di indire le gare per la scelta dei nuovi concessionari con riguardo a tutte le concessioni scadute al 31 dicembre 2010, data quest'ultima a cui il comma 7 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 aveva prorogato «di diritto» l'efficacia delle concessioni anteriormente scadute;
   ogni ulteriore ritardo nell'emanazione di detto provvedimento ministeriale provoca, alla stregua delle nuove tempistiche previste dall'attuale formulazione del comma 1 dell'articolo 12 citato, una conseguente dilatazione dei tempi di effettuazione delle gare;
   l'inadempienza sopra evidenziata ha determinato e determina danno economico agli enti pubblici interessati, a vario titolo, dalle concessioni scadute ed in scadenza, sia a fronte della perdita (per quanto riguarda regione, provincia, BIM e comuni «rivieraschi») dei maggiori introiti per canoni e sovracanoni che sarebbero derivati dalle previste offerte di potenziamento degli impianti idroelettrici, sia a fronte della perdita (per quanto riguarda specificamente i comuni) degli ulteriori benefici economici e non che sarebbero derivati dalle proposte di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza nonché dalle proposte misure di compensazione territoriale;
   la conseguente dilatazione del regime di proroga di cui godono i soggetti titolari di concessioni scadute genera ingiuste posizioni di rendita a favore di questi ultimi, con violazione dei principi generali secondo cui nei rapporti di natura economica della pubblica amministrazione deve essere assicurare parità di trattamento dei contraenti interessati, anche al fine di addivenire alle soluzioni più vantaggiose per l'interesse pubblico;
   il comma 2 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 prevede un coinvolgimento procedimentale delle regioni nell'emanazione del provvedimento ministeriale in questione, attraverso l’«intesa» con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997;
   l'inadempienza ministeriale determina conseguente inadempienza della regione Lombardia nell'indire le gare ad evidenza pubblica di sua competenza;
   è necessario sollecitare l'attuazione degli obblighi legislativi sopra evidenziati stante l'inaccettabile ritardo fin qui accumulato dalle autorità competenti –:
   quali iniziative intendano adottare al fine di definire lo stato del procedimento volto all'emanazione del provvedimento ministeriale di cui all'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo n. 79 del 1999;
   consentendo così l'adozione di tutti gli atti di competenza dei diversi livelli di Governo interessati e finalizzati agli obiettivi ricordati in premessa. (4-00634)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il giovane trentenne Davide Rosci, di Teramo, è stato condannato in primo grado a 6 anni di reclusione per gli scontri con le forze dell'ordine a Piazza Giovanni a Roma nel corso di una manifestazione di protesta;
   da febbraio è in carcere per evasione dagli arresti domiciliari e da allora ha girato 3 case di reclusione, da Castrogno (Teramo) a Rieti e infine a Viterbo;
   nel carcere di Viterbo ha iniziato uno sciopero della fame per evidenziare la grave e disumana situazione dei detenuti e ha denunciato trattamenti gravemente lesivi della dignità delle persone che scontano la pena in carcere;
   è stato sottoposto a lunghi periodi di isolamento che hanno indubbiamente aggravato la sua salute psico-fisica;
   il suo trasferimento a Viterbo ha comportato gravi disagi per la sua famiglia data la distanza dalla sua città di residenza, Teramo. Viterbo non è collegata direttamente a Teramo e occorre fare un lungo giro per raggiungerla;
   le conseguenze dello sciopero della fame sulla sua salute possono essere gravi;
   trattandosi di una persona condannata solo in primo grado e dunque secondo la Costituzione innocente, si ritiene doveroso accogliere la richiesta dei suoi familiari di un riavvicinamento a Teramo, in un carcere dove sia possibile visitarlo e assisterlo senza i disagi e le spese derivanti da un viaggio oneroso –:
   se non ritenga di accertare con urgenza le condizioni di salute di Davide Rosci e accogliere la richiesta di riavvicinamento in una struttura carceraria vicina a Teramo per evidenti ragioni umanitarie e costituzionali. (3-00088)


   MONGIELLO, MARIANI, BELLANOVA, GINEFRA e CAPONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   diverse testate giornalistiche hanno raccontato la storia di Suad: una giovane donna saudita, con passaporto britannico e sposata con un cittadino italiano, di recente arrestata e obbligata a dimorare presso il domicilio del marito in attesa di un'eventuale richiesta di estradizione;
   Suad è stata fermata il 26 aprile 2013 alla polizia di Stato a seguito di una richiesta di arresto internazionale, passata tramite Interpol, per la fattispecie di falso documentale; reato che, a detta del suo avvocato, in Italia non è contemplato dal codice penale;
   l'arresto è stato, quindi, convalidato dalla corte d'appello di Bologna il 30 aprile 2013 e la ragazza è stata scarcerata e messa all'obbligo di dimora come misura cautelare, confermata successivamente dal Ministero della giustizia in attesa della richiesta formale di estradizione;
   tanto il legale che il marito hanno raccontato ai cronisti dell'opposizione al matrimonio da parte del padre della ragazza, definito persona di grande influenza presso la casa reale saudita, il quale l'avrebbe segregata in casa per un anno dopo il matrimonio;
   Saud sarebbe riuscita a fuggire solo dopo aver ottenuto il passaporto britannico, concessole perché nata a Londra, e utilizzando il passaporto di un'amica per lasciare l'Arabia Saudita, perché i cittadini sauditi possono varcare la frontiera solo con il passaporto del proprio Stato; anche per tale ragione, a detta del marito, se tornasse in patria, Saud rischierebbe di essere segregata e uccisa –:
   se e come il Ministro della giustizia intenda agire anche in considerazione dell'assenza di un trattato di estradizione fra Italia e Arabia Saudita per garantire la libertà personale e l'incolumità di Suad.
(3-00089)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   all'interno di uno stabile sito in via Traiano, ai civici 82-82a-82b-84-86, trova collocazione la sede dell'Ufficio esecuzione penale esterna di Torino (UEPE), ufficio territoriale del Ministero della giustizia, che si occupa, tra le altre cose, dell'esecuzione delle pene non detentive, di quelle detentive e dell'applicazione delle misure di sicurezza a persone che hanno scontato la pena, ma che sono ancora ritenute socialmente pericolose;
   tra le persone ed i soggetti con cui l'ufficio esecuzione penale esterna è in costante relazione vi sono persone con condanna definitiva ma con pena sospesa, in attesa di udienza che decida sulle misure alternative che hanno richiesto; persone affidate in prova al servizio sociale, ossia persone con condanna definitiva, che in alternativa al carcere, scontano la condanna nel loro contesto di vita, rispettando determinate prescrizioni, conformemente all'articolo 47 dell'Ordinamento penitenziario; persone affidate in prova al servizio sociale in conformità all'articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990; detenuti con condanna definitiva per cui il carcere richiede all'Ufficio esecuzione penale esterna una consulenza; persone internate, semilibere o ammesse all'articolo 21 dell'Ordinamento Penitenziario; detenuti domiciliari; persone che scontano la pena detentiva presso un'abitazione, dalla quale possono uscire solo in orari stabiliti dalla magistratura di sorveglianza; i cosiddetti liberi vigilati, cioè persone sottoposte a una misura di sicurezza non detentiva con obblighi di firma, restrizioni nella libertà di movimento, obblighi di orari; detenuti in permesso premio e internati in licenza, ossia persone che mantengono una regolare condotta in istituto e hanno diritto a chiedere di trascorrere brevi periodi al di fuori del carcere insieme ai familiari; persone seguite nel periodo post-penitenziario, per favorire il percorso di riabilitazione e ri-socializzazione; e persone che chiedono l'estinzione della pena pecuniaria a seguito di esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale;
   come è facile intuire, le attività svolte all'interno dell'Ufficio esecuzione penale esterna comportano un considerevole afflusso di persone, in orari anche notturni, e che spesso ha generato tensioni e malumori, in particolare tra gli altri abitanti dello stabile, al punto che il consiglio della circoscrizione nove di Torino si è pronunciato all'unanimità contro l'ubicazione dell'ufficio esecuzione penale esterna all'interno dello stabile di via Traiano;
   l'ufficio esecuzione penale esterna di Torino, infatti, si trova collocato nello stabile di via Traiano a seguito della stipula di un contratto di locazione all'interno di un immobile di proprietà della società San Pietro s.s., controllata dalla società Modica s.s.;
   tuttavia, l'attività degli uffici esecuzione penale esterna non sempre appare compatibile – a causa della delicatezza anche sul piano sociale delle singole situazioni afferenti alle persone coinvolte – con la quotidianità delle altre persone residenti nello stabile, e sembrerebbe maggiormente opportuno per lo svolgimento di queste attività l'utilizzazione di strutture demaniali attualmente in disuso, laddove disponibili, anche al fine di ottenere un risparmio in termini economici –:
   quanti dipendenti lavorino in pianta stabile presso la struttura e quanti soggetti esterni usufruiscano mediamente dei servizi della struttura, nonché a quanto ammonti il costo annuale per la locazione e le spese della struttura;
   se esistano sul territorio nazionale altri uffici esecuzione penale esterna ospitati in edifici di civile abitazione e se esista una normativa o procedura autorizzativa da rispettare in merito all'ubicazione di una struttura di questo tipo in uno stabile di civile abitazione;
   se esistano nel territorio torinese strutture demaniali o statali in grado di ospitare l'ufficio territoriale dell'Ufficio esecuzione penale esterna. (5-00193)


   BURTONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio giudiziario presso la corte di appello di Potenza ha espresso parere negativo all'utilizzo della struttura della sezione staccata del tribunale di Matera con sede a Pisticci ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012;
   il consiglio giudiziario della corte d'appello di Potenza ritiene pertanto che non sia possibile utilizzare gli uffici di Pisticci per il massimo di cinque anni così come prevede la legge non ravvisandovi ragioni organizzative e funzionali rispetto alla sede centrale del tribunale di Matera;
   il 17 aprile 2013, la Commissione circondariale di manutenzione di Matera aveva invece prospettato un utilizzo secondo legge auspicando la proroga della funzionalità degli uffici con sede a Pisticci in qualità di pertinenze del tribunale di Matera per l'ambito penale;
   la motivazione sembrerebbe francamente paradossale e cioè il trasferimento degli uffici di Pisticci dalla sede attuale alla nuova sede per la quale è stato investito negli scorsi anni 1 milione di euro non permetterebbe l'applicazione della legge rispetto alla proroga funzionale per i cinque anni massimi consentiti;
   viene evidenziata una esiguità di materiale ancora da trasferire cosa che invece non risulterebbe e soprattutto facendo riferimento a quanto già l'interrogante ha avuto modo di illustrare nell'ambito di diversi atti di sindacato ispettivo già presentati la scorsa legislatura sempre in merito agli uffici giudiziari di Pisticci, il trasferimento di attività e materiali è avvenuto non sempre con adeguata pubblicità e sicurezza;
   la valutazione negativa del consiglio giudiziario è un fulmine a ciel sereno per operatori, istituzioni e comunità intera, in quanto gli uffici giudiziari in un comprensorio come quello pisticcese alimentano anche un indotto –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda attivare affinché, anche alla luce di un possibile rinvio del termine di operatività della riforma, gli uffici giudiziari di Pisticci possano essere utilizzati nel limite massimo dei cinque anni così come previsto dalla legge. (5-00207)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARLOTTI e PETITTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2013 i firmatari del presente atto hanno visitato la casa circondariale di Rimini e incontrato il direttore della struttura penitenziaria, Palma Mercurio;
   il problema del sovraffollamento del carcere di Rimini è stato segnalato più volte negli ultimi anni dal Garante dei detenuti, dai sindacati di polizia penitenziaria, dall'amministrazione comunale di Rimini, ed è stato già oggetto di interrogazioni al Ministro della giustizia nella passata legislatura;
   a fronte di una capacità ricettiva di 90 detenuti, ne sono attualmente presenti 175 (ovvero quasi il doppio), con un'alta percentuale di stranieri e persone con dipendenze. È invece ampiamente sotto la quota necessaria il personale: 109 agenti di polizia penitenziaria su una pianta organica di 149, 5 addetti amministrativi e 5 educatori;
   nella casa circondariale di Rimini sono aperte attualmente 4 sezioni detentive: la 1a sezione, già oggetto di un intervento dell'Asl per la situazione di degrado e le pessime condizioni igienico sanitarie e di cui è stata chiesta la chiusura dai sindacati di polizia penitenziaria con comunicazione del 16 maggio 2013, risulta aperta parzialmente e vede detenuti ammassati in celle che necessitano di un profondo risanamento; la 2a sezione è chiusa e tuttora in attesa di ristrutturazione; la 6a riservata ai detenuti transessuali; la sezione Andromeda a detenzione attenuata per persone con dipendenze;
   nei mesi estivi il numero di detenuti della casa circondariale di Rimini arriva anche a 300 unità e l'istituto risulta dai dati statistici quello con il maggior numero di ingressi, con la conseguenza — anche questa segnalata dalle organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria — di un ulteriore ammassamento e di rischi di atti di autolesionismo o aggressione al personale;
   la richiesta per la ristrutturazione della prima sezione è stata presentata già da alcuni anni e a causa della mancanza di risorse sul pertinente capitolo di bilancio il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non ha potuto proseguire nella programmata attività di recupero della struttura –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre la popolazione detenuta nel carcere di Rimini entro la capienza regolamentare, così da garantire condizioni di detenzione conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari;
   se e quando intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, attingendo anche alle nuove assunzioni previste, del personale amministrativo e degli educatori;
   se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurato l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   se intenda chiudere al più presto la prima sezione assumendo iniziative per lo stanziamento a bilancio delle risorse necessarie alla sua ristrutturazione e alla programmata attività di recupero;
   quando verrà ristrutturata e riaperta la 2a sezione, vista la già avvenuta approvazione e il finanziamento del progetto. (4-00627)


