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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 20 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, in ambito medico sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo: all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978; alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993; alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario in relazione all'interruzione volontaria di gravidanza riveste particolare importanza, per le sue ricadute socio-sanitarie sulle donne, e sulla stessa funzionalità del servizio sanitario nazionale;
    ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012 riporta – tra l'altro – i dati definitivi sull'obiezione di coscienza esercitata da ginecologi, anestesisti e personale non medico nel 2010. I dati che emergono sono molto eloquenti e impongono ancora una volta, e con forza, una seria riflessione sulla garanzia e la qualità del servizio per l'interruzione della gravidanza disciplinata dalla legge n. 194 del 1978;
    la relazione dice che in Italia ben il 69,3 per cento dei ginecologi, del servizio pubblico è obiettore di coscienza. In pratica quasi sette medici ginecologi su dieci è obiettore. Se si analizzano i dati su base territoriale, si trova che, ad eccezione della Valle d'Aosta, dove i ginecologi obiettori sono solamente il 16,7 per cento, le percentuali regionali non scendono mai al di sotto del 51,5 per cento. I dati medi aggregati per Nord, Centro, Sud e Isole indicano percentuali di ginecologi obiettori di coscienza pari rispettivamente al 65,4 per cento; 68,7 per cento; 76,9 per cento; 71,3 per cento. Il maggior numero di ginecologi obiettori si trova al Sud, con la punta più alta in Molise, dove si raggiunge l'85 per cento;
    i dati della relazione al Parlamento in realtà non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio nazionale, che risulta ben più grave di quella riferita dal Ministro pro tempore;
    si ricordano, in tal senso, i dati resi noti da LAIGA (Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della legge 194) il 14 giugno 2012, e risultanti da un attento monitoraggio dello stato di attuazione della legge nella regione Lazio dai quali emerge una situazione reale ben più grave di quanto riportato nella relazione del Ministro pro tempore: nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi che invocano una obiezione «di struttura» e le cliniche accreditate, la maggior parte delle quali ignora semplicemente il problema) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Nella medesima regione ha posto obiezione di coscienza il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri. In 3 province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici, il che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi centri della capitale, sempre più congestionati, o in altre regioni, o all'estero;
    molte strutture ospedaliere, per garantire l'applicazione della legge, ricorrono a specialisti esterni convenzionati con il sistema sanitario ed assunti esclusivamente per le interruzioni di gravidanza (medici SUMAI), o a medici «a gettone», con un significativo aggravio per il Sistema sanitario nazionale;
    a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e quindi del sistema sanitario nazionale, sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza;
    la drammaticità dello stato di applicazione della legge comporta l'allungamento dei tempi di attesa, con maggiori rischi per la salute delle donne e maggiori rischi professionali per i pochi non obiettori, costretti loro malgrado ad una cattiva pratica clinica;
    a fronte di questo stato «di emergenza» le donne devono spesso migrare da una regione all'altra o addirittura all'estero, e, sopratutto tra le immigrate, risulta necessario il ricorso all'aborto clandestino;
    il diritto all'obiezione di coscienza in materia di aborto per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, è sancito dall'articolo 9 della suddetta legge n. 194 del 1978, che allo stesso tempo prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano «tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la legge n. 194 prevede quindi scelte individuali e responsabilità pubbliche. L'obiezione di coscienza è infatti un diritto della persona ma non della struttura;
    al personale sanitario viene garantito di poter sollevare l'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha anzi l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
    i dati suindicati sulle percentuali molto elevate di obiettori, comportano oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza e quindi sulle donne che rivendicano l'inviolabile libera scelta a farne ricorso, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più pochi medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza con il rischio più che concreto di una dequalificazione professionale, e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
    il diritto della donna ad interrompere una gravidanza indesiderata, e quello del personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza dovrebbero poter convivere affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà. Di fatto, tale ipotesi, trova estrema difficoltà nel realizzarsi per i numeri esorbitanti dei medici obiettori che spesso si rifiutano anche di segnalare alle pazienti un medico non obiettore o un'altra struttura sanitaria autorizzata alla interruzione volontaria di gravidanza;
    dal 2009 l'AIFA ha autorizzato l'immissione in commercio del mifepristone, o Ru486, per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978; tale articolo prevede che l'interruzione volontaria di gravidanza possa essere praticata in ospedali pubblici generali e specializzati, e «case di cura autorizzate e presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati». L'articolo 8 non precisa il regime in cui deve essere praticata l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica (ricovero ordinario, DH, prestazione ambulatoriale). Il Ministro della salute pro tempore, in data 24 novembre 2010, ha chiesto in proposito il parere del Consiglio superiore di sanità; il Consiglio superiore di sanità, nella seduta del 18 marzo, ha individuato il ricovero ordinario come il regime più idoneo per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica;
    i dati riportati dalla letteratura internazionale, nonché i dati della regione Emilia Romagna che ha adottato il regime di day hospital, non confermano la scelta e le raccomandazioni del Consiglio superiore di sanità; gli stessi dati del Ministero della salute sull'interruzione volontaria di gravidanza medica dicono che dal 2005 al 2011 circa 15mila donne hanno scelto il metodo farmacologico, e che il 76 per cento delle pazienti ha scelto la dimissione volontaria dopo la somministrazione del mifepristone, senza che vi siano state complicazioni maggiori rispetto alle donne che sono state ricoverate fino all'espulsione;
    risulta improrogabile la necessità di valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile. Come conferma anche l'ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, «nel tempo i Consultori familiari non sono stati, nella maggior parte dei casi, potenziati né adeguatamente valorizzati. In diversi casi l'interesse intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenza il mancato adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi»,

impegna il Governo:

   a garantire il rispetto e la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel pieno riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, finalizzate all'assunzione di personale non obiettore al fine di garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza;
   ad attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
   a garantire il pieno rispetto della legge da parte di ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio), posto che solo a fronte di questo impegno può essere concesso l'accreditamento;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia offerta come opzione a tutte le donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza medica possa essere praticata in regime di day hospital, che non comporta, come evidenziato dalla letteratura scientifica internazionale e dalla stessa relazione del Ministero della salute pro tempore, maggiori rischi per la salute, e che costa meno, considerato che l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica viene da tempo praticata in regime ambulatoriale o di day hospital negli altri Paesi europei e nella stessa regione Emilia Romagna;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, affinché la gestione organizzativa e del personale delle strutture ospedaliere sia realizzata in modo da evitare che vi siano presìdi con oltre il 30 per cento di obiettori di coscienza, anche attraverso un controllo più stringente sull'attuazione delle previste procedure di mobilità del personale sanitario;
   ad assumere iniziative per prevedere che il requisito della non obiezione sia introdotto per chi deve essere assunto o trasferito in presìdi, fissando la percentuale di personale sanitario non obiettore al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978;
   ad assumere iniziative finalizzate a prevedere che il requisito della non obiezione sia condizione all'espletamento delle funzioni apicali nelle strutture di ostetricia e ginecologia dei presidi ospedalieri;
   ad assumere iniziative volte a prevedere – anche ai fini di una maggiore trasparenza nel rapporto tra cittadini e medici di base – che i medici di famiglia siano tenuti a comunicare agli ordini provinciali dei medici chirurghi e odontoiatri ai quali sono iscritti, se intendono esercitare il loro diritto all'obiezione di coscienza, facendo si che da dette comunicazioni i suddetti ordini ricavino un apposito elenco pubblico;
   ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori familiari, quale servizio fondamentale nell'attivare la rete di sostegno per la sessualità libera e la procreazione responsabile, nonché strutture essenziali per l'attivazione del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza;
   a confermare e diffondere la conoscenza dei diritti in tema di contraccezione di emergenza, anche tramite adeguate azioni informative sull'esclusione del diritto all'obiezione di coscienza per i farmacisti.
