Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 23 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari, anche se nessuno, allo stato attuale, è in grado di quantificare il costo finale dell'intero progetto e quindi di ogni singolo aereo, comunque oggi stimato intorno ai 190 milioni di dollari;
    tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Defence and Security Review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un pesante voto contrario al progetto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35; la Norvegia ha minacciato di ripensare le sue scelte sul JSF; la Danimarca ha riaperto la gara per decidere entro il 2015 di quale aereo dotarsi ed il Canada ha sospeso la gara per l'acquisto del nuovo caccia;
    il Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo: uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno infatti stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte dal Governo;
    ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si potrebbero aggiungere anche ipotesi di tagli da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti, questo comporterebbe un ulteriore aumento del costo unitario per tutti gli acquirenti;
    il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate sia dal Government Accountability Office (GAO) che dal Pentagono. Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, al lievitare dei costi; i problemi del casco del pilota, la vulnerabilità ai fulmini, i problemi al motore che hanno portato allo stop dei voli dell'aereo, la denuncia dei piloti dell'incapacità di combattere non avendo nessuna chance di successo in uno scontro reale con un aereo sono solo alcuni dei maggiori problemi finora riscontrati nell'F-35;
    l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili» perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AM-X e gli AV-8 B, senza tuttavia alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, considerati gli impegni internazionali italiani;
    nel 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
    tali condizioni, in parte già espresse anche in precedenza, non hanno trovato riscontro nell'avanzamento del progetto: gli oneri previsti per l'Italia nelle prime tre fasi ammontano a 1.942 milioni di dollari a cui vanno aggiunti gli oltre 800 milioni di euro per la costruzione della FACO a Cameri (Novara); contestualmente le nostre industrie hanno ottenuto appalti per circa 800 milioni di dollari, a fronte dei circa 3 miliardi di euro spesi fanno un ritorno di poco sopra al 20 per cento delle spese, che difficilmente renderà possibile un ritorno di circa 14 miliardi di euro, cioè il 100 per cento più volte sbandierato dai Governi che hanno sostenuto questo progetto;
    fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbe al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l’Eurofighter;
    il Parlamento ha approvato una legge delega al Governo che prevede un taglio di 30.000 militari e del 30 per cento delle strutture, portando i risparmi conseguiti all'investimento, in particolare sull'F35;
    secondo quanto rivelato dal quotidiano britannico Guardian, il Pentagono ha stanziato 11 miliardi di dollari per ammodernare il proprio arsenale di bombe atomiche, comprese quelle depositate nelle basi americane all'estero o in quelle di Paesi alleati;
    si tratta di 200 bombe B61 a caduta libera depositate nelle basi Nato europee in Belgio, Olanda, Germania e Turchia; in Italia risultano esserci 90 bombe di cui 50 custodite nella base di Aviano in Friuli e 40 a Ghedi, vicino a Brescia, anche se le ultime stime parlano della metà, cioè 20;
    degli 11 miliardi di dollari stanziati, 10 servirebbero per prolungare la vita operativa delle B61 e 1 miliardo per dotare gli ordigni di alette di coda per trasformarle in bombe atomiche guidate;
    le nuove B61-12 al contrario delle vecchie B61, che hanno il sistema di puntamento analogico, avranno il puntamento digitale, compatibile con i sistemi elettronici dell'F35-A;
    anche se il nostro Paese ha aderito al trattato di non proliferazione nucleare, in base all'accordo Nato di condivisione nucleare «Nuclear Sharing agreements» si prevedono una serie di impegni di condivisione di strutture ed infrastrutture: oltre allo stoccaggio delle bombe, che restano sotto il controllo degli Stati Uniti, è previsto l'addestramento di piloti italiani per il possibile uso delle armi e la partecipazione italiana alle riunioni del Nuclear Planning Committee della Nato;
    il programma dell'F35 è diventato un progetto dal costo elevato a fronte di prestazioni peraltro incerte e non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative, che rischia anche di compromettere le politiche di disarmo;
    in una scuola su tre (su due al Sud) mancano i certificati di sicurezza. Migliaia stanno su territori a rischio sismico o idrogeologico. Si tratta non solo dell'intonaco che cade, dell'infiltrazione d'acqua, dell'umidità. Lo stato dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è drammatico, al punto che in alcune città le amministrazioni si trovano nel dilemma se aprire una scuola non a norma o lasciare a casa i bambini;
    dei 42mila edifici scolastici presenti in tutta Italia il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 47,81 per cento non rispetta le norme anti incendio. Più del 60 per cento non è dotato neppure di scale di sicurezza o porte anti panico. E poi ci sono le strutture con l'amianto (11,13 per cento) e quelle con il radon, un gas radioattivo. Oltre il 60 per cento delle scuole ha più di 40 anni. Se poi si aggiunge che per via della loro ubicazione territoriale le nostre scuole sono soggette al rischio sismico, idrogeologico, vulcanico, industriale, il panorama assume tratti drammatici tanto da connotarsi come un'emergenza;
    ma non è solo la messa in sicurezza straordinaria a mancare. Gli enti locali non hanno più i fondi neanche per la manutenzione: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento;
    secondo un'indagine di Legambiente, sono ben 6.633 i comuni in cui sono presenti aree ad alta criticità idrogeologica, l'82 per cento del totale delle amministrazioni comunali italiane. Dal 1950 al 2009 sono state oltre 6.300 le vittime del dissesto idrogeologico;
    gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto, sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni ’90, a 4-5 all'anno;
    secondo i recenti dati forniti dal Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico, e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
    a questo si aggiunge il crescente grado di rischio di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
    nell'anno scolastico 2010/2011, secondo l'Istat, risultano iscritti agli asili nido comunali 157.743 bambini di età tra zero e due anni, mentre altri 43.897 usufruiscono di asili nido convenzionati o sovvenzionati dai comuni, per un totale di 201.640 utenti;
    nel 2010 la spesa imperniata per gli asili nido da parte dei comuni o, in alcuni casi, di altri enti territoriali delegati dai comuni stessi è di circa 1 miliardo e 227 milioni di euro, al netto delle quote pagate dalle famiglie;
    fra il 2004 e il 2010, nonostante il graduale ampliamento dell'offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9 per cento dei residenti tra zero e due anni dell'anno scolastico 2003/2004 all'11,8 per cento del 2010/2011, mentre rimangono molto ampie le differenze territoriali: la percentuale di bambini che usufruisce di asili nido comunali o finanziati dai comuni varia dal 3,3 per cento al Sud al 16,8 per cento al Nord-est,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35;
   a procedere in tempi rapidi ad una attenta ridefinizione del modello di difesa italiano sulla base del dettato costituzionale e della politica estera italiana, affermando un ruolo centrale per la politica europea e sostenendo il ruolo di peacekeeping per le Forze armate;
   a subordinare qualsiasi decisione sui sistemi d'arma da acquisire alla definizione del modello di difesa;
   ad attivare meccanismi che favoriscano la riconversione dell'industria legata alla produzione delle armi, al fine di salvaguardare i posti di lavoro che verrebbero a mancare per la sospensione di alcuni programmi di nuovi sistemi d'arma;
   ad attivarsi presso la Nato e gli Stati Uniti per chiedere una immediata rimozione di qualsiasi ordigno nucleare presente sul nostro territorio;
   a destinare le somme così risparmiate ad un programma straordinario di investimenti pubblici riguardanti piccole opere e finalizzato – ad esempio – alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, alla tutela del territorio nazionale dal rischio idro-geologico, e alla realizzazione di un piano pluriennale per l'apertura di asili nido.
(1-00051) «Marcon, Spadoni, Beni, Aiello, Agostinelli, Amoddio, Airaudo, Alberti, Bossa, Boccadutri, Artini, Bruno Bossio, Franco Bordo, Baldassarre, Capone, Costantino, Barbanti, Civati, Di Salvo, Baroni, Coccia, Duranti, Basilio, Fossati, Daniele Farina, Battelli, Incerti, Claudio Fava, Bechis, Mognato, Ferrara, Benedetti, Raciti, Fratoianni, Massimiliano Bernini, Scuvera, Giancarlo Giordano, Paolo Bernini, Zanin, Kronbichler, Nicola Bianchi, Zappulla, Lacquaniti, Bonafede, Lavagno, Brescia, Matarrelli, Brugnerotto, Melilla, Businarolo, Migliore, Busto, Nardi, Cancelleri, Nicchi, Cariello, Paglia, Carinelli, Palazzotto, Caso, Pannarale, Castelli, Pellegrino, Catalano, Piazzoni, Cecconi, Pilozzi, Chimienti, Piras, Ciprini, Placido, Colletti, Quaranta, Colonnese, Ragosta, Cominardi, Ricciatti, Corda, Sannicandro, Cozzolino, Scotto, Crippa, Zan, Currò, Zaratti, D'Ambrosio, Dadone, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Furnari, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Labriola, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini, Zolezzi».

Risoluzione in Commissione:


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 36 della Costituzione stabilisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa;
    troppo spesso il dettato costituzionale viene disatteso o malamente applicato, la realtà dei fatti in cui si imbattono quotidianamente migliaia di lavoratrici e lavoratori è caratterizzata da dinamiche non sempre rispondenti a criteri di giustizia e di equità; sono, infatti, sempre più numerose le categorie soggette a deboli tutele contrattuali e costrette, pur di non essere espulse dal mercato del lavoro, ad accettare retribuzioni inique e poco dignitose;
    il sistema rischia di assumere forme patologiche; a subirne le conseguenze sono soprattutto i giovani, esposti in misura esponenziale a una condizione di fragilità lavorativa – sia in termini remunerativi che di tutele – che frequentemente condiziona il percorso professionale per tutto il resto della vita;
    a tale riguardo i dati – aggiornati alla fine del 2011 – attinenti alle retribuzioni medie dei lavoratori impiegati con contratti di collaborazione a progetto, iscritti in via esclusiva alla gestione separata Inps, sono esemplificativi: la retribuzione media di tali lavoratori è stata pari a 8.290 euro, una cifra assolutamente non rispondente alla qualità e alla tipologie di prestazione fornite e di gran lunga insufficiente a garantire livelli di vita decorosi; tale dato risulta ancor più sconfortante se si tiene conto dell'alto livello di scolarizzazione degli interessati – nella gran parte dei casi titolari di un diploma di laurea – e soprattutto se si considera che tale valore medio è il risultato di un divario tra uomini e donne è di circa 4 mila euro a sfavore delle lavoratrici;
    il recente provvedimento di riforma del mercato del lavoro, legge 28 giugno 2012, n. 92, ha effettuato un primo intervento volto a meglio regolamentare la disciplina dei corrispettivi dei contratti a progetto, modificando l'articolo 65 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e stabilendo che la retribuzione non possa essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività e che in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non possa essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto;
    nel frattempo, l'Istat, nel rapporto annuale 2013, appena pubblicato, individua nella caduta del reddito disponibile, che ha causato una profonda contrazione dei consumi delle famiglie, una delle principali determinanti dell'attuale recessione; nel 2012 il potere d'acquisto delle famiglie è diminuito del 4,8 per cento; si tratta, sempre stando alla pubblicazione dell'Istituto, di una caduta di intensità eccezionale, che giunge dopo un quadriennio caratterizzato da una continua flessione;
    durante questo periodo il reddito delle famiglie, al netto dell'inflazione, è diminuito di quasi il 10 per cento, ritornando a un livello pari a quello di venti anni fa;
    anche la precarizzazione e il mancato riconoscimento economico della attività professionale conducono a forme di progressivo depauperamento di intere categorie sociali e generazionali, favorendo la crescita di un fenomeno che ha ormai assunto dimensioni degne di una emergenza: nel 2013 il numero dei «poveri» supererà i 4 milioni (più del 6 per cento della popolazione);
    nella situazione attuale, contrassegnata dalla più lunga e profonda crisi economica e sociale che il Paese abbia conosciuto dalla fine della guerra, si avverte la necessità di reagire a questo apparentemente inarrestabile processo di deterioramento delle condizioni di vita di una vasta fascia di popolazione, ponendosi l'obiettivo di un ritorno alla crescita armonico e solidale, all'interno di una cornice di riaffermazione dei diritti e della legalità;
    come autorevolmente dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri Letta il 29 aprile 2013, nel discorso di insediamento alla Camera dei deputati, le questioni attinenti al lavoro devono essere «la prima priorità del Governo»;
    nel medesimo periodo anche il Governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, in occasione della cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Scienze Politiche da parte dell'Università LUISS «Guido Carli», svoltasi il 6 maggio 2013, ha ribadito, ai fini della sostenibilità della crescita, l'importanza della distribuzione del reddito, sostenendo che «da quasi vent'anni, è in atto una tendenza alla concentrazione dei redditi delle famiglie in Europa che penalizza i più deboli, come testimoniano le statistiche pubblicate dall'Eurostat. Una più equa partecipazione ai frutti della produzione della ricchezza nazionale contribuisce a diffondere la cultura del risparmio e, dunque, della compartecipazione. Sentirsi parte integrante della nazione e cointeressati alle sue sorti economiche aumenta la coesione sociale e incentiva comportamenti economici individuali che conducono, nell'aggregato, al successo economico della collettività»;
    l'adozione da parte del Governo di interventi volti a promuovere l'equità retributiva rappresenterebbe un segnale altamente indicativo della reale volontà di incidere profondamente, mitigandole, sulle distorsioni che attualmente caratterizzano il mondo del lavoro;
    un primo passo verso un restringimento delle disuguaglianze originate da un mercato del lavoro eccessivamente frammentato e spesso foriero di ingiustizie deve essere compiuto anche mediante l'adozione di politiche volte a rendere più eque e proporzionali le retribuzioni; le vaste differenze attualmente esistenti tra lavoratori impegnati in prestazioni di carattere analogo non possono più essere tollerate;
    relativamente alle varie tipologie lavorative, sussistono ancora aree settoriali non regolate dalla contrattazione collettiva, per le quali non vige alcuna forma di disciplina delle retribuzioni – affidate, quindi, alla libera contrattazione delle parti – con evidenti asimmetrie tra i contraenti;
    primi confortanti segnali in direzione di una presa di coscienza del problema e della possibilità di incamminarsi su un percorso virtuoso provengono dalla recente approvazione della legge 31 dicembre 2012, n. 233, istituente l'equo compenso nel settore giornalistico, finalizzata a promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo;
    l'obiettivo di garantire a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori la corresponsione di una remunerazione realmente proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenuto conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione svolta, consentirebbe, finalmente, di dare attuazione alla volontà dei costituenti,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie iniziative volte a istituire, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, una Commissione per la valutazione dell'equo compenso, nei settori o per le modalità lavorative nei quali non esiste una specifica disciplina contrattuale delle retribuzioni, che abbia il compito di definire l'equo compenso dei lavoratori subordinati, o autonomi ovvero professionisti, avuto riguardo alla natura e alle caratteristiche della prestazione nonché in coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei titolari di un rapporto di lavoro subordinato di settori contigui ovvero equivalenti.
(7-00018) «Gribaudo, Paris, Madia, Gnecchi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ERMINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Figline Valdarno (Firenze) ha sede uno stabilimento della società PIRELLI ove si produce lo steel cord; lo stabilimento occupa 390 lavoratori;
   la PIRELLI ha manifestato l'intenzione di esternalizzare la produzione dello steel cord poiché non rientrerebbe più nel suo core business;
   il settore steel cord occupa in tutto il mondo circa 2500 lavoratori producendo il componente sia per la stessa PIRELLI che per altre prestigiose aziende –:
   di quali informazioni disponga il Governo in ordine alla vicenda suesposta;
   quali siano gli interventi che il Governo intenda mettere in atto per scongiurare conseguenze per i lavoratori, le loro famiglie e per l'intero tessuto sociale del Valdarno superiore. (3-00081)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 15 maggio 2013 Insiel, la società di Information technology della regione Friuli Venezia Giulia, e l'Associazione italiana per la sicurezza informatica (Clusit) hanno organizzato a Trieste il «Security summit FVG», un convegno sulla sicurezza informatica;
   durante l'evento è stato presentato il «Rapporto Clusit 2013 sulla sicurezza Ict in Italia» secondo il quale nel 2012 il nostro Paese è stato segnato da un incremento non solo di incidenti ma anche di veri e propri crimini informatici, balzati in un anno dal 36 per cento al 54 per cento, spesso legati all'utilizzo superficiale dei nuovi strumenti di comunicazione – come i social network – e alla diffusione di informazioni personali condivise in rete;
   il convegno ha evidenziato le competenze necessarie e le buone pratiche per una corretta gestione della sicurezza delle informazioni sia da parte di utenti privati che di amministrazioni pubbliche, nel quadro delle misure previste dalla cosiddetta «Agenda digitale per l'Italia», contenute nel decreto-legge n. 83 del 2012 – convertito con modificazioni in legge n. 134 del 2012 – e nel decreto-legge n. 179 del 2012, convertito con modificazioni in legge n. 221 del 2012;
   il presidente di Insiel, Sergio Brischi, ha confermato l'importanza della sicurezza delle reti informatiche prefigurando, grazie agli investimenti della regione Friuli Venezia Giulia, non solo il superamento del digital divide locale ma anche la costituzione di un sistema integrato tra le amministrazioni «tale da sgravare gli enti che lo utilizzano da tutta una serie di problematiche di base quali, ad esempio la gestione fisica di macchine e apparati, la gestione fisica e logica della sicurezza, con conseguente risparmio complessivo dei costi» –:
   quali iniziative l'esecutivo intenda adottare per favorire la diffusione di modelli e soluzioni di cloud computing e best practice per le amministrazioni centrali come quelle individuate da Insiel e se intenda accelerare la realizzazione degli interventi previsti dall'Agenda digitale per l'Italia che registrano un notevole ritardo. (4-00565)


   BRUNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in un servizio mandato in onda da una nota trasmissione televisiva, Le Iene, si affermava che alcuni parlamentari sarebbero stati regolarmente retribuiti da alcune lobby per favorire i loro interessi sin dalla fase di predisposizione delle norme di legge e che tali comportamenti, al di fuori della necessaria trasparenza e regolamentazione, finiscono per nuocere gravemente al ruolo del Parlamento;
   non può più essere trascurata la necessità di approvare una legge che regolamenti il rapporto tra Parlamento e gruppi di interesse per tutelare l'onorabilità dei decisori pubblici, dei lobbisti onesti e per informare il cittadino su meccanismi di formazione della decisioni che devono essere assolutamente trasparenti;
   se il superamento del sistema di rimborsi elettorali attualmente in vigore si traducesse nella sola privatizzazione del finanziamento ai partiti in una situazione poco chiara si finirebbe per essere ancora più esposti a fenomeni di corruzione o presunta tale;
   i rapporti con i portatori di interessi legittimi, che dovrebbero essere improntati alla collaborazione necessaria per realizzare norme maggiormente utili al Paese, non possono essere inquinati anche solo dal sospetto di pratiche illecite –:
   se il Governo sia a conoscenza di denunce presentate e di indagini in corso, avviate a seguito della trasmissione in questione, per accertare la veridicità di quanto descritto dalla persona intervistata dalle Iene;
   se il Governo intenda intervenire per assumere iniziative normative per disciplinare le attività di rappresentanza di interessi presso le istituzioni. (4-00571)


   OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FERRARI, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, SANI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VALIANTE, VENITTELLI e ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che i 19 dipendenti della Società Buonitalia spa sono stati oggetto di una procedura di licenziamento conclusasi il 16 maggio 2013;
   la società Buonitalia nasce quale società per azioni a capitale interamente pubblico il 4 luglio 2003 quale strumento operativo-funzionale ed organico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con le finalità di promuovere e diffondere nel mondo la conoscenza del patrimonio agricolo e agroalimentare italiano; erogare servizi al sistema delle imprese agroalimentari al fine di favorirne l'internazionalizzazione; tutelare le produzioni italiane attraverso la registrazione e la difesa giuridica internazionale dei marchi associati alle produzioni nazionali di origine;
   nel corso dell'assemblea straordinaria dei soci del 13 settembre 2012, preso atto della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, sono stati deliberati lo scioglimento e la messa in liquidazione di Buonitalia spa, ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, numero 4, del codice civile, e dell'articolo 30.1 dello statuto della società;  
   la XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati della scorsa legislatura, nella seduta dell'11 aprile 2012, ha approvato la risoluzione n. 7-00823 con la quale si impegnava, tra l'altro, il Governo a valutare l'opportunità di salvaguardare le posizioni dei lavoratori dipendenti dalla società, anche attraverso il trasferimento al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali o ad altri organismi;
   il comma 18-bis dell'articolo 12 del decreto-legge n. 94 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha previsto che con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sia disposto il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane della società Buonitalia spa, che contestualmente veniva soppressa, all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e che con ulteriore decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione venga disposto il trasferimento delle eventuali risorse strumentali e finanziarie residue di Buonitalia spa in liquidazione all'Agenzia;
   sempre il medesimo comma dispone che i dipendenti a tempo indeterminato in servizio presso la predetta società al 31 dicembre 2011, previo espletamento di apposita procedura selettiva da espletare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali dell'ente, di verifica dell'idoneità, sono inquadrati nei ruoli dell'ente di destinazione sulla base di un'apposita tabella di corrispondenza approvata con il predetto decreto. I dipendenti trasferiti mantengono il trattamento economico fondamentale, percepito al momento dell'inquadramento. Nel caso in cui il trattamento economico predetto risulti più elevato rispetto a quello previsto per il personale dell'Agenzia i dipendenti percepiscono per la differenza un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti;
   in attuazione del comma 18-bis è stato emanato il decreto ministeriale 28 febbraio 2013, recante disposizioni per il trasferimento delle funzioni e delle risorse della società Buonitalia spa all'ICE, contenente un allegato con l'elenco delle risorse umane di Buonitalia spa in liquidazione a tempo indeterminato al 31 dicembre 2011 –:
   quali siano le ragioni che hanno ostato all'attuazione della norma contenuta nel comma 8-bis dell'articolo 12 del decreto-legge n. 95 del 2012 e come intenda il Governo agire per risolvere gli eventuali ostacoli burocratici che si sono frapposti alla volontà espressa nel dettato normativo richiamato di salvaguardare il personale di Buonitalia dal rischio di licenziamento, attraverso il loro inquadramento nei ruoli dell'ICE. (4-00573)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 maggio 2013 una nube di smog industriale proveniente dal polo petrolchimico di Priolo ha avvolto l'abitato dei comune di Melilli costringendo la popolazione a trincerarsi a casa e mettendo in allarme la protezione civile;
   per diverse ore, il comune di Melilli è stato vittima di una grave emergenza ambientale;
   la nube ha coperto l'abitato del comune di Melilli ed ha causato malori e panico tra la popolazione, tanto da indurre il centro operativo del 118 e la guardia medica a contattare la protezione civile per attivare l'unità di crisi;
   dalle notizie apprese a mezzo stampa le aziende del petrolchimico industriale site nel territorio dei comuni di Augusta, Melilli e Priolo hanno negato anomalie agli impianti e le centraline per il rilevamento delle sostanze inquinanti del Cipa, dell'Enel e della provincia non hanno presentato nessun parametro fuori controllo;
   il grave episodio del 18 maggio 2013 è l'ultimo, in ordine di tempo, dei fenomeni ambientali che si sono registrati nel territorio;
   la protezione civile ha riferito che non tutti i gas solforati vengono rilevati dalle centraline di monitoraggio e che questo sistema ha bisogno di un aggiornamento tecnico;
   esistono infatti alcune sostanze di derivazione industriale che non rientrano nei decreti sulla qualità ambientale;
   l'assenza di un supporto strumentale utile impedisce a fare scattare urgenti e significative misure capaci di mettere in sicurezza la cittadinanza e tutelare quindi la salute degli stessi oltre che salvaguardare l'ambiente;
   il sindaco di Melilli, con una nota ufficiale, ha richiesto la costituzione presso la prefettura di Siracusa di un tavolo tecnico con lo scopo di avviare interventi proficui che possano contrastare l'impatto nefasto sull'atmosfera di sostanze di chiara natura industriale;
   l'area interessata dagli eventi sopra esposti è un «Sito di interesse nazionale ai fini di bonifica»;
   che alcune delle azione del petrolchimico industriale del SIN risultano inseriti nell'inventario degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti ai sensi dell'articolo 15, comma 4, del decreto legislativo n. 334 del 1999 –:
   se in ragione dell'estrema gravità dei fatti e dei tempi prolungati di esposizione ai fattori inquinanti e patogeni da parte della popolazione e dell'ambiente, non si ritenga di adottare tutte le iniziative volte a fronteggiare la gravissima criticità sanitaria e ambientale delle aree esposte in premessa;
   se non si intenda avviare una seria indagine, volta a valutare con certezza le conseguenze sanitarie e ambientali a cui è stata soggetta nel tempo la popolazione, e i rischi attuali a cui è ancora sottoposta, anche attraverso l'attivazione di adeguati e capillari controlli sanitari sulla popolazione interessata, e un serio monitoraggio ambientale delle aree interessate;
   se non si ritenga necessario attivarsi affinché tutti i dati sanitari e ambientali che sono e saranno in possesso dei soggetti istituzionali siano resi pubblici e disponibili per i cittadini. (5-00169)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE LORENZIS, DI BATTISTA, COMINARDI, TRIPIEDI, FICO, LUIGI GALLO, BONAFEDE, ALBERTI, BARONI, BATTELLI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, NICOLA BIANCHI, BRUGNEROTTO, CARINELLI, CASTELLI, CATALANO, CECCONI, COLONNESE, CURRÒ, DA VILLA, DALL'OSSO, D'AMBROSIO, DEL GROSSO, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BENEDETTO, MANLIO DI STEFANO, DI VITA, D'UVA, FRACCARO, FURNARI, GAGNARLI, GALLINELLA, SILVIA GIORDANO, L'ABBATE, LIUZZI, LOREFICE, MANTERO, NESCI, PARENTELA, PESCO, PRODANI, RIZZETTO, SCAGLIUSI, SEGONI, SIBILIA, SORIAL, SPADONI, TERZONI, TOFALO, SIMONE VALENTE, VALLASCAS, VIGNAROLI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 luglio 2012, su richiesta della procura di Taranto, il GIP Patrizia Todisco dispone il sequestro preventivo, senza facoltà d'uso, degli impianti dell'area a caldo dell'Ilva parlando di disastro ambientale. Nell'ordinanza viene inoltre affermato che «chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza» e, con specifico riferimento al problema delle polveri, che, con precedenti sentenze del tribunale, «è stato chiaramente ribadito che tutte le misure introdotte si sono rivelate, a tutto concedere, un'abile opera di maquillage, verosimilmente dettata dall'intento di lanciare un segnale per allentare la pressione sociale e/o delle autorità locali ed ambientali – ma non possono essere considerati il massimo in termini di rimedi che si potevano esigere, nel caso concreto, al cospetto della conclamata inefficacia dei presidi in atto ad eliminare drasticamente il fenomeno dello spolverio»;
   il 26 novembre 2012, in concomitanza con una seconda ondata di arresti sulla base dell'inchiesta per disastro ambientale e di un'altra parallela chiamata «ambiente svenduto», il GIP dispone il sequestro del prodotto finito e semilavorato giacente sulle banchine perché ottenuto utilizzando gli impianti che erano sotto sequestro per un totale, da quanto appreso a mezzo stampa, di 1,8 milioni di tonnellate di acciaio, per un valore di un miliardo di euro;
    il 3 dicembre 2012, il Governo Monti ha emanato il decreto n. 207, convertito dalla legge il 24 dicembre 2012, recante «Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2013, n. 2, dove viene stabilito che «in presenza di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione, il Ministro dell'ambiente possa autorizzare mediante autorizzazione integrata ambientale la prosecuzione dell'attività produttiva di uno o più stabilimenti per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi e a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nella medesima autorizzazione, secondo le procedure e i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili», autorizzando, così, di fatto, l'Ilva a produrre e restituendo all'azienda il possesso dei beni, nonostante i decreti di sequestro;  
   il comma 3 dell'articolo 3 di suddetto decreto, infatti, stabilisce che «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per un periodo di trentasei mesi, la società ILVA SpA di Taranto è immessa nel possesso dei beni dell'impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento di cui al comma 2, alla prosecuzione dell'attività produttiva nello stabilimento e alla commercializzazione dei prodotti, ivi compresi quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ferma restando l'applicazione di tutte le disposizioni contenute nel medesimo decreto»;
   la sopracitata azienda privata, dunque, a differenza di altre aziende, gode di un riconoscimento particolare poiché considerata di interesse strategico nazionale;
   l'articolo 1, comma 2, prevede che «nei casi di cui al comma 1 – ovvero in presenza di stabilimenti strategici nazionali – le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale, nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame»;
   l'articolo 1, comma 3, dello stesso decreto-legge dispone che: «la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di prosecuzione dell'attività produttiva è punita con sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato» e che la sanzione viene irrogata dal prefetto competente per territorio;
   all'articolo 3 comma 4 viene disciplinata la nomina di un garante che, avvalendosi dell'ISPRA, con il supporto dell'agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente, viene incaricato di vigilare sull'attuazione delle disposizioni contenute in suddetto decreto;
   tale garante «acquisisce le informazioni e gli atti ritenuti necessari che l'azienda, le amministrazioni e gli enti interessati devono tempestivamente fornire, segnalando al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute eventuali criticità riscontrate nell'attuazione della predetta autorizzazione e proponendo le idonee misure»;
   in data 12 marzo 2012 l'ISPRA redigeva la relazione trimestrale che accertava il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nel decreto del riesame del 26 ottobre 2012, numerando 22 prescrizioni relative ad «interventi parzialmente completati, ovvero per i quali è stato riscontrato l'inizio dell'adeguamento, ma il cui completamento risulta prevedibilmente differito rispetto alle previsioni»;
   nella stessa nota l'ISPRA segnala anche l'accertamento di talune violazioni dei limiti emissivi prescritti, in particolare alle prescrizioni 41, 42 e 49;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Corrado Clini, nel primo trimestre 2013, dando riscontro all'interrogazione dei parlamentari Bratti, Mariani e Ferranti ha affermato che «in data 21 marzo 2013 ISPRA ha successivamente segnalato alcune non conformità rispetto al provvedimento di AIA, indicando le azioni correttive da intraprendere. Di conseguenza, il Ministero ha prontamente diffidato ILVA a porre in essere le azioni correttive al fine eliminare le difformità riscontrate» e che «si è attualmente in attesa dei riscontri da parte di ILVA in merito alla realizzazione delle misure indicate»;
   il 26 marzo 2013 il garante segnalava le criticità riscontrate al signor prefetto di Taranto;
   il prefetto di Taranto, in risposta ad una richiesta del 20 aprile 2013 protocollata dal Meet Up 192 – Amici di Beppe Grillo Taranto, affermava che «si ribadisce che quest'Ufficio procederà ad istruire e perfezionare i procedimenti sanzionatori previsti dall'articolo 1 del decreto-legge n. 207 del 3 dicembre 2012, come convertito nella legge n. 231 del 24 dicembre 2012, non appena perverrà, da parte dell'organo di accertamento, il rapporto di cui all'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689»;
   il garante, in data 30 aprile 2013, a seguito della richiesta inviatagli dal «Meet Up 192 – Amici di Beppe Grillo Taranto», ha risposto scrivendo che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Direzione Generale Valutazioni Ambientali prot. DVA – 2013 – 0009754 – del 29 marzo 2013), con nota del 29 aprile 2013, ha chiarito che nel procedimento previsto dal terzo comma dell'articolo 1 del decreto legge n. 207 del 2012, la competenza alla contestazione dell'infrazione appartiene all'ISPRA, mentre spetta al Prefetto l'irrogazione della sanzione;
   il 3 maggio 2013, il «Meet Up 192 – Amici di Beppe Grillo Taranto» via PEC chiedeva all'ISPRA di inviare entro e non oltre la data del 15 maggio 2013, la contestazione dell'infrazione e tutto quanto necessario al fine di irrogare le sanzioni previste dal comma 3, dell'articolo 1 del decreto-legge n. 207 del 2012, nella misura massima del 10 per cento del fatturato della società, risultante dall'ultimo bilancio approvato, in considerazione di quanto sopra esposto;
   da quanto si apprende a mezzo stampa, e denunciato dal Legambiente, l'Ilva avrebbe chiesto numerose proroghe, anche rilevanti dal punto di vista dei tempi di adempimento di alcune importanti prescrizioni, che intervengono su aspetti particolarmente inquinanti della produzione, come ad esempio la prescrizione «6» – relativa alla chiusura nastri e cadute di materiali sfusi che l'Aia imponeva entro gennaio 2013 e l'Ilva pospone al 2015 – e la prescrizione «12 in merito alla nebulizzazione di acqua (fog cannon) al fine di ridurre le emissioni diffuse dei parchi minerali posposta ad ottobre del 2013 in luogo della prevista scadenza di ottobre 2012;
   qualora il Governo concedesse ulteriori proroghe si rischierebbe, a detta degli interroganti, di sacrificare, per l'ennesima volta, la salute dei cittadini di Taranto e l'ambiente limitrofo agli impianti dell'ILVA;
   ad oggi, nonostante le numerose criticità riscontrate, non sono state ancora irrogate le sanzioni previste;
   l'ILVA, sempre a detta degli interroganti, non avrebbe ancora predisposto un piano industriale e non risulta essere stato redatto neanche un piano finanziario a garanzia della copertura degli stessi interventi necessari ai fini dell'adempimento delle prescrizioni dell'Aia;
   l'azienda, dopo aver subito la scissione del «gruppo Riva» in «RIVA Forni elettrici» e «ILVA SpA» ha dichiarato più volte, nei mesi scorsi anche a mezzo stampa, di avere dei problemi finanziari e di riscontrare, dunque, difficoltà nel pagamento gli stipendi –:
   quali siano le motivazioni che ad oggi hanno impedito l'irrogazione delle sanzioni previste dal decreto;
   se i Ministri interrogati intendano concedere le proroghe richieste dall'Ilva;
   quali siano le intenzioni del Governo e se non si ritenga necessario intervenire con fermezza e decisione nel richiedere all'azienda le motivazioni che hanno impedito, tutt'oggi l'adozione da parte dell'Ilva del piano industriale e del piano finanziario degli investimenti, così come richiesti nell'Aia;
   quali provvedimenti si intendano adottare nel caso in cui l'Ilva non rispettasse quanto disposto nell'Aia;
   se il Governo abbia già previsto soluzioni alternative al fine di salvaguardare la salute e l'ambiente dei cittadini di Taranto da una parte e il reddito dei lavoratori impiegati nello stabilimento, dall'altra. (4-00578)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GASPARINI, MALPEZZI e RAMPI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia e il Ministero per i beni e le attività culturali hanno sostenuto e collaborato alla realizzazione del museo della fotografia contemporanea fin dalla fase di avvio del progetto nel 1998, il progetto voluto dalla provincia di Milano e dal comune di Cinisello Balsamo rispondeva al grave ritardo con cui l'Italia riconosceva la fotografia e prevedeva che si istituisse presso la Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo il primo museo pubblico in Italia dedicato alla fotografia contemporanea e più in generale all'immagine tecnologica;
   il patrimonio fotografico del museo di fotografia contemporanea comprende 29 fondi fotografici di proprietà e di pertinenza della provincia di Milano e del comune di Cinisello Balsamo, fondatori del Museo, della regione Lombardia, della fondazione e di privati che hanno depositato al museo la propria collezione o l'archivio, per un totale di un milione e ottocentomila immagini, stampe fotografiche in bianco e nero e a colori di più di seicento autori italiani e stranieri; l'insieme costituisce uno spaccato significativo della fotografia italiana e straniera dal dopoguerra ad oggi;
   il patrimonio librario del museo comprende diciottomila libri e annate di riviste, provenienti da acquisti e scambi con altre istituzioni;
   il museo ha realizzato nel corso degli anni più di 30 mostre, esponendo artisti di rilevanza internazionale, ha pubblicato 20 libri tra i quali i quaderni di studio dedicati alla riflessione teorica sulla ricerca fotografica e sul rapporto fra la fotografia e le altre arti e discipline espressive;
   dal 2005 è gestito da una fondazione di diritto privato i cui soci sono la provincia di Milano e il comune di Cinisello Balsamo, nel 2010 è nata l'associazione Amici del museo che oggi conta circa 200 soci;
   la legge n. 237 del 1999 istituisce il museo della fotografia con il compito di raccogliere, conservare, valorizzare ed esporre al pubblico materiale fotografico con funzioni di ricerca nel campo delle attività di conservazione dei materiali e in quello delle tecnologie; la legge non riconosce al museo di Cinisello Balsamo questa funzione nazionale, né tanto meno indica altro luogo;
   la legge 12 luglio 1999, n. 237, articolo 1, comma 4, prevede che sia istituito un museo autonomo, vale a dire organismo del Ministero (come previsto dal decreto legislativo n. 368 del 1998) dotato di autonomia scientifica (fondamentale per poter svolgere non solo attività di ricerca ma anche di coordinamento e di indirizzo) e di autonomia gestionale e finanziaria, in merito all'organizzazione, all'amministrazione e alla facoltà di disporre di un proprio bilancio, di gestire cioè gli stanziamenti assegnati dal Ministero nonché i proventi esterni;
   la legge prevede immediatamente l'autorizzazione alla spesa per le attività di progettazione connesse alla realizzazione delle opere del museo, per gli interventi di adeguamento della sede (dal punto di vista edilizio, strutturale e funzionale) nonché a partire dal 2000, per il suo finanziamento;
   è previsto che il museo faccia riferimento alla direzione generale per l'architettura e l'arte contemporanea (DARC) del Ministero per i beni e le attività culturali;
   gli ultimi passi mossi a livello centrale per dare attuazione al dettato di legge risalgono, per quanto è dato sapere, al 2003, data del documento programmatico di una Commissione ministeriale incaricata dal Ministro pro tempore, di studiare la fattibilità di costituzione di un museo nazionale della fotografia con caratteristica di rete museale, intesa come la «forma giuridico-amministrativa meglio rispondente sia alla diffusione territoriale e al carattere del patrimonio fotografico italiano, sia alla specificità e alle funzioni delle diverse istituzioni già operanti nel settore, sia alle esigenze di coordinamento delle attività per la tutela, la gestione e l'incremento patrimoniale, conoscitivo e divulgativo»;
   a partire dal primo gennaio 2014 la provincia di Milano dovrebbe essere sciolta per fare spazio alla nuova istituzione della città metropolitana e questo dovrebbe determinare una trasformazione della compagine istituzionale della fondazione che gestisce il museo;
   le collezioni fotografiche e librarie, che vantano il primato in Italia per il contemporaneo, sono un patrimonio di valenza nazionale tutelato ai sensi del codice Urbani e che rischiano di essere smembrate e disperse qualora l'istituzione museale non dovesse trovare nuovi e più ampi sostegni;
   il Museo, nonostante le difficoltà economiche e le incertezze sulle prospettive future, ha saputo crescere diventando per l'area milanese, nazionale ed internazionale un riferimento scientifico riconosciuto per lo studio, la conservazione e la divulgazione della fotografia come arte contemporanea;
   in questi anni si è consolidata l'idea che sia strategico creare una rete museale nazionale per salvaguardare il patrimonio fotografico e per promuovere economie di scale, anche grazie all'utilizzo della tecnologia e alla costruzione di un portale nazionale condiviso della fotografia;
   la fotografia contemporanea si intreccia con le altre arti tecnologiche, sia sul piano produttivo che artistico, e che in questo contesto il museo può essere punto di riferimento per la formazione professionale e l'aggiornamento;
   se il Ministro interrogato intenda dare continuità al lavoro di attuazione della legge n. 237 del 1999, assumendo iniziative per riconoscere nell'unico museo della fotografia contemporanea operante in Italia il centro d'eccellenza a cui attribuire la funzione di museo della fotografia;
   se intenda garantire in tale quadro, nella fase di riorganizzazione istituzionale delle province e delle città metropolitane, che il patrimonio del museo della fotografia contemporanea sia salvaguardato nella sua unitarietà nella Fondazione museo fotografia Villa Ghirlanda partecipando e sostenendo la Fondazione che oggi è partecipata solo dalla provincia Milano e dal comune di Cinisello, e sostenere lo sforzo del comune di Cinisello Balsamo che ha investito su una iniziativa di scala nazionale credendo che sia necessario garantire anche attraverso la cultura politiche di riqualificazione di aree urbane. (5-00171)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   nella risposta all'interrogazione a risposta scritta n. 4-12681 nella XVI legislatura in merito alla questione della tutela dalla speculazione edilizia e sul tema della valorizzazione di Villa Arrigoni-Muti, sita nel comune di Grottaferrata (Roma), il Ministro per i beni e le attività culturali, pro tempore senatore Giancarlo Galan, tra le diverse considerazione fatte ha basato la risposta sulle seguenti affermazioni: «Il complesso monumentale (di Villa Arrigoni-Muti, ndr) è stato oggetto, in data 27 luglio 2011, di un sopralluogo espletato dalla competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, congiuntamente a rappresentanti dei comune di Grottaferrata e della Polizia municipale e, nell'occasione, non è stato rilevato alcun intervento in atto. Per quanto concerne la questione della vendita, agli atti della suddetta Soprintendenza non risultano avviate procedure per l'alienazione di parti, né dell'intero immobile. Relativamente alla trasformazione in condominio di appartamenti della Villa Muti, la Soprintendenza ha sempre sostenuto l'illegittimità del progetto concessionato, come anche di recente ribadito, su specifica richiesta dell'Amministrazione Comunale di Grottaferrata. La contestata Concessione Edilizia n. 49 del 2007 menzionata nell'atto di sindacato ispettivo in esame, è stata finalmente dichiarata decaduta dal comune di Grottaferrata, che ne ha dato comunicazione alla competente Soprintendenza in data 8 agosto 2011, con nota acquisita in atti il 25 agosto 2011, numero protocollo 25666»;
   la sopraccitata risposta è simile nei termini a quella trasmessa al circolo ECODEM del Partito democratico «Colli Tuscolani» dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, redatta in data 12 agosto 2011 a firma del Soprintendente ad interim, architetto Pierdominici;
   quanto enunciato nella sopraccitata missiva della Soprintendenza non risulta completamente aderente alla realtà, poiché, come accennato nell'atto 4-12681, l'annuncio di vendita pubblicato sui siti di due società specializzate nella vendita di immobili di grande pregio è senza alcun dubbio veritiero e risulta ad oggi ancora presente nel sito www.romainvestimenti.com;
   la Sa. Mo. Italia S.r.l., sul suo sito, ha in effetti pubblicizzato la vendita di 16 appartamenti ricavati proprio dal corpo centrale dell'immobile storico più altri 3 in un annesso, così come ha fatto «Roma investimenti di ASP Finance SpA». A sua volta sul sito: http://www.romainvestimenti.com/it/i-nostri-immobili/5-nobile-villa-arrigoni-muti anche se con qualche differenza nella composizione dell'offerta rispetto alla Sa. Mo. si legge: «L'articolazione della Villa è su quattro unità situate all'interno del corpo principale, per una superficie totale degli immobili pari a 6.500 metri quadrati, circondata dall'ampio parco di 68.500 metri quadrati. L'edificio principale è costituito da cinque livelli (piano terra, piano ammezzato, piano primo “nobile”, piano secondo e piano terzo». L'attenta opera di ristrutturazione della Villa ha interessato il consolidamento dei solai e delle facciate, il rifacimento del tetto, intonaco e tinteggiatura, recupero dei soffitti storici, restauro conservativo degli affreschi. Il restauro degli interni è attualmente in fase di ultimazione. Sulla base dei due progetti approvati, la destinazione d'uso dell'immobile è residenziale (17 appartamenti) e ad attività terziaria (albergo, ristorante, sale convegni);
   la risposta poi non chiarisce inoltre la delicata questione del restauro, già posta dalle segnalazioni di privati cittadini e dalle notizie apparse sulla stampa locale, che, nell'ottobre del 2007 descrissero alcune trasformazioni edilizie, lucernari e coperture poco coerenti con il restauro conservativo di un bene storico vincolato. Trasformazioni ad avviso dell'interrogante forse più compatibili con un cambio di destinazione d'uso ad interesse speculativo che a quanto pare, avrebbero stravolto irrimediabilmente una stupenda e unica villa storica trasformandola in un qualcosa di dubbia classificazione. Il risultato contrasta con il significato stesso di restauro se per azione di restauro si intende l'impegno di riportare alla funzionalità e fruibilità originarie un immobile di pregio, tutelato anche dalla legge;
   la sopraddetta ristrutturazione è stata, come già sottolineato, finanziata con 216.544,44 euro dalla «Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio del Lazio» e segnalata al Ministro per i beni e le attività culturali ed al comune di Grottaferrata oltre che alla stessa Soprintendenza, anche da varie associazioni locali;
   l'interrogante ha presentato sull'argomento un atto di sindacato ispettivo (4-13619) nella passata legislatura senza ottenere alcuna risposta –:
   se il Ministro per i beni e le attività culturali sia a conoscenza dei fatti e se, anche per tramite degli uffici territoriali competenti, considerati i profili dubbi riportati nelle premesse e che già erano stati segnalati nella interrogazione n. 4-12681 della XVI legislatura, se non ritenga utile verificare la conformità alle leggi e alla prassi del restauro architettonico di Villa Arrigoni-Muti;
   se non intenda, come peraltro il Ministro pro tempore Galan propose nella sua precedente risposta, farsi reale promotore di un «tavolo tecnico con l'amministrazione comunale e con la proprietà [...] al fine di addivenire ad una soluzione condivisa delle problematiche che hanno impedito finora la risoluzione della questione con l'individuazione di forme di rifunzionalizzazione del compendio monumentale», optando per una fruibilità a carattere universale ovvero pubblico.
(4-00566)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 21 maggio 2013 è stato pubblicato un articolo sul quotidiano online «Il Piccolo» relativo alla decisione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) di aumentare le tariffe della fornitura dell'acqua di cinque centesimi per metro cubo per alimentare un fondo in favore dei territori dell'Emilia Romagna colpiti dai recenti terremoti;
   il presidente della provincia di Gorizia Enrico Gherghetta, che siede al vertice della consulta d'ambito territoriale ottimale (Cato), ha duramente criticato quest'aumento paragonandolo a un'accisa e sostenendo che «annualmente, nell'Isontino, si registrano consumi d'acqua pari a 13 milioni di metri cubi. Ciò significa che applicando quella che definisco “l'iniqua tassa sull'acqua” dovremmo andare a chiedere alle famiglie dai 600 ai 700mila euro all'anno. Poniamo che un nucleo familiare consumi mediamente 200 metri cubi d'acqua in dodici mesi: significa che dovremmo appesantirle la bolletta di dieci euro»;
   Gherghetta ha poi precisato che chiaramente non è contrario all'istituzione di un fondo pro-terremotati, quanto piuttosto alla «nascita di un fondo permanente che oggi verrà si utilizzato in favore delle popolazioni dell'Emilia Romagna, poi si perpetuerà nel tempo: proprio come capita con le accise applicate al prezzo della benzina. Di fronte a questo scenario, non ci stiamo. Come Autorità d'ambito abbiamo già diffidato Irisacqua ad applicare tali aumenti»;
   l'articolo 21, comma 19, del cosiddetto «decreto salva Italia» (n. 201 del 2011), convertito dalla legge n. 214 del 2011, ha soppresso l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, trasferendo le competenze sulla regolazione e controllo dei servizi idrici all'Autorità per l'energia elettrica e il gas –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quest'aumento del costo dell'acqua, bene primario per la sopravvivenza, e se intendano individuare misure di altra natura a sostegno delle popolazioni terremotate che non gravino eccessivamente sui cittadini già duramente colpiti dalla crisi economica in corso.
(4-00576)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta orale:


   BARUFFI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il presidente del tribunale di Modena, in forza delle disposizioni del decreto legislativo n. 155 del 2012 che hanno imposto una razionalizzazione degli uffici giudiziari sul territorio nazionale, ha predisposto un programma di accorpamento al tribunale di Modena delle sopprimende sezioni distaccate di Sassuolo, Carpi e Pavullo nel Frignano;
   il comune di Pavullo nel Frignano ha promosso presso il TAR per l'Emilia-Romagna ricorso avverso il Ministero della giustizia, per ottenere l'annullamento del provvedimento;
   i ricorrenti – il comune di Pavullo e numerosi operatori del settore attivi nell'appennino modenese – lamentano l'illegittima applicazione delle norme di legge e la depauperazione di un territorio, quale quello montano, a detrimento degli interessi di famiglie imprese e cittadini ivi operanti. È bene ricordare che il tribunale di Pavullo eroga il proprio servizio ad un ampio bacino di utenza: oltre 64 mila persone sui 14 comuni ricompresi in una zona montana ricadente nell'obiettivo 5 dei Fondi strutturali europei e vasta 1.400 chilometri quadrati, pari a oltre la metà dell'intera provincia di Modena. La sezione distaccata del tribunale di Pavullo tratta annualmente un cospicuo numero di casi giudiziari (434 cause civili, 270 esecuzioni mobiliari, 257 procedure di volontaria giurisdizione e 122 cause penali con un pronunciamento medio nell'anno di 173 sentenze civili, 101 sentenze penali e 260 decreti ingiuntivi l'anno); avanti l'ufficio del giudice di pace di Pavullo risultano mediamente iscritte in un anno 367 cause civili e 40 procedimenti penali e l'ufficiale giudiziario addetto alla sezione distaccata di Pavullo esegue mediamente in un anno 1.500 notifiche e 665 pignoramenti mobiliari;
   la centralità del comune di Pavullo nel contesto montano modenese è confermata sia dalla scelta delle autorità statali di collocarvi la sede di importanti enti ed organismi pubblici (carabinieri, polizia stradale, corpo forestale, vigili del fuoco, protezione civile, l'Agenzia delle entrate, Equitalia e altro), sia dalla presenza di numerose ed importanti industrie nazionali;
   la soppressione ed il conseguente accorpamento del contenzioso trattato presso la sede centrale di Modena determinerebbe un probabile detrimento degli interessi degli utenti e dell'efficacia dell'azione giudiziaria;
   a ciò si aggiungano considerazioni attinenti alla viabilità, poiché i collegamenti stradali e gli inesistenti collegamenti ferroviari non consentono, quantomeno agli abitanti dei comuni più distanti (Fiumalbo, Pievepelago e altro), di raggiungere agevolmente e in tempi ragionevoli la sede del tribunale di Modena, determinando una discriminazione sostanziale per i cittadini della montagna rispetto ad un servizio essenziale;
   l'articolo 1, comma 2, legge n. 148 del 2011, di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011, conferiva al Governo delega per l'adozione di uno o più decreti legislativi volti a «riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza»;
   tra le indicazioni al Governo contenute nella delega, era presente quella di «procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale ... secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»;
   il decreto legislativo n. 155 del 2012, a giudizio dell'interrogante, si allontana dunque dai criteri dettati nella delega, prevedendo la soppressione tout court delle sezioni distaccate – fra cui la sede del tribunale di Pavullo entro settembre 2013 – senza tener conto delle peculiarità in termini di bacino di utenza, carichi di lavoro, accessibilità dei territori, e altro;
   il presunto risparmio della spesa pubblica con la riduzione della geografia giudiziaria è stato supposto al netto dei costi diretti e indiretti (recentemente riconosciuti dallo stesso Ministero) derivanti dalla chiusura d'ogni singolo ufficio giudiziario (spese per traslochi, indennità magistrati, reperimento, nuove sedi);
   il decreto concentra inoltre il riordino degli uffici giudiziari sulle città capoluogo di provincia (articolo 1, lettera a)), senza verificarne l'effettiva centralità rispetto al territorio da servire ed accentuando il rischio che grandi territori – segnatamente in una provincia policentrica quale quella di Modena – possano venire a trovarsi completamente sprovvisti di uffici giudiziari –:
   se sia al corrente dei fatti riportati in premessa;
   se non ritenga necessario riconsiderare i contenuti del decreto legislativo n. 155 del 2012 anche alla luce delle considerazioni sopra esposte e delle contraddizioni effettive che sta determinando rispetto alla delega ricevuta dal Governo;
   se non ritenga, in subordine, di riconsiderare quantomeno l'impatto di tali determinazioni rispetto ai territori più svantaggiati quali quelli montani;
   se non ritenga utile e necessario riconsiderare, alla luce di quanto evidenziato in premessa, il caso specifico della soppressione della sezione distaccata di Pavullo del tribunale di Modena, ricercando un'intesa con le istituzioni locali coinvolte. (3-00079)


   CAUSIN e MORETTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al decreto legislativo n. 155 del 2012 si è provveduto alla soppressione di alcuni tribunali minori e di tutte le sezioni distaccate dei tribunali e quindi delle sezioni distaccate di Chioggia, Dolo e San Donà che saranno accorpate al tribunale di Venezia;
   si prescinde da ogni valutazione sull'entità dei carichi di lavoro, nonché dalle sedi distaccate che saranno trasferite al tribunale di Venezia, così come si tralascia il fatto che il personale amministrativo delle sezioni nella sua stragrande maggioranza ha rifiutato di trasferirsi presso il tribunale di Venezia, centro storico;
   i lavori di sistemazione stradale per la realizzazione del collegamento tranviario tra Mestre e Venezia interesseranno il Ponte della Libertà, unico accesso a Venezia ed unico collegamento alla terraferma, oltre che altre strade di collegamento, per circa un anno, sicché raggiungere le sedi di giustizia sarà oltremodo problematico oltre che considerevolmente dispendioso;
   la questione riveste carattere di somma urgenza dal momento che il decreto legislativo n. 155 del 2012 ha fissato il termine del 13 settembre 2013 per la cessazione dell'attività giurisdizionale nelle sezioni distaccate;
   i comuni di Chioggia, Dolo e San Donà hanno presentato istanza al Ministero della giustizia per mantenere sui loro territori l'ufficio del giudice di pace che, come noto, era previsto venisse soppresso con tempistiche di attuazione però diverse da quelle stabilite per le sezioni distaccate. Tale sfasatura temporale, in una situazione geografica e strutturale come quella di Venezia, è sicuramente foriera di creare confusione e sconcerto nel cittadino-utente di giustizia, con possibili ripercussioni di ordine pubblico, anche in considerazione della situazione economica attuale –:
   se non ritengano di adottare ogni iniziativa di competenza che, nelle contingenze denunciate, permettano l'effettiva certezza di normale funzionamento del servizio giustizia, la cui inefficienza per contro costituirebbe oltretutto grave pericolo in termini di ordine pubblico date le accertate situazioni di realtà malavitose. (3-00080)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARIS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Avellino è stato chiamato a pronunziarsi su una denunzia per diffamazione a mezzo stampa promossa da un dirigente politico che si era sentito leso da un accostamento tra la sua attività politica e generici, in quanto non meglio identificati, «affari»;
   sulla vicenda il giudice per le indagini preliminari presso detto tribunale, con provvedimento n. 2915/13 Reg Gip ha, del tutto legittimamente, deciso di archiviare lo stesso con un corretto riferimento ad una pronuncia della Corte di cassazione che ritiene essere il contesto della polemica politica un contesto del tutto anomalo per il valore da attribuire a giudizi espressi in tale ambito a danno di un competitore politico;
   il giudice per le indagini preliminari ulteriormente argomentando le motivazioni del suo provvedimento, ha fatto, però, anche riferimento, come ad un fatto notorio, che noti dirigenti politici (a carico dei quali non risultano né sentenze specifiche, né tantomeno inchieste giudiziarie aventi come riferimento attività clientelari) abbiano intessuto in Campania un sistema di potere clientelare e, discendendone come una derivata, ha concluso il suo argomentare affermando che un sistema di potere è inevitabile, e che anzi il suo essere indissolubilmente connesso al risvolto clientelare «è il necessario supporto della moderna democrazia rappresentativa, quantomeno a livello locale»;
   un sistema di potere fondato su una rete di rapporti clientelari secondo l'interrogante non può essere considerato «il necessario supporto della moderna democrazia rappresentativa, quantomeno a livello locale», non è comunque accettabile ritenere che una moderna democrazia non possa sussistere se non è fondata basata, costruita su un sistema in cui al merito sia sostituito il favore, peraltro finalizzato alla costruzione del consenso politico, così, di fatto, abrogando il reato di «voto di scambio» e gli altri similari previsti dalla legge a tutela della imparzialità della pubblica amministrazione;
   secondo l'interrogante sono inammissibili, in una sentenza emessa in nome del popolo italiano, convinzioni di tale natura –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative ispettive ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza. (4-00570)


   BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 15 aprile 2013, i sottoscritti deputati hanno visitato la casa circondariale di Verona Montorio, accompagnati dalla signora Maria Grazia Lucchiari;
   l'ispezione, durata 4 ore, è stata guidata parzialmente dalla direttrice dell'istituto dottoressa Mariagrazia Bregoli ed ha riguardato alcuni reparti del carcere con particolari situazioni di criticità. La direttrice dell'istituto ha fornito alcuni dati che confermano la grave situazione riguardo il sovraffollamento della struttura: 901 detenuti a fronte di una capienza normale di 440 posti. Sono 852 gli uomini e 52 le donne. Le celle, che misurano 12 metri quadrati, erano state progettate per due detenuti, invece ne contengono quattro;
   questa condizione è lontanissima dagli standard europei in base ai quali si parla di tortura nel caso in cui ogni detenuto non abbia a disposizione almeno 7 metri quadrati di spazio;
   dal punto di vista strutturale il carcere di Verona si presenta molto fatiscente, tanto che, non di rado, le mura e i soffitti sono scrostati con evidenti segni di umidità;
   per una popolazione di 901 detenuti, sono disponibili solo 4 educatori. Per fare un esempio, nel carcere di Lecce, con lo stesso numero di detenuti dell'istituto di Verona, sono in servizio 23 educatori. Questo si spiega anche con il fatto che queste figure professionali, una volta assunte al Nord, ottengono il trasferimento vicino al luogo di nascita;
   i tagli effettuati su alcuni capitoli di bilancio rendono pressoché impossibile la manutenzione ordinaria degli edifici e ridotte al minimo le possibilità di lavoro per i detenuti, che è assegnato a non più di 150 detenuti;
   anche l'igiene dei luoghi – celle comprese – è compromessa dalla riduzione delle dotazioni destinate alla pulizia; le docce comuni del terzo reparto, ristrutturate circa tre anni fa, sono nel degrado, scrostate e piene di muffa, senza rubinetti e ganci per gli accappatoi, risulta funzionante solo una doccia su dieci e i detenuti sono costretti il più delle volte a lavarsi in cella. Inoltre, i bagni delle celle del reparto femminile sono sprovvisti di acqua calda;
   nella stanza del bagno, adiacente alla cella, oltre ai servizi igienici, viene ricavato uno spazio per cucinare il cibo. Coloro che hanno una propria disponibilità economica acquistano i generi alimentari poiché il vitto distribuito dall'istituto è di qualità scadente. Infatti, l'azienda che si è aggiudicata l'appalto al massimo ribasso fornisce tre pasti al giorno per il costo di 4 euro totali per persona. Nei reparti non c’è il frigorifero per depositare gli alimenti dei detenuti, e la situazione diventerà ancora più grave con l'arrivo dell'estate;
   l'infermeria è chiusa per ristrutturazione e questo determina una carenza di servizi sanitari con conseguenze gravi per i detenuti malati, 200 dei quali sono tossicodipendenti. La gran parte dell'attività del personale sanitario viene assorbita quotidianamente dalla distribuzione dei farmaci ansiolitici, assunti dal 70 per cento dei reclusi. Nel 2011 il servizio sanitario ha effettuato uno screening della tubercolosi esteso anche agli agenti di polizia penitenziaria in servizio nell'istituto, rilevando che per la gran parte di loro i test erano positivi ad uno dei batteri della malattia, pur non avendola contratta;
   nonostante la situazione sopra descritta, grazie alla professionalità del direttore e all'abnegazione e capacità di quanti vi lavorano, molte sono le attività trattamentali che, malgrado tutto, vengono proposte ai detenuti e alle detenute in alcuni periodi dell'anno: sul fronte scolastico sono attivi i corsi di alfabetizzazione, elementari, medie e corsi di italiano, oltre che corsi periodici di formazione professionale; nell'istituto è disponibile anche una palestra e una sala computer; esistono inoltre un panificio e un laboratorio di carpenteria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto rappresentato nelle premesse;
   cosa si intenda fare per riportare la popolazione detenuta nel carcere di Verona alle dimensioni regolamentari;
   in quali tempi sarà integrato il personale mancante fra gli agenti di polizia penitenziaria e cosa si intenda fare, per quanto di competenza, per rafforzare il numero degli addetti all'assistenza medica, psicologica e trattamentale;
   cosa si intenda fare per rendere agibile dal punto di vista strutturale il carcere di Verona e con quali tempistiche;
   a quando risalga e quali siano i contenuti della relazione semestrale che la ASL di riferimento deve rilasciare in merito alle condizioni strutturali e igienico-sanitarie dell'istituto;
   se intenda incrementare i fondi destinati alla manutenzione (anche straordinaria) degli edifici, quelli relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per garantire ai detenuti di poter scontare la propria pena vicino al luogo di residenza;
   se, e in che modo, si intenda intervenire rispetto ai casi segnalati in premessa;
   se si intenda intervenire per ridurre i costi delle telefonate magari sperimentando collegamenti Skype molto meno onerosi per persone poverissime come quelle che sono detenute nel carcere di Verona;
   di quali elementi disponga in ordine ai tempi impiegati dal magistrato di sorveglianza per rispondere alle istanze dei detenuti, con particolare riguardo a quelle riguardanti la possibilità di scontare gli ultimi 18 mesi di detenzione ai domiciliari, secondo la normativa introdotta con il decreto n. 211 del 22 dicembre 2011, come convertito in legge. (4-00572)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARANTELLI, MAURI e SENALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della ferrovia Arcisate-Stabio, un collegamento ferroviario di 8,2 chilometri a doppio binario di connessione tra le linee del San Gottardo e del Sempione, permetterà ad una delle aree più popolose e produttive del Paese di rafforzare i legami politici, economici e culturali con il cuore dell'Europa;
   tale infrastruttura va completata rapidamente per essere operativa in vista dell'importante appuntamento rappresentato da Expo 2015;
   di fronte alla precedente sospensione dei cantieri, nel novembre 2011, Governo e regione Lombardia avevano fornito ampie rassicurazioni in ordine al rispetto dei tempi previsti;
   nonostante l'opera sia stata interamente finanziata dal Governo di centrosinistra prevedendo, con delibera CIPE del febbraio 2008, la destinazione di 223 milioni, i rapporti tra l'impresa Salini aggiudicataria dell'opera e Rete ferroviaria italiana sono stati spesso problematici;
   nelle ultime settimane, sembra riemergere il rischio di una nuova e prolungata sospensione dei lavori;
   tale decisione creerebbe danni ambientali, economici e sociali in tutta la Valceresio, tanto più in un contesto di dura crisi economica quale quella attuale e determinerebbe inevitabili e imbarazzanti problemi nei rapporti con la Confederazione Elvetica –:
   quali iniziative concrete intenda intraprendere affinché siano rispettati i tempi per la conclusione dell'opera, che permetterà il collegamento diretto Lugano-Varese-Malpensa. (5-00170)