   LIUZZI, SCAGLIUSI, DE LORENZIS, VIGNAROLI, NICOLA BIANCHI, COLLETTI, BUSINAROLO, AGOSTINELLI e BONAFEDE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo (ex decreto legislativo del 13 agosto 2011 n. 138 convertito, con modificazioni, legge n. 148 del 14 settembre 2011) prevedono la riorganizzazione della distribuzione di una pluralità di Uffici Giudiziari su tutto il territorio nazionale;
   il Governo – come appreso dalla Gazzetta Ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011 ha il compito di «ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»;
   i successivi decreti legislativi n. 155 del 2012 e n. 156 del 2012 recanti le disposizioni attuative sull'accorpamento dei tribunali prevedono la soppressione di trentuno sedi di fori e delle relative procure della Repubblica quali Acqui Terme, Alba, Ariano Irpino, Avezzano, Bassano del Grappa, Camerino, Casale Monferrato, Chiavari, Crema, Lanciano, Lucera, Melfi, Mistretta, Modica, Mondovì, Montepulciano, Nicosia, Orvieto, Pinerolo, Rossano, Sala Consilina, Saluzzo, Sanremo, Sant'Angelo dei Lombardi, Sulmona, Tolmezzo, Tortona, Urbino, Vasto, Vigevano e Voghera l'istituzione del nuovo Tribunale di Napoli Nord (nuova denominazione del Tribunale di Giugliano in Campania, già previsto e non attuato), la soppressione di duecentoventi sezioni distaccate di Tribunale; la soppressione di seicentosessantasette sedi di giudice di pace;
   per le sedi di Tribunale delle sezioni distaccate di tribunale, l'entrata in vigore è fissata per il 13 settembre 2013 (articolo 11 decreto legislativo n. 155 del 2012);
   per le sedi dei giudici di pace, l'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012 prevede la facoltà, per gli enti locali interessati, di chiedere il mantenimento degli uffici, anche con accorpamenti, «facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi»;
   nella regione Basilicata – che si estende per 10.000 chilometri quadrati con 577.562 abitanti (Istat 2012) – attualmente esistono quattro tribunali di cui due provinciali, Potenza e Matera, e due sub-provinciali, Melfi e Lagonegro, a presidio dell'area Nord e Sud della Basilicata;
   grazie alla collocazione strategica i quattro tribunali hanno permesso sino ad oggi di svolgere un'efficace azione di contrasto alla criminalità organizzata calabrese (tribunale di Lagonegro situato a sud della regione) e campana (tribunale di Melfi a nord della Basilicata) impedendo con il loro esercizio di saldare un'asse criminale tra ’ndrangheta-camorra-sacra corona unita;
   la relazione ministeriale di Luigi Birritteri, capo dipartimento organizzazione giudiziaria, sviluppata nell'arco di 10 mesi e poi depositata a maggio 2012 ha evidenziato la necessità di mantenere tre tribunali sui quattro presenti in Basilicata, chiarendo che, pur non essendo espressamente vietata la modifica degli attuali ambiti distrettuali, per convenzione interpretativa si è scelto di non modificare i confini delle corti di appello prima dell'individuazione del tribunale da eliminare sul territorio;
   il 25 gennaio 2012 nel discorso durante l'audizione alla Camera della Commissione giustizia, Luigi Birritteri relazionava affermando che «il plafond astratto dei tribunali sopprimibili, che è pari a 57 tribunali su 165, scende a 46-47 in base a quella che è stata efficacemente definita la ”regola del tre”; vi sono, cioè, tribunali non provinciali, quindi astrattamente sopprimibili, che, però, diventano insopprimibili: non si sa quali siano, ma si sa che in ogni corte d'appello bisogna mantenere almeno tre tribunali. Pertanto, si adotta una norma di favore rispetto alle corti d'appello di dimensioni più piccole. E il caso della Basilicata o del Molise, diverso da quello del Piemonte, dove ci sono 17 tribunali astrattamente tutti sopprimibili, o di alcune sedi di corte d'appello, come Messina, dove ci sono 4 tribunali, di cui 3 molto piccoli, ma dove se ne potrà sopprimere solo uno. Non sappiamo quale sarà soppresso (Barcellona, Patti o Mistretta), ma 2 su 3, per obbligo di legge, dovranno necessariamente salvarsi”»;
   la legge delega 14 settembre n. 148 del 2011 suggerisce il mantenimento di tutti e quattro tribunali lucani, necessari per la situazione oro-geografica nella quale sono collocati, per grave carenza di infrastrutture (stradali e ferroviarie) idonee ad assicurare spostamenti in tempi ragionevoli tra le varie zone della Basilicata;
   il tribunale di Melfi, secondo i dati trimestrali (anno 2012) di cui il Ministero della giustizia è in possesso, risultava intangibile per garantire il funzionamento di almeno tre tribunali per corte d'appello presenti sul territorio lucano. Inoltre Melfi, vanta un maggior numero di organico contando 10 magistrati in tribunale e 4 in procura rispetto a quello di Lagonegro che conta 8 magistrati in tribunale e 3 in procura;
   i decreti legislativi prima citati (155 del 2012 e 156 del 2012) prevedono la soppressione del tribunale di Melfi, salvaguardando il tribunale di Lagonegro (previo accorpamento, a quest'ultimo, del tribunale di Sala Consilina);
   secondo la relazione di Luigi Birritteri, che analizza i criteri adottati dal decreto legislativo, è stata violata la convenzione interpretativa che impone di non modificare gli ambiti territoriali dei distretti della corte di appello; e la logica di accorpare il tribunale più grande (Sala Consilina) a quello più piccolo (Lagonegro);
   l'accorpamento del tribunale di Sala Consilina (appartenente alla Campania) al tribunale di Lagonegro (Basilicata), distanti fra loro solo 30 chilometri, produrrebbe ulteriori costi attribuibili alla necessità dell'utilizzo di un'altra struttura che a sua volta costerebbe di lavori di manutenzione;
   il tribunale di Melfi è già di proprietà di Stato e sotto gestione del Ministero della giustizia il cui costo è di soli circa 450.000 euro l'anno e non richiede lavori di intervento e di adeguamento e manutenzione;
   dai dati statistici elaborati dal Ministero della giustizia a seguito delle relazioni trimestrali del presidente del tribunale, Melfi è risultato il terzo tribunale della Basilicata e si trova in un'area strategica a forte presenza industrializzata. Infatti nella zona è presente il complesso SATA-FIAT – tra i più grandi d'Europa – e un indotto di piccole e medie imprese, dove è prossima la costituzione del CAFI (Centro di alta formazione ingegneristica) FIAT per ingegneri e tecnici di eccellenza; gli stessi dati presentano altresì un notevole contenzioso dovuto alla presenza del termodistruttore Fenice – EDF Spa avvalorandone di fatto un intensa attività giudiziaria;
   il tribunale di Melfi ha svolto e svolge un ruolo fondamentale per contrastare la criminalità organizzata. La città di Melfi, infatti possiede un carcere di terzo livello. Non ci sono detenuti legati al regime 41-bis, anche se – come appreso dalla stampa – Savinuccio Parisi (boss barese) è stato trasferito proprio a Melfi. La chiusura del tribunale di Melfi, e il suo accorpamento presso il tribunale di Potenza comporterebbe lo spostamento dei detenuti che dovrebbero essere scortati a Potenza in caso di udienza o interrogatorio, con un probabile aumento di costi, tra magistrati, avvocati e polizia penitenziaria di scorta;
   Melfi dista da Potenza circa 60 chilometri e non dispone di mezzi di trasporto (alternativi ai trasporti su gomma) tali da rendere più agevole la connessione. La S.S. 658 Melfi-Potenza risulta essere il percorso con il più alto tasso di mortalità per incidenti stradali. Per questa ragione il Cipe ha deliberato un piano nel 2011 per interventi in messa di sicurezza della SS658 di 200 milioni di euro di cui finanziamenti disponibili 45,1, di cui Fondi Fas 35,1. L'arteria si presenta infatti a una sola carreggiata e, rappresentando l'unica strada che collega l'intera regione allo stabilimento Fiat di Melfi, risulta essere totalmente inadeguata all'elevato volume di traffico pesante e pendolare circolante su di essa. Il termine dei lavori è previsto non prima di sei anni. Attualmente non esistono modalità alternative alla SS658 per raggiungere da Melfi la città di Potenza, se non attraverso piccole strade provinciali e comunali che allungano notevolmente il tragitto di percorrenza di circa un'ora e mezza;
   a Palazzo San Gervasio, esiste un Centro di identificazione e espulsione (CIE) di immigrati che ha come riferimento giudiziario nel tribunale di Melfi;
   secondo una relazione tecnica il tribunale di Potenza non è stato reso idoneo ad ospitare il tribunale di Melfi (Relazione ingegner Totaro 31 ottobre 2012 richiesta dal Presidente del tribunale e dal presidente della Corte d'Appello di Potenza e dal presidente del tribunale di Melfi e relazione ingegner Lisi protocollo 10967/2013 del 6 febbraio 2013 depositata presso l'ufficio del sindaco di Potenza, ingegner Vito Santarsiero) poiché lo stesso palazzo di giustizia potentino richiederebbe un adeguamento dei suoi uffici, per lavori stimati intorno ai quattro milioni di euro e con un tempo minimo tre anni per il completamento delle opere atte all'assorbimento di tutto il personale di Melfi e del suo archivio cartaceo;
   la stessa struttura attuale del tribunale di Potenza non risponde ai criteri del disegno di legge 81 del 2008 sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro;
   i pareri richiesti ed inviati tra gli altri al Presidente del Consiglio pro tempore Monti, al Ministro della giustizia pro tempore Severino, ai presidenti e componenti delle Commissioni giustizia della Camera e del Senato, dal Prof. Verde (ordinario di diritto costituzionale della facoltà di giurisprudenza dell'università di Palermo e direttore del dipartimento Iura nel luglio 2012) e successivamente dal Prof. Fabrizio Parisi (docente ordinario di diritto costituzionale dell'università dell'Aquila del luglio 2012 – addendum a parere già espresso nel giugno 2012) avevano rilevato l'incostituzionalità e illegittimità dello schema di decreto legislativo recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, in attuazione dell'articolo 1, comma 2 della Legge 14 settembre 2011 n. 148 approvato dal consiglio dei ministri in attuazione della delega per la riorganizzazione degli uffici giudiziari e dei successivi Ddl»;
   il TAR della Basilicata, su una vicenda analoga riguardante l'accorpamento del tribunale di Pisticci al tribunale di Matera, con sentenza n. 00401/2012 REG.RIC. si è espresso in senso favorevole al ricorso, sospendendo di fatto l'anticipazione all'accorpamento dei due organi giudiziari richiesta dal presidente del tribunale di Matera;
   vanno considerate le peculiarità funzionali e territoriali del tribunale di Melfi e l'imminente accorpamento di quest'ultimo al tribunale di Potenza previsto per il 13 settembre 2013 (articolo 11 decreto legislativo n. 155 del 2012) –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, anche normative di propria competenza che tengano conto di criteri oggettivi, dell'estensione del territorio, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale e del bacino di utenza (anche con riguardo alla situazione infrastrutturale) e del tasso d'impatto della criminalità organizzata ai fini della riorganizzazione territoriale della giustizia a differenza di quanto disposto dai decreti legislativi n. 155 e 156 del 2012. (4-00635)