(1-00045) «Migliore, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    rapporti economici continuano a fotografare un'Italia in piena crisi: i dati sull'inattività e sull'occupazione sono tra i peggiori d'Europa;
    secondo i dati Istat aggiornati al febbraio 2013 l'occupazione, su base annua, diminuisce dell'1,0 per cento (-219 mila), mentre il tasso di disoccupazione si attesta all'11,6 per cento, se pur in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto a gennaio e in aumento di 1,5 punti nei dodici mesi;
    il quadro, quindi, che dipinge l'Istat è ancora una volta deprimente. Il potere di acquisto delle famiglie nel 2012, tenendo conto dell'inflazione, è, infatti, diminuito del 4,8 per cento e, sempre nel 2012, il reddito disponibile delle famiglie in valori correnti è diminuito del 2,1 per cento;
    il rapporto di Confcommercio, presentato alla fine di marzo 2013, evidenzia un'Italia in cui nel 2013 ci saranno oltre 4 milioni di poveri superando così la soglia di 3,5 milioni certificata ufficialmente dall'Istat per il 2011, pari a oltre il 6 per cento; della popolazione, un taglio dei consumi pari al - 2,4 per cento, un disagio sociale più che raddoppiato, 615 nuovi poveri ogni giorno, un Paese che fatica ad uscire dalla morsa della crisi e la cui popolazione è sempre più colpita dalla ristrettezza economica. Dal rapporto emergono anche quelli che sono i ritardi ormai storici dell'Italia, quale il deficit di produttività che porta gli italiani a lavorare molto più di altri vicini europei, che restano però distanti in quanto a «efficacia» e – appunto – produttività;
    dal bilancio sociale Inps si evidenzia che il 77 per cento dei pensionati ha una pensione sotto i mille euro al mese, mentre il 17 per cento può contare su un reddito sotto 500 euro e che vi è un grande divario non solo tra uomini e donne, in media gli uomini percepiscono una pensione pari a 1.366 euro mentre le donne pari a 930, ma anche tra Nord e Sud Italia (al Nord la pensione media è di 12.38 al Nord, al Centro di 1.193 e al Centro, 920 1 Sud);
    il numero dei cosiddetti «esodati» secondo i dati forniti dall'Inps ammonta a circa 390 mila, e, nonostante ne siano stati, ad oggi, salvaguardati circa 130 mila grazie anche all'azione parlamentare del Partito democratico, il fenomeno resta comunque di dimensione drammatiche;
    a fronte di un quadro così drammatico sarebbe necessario avviare una politica di lotta alla povertà che riprenda dai migliori esempi europei, preveda la collaborazione dei soggetti pubblici e privati coinvolti e istituisca il reddito minimo di inserimento. Si tratta però, con ogni evidenza, di interventi normativi che richiedono tempo per essere approvati e attuati;
    le politiche intraprese finora per sconfiggere la povertà, come il bonus gas, il bonus per l'energia elettrica, i contributi per gli affitti, i libri scolastici gratuiti, l'assegno per la maternità, l'assegno per il nucleo familiare dal terzo figlio sono risultate insufficienti ed inorganiche, mentre è mancato un disegno organico di integrazione al reddito;
    l'unico provvedimento di lotta alla povertà ed integrazione del reddito messo in atto nella passata legislatura è stato, con l'articolo 81, comma 29 e seguenti, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, l'istituzione della carta acquisti o social card;
    si tratta di una vera e propria carta prepagata, pari a 40 euro mensili caricati automaticamente ogni due mesi, finalizzata all'acquisto di beni alimentari o farmaceutici e al pagamento delle tariffe per le utenze domestiche, che permette anche di beneficiare di sconti nell'acquisto di prodotti alimentari o parafarmaceutici (ad esempio, i pannolini e il latte in polvere) che il Governo ha negoziato con le principali reti di distribuzione e di produzione di beni alimentari;
    tale carta è concessa agli anziani di età superiore o uguale ai 65 anni o ai bambini di età inferiore ai 3 anni in possesso di particolari requisiti, quali, ad esempio, avere trattamenti pensionistici o assistenziali che, cumulati ai, relativi redditi propri, fossero di importo inferiore a 6.000 euro all'anno o di importo inferiore a 8.000 euro all'anno, se l'età e pari o superiore a 70 anni, e un isee del nucleo familiare inferiore a 6.000 euro;
    secondo i dati forniti dall'Inps, nel 2012 beneficiari della social card sono stai circa 420 mila, ovvero soltanto una piccola parte di tutte quelle persone che si trovino e si trovano sotto la soglia di povertà. Ciò è dovuto ai criteri categoriali molto stringenti del programma, che ha potuto contare sempre su risorse molto limitate;
    nel 2013, le risorse attivate sono però insufficienti a garantire l'erogazione della somma prevista per gli ultimi due mesi dell'anno aggravando così la situazione;
    con l'articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, è stato stabilito l'avvio della sperimentazione di una nuova social card nei comuni con più di 250.000 abitanti al fine di favorirne la diffusione tra le fasce di popolazione in condizione di maggior bisogno al fine di poterne valutare la possibile estensione su tutto il territorio nazionale come strumento di contrasto alla povertà assoluta;
    secondo il decreto attuativo la nuova social card funzionerà come un vero e proprio «reddito minimo» rivolto non solo ai cittadini italiani ma anche a quelli comunitari o quelli in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornati di lungo periodo che si trovino nella condizione economica prevista dal decreto verso i quali i comuni predispongono, per almeno metà dei nuclei familiari beneficiari, un progetto personalizzato di presa in carico, finalizzato al superamento della condizione di povertà, al reinserimento lavorativo e all'inclusione sociale;
    pur essendo un provvedimento limitato sia per la scarsa diffusione geografica in quanto sono ricomprese solo 12 città tra cui solo 4 al Sud (Bari, Napoli, Catania e Palermo), sia per le scarse risorse certe fino ad ora assegnate, 50 milioni sono fatti valere sul Fondo di cui all'articolo 81, comma 29 del decreto-legge 25 luglio 2008, n. 112, mentre altre risorse aggiuntive potranno venire dagli stessi comuni o dai soggetti privati i quali potranno effettuare versamenti spontanei e solidali sempre sul fondo del comma 29 dell'articolo 81 del decreto-legge n. 112, del 2008, è l'unica misura contro la povertà già operativa;
    la sperimentazione prevede tra l'altro interventi e servizi per l'inclusione attiva, inclusi ove opportuno servizi comunali di orientamento al lavoro, assistenza educativa domiciliare, sostegno per l'alloggio, promuovendo ove necessario accordi di collaborazione in rete con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di servizi per l'impiego, tutela della salute e istruzione, nonché con soggetti privati attivi nell'ambito degli interventi di contrasto alla povertà, con particolare riferimento agli enti non profit;
    la progressiva estensione di questa sperimentazione va nella direzione di procedere alla necessaria ed organica istituzione di strumenti moderni di lotta alla povertà,

impegna il Governo:

   ad individuare risorse certe ed adeguate volte ad incrementare il Fondo di cui al comma 29 dell'articolo 81 del decreto-legge n. 112 del 2008, al fine, non solo di poter raddoppiare il numero delle città coinvolte nella sperimentazione con particolare riguardo alle condizioni di povertà e di degrado socio economico delle regioni del sud Italia, ma anche al fine di poter coinvolgere, nelle città in cui è già stata avviata la sperimentazione, più persone possibili;
   a garantire in ogni caso il finanziamento della social card tradizionale almeno per i restanti mesi del 2013;
   a creare una strategia integrata che garantisca una interazione positiva delle politiche economiche, sociali e dell'occupazione, promuovendo la qualità dell'occupazione, della politica sociale e delle relazioni industriali, consentendo così il miglioramento del capitale umano e sociale;
   ad adottare politiche tali da incentivare il ruolo del terzo settore nella co-progettualità delle nuove iniziative locali contro la povertà, utilizzando la rete del terzo settore per avvicinare le persone emarginate che altrimenti continuerebbero a non essere raggiunte dalle misure economiche e d'inserimento sociale nonché al fine di poter offrire una maggiore qualità e capillarità dei servizi.