   DE MENECH e MIOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i passi carrai rientrano nella fattispecie degli «accessi e diramazioni» e consistono in interventi sull'infrastruttura viaria che consentono immissioni di veicoli da e verso un'area privata laterale e che, come tali, esulano dall'uso ordinario della strada, concretandone un uso eccezionale che deve, quindi, essere assentito, mediante un apposito provvedimento, dall'ente proprietario della strada interessata, che nel caso ci si riferisca alla rete stradale di interesse nazionale è la società ANAS spa, ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 143 del 1994, richiamato anche dall'articolo 7, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 178 del 2002;
   in tale senso, l'articolo 27, comma 1, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che le domande dirette a conseguire le concessioni e le autorizzazioni per gli accessi se interessano strade o autostrade statali, sono presentate al competente ufficio della società ANAS spa e, in caso di strade in concessione, all'ente concessionario, che provvede a trasmetterle con il proprio parere al competente ufficio della società ANAS spa, ove le convenzioni di concessione non consentono al concessionario di adottare il relativo provvedimento;
   nel 1998, ai sensi della legge n. 449 del 1997, sono iniziati, in base alle nuove tabelle e ai nuovi coefficienti di calcolo, gli aumenti unilaterali da parte della società ANAS spa del canone sui passi carrai, che hanno comportato aumenti discrezionali che per alcune attività, in particolare nella regione Veneto, sono arrivati anche all'8.000 per cento tanto che un cittadino privato è costretto a pagare centinaia di euro e un'attività commerciale migliaia di euro per accedere a una strada;
   il comma 8 del citato articolo 27 del codice della strada, di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992, prevede che nella determinazione della somma da versare all'ente rilasciante si deve tenere conto delle soggezioni che derivano alla strada o all'autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento e del vantaggio che il beneficiario ricava dal provvedimento stesso;
   questi criteri sono tradotti in una formula matematica, la cui applicazione è suscettibile di produrre canoni di diverso importo, in funzione dei fattori che la formula stessa prende in considerazione (tipologia di accesso, larghezza geometrica, importanza della strada eccetera) così che la formula matematica e i parametri per l'individuazione dei canoni non sono in alcun modo stabiliti dal legislatore ma approvati unilateralmente dal consiglio di amministrazione della società e sono parte costitutiva del provvedimento annuale di determinazione dei canoni (sottoposto a vigilanza ministeriale, quindi firmato dal presidente della società ANAS spa e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi e per gli effetti della disposizione citata);
   a seguito delle richieste annuali esorbitanti e di cinque anni di arretrati sono iniziate le proteste di alcuni utenti, concluse con la nascita del cosiddetto «Comitato passi carrai», che, una volta definita la propria costituzione formale (2008), è stato riconosciuto, dalle strutture locali della società ANAS spa, quale soggetto interlocutore, in grado di fornire una rappresentazione più ampia, rispetto alle singole posizioni, in materia di accessi stradali;
   il comitato sorto con la finalità di favorire l'eliminazione delle disparità di trattamento applicate da diversi enti proprietari di strade nonché per creare le condizioni affinché il potere di fissare l'importo dei canoni non si sostanzi attraverso posizioni di privilegio e senza limiti legali, ma sia anche improntato a criteri di logicità e buon senso tale da consentire ai concessionari di verificare e contestare l'ammontare della pretesa economica;
   il difensore civico di Padova ha riscontrato, nella legge n. 449 del 1997, aspetti di vessatorietà, iniquità, in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, giudizio poi condiviso dal difensore civico della regione Veneto;
   sarebbe necessario modificare le disposizioni di legge che affidano alla società ANAS piena discrezionalità per il computo degli importi stabilendo che gli incrementi dei canoni non possano superare l'andamento dell'inflazione corrente –:
   quali siano le intenzioni del Governo per evitare che i cittadini e le imprese subiscano disparità di trattamento dalla società ANAS spa nelle modalità di calcolo del canone dovuto per i passi carrai e se condivida la necessità di assumere iniziative per modificare le disposizioni di legge vigenti secondo le indicazioni esposte in premessa e comunque se intenda assumere iniziative per congelare le riscossioni in attesa della puntuale definizione della vicenda. (5-00172)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'UVA, VILLAROSA, VIGNAROLI, DI BENEDETTO, MANNINO, CURRÒ, GRILLO, CANCELLERI, DI VITA, LOREFICE, LUPO e RIZZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il monitore ambientale, così come previsto dal contratto firmato nell'aprile 2006 con il raggruppamento temporaneo di imprese guidato da Fenice SpA, è il soggetto che per conto della società Stretto di Messina svolge le attività di monitoraggio ambientale, territoriale e sociale ritenute necessarie alla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina e dei relativi collegamenti stradali e ferroviari;
   la rete di monitoraggio ambientale, dati e software di gestione installati dal monitore ambientale, per conto della Stretto di Messina, svolge in particolare le attività di studio delle problematiche in campo ecologico ed ambientale, di monitoraggio e pianificazione delle risorse ambientali e territoriali, di monitoraggio sociale, sviluppo e gestione di sistemi informativi territoriali e infine, effettua importanti analisi chimiche e microbiologiche di laboratorio, le quali vanno a formare un patrimonio di grandissimo valore scientifico e sociale per l'area dello Stretto di Messina;
   dal 1o marzo 2013, secondo quanto previsto dal decreto-legge del 2 novembre 2012 n. 187, sono caducate tutte le convenzioni poste in essere dalla società Stretto di Messina, tra le quali quella stipulata con il monitore ambientale, a cui ha fatto seguito la sospensione di tutte le attività da svolte dallo stesso, comportando la grave conseguenza di porre le relative apparecchiature installate in uno stato di totale dismissione, ed interrompendo così il costante flusso di dati ambientali, che vista la sua unicità nel territorio italiano e la sua fondamentale utilità per il controllo e la gestione delle qualità ambientali di una area di pregio quale è quella dello Stretto di Messina vede aggiungere al notevole danno economico anche quello scientifico e ambientale;
   il progetto di monitoraggio ambientale territoriale e sociale (PMATSU) non è stato pensato solo per un mero controllo delle condizioni ambientali ma anche come strumento di conoscenza del territorio e delle sue dinamiche, per cui non è stato limitato, in riferimento ai limiti ed agli obiettivi normativi, al solo interno delle cosiddette «aree di cantiere», ma ha operato in una più ampia porzione di territorio, detta «area vasta», che in quanto interessata dalle possibili trasformazioni territoriali indotte dalla realizzazione del Progetto, si è estesa per un raggio di 100 chilometri quadrati, comprendendovi anche un paraggio marino che va da nord e a sud delle coste direttamente interessate dall'opera, il quale provvede al monitoraggio dei mammiferi marini che transitano nell'area;
   gli ambiti presi in esame dal monitoraggio hanno riguardato le fondamentali componenti ambientali, ed in particolare l'atmosfera, le acque superficiali, le acque sotterranee, l'ambiente marino, il suolo e sottosuolo, la vegetazione e la flora, la fauna, gli ecosistemi, il rumore, le vibrazioni, il paesaggio, lo stato fisico dei luoghi e viabilità dei cantieri, i campi elettromagnetici, e l'ambiente sociale;
   la rete di monitoraggio, nella fase ante operam, ha compreso più di 2.300 stazioni di misura, di cui circa 250 hanno operano in continuo, quali le cabine di qualità dell'aria, la rete inclinometrica, le stazioni topografiche totali, i correntometri e le sonde CTD, le centraline meteo, e i sensori traffico, le quali rischiano attualmente di essere soggette a chiusura;
   tale rete di monitoraggio ha consentito la creazione di una banca dati ambientali, sia alfanumerici che cartografici, acquisiti nel corso delle attività di monitoraggio relative ad un periodo di osservazione delle componenti ambientali di circa 3 anni, che contenendo al suo interno milioni di informazioni e dati caratterizzati da assoluta unicità, rappresenta un patrimonio prezioso non solamente per l'aerea dello Stretto di Messina, che non può e non deve in alcun modo privarsene, ma per tutta la comunità scientifica –:
   se intenda attivarsi affinché le suddette attrezzature installate sul territorio messinese vengano trasferite, attraverso la possibile definizione di un accordo procedimentale tra il Ministero delle infrastrutture e l'assessorato regionale al territorio ed ambiente, all'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente siciliana, che da oltre dieci anni si impegna per la salvaguardia dell'ambiente, inteso sia come risorsa naturale che come elemento di tutela della salute umana attraverso una preziosa attività di monitoraggio ambientale;
   se intenda impegnarsi affinché all'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente siciliana venga altresì consegnata la gestione e la conservazione della suddetta banca dati ambientali, acquisiti nel corso delle attività di monitoraggio poste in essere dal monitore ambientale. (4-00569)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 21 maggio 2013 al liceo classico Socrate di Roma sono apparse, scritte da ignoti nella notte tra il 20 e il 21 maggio, delle scritte omofobe;
   le scritte recavano la firma di Forza Nuova e Lotta studentesca;
   il 28 febbraio 2013 sul cancello della scuola erano apparse, scritte da ignoti, delle scritte omofobe;
   il liceo Socrate negli ultimi anni è all'avanguardia nello sviluppo delle tematiche dell'inclusione e della lotta contro l'omofobia;
   il dirigente scolastico, con un grande sforzo economico con fondi della scuola, ha fatto installare delle telecamere di sorveglianza che purtroppo non sono riuscite a evitare il ripetersi di questi fenomeni;
   le scuole superiori della Capitale sono spesso oggetto di incursioni e di iniziative omofobe portate avanti da gruppi neofascisti –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere perché questi episodi non si ripetano;
   quali iniziative il Ministro dell'interno intenda assumere perché sia contrastata l'incursione di gruppi neofascisti all'interno delle scuole superiori di Roma;
   quali iniziative il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda adottare per aiutare le scuole nell'attività di contrasto di questi fenomeni e se, in particolare, intenda stanziare dei fondi con queste precipue finalità.
(4-00563)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali, nella serata di lunedì 13 maggio 2013 sarebbe stato sventato un furto dai carabinieri della tendenza locale di Scafati;
   i tre malviventi, a bordo di un'auto Renault Megane, risultata poi rubata pochi giorni prima a Boscoreale, stavano imboccando via Dante Alighieri diretti verso il centro cittadino, ma il loro fare sospetto ha allarmato i militari che proprio in quel momento erano impegnati in un servizio di pattugliamento nella zona;
   in particolare, all'intimazione dei carabinieri di fermarsi per un controllo, i tre a bordo della Renault avrebbero accelerato, dando il via a un rocambolesco inseguimento per via Dante Alighieri fino a quando la vettura dei malviventi, con una brusca manovra, ha violentemente speronato l'auto dei militari, scaraventandola fuori strada;
   i tre malviventi, quasi sicuramente provenienti dai paesi vesuviani, come riportano le cronache, sono riusciti a scappare, mentre i militari feriti hanno riportato contusioni ed escoriazioni in varie parti del corpo con prognosi dai dieci ai quindici giorni;
   l'intensificarsi di questi fenomeni genera sicurezza e allarme tra i cittadini soprattutto in una zona come quella di Scafati più volte balzata agli onori della cronaca per furti, rapine e sparatorie, tanto da avere indotto il tenente dei carabinieri a predisporre un più capillare piano di sicurezza, in periferia e nel centro cittadino;
   ogni giorno le cronache regalano episodi di inaudita gravità ai danni dei cittadini, sintomatici di una escalation di violenza e di criminalità che deve essere prontamente affrontata e arginata con fermezza e determinazione;
   a parere dell'interrogante, centrale nella lotta alla criminalità è il ruolo delle amministrazioni locali, quali garanti dello sviluppo di politiche di sicurezza integrate, che comprendano soprattutto interventi di natura preventiva, l'educazione alla convivenza civile e al principio di legalità, nonché la qualificazione delle funzioni della polizia locale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga opportuno, considerando il costante incremento della criminalità locale, adottare tempestivi provvedimenti atti a promuovere misure ordinarie e straordinarie per garantire la sicurezza dei cittadini, anche a supporto dei militari impegnati nei servizi di pattugliamento serale. (4-00567)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ALESSANDRO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca di questi giorni riporta un grave episodio avvenuto presso l'Istituto tecnico per geometri «Michelangelo Buonarroti» di Caserta, uno dei più grandi della provincia;
   in data 9 maggio 2013 un'insegnante ha infatti umiliato un alunno sedicenne, costringendolo a spogliarsi solo perché era vestito con una maglia su cui era stampato il volto del Presidente Silvio Berlusconi;
   non solo quindi lo ha rimproverato, urlando frasi di grave contenuto, riportate testualmente nella querela presentata al comando provinciale dei carabinieri di Caserta, come «Ti dovresti impiccare tu e Berlusconi» e «Ti ucciderei a te e pure a lui», ma lo ha obbligato ad indossare la t-shirt al contrario; la professoressa infatti lo avrebbe cacciato dalla classe, ordinandogli di cambiarsi nel corridoio attiguo, in quel momento frequentato da alunni e docenti, e costringendo il ragazzo così a seguire il resto della lezione con la maglia indossata al rovescio;
   i genitori hanno deciso di rivolgersi ai carabinieri del comando provinciale di Caserta anche perché il ragazzo è molto scosso, non riesce a superare lo choc di tornare in classe e vuole cambiare istituto; tra l'altro, l'insegnante avrebbe chiamato la madre del giovane rimproverandola per l'abbigliamento del figlio;
   il dirigente didattico dell'istituto ha dichiarato che è in corso una procedura di contestazione, che comprende lo svolgimento di audizioni e indagini, rispetto alla quale ci sarà una sanzione: l’iter si concluderà il prossimo 10 giugno 2013; a questo si affianca l'indagine penale che fa seguito all'esposto dei genitori;
   l'episodio è assai grave se si considera che tale atteggiamento discriminatorio, offensivo e violento proviene da un'insegnante che dovrebbe educare innanzitutto al rispetto delle idee altrui; lo specifico ruolo dell'insegnamento all'interno della scuola comporta che l'insegnante si consideri, e sia effettivamente, un educatore, cioè uno che aiuta a costruire e sviluppare la personalità dei suoi alunni; nel caso esposto, parole così ingiuriose e offensive sono sintomo di un comportamento diseducativo che, a giudizio dell'interrogante, non può non essere sanzionato –:
   se sia a conoscenza dei fatti suddetti e se, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare le opportune iniziative volte a stigmatizzare condotte di tale genere acquisendo ogni elemento utile con riferimento al procedimento disciplinare in corso ove effettivamente aperto, e qualora non lo fosse, se ne intenda promuovere l'apertura. (4-00575)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   i progetti BROS e I.SO.LA. promossi dalla regione Campania (giunta Bassolino) e cofinanziati dal Governo sono stati il frutto di una lunghissima vertenza che aveva portato alla costruzione di un percorso di orientamento e formazione al lavoro per i disoccupati storici della città di Napoli e della sua provincia;
   per circa due anni i summenzionati progetti hanno rappresentato la garanzia di reddito per il grande bacino dei movimenti dei disoccupati napoletani;
   la vertenza del movimento dei precari BROS di Napoli e provincia è iniziata quasi 16 anni fa. Sin dall'inizio, interlocutori del movimento sono state tutte le istituzioni sia sul piano locale – regione, comune e provincia – che nazionale, con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   dopo alcuni anni di confronto, le istituzioni citate (Governo, regione Campania, provincia e comune di Napoli) hanno siglato nel 2003 un accordo con cui si dava avvio ad un percorso formativo per 4.000 disoccupati di lunga durata;
   il percorso formativo è concretamente iniziato nel 2004. Dopo un primo periodo di «Orientamento» (78 ore con un una spesa di 9 milioni di euro) ed una seconda fase di generica formazione (400 ore finanziate con i fondi P.O.R. 2000-2006), si è concretizzato il Progetto I.SO.LA. diretto a sostenere l'inserimento dei disoccupati nel mondo del lavoro. Tale progetto è stato promosso e finanziato dal Governo, (22 milioni di euro), dalla regione Campania (8 milioni di euro), dalla provincia e dal comune;
   sin dall'inizio del progetto il movimento dei precari BROS ha criticato la scelta di proseguire un'attività formativa (ben 900 ore) che, per come organizzata, non sembrava puntare ad una reale costruzione di figure professionali suscettibili di un immediato e stabile inserimento lavorativo. Gli stage previsti (800 ore che si sommavano alle 100 ore in aula) si presentavano, infatti, con un carattere di assoluta genericità;
   per tale motivo, e a fronte anche dei difficili momenti attraversati dalla regione Campania in ordine al grave problema dei rifiuti e della devastazione del territorio, il movimento dei disoccupati ha rivendicato un radicale cambio di rotta nella gestione della 4a fase del progetto I.SO.LA. Per questa ulteriore formazione di 900 ore finanziata con altri 30 milioni di euro hanno richiesto ed ottenuto la riconversione dell'intero progetto in direzione della qualificazione nel settore ambientale di tutti i soggetti interessati. Inoltre hanno chiesto che sia la parte teorica che le previste work experience, avvenissero in collaborazione di e con la collocazione presso imprese realmente operanti nel settore ambientale;
   finito il percorso formativo, il movimento ha rivendicato l'immissione nel mercato del lavoro con una stabilizzazione lavorativa per tutta la platea. La lotta è stata scandita dal susseguirsi di tavoli di confronto tra le istituzioni nazionali e locali che hanno portato ad atti deliberativi con cui si riconosceva il percorso formativo e si assumevano impegni per un reale sbocco occupazionale;
   le varie convenzioni e delibere stipulate tra il Ministero del lavoro, la regione Campania, la provincia di Napoli e il comune di Napoli, impegnavano queste istituzioni a realizzare azioni dirette all'avviamento al lavoro degli ex corsisti I.SO.LA. e formalizzavano la trasformazione di questi ex corsisti in una platea di assegnatari di un budget individuale per il reinserimento occupazionale e sociale previsto da quelle stesse convenzioni (progetto BROS);
   a tale scopo venivano stanziati 20 milioni di euro: 10 milioni finanziati dal Governo ed altri 10 stanziati dalla regione Campania. La totale assenza di progetti da parte della regione Campania atti ad aprire sbocchi lavorativi, così come richiesto dal Governo e dallo stesso movimento, e l'assoluta mancanza del promesso monitoraggio delle possibili collocazioni presso aziende ed enti pubblici, di cui doveva occuparsi l'A.R.LA.S. (Agenzia regionale lavoro e scuola), ha significato il lento esaurimento di gran parte dei fondi (12,5 milioni) trasformati in sostegno al reddito per la platea e per il rilascio del libretto formativo;
   con l'avvento della giunta Caldoro, la regione ha firmato con il Governo Berlusconi un'altra convenzione con cui, oltre a riconoscere la platea dei lavoratori BROS ed il loro percorso formativo, si stanziavano ulteriori fondi a coprire un periodo di sostegno al reddito, come misura per contenere il disagio sociale, e si impegnava a dare, finalmente, un serio corso all'attuazione di soluzioni lavorative attingendo anche ai rimanenti 7,5 milioni, bloccati presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   questi fondi sono stati inseriti dall'assessore regionale al lavoro, Severino Nappi, nel Piano regionale straordinario per il lavoro. Infatti, per quanto riguarda la platea dei precari BROS la soluzione occupazionale, secondo l'assessore, doveva venire dal bando «Più sviluppo più lavoro» (24 milioni di euro) ed in particolare dalla linea di intervento 1, esplicitamente dedicata a questo bacino in quanto riconosciuto dalle convenzioni del 26 giugno 2006 e del 14 aprile 2008 (tra Ministero del lavoro, regione Campania, provincia di Napoli e comune di Napoli) ai sensi della D.G.R. 342 del 29 febbraio 2008;
   a distanza di circa tre anni dal varo del Piano straordinario per il lavoro, nessun contratto di lavoro è partito per i BROS. A fronte dell'assenza di confronto e della mancata collaborazione da parte della regione, come pure dell'inerzia dinanzi al fallimento della strategia della regione per risolvere il problema occupazionale in generale ed in particolare per i Bros, il movimento dei lavoratori BROS ha intensificato il confronto con le istituzioni disponibili a proseguire sulla strada della chiusura della vertenza;
   comune e provincia di Napoli, a seguito di confronto e con l'avallo della stessa regione Campania, hanno elaborato linee di intervento per avviare progetti occupazionali per i lavoratori BROS;
   l'impegno dei suddetti enti è stato incoraggiato dalla disponibilità espressa dallo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali a riprendere l'intesa interistituzionale precedentemente firmata, la effettiva attuazione dei progetti elaborati da comune e provincia dipende dalla possibilità di accedere ai fondi finalizzati all'occupabilità dei Bros (7,5 milioni) ed attualmente bloccati presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   dinanzi al diniego, tutto politico, della regione Campania, ente preposto a ricevere gli stanziamenti dal Governo, di trasferire le risorse alla provincia e al comune di Napoli e di farsi garante e sostenitrice dei progetti di tali enti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per lo sbocco occupazionale per i BROS, è indispensabile individuare soluzioni per superare l’empasse e chiudere positivamente la vertenza;
   la soluzione obbligata ad avviso dell'interrogante è quella di trasferire i fondi per i lavoratori BROS dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali direttamente a comune e provincia di Napoli, enti proponenti dei progetti e già firmatari suddetta intesa –:
   se il Governo non intenda avviare un tavolo interistituzionale tra regione Campania, provincia e comune di Napoli, finalizzato ad individuare una positiva soluzione al trasferimento dei fondi di cui in premessa direttamente dal Governo a provincia e comune. (4-00568)