   MATTIELLO, FREGOLENT, PATRIARCA, BORGHI e BIONDELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono in corso procedimenti giudiziari a carico di Carlo e Michele Giovine, per quanto attiene ai reati di falso elettorale, ex articolo 90 comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, avvenuti nella presentazione di una lista per le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale del Piemonte svoltesi il 28 e 29 marzo 2010;
   in entrambi i giudizi di merito, gli imputati sono stati ritenuti responsabili dei contestati reati e, a seguito di ricorso presentato soltanto dagli stessi, il procedimento è stato iscritto il 31 novembre 2012 e fissato per l'udienza del 9 luglio 2013;
   tuttavia, con successivo provvedimento, il procedimento in esame è stato tolto dal ruolo e nuovamente fissato per l'udienza del 18 febbraio 2014, in una data dunque molto lontana dal giorno di svolgimento delle elezioni la cui validità è contestata ed eccessivamente vicino alla prossima tornata elettorale che dovrebbe svolgersi, salvo scioglimenti anticipati, nella primavera del 2015;
   per questi motivi, è stata proposta dai legali interessati un'istanza di anticipazione della nuova udienza adducendo inoltre le seguenti argomentazioni, tratte anche dalla recente giurisprudenza costituzionale: «La rapida trattazione dei procedimenti relativi a reati elettorali non abbisogna di una sola parola di illustrazione: si tratta, infatti, di reati che tutelano beni “di rango particolarmente elevato in quanto intimamente connessi al principio democratico della rappresentatività popolare: trattandosi di assicurare il regolare svolgimento della attività elettorale ed il libero esercizio del diritto di voto” (Corte costituzionale n. 394 del 2006), ma, al momento, non si hanno notizie in merito alla fissazione di una nuova udienza;
   il conseguimento di beni tanto importanti poiché connessi al principio democratico della rappresentatività popolare sarebbe profondamente compromesso, per non dire definitivamente frustrato, se il ricorso venisse trattato nel febbraio 2014, appena un anno prima del termine naturale della legislatura regionale e che tale compromissione risulterebbe ancor più grave qualora venisse confermata la responsabilità degli imputati e dunque rimesso in discussione l'esito delle elezioni del 2010 –:
   se siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non si intenda assumere ogni iniziativa normativa di competenza per garantire una «corsia preferenziale» nella trattazione di procedimenti relativi a reati elettorali che tutelano profili strettamente connessi al principio democratico della rappresentatività popolare. (4-00642)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   CAUSIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 151, comma 1, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL) approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, fissa al 31 dicembre di ciascun anno «il termine per la deliberazione del bilancio di previsione per l'anno successivo da parte degli enti locali e dispone che il termine può essere differito con decreto del Ministro dell'interno, d'intesa con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze»;
   il comma 2 dell'articolo 193 dello stesso testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali prevede che l'ente locale, con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell'ente locale, e comunque almeno una volta entro il 30 settembre di ciascun anno, provveda con delibera ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi finanziari dell'ente stesso, dando atto della permanenza degli equilibri di bilancio;
   a seguito delle numerose innovazioni normative introdotte nel corso dei mesi da parte del Governo, tra cui l'introduzione dell'imposta municipale propria, e in virtù del fatto che, ad oggi, numerosi enti non conoscono ancora perfettamente l'esatto ammontare delle risorse a propria disposizione e che verranno ulteriormente ridotte sulla base delle disposizioni contenute nel decreto-legge inerente alla «spending review»;
   con il differimento del termine per l'approvazione del bilancio preventivo a data successiva alla scadenza per l'approvazione degli equilibri dello stesso, è di fatto impossibile effettuare la ricognizione degli equilibri dello stesso, tanto per gli enti che lo hanno già approvato ma che, alla luce delle recenti modifiche normative, potrebbero vedersi costretti a rivederlo, quanto per quegli enti che, ad oggi, in attesa di avere un quadro normativo e finanziario più stabile, non lo hanno ancora approvato –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative normative per prorogare il termine per l'approvazione degli equilibri di bilancio in data successiva al 30 settembre 2013. (3-00086)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto direttoriale 6 marzo 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica 4° Serie Speciale n. 24 del 27 marzo successivo, venne indetto un pubblico concorso per la copertura di 184 posti nel Corpo dei vigili del fuoco;
   tale procedura concorsuale venne ultimata nell'anno 2000, con l'approvazione della relativa graduatoria definitiva;
   la validità di questa graduatoria è stata nel corso degli anni prorogata più volte con differenti provvedimenti legislativi, alla luce delle permanenti, obiettive e notevoli carenze negli organici dei vigili del fuoco, peraltro mai pienamente colmate e superate;
   da ultimo la validità della graduatoria dell'indicato concorso è stata prorogata fino al prossimo 30 giugno 2013;
   nella XVI legislatura sono stati approvati, sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica, diversi ordini del giorno (da ultimo l'ordine del giorno 9/05534-bis-A/005 del 22 novembre 2012) per impegnare il Governo ad utilizzare tale graduatoria, attraverso lo scorrimento dell'elenco dei candidati risultati idonei all'esito dell'espletamento della selezione concorsuale, per la copertura dei posti vacanti e del turn over, necessario ed urgente negli organici del Corpo dei vigili del fuoco;
   è oramai prossima la scadenza del 30 giugno 2013, quale termine ultimo di validità della graduatoria –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intende adottare per la concreta utilizzazione della graduatoria dei candidati risultati idonei al sopraindicato concorso per 184 vigili del fuoco, per coprire i vuoti, le carenze, il turn over nell'organico del Corpo dei vigili del fuoco considerato che la validità di tale graduatoria, ove non sia disposta una nuova proroga, verrà a scadenza il prossimo 30 giugno 2013. (5-00198)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali, nella notte tra il 18 e 19 maggio scorso alcuni giovani avrebbero aperto il fuoco all'esterno del noto locale di Salerno «Dolcevita», seminando il panico tra centinaia di coetanei;
   secondo le prime ricostruzioni, a scatenare la violenza di tre giovani sarebbe stato il reiterato rifiuto dei buttafuori di far accedere il gruppetto, in evidente stato di ebbrezza, all'interno della sala da ballo;
   sarebbe bastato questo a far scatenare la folle reazione dei tre balordi, che hanno aperto il fuoco contro i buttafuori, sparando cinque colpi di pistola a poca distanza dalla folla;
   sull'increscioso episodio indagano i carabinieri del Ros di Salerno, con i colleghi della compagnia di Battipaglia e della locale stazione, che sono riusciti a fermare due dei tre aggressori, un 22enne originario di Salerno con piccoli precedenti e un 26enne indagato per la rissa scatenatasi dopo la sparatoria;
   attualmente è al vaglio degli inquirenti la posizione del terzo autore della folle sparatoria, un minorenne che si è costituito spontaneamente in caserma;
   i buttafuori feriti e un malcapitato cliente sono stati trasportati all'ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, dove dovranno essere sottoposti a piccoli interventi per la rimozione dei proiettili;
   sempre più spesso le cronache riportano episodi di violenza e criminalità compiuti da giovanissimi, anche minorenni, all'interno e all'esterno dei locali da ballo del capoluogo di provincia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, una volta verificata la veridicità degli stessi, se non ritenga opportuno incrementare i controlli delle forze dell'ordine, anche nelle ore notturne, nelle aree maggiormente frequentate dai giovani della città di Salerno. (4-00626)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali, emerge un increscioso episodio di criminalità verificatosi ai danni di una famiglia di Ariano Irpino, in provincia di Avellino;
   in particolare, una banda di malviventi, con volti coperti da passamontagna, il 25 maggio 2013, in pieno giorno, ha fatto irruzione nell'abitazione di un noto imprenditore edile della zona;
   i tre criminali, dal forte accento napoletano, armati di pistole e coltelli, hanno tenuto in ostaggio per circa tre ore la moglie dell'imprenditore e i suoi due figli, legati alle sedie e imbavagliati con del nastro adesivo per imballaggi;
   la donna è stata altresì ripetutamente colpita con un dispositivo che rilascia forti scariche elettriche per impedirle eventuali resistenze;
   mentre gli ostaggi venivano tenuti sotto la minaccia delle armi da uno dei banditi, gli altri due mettevano a soqquadro la villa alla ricerca di denaro e preziosi;
   la banda è riuscita a scappare assicurandosi un bottino di circa dieci mila euro in contanti e gioielli di famiglia;
   le registrazioni delle telecamere di sorveglianza esterna del vicino ospedale e di alcuni istituti di credito della zona sono ora al vaglio degli investigatori del locale commissariato e della squadra anticrimine della questura di Avellino;
   tali preoccupanti episodi di violenza e criminalità mettono a rischio l'incolumità dei cittadini e riducono il livello della qualità di vita dei cittadini, danneggiando oltremodo l'immagine della città –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti intenda assumere al fine di garantire maggiore sicurezza nell'intera provincia di Avellino. (4-00629)


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 maggio 2013 è entrato in vigore il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
   tra le disposizioni che potrebbero trovare applicazione nei confronti delle aziende ospedaliere figura quella dell'articolo 12, comma 3, il quale prevede che gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale sono incompatibili con la carica di componente di organi di indirizzo politico di enti, pubblici o privati in controllo pubblico, della medesima regione;
   la disposizione in parola potrebbe essere applicabile all'azienda ospedaliera universitaria integrata Verona in quanto tale, e, in subordine, ai titolari di incarichi dirigenziali, interni ed esterni, che prestano servizio presso di essa. Nel caso specifico, un dirigente aziendale a tempo indeterminato del ruolo amministrativo riveste al contempo la carica di componente del consiglio della provincia di Verona, assunta in data anteriore al 4 maggio 2013;
   l'azienda ospedaliera di Verona, ossia l'ente che, a far data dal 1o gennaio 2010, secondo le previsioni dell'articolo 3 della legge della regione Veneto 7 agosto 2009, n. 18, e dei diversi provvedimenti regionali di attuazione che ne sono seguiti, ha cessato di essere tale al fine di assumere la nuova configurazione giuridica di azienda ospedaliera universitaria integrata Verona, sulla scorta di quanto stabilito a livello nazionale dal decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, recante «Disciplina dei rapporti fra servizio sanitario nazionale e università, a norma dell'articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419», venne a suo tempo individuata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 gennaio 1999, in quanto in possesso di tutte le caratteristiche richieste dall'articolo 4, decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, quale ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione;
   occorrerebbe comprendere se l'azienda che, sia pure nella sua precedente configurazione giuridica di azienda ospedaliera tout court, ma che non ha certamente perduto le anzidette caratteristiche per il solo fatto della sua trasformazione in azienda ospedaliera integrata con l'università, è stata formalmente individuata quale ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione possa considerarsi, nella ratio del legislatore del decreto legislativo n. 39 del 2013, pubblica amministrazione di livello regionale, o non rientri piuttosto tra quelle di livello nazionale, vista anche la platea di utenti che serve, molti dei quali provenienti da fuori regione Veneto;
   l'altro aspetto, da risolvere subordinatamente al primo, afferisce alla definizione che l'articolo 1, comma 2, lettera j), e lettera k), decreto legislativo n. 39 del 2013, dà degli incarichi dirigenziali interni ed esterni, intendendo per tali quelli, «comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione (...)»;
   per legge (decreto legislativo n. 502 del 1992, richiamato, nelle parti non espressamente derogate, anche dal decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, sopra citato), in un'azienda sanitaria tutti i poteri di gestione sono riservati al direttore generale, sicché se ne può immaginare l'esercizio, da parte dei dirigenti, in via derivata, per delega dello stesso direttore generale, ma non in via esclusiva, come direttamente discendenti dalla legge stessa;
   ed infatti, all'istituto della delega si conforma l'attuale distribuzione delle competenze in seno all'organizzazione aziendale; lo stesso atto aziendale approvato con DDG n. 365 del 2 luglio 2010 afferma che, attraverso la delega, l'azienda «persegue il processo di valorizzazione delle attribuzioni dirigenziali trasferendo il processo decisionale al livello appropriato, con un conferimento di responsabilità connesso al compito che il Direttore Generale assegna al Dirigente» (articoli 18), ribadendo al successivo articolo 20 che il direttore generale, al quale sono riservati tutti i poteri di gestione (comma secondo), «può delegare con atto formale l'adozione di atti gestionali ai Dirigenti dell'A.O.U.I. secondo criteri e modalità previsti in apposito regolamento organizzativo aziendale» (u.co.);
   ciò, del resto, sulla scorta delle indicazioni suggerite a livello regionale; nella delibera della giunta regionale del Veneto n. 3415 del 29 novembre 2002, recante «Linee guida per la predisposizione dell'atto aziendale», si legge, infatti, che il principio della separazione tra le funzioni di indirizzo e di controllo, da un lato, e quelle di attuazione e di gestione, dall'altro, si attua, in considerazione del particolare assetto istituzionale delle aziende sanitarie, ove appunto tutti i poteri di gestione sono riservati al direttore generale, con un forte sistema di deleghe, che vede, di norma, permanere in capo alla competenza del direttore generale l'adozione di tutti gli atti di programmazione aziendale e di alta amministrazione, mentre l'esercizio del potere per la realizzazione degli obiettivi aziendali programmati viene delegato ai dirigenti;
   a tali indicazioni si è ispirato anche il regolamento per la disciplina dei provvedimenti denominati «determinazioni dirigenziali», approvato con DDG 22 dicembre 2008, n. 1988, in cui si stabilisce che i dirigenti adottano, in forma di determinazione, ogni provvedimento non rientrante nella competenza del direttore generale, su delega di quest'ultimo;
   poiché è noto che la delega trasferisce non già la competenza, ma solo il suo esercizio, e che, nel caso di delega interorganica, il delegante conserva il potere d'agire in ordine all'oggetto della delega stessa, anche revocando o riformando l'atto del delegato, ci si chiede se nel caso ricorra quell'esercizio «in via esclusiva» delle competenze di amministrazione e gestione che il decreto legislativo n. 39 del 2013 assume a presupposto della incompatibilità tra l'espletamento di un incarico dirigenziale nella pubblica amministrazione e la contestuale copertura di una carica politica nel territorio di potenziale influenza dell'interessato –:
   se il Governo possa fornire chiarimenti in merito a quanto descritto in premessa e se, anche alla luce di una lettura sistematica della legge delegata e della sua fonte, l'articolo 1, commi 49 s., della legge 6 novembre 2012, n. 190, con particolare riguardo, per quanto qui interessa, al comma 50, lettera f), che delegava il Governo a disciplinare, tra gli altri, i casi di incompatibilità tra gli incarichi di cui alla lettera d) del medesimo comma 50, compresi dunque quelli dirigenziali, già conferiti e l'esercizio di cariche negli organi di indirizzo politico, il decreto legislativo n. 39 del 2013, e, in specie, il suo articolo 19, vada inteso come relativo ad ogni situazione di incompatibilità, sia essa potenzialmente già esistente all'atto dell'entrata in vigore del decreto stesso, sia essa sopravvenuta a tale momento, ovvero se, come suggerito dai primi commenti redazionali alla nuova normativa, l'omessa previsione, in seno al capo VIII del decreto, di una norma transitoria specificamente dedicata alle situazioni di incompatibilità relative ad incarichi già conferiti all'atto della sua entrata in vigore ora sintomatica della rinuncia del Governo a dare seguito alla delega in parte qua, stante anche l'esigenza di una stretta interpretazione delle norme che possono incidere su diritti quesiti. (4-00630)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   Falciano del Massico è un piccolo centro (inferiore ai 5.000 abitanti) della provincia di Caserta, dove lo scorso anno si sono tenute le elezioni amministrative;
   la lista vincente, di centro-destra, è risultata essere «Il Gabbiano», che sosteneva il dottor Giosuè Santoro per la carica di sindaco e che vedeva al suo interno solo candidature maschili al consiglio comunale;
   la giunta varata dal sindaco Santoro risultava anch'essa composta da soli uomini;
   un gruppo di donne di Falciano, unitamente alla coordinatrice regionale delle donne del PD, presentava quindi ricorso al Tar Campania contro il sindaco di Falciano del Massico, per violazione degli articoli 3, 4 e 51 della Costituzione, violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 e violazione e falsa applicazione dell'articolo 1 del codice per le pari opportunità tra uomo e donna di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006;
   il sindaco, ventiquattro ore prima della discussione in camera di consiglio del ricorso proposto contro i provvedimenti sindacali di nomina degli assessori, revocava la giunta comunale, presentandosi così all'udienza del Tar fissata il 26 settembre 2012 con le dimissioni della giunta, e portando così il tribunale a pronunciarsi conseguentemente con una sentenza di rito e di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, ed evitando in tal modo una decisione nel merito;
   l'8 ottobre 2012, a seguito di una procedura di consultazione pubblica, il sindaco Santoro procedeva a rinominare gli assessori della precedente giunta;
   la senatrice Annamaria Carloni a seguito di tali eventi produceva un'interrogazione ai Ministri per le pari opportunità e dell'interno (legislatura XVI atto di sindacato ispettivo n. 4-08828 pubblicato il 5 dicembre 2012 nella seduta n. 850) a cui non è pervenuta risposta;
   lo stesso gruppo di cittadine di Falciano hanno portato avanti la loro battaglia inoltrando un ricorso straordinario al Capo dello Stato per ottenere l'annullamento del decreto sindacale dell'8 ottobre 2012;
   il comune, avvalendosi delle facoltà previste dalla normativa vigente, ha chiesto di procedere nel giudizio presso il Tar Campania, dove a breve sarà fissata l'udienza;
   in data 25 maggio 2013 le ricorrenti inviavano lettera al Dipartimento per le pari opportunità, chiedendo che si intervenga prontamente sui fatti narrati;
   l'atteggiamento e le scelte del sindaco Santoro, prima nella formazione della lista che lo ha sostenuto alle elezioni amministrative e poi nella nomina della giunta comunale, appaiono all'interrogante in palese violazione delle normative vigenti riguardo alle pari opportunità tra uomo e donna;
   il sindaco Santoro si è chiaramente sottratto al giudizio del Tar Campania revocando la giunta poche ore prima dell'udienza in camera di consiglio e rinominandola poi al completo, poche settimane dopo, con gli stessi assessori;
   il sindaco, prima di rinominare gli stessi uomini che avevano composto la giunta appena dimessasi, avviava una consultazione pubblica al termine della quale con una delibera affermava che «a Falciano del Massico non ci sono donne che possono ricoprire la carica assessorile» –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, si intendano adottare affinché sia assicurato il rispetto della parità di genere nella gestione della res publica nei comuni al fine di evitare che si verifichino casi come quello di Falciano del Massico. (4-00639)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO, FRATOIANNI, COSTANTINO e PLACIDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 33, «Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2013/2014» ha apportato delle modifiche alle modalità di computo del punteggio per la graduatoria d'accesso ai corsi ad accesso programmato nazionale. La modifica più rilevante riguarda l'inserimento, nel punteggio, di 10 punti su 100 sulla base della valutazione del percorso scolastico. Tale modifica appare agli interroganti incongrua sia per ragioni di metodo che di merito. Nel metodo tale scelta appare tardiva, non essendo stato comunicato allo studente, durante il proprio percorso secondario, che il voto finale avrebbe avuto un peso così rilevante per il proprio futuro se non a pochi mesi dal diploma. Nel merito, poi, il voto di maturità è caratterizzato da una forte disomogeneità, nella media, fra istituti superiori. Confrontando i voti medi degli istituti, anche della stessa tipologia ed insistenti nello stesso territorio, si notano infatti forti differenze nella votazione finale media conseguita dagli studenti. Questo differenza, dovuta evidentemente a diverse «politiche» valutative e non certo alle conoscenze ed alle competenze acquisite, rende la scelta di dare un peso così rilevante al voto di maturità degli studenti una scelta a giudizio degli interroganti irrazionale che non garantirà una competizione alla pari fra i candidati;
   l'anticipazione dei test dei corsi di medicina e chirurgia, di medicina veterinaria e di architettura al mese di luglio ha generato vaste rimostranze sia tra gli atenei che fra le associazioni studentesche. Rimostranze basate in primo luogo sulla tardività di tale decisione, che pone in essere forti problemi logistici in capo alle università ma che soprattutto pone sugli studenti dell'ultimo anno di scuola superiore l'onere indebito di rimodulare il proprio percorso didattico di avvicinamento ai test d'ingresso. In particolare, si ostacolano in questo modo quegli studenti che non abbiano avuto, nel proprio percorso secondario, modo di approfondire le materie dei test. Ad essi sono stati sottratti, con brevissimo preavviso, i pochi mesi necessari all'approfondimento di materie non caratterizzanti il percorso secondario. Surrettiziamente quindi questa anticipazione rischia di rendere la scelta che viene compiuta all'indomani della terza media, a soli tredici anni, decisiva per il futuro universitario dei nostri giovani;
   gli interroganti sostengono che l'intera disciplina riguardante l'accesso all'università debba essere rivista –:
   se il Ministro non intenda intervenire al fine di riconsiderare le scelte sulla materia delle modalità di accesso ai corsi di studi a programmazione nazionale, nonché circa l'anticipazione dei test d'ingresso. (4-00621)