(1-00046) «Lenzi, Bellanova, Baruffi, Beni, Capone, Casati, D'Incecco, Gnecchi, Grassi, Iori, Madia, Maestri, Murer, Patriarca, Sbrollini, Scuvera, Giacobbe».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    le criticità determinate dai danni causati all'agricoltura e alla zootecnia da alcune specie di fauna selvatica o inselvatichita, hanno assunto negli ultimi anni dimensioni importanti, con ripercussioni negative che incidono, oltre che sui bilanci economici delle aziende agricole, sull'equilibrata coesistenza tra attività umane e specie animali;
    la consistenza del fenomeno ha già indotto la Commissione agricoltura della Camera dei deputati a svolgere, nel corso della XVI legislatura, una specifica indagine conoscitiva, alla quale ha fatto seguito l'avvio dell'esame di proposte di legge volte ad adeguare il quadro normativo vigente, che non è giunto a conclusione entro la fine della legislatura;
    nelle aree ad alta vocazione agricola si registra un incremento della frequenza di attacchi da parte di lupi, e di altri canidi selvatici, agli allevamenti di ovini che ha causato un inasprimento della tensione sociale, soprattutto tra gli allevatori, nonché gravi danni al patrimonio zootecnico, con la conseguente cessazione dell'attività per molte aziende operanti nel settore, specie nelle aree interne ed economicamente più svantaggiate;
    per quanto riguarda in particolare la specie lupo, secondo il documento della Conferenza delle regioni e delle province, i danni rifusi nel periodo 2005-2009 per i capi predati ammontano allo 0,13 per cento dei danni registrati nel comparto zootecnico e in detta percentuale non è specificato se i capi predati sono tutti ascrivibili a predazione da lupo oppure anche ad altri animali (cane, volpe, e altri), e che quindi non esiste una disponibilità di dati puntuale e approfondita non solo sui danni arrecati da canidi ma più in generale sui danni arrecati dalla fauna selvatica;
    la presenza degli ibridi, confermata da analisi di laboratorio svolte in diverse aree rurali, pone anche il difficile problema di assicurare la piena applicazione della direttiva habitat sopra indicata, che richiede di proteggere le specie dalla competizione con varietà simili e dall'inquinamento della loro identità genetica;
    sarebbe opportuno che le politiche locali incentivassero l'applicazione della legge n. 281 del 1991, limitando il randagismo e l'abbandono dei cani padronali, e quindi i danni commessi dai cosiddetti «ibridi» e dai cani rinselvatichiti;
    l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), attraverso l'elaborazione di specifiche ricerche, ha rilevato che nel nostro Paese, i lupi dopo aver rischiato l'estinzione, si sono riadattati a sopravvivere in raggruppamenti, localizzabili in alcune aree isolate dell'Appennino centrale e meridionale, riapparendo successivamente in vaste zone lungo l'intera dorsale appenninica e sulle Alpi marittime, interessando anche aree con grande vocazione rurale e da attività zootecniche;
    i dati su tale fenomeno, archiviati presso di enti competenti, sono piuttosto lacunosi, tanto è vero che l'ISPRA in occasione della stesura della «banca dati ungulati» ha interrogato i vari enti su diversi aspetti legati ai danni (specie/colture/cifre, erogate/area) ricevendo come risposta nella maggior parte dei casi solo la cifra complessivamente erogata per specie;
    esiste l'oggettiva difficoltà degli enti preposti alla verifica dell'indennizzo del danno che varia da regione a regione, ad esempio, in alcune la regione/provincia (Emilia Romagna, Marche, Toscana) ha la competenza nelle aree dove vige il divieto di caccio, gli ATC nei territori di loro competenza; in altri casi (Lombardia) la provincia verifica il danno e paga per il 90 per cento mentre il resto viene pagato dall'ATC/CA; in altri casi ancoro (Abruzzo, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia) la competenza è per intero della provincia. Nelle aree protette nazionali i danni sono indennizzati dagli enti gestori;
    le misure da adottare in relazione a specifiche esigenze devono essere valutate successivamente all'analisi dei dati raccolti anche al fine di consentire abbattimento di specie protette, ma che tale possibilità è difficilmente percorribile sul piano normativo, oltreché condannabile sul piano culturale e ambientale;
    il fenomeno dei danni provocati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche assume, in molti così denunciati dagli agricoltori, i connotati di una vero e propria emergenza, che sollecita l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di misure preventive e di contrasto,

impegna il Governo:

   ad avviare un'approfondita ricerca sullo distribuzione del lupo su tutto il territorio nazionale al fine di creare una banca dati puntuale sui danni arrecati da questa specie nel comparto zootecnico attraverso un unico protocollo di ricerca, messo a punto e coordinato dall'ISPRA;
   a valutare la possibilità di attivare con urgenza, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, un piano di indennizzo nazionale per gli agricoltori danneggiati previa verifica dei danni realmente provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatico;
   ad incentivare l'applicazione di metodi ecologici per ridurre i danni, quali vigilanza del bestiame, reti, dissuasori e bande che limitino la velocità dei veicoli in strada dove l'attraversamento della fauna selvatica è un rischio reale;
   a promuovere, nelle opportune sedi comunitarie, strategie preventive ed iniziative di analisi e di ricerca anche congiuntamente alle autorità regionali e alle associazioni interessate, per assicurare la sostenibilità delle attività agricole e zootecniche nel rispetto delle esigenze di tutela delle specie animali ed al fine di migliorare il loro stato di conservazione.
(7-00012) «Massimiliano Bernini, Gagnarli, Lupo, Benedetti, Gallinella, Parentela, Zaccagnini, L'Abbate».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   gli eventi atmosferici degli ultimi giorni, caratterizzati da precipitazioni eccezionali di pioggia in pochissime ore, hanno causato enormi disagi e danni soprattutto in Veneto;
   le piene e le esondazioni dei fiumi principali, di quelli secondari, e dei canali hanno costretto a sfollare migliaia di persone, hanno causato allagamenti ad attività industriali, commerciali, artigianali; hanno costretto all'evacuazione temporanea delle scuole e di molti uffici pubblici;
   gli allagamenti che hanno interessato nella giornata del 16 maggio diverse zone della regione Veneto e anche nella giornata del 17 le esondazioni hanno colpito densamente urbanizzate del Veneziano, del Padovano, del Veronese e del Vicentino, causando problemi di sicurezza per le persone e ingenti danni alle colture, agli insediamenti produttivi e alle abitazioni civili;
   a Vicenza e Verona sono state evacuate diverse famiglie che abitano in prossimità del fiume Bacchiglione e l'Alpone, fiumi che notoriamente sono a rischio di esondazione, sugli argini dei quali erano stati realizzati interventi di messa in sicurezza, a seguito della devastante alluvione del 1o novembre 2010;
   nella giornata del 16 maggio si è verificata una situazione grave in provincia di Venezia, nel Miranese, dove a Rio San Martino, Scorzè, Noale e Martellago, a causa della rottura degli argini del fiume Dese, sono state allagate diverse strade e centinaia di scantinati e garage e abitazioni civili;
   sull'intero litorale Veneziano la forte mareggiata del 17 maggio, spinta dal vento di scirocco, che ha toccato punte record di 70 nodi, ha devastato completamente le spiagge delle località di Chioggia-Sottomarina, Cavallino, Jesolo, Eraclea, Caorle, Bibione-San Michele in Tagliamento, che erano state di recente oggetto di ripascimento dell'arenile da parte dei comuni e degli enti competenti;
   la violenza eccezionale dell'evento, e il fatto che sia accaduto all'inizio della stagione turistica, ha compromesso la funzionalità ricettiva delle più importanti (per numero di presenze) località balneari italiane, e rischia di produrre un danno economico enorme al sistema turistico della regione –:
   se non si ritenga, alla luce delle premesse, di predisporre urgentemente il decreto per le calamità naturali verificatisi nei giorni scorsi o quali interventi intenda porre in essere per venire incontro alle necessità delle zone maggiormente colpite.