   PANNARALE, DI SALVO e COSTANTINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la riforma previdenziale del Governo Monti (cosiddetta «Riforma Fornero») contempla una «norma di salvaguardia» a tutela dei diritti pensionistici maturati prima della sua entrata in vigore;
   la stessa norma, pur stabilendo inequivocabilmente la non retroattività della riforma, non tiene conto delle disposizioni speciali vigenti per il comparto scuola, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 351 del 1998, comma 1 che vincola la cessazione del servizio nel comparto Scuola «all'inizio dell'anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata», e all'articolo 59 della legge n. 449 del 1997 secondo il quale per «il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell'accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione del servizio ha effetto dall'inizio dell'anno scolastico e accademico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell'anno»;
   nonostante la presenza di questa norma speciale per i lavoratori della scuola che li vincola inevitabilmente all'anno scolastico, la riforma del Governo Monti, emanata nel mezzo dell'anno scolastico, ha prodotto sui lavoratori di tale comparto un effetto retroattivo: essi, infatti, non ha potuto far valere, ai fini del pensionamento secondo la normativa previgente, i requisiti maturati nell'anno scolastico 2011-2012;
   in data 26 gennaio 2012 la Camera dei deputati ha accolto l'ordine del giorno n. 9/4865 – AR/79, a firma di Ghizzoni e altri, che «impegna il Governo, in sede di discussione del primo provvedimento utile, a prevedere un intervento normativo volto a introdurre il termine del 31 agosto 2012 per il personale del comparto scuola che ha maturato i requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214»;
   in data 8 marzo 2012 la circolare n. 2 del Dipartimento per la funzione pubblica, in applicazione della «Riforma Fornero» ribadisce espressamente, al punto 6, la specificità del comparto scuola;
   in data 12 marzo 2012 la circolare n. 23 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca applica la «Riforma Fornero» senza considerare la specificità del comparto scuola basata sull'anno scolastico;
   in data 27 luglio 2012 la V Commissione del Senato respinge, accogliendo il parere negativo del Governo, l'emendamento 22.45 (Bastico e altri) al disegno di legge n. 3396 («Spending Review»). Il Sottosegretario Polillo motivava il parere contrario con la carenza di risorse finanziarie a copertura degli oneri. Viene approvato, invece, un emendamento, il 14.1000, che per la prima volta dal varo della «Riforma Fornero», introduce la data del 31 agosto 2012 quale termine utile per accedere al trattamento pensionistico secondo le norme previgenti, limitandone però l'applicazione ai soli docenti in esubero escludendo i docenti non in esubero e tutti i non docenti;
   nell'agosto 2012 i tribunali del lavoro di Oristano, Torino, Siena e Venezia, riconoscono le ragioni dei ricorrenti circa il diritto al «collocamento a riposo a partire dal 1o settembre 2012» ritenendo «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale»;
   nella notte tra il 14 e 15 novembre 2012 la V Commissione (Bilancio) della Camera dei deputati discute l'emendamento 8326 (Ghizzoni) alla «Legge di Stabilità», che prevede che le norme antecedenti alla Riforma Fornero «continuano ad applicarsi al personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011-2012, secondo l'articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni». L'emendamento è sottoscritto dalla maggioranza dei gruppi rappresentati. Il Governo, attraverso il Sottosegretario Polillo, esprime parere contrario, ipotizzando che i soggetti interessati siano, secondo dati dell'INPDAP e della Ragioneria Generale dello Stato, circa 7.000 e che l'onere finanziario risulterebbe pertanto eccessivo. L'Onorevole Ghizzoni replica che l'entità della platea è stata identificata in 7.000 unità in modo del tutto superficiale e contraddittorio rispetto ai dati del competente dicastero che ne ha contate circa 3.700. L'emendamento è dapprima accantonato e quindi «respinto per l'aula». L'aula però non ha potuto votarlo, perché per la «Legge di Stabilità» era prevista la fiducia;
   con riferimento alla riforma Fornero e al termine del 31 agosto 2012 per l'accesso alla pensione, alcuni lavoratori della scuola e rappresentanti di categoria hanno perseguito la via giudiziaria dinanzi alla giustizia ordinaria, contabile e amministrativa e al momento alcuni procedimento pendono dinanzi alla Corte costituzionale –:
   quali iniziative urgenti, anche normative il Governo intenda adottare per porre rimedio ad una situazione di palese ingiustizia prodotta dalla «Riforma Fornero», un cosiddetto errore «tecnico», che nega quanto previsto dalla legge, nega un diritto acquisito e che ha prodotto una evidente e colpevole discriminazione tra dipendenti dello Stato. (4-00577)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   nel quadro delle difficoltà dell'attuale congiuntura economica del Paese non può essere trascurata, per le pesanti ricadute occupazionali e socio-economiche sui territori costieri e per le ripercussioni negative sul deficit della bilancia commerciale agroalimentare, la gravissima portata della crisi che investe la filiera ittica nazionale;
   in presenza di dati che, su base decennale, attestano il peggioramento inesorabile di tutte le principali variabili macroeconomiche di settore (–40 per cento le catture, –38 per cento l'occupazione, –31 per cento la redditività di impresa, +240 per cento i costi di produzione, +53 per cento il deficit della bilancia commerciale), la filiera ittica invoca, quale parte integrante dell'economia nazionale, nuove e mirate politiche di governo e di programmazione economica, tali da valorizzarne il ruolo non solo come settore produttivo primario, ma anche come risorsa ambientale, alimentare e sociale del nostro Paese;
   l'attuazione del nuovo Programma nazionale triennale della pesca e dell'Acquacoltura 2013-2015, basato su una inedita strategia di riorganizzazione della pesca italiana sulle due direttrici della tutela dell'ecosistema marino e della tutela della concorrenza e della competitività delle imprese di pesca nazionali, richiede una attenzione particolare, in particolare sulla dotazione finanziaria, oggi anemica;
   la nuova programmazione nazionale è chiamata anche a rispondere alla profonda trasformazione delle politiche europee per la pesca. È ancora in atto il gravoso processo di adeguamento alle diverse normative emanate nell'ultimo quinquennio (dal regolamento sulla pesca nel Mediterraneo, al regolamento contro la pesca illegale, dalla riforma del sistema sanzionatorio e dei controlli, fino agli adempimenti del pacchetto igiene). Si preannuncia ancora più radicale il cambiamento atteso dalla riforma della Politica europea della Pesca (PCP) e del suo nuovo strumento finanziario Fondo europeo affari marittimi e pesca (FEAMP), che, tra gli altri, fissa l'obiettivo di una ulteriore riduzione della flotta di almeno il 30 per cento entro il 2020;
   la sfida cui l'Italia è chiamata dall'Europa è anche quella della forte intersettorialità posta dalla Politica marittima integrata (PMI), che irrompe come priorità strategica nella «Strategia 2020 per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva», con l'esigenza di una robusta rappresentanza, accanto alla pesca, anche degli interessi dell'acquacoltura, che attende l'elaborazione di un Piano strategico nazionale e, nell'immediato, la urgente risoluzione del problema delle concessioni demaniali scadute o in scadenza, posto da una fuorviante applicazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno;
   il complesso e la specificità delle competenze settoriali e intersettoriali richieste per l'attuazione delle politiche di sviluppo della filiera ittica, ivi compresa l'esigenza di garantire un efficace coordinamento delle competenze Stato-regioni, fa discendere per l'amministrazione nazionale nuovi e più qualificanti compiti, ruoli e funzioni che dovranno essere adempiuti attraverso una riorganizzazione e un rafforzamento della direzione generale pesca e acquacoltura, anche per limitare il peso del carico burocratico amministrativo come fattore di crisi della competitività delle imprese;
   raccogliere la cruciale sfida di dare una nuova identità alla filiera ittica italiana per consentirle di superare la crisi e guardare al futuro attraverso rinnovati modelli gestionali, produttivi ed imprenditoriali è un programma di governo gravoso che richiede come condizione imprescindibile quella di un adeguato e forte assetto istituzionale, in grado di esprimere una direzione politica forte ed un costante e stabile punto di riferimento per l'attuazione ed il monitoraggio degli interventi;
   tra i principali ostacoli al recupero di competitività delle imprese e all'affermarsi di una piena cultura della legalità spicca quello della iperregolazione, che nel settore arriva a costituire uno dei fattori di crisi del sistema economico, non solo in termini di oneri e adempimenti burocratici a carico delle imprese ma anche in termini di capacità di spesa dei finanziamenti europei. La delega al governo per il riassetto della normativa in materia di pesca e di acquacoltura, ai sensi dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96, è purtroppo rimasta inattuata proprio per quel che riguarda gli aspetti legati agli interventi urgenti di sburocratizzazione e semplificazione, ed in particolare alla predisposizione di un Testo unico, volto, tra l'altro, a favorire l'eliminazione delle duplicazioni e la semplificazione della normativa;
   la pesca rimane purtroppo uno dei comparti in cui è più elevata l'incidenza di infortuni mortali sul lavoro. Come confermato nell'ultimo Rapporto annuale 2011 INAIL sugli infortuni e le malattie professionali, rispetto agli altri comparti del settore marittimo, la percentuale di incidenti mortali nella pesca è pari circa al 69,5 per cento, contro il 11,7 per cento del trasporto passeggeri, il 12,2 per cento del trasporto merci e il 7,3 per cento degli altri comparti. A fronte di tale situazione, è quanto mai urgente superare i ritardi che si registrano nella emanazione dei regolamenti attuativi del Testo unico per la sicurezza sui luoghi di lavoro, di cui la pesca è in attesa dal 2008;
   la Commissione europea, sulla base di irregolarità nei controlli sulla pesca emerse nel 2010 e nel 2011, anche relativamente alla detenzione e uso illegale di reti derivanti, ha formalmente richiesto al Governo italiano l'avvio di una indagine amministrativa; ferma restando l'esigenza di contrastare le attività illegali delle cosiddette «spadare fantasma», in materia di reti derivanti si trascina da anni il problema delle cosiddette «ferrettare», attrezzo concesso agli ex-spadaroti come opportunità di riconversione per fronteggiare il tracollo dei livelli occupazionali, ma di fatto reso antieconomico dalle progressive restrizioni introdotto nell'uso dell'attrezzo (decreto ministeriale 1o luglio 2011 e decreto ministeriale 11 settembre 2011); tale situazione, in numerose marinerie tirreniche e meridionali, rasenta la vera e propria emergenza socio-economica e non è ulteriormente rinviabile la ricerca di una soluzione in grado di tener conto della sostenibilità economica oltre che di quella ambientale, per dare legittima risposta agli operatori di questo segmento –:
   come intenda affrontare il problema posto dall'incarico ad interim dell'attuale direttore generale pesca e acquacoltura per dare al settore la sicurezza di un punto di riferimento istituzionale certo e stabile;
   se, e come, intenda farsi carico in prima persona della gravosa agenda politica posta dalle urgenti esigenze di rilancio della filiera ittica nazionale, e come valuta la possibilità di attribuire una delega specifica al settore ad uno dei due sottosegretario nominati, come strumento per qualificare e rafforzare al meglio l'azione di governo;
    quali iniziative intende assumere per affrontare le questioni emergenziali ed in particolare al fine di:
    avviare urgenti interventi di semplificazione e sburocratizzazione del settore;
    risolvere l'emergenza causata dalla scadenza delle concessioni demaniali per l'acquacoltura;
    sollecitare il ministero del Lavoro ad adeguare alle specificità del settore la normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro;
    dare adeguata risposta agli operatori delle ex-ferrettare.
(2-00064) «Causin».