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il centro scolastico superiore di Vimercate, in provincia di Monza Brianza, ospita quattro istituti per complessive 4.000 persone, di cui 3.600 studenti e 400 tra insegnanti e personale ATA;
   il predetto «centro scolastico onnicomprensivo« occupa una vasta area che necessiterebbe di ampliamento delle aule scolastiche, dell'agibilità dell'auditorium, nonché di servizi e sistemi di sicurezza, atti a garantire l'incolumità degli studenti;
   il problema della sicurezza è particolarmente importante per il centro scolastico superiore di Vimercate, poiché a differenza delle altre istituzioni scolastiche, contenendo quattro diversi istituti scolastici, presenta la caratteristica di avere «molteplici ingressi»;
   come rilevato da tutti i soggetti interessati, nonché comunicato ai rappresentanti istituzionali territoriali competenti, il centro scolastico in parola risulta privo di custodia e di guardiania sia diurna che notturna, salva la capacità dei «collaboratori scolastici», posti all'ingresso dei singoli istituti, di intercettare eventuali intrusi;
   le famiglie degli studenti denunciano una situazione di sottovalutazione della predetta situazione da parte della provincia interessata, che avrebbe dovuto garantire il servizio di sorveglianza, precedentemente appaltato dalla provincia di Milano ad una società specializzata, incaricando della sicurezza serale dell'area un custode, che abitava all'interno del centro;
   le famiglie degli studenti avrebbero proposto l'installazione di telecamere a circuito chiuso con registrazione e monitor, la presenza di una guardia giurata diurna e notturna, un controllo efficace da parte di un custode in guardiola (mediante registrazione e identificazioni accessi);
   tale situazione di precarietà sarebbe determinata dalla riduzione delle risorse attribuite all'amministrazione provinciale di Monza e Brianza, che, nonostante la diretta responsabilità, non si trova attualmente nelle condizioni ideali per investire nel settore della sicurezza scolastica;
   il comune di Vimercate che avrebbe dovuto stanziare una quota delle risorse del bilancio 2013 a favore della sicurezza della scuole del territorio comunale, si sarebbe fatto carico esclusivamente di oneri corrispondenti a 1.500.000 euro, ai fini della realizzazione del piano di viabilità del «nuovo ospedale»;
   l'assenza di idonee condizioni di sicurezza e la carenza delle aule necessita, come da anni richiesto dai comuni del territorio, dell'urgenza di realizzare il nuovo istituto ad Arcore per dare spazi adeguati alla popolazione scolastica di Vimercate e dei comuni limitrofi –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, se non ritenga opportuno intervenire presso le competenti gerarchie periferiche affinché promuovano, per quanto di competenza, un tavolo sovraterritoriale, anche al fine di contribuire al reperimento delle risorse necessarie a garantire al centro scolastico superiore di Vimercate un idoneo servizio di guardiania notturna e diurna, nonché di custodia, per offrire i necessari standard di sicurezza, la corretta agibilità e la regolare funzionalità dell'auditorium, l'avvio della realizzazione del nuovo istituto di Arcore per fornire le aule necessarie alla didattica. (4-00622)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa in seguito alla condanna del signor Scuto e al relativo sequestro dei beni, tra cui le quote societarie Aligrup, è stato infatti nominato Francesco Fiscella, nuovo commissario liquidatore;
   questo ovviamente si ripercuote ulteriormente rispetto alle procedure già avviate per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria favore dei lavoratori Aligrup;
   le organizzazioni sindacali hanno contestato procedure poste in essere da Aligrup per completare la documentazione indispensabile per pagare la cassa integrazione straordinaria ai 1256 lavoratori dopo la firma del decreto;
   si tratta di una lentezza che provoca gravi conseguenze a lavoratori e famiglie in attesa dell'ammortizzatore sociale;
   da oltre sette mesi non percepiscono retribuzioni e a tutte le istituzioni interessate è stato chiesto il massimo impegno per ridurre i tempi di erogazione; a fronte di ciò, sono stata fatte pressioni sulle istituzioni, sull'Inps, sul tribunale affinché si accelerassero tutte le pratiche burocratiche per far avere i soldi ai lavoratori prima possibile;
   per le organizzazioni sindacali è singolare che l'azienda non si sia fatta trovare pronta, dopo la firma del decreto ministeriale per la cassa integrazione guadagni straordinaria, con i documenti (IG15 e SR41) da inviare all'Inps per consentire il pagamento rapido della cassa integrazione ai lavoratori;
   va detto che l'Inps di Catania si è attivata immediatamente e ha convocato una riunione operativa dell'osservatorio anche per affrontare la vicenda dei lavoratori dell'indotto ma nonostante questo l'azienda non procede –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per sollecitare l'azienda al rispetto degli adempimenti affinché i lavoratori possano ricevere l'ammortizzatore sociale nei tempi più rapidi possibili.
(5-00196)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   centinaia di pensionati hanno recentemente percepito, in seguito al conguaglio fiscale di marzo, una pensione dell'importo di soli due euro, con decurtazioni pertanto pari al cento per cento;
   l'episodio ha sollevato vivaci proteste e comprensibile preoccupazione tra una platea di contribuenti che appartiene ad una fascia sociale ed economica particolarmente fragile, rappresentata da anziani, spesso soli e privi di propri mezzi di mobilità, disabili, pensionati con pensione minima, eccetera;
   i due euro simbolici sono giustificati dal fatto che, altrimenti, l'INPS e l'ex INPDAP avrebbero dovuto chiudere le posizioni pensionistiche, rendendo estremamente complicata l'operazione di riapertura delle stesse in un secondo momento;
   la gravità e l'entità degli episodi sopra richiamati è tale che diversi organi di stampa nazionali e locali (La Repubblica, L'Unità, Il Messaggero, Il Tempo, Libero, La Nuova Sardegna) hanno dato vasta testimonianza alla notizia;
   la dirigenza INPDAP ha diramato sul punto una nota ufficiale, nella quale ha imputato tali episodi a errori nelle dichiarazioni dei redditi, a (presunte) sopravvenute variazioni reddituali non indicate e soprattutto a mancate richieste di rateizzazioni dei suddetti conguagli fiscali, precisando anche che era, comunque, a disposizione dell'utenza per risolvere positivamente le varie posizioni dei contribuenti;
   i pensionati lamentano, in realtà, una situazione diversa, riconducibile ad una notevole difficoltà di ricevere risposte adeguate dagli uffici preposti, nonché alla circostanza che i due enti si sono purtroppo rimandati l'uno all'altro le responsabilità dell'accaduto;
   il problema esposto nasce probabilmente dal fatto che, mentre in passato l'INPS e l'ex INPDAP, recapitavano, a inizio anno, direttamente al domicilio dei pensionati il prospetto sul «rinnovo della pensione» unitamente al Cud, dal 2013 l'INPS (anche per conto dell'ex INPDAP) deve applicare il comma 114 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ed è pertanto obbligata a usare la via telematica, con tutte le conseguenze che ciò ha comportato e comporta per un'utenza anziana con scarsa o nessuna dimestichezza con Internet;
   la novità telematica per il rilascio della certificazione fiscale non è certamente stata preceduta da una campagna informativa tale da illustrare chiaramente al cittadino le modalità messe a sua disposizione per venire in possesso della forma cartacea del CUD –:
   se non ritenga utile sospendere l'obbligo, almeno per l'anno in corso, dell'esclusivo utilizzo della via telematica per accedere al proprio CUD;
   se non ritenga opportuno adoperarsi per mettere in atto un'adeguata campagna informativa in tempi che permetto l'acquisizione della dichiarazione dei redditi del prossimo anno, o almeno soprassedere sulla richiesta di versamento da parte dell'utente che si rechi presso gli uffici a richiedere il CUD in forma cartacea, in caso di impossibilità o incapacità di utilizzare la via telematica per venire in possesso di una documentazione indispensabile ai fini fiscali;
   se intenda intervenire sulla dirigenza INPS ed ex INPDAP affinché le stesse provvedano, con la massima sollecitudine, al rimborso delle somme indebitamente trattenute, allorché le decurtazioni dell'assegno pensionistico non siano imputabili alla responsabilità diretta o indiretta dei contribuenti, individuando gli eventuali responsabili di tali gravissimi disservizi e facendo in modo che gli stessi non si ripetano in futuro. (4-00624)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Solvay di Bussi (PE) ha avviato in modo unilaterale la procedura di CIGS per cessazione attività dei reparti di chimica fine e silicati;
   considerando che l'azienda da tre anni consecutivi ha il bilancio in attivo, l'azienda sostiene che il trasferimento della produzione della chimica fine in un altro stabilimento della Solvay sarebbe necessaria perché i silicati non costituiscono il principale business aziendale;
   la joint-venture al 50 per cento stretta qualche settimana fa con il colosso chimico inglese Ineos per la produzione del cloro e derivati, ha escluso lo stabilimento di Bussi. La nuova società avrà 17 impianti produttivi in nove paesi, con 5650 addetti. La Ineos, oltre a prendere impianti, dovrà assorbire anche le maestranze. Questa fusione sarà di breve durata perché, da come è scritto nella lettera di intenti, la Ineos avrà la possibilità di rilevare dopo 4 anni e non oltre 6 anni, l'intera quota di Solvay nella joint venture. L'uscita di Solvay da questo tipo di chimica rappresenta un passo in avanti verso la strategia più volte illustrata che è quella di abbandonare la chimica di base a favore di una chimica con più alta marginalità con elevati tassi di crescita. La scelta aziendale secondo l'interrogante inaccettabile e incomprensibile di escludere lo stabilimento di Bussi da questo processo;
   Bussi è uno dei siti chimici più vecchi d'Italia essendo nato agli inizi del novecento, ha occupato in alcuni periodi migliaia di lavoratori, il cloro e derivati si producono da più di un secolo. Bussi verrebbe escluso da questo processo di riorganizzazione industriale poiché questo impianto, secondo la proprietà, dovrebbe essere dismesso nel 2014 quando inizieranno le operazioni di fusione con Ineos;
   la chiusura del settore cloro significherebbe coinvolgere anche quello dello sbiancante Isagro che insieme occupano la maggioranza dei lavoratori rimasti dopo devastanti processi di riduzione della manodopera. Questo significa la fine del sito produttivo di Bussi. Resterebbe solo la gestione della centrale idroelettrica di produzione di energia con pochi addetti, con il beneficio però per l'azienda di un introito elevato a bassissimo costo;
   la Solway disattende così gli accordi sottoscritti in sede ministeriale quando rilevò lo stabilimento di Bussi che, peraltro durante tutta la sua attività, ha prodotto il più colossale inquinamento del territorio e della salute dei lavoratori e dei cittadini, la cui bonifica è rimasta a carico dello Stato –:
   se non intendano convocare le parti sociali, la Regione Abruzzo e gli enti locali per una verifica degli impegni sottoscritti dalla Solway nell'accordo siglato a livello ministeriale al fine di salvaguardare l'occupazione e il sito industriale di Bussi (Pescara). (4-00632)