(2-00052) «Causin».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSATO e FIANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 della legge 6 luglio 2012, n. 96, introduce un obbligo gravante in generale su tutti i soggetti che svolgono le funzioni di tesoriere dei partiti o dei movimenti politici, o funzioni analoghe di pubblicità della situazione patrimoniale e reddituale: ad essi si applicano, secondo l'articolo 12, in vigore già dal 24 luglio 2012, le disposizioni in materia di pubblicità della situazione patrimoniale e reddituale di cui alla legge 5 luglio 1982, n. 441;
   l'obbligo di pubblicità della situazione patrimoniale e reddituale è dunque prevista per tutti i soggetti che svolgono le funzioni di tesoriere dei partiti o dei movimenti politici, o funzioni analoghe, a prescindere dal fatto che essi siano destinatari di finanziamento pubblico: per i partiti rappresentati in Parlamento il deposito dello statuto presso il ramo in cui sono rappresentati e l'individuazione del responsabile della gestione finanziaria è precondizione per il finanziamento medesimo, ma l'obbligo di cui all'articolo 12 è un obbligo generalizzato e non vincolato;
   per i soggetti esplicitamente elencati nell'articolo 1 della legge n. 441 del 1982 – e cioè 1) i membri del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; 2) il Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri, i Vice Ministri, i Sottosegretari di Stato; 3) i consiglieri regionali e i componenti della giunta regionale; 4) i consiglieri provinciali e i componenti della giunta provinciale; 5) i consiglieri di comuni capoluogo di provincia ovvero con popolazione superiore ai 15.000 abitanti; 5-bis) i membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia – sono previsti dei termini entro cui gli stessi devo adempiere agli obblighi della medesima legge;
   per coloro che svolgono le funzioni di tesoriere dei partiti o dei movimenti politici, o funzioni analoghe per i quali si applica comunque la legge 5 luglio 1982, n. 441, ai sensi dell'articolo 12 della legge 6 luglio 2012, n. 96, non è invece stata prevista alcuna tempistica, né viene specificato quale sia l'organo competente per l'applicazione della legge –:
   quali iniziative normative si intendano porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, per rendere pienamente operativa la norma di cui all'articolo 12 della legge 6 luglio 2012, n. 96, anche con riferimento ai tesorieri dei partiti o dei movimenti politici, o funzioni analoghe, che non siano parlamentari o non rientrino nelle categorie già coperte dall'articolo 1 della legge 5 luglio 1982, n. 441, considerando che l'articolo 12 della medesima legge è ormai in vigore dal 24 luglio 2012. (5-00149)

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA, FEDI, PORTA, GIANNI FARINA e GARAVINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 250 del 7 agosto 1990 che prevede le provvidenze per l'editoria, all'articolo 3 comma 2-ter consente la concessione dei contributi anche ai quotidiani italiani diffusi all'estero;
   il decreto-legge n. 63 del 18 maggio 2012, recante «Disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2012, n. 117, precisa le condizioni di ammissibilità ai contributi e, per quanto riguarda le imprese che editano i quotidiani italiani all'estero, all'articolo 1, comma 5 prescrive l'obbligo di certificazione dei bilanci, estendendolo all'attestazione delle copie distribuite e vendute;
   i quotidiani italiani editi e diffusi all'estero sono quattro in tutto (America Oggi negli USA, Il Corriere Canadese a Toronto, Gente d'Italia in Uruguay e USA, Il Globo in Australia, e La Voce d'Italia in Venezuela) e svolgono un'opera preziosa di conoscenza delle vicende italiane e di coesione della comunità locali di origine italiana;
   la funzione della stampa quotidiana e periodica in italiano, come degli altri strumenti radio televisivi e online, risponde a un insostituibile servizio di informazione della vita politico-istituzionale, sociale e culturale del nostro Paese, particolarmente necessario da quando i cittadini italiani all'estero con il voto per corrispondenza contribuiscono a determinare gli equilibri politici e le maggioranze di governo; essa, inoltre, agisce da veicolo culturale e linguistico costante e penetrante, affiancandosi e talvolta supplendo all'intervento di promozione della lingua e della cultura italiana all'estero;
   l'informazione, la cultura e la lingua italiane sono altresì uno strumento strategico per favorire l'internazionalizzazione del Sistema Italia, che nella rete delle nostre comunità trova sostegno e riferimento, particolarmente necessari in una fase di crisi economica come quella che attraversiamo, caratterizzata dalla caduta della produzione e della domanda interna, con preoccupanti esiti occupazionali;
   a fronte dell'evidente interesse per l'Italia di preservare e semmai rafforzare questa rete informativa praticamente globale, le misure di riduzione della spesa pubblica degli ultimi anni e la rigidità interpretativa dei criteri stabiliti per la concessione dei contributi alle aziende editoriali, comprese quelle che agiscono all'estero, hanno determinato la sospensione delle pubblicazioni di una storica testata quale Il Corriere canadese, giornale di riferimento della comunità italiana in Ontario, con evidente disorientamento di quanti da decenni erano abituati a seguire le vicende italiane attraverso le sue colonne;
   le condizioni stabilite dalla normativa vigente per la concessione dei contributi sono in larga misura identiche sia per i quotidiani italiani che per quelli editi e diffusi all'estero, mentre questi ultimi si trovano ad operare in contesti molto diversi rispetto a quello italiano e tra loro, sia per quanto riguarda le regole del mercato del lavoro che i regimi societari –:
   se non ritenga di favorire, in tempi comprensibilmente brevi, una modifica delle disposizioni del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, in modo da renderne più flessibile e realistica l'applicazione ai quotidiani italiani all'estero, tenendo conto delle diverse situazioni esistenti in realtà così difformi dall'Italia e tra loro, soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro e le forme societarie;
   se non intenda richiamare l'attenzione dei responsabili del dipartimento per l'editoria presso la Presidenza del Consiglio sul caso della sospensione delle pubblicazioni de Il Corriere Canadese al fine di favorire tutte le azioni possibili in base alle norme vigenti perché la situazione di crisi della testata canadese non evolva in modo irreversibile, ma anzi sia al più presto superata. (4-00505)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 244 del 31 dicembre 2012, il Governo è stato delegato a provvedere, entro dodici mesi, alla revisione, in senso riduttivo:
    a) dell'assetto strutturale e organizzativo del Ministero della difesa, in particolare con riferimento allo strumento militare, compresa l'Arma dei carabinieri limitatamente ai compiti militari. In termini concreti questo intervento dovrà produrre una contrazione complessiva del 30 per cento delle attuali strutture operative, logistiche, formative, territoriali e periferiche della difesa entro il 2019;
    b) delle dotazioni organiche complessive del personale militare dell'Esercito italiano, della Marina militare e dell'Aeronautica militare (da 190.000 a 150.000 unità entro il 2024);
    c) delle dotazioni organiche complessive del personale civile del Ministero della difesa (da 30.000 a 20.000 unità entro il 2024);
   dalle decisioni del Governo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Inoltre, per provvedere alla razionalizzazione dell'assetto strutturale e organizzativo in questione (comprese le strutture di formazione), il Governo entro il 2013, dovrà individuare il minor numero possibile di sedimi in grado di consentire la contrazione strutturale dell'attuale dispositivo della Difesa;
   attraverso i decreti delegati si definiranno; le soppressioni, l'accorpamento di strutture, le dismissioni e le permute di immobili militari e, ovviamente, le riduzioni di personale in servizio attraverso il transito in servizi civili, posizioni di aspettativa e/o esenzioni dal servizio;
   Verona e la sua provincia contano numerosi insediamenti militari, in ragione della collocazione geografica storicamente valorizzata nel complesso dispositivo della difesa nazionale;
   i provvedimenti da assumere potrebbero avere, quindi, anche un notevole impatto sugli insediamenti militari presenti nella città, sul personale che vi presta servizio e le loro famiglie veronesi –:
   quali siano gli enti militari, nazionali e della Nato, eventualmente interessati al progetto di riorganizzazione e il numero complessivo del personale in servizio negli stessi enti;
   se il Ministro intenda coinvolgere, e con quali modalità, gli enti locali presenti sul territorio, in ragione delle competenze urbanistiche e di programmazione territoriale loro attribuite, al fine di valutare in un contesto di valutazioni comuni, gli effetti dell'intervento sulle strutture militari presenti nel territorio della provincia di Verona;
   se sia prevedibile una prospettiva di impiego futuro delle strutture che non saranno considerate utili e funzionali al nuovo e futuro dispositivo della difesa e che, pertanto, potrebbero rientrare nel piano delle valorizzazioni/dismissioni/permute e se tra queste sia compresa anche l'attuale struttura di formazione della Caserma Duca di Montorio (Verona).