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è trascorso più di un decennio dall'entrata in vigore, nel 2002, del bando europeo contro le reti derivanti, cosiddette spadare, che, per la prima volta nella storia delle politiche della pesca, sull'altare di una moratoria globale dell'ONU voluta dagli USA, ha segnato la fine di un mestiere, con impatti socio-economico devastanti per l'economie costiere del Tirreno e delle regioni meridionali, ed in particolare per la regione Calabria, dove questo mestiere ha rappresentato storicamente una delle principali vocazioni produttive;
   come dimostrano le recenti iniziative di protesta a Villa San Giovanni del 19 maggio 2013, che si aggiungono alle ripetute grida di allarme lanciate dalla marineria di Bagnara Calabra, a distanza di 11 anni, mentre le flotte dei Paesi terzi continuano indisturbate la loro attività per la mancata armonizzazione del divieto a livello di bacino, si trascina ancora senza soluzione, fino ad assumere ormai il carattere di una vera e propria emergenza socio-economica, il problema lasciato aperto dal fallimento degli interventi di riconversione che con l'obiettivo di arginare il tracollo dei livelli occupazionali hanno concesso agli ex-spadaroti l'utilizzo dell'attrezzo «ferrettara» come alternativa alla fuoriuscita e all'abbandono dell'attività;
   con un accanimento imputabile alla devianza di operatori che continuano ad operare con reti derivanti illegali, si è assistito ad una progressiva ed inesorabile restrizione dell'uso dell'attrezzo «ferrettara», che ha reso di fatto economicamente insostenibile l'attività degli operatori che intendono esercitare il proprio lavoro nel pieno rispetto delle regole. La normativa europea ha già previsto una lunghezza massima delle reti di 2,5 chilometri e il divieto di pesca di tutte le specie dell'allegato 8 del Reg. (CE) 894/97: un elenco in cui figura una grande varietà di specie, dalle meno remunerative costardelle, calamari e totani, lampughe, palamite, squali, tombarelli, aguglie imperiali, fino alle specie economicamente più importanti come i tonni (rosso, alalunga) e tonnetti e pesci spada. A questa si è aggiunta una normativa italiana, molto più restrittiva di quella europea che ha introdotto nel tempo ulteriori limitazioni: sulla dimensione delle maglie, fino a 10 centimetri e sulla distanza dalla costa, non oltre le 3 miglia. Dal 2011 è, inoltre, vietata la contemporanea detenzione a bordo di ferrettare e palangari. Si tratta di una emergenza che a livello nazionale coinvolge una flotta di 463 imbarcazioni autorizzate all'uso dell'attrezzo ed iscritte in diversi Compartimenti marittimi delle regioni Liguria, Lazio, Sardegna, Sicilia, Campania, Calabria e Puglia;
   aver reso di fatto antieconomico l'utilizzo di un attrezzo inizialmente concesso in permuta come strumento per la tutela del reddito e del lavoro rappresenta un manifesto ed evidente fallimento della strategia che ha ispirato questo intervento di riconversione, e non è ulteriormente rinviabile da parte di tutte le Istituzioni competenti l'impegno ad un diretta assunzione di responsabilità per farsi carico di ricercare e mettere in campo soluzioni in grado di dare risposta alle legittime aspettative degli operatori di questo segmento;
   in particolare, la legge regionale sulla pesca della regione Calabria, legge regionale n. 27/2004, prevede interventi utili ad attivare misure di sostegno socio-economico per gli operatori delle ferrettare;
   l'articolo 7 contempla interventi per la riconversione volti a sostenere azioni di diversificazione dell'attività e per lo sviluppo della multifunzionalità dell'impresa, nonché per la realizzazione di progetti pilota innovativi nel campo dell'ambiente, dei servizi ambientali, del miglioramento della qualità e valorizzazione dei prodotti;
   il Partito democratico ha elaborato, con il supporto delle associazioni di rappresentanza del movimento cooperativo della pesca, una serie di linee guida contenenti una articolata strategia di interventi realisticamente attuabili per avviare a soluzione questo problema, tenendo conto della sostenibilità socio economica, accanto a quella ambientale. Tale strategia è basata sulla integrazione di misure nazionali e regionali, tra cui si ipotizza il varo di un piano nazionale per la compensazione economica della restituzione volontaria dell'attrezzo, o per la concessione di un attrezzo sostitutivo, e l'attivazione, da parte delle regioni, di misure socioeconomiche da definire nell'ambito dei piani di gestione locali finanziabili dal FEP e dal futuro FEAMP, di un binario privilegiato negli interventi per il miglioramento della selettività degli attrezzi, di interventi emergenziali volte all'integrazione del reddito per attività di salvaguardia e monitoraggio ambientale;
   in presenza di una tensione sociale crescente e sempre meno controllabile e che costituisce terreno fertile al proliferare di posizioni populiste che, lungi dal contribuire a risolvere il problema, non fanno che aggravarlo, si ritiene urgente tornare a sollecitare l'attenzione di tutte le istituzioni, nazionali e regionali, sulla necessità di predisporre interventi concreti a favore delle diverse comunità di pesca interessate, a partire da quelle calabresi dove l'emergenza si riflette oggettivamente con maggiore peso sulla tenuta dell'economia ittica regionale –:
   quali interventi intenda assumere il Ministro interrogato per fronteggiare l'emergenza del comparto ferrettare ed in particolare se e in quali tempi intende convocare una conferenza dei servizi come sede di confronto istituzionale più opportuna per predisporre necessarie ed urgenti politiche di intervento destinate ad operatori di questo segmento;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato a livello europeo per dare una risposta ai quesiti lasciati aperti da quello che, con riferimento al bando spadare, che nel Mediterraneo solo le flotte dell'Unione sono vincolate a rispettare mentre continuano indisturbate le attività di pesca e le esportazioni dei Paesi terzi, è stato giustamente da più parti definito un «maledetto imbroglio».
(4-00564)


   CATANIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale stagione primaverile, dopo la severa siccità che ha interessato il nostro Paese nella scorsa primavera ed estate, ha portato precipitazioni fuori dalla media stagionale;
   tali precipitazioni, concentrate prevalentemente nelle aree settentrionali della penisola, hanno gravemente inciso sulle attività agricole e sul benessere delle colture nella più vasta area agricola del nostro paese, la pianura padana;
   l'elevata quantità di pioggia, unita all'intensità delle precipitazioni e all'impermeabilizzazione di vaste porzioni di territorio padano causato della cementificazione, ha portato i terreni agricoli a superare la propria capacità idrica massima rendendoli incapaci di assorbire e di far defluire l'eccesso d'acqua;
   tale situazione sta danneggiando profondamente le colture agricole delle aree interessate – prevalentemente Veneto e Piemonte – sia impedendo il lavoro nei campi sia rovinando le colture già in essere;
   in Veneto le semine scontano un ritardo di oltre un mese: per le grandi commodities quali soia e mais le stime concordano nell'indicare un tracollo produttivo di circa il 50 per cento il grano sta maturando con difficoltà e soffre per gli attacchi fungini causati dalla presenza di acqua, i prodotti orticoli – sia in pieno campo che in serra – hanno subito allagamenti, il 30 per cento della fioritura degli alberi da frutta è danneggiato, e il sistema zootecnico dovrà fare i conti con il dimezzamento della produzione locale dei principali alimenti per il bestiame;
   in Piemonte le eccessive piogge hanno compromesso le coltivazioni del riso con punte che potranno toccare il 50 per cento della produzione, la coltivazione di mais è stata compromessa con percentuali che oscillano tra il 30 per cento e il 45 per cento, a causa dei ritardi nella raccolta il 30 per cento del fieno maggengo è andato perduto, il 30 per cento della fioritura degli alberi da frutta è stata danneggiata e nel settore orticolo le grandinate hanno compromesso i raccolti delle varietà primaverili in arrivo sui mercati –:
   se sia stata avviata la procedura per la dichiarazione di eccezionale gravità delle calamità naturali;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali ritenga di chiedere alla Commissione europea la possibilità di pagare anticipatamente gli aiuti PAC nelle aree interessate;
   se il Ministro insieme alla regione Veneto e alla regione Piemonte intendano approfondire ogni altra possibilità di intervento a favore delle imprese colpite, sia nel quadro della finanza nazionale sia usufruendo dei fondi comunitari per lo sviluppo rurale. (4-00574)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro della salute, Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della «Città della Salute e della Scienza di Novara», s'inserisce all'interno di una serie di prospettive strategiche previste dall'accordo Stato-Regione nel settore sanitario con riferimento ai poli territoriali già dotati di una pluralità di risorse da potenziare in materia di servizi della salute;
   la città di Novara oltre a Torino, costituisce infatti un centro primario in Piemonte che corrisponde ad un insieme di requisiti favorevoli indicati da una programmazione economica, territoriale e di settore, le cui integrazioni di risorse che costituiscono la base necessaria dell'intero progetto inteso come motore di sviluppo e di crescita economica per il territorio piemontese, mirano al completamento della struttura all'interno di un più ampio disegno del distretto medicale finalizzato a perseguire una serie di obiettivi;
   la relazione sulla fattibilità e sostenibilità economica della realizzazione della «Città della Salute e della Scienza di Novara» predisposta dall'azienda ospedaliero – universitaria Maggiore della Carità di Novara, rileva che l'esecuzione del complesso ospedaliero è concretamente possibile in quanto coerente sia con i requisiti territoriali della localizzazione, che consentono attrezzature con le dimensioni previste dal Piano sanitario regionale, che della sostenibilità economico-finanziaria di tale intervento;
   il suesposto piano di fattibilità rileva inoltre una serie di articolate elencazioni nell'ambito del piano economico-finanziario che indica le risorse finanziarie disponibili e quelle che si rendono ulteriormente necessarie per il completamento dell'opera infrastrutturale;
   le considerazioni conclusive emerse dalla suindicata relazione, evidenziano infine che sebbene il progetto sia nel complesso realizzabile e sostenibile ipotizzando anche il ricorso alla finanza di progetto e contratti di mutuo, necessitano tuttavia di un intervento pubblico indispensabile per il perfezionamento della struttura e consentire l'avvio dell'attività;
   l'interrogante segnala inoltre che contestualmente al suddetto progetto, sono state approvate la variante urbanistica che individua l'area per il nuovo nosocomio, nella periferia sud della città di Novara, le linee guida per il progetto di bonifica della zona e il cosiddetto «piano scavi»;
   la quota di finanziamento di parte statale, con riferimento al quadro economico dell'opera, dei fondi previsti ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988, ammonta a 150 milioni di euro;
   tra gli accordi di programma da sottoscrivere ancora, tra il Ministero della salute e la regione Piemonte, risulterebbero tuttora disponibili risorse pari a 377.645.413,69 euro, di cui 351.861.597,24 assegnate con delibere del Cipe, rispettivamente n. 97 e n. 98 del 18 dicembre 2008;
   secondo quanto risulta all'interrogante, la regione Piemonte intende destinare la quota di 377.645.413,69 euro per la costruzione della «città della salute e della scienza» di Novara e di Torino;
   l’iter procedurale relativo alla «città della salute e della scienza» di Novara, prevede che entro i prossimi sei mesi, sia effettuata l'espropriazione dei terreni su cui insisterà l'opera infrastrutturale, la bonifica dei terreni e la redazione del progetto definitivo;
   essendo differente lo stato di avanzamento delle procedure relative alle opere precedentemente riportate, occorre evidenziare a giudizio dell'interrogante, l'esigenza di poter attingere, in tempi brevi, a quella parte dei fondi destinati alla città della salute e della scienza di Novara –:
   se non intendano confermare, nell'ambito delle rispettive competenze, che le risorse ammontanti a 377.645.413,69 euro siano ancora disponibili per la sottoscrizione degli accordi di programma con la regione Piemonte;
   se non intendano altresì confermare, nell'ambito delle rispettive competenze, che i predetti accordi di programma possano essere sottoscritti con la regione Piemonte, in fasi cronologicamente diverse, in relazione al diverso stato di attuazione delle procedure relative alla costruzione della «città della salute e della scienza» di Novara e di Torino. (4-00562)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Gnecchi e Iacono n. 7-00009, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gregori.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Coppola e altri n. 4-00491, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Taricco, Giachetti, Richetti, Ermini.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Vendola n. 1-00002 del 15 marzo 2013.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza urgente Lombardi n. 2-00062 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 20 del 21 maggio 2013. Alla pagina 1214, prima colonna, alla riga ventesima deve leggersi: «2004, n. 243 e dell'articolo 1 comma 168, della legge» e non «2004, n. 243 e dell'articolo 168 della legge» come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BORGHI, MARANTELLI, BRAGA e GUERRA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi in tutto il territorio del Canton Ticino, appartenente alla Confederazione elvetica confinante con la Repubblica italiana, è stata avviata un'intensa campagna di stampa e mass-mediatica con uso di manifesti stradali da parte di un partito politico (l'Unione Democratica di Centro – UDC Ticinese) nei quali si è attivata quella che agli interroganti appare una vera e propria campagna xenofoba nei confronti dei lavoratori italiani occupati presso aziende ticinesi;
   tale iniziativa segue, a distanza di due anni, una precedente ed analoga campagna, nella quale i lavoratori italiani vennero additati alla pubblica opinione elvetica – in maniera volgare e offensiva come questa volta – come soggetti che derubano la ricchezza e il diritto al lavoro dei cittadini svizzeri;
   sono quasi 50.000 i cittadini italiani che quotidianamente si recano dall'Italia alla Svizzera per motivi di lavoro, provenienti segnatamente dalle province di Varese, Como, Sondrio e Lecco per la regione Lombardia e dalla provincia del Verbano Cusio Ossola per la regione Piemonte;
   le mansioni che i nostri cittadini occupano sono in molti casi di rilievo e di elevata professionalità, e la loro attività è regolata e garantita da uno specifico accordo bilaterale tra Italia e Svizzera;
   va ritenuta inaccettabile ogni campagna discriminatoria, con sfondo razzista e xenofobo, nei confronti di chiunque, e pertanto a maggior ragione nei confronti di cittadini della Repubblica italiana che in maniera onesta e corretta esplicano il diritto al lavoro garantito dalla nostra Costituzione in un confinante Stato estero;
   è indispensabile un passo diplomatico dell'Italia a tutela dell'onore e dei diritti dei nostri cittadini, lavoratori transfrontalieri, al fine di far cessare una pericolosa e perniciosa campagna di stampa ai danni dei medesimi –:
   quali iniziative immediate ed urgenti intenda assumere il Governo nei confronti delle autorità della Confederazione elvetica e del Canton Ticino tese a interrompere immediatamente ogni iniziativa discriminatoria, xenofoba e offensiva nei confronti dei lavoratori italiani occupati in Canton Ticino. (4-00140)

  Risposta. — Con riferimento alle iniziative del Governo tese a interrompere una retorica discriminatoria ed offensiva nei confronti dei lavoratori italiani occupati in Canton Ticino, si premette che la questione investirebbe, secondo dati del 2012 dell'Ufficio federale di statistica svizzero, 55.554 connazionali (ovvero un posto di lavoro su quattro in Ticino). Ai frontalieri, poi, si aggiungono gli artigiani che in virtù degli accordi bilaterali di libera circolazione varcano la frontiera e lavorano a fattura insieme ai propri dipendenti a costi più competitivi di quelli presenti sul mercato ticinese.
  La campagna contro i frontalieri è da inquadrare nel contesto pre-elettorale delle elezioni comunali del 14 aprile a Lugano, Mendrisio e Terre di Pedemonte. L'Unione democratica di centro del Ticino, che ha posto il tema dell'afflusso in Ticino di lavoratori frontalieri provenienti dall'Italia al centro della propria campagna politica, ha inteso cavalcare sia il disagio percepito dalla popolazione ticinese per il numero crescente di questa categoria di lavoratori (in aumento nel 2012 del 5,9 per cento rispetto al 2011) e per i loro presunti effetti distorsivi sui salari e sull'economia locale, sia l'ondata di cordoglio provocata dalla recente scomparsa, il 7 marzo 2013, di Giuliano Bignasca, leader e fondatore della Lega dei Ticinesi. Una analoga campagna, aggressiva e discriminatoria, se possibile di livello ancora più aspro, era stata condotta nel 2010-2011.
  Nell'informare che non sono giunte né all'Ambasciata d'Italia a Berna, né al Consolato generale d'Italia a Lugano – che da sempre mantengono una elevata vigilanza sulla questione – comunicazioni da parte della collettività residente o da associazioni o patronati, giova sottolineare che il tema si riallaccia a una questione più ampia che riguarda tutti i cittadini della Unione europea.
  Il 1o maggio 2013, il Consiglio federale ha infatti reintrodotto il contingentamento dei permessi di soggiorno nei confronti dei cittadini di otto Stati dell'Unione europea (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria), ricorrendo alla «clausola di salvaguardia» prevista dall'accordo Comunità europea-Svizzera sulla libera circolazione di persone. Stando a una recente intervista rilasciata dallo stesso consigliere federale svizzero Burkhalter, è attualmente in corso di valutazione l'ipotesi di estendere la «clausola di salvaguardia», fino al limite massimo del 31 maggio 2014, ai cittadini di tutti i Paesi dell'Unione europea, per far cadere le rimostranze mosse da Bruxelles circa la discriminazione tra i Paesi membri.
  Nel giugno 2014 sarà inoltre sottoposta a referendum l'iniziativa popolare «Contro l'immigrazione di massa», promossa dall'UDC, che punta ad un ritorno sic et simpliciter al contingentamento dei permessi di soggiorno. Un anno più tardi, l'elettorato svizzero sarà chiamato alle urne per decidere dell'estensione della libera circolazione delle persone, alla Croazia, prossimo membro dell'Unione europea. Tali temi sono al centro di negoziati attualmente in corso tra la Confederazione Svizzera e l'Unione europea.
  Il Ministero degli affari esteri continuerà a seguire, tramite l'autorità diplomatica e consolare in Svizzera, le suddette questioni con la massima attenzione. Nel quadro della sua complessiva azione volta a tutelare, anche nel più ampio contesto europeo, i diritti e le aspirazioni dei lavoratori frontalieri e degli altri cittadini italiani residenti in Svizzera, la Farnesina manterrà uno stretto contatto con le autorità svizzere, acquisendo ogni ulteriore utile informazione. Parallelamente, sarà anche cura delle nostre autorità diplomatiche e consolari continuare a mantenere al corrente le competenti istanze italiane.
Il Viceministro degli affari esteriStaffan de Mistura.