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si parla da tempo di iniziative volte ad assicurare il cosiddetto «reddito di cittadinanza», nella provincia autonoma di Trento è in vigore il «reddito di garanzia»;
   la finalità del «reddito di garanzia», secondo la legge trentina, è quella di sostenere il reddito dei lavoratori colpiti dalla crisi economica e di prevenire e contrastare situazioni di povertà secondo un criterio di equità;
   il «reddito di garanzia» è destinato a nuclei familiari particolarmente fragili dal punto di vista economico e lavorativo;
   tra i requisiti per accedere al «reddito di garanzia» vi sono la residenza in un comune della provincia di Trento da almeno tre anni, al momento di presentazione della domanda con riferimento anche ad uno solo dei componenti; un indicatore ICEF attualizzato (che sostituisce l'ISEE nazionale) inferiore a 0,13, tenendo conto di tutti i componenti del nucleo; impegno alla ricerca attiva di un lavoro, cioè sottoscrizione della dichiarazione di disponibilità immediata all'accettazione di un impiego, da parte di tutti i componenti in grado di assumere o riassumere un ruolo lavorativo;
   oltre al reddito di garanzia, spettano un contributo per il canone di locazione (qualora il nucleo non benefìci al momento della domanda di altre agevolazioni analoghe), un contributo riscaldamento, un tesserino per la gratuità dei trasporti pubblici e buoni pasto;
   è notizia recente di stampa che la maggior parte di questi contributi, che possono arrivare anche ad oltre 2.000 euro mensili, sia destinato a cittadini extracomunitari, in quanto per un cittadino italiano è difficile soddisfare i requisiti posti dalle norme trentine;
   considerata la grave situazione economica del Paese e quella lavorativa dei nostri concittadini appare prioritario attuare politiche differenti da quelle suddette, al fine di incentivare l'occupazione e di non discriminare i cittadini italiani nella concessione di sussidi e contributi –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti e se, qualora intendesse assumere iniziative normative di carattere simile a quella delineata in premessa, non intenda evitare che siano stabiliti presupposti e requisiti di accesso tali da risultare, alla luce dei fatti, lesivi dei diritti dei cittadini italiani, favorendo invece quasi esclusivamente i cittadini extracomunitari. (4-00638)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI e MARIANI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato, istituito nel 1822, è una forza di polizia ad ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, nella prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale e agroalimentare. La molteplicità dei compiti affidati alla forestale affonda le radici in una storia professionale dedicata alla difesa dei boschi, che si è evoluta nel tempo fino a comprendere ogni attività di salvaguardia delle risorse agroambientali, del patrimonio faunistico e naturalistico nazionale;
   la natura giuridica, i compiti istituzionali, le funzioni, l'organizzazione ed i rapporti con le regioni e con gli enti locali del Corpo forestale sono disciplinate dalla legge numero 36 del 2004 «Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato»;
   tra gli organismi del Corpo forestale vi sono gli uffici per la biodiversità; enti preposti alla tutela e salvaguardia delle riserve naturali statali riconosciute d'importanza nazionale e internazionale. Sono stati istituiti nel 2005 in sostituzione dell'azienda di Stato per le foreste demaniali che, nel 1910 avviò la sua storica azione di gestione dei beni demaniali per la conservazione di un patrimonio naturalistico fondamentale per la biodiversità nazionale;
   nell'ambito dei propri compiti, gli uffici per la biodiversità si occupano di:
    a) tutelare e salvaguardare le riserve naturali dello Stato e altre aree di interesse naturalistico;
    b) conservare e salvaguardare la biodiversità animale;
    c) conservare e salvaguardare la biodiversità vegetale;
    d) promuovere attività di ricerca scientifica e programmi finalizzati allo studio ed alla conservazione della biodiversità;
    e) promuovere attività di educazione ambientale e di comunicazione;

   il personale dagli uffici territoriali per la biodiversità (Utb) del Corpo forestale dello Stato viene assunto in base alle norme presenti nella legge numero 124 del 1985, «Disposizioni per l'assunzione di manodopera da parte del Ministero dell'agricoltura e delle foreste: tale ordinamento consente l'assunzione di operai a tempo determinato (Otd) ed indeterminato (Oti) a supporto del Corpo forestale dello Stato per la manutenzione delle aree naturali protette e per assolvere ad ulteriori compiti istituzionali;
   con l'articolo 1, commi 519 e 521 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 («legge finanziaria 2007») è stata attuata la stabilizzazione di circa 1.000 operai: da questa disposizione sono comunque stati esclusi 340 dipendenti, in tutta Italia, che non avevano maturato i requisiti di anzianità richiesti;
   si tratta di lavoratori portatori di uno straordinario patrimonio di professionalità, qualificazione e competenze fondamentali, che hanno reso gli uffici dislocati in varie realtà italiane veri e propri laboratori e presidi a tutela della biodiversità, che, se venissero meno le unità oggi assegnate, rischierebbero di scomparire;
   alcuni di questi 340 operai sono stati poi assunti temporaneamente (per 5 mesi) nel corso dell'anno 2009, grazie ai finanziamenti stanziati con la legge numero 69 del 2009;
   con la legge numero 191 del 2009 («legge finanziaria per il 2010») all'articolo 2, comma 250, e con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in cui sono ripartite nel dettaglio le risorse assegnate, sono stati finanziati 3 milioni di euro per gli anni 2010, 2011 e 2012 per l'assunzione a tempo determinato di operai del Corpo forestale dello Stato (riferimento normativo: la già citata legge numero 124 del 1985). Grazie a tali stanziamenti nell'anno 2010 sono stati assunti temporaneamente alcuni operai;
   l'articolo 9, comma 28, del decreto-legge numero 78 del 2010 (convertito, con modificazioni, dalla legge numero 122 del 2010) ha disposto la riduzione del 50 per cento delle assunzioni di personale a tempo determinato per le amministrazioni dello Stato;
   questa disposizione non dovrebbe essere applicata agli operai che sono assunti con contratti di natura privatistica. Tale categoria di lavoratori subisce infatti l'anomalia (ancora giuridicamente non risolta) di essere dipendente di un ente pubblico ma attraverso un contratto di natura privatistica: verrebbero quindi applicate le restrizioni previste per il pubblico impiego senza però riconoscere le tutele e le garanzie previste per i lavoratori di enti pubblici;
   i tagli introdotti dal decreto-legge n. 98 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 122 del 2010 non hanno consentito, per gli anni 2011 e 2012, di procedere alla riassunzione dei 181 operai a tempo determinato impiegati nel 2010, ma solo di 81 unità per un periodo massimo di sei mesi;
   da quanto emerge dal bilancio 2012 del Corpo forestale dello Stato e dalla previsione di spesa per il 2013 e 2014, il totale dei tagli previsti per il 2013 e 2014 sarà di circa 3.660.000 euro, la maggior parte dei quali deriva dalla riduzione totale dei fondi per la riassunzione degli Otd (circa 1.430.000). Per i prossimi due anni non sarebbe quindi attuata nessuna nuova stabilizzazione nonostante siano previsti circa un centinaio di pensionamenti tra gli Oti;
   da quanto risulta agli interroganti dal 2009 ad oggi il numero di Otd in servizio presso il Corpo forestale dello Stato si è ridotto da 400 a circa 80 unità;
   tale situazione di incertezza oltre a penalizzare fortemente il personale che da anni viene assunto, sia pure a tempo determinato, dal Corpo forestale dello Stato comporta criticità nella cura e nella salvaguardia di risorse naturali nazionali di valenza naturale, storica e culturale;
   si rende ormai improrogabile trovare una soluzione alla questione riguardante la contrattazione di secondo livello del personale assunto ai sensi della legge numero 124 del 1985;
   tale problematica è già stata oggetto, da anni, da interrogazioni parlamentari nella scorsa legislatura, a cui non è pervenuta risposta;
   recentemente gli interroganti hanno incontrato il dirigente superiore delegato dell'ufficio per la biodiversità del Corpo forestale dello Stato, Nazario Palmieri: dalla riunione è emersa la volontà comune di trovare una soluzione ad una problematica urgente di interesse generale;
   va aggiunto che la legge n. 36 del 2004 prevede il trasferimento di parte del patrimonio statale forestale alle regioni con relative maestranze e che nelle regioni dove è stato operato tale trasferimento sono stati ottenuti buoni risultati di valorizzazione del patrimonio naturale assieme alla tutela dei livelli occupazionali preposti a tali mansioni –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra richiamata;
   se non ritenga necessario, alla luce di quanto esposto in premessa, emanare provvedimento urgente utile a far fronte al problema della stabilizzazione degli operai a tempo determinato (Otd) sia per salvaguardare professionalità e livelli occupazionali, sia per assicurare le risorse necessarie per una efficace e continua azione di salvaguardia del patrimonio dello Stato di competenza del Corpo forestale, anche considerato il numero esiguo di addetti e la rilevanza della loro mansione;
   se non ritenga inoltre urgente, assumere un'opportuna iniziativa normativa per chiarire la qualificazione giuridica di tali lavoratori (dipendenti pubblici o privati), per tutelarne i diritti e per evitare continue e contrastanti interpretazioni che rendono incerto il futuro di questi lavoratori e discontinuo il lavoro nei siti sopra richiamati. (5-00194)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BIONDELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   già a partire dal piano socio sanitario della regione Piemonte 2007-2010, confermato anche dall'ultimo piano 2012-2015, per l'ospedale maggiore della Carità di Novara è stata prevista una nuova realizzazione denominata «città della salute e della scienza» ove concentrare sia le attività sanitarie, caratterizzate da elevate professionalità e complessità organizzativa, sia le attività didattiche e di ricerca, legate alla facoltà di medicina chirurgia dell'università «A. Avogadro» del Piemonte orientale;
   il 26 gennaio 2012 la conferenza di servizi convocata presso l'assessorato regionale alla sanità ha approvato il progetto preliminare della «città della salute e della scienza» di Novara, destinata a diventare per importanza il secondo ospedale piemontese;
   è stata votata la variante urbanistica che ha sancito la compatibilità, dal punto di vista urbanistico, del progetto e ha formalmente destinato l'area individuata nella zona di piazza d'Armi, in Novara, alla costruzione del nuovo plesso ospedaliero-universitario;
   il 27 settembre 2012 (fonte: il quotidiano Libero) l'allora assessore regionale alla sanità del Piemonte, ingegnere Paolo Monferino, aveva promesso che «... entro fine mese daremo al nucleo di valutazione del ministero le precisazioni tecnico-progettuali che ci ha richiesto sulla Città della Salute di Torino e Novara. Così poi entro il 30 ottobre il ministero dovrebbe darci via libera per l'accesso ai finanziamenti». Complessivamente la regione attende 377 milioni di euro, 250 milioni per la città della salute del capoluogo e altri 127 milioni per quella di Novara. Una volta deliberati a Roma i fondi, si potrà procedere sul territorio con la progettazione e la creazione dei due poli sanitari. Per Torino, sulla città della salute va elaborato il progetto preliminare, visto che c’è solo un piano di massima, mentre per Novara è stata completata la fase di progettazione preliminare;
   il 17 ottobre 2012 (fonte: il quotidiano La Stampa) il presidente della giunta regionale piemontese, onorevole Cota, rilancia una delle promesse più delicate della sua giunta: «La città della salute si farà – dice Cota in relazione al nuovo ospedale di Novara – perché le difficoltà ci sono ma è troppo importante avere un centro di questo tipo. Siamo in attesa dei fondi che il governo aveva già assegnato per questo progetto. Rispecchia la nostra idea di riorganizzazione del sistema sanitario regionale»;
   il 20 gennaio 2013 l'interrogante ebbe ad assumere formale impegno nei confronti dei propri concittadini circa un fattivo interessamento affinché potessero vedere realizzato il proprio diritto di vedere valorizzato il lavoro svolto da tante donne e uomini che, con il loro impegno, hanno reso l'Ospedale Maggiore di Novara il secondo ospedale del Piemonte;
   il 27 gennaio 2013 (fonte: quotidiano Repubblica) riporta la notizia – e le dichiarazioni del Ministro della salute pro tempore, professor Balduzzi – secondo cui per le due città della salute piemontesi, quella di Torino e quella di Novara, i fondi non ci sono. Il miliardo sbloccato dal Consiglio dei ministri servirà a finanziare i progetti di sette regioni che si erano già da tempo viste approvare i master plan presentati. Il Piemonte (370 milioni per i due progetti) è incluso in una seconda tranche, un gruppo di regioni che ancora non hanno chiuso l’iter di approvazione del nucleo di valutazione del ministero. Per loro, al momento, i fondi non ci sono e sarà il nuovo governo a dover indicare l'edilizia sanitaria fra le sue priorità e decidere se, e quanto, stanziare. L’iter si annuncia ancora lungo e ricco di incognite, con Novara in un fase più avanzata e Torino che arranca e attende il via del nucleo di valutazione;
   l’iter procedurale finalizzato alla realizzazione della «città della salute e della scienza» di Novara è in fase molto più avanzata rispetto al medesimo iter per l'analoga struttura di Torino e pertanto, appare necessario poter accedere in tempi brevi alla parte dei fondi previsti per il progetto di Novara –:
   se sia confermato che le risorse originariamente quantificate in circa 370 milioni di euro siano ancora disponibili per finanziare gli interventi finalizzati alla realizzazione delle «città della salute e della scienza» di Novara e Torino;
   se vi sia la possibilità di assegnare la quota di fondi previsti per la realizzazione della «città della salute e della scienza» di Novara in tempi brevi ed in maniera autonoma rispetto all'analogo intervento previsto a Torino, atteso che l'iter relativo alla struttura di Novara risulta in fase molto più avanzata, in considerazione del fatto che già a far tempo dal 26 gennaio 2012 (circa 1 anno e mezzo fa) ha ottenuto l'approvazione del progetto preliminare da parte della competente conferenza di servizi.
(4-00620)