(4-00504)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende anche dalle notizie di cronaca di questi giorni, il tribunale per i minorenni di Milano ha concesso le «attenuanti generiche» a Remi Nikolic, il rom autore dell'uccisione dell'agente di polizia locale Niccolò Savarino;
   il drammatico episodio avvenne il 12 gennaio 2012 in via Varé a Milano, quando l'agente della polizia locale, mentre con la sua bicicletta stava svolgendo il proprio lavoro, venne travolto da una BMW X5, rubata e con alla guida Remi Nikovic, che lo trascinò per circa 200 metri sull'asfalto, uccidendolo;
   successivamente Remi Nikolic, scappò per sottrarsi alla giustizia in Ungheria, ed identificato solo in un secondo momento, fu poi estradato in Italia;
   le motivazioni che il tribunale per i minorenni di Milano adduce per aver riconosciuto al reo le attenuanti generiche sono che «il ragazzo è cresciuto in un contesto di vita familiare caratterizzato dalla commissione di illeciti da parte degli adulti di riferimento e dalla totale assenza di scolarizzazione» e ancora per «i precedenti penali non particolarmente rilevanti, il contesto di vita familiare nel quale Nikolic è cresciuto, l'intensità e la tipologia del dolo»;
   nella giurisprudenza ormai costante e pacifica le attenuanti generiche possono essere riconosciute solo alla presenza di un comportamento processuale in cui è dato cogliere segnali di resipiscenza ovvero sulla scorta del fatto che la valutazione della concreta capacità a non delinquere non sia ancorata al solo dato formale dell'assenza di precedenti condanne o a precedenti penali non particolarmente rilevanti, e non, per converso per i motivi, ai fini della concessione delle attenuanti generiche, che sono stati addotti nella sentenza in parola;
   tale decisione ha suscitato scalpori anche tra l'opinione pubblica;
   tali decisioni e il riconoscimento di attenuanti come quelle applicate al caso costituiscono ad avviso degli interroganti dei gravissimi precedenti, che mettono a rischio l'incolumità e la sicurezza dei cittadini e di tutti gli operatori, come l'agente di polizia locale investito, che si impegnano quotidianamente nell'esercizio del proprio lavoro, mentre parrebbero giustificare la commissione di reati da parte di soggetti, anche recidivi e con precedenti penali, che sapranno di poter sempre beneficiare delle attenuanti concesse a Nikolic;
   tali decisioni sono ancora più gravi in un contesto come quello milanese, dove gli ultimi gravissimi fatti di cronaca dimostrano che vi è una escalation di violenza;
   tali decisioni, secondo gli interroganti, mettono a rischio non solo il principio di certezza del diritto ma anche quello della pena –:
   quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda adottare il Ministro, nel rispetto delle attribuzioni che la Costituzione assegna ai vari organi costituzionali, e nello specifico all'ordine giudiziario, al fine di evitare situazioni come quella di cui in premessa. (4-00509)


   MUCCI e DALL'OSSO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 febbraio 2013, il consigliere regionale Alberto Vecchi, vice presidente della commissione politiche per la salute e politiche sociali, ha presentato un'interrogazione regionale in cui esponeva quanto di seguito:
    il signor Flavio Amico, che gestisce insieme alla moglie la «casa famiglia» legata all'Associazione onlus «We are here – Noi siamo qui» – struttura nella quale bambini e adolescenti, allontanati da genitori giudicati inadeguati ad occuparsi di loro, vengono accolti e aiutati a ritrovare un ambiente sereno per ricostruire il loro equilibrio – è imputato dei reati di maltrattamento di minori e abuso di mezzi di correzione in un processo in corso nel tribunale di Parma sede distaccata di Fidenza;
    la denuncia, sporta da un educatore che all'epoca dei fatti lavorava nella struttura fidentina, si riferisce a due episodi, uno avvenuto nel 2008 e uno nel 2009, ai danni di due ragazzi allora ospiti dalla comunità sopra indicata;
    nel frattempo il Flavio Amico continua a gestire la comunità familiare a Fidenza e a lavorare come educatore anche nella comunità educativa per minori Cà degli Angeli di Tabiano Terme, aperta nel 2009 e recentemente trasferita all'interno di una struttura di accoglienza più ampia, Casa, Viburno, nata lo scorso anno sempre per mano dell'Associazione «We are here – Noi siamo qui», di cui la moglie dello stesso signor Amico è presidente;
    il signor Amico, inoltre, secondo l'avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena, legale di fiducia dei genitori di un ragazzino ospitato nel 2010 nella comunità Cà degli Angeli di Tabiano e autore del libro sui diritti violati dell'infanzia «Mai più un bambino», avrebbe un passato da brigatista e sarebbe stato coinvolto nel sequestro Moro e per questo condannato a 18 anni di carcere per associazione sovversiva;
    in una lettera molto circostanziata l'avvocato Miraglia, infatti, riporta che nel 1978 il signor Flavio Amico era stato arrestato insieme ad altri esponenti delle Brigate Rosse in via Montenevoso 8, a Milano, nella cosiddetta «prigione del popolo» e, al momento dell'arresto, si era dichiarato «combattente comunista» e, in un'altra occasione, «prigioniero di guerra». Per il suo coinvolgimento nel sequestro Moro, inoltre, il signor Amico, appartenente alla colonna brigatista «Walter Alasia», che si autodefiniva «irriducibile», fu condannato a 18 anni di carcere per associazione sovversiva. Dal 1978 al 1998 lo stesso Amico risulta, inoltre, aver collezionato numerose condanne anche per reati contro la persona;
    sulla vicenda sembra che anche il Garante per l'infanzia e l'adolescenza, organo istituito nel 2011 presso la regione Emilia Romagna, stia compiendo verifiche e accertamenti;
   l'assessore alle politiche, sociali, dottoressa Teresa Maoicchi, nella sua risposta del 26 marzo 2013, ha affermato che: «in seguito all'iniziativa degli uffici regionali, orientata – secondo quanto previsto dalla D.G.R. 1904/2011 – a disporre controlli e verifiche sulle strutture autorizzate, sono pervenute:
    resoconto di visita ispettiva compiuta dalla competente Commissione in data 21 febbraio 2013 presso la Comunità familiare «Noi siamo qui – we are here» sita in Fidenza;
    resoconto di visita ispettiva compiuta dalla competente Commissione in data 19 febbraio 2013 presso la Comunità educativa «Cà degli Angeli», sita in Tabiano-Salsomaggiore;
   le visite ispettive che sono state fatte prima dell'interrogazione non hanno evidenziato criticità a carico del soggetto gestore; le relazioni fin qui pervenute dai servizi sociali invianti evidenziano un positivo rapporto dei ragazzi con le figure educative di riferimento e la direzione delle strutture ma non chiariscono come una persona attualmente imputata di reati di maltrattamento di minori e abuso di mezzi di correzione e già condannata a 18 anni di carcere per associazione sovversiva e per reati contro la persona (sebbene abbia pagato il suo debito con la giustizia e sebbene sia solo indagato) possa continuare a gestire una comunità familiare e a lavorare come educatore anche in una comunità educativa per minori;
   secondo la Gazzetta di Parma del 15 febbraio 2013, un'altra famiglia avrebbe presentato una denuncia contro la casa famiglia in oggetto per i maltrattamenti subiti dai loro due bambini che ora hanno 17 e 18 anni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato e se il Governo non ritenga di intervenire nell'ambito delle proprie competenze, in particolare adottando iniziative normative volte ad evitare che persone incorse in condanne per reati quali quelli indicati in premessa possano essere titolari di autorizzazioni per gestire strutture socio assistenziali e socio sanitarie, che si occupano di minori. (4-00511)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CULOTTA, CAPODICASA, GULLO, MOSCATT e RIBAUDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema della viabilità e del trasporto passeggeri in Sicilia sconta un pesantissimo quadro di perduranti ritardi e d'inefficienze nei lavori di ammodernamento e sviluppo della rete infrastrutturale regionale;
   a fronte di 1.378,4 chilometri di rete ferrata, 1.200 sono ancora a singolo binario e 578 non elettrificati;
   per quanto riguarda i collegamenti ferroviari a lunga percorrenza e regionali, le strategie industriali di Trenitalia hanno condotto alla soppressione di molti treni a lunga percorrenza e la netta riduzione delle corse regionali, ponendo la Sicilia in una condizione di vero e proprio isolamento geografico restituendo l'immagine dell'estrema difficoltà nell'assicurare mobilità alle persone e ai soggetti economici della regione;