  (Risposta del Governo del 26 aprile 2013)

 


   REALACCI, ERMINI, PARRINI, DALLAI, GELLI, CENNI, DONATI e TARICCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'olivicoltura italiana rappresenta un settore produttivo strategico per il Made in Italy agroalimentare e per l'economia locale, essendo presente in quasi tutte le regioni, caratterizzandone il paesaggio ed assicurando la produzione di oli di oliva vergini di elevata qualità;
   l'identità dei prodotti nazionali e la lotta alle frodi alimentari risultano strategici per garantire la solidità, la competitività e la distintività del made in Italy e delle imprese agricole italiane;
   il mercato mondiale dell'olio di oliva, soprattutto nei segmenti qualitativamente meno caratterizzati, è influenzato da Paesi con un'organizzazione produttiva e commerciale, diversa da quella Italiana, in cui l'olivicoltura intensiva e superintensiva, con raccolta meccanizzata e stoccaggio di massa delle olive, consente di immettere sul mercato prodotti economicamente più vantaggiosi, a discapito della qualità degli stessi;
   in una delle più recenti operazioni poste in essere dal comando provinciale della Guardia di finanza di Bari – in collaborazione con funzionari dell'Ispettorato centrale qualità repressione frodi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e delle Agenzie delle dogane di Bari – sono state eseguite 37 perquisizioni presso aziende, uffici e depositi commerciali ubicati nelle province di Cosenza, Catanzaro, Crotone, provincia Barletta Andria Trani e Foggia, conclusesi con il sequestro di circa 400 tonnellate di olio di oliva, per un valore commerciale di circa un milione di euro. Le frodi, in particolare, sono state poste in essere con l'utilizzo di falsa documentazione e false etichettature, attraverso le quali l'olio extravergine di oliva di provenienza straniera veniva fatto risultare come made in Italy e l'olio di oliva «non biologico» veniva fatto risultare come «biologico»;
   recentemente, inoltre, sono emerse diverse criticità, perché la normativa, pur definendo i contenuti essenziali delle diciture obbligatorie previste nell'etichettatura dei prodotti offerti in vendita, non indica con precisione le modalità grafiche con cui l'obbligo deve essere attuato e ciò consente alle imprese di apporre le indicazioni di interesse con modalità o caratteri che ne rendono difficile la corretta percezione da parte dei consumatori;
   le normative relative all'indicazione della designazione dell'origine dell'olio extravergine di oliva – approvate, con le modifiche al regolamento comunitario 1019/2002/CEE e, a livello nazionale, con il decreto ministeriale 10 novembre 2009 – non sono risultate sufficienti per prevenire e contrastare fenomeni fraudolenti;
   l'attuale quadro normativo di riferimento, inoltre, consente di «legalizzare» vere e proprie frodi ai danni dei consumatori, che vengono poste in essere adottando pratiche finalizzate a deodorare oli con caratteristiche organolettiche non adeguate;
   con riferimento all'applicazione della normativa comunitaria (regolamento comunitario 24 gennaio 2011, n. 61/2011 (CE) che definisce alcune caratteristiche fisiche e chimiche degli oli d'oliva nonché i relativi metodi di valutazione, i limiti fissati a livello comunitario per la presenza di alchil esteri negli olii extravergini sono troppo elevati e rischiano di incentivare la messa in commercio di oli di scarsa qualità spesso miscelati ad oli di migliore fattura;
   accreditati studi scientifici riferiscono che, nell'ambito di una produzione artigianale o a regola d'arte di olio extravergine di oliva, posta in essere rispettando le buone pratiche di raccolta e di estrazione dell'olio, la sommatoria degli alchil esteri non supera i 25/30 mg/kg, tanto che la presenza di un valore elevato di etil esteri è indice di fermentazione e di cattiva conservazione delle olive;
   in tale contesto, sebbene fino ad ora l'attività di controllo e repressiva, svolta a tutela dei consumatori, abbia consentito di sottrarre dal mercato una significativa quantità di olio di scarsa qualità, contraddistinto con informazioni ingannevoli o non veritiere, le risultanze di tali iniziative fanno registrare una dilagante diffusione del fenomeno di illeciti nel settore oleario, posti in essere tramite operazioni tendenti a spacciare oli stranieri, deodorati e di bassa qualità, come oli di oliva extra vergini di provenienza italiana;
   per tutte le indicate ragioni, l'articolo 43, comma 1-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante Misure urgenti per la crescita del Paese ha disposto che: «al fine di prevenire frodi nel settore degli oli di oliva e di assicurare la corretta informazione dei consumatori, in fase di controllo gli oli di oliva extravergini che sono etichettati con la dicitura «Italia» o «italiano», o che comunque evocano un'origine italiana, sono considerati conformi alla categoria dichiarata quando presentano un contenuto in metil esteri degli acidi grassi ed etil esteri degli acidi grassi minore o uguale a 30 mg/kg. Il superamento dei valori, salve le disposizioni penali vigenti, comporta l'avvio automatico di un piano straordinario di sorveglianza dell'impresa da parte delle Autorità nazionali competenti per i controlli operanti ai sensi del regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004»;
   successivamente, con la legge 14 gennaio 2013, n. 9, sono state approvate le Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini;
   la richiamata legge introduce una serie di strumenti finalizzati a tutelare i consumatori, la produzione made in Italy e le imprese nazionali da fenomeni di abuso e contraffazione;
   in particolare, nel capo 1 della legge sono previste norme sulla indicazione dell'origine e la classificazione degli oli di oliva vergini, precisando le modalità delle diciture concernenti la designazione di origine degli oli di oliva vergini, al fine di ottimizzare le condizioni di leggibilità di tali informazioni che sono essenziali per la scelta dell'olio, da parte del consumatore. Inoltre, al fine di garantire corrispondenza merceologica alle caratteristiche di qualità dei prodotti viene attribuito valore probatorio ai risultati dei test di verifica delle caratteristiche organolettiche effettuati dai panel di assaggiatori riconosciuti, ai sensi del Regolamento (CEE) n. 2568/91, dell'11 luglio 1991 relativo alle caratteristiche degli oli di oliva vergini nonché ai metodi ad essi attinenti. Ancora, al fine di assicurare la corretta informazione dei consumatori e tutelare la qualità degli oli nazionali, viene previsto che nell'ambito delle attività di controllo, venga analizzato il parametro degli alchil esteri negli oli extravergini anche per valori inferiori rispetto a quelli limite previsti in ambito comunitario, ad un livello che consenta di identificare gli oli migliori;
   il capo 2 della legge introduce norme sulla trasparenza e sulla tutela del consumatore. In particolare, sfruttando le difficoltà di percezione delle diciture obbligatorie previste nell'etichettatura dei prodotti offerti in vendita, i consumatori possono essere facilmente indotti in errore sull'effettiva località di provenienza. Ne consegue la contestuale dichiarazione di decadenza di marchi con diciture e segni grafici che evochino una specifica zona geografica che non coincide con l'effettiva origine delle olive, considerando che vengono distorte le scelte commerciali dei consumatori che acquistano un prodotto nella convinzione erronea che possieda caratteristiche di cui, in concreto, non è dotato. Viene estesa, quindi, l'applicazione di più rigorose disposizioni penali a tutela del commercio nelle ipotesi di fallace indicazione nell'uso del marchio, quando abbia per oggetto oli di oliva vergini. Ai medesimi fini di prevenzione delle frodi, sono state disciplinate le modalità di presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi;
   il capo 3 della legge introduce norme sul funzionamento del mercato e della concorrenza. In particolare, è previsto, da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, un più incisivo controllo sulle pratiche commerciali dell'olio, al fine di ostacolare intese restrittive della concorrenza che hanno ad oggetto l'illegittimo aumento dei prezzi di vendita da applicare al settore distributivo. Viene, inoltre, colmata una lacuna del quadro normativo vigente nel quale manca una disciplina specifica per assicurare al consumatore l'accesso ad una serie di informazioni – quali, ad esempio, quelle relative all'origine delle materie prime impiegate – con riferimento agli oli che provengono da mercati esteri;
   il capo 4 della legge introduce norme sul contrasto delle frodi, in particolare, estendendo anche ai reati alimentari e di frodi nel settore alimentare una responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato e prevedendo il rafforzamento degli istituti processuali ed investigativi anche attraverso intercettazioni telefoniche;
   la Commissione europea ha deciso di avviare un EU PILOT 4632/13/AGR sulla legge 14 gennaio 2013, n. 9, «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini», lamentando la violazione, da parte dell'Italia, delle procedure e dei termini previsti dalla direttiva 22 giugno 1998, n. 98/34/CE che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell'informazione;
   in particolare, la Commissione lamenta il mancato rispetto dell’iter di notifica e del termine assegnato all'Italia per l'adozione delle disposizioni in materia di dimensione dei caratteri e tipologie dei sistemi di apertura per le confezioni di olio di oliva vergine, in quanto previsioni già oggetto di discussione presso il Comitato di gestione per l'organizzazione comune dei mercati agricoli;
   sulla base di ulteriori valutazioni effettuate successivamente alle comunicazioni trasmesse ai sensi della predetta direttiva, la Commissione ha censurato gli articoli 1, commi 2, 3 e 4; 4, comma 3; 7, comma 2; articolo 16, comma 1, per la violazione di altre disposizioni comunitarie –:
   quali iniziative si intendano assumere per difendere, a livello europeo, l'iniziativa legislativa censurata;
   quali misure si intendano promuovere per garantire il tempestivo avvio di un sistema adeguato ed efficiente di controlli nel settore della produzione e del commercio degli oli di oliva vergini;
   se non si ritenga necessario proseguire l'impegno delle istituzioni nazionali per una revisione del quadro comunitario di riferimento in modo da assicurare la tutela dell'identità e della qualità dei prodotti agroalimentari nazionali e, nello specifico, degli oli di oliva vergini, posto che, soprattutto nella menzionata categoria merceologica, l'origine territoriale dei prodotti agricoli, è il criterio primario di riferimento per individuarne e garantirne le caratteristiche qualitative attraverso la leggibilità dei caratteri delle diciture riportate in etichetta e la presentazione al pubblico in imballaggi muniti di tappo cosiddetto antirabbocco;
   se non si ritenga indispensabile confermare la necessità dell'adozione di incisive e dissuasive misure atte a scoraggiare, prevenire e contrastare ipotesi di illecito anche in altri settori agroalimentari.
(4-00015)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente la tutela dell'olivicoltura italiana sia in ambito comunitario che nazionale, vorrei anzitutto far presente che, preso atto dei rilievi mossi dalla Commissione europea riguardo all'iniziativa legislativa censurata (legge 14 gennaio 2013 n. 9), stiamo predisponendo una specifica nota chiarificatrice per fornire ulteriori elementi per la corretta interpretazione di talune disposizioni.
  In particolare, ne evidenzieremo le finalità che sono dirette a migliorare la trasparenza delle informazioni ai consumatori, ostacolare le pratiche fraudolente e la concorrenza sleale, nonché valorizzare il metodo organolettico per la valutazione degli oli di qualità.
  Riguardo alla revisione del quadro normativo comunitario sulla tutela dell'identità della qualità degli oli di oliva vergini vorrei ricordare che, con un voto indicativo in comitato di gestione, è stata ottenuta la modifica del regolamento (UE) n. 29/2012, relativo alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva (che sarà adottato in via definitiva entro il corrente mese) e del regolamento (CEE) n. 2568/91 (inerente le caratteristiche degli oli di oliva e degli oli di sansa d'oliva, nonché i metodi di analisi ad essi attinenti), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 28 marzo 2013.
  Si tratta di modifiche che, in linea con l’Action Plan proposto dal commissario Ciolos, sono volte a migliorare il controllo della qualità degli oli e la leggibilità delle etichette al fine di rendere le relative informazioni immediatamente visibili anche con l'utilizzo di dimensioni minime dei caratteri.
  Inoltre, limitatamente ad hotel, ristoranti e catering (Horeca), si introduce l'uso di confezioni di olio munite di sistemi di apertura che non ne consentano il riutilizzo mediante la pratica fraudolenta del cosiddetto «rabbocco» con oli di ignota provenienza.
  Le modifiche al regolamento (CEE) n. 2568/91 riguardano, in particolare, una serie di misure per migliorare e potenziare il sistema dei controlli che dovranno essere realizzati in maniera selettiva e con frequenza appropriata, tali da garantire la corrispondenza dell'olio di oliva in commercio alla categoria dichiarata.
  Mi preme, tuttavia, evidenziare che, già da tempo, l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) organo tecnico di controllo della mia Amministrazione, ha innalzato il livello di attenzione sulle produzioni di qualità più rappresentative del Made in Italy e, in particolare, nel settore degli oli d'oliva, al fine di garantirne l'immagine sui mercati nazionali ed internazionali.
  A tal fine, sono state anche intraprese misure di collaborazione con l'Agenzia delle dogane e le capitanerie di porto, sia per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi, sia per evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati «italiani».
  Sulla base dei criteri dell'analisi del rischio, così come previsti dal regolamento (CE) n. 882/2004, vengono scelti gli operatori della filiera che l'Ispettorato sottopone a verifica (frantoi, commercianti di olio sfuso, confezionatori, esercizi commerciali ivi compresi quelli di ristorazione).
  In particolare, le verifiche eseguite dall'Icqrf riguardano la correlazione delle olive lavorate con l'olio da esse prodotto in base all'origine dichiarata, la regolarità dei processi produttivi, le caratteristiche merceologiche, la corrispondenza delle tipologie merceologiche degli oli detenuti con la relativa documentazione contabile, la congruità del prodotto in entrata e in uscita in relazione all'origine della categoria merceologica dichiarata, gli adempimenti previsti dal decreto ministeriale 10 novembre 2009 (in particolare, la corretta tenuta del registro degli oli d'oliva di cui all'articolo 7 dello stesso decreto), la regolarità degli imballaggi in relazione alla capacità e al sistema di chiusura, la conformità dei dispositivi di etichettatura adottati alle indicazioni obbligatorie e facoltative.
  Gli accertamenti analitici su campioni prelevati al commercio e alla distribuzione vengono effettuati dall'Ispettorato avvalendosi di una propria rete qualificata di laboratori e comitati di assaggio che, nel caso degli oli d'oliva, procede al controllo di tutti i parametri relativi alla genuinità e alla qualità dei prodotti previsti dalla regolamentazione comunitaria.
  Per quanto concerne il controllo dei flussi di oli di oliva movimentati dai singoli operatori ricordo che, in base al richiamato decreto, i frantoi, le imprese di condizionamento e i commercianti di olio sfuso sono obbligati alla tenuta di un registro per ogni stabilimento e deposito, nel quale sono annotati le produzioni, i movimenti e le lavorazioni dell'olio extra vergine di oliva e dell'olio di oliva vergine, indipendentemente se destinati al mercato nazionale od estero.
  Tale registro (che, per una tempestiva fruizione dei dati ivi contenuti da parte degli organismi di controllo, è tenuto secondo modalità telematiche messe a disposizione sul portale del Sistema informativo agricolo nazionale) costituisce un sistema di tracciabilità omogeneo e puntuale della «filiera olio d'oliva», consente di monitorare le singole movimentazioni di ogni singolo stabilimento e conoscere i nominativi con i relativi indirizzi dei soggetti, nazionali o esteri, che hanno fornito o acquistato una specifica partita di olio.
  Evidenzio infine che l'Ispettorato, sulla base di quanto disposto dall'articolo 43, comma 1-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ogni qualvolta necessario, attiva tempestivamente un «Piano straordinario di sorveglianza» annuale cui sottopone le imprese che hanno prodotto un olio extra vergine di oliva etichettato con la dicitura «Italia» o «italiano» o che comunque evoca un'origine italiana, dalle cui analisi risulti superato il limite di 30 mg/Kg di metil esteri ed etil esteri degli acidi grassi.
  Assicuro, pertanto, l'interrogante che intendiamo proseguire l'azione intrapresa onde fornire un efficace contributo alla definizione di regole a tutela della qualità, a migliorare la trasparenza delle informazioni ai consumatori e ad ostacolare le pratiche fraudolente.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMario Catania.

  (Risposta del Governo del 9 aprile 2013)