   FRAGOMELI, GUERRA, TENTORI e BRAGA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'attività assistenziale del reparto di reumatologia dell'ospedale di Gravedona (Como) ha inizio nell'agosto del 1981 inizialmente come ambulatorio di visite specialistiche reumatologiche fino a alla costituzione nel 1999 dell'UOS di reumatologia e riabilitazione reumatologica nell'ambito dell'UOC diretta dal dottor Mangano;
   nel corso degli anni il costante percorso di crescita della struttura ospedaliera, ha comportato l'assunzione di nuovo personale medico;
   è del 2002 la delibera di istituzione della reumatologia redatta dal direttore generale dottor Garofalo, mentre nel 2003 c’è il riconoscimento regionale della struttura come centro di riferimento regionale per la terapia con farmaci biologici nel progetto Antares, riconoscimento dettato dalla peculiare locazione che è riferimento per il territorio Lariano, di Valchiavenna e di Valtellina come esplicitamente viene esplicitato nel decreto n. 15503 della direzione generale sanità n. 1713 del 29 settembre 2003. Infine nel 2007 viene stipulata la convenzione con l'università di Milano per la reumatologia e vengono descritte esplicitamente dal dottor Garofalo, direttore generale dell'ospedale di Gravedona, le caratteristiche essenziali della UOS di reumatologia: posti letto, personale, dotazioni;
   attualmente la struttura dà assistenza ad oltre 3000 malati reumatici, con provenienza da tutta la regione Lombardia, con un volume di attività costituito da visite reumatologiche (principalmente rivolte ai malati artritici) e visite per osteoporosi e connettiviti (principalmente malati con sclerodermia sistemica), diagnostica ed interventistica ecografica per l'apparato locomotore, diagnostica capillaroscopica, attività MAC, ricoveri in DH, ricoveri ordinari e riabilitativi e si superano le 2000 prestazioni ogni anno;
   l'attività dell'ospedale di Gravedona si articola principalmente in: visite reumatologiche con accesso facilitato per le prime visite e per le urgenti, visite per osteoporosi con accesso facilitato per le prime visite; ecografia diagnostica dell'apparato locomotore, ecografia dedicata alla valutazione dell'attività sinovitica nei pazienti artritici, ecografia interventistica per il trattamento ecoguidato delle articolazioni, capillaroscopia per la diagnostica delle connettiviti, attività ambulatoriale complessa MAC 10, DH reumatologico terapeutico, ricoveri per situazioni acute particolarmente complesse, ricoveri riabilitativi per l'artrite e per l'osteoporosi fratturosa;
   il bacino d'utenza della struttura ospedaliera comprende l'Alto Lario occidentale ed orientale, la Valtellina, la Valchiavenna, la Valsassina ed il Lecchese e attualmente la popolazione del territorio che fa riferimento alla suddetta struttura ospedaliera può essere stimata non inferiore alle 200.000 persone. I dati epidemiologici di prevalenza delle artriti, delle connettiviti, delle malattie metaboliche testimoniano l'enorme volume di attività (pari circa al 3 per cento della popolazione) che il centro di Gravedona deve sostenere per non sottrarsi ad una legittima richiesta di assistenza, nel rispetto dell'adeguata offerta dei LEA del sopraccitato bacino;
   fino a dicembre 2012 la struttura suddetta disponeva di 18 letti di degenza, due day hospital, personale FKTerapico (TDR) dedicato ed infermieri adeguati al volume di attività;
   sempre nel mese di dicembre 2012 è stato attivato il tavolo tecnico riabilitazione reumatologica nell'ambito del tavolo di riabilitazione regionale coordinato dalla dottoressa Beretta responsabile della Riabilitazione dell'ospedale Niguarda. Il tutto per definire migliori percorsi assistenziali garantiti da personale sempre più preparato;
   con delibera regionale n. 4934 approvata nella seduta di Giunta regionale n. 133 del 28 febbraio 2013 vengono riconosciuti all'ospedale di Gravedona (Italia Hospital) la messa a contratto di 30 nuovi posti letti di riabilitazione specialistica neurologica;
   dall'inizio di gennaio 2013 con ordine verbale i letti a disposizione dei ricoveri riabilitativi sono stati ridotti a 6 così come il personale e due TDR sono stati assegnati alla riabilitazione neurologica. Infine, il 19 aprile 2013 è stato comunicato verbalmente che uno dei tre medici specialisti reumatologi verrà spostato in riabilitazione neurologica;
   tutto ciò ha evidentemente comportato grande sconcerto e preoccupazione sia da parte degli operatori del team ospedaliero di reumatologia, sia da parte dei malati utenti del servizio, sia da parte delle istituzioni e associazioni del territorio;
   la presidente dell'Associazione Lombarda dei malati reumatici (ALOMAR) ha chiesto formalmente un incontro con il direttore generale dell'ospedale dottoressa Carla Nanni e ne ha informato l'assessore regionale alla sanità e la direzione generale degli ospedali;
   l'attività svolta dall'ospedale di Gravedona, unica in un territorio prevalentemente montano, nel settore reumatologico integra il lavoro svolto dai medici reumatologici delle province di Sondrio, Lecco e Como, garantendo un appropriato sistema dei LEA;
   è auspicabile un riesame della situazione descritta in premessa tenendo conto delle più che legittime istanze dei numerosi malati e delle loro reali necessità assistenziali e posto che una riduzione in termini di organico e/o di strutture comporterebbe il collasso totale del servizio in essere;
   appare contraddittorio che a fronte del recente aumento di 30 posti letto di riabilitazione assegnati all'ospedale di Gravedona si comprimano i letti dedicati ai malati reumatici ed ai malati che necessitano di riabilitazione medica specialistica –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento alla compatibilità delle soluzioni adottate con il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in un'area montana. (4-00644)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VELO e BINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il tema di un puntuale ed efficiente servizio postale universale deve tornare a rivestire centralità nella programmazione di un moderno sistema di servizi ai cittadini e alle imprese, quale contributo per il rilancio dell'economia e per il miglioramento della qualità della vita. Tali obiettivi, in un quadro di economicità della gestione, dovrebbero costituire la «mission» della società Poste italiane, soggetto economico interamente controllato dallo Stato;
   non tutte le scelte compiute dalla società Poste italiane nel corso degli ultimi anni sembrano corrispondere con tale impostazione e meritano un'attenta verifica circa le conseguenze che ne discendono dal punto di vista della qualità del servizio, dell'economicità, della razionalità gestionale e delle ricadute occupazionali, basti pensare al piano di riordino del servizio di recapito dell'aprile 2012;
   anche le modalità con le quali sono stati gestiti negli ultimi anni i rapporti con le Agenzie di recapito, imprese private operanti nel settore della distribuzione, del recapito e dei servizi postali, destano più di qualche perplessità e interrogativo;
   queste imprese, fino al 1999, operavano sulla base di concessioni rilasciate dal Ministero delle poste, e a fronte del versamento del 30 per cento del corrispettivo del servizio, erano autorizzate al recapito di tutti i prodotti postali;
   l'articolo 40 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (provvedimento collegato alla legge finanziaria 1999), ha delegato il Governo ad adottare un apposito regolamento (cosiddetto di delegificazione) di modifica del codice postale, volto ad assicurare la prestazione di un servizio postale universale con prezzi accessibili a tutti gli utenti, la determinazione dei servizi oggetto di riserva e la revoca delle concessioni di servizi postali previste dall'articolo 29 del codice postale, nonché a prevedere l'introduzione degli istituti dell'autorizzazione generale e della licenza individuale per l'espletamento dei servizi non riservati;
   con il decreto legislativo 22 luglio 1999, di recepimento della direttiva 97/67/CE, sono state pertanto revocate tali concessioni; le Agenzie di recapito sono state autorizzate al servizio di recapito delle raccomandate;
   l'articolo 23 del citato decreto, stabiliva che, in relazione a quanto disposto dal decreto del Ministro delle comunicazioni del 5 agosto 1997, le concessioni di cui all'articolo 29, numero 1, del codice postale e delle telecomunicazioni, decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, fossero valide sino al 31 dicembre 2000; al comma 5 del medesimo articolo 23, veniva altresì previsto che le Poste italiane potessero realizzare accordi con gli operatori privati, anche dopo la scadenza delle concessioni, al fine di ottimizzare i servizi, favorendo il miglioramento della qualità dei servizi stessi anche attraverso l'utilizzazione delle professionalità già esistenti;
   con «Memorandum» sottoscritto l'11 dicembre 2007 presso il Ministero delle comunicazioni, tra il Ministro competente, le agenzie di recapito e le Poste italiane, sono state delineate le fasi essenziali del processo di liberalizzazione del settore;
   l'anno successivo le Poste italiane, con appositi bandi di gara, hanno disposto l'assegnazione di una variegata tipologia di servizi oltre alle raccomandate, in linea con la prevista ristrutturazione del sistema postale;
   numerosi ex concessionari sono stati esclusi da tali gare a vantaggio di nuovi soggetti; nel complesso, si è ridotto sensibilmente il numero degli operatori partner di Poste italiane così come – anche a seguito di internalizzazioni del servizio, conseguenti a situazioni di vario genere (è il caso di alcuni grandi capoluoghi) – si è ridotto il novero delle città in cui essi operano;
   allo stato attuale le agenzie di recapito – escluse dal mercato dei servizi postali nel 1999 – risultano affidatarie di servizi diversi di Poste italiane quali il recapito di prodotti a firma, nonché la consegna dei pacchi;
   in circa dieci anni il valore degli appalti affidati da Poste italiane, in controtendenza con l'auspicato processo di liberalizzazione del servizio, si è segnatamente ristretto: da un valore di circa 70 milioni di euro all'anno nel 2000, a 58 milioni nel 2008, a meno di 40 milioni nel 2011; le gare bandite di recente da Poste italiane prevedono l'affidamento di servizi per un valore non superiore a 28 milioni di euro, con ricadute significative sulle imprese, anche in termini di occupazione;
   le agenzie di recapito hanno fatto fronte alla contrazione del mercato dei servizi postali con grande impegno e flessibilità, evitando tensioni occupazionali, anche grazie alla fattiva collaborazione con le organizzazioni sindacali. Nonostante ciò, non si può non registrare che, a tutt'oggi, diverse centinaia di lavoratori hanno perso il lavoro e attendono, anche da anni, l'apertura di una vera e propria trattativa nazionale che veda il coinvolgimento delle autorità competenti;
   gli operatori privati, circa 70 fino al 2000, si sono moltiplicati a dismisura; si calcola che oggi le imprese titolari di licenza siano oltre 2.500; l'autorizzazione all'esercizio del servizio viene concessa a fronte di un versamento poco più che simbolico, senza alcun controllo dei requisiti di solidità, tecnico-organizzativi, imprenditoriali delle imprese e degli addetti al servizio in un settore molto delicato che prevede anche il contatto con il pubblico, la sicurezza e la riservatezza della corrispondenza e degli utenti del servizio;
   allo stato attuale, risulta che sul territorio nazionale, operano numerose aziende in regime di subappalto che non applicano il CCNL di settore –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di verificare la coerenza delle strategie e delle scelte organizzative adottate negli ultimi tempi dalla società Poste italiane con gli indirizzi e con le finalità del servizio pubblico universale, con particolare riguardo alla gestione dei rapporti con gli operatori privati al fine di garantire elevati e omogenei standard qualitativi su tutto il territorio nazionale, procedure di selezione degli affidatari dei servizi che non penalizzino le piccole imprese e che prevedano l'applicazione e il rispetto del contratto nazionale di lavoro di settore, nonché la tutela dei livelli occupazionali;
   se non ritenga di dover attivare un tavolo di concertazione tra tutti i soggetti cointeressati, allo scopo di concordare e di avviare nell'immediato un piano per lo sviluppo del settore postale, prevedendo iniziative specifiche per le piccole imprese del recapito e per i lavoratori del settore. (5-00191)