   in particolare, le scelte di Trenitalia hanno condotto al taglio di un'ottantina di treni feriali dal 2009 ad oggi, costringendo i cittadini per spostarsi ad utilizzare altri mezzi (mezzi propri o autobus);
   per quanto riguarda i collegamenti regionali, il parco rotabili sconta, a causa della sua obsolescenza, enormi problemi di manutenzione: la soppressione di treni regionali (e anche dei collegamenti per i pendolari) ha ormai il carattere della quotidianità. L'unico materiale rotabile messo a disposizione della direzione regionale Sicilia, in tempi relativamente recenti, è costituito dai «Minuetti», assolutamente non adatti a coprire lunghe tratte tipo la Palermo-Messina e spesso fermi per guasti; a questo si aggiunga la carenza nel funzionamento del condizionamento;
   le soppressioni quotidiane sono spesso diverse decine in tutta la regione e i ritardi a tripla cifra;  
   sulla linea PA-TP transitano 10 minuetti diesel in alternanza alle automotrici 668 che rispetto alle ALE841 hanno 22 anni in meno, si parla di treni anni ’80 contro treni anni ’60;
   l'infrastruttura ferroviaria siciliana è in uno stato critico e in pessime condizioni di manutenzione: basti pensare, nell'entroterra, alla Palermo-Trapani; le linee sono spesso a binario unico, non elettrificate e i treni che vi transitano sono solo i vecchi diesel;
   i collegamenti regionali su ferrovia sono ridotti a ogni cambio dell'orario dei treni (estivo/invernale) e sostituiti, nonostante i costi energetici più elevati, con servizi pullman, determinando l'intasamento di strade e autostrade regionali e la compromissione della sicurezza stradale;
   occorre aggiungere che queste iniziative si vanno a inserire in un contesto, quello del Mezzogiorno d'Italia, già pesantemente penalizzato dalle politiche generali dei trasporti, che, in particolare, hanno previsto la messa in esercizio dei treni alta velocità Freccia Rossa nelle sole tratte del Centro-Nord, incrementando ulteriormente lo squilibrio degli standard di servizio con il Sud del Paese;
   le difficoltà con cui si confronta il trasporto ferroviario siciliano s'inseriscono, peraltro, all'interno di un più generale ritardo e inefficienza dei lavori di ammodernamento e sviluppo della rete infrastrutturale regionale;
   ad oggi, nonostante i decreti legislativi n. 422 del 1997 e n. 400 del 1999 che trasferiscono la competenza del trasporto pubblico alle singole regioni, la Sicilia ancora non se ne è fatta carico;
   a dispetto di altre regioni la Sicilia investe solo lo 0,06 per cento nel settore ferroviario;
   ad oggi non è stato ancora sottoscritto nessun contratto di servizio Trenitalia-regione;
   le predette situazioni sono da anni continuamente denunciate senza alcun riscontro da parte del comitato pendolari Sicilia;
   il comitato è già intervenuto presso il Ministero e il prefetto di Palermo per scongiurare il taglio del 30 per cento dei treni previsto per marzo –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle predette scelte di Trenitalia spa dirette al drastico taglio del servizio, con soppressioni di treni che si potranno verificare già a giugno 2013;
   quali misure, di carattere ordinario e straordinario, intenda in concreto sollecitare nelle opportune sedi al fine di cancellare o al più correggere tali determinazioni e perseguire un'efficace politica del trasporto ferroviario, un asset strategico fondamentale per lo sviluppo economico, turistico e territoriale della Sicilia;
   quali iniziative intenda assumere, sul potenziamento della rete ferroviaria, per assicurare: a) l'immediato potenziamento dei cosiddetti «rami secchi»; b) lo sblocco dei lavori di raddoppio fermi da anni; c) il potenziamento del numero di corse, con la corretta composizione del materiale;
   quali politiche nazionali di sistema e quali iniziative concrete intenda adottare al fine di operare una puntuale ricognizione sullo stato dei lavori di ammodernamento e adeguamento delle infrastrutture e, in particolare, della rete ferroviaria in Sicilia;
   vista l'assenza di un contratto di servizio Trenitalia-Sicilia, se il Ministro sia a conoscenza dell'eventuale applicazione di penali a Trenitalia in Sicilia per i ritardi, le soppressioni, l'errata composizione del materiale, la mancanza di pulizia, e, se confermate, quale sia la loro entità e l'utilizzo conseguente delle somme stornate;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per scongiurare i possibili tagli di giugno e per un definitivo rilancio del servizio ferroviario in Sicilia. (5-00147)

Interrogazione a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il CIPE, con delibera n. 96 del 29 luglio 2005, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 57 del 9 marzo 2006, ha approvato il progetto preliminare dell'opera relativa al collegamento Orte-Falconara con la linea Adriatica;
   la giunta regionale, con decreto della giunta regionale n. 653 del 20 aprile 2009, ha rilasciato il parere favorevole «ai fini dell'accertamento della conformità urbanistica ed edilizia» ed all'intesa Stato-regioni sul progetto definitivo dell'opera ed ha trasmesso tale atto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al proponente ed ai sindaci dei comuni interessati. Nella stessa nota di trasmissione ha specificato che, per quanto concerne la localizzazione dell'opera sul territorio, sulla base di tale delibera si è concluso il procedimento attivato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con la conferenza dei servizi;
   il CIPE, ha approvato il progetto definitivo dell'opera, dell'importo di 210 milioni di euro, nella seduta del 3 agosto 2011 e la relativa delibera n. 54 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 58 del 9 marzo 2012;
   il CIPE, nella seduta del 20 gennaio 2012 (Gazzetta Ufficiale 196/2012), ha espresso parere, con prescrizioni, sull'aggiornamento 2010-2011 del «Contratto di programma Rete Ferroviaria Italiana (RFI)-Ministero Infrastrutture e Trasporti»;
   riferimento all'intervento di «Collegamento Orte-Falconara con la linea Adriatica-Nodo ferroviario di Falconara», si evidenzia tale situazione:
    il CIPE, nella seduta del 3 agosto 2011, ne ha approvato il progetto definitivo, prendendo atto che, sotto l'aspetto finanziario:
     il costo complessivo del progetto definitivo, costituito di due lotti funzionali, è pari a 240 milioni di euro, con un incremento di 30 milioni di euro rispetto al limite di spesa determinato dal CIPE con la delibera n. 96/2005 di approvazione del progetto preliminare;
     con nota del 6 dicembre 2010, RFI ha rappresentato che il citato incremento di 30 milioni di euro è da attribuirsi alle prescrizioni formulate dal CIPE stesso con delibera 96/2005, all'adeguamento monetario e alla necessità di attrezzare le tratte di intervento con nuova tecnologia;
     le disponibilità finanziarie indicate nell'aggiornamento 2009 del contratto di programma 2007-2011, pari a 210 milioni di euro, consentono di realizzare il primo lotto dell'intervento sopra descritto;
   da una analisi dell'aggiornamento 2010-2011 del contratto di programma emerge però che la dotazione finanziaria autorizzata per il progetto non è più 210 milioni di euro bensì 174 milioni di euro; difatti, come si legge nel paragrafo 2.2.4 «Autorizzazioni» del CDP RFI-MIT – agg. 2010-2011: «L'approvazione da parte del CIPE dello schema di aggiornamento 2010-2011 del Contratto di Programma e quindi delle variazioni alle coperture finanziarie e delle rivisitazioni progettuali conseguenti ai dei finanziamenti intervenuti per legge, comporta la modifica di quanto previsto nelle delibere e nella documentazione istruttoria relative ai seguenti interventi compresi nel Programma Infrastrutture strategiche, per le quali è già stata approvata, ovvero è in corso di esame, la progettazione definitiva:
    ...omissis...
    per il progetto “Collegamento Orte-Falconara con la linea Adriatica-Nodo di Falconara” è stata conservata in “Tabella A-Opere in corso” la realizzazione della prima Fase Funzionale degli interventi (174 milioni di euro), trasferendo la realizzazione di opere non prioritarie per il servizio ferroviario, quali la nuova stazione di Montemarciano (11 milioni di euro) e la rivisitazione di Jesi-Interporto (25 milioni di euro), nelle “Opere Programmatiche” al momento prive di copertura finanziaria che saranno quindi da reperire nei prossimi atti contrattuali.
    ...omissis...
    Pertanto con l'approvazione CIPE dell'Agg. 2010-2011 del Contratto di Programma ed in pendenza di eventuali atti del CIPE su progetti specifici, si intendono autorizzate le sopra descritte variazioni ai progetti compresi nel Programma Infrastrutture Strategiche, rispetto a quanto previsto nelle approvazioni CIPE già conseguite e nella documentazione istruttoria»;
   il CIPE nella seduta dell'11 dicembre 2012 (Gazzetta Ufficiale n. 63 del 15 marzo 2013) si è nuovamente espresso sul progetto del nodo ferroviario di Falconara, per il 1o lotto funzionale dell'importo di 174 milioni di euro –:
   quali atti intenda adottare da subito per poter utilizzare immediatamente i 174 milioni di euro a disposizione, anche come supporto all'apertura di cantieri e alla ripresa economica di questo territorio;
   se RFI ritenga il bypass da realizzare a Falconara Marittima un'opera puntuale sulla città, e non piuttosto – considerato che si raggiungerebbero gli stessi fini per quanto riguarda la città, ma che l'opera rivestirebbe in più carattere strategico – il primo stralcio dell'arretramento della linea ferroviaria adriatica, come previsto da uno studio di fattibilità della provincia di Ancona. (4-00508)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   PELUFFO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 14 maggio 2013 Oreste Sciumbata, assessore ai servizi sociali del comune di Trezzano sul Naviglio, Giorgio Rossetto, assessore ai lavori pubblici, Giacomo Velardita, comandante della polizia municipale, Marco Citelli, responsabile dell'area territorio del comune di Trezzano sul Naviglio, Antonio Di Stasio, coordinatore cittadino del PdL sono stati arrestati dalla direzione investigativa antimafia assieme ad altre 4 persone;
   tali arresti sono avvenuti nell'ambito di un'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Milano denominata «Navigli» e condotta dai pubblici ministeri di Milano Paolo Storari e Laura Pedio che ha comportato anche perquisizioni presso sedi di società e abitazioni nelle province di Milano, Varese, Bergamo;
   l'inchiesta aveva avuto inizio nel febbraio 2010 quando erano stati posti agli arresti l'ex sindaco, Tiziano Butturini, e l'allora consigliere comunale del PdL, Michele Iannuzzi, accusati di avere ricevuto del denaro per favorire l'immobiliare «Kreiamo» di Andrea Madaffari, imprenditore precedentemente arrestato (novembre 2009) nel corso di un'inchiesta sul clan Barbaro-Papalia;
   successivamente (giugno 2010) Butturini aveva patteggiato 2 anni e 5 mesi, Iannuzzi 2 anni e 8 mesi e Madaffari era stato condannato a 3 anni e 4 mesi;
   secondo quanto comunicato della direzione investigativa antimafia, le indagini avrebbero accertato diversi illeciti, legati soprattutto all’iter di approvazione del piano di governo del territorio del comune di Trezzano sul Naviglio e ai tentativi di condizionarne gli atti;
   gli arrestati avrebbero percepito ingiustamente delle somme di denaro per dare via libera alla costruzione di un nuovo centro commerciale prevedendo, tra l'altro, lo spostamento dell'asilo comunale di Via Fogazzaro al fine di liberare l'area destinata ai parcheggi della struttura commerciale;
   gli inquirenti avrebbero accertato «un pesante quadro di corruttele e illegalità con pubblici amministratori asserviti agli interessi di imprenditori e con professionisti abili nel mascherare, con un giro di false fatturazioni, il pagamento di tangenti»;
   sino ad ora sarebbero state versate agli interessati tangenti per circa 230.000 euro, nell'ambito di una più generale promessa di 500.000 euro; le somme sarebbero state trasferite su conti correnti aperti presso banche svizzere –:
   di quali elementi disponga in relazione ai fatti descritti in premessa e quali iniziative siano state avviate per far luce sui rapporti che hanno portato alla truffa nei confronti dei cittadini;
   se, vista l'estensione e la ramificazione dell'associazione a delinquere finalizzata alla corruzione emersa nell'ambito delle indagini e, soprattutto, in considerazione dei precedenti del 2010, non si possa configurare anche un rapporto con le organizzazioni mafiose e se non ritenga opportuno inviare una commissione d'accesso e nel caso configurare la possibilità di sciogliere il consiglio comunale e inviare un commissario prefettizio;
   se non ritenga opportuno verificare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione degli articoli 141 e 142, o altri, del decreto legislativo n. 267 del 2000.
(4-00510)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i pagamenti da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali delle dovute spettanze agli attori della filiera ippica relative ai premi 2012-2013 non sono più corrisposti dal mese di agosto 2012;
   la lentezza che ha caratterizzato la gestione ministeriale dell'ippica negli ultimi anni ha provocato un declino del settore che rischia di divenire non più reversibile;
   l'ippica rappresenta un'eccellenza italiana in grado di produrre un indotto economico trasversale e capillarmente distribuito su tutto il territorio;
   nel corso della XVI legislatura, la Commissione agricoltura della Camera dei deputati, aveva definito un progetto di riforma condiviso denominato «Unione Ippica», che si auspica possa essere ripresa e trovare una sollecita condivisione –:
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per assicurare una rapida soluzione del pagamento delle spettanze dovute all'ippica;
   per quanto di propria competenza, se non ritenga necessario addivenire ad un ridisegno organico del settore dell'ippica, facendo tesoro del proficuo lavoro svolto nella scorsa legislatura dalla Commissione agricoltura della Camera dei deputati.
(2-00053) «Fanucci, Rughetti, Lorenzo Guerini, Biffoni, Iori, Faraone, Realacci, Zanin, Donati, Dallai, Parrini, Piccoli Nardelli, Martelli, Crimì, Gelli, Anzaldi, Fregolent, Bonifazi, Lotti, Boschi, Famiglietti, Nardella, Scalfarotto, Bonafè, Bazoli, Senaldi, Carbone, Ermini, Coppola, Magorno, De Menech, Venittelli, Richetti, Gutgeld, Censore, Vazio, Gianni Farina, Velo, Marrocu, Fabbri».

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   ROTTA e ZARDINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica e sociale che coinvolge il Paese obbliga il Governo ad eliminare gli sprechi, i doppioni ed i privilegi grandi e piccoli che siano al fine di trovare risorse da destinare ad investimenti produttivi ed a sostegno di coloro che si trovano coinvolti nell'emergenza sociale;
   l'Inps per migliorare la qualità e la quantità del processo di produzione dei servizi, di cui ha la competenza, investe cifre considerevoli nella formazione dei propri dipendenti. Nel 2010 l'Inps ha speso circa 11 milioni di euro per attività formativa e nel 2011 sono state organizzate 5.700 iniziative di formazione di cui 3.562 giornate di formazione in aula e 2.138 giornate di formazione on the job. La formazione organizzata dall'Inps può essere così classificata: – formazione on the job effettuata durante lo svolgimento del processo produttivo (rapporto un docente ed un discente); – formazione in aula (rapporto un docente e più discenti);
   la docenza per gli interventi di formazione del personale dell'Inps viene assegnata in parte ai dipendenti dell'Istituto, ai quali viene corrisposto un compenso di circa 31 euro (con esclusione dei dirigenti, professionisti e medici). Al contrario non viene riconosciuto alcun corrispettivo a coloro che svolgono attività di docenza nella formazione on the job;
   la formazione continua è un fattore strategico per le imprese private e pubbliche al fine di migliorare il sapere dei dipendenti e la performance delle imprese stesse. È talmente importante che ha un rapporto di complementarietà e di compenetrazione con il processo produttivo e viene espletata in modo permanente da coloro che detengono le maggiori conoscenze professionali. Il percorso lavorativo dei dipendenti conduce ad un arricchimento delle mansioni che comprendono la formazione nel ruolo di docente e discente;
   la scelta dell'Inps di retribuire l'attività di docenza in aula ai dipendenti di area B e C espletata durante l'orario di lavoro normale non tiene conto che quelle ore di lavoro sono già retribuite con lo stipendio. Pertanto, si ritiene che il caso in questione possa essere definito un doppione e, quindi, una forma di spreco. Per non danneggiare i dipendenti gli eventuali interventi formativi effettuati durante il lavoro straordinario potrebbero essere retribuiti con le prestazioni straordinarie e non con il pagamento delle docenze;
   la contraddizione dell'Inps sorprende perché l'Istituto ha intrapreso da diverso tempo la via del miglioramento continuo e della gestione per processi abbandonando gli adempimenti e valorizzando la crescita del personale e l'arricchimento delle conoscenze. Oggi più di ieri l'attività formativa dei dipendenti si svolge nei processi di produzione e non è facile quantificare e distinguere la formazione dall'attività lavorativa in senso stretto;
   il fenomeno descritto potrebbe assumere dimensioni più ampie se le pubbliche amministrazioni adottassero il metodo Inps di retribuire l'attività di docenza in aula ai propri dipendenti –:
   di quali elementi disponga in merito al caso descritto (retribuzione della docenza interna nella formazione in aula) nell'Inps e nelle altre pubbliche amministrazioni, al fine di poter intervenire e normalizzare le attività di formazione;