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è noto che Poste italiane agisce come una società per azioni e quindi non è soggetta a controllo diretto da parte del Governo, eppure gestisce un servizio pubblico fondamentale per i cittadini e le imprese;
   la politica dei tagli e di razionalizzazione dei costi ha comportato ripercussioni non certamente positive per la cittadinanza e in particolare per quelle comunità minori in comprensori magari abitati prevalentemente da persone anziane;
   cittadini e amministratori del comune di Irsina in provincia di Matera segnalano quotidiani disservizi, bollette non recapitate scadute, mancato recapito di raccomandate, alcune famiglie ed esercizi commerciali che hanno subito distacchi di utenze;
   la situazione è diventata insostenibile anche per le ragioni anagrafiche della stessa comunità con una prevalenza di popolazione anziana –:
   se e quali iniziative il Governo, in qualità di azionista di Poste italiane, intenda promuovere per verificare i disservizi esposti in premessa e investire i vertici aziendali dei problemi che riguardano la comunità di Irsina circa le poste. (5-00200)


   BRAGA, GUERRA, MOLTENI, TENTORI e FRAGOMELI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia le procedure per l'installazione degli impianti all'interno degli edifici sono regolate dal decreto ministeriale 22 gennaio 2008, n. 37, attuativo del comma 13 dell'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248;
   la norma riprende sostanzialmente il quadro normativo delineato con la legge 5 marzo 1990, n. 46, recante «Norme per la sicurezza degli impianti», in relazione al quale si è cercato di introdurre meccanismi finalizzati a contemperare le esigenze di sicurezza e di semplificazione delle procedure burocratiche;
   in particolare la norma aveva confermato la possibilità di concedere agli operatori la qualificazione sia in base alla presenza di titoli ed esperienza, sia sulla base della sola esperienza professionale;
   tra i requisiti tecnico-professionali indicati dal citato decreto ministeriale n. 37 del 2008, la lettera d) dell'articolo 4, si prevede: «prestazione lavorativa svolta, alle dirette dipendenze di una impresa abilitata nel ramo di attività cui si riferisce la prestazione dell'operaio installatore per un periodo non inferiore a tre anni, escluso quello computato ai fini dell'apprendistato e quello svolto come operaio qualificato, in qualità di operaio installatore con qualifica di specializzato nelle attività di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione degli impianti»;
   allo stato attuale, circa il 60 per cento delle aziende hanno conseguito l'abilitazione attraverso il requisito di cui alla citata lettera d) dell'articolo 4 del decreto ministeriale n. 37 del 2008;
   a seguito dell'esigenza di adeguare il quadro normativo a livello comunitario, il Governo ha varato il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE», che azzera completamente la situazione attuale e dispone, all'articolo 15, che a partire dal 1o agosto 2013 le imprese che hanno ottenuto l'abilitazione esclusivamente sull'esperienza non potranno più installare impianti relativamente a caldaie, caminetti a stufe a biomassa, sistemi solari fotovoltaici e pompe di calore;
   la ratio della nuova norma appare condivisibile ed è evidente l'obiettivo di garantire la massima professionalità degli operatori e aumentare il livello di sicurezza, ma rischia di penalizzare fortemente professionisti che operano nel settore da moltissimi anni, la cui esperienza è un indubbio valore e che potrebbero subire gravi conseguenze economiche nella già preoccupante situazione di crisi attuale;
   la situazione è resa ancora più critica dall'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 2012, il quale obbliga le imprese che installano impianti di raffrescamento e pompe di calore, ad iscriversi ad un registro ad hoc e ad ottenere un patentino, mentre, nei fatti, viene loro impedito, a decorrere dal 1o agosto, di installare (o anche semplicemente svolgere lavori di manutenzione) un impianto che utilizzi la tecnologia in pompa di calore;
   le associazioni di categoria hanno inviato una lettera al Ministero dello sviluppo economico per evidenziare come l'attuale formulazione dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011 appaia iniqua, errata e fonte di ingenti danni oltre che di disparità di trattamento per la categoria degli installatori –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per salvaguardare l'esperienza, la professionalità e la competenza degli operatori del settore, individuando le opportune soluzioni di transizione al quadro normativo comunitario, posto che una sua eventuale inerzia potrebbe determinare conseguenze pesantissime in un settore economico molto importante, rischiando di bloccare migliaia di imprese e di far perdere moltissimi posti di lavoro. (5-00206)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   attualmente, la zona di Marghera e Mestre sta vivendo una fase di gravissimo declino economico e sociale pur presentando delle enormi potenzialità;
   con il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 5 maggio 2011, è stato riconosciuto il Porto Marghera come Area di crisi industriale complessa;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (magistrato alle acque di Venezia), la regione del Veneto, comune e provincia di Venezia, autorità portuale di Venezia hanno sottoscritto, in data 16 aprile 2012, l'accordo di programma finalizzato a promuovere il processo di riconversione industriale e riqualificazione economica del Sito di interesse nazionale di Venezia - Porto Marghera, mediante procedimenti di bonifica e ripristino ambientale che consentano e favoriscano lo sviluppo di attività produttive sostenibili dal punto di vista ambientale e coerenti con l'esigenza di assicurare il rilancio dell'occupazione attraverso la valorizzazione delle forze lavorative dell'area;
   il progetto di riqualificazione Palais Lumiere, finanziato da Pierre Cardin, è un'imperdibile occasione di rilancio della provincia di Venezia; Palais Lumiere sarà in grado di attrarre nuovi investimenti nella zona e di attrarre anche nuova popolazione residente con forte potere d'acquisto ma anche popolazione impiegata nel settore terziario e nei centri di ricerca e studio;
   il progetto è stato presentato la prima volta alla regione Veneto nel dicembre 2010;
   nel marzo 2012 la giunta regionale del Veneto ha dichiarato la sussistenza dell'interesse regionale alla realizzazione di Palais Lumiere e ha avviato il procedimento relativo all'accordo di programma tra comune di Venezia e regione Veneto;
   nel maggio 2012 è stato consegnato il progetto preliminare Palais Lumiere per la definizione dell'accordo di programma che comporterà la riqualificazione industriale di una vasta area di circa 20 ettari, adiacente alla stazione ferroviaria di Mestre;
   la Torre prevista dal progetto sarà un edificio all'avanguardia in Europa, e primo in Italia per tecnica costruttiva e tecnologie utilizzate, e rappresenterà un esempio di innovazione, sulla strada indicata per uscire dalla crisi economica in cui versa il Paese;
   il progetto prevede la bonifica di aree pesantemente inquinate dai reflui industriali della vecchia zona industriale di Porto Marghera e quindi rappresenta un intervento di alto valore ambientale;
   inoltre il progetto prevede importanti servizi a favore della collettività, come una piscina olimpionica coperta con 2500 posti, il riordino e riprogettazione di tutta la parte della viabilità pubblica per oltre 300 milioni di euro, che risolverà completamente il nodo stradale tra Marghera Mestre e Venezia, un centro congressi, un teatro, sale cinematografiche, alberghi, ristoranti, appartamenti di lusso, parcheggi per 3200 posti auto ad uso pubblico, l'università della moda, la quarta nel mondo dopo New York, Parigi e Milano, ampie zone verdi che collegheranno Marghera con Mestre riunendo i due centri abitati;
   tutto il complesso si prevede energeticamente autonomo ed ecocompatibile, con il 30 per cento in più di energia da mettere nella rete locale;
   il costo dell'intervento è previsto pari a 2,5 miliardi di euro che saranno procurati con finanziamenti bancari garantiti dal patrimonio personale di Pierre Cardin; tutti i capitali provengono da fonte privata ed in particolare dall'estero;
   il cantiere, che impiegherà circa 15mila persone tra addetti diretti e di indotto, si prevede a chilometro zero e quindi impiegherà tutta mano d'opera locale sia per il lavori edili che per le realizzazioni degli impianti, dei servizi e delle strutture metalliche e tecnologiche;
   all'ultimazione dei lavori l'intero complesso potrà dare lavoro a circa duemila persone;
   l'opera non comporta consumo di suolo in quanto sarà realizzata su terreno già compromesso dall'urbanizzazione e dall'industrializzazione;
   l'istruttoria di approvazione dell'intervento è in corso presso il comune ai fini del rilascio del permesso di costruire e presso la regione per la valutazione d'impatto ambientale; senza l'approvazione del progetto la firma dei contratti non può partire e l'intera operazione rischia il fallimento;
   si tratta di un progetto importantissimo per la bonifica della zona ex-industriale di Porto Marghera e per il rilancio socio economico di Marghera e di Mestre, che salva dal degrado le due città e le riporta alla dignità delle città più civili d'Europa e della sorella Venezia, con ripercussioni positive sull'intera provincia di Venezia che, grazie al progetto, sarà in grado di attrarre ulteriori investimenti stranieri in tutta la zona, dando nuova linfa alle tante piccole imprese che da troppi anni stanno soffrendo la crisi –:
   se il Ministro non intenda approfondire gli aspetti di riqualificazione industriale della zona di Marghera e Mestre che apporta il progetto Palais Lumiere, adottando tutte le iniziative di propria competenza, anche attraverso incontri e accordi con le amministrazioni locali e con la regione, affinché siano concluse con la massima urgenza le pratiche di approvazione del progetto e di rilascio del permesso di costruire, allo scopo di evitare di perdere una straordinaria occasione per la bonifica di aree pesantemente inquinate dai reflui industriali della vecchia zona industriale di Porto Marghera e per il rilancio imprenditoriale dell'area.
(4-00633)


   AIRAUDO, DI SALVO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il mercato dell'acciaio in Europa vive una lunga crisi dovuta alla riduzione dei consumi, a fronte di una sovraccapacità produttiva: i quattro principali produttori di acciaio in Europa producono 4,5 milioni di tonnellate, mentre i consumi europei, ad oggi, si attestano su 3,2 milioni di tonnellate di LAF;
   la sovraccapacità del mercato europeo è aggravata dall'aumento delle importazioni extra-Unione-europea, che ad oggi è di circa 700 mila tonnellate;
   altri fattori che incidono negativamente sono l'oscillazione dei costi delle materie prime, la sovraccapacità asiatica, i bassi consumi degli utilizzatori finali e, infine, il cambio euro-dollaro, che spinge i gruppi europei a praticare politiche di prezzi a ribasso;
   l'indice di produzione dell'acciaio in Europa, prima di questa grande crisi, era a livelli molto più alti degli attuali, pur dimostrando di essere tornato ad aumentare;
   Inoxum, la divisione «acciaio inossidabile» della tedesca ThyssenKrupp Inoxum, che produce e distribuisce prodotti di acciaio inossidabile e ad alta lega, detiene in Europa una quota di mercato del 37,7 per cento, di cui la TK-AST di Terni produce il 3,4 per cento; mentre in Italia la quota di mercato è del 40,7 per cento di cui il 33,7 per cento è prodotto all'AST di Terni;
   a fronte di una capacità produttiva del sito TKL-AST di Terni, anche a seguito degli investimenti effettuati, di 1,5 milioni di tonnellate, nell'anno 2011/2012 sono state prodotto 1265 mila tonnellate e nel 2010/2011 1005 tonnellate, pari al 9 per cento in meno dell'anno 2009/2010;
   a fronte di tale situazione produttiva, il gruppo AST di Terni ha chiuso l'anno scorso con una perdita di circa 100 milioni di euro, salita quest'anno a 110 milioni di euro;
   del gruppo AST fanno parte anche le società controllate Titania, Società delle Fucina, Tubificio, Aspasiel, Terninox;
   tutto il gruppo AST, ad esclusione delle società controllate sopra elencate, è dal giugno 2008 in regime di cassa integrazione. AST ha usufruito di tutte le settimane della cassa integrazione guadagni ordinaria ed anche dell'anno di cassa integrazione guadagni straordinaria legata a crisi di mercato. Ad oggi AST ha a disposizione circa 13 settimane di cassa integrazione guadagni ordinaria. La cassa integrazione guadagni sia ordinaria che straordinaria ha consentito di gestire il calo di ordini legato alla crisi che in questi anni, ed ancora oggi, è stato articolato sia per reparti che per impianti in modo differente;
   il gruppo AST oggi occupa 2862 lavoratori, di cui 2322 unità in AST, 211 unità in S.d.F.,156 unità in Tubificio, 63 unità in Aspasiel, 110 unità in Terninox;
   l'attività dell'AST ternana è strategica per l'Italia: oltre a costituire la fonte principale per l'economia del territorio (20 per cento del prodotto interno lordo umbro) è, nel sistema siderurgico nazionale, il gruppo che conserva il primato nella produzione di acciai speciali che sono insostituibili per il sistema italiano; l'Italia da sola, nonostante la crisi, oggi consuma circa 900 mila tonnellate di acciaio inox;
   nel 2012 la tedesca ThyssenKrupp ha raggiunto un accordo di massima per la cessione ai finlandesi del colosso Outokumpu della controllata Inoxum (creata appositamente per l'operazione di scorporo dell'inossidabile e di cui fa parte la Acciai Speciali Terni) a un prezzo di 2,7 miliardi di euro, con la ThyssenKrupp che manterrebbe una quota di minoranza del 29,9 per cento;
   la considerazione positiva è che Ast finisce nelle mani di un gruppo industriale leader nel mondo e non in quelle di un fondo americano, come poteva accadere, la cui vocazione era ovviamente prettamente finanziaria;
   con l'acquisto di Inoxum, Outokumpu diventa il nuovo numero uno mondiale dell'inossidabile con un fatturato annuale di circa dieci miliardi di euro e una quota che gira intorno al 50 per cento del mercato europeo;
   l'originale piano industriale della fusione Inoxum-Outokumpu prevedeva che il gruppo avrebbe avuto due grandi centri fusori uno in Finlandia (Tornio) e l'altro in Italia (Terni) che dovranno produrre circa 3 milioni di tonnellate e alimenteranno tutti gli impianti a freddo in Europa. Dopo l'avvenuta fusione sarebbero state verificate le relative quote di mercato e la relativa rete commerciale ivi compreso i centri servizio;
   le prospettive sul sito di Terni erano interessanti, ma il piano industriale originario è stato modificato (il nuovo non si conosce) dopo che Outokumpu per ottenere il parere favorevole all'operazione industriale da parte della commissione Antitrust ha previsto la messa in vendita del sito di Terni, che rimarrebbe fuori dal progetto di fusione iniziale Inoxum-Outokumpu;
   infatti, il 1o ottobre 2012 il gruppo ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni ha annunciato l'intenzione, da parte delle società Outokumpu e Inoxum, di cedere l'intero asset del sito di Terni come soluzione finale in risposta alle richieste pressanti e vincolanti della Commissione Antitrust dell'Unione europea per veder superata la posizione di dominanza scaturita dal nuovo assetto societario determinatosi dopo l'acquisto di Outokumpu dell'intero settore inox detenuto da ThyssenKmpp attraverso Inoxum;
   dopo il pronunciamento dell'Antitrust, avvenuto il 7 novembre 2012, sono iniziati i 6 mesi entro i quali la nuova società Outokumpu avrebbe dovuto vendere l'impianto di Terni;
   le segreterie provinciali e le rappresentanze sindacali unitarie del gruppo AST si sono espresse in maniera ferma su quanto sta avvenendo, dichiarando inaccettabile che le multinazionali interessate hanno escluso i sindacati territoriali e nazionali dalle decisioni e discussioni in materia di progetti, strategie e decisioni, coinvolgendo nella discussione dell'accordo preliminare solo il sindacato tedesco della Ig Metal;
   le organizzazioni sindacali sono molto preoccupate per il nuovo e mutato scenario di prospettive e assetti industriali che si sta delineando ritenendolo peggiorativo rispetto a quanto presentato in precedenza per l'intero asset di Terni. A prescindere da qualsiasi assetto societario presente e futuro, per mantenere e accrescere la competitività del sito di Terni, richiedono che vengano mantenuti gli impegni assunti a partire dall'accordo del 2005 in materia di energia, infrastrutture, viabilità;
   le organizzazioni sindacali si oppongono alla cessione degli asset del sito di Terni verso fondi speculativi, richiedendo in maniera irrinunciabile il confronto, al tavolo ministeriale, con la società cedente per sancire, non solo i criteri di vendita, ma che il progetto di cessione sia vincolato al mantenimento occupazionale, delle capacità impiantistiche del sito, degli accordi di miglior favore e della trasformazione dei contratti di lavoro non a tempo indeterminato; invece, al medesimo tavolo governativo, con la società acquirente intendono condividere il nuovo piano industriale perché venga mantenuta la strategicità del sito di Terni e la sua competitività e siano indicate chiaramente le risorse, i modi e i tempi per diventare, con sicurezza, il quarto competitor europeo, come richiesto dalla Commissione Antitrust, comprensiva dell’asset del sito di Terni;
   infine, le organizzazioni sindacali richiedono che nell'arco temporale occorrente alla definizione della cessione e dell'acquisizione, i piani operativi e i volumi produttivi previsti per Terni siano mantenuti, così come devono essere assolutamente e irrinunciabilmente mantenuti tutti gli impianti collocati nel sito di Terni senza procedere a smantellamenti o trasferimenti che possano indebolire il concetto industriale attuale e impedirne, di fatto, la vendita annunciata;
   in un recente comunicato stampa pubblicato dall'Ansa, Outokumpu affermava, con riguardo agli impianti ternani che «le offerte che abbiamo ricevuto finora non sono accettabili: stiamo lavorando con la Commissione Ue per una soluzione che rispetti sia gli interessi di Outokumpu sia le richieste dell'Antitrust di Bruxelles»;
   il termine ultimo per finalizzare la vendita degli impianti umbri, inizialmente previsto per inizio maggio 2013, è stato esteso e la Outokumpu precisa di aver concordato con Bruxelles e con le parti coinvolte nel processo di non rendere noto alcun dettaglio del percorso. L'ambiguità da parte di Outokumpu penalizza le acciaierie di Terni;
   intanto nell'attesa che la vicenda della cessione trovi un epilogo, lo stabilimento ternano nei fatti non rifornisce più i semilavorati agli stabilimenti in Cina, Messico e Stati Uniti con una diminuzione di circa il 20 per cento dei volumi, mettendo a rischio il ruolo di perno che il polo temano riveste nel sistema industriale nazionale;
   per consentire al sito di rimanere competitivo e produrre utili è indispensabile mantenere immutato il rapporto tra le capacità di acciaio fuso (1.500.000 tonnellate) e le capacità di acciaio spedito (600.000 tonnellate minimo) –:
   quali iniziative concrete il Governo abbia intenzione di approntare, anche nei confronti delle istituzioni dell'Unione europea coinvolte nella cessione del polo sidenergico di Terni, per impedire che la situazione rimanga in un limbo particolarmente pericoloso che potrebbe creare danni industriali, occupazionali e sociali irreversibili. (4-00640)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Giachetti Roberto e altri n. 1-00053, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carbone.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Verini e altri n. 7-00019, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cenni, Covello, Bruno Bossio.

  La risoluzione in Commissione Oliverio e altri n. 7-00022, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bargero.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Zanetti e altri n. 2-00054, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sanga.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Centemero n. 5-00066, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Petrenga.

  L'interrogazione a risposta in Commissione D'Incecco n. 5-00154, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Scuvera, Lenzi, Amato, Biondelli, Casati, Argentin, Capone, Miotto, Iori, Burtone, Sbrollini, Carnevali, Murer.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Lenzi n. 5-00184, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sbrollini.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Migliore n. 1-00054, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 24 del 28 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    è necessario ridare slancio e forza, attraverso l'introduzione di nuove disposizioni e di più incisivi strumenti istituzionali, al progetto di emancipazione politica e sociale delineato nella prima parte della Costituzione repubblicana;
    da diversi anni e da molte legislature, nel Paese e in Parlamento, è in corso il dibattito sull'opportunità di modifiche alla seconda parte della Costituzione, che ha dato anche luogo a diversi progetti di riforma costituzionale;
    vi è infatti l'esigenza di interventi puntuali sulla nostra Carta fondamentale, che non coinvolgano tuttavia in alcun modo la prima parte della Costituzione;
    è convinzione generale che la procedura di revisione costituzionale – disciplinata non a caso nel Titolo VI della nostra Carta fondamentale, relativo alle garanzie costituzionali – sia stata prevista al fine di rendere più efficace la Costituzione stessa, pur preservandone l'impianto e l'ispirazione complessiva che, a giudizio degli scriventi, resta una legge di straordinaria portata e ancora non pienamente attuata;
    è opportuno consolidare la forma di governo parlamentare e la centralità del ruolo del Parlamento nel bilanciamento complessivo dei poteri e degli organi costituzionali;
    è auspicabile, in tempi certi e nel rispetto dell'impianto normativo previsto dall'articolo 138 della Costituzione, un percorso di riforme costituzionali condiviso e in grado di ottenere il più ampio consenso parlamentare, evitando che le modifiche della Costituzione siano appannaggio di contingenti maggioranze di governo, così come è avvenuto in passato. A tal fine, si richiede, altresì, che lo svolgimento del referendum costituzionale avvenga per materie omogenee anche nel caso di raggiungimento del quorum dei 2/3;
    è necessario un adeguamento del testo costituzionale che permetta al Parlamento di affrontare le questioni istituzionali più urgenti attraverso interventi mirati e limitati alla seconda parte della Costituzione, quali la riduzione del numero dei deputati e dei senatori; il superamento del bicameralismo perfetto; l'obbligatorietà dell'esame e del voto in tempi certi delle proposte di legge d'iniziativa popolare; l'introduzione di limiti più rigidi all'uso della decretazione d'urgenza da parte del Governo; la modifica del Titolo V (ridefinendo i criteri di ripartizione delle materie tra Stato e Regioni, introducendo la cosiddetta «clausola di supremazia» a favore dello Stato);
    l'attribuzione del potere di istituire commissioni di inchiesta alle minoranze parlamentari; la sottrazione alle Camere del contenzioso sulle elezioni;
   considerato che:
    l'articolo 72, comma 4, della Costituzione prevede che per le leggi in materia costituzionale sia «sempre adottata» «la procedura normale di esame e di approvazione diretta» da parte delle due Camere;
    in nessun caso, tuttavia, sarebbe legittimo il deferimento dell'esame del provvedimento alla sede deliberante, nonché a qualsivoglia organo/organismo che privasse i parlamentari del pieno potere emendativo in ottemperanza al principio di eguaglianza dei parlamentari, ancorché sia possibile una modalità di lavoro, in sede esclusivamente referente, che impegni entrambi i rami delle Camere;
    è urgente e indifferibile intervenire sulla modifica della legge elettorale vigente – che non è legge di revisione costituzionale – prima del pronunciamento della Corte costituzionale alla quale si è rivolta la Corte di Cassazione, trasmettendo gli atti in cui si sollevano rilevanti questioni di legittimità costituzionale;
    auspicando un intervento urgente dei competenti organi delle Camere, al fine di pervenire in tempi rapidi all'approvazione di una riforma dei regolamenti parlamentari così da dare piena valorizzazione all'azione del Parlamento assicurando un più stretto raccordo con le istanze della società civile, un efficace controllo sull'attività del Governo, una più elevata qualità della produzione legislativa. In particolare, occorrerà superare l'eccessivo e spesso ingiustificato ricorso alla decretazione d'urgenza, l'abuso dei voti di fiducia sui maxi emendamenti, favorendo in tal modo una coerente, sul piano costituzionale, ridefinizione del procedimento legislativo sia per le leggi di iniziativa governativa e parlamentare, sia per quelle di iniziativa popolare,

impegna il Governo:

nel rispetto delle sue prerogative di iniziativa legislativa, a tener conto in maniera vincolante di quanto esposto in premessa, concorrendo con proprie proposte all’iter parlamentare sul tema delle riforme che verranno esaminate, come sempre previsto, congiuntamente a proposte di iniziativa parlamentare su analoga materia.
(1-00054)
(Ulteriore nuova formulazione). «Migliore, Pilozzi, Kronbichler, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in Commissione Massimiliano Bernini n. 7-00012 del 20 maggio 2013.

Ritiro di firme da una mozione.

  Mozione Giachetti e altri n. 1-00053, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013: sono state ritirate le firme dei deputati: Fedi, Rubinato, Carra, Bonavitacola, Bratti, Gnecchi, D'Ottavio, Schullian, Casellato, Manzi, Amato, Rocchi, Bini, Giuliani, Casati, Malpezzi.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Braga e altri n. 4-00216 del 16 aprile 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00206;
   interrogazione a risposta in Commissione Mongiello e altri n. 5-00123 del 15 maggio 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00089.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Dadone e altri n. 1-00057 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 24 del 28 maggio 2013. Alla pagina 1398, seconda colonna, dalla riga quarantacinquesima alla riga quarantaseiesima deve leggersi: «di affrontare la riforma attinente ai punti di cui al secondo capoverso del dispositivo esclusivamente», e non «di affrontare la riforma attinente ai punti di cui alla lettera b) esclusivamente», come stampato.

  Risoluzione in Commissione Marazziti n. 7-00016 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 21 del 22 maggio 2013. Alla pagina 1276, seconda colonna, alla riga trentottesima deve leggersi: «al 15 giugno 2013 anche attraverso una» e non «al 15 aprile 2013 anche attraverso una», come stampato.