   se non reputi urgente intervenire per eliminare i casi di doppia retribuzione (stipendio e compensi per la docenza) a favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni che espletano, oltre al lavoro assegnato, attività di docenza nelle attività di formazione in aula;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per includere l'attività di docenza tra le mansioni dei lavoratori dipendenti dalle pubbliche amministrazioni al fine di arricchire le competenze del personale ed eliminare sprechi e doppioni rappresentati dai compensi relativi alle attività di docenza. (4-00506)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOCCUZZI, BONOMO, PAOLA BRAGANTINI, CRIVELLARI, FREGOLENT, BOBBA, BONIFAZI, MATTIELLO, DE MARIA, DAMIANO, D'OTTAVIO, GELLI, LENZI, LATTUCA, BRATTI, GRIBAUDO, FIORIO, BENAMATI, MAZZOLI, D'INCECCO, BORGHI, BRAGA, PORTAS, BONACCORSI, BIFFONI, CHAOUKI, BONAFÈ, NARDUOLO, MARCO DI MAIO, QUARTAPELLE PROCOPIO, BERLINGHIERI e COCCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Berco spa è un'industria metalmeccanica specializzata nella produzione di componenti e sistemi sottocarro per macchine movimento terra cingolate e attrezzature per la revisione e la manutenzione del sottocarro. Produce, inoltre, macchine utensili per la ricondizionatura dei motori a combustione interna;
   la crisi economica iniziata nel 2008 che ha colpito pesantemente tutto il settore non ha lasciato indenne la Berco spa che ha presentato dei piani di ristrutturazione, successivamente approvati dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   nonostante la produzione in ripresa, a inizio 2012, il conglomerato industriale ThyssenKrupp, nel quadro di un vasto piano di riorganizzazione annunciato nel maggio 2011 e diretto alla focalizzazione del business sul ciclo dell'acciaio e sulla produzione di beni industriali come ascensori, impianti industriali e costruzioni marittime, ha inserito la controllata Berco tra i possibili rami produttivi «vendibili», seppure la Berco rappresenti una sorta di gioiello della corona per la proprietaria ThyssenKrupp;
   l'attuale proprietà, con sede ad Essen, già nel mese di agosto 2012 aveva comunicato ai sindacati di avere una trattativa aperta con due potenziali acquirenti per la vendita dell'importante azienda metalmeccanica Berco spa;
   l'annuncio aveva suscitato vivo allarme data la situazione di crisi del settore;
   la dirigenza della Thyssen aveva spiegato che l'operazione di vendita era volta a rafforzare le potenzialità dell'azienda e non a snaturare la mission dello stabilimento copparese, che si confermava essere una eccellenza industriale del territorio e che, pertanto, ThyssenKrupp avrebbe preso in considerazione la cessione di Berco a fronte di un best owner intenzionato a portare avanti il core business dell'azienda;
   da allora le reiterate richieste delle parti sociali e delle istituzioni di essere informate dell'evoluzione dell'ipotizzato percorso di cessione e di come l'azienda intendeva affrontare il nuovo piano industriale sono state disattese;
   il 28 marzo scorso il gruppo Thyssen-Krupp ha nominato amministratore delegato di Berco spa Lucia Morselli e Francesco Tatò vicepresidente del consiglio di amministrazione che hanno fissato una serie di incontri con le parti sociali e le istituzioni locali mostrando una disponibilità al confronto;
   il 2 maggio il Ministro dello sviluppo economico, Flavio Zanonato, ha confermato tutti gli impegni assunti in precedenza dal Ministero dello sviluppo economico in merito alla vertenza BERCO nello specifico: non dare corso all'annunciata procedura di mobilità nei confronti di 611 lavoratori dei tre impianti italiani per i quali il 30 aprile è scaduta la cassa integrazione, a tutt'oggi messi in libertà dall'azienda senza nessuna copertura di ammortizzatori sociali; avvio immediato di contatti con il Ministero del lavoro per l'attivazione dei necessari ammortizzatori sociali, privilegiando i contratti di solidarietà; incontro in tempi strettissimi con il Ceo tedesco della ThyssenKrupp per fare chiarezza sulle reali intenzioni della multinazionale;
   la Berco spa occupa 2.660 lavoratori nei tre stabilimenti produttivi italiani di cui quasi 2.200 solo in quello di Copparo, circa 350 a Castelfranco Veneto, 72 a Busano Canavese in Piemonte, un'altra trentina a Sasso Morelli e altre 300 nelle varie filiali in Europa ma anche in Brasile, Usa, Cina e India;
   la Berco spa esporta attualmente in 84 Paesi, è un'impresa sostanzialmente e strutturalmente sana, tant’è che il fatturato dell'anno scorso è ammontato a 500 milioni di euro circa, di cui solo il 10 per cento è diretto al mercato interno, mentre il 90 per cento è rappresentato dai mercati esteri, di cui il 32,9 per cento dagli Usa –:
   se sia a conoscenza delle reali strategie industriali che il gruppo ThyssenKrupp intende adottare sul territorio nazionale;
   se non ritenga di avviare contestualmente un piano di raccordo con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di affrontare al meglio le ripercussioni che l'intera vicenda potrebbe avere sui lavoratori. (5-00148)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 283 del decreto legislativo n. 209 del 7 settembre 2005, il Fondo di garanzia per le vittime della strada provvede, tra l'altro, al risarcimento dei danni alla persona causati da veicoli non identificati e non assicurati;
   per effetto della gravissima crisi economica in atto, negli ultimi anni è raddoppiato il numero dei veicoli non assicurati, raggiungendo la quota di circa tre milioni (dati ACI), così come il fenomeno di polizze false o addirittura compagnie assicurative inesistenti dati IVASS – Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni;
   negli ultimi anni, sarebbero conseguentemente aumentati anche gli incidenti provocati da veicoli non assicurati;
   il Fondo di garanzia per le vittime della strada è finanziato dal contributo obbligatorio del 2,5 per cento di ogni polizza RC Auto e dalle sanzioni comminate dall'IVASS alle compagnie assicurative che commettono delle irregolarità;
   nonostante il Governo Monti abbia adottato alcuni provvedimenti legislativi in materia, volti a combattere le frodi e ad allontanare il rischio default del predetto Fondo di garanzia per le vittime della strada attraverso l'introduzione del cosiddetto «tagliandino virtuale» (decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito), nonché a rafforzare i controlli incrociati tra archivio della Motorizzazione e l'ANIA, occorrerà del tempo prima che essi diano dei risultati visibili –:
   se disponga di elementi che confermino i dati sopra riportati e se esista, nel breve e medio periodo, il concreto rischio che il fondo di garanzia per le vittime della strada possa non essere in grado di far fronte alle crescenti richieste di risarcimento delle vittime di incidenti di veicoli non identificati e/o non assicurati.
(4-00503)


   LAVAGNO, PIAZZONI, DANIELE FARINA, PAGLIA, ZAN, NICCHI, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda denominata DDway srl, nata dall'acquisizione di CSC Italia srl – una delle due filiali italiane di Computer Sciences Corporation – da parte di Dedagroup spa, si prefiggeva l'obiettivo di essere una nuova realtà competitiva nel panorama italiano dell’information and communication technology;
   la società, con quasi 1.000 dipendenti in Italia e oltre 70 milioni di euro di fatturato complessivo nel 2011, fa parte di Dedagroup ICT Network, gruppo che opera nel mercato italiano dell'ICT;
   i lavoratori dell'azienda oggetto della presente interrogazione sono stati posti in regime di CIGO – cassa integrazione guadagni ordinaria – per un periodo di 9 settimane durante le quali si è toccato un picco di 199 lavoratori contemporaneamente coinvolti da tale procedura;
   durante l'incontro con le organizzazioni sindacali, svoltosi in data 2 maggio 2013, la dirigenza DDway ha annunciato circa 300 esuberi a livello nazionale;
   secondo la direzione DDway si tratterebbe di esuberi strutturali così ripartiti tra le varie sedi: 37 esuberi a Milano su 137 dipendenti (in particolare di staff, telco ed insurance), 119 esuberi a Torino su 313 dipendenti (in particolare di staff, telco, fashion, insurance, ma con una buona percentuale di esuberi anche per banking e manufacturing), 17 esuberi a Padova su 111 dipendenti (in particolare di staff), 1 esubero a Ravenna su 12 dipendenti (l'unico di staff), 112 esuberi a Roma su 328 dipendenti (in particolare di staff, insurance, government & transportation, telco & utilities) e 8 esuberi a Genova su 24 dipendenti (manufacturing e telco), per un totale di 294 esuberi a livello nazionale;
   le figure professionali più colpite sarebbero proprio quelle maggiormente produttive, con quasi la metà dei «programmatori» ed un 25 per cento degli analisti programmatori, superati solo da lavoratori «simil call-center» («servizio clienti») ed help desk, quasi azzerati. Tra gli esuberi ci sarebbero anche molti amministratori di sistema o di database –:
   se siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intendano intraprendere per salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (4-00507)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Binetti e altri n. 1-00036, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Quintarelli e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Binetti, Dellai, Buttiglione, Cesa, Gigli, Gitti, Adornato, Cera, Balduzzi, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Nissoli, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Santerini, Sberna, Schirò Planeta, Tinagli, Vargiu, Vecchio, Vitelli».

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Coppola e altri n. 4-00491, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lorenzo Guerini, Brandolin.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Causin n. 2-00051 del 17 maggio 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Vezzali n. 3-00025 del 29 aprile 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-00503.